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PRIMO TRATTATO COMPLETO

DI

DIRITrn AMMINI~TRAlIVij ITAUANij


A CGRA DI

11. E. ORLANDO
l'rofe:;:;ore ordinario di diritto amministrati,·o nell'Università di Palermo

CO)! J,A

COLLABORAZIONE DI ALTRI GIURECONSULTI ITALIANI

VOLUME PRIMO
V. E. Om,ANDO. - Prefazione
Introduzione generale - Le teoriefondanwntali - Il sistema del rliritto amniinistrativo
S. Ro~IANO. - La teoria dei diritti pnbblici snbbiettivi
V. E. ORLANDO . - Le fonti.
Organizzazione della pubblica amministrazione.- L. M. Gm1001. - I pnbbzici 1iffici
R. Po1mrn1. - I 1ni11isteri - L. ArnIANNr. - Il Cons. di Stato
Parte complementare - C. ScHUPFER. - I precedenti stoi·ici del diritto
mnministrativo italiano

1900
SocIETÀ EDITRICE LIBRARIA
oi m m MILANO - Via Kramer, 4 A ili ili ili
I PUBBLIC[ UFFICI!
E

LA GERARCHIA AMMINISTRATIVA
PER

I' Avv. L. MASSIMO OIRIODI


CAPO I.

00:NCET'J'O .ED ESSENZA DEL PUBBLICO UFFICIO.


I PUBBLICJ UFFICIALI.

Jl!BJ,JOGiiAFIA. - L.\BAND, ])as Stnatsrecltt des 1leutschen Reiches, voi. I (Tii-


hingen, 1876), M 32-46. - Scm;urn, Le!trbuch des deutschen Staatsrechts,
voi. I (Leipzig, 1881), pa.g. 281 e segg. - SrENGEL, Wiirterbuch. 1fes ileiit-
schen Venvciltungsrecltts, voc. Amt, Bea111te e Behiirde. -- REH ~I, Die recht-
Tiche Natur des Stacitsdienstes nach de11tscl1e1n Staatsrecht (in Anncilen, 1885r
pag. 80 e segg.). - Hor:rzENDORFl', Encyklopiidie der Rechtswisse11scl1c~ft,
I Theil, § 34. - DALLOZ, Répertoire alplwbétiq11e de Téyislcition, de doctrine
et de .furisprndenee, voc. Fo11ction11a.il'e public. - CL\.LFI, .Dd publilici 11f/i-
ciali per fili e.(f'etti della Terme penale, secondo l'art. 207 del Codice 1Jenale
(in Rivista pencile, voi. XXXIII, pa.g. 134-151). - hIPALT,O~rnNI, Pubblici
11.f.ficia/i e persone lef!itt-inimnente incaricnfe di w1. p1tlJl1lico seri1izio (in Sup-
vleinento della .Rivista pennie, voi. III, pa.g 341-345). - MoscHrn1, Agenti
<lellciforza.pnbblicci e pe1·so11e leyittim.mnente incariccite <li un pnbblico servizio·
(Id, voi. IV, pa.gg. 218-228). - C1SOTT1, Intorno al siynUicato cli« agenti
de/lei forza pubblica» (Cod. pen. art, 207, n. 3, e 19±, n. I). Id, voi. r,
pag. 340-345). -ATTALLA, Le r111nr1.lie 11w.niCipali e l'cirt. 194 del Ood.pen.
(Ivi, voi. IV, pa.gg. 92-99) - AzzOLINI, I pcirrocchi e gli cirt. 20 e 207
<lei Codice pe11alc (Id, ml. JIJ, pri.gg. 301-34-0).

f'o~rnAnrn. - 1. L'ufficio pnbhlico eome organo tlell'a.tt.ività dello Stato. - 2. Ele-


menti cost.ituti vi dell'ufficio pnbblico (fwnzioni e potai). - 3. Istituzione, riforma.
e "oppressione dei p11bblici nffiei. - 4. Concetto del pubblico ufficiale in contrap-
po"to n qnello di impiega.lo. - 5. Contennto e metodo rlella presente trnttazione.
- 6. La definizione dei pubblici ufficiali 11el dit;ittopena.le. - 7. Gli antec('denti
storici dell'art. 207 <lei Codire pena.le it.aliano. - 8. Difetti della formula adot-
tata., e conseguenti incertezze erl e'orbitanze della gi1ù-ispruden za. - 9. I loca-
tori d'operrL e gli appaltatori non sono pubblici ufficia.li. - 10. Triplice categoria
ilei pubblici fnnziouarii (potere legisluti vo, esecutiYo e giudiziario). - 11. I fun-
zionarii del potere esecutivo (funzioni aimni1dBtrrtf.i"e e tecniche). - 12. Ammini-
strnzione centrale e locale dello Stato. - 13. I p11bblici insegnanti. - 14. Gli!
11 fficiali dell'esercito e dell'armata; gli ufficiali di porto ed i capita.nidi nave.
- 15. }'nuzionarii dell'Amministrazione finanzia.ria ed in specie i coii8ervatori
delle ipoteche ed i ricevitori ciel registro. I Commissarii ecl agenti ripartitori
dei demnnii comnnnli. - IH. Gli esattori delle imposte dirette, i ricevitori pro-
Vincin.Ji e gli appaltfttori Ilei da.zio non sono pubblici ufficiali. - 17. Funzionarii
degli enti ammiuistmtiYi locali (Provincie e Comuni). - 18. Il medico condotto
110 n è pubblico nfticiale; lo i· ben~ì l'nfficiale sanitnrio. - 19. Fnuzionarii delle
224 I PUBBUCI UFFICI E LA cmRARCHIA A)DIINISTRATIV A

istituzioni pubbliche di beneficenza, di preYidenza, degli istituti di emissione


- 20. I ministri del cnlto, ed in ispecie della Chiesa cattolica, non sono Pnb:
blici ufficiali. - 21. I parroci e le loro attribuzioni rispetto ni registri ò.e!Jo
stuto ci vile. - 22. I cardinali. - 23. Gli impiegati ecl ngenti ferroviari.

1. Lo Stato per esercitare la sna attività, come tutore dell'or.


(line pullblico e promotore supremo del llenessere e del progresso
sociale, deve necessariamente Yalersi dell'opera degli individui
non potendosi concepire un'azione personale e diretta di un ent~
astratto e collettivo. J,e persone che a nome dello Stato esercitano
le attrilrnzioni inerenti alla sna duplice funzione protettiva e pro~
motrice sono i pulllllici funzionari. Siccome poi il principio della
•livisioue del lavoro esige che ciascun funzionario consacri costan-
temente la sua opera ad un determinato ramo o specialità di affari,
ne deriva che in ogni società, peL" quanto primitivH, sorgono e si
delineano a poco a poco, per via di specializzazione delle_ fnnzioni,
i singoli i~ffici pitbblici, ognuno dei quali rappresenta un complesso
ideale di attribuzioni coi corrispondenti poteri.
L'nfficio pullblico può quindi definirsi un'istituzione rnercè cui le
attività individnali vengono assunte in modo stabile a servizio dello
StHto per fini d'interesse generale e con determinate Httribuzioni, i
<Jni limiti sono fissati obllietti vamente, sia per estensione territoriale,
sia per natura di affari.
L'ufficio pubblico può in certo modo considerarsi come una per-
sonificazione astratta, la quale sarebbe il soggetto permanente delle
funzioni e delle facoltà ad esso assegnate dalla legge, in contrap·
posto al funzionario, clic ne è il titolare o rappresentante temporaneo.
In qnesto senso pnò dirsi clic l'ufficio resta, mentre passano i tito-
lari, clic ne sono snccessivamente rivestiti.
Ma, importa notarlo, siffatta personificazione dell'nffieio è soltHnto
teorica, e non giuridica; giacchè un. ufficio od autorità qualsiasi,
per qnanto elevata in grado, non costituisce mHi di per sè un sog-
getto autonomo di diritto, una persona giuridica. L'ufficio non è che
un organo o, se si n10l meglio, un meccanismo dello Stato; mentre
le sole personalitù giuridiche nelle quaji si riassumono tutti i poteri
.e le funzioni pubbliche sono lo Stato etl i suoi corpi autonomi sn-
bordinati, cioè gli enti mnministrativi locali (Comuni e provincie).
Di fronte ai privati cittadini ogni ufficio pubblico si presenta
<Jome un ente investito di determinati poteri, come una manifesta:
zioue concreta dellH sovranità; ma di fronte allo Stato i diyers~
uffici pubùlici non hanno personalità propria, e non possono qnind~
accampare alcun diritto o prerogativa. Il rapporto dei singoli ufticI
<Jon lo Stato è lmragonabile a quello che pHssa fra le singole casse
publlliche e l'erario nazionale; come per ragioni di opportunità nn1-
ministrati va e cou ta bile le singole casse sono considerate indipen·
COXCETTO ED ESSEXZA I>EL PUBBLICO UFFICIO 225

1 nti ed autonome, quantunque non costituiscano realmente sog-


geetti ,g'iuridici distinti, così anche ogni singolo ufficio pribblico viene
t
. 1 certo modo considerato nei rapporti amministrativi come un ente
1
:er sè stante, il quale rappresenta e in certo modo personifica quel
1,0111 plesso di .attribuzioni e di poteri, che costituiscono la sfera d'a-
~ione assegnata all'ufficio stesso, senza che con ciò possa dirsi che
l'ufficio rivesta il carattere di una persona giuridica.
Un'autorità od ufficio pubblico, in qualunque forma sia esso ordi-
nato, sia cioè a forma individuale o gerarchica, oppure in forma col-
legiale, e per quanto siano vaste ed importanti le funzioni· ad esso
~ftid?te, non ha mai nna personalità giuridica .propria; e quindi non
può acquistare nè possedere in nome proprio nè stare in giudizio
fu,re suo, ma soltanto come . rappresentante di quell'ente ammjni-
strativo, di cui è organo 1). In un solo senso si può dire che questi
.organi o strumenti degli enti pubblici collettivi banno capacità ad
agire e ad essere convem1ti in ginclizio; in quanto cioè si tratti di
rappresentare e tutelare la propria autorità, difendendo i propri atti
e provvedimenti contro gli attaccbi mossi' contro di questi dagli in-
teressati, mediante ricorso in via gerarchica od in via contenziosa
.Javanti alle autorità amministrati ve superiori. In q ùesto senso, per
ricorrere ad un esempio pratico, troviamo che una Gi.unta provin-
ciale amministrativa, pur non essendo una persona giuridica., nè
possedendo mia capacità patrimoniale propria, è animessa tuttavia
come parte in causa nei procedimenti davanti alla IV Sezione del
Consig'lio di Stato al solo eftetto di sostenere la legalità delle deli-
berazioni o decisioni· da essa emesse nell'esercizio delle sue fnnzioni
di tutela o di giurisdizione amministrativa.
!!. Elementi costitutivi dell'ufficio pubblico sono da un lato le
funzioni relative a fini d'interesse pubblico e dall'altro i poteri ne-
cessari per l'esercizio di tali funzioni. Funzioni e poteri sono i due
termini correlativi senza dei quali non può concepirsi un pubblico
ufficio. Entrambi questi elementi costitutivi debbono essere deter-
~niuati all'atto stesso in cni un ufficio vienè istituito; ma possono
1n seguito essere modificati dall'aut.orihì competente, senza che
perciò l'ufficio muti carattere e natura. lJe fnnzioni assegnate a<l
<>~ni ufficio, come campo entro il quale deve esercitarsi la sna atti-
Yib't, non possono essere che di carattere pubblico~ vale a dire deb-

----
bono riguardare lini <l'interesse comune dei consociati. .Ma questo

<I 1) In qnesto senso si espl'ilirn il GIERKE nella sua Genossenschaftst11corie m1d àie
j e1t:sc/ic Rechtsspl'eclurng (Berlin, 1887) scrivendo: « Ein Amt, eine Behiirde ist keine
e~ristiscbe Persou, ein Rechtssnbject, fiir sich, sondern lediglich ein lnstitut und
<Jon ~rgan einer anderen Person, des Staats, orler cler Gerueinde »; e richiama in senso
Pan·orine:_SAVIGNY, voi. II, pag. 237 e 379; STOBBE, § 49, n. 24; UNGER, voi. I,
glna 320 e segg. e WXCHTER, § 53 .
226 I PUBBLICI GFFICI E LA GERARClIIA .-DDIINISTRATIV A

interesse comune può essere più o meno diretto ed immediato. Co ,


è ufficio pubblico tanto quello clte ba per scopo la conservazioi:'
dell'ordine e della sicurezza generale, interna ed esterna, quant~
quello il cui còmpito si limita a promuovere in sfera più modesta il
benessere sociale sotto qualsiasi forma od aspetto, oppure a prov-
vedere e raccogliere i mezzi pecuniari occorrenti per far fronte alle
spese pubbliche.
Le facoltà conferite ad ogni pubblico ufficio per l'esercizio del suo
mandato sono un'emanazione del potere sovrano; ed il complesso
delle facoltà stesse costituisce quel .ins iinperii, che è proprio di ogni
autorità pubblica. :\la l'autorità conferita dalla legge alla persona
cbe rappresenta il pubblico ufficio non è un diritto soggettivo e
personale del funzionario, bensì soltanto il mezzo per poter adem.
piere al suo mandato nell'interesse generale. I poteri di un pubblico
funzionario vanno sempre considerati esclnsivamente come un cor-
relativo dei suoi doveri.
3. Istituire, trasformare e sopprimere i pubblici uffici è còmpito
della sovranità, nè può trovar ostacolo in pretesi diritti acquisiti
per parte dei funzionari, a cui gli uffici stessi si trovino affidati.
L'interesse pnbblico~ legalmente dichiarato e rappresentato, è la
sola norma, che deve regolare l'ordinamento dei pubblici uffici.
Ogni funzione relativa all'interesse generale porta necessariamente
con sè la creazione di un'autorità o di un ufficio destinato ad at-
tuare quella funzione. Quindi di mano in mano che col progredire
della civiltà si estendono in più larga sfera le funzioni dello Stato~
si svolge e si allarga di pari passo la cerchia. degli uffici ammini-
strativi. Decidere a qual punto debba arrestarsi que,;to progressivo
ampliamento delle funzioni pubbliche è il problema fondamentale
della moderna sociologia. Secondo la scuola, che si chiama liberale
e non è che individualista, l'azione dello Stato dovrebbe limitarsi
al minimo necessario, cioè alla tutela della sicurezza e dell'ordine
pubblico, lasciando per tutto il resto libero il campo alle attività in-
dividuali.
Una tendenza diametralmente opposta non vede salvezza che in
un assorbimento pressochè completo di tntte le fonzioni e di tutte le
attività sociali nello Stato. Quale delle due dottrine, individualism(}
o socialismo, debba avere la preferenza non è ora nostro còmpit(}
discutere. Ma il fatto che dobbiamo constatare si è che in quest'nl·
timo secolo, e più rapidamente in q nesti ultimi anni, le funzio1~i
dello Stato si sono allargate non poco, estendendosi in molti caUlP 1•
clie prima rimanevano totalmente abbandonati all'attività privatn;
prova ne sia il continuo e rapidissimo aumento dei bilanci non sol~
tanto di tutti gli Stati, ma anche dei Corpi amministratiYi locah
(Provincie e Comuni), malgrado i freni posti a questi ultimi dalle
leggi. Igiene e sanità pubblica, istrnzione pubblica, beneficenza e
CONCETTO ED ESSENZA DEL PUBBLICO IIFFICIO 227

evidenza sono oggidì altrettanti rami di primaria importanza per


~:pubblica armi:i-inistr~zione, .e. for1~~no ciascuno og~etto di . una
·asta organizzazione d1 pubbhm uffici; mentre, pochi decenm or
' no erano ancora considerati come còmpiti quasi totalmente estranei
so '
all'azione de1. poteri. pubbl'ici..
L'istituzione e la riforma, come pure la soppressione dei pubblici
uffici costituisce una delle attribuzioni più importanti della sovranità.
In uno Stato retto a monarchia assoluta è al solo principe che·
spetta esercitare tale attribuzione, od a chi ne abbia direttamente
da lui il mandato. Sotto un regime costituzionale, a forma di mo-
narchia t.emperata o di repubblica, l'organizzazione dei pubblici uf-
fici deve considerarsi di regola come mm funzione del pot11re ese-
cutivo, la cui azione però trova anche qui un limite nelle disposi-
zioni emanate dal potere legislativo, specialmente in quanto nessum
ufficio può essere creato senza che la legge del bilancio abbia accor-
dati i fondi occorrenti per far fronte alle spese relative. Inoltre è
ovvio che il Governo, se non ha facoltà di sopprimere od anche
semplicemente modificare sostanzialmente gli organi amministrativi
creati per leg·ge, può bensì ordinare e riformare nel modo, che gli
sembri più conveniente, tutti quegli altri uffici, che non siano isti-
tuiti per atto legislativo, e che esso ritenga necessari od utili per
l'attuazione dei fini d'interesse generale; come pure può soppri-
merli, quando li riconosca diventati inutili o dannosi al bene pub-
blico 1 ).
La facoltà di creare, riformare e sopprimere uffici pubblici, oltrechè
allo Stato personificato dal Governo centrale, spetta anche agli enti
amministrativi locali (Provincie e Comuni); i quali però nell'eser-
cizio di tale facoltà, come in generale in tutto lo svolgimento della
loro attività amministrativa, debbono mantenersi entro i limiti lorn
segnati dalla legge. Ciò significa che i Comuni e le Provincie,
mentre da un lato non potrebbero per qualsiasi motivo sopprimere·
nè moditicare sostanzialmente le cariche stabilite dalla legge come
necessarie per l'adempimento dei servigi obbligatorii di tali enti
(quali sono ad esempio per il Comune l'ufficio di sindaco e quello
di segretario, per la provincia la carica di presidente della Deputa-
zione provinciale), sono liberi di istituire e regolare come meglio

--credono tutti quegli altri uffici, che rispondano ad nn interesse am-

1) Stimiaruo opportuno avYertire che l'ordinamento dei pnbblici uffici, vale a dire
la loro istituzione, riforma o soppressione, non è da confondersi col conferi1nent1>
deg]i uffici stessi, vale a dire colla nomina od elezione delle persone, a cui sono
~~date le cariche imbbliche. Qni ci occupiamo soltanto dell'ordinamento degli nf-
lì.ci pubblici obbietti vameute considerati come organi dell',rntorità amministrativa,
riservandoci di trattare del conferiruento dei pubblici uffici in un successivo capi-
tolo speciale.
228 I PlJBBLICI UFFICI E J,A GERARCHIA A~DIIXISTRATIVA

ministrativo, che rientri ne.Ila sfera dei servizi che la legge ronsj.
dera come facoltativi per gli enti stessi.
4. Le persone, alle qÙali Yengono affidati dalla legittima antoritù
gli uffi0i. pubblici, assumono il titolo e!l il carattere di piibblici 1iffi.
eia.li o piibblici fimzionari. Quale sia l'autorità, a cui spetta leg~I­
mente il conferimento delle cariche pubbliche e quali siano le <:on.
dizioni e le modalità cli tale conferimento, lo vedremo in seguito.
Per ora ci limitiamo a considerare il carattere giuridico del pnb.
blico funzionario. È questo un concetto che, sebbene costituisca
per così dire, una delle pietre augolari di tutto l' e!lificio del diritto'
pubblico, non venne finora svolto in modo adeguato, così che rimane
tuttora avvolto nell'oscurità. Basta dire che si confonde general-
mente, anche dagli scrit.tori più reputati, il concetto del pubblico
funzionario con q nello del pubblico ùnpier1ato : e se ne tratta promi-
scuamente in una sola teorica, come ili un unico istituto giuridico.
In realtà sono due concetti e due istituti totalmente distinti, seb-
bene possano in molti casi coincidere in una stess~t persona.
Il carattere di pubblico ufficiale è dato esclusivamente dall'eser-
cizio di un ufb.cio pubblico legittimamente rivestito, senza alcnu
riguardo ad una retribuzione o compenso cli qualsiasi natura, che
possa essere assegnato per l'esercizio di tale ufficio. L'impiegato
invece è colui che loca la propria opera od i propri serYigi ad nu
ente di pubblica amministrazione per un determinato corrispettiYo,
che prende d'ordinario il nome di stipendio. Può accadere, <'d ac·
cadde infatti di· frequente, che il pubblico funzionario è al tempo
stesso un pubblico impiegato; ma non tutti i funzionari sono im-
piegati, come, in senso inverso, non tutti gli impiegati sono fnnzio-
nari. Il prefetto di una provincia è ad un tempo un funziom1rio ed
un impiegato; il sindaco di un Comune è bensì un funzionario, ma
non è un impiegato. D'altro canto l'inserviente, che presta la sua
-0pera nei bassi servigi di un ufficio o , di una scuola pubblica, è
anch'esso un impiegato e gode come tale di tutti i vantaggi ed
emolumenti accordati dalla legge agli impiegati : stipendio inseque-
strabile, pensione di riposo, ecc.; ma nessuno vo1Tù sostenere che
esso abbia anche la qualità di pubblico ufficiale.
Il concetto di funzionario rappresenta qualche cosa di più nolJile
e più elevato in confronto a quello di impiegato; giacchè nel priJllO
vediamo soltanto il cittadino, che partecipa alla gestione della cosa
pubblica, indipendentenwnte da qualsiasi mira di lucro o vantag·gio
personale; mentre invece il secondo non è che un locatore d'opera.
che presta dei serYigi per un determinato corrispetti,·o. Il rapporto
giuridico del pubblico ufficiale appartiene integralwente al diritto
pubblico, mentre invece la condizione giuridica dell'impiegato, P~1 r
essendo anch'essa in prevalenza di carattere pubblico, subisce 111
qualche modo l'influenza del diritto privato, assumendo in parte ht
natura di un rapporto contrattuale.
COXCETTO Im ESSEXZA DEL PUBBLICO t:FFICIO 229
Quando si parla del pubblico funzionario, pel quale l'ufficio non
.• elle una disinteressata cooperazione al benessere della società co-
~titnita, nessun'altra considerazione si presenta all'infuori di quella
·lell'interesse generale; mentre, quando si tratta di determinare la
\osizione giuridica dell'impiegato, pel quale l'ufficio pubblico costi-
] nisce una carriera ed un mezzo di sussistenza: fa mestieri tener
t>resente, sebbene sempre in linea subordinata, anche il rispetto do-
~·nt<> ai diritti acquisiti che la legge riconosce alla petsona in vestita
dell'impiego.
Il concetto <li impiego retribuito non lia alcuna connessione . ne-
cessaria con ')nello di pubblico ufficio, tanto cbe si può benissime>
supporre l'esistenza di uno Stato, in cui tutte le cariche pubbliche
siano semplicemente onorarie, cioè senza alcuna retribuzione. Pos-
siamo anzi dire che un ordinamento ideale sarebbe quello in cui
nessuna funzione amministrativa d'ordine un po' elevato fosse affi-
<lata a funzionari retribuiti, riservando la forma della prestazione
d'opera stipendiata per i soli servigi pubblici di carattere subordi-
nato e prevalentemente materiale.
Uhecchè ne dicano i sostenitori di una falsa democrazia, è inne-
gabile che la retribuzione abbassa in certo qual modo il carattere del
pubblico fnnzionario, ponendo a :fianco delle considerazioni dell'in-
teresse pubblico altri pensieri, ed altre preoecupazioni d'interesse
personale. La storia del resto Gi fornisce splendidi esempi di orga~
nizzazioni sociali, pervenute ai più alti gradi della civiltà, pur con-
servando sempre intatto e rispettato il sistema della gratuità delle
cariche pubbliche. Nell'antica Repuhblica romana tutti gli uffici
pubblici erano di regola gratuiti, e fra quei fieri repubblicani domi-
natori del mondo veni va considerato sommo disonore il trarre qual-
siasi lucro personale dall'esercizio di una carica.
Ciò diciamo non già per sostenere che anche oggidì convenga
allottare un siffatto sistema, che. nell'attuale ordinamento economico
e ~ociale sarebbe assolutamente impraticabile, ma soltanto per met-
tere in piena luce la perfetta distinzione, che si deve fare tra
l'itJjicio e l'impiego. E come diversi sono i concetti dei due istituti
ginri1lici, così deve esserne separata la trattazione dottrinale. Oon-
fonde11llo insieme i due istituti, che debbono restar distinti, si riesce
ad una teorica confusa ed imperfetta; mentre invece, trattandone
"~Jlaratamente, si può raggiungere quell'armonia sistematica, che si
t1<·hie<le in una costruzione veramente scientifica .
.3·. Xel presente trattato dei. pubblici uffici e della gerarchia am-
llli?1strativa noi ci occuperemo soltanto dei pubblici funzionari come
!ah, indipendentemente dalla qualità d'impiegati, che possano con-
ee~_l>?rnneameute rivestire; ed esporremo le norme giuridiche appli-
oa 1h a tutti i pubblici funzionari, siano o no impiegati- Non ci
ccnperemo quindi nè ·degli stipendi od altri compensi sotto qual-
230 I Pt:BBLICI l:FFICI E LA GERARCHIA A~DIINISTRAl'IVA

siasi forma assegnati agli impiegati, nè della loro carriera (concor~·


e promozioni), nè del collocamento a riposo e delle relative pensioni'.
Questa materia, già di per sè stessa vastissima, formerù più oppor.
tunemente oggetto di un'altra monografia speciale, che sarà quella
sullo stcito degli impiegati.
Collocandoci dal punto di vista del puro diritto pubblico ci Pro.
i10niamo di studiare l'ordinamento giuridico dei pubblici uffici con.
siderati come ,organi dell'attività amministrativa dello Stato. Pre-
messa una ricerca fondamentale, che è quella sul concetto di pubblico
'4ficiale, tratteremo della gerarchici amministrativa, vale a dire del
sistema organico degli uffici preposti alla gestione della cosa pub-
blica, e delle norme di competenza e di subordinazione, che ne re-
golano l'azione; studieremo quindi i di versi modi coi quali sono
conferiti i pttbblici nfffci, siano essi di nomina regia o elettivi, e le
cause per cui i pubblici funzionari cessano o decadono dalla carica;
in terzo luogo esporremo i doveri ed i diritti dei funzionari stessi
(indipendentemente dallo stipendio o retribuzione) e le loro prero-
gative ed immunità; })er trattare da ultimo della loro responsabilità
sotto il triplice aspetto, disciplinare, penale e civile.
G. La prima questione che ci si presenta è quella che risponde
alla domanda: chi è pnbblico i~f.'ficia,le? Teoricamente è facile rispon-
dere: pubblico ufficiale è chi copre un pubblico ufficio, intendendo
per pubblico ufficio qualsiasi funzione che abbia in mira nn fine
d'interesse generale della società giuridicamente costituita. :Ma
quando dalla formula teorica si scende ai casi pratici la questione
diventa molto ardua, tanto che ve1lia.mo sorgere nella giurisprudenza
e nella dottrina le più gravi controversie circa il carattere di pub·
blico ufficiale in questo o qnel funzionario o agente. Siffatte con·
troversie prendono origine ed occasione quasi sempre nell'applica·
.zione delle leggi penali, dirette da una parte a tutelare i rappre-
sentanti tlei pubbliei poteri contro le resistenze o gli attacchi, a cni
possono essere esposti a causa dell'esercizio delle loro fnnzioni, e
dall'altra a reprimere gli abusi di antorità, che gli stessi .funzionari
:possono commettere, valendosi dei loro poteri per fini personali ed
illeciti.
Vi è una figura ~)uridica speciale di reato, nella quale la qualità
di pubblico ufficiale nella persona, che ne è vittima, entra collle
elemento costitntiYo e caratteristico; ed è il reato di oltraggio pre:
visto dagli articoli 194 e seguenti del Codice penale. Vi sono P~ 1
molti reati comuni, come l'omicidio e le lesioni personali, elle acqni·
stano una gravità particolare e sono più severamente puniti quando
siano commessi a danno di pubblici ufficiali (Cod. pen. art. 365 e 361~·
D'altro canto la legge penale contempla certe figure speciali di reati,
che possono essere commessi soltanto dai pubblici ufficiali pP-r a!Jns~
dei poteri inerenti alla loro carica (peculato, concussione, abuso di
I Pt:BBLICI t:FFICIALI 231
ntorità, violazione dei doveri d'ufficio, ecc. - Cod. pen. art. 168,
~ 69 175, ecc.). In tutti questi casi la questione della responsabilità
ien~le richiede anzitutto che si risol nt la questione preliminare, se
l<t vittima del reato oppure l'imputato rivesta o no il carattere di
inbblico ufficiale. Ciò spiega come tutti i Codici penali, a partire
!ia quello francese del 1810, contengano disposizioni, le quali mirano
a definire il concetto <li pubblico ufficiale onde fornire al giudice
penale uua norma sicura per determinare quali persone rientrino in
tale categoria, quali ne restino escluse.
7. Il Codice francese, che su questo punto servì di modello a quasi
tutti i Codici moderni, ispirandosi al principio della subordinazione
gerarchica, elle vieta di confondere i fimzionari più elevati coi più
umili, quelli che danno gli ordini ed emettono i provvedimenti con
quelli che ne sono i semplici esecutori, formò quattro distinte cate-
gorie; ed asseg·nò alla prima, detta dei magistrati dell'ordine mnmini-
strativo o gittd·iziario, i funzionari più elevati, classificando poi i, fun-
;donari meno alti in due altre categorie gerarchicamente inferiori,
dette rispettivamente degli 1~tftcial-i ministeria.li, e degli agenti nllci
forza pubblica; ed aggiungendo per ultima la categoria dei cittcidini
incaricati di im pubblico servizio.
Allo stesso principio della distinzione gerarchica si informarono
anche il Codice penale albertino, ed il successivo Codice sardo-italiano
del 185!), che rimase in vigore fino al 1. 0 gennaio 1890. Quest'ultimo
Codice in molte delle sue disposizioni (art. 217 e 229) distinguent
l'i((ticiale pnbblico dell'oriline giu.cli.ziario ccl mnministmtivo dall'cigente,
impiegato od ·incciricato d'una pubblicn amministrazione, e per i reati
di oltraggio o di violenza commessi a danno dei lH'imi (art. 258 e 262)
comminava pene più severe elle per gli stessi delitti commessi a ca-
rico degli ultimi (art. 260 e 263). J\fa in pratica si vide quanto fosse
difficile distinguere l'ufficiale pnlllJlico dal semplice agente od im-
11iegato; e la giurisprudenza rimase sempre incerta, non potendo
trovare una linea precisa di demarcazione fra quelle due categorie.
Il Codice penale toscano del 1853 (art. 165) si attenne inyece ad
un sistema più semplice, avendo per unico criterio la stabilità del-
l'ufficio, ed estendendo quindi il concetto di pubblici ufficiali a tutti
gli impiegati dello Stato e dei Comuni (vale a dire a tutti funzionari
della pubblica amministrazione, giaecbè l'ordinamento amministrativo
toscano non conosceva l'istituzione intermedia della provincia) ed
~ltresì agli impiegati di qnnlunqne stcibilimento la cwi cimministraz-ione
t' sottopostci per legge allei t1iteln od alla 'i:igilanzli del Gorerno o clel Co-
mune. Coloro poi che, senza avere un impiego stabile a servizio degli
€1lti suddetti, fossero ricLiesti dai pubblici ufficiali di un servizio
l>nbblico, venivano da quel Codice contemplati nelle disposizioni
l'elative ai singoli casi.
Fra i vari progetti del Codice penale italiano, quello presentato dal
232 I 'ruBBLICI t:FFICI E J,A G~>RARCHIA A~DIIXISTRATIY A

ministro De Falco nel 1866 riproduceva esattamente le quattro ca-


tegorie del Codice francese, dando di ciascuna separata (lefinizione·
ma i progetti successivi si diiolcostarono da questo sistema per avv{
cinarsi al concetto più semplice del Coclice toscano. La Sotto-corn.
missione istituita in seno alla Commissione del 1876 introdusse una
modificazione nel senso che alla qualità cli pubblico ufficiale non
repugnasse la temporaneitù delle funzioni; e tale criterio~ accettat()
dal progetto Zananlelli, passò nel testo definitivo del Codice 1 quale
lo troviamo formulato nell'art. 207, così concepito:
«Per gli effetti della legge penale sono considerati pubblici uffi-
ciali:
1. 0 coloro che sono rivestiti cli pubbliclrn funzioni, anche tem-
poranee, stipendiate o gratuite, a servizio dello Stato, delle pro-
vincie o dei Comuni, o di un istituto sottoposto per legge alla tutela
dello Stato, cli una provincia o di un Comune;
2. 0 i notai;
3. 0 gli agenti della forza pubblica e gli uscieri addetti all'ordine
giudiziario.
Ai pubblici ufficiali sono equiparati, per gli stessi effetti, i gin-
rati, gli arbitri, i periti, gli interpreti e i testimoni, durante il
tempo in cui sono chiamati ad esercitare le loro funzioni».
8. Con questa disposizione, a lungo studiata ed elaborata, il le-
gislatore italiano· si propose il lodevole intento di fornire una nozione
giusta e precisa del pubblico trf.ficiale onde far cessare le incertezze
e le contraddizioni della giurisprudenza. Ma ben presto la pratica
giudiziaria dimostrò che lo scopo era interamente fallito; giacchè ri·
sorsero subito, e non meno gravi di prima, le questioni sui limitr
cla darsi a quel concetto. Ciò è dovuto alla forma veramente poce>
felice, in cui è concepito l'articolo testè riportato. Anzitutto Farti·
colo 207,. lungi dal porgere quella nozione giusta e chiara, che si
proponeva chi ebbe a formularlo, la presuppone, allorchè, senza dire
esattamente chi sia il pubblico ufficiale, si limita ad indicare color()
che sono considerati pubblici ufficiali. Inoltre, mentre col numero. I.'
clel medesimo articolo si è tentata di dare la desiderata nozione con
una formula sintetica, coi numeri successivi si sentì subito il bi-
sogno di completarla mediante indicazioni analitiche, riconoscendone
così implicitamente l'imperfezione. A ciò si aggiunga l'incerteiza,
che deriva dal ~on essersi pensato a definire il concetto di persona
legittimamente incaricata cli nn pnbblico servizio, a cui si accenna nel-
l'art. 396 dello stesso Codice.
Sono questi i difetti della formula legislativa, che condussero ll·
perpetuare l'incertezza e la confusione, che si notano tuttora nell~
giurisprudenza della Corte suprema; la quale con molte sue deci-
sioni mostra di non essere ancora riuscita a fissare un criterio ye-
ramente razionale e costante da servire di norma nei casi della pra·
I PUBBLICI t;FFICIALI 233
. a qnotidiana; laonde può dirsi pienamente avverata la predi-
ti.c ie fatta da un illustre penalista, che cioè l'art. 207, anzichè farla
zJOI '
ssare, avrebbe aumentata la confusione 1). Troviamo infatti delle
ce
decisioni, e sono l e prn" numerose, 1e qual'i rn
. t erpretamI o nel senso
in estensivo l'articolo predetto riconoscono la qnaliti\, di pubblici
fi 111 zionari anche in persone, che prestano servigi umilissimi e del
tntto materiali. Basti dire che la Cassazione è ginnta a ritenere
inbblico nfficiale perfino il custode di un camposanto comunale 2 ),
:1 manuale ferroviario incaricato momentaneamente di esercitare le
fnnzioni di guardasala in una stazione :i) e il guardiano preposto da
nn privato alla custodia delle proprie terre con approvazione del
prefetto 4 ). Soltanto in questi ultimi tempi la giurisprudenr.a della
Corte suprema Ira mostrato per nn momento di volersi arrestare sn
questi~ china pericolosa, che ben presto l'avrebbe condotta alle con-
seguenze piiì. assurde e perfino ridicole: infatti una sna sentenza re-
centissima nega la qualifica di pubblico ufficiale al custode di nn
pubblico mercato, benchè equiparato, per disposizione di regolamento
comunale, ad mia guardia municipale 5 ). ·

Queste deplorevoli esorbitanze ed oscillazioni continue della giu-


risprudenza dimostrano piiì. che mai la necessità di fare un'analisi
approfondita del concetto di pubblico ufficiale, senza lasciarsi sviare
(la una formula legislativa poco esatta e poéo felice la quale vuol
essere al tempo stesso sintetica ed analitica, senza riuscire ad es-
sere nè questo nè quello; ed è qnesto lo studio che ora ci propo-
niamo di fare.

1 ) «A prendere alla lettei'a l'art. 207, si i10trebbe dire che nno spazzino incari-

rato nuche temponmeamente di pnlire le strade di 1111 ·Comune sia tanto pnbblic<>
nftieiale qnanto il sindaco, sicchè se t>tluuo gli fa nn'offesa per qnanto leggera, si
trova di aver offeso 1111 pubblico ufficiale. E, d'nlh:a parte, se costni, usando della
scopa, mezzo inerente alle sue funzioni, come dice i' art. 209, dà mm percossa per qua-
lunque ragione, avrà amnent.ata la i)ena da un sesto ad 1111 terzo. B·chi dice a voce
nn poeo alfa ad un inserviente di ferrovia. di non avergli recato a tempo il bagaglio
0 n<l nù postino di aver tardato a portare nna lettera, pn<>, per l'art. 19!, ri11scire

''~l~eYole di offesa all'onore, alla repntnzione e<l al decoro cli un pubblico nfficin.le ».
Cosi scrivent l' ARAIHA nei snoi I'rincipii del diritto penale, pag. 289.
2) Cnss. pen., 28 gfogno 1895, causa Tnrnldo (Legge 1895, vol. II, pag. 272).

~) Cass. pen., 20 dicembre 1895, causa ~Iassieci (Cas~azione m1ica, 1896, col. 296).
4) Cass. })en., 22 aprile 1895, causa Bolle (Legge, 1895, vol. II, p. 124). Notisi

]lerii che questa sentenza contraddice ail un'altra precedente della stc,sa Corte su-
P.t'eina, in data 24 agosto 1893, eansa Pansini (Giurisp1'. pe11., 1894, p. 9), la qunle
1:1teneya esplicitamente che le guardie campestri particolari noù sono pubblici nf-

lid~!i, quantunque i verbali <la esse redatti facciano fede sino a in·ova contraria.
") Sentenza 22 giugno 1896, causa Fici (Legge, 1896, II, 203). Per fani un con-
~:·tto più esatto dello stato di confusione assolutamente caotico in cui versa la nostra
~Htrisprndenza, malgrado la pretesa chiarezza dell'art. 207 Codo'pen., si"legga anche
~ breve studio del Sost. Procuratore generale FnoJ,A, Le variazioni. della giurisprn-
e~za Bnl tema dei pubblici nfficiali (nella Gi1tstizia penale, voi. III, 1897, col. 721-728).
234 I PUBBLICI UFFICI E LA GERARCHIA A)DIINISTRATIVA

9. Il concetto del pubblico ufficio, che abbiamo sopra tracciato è


f!uello di un organo dell'atti vitl'L dello Stato per il raggiungime~to
dei suoi fini d'interesse generale nella società giuridicamente costi.
tnita. Due sono gli elementi costitutivi ed essenziali di og·ni Pnh.
ùlico ufficio, vale a dir;e un determinato complesso di attribnzioni e
la corrispondente autorità necessaria per l'efficace esercizio delle
attribuzioni stesse. Ne deriva da ciò che il criterio fondamentale da
tenersi presente per determinare se in una persona concorra il ca.
rattere di imbblico ufficiale consiste nell'esaminare, se essa sia inve.
stita di fnnzioni statali, cioè d'interesse dello Stato come società
eostituita, e se il mandato affidato dalla legittima autorità a quella
persona sia accompagnato da nna delegazione di poteri, o, per dirla
in breve, se esista nel fnnzionario da una parte il m1mus p1iùlicum e
dall'altra il corrispondente imperimn.
Alla stregua di tale criterio vanno esclusi dal novero dei pnùùlici
ufficiali anzituttto coloro che prestano la propria opera allo Stato où
agli enti amministrativi locali per effetto di un contratto ordinario
di locazione d'opera o di appalto. Nè l'operaio, che lavora alla co-
strnzione od alla riparazione di una stra.da pubblica o di un palazzo
demaniale o di una nave della marina militare, nè l'intraprenditore,
che si assume l'appalto di siffatti od altri simili lavori, nè il forni-
tore, che provvede agli nffici pubblici od agli stabilimenti goyer-
nativi e comnnali i mobili ed i generi di consumo, sono pubblici
<lfficiali; perchè essi prestano bensì dei servigi alla pubblica ammi-
nistrazione, allo stesso modo e per la stessa ragione puramente con-
trattuale, per cui li presterebbero ai privati; ma non rappresentano
punto l'amministrazione stessa, non agiscono in nome di essa, non
esercitano alcun potere nè rivestono alcuna autorità, cl1e li metta al
disopra dei semplici cittadini.
Nella categoria degli operai, che rimane affatto estranea al con-
cetto di pubblico ufficiale, debbono c01Ì1prendersi non soltanto coloro
che lavorano in modo saltuario e provvisorio per un ente annnini-
strativo, che li assume soltanto a giornata, ma anche gli operai sta-
bili, nonché gli inservienti e tutto il personale di basso servizio,
benchè assunto con nomina stabile e retribnito con stipendio fisso.
Questi ultimi possono bensì. rivestire la qualifica cli impiegati, e la
·rivestono infatti, quando abbiano nomina stabile e stipendio fisso;
ma non sono certo pubblici fnnzionari, giacchè non esercitano alcuna
attribuzione di carattere pubblico.
10. Dopo aver fissato fin qui dal punto di vista negativo i limiti
del concetto di pubblico ufficiale, vediamo ora di determinarli sotto
l'aspetto positirn.
Qnante sono le funzioni, nelle quali si esplica la vita dello Stato,
altrettante sono le categorie dei pubblici funzionari. Tenendo pre-
sente la divisione dei poteri in legislativo, esec1ttii•o e gi1idi.ziario ab-
I PL"BBLIC[ CFFICIAU

1.>iamo le t.re grandi categorie dei funzionari dell'ordine legislati rn,


li quelli dell'ordine esecutivo e di quelli dell'ordine giudiziario.
{ J.Ja prima categoria ha esistenza propria soltanto in un regime
costituzionale rappresentativo, giaccl1è nelle forme di monarchia as-
·olnta unico organo e rappresentante del potere legiferante è il
slrincipe, mentre all'opposto in una forma di go,·erno popolare di-
~etto la formazione delle leggi si considera come una funzione co-
unme a tutti i cittadini, ed il solo organo legislatiYo i.• il popolo
stesso collettivamente considerato.
I rappresentanti, a cui è affidato l'esercizio del potere legislati"rn,
siano essi di nomina regia o siano eletti con qualsivoglia sistema di
y0 to clai cittadini, teoricamente parlando, sono senza dubbio dei
imbblici ufficiali, come quelli a cui è affidata per mandato del so-
vrano o clel popolo la più nobile ed importante delle funzioni sta-
tali, la funzione legislativa. Ma nel nostro diritto positiYo, di fronte
alle disposizioni del nuovo codice llenale, il quale nel sancire spe-
ciali pene dirette a tutelare i pubblici ufficiali ·contro ogni offesa od
attentato, che possa commettersi contro di essi a causa delle loro
funzioni, 11a cura di menzionare sempre a parte i membri del. Parla-
1nento (Uod. pen., articoli 187, 194, 195, 200, 20± e 365), devesi ri-
tenere clie il nostro legislatore non ha creduto di porre i senatori
ed i deputati nel novero dei pubblici ufficiali; e che tale fosse in
realtà l'intendimento di coloro che ebbero parte nell'elaborazione del
nuovo Codice penale risulta in modo evidente dai verbali della Com-
missione per la revisione ed il coordinamento del Codice stesso,
eletta per mandato legislativo con R. Decreto del 13 diceml>re 1888
('Terbale n. XXIV, sull'art.. 197, ora art. 207 del testo definitivo).
Alla proposta fatta in seno alla Commissione dal sen. Ellero, onde
fossero menzionati fra i pul>l>lici ufficiali anche i membri del Parla-
mento, si oppose il sen. Anriti, osservando essere miglior partito
prevedere caso per caso la qua.litù, di membro del Parlamento, oYe
}lossa avere importanza agli effetti penali, e doversi inoltre escludere
in ogni caso i membri del Parlamento dall'articolo relativo alla cor-
ruzione, stante l'insindacabilità dei loro atti parlamentari sancita
dall'art. 51 dello Statuto. A questa opinione aderiya anche l'altro
commissario onor. Nocito, affermando nettamente doversi limitare la
qualifica di pubblici ufficiali ai soli funzionari del potere esecutivo.
Dopo questa discussione la proposta dell' Ellero, messa ai ,·oti, Yenne
respinta 1).

1) Consulta in proposito l'articolo <lello STOPPATO, I membri dcl Pal'lainento non

~.ono pubblici ufficiali inserito nella Temi veneta., 1893, pagg. 101-104; le osservazioni
fatte in proposito <lai cons. BERTOLINI con la repli<'a dello stesso STOPPATO (ivi,
~agiue 117-119); e l'articolo del CARELLI, I deputati sono p11bblici 11.ffeciali nella
" 011 ola positfra, Yol. III, pagine 115-125.
236 I PU.BBLICI UFFICI E J,A GERARCHIA A~DIINISTRATIV A

Di fronte a dichiarazioni così esplicite è giuocoforza riconoscere


che per il. nostrà Codice penale i deputati ed i senatori non sono
pnblJlici ufficiali. Essi godono bensì della tutela penale accordata Il
costoro; giacchè tutte le volte che si tratta di difendere con speciali
sanzioni l'esercizio delle pnblJliche cariche contro le offese che l>os-
sono essere, iier causa di esse, recate alle persone dei loro rappre-
sentanti,. il Codice negli articoli sopra. ricl1iamati l1a sempre accen.
nato distintamente, oltre che ai pubblici ufficiali, anche ai membri
del Parlamento. ::\fa dal punto di vista inverso, in quanto cioè ri-
guarda la difesa penale delle pubbliche funzioni contro gli abusi che
possono commettersi a loro danno dalle persone stesse, ai quali le
funzioni sono affidate, il nostro legislatore penale si limita a parlare
di pubblici ufficiali, senza mai far cenno di membri del Parlamento;
così che ci troviamo di fronte a questo risultato, che i tleputati ed
i senatori sono in sostanza considerati come pubblici ufficiali, 0
<]Uarito meno sono loro equiparati, agli effetti della tutela i1enale
_soltanto a fàvore di essi, ma rion agli effetti contrari o sfavorevoli ad
essi, come se il legislatore italiano partisse dal presupposto dell'im-
possibilità morale che un rappresentante del potere legislativo tra-
disca i doveri del suo alto mandato, a quel modo che le antiche leggi
di Solone non stabilivano aicuna pena contro il parricidio, reputan-
dolo ci priori impossibile ed assurdo.
Pur troppo però la storia parlamentare anche dei paesi in cui il
g·overno· rappresentativo ha fatto la miglior prova, non esclusa la
stessa InghiUerra, terra classica delle istituzioni parlamentari, di-
mostra che tanto ottimismo sarebbe assolutamente ingiustificato e
poco meno che puerile. Devesi quindi credere, come bene faceva
nofare l'Orlando 1), che cotesta immunità parlamentare rappresenti,
al pari dell'immuì1ità regia, una scelta del minore fra due mali, in
fJ·uanto la società costituita crede meno dannoso all'interesse pub-
blico il lasciare impunito l'eventuale reato del membro del Parla-
mento, anzi clte lasciar corso ad accuse e processi, i quali avrebbero
per inevitabile conseguenza di spargere il sospetto e di gettare il
(liscredito sull'atto }1iù grave e solenne della vita publJlica, cioè sulla
fnnzìone legislativa.
J\<Ia nell'ulteriore evoluzione del diritto pubblico siamo conYinti che
f[Uella eq nazione fra i due mali verrà risolta in senso opposto a quello
adottato dal didtto attuale, vale a dire si riconoscerù che il pericolo
di esautorare il Parlamento ed i .suoi atti legislativi, sottoponendo
a(f accusa i suoi membri, corrotti o corn~ttori, è molto minore del
danno effettivo, permanente e molte volte irreparabile, che reca al-

l) In nn ·suo articoio in risposta ad un altro del prof. brPALLO)IE:-ìI, pùbbli-


cati entrambi nell' .·frcliivio di diritto pubblico, diretto dallo stesso prof. ORr.A:SDO
(vol. III, pagg. 36-4-2, e 134-139). ·
I PUBBLICI uFFICIALI 237
l'intera nazione la venalità dei suoi rappresentanti al Parlamento.
Del resto ci vnol poco a rifletterè clie le istituzioni risentono assai
maggior discredito dalla scandalosa impunità dei deputati o dei se-
natori, che fanno traffico del proprio voto e della propria coscienza,
pinttostochè da qualche processo che fosse istituito nelle forme le-
o·ali contro corrotti e corruttori. Anzi qualche condanna yarrebbe di
;alntare esempio e di remora agli altri membri del Parlamento, e si
potrebbero così prevenire molti traffici inirnorali, che dall'attuale si-
stema di impunità sono quasi protetti ed incoraggiati. E poichè
sembra cl1e in Italia non sia. possibile proporre ed attuare una ri-
forma nel diritto pubblico senza l'esempio di qualche paese vicino,
possiamo notare che in Francia, in occasione dei famosi scandali del
Panama, essendo sorto nei .tribunali il dubbio se si potesse procedere
contro i membri del Parlamento per reato di corruzione, si provvide
a risolvere la quistione con la legge del 4 luglio 1889, che estende
ai deputati e senatori l'art. 177 tlel Codice penale francese, elle pu-
nisce la corruzione dei pubblici funzionari.
Ad ogni modo, prescindendo dalle disposizioni del nostro vigente
dirit.to punitiYo, nessuno contesta che le funzioni legislative ed in-
spettive, di cui .sono investiti i Parlamenti, siano vere e proprie
funzioni di Stato, nelle quali si esplica la pubblica sovranità, e che
pe.r <liretta e necessaria conseguenza coloro che sono investiti di tali
funzioni abbiano il carattere di pubblici ufficiali. Per la scienza del
diritto pubblico è questo nn principio acquisito, su cui non può ora-
mai ammettersi discussione.
Anche i rappresentanti del potere giudiziario, ai quali più parti-
colarmente l'uso vuol riservata l'onorifica denominazione di magi~
.~trati, costituiscono una categoria di pubblici ufficiali, la cui impor-
tanza e dignità non è certo inferiore a quella degli altri funzionari,
aYendo essi l'alta missione d'interpretare ed applicare la legg·e, e di
amministrare la giustizia in materia così civile, come penale. Ma
appunto per la somma importanza delle sue funzioni l'ordine giudi-
ziario lia assunto nelle società odierne un'org·anizzazione quasi per-
fettamente autonoma, e si regge con norme tntte proprie, le quali
costituiscono uno dei rami integranti delle scienze giuridiche, il di-
ritto giudiziario. ·
Sia per i funzionari del potere legislativo, sia per quelli del po-
t~re giudiziario, non è compito del presente trattato di espoi're par-
hcolarrnente le norme, che ne regolano la nomina e le attrfbuzioni;
e se ciò facessimo, invaderemmo il campo del diritto costituzionale
e del diritto giudiziario. ::\fantenemloci quindi nei limiti di una
trattazione di diritto amministrativo accenneremo a quei due ordini
tli llllbhlici ufficiali soltanto considerandoli dal punto di vista gen~­
ra~e come rappresentanti dell'autorità legittimamente costituita, la-
sciando ai rispettivi raipi delle scienze giuridiche lo studio delle
ilorlile s pecrn
. l'i a crnscuno
. . d"i essi..
2.38 I PUBBLICI GFFICI E LA. GERARCHIA. A.)DIIXISTRATIV A.

11. }fa 1a categoria ùei pubblici ufficiali, clie forma più strettamente
oggetto del diritto amministrativo, è quella dei funzionari del potere
esecutivo, vale a dire di quel complesso di persone, gerarchica.
mente organizzate, le quali hanno non soltanto il mandato ùi curare
l'esecuzione di tutti i provvedimenti e cli tutte le leggi emanate
ùal potere legislativo, ma quello più generale ùi tutelare l'ordine
pubblico e di promuovere in tutti i modi il benessere materiale e
morale dei consociati. Intesa in questo senso la gerarchia dei fun-
zionari si estende in lunga scala dai gradi più elevati, anzi dal più
elevato di tutti, cùe è quello personificato nel Re come capo del
potere esecutivo, fino ai più modesti titolari degli uffici ammini-
strativi dello Stato e degli enti amministrati Yi locali (Provincie e
Comuni).
:Ma ciò che importa sopratutto tener presente si è che la qualità
cli pubblico tif'ficiale, come abbiamo già, dimostrato, non è da con-
fondersi con q nella di pubblico impiegnto, vale a dire che non basta.
percepire una retribuzione fissa dal pubblico erario per rivestire la.
qualifica di pubblico ufficiale o funzionario. Ciò che costituisce la
caratteristica cli questi si è il mandato ricevuto dalla competente
autorità cli esercitare determinate funzioni d'interesse pubblico coi
corrispondenti poteri o facoltà, che occorrono per l'esercizio di tali
funzioni.
Una determinazione teorica dei limiti delle funzioni pubbliche non
è possibile, perchè il concetto dell'azione dello Stato e dei suoi fini
varia di continuo, e nello stato attuale dell'evoluzione sociale tende
ad allargarsi indefinitamente. In generale può dirsi soltanto che è
flmzione pubblica tutto ciò che secondo il diritto positivo e con-
suetudinario si considera come un fine d'interesse comune dei con-
sociati.
Quindi sono comprese tra le funzioni pubbliche tanto quelle, che
si chiamano propriamente mnministmtive, ossia funzioni di governo,
che hanno per fine il mantenimento dell'ordine, della sicurezza e
della sanità pubblica, quanto le funzioni così dette tecniche, le quali
mirano a determinati vantaggi od utilità sociali. Ciò vuol dire che
è pubblico ufficiale tanto il prefetto, il questore, il sindaco, quanto lo
è l'ingegnere del Genio civile, l'ufficiale dell'esercito, il professore
di liceo o d'università.
:Nell'ordine amministrativo propriamente detto la qualifica di pnù-
blico funzionario spetta non solo ai capi delle pubbliche ammini-
strazioni, che emettono i provvedimenti in proprio nome, ma anche
agli ufficiali subordinati, che con essi cooperano allo studio ed all~
preparazione di quei provvedimenti, purchè, beninteso, non si tratti
di una collaborazione puramente manuale.
Qualcuno sostiene che nelle amministrazioni pubbliche la qualità
di pubblico ufficiale spetti soltanto ai capi d'ufficio ed a coloro, che
I PUBBLICI UFFICIALI 239
pnr non essendo capi <l'ufficio, abbiano però la rappresentanza di
una frazione dell'ufficio medesimo, con la facpltà di emettere qualche
provvedimento in proprio nome 1 ). Secondo questa opinione non
rientrerebbero nella categoria dei pubblid ufficiali nè i segretari,
vice-segTetari e computisti delle amministrazioni sì centrali cbe
provinciali, nè i così detti iif.ficiali d'ordine. Per cfo che riguarda
q nesti ultimi, non esitiamo aù accogliere l'opinione negati va; giacchè
si tratta di individui che sono bensì impiegati dello Stato retribuiti
con stipendio fisso, ed hanno nomina permanente con carriera pro-
gressi va, ma prestano un'opera affatto materiale, qual' è quella che
consiste nei lavori ùi copiatura e di scritturazione, e nella registra-
zione e conservazione delle carte d'ufficio 2 ).
)fa quanto agli impiegati della carriera amministrativa, dal vice-
segTetario in su, che formano la categoria detta degli impiegati di con-
cetto, compresi pure quelli della ragioneria (compntisti e ragionieri), ci
sembra non possa negarsi loro il carattere di pubblici ufficiali; perchè,
sebbene essi non prendano alcun provvedimento di propria autorità,
collaborano però direttamente con la propria opera intellettuale allo
studio degli affari d'ufficio ed alla preparazione dei provvedimenti
amministrativi e di bilancio, che poi vengono perfezionati e resi
esecutivi con la firma del ministro o del capo dell'amministrazione.
Se fosse vero che rivestono la qualità di pubblici ufficiali soltanto
quei fnnzionari cbe emettono provvedimenti in nome proprio, non
sarebbero pubblici ufficiali nè i capi di sezione, nè i direttori capi
di divisione dei Ministeri, e lo sarebbero solo fino ad un certo punto
g·li stessi direttori generali, i quali risolvono definitivamente gli af-
fari e firmang in proprio nome i relativi provvediment.i, soltanto se
ed in quanto tale facoltà non sia riservata al ministro 3 ).
Al pari dei funzionari dell'amministrazione centrale hanno la qua-
lifica, di pubblici ufficiali tutti i funzionari governativi dell'ammini-
strazione locale 1 i quali esercitino attribuzioni relative a funzioni o

1) CIAr.Fr, Dei pitbblfoi itfficiali agli effetl'i della legge penale (Rii'ista penale, vo-

lull!e XXXIII, pag. 145).


