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LA MUSICA ARABA

Prima dell’avvento dell’Islam gli Arabi, salvo alcune popolazioni del


litorale, non conoscevano che la vita della tribù. In questo ambiente
patriarcale la musica, trasmessa da generazione in generazione
attraverso la tradizione orale, consisteva in canti monodici di
estensione limitata e di elementare formazione melodica. La presenza
di molti stranieri, persiani, bizantini, egiziani, etiopi, pagani, cristiani e
ebrei, non pochi conviventi come schiavi, non poteva restare senza
qualche influenza sulla vita del paese e sulla sua cultura, la quale finì
per assorbire quanto poteva essergli congeniale, coinvolgendo anche la
musica.
Nei primissimi tempi dell’islamismo la musica era condannata come
causa di lassismo e di corrusione spirituale, al pari del vino e delle
prostitute. Il profeta Maometto le fu violentemente ostile, tanto che si
diceva: “Maledetta sia la barba che si accosta alla bocca di un flauto”.
Ma poiché questo si tratta di un proibizionismo fondato su concetti
inconciliabili con la naturalità del comportamento umano e, nel caso
della musica, addirittura su idee contrarie alla natura delle cose sono
destinate ad estinguersi, così l’incontro degli arabi con altre culture
portò la conoscenza di nuove realtà determinando in breve
l’abbandono di ogni pregiudizio antimusicale, per cui la musica
divenne parte essenziale della cultura islamica. Delle tre cose prima
dette, musica, vino e venditrici d’amore solo il vino è rimasto scritto
nel libro nero dei musulmani, mentre queste donne, chiamate Quaina-
s ebbero forte rilievo nella società araba, esse univano alle funzioni di
cortigiana quelle di cantante.
E’ alla gente del deserto, ai nomadi, ai Beduini, che spetta il merito di
aver salvato, attraverso la tradizione orale, usanze musicali le cui
radici si perdono nello stesso deserto dove nacquero quelle genti e i
loro canti.
Primi canti islamici tutti di struttura eptatonica, tetracordali e di
genere quasi sempre diatonico ( con le terze neutre in quelle degli
arabi) La non esistenza della tonalità e delle sue conclusioni obbligate
aprì a quelle espressioni musicali vie senza fine.
Il grande evento favorito dalla religione islamica è la liberalizzazione
del pensiero filosofico, scientifico e artistico. Dopo il consolidamento
islamico, i centri di irradiazione della cultura musicale araba si
localizzarono soprattutto a Damasco e a Baghdad. La priorità di queste
scuole musicali è una delle ragioni del fiorire di altre scuole nelle altre
nazioni dell’impero musulmano e nei suoi domini in Sicilia e in
Spagna. E’ quindi in condizioni favorevoli che presero vita nuove
forme, le quali, pur attingendo dai sistemi musicali antichi molti
principi teorici, non furono ripetitive di ciò che visse nel passato, ma
creatrici di musicalità coerente con le esigenze dei tempi e con la
eccletticità della nascente cultura musulmana.
Particolare rilievo si deve dare al contributo persiano perché questo
paese è sempre stato una via naturale per gli scambi culturali. La
musica araba conquistò un’unità fondamentale facendo convivere,
senza distruggerne le originalità, le tipologie proprie dei paesi viventi
sotto la bandiera del Profeta., nel cui insieme brillò la scuola di
Andalusia la quale creò punti di duraturo contatto fra la musica araba
e quella europea.

La musica araba autentica è modale e in via pratica è strettamente


dipendente dalla fantasia dell’esecutore, la cui libertà di espressione e
di inventiva, pur nell’osservanza orientativa dei modelli tecnici
essenziali è, per unanime consenso, fuori discussione.
Regina della musicalità araba è la melodia, la cui libertà di espressione
è favorita dall’assenza dell’armonia e dall’uso di intervalli e sfumature
di altezza, preziose nella realtà melodica, ma acusticamente
incompatibili con la natura dell’armonia. Altro elemento essenziale è il
ritmo. Musica araba essenzialmente melodica, lineare; quella
occidentale è lineare nella melodia ed è verticale nell’armonia. Nel
sistema arabo i nomi autentici delle note, dei modi, dei generi e delle
scale, esprimono idee e concetti che appartengono alla filosofia, alla
mistica e a suggestive creazioni del pensiero, ma non a una sintetica
semiologia come quella del nostro sistema musicale. Sotto questo
aspetto sono evidenti maggiori affinità fra il sistema arabo e i sistemi
indiano, cinese, dell’Asia insulare e del Giappone, più che fra esso e il
sistema europeo. L’accostamento simbolico e espressivo della musica
ai fenomeni naturali, a concetti teologici e filosofici e a attività del
pensiero e dell’azione, si manifestano con crescente frequenza e
intensità man mano che si procede verso oriente, dalla Persia all’India,
dove questi accostamenti si trasformano in precise identificazioni fra i
modi musicali e i fenomeni stessi, terrestri e celesti.

