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L’uovo del serpente


Franco Berardi Bifo

12 Marzo 2022

Chi fosse Putin lo sapevano tutti: un nazionalista russo


formato alla scuola dei servizi segreti e al culto della violenza.
È stato utile quando c’era da distruggere l’eredità dell’Unione
sovietica trasformando la Russia in una componente del
sistema finanziario globale. Del resto anche Saddam Hussein e
Osama bin Laden non erano sono stati finanziati e armati per
fare un lavoro sporchissimo per poi aggredirli e rovesciarli?
Intanto, ora siamo pronti a scandalizzarci perché qualcuno
mette in discussione il dovere patriottico e l’odio per i russi.
“Siamo pronti a cacciarli, isolarli, licenziarli, come abbiamo
fatto con chi non voleva vaccinarsi… – scrive Franco Berardi
Bifo – Questo bisogno che qualcuno dei due contendenti abbia
ragione è il segno più grave della paralisi etica e intellettuale
del nostro tempo…”. Un tempo di depressione e psicosi
aggressiva, come quella raccontata da Bergman ne L’Uovo del
serpente

Tratta da pixabay.com

Tra depressione e psicosi aggressiva nasce la Nazione Europea

Ne L’uovo del serpente, un film del 1977, Bergman racconta l’emergere della bestia come risveglio
psicotico delle menti terrorizzate, umiliate, disperate. Una folla barcollante di persone
psichicamente ferite, che si muovono come in un incubo, annebbiate, fin quando non possono
ritrovare forza, energia ed entusiasmo nel convertirsi in belve. Belve bionde, per citare Nietzsche.

La belva bionda è emersa scatenando la più grande offensiva militare sul suolo europeo dal
1945, e riproponendo lo scenario jugoslavo su scala gigante. Ma al tempo stesso è emersa anche al
Parlamento europeo. Subito dopo il discorso in cui Zelenski ha detto: “l’Ucraina è pronta a morire
per l’Europa, ora vediamo se l’Europa è pronta a morire per l’Ucraina”, è venuta la decisione di
armare la resistenza ucraina, di partecipare alla guerra. L’Unione europea nacque per generare
un’entità politica priva delle retoriche della nazione. Liberarsi dalla tragica storia del nazionalismo,
anzi dei nazionalismi (perché il nazionalismo non è mai solo) era il senso dell’Unione europea. Ora
quell’intenzione fondativa (mai attuata in realtà, ma pur sempre aleggiante nel regno delle illusioni
programmatiche) è cancellata.

Ma lasciamo perdere la geopolitica, scienza rudimentale per cervelli cinici. Veniamo alla sostanza
psico-politica del processo che si sta svolgendo sulla scena continentale. In un articolo del 1918,
all’indomani del trauma bellico e pandemico, Sandor Ferenczi si chiede se sia possibile curare le
psicosi collettive. La sua conclusione è che tali patologie collettive possono essere solo prevenute
ma non curate quando si manifestano. Sappiamo cosa accadde nei decenni seguenti. Il trauma
venne elaborato in maniera psicotica, attraverso un’identificazione aggressiva nella nazione e nella
razza.

Come si va elaborando oggi il trauma subito nel biennio pandemico?

Gli eventi europei del febbraio marzo 2022 fanno pensare che l’elaborazione del trauma ha preso un
carattere psicotico: la depressione strisciante cerca compensazione nell’aggressività: il nome di
questa psicosi è Nazione. Come nascono le nazioni? Con la guerra. Questa è una regola generale
della storia europea. Negli anni successivi alla crisi finanziaria del 2008 l’Europa scelse di essere
una fortezza, un territorio (sempre meno) popolato da persone spaventate dal declino bianco e dalla
grande sostituzione etnica in corso (inarrestabilmente). Sinistra e destra, Minniti e Salvini hanno
comunemente perseguito lo scopo di escludere, respingere, annegare allo scopo di difendere la
grande patria bianca.
Partecipando alla guerra ucraina l’Europa-fortezza si riconosce al fine come Nazione.
Probabilmente è solo l’inizio della fine, ma questo è un altro discorso.

Il biondino di San Pietroburgo

Fino a ieri la sola differenza tra sinistra e destra in Italia era la diversa considerazione di
Putin, e della risorgente nazione russa. Mentre i democratici erano favorevoli a stringere d’assedio
lo zar allargando la NATO, l’altra metà dello spettro politico, i sovranisti euro-americani
ammiravano Putin. Trump Le Pen, Meloni, Salvini, per tacere di Berlusconi hanno espresso senza
mezzi termini la loro ammirazione per il biondino di San Pietroburgo. Putin personificava il culto
della Nazione che le destre euro-americane hanno cercato in contesti diversi di riaffermare.