2) Secondo il Regolamento approvato col R. Decreto 23 ottobre 1853 per l' esecn-
z'.one del titolo primo della legge 23 marzo 1853, sull'ordinamento del!' Amniinistra-
zione cent.rale, vi era in tut.ti i Ministeri nna sola categoria di funzionarii gerarcbi-
cainente ordinata come segue: Segretario generale (oggi Sottosegretario di Stato),
D.irettore generale, Diret.tore capo di divisione, Capo di Sezione, Segretario di i.a e-
<h 2.a classe, Applicato di i.a, 2.a, 3.a e 4_a classe. Col riordinamento sancito dal
R. Decreto 24 ottobre 1866 venne introdotta una distinzione fra gli utliei od impieghi
d' 0 r<line snperiore e quelli d'ordine inferiore, e furono ascritti al primo ordine i di-
rettori generali, i capi divisione, i capi sezione, i segretarii, i vicesegretarii, ed i
Yolontnrii, sopprimendo la qualifica di appz.icato, e vennero assegnati al secondo
Ordine i commessi di tre classi, che corrispondono agli attuali itfficiali d'ordine.
z' 3) R. Decreto 24 ottobre 1866, pel Tiordinamento degli uffizi dell'Amministra-
10ne centrale, nrt. 3.
240 I Pl'BBLICI l'FFICl E LA GERAUCHIA A)DIINISTUATIYA

serv1z1 d'interesse generale, di carattere così amministrati\·o, conie


tecnico, purchè, anche qui, non si tratti di una prestazione d'opera
puramente manuale. Quindi sono da annoverarsi fra gli ufficiali pnh.
blici tanto i funzionari delle prefetture, sottoprefettme, e quelli
degli uffici finanziari (dogane, rice,·itori del registro) quanto gli in-
gegneri del Genio civile, i medici 11l'Odnciali, che malgrado il no11 1_e
loro dato sono veri e propri funzionari governati vi nominati, in se-
·guito a publJlico concorso, per decreto reale, e stipendiati sul lJi-
lancio deUo Sato, e così pure i medici circondariali 1 ), ed infine gli
insegnanti degli istituti governativi d'istruzione e di educazione, di
qualsiasi grado", elementare, secondario o superiore.
13. Riguardo a questi ultimi, cioè agli insegnanti, il carattere as-
solutamente tecnico delle funzioni a cui attendono, })Ortereùbe i>er
vero a negar loro la veste di· pubblici ufficiali; ma l'affermati rn si
impone, non tanto per la nobiltà del mandato conferito ai pul>lJliei
educatori, quanto per il riflesso delle attribuzioni di vero carattere
amministrativo, che essi esercitano per ciò che riguarda la disciplina
scolastica (potere disciplinare) ed il conferimento dei diplomi iu ùase
ai giudizi dati sulle prove di esame, .diplomi che_ hanno il valore di
una pulJl>lica attestazione di capacità e di attitudine a tutti gli effetti
di legge e servono di titolo legale, sia per il liùero esercizio di una
determinata arte o professione, sia per poter aspirare ai puùblici uffici
ed infine pe1; il godimento del diritto elettorale (potere esaminante). Il
professore quando giudica le mai1canze dell'alunno infliggendogli le
punizioni disciplinari previste dai regolamenti, e quando valuta le iirove
fatte dall'esaminando accordandogli o negandogli l'idoneitù, compie
delle vere e proprie funzioni di gov(!rno, esercita un potere che gli
derint dall'autorità Jml>ùlica; e dP,~e quindi èssere riconosciuto
come un pubùlico funzionario 2 ).
14. Sono pure pubblici funzionari tutti gli nffìciali dell'esercito e
della marina militare dal grndo di sottotenente o di guardia marina
in su, a qualunque corpo o specialità d'arma essi appartengano;
perchè, oltre alla missione principale, che loro è affidata, di iwo,--
vedere alla difesa interna ed esterna dello Stato, essi sono investiti
di veri e propri poteri diseiplinari ed anche giurisdizionali, quando
sono chiamati a far parte 'lei Tribunali militari e dei Consigli di
guerra.
Lo stesso deve dirsi dei capitani e degli ilfficiali di porto~ ai quali
il vig·ente Codice per la marina mercantile conferisce, oltre il potere
disciplinare sulla gente di mare, attribuzioni e poteri di ufficiali di
polizia giudiziaria e di giuclici penali sopra le infrazioni di polizia

1) Legge 22 dicembre 1888 sulla sanità pllbblica, art. 10; e relath·o regola-

mento ottobre 1889, art. 19-24.


2 ) In senso conforme, yedi CIALFI, monogr. cit., pag. lH.
I PCBBLICI UFFICIALI 241
uiarittima, e di giudici civili sulle controversie marittime di diritto
printto non eccedenti il valore di lire 400, e riguardanti danni ca-
,fionati dall'urto delle navi o le mercedi ed i salari della gente di
~are, in genere l'adempimento dei contratti di arruolamento; e gli
atti da loro ricevuti hanno valore di atti pubblici agli effetti ci vili
e penali 1).
Anche i delegati di porto, che fanno le veci dei capitani e degli
ufficiali nei punti di approdo di minor importanza, hanno veste di
pubblici ufficiali; perchè anch'essi, sebbene con attribuzioni e poteri
molto più limitati, compiono atti di autorità, quali sono ad esempio
la vidimazione delle carte di bordo dei bastimenti nazionali, l'inscri-
:zione e la cancellazione degli individui dal ruolo dell'equipaggio, la
liquidazione ed applicazione delle tasse di ancoraggio ed altri diritti
marittimi e sanitari, la direzione della polizia del litorale di loro
giurisdizione, ecc. 2 ).
Infine fra le persone addette alla navigazione sono pubblici ufii-
dali altresì i capi~ani o padroni di nave, ai quali è affidata la polizia
<li bordo con potere disciplinare su tutte le persone imbarcate, siano
~sse appartenenti all'equipaggio o semplici passeggieri 3 ). Inoltre il
.capitano esercita le funzioni di uffiziale di polizia giudiziaria e di
giudice istruttore per l'accertamento dei reati commessi sulla nave
durante il viaggio con facoltà di arrestare l'imputato e di metterlo,
-0ve d'uopo, ai ferri, raccogliendo le prove testimoniali, e stendendo
llrocesso verbale del fatto per rimettere poi il tutto all'autorità ma-
rittima nel primo porto d'approdo, se sia un porto nazionale, od al-
l'autorità consolare, se sia un porto straniero 1).
15. Nell'amministrazione finanziaria hanno qualità di pubblici uf-
ficiali, oltre i funzionari di concetto e di ragioneria dell'amministra-
zione centrale (Ministeri delle Finanze e del Tesoro e Corte dei
.conti), i rappresentanti ed agenti erariali nelle provincie, ed in
specie gli intendenti di finanza, gli agenti e subagenti delle imposte
dirette, i ricevitori del registro ed i conservatori delle ipoteche, i
-quali tutti hanno attribuzioni di carattere amministrativo ed eser-
citano facoltà cli ordine pubblico, quali sono la direzione e sorve-
glianza del servizio finanziario, specialmente per ciò clte riguarda
l'e:,mzione delle imposte e dei proventi patrimoniali dell'erario, e la
Hq uidazione delle tast>e sugli affari e delle tasse ipotecarie.
Gli intendenti . di finanza, istituiti in ciascun capoluogo di pro-

1) Testo unico del Codice per la mitrina mercantile, approYato ·col R. Decreto
2.J, ottobre 1877, art. 10, 11, 13 e H, 433 e sogLieuti, e 451.
2 ) Regolamento per l:t marina mercantile, approvato con R. Decreto 20 novem-

bre 1879, art. 12.


3 ) Codice per la marina mercantile, art. 92 e 451.
4) Cod. citato, art. 93, 436, 439 e 440.
242 I PUBBLICI UFFICI E LA GERARCHIA A3DIIXISTRATIVA

vincia con r. decreto del 26 settembre 1869, e retti dal regolament()


approvato con altro r. decreto del 18 dicembre stesso anno, tengon()
sotto la propria direzione e rekponsabilità l'amministrazione e la
tutela del patrimonio mobiliare ed immobiliare dello Stato, e prov_
vedono all'applicazione ed alla riscossione di tutte le imposte dirette
(fondiaria, fabbricati, ricchezza mobile), di tutte le tasse sugli affari
(registro, bollo, manomorta, ecc.), delle pene pecuniarie, delle spese
di giustizia penale, delle tasse per la verificazione dei pesi e misure-
ed in generale di qualsiasi altro cespite o provento pubblico, che
venga loro affidato. I poteri conferiti all'intendente per l' esercizi()
delle sue importanti attribuzioni, come capo dell'intera amministra-
zione finanziaria nell'ambito territoriale della provincia, sono assai
vasti; egli ha facoltà di emettere tutti i provvedimenti necessari per
l'esecuzione delle leggi finanziarie e per la tutela del patrimonio
demaniale, risolve come giudice in via amministrativa le controversie
concernenti le tasse sugli affari e relative sopratasse e pene pecu-
niarie, entro il limite di valore di lire 2000 '), e può ordinare, entro
lo stesso limite di valore,. la restituzione di somme indebitamente
percette, sia per le tasse sugli affari, sia per i proventi demaniali;
può anche, rivolgendosi al prefetto, richiedere l'uso della forza pub-
blica per l'esecuzione dei suoi provvedimenti; esercita infine il po-
tere disciplinare su tutti i funzionari ed impiegati del suo ufficio.
Nelle Intendenze di finanza, oltre l'intendente, ehe n'è il capo~
hanno Qualità di pubblici ufficiali anche tutti gli impiegati addetti
alla parte amministrativa ed alla ragioneria, compresi gli impiegati
tecnici (ingegneri e disegnatori), e rimanendone esclusi soltanto gli
ufficiali d'ordine, le cui funzioni sono semplicemente materiali.
Ai conservatori delle ipoteche è poi affidato un compito speciale
della più alta importanza sociale, qual'è quello di tenere i registri
destinati alla pnbblicità dei diritti immobiliari e delle garanzie ipo·
tecarie, e di rilasciare i relativi certificati a chiunque ne faccia ri-
chiesta, sotto il vincolo di una rigorosa responsabilità per qualsiasi
errore od ommissione 2 ). È bensì vero che fino a qnesti ultimi tempi,.
cioè fino alla legge dell' 8 agosto 1895 (allegato G), i consP-rvatori delle
ipoteche non percepivano alcun assegno o stipendio fidso sul bilancio
dello Stato, ma erano retribuiti solamente con un aggio sulle tasse
ipotecarie da essi riscosse oltre alcnni altri emolumenti determinati
dalla legge 13 settembre 187±, n. 2079, per ogni c,perazione da essi com-
piuta nell'esercizio delle loro funzioni; mentrr; ora, per effetto della
recente legge del 1895, testè citata, sono r;~tribuiti principalmente

1) R. Decreto 21 nornmbre 1880, che estende fino a L. 2000 la competenza

degli intendenti di finanza per le contro,·ersie relative alle tasse sugli affari.
2 ) Cod. civ. art. 2066 e segnenti.
I PUBBLICI UFFICIALI 243

n stipendio fisso a carico dell'erario e solo più come lucro sussi-


~~ario od accessorio conservano ancora taluni emolumenti a carico delle
tpa rti·..
l\fa ciò non significa punto che i conservatori delle ipoteche
on fossero prima pubblici fnnzionari, e siano divenuti tali soltant(}
~ 1 virtù del nuovo ordinamento introdotto con la legge del 1895;
giacchè, come abbiamo già ripetutamente osservato, ciò che caratte-
rizza il pubblico ufficiale non è già lo stipendio, ma sono bensì le
attribuzioni coi corrispondenti poteri. Sotto la legge antica i conser-
vatori non erano impiegati, mentre ora lo sono; ma pubblici ufficiali
erano prima, come lo sono al presente, perchè le loro attribuzioni,
le ciuali hanno per oggetto un servizio di primario interesse pubblico,.
non sono punto cambiate.
Anche i ricevitori del registro, cbe sono funzionari governativi pre-
posti alla riscossione delle tasse sugli affari (bollo, registro, mano-
morta, ecc.), rivestono il carattere di pubblici ufficiali, sebbene siano·
retribuiti non a stipendio fisso, ma bensì con nu aggio percentuale
sulle riscossioni da essi fatte (r. decreto 27 dicembre 1896, che stabi-
lisce il nuovo organico dell'amministrazione demaniale, art. 16); giac-
chè, giova ripeterlo, la caratteristica, da cui è determinata la qualità
di pubblico ufficiale, non consiste già nello stipendio o retribuzione
e tanto meno nel modo, con cui tale retribuzione sia stabilita e cor-
risposta, ma unicamente nella natura delle attribuzioni affidate al
funzionario coi poteri corrispondenti.
Altri funzionari, i quali, sebbene non appartengano in senso
stretto all'amministrazione finanziaria de1lo Stato, esercitano attri-
buzioni alquanto affini, sono i così detti Regi Cornmissari ripartit01··i
dei (lemanii co11iii1uili, e gli agenti, che li coadiuvano nei loro lavori.
Questi Commissari ripartitori, che ·nelle provincie meridionali del
Regno banno l'alto e delicato mandato di provvedere alla rivendi·
cazione e reintrega delle terre comunali ed alla loro successiva ri-
partizione o q notizzazione fra i comunisti, rivestono per certo la
qualitù. di pubblici ufficiali; perchè esercitano vere funzioni di au-
torità, emettono ordinanze, che hanno forza di atti traslativi od al-
meno attributivi di proprietà per le qnote assegnate a ciascun co-
munista, ed hanno il diritto di invocare l'assistenza della forza
armata, ove incontrino resistenza nell'adempimento delle loro fun-
zioni.
Le funzioni di Commissari ripartitori nelle provincie meridionali
sono affidate di regola ai prefetti delle provincie stesse, salvo che
il Governo stimi più conveniente di nominare speciali Commissari
ripartitori 1); ma sia nell'uno che nell'altro caso l'importanza e la
natura delle attribuzioni proprie del Commissario ripartitore lo ca-

1) Legge 20 marzo 1865, allegato E, sul contenzioso amministratiYo, art. 16.


244 i PUBBUCI UFFICI E J,A GERARCHIA AMMINISTRATIVA

ratterizzano indubbiamente come un pubblico funzionario; e lo stesso


<leve dirsi degli a.genti denianiali, i quali sono nominati dal Uonnni~.
sario stesso col mandato di compiere le operazioni preparatorie della
quotizzazione dei terreni e prestano giuramento prima di assumere
l'esercizio delle loro funzioni 1).
16. Per contro non sono ufficiali pubblici nè gli esattori comunali
o consorziali delle imposte dirette, nè i ricevitor·i provinciali delle
imposte stesse. ~econdo le disposizioni della legge 20 aprile 1871
. '
che è tuttora in vigore, sebbene parzialmente modificata da varie
leggi successive, il servizio della riscossione delle imposte dirette,
che si esigono sopra ruoli nominativi dei contribuenti (imposta sui
fabbricati, fondiaria, e di ricchezza mobile, escluse per quest'ultima
le quote che sono riscosse mediante ritenuta diretta dell'erario sui
propri pagamenti), vien fatto non già direttamente da funzionari
dell'amministrazione, ma bensì mediante l'opera di privati assuntori
od appaltatori, i quali, previo concorso ad asta pubblica, come è regola
in tutti gli appalti governativi, e, mediante un corrispettivo sotto forma
di aggio percentuale, si assumono l'impresa di incaRsare le imposte in
<ionformità dei ruoli nominativi loro consegnati dall'amministrazione,
e si obbligano a rispondere del non riscosso pel riscosso, assumen-
dosi personalmente la responsabilità dell'importo totale dei ruoli,
.salvo ad ottenere il rimborso per q nelle quote, di cui dimostrino la
inesigibilità per la provata insolvenza del contribuente.
Il carattere giuridico degli attuali esattori e ricevitori corrisponde a
quello che avevano nel diritto romano i pnblicani; qui pnblica vecti-
galia habent condiwta; i quali cioè assumevano· a proprio carico la
riscossione dei tributi, così diretti come indiretti, esonerando l'erario
da qualsiasi responsabilità e rispondendo in proprio degli abusi di
-0ui essi od i loro commessi o dipendenti si fossero resi colpevoli
nell'esercizio della loro impresa 2 ).
Q'1esto speciale contratto di appalto, che si conclude fra l'ammi-
nistrazione e l'esattore o ricevitore, fa sorgere bensì nell'appaltatore
diritti e privilegi affatto particolari, qual'è specialmente il privilegio
:fiscale del solve et repete, in forza di cui il contribuente inscritto nei
Tuoli non può opporsi alle richieste dell'esattore nè arrestarne il
procedimento esecutivo se non dopo aver effettivamente versata
l'imposta, di cui si discute 3 ). Inoltre la legge accorda all'esattore
'lma forma di iwocedimento esecutivo speciale e privilegiata, me-
,..liante la quale egli può espropriare i ·beni mobili ed immobili dei
-contribuenti morosi senza bisogno di ricorrere all'autorità giudiziaria,

1) Consulta: CAMPAGNA, L'agente denian-iale, Cosenza 1896, pag. 9.


2J Digesto De pnblicanis et vectigalibns et coimnissis (XXXIX, 4).
-3) Legge 20 aprile 1871 sulla riscossione delle imposte dirette, art. 66.
I PUBBLICI UFFICIALI 245
salvo che per l'asta immobiliare, la quale dev'essere presieduta dal

pretore.
}la, ma1gracl o t utt'i qnes t'.1 privi
· ·1 eg1,· non puo' <l'1rs1· cl1e egl'i assuma
la veste di pubblico ufficiale; perehè egli agisce bensì coi privilegi
che gli sono delegati dal fiRco, ma non rappresenta l'amministra-
zione, non ne è il mandatario, non ne dipende nè gerarchiearn<mte nè
disciplinarmente, non ne impegna la responsabilità. ùi fronte al con·
triùnente ed ai terzi. Del resto a persuadersi quanto sia assurdo il
concetto di chi volesse considerare l'esattore od il ricevitore pro-
vinciale come pubblici funzionari basta riflettere che così l'uno come
l'altro sono nominati di regola per concorso ad asta p-nbblica; mentre
offnnn~ sa che il Ristema di conferire i pubblici uffici al maggior
oft'erente, sebbene sia stato adottato in altri tempi e presso altri
popoli, è quanto si fmò im1n;tginare di più odioso e di più ripu-
g-nante ai principii fondamentali del nostro odierno diritto pub-
hlieo.
È bensì vero che l'art. 74 della legge 20 aprile 1871 stabilisce che
l'esattore è considerato come pitbblico it(Jìciale per l'applicazione delle
sanzioni penali relativamente agli abusi che esso commettesse nella
riscossione delle imposte o negli atti esecutivi; tnttavia la forma
stessa, in cui è concepita questa disposizione, dimostra chiaramente
che .il legislatore non ha inteso di attribuire all'esattore la qualità di
pubblico ufficiale a tutti gli effetti, ma soltanto ha voluto che. lo si
consideri come tale limitatamente agli effetti penali per i reati da lui
1·ommessi nell'esercizio del sno mandato cli riscuotitore dei tributi che
eg-li si assume in forza del contratto di appalto 1 }; onde deriva l'im-
portante conseguenza che i· reati commessi dai contribuenti o dai
terzi a danno dell'esattore, per cause relative alla riscossione delle
imposte od all'esecuzione :fiscale, non assumono la figura giuridica
speciale dei reati commessi a danno di un pubblico funzionario, ma
rimangono semplici reati a danno di un privato; e tutto al più po-
trebbe sostenersi. l'applicabilità. dell'art. 396 del Codice penale per
le sole inginrie commesse a danno dell'esattore, come persona legit-
timamente incaricata di un pubblico servizio.
Xeppure l'ufficio di tesoriere del Comune, ufficio che l'esattore è te-
nuto per legge ad adempiere gratuitamente 2 ), vale ad attribuirgli la
'lllalitica di pubblico ufficiale, perchè si tratta soltanto di un obbligo
accessorio al contratto di appalto, da cui è vincolato l'esattore;
tanto che l'amministrazione comunale rimane sempre libera di nomi-
narsi m1 tesoriere speciale, affidandogli il proprio servizio di cassa~

---
ed esonerandone l'esattore.

1) Confr. la sentenza della Cass. pen., 23 novembre 1896 (Ginri8p1·. penale, 1897,
:Pag, 61).
2) Legge citata 20 aprile 1871, art. 93.
246 I PCBBLICI l:FFICI ~; L\. GERARCHIA A)IMI!\ISTRATIY A

Potrebbe invece discutersi se sia pubblico ufficiale il sorvegUante


dell'esattore, che il prefetto l1a facoltà di nominare, a spese dell'esat.
tore medesimo, nel caso d'insufficienza della cauzione 1); ma la 80 _
luzione negati va ci sembra evidente, dacchè il sorvegliante non ha
altro incarico cbe quello di esaminare i ruoli, i registri ell i bollet-
tari dell'esattore, riscontrarne le operazioni, vig·ilare sulla cassa; Ina
non può in verun caso sostituire la propria azione a quella dell'e-
sattore, nè impedirne le operazioni nè nominare o sospendere i suoi
messi 2 ); non esercita insomma alcuna attribuzione di autorità, nè può
prendere provvedimenti od emanare ordini di propria iniziativa.
17. Al pari dei funzionari governativi hanno qualità di pubblici uffi.
ciali i funzionari dei corpi amministrativi locali (Provincie e Comuni),
i quali entro una cerchia minore di territorio e sotto la suprema tu-
tela e vigilanza dello Stato adempiono a determinati fini d'interesse
generale, ed esercitano anch'essi una parte dell'autorità pubblica.
I fnnzionarii provinciali e comunali sono essi pure dei pubblici fuu-
zionarii, benchè dipendano dal Governo soltanto in una maniera in-
diretta, cioè per mezzo dell'autorità amministrativa locale; onde giu-
stamente nella dottrina germanica prendono il nome di pubblici
funzionarii mediati (Mittelbarestaatsbeamte) per contrapposto ai pub-
blici funzionarii immerliati (Unmittelbarestaatsbeamte), che sono i
funzionarii governati vi.
Nell'amministrazione provinciale sono pubblici fnnzionarii non sol·
tanto i membri del Consiglio (e quindi anche della Deputazione) pro-
vinciale, ma anche gli impiegati amministrativi o contabili della
Provincia, esclusi solo gli amanuensi e gli inservienti 3 ).
Nel Comune il primo funzionario è il Sindaco, il quale nella sua
.doppia veste di capo dell'amministrazione municipale e di uffi-
.ciale del Gonrno 4 ) esercita una tale quantità di importanti attri·
bnzioni, che fanno di lui il primo magistrato dell'amministrazione
locale. Sono pure pubblici ufticiali ì consiglieri commwli, nonchè gli
impiegati amministrativi municipali, a capo dei quali sta il segretario
conmnale, ed es"clusi anche qui gli impiegati, che prestano opera pu-
rnmente materiale, quali sono i semplici copisti e gli inservienti.
Vanno quindi compresi tra i pubblici ufticiali i maestri elementari
unitamente ai così detti depiitati cli 1:iqilcmza ed ai direttori didattici,
.ossia direttori delle scuole municipali,· a cui può essere affidata dai

1) Art. 18 della legge stessa 20 aprile 1871.


2) Regolnmento 23 dicembre 1886 per la riscossione delle imposte dirette, art. 8J ·
3 ) Il Prefetto non è funzionario provinciale, ma bensì goi·ernat-ivo, come qne!lo

.che rappresenta il Governo nella provincia.


4) Legge com. e plioY. testo unico 10 febbraio 1889, art. 121, 131 e 132.
I l'l:BBl.ICI L"FFICIALI 247

l\lunicipii la direzione e la vigilanza dell'insegnamento con deter-


utinati poteri disciplinari sugli alunni 1 ).
1s. :Son crediamo invece che possa ritenersi come un pubblico
ufficiale il medico condotto comunale, malgrado che la Corte di cas-
sazione con ripetute decisioni abbia creduto di attribuirgli tale qua-
lifica 2). Il mellico comunale non fa altro che esercitare la professione
sanitaria come tutti gli altri medici non stipendiati, non è un rap-
presentante dell'autoribì. municipale nè esercìta alcun potere che gli
derivi direttamente o imlirettanrnnte dallo Stato. La sola differenza
che passa fn• lui e gli altri medièi liberi eserce:µti, cioè non stipen-
diati, consiste nell'obbligo che egli contrae di fronte al Comune di
tenere la sua residenza nel territorio comunale e di tenersi pronto
a prestare ivi l'opera propria a favore di chiunque ne lo riChieda,
.opera che deve sempre essere gratuita per i poveri, mentre deve . di
regola essere compensata privatamente dagli ammalati non poveri,
salvo che si tratti di un Comune a condotta piena, in cui l'obbligo
della cura gratuita si estende indistintamente a tutti gli abitanti,
poveri o ricchi. Ma tale obbligo, sia che si tratti di condotta piena
-0 semipiena (cura gratuita pei soli poveri), non muta menomamente
le attribuzioni del medico condotto, non gli conferisce alcuna auto-
·rità o potere di ordine amministrativo, non lo autorizza ad emettere
<Jnalsiasi provvedimento o ad impartire ordini a nome dell'autorità
governativa o comunale; e non gli può quindi conferire la qualità
.di pubblico ufficiale.
Xè, come venne ginstamente ossenato 3 ), vale obbiettar·e che il
medico comunale procede alle necroscopie ed alle perizie sanitarie
uei casi e nei modi preveduti dalla legge, e quindi sotto tale rap-
porto esercita una funzione pubblica. L'incarico delle necroscopie e
delle perizie non è affidato dalla legge in modo speciale al medico
-condotto come tale; ma può essere conferito a q nalsiasi medico, yale
a dire a qualsiasi persona munita dei titoli legali che autorizzano
al libero esercizio dell'arte salutare. Ad ogni modo il medico muni-
cipale, quando sia chiamato dalle competenti autorità ad eseguire
un esame necroscopico od una perizia sanitaria, sarà da conside-
rarsi, al pari di q nalunq ue altro perito giudiziario, come una per-
·Sona assimilata, durante l'esercizio delle sue funzioni, ai pubblici
ufficiali, secondo il disposto dell'art. 204 cod. pen., ultimo capo.verso;
tna all'infuori di tale ipotesi, esso non è che un incaricato di un
Pnliblico servizio, a senso dell'art. 396 dello stesso codice penale.
1) Regolamento generale i)er l'istrnzione elementare, appro,·ato con R. Decreto

del 9 ottobre 1895, art. 27.


2ì Vedi fra le altre le sentenze del!' 11 gingno 1890, in causa Costautini (Legge,

l890, voi. II, pag. 457) e del 24 gennaio 1896, in causa l\fartiui (Cassazione unica,
VoluJUe VII, col. 1006).
3) CIALln, monografia citata, pag. 146.
248 I PUBBLICI UFFICI E LA GERARCHIA A~I:IUNISTRATIVA

Fin qui abbiamo parlato del medico condotto considerandolo 11 ni-


camente come tale; giacchè a diversa conclusione dovremmo venire.
se lo cansiderassimo invece nella veste di 1~ffeciale sanitario del Comune
Vufficiale sanitario, che è di diritto lo stes~;o medico condotto, q1wn 11<:
nel Comune non risiedano altri medici, ed in caso diverso vien 110 _
minato dal Prefetto snlla proposta del Consiglio comunale, esercita
importanti attribuzioni relative alla pubblica sanità, snlla qnale
spetta a lui la vigilanza in tutto il territorio comunale; egli è chia.
rnato dalla legge acl assistlclre il sindaco nell'esecuzione di tutti i
provvedimenti sanitarii emanati dall'autorìtà comnnale o superiore;
deve proporre all'approvazione della Giunta comunale il regolamento.
Rnlle speciali cautele da osservarsi negli stabilimenti, manifatture,
fabbriche e depositi insalnbri od altrimenti pericolosi alla salute
degli abitanti; può inoltre proporre alla Giunta stessa la chinsnra
dei predetti stabilimenti e l'allontanamento dei depositi insalubri 0
pericolosi; ha obbligo di ispezionare le scuole sotto l'aspetto sani-
tario, e di compilare il progetto del regolamento locale d'igiene 1).
'fntte queste attribuzioni, che 11anno immediata attinenza con uno.
dei più gravi interessi pubblici, qual' è quello della sanità, sono tali
che conferiscono indubbiamente a chi ne è investito la qualità di
pubblico funzionario.
19. _All'infuori degli enti di pubblica amministrazione, vale a dire-
dello Stato, delle Provincie e dei Comuni, nei quali ~econdo il nostro
diritto pubblico si concentra e personifica nella sua complessa inte-
g1jtà Fazione direttiva sociale, vi sono ancora altri enti, che, pur non
essendo organi diretti del pubblico potere, ::idempiono in - una sfera
subordinata a determinati fini d'interesse pubblico. Queste persone-
ginridiche minori designate llalla dottrina francese col nome di isti-
tnzioni semip1tbbliche oppure ist-itnzioni cli pubblicci 1ttilitrì per distin-
guerle dalle prime, cioè da quelle pnbbliche in senso proprio ed·
assoluto, cooperano col Governo, e sotto la sorveglianza di esso, se-
non ai fini sociali di primaria necessità,, a taluni scopi secondarii di
civiltà e di .benessere pubblico. Le forme elle possono assumere queste
istituzioni d'utilità pubblica sono molteplici, e si può dire che su
questo terreno la benefica o provvida iniziativa dei singoli individui
e delle libere associazioni trova un campo di attività illimitato. Do-
vunque vi sono miserie da soccorrere, infermi poveri da curarer
fanciulli abbandonati da educare od un altro qualunque interesse
collettivo da promuovere o favorire, là puÒ sorgere coll'approvazione
del Governo un ente morale, il quale si proponga con determinati

I) Legge sanitaria 22 dicembre 1888, art. 12 e 13; e rispettivo Regolament<>


approvato con R. Decreto 9 ottobre' 1889, art. 90, 91, 110 e 114.
I Pt:BBLICI L'FFICIA U 249

n1e,,,,zi e con
- una data1
organizzazione di raggiungere quello scopo di
•antaggio generale ).
' Tntte queste istitnzioni di beneficenza o di previdenza o di qual-
f;iasi altro scopo o carattere non esercitano propriamente alcun pub-
hlico potere, non hanno il diritto coattivo di imposizione, che è la
caratteristica degli enti statali, non emettono veri provvedimenti di
antorità; ma si limit,ano all'amministrazione del proprio patrimonio ed
all'esercizio delle loro benefid1e e provvide attribnzioni che lo Stato
uon ha loro conferite, ma soltanto riconosciute e legittimate. Quindi
tntti i fnnzionarii delle opere pie e delle altre istituzioni pubblicl1e
ili beneficenza o di previdenza non rivestono, a parer nostro, il ca-
rattere di pnbblici ufficiali, sebbene il codice penale con la formula
troppo larg·a ed incerta a1lottata nell'art. 207 possa far credere il
contrario, in quanto qualifica come pubblici ufficiali le persone ri-
yestite di pubbliche funzioni a servizio degli istituti sottoposti per
legge alla tntela dello Stato, di una Provincia o di un Comune.
Secondo questa disposizione si potrebbe forse sostenere che gli am-
ministratori e gli impiegati di un'opera pia, di ·un Monte di pietà~
di una Cassa di risparmio, di nn consorzio stradale od idraulico_ soilo
considerati come veri e proprii pubblici ufficiali 2 ); ma, malgrado
l'elasticità della_ formula legislativa, noi crediamo che sarebbe un'e-
vidente esagerazione l'estendere fino a <1uesto punto il concetto del
pubblico ufficiale, esagerazione in cui i compilatori del vigente co-
dice penale sono caduti forse col lodevole proposito di allargare il
più possibile la tutela penale, così attiva come passiva, delle fun-
zioni pubbliche e di quelle che, senza essere tali in senso proprior
presentano tutt~wia un qnalcl1e carattere di int_eresse generale.
l\fa il criterio della tutela penale non deve essere l'unico e nep-
pure il principale per det.erminare il concetto del pubblico ufficialer
il cui dato fondamentale, come abbiamo già ripetutamente osservato,
è invece rappresentato obbiettivamente dall'idea del pubblico poterer
vale a dire dall'esercizio dell'autorità sociale legalmente costituita~
in una parola dall'i-mperimn. Ora, giova ripeterlo, nessuna pubblica
autorità, nessun diritto d'iniperimn spetta ai fnnzionarii ed agli am-
ministratori delle opere pie e degli altri enti morali di utilità pubblica.
Del resto anche volendo interpretare alla lettera l'art. 207 codice
l1enale, ove si parla cli istituti sottoposti per legg·e alla tntela dello
~tato, di una Provincia o di un Comune, le stesse istituzioni di
Jlllbblica beneficenza non dovrebbero ritenersi comprese fra quegli
~nti, i cui funzionarii banno veste di pubblici ufficiali; giaccbè la

1) GIORGI, Dottrina delle persone gi1t1·idiclie, vol. V, n. 1 e segg.


2) In questo senso la nostr:i. C:i.ssHzione penale con sentenza 7 novembre 1896,_
l'ic. Blanco (Giustizia penale, vol. II, col. 1341), ba riconosciuto la qualità di p11b-
hlico ufficiale nell'amministratore di una Confraternita.
250 I Pt::BBLICI t::FFWI E LA GERAUCHIA .UD!INISTRATIV A

tutela sulle opere pie è affidata per legge 1 ) alla Giunta provincia!
.amministrativa, la quale, sebbene sia un'istituzione annessa alle
Provincia, uon può certo confondersi ed immedesimarsi con essa· a
•1uindi non si potrebbe neppure dire a rigore che le opere pie 8 ~ 11 ~
sottoposte alla tutela della Provincia.
Inoltre è da osservare cùe il testo del ripetuto art. 207 parla di
fatela, che deve tenersi ben distinta dalla semplice sorveglianza a 111 _
ministrati va; gfacchè la tntela mira ad integrare la deficiente capa.
-cità giuridica dell'ente mediante autorizzazione od approvazione degli
atti più importanti o mediante la nomina o la conferma degli a111 _
ministra tori; mentre la semplice sorveglianza si limita all'ispezione
per impedire gli abusi e le illegalitù, nell'amministrazione dell'ente.
·Ne deriva da ciò che i fnnzionarii di tutte quelle istituzioni, come
:ad esempio le. Casse di risparmio, le q nali non sono soggette a tutela,
ma soltanto a sorveglianza, non potrebbero in alcun modo essere
~onsiderati come pubblici ufficiali, a termini dell'art. 207 2 ).
Per la stessa ragione sarebbe errore il ritenere come pubblici uf-
ficiali gli agenti ed impiegati degli Istitnti di emis8ione; giacchè
tali Istituti non sono aHro che banche private costituite sotto forma
·di società anonima (così la Banca d'Italia ed il Banco di Sicilia)
autorizzate dal Governo mediante convenzione sinallagmatica all
flmettere titoli di credito al portatore aventi circolazione fiduciaria
-0 forzata; ma non sono istituzioni, che formino parte integrante del-
l'organismo dello Stato, il quale soltanto si limita ad esercitare sopra
la loro gestione una son,eglictnza (non già tutela) diretta ad impedirne
gli abusi ed a richiamare le Amministrazioni degli enti stessi all'os-
servanza delle leggi e dei patti contrattuali 3 ). La .stessa Banca
d'Italia, malgrado le sia stato affidato il servizio di tesoreria per
~onto dello Stato 4 ), conserva sempre il suo carattere di ente auto-
nomo, come società anonima bancaria, e quindi i suoi amministratori
-0 funzionari non riyestono la qualità di pubblici ufficiali. Sono bensì

l) Legge 17 luglio 1890 sulle istituzioni pubbliche di beneficenza, art. 35.


2) In questo seuso la Cassazione penale negava la qualità di pubblico ufficiale
nel cassiere di nna Cassa di risparmio (sentenz>t 18 gingno 1896, Cassazione 1rnica.
col. 956), richiamando gli art. 23 e 24 della legge 15 luglio 1888, in .virtll dei quali
. le Casse di risparmio sono sottoposte nlla semplice sorveglianza, ma non già allfl
tntela del Governo. Se non che poco dopo la stessa Corte suprema, dando nno,·a
prova della. incertezza de' snoi criterii, causa di continue oscilhtzioui nella s1ia gin·
risprudenza, decideva con altra sua sentenza del 4 dicembre 1896 (Mon. dei trib.
<li Milano, 1897, pag. 413) che 11:li impiegati di una Cassa ili risparmio o di uu
Monte di pietà sono pubblici ufficiali.
3 ) Vedi il testo unico del regolameuto per la vigilanza sulla circolazione 0
,sugli Istituti di emissione allegato P ali' art. 26 della legge 8 agosto 1895, n. 486,
.sui provvedimenti finanziarii. ·
4) Vedi la convenzione fra il Governo e la Banca d'Italia, che forma l' alle-
gato (J ali' art. 28 della stessa legge sui prov1·edimenti finanziarii.
I PGBBLICI {;"FFICIALI 251
J' i deleg·ati del Tesoro presso la stessa Banca d'Italia, i q nali
1
ta funzionari nominati e stipendiati dal Go\·erno, da cui tlipen-
~~111;: in tutto e per t~1tt~. U:no. d~i nos~ri tre_ attt~ali l~titnti di
missione, il Banco eh Napoli, s1 differenzia dagli altn due, m quanto
~on è una società di commercio formata di azionisti, ma Lensì un
il .
ute morale con esistenza .
gmr1"d"rna antonoma e con carattere per-
~etno. Tuttavia anche per il Banco di :Xapoli ei sembra doYersi ne-
\ire a' suoi amministratori ed impiegati il carattere tli pnbblici fou-
;ionari, essendo anche questo Banco un istituto autonomo con pa-
trimonio proprio, perfettamente distinto da q nello dello Stato, e
sottoposto esso pure, al pari delle altre Banche di emissione, alla
sola sorveglianza, e non gfa alla tutela dell'autorità gonruati rn;
-0nde non possiamo aderire all!opinione della Corte suprema di Roma,
che ha creduto di riconoscere un pubblico ufficiale nel direttore del
Banco di Xapoli 1 ).
È poi appena necessario aggiungere che non Yi sarebbe ragione
<li sorta per attribuire la veste di pubblici ufficiali agli auunini-
stratori, impiegati ed agenti delle altre banclle di qualunque forma
o carattere, che non sono istituti di emissione; e così correttamente
la stessa Cassazione penale ebbe a negare quella yeste nel cassiere
di una Banca popolare 2 ).
20. Accanto allo Stato, e spesso contro lo Stato, sorge un altro
potere sociale, che basa:ndosi sulla fede religiosa esercita sulla società
un'!lntorità, la quale se per il passato fn tanto grande da eclissare tal-
volta quella dello Stato, rimane anche oggi tale tla meritare la più
attenta considerazione. Le Chiese, e specialmente la Chiesa cattolfoa,
che colla sua infrenabile tendenza all'assorbimento ed al predominio
in tutti i r~pporti della vita sociale mira incessantemente ad accen-
trare in sè la suprema direzione della vita pubblica e privata, sono
enti elle vivono fnori dello Stato, talvolta da esso protetti, tal'altra
osteggiati, ma in ogni caso, come hanno fini assolntameute proprii,
tli carattere prevalentemente spirituale ed ultra terreno, così si af-
fermano antonomi ed indipendenti dal Governo laico, che esse cliia-
mano volentieri Governo ateo. Per le speciali conòizioni storico-
politiche della nostra patria troviamo fra Stato e Chiesa non soltanto
separazione, in base alla nota formula cavouriana libera Cliiesa iu
libero Sttto, ma beu anche una lotta continua, di cui non si può
~>er ora prevedere la fine; percbè è lotta di egemonia. Ad ogni motlo
e c~rto che, dal punto di vist.a rlel diritto pubblico emanante dallo
Stato, la Chiesa cattolica, sebbene proclamata dall'art. 1 dello Sta-
tuto nazionale solei religione dello Stuto, non è un'istituzione go,~er-

1) Sentenza 13 giugno 1893, in causa Cuciniello (Foro penale, vol. II, pago. 331).
2) Sentenza 2 giugno 1893, causa Serafini (Foro penale, voi. cit., pag. 318).
252. I PUBBLICI uFFICI E LA GERA!WHIA _UDIIXISTRATIVA

nativa; e perciò i ministri· e dignitarii, che compongono la vasta


gerarchia cattolica, non hanno la veste ùi pubblici ufficiali.
È bensì vero che ne1la nostra legislazione si trovano ricordati in
molte disposizioni i ministri ùel culto, e specialmente quelli della
religione cattolica, a cominciare dall'art. 33, n. 1 dello stesso Sta-
tuto fondamentale,. che menziona gli arcivescovi e vescovi dello Stato
come la prima fra le categorie, da cni possono essere scelti i sena-
tori, per finire al R. decreto rn aprile 1868 (art. 2), che regolando
l'ordine delle precei:lenze tra le varie cariche a Corte e nelle fun-
zioni pubbliche assegna ai cardinali nientemeno cl1e il primo posto,
(lamlo loro la precedenza perfino sui cavalieri dell' Ordine supremo
dell'Annunziata, i quali godono rango di cugini del Sovrano'), e
pone gli arcivescovi immediatamente J.lopo i senatori e i deputati,
e(l i vescovi subito dopo i tenenti generali, vice-ammiragli e ministri
plenipotenzhtri di prhna classe 2 ).
}fa tutte queste disposizioni, se indicano l'alto concetto in cui lo
Stato tiene la gerarchia ecclesiastica, non valgono a dimostrare che
ai dignitarii della Chiesa, per quanto collocati in grado eminente,
siasi voluto riconoscere la q ualitù di funzionari dello Stato. Si tratta
soltanto di un omaggio reso spontaneamente ùal potere ci vile al
potere religioso, senza che sia lesa con ciò la reciproca indipen-
denza ed autonomia 'dei due poteri. Lo stesso capo supremo del
cattolicismo, il Sommo Pontefiçe, sebbene dalla legge 13 maggfo 1871
sia parificato al Re per la tutela ùelhJ, sua persona, dichiarata sacra
ed inviolabile, non esercita alcuna autorità temporale in nome dello
Stato, e non è per certo nn pubblico ufficiale di fronte alle leggi
dello Stato.
Il conferimento degli uffici ecclesiastici è fatto dalla Chiesa di sna
propria autorità senza veruna partecipazione ocl ingerenza ùel po-
tere ci vile, salvo per ciò che riguarda la sorveglianza preventiva
che lo Stato esercita sotto la forma del così detto regio placet od

1) Cart:i. reale 3 giugno 1869 snll' ordine supremo della SS. Annunziata (art. 7).
2) Frn le altre disposizioni relative ai ministri del culto ricordiamo ancora quelle
dcl Codice pena.le (art. 142, che punisce le violenze e gli oltraggi commessi contro
ili loro; e art. 182-184, con cui sono repressi gli abusi, che essi possano commettere
nell'esercizio del sacro ministero), - della legge sul bollo, testo unico 13 sett. 187 1
(art . .5 e 19) che. parifica i certificati delle cancellerie religiose a quelli delle pub-
bliche Amministrazioni, - del R. decreto 27 febbraio 1886 (art. 22, 24 e 26) che am-
mette i vescovi a prendere in prestito libri dalle pubbliche biblioteche ed a fare
malleveria per i sacerdoti da loro dipendenti. L'art. 730 del Cod. di pro c. pen. che
stabiliYa doversi osservare speciali norme per le persone ecclesiast.iche da sentirsi
come testi nei procedimenti penali venne abrogato dalla legge 30 giugdo 1876 snl
giurament.o. La giurisprudenza ritiene applicabile anche ai ministri del cnlto l' arti-
colo 288 dello stesso Cod. di proc. pen. nel senso che non si possa obbligare il ~a­
cerdote a deporre in gindizio i segreti a lni affidati nella confessione (Cassazione
di Napoli, 15 febbraio 1886, rie. Settembre - Legge, 1886, voi. II, pag. 68).
I PCBBLICI CFFICIALI 253
exequatitr 1), il quale in sostanza non è altro che un riconoscimento
che il Governo fa delle nomine e provvisioni disposte dall'autoritìt
ecclesiastica, ai soli effetti del godimento delle temporalità, senza
unila aggiungere o togliere alla validità intrinseca dei provvedi-
weuti stessi; tanto è vero che non sono rari i casi di parroci o di
,·escovi, i q nali, pur non avendo ottenuto il regio assenso, e forse
senza averlo neppure richiesto, sono ammessi, ciò non ostante, al
pieno e libero esercizio delle loro funzioni spirituali, rirnanernlo sol-
tanto privi del godimento delle rendite proprie del beneficio par-
rocchiale od episcopale.
La vigilanza, o per dir meglio tutela, che il Governo esercita sulle
istituzioni ecclesiastiche ha un doppio carattere, patrimoniale cioè,
in quanto per mezzo di appositi organi, clie sono gli economati dei
benefizii vacanti, vigila alla conservazione ed alla retta amministra-
:zione del patrimonio ecc.Jesiastico, penale dall'altro canto, in quanto
reprime gli abusi, che dai ministri del culto possano commettersi
nell'esercizio del sacro ministerio; ma questa vigilanza Ò tutela non
implica una ingerenza diretta dello Stato nell'istituzione e nel con-
ferimento delle cariche ecelesiastiche; nè contiene alcuna delega-
7ione di poteri, che si faccia dallo Stato alle autorità chiesastiche;
-0nde non si può sostenere che il regio assenso circa la provvista
dei benefizii muti la natura degli uffici ecclesiastici trasformandoli
in pubbliche funzioni alla dipendenza del potere civile; per la stessa
ragione che l'e;veqitatitr concesso ai consoli nominati dagli Stati esteri
non fa sì che i consoli si possano considerare come pubblici funzio-
narii del regno.
Xè in contrario giova invocare le disposizioni del codice penale
{art. 20, n. 4 e 6), per le quali fra le incapacità derivanti dalla _con-
~lanna all'interdizione temporanea o perpetua dai pubblici ufficii è

1) Lo Stat.nto fondamentale del Regno coll'art. 18 riserva al Re, come capo del

potere esecutivo, l'esercizio della sovrana prerogativa in materia beneficiaria; ma


<ion la posteriore legge delle guarentigie pontificie (13 mnggio 1871) lo Stato rinun-
r'.ava al così detto diritto di legnria apostolica in Sicilia ed in tutto il regno al di-
ritto di nomina o prppost:t dei benefizii maggiori, come pure al giuramento dei Ye-
scovi, riservandosi soltanto la collazione dei benefizii di patronato regio (art. 15) e
nello stesso tempo si aboliva I' ~xeq11atnr e placet regio ed ogni altra forma di assenRo
·governativo per In pubblicazione ed esecuzione degli atti delle autorità ecclesiastiche,
·mantenendolo per i soli provvedimenti che rign:udano la destinazione dei beni ec-
elesiastici e la provvista dei benefizii maggiori e minori, eccettnat-i quelli della città
di Roma e delle sedi suburbicarie (art. 16) ed infine si aboliva anche il così detto
:appello ab ab1mi, vale a dire il cliritto di richiamo 011 appello contro gli atti delle
autorità ecclesiastiche, ai quali si nega però l'esecuzione coatta (art. 17). Tutte
queste disposizioni, intese ad attuare il principio della separazione della Chiesa
dallo Stato, dimostrano che nell'attuale diritto pubblico italiano la Chiesa non (,
Piìi un'istituzione governativa od ufticiale, onde la conseguenza che i suoi rappre-
sentanti o fnnzionarii non rfrestono la qualità di ufficiali dello Stato.
25± I rt:BBLICI l:FFICI E LA GERARCHIA A3DIIXISTRATIYA

compresa l'incapacità di acquistare o g·odere · un benefizio ecclesia-


stico. )falgraclo le disparità di concetti e di proposte, che su questo
punto si manifestarono nel corso dei lavori preparatorii del nnovo
codice 1 ), non v'ha dubbio che l'aver compreso la perdita del bene.
fizio fra gli effetti della interdizione dai pubblici uffici i non significa
punto che il benefizio ecclesiastico sia. stato considerato come nno.
Ilei pubblici ufficii, ma soltanto che si volle impedire che un eccle-
siastico dichiarato indegno per sentenza dei giudici continuasse a
percepire i frutti della proprietà ecclesiastica, sulla quale, come ab-
biamo già detto, lo Stato esercita la sua tutela. In altre parole col-
l'interdizione dai pubblici ufficii si è voluto togliere al ministro del
culto ciò elle gli è conferito dal regio placet od exeq·uati1r, vale a dire
nient'altro che il godimento delle temporalità; mentre per tutto il
resto, vale a dire per l'esercizio delle funzioni meramente ecclesia-
stiche, il sacerdote, benchè colpito dnil'inte~·dizione dai pubblici uf-
ficii, può rimanere in carica od essere assunto ex novo a qualsiasi
ufficio religioso per canonica istituzione ordinata dall'autorità eccle-
siastica, senza che il Governo vi possa fare alcuna opposizione.
21. Per ciò che riguarda in modo speciale i parroci una ragione
particolare di considerarli come pubblici ufficiali potrebbe- essere
l'incarico del servizio dello stato civile, che era loro affidato, secondo-
le passate legislazioni, incarico che essi ancora oggidì conservano
rispetto agli estratti dai registri delle nascite, dei matrimonii e delle
morti da essi compilati prima che venisse istituito il servizio dello.
stato civile tenuto dai sindaci 2). Ma tale considerazione manca di
base, perchè la registrazione delle nascite, dei matrimonii e delle
morti non era già una funzione affidata dalla legge civile ai parroci,
ma unicamente un obbligo loro imposto .dalle leggi della Chiesa; e
se anclle lo Stato, prima di rivendicare a sè questo importante ser-
vizio pnl>blico, si giovò talvolta dei registri parrocchiali, ciò non
vuol dire che abbia inteso di riconoscere nei parroci la qualità di
pubblici funzionarii.
Del resto, ammesso pure che i parroci possano essere considerati
come ufficiali dello stato civile, non ne scenderebbe aucora che essi
siano anche pubblici ·ufficiali; gfacchè anche péll sindaco le funzioni
dello stato ci vile rappresentano un servizio speciale da non confon-
<lersi con le attribuzioni a lui affidate come funzionario amministra-
tivo, tanto che fu perfino ritenuto che la garanzia amministrativa

I) Consulta in proposito: AZZOLINI, I parrochi e gli art. 20 e 27 Cod. pen. lin


Supplemento alla RiviBta penale, voi. III, pag. 324 e segg.).
z) In questo senso, vedi SCEVOLA, Ordinamento dello stato cirile (pag. 495 e 616) i
ed una sentenztt della Cassazione penale, 16 maggio 1892, rie. Re (Rivista penale,
volnme 36, pag. 3il), ed altra della Cassazione cli 'forino, 1. 0 settembre 1881,.
Caccia c. Castiglioni (Gi1wispr. di 'forino, 1882, pag. 29).
I PL'BBLICI UFFICIAU 255
ccorùata ai sindaci dall'art. 139 della legg·e comnnale e provinciale
~esto unieo 10 febbraio 1889) non ricopre gli atti da loro compiuti
come ufficiali dello stato ciYile 1 ).
Giova inoltre notHre che, in conseguenza dell'art. 48 delle dispo-
sizioni transitorie per l'attnazione del codice civile (approvate con
R. decreto 30 novembre 1865) non sono soltanto i parroci che con-
tinuano a funzionare come ufficiali dello stato civile per gli estratti
e certificati da ricavarsi dagli antichi registri, ma anche i ministri
degli altri culti riconoscinti, e particolarmente i rabbini, o maestri
aella religione ebraica, sono investiti di eguale mandato, in quanto.
le passate legislazioni destinarono ad uso pubblico i registri di
nascita, matrimonii e morte da essi tenuti per i proprii correligio-
narii 2); ma uon perciò alcuno 11a mai spstenuto che i rabbini deb-
bano essere considerati come pubblici fnnzionarii. Dobbiamo quin<li
conclmlere che i ministri dei culti in genere, ed i parroci in ispecie,.
non ùanno veste di pubblici ufficiali, secondo l'attuale diritto pub-
blico italiano, sebbene siano chiamati a compiere atti, ai quali la
legge attribuisce imbblica fede ed a rilasciare certificati ed attestati
riconosciuti dall'autorità civile, e siano perfino autorizzati in casi
eccezionali, cioè in luoghi di peste o di altre epideinie, a ricévere
i tefltamenti (cocl. civ. art. 789).
22. Rispetto ai cardinali, i quali, secondo la costituzione della
Chiesa cattolica, sono i consiglieri ed i collaboratori immediati del
Sommo Pontefice, di cui costituiscono il Senato, si disputò se essi
debbano essere considerati eome grandi ufficiali dello Stato, agli
effetti degli art. 724 e
725 cod. di proc. pen., i quali vietano di ci-
tare codesti dignitari a comparire come testimonii nei procedimenti
]lenali, sia nel periodo istruttorio, sia in quello del dibattimento, e
prescrivono che, occorrendo esaminare alcuna di siftatte persone, il
giudice istruttore od il pretore del luogo di loro residenza o dimora
debba recarsi col cancelliere alla loro abitazione per raccoglierne le
deposizioni.
Il tribunale di Roma con sua ordinanza dell' 8 aprile 1892 3 ) fn
d'avviso che debbano considerarsi come grandi ufficiali dello Stato,.

1) Così giudicò la Corte d'appello di Genova con sna sentenza 29 giugno 1889

(Legge, 1889, voi. II, pag. 133); ma il contrario avviso fu ritennto dalla Corte di
cas.sazione con sentenza 14 maggio 1884 (Legge, 1885, voi. I, pag. 279). Fra gli
scrittori alenni sono d'avviso che il sindaco anche nella qnalità di ufficiale dello
stato civile sia protetto dalla garnnzia amministrati va; ma l'opinione contraria è
Prevalente, Vedan~i gli scrittori citati nell'uno e nell'altro senso dal SAREDO nel
~no commento alla legge com. e prov., voi. III, pag. 422.
:) Piemonte, regio patenti 20 gingno 1837, art. 40; Lombardo-Veneto, detenni-
llazione della I. R. Reggenza cesarea, 19 dicembre 1815 e 19 gennaio 1816, ~ 15 e 21..
3) In cansa Amalfitano c. Oreglia (pnbblicata nella Ridsta di dii'itto ecclesiastico,

" 01 • II, pag. 617).