Le notizie più antiche sulla tecnica e la teoria della musica araba


risalgono alla seconda metà del secolo VIII, epoca in cui visse Zalzal
Mansur ben Djafar virtuoso liutista persiano. a lui viene attribuita la
“formalizzazione” di un intervallo destinato a diventare il maggiore
elemento di caratterizzazione delle scale diatoniche arabe. Si tratta
della terza neutra, detta appunto di Zalzal, il cui valore è di ¾ di tono,
essa si trova sul terzo e sul settimo grado della scala diatonica del
modo Rast. Questo intervallo non trova riscontro nel nostro sistema
dodecatonico e ciò è una prova dell ’ incompatibilità del sistema
arabo con l’armonia.
L’idea di scala che nel caso della musica equivale a graduazione degli
intervalli dalle basse frequenze a quelle alte, o viceversa, richiama
l’idea di un’ordine che implica una certa regolarità nel passaggio da
una nota all’altra., cmq gli artisti arabi non hanno generalmente la
nozione di scala come questa è concepita nella musica occidentale
moderna. Un pensiero di Riemann si addice molto bene a ciò appena
detto: “La musica pratica non costituisce scale, ma inventa melodie”.

Parliamo ora di: “Tonalità”, “Tonica”, “Dominante” e ”Sensibile”

TONALITA’
Per la musica araba il concetto di tonalità riguarda il carattere della
melodia, le cui varianti dipendono dalla scelta della nota di partenza.
Nel sistema arabo la variazione della nota di partenza comporta
successioni di intervalli via via diverse, le quali danno luogo ad
altrettanti varianti modali.

TONICA (QARAR)
La tonica non ha, nel sistema arabo, funzioni simili a quelle che le
sono proprie nel nostro sistema. La scelta della tonica è relativa al
modo che l’esecutore vuole o deve usare: una scelta quindi legata a
principi teorici che vengono sempre rispettati.

DOMINANTE ( GRAMMAZ)
Nei modi arabi la dominante è generalmente la quinta nota a partire
dalla nota più grave del modo stesso, ma può anche essere la sua
quarta o la sua terza. In questi casi la sua scala non comincia dalla
tonica, ma da una o da due note più basse.
Alcuni musicisti attribuiscono alla dominante il nome di “gammaz” per
allusione all’attrazione che questa nota esercita sugli altri suoni della
scala; Questa parola infatti significa “ammiccare”, “fare l’occhiolino a
cosa che interessa”; come se si volesse rispondere a un richiamo.

SENSIBILE ( DHAIR)
Anche in questo sistema la sensibile è una nota prossima alla tonica e
la sua distanza può essere di un limma (2 min. diatonica), di un
Apotome (2 minore cromatica), di ¾ di tono o di un tono intero. Tutto
dipende dal modo e dalla forma della melodia.
La teoria araba vuole che il primo grado della loro scala diatonica sia
la nota Yak-gah, la quale corrisponde al nostro SOL.