Ma quando, nel pomeriggio del primo marzo, Zelinski ha chiesto se l’Europa è pronta a
morire per l’Ucraina, il cuore della destra europea ha cominciato a battere per lui. Morire per
difendere la patria, poco importa da chi, è sempre stato il sogno dei nazionalisti, anche se questo
non vuol dire che vogliano proprio morire loro personalmente. Vogliono mandare qualcuno a
morire per la loro gloria: questo sì, è il loro sogno. Salvini, dimentico dell’alleanza tra la Lega e
Russia Unita, è diventato generoso e accoglie i profughi ucraini perché questi sono veri profughi,
mica come quegli scrocconi di afghani e siriani (leggi anche I profughi ucraini e la propaganda
istituzionale, ndr). Ecco allora che la destra nazionalista, messa nell’angolo per la sua sudditanza
allo Zar, ha repentinamente cambiato posizione e ha preso la testa dell’Unione europea, rivoltandola
come un guanto. Ursula von den Leyden e tutti gli altri dietro, entusiasticamente uniti nella difesa di
che?

Della nazione europea. Del Dio cristiano. E della razza bianca. D’accordo. Ma anche Putin ha la
pelle bianca, no? Ed è più cristiano di noi. Solo Trump, mi pare, continua a dirlo, lui che più
nitidamente esprime il suprematismo bianco, e nitidamente ne distingue i nemici. Putin è un amico,
dice Trump, e ha ragione. I democratici americani sono ancora ossessionati dall’Unione sovietica,
non vogliono uscire da una narrazione che li vedeva vincenti.

Ma Putin non è comunista. Il referente teorico e strategico di Putin si chiama Ilic Il’in, un
intellettuale russo che fuggì dall’Unione Sovietica negli anni ’20 per rifugiarsi a Berlino negli
anni di Hitler. È l’unico teorico che Putin abbia citato nei suoi discorsi fin dai primi anni della sua
ascesa al potere. Ed è un nazista dichiarato, che scrisse: “Il fascismo è un eccesso salvifico di
arbitrarietà patriottica”. Nel libro La paura e la ragione (Rizzoli, 2018, ed.or The road to
Unfreedom), Timothy Snyder parla della relazione intellettuale tra il pensiero di Il’in e l’azione di
Putin.
”Il 23 gennaio 2012, qualche settimana dopo le elezioni parlamentari e poco prima di quelle
presidenziali, Putin pubblicò un articolo nel quale sviluppava la questione nazionale formulata da
Il’in…. In questo articolo Putin descriveva la Russia non come uno stato ma come una condizione
spirituale. Citando Il’in per nome, Putin affermava che in Russia non c’era né ci poteva essere alcun
conflitto fra le nazionalità. Stando a Il’in la questione della nazionalità in Russia era solo
un’invenzione dei suoi nemici, un concetto importato dall’Occidente…. Scrivendo della Russia
come di una civiltà, Putin si riferiva a tutti quelli che considerava parte di questa civiltà. Anziché
parlare dello stato ucraino di cui la Russia riconosceva ufficialmente la sovranità, Putin parlava
degli ucraini come un popolo disperso dai Carpazi alla Kamchatka, e pertanto elemento della civiltà
russa. E se gli ucraini erano semplicemente uno dei diversi gruppi russi (come tatari, ebrei,
bielorussi) ne seguiva che l’indipendenza statale ucraina era irrilevante, e che Putin, nelle vesti di
leader russo, aveva il diritto di parlare a nome del popolo ucraino. Concludeva quindi il discorso
con un grido di sfida dicendo al mondo che russi e ucraini non sarebbero mai stati divisi e
minacciando guerra contro coloro che non lo avessero capito” (Snyder, pag. 70, 71).

Questo articolo di Putin è del 2012, dunque i suoi amici americani ed europei sapevano con chi
avevano a che fare. Il che non impedì a George Bush, quello che invase l’Iraq con una guerra di
occupazione devastante sulla base di una fake news agitata da Powell sotto il naso del pubblico
mondiale, di guardare Putin negli occhi e di trarne la certezza che era un uomo sincero e buono.
Perciò la mobilitazione bellica continentale in nome della Nazione mi pare spiegabile solo come
epidemia psicotico-aggressiva.

Post-Covid

“Il Covid scomparirà quando smetteremo di parlarne” diceva un amico al quale piace scherzare
sulle cose serie. In effetti il Covid è scomparso da un giorno all’altro, grazie al bombardamento
delle città ucraine. A saperlo prima ci saremmo risparmiati due anni di sfinimento e distanziamento,
se bastava una guerra.

La paranoia non scompare col Covid, anzi si ripresenta ancor più aggressiva. I bravi cittadini
bianchi sanitarizzati e obbedienti agli ordini dello stato si sono scandalizzati per due anni che
ci fosse qualcuno che metteva in discussione la versione diffusa dalle autorità sulla questione
del vaccino e tutto il resto. Adesso siamo pronti a scandalizzarci perché c’è qualcuno che
mette in discussione il dovere patriottico, l’odio per i maledetti russi. Siamo pronti a cacciarli,
isolarli, licenziarli, come abbiamo fatto con chi non voleva vaccinarsi. E d’altra parte coloro che
si sono sentiti perseguitati da un complotto oggi sono pronti a giurare che Putin è il salvatore. Siamo
tutti chiamati a scegliere: o stiamo con l’Europa in armi o stiamo con Putin. Questo bisogno che
qualcuno dei due contendenti abbia ragione è il segno più grave della paralisi etica e
intellettuale del nostro tempo. Non siamo capaci di ammettere che non c’è alcun complotto, o
piuttosto che i complotti sono innumerevoli e si intrecciano, e che nessuno governa, perché il caos è
il signore del mondo.