256 I PL"BBLICI UFFICI E LA GERARCHIA AlDUNISTRATIV A

e non possono quindi essere clliamati a comparire come testi in Sede


penale, i soli cardinali che rivestono in pari tempo anche la dignità
vescovile, vale a· dire i soli carclinali appartenent,i alPordine dei
vescovi, ad esclusione degli altri due ordini, che sono, come è noto
quelli dei pret.i e dei diaconi. '
Questa soluzione, elle si fondava principalmente sul R. decreto
19 aprile 18G8, sull'ordine delle precedenze a Corte, fn da taluno cen-
surata 1 ), da altri approvata 2 ); ma a noi sembra che, pur voledosi
concedere ai principi della Chiesa il privilegio dell'audizione a do-
micilio, il che in sostanza più che un tema di interpretazione giu-
ridica costituisce una quistione di convenienza politica, non si può
dedurne che a tutti gli altri effetti di legge i cardinali rivestano la
qualità di pubblici ufficiali. Tale qualità non può derivare clte da
un mandato conferito dallo Stato, con relativa delegazione di poteri;
ùra nessun mandato è attribuito dalla legge ai cardinali, nè essi
.adempiono alcun ufficio od esercitano veruna attribuzione in nome
dell'autorità civile: la loro alta autorità cleri va unicamente dalla
Santa Sede ed il loro campo d'azione, per quanto vasto, non esce
dai limiti degli affari ecclesiastici.
Certamente, se si potesse ammettere che la Santa Sede costituisce
:anche ogg'i uno Stato autonomo, i cardinali sarebbero grandi ufficiali
di siffatto Stato, ma non mai del Regno d'Italia, elle non esercita
.alcuna ingerenza nè nella loro nomina, nè nelle loro funzioni, limi-
tandosi a garantirne l'indipendenza e la sicurezza durante la rn-
-canza della sede pontificia e nelle adunanze del Conclave e <lei Con·
.cilii ecumenici 3 ).
23. Un'azienda commerciale di trasporti, che nella vita moderna
va assumendo sempre più il carattere e l'importanza di imo fra i
prirnarii servizii pu bbliei, è quella delle ferrovie. La necessità della
~oncessione governativa per le espropriazioni forzate occorrenti alla
.costruzione delle linee ferroviarie, i contributi obbligatorii o facol-
tativi degli enti amministrati d nelle relative spese, e più di tutto il
dovere che incombe all'autorità di tutelare la sicurezza delìe persone
di fronte ai gravi pericoli, che presenta un tale mezzo di trasporto,
fanno sì che lo Stato, se pnre non si assume direttamente l'esercizio
dell'intrapresa ferroviaria, esercita sempre su di essa una continua
-e stretta sorveglianza. Ma basterà ciò percllè si possa dire elle gli
agenti ed impiegati addetti al servizio ferroviario sono pubblici nf·
ficiali 1 Se le ferroYie fossero costruite ed esercitate direttamente

1) LESSONA, in un articolo intitolato I cardinali testimoni (La Gi'ltstizia, anno III,


n. 15).
2) GIUSTINIANI, I cardinali ed il pi·ivilegio di cui agli articoli 723 e 724 Cod.
<li proc. pen. (R-ivista di dir. eccles., voi. II, pag. 577).
3) Legge 13 maggio 1871, sulle prerogative del Sommo Pontefice, art. 6.
I PUBBLICI l:FFIC.IAU 257
~lallo Stato, la risposta affermativa rion sarebbe dubbia, perchè ci
tro,·erernrno davanti a persone investite per legittima delegnzione
~li attrilmzioni e poteri derivanti direttamente dall'autorità co-
.stitnita.
)fa col sistema mlottato in Italia dalla legge 27 aprile J 885 sulle
4~ 0 nvenzioni ferroviarie, l'esercizio delle strade ferrate italiane venne
~iflidato a tre grandi società anonime per azioni, una · per ciascuna
.clelle tre reti, Mediterranea, A<lriatica e Sicula, in cui fo ripartito
il territorio ferroviario della penisQla. Alle stesse società vengono
per lo più affidate ancl1e le costruzioni dei nuovi tronchi di ferrovia.
Con questo sistema gli impiegati ed agenti delle ferrovie, per quanto
siano elevati in grado, .non sono rappresentanti dello Stato, ma sol-
tanto (lelle società, dalle quali ricevono nomina e stipendio e da
.cui unicamente dipendono.
È bensì vero che per le disposizioni della legge sni lavori pub-
l!lici 20 marzo 1865, allegato F (art. 303, 307, 30!), 310, 314 e 316)
·e del regolamento 31 ottobre 1873 sulla polizia delle strade ferrate
.gli agenti addetti all'esercizio, alla custodia ed alla manutenzione
~!elle ft>;rrovie sono incaricati di invigilare al mantenimento dell'or-
<line e della sicnrezza nel recinto della strada fermta e nelle sne
<lipendenze, con la facoltà <li far allontanare qnalunqne persona vi
si sia indebitamente introdotta e di rimuovere q 11alsiasi opera otl
-oggetto dannoso al serYizio, richietlernlo, 1n caso di resistenza, l'as-
sistenza della forza pubblica; ed i verbali stesi dagli stessi fnnzio-
narii, impiegati e<l agenti per accertare le infrazioni alle disposizioni
1li polizia ferroviaria, .sia che costituiscano delitti, o semplici con-
travvenzioni, fanno fede fino a prova contraria per fatti punibili
·con pene non maggiori delle correzionali.
:l\la <)neste attribuzioni, se valgono a dimostrare che gli agenti
fcrroviarii sono persone incaricate di un pubblico servizio, nel senso
~li cni alPart. 3DG del codice penale, non sono tali,. a parer nostro,
·da attrilmir loro la veste di pubblici ufficiali, come si vuole da qnalcl1P
scrittore 1), per la stessa ragione che nessuno ha mai pensato a qna-
liti.care come pubblico ufficiale nn operaio 011 il custode incaricato
<li i1frig;ilare alla sicurezza ed alla custodia di un opificio o di nn
{1nalsiasi stabilimento governativo.

1) In questo senso opina il CIA LFI, il quale nel suo citnto studio Dei 1mbblici uf-
ficiali per gli e.(f'etti della legge prnale (Ridsta pt,nale, Yol. 330, png. 144) è d'11Yviso clw
gli agenti ferr.odnrii debbano consiclerarsi come pnbbÙci ufJlciali in qnnnto invigi-
lano e proYYedono ali.i polizia ed alla sicurezza delle ferrovie. Il THAYAGLIA nella
·~ll:t Gnicla pratica, ~ 280·, sostiene in,·ece che nessnno degli impieg:tti ferroviarii, dal
piìt nmile nl piìl eleYnto, è pubblico nfficin1e, non rnn·isnndosi in alcnno .la fnnzionc
llllbbli~a. In questo stesso senso, conforme allit nostm opinione, si vegga altresì un
nrticolo del GIA)IPIETIW, Il 1mbblico ufficiale per gli ~ffetti della legge penale (Sup-
Jilcmento alla Ril'ista penale,, voi. IV, png. 49 e segnenti).
258 I PGBBLICI UFFICI E J,A GERARCHIA A~DllN'ISTIUTIV A

Le attribuzioni testè accennate, elle sono affidate ai fer:rovieri, noh


implicano alcun esercizio speciale di puùblica autorità; esse non son1}
altro cl.te il mezzo per assicurare l'esatto e sicuro funzionamento.
del servizio ferroviario, ed in sostanza si pui> dire che la legge non
conferisce agli agenti delle strade ferrate un potere maggiore di
q nello che spetta naturalmente ad ogni privato imlividno; giacchii
it tutti è concesso. di in voeare l'assistenza della forza puùùlica pei·
la tutela dell'ordine puùùlico e della sicurezza generale minacciata
da un pericolo serio ed imminente, ed il codice di procedura penale
stabilisce ben ancl1e la facoltà nel privato di arrestare i colpevoli
in flagranza di reato.
Neppure il giuramento~ che gli impiegati eù agenti delle ferrovier
compresi perfino i cantonieri, i guardiani e gli altri agenti subal-
terni delle ferrovie esercitate dal Govemo, debbono prestare, a ter-
mine dell'art. 314 della legge sui larnri puùblici, vale ad irnprimer1~
a questi impiegati ed agenti il carattere di puùhlici ufficiali; poicM
il giuramento per sè stesso non è altro che una solenne promessa
<li adempiere fedelmente i proprii doveri 1 ); ma 11.011 implica punto
elle chi è chiamato a prestarlo debba per ciò solo rivestire la qnalitù
di pubblico ufficiale, tanto è vero clie ad esempio i regolamenti mi-
litari prescrivono il giuramento per tutti .i soldati dell'esercito, i·
quali certo 'non sono pubblici ufficiali.
Parimenti il potere di elevare verbale per le contravvenzioni alle
leggi ed ai regolamenti snlla ferrovia non importa alcuna fnnzione
pubblica; perchè il verbale in sostanza non è che una denunzia qua-
lificata, tanto che gli agenti, quando si tratti di ferrovie non eser-
citate dallo Stato (come è oggidì il caso per tutte le ferrovie ita-
liane), sono tenuti a confermarlo mediante giuramento davanti al
pretore; ornle si può dire che il Yerbale redatto dal ferroviere pre-
senta un'efficacia probatoria di poco superiore a quella tli mm de-
nuncia o querela fatta da un privat.o qualsiasi.
Le facoltà concesse dalla legge ai ferrovieri sono meno larghe di
quelle accordate alle gnanlie campestri private, i cui verbali fanrn~
sempre fede in giudizio fino a prova contraria 2 ); le quali guardie·

1) La formula di giurament.o adottata, secondo le diBposizio11i regolamentnri, per

i ferrovieri, è la seguente: « Ginro di essere ferlele al re, di osservare fedelmente lo


statuto e tutte le leggi del regno, di adempiere da nomo cli onore le funzioni affi-
datemi cli. .• (e qni si specifica il servizio, a cni l'impiegato è nddetto), eù ognf
altra, a cui in seguito possa essere chiamato dal!' Amministrazione di det.t.e strado-
ferrate, di veglia.re con tutta diligenza onde le leggi, i regolamenti e gli ordini
in materia di strade ferrate ricevano piena ed esatta eRecuzione, e di es~ere sempre
veritiero e coscienzioso nei verbali di co11trnvvenzione che dovrò redigere». Vedi
l'art. 2 delle norme sul personnle della Rete Mediterranea, approvate c;on Ordine
generale cli servizio, n. 288 del 1886.
2) Legge 21 dicembre 1890, sugli ufficiali ed agenti ili pubblica sicurezza, art. <15.
I PUBBLICI l:FFICIALI 259
tnttavia non possono essere considerate come pubblici ufficiali, come
riconobbe altra volta la stessa Corte ~;nprerna 1 ), sebbene da ultimo
per nna inesplicabile tendenza ad esagerare fnori d'og:ni misnra l'e-
stensione del concetto di pnbhlico ufficiale siasi lasciata andare <Hl
accogliere l'opinione contraria 2 ).
J{iteniamo pertanto che in nessun caso gli impiegati ed agenti
delle ferrovie esercitate (la privati o da società rivestano la f[nalibì,
di pnl>blici ufficiali; nè a rimuoverci da questa opinione valgono le
decis'ioni, per qmmto recent.i e numerose, con le f[ nali la nostra Cas-
~azione penale, sempre dominata dalla sna enonea tendenz::i, ha
crednto di riconoscere nn pubblico ufficiale non soltanto, che sarebbe
meno male, in nn capo8tazione 3 ), ma benanco in un sernplice assi8tente
ferroviario 4) e perfino in nn povero g1utrrla.sala 5 ). Andando avanti
di questo passo non si vede perchè non si dovrebbe riconoscere la
veste di pubblico ufficiale anche ai facchini incaricati del trasporto
e della spedizione ilei bagagli, del caricamento e scaricamento delle
merci sni carri delle ferrovie ed ai manovali .addetti alla pnlitura
delle vettnre !
Inoltre giova riflettere che, ammettendo nei ferrovieri la qnalihì,
ili pubblici ufficiali, bisognerebbe pnre ammetterla, volendo essere
coni,,eguenti, negli impiegati ed agenti delle ferrovie economiche e
1lelle tra1wc-ie, e specialmente delle trnmvie a trazione meccanica
(a vapore od elettriche); giaccltè anche queste ultime, elle in sostanza
sono vere ferrovie economiche a scartamento ridotto e correnti sulle
strade ordinarie, adempiono ad nn servizio pubblico di trasporto,
e i,,ono sottoposte, al pari delle fenovie, alla sorveglianza dell'auto·
rità amministrati va, alla quale spetta prescrivere le norme neces-
sarie per garantire la sicm·ezza tlelle persone di fronte ai serii lJC-
ricoli, che presentano siffatti sistemi di locomozione, particolarmente
nell'interno delle città e degli altri luoghi abitati 6 ); e I' es.atta osser-

1) Sentenza 24 agosto 1893 (Gi·nrispr. pen., voi. XIV, pag. 9).


2) Sentenza 26 febbraio 1896 (Legge, 1896, voi. I, png. 745).
3) Sentenza 28 gemrnio 1895 (Giust. pen., col. 278).
4) Sentenza 17 agosto 1895 (ivi, col. 1258).
3 ) Sentenza 21 gennaio 1895 (ivi, col. 170).
6 ) Vedi una sente11za della Cassazione di Torino, 23 luglio 1879 (Le11!Je, 1880,

parte II, pag. 194), la quale giudicò legale il manifesto del Prefetto che, in man-
canza di legge o regolame11to speciale, abbia provvednto a regolare la circolazione
dei trnmvai a vapore, comminnndo le opportune llenalità ni contravvent.ori. Del
i·esto, anche prima della recente legge 27 dicembre 1896, ri. 561, ritlettente le tramvio
a trazione meccanica e le ferrovie economiche, la nostra pratica amministrativa avent
già proclttmata ripetutamente l'ingerenza della pubblica Autorità in tutto ciò che ri-
guarda l'esercizio delle linee tramviarie, specialmente dal pnnto di vista della sicu-
rezza pubblica. Con le circolari 20 giugno 1879 e 15 nornmbre 1880 (inserite a pag. 52
e 61 del volume I tramwafa del BENVENUTI, Firenze, 1884) venne espressamente
l'iconosciuta l' a11plicabilità alle tram vie a vapore delle prescrizioni del regolamento
260 I Pl'BBUCI l:FFICI E f,A GERARCHIA AllMINCSTRATIV A

Yanza di tali norme è affidata.agli stessi agenti delle linee tranviarie


ni quali pure è concesso d'invocare l'assistenza della forza pubblici:
nel caso che incontrino resistenza per parte di chicchessia; ma non
per questo si ardì mai da nessuno sostenere che questi agenti o fat-
rorini tranviarii debbano essere qualificati come pubblici ufficiali.
d1è anzi la stessa Corte suprema penale, pnr essendo tanto corriva'
ad estendere tale qualifica oltre ogni limi.te plausibile, trovò perfino
<li negar loro anche la semplice qualifica di persone legittim!lrnente
incaricate di un pubblico xervizio, !li sensi dell'art. 260 del cessato
<:odice penale del 1859, che puniva l'oltraggio commesso contro qua-
lunque agente o depositario della forza pubblica od altra persona
legittimamente incaricata di pubblico servizio i).

CAPO II.

EVOLUZIONE S'L'ORICA DEI PUBBLICI U.FFIOI.

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;31 ottobre 1873 sulla polizia delle strade ferrate. Secondo l'art. 44 della reecntr
legge test,è citat'i del 27 dicembre 1896, gli agenti delle tramYie e delle ferro>i<'
economiche sn strade ordinarie sono eqniparati ad agenti di polizia stradale, col
mandato cli far ossenare le prescrizioni del regolamento di polizia stradale.
1) Sentenza i.o gingno 1889 (Legge, 1889, Yol. II, pag. 750). Posteriormente peri•

la Corte snprcma mutò in parte il sno aYviso, aYendo ritenuto con altra sua dc-
~·isioue del 20 marzo 189-! (Mon. dei trib., pag. 579) che il capostazione o capotren"
di una tramYia a vapore, pnr non essendo pubblico nf'ficiale, è una persona incu·
Ticata di nu pubblico servizio agli effetti dell'art. 396 Cod. penale.
EVOLUZIONE STORICA DEI PUBBLICI t:FFICI 2'61

§ 1. - Evo antico.

So}flIARIO. - 2J. Utilità cli questo studio storico. - 25. Carattere s:icerclotnle delle
cariche pubbliche nei primordii della civiltà grecn. · - 26. I supremi uffici in
Creta ed 11 Spartn. - 27. Ln gernrchia·nmministrativn in Atene. - 28. I poteri
pubblici in Romn sotto i re. - 29. Le nuove magistrature create dalla repabblict1.
_ 30. Condizioni per pot.er aspirare alle cariche; e sistemi cli elezione. - 31. I
consoli. - 32, Il dittatore. - 33. I pretori ed i censori. - 3J. I tribnui delb
plebe. - 35. Gli edili, i questori e le magistrature miuori. - 36. Mutamenti
recati dall'impero. ·- 37. I prefetti del pretorio, della città e dei ,·igili.

2±. Prima di esporre l'attuale ordinamento della gerarchia ammi ·


nistrativa nello Stato italiano giova ricordare in un breve quadro
storico quale sia stata l'organizzazione dei pubblici ufficii nelle ci-
viltà che precedettero la nostra, e dalle quali questa deriva storicn-
mente. Senza conoscere, almeno nelle sue linee principali, l'evoln·
zione, cui andarono soggetti i pubblici ufficii nelle diverse forme di
governo e di ordinamenti amministrativi, da cui fu retta nei secoli
passàti la nostra patria, sarebùe impossibile comprendere pienamente
lo spirito ed il carattere giuridico-sociale delle istituzioni attuali.
Soltanto col confronto del passato è dato di meglio comprendere il
presente. Dalla storia apprenderemo quanta diversità vi sia stab
fra un'epoca e l'altr~ nello stesso concetto fondamentale dell'autoriti1
pubblica e dei funzionarii che la personificano, quanto diversi siano
statì i sistemi adottati per il conferimento delle cariche, e di verse
le condizioni fatte ai pubblici funzionarii, sia per ciò che riguarda i
loro poteri, diritti e prerogative, sia per gli obblighi loro imposti e
le relative sanzioni di responsaùilità.
25. Lasciando da parte le antichissime civiltà orientali, che hamrn
con la nostra un nesso meno stretto, prendiamo le mosse dalla Greci;!,
la cui civiltà esercitò indubbiamente un'influenza diretta ed effim1-
cissima sn quella romana, e per mezzo di questa su tutta la civilt:ì,
medioevale e moderna.
:Negli albori della civiltà, greca l'autorità politica con tutte· le
t:nnzioni giudiziarie ell amministrative, che le sono inerenti, si con·
fondeva, come sempre nei primordii di ogni Stato, con l'antoritù
religiosa; il sacerdote era ad un tempo il re, e funzionava nella sua
'lllalità di rappresentante degli Dei come legislatore, giudice, go-
vernatore della città e condottiero dell'esercito. Più tardi, subentrate~
a~la monarchia il goveruo repubblicano e sorte le magistrature pe·
rtodiche ed èlettive, queste, per forza della tradizione, mantennero
ancora per lungo tempo un carattere sacro, tanto che i Greci, anche
llei secoli della loro maggior ci viltà, per designare in generale i ma-
262 I l'CllBLICI uFFICI !è LA GEIL\IWHI.\. A)D!IXIST!UTIVA

gistrati si seni vano <li nn'espressione ci i:i rii.< i, la quale alla lettera
significa i sacrijicanti.
Questo carattere sacerdotale delle antiche magistratnre elleniche
si rh·ela sopratutto nel modo con cui esse erano conferite. La scelta
dei go\·ernanti e <lei principali fnnzionarii era considerata come una
attribuzione <lella voloutà divina, la quale Rotto il primi ti rn regime
monarchico si manifestava con la legge uaturale e religiosa della
successione di padre in figlio; e posteriormente, dopo scomparsa la
monarchia, il popolo cre<lette di non poterla meglio scrutare che col
sorteggio; onde l'estrazione a sorte (xU;po;), che si adoperava ad
esempio in Atene per l'elezione degli arconti e dei senatori, era
considerata come mm diretta rh'elazione del volere di vino. Da ciò
deriYava il prestigio, ornle erano circondate le cariche pubbliclw
11nche in tempo di regime democratico, per qnanto la tendenza <lella
democrazia sia stata fin d'allora q ueJh{ di sostitnire l'elezione popo-
lare a qualsiasi altro sistema di conferimento delle cariche pubbliche.
2G. In Creta il potere eseenti rn era affidato nelle mani di dieci
magistrati chiamati cos1wi, vale a dire ordinatori, che dura vano iu
carica un anno con facoltà di rinunziarvi quando volessero; ma so-
vente venivano deposti, prima che finisse l'anno, dai loro propri
colleg11i o da qualche coalizione di potenti cittadini. A quanto narra
Aristotele nella sua Politica, i fu11zionarii p11bl1lici in Creta percepi-
vano una retribuzione sni proventi dello Stato; giacchè dei proven1i
del pubblico erario si facevano <lne parti, l'nna destinata . al cnlto
religioso ed al mantenimento dei fonzionarii, e l'altra per i pasti iJI
com une ossia pei pubblici con viti.
A Sparta l'esercizio dei pubblici poteri era affidato a due re ere-
ditarii e ad un Senato composto di trenta membri nominati a vita,
t> di età non inferiore ai sessant'anni. Ma su tntte le rna~fatratnre
spartane q nella che a ve va il predominio erano i cinque ~fori, magi·
strati popolari, eletti per suftragio universale e scelti il piìì. delle
volte nei ceti piìì. bassi, coll'incarico di esercitare una rigorosa sor-
veglianza sn tutti i pubblici fnnzionarii, cni essi a ve vano facoltà di
intlig·gere multe, di sospenderli dall'esercizio delle loro funzioni, c
perfino di imprigionarli e di aeensarli in giudizio capitale.
~7. Ad Atene, ove, come abbiamo giò, accennato poc'anzi, nel
.conferimento delle cnriche prernleva il sistema del sot-tilegio, la
somma del potere era esercitata <la un gran namero di pubblici uffi·
dali. Vi era anzitutto l'arconte, da cui prendeva nome l'anno; il re,
incaricato dei pubblici sacritizii; il polemarca, cni spetta va il comando
dell'esercito, nonchè la giurisdizione sugli stranieri; i sei tesmoteti,
ehe alllmiuistnrnmo la giustizia fra i cittadini, presiedendo i nume:
rosi ginrì popolari, da cui erano llecise tutte le liti (tribunali degl~
.eliasti). Oltre queste ed altre molteplici cariche Ye ne erano poi
ancora altre di origine e di carattere più particolarmwte dernocra-
lffOIXZIOXE STORICA DEl PUBBLlCI CFl'ICI 263
tico, le qnali, spoglie com'erano, a differenza delle prime, di qual-
:Siasi veste sacerdotale, avevano la missione di provvedere ai bisogni
materiali della cittù. Erano i dieci strategi, incaricati degli affari della
,,.uerra e della politica estera; i dieci a8tinomi, a cui era affidata la
_,,..
polizia; i 11ieci agomn01ni, che invigilavano sui pubblici mercati della
città e del Pireo; i quindici metronomi, che controllavano i pesi e
le rnisnre; dieci guardiani del tesoro ed altrettanti revisori delle
.contabilità amministrative, ed infine gli urnlici incaricati dell' esecu-
zione delle sentenze.
Con un sì gran unmero di pubblici ufficii, la cui durata era per
regola annuale, e non rinnovabile nella stessa persona se non dopo
un anno d'intervallo, è facile immaginarsi quanto dovesse essere
vasta la gerarchia dei funzionarii, tanto che non si poteva quasi
mnovere passo .in città od in campagna senza imbattersi in un fun-
zionario; e non vi era cittadino, per quanto di modesta condizione,
che non potesse spérare di coprire alla sua volta qualche pubblico
ufficio, sia che ve lo chiamasse la sorte, o il voto i1opolare. Sembre-
rebbe che tutti questi funzionarii designati dalla sorte od eletti dai
suffragi dei concittadini dovessero a vere poco prestigio e godere di
ben limitata autorità; ma così non era, perchè il popolo ateniese,
abituato per lunga tradizione alla disciplina del primitivo governo
ieratico, nutri va un alto rispetto verso lo Stato, rappresentato allora
..].alla città (;;6Ài~), e per tntti coloro che ne esercitavano i poteri e
le fnnzioni. Non si potrebbe tuttavia affermare che i magistrati ate-
niesi godessero dello stesso rispetto e della medesima autoritù, che
rivestivano, ad esempio, gli efori a Sparta ed i consoli a Roma;
gfacchè ad Atene non soltanto un fnnzionario era tenuto a presen-
tare il rendiconto alla scadenza del s110 ufficio, ma anche durante
l'anno della carica poteva essere chiamato responsabile e dichiarato
~lecaduto mediante nu voto popolare.
Al disopra della vasta gerarchia incaricata di far eseguire le leggi
e di vegliare alla sicurezza intema ed esterna dello Stato vi era ad
Atene Ìm alto corpo consultivo, il Senato, i cui componenti erano
.scelti annualmente mediante estrazione a sorte: ma ogni nome uscito
dall'urna veniva preventivamente sottoposto ad un esame critico ed
t·ra rigorosamente scartato, se risultava di dubbia onorabilità. Il
Senato ateniese deliberava su tutti gli interessi religiosi e politici
~lella città, ma non esercitava alcun potere legislativo, essendo questo
riservato all'assemblea generale del popolo (ix"/J.'f/'7{ (X). Per poter far
parte del Senato occorreva l'età di 30 anni, e così pure per il tri-
bunale popolare degli eliasti; e quanto alle cariche di ambasciatore
~· di generale si richiedeva per di più essere nato in Atene, essere
I1adre di figli legittimi e possedere beni stabili nel territorio dell' At-
tica; condizioni queste che sembra vano necessarie per assicurare la
•·ondotta prudente cli quei funzionarii, dai quali dipendevano i de-
264 I pi;BBLICI UFFICI E LA GEIL\ RCHL\ .·UDII~ISTUATIV A

stini della patria, potendo facilmente la loro temerità. av\'enturare-


la patria in imprese· arrischiate o rovinose.
Ogni funzionario era tenuto a prestar giuramento prima di assu-
mere l'esercizio delle sue funzioni, e per ciascuna categoria di pub-
blici ufficiali era prescritta una determinata formull:!- di giuramento.
Da -principio in Atene tutte le cariche pubbliche_ erano gratuite,
ma più tardi tanto ai senatori che :.11 giudici venne assegnata una
retribuzione; e ciò fu causa di un inconveniente già deplorato (la
Aristotele, il qnale, osservando che l'attrattiva del compenso stabilit(>
per ogni intervento del funzionario alle riunioni del Senato o del
tribunale faceva sì che i funzionarii poveri si mostrassero molto più
assidui· dei loro colleghi forniti di largo censo, lamentava che oltre
all'indennità di presenza per gli intervenuti non si fosse stabilita
anche una multa a carico deg-Ii assenti, onde stimolare l'assidt\ità
dei fnnzionarii ricclti.
Ogni pubblico ufficiale al suo scadere cli carica, cioè di regola ali(>
spira.re di un anno dalla nomina, era tennto a render conto della
maniera, con cni ave va esercitato i suoi poteri. Un collegio speciale
era inc<tricato di questo controllo amministrativo obbligatorio, ed era
quello detto dei logisti e degli entiini, davanti ai quali tutti i fnnzio~­
narii usciti di carica erano tenuti a comparire per render conto del
proprio operato. Presentatosi l'ex-funzionario davanti questo tribunale
di controllo, un ·araldo col grillo ·d; (jc-JÌ.o':et.i z.et.':YJ/~p:."lv-:- clii vuole
accusare~ - invitava tutti i cittadini a presentare le loro lagnanze ed
a muovere le loro accuse contro il funzionario stesso. Se a questo in-
vito qualche voce si levava a proporre un'accusa, i logisti la pren-
devano in esame, e, trovandola fondata, rinviavano il colpevole dayanti
al tribunale ordinario degli eliasti, al quale spettava applicare la pena.
28. Anche a Roma, dove fin dai prirnordii la costituzione politica
ebbe per base la sovranità del popolo, ossia dei quiriti, l'esercizio-
_del potere rivestì un carattere sacerdotale, a cominciare dall'epoca
regia, allorchè il re eletto dai Oomizii e confermato dal Senato (pa-
trmn aiwtoritas) non poteva assumere l'iniperimn se non dopo avei·
ottenuto un segno del favore divino per mezzo degli auspicii consul-
tati sulla rocca Capitolina. Dopo questo solenne atto di consacrazione
l'eletto assumeva anche il carattere (li gran sacerdote del culto uffi-
ciale con determinate attribuzioni religiose, e soltanto allora poteva
convocare i comizii curiati per esserne investito dei pieni poteri (iu,..,
vitae necisqiie) mediante la lex citriata, de i1nperio. Più tardi, sotto la
repubblica, i due capi supremi del potere, vale a dire i dne consoli
eletti annualmente dal popoloi erano anch'essi rivestiti di un carat-
r,ere sacerdotale; e non soltanto per i consoli, ma in generale per
tutte le magistrature patrizie (pretori, censori, edili) erano prescritte
determinate funzioni religiose, e particolarmente la consultazione
degli auspici, che era necessaria prima della riunione dei comizii per
EVOLUZIO:NE STORICA DEI PUBBLICI Ut'FICI 263
procedere alla. nomina dei magistrati; come anche prima che essi
assnmesse.ro l'esercizio delle loro funzioni o che i comandanti in capo
dell'esercito partissero per la guerra e per la provincia loro asse-
owita (jtts auspiciormn).
" , Sotto i re la gerarchia <lei fnnzionarii romani era costituita prin-
cipalmente dal tribmius celennn, comandante della cavalleria, delegato
dal re a presiedere i Comizii ed il Senato e <lalpraejectits iirbis, in-
caricato <li custodire la città e di mantenervi la sicurezza e l'ordine
pubblico durante l'assenza del re. Per l'amministrazione della g'iu-
stizia vi erano i dnmnviri perduellionis, che costituivano nn tribunale
straordinHio per giudicare dei delitti di lesa maestà e di alto tradi-
mento verso la patria, ed i quciestores pnrrfoidii che giudicavano di tutti
i reati comuni. Per il culto pubblico il re funzionava da gran sacer-
dote, assistito dai tre colleghi dei pontefici, degli augnri e dei feciali.
:rn. Sotto la repubblica gli uffici pubblici (magistrnttts) si distinsero
tn magistrature patrizie, cioè accessibili ai soli discendenti delle an-
tiche flÙuiglie nobili e plebee, riservate cioè alla plebe costituita dai
eittadini liberi non appartenenti al patriziato e provenienti per la
mag·gior parte dagli schiavi affrancati e dai cittadini delle città mu-
nicipali. Le cariche patrizie conservarono sempre, almeno nella forma 1
un carattere sacerdotale, in quanto il loro conferimento doveva sempre
farsi anspicato, cioè doveva essere prece<luto dalla consultazione degli
auspicii; a differenza dalle cariche plebee, che venivano conferite
inauspicato.
Alle magistrature patrizie, . distinte in maggiori e minori, appar-
tenev~no quattro magist1·atn1·e ordinarie, il consolato, la pretura, la
censura e l'edilità curule, ed nna straordinaria, la dittatura. Tntte
queste magistrature si chiamavano cnrnli, percliè erano accompagnate
<la speciali distinzioni d'onore (uso della sedia detta cnrnle).
Tutti gli nflicii pubblici sotto la repubblica erano elettivi, all ec-
cezione di alcnni pochi: ma si distingnevano da quelli del prece-
llente regime monarchico anzitutto percliè assolntameute gratuiti ed
onorarii, tanto che erano sinonimi honorem e magistmtmn r;erere, in
secondo lno~·o perchè temporanei, e qnasi sempre annuali, in terzo
lnogo per la loro forma collegiale, costituita in generale di 2, 3 <>
10 membri, ed infine per la responsabilità dei funzionarii di fronte
al popolo, g'iacchè tutti i fnnzionarii di q nalsiasi grado erano tenuti
a render conto della loro gestione della cosa pubblica. Il pri Yilegio
della irresponsabilità, o, per dir meglio, della insindacabilità era
ammesso bensì per i dittatori, i censori ed i tribuni del popolo; ma
la storia non manca di esempii, in cui non soltanto consoli e pretori 1
111 a henanclie dittatori e tribuni della plebe furono accusati tlantnti
ai concilin plebis per abusi commessi nell'esercizio delle loro funzioni.
I pubblici fnnzionarii, nella loro qualitù di eletti del popolo, lll}
Personificavano la dignità, ed ognuno, cittadino o straniero, doveva
266 I l'liBBLI<'l t.:FFICI E LA GE!L\l:C:HIA A)DIIXISTRATIVA

loro il più alto rispetto, che si manifesta rn con determinati segni


esteriori di ossequio, come il levarsi in piedi alla loro l~resenza, il
~edere loro il passo nella strada, lo scoprirsi il capo e simili. Uhi
.offendeva i magistrati romani offendeva il popolo romano, ed era reo
di un crimen majestatis.
I poteri generali (lei pubblici fnnzionarii si riassumevano nélla
potefltas e ne1P.imperium. La prima comprendeva il diritto di emanare
editti (izis edicendi) contenenti norme ginridiche aventi forza obbli-
gatoria per tntta la dnrata dell'ufficio di chi le aveva emesse; il
diritto (li coercizione (ius mnltae <1-iction-is et pignoris cnpioni.~) per
costring·ere i cittarlini all'osservanza degli editti e degli ordini dati
dal magistrato e per punire coloro che gli mancassero di rispetto:
il diritto di convocare il popolo (.ius contionem habendi) onde fargli
una comunicazione o proporgli un progetto di legge (roglltio) da
presentarsi poi ai cornizii per la definitiva approvazione, e per ul-
timo il diritto di far rinviare ad altro giorno le delil>erazioni dei
~omizii convocati ljiis obnmitiationis).
L'·imperiwn compremle,·a il comando militare e la giurisdizione
penale col jus et necis, e si chiamava imperium mermn 1), ossia pieno
quando non era limitato <lal diritto di appello al popolo (jits proi·o-
ca.tionis). Ad ogni modo l'imperio, anclle quando non era merum,
<lava Rempre facoltà al pubblico funzionario, che ne era in vestito,
di imprigionare i cittadini e di sottoporli a determinate pene cor-
porali. Come insegne dell'imperio i magistrati erano preceduti, ogni
volta elle uscivano in pnbl>lico, dai lit.tori coi fasci tli verghe in
ispalla; ai fasci si aggiungeva la scnre, quando il funzionario avern
il merwn imperiu.m.
Ogni magistrato, ricevendo rlirettamente i suoi poteri dall'elezione
popolare, era considerato come autonomo nell'esercizio delle sue
attrilrnzioni, giacchè la republ>lica romana non conoscent quegli
stretti vincoli di Rnbordinazione gerarchica, che sono r,roprii della
moderna burocrazia centralizzatrice. Non mancavano però le garanzie
contro gli abusi di potere, che potevano derivare dalla completa in-
dipendenza delle singole cariche. Tali garanzie consistevano in prin-
cipii di diritto pul>blico, quale la i-is majoris imperii, in forza della
quale il funzionario di grado superiore poteva vietare al magistrato
infel'iore nn determinato atto od anche sospendendolo del tutto dal-
l'esercizio delle sne fnnzioni. Altro principio di sul>ordinazione ge-
rarchica era q nesto: par 11u1jorve potestas plus utleto; il quale signi-
ficava cl1e un atto o prov\edirnento emanato da un funzionario potevn
essere annullato mediante l'opposizione (intercessio) di un altro fun-

1) .Mernin est impe1·i.mn ltabe1·e gladii potestatem ad aniinadvertend1111i i.n facino1·osos


homines (Dig., II, 1, 3).
lWOLt:ZlOXE STOIUCA lJEI l'L"BBI.ICI t:FFICI 267

.,donario ili grado eguale o più elentto. Un'altra valida garanzia per
i cittadini era l'istituzione del tribunato· de11a plelie; giacchè i tri-
buni della plebe avevano il diritto di voto, di coercizione e di ap-
pello al popolo, di fronte a tutti i funzionarii di qualsiasi grado, ad
eccezione dei soli dittatori. Infine altri mezzi di difesa dei diritti
individuali contro gli eccessi di potere dei magistrati erano la vigi-
lanza continua e severa esercitata dai censori e l'obbligo imposto ad
-0gni funzionario di render conto del suo operato alla scadenza della
~:arica ed anche nel corso de11a sua durata.
30. La capacibt di essere assunto ai pubblici uffici (honores) era
;Snbordinata, durante la repubblica, al godimento del .fus honormn,
che spettava a tutti i eittadini romani maggiori d'età, liberi e figli
di padre 1iùero, eccettuati i mnn·icipes sine s11;ffrng-io, gli infami ed i
rnercenarii. Dapprima tutte le cariche pnbblic11e di qualche impor-
tanza erano riservate ai soli patrizii; ma la pleùe dopo nna fiera
lotta durata oltre due secoli, conquistando il terreno a passo a pnsso,
rit1scì a farsi ammettere a tutti gli ufficii, compresi i più elevati,
come il consolato (legge Licinia del 366 prima di Cristo), la dittatura
(dieci anni più tardi) e la pretura, tìnchè da ultimo la legge Ogulnia
nel 300 nv. Cristo aprì ai plebei ancl1e i collegi dei pontefici e degli
auguri, rendendo per tal modo comune a tntti i cittadini romani,
-senza distinzione tli casta, il diritto religioso (jus sacrormn), che era
-eonsiderato come la parte più nobile e la base del diritto pnbblico
romano. Il solo ufficio, dal quale i plebei rimasero sempre esclusi, fn
·quello di interrè j g'iacchè questa carica, che aYeYa soltanto uno scopo
·di supplenza provvisoria nel caso in cui mancassero, per qnalsiasi
-causa, i consoli, era tenuta per tnrno dai senatori appartenenti al-
l'ordine patrizio, i quali se In trasmettevano di cinque in cinque
g'iorni secondo l'ordine stabilito dalla sorte. Yi erano d'altro canto
·alcnne magistrature speciali della plebe (triùimi ed edili della plebe),
·dalle quali i patrizii rimasero sempre assolutamente esclusi.
Per poter aspirare ad una carica pubblica era richiesta una età
minima determinata secondo l'importanza di ciascun ufficio (per la
'{Juestura l'lteta.ç legitimct era fissata ni 28 anni, per la pretura ai 40
e per il consolato ai 43 anni). Inoltre era stabilito cl1e non si potesse
salire agli ufficii maggiori se prima non si fossero coperti i minori;
così l'esercizio della questura donn-a precedere que11o della pretura,
·e questa serdva di gradino per poter g·inngere al consolato, for-
111antlo così un ordine graduale delle cariche pnhhliclrn (certu.ç ordo
magistratmtm). Era vietato il cumulo di più ufficii, e fra l'esercizio
-<li due cariche successi rn doveva passare un intervallo di due anni
almeno, salvo che per la censura e per le rnngistratnre plebee.
Qualunque cittadino che, avendo i requisiti necessarii, volesse
Portarsi candidato ad un ufficio pubblico, doveva entro un dnto ter-
lnine farne personale dichiarazione al funzionario, incaricato di pre-
270 l Pt;BBLICI {;FFICI E LA GERARCHIA ..UDIINISTRATIVA

L'elezione dei due consoli avveniva ogni anno nei comizii centn-
riati, e se uno di essi moriva in carica o si dimetteva, l'altro con-
vocava tosto il popolo per l'elezione cl' nn console snpplente (consu[
s11,ff'ect1is), il quale restava in carica soltanto fino al compiersi del-
l'annata in corso. Salvo qualche intenm:ione, fra cui le più notevoli
furono quelle del decemvirato e delle diverse llittatnre, il consolato
rappresentò durante tntta l'epoca repubblicana il supremo magi-
strato; esso nel momento in cui sorse per sostituire la monarchia ne
ereditò tutti i poteri (potestas regia ed imperium regiwn) ad eccezione
delle funzioni sacerdotali, che passarono al pontefice massimo e all
nna nuova dignità religiosa, il rex sacroritm.
I consoli sono i capi della gerarchia amministrativa, e come tali:
spetta a loro la presidenza dei comizii popolari, del Senato e dei
pubblici festini. Nella città esercitano il potere di comando e di di-
vieto con facoltù, di coercizione sn tntti i magistrati, eccettuati i soli
tribuni, presentano ai cornizii del i)opolo delle propo~te di Iegg~
(rogationes) ed al Senato delle relazioni, in vigilano con autorità lli
padri e di tutori alla sicurezza della patria, tengono la custodia del
pubblico erario e ne dispongono nell'interesse pubblico. Il potere
giudiziario venne loro tolto con l'istituzione dei pretori, ma essi
possono sempre essere investiti dal popolo o dal ~enato di una gin-
risdizione straordinaria in materia criminale (qmtestio extraordinaria).
Come capi della forza armata i consoli dirigono l'arrnolarnentl>
delle milizie (dilectits), ue ricevono il giuramento di fedeltà e cli ob-
bedienza, e ne nominano gli ufficiali; in tempo di gnerra hanno il
comando supremo dell'esercito romano e delle forze 1legli alleati e
dispongono della condotta ili tntte le operazioni militari, con facolb't
di stipulare col nemico delle convenzioni, salvo la ratifica necessaria
da parte del Senato o, in certi casi, del popolo. Dispongono del bottino
lli guerra consistente in danaro od altri valori mobiliari; battorn>
moneta col proprio nome; distribuiscono onorificenze e decorazioni
militari ai soldati ed agli ufficiali; il loro potere disciplinare su tutti
gli inscritti alla milizia, romani od alleati, è illimitato fino al diritto
di vita e di morte (ius vitae et necis).
In tempo di pericoli, interni od esterni, il Senato con la formula
« Yideant consules ne q1tid resp,ttblica, detrimenti capiat » investiva i
consoli di poteri eccezionali e quasi illimitati, come quelli del dit-
tatore; il che eq nivaleva in sostanza a porre la città in istato di
assedio.
32. La dittatura, che venne istituita con una lex de dictntore creando·
dell'anno 501 pr. di Cristo, era un'alta carica straordinaria, alht
q nale come ad un nltimmn anxilimn si ricorreva soltanto in occasione
di g-ravi pericoli per la patria. Il dittatore, chiamato ufficialmente
magister populi, veniva nominato da uno dei consoli o da entrambi
<l'accordo, era rivestito di tutti i poteri proprii dei consoli stessi ell
268 I PUBBUCI (;FFICI B J.A GERARCHIA AllMINISTIL\TIVA

siedere i comizii elettorali. Quel fnnzionario, scaduto il termine


redigeva la lista ufficiale dei candidati, escludendone però quei can~
didati che, a parer suo, mancassero dei requisiti. L'intervallo fra
quella dichiarazione e il giorno fissato per le elezioni era consacrat()
dai candidati alla briga elettorale; in quei giorni di lotta l'aspirante
vestito d'una toga candida (candidatns) e circondato da numerosa'
schiera di amici e di clienti, andava in giro per le piazze pubbliche
(ambit1is o mnbitio), cercando di cattivarsi con rno(li affabili la bene-
volenza degli elettori.
Oltre all'usare questi mezzi leciti, i candiflati ricorrevano aneli~
allora, come oggi, alla corruzione degli elettori per mezzo della di-
strilmzione di somme in denaro o di buoni per banchetti e teatri~
tanto che verso il finire dell'epoca repubblicana si faceva pubblic<>
mercato dei voti, e vi erano accaparratori, i quali, mediante il cor-
rispettivo di una data somma, si assumevano di garantire al candi-
dato un certo nnmero di voti. Una prova eloquente della gravità
assunta in quel tempo dalla corruzione elettorale, vero cancro rodi-
tore dei governi democratici, l'abbiamo nelle numerose legg·i (lege.'(
de amb-itn) che furono sancite, specialmente nell'ultimo secolo av. Cristo,
per reprimere con pene severe le illecite manovre dei camlidati. Una
legge Cornelia colpiva i condannati per corruzione elettorale con la
interdizione dai pubblici ufficii (perdita del jiis lwnormn) per dieci
anni, una posteriore legge Calpurnia aggiungeva la multa e rendeva
perpetua l'interdizione dai pubblici ufficii; pochi anni dopo veniva
sancita un'altra legge che, svolgendo la precedente, proibiva fra h•
altre cose ai candidati di dare pubblici banchetti o giuocl1i di gla-
diatori, aggiungendo alle pene comminate dalle leggi anteriori l'e-
silio per dieci anni.
Di regola le elezioni alle caricl1e pnhbliclte si facevano qualche
tempo prima che i fnnzionarii in carica decadessero dall'ufficio, salvo
il caso che si trattasse cli supplire ad un posto resosi vacante in·
11anzi tempo (11wgistrntns s1~tfecti). In quest'ultimo cnso, come pun•
trnttanclosi del dittatore e tlei censori, l'eletto entrava in carica iw·
mediatamente (e.rtemplo); altrimenti attendeva il suo tempo, e <lurante-
l'intervallo prendeva il nome di designato (per es. con.ml designatus)'
senza poter ancora esercitare alcun potere, benchè godesse già di
_certi onori e prerogative. Il primo atto di ciascun fnnzionario, al su<~
entrare in carica, se si trattava di magistrature patrizie, doveva es-
sere qnello di prendere gli auspici i, e poscia tutti dovevano prestare
il giuramento (jurare in leges) non più tardi del quinto giorno dop<~
l'entrata in carica.
La rinnovazione tli tutti gli ufficii avveniva di solito nello stess<~
giorno, che era quello in cui i nuovi consoli assumeveno il potere,
e da qnel giorno, chiamato dies solemnis, incominciava il nuovo ann<>
amministrativo, designato dal nome dei consoli stessi.
};vou;zION~; STORICA DEI rrBBLlCI UFFICI 269
Ogni funzionario di diritto restava in carica fino al termine legale
•lel suo ufficio (di solito un anno), e non poteva essere rimosso;
111a qualora la sua elezione fosse annullata per corruzione o per aUri
o-ravi motivi, poteva essere costretto a dimettersi, sia che non avesse
:incora assunto l'esercizio delle sue funzioni, sia che l'avesse già
;;issunto; nel qual caso gli atti da lui emanati durante il suo ufficio
~;onservavano tuttavia la loro piena validità. Rinunziare alla carica
.era lecito in ogni tempo; ma il funzionario, che intendeva dimet-
tersi (abclicare se magistratit), era tenuto a convocare solennemente il
popolo, al quale doveva rimettere le sne dimissioni giurando di aver
~Jsservate le leggi nell'esercizio delle sue funzioni.
Per coadiuvare i puublici funziouarii (magistratns) nel disimpegno
~folle loro attrilmzioni si rese necessaria, coll'estendersi della domi-
uazione romana, l'istituzione dei promagistrati. Pro mag·istratu era
<~olui che, senza essere stato eletto ad una carica nelle forme rego-
lari prescritt~ dalla legge, veniva investito dal Senato o dal popolo
ilei poteri della carica stessa, oppure dopo esserne scaduto per dé-
-correnza del termine era conservato nell'esercizio della carica (pro-
rogatio impei·ii). Così vi erano i proconsoli, i propretori, ecc., inca-
ricati specialmente del governo di una determinata provincia, ossia
di un territorio conquistato, nel qual caso i poteri del promagistrato
uon si estendono oltre la cerchia della provincia a lui assegnata.
31: Fin qui abbiamo esposto l'ordinamento generale dei pubblici
nffici nell'antica Roma; vediamo ora con rapidi cenni qnale fosse il
-carattere e qnali le attribuzioni delle singole cariche.
NelPepoca regia il primo magistrato era il rex, nominato a vita ed
irresponsabile; davanti a lui il Senato stesso, il sommo corpo con-
sultiyo e deliberativo, rimaneva in una posizione subordinata. Non-
dimeno il potere del re non era qnello di nn sovrano assoluto e1l
ereditario; chi.• anzi egli doveva riconoscere la sua autorità dal po-
}lolo, che gliela conferi va nei comizii curiati mediante la le.r cnriata
<le imperio.
Allorchè i Tarquinii tentarono di trasformare quel regime di mo-
narchia democratica in un'autocrazia ereditaria, il popolo romano,
d1e sentiva troppo altamente la propria dignità per potersi accon-
~iare a vivere schiavo della volontà di un sol nomo, si ribellò,
<~acciando i Tarqninii, e sostituendo al re, magistrato vitalizio ed
irresponsabile, due consoli . annuali e responsabili. Con questa sem-
lllice sostituzione il governo monarchico si trasformò in repubblicano;
e d'allora in poi, sempre intento alla 11ifesa della pubblica libertù,
il popolo romano ebbe continuamente in mira di frenare la strapo-
tenza dei consoli stessi, sia smembrandone le attribuzioni coll'isti-
tuire accanto ad essi altre molteplici caricl1e, come i censori, i pretori
c gli edili, sia con lo stabilire nuove garanzie, come ad esempio
~nella del tribunato, a tutela dei diritti individuali dei cittadini di
fronte ai pubblici funzionari.
EVOLUZIONE STORICA DEI l't:BBLICI t:FFICI 271

aveva di pm una potestà suprema (smnmmn imperimn), che esercitava


~enza eHser tennto a renderne conto a chicchessia; ed in segno del

SI10 110
tere sovrano era preceduto in pubblico da 24 littori coi fasci
tli verghe e con le scuri. Ogni dittatore ap1iena nominato si sce-
...}ieva un coadiutore nel 11wr1i.~ter eqnitmn, il quale oltre il comando
JeJla cavalleria esercitava tutte quelle altre funzioni, che al dittatore-
piacesse delegargli.
roteri così ampii e pressochè eguali a 'l nelli di un principe asso-
Jnto e<l irresponsabile costituivano una minaccia per le pubbliche
libertà; onde ad evitare il pericolo di un ritorno all'aborrita mo-
narchia, le leggi della repubblica limitavano rigorosamente a sei mesi
la dnrata della dittatura. Trascorso quel termine il dittatore era te-
nuto a dimettere i suoi poteri nelle mani del Senato e del popolo;
e<l allorchè nell'ultimo secolo av. Cristo tale norma venne infranta
con le dittature eccezionali prima di Silla e poi di Cesare, la re-
pubblica era al suo tramonto e presto doveva Cellere il posto al-
l'impero.
33. Senza fermarci a parlare di altre magistrature straordinarie,
r1nali erano, ad esempio, il decemvirato, il tribunato militare con
potestà consolare ed il triumvirato, tocchiamo ancora brevemente
<lelle più importanti cariche onlinarie della repubblica, oltre il con-
solato, di cui ci siamo poc'anzi occupati.
La pretura, istituita nel 3G7 av. Cristo per l'esercizio della giurisdi-
zione ci vile, era una carica quasi consolare, tanto che il pretore era
chiamato collega consulmn, sebbene collega mi noi·; aveva soltanto-
li littori, invece di 12, come i consoli; era incaricato di custodire la
città durante l'assenza dei consoli ecl era anche investito del co-
mando militare, ma soltanto fuori di Roma. L'attribuzione principale-
<lel pretore era però l'amministrazione della giustizia in materia ci-
vile (judicici prirata); ma di regola egli si limitava ad ammettere i
litiganti al giudizio, nominando loro un giudice privato, davanti al
fJuale si svolgeva il procedimento. Ogni pretore entrando in funzioni
emanava un manifesto contenente le norme permanenti, in base alle-
<1nali egli intendeva giudicare durant.e l'anuo della sua carica; tale
lllanifesto, che prendeva il nome di ed·ictwn pcrpetnnm e si chiamava
:iUresì albmn (d'onde il moderno albo pretorio), divenne a poco a poco
la sorgente di una nuova legislazione, costituita dal diritto pretorio
eil onorario, cl1e con1pletò e corresse in molte parti il primitivo di-
ritto ci vile dei romani.
Da principio vi fn un solo pretore; più tardi, cioè nel 2-!::l av. Cristo,
~e ne creò un secondo detto peregriniis per gindicare le liti dei cit-
tadini cogli stranieri, o degli stranieri fra loro; poi in seguito alla
~onqnista della Sicilia e della Spagna, ne furono creati altri quattro;
lincI1è Silla, accrescendo di molto il numero dei processi penali, creò
altri quattro pretori, detti qnaesitores, con giurisdizione penale; e da
272 I l'UBBLICl UFFICI lò J,A GERARCHIA A)IMINISTRATIV A

ultimo Cesare coll'estendersi sempre più della dominazione romana


sentì il bisogno di portare prima a 10, poi fino a 14 e 16 il uuinero
complessivo dei pretori.
Altra carica che, al pari della pretura, Yenne istituita mediante il
graduale e progressivo smembramento delle attribuzioni consolari
fa quella della censttrct. I censori, sempre in numero di due, Yeni-'
vano eletti nei comizii centuriati e duravano in carica dapprima
per 5 arrni, in seguito per nn termine più breve, cbe era di circa
,) anni. Loro primitiva e principale attribnzione era il censimento
qninquennale dei cittatlini (cens11s o litstrnm) seguìto dalla ripartizione
del popolo nelle tribù, classi e centurie, e dalla rassegna dei soldati
forniti di cavallo a spese pubbliche. A questa attribuzione se ne ag-
.giunsero a poco a poco molte altre di carattere morale, politico e
finanziario; così essi esercitavano la sorveglianza generale sui costumi
dei cittadini (regimen mormn) con facoltà di riprendere mediante un
pubblico biasimo (nota. censoria) qualunque cittadino tenesse una con-
dotta immorale od anche semplicemente indecorosa; nominavano dopo
-0gili censimento i senatori (lectio senatus), scegliencloli fra coloro che
avevano sostenute le maggiori cariche pubbliche; provvedevano per
mezzo di pubblici incanti agli appalti dei lavori pubblici e delle for-
niture, nonchè alla riscossione dei tributi diretti ed all'esercizio delle
miniere dello Stato e stipulavano, in concorso con gli eclili, tutti i
<lontratti nell'interesse della pubblica amministrazione.
3±. Quella dei tribuni della plebe fn sempre nna magistratura esclu-
sivarneute riservata alla plebe, essendo destinata a difenderne i di-
ritti lli fronte al patriziato. I trilmni, istituiti dopo la prima reces-
sione della plebe sul l\Ionte Sacro, fnrono dapprima 5, poi vennero
portati a 10 e prima che nna legge Trebonia del 488 av. Crist.o lo
vietasse, se il nnmero legale era incompleto, i tribuni in carica lo
<lompletavano col sistema della cooptazione. Precipua, per non dire
unica, attribuzione di quei funzionari, irresponsabili ed irrYiolabili
(sacrosanctns magistratns), era quella di proteggere i plebei contro
qualunque almso di potere o<l atto arbitrario dei pubblici fimzionari.
I1a protezione del tribuno, che venne ben presto accordata anche ai
patrizii, che vi facessero ricorso, si estrinsecava sotto la forma di
1.'eto, il cui effetto era di sospendere l'esecuzione di qualsiasi atto o
provvedimento amministrativo o giudiziale; e per far rispettare il
sno di vieto il tribuno aveva la facoltà di arrestare il fnnzionario, che
.avesse osato ribellarsi. Davanti a due sole autorità si arrestava il
potere dei trilmni, cioè danmti al dittatore ed~ al censore; nia la
loro azione cessa va oltre il raggio di un miglio t alla cittù; ed inoltre
il veto di un tribuno poteva essere annnllato d, ll'opposizione di uno
qualunque de' suoi colleghi (intercessio collegcirm iì.
35. Gli eclili in nnmero di quattro, di cui cui due eletti dalla plebe e
detti perciò plebei, e due ele,tti dal patri?;iato nei comizii tributi e
EYOLCZIOXE STOHWA DEI PUBBLICI l:FFICI ~73

chiamati edili curali, aveva per attribuzione la curn 1irbi.~, ossia la


polizia municipale <li Horna; onde sovraintendevano alla costruzione
ilegli edifizi pnbblici, alla manutenzione e nettezza delle vie e piazze
pnhbliche, all'et-lercizio dei pubblici Htabilimenti di bagni. Altre im-
portanti funzioni degli edili erano la cura annonae, che comprendeva
non HOltanto l'approvvigionamento della città, rna anche la sorve-
o'lianza sui mercati, in ispecie per quello del frumento, Hui pesi e
~tiHnre, sul bei'ltiame da macello, ecc.; e la citra l1tdonem, che con-
,;isteva nel disporre i giuochi pubblici, e regolame la polizia. Per
far rispettare i loro ordini a provvedimenti gli edili avevano la fa-
coltà di infliggere multe ai contravventori (.j1ts mnltan dictioni.ç); e le
somme ricavate dalle multe le tenevano a loro disposizione_ per ado-
perarle nei lavori pubblici o nei giuochi.
1;na carica che mutò più volte carattere ed attribuzioni fu quella
ilei questori, dapprima nominati dai consoli, dei quali erano in certo
modo gli aiutanti con l'incarico speciale dell'h~truzione dei proce-
dimenti penali, poscia dai comizii tributi, con nuove attribuzioni di
l'arattere finanziario, quali la custodia dell'erario pubblico, e la ge-
stione delle casse militari addette a ciascun corpo d'esercito.
Inoltre i questori, il cui numero fu successivamamente aumentato
fino a 40, erano i conservatori delle leggi esercitando in certo modo
le funzioni dell'odierno guardasigilli, ed erano incaricati di ricevere i
principi e gli ambasciatori stranieri e di provvedere, a spese pub-
bliche, al loro alloggio e mantenimento.
Tralasciamo di parlare delle altre cariche minori, ordinate di regola
col sistema collegiale, alle quali erano affidate speciali attribuzioni am-
ministrative o giudiziarie; e non accenniamo neppure ai funzionari
inferiori, detti apparitores, che erano nominati dai magistrati stessi,
presso i quali prestavano la loro opera, e percepivano una retrilm-
zione o salario, a differenza dalle cariche superiori, sempre gratuite ed
onorarie.
::>o. Come il governo democratico della repubblica romana si era
formato e consolidato mediante un progressivo smembramento di po-
teri e con la successiva formazione di molteplici cariche collegiali,
elettive, temporanee e rei'lponsabili, così, per un procesHo politico in
seni-lo inverso, il regime monarchico dell'impero subentrò alla repnb-
hlica mediante il concentramento dei poteri in un Holo individuo,
d1e accumulò sopra di sè tutti gli uffici pubblici più importanti. Ye-
tliamo infatti che Cesare Ottaviano divenuto arbitro sovrano del po-
tere fu contemporaneamente investito della carica di console, di
tribuno della plebe, di censore e di pontefice massimo, raccogliendo
<'o,;ì nelle sue mani il 1mpremo comando militare ed amministrativo,
nonchè l'esercizio della giurisdizione civile e criminale e la direzione
1lel culto pubblico, e riunendo a tutti questi poteri il privilegio della

inviolabilità personale, propria dei tribuni.


