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L’ATTO DI ULTIMA VOLONTA’: IL VALORE ATTUALE DI UNA CATEGORIA (molto

spesso è il sottotitolo che indica qual è l’obiettivo teorico della ricerca).


Basato sulla monografia di Gianpiccolo. Se si chiede a un teorico ma anche pratico il valore fondamentale
dell’opera di Gianpiccolo: definizione definitiva e mai più contestata di atto mortis causa. Il prof ha
intitolato atto di ultima volontà + sottotitolo “il valore attuale di una categoria”: questo perché Gianpiccolo
porta analisi in maggiore profondità analizzando atto mortis causa rispetto definizione cosa sia atto di
ultima volontà

Ogni categoria ha i propri indici di riconoscimento (es contratto i cui indici sono ad es: bilateralità,
patrimonialità, etc.)-> atto di mortis causa e atto di ultima volontà hanno degli indici differenti -> la
differenza sta in una differenza normativa: il legislatore prevede come unico atto di ultima volontà valido
nel nostro ordinamento è il testamento

Contratti atipici -> art. 1322

Un tipo viene identificato da alcuni elementi solitamente strutturali. Quindi se pensiamo ai contratti tipici
come compravendita essa è identificata dal fatto che una parte trasferisce all’altra un diritto e dall’altra
assunzione obbligazione di un prezzo. Altri esempi in cui abbiamo un diritto a fronte di un trasferimento di
altro diritto è permuta. Ogni contratto tipico è individuato tramite gli elementi essenziali caratterizzanti.

Se uno va a cercare com’è identificato testamento si guarda art. 587 primo comma. La prima cosa che si
dice è che è atto revocabile. Però ne conosciamo molti quindi non è indice ancora che c’e lo fa individuare.
Individuiamo il testamento nella frase seguente dove si identifica la sua funzione ovvero il contenuto tipico
del testamento è quello con il quale taluno dispone, per il tempo in cui avrà cessato di vivere, di tutte le
proprie sostanze o parte di esse. La dottrina classica continuava la lettura dell’articolo e trovava nel
secondo comma la lettura del contenuto atipico: le disposizioni di carattere non patrimoniale, che la legge
consente siano contenute in un testamento, hanno efficacia se contenute in un atto che ha la forma del
testamento, anche se manchino disposizioni di carattere patrimoniale. -> diventava facile dire che
contenuto tipico sono disposizioni patrimoniali del primo comma, mentre atipico sono le disposizioni non
patrimoniali del secondo comma contenuto in un testamento. Disposizioni istitutive : si regola la delazione
(messa a disposizione del patrimonio ai successori). La delazione comprende art. 588 (disposizioni a titolo
universale e il legato). Ci sono poi altre disposizioni tipiche ma sempre tutte di natura patrimoniali (es.
modus). Quindi diventa facile dire: tipico =patrimoniale e atipico= non patrimoniale -> non è corretto e lo
ha dimostrato la dottrina successiva. Vi sono disposizioni che non rientrano tra quelle tipiche del codice di
natura patrimoniale che possono essere contenute nel testamento ma hanno contenuto patrimoniale; ma
sono disposizioni atipiche perché sono contenute (secondo comma all’interno del testamento).

Prima conclusione: contenuto atipico non è solo quello del secondo comma del art. 587 ma sono anche
disposizioni di natura patrimoniale.

Che cosa descrivono questi due commi? Il testamento come atto di autonomia. Il secondo comma parla del
testamento come un contenitore (non è testamento perché non ha funzione regolativa della successione,
ma ne ha la forma), quindi il testamento diventa veicolo per manifestare volontà in ordine a disposizioni
non patrimoniali e anche patrimoniali. Qual è problema con cui la dottrina si confronta? È il testamento un
atto che oltre all’erede e al legato contiene altro? Si ma deve essere dotato della forma del testamento. Se
secondo comma ci dice che atto può dare efficacia a contenuti diversi dall’istituzione di erede e legato
allora si tratta di interpretare inciso delle disposizioni consentite dalla all’interno del testamento. -> da qui
si sono sviluppate posizioni differenti, la più rigorosa affermava che: possono essere contenute in un atto a
forma testamentaria che assume efficacia anche se manchi erede o legato (cioè secondo comma) solo
quelle disposizioni che la legge dice espressamente possono stare all’interno cioè si richiama il principio di
tassatività. La seconda interpretazione invece dice che possono essere contenute nel testamento tutte
quelle disposizioni non escluse dalle norme -> elenco nel libro di Gianpiccolo di 28 disposizioni non
patrimoniali non espressamente indicate nelle norme come consentite come contenuto.