Dunque: chi fosse Putin lo sapevano tutti. Un nazionalista russo formato alla scuola dei servizi
segreti. È stato utile quando c’era da distruggere l’eredità dell’Unione sovietica trasformando
la Russia in una componente del sistema finanziario globale. È stato utile a combattere
l’islamismo nemico comune di tutti i cristiani, dell’Est e dell’Ovest. Ma era un boia e tutti lo
sapevano. Basta vedere come Putin saluta Muhammed bin Salman, pochi giorni dopo che il mondo
ha scoperto che il signor Bin Salman, caro amico di Renzi, aveva fatto a pezzi il giornalista
Kashoggi.

Non è la prima volta


Si dirà che non è la prima volta che il paese leader del mondo libero finanzia e arma un boia perché
faccia un lavoro sporchissimo, per poi aggredirlo, rovesciarlo, e impiccarlo per la gioia dei popoli
bianchi. La patria della democrazia finanziò e armò Saddam Hussein all’inizio degli anni ’80,
perché aggredisse la Repubblica islamica iraniana. Ne seguì una guerra devastante con milioni di
morti iracheni e iraniani. Dopo essersi reso utile, il boia Saddam Hussein divenne poi il nemico
giurato, che occorreva eliminare a tutti i costi. A costo di inventare prove con cui scatenare una
guerra che eliminò il dittatore, uccise milioni di iraqeni, scaraventò bombe al fosforo sulla città di
Falluja, e pose le basi per la formazione di Daesh in quell’area, prima che il faro della libertà
decidesse di abbandonare il paese nel caos.

Negli stessi anni ’80 il paese della libertà finanziò e armò Osama bin Laden perché organizzasse la
guerra santa contro il nemico sovietico in Afghanistan. Brzezinski disse che la formazione di un
esercito di terroristi islamici era preoccupazione di poco conto se paragonata alla sconfitta del
nemico comunista. Ma l’11 settembre del 2001, coi soldi e le armi che gli venivano dalla classe
dirigente saudita, grandi amici della famiglia Bush, Osama bin Laden abbatté un paio di torri e
uccise più di tremila persone. Iniziò allora la guerra del paese più ricco del mondo contro il paese
più povero, mentre i cretini di tutto il pianeta strillavano: “Siamo tutti americani”. Venti anni dopo
gli americani fuggirono dal paese più povero del mondo non prima di averlo devastato, e lasciarono
nelle grinfie dei talebani gli incauti (e le incaute) che avevano creduto nella parola di Hillary
Clinton e dei suoi assassini. Negli anni successivi al crollo dell’Unione sovietica, la patria della
libera impresa appoggiò gli ex-comunisti convertiti alla libertà, e li osservò con un sorrisetto
complice mentre smantellavano il sistema pubblico, privatizzavano le imprese produttive,
esportavano ricchezze enormi verso le banche inglesi, e sterminavano con metodi brutali la
resistenza cecena.

Il taciturno Putin parve allora un amico di cui fidarsi, poco importava che avesse dato prove di
essere un carnefice alla scuola di Beslan, nel Teatro Dubrovska, e in molte altre occasioni. Ma il
taciturno Putin non ha rispettato le regole, si è perfino permesso di costruire una pipeline in
collaborazione con i tedeschi, e questo ai difensori della democrazia non andava giù. Occorreva
costringere i tedeschi a cancellare quel progetto, occorreva spingere l’Unione europea verso il
suicidio.

La prima vittoria di Biden

Biden sembra per la prima volta avere l’appoggio dei repubblicani, anche se il furbo Trump, dopo
aver detto che Putin è un genio, ora resta in disparte Aspettando di ritornare per vendicarsi. Dopo
tante battaglie perse finalmente Biden ne ha vinta una: ha tolto di mezzo l’Europa, l’ha
sottomessa alla NATO, e grazie alla NATO ha spinto l’Europa ad auto-distruggersi. Questo non
gli basterà per fermare la disgregazione degli Stati Uniti d’America, il paese in cui la gente si
ammazza più volentieri, in cui 100.000 persone sono morte di overdose negli ultimi anni.

Forse la guerra potrebbe aiutarlo a vincere le elezioni di mid-term, ma non ci scommetterei neppure
un nichelino: da qui a Novembre c’è tempo, e sarà tempo di orrore e di menzogne. E di morte, come
piace alle belve bionde: quelle russe, quelle europee, e quelle americane.

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