:!7-1 I PCBBLICI CFFICI E LA GJ•:RAHCIUA AMMIX!t;TBATI\"A

Sotto l'impero, che rispetti>, almeno nei primordi, tutte le for 11 H.


del governo repubblicano, le antiche cariche pubbliche furono c011 _
servate coi loro onori e distintivi esteriori, ma in realtà vennero
spogliate di tutti i loro poteri, e divennero vuoti titoli d'onore, chl-'
gli imperatori distribuivano o facevano dhitribuire dal Senato, a loro
arbitrio. Il Consolato, la somma magistratura repubblicana, ri1lotto
dapprima semestrale e poi di quattro, di due e perfino di un solo
mese, non ebbe più altra attribuzione che quella di presiedere il
Senato, decaduto anch'esso da ogni autorità, e di dare giuochi pub-
blici; la Pretura, spogliata in gran parte della sua giurisdizione civile,
ebbe come suo ufficio principale le polizia della città (cura 11rbis) e
la direzione dei ludi piibliC'i; la censura sparì fin dal sorgere dell'im-
pero, avendone gli imperatori stessi assunte le funzioni e talvolta
anche il titolo; i tribuni della plebe divennero semplici esecutori
della volontà del principe.
A sostituire gli antichi uffici repubblicani, rimasti soltanto di nonw
come ricordo della perduta libertà, l'impero creò nn'intiera gerarchia
amministrativa, a capo della quale stava l'imperatore, assistito dal
suo Consiglio. Questo Gons·ilimn principis, detto più tardi Gonsistorium
principis, cernposto di 20 consiglieri scelti dal sovrano, dapprima fra
i soli senatori, poi anche fra i cavalieri e g'li amici e cortigiani, sop-
pianti> ben presto l'autorità del Senato; e le sue deliberazioni, prese
in adunanze, che erano presiedute dall'imperatore in persona, furono
parificate ai senatoconsulti.
37. Fra le nuove cariche create dall'impero, le quali, sorte tnttr
con nn carattere essenzialmente militare, venivano sempre conferitr
liberamente dall'imperatore, da cui dipendevano in tutto e per tutto,
la più elevata fu quella dei pra~fecti praetorio, nome dato ai coman-
danti dei soldati pretoriani, ossia guardia imperiale. I prefetti del
pretorio, di regola in numero di due, e talvolta anche di uno solo
oppure di tre, avevano per mandato principale di invigilare alla si-
curezza personale dell'imperatore, ed a tale scopo erano invesW.i
dell'alto comando militare non soltanto sulle coorti pretoriane, ma
i,;u tutte le milizie dell'impero; inoltre era loro affidata la giurisdi-
zione penale sui soldati; essi presiedevano, in assenza del so-nano.
il Consiglio imperiale; e Yenivano consultati dall'imperatore in tntti
g·li atti più importanti del governo.
Altra carica imperiale di grande importanza era quella del prt'-
fetto della città. La pra~f'ectura nrbi8, istituita da Angusto, awvn
per attribuzione speciale il mantenimento dell' ordine e della sicn-
rezza pubblica in lfoma, e disponeva a tal fine di una guardia nr-
bana, forte di 6000 uomini. Al prefetto della città era affidata In
giurisdizione penale in Horna e territorio circostcmte entro un ntg'·
gfo di cento miglia; nonchè la giurisdizione civile in grado tFap-
pello. A partire dal i,;ecornlo i,;ecolo d. Cr. il pra~f'ectus u rbis eserdtìJ
EYOLl'ZIOXE STORICA DEI PUBBLICI UFFICI 275

coll'assistenza dei curatores delle singole regioni l'alta direzione sn


tutta l'amministrazione della capitale, e divenne così la più alta
carica della citt,à (mtlmen urbanmn).
Per vegliare alla sicurezza materiale della città: specialmente contro
il pericolo degli incendi, venne istituita la Prefettura dei vigili. Il
pra~f'ectits vigilimi teneva sotto i suoi ordini sette coorti di vigili, ac-
casermate nei diversi quartieri della città (regiones) sempre pronte
ad accorrere ove si manifestasse un incendio; egli esercitava altresì
una limitata giurisdiziQne penale sui reati di appiccato incendio e di
furto coi1 effrazione; ma anche in questa materia i casi di maggior
gravità erano riservati al prefetto della città.

§ 2. - Medio evo.

So)DURIO. - 38. I pubblici fnnzionarii sotto i re barbari. - 39. Doppia gerarchia


amministrativa, romana c germanica. - 40. I duchi ed i gastaldi del goYerno
dei Longobardi.-· H. I conti sotto la monarchia dei Franehi. - 42. Gli scahini
ccl i missi dominici. - 43. Il potere dei baroni nel regime feudale. - 44. Gli
imper::i.tori germanici ed i loro rap1)resent::i.nti in Italia. - 45. Il governo
temporale dei vescovi e il defensor ecclesiae. - 46. L'or~linamento consolare
nei Comuni italiani. - 47. L'istituzione dei podestà. - 48. I consoli delle arti.

31'. Allorchè le invasioni dei popoli germanici, a stento trattenute


durante gli ultimi secoli dell'impero, riuscirono a rovesciare la do-
minazione romana, i pubblici ordinamenti subirono una radicale tras-
formazione mercè la lenta e graduale fusione di due elementi dispa-
ratissimi fra loro, il romano ed il barbarico. Fra i germani prevalse
dapprima l'ordinamento per tribù, ma di mano in mano che progredi-
vano le conquiste e si consolidavano i nuovi dominii, i condottieri
delle schiere conquistatrici venivano innalzati alla dignità di re con
poteri quasi illimitati, così in pace come in guerra, appena temperati
e non sempre, dalle assemblee popolari che si tenevano di solito ad
ogni primavera (così dette cmnp·i di marzo).
Al re solo essendo affidata tutta la cura del pubblici interessi con
la somma dei poteri tutti i fnnzionarii erano da lui nominati, per lo
lliÌl fra i militari del suo seguito, e da lui solo erano investiti di
nlissione e di potere. A capo dei ducati erano prepost,i i d1wes, co-
mandanti militari, ma investiti anche di funzioni amministrative e
gituliziarie; i conti (com·ites) reggevano con analoghe attibuzioni le
lllinori circoscrizioni territoriali, e come rappresentanti del potere
g'in<liziario prendevano anche il nome di jmlices, esercitando in questa
Yeste tutta la polizia locale e rappresentando il re nella protezionP
<ldia pace pubblica. Attorno al re stava la sua cortt-, composta di
nu111erosi ufficiali, i quali servendo e consigliando il sovrano in varie
276 I Pl:IIBLICI l:FFICI E LA <iEHAHCHIA A)Dl!XISTHATIY A

incombenze acquistavano in breve grande influenza nel governo (h•llo


Stato e costituivano in certo modo un nucleo di amministrazione een-
trale, come si ha nei governi moderni.
Ad imitazione della corte imperiale romana vennero istituitt·, 0
per dir meglio conservate con diversità di titoli quasi tutte le di-
gnità palatine, come q nelle del protonotario o gran cancelliere, detto
anche referendario, il più alto funzionario dell'amministrazione civile
quella del maggiordomo o ciambellano, quella del tesoriere e del'
giudice del sacro palazzo, ed altre molte di minor rango, che erano
tutte ad un tempo dignità di corte e supreme magistrature dello
Stato. A queste si aggiunsero ancora altre cariche d'origine pretta-
mente germanica, come il maresciallo (capo delle regie scuderie), il
siniscalco, che sovrintendeva alla cucina ed alla mensa regia, il
coppiere.
:39. Prima che la lenta fusione delle due razze fosse compiuta, ~i
ebbe un doppio ordine di funzionarii, preposti gli uni ai barbari
vincitori, gli altri ai romani vinti; g'iacchè le due popolazioni, pur
convivendo sullo .stesso suolo, C(mtinuavano a reggersi ognuna se-
condo il proprio diritto nazionale. Così vi erano per i ·germam i
duchi ed i conti, mentre i romani erano governati dai giudici, pre-
sidi o :proconsoli.
)Iari mano poi che si andava unificando la razza, doveva natural-
mente scomparire quell'anomalia della duplice gerarchia, rimanendo
la prevalenza a quella dei vincitori. Tale unificazione delle cariche
pubbliche cominciò dai gradi più elevati; così si ebbe a capo di
ciascuna provincia un solo conte o duca, governatore ad un tempo
<lei romani e dei barbari; ma sotto di lui, finchè durò la distinzione
delle due razze, vi erano ancora funzionarii diversi per gli uni e per
gli altri, per i germani i saioni (capi della forza pubblica ed esecutori
della giustizia), i millenarii, quingentenarii, centenarii e decani, tutti
capi militari, che prendevano nome dal numero dei soldati affidati al
loro comando; per i romani Ola uria, il defensor o pater civ·itatis, i
decemviri. ~ ell' esercizio della giurisdizione civile il conte era assi-
stito da un doppio ordine di giudici, tolti dalla nazione delle parti
e nelle cause miste, cioè fra barbari e romani, doveva farsi assistpre
<la un giurisperito romano.
Col progredire poi della fusione dei due elementi, romano e germa-
nico, la duplicità dell'ordinamento governativo scomparve del tutto,
e<l i funzionarii romani, anche nei più bassi gradi gerarchici, cedd-
tero il posto ai germanici, nello stesso tempo che scomparivano le
istituzioni amministrative romane, tanto che verso l'ottavo secolo i
rnunicipii, salvo rare eccezioni, erano dappertutto spenti, ogni anto-
rità di governo essendo concentrata nei principi dei popoli invasori
e nei loro ufficiali.
40. :Xel breve veriodo in cui l'Italia rimase soggetta agli imperatori
ln'OLl:ZIONE 8TOHICA DEI l'l:BBLICI GFFICI 277

d'Oriente, che la gov:ernavano come provincia imperiale per mezzo


di un esarca residente a Ravenna, ebbe vigore l'ordinamento bizan-
r,ino, secondo, il quale, sotto la suprema direzione dell'esarca, capo
militare e civile, assistito da un consiglio di assessori, notai e te-
sorieri, governava nelle città maggiori un flitx o stratego con auto-
rità militare e civile, giudiziaria ed amministrativa; e nelle città
lllinori vi era un tribttno sotto la dipendenza del duca. Duravano
bensì, accanto alle moree, alcune delle antiche dignità dell'impero
d'Occidente, come il prefetto del palazzo, il vicario di Roma, ma tntt,e
sì sminuite di poteri da rappresentare piuttos.to nn nome che un uf-
ficio. Il nome di console, diventato semplice titolo onorifico, si vendeTa
t> finì poi per essere usurpato anche dai più modesti fnnzionarii.
Per effetto dell'influenza sempre crescente della chiesa i vescovi
acquistarono sotto il governo bizantino autorità di giuclici e di pro-
tettori dei· cittadini contro 'g1i abusi dei funzionari; a loro venne
affidata ìa scelta del d~f'ensor civitatis, carica rimessa in onore da
Gini'\tiniano e del pa.ter civita:tis, incaricato della polizia cittadina.
Il vescovo, dal quale dipendevano diiettamente questi due capi del-
1' amministrazione municipale, esercitava un diritto generale di sor-
veglianza amnÌ.iÌlistrativa, esaminava i conti dei gestori del pubblico
denaro, eleggeva i magistrati, giudicava in grado d'appello sui pro-
cessi ed era giudice esclusivo pei chierici, in materia sì civile che
penale: in una parola il vescovo era centro dell'intera arnininistra-
zione locale.
Alla dominazione bizantina successe ben presto quella dei Longo-
bardi, che fu la sola denominazione barbarica che non adattò il si-
stema della doppia gerarchia amministrativa; q nel popolo fiero di
guerrieri trattando i vinti con molto maggior durezza che non usas-
sero gli altri conquistatori, soppresse di un tratto tutte le cariche
dell' impero romano, sostituendovi i proprii funzionari, che coi titoli
di dnchi, gastaldi, Rculdasci, decani e saltarii governavano ad un
tempo e con le stesse norine longobardi e romani. Duchi e gastaldi
dipendevano immediatamente dal re con la comune denominazione di
}udices, e dovevano sorveg1iars1 e controllarsi l'un l'altro nell'interesse
<lel re e delle popolazioni da loro amministrate.
La dignità ducale, che era a vita, con tutte le sue attribuzioni
lllilitari e civili veniva conferita dal re per libera scelta; ma questa
<'a<lprn di regola sul più prossimo erede del defunto, che fosse att.o
al g«>\'erno. Se il duca abusava del potere, angariando le popolazioni,
ll!'g·a1Hlo loro la dovuta giustizia, o ribellandosi al re, questi lo di-
rhiara rn decaduto dalla sua dignità, e spesso anche lo imprigionava
0 _Io mandava a morte. I gastaldi, di cui ufficio speciale era la ge-

"Ìlonp <lel patrimonio reale, venivano anch'essi nmninati dal re, l:'d
ayPYano alla loro dipendenza gli amministratori dei singoli pos&>di-
llll'llti regii.
278 I PT;BBJ,ICI T;FFICI }<; LA GEHAHCHIA AM:\llXISTHATIVA

Gli sculdasci dipendevano immediatamente ·dai duchi, dai quali


ricevevano la loro missione, e i decani e saltarii erano sottoposti
agli sculdasci sotto il nome di locopositi o lociservatores, cioè mag·i-
strati locali. I pubblici funzionarii, che dal sommo all'imo della g·e-
rarchia longobardica erano indicati col nome appellativo di pull/ici
eràno tenuti a promettere in iscritto al loro immediato prepo1-1to di'
attendere fedelmente al proprfo ufficio e di amministrare con retti-
tudine, ed inoltre in ciascun affare di più grave interesse o più µ;e-
loso s'imponeva loro uno speciale giuramento. Tuttavia queste lm:•-
cauzioni non bastavano ad impedire gli abusi dei fii.nzionarii, e non
bastavano neppure le pene non lievi alle quali pure si ricorse per
reprimerli.
41. Sotto la dominazione dei Franchi, che successe a quella dei
Longobardi verso il finire dell'ottavo secolo dopo OriRto, gli ufficii
pubblici più elevati continuarono ad essere congiunti alle cariche
di corte, le quali, sotto il nome di ministri aitlfoi o palatini, unita-
mente ad alcuni consiliarii aiilici, costituivano il consiglio del re. Le
principali dignità del governo carolingio erano il cappellano, capo
del clero palatino e amministratore degli aft'ari ecclesiastici, ed il
cancelliere, che custodiva il regio suggello e firmava le ordinanze
regie, due cariche queste che spesso si univano in una s0la persona,
dando origine alla somma àntorità del gran cancelliere. Vi era poi
il conte del palazzo (conies pctlat-ii) che presiedeva al consiglio aulico
in luogo del re e dirigeva l'amministrazione della giustizia in tutto
il regno; venivano in seguito con autorità inferiore il ciarn bella no,
i.I dapifero e lo scalco. L'Italia, considerata come regno a parte, con
propria corte, ebbe anche le sue speciali cariche palatine, distinte da
quelle di Francia, e fra queste ebbe la maggior importanza la dignità
1lel conte del Sacro Palazzo, che per lo più era ad un tempo conte
e governatore di qualche provincia.
Abolita la carica longobardica dei duchi, i carolingi vi sostuirono
quella dei conti, la cui autorità fu tanta, che essi spesso ne alrnsa-
vano a danno dei deboli, riuscendo perfino a perpetuare nella propria
discendenza la carica che dapprima era sempre conferita liberamente
<lal re; ed in ciò furono tosto imitati dai visconti, che ne fal'e-
vano le veci nelle minori città. Anche gli antichi gastaldi long·o-
bardi si trasformarono in conti, e lasciarono il loro primitivo nftil'io.
eioè il governo dei possedimenti regii, a nuovi gastaldi, di minor
dignità degli antichi, chiamati anche Judices e talvolta i·illici, la ('Ili
incombe1iza era non solo di curare la gestione economica delle tene
<lella corona, ma eziandio di rendere giustizia alle popolazioni che le
abitavano.
42. Un'istituzione di speciale importanza sorse poi sotto il dominio
<lei re franchi; e fu quella dello scabinato. Scabini o centenarii "i
chiamavano gli nomini scdti dai messi regii fra i migliori cittadi1!Ì
EYOLCZIOXE ,;TOH!CA D1'1 Pt:BBLICI CFFICI 279

coll'incarico permanente di sentenziare nelle cause, sotto la presi-


<lenza ùel giudice regio. Gli scabini, per la stabilità dell'ufficio e
per la varietà dei diritti che dovevano applicare (poichè vigevano
ad un tempo, secondo la nazionalità <lei litiganti, il diritto romano,
il longobardo ed il franco, senza contare le molte infiltrazioni del
diritto canonico, già assunto a notevole influenza), divennero a poco
a poco un vero corpo di giureconsult.i. Ciascun giudice era assistito
1lai suoi scabini, che lo seguivano anche quando fosse chiamato a
rendere giustizia fuori del suo ordinario territorio. Speciale impor-
tanza ebbero fra tutti gli scabini o giudici del Sacro Palazzo, che
assistevano alle corti di giustizia tenute dal re in persona o dal conte
palatino.
Benchè le antiche istituzioni municipali fossero del tutto scomparse,
g'ià sotto la precedente dominazione longobarda, tuttavia sotto Car-
lomagno troviamo rimesse in onore talune cariche comunali di carat-
tere elettivo; tali erano per esempio gli ufficiali eletti in ogni città
per vegliare alla manutenzione dei ponti, quelli incaricati di denun-
ziare i delitti e quelli a cui incombeva comporre le controversie
relative alle decime.
Per esercitare nn' efficace vigilanza sui conti, onde impedire i loro
alrnsi a carico delle popolazioni ed in pari tempo assicurarne la fe-
<leltà e l'obbedienza verso l'impero, Carlomagno creò l'istituzione
ilei messi regii (rnissi dominfoi), ad imitazione delle visite pastorali
ilei vescovi. Ogni anno un dignitario ecclesiastico (vescovo od abate)
accompagnato da un conte, oppure parecchi dignitarii eeclesiast.ici
e laici insieme, venivano mandati dall'imperatore ad esercitare quel-
l'ufficio in un vasto territorio di più contee o diocesi ed erano al-
l'uopo muniti di apposita istruzione (capitnla legationis) su ciii che
<lovevano eseguire nella loro missione, e della tractatorfo., colla quale
ordinavasi ai conti delle provincie <la visitare di fornire i viveri ed
i foraggi neceHsari ai messi col relativo seguito, raccogliendoli come
prestazioni obbligatorie dagli abitanti della provincia.
I messi regii dovevano trovarsi in maggio nel territol'io asseguato,
P vi convocavano tosto un'assemblea (placito) di tutti i vescovi, abati,
<'onti coi loro vicarii e centenarii e con un certo numero di scabini.
Dopo aver pubblicato il proprio mandato dinanzi quell'assemblea, i
111i8.~i dominici si ponevano all'opera, interrogando, sotto vincolo di
g'inramento, i notabili del luogo sullo stato della religione, della
morale e della pubblica amministrazione, ed eziarnlio sulla condotta
ilei regii fnnzionarii, e ricevendo le lagnanze delle popolazioni. Oltre
lt> funzioni di ispezione, le quali si estendevano a tutti i rami del
g·overno, così militm·e che civile ed ecclesiastico, i messi reg·i erano
investiti di autorità ordinativa per riparare qualsiasi ingiustizia od
inconveniente, che scoprissero e per reprimere gli abusi dei pubblici
fnnzionari. Al termine della loro rnissi01w, che 1luravn un anno in-
280 I Pl'BBJ,JCI CFF!Cl E LA Gl<:HAHCHIA A~IM!Xl~TRATIVA

tero, i messi facevano ritorno alla corte per riferire al re i risnltati


dell'operazione; ed il re provvedeva secondo i bisogni per tntto c·.ii,
che non era stato fatto dai me8si.
Oltre ai messi ordinarii se ne inviavano anche degli straordinal'ii
per affari di minor momento o per 8ingoli oggetti, e questi si cltia11ta-
vano missi minores per contrapposto ai primi detti m~jores. Ma qtW8ta
istituzione dei messi regii, che durante il regno di Carlomagno ,,i
mostrò tanto efficace e provvida, decadde ben presto sotto i sncce8:-1ol'i
di lui, dacchè si cominciò a nominare i messi per pm anni, e si finì
per renderlo un ufficio permanente etl a vita, emme tutte le altre ca-
rid1e ordinarie.
J;) .. (~uando verso la fine del secolo VIII i re cominciarono a l'i-
munerare i loro fedeli, non più con donazioni di terre in piena I:'
libera proprietà, come si usava anteriormente, ma bensì con concl:'H-
sioni temporanee o vitalizie (bene.fica), le quali vincolavano il ricl:'-
vente (vassitlliis) alla fedeltà ed ai servizi militari verso il re, sorsi:'
e si estese rapidamente il regime feudale. Questo ebbe per necm~­
sario effetto l'indebolimento progressivo del potere centrale, a tutto
vanta~·g·io dei vassalli o signori dei feudi, i q nali tendevano ad
emanciparsi sempre più dall'autorità regia. Accadde così che i conti
ed i marchesi, i quali non erano in origine che funzionarii del n·
incaricati del governo delle provincie, presero a considerare il loro
ufficio come accessorio del beneficio, e diventato q nesto ereditario
da temporaneo o vitalizio che era da principio, anche la carica di-
venne ereditaria, e si trasmise di padre in figlio, con la facoltù
benanco di disporne per donazione o per contratto, considerandosi
il fendo come cosa patrimoniale, e fondendosi insieme F esempio dl:'l
potere pubblico col diritto di proprietà, il diritto pubblico col dirit.to
privato.
I grandi fnnzionarii regii, i capi militari ed i dignitari ecclesiastiC'i
co~tituirono una classe potente di seniorc8, quaRi del tutto emancipata
dall'autorità regia; e del potere usurpato abusarono largamente impo-
nendo ogni sorta di tasse e gravezze sulle popolazioni, ed esigendo
una infinita varietà di servizii personali e di prestazioni, sotto il nornP
di angarie feudali.
In questo regime, nella. forma monarchico, ma in realtà poliar-
chico, F esercizio della sovranità era ripartito fra un gran numero
di signori, la cui dipendenza dal potere centrale era debole e spesso
del tutto nominale. La gerarcliia feudale, se pnre può chiamar;;i
gerarchia un sistema di governo mancante di un centro organi('O
effettivo, ave;·a alla sua sommità il re con autorità nominalrnentt'
PstesiRsirna, ma in realtà assai limitata; dal re dipendevano diret-
tamente i grandi vassalli, e da questi i vassalli minori. Ognuno di
que;;ti baroni esercitava nei suoi dominii con maggiore o minore
ampiezza dirit,ti o prerogative cli vera sonanità con giurisdizione di
ln'OLUZIO.'ìl<: HTOHIUA DEI Pl'llllLICI CFFIUI 281

lta e baRsa giustizia sn tutti i loro dipendenti, ed avevano facoltà


~i g-nerreggiare contro altri baroni, di riscuotere imposte, taglie,
bannalità e contribuzioni delle più svariate forme e perfino di coniar
nioueta. .
I baroni esercitavano inoltre il potere legislativo, tanto che il re
stesso non poteva imporre sulle loro terre alcuna legge senza che
essi vi consentissero. A far rispettare le proprie leggi il barone le
accompagnava con una particolare sanzione penale, che consisteva in
un banno o multa di una determinata somma imposta ai contravven-
tori. L'esercizio del potere legislativo da parte dei signori inwstiti
dei fendi fu causa che si ebbe un numero immenso di legislazioni
particolari per ciascun feudo, mentre perdette vigore o scomparve af:.
fatto la legislazione comune; il che contribuì non poco ad accrescere
la confusione e l'incertezza propria di quell'età.
Verso il re i baroni non avevano altri obblighi che quello della
fedeltà, del servizio militare e di talune contribuzioni in determinate
cireostanze straordinarie, come per esempio in caso di invasioni dt'l
regno, di gravi rivolgimenti interni, o nell'occasione che il re armava
cavaliere il proprio figlio o fratello, oppure maritava la pr~1wia figlia.
Però queste contribuzioni non erano fisse, ma eventuali ed inoltre,
per meglio salvaguardare la dignità dei baroni, che trattavano il so-
vrano da pari a pari, erano considerate come prestrazioni volontarie,
Rotto le dominazioni di snssidii, benevolenze, saluti e donativi. Del
resto di questi tributi regii e fendatarii si rifacevano largamente
sui proprii sudditi. Quanto all'obbligo della fedeltà, quantunque
sancito da solenne giuramento, lo si interpretava con sì poco rigor!:',
f'he si riteneva lecito ai baroni di ribellarsi al sovrano e di muo-
verg'li guerra, ogni qualvolta si credessero lesi nelle loro prero-
gative.
·!4. Scioltosi, dopo una dominazione di poco più di nn secolo,
l'impero carolingico, l'Italia ebbe dapprima re nazionali elett.ivi, co-
minciando da Berengario; ma più tardi, grazie alle continue di-
sconlie dei principi italiani, andò soggetta agli imperatori germa-
nif'i. L'ordinamento amministrativo d'Italia, tanto sotfo ai re proprii
!Inanto sotto ai tedeschi, rimase in complesso quello dell'epoca C'a-
roli11gfoa, con le relative dignità palatine dell'arcicappellano od ar-
f'Ì<·ancelliere, e del conte del Sacro Palazzo. Queste due carich!:',
nelle q nali si accentrava la somma dei pubblici ufficii, venivano
Prima conferite a libera scelta dal re: ma nel secolo XI rimasero
stabilmente assegnate, la prima all'ar~ivescovo di Colonia, e la se-
conda al conte palatino di Pavia, che era la capitale d'Italia. En-
tra1n bi questi due alti funzionarii erano rappresentati dai loro so-
1Stitnti, il cancelliere ed il vicepalatino, ai quali era affidato in realhì
l'e>:p1·cizio delle relative attribuzioni, dacchè le due dignitù erano
llivPntate semplici titoli ad honorem. Era quindi il cancelliere elle
282 I l'CBJILICJ CFFICI ~; LA GEHABCHIA A)DIJXI8THATIV A

firmava le regie ordinanze e divenne il primo ministro per tutti "l'


affari civili ed ecclesiastici; quanto al conte palatino, tale titolo ~·~
concesso per onoranza ai conti di diverse provincie, ed a presiedere
il giudizio aulico, cioè la gran Corte di giustizia, che era ufficio
proprio di quella carica, fu creatò un apposito giudice col titolo di
jnstitiarius citricte.
Il re era assistito in ogni atto di governo di qualche importanza
da un consiglio composto dei dignitarii palatini e di quegli altri
funzionarii che vi fossero· chiamati dalla fiducia del re medeHi 1110 •
ed erano tratti tanto dalla gerarchia ecclesiastica (ordinariamente'
vescovi) che da quella civile e militare (conti e visconti). All'amnii-
nistrazione provinciale continuarono, come già sotto i Longobardi ed
i Franchi, a presiedere i conti ed i marchesi (questi ultimi per le
provincie di confine) coi minori ufficiali detti visconti, locipositi, scnl-
dasci, decani e saltarii; e vi erano altresì gli scabini, istituzione
µ;indiziaria dell'epoca franca, applicata ora anche a funzioni di ca-
rattere politico, come la stipulazione dei trattati di pace e di com-
mercio con le genti vicine.
Dei conti, che reggevano a nome del re una provincia o contea,
talnni dipendevano direttamente dal sovrano; altri invece erano sot-
toposti all'autorità gerarchicamente superiore di un marchese, i C'ni
poteri si estendevano a parecchie provincie. Tutte queste cariche,
che in origine erano di libero conferimento regio, divennero di fatto,
se non di diritto, ereditarie, non esclusa quella di giudice; e questa
circoHtanza, unita alla debole azione dell'autorità centrale, dierle
lnogo a gravi abusi commessi di fnnzionarii in oppressione dei
popoli. ~
Agli antichi messi regii, istituzione ormai emuluta e sfatata, ven-
nero smitituiti altri rappresentanti dell'imper tore col titolo di legati
o vicarii imperiali od aulici; i quali, quando avevano per unica ntis-
sione di decidere le cause maggiori riservate all' imperatore, pren-
1levano il nome di vicarii arl jnstitias faciendas. Federico II rese sta-
bile la dignità vicariale, conferendola non più a stranieri, come si
era usato pel passato, ma a principi italiani; così ebbero l'eeeelsa
carica cli vicarii imperiali i duchi di Savoia, i Visconti di .:\Jilano e
i marchesi di :\fonferrato. I papi dal canto loro pretesero per si· il
vicariato dell'impero durante la vacanza del trono; ma anzichè eser-
citarlo essi stessi, ne affidavano le funzioni ad un principe <li loro
scelta.
43. L'autorità dei conti con la relativa giurisdizione in materia
1·ivile e penale andò restringendosi a poco a poco per cedere il posto
a<l una dignità ecclesiastica, ai vescovi, la cui ingerenza nel governo
della cosa pubblica diveniva 011:ni giorno più invadente. Disciolte le
contee, i poteri e le attribuzioni dei conti passarono in parte a nuovi
signori laici, ma in maggior parte ai vescovi ed ag·Ii abati dei mo-
EVOLt::ZIOXg HTOHIUA DEI Pt::BBLICI CFFICI 21'3

nasteri, verso i quali i re, spinti dal desiderio di guadagnare alla


iropria causa uomini di tanta influenza e che la posizione rendeva
:ndipendenti, erano larghi di concessioni e di favori. Anche le po-
polazioni dal canto loro preferivano generalmente il governo più mite
e Jl)eglio ordinato degli ecclesiastici a quello turbolento ed oppressivo
dei signori secolari.
Il potere temporale dei vescovi e degli abati, ristretto da prin-
dpio alle città, si estese presto anche alle campagne circostanti; e
vi furono anche vescovi che ottennero la signoria di intere reg'ioni,
come ad esempio i patriarchi di Aquileja, che governarono, oltre al
Friuli, l'Istria e la Carniola. La giurisdizione secolare dei vescovi
e degli abati si estese a tutti gli abitanti così per le cause civili
come per quelle criminali, senza alcuna eccezione, salvo il diritto di
appello all'imperatore. Inoltre quei governatori ecclesiastici erano
investiti delle più ampie facoltà in materia amministrativa, col di-
ritto di fare leggi, di esigere tasse ed imposte d'ogni genere, di batter
moneta e di tener forze armate, le quali talvolta erano capitanate in
guerra da certi vescovi ed abati, che maneggiavano meglio la spada
che il pastorale. Come segno dell'autorità secolare quei prelati assnn-
sero i titoli di conti, marchesi o duchi, e fecero uso nel loro cerimo-
niale del gonfal'tme e della spada, che si facevano portare dinanzi a
loro, quando si réòavano in solenne processione alla cattedrale, depo-
nendola poi sull'altare durante la funzione religiosa. I vescovi erano
eletti dall'imperatore, da cui ricevevano l'investitura coll'anello e col
p~u;torale; ma nell'elezione non tardò a farsi strada la sin10nia, che
portò non di rado al governo delle chiese e dei popoli nomini indegni,
i quali con ogni sorta di abusi e di sreg·olatezze oppressero i sudditi
e dissiparono i beni ecclesiastici.
Ogni vescovo od abate, rivestito di giurisdizione secolare, aveva
la propria corte sul modello della imperiale, còn una vasta gerarchia
Ili dignitarii, il maresciallo, il camerario o tesoriere, il dapifero, il
pincerna o coppiere; uffici tenuti quasi sempre da nobili e ricche
fa111ig'lie, in cui erano ereditarii. I prelati ave\·ano inoltre un nnme-
rmm seguito composto di nobili investiti di fendi ecclesiastici, i quali
prestavano loro tutti i servizi e gli omaggi dovuti <lai baroni al
sonano. Il governo temporale era esercitato dai vescovi per mezzo
ili diversi ufficiali, primo dei quali il visdonno (i'-iceclom·inuR), che
fa(·eva le veci del vescovo, dirigeva i pubblici affari, g'iudicava in
lnogo del vescovo e concedeva per lui le investiture dei feudi. Il
eomando delle milizie era affidato al maresciallo, carica ereditaria,
ed al capitano generale, uflìcio elettivo. Presso ogni vescovo eravi
altresì uu cancelliere, incaricato della corrispondenza e della custodia
1h·l sig·illo episcopale.
C na carica importantissima che si trasmetteva per ereditù era
IJllella del clefensor o culrncatus della chiesa, a cui spettava l'esereizio
284 I P{:BBLlCI UFFICI I' LA GEHAHClllA A~IMINI1'THATIYA

della giurisdizione criminale, specialmente per i reati che importa.


vano la pena di morte, ed a cui era affidata la custodia del palazzo
vescovile, nonchè l'amministrazione del patrimonio della mensa in seùt:'
vacante. In compenso_ l'avvocato godeva, oltre l'esenzione da qual-
siasi imposta, la terza parte e talvolta perfino la metà di tutte 1..
rendite, che il ve:;covo percepiva a titolo di sovranità, ed aveva an-
cora numerosi altri proventi, in danaro od in natàra. Ma l'avvocazia
della chiesa, istituita in origine per proteggere· le chiese ed il patri-
. monio ecclesiastico, divenne col tempo oppressiva e spog'liatrice; 01Hl1:>
i ve8covi tentarono ogni mezzo per liberarsi dalla gravosa protezio111:>;
e vi riuscirono.
46. Poco dopo il mille della nostra era, allorchè la cultnra pro-
gredita e le ricchezze accresciute mediante i traffici fecero sorger1:>
i Uomuni italiani, le città di mano in mano che si andavano liberando
con le armi o per pacifici accordi dalla dominazione dei signori.
laici od ecclesiastici, sentirono la neces8ità di darsi nuove magistra-
ture di carattere popolare. La tradizione, sempre viva, della gloriosa
repubblica romana suggerì a quei valorosi popolani l'idea di ritornarp
all'antica istituzione del consolato, per quanto diverse siano state 11:>
attribuzioni dei nuovi consoli da quelle degli antichi.
I consoli dei Comuni italiani erano eletti in numero di due o più
(in qualche città fino a ventuno) col voto dell'intera cittadinanza, a
snft'ragio indiretto, vale a dire con doppio grado di elezione. Erano
ineleggibili gli ecclesiastici e chiunque fosse vincolato verso qualche
signore da obblighi di vassallaggio incompatibili con gli interessi del
Municipio, oppure fosse da qualche giuramento impedito di disim-
pegnare l'ufficio con giustizia e rettitudine. Gli eletti dovevano di-
chiarare entro breve termine se accettavano il mandato, altriment.i
l'elezione non aveva effetto. Nei primordi l'ufficio di console fn ri-
servato ai :;oli nobili, più tardi vi furono ammessi anche i plel>ei,
colla progressiva democratizzazione dell'ordinamento comunale; infine
verso il 1300 fn stabilito quasi dappertutto che dovesserò essere in
maggioranza popolani.
~ell'assumere l'ufficio i consoli prestavano giuramento di eserci-
tarlo ad onore di Dio e per il bene della città, e di governare <'Oll
giustizia osservando e facendo osservare le leggi e gli statuti muni-
cipali; e ricevevano il giuramento del popolo, che si obbligava iHl
obbedirli ed aiutarli in tutto ciò che ordinassero a pro del ComunP.
I poteri dei consoli si estendevano all'intero governo della cìttù, e
vi ·erano comprese l'amministrazione finanziaria, il comando mili-
tare e l'esercizio della giurisdizione penale e civile, esercitata la
prima collegialmente, ed affidata la seconda, come attribuzione spe-
ciale, ad alcuni fra i consoli ehe prendevano il nome di consnles j11-
stitiae, o consnles cauBarum o lle placitis. Xelle deliberazioni collegiali
riguardanti gli affari amministrativi preYaleva l'avviso della rnag-
EVOLUZIOXE ~TORICA DI"! PUBBLICI CFF!CI 285
.rioranza, ed in caso di parità di voti, il Collegio sceglieva fuori del
~roprio seno un arbitro, cui era rimessa la decisione. Del resto il
:,otere dei. c\onsoli I~on ~r~ i.llimitato, essendovi in tutti. ~li statuti
innnicipah molte d1spos1z10m che ne regolavano l'eserc1z10; e tal-
volta si trovava che i consoli per determinati atti o provvedimenti
non potevano disporre senza l'autorizzazione di una determinata
persona.
Ai consoli era assegnata, a spese del Comune, una residenza uffi-
ciale ed uno stipendio detto fmidmn, generalmente assai modesto,
più qualche rimunerazione per servigi straordinarii. Alcune città, in
luogo del soldo fisso, assegnavano ai consoli il prodotto di determi-
nate tasse o gabelle. In ogni caso era loro espressamente vietato di
chiedere maggiori compensi o di accettare doni per sè o per le mogli
loro.
La carica di console durava di regola nn solo anno, ed i consoli
~caduti non erano rieleggibili se non dopo un intervallo di uno o
più anni; ma talvolta i nuovi consoli si giovavano nelle cose più
importanti del Consiglio degli antichi. Ogni console lasciando l'uf-
ficio era tenuto a render conto della propria amministrazione, e per
un mese doveva rispondere verso chiunque si affermasse leso dal suo
governo.
:Xell'esercizio delle loro attribuzioni giudiziarie i consoli erano as-
sistiti dal _Collegio dei giudici o giurisperiti (gli antichi scabini), e
per le altre funzioni di governo avevano un Consiglio di sapientes,
detti anche credenziali e silenziani, perchè obbligati a tener il se-
greto sulle cose dello Stato, e chiamati altrove senatori o boni no-
mini. Senza l'assenso di questo Consiglio i consoli non potevano
compiere gli atti di governo più importanti, come alienare beni im-
mobili, emanare ordinanze e provvedimenti generali, modificare od
interpretare gli statuti nè disporre, se non in misura minima, dei
redditi del Comune.
47. Ma la necessità di un governo più stabile e pm equanime in-
llusse ben presto i Comuni a- sostituire i consoli con un'altra magi-
"tratura, che fosse estranea alle fazioni cittadine, dalle quali quel-
l'epoca era senza posa travagliata. Venne così creato il podestà, che
era chiamato di fuori a reggere la città con poteri a un dipresso
Pguali a quelli dei consoli. L'elezione del podestà era fatta general-
mente dal maggior consiglio dei cittadini; mit talvolta si rimetteva
la scelta al sommo pontefice, àll' imperatore od a qualche potent,e
"ig-nore, oppure si richiedeva semplicemente un altro Comune di
marnlare il suo miglior cittadino. Il nuovo podestà dopo di aver pre-
~tato il giuramento di osservare lo statuto del Comune, e ricevuto
alla "na volta il giuramento di obbedienza da parte del popolo, fa-
ceya il suo solenne ingresso nella città, recandosi anzitutto a visi-
tarne la cattedrale, e tosto assumeva il governo della cosa pubblica.
286 I l't:BBLICI CFFWI !<: LA Gl'1!AHCH!A AM)!INISTHATIYA

Siccome lo scopo principale, per cui venne istituita questa nnov


carica, era quello di avere un'autorità imparziale capace di frPnar:
gli eccessi delle parti cittadine, così gli statuti municipali pre 8 <~ri1o1-
sero molte catltele atte ad asRicurare l'imparzialità del podestù e ·.•d
sua indipendenza dai partiti dominanti nella città. Oltre che egli
doveva provenire da altra terra, e non dalle più vicine, gli si proi-
biva di condur seeo parenti, frmse pure la propria moglie; non gli
era permesso di mangiare o bere con alcun cittadino, di dormire ·in
ca8a d'alcuno, di ricever mutui, comodati, doni od altri vantag·gi di
qualche rileYanza: lo Ri obbligava infine a condur seco per gli affari
più delicati ed importanti un certo numero d'ufficiali, anch'essi fo-
restieri e persino di diverse città. La durata dell'ufficio del podestù
fn dapprima di un anno, come pei consoli, e qualche volt.a eccezio-
nalmente di più anni; ma più tardi, pel timore che il podestù ten-
tasRe di farsi tiranno, il tempo della podesteria fn ridotto a Roli
sei mesi.
Il podestà era retribuito con una paga fissa (fettd1mi), a cui si ag-
giungeva per lo più una quota parte delle multe con altri vantaggi,
compreso l'alloggio gratuito nel palazzo del Comune. Le sue attribu-
zioni si estendevano a tuttP il governo della città sotto l'aspe~to am-
ministrativo e giurisdizionale; giacchè egli doveva anzitutto ammini-
strare equamente la giustizia, aver cura dei poveri e degli spedali,
mantenere l'interna tranquillità e sicurezza, arrestando i facinorosi
e componendo le discordie tra i cittadini. Come rappresentante del
potere esecutivo era incaricato di curare l'esecuzione di tutte le leggi,
i provvedimenti e le deliberazioni del Consiglio civico, che era da
lui convocato e presieduto. Per l'esercizio delle sue numerose ed im-
portanti attribuzioni aveva il potere di dare ordini e prendere proY-
vedimenti, assicurandone il rispetto coll'infliggere ai trasgressori una
multa, o pene maggiori, secondo che vi era autorizzato dallo stat,uto
della città.
D'altra parte, a prevenire ogni possibile abuso di autorità, gli sta-
tuti municipali stabilivano non poche restrizioni ai poteri del podestù,
tanto che in qualche luogo, i-;enza il consenso dei giudici, non gli era
neppure permei-;so di spedir lettere fuori della città, nè di ricen'rnr
senza· aprirle in presenza dei giudici stessi; non gli era permesRo cli
battere alcuno, se non per disciplina militare, nè di torturare alcuno
o di espellerlo dalla città od espropriarne i beni, se non nei modi
stalJiliti dalle leggi. Doveva inoltre astenersi dal sederP, in giudizio o
prender parte alle adunanze consigliari, quando si trattasse cl'intP-
ressi della sua città natale o dei suoi proprii concittadini. Gli era
vietato durante la carica di acquistar fondi nel territorio commutli·.
come pure di esercitarvi il commercio.
Se il podestà contravveniva a' i-;uoi doveri, o se senza giusto mo-
tivo alJbandonava il governo prima della seadenza, era punito con
EYOLCZION~~ WJ'OJUCA DEI PCBBLICI C~'FICI 287

Ja trattenuta, parziale o totale, del sno stipendio. Inoltre egli era


tein1to a rendere stretto conto della gestione del pubblico d!:'naro
e dopo la scadenza dell'ufficio lo si obbligava a restare ancora
qnalehe tempo nella città per rispondere ai reclami che venissero
Jllossi contro il suo governo. All'uopo si nominavano alcuni cittadini,
clliarnati sindaci, cercatori o modulatori, coll'incarico di esaminare
1pnfficio la gestione del potestà ed invitare chiunque si credesse dai
suoi atti danneggiato a presentare le sue lagnanze, sulle quali i
sindaci stessi decidevano in via sommaria o senza appello. A ga-
ranzia del Comune e dei privati il podestà era tenuto a prestar cau-
zione in una somma determinata, od a presentare idoneo fidejussor!:';
e in qualche luogo gli era trattenuto il pagamento dell'ultima rata
di :;tipendio, fin che non avesse ottenuto dai sindaci la dichiarazione
assolutoria.
A coadiuvare il podestà nel suo governo i Comuni tenevano una
larga gerarchia di ufficiali di cui una parte erano forestieri, special-
mente giudici, che il podestà stesso portava seco, e che agivano sotto
la sua esclusiva dipendenza e responsabilità; gli altri veni vano eletti
dal maggior consiglio, oppure estratti a sorte 1) fra i cittadini, esclusi
i falliti, gli usurai, i figli illegittimi, gli indegni per condanna ripor-
tata e tutti coloro cbe non partecipavano ai pubblici pesi, e percii>
anche i chierici come esenti dalle imposte. Gli statuti municipali
portavano ancora molte altre esclusioni dei cittadini dalle pubblichi:'
cariche; notev9le fra questi lo statuto di Lucca, il quale ne escludeva
coloro che all'età di 27 anni fossero ancora celibi.
Tutti i funzionari dovevano, prima d'entrare in carica prestar giu-
ramento e spesso anche dar sicurtà; e così dnrante l'ufficio come
dopo la scadenza erano sottoposti a rigoroso controllo. Chi era desi-
gnato ad una carica, aveva obbligo di assumerla, e se pur!:' era per-
mes8o rinunciare, andava incontro ad una multa. D'ordinario le cariche
erano a brevissimo tempo, di pochi mesi o al più d'un anno; e dopo
le scadenza non si poteva essere rieletti 8e non dopo un dato termi1w.
Di regola tutti gli ufficiali erano provvisti di stipendio oltre un as-
:.;eg-no per le spese; o dello stipendio teneva le veci il godimento di
det,erminati proventi di tasse o di beni immobili; ma era vietato il
t·nmnlo di dne o più uffici stipendiati, come pure di percepire dtw
stipendii per un solo ufffcio, o di ricevere cosa alcuna in aggiunta
alla retribuzione assegnata.
-!ti. Le corporazioni d'urti e mestieri, che si formarono dappertutto
llt>i Comuni italiani, riunendo in associazioni privilegiate e rnonopo-
li:;te tutti coloro che esercitaYano una determinata arte o proft>ssione.

-----
1) ln <prnkhe Comnnc, per porre 1111 freno agli ecreKsi <lei pnrtiti, si af'Jidù a1l

lln online religioso (per lo piÌl ni frati ininori) l'elczio1w dei pnbhliri nflici. Yedi
P<>rtile, /Storia del diritto italiano, 2.a ed., YoL II, pag, U7,
:!88 I PCBBLICI CFFICI E LA GEHAHCHIA A)Dll::s'ISTHATIVA

Hi ressero con magistrati proprii, cui davano il nome di ca1>itani


consoli o gastaldi. Questi capi o rettori delle corporazioni eran,:
eletti liberamente dai membri o confratelli di ciascuna , corporazione.
flovevano e>lsere dell'arte, non forestieri nè servi; duravano in earh:~
g·eneralment,e nn anno od anche meno; l'eletto che ricusasse l' uffieio
' ,

doveva pagare una multa. Il capitano o console dell'arte a>!sistito fla


due o più consiglieri detti compagni, oltre all'amministrazione interna
1lella corporazione, esercitava altresì una vera e propria giurisdizione
volontaria e necessaria, tanto in materia civile che penale, su tuttt~
le controversie relative alle cose dell'arte e sulle persone che vi erano
ascritte, ma la maggior pena che potevano infliggere era l'esclmlione
dall'arte.
Quando, dopo lunghe e sanguinose lotte, gli artieri riuniti nelle
loro corporazioni riuscirono ad ottenere il sopravvento sulla nobiltà
e sulla grassa borghesia, chiamata allora il p'opolo grasso, di fronte
al Comune retto dal podestà sorse e presto si soprappose il emù
!letto Connine del 11opolo, che costituiva uno Stato nello Stato ed era
formato dall'insieme di tutte le arti, maggiori e minori, con un suo
proprio capo detto capitano del popolo, e più tardi difensore del
popolo. Questi capi eletti dal seno del basso popolo raggiunsero Yerso
la fine del secolo XVI tanta potenza da annullare in realtà ogni po-
tere del potestà; così che il governo della città, passò nelle mani
llel capitano del popolo assistito dal coneig'liÒ élei capi o priori delle
singole arti, e coadiuvato per la parte n~ilitare ed esecutiva dal ~:on­
faloniere di giustizia, il quale veniva scelto per turno nelle diverse
corporazioni.

§ 3. - Tenipi moderni.

R<nDIAHIO. - 49. Gli uffici pnbblici nelle signorie italiane. - '50. n doge è le
altre cariche della repubblica di Venezia. - 51. La gerarchia amministrativa
negli St:iti monarchici. - 52. I vicerè ed i govern:itori sotto l:i dominazione
straniera. - 53. La venalità delle citriche. - 5-1. Riforme e concetto mlieruo
(lei pnhhlici uffici.