Da questo discorso esce una prima distinzione: testamento come atto negoziale che serve a disporre delle
proprie sostanze oppure come contenitore per portare ad efficacia delle situazioni post mortem che non
riguardano direttamente la successione del de cuius.

Tema centrale del saggio: la teoria generale dell’atto mortis causa= sistematizzazione- tripartizione e
individuazione del vero significato dell’atto mortis causa -> la dobbiamo a Gianpiccolo

Atto mortis causa diverso da atti inter vivos: la differenza si basa sull’efficacia. Inter vivos assume effetti
durante la vita del suo autore, invece mortis causa dopo la vita del suo autore. Ciò è giusto quando
contrapponiamo queste due figure; invece questo non ci basta quando andiamo ad analizzare cosa sia un
vero atto mortis causa -> qui si inserisce intervento di Gianpiccolo che supera quello che allora era il
tentativo di superare definizione di atto mortis causa- a causa di morte. Nel ’42 la dottrina diceva che atto
mortis causa non è solo che dalla morte avvengono effetti dell’atto, la morte non è solo condizione di
efficacia è invece la causa. Questo vuol dire che se io dono un bene a condizione che il donatario mi
sopravviva (donazione si pre moriar) questo è un atto in cui la morte funge da evento condizionale; si
diceva che non era questo, nell’atto mortis causa la morte è la causa. Cosa vuol dire che la morte è la causa
dell’atto? Cosa fa la morte? La morte separa i diritti dal loro titolare perché fa venire meno il titolare dei
diritti. Il problema è che questi devono essere regolati e stabilire la loro sorte. Non possono esistere diritti e
obblighi senza soggetto. (Ai tempi dei paesi socialisti i codici non conoscevano il testamento, era regolato
tutto dalla legge. Non ci si poneva problema atti mortis causa, si dovevano solo regolare i diritti). Anche qui
però abbiamo solo descritto non basta la regolazione dei diritti. Il salto di qualità l’ha fatto Gianpiccolo
dopo.

Un effetto giuridico ha sempre un oggetto (riguarda qualcosa) e ha sempre uno o più soggetti che lo
riguardano. L’effetto di adempimento del debito ha oggetto la prestazione e ha come soggetti creditore e
debitore -> lo svolgimento produce effetto di estinzione del debito. Es. effetto trasferimento, ma di cosa? E
verso chi?Ci sono elementi dell’effetto che sono necessari per conoscerlo e questi sono elementi necessari:
soggetto e oggetto. Poi ci sono elementi non necessari, accidentali: condizione ad esempio.

Il colpo di genio di G.: la morte non è solo momento in cui efficacia si produce ma è l’elemento che ci
permette di identificare oggetto e soggetto della successione. Prima della morte nel testamento si parla di
soggetti e oggetti soltanto potenziali, non è detto che l’oggetto e i soggetti sopravvivano. Quindi atto mortis
causa prima della sua efficacia non è possibile identificare quali oggetti avrà e verso chi produrrà l’effetto.

Mettiamo a confronto atto sottoposto a condizione sospensiva al testamento prima della morte dell’autore.
Atto con condizione sospensiva. Sappiamo perfettamente quali effetti dovrebbe produrre e verso chi: si
instaura un efficacia pendente -> situazione potenziale ma a parte fattore di incertezza il resto è
perfettamente individuato . Ma se dico istituisco miei eredi tre figli, se alla fine ne rimane uno è come se
non avessi mai scritto la disposizione dei 3 figli-> quando scriviamo testamento non abbiamo idea
dell’oggetto (quali beni) e dei soggetti che verranno presi in causa al momento della morte. La morte
diventa quindi elemento di individuazione. L’atto quindi a condizione sospensiva ha raggiunto stadio non
dell’efficacia finale ma è un atto valido giuridicamente: questo si vede dalla presenza di una serie di norme
applicabili durante la pendenza tra le parti (es. obbligo di buona fede, etc.). Esiste quindi per questo
rilevanza già prima della condizione. Il testamento invece è un atto totalmente irrilevante prima della morte
del testatore.