Convivenza tra islam e Musica


Attraverso la parte dotta della musica, la convivenza di essa con il
Corano divenne ben presto realtà e da questa pacificazione presero
avvio gli anni d’oro dei grandi teorici arabi. Il primo fra i grandi teorici
musicali arabi della prima età islamica fu Al-Kindi le cui opere sono un
anello di congiunzione eclettico fra il passato e l’avvenire. In esse
l’autore considera la musica in un’accezione universalizzata che si
estende ai 4 elementi (acqua, aria, terra, fuoco), alle stagioni, alle varie
costellazioni zodiacali, al corpo umano, al corpo umano con
implicazioni che assegnano, alle varie tipologie melodiche, funzioni ed
effetti spirituali persino terapeutici. Al-Kindi creò anche 4 modi
musicali fondamentali, le cui filiazioni sono generatrici di modi secolari
attribuibili alle varie ore del giorno. Ideò una specie di quadratura del
cerchio che, come tutte le altre, sconfina nell’utopia, ma che dimostra
una conoscenza delle matematiche, superata forse dalla fantasia, ma
senza dubbio utile per delineare una teoria della musica. Di Al-Kindi
bisogna inoltre sottolineare il merito di aver dato un forte impulso
all’approfondimento degli studi sull’antica cultura musicale greca.
Poco prima della morte di Al-Kindi venne alla luce uno fra i più alti
intelletti islamici :Al-farabi: filosofo, matematico, fisico, profondo
conoscitore della cultura ellenica, eccelse come teorico della musica e
la sua opera principale, Kitabu l-Musiqi l-Kabr (Il grande libro della
musica) è considerato il più importante trattato di teoria musicale
orientale. Con Al-Farabi le radici greche della musica appaiono ben
nette per essere base di un futuro musicale inconfondibilmente arabo.
La forma eptatonica delle scale, derivata dalla congiunzione dei
tetracordi, dominò le innumerevoli varietà modali che costellarono la
musicalità del mondo arabo.
Nel libro di Al-Farabi troviamo tutto quello che allora si sapeva in fatto
di acustica, di fisiologia e psicologia dell’ascolto e sui vari aspetti delle
teorie musicali, assieme a idee e indirizzi nuovi che furono
determinanti per il futuro della musica araba.
Ai termini genere e tetracordo i teorici e i musicisti arabi ne
aggiunsero, o ne preferirono, altre, più adatte al tipo di musicalità che
si stava sviluppando.
La gamma fondamentale si estende su due ottave e nella sua parte
centrale troviamo l’ottava mediana che d’Erlanger così descrive: “Essa
è stata certamente scelta perché questa successione melodica è
considerata la più regolare e la più adatta per qualsiasi voce umana”.
Si tratta del “Modo di Rast”, il cui nome in lingua persiana significa
normale o regolare. Questa ottava è considerata il prototipo della
melodia, qualche cosa come il modo Dorico presso i Greci o come per
noi è la scala di DO maggiore. Nella gamma fondamentale il primo e il
secondo tetracordo occupano la prima ottava, mentre la seconda è
occupata dal terzo e dal quarto. L’ottava mediana è situata fra la prima
nota del secondo tetracordo e la prima del quarto. In questa ottava i
due tetracordi sono separati dal Tono Disgiuntivo e la medesima
situazione la troviamo fra le stesse note della seconda ottava. Senza
l’inserimento dei toni disgiuntivi non è possibile far coincidere tutti gli
intervalli che risultano dalla progressione delle ottave.

Non tanto il desiderio di innovare, quanto alcuni modi di farlo e la


smania di incasellare ogni cosa hanno finito per accumulare una
sull’altra la varietà dei generi. Se c’è qualche parte della teoria
musicale della quale traspaia chiaramente la sua origine puramente
teorica, questa è la miscellazione dei generi di Al-Farabi. E’ una
costruzione aritmetica un po’ complessa, ma elegante che può essere
sintetizzata nei due punti seguenti:
1) Miscellazione degli intervalli di un tetracordo con i medesimi
intervalli disposti in senso inverso
2) Miscellazione diretta degli intervalli di un tetracordo, con quelli di
un altro tetracordo.
Al-Farabi compie una divisione del tetracordo in 6 parti praticamente
equivalenti. La frammentazione dei tetracordi dovuta agli incroci dei
generi, liberalizzò anche teoricamente la ricerca degli intervalli minimi
che, particolarmente nei generi cromatici e enarmonico, consentivano
all’esecutore di valersi di minute sfumature di altezza create a suo
talento nell’ambito di questo tipo di musica modale. Ma è proprio in
merito a queste liberalità che, aperta a loro una via che in effetti non è
mai stata completamente sbarrata, la fantasia dei musicisti arabi ne
ha moltiplicati gli usi e la quantità attraverso gli apporti particolari dei
vari paesi e lo sviluppo della tecnica e della teoria sino ai giorni nostri,
sia nella musica dotta, sia in quella popolare.

CONGRESSO DEL CAIRO (1932)”concilio universale della musica


araba”.

CURIOSITA In un trattato antico troviamo anche nozioni di una


materia che oggi passa come musicoterapia.
Tik vuol dire che la nota deve essere un poco più alta rispetto alla nota
che segue.Nim vuol dire che la nota deve essere un poco più bassa
rispetto alla nota che segue. Quindi l’altezza delle note viene lasciata
senza misura, affidando questa alla fantasia e alla sensibilità
dell’esecutore, si può capire se pensiamo che la musica araba non
pratica l’armonia e per questo le escursioni melodiche sono molto più
libere rispetto a ciò che si esige nel nostro sistema a proposito
dell’intonazione delle note, si può capire come in una scala
frammentata in una grande quantità d’intervalli di varia grandezza
molti dei quali sono più piccoli rispetto ai nostri, ci si possa limitare a
generiche prescrizioni teoriche.