1!U. Gli eccessi della plebe e le sfrenate lotte intestine fra cittù
e città, famiglia e famiglia prepararono in breve la via al go-
verno assoluto dei principi; giacchè da una parte alcune cittù,
stanche delle interne fazioni, o per strategia di parte, affine cl'impe-
1lire il ritorno della fazione espulsa, si sottomisero spontaneamente
alla potestà di qualche principe vicino; mentre dall'altro canto in
molte città qualche famiglia di nobili o di ricchi popolani, destra-
mente adoperandosi fra le discordie cittadine, riusciva a concentrare
in sè la somma dei pubblici poteri. Rinnovando sotto altra forma
EYOLt:ZIO.'rn STOHICA DEI Pt:BBLICI l:LCFJCI 28[)

Fevolnzione politica, che aveva segnato il passaggio della repubblica


all'impero romano, i nuovi signori rispettarono da principio tutte le
forme esteriori dei liberi governi municipali, e ne mantennero le ca-
riche; ma in realtà o le riunirono tutte in sè stessi o le spogliarono
(li ogni attribuzione, riducendone i titoli a vuoti segni d'onore. Il
principe prese il posto del capitano del popolo; ed il potere, che gli
veniva in principio conferito dall'assemblea popolare per un tempo
determinato, in seguito divenne, almeno di fatto, ereditario nella sua
famiglia.
In sostanza l'autorità dei principi nelle varie signorie italiane fn
11nella di un vero monarca assoluto: infatti egli esigeva dai cittadini
giuramento di fedeltà ed obbedienza, esercitava la giurisdizione in
1mtteria civile e criminale; governava a sno arbitrio la città e lo
Stato; faceva leggi, riformava, correggeva ed interpretava quelle vi-
genti e poteva anche dispensare a suo piacere dall'osservanza delle
medesime; amministrava con piena e libera disposizione i beni pub-
blici, metteva imposte, coniava monete, decideva a suo talento della
guerra e della pace: e qualunque suo atto di governo aveva piena
forza obbligatoria, come se fosse stato deliberato e fatto dall'intera
cittadinanza. Agli antichi funzionarii di nomina popolare, completa-
mente esautorati, i principi ne sostituirono altri, che si sceglievano
essi stessi, senza tener conto di capacità o di merito, fra i loro pa-
renti o cortigiani; e non di rado le cariche pubbliche furono ven-
1lute al maggior offerente, come fecero, fra gli altri, gli Sforza, duchi
di }lilano.
Ciascun principe od almeno quelli più potenti, si circondàrono di
una corte, a guisa di sovrani, ed ebbero il cancelliere, il referen-
dario o ministro, un tesoriere generale, diversi maestri o governatori
delle entrate e delle spese, un consiglio segreto e collaterale (primo
germe dell'attuale Consiglio di Stato): nelle cure ordinarie del go-
verno si facevano rappresentare da un vicario, ed a governare le sin-
g·ole città o terre loro soggette deputavano podestà, visconti o rettori.
Tutti questi funzionarii, a differenza delle antiche cariche comunali,
le quali erano tutte di breve durata, tenevano il proprio ufficio a
tempo indeterminato, cioè fin che piacesse al signore, che li aveva
nominati.
30. Accanto ai principati retti con questa forma di governo, appa-
rentemente repubblicana, ma sostanzialmente monarchica, sorsero e
fiorirono anche altri Stati di forma schiettamente repubblicana. Fra
1lltesti il più glorioso fu la Repubblica veneta; la quale si trovò co-
~tituita fin dal principio dell'ottavo secolo con a capo un doge, che
coadiuvato dai tribuni esercitava con autorità molto estesa il comando
civile e militare. La carica suprema del doge fn sempre elettiva ed
a vita; e quando, con l'uso invalso nei elogi di prendersi a collega
nel governo il figlio od il fratello, il loro potere minacciò di farsi
290 I PlJBBLl(;I t:FFICI E LA (+l<:RARUHIA AMl\IIXIC'TBATI\'A

ereditario, il popolo veneto riparò al pericolo Yietan\lo siffatta nHanza


e limitando nello stesso tempo l'autorità ducale col sottrargli l'a111 _
rninistrazione della giustizia, che venne affidata ad un magistrato
autonomo detto dei giudici del palazzo o della corte del doge, e Ilo-
mandato più tardi magistrato del proprio.
Alle progressive restrizioni del potere effettivo dei dogi furono re-
cate successivamente per opera della nobiltà veneta, che riuscì a poco
a poco ad imporsi tanto che dopo il secolo XIII il doge, non soltanto
non possedeva più il potere legislativo e giudiziario, ma non gli spet-
tava neppure più il conferimento dei pubblici impieghi, e gli era
vietato perfino di ricevere da solo ambasciatori o di aprire e ricevert>
lettere dei principi o Stati stranieri e dei governatori e funzionarii
dello Stato, se non in presenza dei suoi consiglieri. Le monete si co-
niavano col nome del doge, ma non con la sua effigie, bensì col leont>
di S. Marco: i decreti del governo erano emessi in suo nome, ma iwr
la loro validità si richiedeva la sottoscrizione di un segretario ed il
sigillo della signoria. Il doge non poteva disporre del danaro pub-
blico; era soggetto alle imposte come tutti gli altri cittadini; rice-
veva sul pubblico erario un largo assegno, ma su questo era tenuto
a determinate spese ed a dare un certo numero di feste e di ban-
chetti; non poteva uscir di palazzo e girare per la città se non in
solenne pompa processionale; gli era proibito rieever regali, ed ai suoi
figli e nipoti non era permesso coprire alcun pubblico ufficio, n~
prender parte alle votazioni consigliari. Poi, come se tutte questl'
restrizioni non fossero ancora bastanti, furono istituiti tre inquisitori
delle azioni del doge defunto.
L'amministrazione finanziaria della Repubblica veneta era affidata
ai procuratori di S. 111arco, ufficio anche q nesto elettivo ed a vita,
come quello del doge, a cui veniva secondo in dignità: per l'eser-
cizio della giurisdizione civile e penale in grado cli appello si crei>
uno speeiale tribunale eletto della quarantia o del crirninal: ma la
somma effettiva del potere risiedeva nel senato, composto cli nn nu-
mero variabile cli cittadini che avessero non meno cli 35 anni di rtù
ed avessero sostenuta una delle alte cariche pubbliche. Al senato.
presieduto dal doge, spettava deliberare sui più importanti affari <li
Stato, conferire le più alte cariche militari e finanziarie, far gnerra
e pace, mettere impo8te ed amministrare il pubblico denaro. Per
l'esecuzione delle proprie deliberazioni il senato sceglieva dal pro-
prio seno cli sei in sei nwsi i sedici sa1,ii, che rappresentayano il
vero potere esecutivo o ministero per la trattazione cli tutti gli affari
pubblici.
Altre cariche notevoli fra le molte, oml' era costituita la gerard1ia
amministrativa della Repubblica di San .:\Iarco, erano quella Ml
canceliier grande o capo della cancelleria ducale, ufficio vitalizio ri-
servato esclusiyamente ai plebei, circondato da altissimi onori e di
ln'OJ,UZIONE STORIUA DEI Pl'JlBLICI t:FFICI 291
ricchi emolumenti, quasi pari a quelli del doge, ma fornito di scarso
potere; e quella degli avogadori del Co11mne, una specie di pubblico
lllinistero, incaricato di vegliare sulla condotta di tutti i pubblici
funzionarii, richiamandoli e ponendoli al bisogno, nonchè di invigi-
lare in ogni cosa a che fosse osservata la legge, con la facoltà di
808 pendere l'esecuzione di ogni deliberazione o provvedimento di
qualsiasi autmità. Per il complesso delle loro molteplici attribuzioni
gli avvocati od avogadori del Comune costituivano un'importante
carica, che corrispondeva in qualche modo alle antiche dignità dei
censori e dei tribuni della plebe.
}la, l'ufficio degli avogadori, che rappresentò per parecchi secoli una
delle più rispettate autorità dello Stato, perdette quasi ogni impor-
tanza allorchè verso la metà del secolo XIV sorse il terribile Con-
siglio dei dieci; creato dapprima per punire gli autori di una con-
giura, divenne ben presto ufficio permanente, il cui mandato princi-
pale era di proteggere la quiete e la libertà dei cittadini dalle
prepotenze dei grandi, e giudicare quei misfatti che presentavano
mag·gior pericolo per la pace e la sicurezza pubblica; ma in seguito
il potere dei dieci crebbe tanto da soverchiare qualsiasi altra auto-
rità della repubblica, e si estese all'intero governo dello Stato, com-
prese le funzioni legislative e giudiziarie. Per l'istruzione preliminare
delle cause più importanti e per il giudizio di quelle minori, come
pure per l'esecuzione delle condanne, il Consiglio dei dieci delegava
dal proprio seno due inquisitori od eseciitor·i, autorità molto temuta
pel segreto e mistero, di cui si circondava la sua azione.
Per il governo delle provincie, delle città e delle isole soggette al
dominio del leone di San Marco, la Repubblica veneta mandava con
diversi titoli e con varii poteri, a seconda dei luoghi, governatori o
o podestà scelti dalle famiglie patrizie. Il loro ufficio era sempre di
breve durata, e sottoposto ad una rigorosa responsabilità sotto il
controllo dei sindaci od inquisitori, che ad ogni quinquennio venivano
inviati, a somiglianza dei missi doniinici di Carlomagno, per rivedere
la loro gestione e raccogliere le lagnanze delle popolazioni.
31. :N"elle monarchie italiane che sorsero prima del mille (Stato
Pontificio) o poco dopo (monarchia di Savoia e Regno di Napoli o
delle Dne Sicilie), e rimasero in piedi attraverso a varie vicendi:'
storiche fino all'unificazione del l{egno d'Italia, la suprema direzione
del governo era nelle mani del re, assistito dal Consiglio privato o
segreto, e coadinvato dai grandi ufficiali della corona. Così nel
reame di Napoli sotto le dinastie normanne e sveve vi era il gran
cancel1iere, che redigeva le leggi, ne cura,,a l'esecuzione e teneva in
consegna il sigillo dello Stato; il gran contestab·ile, comandante delll:'
lllilizie e capo dell'amministrazione militare; il grande ammiraglio,
lll'eposto alla direzione della marina così militare eome mercantile
con relativa giurisdizione civile e penale, compresa la materia delle
292 . I PUBBLICI UFFICI E LA GlrnAHCHIA A~DIIXIHTRATIVA

prede belliche; il gran giiistiziere, suprema autorità giudiziarfa e cu-


stode del sigillo di giustizia; il gran camerario.J sovrintendente al-
l'amministrazione dei possidenti reali e delle pubbliche finanze; il
gran siniscalco, direttore dei regii palazzi e relative scuderie, boschi
e caccie riservate; ed infine il protonotcirio, segretario particolare del
re per l'evasione delle suppliche per grazia. Questi sette grandi uffi-
ciali riuniti insieme formavano la magna curia, ossia il Consiglio
della corona: le loro cariche, in origine liberamente conferite dal re,
divennero più tardi retaggio ereditario di alcune potenti famiglie, con
grande scapito dell'autorità regia.
Simile ordinamento vigeva nelle alte cariche della monarchia sa-
bauda, però con la differenza che qui il sovrano prima di fare le
nomine dei grandi ufficiali usava sentire le proposte dei Parlamenti
dei singoli Stati (clero, nobiltà, e popolo) oppure del suo Consiglio
privato. Vi era capo di tutto il governo il cancelliere; poi veniva
il maresciallo, capo dell'esercito, e il tesosiere generale, che curava
la riscossione delle entrate pubbliche ed il pagamento delle spese,
avendo ai suoi ordini i procuratori del fisco.
Xello Stato Pontificio il governo era affidato a sette supremi di-
gnitarii, chiamati col comune appellativo di jiid·ices palatini o .Judices
otdinarii per distinguerli dalle altre dignità di corte, che non an-
vano ingerenza nella direzione degli affari temporali. A capo dell'in-
tera gerarchia amministrativa stava il primicerius, seguìto dal secun-
<licerius, suo sostituito; vi erano poi l' arcarfos, ministro delle finanze,
col S(Wellariiis, elemosiniere ; il protoscriniarius, capo della segreteria
pontificia; il prùniceriiis defensormn, amministratore del patrimonio
della Santa Sede; ed infine il nomenculator o cidminiciilcitor, protettore
delle vedove, dei pupilli e degli oppressi.
Al governo delle singole provincie erano proposti minori funzio-
narii, nominati dal sovrano oppure eletti dai baroni o dalle comu-
nità, secondo le diverse condizioni politiche delle singole terre..
Questi funzionari, chiamati castellani e balii in Piemonte, baiuli o
visconti a Xapoli ed in Sicilia, rettori o governatori negli Stati
pontificii, tenevano l'ufficio ad anno, od a beneplacito del sovrano;
ma talora per abusi invalsi le cariche divennero ereditarie. La loro
retribuzione consisteva in uno stipendio fisso oppure nel godimento
dei proventi cli determinate gabelle o penalità; ma se questi proYenti
erano molto cospicui, lo Stato conchindeva coi suoi fnnzionarii nn
contratto, in forza di cui costoro si obbligavano a pagare sui proventi
stessi una data somma al fisco, tenendosi il restante per proprio
emolumento. Questo sistema che nella bassa Italia si diceva prendere
l'ufficio ad extall.imn o ·in gabellmn era in sostanza un vero appalto 0
locuzione dei pubblici ufficii; e diede luogo ~i più gravi abusi per
parte dei fnnzionarii a danno delle popolazio i.
Xon mancavano però disposizioni dirette d assicurare la buona
EVOLCZION~; 8TOIUCA DI<I PCBBLICI CFFICI 293
scelta dei funzionarii ed a prevenirne le prevaricazioni e gli abusi.
Troviamo infatti che i re di Sicilia ed i duchi di Savoia prescrissero
di affidare le cariche pubbliche a nomini idonei ed onesti, escluse le
persone di bassa condizione, gli ebrei ed i figli illegittimi. Inoltre
si richiedeva che fossero istruiti, specialmente nelle leggi, che non
tossero del luogo che dovevano amministrare, e non vi avessero
molti possedimenti, nè stretta parentela. Durante l'ufficio era vietato
ai funzionarii di imparentarsi con famiglie della loro provincia, come
pure di acquistarvi beni stabili a qualsiasi titolo, di accettar doni,
8 e non di poco valore, ricevere mutui od esercitare il commercio.
:Son era ad essi permesso di sostituir altri in loro vece, tanto meno
8 e parenti; e di ogni danno che avessero recato ai proprii ammini-
strati erano tenuti a rispondere rigorosamente con tutti i beni proprii
e delle loro mog·li, che perciò eran gravati d'ipoteca legale, oltre
l'obbligo talora dei fideiussori. Ogni funzionario, quando usciva cli
carica o periodicamente, se si trattava di ufficio vitalizio, veniva
sottoposto ad un giudizio di .revisione, detto sifdacato, che si esten-
deva a tutti gli atti della sua gestione. Inoltre ogni anno, a somi-
glianza dei messi regi dei Carolingi, si mandavano degli ispettori a
visitare le provincie per raccogliere le lamentanze dei popoli, rivedere
la condotta dei magistrati e punirli severamente (in Sicilia col taglio
della mano), se erano trovati colpevoli di aver denegata o venduta
la giustizia.
32. Sotto le dominazioni straniere, e specialmente sotto quella spa-
gnuola, la più gravosa ai popoli e quella che ebbe in Italia purtroppo
maggior estensione e più lunga durata, cessò nelle regioni italiane,
che vi furono soggette, qualsiasi autonomia nella elezione dei pub-
blici funzionarii, i quali vennero tutti nominati a libero arbitrio del
sovrano dello Stato dominante, e il più delle volte non erano scelti
fra i cittadini del luogo, ma bensì inviati dall'estero con la doppia
missione di tenere i popoli in soggezione, soffocando qualsiasi tenta-
tivo d'indipendenza, e di smungere la maggior quantità possibile di
denaro. I rappresentanti che erano mandati dai re di Spagna a reg-
g·ere in loro nome le diverse provincie d'Italia ad essi sottoposte
llrendevano a ~apoli, in Sicilia ed in Sardegna il titolo di vicerè, a
)lilano quello più modesto di governatori; duravano in ufficio dap-
prima a tempo indeterminato, più tardi per tre anni; ed in caso di
morte del re, che li aveva inviati, occorreva loro l'espressa conferma
Jll"r parte del successore.
Il vicerè o governatore, assistito da un Consiglio, il cui voto perì>
era solo commltivo, governava con amplissimi poteri, limitati soltanto
dalle istruzioni segrete del suo sovrano, e prevedeva da sè sn tutti
gli affari anuninistrativi, ad eccezione di alcuni fra i più importanti,
c·ht> erano riservati al governo 8pagnolo, che teneva all'uopo in Madrid
un apposito Supremo C0nsigiio detto rl'Halia, composto dei rappre-
294- I PJ;BBLIUI GFFICI E LA GEHARCHIA Allll\IIXISTRATIVA

sentanti di Sicilia, di Napoli e di :Milano. Fra gli oggetti riservati a


questo Supremo Consiglio eravi la nomina alle dignità ecclesiastiche
ed ai principali ufficii civili e militari, pei quali il vicerè o governa-
tore aveva soltanto il diritto di proporre una terna. Gli antichi sette
grandi dignitarii della corona, che tenevano la suprema direzione clel
governo del H.egno delle Dne Sicilie, furono aboliti e sostituiti da
nnovi funzionarii, o se pure rimasero, vennero spogliati delle più
importanti attribuzioni.
53. Una delle peggiori usanze di governo importate dagli Spagnuoli
fu il sistema invalso nei secoli XVII e XVIII di vendere per denaro
i pubblici ufficii, dandoli per pubblico incanto al maggior offerente;
così che si ebbe un traffico scandaloso delle cariche pubbliche, non
escluse le più delicate, concernenti l'amministrazione della giustizia
e del pubblico denaro; e si giunse perfino a vendere il diritto di
succedere negli ufficii tuttora coperti. La vendita degli ufficii si
faceva per t1n determinato tempo, a vita, od anche a perpetuità;
nel qual caso la carica si trasmetteva ai discendenti, maschi o fem-
mine, di colui che l'aveva acquistata; e venendo a succedere una
donna, questa esercitava l'ufficio per mezzo di un suo sostituto. In
ogni caso poi chi aveva comperata dal governo od avuta in dono dal
sovrano la carica, e dopo di lui i suoi successori potevano rivenderla
o cederla ad altri come cosa patrimoniale, od associarsi un collega
con patto di successione, oppure anche farla esercitare da altri per
loro conto; le cariche insomma divennero oggetto di libero e pubblico
traffico, non occorre dire con quanto vantaggio dei popoli ammini-
strati, sui quali i compratori si rifacevano ad usura delle somme
s1'orsate per l'acquisto 1 ).
54. Ci volle la rivoluzione francese col rinnovamento profondo e
generale dello spirito pubblico, che essa portò seco, per far sparire
siffatti sistemi di governo fondati sulla venalità delle cariche pn b-
bliche. Anche l'altro sistema di conferire gli ufficii mediante l'estra-
zione a sorte, metodo meno iniquo, ma anch'esso molto pericoloso,
scomparve totalmente. Per l'ammissione agli ufficii amministrativi
si richiesero determinati titoli di idoneità morale e di coltura giu-
ridica (laurea in legge), e si istituirono Commissioni per esaminare
gli aspiranti. Si proibì il cumulo delle cariche incompatibili, o di
dare a stretti parenti due ufficii subordinati l'uno all'altro, ovvero
concorrenti, come avrebbero due posti di giudice nello stesso collegio.
:X ello stesso tempo i funziona rii vennero sottoposti ad una pi Ìl

l) .A dimostrare quanto fosse dift'ns>t e radicata nei secoli seorsi l'opinione


che la vendit>t ed il traffico delle cariche pnbbliche fossero cosa perfettanwnte
lecita ecl onesfa, basti ricorclare che un illustre pnbblicista come il ~Iontesqni<'ll
nel sno lsprit des /vis, dichiara bnono per gli Stati monarchici il sistema dell:t
Yeualità dPg-li ntlici !
LA OJ.;J:AHCHIA ,DDUXISTHATIVA 295

J"io·orosa disciplina, con divieto di ricevere doni e di accettare racco-


111:ndazioni; e quelli che avessero contratto debiti senza avere di che
pagarli, venivano rimossi dall'ufficio. Fu vietata la sostituzione di
altri nel proprio ufficio senza l'espressa approvazione del sovrano, e
emù pnre l'assenza dal posto senza licenza dei superiori, sebbene con
poca efficacia pratica. Venne mantenuto l'antico sistema del sindacato,
vale a dire della revisione degli atti dei pubblici ufficiali che si
faceva periodicamente per le cariche vitalizie od a tempo indetermi-
nato, e dopo la scadenza per quelle a durata prestabilita. La condi-
zione dei funzionari retribuiti venne migliorata con aumento degli
stipendii e con assegno di pensioni ad essi ed alle loro vedove ed
orfani; il che permise di vietare assolutamente ai funzionarii stmisi,
sotto minaccia di gravi pene, qualsiasi arbitraria esazione od abuso
<l'ufficio.
Uosì, dopo lunga evoluzione storica, si fece ritorno a quel .prin-
cipio di diritto pubblico naturale, che aveva già formato la base
<lell'antico ordinamento amministrativo romano, vale a dire che gli
nfficii pubblici non sono già beneficii o prebende, più o meno laute,
istituite a vantaggio dei funzionarii, che li rivestono, ma bensì or-
gani creati dallo Stato per il raggiungimento de' suoi fini d'interesse
g·enerale dei consociati.

UAPO III.

l,A GERARCHIA A:IL\IINIS'l'RA'l'IVA.

§ l. - Come essei è costituifo.

i'<O)DJAHJO. - 55. Sistemtt hnroera.tieo e sistema collegittle. - 56. Uffici consnltivi,


1lelihemtiYi, esecutivi e di controllo nel Go,·emo centritle. - 57. Gli uffici
<lel Governo locale.

,);), Lo Stato nell'esercizio delle sue funzioni di governo deve ne-


•·essariamente farsi rappresentare dalle persone singole, o da una
<'ollettività di persone; nel primo caso, quando cioè la persona chia-
mata ad esercitare una carica pubblica agisce con determinazione
iIJllividnale e con responsabilità tutta propria, si ha l'ufficio singo-
lare ; nel secondo caso, in cui le deliberazioni ecl i lH'Ovvedimenti
amministrativi sono il risultato di più volontà insieme concorrenti,
ahliiamo l'ufficio collegiale. ~ei governi, ove le cariche pubbliche
sono affidate per lo più a singoli individui, si ha quel sistema g:e-
l'arehico, che prende il nome di burocmtico, sistema che s'incontra
Piì1 di frequente negli Stati monarchici, e più in quelli di regime
assoluto; mentre invece il sistema c0Uer1iale si a<lat,ta meglio ai go-
296 I l't:HBLICI t:FF!Cl E LA GJ<:HAIW!ll.\ Al\DUN114TRATIYA

verni di forma democratica. Infatti la storia c'imiegna ehe a Ho1na


sotto la primitiva monarchia tutte le altre cariche dello Stato ad
eecezione di quelle giudiziarie, erano affidate a persone singole, 1na
non appena subentrò il regime repubblicano, gli uffici divennero
quasi tutti collettivi, a cominciare da quello supremo dei consoli, e
per lo più vennero affidati con sistema collegiale binario a due tito-
lari (due consoli, due censori, ecc.); ma più tardi l'assolutismo impe-
riale ricondusse nuovamente le cariche maggiori al sistema singolan•.
Una Rimile evoluzione si osserva durante l'età di mezzo; giaechi•
sotto il governo autoeratico dei re barbari, come sotto le dominazioni
assolute dei re stranieri, troviamo l'azione isolata, e con poteri quasi
illimitati, dei duchi, dei conti e dei vicerè o governatori; mentrl:'
negli ordinamenti democratici dei Comuni italiani e delle repubbliche
i supremi poteri sono per lo più nelle mani di autorità collegiali, i:;i
chiamino esse consoli, consiglio dei dieci, procuratori della repubblica
o con altro titolo qualsiasi.
)fa non è tuttavia da credere che l'ordinamento burocratico e quello
collegiale si trovino in assoluto contrasto per modo che l'uno escluda
l'altro: anzi il più delle volte, per non dir sempre, coesistono l'uno
accanto all'altro, concorrendo insieme a formare il complesso armo-
nico della gerarchia amministrativa. Si tratta soltanto di prevalenza
di un sistema o dell'altro.
Si suol dire che la forma burocratiea sia il tipo proprio dell'am-
ministrazione atti1Yi, vale a dire delle fnnzioni di carattere immedia-
tamente esecutin>, e quella collegiale rappresenti di preferenza l'am-
ministrazione consultiva e deliberativa. Come norma generale, cfo i:>
esatto; e facilmente se ne eomprende la ra.gione da chi rifletta che
l'agire nell'esercizio di un'autorità meglio s'appartiene al singolo,
mentre il consigliare o deliberare circa i provvedimenti richiesti dal-
l'interesse pubblico si conviene piuttosto ai molti.
}fa, a parte la prevalenza che ha l'un sistema o l'altro se-
condo l'indirizzo, assoluto o democratico, del governo nei diversi
Stati, come abbiamo poc'anzi osservato, non sarebbe esatto ritenere
che le cariche esecutive siano sempre affidate a funzionarii singoli,
e quelle consultive o deliberative a corpi collegiali. Tanto è vero
che, a cominciare dalla stessa carica suprema della nostra attualr
gerarchia amministrativa, quella dei ministri segretarii di Stato, tro-
viamo che i singoli ministri agiscono bensì individualmente •nella
direzione degli affari speciali affidati ai rispettivi dicasteri, ma si
radunano in forma collegiale (Consiglio dei ministri) per deliberare
sugli atti cli governo di maggior rilievo, e sopra tutti quegli affari,
che presentano un alto interesse generale per lo Stato i). Passando

1) Cn regolamento, approni.to .con R. <lt,ereto del 25 agosto 187fi, clPtrr111i11n

gli oggl'tti tl:i sottoporsi alla <lPlibrrazione clel Consiglio dei lllinistri.
LA Glèi!AHCHIA A~DHXISTHATIV A 297
dall'amministrazione centrale a quella locale troviamo pure che le
funzioni esecutive sono affidate a collegi, tanto per la Provincia (De-
putazione provinciale), quanto per il Comune (Giunta municipale).
)fa, Kia nel caso del Consiglio dei ministri, sia in q nello della De-
putazione provinciale e della Giunta municipale, non è inutile osser-
vare che, Hebbene questi collegii abbiano indubbiamente carattere di
orgm1i esecutivi, tuttavia ciò che in essi si compie realmente sotto
forma collegiale è soltanto la deliberazione circa i provvedimenti da
prendere, mentre poi la funzione direttamente ed immediatamente
esecutiva rimane di regola affidata ad un solo funzionario; tant'è che
nelle amministrazioni provinciali ed altresì in quelle comunali, almeno
nei grandi Comuni, la funzione esecutiva è di fatto ripartita in tante
branche, ciascuna delle quali è affidata ad un membro del collegio
(deputato provinciale: assessore municipale), il quale vi sovraintende
con azione quasi autonoma e sotto la propria responsabilità, a somi-
g'lianza di quanto fanno i singoli ministri nei propri dicasteri. Cfo
conferma indirettamente la verità della regola fondamentale che l' e-
sercizio diretto ed immediato dell'autorità appartiene all'agente singolo,
mentre agli organi collegiali si conviene di preferenza il dar pareri e
prendere deliberazioni.
iJ6. :X ell' attuale ordinamento amministrativo del Regno d'Italia la
gerarchia dei pubblici funzionarii ha il suo capo supremo nella per-
sona, sacra ed inviolabile, del Re, il quale riunisce nelle sue mani
la somma del potere esecutivo col comando di tutte le forze di terra
e di mare, e conferisce tutte le cariche dello Stato i). Il re, capo
insindacabile ed irresponsabile, governa per mezzo di ministri respon-
sabili, da lui nominati e revocati, ciascuno dei quali dirige una branca
o 1lipartimento dei pubblici servizii; e riuniti collegialmente per de-
liberare circa i più gravi interessi dello Stato, costituiscono il Con-
siglio dei ministri, con a capo il proprio presidente 2 ). Ciascun mi-
nistro nell'esercizio delle sue molteplici attribuzioni è coadiuvato da
un i;ostituto col titolo di sotto-segretario di Stato, che lo supplisce e
rappresenta in caso di assenza o di impedimento, anche nei rapporti
eon il Parlamento 3).
Sotto l'alta direzione e responsabilità del ministro e del sotto-segre-
tario di Stato, suo sostituto, che sono funzionari di carattere politico,
il cui ufficio in uno Stato a governo parlamentare, come l'Italia, è su-
bonlinnto essenzialmente alla fiducia delle mutevoli maggioranze par-

1) Statuto fondamentale del Regno, 4 marzo 1848, nrt. 5 e 6.


") Le attrilrnzinni ed il modo di funzionare del Consiglio dei ministri :.;ono
8 tnhiliti dal regol:t111ento 25 agosto 1876, già eitato.
a) Legge 12 febbraio 1888, ciTcn il numero e l<> attribuzioni dei Ministeri.
nrt. 2; e R. decreto 1. 0 marzo 1888, che nholiHce i segretnrii generali nei ~Iini­
steri t>d istituisce i sotto-segretnrii cli Stato.
298 I Pl:llBLICI CFFICI J•; LA GERAHCHIA A~DIIXI>;THATIVA

lamentari, collabora in ciascun Ministero e nei dipendenti uffici pro-


vinciali una quantità, più o meno numerosa, di funzionari stabili, i
quali sono detti comunemente di carriera, perchè hanno nomina per-
manente con successive proporzioni di grado i~ grado, in conformità
Ilei ruoli organici stabiliti per le singole atministrazioni. Questo
personale permanente, ordinato sotto forma rigprosamente gerarchica,
viene distinto presso talune amministrazioni in due categorie, dette
la prima di concetto e la seconda di ragioneria; quella ha l'attrihn-
zione di studiare e preparare per la firma del ministro o del sottose-
gretario di Stato tutti i provvedimenti di indole amministratirn,
mentre i funzionari appartenenti alla seconda hanno l' incarico spe-
ciale di tenere la contabilità e di provvedere alla formazione ed al-
l'attuazione del bilancio delle rispettive amministrazioni. Non par-
liaino qui della terza categoria, formata dai così detti iitficiclli d'ordine,
·i quali, stante il carattere quasi esclusivamente materiale del loro
servizio, consistente nella trascrizione e conservazione degli atti d'uf-
ficio, non possono essere annoverati, scientificamente parlando, fra i
pubblici ufficiali, come abbia.mo già anteriormente sostenuto (vedi
sopra, ai n. 52-53 della presente monografia).
Ad assistere ed illuminare i ministri negli affari di maggior rilievo
sono istituiti presso ogni Ministero taluni corpi collettivi, chiamati a
Ilare il proprio parere od a formulare proposte circa i provvedimenti
da adottare. Questi collegii, che prendono il nome di Consigli, di
Commissioni o di Giunte, spesso con l'aggiunta della qualifica di sii-
periore, sono presieduti di solito dal ministro stesso o da un vice-
presidente nominato sopra sua proposta; hanno di regola un voto
meramente consultivo, che non vincola punto la libertà d'azione del
ministro e non ne menoma, teoricamente parlando, la responsabilità;
ma talvolta esercitano anche una vera e propria giurisdizione di ea-
rattere contenzioso ed emettono decisioni obbligatorie; come, ad es.,
il Consiglio superiore di pubblica istruzione in materia di punizioni
disciplinari da infliggersi ai professori e studenti universitari 1). Vi
ha poi uno di questi collegii, cioè la Commissione centrale per le
imposte dirette, istituita presso il Ministero delle finanze, la quale
non esercita punto attribuzioni consultive, ma esclusivamente giuris-
dizionali, decidendo in ultimo grado circa l'esistenza e l'imponibilitù,
Ilei redditi fondiari e di ricchezza mobile, salvo il ricorso all'antoritcì,
g;iudiziaria per sola violazione di legge 2 ).
Vi sono inoltre taluni collegi, le cui deliberazioni, senza che eo-
stituiscano vere e proprie decisioni emanate in sede contenziosa. ri-

1) Legge 13 110Ye1nbre 1859, sulla pnhblica istrnzio11e, art. 12 e 107.


2) Leg·ge 2J ngosto 1877, testo n11ico, snlla impost:L ili ricchezza mobile, art. 48,
;)0, 51 e 53; - Legge 1. 0 m:trzo 1886, pel riordiname11to 1lell'impost:L fornliarin,
art. 28 e 28.
LA GEHAHCHIA A)DIIXISTHATl\' A 299

vestono nondimeno carattere obbligatorio, tanto che il minh;tro è


t,ennto ad uniformarvisi ne' suoi provvedimenti. Così ha carattere
definitivo ed obbligatorio 1' avviso della Commissione per le privative
industriali istituita presso il .:\'Iinistero di agricoltura, industria e
commercio 1 ), e del pari quello della Commissione per la destituzione
tleg·li impiegati civili, alla quale spetta esaminare se i motivi, che
(liedero luogo alla destituzione, sieno tanto gravi da giustificare la
perdita del diritto alla pensione 2 ).
Il modo come sono costituiti e come funzionano codesti Corpi con-
sultivi o giurisdizionali annessi alle singole amministrazioni centrali
1' stabilito dalle leggi o dai regolamenti speciali. Di regola, quando
si tratti di Commissioni o collegi con voto puramente consultivo, le
persone chiamate a farne parte sono scelte dallo stesso ministro, che
presiede all'amministrazione interessata, fra determinate categorie di
alti funzionari, magistrati od insegnanti '3), oppure liberamente fra
persone estranee all'amministrazione 4 ). Altre vol.te però i regola-
menti, anzichè lasciare al ministro la libertà di scelta, designano
direttamente i funzionari che debbono far parte del collegio nella loro
(prnlità di capi o rappresentanti di un determinato servizio avente
qualche attinenza con le materie da trattarsi nel collegio 5 ). Talvolta,
ma più raramente, nella formazione di questi collegi amministrativi
ha parte ·anche l'elemento elettivo; come nel Consiglio superiore di
pubblica istruzione, i cui membri per una metà sono scelti libera-
mente dal ministro, e per l'altra metà vengono eletti dal voto dei
professori ordinari e straordinari delle Facoltà uni versi tari e e degli
altri istituti d'istruzione superiore 6 ).
Ordinariamente i membri dei Consigli o delle Commissioni ammi-
nistrative durano in ufficio per un determinato numero di anni (per
e». nel Consiglio del contenzioso diplomatico 5 anni, nel Consiglio

1) Legge 30 ottobre 1859, sulle privative indnstrin.li, nrt. Jil.

") Legge H aprile 1864, Hulle pensioni <legli impiegnti civili, art. 32: e nnovo
testo unico di legge sulle pensioni civili e militnri, in dnta 19 luglio 189il, art. 183,
lPttem à.
'1) Per es. Consiglio del contenzioso tliplowatico presso il ~Iinistero degli nffnri
regolato dnl R. decreto 17 febbmio 1883 e Collegio consnltivo dei periti doganali,
istituito con l:t legge del 13 novembre 1887. -
•) Consiglio per gli arehivii presso il )Iinistero <lell' interno, retto flal R. de-
<THo 26 marzo 1874 .
.-,) Così per il Consiglio snpcriore di sanità (legge 22 tliccmùre 1888, art. 4);
- per la Commissione delle ricompense nl Yalor civile (H.. decreto U gennaio 1872,
art. 2; - per qnella delle medaglie ai benemeriti della snlnte pn bbliea (R. de-
tTeto 7 settembre 1888, art. 1); - per il Consiglio cklle tariffe ferroviarie (R. dc-
<Teto 24 gennaio 1886, art. 2); - per il Consiglio su peri ore di rnarinn. (R. decreto
:!:? agosto 1880, art. 1).
t;l Legge 17 fehbmio 1881, snl Consiglio superiore <li pnlJhlica istmzimw, art. 2-4
,. Hegolameuto relativo 10 marzo 1881.
300 I PCllllLICI CFFIUI I•; i.A (;!,HA IWHIA A~nUXI8THATIYA

superiore di pubblica istruzione 4 anni); e talvolta alla scadenza


possono essere immediatamente riconfermati (per es. Cons. contenz.
dipl.); mentre in altri casi non possono essere nuovamente nominati
se non dopo un intervallo di tempo (i membri del Cons. sup. di
pubbl. istruz. <lopo un anno). Le loro funzioni sono di regola total·
niente gratuite, e tntto al più può essere loro corrisposta un'indennità
sotto forma di assegno fisso oppure di medaglia o gettone di presenza
per ogni seduta, a cui ciascun consigliere o commissario inter-
viene 1).
Crediamo inutile dare qui l'elenco completo di tutti questi corpi
consultivi speciali. Basti osservare che essi sono molto numerosi, e
tendono continuamente a crescere di numero. Ogni Ministero ha i
suoi e qualcuno ne possiede parecchi (ad. es. presso il Ministero
dell'interno attualmente ve ne sono sei, e presso quello dell' istru-
zione cinque). Non può quindi dirsi infondato il lamento mosso da
qualche pubblicista 2 ) circa il numero eccessivo di Consigli e Com-
missioni consultive, che deve considerarsi come un .segno di deca-
denza e di cattiva amministrazione. Infatti questi Corpi consultivi
speciali, se presentano un lato utile, in quanto portano all'azione

1) Così pel Consiglio degli archi vii il citato R. decreto 26 rnarzo 1874, all'art. 2

dispone: « Le funzioni dei compone11ti il Consiglio sono gratuite: nna indennità i>
perii dovnta a quelli di essi che non ahhiano residenza in Roma ». Pei memhri
del Cons. snp. di pnbbl. ist.rnz. un R. decreto del 12 maggio 1881 assegna al vice-
presidente (presidente ne è, come di solito, il Ministro stesso) mrn retribnzionP
annua di mille lire, ed a ciascuno dei consiglieri di lire 500, oltre im gettone di
presenza di lire 20 per ogni tornata, e le indennità di viaggio stabilite dal R. d<>-
creto 19 ottobre 1865.
2 ) Stein, Scienza dellct pnbblica amministmzionc, 2.a ediz. ital. nella Bibliot1ica di

scienze polit. ed ainm. (Torino, Unione tipogr. editrice), vol. I, pag. 231.
Non mancano peri> altri scrittori, che sostengono l'utilità dei Consig'li ammini-
strativi permanenti, perchè rnppresent:tno la capacità tecnica necessaria per intP-
grare la capacità, di solito puramente politica, dei ministri, e per mantenere ]:1
continuità e l'uniformità nella trnttazione degli affari attraverso ai frequenti cam-
biamenti dei ministri, che sono una caratteristica dei governi parlamentari. TalP
è l'opinione sostenuta ùallo Stnart-;\fill nella sua opera sul Governo rappresenta-
tiYo (cap. XIV). Ma è faeile osservare che 11uesta ragione ha poco peso, clal mo-
mento che la conoscenza tecnica degli affari e la costanza delle tradizioni ammi-
nistratiYe trovano già i loro naturali rappresentanti nei funzionari permanenti ,.
di carriera di ciascun Ministero.
In fondo la questione è, piì1 C'he altro, di limiti. Non si Ynol negare che quaklll'
volta un corpo C'onsnltivo speciale, costituito con solide garanzie, così per la sccltn
de' snoi membri, co111e per il suo modo di funzionare, possa rendere ntili serYigi;
nm ci<> che crediamo assolutamente riprove,·ole, di fronte ai sani principi i di pnh-
blica amministrazione, si è il continuo rnoltiplicarsi di siffatti collegi o consigli.
istitniti il più delle volte per semplice decreto reale, e quasi sem1n·e senza alcun
risultato pratico all' infnori di qncllo di portare un ritardo sistematico nello sn>l-
gimcnto 1lell'azione amministrativa e di sen·ir<' anche talvolta di eomodo riparo
per la responsa hilità ministeriale.
LA GIWAHUHIA A~Dl!Xl~TRATIV A 301

auuninistrativa un notevole contributo di lumi e di studii, quale


tlifficilmente si potrebbe ottenere dall'opera isolata dei funzionari di
carriera addetti a ciascun dicaRtero, d'altro canto hanno pure gravi
inconvenienti; perchè, si voglia o no, finiRcono col menomare in
qualche modo l'iniziativa personale e la corri~pettiva re:;ponsabilità
del ministro come capo dell'amministrazione. E bensì vero che un
ministro, quando fosse chiamato a rispondere politicamente davanti
al Parlamento, o giudizialmente dinanzi all'Alta Corte di giustizia,
per un atto o provvedimento da lui emesso, non potrebbe affatto na-
scondere o menomare la propria responsabilità, trincerandosi dietro
il parere datogli da un Corpo consultivo; appunto perchè il parere,
come tale, non obbliga il ministro, ma gli lascia piena libertà di
agire e di provvedere, coi1rn gli sembri più opportuno. Ma, per quanto
ciii sia un principio indiscutibile dal punto di vista giuridico, non
può negarsi che in fatto il voto conforme di un collegio composto di
persone autorevoli e competenti nelle singole materie, e per lo più di
magistrati o di alti funzionari dello Stato o di membri del Parlamento,
se non costituisce in ogni caso una discriminante per il ministro, rap-
presenta per lo meno per lui una scusante parziale o, se si vuole
meglio, una attenuante per qualsiasi colpa; e nessuna assemblea po-
litica o giudiziaria giudicherà mai diversamente.
L'esistenza di siffatti Consigli speciali e la continua creazione di
altri consimili appariscono ancor meno giustificate, quando si rifletta
che vi è già un alto corpo consultivo, il quale ha precisamente per
missione principale di assistere coi suoi consigli ad illuminare il
Governo in tutte le questioni amministrative e giuridiche, che pos-
sono essere sollevate, sia in seguito a ricorsi degli interessati, sia
sopra quesiti proposti d'ufficio dai singoli Ministeri. Questo supremo
corpo consultivo della pubblica amministrazione è il Consiglio di
Stato, retto attualmente dal testo unico di legge portante la data
del 2 giugno 1889 e dal regolamento del 17 ottobre successivo. Esso
Hi compone di tre sezioni consultive, detta la prima dell'interno per
gli affari relativi ai ministeri dell'interno e dell'istruzione pubblica;
la seconda detta di grazia e giustizia e dei culti, che tratta gli affari
riguardanti i Ministeri della grazia e giustizia e dei culti, dei lavori
l>nbhlici, delle poste e dei telegrafi e degli affari esteri ; e la terza,
dtiamata di finanza, alla quale sono attribuiti gli affari relativi alle
finanze, al tesoro, all'agricoltura, industria e commercio, alla guerra
etl alla marina; senza parlare qui della quarta sezione istituita per
1' esercizio della giurisdizione amministrativa in sede contenziosa.
l;ome si vede, la ripartizione degli affari fra le tre sezioni consultive
1lel Consiglio di Stato è tale da specializzare sufficientemente gli
stndii e la competenza dei singoli consiglieri, senza contare che cia-
Hcuna sezione può ancora essere suddivisa in più comitati e che,
11nando si tratti di esaminare affari di nat,ura mista o indeterminata,
302 I PUBBL!UI UFFICI E LA GERARCHIA AM:\IINISTRATIYA

il presidente del Consiglio di Stato ha facoltà di formare Conimis.~ioni


special·i, scegliendone i membri fra i consiglieri delle diverse sezioni.·
Giova quindi augurare che il Governo sia meno corrivo ad istituire
per decreto reale nuovi corpi consultivi speciali, i quali in molti
casi non sono altro che un duplicato del Consiglio di Stato, di cui
prevengono e rendono in gran parte inutile l'azione, e che oltre al
servire cli comodo riparo alla responsabilità ministeriale portano ine-
vitabilmente un intralcio nell'azione amministrativa e sono causa di
continui ritardi nella risoluzione degli affari 1 ).
Per esercitare la funzione del controllo amministrativo e special-
mente contabile vi è un organo speciale, la Corte dei conti, la quale
retta dalla legge 14 agosto 1862, ha una triplice categoria di attri-
buzioni, la prima di controllo amministrativo propriamente detto, in
quanto si riferisce all'esame della legalità dei decreti reali, i quali
tutti indistintamente debbono esserle presentati per la registrazione,
senza di cui non hanno efficacia esecutiva. Questo controllo della
Corte dei conti non toglie però nè menoma punto la responsabilità
dei ministri per i decreti da essi proposti alla firma del Sovrano e
da essi controfirmati, a termini dell'art. 67 dello Statuto. La seconda
attribuzione della Corte consiste nel vero e proprio controllo conta-
bile, mediante il riscontro di tutte le spese ed entrate della pub-
blica amministrazione. Questa funzione di controllo assume una dop-
pia forma, preventiva in quanto i mandati e gli ordini di pagamento
sull'erario dello Stato non sono eseguibili se prima non riportano il
visto della Corte, e successiva in quanto i rendiconti di tutte le am-
ministrazioni, le quali implicano maneggio di denaro pubblico o cu-
stodia di beni demaniali, tanto in entrata che in uscita, debbono
essere sottoposti alla Corte stessa, che li esamina con giurisdizione
contenziosa di fronte ai tesorieri, ricevitori, cassieri e qualsiasi agente
incaricato di riscuotere, di pagare, di conservare o di maneggiare
comunque pubblico danaro o di tenere in custodia valori e materie
di proprietà dello Stato. Còrnpito accessorio a questa funzione di
controllo contabile è la vigilaJJ.za, che la Corte dei conti è cbiamata
ad esercitare, affinchè tutti gli agenti dello Stato, a cui sono affi-
dati denari o beni demaniali, garantiscono la loro gestione mediante
una congrua cauzione da non potersi svincolare nè ridurre senza
l'autorizzazione della Corte stessa.
Terza attribuzione della Corte dei conti è la liquidazione delle
pensioni a favore degli impiegati civili e militari dello Stato; rwl di

1) Fra codesti Consigli speciali dei ::i.Iinisteri, clw possono considerarsi com<'

altrettanti piccoli Consigli di Stato ad 11sn111 Delphini, Y::t segnalato come uno dt'i
piìi inutili quello istituito con R. <lecreto 28 marzo 1889 presso il Ministero della
pulllllic:t istruzione sotto il nome di Commissione consulti Ya per le eonh'o,·ersi<'
tra Consigli seolastici, Comuni e maestri elementari.
LA GEHAIWHIA AMllUXIKTHATIY A 303

questa funzione estranea al còmpito principale ed essenziale della


Corte, il quale consiste, come abbiamo detto, nel doppio controllo
aniministrativo e contabile, non è qui il luogo di parlare, dovendo-
8ene trattare largamente in una delle successive monografie, riguar-
dante lo stato degli impiegati.
Così abbiamo visto per somme linee quali siano gli organi, ai quali
vengono affidate nell'amministrazione centrale dello Stato le funzioni
eowmltive, deliberative, esecutive e di controllo, che rappresentano
in ordine logico i quattro stadii successivi dell'azione amministrati va.
Per le funzioni consultive abbiamo, oltre i diversi organi speciali
rappresentati dai Consigli o Commissioni istituite presso i singoli
)linisteri, un corpo consultivo generale, che è il Consiglio di Stato.
Le funzioni deliberative sono affidate al Consiglio dei ministri ed ai
singoli ministri; quelle esecutive vengono esercitate dai ministri
stessi coadiuvati dai funzionari dei rispettivi dicasteri, gerarchica-
mente ordinati. La funzione di controllo infine ha per suo organo
speciale la Corte dei conti.
37. :Negli Stati cli piccola estensione territoriale, quali erano per
esempio quelli dell'antica Grecia ed i Comuni italiani del medioevo,
vi è un solo potere che esercita direttamente la sua azione ammini-
strativa nella città, costituente il nucleo dello Stato, e nella campagna
circostante. Ma nei grandi Stati, come sono quasi tutti gli odierni,
che abbracciano nel proprio dominio vaste regioni e numerose città
po8te a distanze di centinaia di chilometri l'una dall'altra, l'eser-
cizio diretto del Governo nell'intero territorio diventa assolutamente
impossibile, e si rende necessario che il Governo centrale, posto
nella capitale, dirami la sua azione nelle diverse provincie per mezzo
dei propri rappresentanti. Abbiamo quindi i funzionari governativi
locali, di cui il prototipo nella nostra legislazione è il prefetto, che
rappresenta il potere esecutivo in ciascuna delle 69 provintie, in
cui si divide il regno d'Italia; ed ha attribuzioni così molteplici e
svariate con poteri tanto vasti da doversi considerare come un vero
ministro nella provincia a lui affidata 1). Egli è coadiuvato da nu
consigliere delegato, che ne fa le veci in caso di assenza o di impt-
ùimento, ed è inoltre assistito da un Consiglio di prefettura composto
di alcuni (tre al massimo) funzionari governativi. Questo Consiglio,
oltre alla sua funzione principale di corpo consultivo del prefetto,
atltmpie anche ad un'altra importante attribuzione, che è quella tlel
controllo giurisdizionale sui conti dei tesorieri comunali, emulando
emù in certo modo le attribuzioni che nel Governo centrale sono

1) Snlle molteplici c1l importanti attrilmzioni conferite ai prefrtti dalla Yigenk


legge com. e proY. e dn altre leggi specin.li consnltn: Saredo, La nuora legge com. e
]Jro1-. co1nine11tata, vol. Il, pag. 39 e segg.
:30J I PGBBLICI GFFICI E LA GEHAIWHIA A)DI!Xl~THATIVA

affidate al Consiglio di Stato (attribuzioni consultive) con quella della


Corte dei conti (funzioni di controllò).
Oltre che dal prefetto che ne è il rappresentante generale il Governo
centrale è altresì rappresentato nelle provincie da molti altri funzio-
nari aventi attribuzioni speciali in rapporto coi diversi rami della
pubblica amministrazione. Per ciascun Ministero vi sono nelle pro-
vincie speciali funzionari; così per i lVIinisteri delle finanze e del te-
soro troviamo gli intendenti di finanza ed i tesorieri delegati in·esso
la Banca d'Italia, assuntrice del servizio di tesoreria per lo Stato,
gli agenti delle imposte dirette ed i ricevitori del regi:'!tro; per il
}Iinistero clell'intemo abbiamo, per ciò che riguarda la pubblica si-
curezza, i questori, gli ispettori ed i delegati, e per la sanitù pub-
blica i medici provinciali e gli ufficiali sanitari comunali ; per il l\Ii-
nhitero dei lavori pubblici gli uffici provinciali del genio civile; per
quello della marina gli ufficiali di porto ed i comandanti degli ar:-;e-
nali e delle piazze militari marittime; per quello della guerra i co-
mandanti cli corpi d'armata, delle divisioni territoriali ed i comandanti
(li presidio; per quello dell'istruzione i provveditori agli studi e g'li
ispettori scolastici circondariali; e così via dicendo. È tutta una vasta
e fitta rete di pubblici ufficiali, che serve a collegare le singole parti
dello Stato alla capitale, ed a trasmettere l'impulso direttivo dal
centro alla periferia, adempiendo nella vita amministrativa quell'uf-
ficio, a cui è destinato nel corpo umano il sistema nervoso. Per mezzo
<le' suoi funzionari residenti nelle diverse parti dello Stato, il Governo
centrale viene a conoscerne le condizioni, i desideri e i bisogni, ed
in conformità delle une e degli altri regola la propria azione direttiva,
emettendo secondo i casi quei provvedimenti che stima necessari o
convenienti, ed affidandone l'esecuzione agli stessi funzionari gover-
nativi.
-;\la non tutta l'azione amministrativa viene esercitata direttamente
tlal potere centrale e da/ suoi funzionari. La cura degli interessi am-
ministrativi di carattere puramente locale è lasciata ai rappresen-
tanti eletti dai cittadini interessati, e costituiti in appositi Collegi o
consigli amministrativi (Consigli comunali e provinciali), i quali sotto
la vigilanza e la tutela del Governo centrale provvedono, in confor-
mità delle leggi, non soltanto alle attribuzioni di carattere obbliga-
torio affidate agli enti locali (Comune e provincia), ma altresì a tutti
gli altri bisogni ed interessi amministrativi della rispettiva circoscri-
zione territoriale. Sorge così, accanto alla gerarchia locale e proyiu-
ciale dei funzionarii govemativi, che sono tutti di nomina regia,
un'altra gerarchia speciale di funzionarii locali di origine elettiYa
(consiglieri conrnnali e provinciali, assessori municipali, sindaci, de-
putati provinciali); i quali rappresentano nella sfera amministrati,·a
lelemento llell' autonomia locale ed agiscono nell'esercizio delle pro-
prie funzioni con piena indipendenza dell'autorità centrale, salvo per
LA GERARCHIA A~Dl!XI,.;TRATIYA

cii> che riguarda le attribuzioni di vigilanza e di bntela, a cui ab-


biamo testè accennato.
Una evidente anomalia, che contraddiceva al principio dell'auto-
nomia locale, era il sindaco di nomina regia ; ma tale anomalia, che
era dovuta alla circostanza che nella carica di sindaco sono cumu-
late le funzioni di capo dell'amministrazione municipale con quelle
di rappresentante locale del Governo, cominciò a scomparire con la
Jeg·ge 30 dicembre 1888 (art. 50), che affidò al Consiglio comunale
L'elezione del sindaco nei Comuni maggiori; e da ultimo cessò del
tutto con la recente legge del 29 luglio 18Uu (art. 1) che rese elet-
tivo il sindaco in tutti i Comuni indistintamente. Per() con questa ri-
forma, per quanto lodevole per i principi i liberali da cui è ispirata, si
p, tolta un'anomalia per sostituirne un'altra in senso opposto; poichè
se era irregolare che il capo dell'amministrazione comunale, la quale
si basa sul sistema elettorale, fosse di nomina regia, non è meno
contraddittorio che l'ufficiale del Governo, quale è tuttora il sindaco,
sia eletto dai rappresentanti elettivi dell'autorità locale. A riparare,
almeno in parte, questo inconveniente tende un progetto di legge
attualmente in esame davanti al Parlamento, col quale si darebbe
facoltà al Governo di sostituire al sindaco per l'esercizio delle fun-
zioni di ufficiale di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria uno
speciale commissa-rio c011mna,le, nominato per decreto reale, sulla pro-
posta del prefetto e sentito il procuratore del Re; il suo ufficio sa-
rebbe gratuito, ed avrebbe la durata di tre anni, salvo riconferma.
Gli enti amministrativi locali, oltre ai propri organi deliberativi
e<l esecutivi di origine elettiva, hanno ancora altri agenti e funzio-
nari chiamati a coadiuvare gli amministratori del Comune e della
provincia nell'adempimento dei pubblici servizi d'interesse locale,
,.;pecialmente per quelle attribuzioni che richieggono attitudini e ca-
pacità tecniche ed un'applicazione continua ed assorbente di carat-
tere professionale. Questi funzionari locali, che si potrebbero chia-
mare ausiliari, vengono nominati dai collegi deliberanti degli stessi
enti locali (Consigli comunali e provinciali) con determinate ga-
ranzie di scelta, sono stipendiati sui bilanci dei Comuni e delle
Provincie, e nell'esercizio delle loro attribuzioni dipendono dai capi
dettivi delle stesse amministrazioni locali; ma godono di determi-
nate garanzie legali rispetto alla misura ed al modo di pagamento
delle loro retribuzioni (così, ad esempio, pei maestri elementari, se-
condo le leggi 11 aprile 1885 e 26 marzo 1893) come pure rispetto
alla durata ed alla stabilità del loro ufficio (pei maestri elementari
la legge testo unico 19 aprile 1885, pei medici condotti l'art. 16
(]ella legge sanitaria 22 dicembre 1888, ed ora si pensa a provvedere
analogamente anche pei segretari comunali 1 ). Alcuni di codesti fnn-

1) Due proposte di legge, nna <l' iniziativt1 parl::unent:ue e l'altra cl' iniziativa

<lel Governo, si trovano presentemente in esame presso la Camera dei depntati,


dirette a regolare la condizione giuriclica dei segretari comunali.
306 I Pl'BBLICI CFFICl E LA Gl.:IlAHCl!lA A~DIJXl~THAT!VA

zionari locali coprono uffici dichiarati dalla lt>gge obhligatorii Pl>r


gli enti amministrativi locali e tali sono i sPgretari comunali, i
medici condotti ed i maestri elt.·mentari; gli alt.ri invece sono S('Jn-
plicemente facoltativi; ma sì gli uni che gli altri fanno partP del
grande organismo dei pubblici uffici gerarchicamente costituito, a
partire dal sommo potere del sovrano e dt>' suoi ministri, i qnali
formano il vertice della piramide della gnarchin amministrnt.iva, pPr
scendere fino ai più modesti funzionari ausiliari dl'll'arnministrazio1w
locale, i quali ne costituiscono, per così dire, la base.

§ !3. - Come agisce.

Sol'>DIAHIO. - 58. Il primipio della snhordinuzione gerarchica. - 59. A11to110111ia


dei collegi ::imministrati,-i e tutela governatint sulle mnministrn.zioni loeuli. -
HO. Delegazione di nttTihnzioni e cli poteri. - 61. Prevnlenzn delln mnggio-
ranzn negli nftici collegiali. - 62. Assmizione di fìrnzioni pnhhliche dn partP
di privati.