Questa definizione ci consente di introdurre parte decisiva: rapporto atto mortis causa e atto di ultima
volontà + atto mortis causa e divieto patti successori.
Se l’atto mortis causa è quello il cui oggetto e soggetti sono identificati alla morte, da punto di vista
concettuale, non è vero che l’atto mortis causa è solo testamento. Possono essercene anche con diverse
forme (es. vedi contratto ereditario previsto nell’ordinamento tedesco -corrisponde la patto istitutivo ->
non toglie al disponente la disponibilità del patrimonio e viene considerato solo ciò che residua al momento
della morte + ciò avviene solo se nominato sopravvive al nominante -> contratto mortis causa perché
oggetto e soggetti determinati al momento della morte).

Prima conclusione: atto mortis causa può essere diverso dal testamento allora la scelta del nostro
ordinamento è una scelta unicamente del legislatore. Allora perché 458 vieta atto mortis causa a struttura
contrattuale? Qui il lavoro di Gianpiccolo passa alla fase successiva.

Ma prima quali sono altre categorie di atti che Gianpiccolo descrive oltre al mortis causa? Atto sotto
modalità di morte è quello in cui la morte funge da condizione o termine cioè quello in cui l’effetto è
perfettamente descritto ma il prodursi di esso potrà accadere solo dopo la morte (es. donazione si pre
moriar: dono A a condizione che tu mi sopravviva). La morte è qui elemento quindi di efficacia accidentale.
Infine atto post mortem è l’atto che potrebbe essere inter vivos e produrre effetti immediatamente ma in
quanto inserito in un testamento potrà produrre i suoi effetti solo dopo l’apertura della successione,
ricorda art. 587 secondo comma. Pensiamo ad es a un mandato, a una confessione, riconoscimento di un
figlio naturale, etc. -> quindi atti mortis causa, atti sotto modalità di morte e atti post mortem è la
tripartizione che Gianpiccolo propone.

Atto mortis causa può essere anche un contratto -> Gianpiccolo dice che nel nostro ordinamento, per scelta
del nostro legislatore, l’unico atto mortis causa è il testamento cioè atto di ultima volontà (la scelta del
testamento non è fatta quindi perché è l’unico atto mortis causa). Ma perché atto di ultima volontà? Ultima
volontà perché unilaterale, non recettizio, personale, spontaneo e soprattutto atto revocabile (art. 587) fino
all’ultimo momento di vita. Quindi testamento rilevante è ULTIMO atto di ULTIMA volontà. L’unico
collegamento tra atto mortis causa e testamento è quello creato dal legislatore dicendo che è l’unico valido.

Vediamo come la giurisprudenza usa l’art. 458. Cos’è che rientra in questo articolo? Un atto è tale se vuole
essere atto mortis causa, cioè se vuole avere caratteristiche dell’atto mortis causa ma ha struttura del
contratto. Dov’è l’errore? Sta nel aver dimenticato che da noi non sono tanto vietati atti mortis causa tra
vivi (contratto ereditario), sono vietati perché non sono atti di ultima volontà. Cioè art. 458 riguarda
caratteristiche dell’atto di ultima volontà. La giurisprudenza ritiene infatti valido l’atto si pre moriar. Caso
limite: dono A B C a tizio sotto condizione che egli mi sopravviva (pre moriar). Cassazione dice che non è
mortis causa perché individua destinatario e oggetti. È già sicuro che la sorte di quei beni è andare al
donatario e se questo sopravvive è soltanto un elemento accidentale che non potrà veder cambiare
contenuto dell’effetto perché si crea un diritto all’acquisto che prevale su qualsiasi altro dispositivo
successivo (es. resiste anche ad atti di alienazione). Il fatto, che produce questo atto irreversibile, fa dire al
giudice che non è mortis causa. -> questo vuol dire negare che la sorte dei beni possa essere decisa da un
atto di ultima volontà, lasciando libertà al testatore. Il contratto non consente più di cambiare idea e di
disporre dei beni oggetto. Se arriviamo a dire questo capiamo che una volta chiarito che atti mortis causa è
una categoria che ha un ampiezza tendenzialmente illimitata, ma quando si tiene presente che nel diritto
italiano unica forma di successione è il testamento allora si capisce che anche donazione si pre moriar
dovrebbe cadere nel 458 perchè viola caratteristiche tipiche dell’atto di ultima volontà.

Dottrina più recente (non troviamo nel saggio): un amico del prof si è messo a cercare altri atti di ultima
volontà ma non mortis causa ad esempio: disposizione relativa alla cremazione è atto di ultima volontà
(unilaterale, spontaneo, revocabile e che non incide sulla sfera attuale)

Conclusione: è la caratteristica di atto di ultima volontà che qualifica il testamento -> questa perché è una
scelta tutta normativa (art. 457).

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