MUSICA E MUSICALITÀ NELLA RECITAZIONE DEL CORANO E NELLA


PREGHIERA MUSULMANA:
Più vincolata agli antichi precetti e immune da licenze abituali o
estemporanee è restato invece il canto religioso, che anche oggi
possiamo ascoltare, non tanto come canto vero e proprio ma come
ordinata declamazione melodica, dalla voce del “muezzin” che richiama
i fedeli alla preghiera intonando nei modi stabiliti i versetti del Corano.
Parlare del Corano e degli aspetti musicali della sua recitazione è cosa
che esige rispetto e prudenza poiché coinvolge un atto di fede tra i più
puri che possono darsi nell’ambito di una religione monoteista.
Dobbiamo inoltre tener conto che la musica non sempre si è accordata
con l’intransigenza di alcune fra le più ortodosse leggi coraniche leggi
coraniche, anche se essa è se essa è sempre uscita da questi
impedimenti .Durante la lettura del Libro Santo dei musulmani
l’impegno della vocalità è al massimo, in quanto avviane con l’intensa
partecipazione del cuore e della mente.
“La lettura del Corano è caratterizzata dal lento svolgimento del canto,
le note sono tenute molto lungamente, i melismi ornano le vocali e le
consonanti, cambiamenti di registri a intervallo di ottava e lunghi
silenzi, anche di 10 secondi, separano i passaggi melodici nel corso
dell’esecuzione. I fedeli approfittano di queste pause per dar luogo a
ovazioni e lodi nel nome di Dio” per quanto riguarda la musica araba
in generale e per la sua componente religiosa in modo particolare, la
situazione ai fini della trascrizione in notazione nostrana è fra le più
critiche, non solo per le diversità teoriche fra l’intervallazione della
nostra scala e quella delle scale arabe, ma più ancora per i melismi e
gli ornamenti che gli esecutori realizzano usando sfumature di altezza
e modulazioni vocali completamente estranee alla nostra grammatica
musicale e ai simboli della sua codificazione. La oggettiva difficoltà di
codificare questi aspetti essenziali della musicalità araba è una delle
ragioni per cui l’arte della declamazione del Libro Santo si trasmette da
generazione in generazione attraverso la tradizione orale, attualmente
integrata e sostenuta dai testi che in numero sempre maggiore ne
divulgano gli aspetti storici e la teoria.
La recitazione deve rispondere a regole che tutti i fedeli conoscono
poiché vi sono iniziati fin dall’infanzia. Il Corano non contiene
indicazioni riconoscibili come prescrizioni riguardanti l’andamento
melodico della recitazione, ma solo un certo numero di segni apposti
sopra, sotto o ai lati delle parole per indicare accentuazioni, cesure,
legature, continuità di lettura, che conferiscono alla recitazione effetti
che aumentano la tensione emotiva dell’uditorio.
Nel VIII sec. d.C. un gruppo di eruditi islamici fissò 7 modi di
recitazione, ma è solo in epoca più tarda che gli allievi recitanti di
molte scuole coraniche ricevettero assieme alla formazione religiosa
anche quella musicale, da realizzarsi sempre e solo vocalmente, mai in
forma strumentale perché questa evoca il mondo profano e svia
l’attenzione dei fedeli dall’oggetto del culto. La libertà ritmica della
recitazione aumenta la forza del richiamo.
Di particolare significato sono i servizi religiosi che il venerdì si
aggiungono alle preghiere quotidiane. Essi vengono offerti nelle
Moschee ed è forse in queste occasioni che la recitazione pubblica del
Corano raggiunge un livello e un impegno che presuppongono la
conoscenza e l’assimilazione di forme e strutture modali che obbligano
il recitante non solo come officiante, ma anche come artista.
La modalità domina in senso assoluto il contenuto musicale di queste
manifestazioni di fede ed è attraverso i suoi aspetti più spontanei che
nacquero i primi canti sacri islamici.

Se tentiamo di accertare se e con quali margini di tolleranza la pratica


restava fedele ai precetti della teoria, la risposta è che data
l’assunzione di un modo e di un genere, il relativo modello teorico non
deve condizionare il musicista al rigore delle configurazione numerali,
ma consentirgli di esprimersi con spontaneità.

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