38. Ora che abbiamo tracciato per somme linee il quadro organico
della gerarchia amministrativa, vediamo brevemente quali siano lP
norme che regolano l'azione del vasto organismo.
Il concetto direttivo fondamentale di tale azione consiste nel prin-
cipio della sttbordinazione gerarchica, in forza di cui ciascun organo
delle funzioni amministrative agisce nell'esercizio delle proprie at-
tribuzioni sotto la direzione e la sorveglianza di un organo supP-
riore, e così risalendo di grado in grado fino ai funzionari im·estiti
del supremo potere. La subordinazione gerarchica costituisce per così
dire la catena che collega in un tutto organico le sparse membra
dei singoli uffici pubblici, e fa sì che l'intera azione amministratiYa
acquisti unità di indirizzo onde raggiungere più agevohnente e con
maggiore pienezza i fini cl' interesse generale. 11 vineolo della su-
bordinazione abbraccia qualsiasi pnbblieo ufficio, qualunque ne sia
il carattere o la forma, sia che si tratti di uffici di origine elettini
o di nomina governatiYa, ordinati a forma burocratica o collegiale.
Tnttayia il Yincolo è più st.retto negli ordinamenti burocratici, Ht>i
quali l'azione si svolge sotto l'impulso diretto e continuo di un capo,
che ha sotto di sè degli inferiori; mentre nella forma collegiale Yi
ha maggior indipendenza ili azione per i singoli mern bri del collegio,
come si conYiene nei rapporti inter pares, che concorrono con il
loro voto ndla deliberazione collett.iYa, o contrilmiscono ciascuno
con la propria opera all'esecuzio1w dei provvedimenti dt>libt>rati in
comune.
Il principio della subordinazione gerarchica implica ud superiore
la facoltà di impartire ordini ed i14rnzioni agli infrriori per tutto eiii
che rig·mrnla lo svolgimento dell'azione anuninistrativa, P di PsigPrIH'
LA GEHAHCHIA AM~IIXISTHA'flYA 307
la pronta e fedele esecuzione in virtù dell'obbligo di obbedienza,
che incombe agli inferiori. Quali siano i limiti di questo obbligo
vedremo più opportunamente nel capitolo successivo, trattando dei
diritti e dei doveri dei pubblici ufficiali. Qui ci basti osservare che
il dovere della subordinazione non è mai tale da escludere assolu-
tamente nei subordinati la coscienza e la responsabilità delle proprie
azioni.
~egli uffici costituiti a tipo burocratico la subordinazione gerar-
chica corrisponde alla scala o graduatoria dei funzionari; ed a parità
di grado e di classe superiore è il funzionario più anziano, vale a
dire quello la cni nomina a quel determinato grado risale ad una
data anteriore. Nel caso poi di ufficiali nominati con lo stesso decreto
la precedenza spetta a quello che trovasi prima indicato nel decreto
stesso oppure a quello che era più anziano nel grado precedente;
così che in siffatti uffici si può ben dire che non vi possono essere
mai due funzionari di eguale autorità; ma sempre si trovano di fronte
un superiore ed un inferiore.
;)!). Le attribuzioni di ciascun ufficio sono determinate dalle leggi
o dai regolamenti speciali, le cui disposizioni, essendo essenzialmente
di ordine pubblico, come quelle che hanno in mira il buon andamento
dell'amministrazione, non possono es~ere mutate nè derogate, nè in
tutto nè in parte, neppure col consenso tacito od espresso dei fun-
zionari a cui sono affidati gli uffici stessi. Non si può quindi ammet-
tere che la persona investita di una carica limiti o restringa comec-
chessia le proprie funzioni, oppure, in senso opposto, invada h•
attribuzioni assegnate ad altri uffici. Qualsiasi convenzione od accordo,
che si facesse fra i funzionari allo scopo di modificare in qualunque
senso la cerchia delle proprie attribuzioni e dei relativi poteri, sarebbe
un atto viziato di nullità assoluta ed insanabile, perchè contrario
all'ordine pnbblico.
Ciò non vuol dire tuttavia che in verun caso le attribuzioni affi-
date normalmente ad un'autorità non possano essere adernpiut,i.• da
un'altra. Anzitutto negli uffici di carattere burocratico vige la re-
gola che in virtù del principio della subordinazione gerarchiea il
superiore pu() sempre sostituire Fopera propria a quella dell'infe-
riore, salvo q nanto sia disposto in contrario nelle leggi o nei rego-
lamenti speciali dell'ufficio. Questa sostituzione del superiore all'in-
feriore non trova luogo inYece negli uffici organizzati sotto forma
collegiale, i quali adempiono di regola determinate funzioni specifi-
('amente stabilite dalla legge, così che ciascun collegio o consiglio
amministrativo possiede nna propria cerchia di attribuzioni, che ogni
altra autorità, qnancl'anche gerarchicamente coHtituita in ordine Hn-
periore, è tenuta a rispettare, salYo i poteri di vigilanza o di tutela
da esercitami nei casi e nei modi tassativamente prescritti dalla
legg·e.
308 I PlJBBLICI lJl<'l<'ICI E LA G~;RARCHIA A)DIIXlli'l'RA'l'IVA

Come conseguenza di questo principio dell'azione autonoma dei


collegi amministrativi deriva il corollario che l'autorità chiamata ad
esercitare una funzione di vigilanza o di tutela sulle deliberazioni
o sui provvedimenti di un collegio amministrativo qualsiasi deve
limitarsi ad esaminare tali atti dal punto di vista della legalità
(nel caso della semplice vigilanza) od anche della convenienza od
opportunità (nel caso della tutela) ed a pronunziarsi nel senso di
accordare oppure negare la propria approvazione agli atti stessi,
suggerendo, ove del caso, le opportune modificazioni a cui crede di
dover subordinare la propria approvazione 1 ), ma non può sostituire
la volontà propria a quella del Consiglio, che li ha emessi o delibe-
rati, deliberando o provvedendo di propria iniziativa in un modo
diverso.
La sola eccezione a questa regola è quella prevista dalla legge
nell'ipotesi che i corpi amministrativi locali omettano di adempiere
alle proprie attribuzioni o rifiutino di dar esecuzione ai provvedi-
menti resi obbligatori in forza della legge o divenuti tali in seguito
ad una precedente deliberazione dei corpi stessi diventata esecutiva.
In siffatte ipotesi il governo centrale, a cui spetta la funzione di
supremo tutore dell'ordine pubblico, interviene sostituendo l'azione
dei propri organi (prefetto o Giunta provinciale amministrativa) a
quella momentaneamente deficiente degli organi dell' autonomia lo-
cale, onde impedire qualsiasi arresto o sospensione nello svolgimento
della vita amministrativa 2 ) ; ma questa sostituzione del potere gover-
nativo centrale a quello elettivo locale mediante il così detto pro1:ve-
diniento d'iifficio deve mantenersi rigorosamente nei limiti di quanto
è necessario per l'esecuzione dei servizi e dei provvedimenti aventi
carattere strettamente obbliga;torio; qualsiasi maggiore ingerenza del
Governo nelle amministrazioni locali costituirebbe un vero e proprio
eccesso di potere.
Soltanto nel caso in cui il Governo, per gravi motivi d'ordine
pubblico, creda di valersi della facoltà che la legge gli accorda di
sospendere temporaneamente (non oltre sei mesi) il funzionamento
dei collegi amministrativi locali, si ha una più ampia sostituzione
degli organi del potere centrale a quelli dell'autonomia locale; ma
neppure in questo caso la legge consente una piena e completa so-
stituzione, perchè limita le funzioni dell'amministratore governativo
(Commissario straordinario pei Comuni e Commissione straordinaria

l) Sulla facoltà che compete all'autorità tutoria, non già di modificare diretta-
mente l'atto proposto o delibernto dai collegi amministrativi locali, o di variarne
le condizioni, ma soltanto di subordinare la sua opprovazione a quelle modifica-
zioni che reputi necessarie ed opportune, consulta: Giriocli, Il Coinnne nel dii'itto
oi1;ile (Torino, 1891), n. 3·JA.
~) Legge com. e prov. testo nnico 10 febhr. 1889, art. 170, 171, 17! e 265.
LA GEHAHCHIA Ai.\IMIXISTHATIYA 309

per le Provincie) alla parte meramente esecutiva, accordando al com-


niissario straordinario i soli poteri del sindaco e della Giunta comu-
nale ed alla Commissione straordinaria quelli della Deputazione pro-
vinciale 1).
60. Il pubblico ufficio rappresenta di regola un mandato di fiducia
conferito dall' autorità superiore o dal voto dei cittadini ad una de-
terminata persona, in considerazione delle sue qualità fisiche, morali
ed intellettuali. È quindi naturale che chi ha accettato un siffatto
mandato di fiducia sia tenuto ad adempierlo personalmente, nè possa
sostituire altri a sè stesso, salvo che vi sia espressamente autoriz-
zato da una disposizione del diritto positivo. La deleyazione volon-
taria delle attribuzioni amministrative, accompagnata naturalmente
dai poteri necessari per esercitarle, deve sempre considerarsi come
un istituto di eccezione, tale cioè da ammettersi soltanto nei casi
tassativamente previsti dalle leggi o dai regolamenti di pubblica am-
ministrazione 2 ). La persona delegata dev'essere di regola un alt.ro

i) Legge citt1ta, art. 268 e 269. Però, riconosciutt1 per 111ngt1 espericnzt1 l'inHnf-
fic:ienza dei poteri t1ttrilmiti dt1lla legge attutile ai funziont1ri dell'amministmzione
governt1tiva sostitnitt1 provvisoriamente tt quella locnle, il Governo ht1 presentato
testè t1l Parlmnento nn progetto di legge inteso a protmrre fino a tre anni la mis-
sione del Commisst1rio o dellt1 Commissione strrrordint1rit1, ed a conferir loro rispet-
tivt1mente i pieni poteri delil>emtivi spettanti normt1lmente ai Consigli conrnnnle
e provinciale.
Giova qni notare che il caso previsto dnll'art. 126 della legge com. e prov., eh!'
:rntorizzt1 il Governo ad invit1re nei Comuni nn cornmisst1rio 1rnr l't1dempimento
delle funzioni spettm1ti t1l sindaco nelltl qualità di ufficiale del Governo, non rap-
presenta nn caso di sostituzione del potere centrale a quello loct1le, ma soltanto
la soRtitnzione cli un funzimmrio governativo stmorclint1rio o provvisorio t1cl nn altro
orr1irnuio o permanente, qual'è il sindaco nelltl sua veste di ufficit1le del Governo.
2) Ct1si non infrequenti di disposizioni, che m1torizzano lt1 delegazione di fn11-
zioni, si trovano nellt1 nostm vigente legislazione. Così la legge com. e prov. (arti-
coli 137-138) pt1rlt1 di un delegt1to a supplire il sindaco in caso di bisogno. Confr.
in proposito tinche l't1rt. 63 del regolmnento com. e prov. 10 giugno 1889.
La legge 17 febbmio 1884 sull'amminiRtrazione e sulla contabilità genemlc dello
Stato lmrla t1ll'nrt. 11 dei pnbòlici ufficiali delegt1ti alla stipnlazioue dei contmtti,
ed all'nrt. 49 dei fnnziont1rii delegati per l'erogt1zione delle spese rla farsi sopra
f'mu1i posti a loro disposizione rnedit1ute 'mandati t1 disposizione.
1 regolamenti interni dei diYersi Ministeri t1ccenm1110 per lo piì1 alla facoltà del
Ministro di delegare ai Direttori geuerali la firma di determinate categorie di atfari
o di provvedimenti. Il R. Decreto 1. 0 marzo 1888, col q1mle fn istituito il 1rn0Yo
nfticio dei sotto-segretari di Stato, stabilisce all'art. 2 che questi coatlinvnno il
:lliuistro otl esercitt1no nel rispettivo dicastero le attrihuzioui che loro vengono
delegate dal Ministro. .
D't1ltra pt1rte non 111am·m10 ueppure PSempi di disposizioni che viPtauo r·spressa-
meute la delegazione tlelle fonzioni. Così l'art. 26 del Regolamento sulle lWHsioni
ciYili e n~ilitari, approvato con R. Decreto 5 settt>mhrr• 1895, Il. 603. stahiliRce che i
<lecreti per il l'ollocmnento ti riposo degli impiegn.ti non nomiuati cou decreto r<'ale
<lehhono essere firmati personalmente dal ministro t·ompetente, e8cll!8a q11al11uq11e dc-
lew1zio11e. Perù non sa-rit iuutile far notare l'hP non tutk lP ,·olte che le r1ispoRizioni
310 I Pt:JlBLICl t;FFICI g LA mmAI\CHIA A}Dll::S-ISTRATI\'A

pubblico funzionario appartenente allo stesso ramo di serviz10, (li


cui fa parte il funzionario delegante; ma eccezionalmente pui> essere
anche un ufficiale di altro ramo, più o meno affine, e perfino, in
caso di assoluta ed urgente necessità, un privato cittadino qualsim1i.
La delegazione di funzioni non si presume mai, ma deve risultare
<la un esplicito e formale incarico dato, a voce o meglio per iseritto,
<lall' ufficiale delegante. In ogni caso, dovendosi applicare anche nel
diritto pubblico il principio, per cui neino plus jiiris in cilimn trans-
.terre potest qiiam ipse habu.it, il delegato non potrebbe mai esereitare
poteri maggiori di quelli spettanti al delegante, il quale del resto ha
sempre facoltà di limitare entro confini più ristretti le attribuzioni
che intende affidare al suo sostituito. Infine: per la nota regola delegatus
delegiire non potest, chi è stato chiamato a sostituire un pubblico fun-
zionario non può alla sua volta sostituire un terzo a sè stesso nel-
1' esercizio, totale o parziale, delle incombenze a lui affidate, salvo
che vi sia espressamente autorizzato dalla legge o dall'ufficiale dele-
gante 1 ); gfacchè altrimenti coi successivi passaggi dei pubblici poteri
da una persona in un'altra resterebbe inevitabilmente affievolito il
principio di autorità ed in pari tempo diminuirebbero, fino a scom-
parire del tutto, le garanzie di rettitudine e di capacità necessarie in
chi deve adempiere attribuzioni d' interesse generale; e la responsa-
bilità dei funzionari sostituiti, diventando sempre più indiretta, per-
derebbe ben presto ogni pratica efficacia.
61. Mentre negli uffici a tipo burocratico il principio direttivo,
secondo il quale si esplica l'attività degli organi amministrativi, si
basa essenzialmente sulla subordinazione gerarchica, negli uffici a si-
stema collegiale il principio direttivo consiste invece nella prevalenza
della maggioranza. In qualsiasi collegio il risultato complessivo dei
voti individuali è l'espressione della volontà collettiva del collegio.
Per quanto scarsa ed insignificante sia la maggioranza, sia pure di

del diritto positivo parlano di delegazione o di fnnzioni <lelegate si ha una Yera e


propria delegazione nel significato strettamente giuridico, cioè di quell'atto mediante
il quale un pubblico funzionario sostituisce volontariamente a sè stesso un'ultra per-
Hona nell'esercizio delle proprie attribnzioni. Così non è un caso di delegazione in
senso proprio la carica del Consigliere delegato nell'amministrazione provinciale go-
vernativa, che in sostanza è un vero Vice-Prefet.to (legge com. e prov., nrt. 4) nè
quella dei delegati di p11bblica sicnrezza. In •1nesti casi la qualifica di delegato non ì:
che un titolo come un altro per distinguere la carica.
Se poi si volesse prendere la parola dcleg:izione nel suo significato piì1 largo,
potrebbe dirsi che tutti i pubhlici nffici mppmsentano :tltrettaute delegazioni, in
•1mmto tntti deri\'ano, piì1 o mf\no direttamente, i propri poteri dalla so\Tnnit:ì
1ld re o del popolo.
l) Confr. sn questo pnnto, per nnn certa annlogia col diritto printto, l'art. li.!~
•ld Cod. civ. rignarclante la facoltit dd mandatario di sostituire altri a si> stpsso
ll<'ll'1~st·cnziono del rnmHlato.
LA CH:HAHCHIA A)DIIXISTRATIVA 311

nu solo voto, la deliberazione com;igliare ha giuridicamente lo ste,,;so


valore come se avesse raccolto l'unanimità dei suffragi.
lu qualsiasi assemblea deliberante la proposta che ottiene l'ade-
sione della metà dei votanti più uno s'intende approvata dall'intera
assemblea considerata come organo collettivo. È questo nn prin-
dpio logicamente necessario, che non potrebbe essere disconm;ciuto
senza cadere in evidente contraddizione e nell' asl'mr<lo; giacche, se
si negasse efficacia deliberativa alla volontà dei più, si verrebbe con
ciii solo a dare la preponderanza a quella dei meno. Devesi quindi
rig·nanlare con una vera anomalia qualunque disposizione, che per
l'approvazione di una proposta esiga una proporzione di voti favorevoli
i-mperiore alla metà più uno dei votanti; e tale dobbiamo dire ad
esempio quella dell'art. vn del regolamento universitario approvato
con R. decreto 26 ottobre 1890, che per l'approvazione del parere
favorevole del Consiglio superiore <li pubblica istruzione sulle do-
mande di coloro che aspirano a conseguire per titoli la libera do-
cenza, esige una maggioranza di dtie terzi dei consiglieri presenti.
Per la validità delle deliberazioni collegiali occorre che all' adu-
nanza intervenga un determinato numero dei membri, di cui si com-
pone il collegio. Questo nnmero minimo, conosciuto del diritto pub-
blico inglese sotto la rlenominazione di qiwrtim, viene determinato
dalle leggi o dai regolamenti speciali dei singoli corpi o collegi; ma
generalmente è della metà dei membri assegnati al collegio oppure
(lella metà più uno 1 ). Talvolta, come nei Consigli comunali e pro-
vinciali, per impedire che la negligenza dei consiglieri o l'astensione
voluta da alcuni a scopo di ostruzionismo sospenda il funzionamento
(lel collegio, la legge stabilisce che quando la prima convocazione
non abbia potnto aver luogo per mancanza di numero legale, per la
validità della seconda convocazione indetta per deliberare sugli RteHsi
og·g·etti basti F intervento di un numero minore di membri 2 ).

1) Così l'art. ,33 1ldlo Statuto per ltt legalità e valitlità delle sedute e delle de-
lilrnmzioni clei dne rami del Parlamento esige la presenza della 111agg-iorità assoluta
•lei loro membri, eioè la nrntù, piìt uuo. Per i Consigli commutli l'art. 11 della legge
•·om. e [ll'O''· stnbilisep. il q1wrnm nell:t metà clei consiglieri; ma in seconda <·onvo-
<'•tzione riconosce vali1lc le <leliberazioni, qualunque sia il numero tlegli intcn·ennti,
]lnrchè non meno cli qnnttro (eonsulta in proposito Sareclo, Co1111n. della le,qyt com.
"proi·., vol. III, Il. +711-+712). Per i Consigli provineiali la legge stessa (art. l!J8)
lissa. per fa prima convocazione lo stesso n11111ero legale della metà; ma in sp1·onda
<'on,·ncazione esige ancora il terzo dci consiglieri. Per la Ginntn mnnieipalc (art. llH
J.,ggc stessa) si richiede l'inten·ento 1lella mefa 1legli assessori col minimo assoluto
•li tre. Per il Consiglio di Stato nelle adunanze consuHive, tanto delll" singole
~ezioni che del Consiglio plenario, il qnorum è della rnet:\ dei consiglieri; mn per
la IV Sezione, che esercita attrihnzioni di giuris1lizione contenzio"a, t' pres!'ritto
il n11111ero tisso ed Ì!lY:tl'i:tbile di sette votnnti (legge testo nnico 2 g-ingno 1:-;!JO,
art. 17 e :36). Per i collegi gindicanti la legge d..termina "e111pre il numero iis"o
•'•l iiwarinbile dei votanti (,·erli Cod. di proc. civ., nrt. 3;;7, in relazione alla lt>gge
() •lic<'mhre 18fl5, sn l'ordin:rnwnto g·i11clizi:uio, art. +6, lii, 76 •' 127).
""'li
'l 11ot;1 pre1·"d1enk.
312 l l'VBBLIUI CFFICI l•o LA GEBAHCH!A AMMI:XlSTRATlVA

Abbiamo detto che in qualsiasi collegfo prevale la volontà della


maggioranza. Da ciò ne deriva che la minoranza, per quanto consi-
derevole, fos8e pure inferiore di nn solo voto alla maggioranza, non
rappresenta in alcun modo, neppure parzialmente, la Yolontà dt'l
collegio. Il volere dei meno viene per così dire assorbito ed annullato
da quello dei più, così che esternamente la deliberazione <lella mag·-
gioranza vale come deliberazione dell' intero collegio. La minoranza
non ha alcun diritto di opporsi all'esecuzione di quanto fn delibe-
rato dal Yoto prevalente, nè ha veste per ricorrere all'autorità sn1w-
riore onde ottenerne la revoca o l'annullamento. Ciò deve dirsi tanto
della minoranza presa collettivamente, cioè come F insieme di tntt.i
quei membri del Mllegfo che dissentirono dall'opinione della mag-
gioranza, quanto dei singoli di8senzienti individualmente considerati.
E8si potranno al più riferire all'autorità superiore, in via di Hem-
plice denimzia, le irregolarità o le illegalità che, a parer loro, 8i
sarebbero commesse dalla maggioranza e richiamare l'attenzione del-
l'autorità stessa sui danni e sugli inconvenienti che potrebbero <le-
rivare al bene pubblico dall'esecuzione del provvedimento deliberato;
ma nel far ciò la minoranza od i singoli membri di essa eserciteranno
soltanto il diritto di denunzia, che spetta a qualsiasi privato cit.t.a-
dino; non agiranno pnnto come membri del collegio o della mino-
ranza di esso.
Il solo diritto che non può negarsi ai diss(·nzienti si è di diehia-
rare i motivi del proprio dissenso, e di ottenere che la loro cliehiara-
zione venga im;critta nel verbale dell'adunanza; poichè sarebbe una
iniquità ed nna flagrante violazione della libertà individuale il co-
stringere i membri di un collegio ad apparire eome aderenti ad nna
proposta, che essi respingono, coinvolgtmdo così la propria responsa-
bilitù, con quella della maggioranza. Il solo mezzo per garantire
l'indipendenza dei singoli membri del collegio, e per dar modo a
ciascuno di separare la propria responsabilità da quella dei eolleglti,
si è la dichiarazione di voto inscritta nel verbale. l\'Ia siffatta dichia-
razione non sarebbe ammessihile, quando si trattasse di deliberazioni
eoncernenti persone, nel qual caso la segretezza del voto impoHht
dalla legge (art. 250 del testo unico 10 febbraio 1889) non permette.
che alcuno dei votanti faccia conoscere ufficialmente il proprio yoto,
nè prima nè dopo di averlo emesso. In questi casi la dichiarazione
di voto, qnaml'anehe venisse emessa ed inserita nel yerbale dell'a-
dunanza cmrnigliare, non potrebbe avere alcuna efficacia giuridi('a.
Q.nirnli tutte le Yolte che si tratta di quistioni rignardant,i perso1w,
i membri della minoranza, che non intendano rendersi solidali eon
la maggioranza, non hanno altro scampo che l'astensione dal yoto,
la quale de\·e 8empre constare in verbale.
8enonchè l>llCJ accadere ehe nella deliberazimw non Hi formi una mag-
gioranza, cioè qnnndo Yi sia parità di voti da una parte in senso fayo-
LA G~:HAHCHIA AM~HXIS'fHATIYA 313

revole e dall'altra in senso contrario alla proposta. Siffatta ipote8i


resta esclusa nei corpi o collegi giudicanti, nei quali il numero dei
votanti viene prescritto a bello studio dalla legge sempre in cifra
dispari ed è vietata l'astensione dal voto, salvo determinati casi di
8cusa, nei quali il membro che sia ammesso ad astenersi viene su-
bito sostituito con un altro votante. Inoltre il legislatore ha an1to
cura di stabilire un metodo di votazione, col quale, procedendo per
via di successiva eliminazione fra le diverse opinioni, si raggiungi:'
necessariamente il risultato di ottenere il voto della maggioranza 1 ).
A questa regola formano eccezione soltanto i collegi, a cui è affidata
la giurisdizione in materia penale; per i quali la legge, in omaggio
al principio in d1tbio pro reo, volendo lasciare a favore dell' imputato
l'ipotesi della parità di voti, dispone che i votanti siano sempre in
numero pari (Ood. di proc. pen., art. 321; Cod. pen. per l'esercit.o,
art. 484; Cod. pen. mil. maritt., art. 529).
:\la nei collegi amministrativi, siano essi di carattere deliberath'o
, o semplicemente consultivo, non essendo stabilito un numero fisso
di votanti, ma il solo limite minimo del quor1tm, ed essendo sempre
pienamente libera per i singoli componenti del collegio l'astensione
dal voto, il caso della parità di suffragi pro e contro nna determi-
nata proposta non è impossibile. Ciò invece non può verificarsi nei
corpi amministrativi investiti di giurisdizione contenzim1a, ai quali
la legge applica a questo riguardo le stesse norme stabilite pei tri-
bunali ordinari della giurisdiziona civile, vale a dire nunwro fisso t>
dispari di votanti e voto obbligatorio, salvo determinate camm di
astensione, nel qual caso si provvede immediatamente con la surroga
di un altro votante 2 ).
Cii> premesso, quale sarà il valore giuridico della votazione nel
caso della parità di voti~ Dovrà essa interpretarsi come un rigetto
puro e semplice della proposta in votazione, o piuttosto dovrà comii-
siderarsi la deliberazione come nulla, salvo a rinnovarla in altra
adunanza~ Ad evitare la difficoltà talvolta il legislatore stabilisci'
che in caso di parità, il voto del presidente del collegio abbia la
pre1Jonderanza, così che debba ritenersi approvata dalla maggioranza

1) Il CO!l. di proc. ci'"· dispone all'art. 3i'ifJ: « Le sentenze si form:mo a 11mg-

giornnza assoluta <li voti. Quando non si ottenga la nutggioranza, assoluta per la
dh·ersità delle opinioni, due di queste, qualunque siano, sono messe ai Yoti JIPl'
~sduderne mm. La non esclusn. è messa di num"o ai voti con una delle opinio11i
re,ta11ti, per decidere quale debhn. essere eliminata; (' così di st>g·nito tì11chi· 1..
<•pinioni ~ia110 ridotte a due, sulle quali i gimlici Yotauo detìnitinu11e11te ».
'J Per la IV Sezione del Consiglio di Stn.to Yedi l'art. 36 della legge testo uni('o
~ gingno 1889, e gli ar~. 31-34 ciel regolamento di procednra 17 ottobre l88i:l:
Jler la Giunta proYinciale amministrativa l'art. 13 della legge 1. 0 nmggio 1880 snl-
l'or1liname11to della giustizia amministrntiYa e gli art. 30-33 del rispettiYo reg'<1-
la11l<'nto 4 gingno 18i:ll.
;~ t.J. I PCBBLICI CFFICI E LA GEHAIWHIA A)L\l!XISTHATIVA

q nella opinione, che ha ottenuto l'adesione del presiùente 1). 1'fa dove
manca un'espressa disposizione di legge, al voto del presidentP 11011
può attribuirsi maggior valore di q nello che hanno i voti di tutti
gli altri membri del collegio. Logicamente la parità dei suffragi pro
e contro non ha altro significato che quello della indecisione del
collegio, vale a dire dimostra che la volontà collettiva dell'assemblea
11011 si è ancora determinata nè in un senso nè nell'altro. Sart>hhe
quindi egualmente ingiusto interpretare la parità di voti, sia come
approvazione, sia come rigetto della proposta; devesi invece proee-
. dere ad una nuova votazione o nella stessa seduta od in una seduta
successiva, possibilmente coll'intervento di nuovi votanti, affinchè
la volontà del collegio, prima incerta, abbia campo di determinanii
esplicandosi con un voto decisivo di maggioranza. Per le votazioni
<lei collegi amministrativi locali (Consigli comunali e provinciali) sotto
il vigore della cessata legge del 20 marzo 1865 era prevalsa nella
giurisprudenza l'erronea opinione che la parità di voti significasse
rigetto della proposta. Ma di fronte alla legge vigente (testo unico
10 febbraio 1889), malgrado l'apparente antinomia che vi è fra il terzo
capoverso dell'art. 250 e il secondo comma dell'articolo susseguente,
si ritiene più correttamente che la parità dei suffragi non valga nè
come approvazione nè come rigetto, ma debba semplicemente consi-
derarsi come votazione non avvenuta, da rinnovarsi nella stessa od
in altra adunanza 2 ).
)fa di ciò basti, non essendo còrnpito di questa monografia gene-
rale sui pubblici uffici il trattare particolarmente delle norme spe-
ciali, che regolano le deliberazioni dei singoli corpi amministrativi.
Paghi di aver tracciate le linee direttrici del funzionamento degli
organi collegiali, lasciamo alle monografie speciali, che faranno se-

1) Co8ì stabilisce ad esempio l'art. 18 <leì citato testo nnico 2 giugno 1888 per
le deliùerazioni consultive del Consiglio di Stato.
t) In questo senso vedi i pareri del Consiglio di Stato del 25 lnglio 18t<ll e
:rn luglio 1890 (Biv·ista amniinfatrativa, 1890, pagg. 738 e 950), nonchè la decisione
clell:t IV Sezione dello stes8o Consiglio di 8tato, 8 giugno 1894 (!Yi, 189+, pag. GUJ);
]a, <11rnle ritenne peri> che la votazione non possa rinnovarsi nella medesima HNlntn,
ma soltanto in un'adunanza sncccHsiva, dopo che la proposta sia stata postn nno-
v:tmente ttll' ordine del giorno per la nuova seduta. Anche sotto l'antica legge tro-
Yinrno nn parere del Consiglio di Stato, in data 21 novembre 1879 (Ivi, lì-<80,
p:tg. 182) che riconobbe libero il Consiglio commrnle di procedere ad una secondn vo-
razione per dirimere la parità dei suffragi, nelht stessa 8ednta od in altrn sncce,-si\'lh
Tntt:wi:t fra i commentatori della nuova legge sostengono ancora l'opinione che
l:t parità dci voti significhi rigetto della proposta, il Saredo, Yol. III, n. fl()O:i,
ecl il )lazzoccolo, 3." eclizione (.:\filano 189.J.) pag. 602.
Per l'antica giurisprudenza consnltn; )lagni, snll'art. 250, IL 27, ed Astengo,
(;uida ammini8trativa, pag. 1;)58. Vedi inoltrn per qualche rapporto ln decisione
clelln IV Sezione, 4 maggio 189.J. (Legye, 1894, Yol. II, png. 605).
LA Gl,HAHCllL\ ,DDIIX!STHATIYA 315

;.ruito nel presente trattato, il dbicorrere <lelle particolarità relative


alla forma del voto (voto seyreto o pale.se, ballottcirwio, metodi rli scrn-
tinio, ecc.) stabilite dalla legg·e per ciaRcun collegio amministrativo.
62. Il conferimento dei pnbbliCi uffici è una delle funzioni sociali
più importanti, e come tale rappresenta nno dei poteri essenziali
della sovranità. Chiunque, senza averne ricevuto regolare mandato
<lall' ente sovrano, assume arbitrariamente, e con tlolo::ia intenzione,
l'esercizio di una funzione pubblica, viola l'ordine giuridico della
Kocietà legalmente costituita, commettendo un'usurpazione di potere,
punita dalla legge (cocl. pen. ital., art. 185). Vi sono però dei casi,
sempre di carattere eccezionale, nei quali può esser lecito ai privati
assumersi spontaneamente il còmpito di provvedere ad un bisogno
o ad un interesse pubblico, senza alcuna autorizzaidone preventiva
da parte dei poteri costituiti.
Lasciando da parte un'ipotesi, che rimane estranea al nostro tema,
quella cioè dei momenti di sommosse popolari e di rivoluzioni poli-
tiche, allorchè con la violenta e repentina trasformazione della forma
di governo è la sovranità stessa che viene strappata dalle mani del
governo preesistente per essere assunta da un nuovo potere, e col
sostituirsi della nuova sovranità sorgono· nuovi uffici che spontanea-
mente e spesso anche violentemente si sostituiscono agli antichi;
accade anche nei tempi normali e nel più calmo ed ordinato assetto
politico che si presentino talvolta circostanze tali, per cui un privato
possa, anzi debba per dovere di buon cittadino, ingerirsi in un atto,
che normalmente non potrebbe compiersi se non dai pubblici fun-
zionarii preposti a quel determinato servizio. Suppongasi, soltanto
per servirci di un esempio, che una frana ingombri improvvisamente
una via pubblica, interrompendo o rendendo pericoloso il transito;
che una piena minacci cli rompere gli argini del fiume e di portare
la devastazione nelle città e nelle campagne. In questi ed altri
simili casi di imminente pericolo pubblico, ove non si trovi pre-
sente l'autorità amministrativa, cui spetta provvedere al reg'iuie delle
strade o delle acque, non si può negare ai privati ìa facoltà di in-
tervenire spontaneamente per rimuovere l'ostacolo o per riparare al
]Ieri colo.
Questa facoltà, che spetta per diritto natumle ai privati, <li sosti-
tuire o coadiuvare con l'opera propria l'azione deficiente dei poteri
co,.,tituiti si appartiene non soltanto ai sinµ;oli individui, ma anche
alle private associazioni cli qual;;iasi carattere, sia che abbiano o no
ottenuto il riconoscimento legale, pnrchè beninteso non si tratti di
as,;ociazioni proibite dalla legge o vietate, per motivi d'ordine pub-
blico, dall'autorità amministrativa. Gli stessi enti cli pubblica ammi-
nistrazione possono, in caso cli necessità nssnmersi ;;ponta1wame11te
n11a funzione, che non entra nelle loro normali attribuzioni.
L'assunzione volontaria, dell'ufficio pubblico da parte <li un privato
31t:i I PCllBLICI CFFICI I<; LA GEHAHCHIA AM~IIXISTRATIYA

è un istituto giuridico che interessa ad un tempo il diritto pubblico


ed il diritto privato; ma finora fu poco studiato 1 )
Merita quindi che ne facciamo oggetto di attento esame; senza
di eiò la teorica dei pubblici uffici rimarrebbe monca ed inc 0111 _
pleta.
Importa anzitutto fissare con precisione la figura giuridica di cui ~i
tratta. Il concetto dell'assunzione spontanea dei pubblici uffici con8ta
di due elementl essenziali: l'uno obbiettivo, che consiste nel carattt>re
di interesse pubblico e collettivo inerente alla funzione, che Yiene
assunta; e l'altro sub biettivo, consistente nella spontaneità dell'azione
di chi l'assume.
Entrambi questi elementi si riscontrano perfettamente nell' ipotesi
prevista dall'art. 65 del cod. di proc. pen., che autorizza i privati ad
arrmitare i colpevoli in flagranza di reato. Qui abbiamo da un lato la
piena spontaneità dell'azione, autorizzata bensì, ma non imposta dalla
legge, e dall'altro lato il carattere essenzialmente lmbblico della fun-
zione di polizia, qual' è quella dell'arresto dei delinquenti. (~nesto si
può veramente considerare come un caso tipico di assunzione spon-
tanea di pubbliche funzioni.
Quando invece manchi uno qualunque di quei due presuppostL
vale a dire il carattere pubblico della funzione o la spontaneità del-
l'azione, si avrà un'altra fig·ura giuridica qualsivoglia, ma non mai
quella, di cui ora ci occupiamo. Alla stregua di questo criterio è
subito facile vedere che non si riscontra tale istituto giuridico nel-
1' esempio addotto dal Jellinek 2 ) del creditore che procede all'est>-
cuzione forzata contro il suo debitore; non soltanto perchè, conw
giustamente osserva il Longo 3), il creditore che procede in via ese-
cutiva non attua alcun fine pubblico, bensì un interesse merarnentr
privato; ma più ancora per la ragione che nel procedimento esecu-
tivo il creditore, ben lungi dal sostituire la propria opera a quella
del pubblico funzionario, non fa altro che invocare l'autorità del
giudice, da cui emanò la sentenza, e quella dell'usciere e degli altri
ufficiali giudiziarii, che presiedono all'esecuzione. Non è quindi il
caso di parlare di sostituzione dell'azione del privato a quella del-
l'autorità cost,ituita, nè di assunzione volontaria di pubbliche fun-
zioni, allo stesso modo che non se ne lmÒ parlare nel caso di chi,

1) In proposito non conosciamo altro che q1mnto ne scrisse il Jellinek nel sn°
8.11stein der su~jective11 ~tfe11tlichen Rechte, cap. XIV, lHtg. 234-243, ecl 1111 11oteYok
articolo del prof. Antonio Longo pubblicato nell' Archirio di diritto pubblico diretto
dal prof. Orlnndo, vol. Y, pag. 401-472.
2) Opera citata, png. 239.
3) Loc. eit., pag. H9. Dell'altro esempio nlldotto cla.llo stesso Jellinek, tioì· d<'l
mPdir.o clw per gnnrire nn ammalato gli ampnta 1111 membro, 11011 è neppnr<' il
caso di occnpars!'ne, mancnntlo in tal C'aso perfino la piì1 remota analogia coll'isti-
tnto ginriclico, di c·.ni si tratta.
LA GEHAHCHIA A~DIIXISTHATIVA 317
offeso da un reato, invoca 1' intervento dei funzionari ùi polizia o
ilegli agenti della forza pubblica per ottenere l'arresto del col-
pevole.
:son crediamo neppure esatto il considerare col Longo 1 ) come un
caso di assunzione di pubbliche funzioni da parte dei privati l' ipo-
tesi prevista dall'art. 435 cod. penale, che in occasione di tumulti o
calamità pubbliche o di flagranti reati obbliga, sotto pena di am-
menda, il privato a prestare il proprio aiuto o servizio ed a fornire
le informazioni o indicazioni che gli vengano richieste da un pub-
blico uffiziale nell'esercizio delle sue funzioni. Qni non soltanto
manca assolutamente l'elemento sub biettivo della volontarietà, o per
dir meglio, spontaneità del privato nell'assumersi il pubblico ser-
vizio, ma si ha tutto il contrario, cioè la coazione imposta al citta-
dino mediante la richiesta di ausilio o di assistenza rivoltagli dal
pubblico funzionario, richiesta che, di fronte a quelle date circo-
stanze di urgente necessità pubblica, assume il carattere di un vero
e proprio comando, a cui il privato deve pronta obbedienza. Non
intendiamo dire con questo che l'ipotesi prevista dall' art. 435 codice
penale sia da confondersi con la figura giuridica del rijiiito di obbe-
dienza, di cui nel precedente articolo 434. Il rifiuto dei servizii ri-
chiesti ad un privato in caso di urgente necessità pubblica non è
in sostanza che una forma speciale di disobbedienza all'ordine del-
l'autorità, forma speciale che il legislatore ha stimato necessario de-
lineare con apposita disposizione, perchè senza di questa si sarebbe
potuto mettere in dubbio la facoltà Q.ei pubblici funzionarii di richie-
dere il concorso dell'opera dei privati e il conseguente obbligo dei
privati di prestare la propria opera; e quindi non sarebbe mancata
nna base di diritto positivo, che autorizzasse ad infliggere una pe-
nalitù, a chi indebitamente rifiuti il concorso, di cui . è richiesto. Ma
la prestazione di un servizio legalmente richiesto dall'autorità non
può assolutamente, a parer nostro, configurarsi come un caso di
"11ontanea assunzione di funzioni pubbliche da parte dei privati.
Un istituto giuridico, che presenta molta analogia con quello di
cui ora è questione, è quello dell'azione popolare, in forza di cui
nn privato cittadino, subentrando spontaneamente agli organi legit-
timi investiti della cura e rappresentanza giuridica dei pubblici in-
teressi, si fa a sostenere in giudizio i diritti della collettività. Nella
azione popolare concorrono i due elementi dell' assunzione spon-
tanea dei pubblici ufficii; sia cioè l'elemento obbiettivo della fun-
zione pubblica (rappresentanza e difesa d' interessi collettivi), sia
l'elemento snbbiettivo della spontaneità di chi agisce. :Ma (e su questo
Pnnto ci troviamo pienamente d'accordo col Longo) 2 ), notevoli dif-

1) Loc. cit., pag. 421 e seg.


"l Loc. cit., pag. 407 e segg.
318 I Pt:HHL!Cl t:FFIC! E LA GEBAHCHIA A~D1IXI~THAÙVA

ferenze intercedono fra i due istituti, le quali non permettono


di confonderli. Anzitutto nelF assunzione del pubblico serv1z10 lo
spontaneo intervento del cittadino ha per scopo di provvedere a<l
una necessità, di riparare ad ·un pericolo, di prestare comunque
un'opera personale diretta ed attiva. ~elFazione popolare F atton1
p1·0 pop1ilo non prende direttamente alcun provvedimento, non compip
alcnn lavoro ntile per sè Rtesso, ma si limita a difendere davanti ai
giudici nn diritto controverso della collettività. In secondo luogo
mentre il privato nell'a8snmersi il pubblico servizio non 8i fonda di
regola su altro titolo ~~lF infnori del principio di etica sociale, in
forza di cui ogni cittadino può e deve nei limiti delle sue forze,
cooperare al pubblico bene, coadiuvando od anche supplendo se-
condo il bisogno l'attività dei l)Oteri legittimamente costituiti, chi
si presenta in giudizio per esercitare Fazione popolare agisce in
virtù di una espresRa legge positiva, che ve lo autorizza, e senza
della quale il suo intervento giudiziario in veste di rappresentant\'
della comunità non sarebbe ammessibile. Inoltre F intervento spon-
taneo dell'attore popolare non soltanto richiede come suo t,itolo di
legittimità una disposizione di legge, ma abbisogna ancora il più
delle volte di una speciale autorizzazione preventiva da richiedersi
caso per caso all'autorità amministrativa i).
In sostanza l'azione popolare presenta il carattere di un istituto
di diritto fondato sulla legge scritta e regolato da speciali nornw e
cautele; l'assunzione spontanea dei pubblici uffici è invece un isti-
tuto di fatto che trova la sua base e la sua giustificazione nelle ne-
cessità attuali, e soltanto eccezionalmente forma oggetto di disposi-
zioni legislative.
Delineata così la figura giuridica delF istituto, vediamo ora quali
siano le condizioni necessarie pel suo legittimo esercizio. Trattandosi
di un'azione privata <liretta a sostituire quella delle antorità costi-
tuite, è chiaro anzitutto che l' intenento dei privati sarà legit-
timo soltanto se ed in quanto faccia difetto l'opera delle autoritù
stesse. Quindi ogni volt.a che ad un bisogno o ad un pericolo pub-
blico qnalsiasi trovasi presente il rappresentante dell'autoritù, cni
spetta per propria attribuzione di provvedere, i pri>ati non potranno
assumere alcuna ingerenza nè interYenire comecchessia, se non per
coadiuvare con l'opera propria l'azione del pubblico funzionario. Ad
ogni modo i cittadini, che a>essero assunto (li propria iniziativa la
cura dell' interesse pubblico, hanno stretto obbligo di uniformar:-;i
agli ordini dell'antoritù competente, quando questa intervenga ad
opera giù iniziata; e se ciò venisse loro ordinato, dovranno anche
desistere da ogni ulteriore ingerenza nelle cose che sono di compe-

1) Legg;:i com. é pr<ff., testo nnico 10 fohhraio 188fl, nrt. lU.


LA GERAIWIIIA A~IMIXIKTHATIY A

tenza dell'autorità. L'azione Rpontanea dei privati nelle cose d'in-


teresse pubblico non può aver altra mira che quella di supplire o
cornpletare l'azione dell'autorità costituita; è quindi naturale che
l'azione dei privati debba rimanere del tutto subordinata a quella
dell'autorità.
Vi sono poi certe funzioni pubbliche, come ad es. quella della di-
fesa militare, il cui esercizio è dalla legge espresf:mmente riservato
in maniera esclusiva all'azione direttiva degli organi ufficiali dello
Stato 1). In queste funzioni i privati non possono assumersi alcuna
ingerenza, se non in seguito a formale autorizzazione dell'autorità
competente; altrimenti incorrerebbero in una grave responsabilità
penale.
Terza condizione richiesta per rendere legittimo lo spontaneo in-
tervento dei privati nella cura delle cose pubbliche si è l'urgenza
del bisogno od almeno l'utilità evidente incontestabile del servizio
a cui si tratta di provvedere. Se il cittadino, anzichè agire di propria
iniziativa, imò in tempo utile invocare i necessari provvedimenti
dell'autorità, dovrà astenersi dall'agire direttamente, perchè di regola
è da presumersi che l'azione degli organi ufficiali sarà più efficace P
più proficua, e ad ogni modo certo più regolare, che quella dei pri-
vati. :N"aturalmente l'apprezzamento dell'urgenza è rimesso al buon
criterio del privato, che crede di intervenire spontaneamente; e sol-
tanto in caso di grave colpa o di evidente mala fede si potrà ripro-
vare la sua opera, e benanche, ove ne sia il caso, colpirla giudizial-
mente con le sanzioni penali comminate agli usurpatori di pubbliche
funzioni.
}fa anche fuori dei casi di urgenza l'intervento spontaneo dei cit-
tadini nella cura dei pubblici affari può essere non solt.anto legit-
timo, ma altresì moralmente doveroso e civicamente meritorio, pnrchè
l'azione del privato sia diretta a provvedere ad un servizio o ad un
bisogno d'incontestabile utilità pubblica, non contrario alle leggi nl.•
all'online pubblico od ai buoni costumi. Così, per modo d'esempio,
non può Hegarsi ad un cittadino la facoltà di costruire con mezzi
proprii, e su terreni di sua proprietà o da lui appositamente acquistati,
nna strada ad uso del pubblico, oppure di aprire una pubblica s<mola
gratuita od a pagamento. Ma, si noti bene, il privato che si assm11p
spontaneamente la cura di provvedere ad un servizio della comunitù
<leve Rernpre uniformarsi, nell'esercizio della sua benefica attivitù, alh,
disposizioni cl' ordine pubblico dirette a garantire la sicurezza dello

1) L'art. 121 1lel cod. pen. pnnisee l'atto di chi, senza aYerne pc·r legp;P la fa-
<·o]t[t e senza mandato <lei GoYerno, prenda il coma.iulo di forze ar111aìt'. Simili
disposizioni contl'ngono l'art. 166 clel cod. pen. per l'eRer<"ito e l'art. 12H del 1·(1(1.
l•Pn. 1nilitare marittimo. Inoltre l'art. 254 del cod. p<'ll. comune <·on~icll'ra c·o11w
r<'nto la R<'mpliC'e fornutzionC' di l'orpi ar111nti 'enza lPp;ittima nntorizzazione.
320 I PL'BBLICI UFI•'ICI E LA GERAHCHIA A~nU:NISTRATIVA

Stato, l'incolumità personale o sanitaria dei cittadini ed i buoni 1•0 _


stumi. In questo senso le leggi, che regolano l'istruzione pnbblita,
considerata in tutti gli Stali civili odierni, dove più, dove meno,
come nna funzione dello Stato, esigono che gli istituti d'istruzione
aperti al pubblico da privati o da corporazioni siano sottoposti alla
vigilanza dell'autorità scolastica governativa per tutto ciò che si ri-
ferisce alla capacità e moralità degli insegnanti, alla salubrità llei
locali; ed allo scopo di accertare l'esistenza di queste condizioni non
soltanto chi intenda aprire nno di siffatti stabilimenti deve premu-
nirsi di un'autorizzazione governativa, ma gli istituti stessi sono con-
tinuamente soggetti all'ispezione dei funzionari governativi, i quali,
quando vi rilevino inconvenienti o disordini, hanno facoltà di orcli-
narne la chiusura, provvisoria o definitiva 1).
Gli effetti giuridici, che derivano dall'assunzione spontanea delle
pubbliche funzioni, possono classificarsi in due distinte categorie,
secondo che appartengono al diritto pubblico od al diritto privato.
Sotto l'aspetto del diritto pubblico, che è naturalmente di maggior
importanza, occorre anzitutto esaminare se chi si assume di propria
iniziativa la cura di un servizio della collettività, rimanga per ciò
solo investito di poteri pubblici e se acquisti la veste cli pubblico
funzionario. ~ essuno certo vorrebbe sostenere che il privato diventi
pubblico ufficiale creandosi tale d'autorità propria, quasi proles sine
niatre creatci. L'ufficio pubblico non sussiste legittimamente se non in
quanto sia conferito dalla competente autorità sovrana, sia cioè per
nomina del principe, sia per elezione del popolo.
Ma, esclusa assolutamente la qualità di pubblico ufficiale, vi ba
chi sostiene doversi riconoscere nel volontario assuntore di una pub-
blica funzione la qualifica meno importante di persona legittimamente
'incaricata d,i iin pubblico servizio, nel senso dell'art. 396 del cod. pen.,
che considera come aggravata l'ingiuria proferita contro di una tale
persona, in presenza di essa, ed a causa del servizio a cui è addetta.
Ma a questa interpretazione, benchè autorevolmente proposta e so-
stenuta dal Longo nella sua lodata monografia 2 ), non crediamo di
poter aderire, in primo luogo perchè l'ermeneutica grammaticale non
consente assolutamente che si possa interpretare in senso riflessivo
il participio qualificativo incaricata, che è di forma passiva; giacchè,
quando si dice che una persona è incaricata di un affare o di una.
incombenza si deve intendere che l'incarico le provenga da altri,
e non già che lo abbia assunto di per sè stessa, altrimenti l'espres-
sione dovrebbe suonare diversamente.
Xè ci sembra fondata l'altra argomentazione addotta dal Longo in

1) Legge 13 novembre 1859 sull'istruzione pubblica, art. 246, 247 e 355; e Re-
golamento l) ottobre 1895, IJer l'istruzione elementare, art. 207 e seguenti.
~) Loc. cit., pag. 433 e segg.
LA GEHAIWHIA A~OIIXI~TRATIVA

appoggio della sua opinione, che cioè l'art. ;_)!)() del cod. pen. llebùa
uece8sariarnente riferirsi all'assunzione spontanea di un pnùblico 8er-
,·izio, perchè in ca8o contrario quella disposizione re8terebbe i-;enza
alcuna applicazione oppure si troverebbe in contraddizione con l'ar-
ticolo 207 del codice stesso, perchè il concetto di persona legit.tirna-
mente incaricata di un pubblico servizio coinciderebbe con q nello
llel pubblico ufficiale definito in questo secondo articolo. L'art. il!)()
riguarda quegli individui che, senza es8ere rivestiti di pnbbliehe
funzioni, siano tuttavia chiamati dall'autorità legittima a compiere
un servizio d'interesse pubblico. Tenendo presente la distinzione
fondamentale tra il concetto di fnnzione pulJblica e quello di sen·izio
pnlJblico, il primo dei quali implica l'esercizio di pubblici ]JOtNi
fondati sul .fus imperùi, mentre il secondo si limita in Rfera molto
più modesta alla prestazione di un'opera o di laYoro puramente ma-
teriale, ogni confnsione o contraddizione. fra i due articoli scompare;
il 207 riguarda i pubblici ufficiali propriamente detti, e Ri propone
tli stabilire in modo g·enerale ed a tutti gli effetti di legge, atti \'i e
pas8i vi, favorevoli e conkarii, la categoria giuridica delle persone
riveRtite di quella qualità; invece l'art. 3!:16 ha in mira Roltanto di
accordare una limitata tutela a coloro che, senza essere pubblici uf-
ficiali siano incaricati legittimamente di un pubblico Rervizio (per
esempio un portalettere, un fattorino dei telegrafi, un copiRta od un
inserviente di una pubblica amministrazione, un impiegato ferrovia-
rio, un pompiere municipale, un accalappiacani, un fattorino di
tram, ecc.). Tutte queste persone, alle quali Rarebbe ridicolo voler
attribuire la veste di pubblici ufficiali, pos;mno, a causa del loro
servizio, essere espo8ti ad incontrare offese al proprio onore; e contro
11neste possibili offese la legge ha inteso tutelarli mediante un ag-
gravamento di pena a carico dell'offensore 1 ).
X on crediamo quindi che la sanzione tutelare sancita dal ripetuto
art. :3UU codice penale sia riferibile ai privati, che, senza averne ri-
cevuto alcun mandato dalla legittima autorità, si asRmnano sponta-
neamente l'esercizio d'una funzione pubblica o la cura di un int,e-
res8e della comunità.

1) :"folla ginrisprndenza della nostra Corte snprerna l'art. 896 !'.O<l. l'<'ll. ,·e11uc
selllpre interpretato e•l applicato nel senso da noi sostenuto, nel senso cioè che lP
]lersone legittimamente incaricate <li nn pnbhlico serYizio sono q1wll<' che, senza es-
sere ri,·estite di alcmm autoritiL o irnhblico potere, compiono atti e laYori pel pubblico
sen·izio, come i portieri delle pnbblichc annninistrazioni, i proc:wci postali, gli spaz-
zini mnnicipali, gli impiegati e fattorini delle trnmYie, e simili. Fra le rnuut•ros<'
applicazioni fatte i11 questo senso dnlla Corte snprcnm si Yeggm10 specialmente le
s1•11tenze 2 aprile 1891 (Legge, 1891, Yol. II, pttg. 604, in nota), 2:! ottohre 1891 (Ivi,
11'92, vol. I, pag. 136), e li) nonm1bre 1893 (Rivi8la penale, Yol. XXXIX, png. li)O).
('onfr. mwhe: C. d'app. <li Perugi:t, 30mnrzo1891 (Leç1ge, 1891, n>l. I, pag. 66ì') e
C. d'app. di Trani, 12 ago~to 1891 (Foro ital., II, col. 893).
822 I l'CllllLICI ·CFFICI E LA GEHAHCIUA A~DIIXI:<THATIYA

Se poi consideriamo da un punto di vista più generale la cornlizio 11 e


ginridica dello spontaneo assuntore di un pubblico ufficio, dobbian 10
riconoscere ehe a que;1ti non eompete alcuna prerogativa di autorit:'t
di fronte agli altri privati, e tanto meno di fronte alle autorità J(._
gittimamente costituite. Questo principio non soltanto è inconteKta-
bile davanti al nostro attuale diritto positivo, che nessuna autoritù
riconosce o concede a chi di propria iniziativa s'ingerisce nelle pnh-
bliche cose, ma deve, a parer nostro, tenersi fermo anche dal punto
di vista del diritto condendo; giacchè, se si auunettesse che cias('nn
cittadino, erigendosi di per sè stesso a giudice e gestore spontaiwo
degli interei,;si collettivi, rimanesse per ciò solo investito di quei
poteri d'imperio, che costituiscono i mezzi d'azione dei legittimi organi
amministrativi, ne nascerebbe tosto una grave confusione nel governo
della cosa pubblica, e si avrebbe una causa perenne di conflitti fra
il volontario assuntore del pubblico ufficio ed i privati, che si rifiu-
terebbero naturalmente di riconoscerne l'autorità e di obbedirne gli
ordini.
Contrariamente al voto espresso dal Longo 1), il quale vorreùht·
vedere estese, Hia pure con una minore intensità, al privato d1P
agisce nel pub ùlico interesse, le garanzie medesime che accompa-
gnano gli atti dei pubblici ufficiali, noi Hiamo cl'avviso che convenga
procedere molto a rilento nel concedere poteri e prerogative ec('e-
zionali agli spontanei assuntori delle pubbliche funzioni. Ad ogni
modo non si potreùbe metter in dubbio che per attribuire a costoro
un potere qualsiasi di fronte agli altri cittadini si richiede un'esprei,;,;a
disposizione di legge, in mancanza della quale il privato, per quanto
animato dalla più lodevole intenzione di giovare al bene pubblico,
non potrebbe arrogarsi alcuna autorità di comando e tanto meno di
coercizione sulle persone o sui beni degli aUri privati. Il solo caso
in cui lm<> ammettersi nei privati un potere di coercizione verso altri
prin1ti è quello previsto dell'art. 6ii del codice di procedura penale,
vale a dire l'arresto dei delinquenti in flagranza di reato; e si noti
ancora che questa facoltà, benchè espressamente aceordata dalla legge,
dev' eHsere interpretata in senso restrittivo, dovendo reHtar limitata
ai delitti più gravi contro le persone, a quelli eioè che provocano
una forte ed immediata reazione sociale in ciascun individuo che ;;i
trovi presente alla perpetrazione del reato o sopravvenga immedia-
tamente dopo, allorchè il reo è tuttora inseguito dal pubùlico da-
more nascente dall'orrore e dall'indignazione per il commesso reato.
Si rifletta inoltre che anehe in questo caso, il quale rappresenta
l'ipotesi più saliente dell'urgente nece.;;sità della difesa sociale, il
eitt,adino, che procede per spontan(;'O impulso di coraggfo f'iyico al-

') Lol". l'it., pag. 4.J4..


LA GERARCHIA AM~IIXISTHATIYA 323
l'arresto dell'omicida o del ladro, eompit; bensì un'azione eminente-
mente utile alla comunità e di carattere publllico adempiendo ad
nna funzione di polizia; e pur tuttavia la legge non riconosce a
qnei'lto cittadino alcuna garanzia o tutela speciale contro le offese
che, a causa di tale funzione di polizia spontaneamente assuntasi, gli
po;;sano esser recate dallo stesso reo, ch'egli vuol arrestare o da
terzi, che intervengano a favore del reo, salvo beninteso l'eventuale
rei'lpon;;abilità di costoro per favoreggiamento (cod. pen., art. 225).
Tali offese si considererebbero dalla legge come fatte a persona, che
non vi ha dato causa con alcuna provocazione; giacchè l'esercitare
per il llene pubblico nna facoltà concessa dalla legge non può certo
considerarsi come una ingiusta provocazione; ma non si considere-
ranno mai come aggravate per la natura della funzione a cui atten-
deva spontaneamente il cittadino. In altri termini le lesioni recate
all'integrità fisica o morale del volontario arrestatore costituiscono
offese ingiustamente recate ad un innocente, ma non già aggravat.e
da nna speciale qualifica dell'offeso co1;ie pubblico ufficiale, o eome
persona legittimamente incaricata di un pubblico servizio.
"Gno speciale potere di coazione, che la nostra legge riconosce al
privato, il quale assuma spontaneamente la cura di un interesse col-
lettivo consistente nella costruzione di un'opera di pubblica utilitù,
si è il diritto dell'espropriazione forzata dei beni, mediante il cor-
rispettivo di un'equa indennità, a termini della legge 25 giugno 1865
{art. 2). Ma, si noti bene, questa .importante facoltà, che il nostro
legislatore allontanandosi lodevolmente in questo punto dal solito
modello delle leggi francesi ha riconosciuta al privato costruttore di
un'opera pubblica, richiede per poter essere esercitata una preventiva
autorizzazione dell'autorità amministrativa sotto la forma di dichia-
razione di pubblica utilità per l'opera da costruire. .
Tale autorizzazione, che dev'essere accordata, a seconda dell' im-
portanza deU' opera, per decreto prefettizio o ministeriale, e nei casi
più importanti per legge, è sempre preceduta da un serio mmme
sull'utilità dell'opera progettata, premessa una pubblica notificazione
con cui si invita chiunque voglia presentare le proprie osservazioni
ed opposizioni. Con siffatte cautele si evita il pericolo che il privat.o,
assumendosi di proprio arbitrio la costruzione di un lavoro di ca-
rattere pubblico, possa disporre senza alcun controllo preventivo dei
heni altrui, costringendo i privati a spogliarsene, sia pure mediante
un congruo compenso. Da cfo si vede che la facoltà di espropria-
zione per utilità pubblica non è nn potere ciecamente accordat.o
dalla legge a qualunque privato pel solo fatto che intenda eseguire
un'opera nell'interesse della comunità, ma viene subordinata a pre-
ventiva antm·izzazione da richiedersi caso per caso all' antoritù com-
petente.
Ed ora, concludendo le nostre eonsiderazioni circa gli effetti di
;)24 I PGHBLICI CFFICI E LA <;ERARCHIA A)DIIXISTHATIYA

diritto pubblico nascenti dalla spontanea assunzione di pubblici uftiei


da parte dei privati, possiamo ritenere che il privato col suo 8pon-
taneo intervento non acquista la qualità di pubblico ufficiale nè
quella, sebbene di minor dignità, di persona legittimamente incari-
cata di un pubblico 8ervizio; ed in conseguenza non è protetto da
alcuna delle garanzie speciali accordate dalla legge a quelle due ('a-
tegorie di persone, nè può esercitare qualsiasi potere di comando t·,
meno ancora, di coercizione verso gli altri privati, salvo i casi espres-
Ramente preveduti dalla legge (esempi: dell'arresto in :flagrante rl-'ato
e dell'espopriazione per utilità pubblica).
Vi sono però dei casi speciali in cui la legge, sotto l'osservanza
di determinate condizioni e garanzie, accorda all'opera volontaria-
mente assunta dal privato gli stessi effetti giuridici della funzione
esercitata dalle autorità amministrative. Così, ad esempio, gli istituti
d'istruzione secondaria tenuti da Comuni, da privati o da associa-
zioni possono ottenere il pareggiamento agli analoghi istituti gover-
nativi con relativa facoltà di concedere ai proprii alunni diplomi ili
capacità legalmente validi al pari di quelli rilasciati dagli sta bili-
menti governativi 1). In simil modo l'insegnamento impartito nelle
Università governative dai privati docenti, a ciò preventivamente abi-
litati dall'autorità governativa, viene parificato, per gli effetti acca-
demici, ai corsi professati dagli insegnanti ufficiali; ed è retribuit.o
a carico del bilancio dello Stato 2).
Passando ora ai rapporti di ragione privata, diremo brevementl-'
che l'effetto giuridico più importante sotto questo aspetto è il diritto
che può spettare al privato onde ottenere dalla comunità il rimborso,
totale o parziale, delle spese erogate ed il risarcimento dei danni
da lui risentiti nella cura, spontaneamente assunta, dell' intert>8se
collettivo. Senza fermarci qui a trattare delle note questioni circa
l'ammessibilità delle azioni negotiormn gestonmi e de in rem verso di
fronte agli enti di pubblica amministrazione 3), ci basti enunciare la
regola fondamentale; ed è che il privato avrà diritto a rimborso od
indennizzo soltanto se ed in quanto risulti che la sua opera spon-
tanea sia tornata effettivamente utile alla comunità, utilità il cui
apprezzamento deve essere rimesso all'incensurabile criterio di quegli
stessi organi amministrativi, ai quali sarebbe spettata normalmente

1) Legge 13 noYembre 1859, sul!' iRtruzione pnbhlì<'a, art. 2-13, 2.J.5.


2) Legge stess:t, art. 9,3 e 102; e Regolamento uniYersitario 26 ottobre lt:HO,
art. 127 e 12fl.
' 1) Si può consultare in proposito nn bre,·e articolo <lel Saldoli (La Legge, 188~,
vol. I, pag. 31); mrn nota del Giorgi (Foro italiano, vol. XVIII, irnrte I, col. 130.J. "
segg.); nonchè il trattato dello stesso autore, La dottrina <le/le persone giuridicht'.
nil. I, n. 123, Yol. III, n. 63 e Yol. IV, 1m. 203-205); Giriodi, Il Comune nel diritto
citi/e, IL 493 e segg.; e d:t nltimo la monografia <lel Biondi, Le pubbliche a111mi11i-
8tra.zioni e lei gestione d'ajf"ari (Torino, Frat. Bocca e<litori, 1895).
LA GEHAHCHIA A~DIIXI:;THAT!YA 32;;

Ja eura di qnel determinato servizio od interesse pubblico. Trattan-


dosi di funzioni di carattere pubblico (gfacchè l'ipotesi di una ge-
stione d'affari di carattere puramente patrimoniale, cioè riguardante
il patrimonio privato di un ente amministrativo, rimane perfettamente
estranea al nosko tema), l'apprezzamento dell'utile versione dovrù
essere più rigoroso, ma pur sempre equo, tenendo conto non soltanto
11Plle circostanze più o meno urgenti, che giustificavano lo spontaneo
intervento del privato, ma altresì del movente, più o meno misto
d'interesse personale, che ne determinò l'azione: ed in pari tempo
si dovrà aver riguardo anche alle condizioni finanziarie dell'ente
<'hiamato al rimborso, in quanto la relativa spesa sia compatibile con
la sua capacitù finanziaria.
In ogni caso, quando si trattasse di un'opera e di un lavoro qual-
siasi, che l'autorità amministrativa aveva preventivamente deliberato
di non potersi eseguire per deficienza di mezzi disponibili o per qual-
siasi altra ragione d'ordine amministrativo, il privato, che l'avesse
cii> malgrado eseguita di propria iniziativa, non potrebbe pretendere
alcun rimborso di spesa, nè totale nè parziale; perchè, di fronte a
quella preventiva dichiarazione del potere costituito, lo spontaneo
intervento del privato presupporrebbe necessariamente in lui l'anim11s
douand,i, l'intenzione cioè di supplire coi proprii mezzi individuali
all'insufficienza dei mezzi della comunità. Lo stesso dovrebbe dìrsi
quando, anche all'infuori dell'ipotesi ora prevista, vi fossero altrP
circostanze tali, che dimostrassero con fondamento l'intenzione del
privato essere stat.a quella di provvedere gratuitamente ed a tutto
sno carico ad una pubblica utilità.
Se poi, a gitHlizio della competente autorità amministrativa, insin-
dacabile dai tribunali ordinari, l'opera spontaneamente fatta dal pri-
vato risultasse in qualsiasi modo dannosa all'interesse pubblico, non
soltanto non sarebbe dovuto alcun compenso all'autore di siffatta
opera, ma l'autorità potrebbe imporgli di distruggerla e rimuoverla
prontamente rimettendo le cose nel pristino stato, a tntte sue spese.
L'assumersi di propria iniziativa la cnra dell'interesse collettivo è in
tutti i casi pel cittadino una semplice facoltà od anche, se si nwle,
n11 dovere civico e morale, ma non mai un obbligo giuridico; quirnli
e,\('}i ùnputet sibi, se nel farsi spontaneo cnratore di affari pnbbli('i egli
111n11ci1 di previllenza assumendosi un còmpito, a cni era inetto od
insnfficient.e, oppnre pe!·t·i1 di negligenza nell'esecuzione dell'opera.
:{26 I PCBBLICI l:FF!CI E LA f:EIL\HCHIA A)DJIXISTHATIYA

CAPO IV.

CO:\IE SI ACQUISTANO E SI PERDONO I PUBBLICI UFFICI.

§ 1. - Oor~f'erimento dei pubblici zifjìci.

SO:\DU.HIO. - 63. EHtmzione a sorte e trasmissione ereditaria. Venalità <lelle c:nfrlw.


- 6-1. La nomina regia e l'elezione popol:tre. - 65. Requisiti di :1tt"itn1li11e tbi1·a
e di età negli aspiranti alle cariche irnbbliche. - 66. Requisito della citta1li11anza.
- 67. Incapacità per cattiYa co111lotta o per comlmme riportate. - 68. Intnfli-
zione <lai pubblici uffici. - 69. Capacita intellettuale e requisiti ili coltura. -
70. Divieto <lelle condizioni ili religione o di casta. - 71. Requisito del sesso.
Esclusione <lellc donne dalle cariche pubbliche. - 72. Imonqmtibilità <li nftki.
- 73. Rieleggibilità tlei fnnzionarii scaduti.

u3. Dalla buona scelta delle persone, a cui vengono affidate le


pubbliche funzioni, dipende in massima parte il retto andamento
dell'amministrazione; tanto che uno Stato in mediocri condizioni di
ricchezza e di civiltà e retto da una legislazione imperfetta sarà
sempre meglio governato ed amministrato di un altro Stato ricco e
fiorente, purchè il corpo dei pubblici funzionari vi sia reclutato con
tlani criteri e con buoni. metodi di elezione.
Fra i tanti sistemi, che vennero esperimentati attraverso i secoli
pel conferimento delle cariche pubbliche il peggiore di tutti, dopo
quello della venalità delle cariche, è senza dubbio quello del sorti-
legio, che pure nell'antichità ebbe larga applicazione negli ordinn-
menti amministrativi di Atene 1) e talvolta si trova adoperato ancbe
nei Comuni italiani dell'età di mezzo. L'estrazione a sorte, nella
quale gli antichi per pregiudizio religioso credevano di riconoscere
una manifesta~ione della volontà divina, presuppone che tutti i cit-
tadini, fra i quali si trae a sorte l'ufficio pubblico, abbiano eguale
attitudine fisica, morale ed intellettuale a disimpegnare le attrilm-
zioni; ipotesi per sè ti tessa assurda, per quanto possa essere ristretta
con opportune limitazioni la cerchia dei cittadini entro cni si C'ompie
il sortilegio. Un siffatto sistema, che può essere ispirato soltant,o
dalla superstizione religiosa o da nn erroneo concetto di eguaglianza
tlt>mocratica, non è più ammesso dalle moderne legislazioni dt-1.di
Stati civili; e nel nostro diritto pubblico interno è totalmente sco-
nosciuto, se si eccettuano alcuni incarichi di secondaria importanza ~).

l) Ve<li sopra il 11. 27 <lclltt presente mouografot.


~) Così per es. il Regolamento 1lel Sennto 1lel regno, n.ppron1t11 nelle sednt1• <l1·l
13, U- e 17 aprili· 1883, stahilisee all'art. 90 d1c le dep11tazio11i ilei Sen:tto stPsso, in-
CO)lE SI ACQt:IMTA:XO E 1'1 PEH!Hl:XO I l't:BBLICI t:FF!CI :1:27

La trasmissione ereditaria delle cariche pubbliche porta eon sè


pericoli ed inconvenienti non meno gTavi di quelli che derivano tlal-
Festrazione a sorte; g'iacchè è facile comprendere che non sempre i
(liscemlenti di colni ehe fn pel primo investito di un ufficio, iiosse-
(lenrnno al pari di lni la capacità voluta per poterne compiere de-
grnuuente le funzioni: anzi il pi il delle volte accade necessariamente
che presto o tardi la carica viene nelle mani di HnccesHori i1wtti e
talvolta di donne, q nando queste non ne siano espreHsamente escluse;
e(l è emù che nei secoli pai'\sati :;ii vide l'indecoroso Hpettacolo di fem-
mine investite per diritto di successione di alte cariche civili e per-
fino militari, che non potendo naturalmente esercitare in persona,
(lelegavano di proprio arbitrio ad un loro sostituto o rappresentante,
senza alcuna garanzia di attitudine e di onestà 1 ).
Bgualmente biasimevole, e condannato del pari dall'odierno diritto
1mbblico, è il sistema di dare gli uffici a titolo di ricompensa per
·henemerenze verso il sovrano, o peggio di venderli per danaro. Chi
acquista per siffatti modi una carica pubblica, non può aver altro
pen;;iero che di sfruttarla a proprio vantaggio e di cavarne per sè
il maggior lucro possibile, dimenticando qualsiasi riguardo al pnb-
hlico bene. La venalità degli uffici, che costituì pel passato una delle
piag·he piil vergognose ed esiziali dei governi dispotici, è ora del
tutto scompar8a. Vi sono ancora, è vero, e vi saranno 8empre per
necesRità dei servizi pubblici affidati ad imprenditori privati mediante
('.Olltratti a trattative private o per pubblici incanti; come ad esempio
il servizio della riscossione delle imposte dirette e dei dazi di con-
Rnmo; ma qui come anche nel caso degli appalti fli lavori pubblici
o di forniture, non si tratta di z~tfici pubblici, bensì 80ltanto di .~er­
rizi; e le persone, che assumono tali imprese non rappresPntano
punto lo Stato, non esercitano alcuna parte dell'autorih) publJlica;
:-:ono e restano Hemplici contraenti, vincolati, mediante nn detenni-

<":tt·i<·at" <li ra.ppr,•se11t,nlo i11 <leterminate l'ircost:rnze o solmmiti1, si:wo fonnate


llle<liante estrazione :t sorte. Simile <lisposizimw porta. l'art. 115 <lel Reµ;ol:11nento
1]1·lla Cm11Pra ilei depnfati.
L'<•strn.zioue a sorte si arlopcra. inoltre per la forntar.ioue degli 11.tfìci, •·osì flel R<•-
11ato (art. 14 <lei mg·olam. citato) come della Carntmt. ilei tlPpntati (art. 8 dd l'Pg'.
t·it.); ma tJUÌ 11011 si trntt:t ili co11forire iu<"arichi o fnuzio11i spel'iali, bensì H<'lll-
pJi,·1~mente ili ripartire i membri ddl'nna e <lell'a.ltra Camera in nn certo n11na•ro
•li '<'zioni lWl' agen>Ja.re lo stn1lio preliminare tlei prngetti cli legge.
Il solo nftfrio di qnalche importanz:t clrn s1won1lo la. nostra dg·entc leg·islaziorn·
1·i,.u,. conferito per sortilt•gio è qncllo di ginrato nei pro1·cssi penali (legge i'< gin-

i.!:llo 1874·, art. 2~l, 30 e 36). :\fa, a parte le freq1wnti " sen~re critiche di ('Ili non
" torto Yien fatta seguo F istituzione tlel ginrì, com" f1mr.io11a attn:ilrncntt>, f' 1·hP
•hnoRtrano l'aRsolntn. ne1·essità di nua riforma. giova oHsen·a-re ..J1p l'estrazio111' a
Hortn tlei ginrn.ti si fa Roltnnto fra i cittadini forniti <l<'i rcqniRiti d' i1!0Ht•;t:i
Yolnti 1lalla Jpgge e:! iuRcritti prm·entinimente in apposik liste.
1) \~t•tli sopra il Il. 52 tli qnesta mnnogrntia.
:-l:Js 1 l'l'BBLICI ['FF!CI I•: LA <a:JUIWHL\ A~DIL\'l"'THATIVA

nato corrispettivo, all'esecnzione <li un'opera o <li un' impre~.;a pei·


eouto della pubblica ammillhitrazione; senza che occorra notare }l1:>i·
di più che in siffatte intraprese è lamministrazione che corrispondi'
un compenso al privato, mentre Hella vendita degli uffici è il prfrato
che paga per ottenere la carica.
04. Esclusi adnnque i Histemi arbitrari ed incivili del sortilegio,
della trasmissione ereditaria e della vendita o donazioHe, è necessario
che in uno Stato ben ordinato gli nftici pubblici vengano conft:>riti
mediante una scelta libera e cosciente, capace di discernere ed ap-
prezzare le attitudini degli aspiranti. Secondo le diverse forme di
g<iYerno, è pure diversa l'antoritiì, a cui spetta l'esercizio di qneHta
importante missione della scelta dei pubblici funzionari, chi:' c0Hti-
tnis1:e uno degli attributi essenziali della sovranità. In un pae8e a
regfoie schiettamente democratico, come la Svizzera e gli Stati d<:>l-
1'1; nione nonl-arnericana, anche questo c(m1pito spetta al popolo Ko-
vrano, che designa col 8\lO libero voto le persone, da cui vuol ess<:>re
gow·mato. All'opposto in uno Stato dh;potieo, come la Russia e la
Turchia, la nomina dei pubblici ufficiali non è che una delle prero-
gativl' del Rovrano, che la esercita a suo arbitrio e senza controlli
di sorta. Xegli Stati retti da una monarehia temperata o costituzio-
nale, in cni i dne elementi, re e popolo, concorrono in8ieme :qell'e-
sereizio degli alti poteri sovrani, Hi dividono anche il c(>rnpito dH
conferimento delle cariche; onrl' è che aecanto al sistema della nomina
reg'ia vi troviamo l'<:>lezione popolare.
L'art. H del nostro Statuto fondamentale del 4 marzo 1848 stabi-
liKce: « 11 Ue nomina a tutte le cariche dello Stato ». È qnesta una
disposizione, come non poche altre 1lella nostra carta statutaria, la
quale se fosse interpretata a rigor di lettera avrebbe un significato
troppo as;;;oluto ed esclusivo, in contrasto con lo stato reale del nostro
diritto pnbbli«o 1 ); gfacehè eselu<lerebbe del tutto nel conferim<:>nto
dei pubblici uffici qualsiasi sistema all'infuori della nomina regia . .:\la
mm siffatta interpretazione sarebbe evidentemente erronea; infatti.
senza parlare dell' nfticio legislativo, che in parti:', cioè per una delle
<lne Camere ili cni 8i compmw il l'arlament,o, deriva dalla elezione
popolare, abbiamo l'intera amministrazimw locale, i cui funzionari
traggono la propria nomina dal voto dei cittadini, iii conformitù ili
qnanto clispone la vig-ente legge C!>munale e provinciak (tPKt«> unieo
del 10 febbraio 188!.l).
Soltanto l'importm1te nftieio di sindaco, eli<:> rappresenta la prima

1) Il se11:1tor0 Saredo B!'ll:t '11'1 liclla [11trorl11zio11l' al CtHlil'e !'ostitnzionale (:2." t>tli-
~iout'~ Torino~ 18981, n. H8 <> seµ;g., incliea nn gran 11nB1Pro di rif'onw•, 111otlitit·n-
zioni c1l :1,g·g·i11nte apportate allo Statnto 11Pl prop;ressÌ\'o KYolgi11u·11to t!Pl nostro
diritto pnhli!ico int1•r110, senza peri> l"iol:tr!' i graudi pri11l'ipii ..Jw t'ostitnis!'ono 1"
linee tesst:'nziali dt'l nostro patt.o <'ostitnzio11:1l1·.
co~rn SI ACQUIKTAXO E KI l'EIWUXO I PUBBLICI UFFICI 3:W

autorità nella gerarchia dei nrng·h;trati comunali, rimaneva fino a


<inesti ultimi tempi riservato alla nomina regia; ma con la le~:ge
JO dicemllre 1888 (art. 50) comincfo a farsi strada il siHtema del 8in-
<1aco elet.tivo, limitat.o peri) ai Comuni maggiori, cioè ai capoluoghi
di provincia e di circondario ed ai Comuni con popolazione superiore
a 10 mila abitanti. (~nesta limitazione, contraria ad ogni buona norma
di diritto amministrativo ed anche di dubbia opportunità politiea,
:;comparve con la recente legge del 29 luglio 1896 (art. 1) che reKt~
elPttivo il sindaco in tutti i Comuni del regno. Anche l'ufficio di capo
dell'amministrazione provinciale, che prima era affidato ad un funzio-
nario di nomina governativa, cioè al prefetto, è ora elettivo, 8pet.tando
tale nfficio al presidente della Deputazione provinciale, mentrl' al
funzionario regio non restano più che le funzioni di rappresl'ntantl'.
del potere esecntivo centrale nella provincia. Contemporaneamente
si è pure introdotto l'elemento elettivo nella funzione di t.utela go-
vernativa nell'amministrazione locale, creando a tale scopo un nuovo
orµ;auo nella Giunta provinciale amministrativa, composta in preva-
lenza di membri di origine elettiva 1 ). Tutte queste riforme senza
parlare delle serie i>roposte che vi sono di introdurre il sistema ell't-
tivo anche in alt.ri importanti uffici pubblici, compresa la scelta dl'i
senatori e quella dei giudici, dimostrano chiaramente che la tendenza
<lPlla nostra legislazione è di concedere una partecipazione sempre più
larga al sist.ema elettivo nel conferimento delle cariche, come si con-
Yit>ne in un regime a base sostanzialmente democratica.
Come il siHtema elettivo forma la base degli uffici arnminiHtrativi
comnnali e provinciali, così la nomina regia è secondo la nostra vi-
gente legislazione la fonte ordinaria di tutte le cariche governativl',
a t~OJ11inciare dalla più elevata, che è q nella dei ministri, per scen-
dere fino alle più nmili. ::\Ia non sempre gli uffici governativi wn-
g;ono conferiti direttamente per decreto regio; giacchè per le cariche
lllPllO importanti, e specialmente per quelle di carattere transitorio,
;;i provve!le il più. delle volte con semplici decreti ministeriali; e ('ii>
in conformità delle disposizioni contenute nelle leggi e nei regola-
ml'nti speciali per i singoli rami dell'amministrazione. CoHì, a<l l'S.,
mentre la nomina dei professori ordinari delle università, che hanno
nftieio stabile con determinate garanzie d' inamovibilità, devP farsi
]H•r (lecreto sovrano, per quella dei semplici professori straordinari
od incaricati, il eui nffi('io è soltanto annuale od andie di più hren~
<lnrata, si provvede con semplici decreti del ministro di pnllhli<·a
istrnzione 2 ). Xon è poi il caso di parlare qui degli impiegati di basso
sPrvizio deg·li uffici o stabilimenti g·o,·emat.ivi, la cni nomina è la-

1I Testo nnico 10 febhraio 188\l, art. 10.


") LPg;g;<' 18 110YemhrP 185\l, art. 57 e lifl.
;{;)Q I l'l:JlBLICI l:FFICI E LA lil<:l!AHCHIA .·UD1IXI>;THAT1'' A

sciata <li regola ai ministri od anche ai eapi dei rispeitivi istitnti,


non rivestendo costoro la qualità di pubblici ufficiali.
Ufo che importa piuttosto notare si è che quando, in virtù di nnct
speciale dhiposizione, che ve lo autorizza, il minb;tro conferisce nna
carica pubblica, sia pure di breve durata, egli cfo facendo esereita
nn'autoritù delegatagli in sostituzione e rappresentanza del sovrano;
così che sostanzialmente l'ufficio conferito dal ministro non diffl:'risee
rig·nardo al suo contenuto giuridico da quello conferito per regio de-
creto, Halvo i diversi effetti riHpetto alla sua durata, onde i dititt.i
ed i (loveri dei funzionari di nomina ministeriale sono perfettm11t-nte
eguali a quelli di nomina regia.
Il conferimento degli uffici, quando ha luogo per decreto reale, si
fa di regola sulla proposta del ministro competente; ma per le alte
cariche dello Stato si esige, per maggior garanzia di una bnona
scelta, la preventiva deliberazione del Consiglio dei ministri 1 ); nel
qual caso il decreto di nomina deve contenere la clausola « Hentito
il Consiglio dei ministri »; altrimenti sarebbe irregolare, ma non po-
trebbe tuttavia essere annullato dalla IV Sezione del Confliglio di
Stato, non essendovi alcun privato, ente morale od autorità costituita,
che abbia veste a ricorrere contro siffatti decreti, per mancanzfl <l'in-
teresse proprio e diret.to.
()5. Se alle cariche pubbliche si ammettesse chicches:'\ia senza ri-
g·uardo a condizioni o qualità, mancherebbe alla società una ~mfti­
ciente garanzia onde prevenire che l'esercizio del potere venisse af-
fidato a persone incapaci od indegne. Tutte le legislazioni hanno
cura pertanto di determinare preventivamente i requisiti per;;;onali,
senza dei quali nessnno può essere invest,ito di una pubblica ca1fra
in genere, oppure di nn tleterminato ufficio in ispecie. Tali rt:>quisiti
possono essere di tre specie, vale a dire .ti.Y·ici, se riguardano l' aHi-
t.udine fisica dell'individuo a compiere le funzioni inerenti alla cari<·a,
11wmU, quando si riferiscono alla sua rispettabilità ed oneHtà, ·intel-
lett1uili infine quando si ha riguardo alla coltura che si richiede negli
aspiranti e che può essere generale o speciale per quel determinat,o
servizio.
<~nanto all'attitudine fisica, che già il diritto romano teiie-rn in
<·onsiderazione, escludendo per consuetudine dalle cari<'he coloro ('lte
avevano tali <lifetti fisici da renderli incapaci di adempieme gli oh-
blighi 2 ), le leggi spt:>ciali ed i regolamenti esigono spesso ('lte sia
constatata mediante certificato medico o con apposita visita. ( '.osì
per l'ammissione agli uffici della carriera (liplomatiea e con:'\olart> il
reg·olamento appnrrnto con l{. decreto 21 febbraio umo esige (art. :!)

1) }{. Deereto ~;; agosto ll'l7li, art. 1, Il. H.


"1 :\Io111111se11, Hii111i.;che., 8taat.;r,,cht, ,·o!. I, png-. -loti, nota -L
co~n: SI ACQC!STAXO E SI l'ERDOXO I PCBHL!CI l:FFICI BHl

<'he l'aspirante provi di essere sano e <li robmita costituzione; e si-


uiile disposizione troviamo nell'art. 3 del H,. decreto () ag·osto umo,
<-<mtenente le norme per le nomine e promozioni negli uffici del-
l'amministrazione finanziaria. Vi sono poi uffici, come quelli militari,
<li pubblica sicurezza ed analoghi, i quali, stante la maggior attività
e forza fisica che essi richiedono per l'indole speciale delle loro att.ri-
bnzioni, l'attitudine fisica degli ufficiali presenta una maggiore impor-
tanza; e ciò spiega come nel conferimento di siffatti uffici si debba
avere il massimo riguardo all'idoneità fisica degli Hspiranti.
Altro requisito, che ha relazione non soltanto all'Httitmline fisica,
ma anche a quella morale ed intellettuale, è quello dell'età, clw non
<lev'essere nè troppo immatura nè troppo avanzata. In generale i
nostri regolamenti fif;sano come limite minimo per l'ammissione alle
carriere amministrative l'età di 18 anni e come limite masRimo quella
di 30 anni. Per le cariche elettive, nell'amministrazione locale, Ri
esige, età non inferiore ai 21 anni compiuti 1), limite che coincide
eon quello stabilito dal codice . civile (art. 240 e 323) per la piena
capacità giuridica dell'individuo; ma per gli uffici parlamentari, che
ri1·hiedono maggior maturità di mente e di carattere, l' aetns le,critùnct
viene elevata a 30 anni per i deputati 2 ) ed a 40 per i senatori, fatta
eccezione per i soli principi della famiglia reale, che sono amrneRs.i
<li diritto a sedere in Senato all'età di 21 anni, e vi acquistano il
voto a 2i> 3 ). Del resto, a differenza dalle lej:!;gi della H,epubblica
romana, che fissavano un limite minimo speciale di 43 anni per la
<lig·nità consolare 4 ), il nostro attuale diritto pubblico non contiene
alcuna disposizione che stabilisca un'età minima per le somme eariche
amministrative, così che soltanto la consuetudine costituzionale di
sf'egliere i ministri dal seno del Parlamento impedisce che possa
mettersi a capo di un dicastero una persona minore di trent'anni.
:Xatnralmente per le cariche elettive, siano amministrative o politiche,
non è punto fissato un limite massimo di età; oml' è certo che 1' età
senile, anche decrepita, come non può esser causa di esclusione <lal
<liritto elettorale attivo 5 ), così non produce neppnrP decadenza dalla
<'apacità elettorale passiva (eleggibilità).
H(ì • .:\[a più che le attitudini fisiche sono importanti, g·eneralrnente
Pllrlando, le qualità morali; giacchè la mancHnza od imperfezione
<lelle prime potrà avere conseguenze dannose all'interes8e pubblieo,

1J Legg" com. "pro,·., testo unico 10 febhraio 1889, nrt. :rn, in rcl:ui:iow~ all'art. Hl.
è) Statuto ilei regno, art. 40.
::) Btntnto, art. 33 e 34.
;) Ye<li sopra il IL :rn ili questa 111011ogTntia.
") Confr. in 11nesto SPnso nna 1leliherazione della Depntazio11t: JH'OYineial<' ili
Xapoli, G lnglio 1868 (LCf!{fC, 18G9, II, l+), e1l nna ,;entPazn della Corte d'npp. ili
:\Ia,·crnta, 17 ottohr1' 1889 (Lt~{fge, 18~l0, I, B:2).
332 I l'l'.llllL!()I l'.FFICI E LA (}EHAHCHIA AM~ilXll"THATIVA

ma non mai così gravi come quelle che derivano inevitabilmente <lai
governo di persone corrotte e disoneste.
1::-n primo requisito di earattere giuridico, che quasi sempre :-;i
esige per garanzia della fedeltà e del patriottismo dei pubblici fun-
zionari, è quello della citta.dinanza, intesa però nel suo significato
più generale, che è quello oulinario per le nostre leggi, vale a dii-(•
di appart.enenza allo Stato italiano (quella che i tedeschi chiamano
<·.on parola propria !:'Jtaatsangehiirigkeit) e non già di appartenenza atl
uno piuttosto ad altro Comune o eittù del regno (Gmneindebiirgerschaft).
Non v'ha dubbio che il sistema di escludere gli stranieri dalle ea-
riclte pubbliche rappresenta una importante garanzia per l'indipen-
denza nazionale e per la sicurezza dello Stato; tuttavia è notevole eh(•
cii) non fn sempre riconosciuto; poichè sappiamo che nel medio evo
i Comuni italiani i quali, come è noto, costituivano, ognuno a si.·.
altrettanti stati autonomi, ritenevano invece preferibile il sistema
opposto, prescrivendo che il governo della città dovesse essere afti-
dato ad un forestiero, cui si dava il titolo di podestù,, e che doveva
esser chiamato per quanto possibile ci.a paesi lontani 1).
Secondo il nostro diritto pubblico attuale la cittadinanza costituisct>
di regola una condizione indispensabile per poter coprire un nftieio
pnblllico di qualsiasi gTado ed importanza, sia che si tratti di cariche
èlettive o di uffici, che si conferiscono dal Governo. Infatti, come lo
Statuto prescrive (art. 40) che nessun deputato può essere ammesso
alla Camera se non è suddito del He, così la legge comunale e pro-
vinciale 2 ) esige la cittadinanza per il godimeuto del diritto elettoralt>
sia attivo che passivo, facendo per(l un'eccezione a favore degli ita-
fomi appartenenti a provincie tuttora sottoposte alla dominazione
straniera, i quali sono ammessi, al pari dei cittadini, all'esercizio del
vot.o elettorale e delle relative cariche amministrative, quand'anche
manchino della natnralitù. Questa, a tenore del codice civile (art. 10)
si pui) acquistare in due modi, cioè per legge, nel qual caso nella
doUrina prende il nome di grande naturalizzazione, o per sempli<'t>
decreto reale (piccola naturalizzazione).
Si fa quistioue se la piccola naturalizzazione sia sufficiente per far
acquistare l'elettorato amministrativo agli stranieri (esclusi benint.Pso
g'li italiani non regnicoli, pei quali, come abbiamo detto or ora, non
oeeorre a tal uopo alcun atto di naturalizzazione), e per conferir
loro la conseguente capacitù di coprire gli uffici elett.ivi nelle am-
ministrazioni comunali e provineiali. Taluni sostengono Fafferrna-
tiva, llasamlosi prineipahnente sopra l'art. 1 della legxe elettorali'
politica \testo unico 28 marzo 1895), il qnale per l'elettorato politi!·o

li \"!'1\i wpra 11, ~7.


2) Tt"to 1111i~o 10 f<lhhraio 188fl, art. Hl ,. :lfl.
CO)JE ;;r AC(ìl:I>;TAXO E ,.;r l'l<;HDOXO I PCllllLJCI CFFICI :-Jil:{

richiede espressamente (quando si tratti di veri stranieri, cioè che


non siano italiani di provincie soggette ad altre potenze) la grande
naturalità, quella cioè concessa per legge, ed invocando il noto
aforisma lex 1ibi volu-it di.rii, nb,i nolnit tacn-it 1 ). ~Ia noi col senatore
Saredo 2 ) crediamo più fondata l'opinione contraria; anzitutto in Yista
dell'importanza e del carattere essenzialmente politico che presenta
il diritto elettorale, anche semplicemente amministrativo; giacehù
anche l'amministrazione locale forma parte integrante della gestione
I' tutela degli interessi pubblici, non meno che quello centrale: e l'au-
torità esercitata dai funzionari comunali e provinciali è essa pnre,
al pari che quella dei funzionari governativi, nn'emanazione 1liretta
della sovranità nazionale. L'opinione, che respingiamo, trova, è Yero,
un forte appoggio nello spirito liberale che informa generalmente
la nostra legislazione, relativamente ag·li stranieri; e nel silenzio
1lella legge si comprende che l'opinione più favorernle t.rovi molti
:-;ostenitori. Ma ciò malgrado ci sembra che prima di concedere ad
uno straniero, non appartenente, neppure per diritto naturale di
razza, alla nazionalità italiana, la capacità di poter diventare eonsi-
g-liere comunale e provinciale e perfino sindaco o ca po dell' ammini-
strazione provinciale (presidente della Deputazione provinciale) si
debbano richiedel'e da lui quelle prove più complete di fedeltà e di
patriottismo, senza delle quali non si concede la grande naturaliz-
zazione.
Crediamo invece sufficiente la piccola naturalità per poter aspirare
agli uffici amministrativi di nomina governativa; perchè in questo
caso loculatezza del Governo nella scelta dei suoi funzionari offre
piena garanzia che non sarà mai affidata una carica ad uno straniero
naturalizzato per semplice decreto reale, senza prima accertarsi (lella
~ma perfetta devozione alla nuova patria da lui eletta.
Se la condizione della cittadinanza costituisce la regola generale
per l'eleggibilità ai pubblici nffici, non mancano però alcune rare
Pccezioni, giustificate dal carattere speciale delle attribuzioni proprie
<li alcune determinate cariche. (~neste eccezioni, appunto perd1è tali,
debbono in ogni caso fondarsi sopra un'espressa disposizione di legge,
P vanno sempre interpretate in senso restrittivo. Esempi ne troviamo
nella legge 13 novembre 18.~i!J, la quale coll'art. rnn, in omaggio all'n-
llÌYersalità della scienza, ammette gli stranieri ad insegnare nelle

1) Qnesta op1111011c è sostennta <lall'EspPr><on, Co1ulizio11e- f!i11ridica dello Nlrn11ir1·0,


•'•·•·., parte I, IL 5~ e segg.; <la] l\fo,zzoeeolo, Lefjge l'Oln. e p1·ot'. a1111otata. 3." <'<1.
CHilano, Hoepli e<litore, 1894), i)ag. 60-61; e <lal Gorrini, La co1wesNio11e rie/la cit-
fadi11anza (Voghera, tip. Gatti, Ì8BO), pag. 41 e Hegg.; nonchè <la m1 anonimo
ll~ll:t Rivista amministmtiva, 1889, pag. 68\l.
~) Lei 1uio1·a lefjge snll'mnininistmzione com. e pro1'. r.ommentata, Yol. II, 11. 2::rn:~.
;{3.J, I Pt:BBLICI l.TFICI E LA (:J<:HAl!CHIA A)D!IXISTHATIYA

univen;ità italiane 1), nella legge (i luglio 1862 (art. 10 e 11), dH·
concede ai eommercianti stranieri l'elettorato e l'eleggibilità nei con-
sigli delle Camere di commercio, e nella legge consolare del 28 gen-
naio 10u6 (art. i}) che autorizza la nomina di sudditi esteri alle caridH~
consolari di seconda categoria.
(jj. J,e persone diffamate per cattiva condotta o per condanne ri-
portate non debbono essere ammesse ai pubblici uffici, percht•. la
loro vita ant.ecedente non soltanto non offre alcuna garanzia di rt>t-
titudine nell'adempimento delle funzioni annesse alla earica; ma
lascia luogo a temere che siffatti individui potrebbero facilmente
abusare dei poteri inerenti all'ufficio, per fini delittuosi od almeno
dii'.'ìonesti. Il buon nome venne quindi considerat.o in ogni tempo
come una condizione necessaria per poter adire i pubblici uffiei;
onde già l'antico diritto romano escludeva rigorosamente da qual-
siasi carica gli indegni della pubblica i;tirna, comprendendo fra questi
gli iJ~fiimes, i mercenari, i lenoni, gli istrioni ed altri individui ad-
detti a mestieri immorali o indecorosi 2 ). Anche durante l'età di mezzo
s'incontrano negli statuti municipali e nelle costituzioni dei prin-
cipi molteplici disposizioni, che dichiarano incapaci dei pubblici
uffici gli nomini maechiati di delitti o diffamati per riprovevole
condotta.
Oggidì si può dire che non vi ha nella nostra legislazione alcun
testo, che regoli il conferimento di una carica pubblica qualsivoglia
senza prescrivere il requisito della moralità o buona condotta. Tutti
i regolamenti per l'ammissione dei funzionari nei diversi ministe'ri
e nelle amministrazioni da essi dipendenti pongono immancabilmente
fra le condizioni, a cui debbono soddisfare gli aspiranti, quella di
aver sempre tenuta buona ed incensurata condotta 3 ); e qualcuno
vi aggiunge anche quella di non aver riportato condanne nè trovarsi

1) È noterole a qnesto proposito ('he la slPHsa .legge f'ond:unental!' sulla puh-

hliea istrnzioue Psige im·ece !'Hpressamente il re<1uisito della eittadinnnza per pokr
aprire al puhhliuo uno stabilimento d'istruzione secmularia ('Oli o senza con ritto
(art. 2-16), eome pnre per essere ammessi a<l insegnare negli stabilimenti puhhli<-i
d'istruzione secondaria o per dirigere un aunlogo stabilimento prirato (art. 255) <'
per poter tenere in proprio nome nna S('noln. elementare pri,·atn. (art. 355). Tnt-
tnTia lo stPsso art. 2il5, mentre esternle l'obbligo <lella eittadinnnza anehe ai membri
flelle <"orporazioni relig·iose, antorizza peri> il ministro <lella pubblica istrnziml<' a
dispensare <la questo re<p1isito l<' persone, che <lichiarino di rolcr fissa.re il loro
<lornicilio nello Stato, ,., lo fissino realmente entro trt> mesi. L'a('('or<lare o negar<' tait'
<lispensa è rimesso al eriterio discretiro e<l insindacabile <lel ministro stes,o.
2 ) ::'.IIommsen, Ro111fach eH Staaf8recht, Yol. I, pn.g. 467 e Hegg.
0

:i) Co8ì Ye<lasi, fra gli altri il regolamento 20 ginguo 1871, l>Pr l'aunniuistrnziom'
e<'ntrale e pro,-inciale <lell' interno (art. 2), <prnllo 27 febbraio 1890 per il )linistPr<>
degli esfrri e le dipeude11ti ('arriere ridia diplomazia e <lei eousolati (art. 2). "
qn!'llo 6 agosto 1890 per l'amministrnzionP finm1zinria. (art. 3).
<.:o~m 81 A<.:QC18TA;);O E 81 l'EIWOXO I l'l:HBLI<.:l l'.Fl•'l<.:I :rn~.

sotto processo per crimini o delitti 1 ), aggiunta, a dir vero, atfat.to


snpertlua, dal momento che l'esistenza di siffatte condanne od im-
pntazioni m;clude già di per 8è l'altra condizione della buona (•on-
11otta. Analoghe diHposizioni s'incontrano in molte leggi speciali;
collle, ad esempio; nella legg·e 13 novembre 18;)9 sulla puhblica i8trn-
zione, che e8clude assolutamente dall'insegnamento nell'universitù
P nelle scuole secondarie, sì pubbliche che priYate, coloro che ab-
biano riportate ~ondanne di determinata gravità o per determinati
reati, henchè non accompagnate dall' interdizione temporanea o per-
petua dai pubblici uffici o che si trovino in istato di fallimento do-
loso (art. 161 e 2;)G); mentre per i maestri elementari, pubblici o
privati, la legge esige un attestato di moralità rilasciato, apposita-
mente a tale scopo, dal sindaco col parere della giunta mnnicipalt>
(art. ;:)28, 330 e 355). Per i segretari comunali il regolament.o 10 giu-
gno 1889 (art. ;~2) non prescrive l'attestato di buona condotta, ma
si limita ad escludere coloro che siano stati eondannati per alcuno
di quei titoli di reato, che producono l'incapacità elettorale annni-
nistrativa.
Per le cariche elettive non sarebbe il caso di esigere alcun cl'rti-
ficato di moralità e di buona condotta; giacchè i migliori giudici sn
questo punto sono gli elettori, i quali, si presume, non concederanno
mai i loro suffragi a persone indegne 2). La legge elettorale, così po-
litica come amministrativa, si limita quindi ad escludere dal vot.o
attivo e passivo gli individui sottoposti all'ammonizione od alla sor-
veglianza speciale dell'autorità di pubblica sicnrezza, i falliti, fincht:>
dura lo stato di fallimento, i condannati per determinati t.itoli di
reato, nonchè i poveri ricoverati negli ospizi di carità 0(1 altrimenti
mantenuti abitualmente dagli istituti di pubblica beneficenza :i).
Xon è qui il luogo di svolgere a lungo le numerose qnistioni, a
cui ha dato luogo nella pratica giudiziaria, l'interpretazione più o
meno rigorosa di queste disposizioni, che mirano ad epurare il corpo
elettorale dagli elementi indegni e ad esclndl'rli dalle eariche det-
tive ~). Ci basti stabilire in proposito alcuni principii direttiYi. Il
primo di questi è che, trattandosi di disposizioni, che restringono

1) Uegolnmento 3 1t0Vt'lllhrc 1872 l'er l'a111111isRione ag·li impiPglii 11c·I ~Iini,;t"r"


<li grazia " giustizia e dPi cnlti (nrt. 1).
~) Ginstame1tte si ritiene clw In, ('attiva eonrlotta per sè stessa. 11011 c·oRtitni,;""•
legalm .. nte pnrlarnlo, mrn <'ansa <l' ineapacità elettorn.Je. Casf.. cli Uo111a, l i settem-
hre 1895 (Ler1ge, 189,i, vol. II, vag. 618).
'l) Lt>g·gp Plettomfo politica, testo nnil'o 28 marzo 189èi, art. 96-98; - LC'gge t·om.
e lll'ln-., testo nnico 10 febbraio 1889, art. 30. Le stesse i1wapfl·<'it:ì vali.ouo :m<'he ri-
"Petto alla carica <li membro 1lella Congregazione cli "nrit:ì 1· 1lPll'nnrn1inist.razionP di
•prnlsiasi nltrlf istitnzimw pnhhlil':t di beneficenza (Legge 17 lnglio 18HO. nrt. llL
4) ~i l><J'So110 vedere largamente svolte dal se1rntorP Snre1lo nel <'itnto Co111111ento
alla legge co111. e pro1'., n>l. II, H. 2872 <' segnenti.
3;rn I l'CllllLIGI GFFICI ]•} LA 1;EHARCHI A A~DIIXISTRATIV A

il libero e>iercizio di nn diritto pubblico subbiettivo, qual' è la pai·-


tecipazione al governo della cosa pubblica rnercè il voto attfro e
passivo, non si ammette interpretazione estensiva (cod. civ. dispo:-;.
pl'el., art. 4), se non in quanto sia espressamente autorizzata dallo
:-;te:o;so leg·islatore. Così l'espressione larga e comprensiva, clw si
leg-g-e nell'art. 9(), n. 2, della legge elettorale politica (testo unieo
~8 marzo 1895) e nell'art. 30, lettera f, della legge comunale e in·o-
vinciale (testo unico 10 febbraio 1889) autorizza a considerare e0111e
(•amm d'incapacità elettorale qualunque condanna, che rientri sotto
le specie di reati contemplati nelle disposizioni stesse, che parlano <li
almso di .firlzwia e .fhJde d·i ogni altm spec·ie e .çotto qncilunqne t·itol.o del
codice pencile, di qncilzinqite specie di fctlso. Di fronte a siffatte espres-
sioni della leg·ge il comprendervi qualsiasi condanna per un reato,
che rientri in quelle determinate specie, non costituisce più un' in-
terpretazione arbitrariamente estensiva 1).
Il secondo principio che occorre tener presente è che per il confronto
fra le pene criminali e correzionali inflitte in base al codice penale
:-;ardo-italiano del 1859 con quelle stabilite dal nuovo codice penale
italiano del 1889 si debbono seguire le norme di diritto transitorio
contenute nell'art. 20 del R. decreto 1. 0 dicembre 1889, concernente
le disposizioni per l'attuazione del codice penale; e per vedere se
il titolo di reato, pel quale la condanna venne inflitta sotto il codice
abrogato, corrisponda ai titoli contemplati dalle leggi elettqrali come
causa di incapacità, si deve aver riguardo alle disposizioni del co-
dice vecchio, anzichè a quelle del nuovo, benchè queste per aV\'en-
tnra fossero più favorevoli al reo, non essendo in questo caso ap-
plicabile il principio della retroattività della legge penale più mite.
Per la stessa ragione chi fu condannato sotto la legislazione prece-
dente a pena che importa la perdita del diritto elettorale, ma per
tal reato che sotto la nnova legislazione sia punibile con pena che
non porti la stessa incapacità, non riacquista la qualità di elet.tore
e ili eleggibile.
La ricibil-itazione, che si pnì> ottenere per decreto reale a norma
(leg1i articoli 837 e seguenti del cod. di proc. pen., e secondo il di-
ritto comune (cod. pen., art. 100) fa cessare qualsiasi incapacitù per-
lJetua derivante da nna condanna, Yale pure a far riacquistare al

1 ) La ginrisprmlenza llella Corte di cassazione è cost:mte nell'interpretare estl'n-

si,·amente i caHi ll' incapacità elettomle per le cornlanne relative a reati, nei quali
entri sotto qnalsiasi forma come elemento costitntivo la frode, il falso o l'abnHo 1li
tidneia, ritenernlo ehe il legislatore con le espressioni Ila lni adopernte mostri l'hin-
ramente <li v~lersi attenere, piì1 ehe al nomeu jnris del reato, alla sna natnra in-
trinseca ed al sno movente. :Numerose ed importanti applicazioni di 11nesto prin-
"i11io si possono ,·edere in qneste decisioni della Corte snprenm: 2+ febbraio 1893
(Leg!Je, 1893, vol. I, pag. 5i7), 28 novembre 1893 (ivi, 189·1, vol. I, pag. +75), z,; mag-
gio 1894 (iYi, 189;), vol. I, png. 357) e 7 agosto 1895 (iYi, 1895, vol. II, pag. 643).
CO:\IE SI ACQGI>;TAXO E >'il l'ERDOXO I PCBBLICI l'FFlCI ;{;{7

condannato la capacità elettorale e l'eleggibilità. per espressa dispo-


sizione delle leggi speciali 1). Si discute invece se essa abbia la st.essa
efficacia rispetto alle altre incapacità stabilite da regolamenti speciali,
come per es. dal regolamento 10 giugno 188!) (art. 32), che esclude
tlall' ufficio di segretario comunale chi sia stato condannato per al-
cuno dei reati che sono causa d'incapacità elettorale, a senso del-
l'art. 30 della legge comunale e provinciale. ;\la, a malgrado <:he la
g-iurisprndenza del Consiglio di Stato, così in sede consultiva C'ome
in sede giurisdizionale, si mostri ferma nella opinione più rigorosa,
ritenendo cioè che chi fu una volta condannato per alcuno dei reati
suddetti non possa mai più in vita sua essere nominato segretmfo
comunale 2 ), a noi sembra preferibile l'interpretazione contraria, non
soltanto perchè un'ésclusione così assoluta ed inesorabile non si pui>
ammettere mancando un testo espresso, che la autorizzi, ma andre
percbè. sarebbe una vera e manifesta enormità. che il condannato ria-
bilitato non potesse più mai per tutta la sua vita aspirare al 1110<lei-;to
ufficio di segretario comunale, mentre potrebbe diventare consigliere
comunale e provinciale, sindaco, prefetto, consigliere di Stato, depu-
tato al Parlamento, senatore e perfino ministro! 3 ).
L' mnnistia, facendo cessare tutti gli effetti penali della condanna
(cod. pen., art. 86), compresa la pena accessoria dell'interdizione dai
pubblici uffici, fa pure riacquistare a chi abbia perduta la eleggiùi-
lità alle cariche pubbliche. Non occorre qui parlare di amnistia in-
tervenuta prima della sentenza penale; giacchè in questo caso non
essendovi ancora condanna, non sussiste neppure l'incapacità, che ne
è una conseguenza; e quindi non è il caso tli far cessare ciò che non
è ancora sorto 4 ). Trattandosi invece di indulto o di grazia, il cui
effetto più limitato consiste soltanto nel condono totale o parziale
della pena, l'incapacità. continua a sussistere, fino a che non inter-
venga un decreto di riabilitazione.
li8. Oltre le incapacità per condanna consacrate dalle leggi elet-
tontli, di cui abbiamo discorso fin qui, e che sono speciali per le

1 ) Legge elett. pol., testo unico <'itato, nrt. 96, ultimo <·apoYerno; e L<'gge <·om.

•' pro,-., id., art. 30, lettera f.


"l Vedi in <1nesto senso i p:treri del Consiglio di Stato del 12 magg'io 115\17 (Jla-
111rnle degli am1niuistratori, 1897, pag. 25,!), 18 m:ur-o 1892 (Lt'rfffe, 1892, Yol. II, pag. 27),
,; maggio 1888, in adunanza generale (Leffffe, 18fl8, nJl. II, pag. 21-1) o <lel 23 gen-
naio 1885 (Legge, 1885, voi. I, pag. 7;)2) e la deei~ione 1lella IY Sezione del Consiglio
stesso, 30 settembre 1893 (Legfje, 1898, II, pag. 609). Cn solo parere co1108!·ialllo ia
"'liso contrario, ed è del 25 aprile 18fl0 (Legge, 1892, vol. I, pag. 360).
'1) Quest:i opinione Yenne gfa sostenut:i da un anonimo nella Legge, 1883, ,-ol. I,
]lag. 75;)-756; ed è a!'colta anche <lai senatort• Astengo 1wlfo sun. Uuida a11tmi11i.,tra-
til'(1, pag. 799-800. .
4 ) Xon Hi eolllprende come eiò abbia potuto mettersi in <luhhio; c•ppnre Yi fn

nna sentenza <li Corte d'appello che <lovette tlic!tiamrlo (\·edi sentenza tlella C. <Fapp.
<li Catania, 11 settelllhre 1882 nel Jlannalc derJli amministratori, 1883, pag. 87).
;);)8 I l'CllllLICI CFFICI E LA <+IWAHCHIA A~HUXIl'THATIYA

cariehe elett.ive, così politiche che amministratiYe, vi è poi una in-


capacitiì generale che si riferisce a tutti i pubbliei uffici di qualsiasi
natnra, tanto elettfri che di nomina regia, retribuiti o 8emplicementp
onorari. Que;.;ta incapacità µ;enerale costituisce di per 8è stessa una
pena che viene comminata dal nostro codice penale per molti reati,
il cui carattere è tale da dinotare in chi !'e ne rende colpevole ima
profonda perversità di animo (calunnia, falsità in giudizio, prevari-
cazione, frodi in cornmercio, U('Cisione in duello irregolare o ·;.;leale.
incesto con scandalo pubblico) o che irnplieano un abuso dei pnl)-
blici poteri, Hpecialmente nel caso di reati commessi dai pubbli<·i
ufficiali (peeulato, concm..;sione, corruzione, procurata od agevolata
evasione di detenuti). La pena dell'interdizione dai pubbrici 11.ffici,
che non si applica mai da sola, ma è sempre accompagnata da qualche
pena restriU.iva della libertà personale (ergastolo, reclusione o deten-
zione) od anche semplicerneute pecuniaria (multa), sostituisce fa forma
più mite l'antico i:;;tituto della maximci capiti,ç di1wimitio, che nel di-
ritto ro111ano accompagnava cli regola le condanne più gravi, e quello
più moderno della morte cit•ile, che privava i condannati di qualsiasi
diritto, così pubblico, come privato, considerandoli come defnnti di
fronte alla legge.
Secondo il vigente codice penale (art. 20) l' int.erdizione dai pub-
blici uffici può essere temporanea o perpetua rispetto alla sua durata,
speciale o generale ri;.;petto alla sua estensione, in quanto si pnii
rit'eril'e, come di regola, a qualsiasi nfficio pnbblieo, oppure, ecce-
zionalmente, soltanto ad alcuni di essi: e talvolta vi si aggiunge per
di più l'interdizione o la sospensione dall'esercizio di una determi-
nata arte o professione. Le condanne più gravi, vale a dire quellt>
che importano la pena dell'ergastolo o della reclusione per più di
cinqne anni, qualunque sia il titolo del reato, per cui sono state
intlitt.e, portano sempre con sè di pien diritto come conseguenza le-
gale l' int.erdizione perpetua del condannato dai pn bblici uffici; e ;.;e
la condanna alla reclusione è solo per un tempo maggiore cli tre
anni, l'interdizione è temporanea per nna durata pari a quella della
rednsione, con decorrenza dal giorno in cui la pena principale <lf•lla
ref'lusione sia st.ata interamente t>spiata opptut> sia estinta per prt>-
Hcrizione della condanna (cocl. pen., articoli ;n P 41). L'intenlizio1w
dai pnbblici nffici, sia perpetna o temporanea, rende chi ne è eol-
pito assolutamente ineapace di essere assunto a qnalsiasi pubblit·o
uffieio, od almeno agli uffiei specificatamente indicati dalla legge
pe11ah~ o dalla sentenza di condanna; e tale incapacitù riguarda le
cariche che si conferiscono per Yia di elezione popolare, non meno
che 11 nelle di nomina regia o ministeriale. In ogni caso però l' inea-
pacità ces;.;a collo spirare del tempo per cui clen\ durare l' interdi-
zione, se si tratta d'interdizione temporanea; rna se ;.;i tratta di in-
tPrdizione perpetua, Yi ha nn solo rimedio che la possa sanarf'; l:'<l
co~rn 1'1 ACQt:ISTAXO I•: i'\l PEIWOXO I Pl:BBLICI UFFICI 3:3(l

è la riabilitazione da ottenersi per decreto reale, a norma di quanto


<fo;pongono gli articoli 837 e seg. del cod. di proc. pen., in relazione
all'art. 100 del codice penale 1 ).
Se una persona colpita da incapacità derivante da condanna o da
interdizione dai pubbiici uffici, venisse malgrado ciò assunta acl una
carica qualsiasi, vuoi per nomina governativa, vuoi per elezione po-
polare, l'atto sarebbe viziato di nullità assoluta, essendo contrario a
tlisposizioni che sono eminentemente d'ordine pubblico, e non po-
t.reblJe mai essere sanato, neppure se posteriormente alla nomina od
elezione l'incapacità venisse a cessare per estinzione della pena o
per ria lJilitazione.
6!J. I requisiti fisici e morali, di cui abbiamo fin qui discorso, deb-
bono andar congiunti in chi aspira a coprire pubbliche cariche alle
cloti int.ellettuali richieste' per poter adempiere in modo soddisfacente
le funzioni inerenti alla carica. L'attitudine intellettuale presuppone
non soltanto la perfetta sanità di mente, ma anche un certo grado,
almeno mediocre, d'intelligenza naturale sviluppata dalla coltura, la
quale dev'es8ere da un lato generale, quale si conviene ad ogni pt>r-
sona civile, e dall'altro lato speciale, in relazione cioè alle attribu-
zioni, che debbono essere disimpegnate in ciascun ufficio. Per acct>r-
tare negli aspiranti alle carriere amministrative l'esistenza di questa
doppia coltura, generale e speciale, i regolamenti per l'ammissione
degli impiegati nei di versi Ministeri e negli uffici dipendenti non
soltanto esigono determinati titoli di studi secondari o superiori (cli
regola per le carriere superiori, alle quali spetta la parte veramente
direttiva nelle pubbliche amministrazioni, è prescritto il diploma di
laurea in giurisprudenza), ma sottopongono per di più gli aspiranti
a serie prove di capacità sotto forma di concorsi che si fanno il più
delle volt.e per esami, e talvolta anche per titoli, ossia invitando i
candidati a presentare i propri documenti di studio e le proprie pub-
blicazioni da sottoporsi al giudizio di apposite Commissioni formate
di nomini competenti in quel determinato ramo di scibile umano 2 ).
Invece per le cariche elettive la leg·ge non potrebbe 8tabilire aknn
<leterminato titolo di capacità intellettuale e tanto meno sottoporrp i
«andidati a qualsiasi prova senza venir meno al rispetto dovuto alla
libertù del voto e senza offendere ad un tempo la dignitù deg'li elet.-
toti e qnella dei candidati. Ond'è che le nostre leggi elettoralL tanto

1) Per nn ampio svolgimento. <lellfl quistioni relati,·e alla pena dt>lla interdizimw

<lai pnhhli<-i nftki secomlo il vigente <'odi<·e pena.IP si <·011snltino i conuuenti 1lt>l
•·01liee stesso, e spel'ialmente quello tlel Crivellari, voi. II, pag. 620 !' segHPnti
(Torino, Gnione tipogr. e<litrite, 1890).
2) Così per es. per la nomina dei professori nnh·ersitarii, siano insegnnnti ntti-

•·iali, rlottori aggregati o lilwri docenti, la legge 13 nonrnhn· 1859 (nrt. 5l'l, 77 e fii)
pres<"rive il <·nncorso per esmnc o per titoli.
:340 I PCBHLICI CFFICI E LA GERARCHIA A~DII~ISTHATIVA

quella politica che quella amministrativa, non prescrivono pei can-


didati alcun requisit,o di coltura, ma si limitano semplicemente ad
escludere dal voto, attivo e passivo, coloro che sono affatto digiuni
ili ogni istruzione, vale a dire gli anci~flibeti 1 ). Chi manca perfino di
quel primo rudimento di coltura, che consiste nel saper leggere e
scrivere il proprio nome, si presume non possa possedere l'attitudine
che si richiede per dare il proprio voto con coscienza e tanto meno
quella assai maggiore, che è necessaria per dirigere convenientemente
i pubblici affari. È questa una presunzione assoluta, che è stata adot-
tata dal legislatore italiano, e trova la sua piena giustificazione non
soltanto negli ordinamenti generali dell'amministrazione odierna, clte
esigono continuamente Fuso della scrittura, ma più ancora nell'e-
strema facilità, che è data oggidì, anche ai più poveri, di istruirsi
nelle pubbliche scuole gratuite ed obbligatorie. r,a prova del saper
leggere e scrivere, onde ottenere l'iscrizione nelle liste elettorali, è
ili un'estrema semplicità, bastando che il citt.adino presenti una do-
manda scritta e firmata di suo pugno, oppure si sottoponga ad ana-
logo esperimento, a richiesta dell'autorità 2 ).
Se poi la coltura del cittadino è un po' più elevata, tanto da rag-
giungere soltanto quel modesto grado d'istruzione, che è necessario
per superare l'esame di _proscioglimento dall'obbligo dell'istruzione
elementare, od un altro grado di coltura almeno equivalente, di>
ba8ta perchè la legge gli accordi senz'altro il diritto all'iscrizione
nelle liste elettorali, rendendolo per conseguenza eleggibile a tuUe
le cariche, che si conferiscono per voto popolare. È un premio che
la legge ha voluto accordare alla coltura, facendo della capacità in-
tellettuale un titolo sufficiente di per sè per dar diritto all'elettorato
1~d all'eleggibilità '3).
70. All'infuori dei requhiiti fisici, morali ed intellettuali, di cui
abbiamo finora trattato, il nostro attuale diritto pubblico non am-
mette alcun'altra condizione, che si possa richiedere a coloro che
aspirano ad occupare le cariche pubbliche; ed in special modo vieta
espressamente qualsiasi condizione che si riferisca alla religione pro-
fessata dal cittadino. Le antiche esclusioni a carico degli israeliti e
degli acattolici in generale, che ebbero origine nel diritto romano
anterio·re alla codificazione giustinianea e perdurarono con mag-
gfore o minore severità fino a questi ultimi tempi, sono om total-
mente cancellate; e speriamo per sempre. Il grande principio del-
l'eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, indipendente-
mente dal culto professato, è solennemente eonsacrato dall'art. :!4

1) Legge elett. pol., testo unieo <'itato, art. 1; legge com. e proY., i<l., art. l!l.
è) Regol. c·om. e pro,·., 10 giugno 1889, nrt. :38-,10.
::) Legge elett. pol., ksto nuieo citato, art. 2; legge c·om. e proY., id., art. 20.
COMI" Hl ACQL'l8TANO E 8! PERDONO I l'L'BBLICI L'FFlCI 341

dello Stat,nto, e venne ancora più chiaramente proclamato dalla legge


piemontese del 19 giugno 1898, contenente questa semplice disposi-
zione: << I.ia differenza di culto non forma eccezione al godimento dei
diritti civili e politici ed all'amrnessione alle cariche civili e mili-
tari » 1). Quindi se in un concorso per un ufficio pubblico qualunque
fosse inserita fra le condizioni, a cui debbono soddisfare i concor-
renti, quella di professare un dato culto, fosse pure quello della
maggforanza degli Italiani, vale a dire la religione cattolica, sebbene
l'art. 1 dello Statuto la dichiari sola religione dello Stato, la condi-
zione sarebbe nulla, perchè contraria ad una disposizione cl' ordine
pubblico; e tale nullità dovrebbe essere dichiarata dalla superiore
autorità amministrativa, anche d'ufficio o sopra semplice denunzia
o ricorso degli interessati, ed anche dagli organi della giustizia am-
ministrativa in caso di ricorso in via contenziosa.
Egualmente illegali sarebbero le condizioni relative al gra(1o so-
ciale dell'individuo o della farnig'lia, come se, per esempio, si esigt>!o\-
sero dagli aspiranti titoli di nob-iltà; g'iacchii oggidì non sussiste più
alcuna distinzione fra cariche patrizie e cariche plebee, e di fronte
all'art. 24 dello Statuto, che dichiara uguali dinanzi alla le11:ge tutti
i regnicoli, qualunque sia il loro titolo o grado, i titoli nobiliari,
benchè tuttora conservati per l'art. 7!J dello Statuto medesimo, non
hanno più altro valore che quello di una soddisfazione di amor pro-
prio, o se si vuole, di vanità per chi li porta, ma non producono
alcun effetto giuridico di prerogativa o di privilegio, e tanto meno
danno a chi li porta qualsiasi autorità sugli altri cittadini.
Infine sarebbero pure da respingersi come contrarie ai prineipii
fondamentali del nostro diritto pubblico vigente quelle condizioni
che nel conferimento d'un ufficio pubblico retribuito o no, avessero
in mira di escludere i membri di una o più famiglie determinate
oppnre gli abitanti di un paese o di una regione o ehe esigessero
dagli aspiranti l'appartenenza per nascita o per domicilio ad un dato
Comune; giacchè nelle nostre leggi non si riconosce altra cittadinanza
dm quella dello Stato; come pnre, è appena necessario dirlo, sareb-
bt:>ro nulle le condizioni che apparissero contrarie alle leggi, all' or-
dine pubblico od ai bnoni costumi. Sono invece perfettamente Yalide
tntt~ quelle altre condizioni, anche se non siano stabilite dai rego-
lamenti speriali, le quali anzichè ad introdurre eselnsioni o limita-

1) Qnc,;ta iuq1ortante legge, la •1nalc si den• eonsi<ll'l'al'C come parte iukgrnnt(\


do·] nostro diritto statutario, Yenne snecessiYarnentc estesa alle a ltr<' prm·inei<' ita-
lian<" ili mano in mano ehP esse si raccoglievano sotto la motrnrehia salmnda. P1·r
IP proYincie napolet:tnl' lll'OY\"ide in egnal senso il 1leereto lnogotPneuziale 17 frl1-
l1raio 1861, e per qnellc siciliane il d~ereto reale del 12 stesso febhrnio; per qnel!P
<!Pila Veiwzia <> .'.fantova l'altro R. de .. reto •lei 4 agosto 1866, e Ila nltirno per
Roma e sna provin•·ia il H. •leercto lB ottohrn 1870.
I PCBBLICI l:FFICI E LA GEBAHCHL\ ,DDIIXI>iTUATIVA

zioni arbitrarie, mirino soltanto ad assicurare viemnieg1io la bnona


scelta dei funzionari da nominarsi.
a. :Non abbiamo però ancora accennato ad una condizione della
massima importanza, quella del sesso. La questione se le donne dl::'h-
hano ammettersi in qualche parte all'esercizio delle cariche pnbhli-
che, o piuttosto restarne totalmente escluse, è una delle più c·on-
troverse; da un lato stanno i fautori dell'emancipazione femminile,
i quali partendo dal concett,o di un'assoluta eguaglianza di diritti
fra i due sessi, vorrebbero veder la donna ammessa non soltanto a
votare nei comizi elettorali, ma anche a coprire i pubblici uffici, così
elettivi come di nomina governativa; dall'altro canto abbiamo i rea-
zionhiti ed i conservatori, i quali respingono con terrore quah;ia,.,i
idea di riforme in tal senso. :Nei lavori preparatori della nuoya legge
comunale e provinciale venne presentata ripetutamente la proposta
di accordare il voto amministrativo alle donne 1 ); ma, non ostante il
persuasivo esempio di molte legislazioni estere, che riconoscono alla
donna, in misura più o meno larga, il diritto di suffragio (Inghilt!:'l'l'a,
Prussia, Sassonia, Austria, Russia e Stati Uniti) 2 ); tale proposta

1) Si Yeggauo in proposito le relazioni ministeriali e parlamentari riportati' dal Sa-

redo, nel Ano Co1nmento alla nnoi:a legge com. e p1·ov., I, Il. 412-415, 58.J., 087, 6H9,
746 e 780.
2) All'11stero si è pronunziato nell'ultimo trentennio un largo modmento d<'ll'opi-
nione pubblica Yerso la così detta emancipazione femminile, che ha per programma
la perfetta parificazione giuridica dei dne Ressi nella \'ifa pri\·atn. e pnbbliea. In Frarn·ia
<p1esto movimento si disegnò molto più presto, eioè fin d:ill'epo!':t della gn11Hle rin1-
luzione della fine del secolo scorso; ma sebbene sostenuto da <·aldi e<l autorenJli
fautori, come il Condonet, l'abate Fanehet, il Saint-Simon e la sm1 scuola, il Pron-
<lhon, il Dmmts e il Girardin, ha twnto scarsi risnltati pratici nel campo legislatiY<>,
giaechè per ora il solo nfiieio pnbblil'o, a cui ilono annnesse l" donne secondo la
legislazione francese, il qnello di membro <le] Cmrniglio supPriore di pnbhlil'a istru-
zione p, dei Consigli seol:istici dipartimentali (legge :30 ottobre 1886).
)fa i paesi in cui l'agitazione femminista è piì1 seriamente organizzata e piì1 pfti-
!'<t<'emente condotta sono qnelli di razza inglese, <'ioè l'Inghilterra, gli Stati Cniti
<l'America e l'Australia.. QniYi il moYimento di riforma, che ha per suo sommo rap-
presentante lo Stnart-Mill col suo celebre opns!'olo Snbjectiou of Women, ha gi;ì ot-
tenuto note\·oli trionfi legislativi; basti accennare che in Inghilterra ed in S<·ozia ].,
<lonne sono ammesse, sulla base del !'enso, all'elettorato a1J111tinistratfro, e godono non
soltanto l'elettorato ma anche l'eleggihilit:\ per i Comitati seolnsti•·i (Nc/1001 bua1·d1
" per •1nelli di benefi<-enza (poor law guardian.-); e negli Sfati Cui ti <l' Arn<·rÌ!'lt,
oltre al suffragio municipale scolastil'o e <li henefieeuza ri!'onoseinto •·osta,ntc>nu·ntt'
alle donne, Yi è perfino uno Stato, il 'V~'oming, <·he ha osato rendere lP <lo1m<'
.,Jeggil1ili n.l pari degli nomini come rappresentanti al Parlamento!
Chi clesi<leri pin ampie notizie in proposito pnil eousnltarP l' il1teressanfr la n1ro
di Léon Gira.nd, De la co11rlitio11 àes fenunes an point de v1w dc l'exercice de" droit"
puhlie., et politiq1ws (P:wis, 1891), nonchè il dotto Yolnme del Gahha, La co11dizio11e
ffi111·irlica della do1111a (1880).
Del resto non bisogn:t dimentil'are "he la (':t.pa!'it:ì della. clom1a lWr i pnhl1li,.i
nftlci YPnne, almeno in parte, ri1·011oseint:t fin dai tempi piìi aiitiehi. e<l :nH'hP lll't's~o
popoli <li •·idlt:ì affatt~1 prirnitini, •·orne "" lo attPstano Ta1·ito per gli antfrhi GP1·-
rnnni p. gli S(']'ittori odierni di antiehit:ì e di Yiaggi. Confr. in proposito Post. Rau-
co~n; SI AC\ìC!i'ffAXO E ~I l'l•;HI>OXO I l'CllllLICI t:FFICI 3.J ;{

scornparve nell'ultimo progett.o Crispi, che venne approvato dalla Ca-


mera e dal Senato; e così il legislatore italiano, escludendo le donne
tlal voto elettorale, si è mostrato restìo ad accogliere lo spirito della
moderna civiltà, che innegabilmente tende sempre più verso la rnag-
g-iore possibile parificazione dei due sessi di fronte al <liritto, <·osì
pubblico che privato.
J,e vigenti leggi elettorali, sia politica che amministrativa 1 ), am-
mettono bensì che le imposte dirette pagate dalla moglie o dalla Ye-
<lovct possano valere come censo elettorale a favore del marito oppure
<li nno dei figli o dei generi da essa designato; ma q nesta rappre-
sentanza indiretta, che è accordata al patrimonio della donna, piut-
tosto che alla donna stessa, apparisce troppo poca cosa in confronto
tlel voto diretto e personale, che si vorrebbe con ragione riconosciuto
anche al sesso cosidetto debole. Abbiamo peri> un'altra disposizione,
che accenna già ad un reale progresso del nostro diritto pubbli<:o su
<prnsta via; ed è quella della legge 17 luglio 1890, la quale t•.on g'li
articoli 11 e 12 riconosce l'eleggibilità delle donne a membri delll'
Congreg·azioni di carità e di ogni altra istituzione di benefh·enza,
salvo per le maritate l'obbligo dell'aut.orizzazione del marito 2 ).
(~uanto agli uffici di nomina regia non troviamo nel nostro <lirit.t.o
positivo alcuna disposizione che ne escluda le fem111ine; chè anzi, se
si volesse prendere alla lettera l'art. '.!4 dello Statuto, bi;;;ognerebhe
riconoscere alle donne, del pari che agli uomini, la piena capaeitù <li
coprire tutti i pn bblici uffici.
}fa il <liritto consuetudinario, che anche qui, come sempre, !'Olll-
plet.a, corregge e modifica il diritto scritto, vuole riservate ai soli
maschi le cariche pubbliche, ad eccezione di alcuni uffici, nei quali
per l'indole speciale delle loro at.tribuzioni, si ammettono anf'he le
femmine; come per esempio nel pubblico insegnamento; senza par-
lare di alcune più mode;;;te occupazioni in taluni ;;;ervizi pubhliei,
t·o11ie il telegrafo e la post.a, i quali ei;i;ernlo !li carattere puramente

•teine fiil' ei11e allgeuwiue RechfNll'i88Cll8Clwft lwf l'i1w l'l'l'f/leiclw11d-l'fluwlof/iHcl11·r 11<1.,;,,


\·ol. II (Oldenbnrg, 1881), paµ;. J:-lJ-135, <ffe si troYano r:t<'<'·Olte n1rie testi111onin11ze
«Ìri·:t la. partel'ipaziom' tlP!le donne alle assPmhlcP popolari Pd ai.di nftl<-i pnl1hlfri
111·ll'antil'o }Jessi1·0, ;~ presso :tl<'1me trihìt 1lell'Afrfra eqnatoriall' e <lella Poli111'sia.
1) Legge elett. pol., tt>sto nnico C'it., art. 12; L"ggP <'Om. " proY., id. art. 2J t' 2;).
;) Chi rlesideri conosccrc le tliflil'olt;t t:hl' si op1;osero a qnPsta rifor111:t "gli 11't:1-
<'oli <'!te si 1]0,·ettcro sn1wrnre per otkm•r11P l'appron1zi011P 1lal Parlamento pni> 1·011-
snltarl': Lnl'chiui, Le i8fifuzioni pubbliche di beneficenza nella legi•la:io11e it111ia11a (Fi-
l'l'Hze 18HJ), ~ 263 e seguenti. l:n'altra Jl(ltf'\·ole 1lisposizione, nella qnalP troYia1110
g·iù riconoscinta :tlk <lonne la ,-,1paeit.'t di ri\·estfre pnhl1lfri nftii·i, i· l[lll'lla 1lPI Hc-
gola1nento g;mtl'rale ll ottohre 189;) pl'r l' istrnzionl' ele111cnt:trl' (art. :!!). s!'1·011rlo la
•putle a far p:ll'te 1lelle Commissioni mm1icipali Ìlll':t.l'i1·ate <li· Ila Yigil:mza sulle "·1101"
,J .. ],]10110 sempre chiamarsi nna o pilt .,ig11ore s1·1•lt" dn.i l'on.<igli 1·01111mali pn,fr1·ihil-
lll!•11te fra l" madri di famiglia. ]nolt.I'C le 1lomu· possono 1'ssc1· d1ia111at1~ a far parti'
<li·i Collegi cli probi-riri (Lp,gge Li ging;no l~ll3, art. li)).
3.JJ I l'l:llBL!CI L'FFICI E LA GEIL\HCllI.\ A~l~I!:Xl1'THATIVA

tecnico e manuale, non implicano il concetto di un pubblico ufficio,


sebbene costituiscano senza dnbbio pnbhlici impieç1hi.
Se per l'avvenire l'evoluzione sociale e giuridiea allargherà, <·0111e
sembra voµJia indicare la tendenza attuale, il earnpo dell'attivitù
femminih· estendendolo anche alla vita pnbblica, molti uffici che ora
sono riservati ai soli maschi saranno conferiti anche a fernmine. }la
crediamo che la <:omplt>bt parificazimw dei due smisi su questo terreuo
non potrà mai essere raggiunta e non sarebbe neppure desiderabih·;
giacchè, a parte la maggior attitudine natnrale dei maschi all' esp1·-
cizio dell'autorit.à e del comarnlo, vi sono uffici, come ad e;;ernpio
qudli militari, al cui di;;impegno le femmine sono e saranno sempn·
as:-<olntamente inadatte per la loro stPS8a costituzione fisiologica, se-
cornlo l'antico detto del giurecmrnnJt.o romano « Gorporalfo. mm1m·11
femini8 ipse sexus rlenegat » (lTlpiano, J,egge 3, § 3 Dig., libro L, tit. IY).
i~. L'e8ercizio contemporaneo di due o l>iù cariche per parte di
nna l'ltessa persona può essere causa di gravi inconvenienti, non sol-
tanto perchè l'attivifaì di nn nomo difficilmente può bastare al pieno ed
esatto atlernpimento clei doveri inerenti alle diverse cariche, ma più
ancora perchè il cumulo di poteri nelle mani di nn solo conduce fa-
cilmente all'arbitrio ed all'oppressione; ed infatti la storia e' insegna
che la caduta dei governi liberi ebbe sempre per contrassegno la
rinnione almsiva di più uffici in capo ad un solo, che era il futuro
<lel'lpota. Ciii spiega come le legislazioni dei paesi a regime libero f'h-
hero sempre la massima cura cli stabilire rigorosamente il principio
dell' inc01npatib-ilitù fra le diverse cariche pnhbliche, ed in speeial
modo fra quelle più elernt.e, nelle quali l'abuso del potere è più fa-
cile e più peritoloso, come pure fra quelle che, essendo destinati:' a
st:>rvirsi di reciproco freno o di controllo, non potrebbero affidarsi acl
uu :-;olo individuo senza che almeno una di essa perdesse oµ;ni valori:'
e signifieato; ed inoltre vennero esclusi dai pubblici uffici coloro chP
come privati avessero interes;;i in contrast.o con quelli della pn bblica
amministrazione da affidarsi alla loro direzione.
Le nostre leggi elettorali contengono varie disposizioni dirette acl
evitare il cumnlo tlegli nffici nelle stesse persone. Anzitutto la legge
Plett.orale politiea (art. 8 e seguenti del testo unico '.!8 marzo lS!J,i)
dichiara ineleggibili a deputato al Parlamento tutti coloro che eo-
prono nn ufficio retribnito :-<otto qualsiasi forma snl bilancio dt>llo
Stato o delle grandi istituzioni pnbbliche ad esso connesse oppure
delle scnole pnbbliclw da esso 8ovvenute; e cla qne;;ta ineleggibilifaì,
la quale è diretta speeialmente a garantire la necessaria indip(•n-
clenza dell'azione parlamentare, 'sono eccettuate~ per ragioni di eomT-
nienza politi e a, soltanto determinate categorie di pubblici funzionari,
che dal loro grado molto eleyato o dalle ;;peciali garanzie di inamo-
vibilitù, cla cui sono t.utelati 1wll'esereizio delle loro funzioni, ritrag-
gono nna snffkient.L• irnlipemlenza di azimw; ma per eiaseuna di
co~m Hl ACQt:I8TAXO E Hl PEHDOXO I Pl'.BBL!CI l'FFICI 8~:i

qne,.;te categorie è prescritto il numero massimo di rappresentanti,


dte possono essere ammessi nella Camera dei deputati. Inoltre, 1H·1·
eYi(lente incompatibilità di interessi, sono dichiarati ineleggibili dalla
leg-g·e stessa i direttori, amministratori, agenti o rappresentanti f:'.
perfino gli avvocati e procuratori delle società e(l imprese industriali
e ('.Olllmerciali sussidiate o garantite dallo Stato, salvo (•he si trani
di ,.;n,.;,.;idi o garanzie accordate per legge; per la stessa ragione ven-
g·oBO esclusi dal Parlamento coloro che siano vincolati con lo Stato
per contratti di appalti di opere o di fornitnre.
Sono altresì dichiarati incompatibili le funzioni di sindaco o di
dt'putato provinciale con quelle di deputato al Parlamento; e pl·r
as,.;icurare viemmeglio che nessuno dei funzionari, a cui è affidata la
parte e,.;ecutiva nelle amministrazioni locali, possa abusare del Rno
ufficio amministrativo per prepararsi l'elezione nei comizi politici, ,.;i
prPscrive che l' ineleggibilità politica dei funzionari Rtessi perdmi
fino a :;ei me,.;i dopo che essi abbiano cessato dalle funzioni ammi-
ni,.;trative. Analoga disposizione è stabilita per l'incompatibilità fra la
carica di membro elettivo della Giunta provinciale amministrativa e
quella di deputato al Parlamento.
Anche nella legge comunale e provinciale troviamo dichiarati nn-
mero8i casi di incompatibilità, sia per la carica di membro della
Ginnta provinciale ammi~istrativa (art. 11) sia per quella di consi-
µ:liere comunale (art. 28, 2!:1 e 31) e di consigliere proYinciale (art. 8!J)
o (li deputato provinciale (art. 214). Infine l'art. 235 della legg(\
stl's8a riproduce le norme della legge elettorale politica relative al-
1' incompatibilità fra le cariche di depntato al Parlamento, deputato
provinciale e sindaco.
Inoltre non poche altre incompatibilità sono stabilite da divers(\
legg·i 8peciali, fra cui ricordiamo la legge 17 luglio 188!) sulle istitu-
zioni pubbliche di beneficenza, la quale coll'art. 11 vnole assolut.a-
lltPHte esclusi dal far parte delle Congregazioni di carità o dell'am-
ministrazione d'ogni altra istituzione di beneficenza tutti coloro che
rivestono g·ià altri uffici incompatibili con la carica di anuninistra-
tore delle Opere pie, vale a dire, non soltanto tutti i fnnzionari
<lell'arnministrazione comunale e provinciale, ai quali !.• affidata la
vig·ilanza e la tutela sulle istituzioni di beneficenza, ma anche gli
e<"desiastici e mini8tri di culti aventi cnra dhmime, nonchè, per
ra~,done della contrarietà di interessi, coloro che hanno lite vertentP
(·on la pia amministrazione; ed infine, per evitare faeili connivenze
ed ahnsi a danno del patrimonio (lei poveri, si viet.a altresì l'elezione
(li chi sia parente od affine entro il seeondo grado col te8oriere dt•lla
benefica i:;tituzione.
Sono eziandio notevoli le incompatibilità sta bili te dalla legge G di-
eembre 18();"') sull'ordinamento gitHliziario, la quale coll'art. 14 vieta
ai funzionari tutti dell' ordi1w giudiziario, compresi perfino gli u:;eit\ri,
;~4() 1 ITBBLICI l:FFICI E LA GERARCHIA A)Dl!XISTHAT!YA

e(l esclusi i so]i conciliatori, di rivestire g'li uffici di sindaco, assessoi·e


o segTetario comunale, o qualsiasi altro pubblico ufficio od inq>it>g;o
amministrativo, ad eccezione di quelli di consigliere comunale o pro-
vinciale, come pure di esercitare il commercio od altra profe;sione
1prnlunque.
ln materia di contabilità pubblica la legge li febbraio 1884 sul-
1' amrniuist.razione e contabilità generale dello Stato dichiara ('Ol-
l'art. 68 assolutamente incompatibile le funzioni di ordinatore di
spese e di pagamenti per conto dello Stato o di agente per l' esl'('ll-
zione del servizio con quelle di ricevitore, pagatore o magazziniere.
salvo che Hi tratti di servizi eseguiti in economia.
L'esame particolareggiato di questi numerosi casi di incompatihi-
litù, di cui ci siamo limitati ad accennare soltanto i più impor-
tanti, non è consentito dall'economia di questo trattato generale
Hlli pubblici uffici, g'iacchè sarebbe materia che richiederebbe ampio
svolgimento, tanto sono frequenti ed intricate le questiòni di in-
compatibilità che sono sorte nella pratica giudiziaria, arnministratirn
e parlamentare; e d'altra parte il discorrere più particolarmente
(lelle incompatibilità stabilite per i singoli uffici amministrativii for-
menì più opportunamente il còmpito delle parti speciali del presPnte
trattato che svolgeranno ~'ordinamento delle amministrazioni eomu-
nale e provinciale e delle istituzioni di pubblica beneficenza.
Urediamo invece opportuno toccare qui brevemente dei caratteri
proprii delle incompatibilità, delle diverse cause su cui si fondano
e <li alcune questioni penali intorno alla loro applicazione ed ai
limiti relativi.
Anzitutto l' istituto dell' incompatibilitù va tenuto ben distinto <la
altri consimili istituti del diritto pubblico, che hanno pure per effetto
ili escludere dagli uffici pubblici i citt.adini, che si trovano in (le-
terminate condizioni. 'l'ali istituti, che nelle nostre leggi trovia1110
il più delle volte confnsi insieme con grave danno della chiarezza
legislativa, son l' inccipncitù per totale difetto di coltura (analfebe-
tismo), e l' i1ulegn-itù per cattiva condotta o per condanne riportat·e;
il primo si riferisce ai requisiti di carat.tere intellettuale, ed il seeomlo
a quelli d'indole morale, mirano entrambi allo scopo di chiudere la
porta delle cariche pubbliche alle persone ritenute immeritevoli di
t>Sercit.are il potere. IIincompatibilitù invece non prmm1>pone aknn
(lemerito nel cittadino, nè alcun difetto d' istrizione, nè tende al-
1' esclusione di persone immeriteYoli, ma ha uno scopo ben <li verso;
quello cioè di mantenere la reciproca indipend nza dei diversi po-
tt•ri ed uffici pubblici, specialmente fra quelli e te debbono esereirare
direttamente, od anche soltanto virtualmente, una funzione di sor-
vegfomza o di controllo sugli altri; oppure mira ad evitare eltl• il
fnnzionario pnbblico possa avere come privato interessi contrastanti
co' suoi doveri tFuffieio, od infine a prevenire che l'eccessivo <·on-
co~n; SI ACQt:ISTA:-.:o E SI l'EHI>OXO I l'CllBLICI CFFICI :~li

eentramento di poteri in una stes:-;a persona possa costituire un pe-


ricolo per le libertù pubbliche. Oltre <1 neste cause, alle quali si
pi>8Sono ricondurre tutte le numerose incompatibilità :;tabilite per le
cariche elettive, vi è poi ancora un altro motivo speciale su cui :;i
fondano le incompatibilità riguardanti gli uffici di conferimt>nto go-
vernativo, come per esempio quella fra gli uffici pubblici retrilmiti
e le professioni forensi di avvocato e procuratore 1 ) e quella fra gli
uffici stessi e qualsiasi altra professione, commercio ed irnlu:,;tria ");
e questo motivo consiste nella necessitù. d'impedire che i pnbhlici
funzionari retribuiti dallo Stato non vengano 1neno all'obbligo, die
loro incombe di consacrare interamente la propria attivitù all'adem-
pimento dei loro doveri d'ufficio .
.:VIa, qualunque sia il motivo, su cui si basano le diverse incom-
patibilità, è da ritenersi che, trat.tandosi di diHposizioni che rPstrin-
g-ono il libero esercizio dei diritti, esse debbono di regola ip.t.eqll'e-
tarsi in senso limitativo, e non estensivamente. Ma questa regola
non dev'essere applicata così alla lettera da escludere senz'altro che
eHista incompatibilità fra due uffici, soltanto perchè non si trova
alcuna disposizione di legge o di regolamento, che espressamente la
stabilisca. Un'interpretazione così rigirla avrebbe per conseguenza di
far ritenere compatibili e cumulabili nella Htessa persona uffici, le
cni attribuzioni sono assolutamente e manifestamente ripugnanti fra
loro. Per esempio invano si cercherebbe nel nostro diritto positivo
vigente una disposizione che vieti il cmnnlo della carica di ammini-
stratore di un'istituzione di beneficenza e l'ufficio di impiegato clel-
l'amministrazione stessa; giacchè l'art. 11 della legge 17 luglio umo
parla soltanto dell'ineleg·gibilità degli impiegati comnnali, senza ac-
cennare. punto a quella degli impieg·ati della stessa opera pia. :.\fa
!'fo non ostante di fronte al principio della subordinazione gerarelti<'a
(legli impiegati verso gli amministratori ed alla viµ;ilanza di questi su
(prnlli non può esser dubbio che fra i due uffici vi è incompatibilitù '1).

1) Legge suµ;li ~n·,~oeati proenratori, 8 g-htgno 187~-, n.rt. 13 e -18.


"l Regolamento 23 ottohre 18i'i3, snll'amministmzione l'entrale, art. !J7; ,. lfogo-
lanwuto J maggio 1883, sulla eontaùilitit 1lello Stato, art. 211.
'1) In questo senso ay\•isii rettamente, in has1' all'art. 6 1lelln. <'llssata Jpgg•· H ago-
sto 1862, il Consiglio di Stato 1·on <lne pareri del 4- gennaio e Hl lnglio 18n, ri-
•·or1lati <lal Lneehini, nel suo Commento della 1111ona lcf!{!C 17 luylio 1890, pag. 19i'i.
Un'altra noteyo]e applica7.ione 1lell' intl'rpretazione l'St1•nsi,·a in rnatm·ia d' i11 .. 0111-
]'atihilit:ì arnrninistratiYe ei è data da clne altri pareri piìi r(wenti <le Ilo stesso Con-
sig:Jio di ::ìtato, in d:tta. 22 marzo e 29 ottohre 189;) (Jlanualc deyli a111mi11i.,fraturi. 189:>,
]'ag. 3~HJ e 1896, pag. 53), nei IJUali si ritenne <•stensihil<' all'nftkio ili f('xurierc
"01n1111ale l' in('ompatihilitit stabilita 1lall'art. li'i 1lella ll'gg"f' 20 aprilP 1871, K<•1·m11lo
1·ni non possono es8Cl'P t8rtffori i t·onµ;innti :-;i110 al sc(·ontlo g-r:ulo ci\~Ì]e ('OH 1tnnl1·hB
1111·111hm della Ginnta mHni<·ipal1i o <lella rnppres.,ntnnza 11'-I 1·onHornio esattoriali• o
t·oi segretarii 1lt~i Co1nnui interessati.
il.!~ I Pl'BllL!Cl l'FFICI E LA (;J<;HAIWHIA A~Dfl:S:!STHATIYA

Deve~·d pertanto ammettere che l' incompatibilità esista non sol-


tanto quando si trovi espressamente sancita da una legge o da un
regolamento, ma anche quando si tratti di uffici le cui attribuzioni
8i mostrino in evidente conflitto fra loro. Ad ogni modo, trattandosi
di uffici conferiti dal Governo o dalle amministrazioni locali, non si
pnii neg·are all'autorità, cui spetta conferirli, la facoltà di eHcludt•rt'
dagli uffici stesi,d <1nelle persone che coprano altri nffici pubblici od
e8ereitino professioni, che all'autorità stessa 8embrino tali da non
potersi conciliare con l'esatto adempimento dei doveri del nuoy 0
nffieio a cui aspirano. In siffatt,i casi si ha una vera incompat-ibil-itrì
di ,ti1tto, che, sebbene 11on sia fondata sopra un testo di diritto po-
sitiYo, è non meno valida che l' incompatibilità. di diritto, espressa-
mente sancita; giacchè così qnesta come quella non hanno altro scopo
che tli assicurare il normale esercizio delle pubbliche funzioni. Così
ad esempio, sebbene non vi sia alc1111 articolo di legge o di regola-
mento che dichiari incompatibile l'ufficio di maestro elementare con
quello di parroco o di altro ministro del culto avente cura cl'anime,
oppure con l'ufficio di Hegretario o di tesoriere comunale, la giu-
risprudenza ritiene costantemente, e ci sembra con piena ragione,
che l'autorità, cui spetta f'onferire tali uffici, possa e debba esami-
nare easo per caso, se a causa della molteplicità e gravità delle at.-
tribuzioni inerenti alle dne cariche o per altri serii motivi esista fra
esse incompatibilità di fatto, nel senso che ad mm stessa persona
non sia possibile esercitarle contemporaneamente in modo soddisfa-
cente per l'interesse pubblico 1 ).
·rn. Se il cnmulo contemporaneo di più uffici in una persona pnil
esser camm- di molteplici inconvenienti, anche la permanenza troppo
protratta di nna carica nelle mani dello stesso individuo può tal-
volta riuscire dannosa ali' interesHe pubblico e perfino diventare pe-
ricolosa alle pubbliche libertà. Quindi, ad impedire che le cariche non
vitalizie possano rendersi tali cli fatto per continue rielezioni degli
stessi imliYidni~ e vengano così a snaturarsi diventando monopolio di
poche persone, le legislazioni stabiliscono molte volte che chi scade
<la nn determinato nftieio, non possa esservi rieletto se non dopo nn
<lato intervallo più o meno lungo. Simili disposizioni s'incontrano più
di frequente negli Stati retti a governo popolare; come per e8empio
nella Hepnbblica ateniese e nei Comuni italiani 2 ); e cfo si com-
prende pel maggior timore che \"i è nei regimi democratici di veder
f'om1n·ornessa la libertù pnbbliC'a e per la cnra più scrupolosa di
eYitare l' a lmso del poten' per parte <lei cittadini più intlnenti. Anche

11 C'o11~ig·lio •li 1-ìtato, p:t.reri ii fehhraio 1886, 11 fehhraio, 26 marzo P lii aprilC' 1~87
(l!iriNfa ammi11i.,fratirn, 18~6. png. ,;.1;;. e 1887. png. 6ii2 P 6iiH).
21 YP1li sopra i 11. 27 " ~-(i dclln ]ll'<'~e11k 111011ogrnti:1.
co~rn SI AC(ìl;ISTAXO E ,;1 Pmmoxo I l'CHBLICI CFFICI il4U

nella nostra vigente legislazione non mancano, sebbene s'incontrino


con minore frequenza, disposizioni siffatte. Uosì, per limitarci a due
soli esempi, la legge comunale e provinciale dispone che i membri
elettivi della Giunta provinciale amministrativa, trascorso il qua-
driennio della normale durata della loro carica, non possono e:-;:,;ervi
rieletti se non dopo trascorsi due anni dalla scadenza; e la legge
17 febbraio 1881 stabilisce con l'art. ;) che i membri del Consiglio
superiore di pubblica istruzione, il cui ufficio dura anch'e88o quattro
anni, non possono essere nuovamente nominati se non dopo un anno
dal giorno della loro cessazione.
:;vra, in mancanza di un'espressa dispoHizione, che prescriva un de-
terminato intervallo fra la Rcadenza di una persona da una cariea e
hi. rielezione dello stesso individuo alla carica medesima, deve sempre
ritenersi come regola l'immediata rieleggibilità; onde sono a <'0118i-
rlerarsi superflue le disposizioni, come quelle della legge comunale e
provinciale (art. 115, 123, 217 e 229), che dichiarano rieleggibili HU-
bito dopo la scadenza gli amministratori dei Comuni e delle Provincie,
vale a dire i consiglieri comunali e provinciali, gli assessori munici-
pali, i deputati provinciali, i sindaci ed i presidenti della Deputa-
zione e del Consiglio provinciale. La rieleggibilità immediata è la
reg·ola, non l'eccezione.

§ 2. - Decndenza. dcii pnbblici nffici.

so~nIAHIO. - 74. }forte o decorrenza <lel termine. - 73. Dimissione volontaria. -


76. Revoca o dis1)ensa dall'nfficio. - 77. Altre cause di decadenza e riassunto.
- 78. Cambiamento di sovranità nei rapporti interni ed internazionali.

74. La morte, che tutto scipglie, è la prima delle cause per cui si
perde l'ufficio pubblico da chi ne è investito, sia che si tratti di
carica temporanea o vitalizia. Scomparso del tutto nell'odierno diritto
pubblico l'assurdo ed iniquo sistema della ereditarietà delle cariehe,
gli eredi legittimi o testamentari di nn pubblico ufficiale non possono
accampare il menomo diritto nd ingerirsi comeechessia negli affari
relativi all'ufficio del loro defunto autore; ma debbono sernpliee-
rnente limitarsi ad adem1iiere l'obbligo che loro incombe ili eouse-
g·nare al successore nell'ufficio od alla competente antorità superiore
quanto si trovasse eventualmente nelle loro mani di spettanza della
pubblica amministrazione, come sarebbero, per esempio, carte o do-
cumenti d'ufficio, valori od altro. Inoltre quando l'ufficio coperto dal
llefnnto fosse d'indole contabile od importasse, a qualunque t.itolo e
sotto qualsiasi forma, un maneggio di denaro pubblico, gli eredi,
solo perchè tali, :,;ono tenuti a rendere i conti entro tre mesi dalht
morte del loro autore o dalla sua cessazione dall'ufficio, se questa
avviene per altra causa prima della morte; e per questo rendimento
!lei conti essi vanno soggett.i alla giurisdizione contenziosa del Con-
350 I l'CBllLWI t:FFICI E LA GEBAHCIIIA A)nl!XISTHATIYA

siglio di prefettnra (se si tratta di conti comunali) e della Corte <lei


<·onti (pei conti provinciali e per quelli erariali, nonchè, in via <l'a1,_
pello, pei conti comunali) 1). Dall'altro canto gli eredi del contabile.
non appena abbiano ottenuto il completo e -definitivo discarico deU~
contabilità di cui debbono rispondere, hanno diritto ad ottenere iin-
mediatamente dall'amministrazione lo svincolo e la restituzione delle
cauzioni prestate dal loro autore a garanzia della sua gestione.
Per le carid1e non vitalizie, quali sono l'lempre quelle, che l'li ('Oll-
feril'lcono per elezione popolare, la cessazione dell'ufficio avviene re-
golarmente con la S('adenza del termine stabilito dalla legge per la
sua durata. Il computo del termine è fatto ordiirnriamente ad anni
iutieri, e la decadenza del pubblico ufficiale si opera di pien diritto
col trascorrere dell'ultimo giorno del termine, senza che occorra al-
l'uopo alcuna dichiarazione o pronunzia per parte dell'autorità su-
periore. Avvenuta la scadenza, il funzionario è tenuto, senza d'uopo
di alcuna ingiunzione, a dismettere la carica, facendone regolare con-
segna a colui che venne designato per succeclergli, od, in mancanza
del successore, all'autorità. gerarchicalllente superiore. Tuttavia, spe-
cialmente quando si tratti di uffici, le cui funzioni hanno caratten'
di necessità permanente, dovendosi evitare sospensioni dannose al-
l'interesse pubblico, il funzionario scadut,o di carica non pu() abban-
donare Fuffieio senza prima assicurarsi che questo non resti, neppurt>
per breve tempo, in abbandono; il che vale a dire che prima di al-
lontanarsi dall'ufficio deve trasmettere la carica al suo successore od
a chi sia incaricato di farne provvisoriamente le veci.
73. L'esercizio dei pubblici uffici, siano essi gratuiti o retribuiti,
elettivi o di nomina diretta, costituisce in ogni caso una semplice
facoltà, ma non un obbligo per colui che ne è investito, essendo af-
fatto sconosciuto al nostro diritto pubblico attuale il sistema della
obbligatorietà delle cariche pubbliche, che venne adoperato in aUri
tempi ed ancora oggidì troviamo in vigore presso altri popoli 2 ). Dat,o

1 ) Heg0Ja.1u!'Hto J 11w.ggio 1885 l'<'l' l'a111miHistrazio11e e c·ontabilità g·enern.le clello

Htato, art. 641.


t) Così nel diritto rnediocval<' ]a. c·aric·a nmnicipale dei decurioni o <"nriali era oh-
hligatoria per sncl'essione er<>ditaria cli padre iH figlio, e cli,·eHne ht'n lHt'Sto 1111
graniso oHerP a cni i c·itt:ulini, !'he vi erano d1iamati, <"er!'a\·ano in tntti i mocli cli
sottrarsi, sta11tp la respo11sahilità snliclale imposta ai dPctuioni lwr il pagamento tl<'i
tribnti ernriali. Oggiclì in aknni CantoHi clella lihera e clcmol'raticn. Svizzera (per
t·s. App<'nzl'll e San Gallo) non soltanto è prese-ritto il voto obhligatorio pi:r tntti
i C'ittaclini forniti clella c-n.pal'ità elettornlP, ma è altres1 vietato agli eletti di rifiu-
tar•• il manclato, saln> il c·aso di l<Jgittima se-usa ocl impPdimento.
Presso <li noi (lasc·iando star<' l'nftkio clella In.tela, il cpwle, hcnc·hè fosse eonsi-
dPrato in diritto romano eome nH 11rn1111s 1rnblic1tin, è tm istituto di puro cliritto pri-
vato, <' Hulla ha dte fare c·ol conc-etto sdentifÌC'o cli funzione pubblica seconclo il
cliritto n.m111inistmtin> odierHo), il solo uftkio pnhblic-o cli c·n.mttere ohbligatorio i·
qnc•llo di giumto.; mn. I' infoliee lHo,·a d1e \'H face111lo in Itnlin, ogui giorno piì1, l' i-
ccnrn SI ACQCISTAXO J•: SI PEHI>OXO I l'l'llllLICI t:FFICI :.;:; I

il carattere volontario degli nffici, ne Rcende per diretta consegnernm


dw coloro i quali ne sono rivestiti possono volontariamente spogliar-
sene mediante rinunzia. Questa rinunzia, che prende il nome di di-
ndssione, deve risnltare in ogni caso da una formale dichiarazione del
rinnnziante, giacchè anche nel diritto pubblico vige, come nel privato,
il principio di ragion naturale per cui le rinunzie non si presumono.
)la, anche Aenza una formale dimisRione, la volontà di lasciare l'nf:-
ficio, può risultare da altri atti positivi o negativi del funzionario,
i quali indichino in modo non equivoco tale intendimento. Così,
trattandosi d~ uffici retribuiti, l'abbandono del servizio od il ritinto
di raggiungere la residenza indicata dai superiori si conRidera come
t.a('ita rinunzia all'ufficio, purchè le condizioni e circostanze in eni
avviene tale fatto siano tali da far presumere con fondamento la
volontà dell'impiegato di abbandonare il posto, come se, per esempio,
egli persistesse nella sua assenza dall'ufficio o dalla residenza, mal-
grado ripetuti inviti rivoltigli dall'amministrazione, da cui dipende,
eon l'espressa diffida che, non ottemperando all'invito, sarà dichia-
rato dimissionario 1 ).
Del resto, in man(~anza di una disposizione di legge o di regola-
mento, che stabifo;ca la forma in cui debbono essere presentat.e h'
dimissioni, queste possono essere date per iscritto, od anche eon
l'emplice dichiarazione verbale 2). In ogni caso le dimissioni debbono
presentarsi all'autorità da cui venne conferito l'nfficio, se si trat.ta
di uffici di ordine gerarchico, ed al rispettivo collegio, se si trat.ta
di nn ufficio elettivo a forma collegiale. Così per i deputati al Par-
lamento l' articolo 95 della legge elettorale politica (testo nnif'o
!!8 marzo 1895) stabilisce che la Camera sola ba il diritto di ricever!:'
le 1limissioni dei propri membri. Del pari le dimissioni dei consi-
g1ieri provinciali o comunali debbono essere presentate ai rispet.t.ivi
Consigli, come pure quelle degli asse8sori municipali e dei deputati
provinciali, essendo questi designati dal rispettiYo Consiglio plena-
rio; e lo stesso è a dirsi dei sindaci, dacchè furono resi tutti t"lt-t-
tiYi; mentre per il passato i sindaci di nomina regia don·Ya110
«hiedere la propria dispensa dall'ufficio al re per il tramite gerar-
eltico del prefetto e del J\'Iinistero dell'interno. In nna parola l'anto-
ritù eompetente a rieeYere la dichiarazione di rinnnzia alla eariea ì·

xtitnzione <lt'l ginrì è 1m PS<'lllpio tnt.t'altro !'!w i1H·oraggia11tc per ('oloro d1c 1·orrl'h-
hero elata larga applicazione al pri11cipio tlella ohhligatoriPt:\ degli nfti«i pnhhlit-i.
Cir"a il fornlamento filosofko del diritto maestati«o' <li l'hi:nnare i l'itt:1tlini al
<li,impegno delfo di-ili fnnzioni si l'onsnlti: Tolomei, Cor.•o dem. ài di1·itlo 1u1t11n1lt
(Xapoli, 1860), ~ 6-!;"i. .
1 ) Co11fr. la del'isione della IY Sezione dPl Co11siglio <li Stato, 2H ge1111aio l~!lj'

(le!f!JC, 1897, YOÌ. I, pag. 280).


2) La stessa IV Sezione dcl Cons. di Stato ritP1111e ntlid<- in nn l'flSO le tli1nis"io11i

<late pl'l' tf'legram111:1. Velli tledsio11p 2 agosto UH1i\ (lC[!f!l', 18H5, n1l. II, pag. 35:~).
;~;)'.! I l'LBBLICI t:FFICI E LA GEIUHCHIA A)DilXH:iTHATIYA

sempre quella stessa, da cui la carica venne conferita al rinunzia11te


salvo il caso delle cariche conferite per elezione popolare, per le qna]i'
non stimandosi oggidì conveniente convocare appositamente gli 1:>let.
tori per deliberare sulla rinunzia, come sarebbe logico e come si pra.
ticava anticamente in Atene ed in Homa, al corpo elettorale si so.
stituisce in questa funzione il collegio degli stessi eletti.
L'autorità, a cui sono presentate le dimissioni, delibera se int1:>wla
accettarle o respingerle. ~el primo caso il funzionario, non appena
1·1mosce che la ~ma rinunzia è stata accettata, rimane im111ediata111enti·
esonerato da qualsiasi obbligo inerente all'ufficio, salvo beninteso il
tlovere di render conto degli atti della propria gestione passat.a, ed
in pari tempo resta spogliato di ogni potere ed autorità, che dall'nt~
ficio stesso gli derivasse; egli deve astenersi dall'emettere alcun nuoyo
1n·ovYedimento nè impartire ordini se non per gli affari di assoluta
nrgenza, in quanto manchi pel momento un'altra persona autorizzata
a reggere l'ufficio.
Se poi le dimissioni vengono respinte, il pubblico ufficiale è tenuto
a continuare nel pieno esercizio delle sue funzioni. Tuttavia, dato
il nostro attuale principio di diritto pubblico; per cui l'esercizio
1leUe cariche conserva sempre il carattere di una libera facoltà senza
mai assumere quello di un onere obbligatorio, non si potrebbe so-
stenere che agisse illegalmente quel funzionario, che dopo aver for-
malmente dichiarato di volersi ritirare dall'ufficio ed aver lasciato
all'autorità eompetente un termine congruo per poter deliuerare sulla
sua rinunzia ed al bisogno sostituirlo con un altro funzionario, non
vedendo ciò malgrado accettate le proprie dimissioni, abbandonas~e
senza più l'ufficio; purchè ciò non accada in circostanze tali che di-
mostrino le dimissioni offerte non essere altro che un pretesto del
funzionario per sottrarsi all'adempimento di nn suo imprescindiùile
dovere d'ufficio, nel qual caso sarebbe applicabile la sanzione penale
~tabilita dall'art. 178 del codice penale comune. Sono inoltre da ri-
eordare a questo proposito l'art. 88 del cod. pen. per l'esercito e
l'art. U2 del cod. pen. mil. marittimo, i quali puniscono con la pena
eapitale il comandante che senza legittimo motivo (come sarelll>e
precisamente nel caso di dimissioni offerte, ma respinte oppure non
ancora accettate) abbandoni il comando in faccia al nemico od in
circostanze tali da compromettere la sicurezza delle truppe o delle
navi a lni affidate.
:X el diritto penale militare la c1ùnissione assume anche la figura etl
il valore di una vera e lWOpria pena, in forza della quale gli nffieiali
che ne siano colpiti, in seguito a condanna pronunziata dai tribunali
militari, vengono lincenziati dal servizio con perdita del loro grado 1).

1) Co1l. pen. per l'esercito, art. -!, 6 e lJ (Confr. anche la legge 8artltt 25 urng-
gio 1852 sullo stato 1legli nffieiali, art. 2); Co1l. pen. mil. marittimo, art. +, il" 1:-l.
DECAllEXZA DAI PCBBLICI \'FFICI

}la queHta forma speeiale di dimis;;ione coattiva, che s'infligge come


pi•mt, non esclnde punto le dimis;;ioni volontarie, che JH188ono e;;sere
pre;;entate dagli ufficiali ddl'eHercito, al pari cl1e da qualnnqne altro
pnhblico ufficiale, e debbono e,.;,.;ere accettate per 1lecreto reale, ma,
specialmente in tempo di guerra, pos;;ono anche ve11ir rifintate 1 ),
qualora le urgenti necesHità 1lella difesa militare non conHentano
F immediato congedo dell'ufficiale dimi;;sionario.
7H. Quando il pnbblico ufficiale tra;;curi i suoi 1loveri o peggio
abn,.;i dei . poteri a lui affidati volgendoli a ,;copi illeciti, oppme
111 acchi il ,;uo onore di cittadino commetternlo azioni dboneste o te-
1wrnlo f•.ondot.ta indecorosa nella vita privata, 1liventn indegno di
l'.<mtinuare nell'e;;ercizio 1lel pubblico ufficio; e la carica g'li Yieu
tolta <la quella ;;tessa autorità, che gliela conferì. Di regola la re-
voca dei pubblici ufficiali, che può assumere forma di pena discipli-
nare piÌl o meno graYe, dalla 1-1emplice dispensa dal servizio con col-
locamentr> a ripo1-10 fino alla 1-1olenne destituzione, non Yiene inflitta
,;e non in seguito ad un procediuwnt.o disciplinare, che si 1·wolge da-
vanti ad appositi Consigli o Commi1-11-1ioni col cont.radditorio dell'in-
colpato. ~fa di ciò ci occuperemo piÌl largamente in nno dei capitoli
successivi, ove tratteremo della responsabilità disciplinare dei pub-
blici funzionari. Qui ci basti. accennare che pt·r regola la revoca dei
funzionari dovrebbe spettare a quella medesima autorità, che ha
loro conferito l'ufficio; onde, come per la revoca llegli ufficiali di
nomina regia si provvede con decreto reale o ministeriale, e per i
fnnzionari nominati dagli enti amministrativi locali con deliberazione
ilei rispettivi corpi amministrativi, così per i funzionari di. orig·im·
elettiva la revoca dovrebbe essere deliberata dal corpo elettorale;
ma un tale procedimento, se era ammesso nei tempi antichi da
t[ ualche legislazione di carattere eminentemente democratico (per es.
in Grecia), viene respinto nelle odierne costituzioni, come quello elle
potrebbe dar luogo a pericolose ag'itazioni e lotte politiche. Pereiò
la decadenza dei .funzionari elettivi è dichiarata, secornlo il no,.;tro
vigente diritto pubblico, non già dagli elettori, ma dal collegio, a
!'.Ili appartiene F eletto, vale a dire dal Senato pei 1-1enatori, dalla
Camera per i deputati, dal Consiglio comunale o provinciale rispetti-
vamente per i consiglieri comunali e provinciali.
Una vera anomalia, su questo punto ci presenta la revoca bilitc't
1lel sindaco, funzionario elettivo, per parte del Governo. Secondo
l'art. 12.) della legge comunale e in·ovinciale mo<lificato dalla legge
<lel ~9 luglio 189G (art. 1) la revoca del sindaeo pui1 esser fatta, sia
1·on deliberazione del Consiglio comunale, sia in determinati ('asi

1) L'nrt. L) della legge 8nlle pe11Hi011i ciYili e militari (testo unico 21fehbmio18\l;'i)

·'"HlJende dn.ll'nprirsi <li nna gnerra fino al sno termine l'L'Hercizio del diritto H]>et-
tanfo ai militari di ottenere il collocamento a riposo p<'l' anzianit:ì di HCrYizio.
:-li54 I l'l"l!BLICI l'FFWI E LA GEHAHUI!IA A~D!IXI><THATIYA

per decreto reale, ed inoltre il sindaco puil es8ere rimosso pure con
decreto reale per gravi motivi di ordine pubblico o persi8tente vio-
lazione degli obblighi a lui imposti dalla legge. Questo eccezionah1
8istema di revocat>ilità si puì1 spiegare 80ltanto Ji"tlettendo alla doppia
qualità, che riveste il sindaco secondo la vige te legge comunale e
provinciale (art. 121) come capo dell'amministr zione municipale Ptl
in pari tempo ufficiale del Governo; gfacchè pr scindendo da questa
l'leconda qualità del Rimlaco, ~mrebbe assolutamente contrario al priH-
cipio dell'autonomia degli enti amministrativi locali attribuire al Go-
verno centrale la facoltà di togliere al 1·apo del Comune l'ufficio: clw
gli venne conferito dal libero voto dei cittadini.
Quindi la revocabilità del Rindaco per decreto reale non anebhe.
più ragion d'essere per quei Comuni, nei quali, come propone 1111
dil'legno di legge testè presentato al Senato 1), venisse sostituito al
sindaco per l'esercizio delle funzioni di carattere statale un nuovo
ufficiale, che si chiamerebbe comm·issa.rio comunale di pnbblicci sicure.zza,
e ;;arebbe nominato per decreto reale, sn proposta del prefetto, fra
i cit,tadini aventi la capacità per essere assnnti all'ufficio di gindie1·
coneiliatore.
77. Tutte le cause (l'ineleggibilità e d' incapacità a coprire i pub-
blici uffici, che abbiamo più sopra passate in rassegna, costit,uiscono
altl'ettante cause di decadenza, qualora esse sopravvengano dopo <'he
il funzionario abbia già asRunt.o l'esercizio della càrica. Ufo trovasi
espressamente dichiarato per gli ufficiali di nomina elettiva dal-
l'art. 90 della legge elettorale politica (testo unico 2:; marzo 1895) e
dagli art.. 218 e 2;H della legge comunale e provinciale (testo unico
10 febbraio lti8U); ma lo stesso principio di ragion comune è appli-
cabile indubbiamente anche ai funzionari di nomina governativa o
di liùera scelta degli enti amministrativi locali, sia che cfo venga
prescritto dalle leggi speciali, eome ad esempio troviamo stabilito
neg'li art. 167 e 256 della legge 13 novern bre ltiti!) per i profes;;ori
delle università e delle scuole secondarie, sia c·he le leggi tacciano
in propo;;ito; giacchè la logica giuridica non consente che ehi non
potrebbe assumere e;r 1wi•o il pubblico nfficio per qnalsiai,:;i eansa 11i
incapacità, (l'indegnitù o di incornpatibilitù, continui a reggenu· h·
funzioni, ;;\oltanto perf'hè ne fn anteriormente rinstito. Il dichiarare
la 11ecadenza del pubblico ufficiale, qualunquP ;;ia la causa che lo
remlP incapace, spetta <l'ufficio all'aut.oritù elle ha conferita la no-
mina, se si tratta di funzionari nominati dal Governo o <lagli enti
locali, ed ai rispettivi collegi. 8e si tratta !li funzionari elettivi.
Per i deputati al parlanwnto vi è ancora, oJt.re i rnoltPplici ea;;i di

1) Prog'<'tto tli l<"gge (•oncenwntl' <lisposizioni sugli nftil'i ( 011m11nli <li p11hh]ie:1
0

Ril'lll"<'zzn, presentato :il :-;.:unto rkl lkg110 tlnl lllinistro Rndinì, 1lf'll:1 tornntn (kl
rnnggio 18Wi.
DECADEXZA DAI l'l:llHUCI CFFICI

ineleggibilità e d'incompatibilità, nna causa speciale di decadenza, che


consiste nella ricusata o mancata prestazione del giuramento 1 ); e d'altro
canto per i rappresentanti elettivi delle amministrazioni locali (con-
siglieri comunali e provinciali) la nuova legge comunale e provinciale
ha introdotto una nuova causa di decadenza che assume quasi l'a-
spetto di una pena disciplinare, come quella che mira a punire la ne-
g'ligenzà dei rappresentanti stessi nell'adempimento dei loro doveri
d'ufficio, ed è la decadenza per mancato intervento alle adunanze
consigliari durante un'intera sessione ordinaria, senza giustifiC'ati
motivi, il cui apprezzamento spetta ai rispettivi collegi 2 ).
Le cause di decadenza dei pubblici ufficiali, che abbiamo fin qni
accennate, si possono ridurre alle seguenti:
1. 0 ~forte;
2. 0 Decorrenza del termine;
3. 0 Dimissione volontaria;
4. 0 Revoca o dispensa dall'ufficio;
5° Soprav,·enienza di una causa d' incapacità o d' incompati-
bilità;
fi. 0 Altre cause previste da leggi speciali (per es. collocamento a
riposo).
48. All'infuori di queste nessun'altra causa di decadenza potrebbe
ammettersi. Non può ad esempio considerarsi come causa di deca-
denza la morte, l'abdicazione o la deposizione del sovrano, che firmi>
l'atto di nomina del funzionario; giacchè per il principio della conti-
nuità legale della monarchia non vi ha interruzione di poteri fra l'uno
e l'altro sovrano, e quello che succede si presume abbia confermato
tacitamente tutti gli ufficiali nominati dal suo predecessore, sal"rn
espressa dichiarazione in contrario, che assumerebbe in ogni caso
l'aspetto e la forma di una vera revoca 3 ). Lo stesso è a dirsi a pm
forte ragione, pei funzionari elettivi, il cui mandato conserva il suo
pieno valore, malgrado l'avvenuto cambiamento del sovrano.
In caso di s0ppressione dello Stato per conquista od annessione
la condizione dei pubblici ufficiali, ai quali era affidato l'esercizio
del potere nello Stato, che ha cessato di esistere C'ome ente auto-
nomo, dev'essere regolata secondo i provvedimenti emanati dal Go-
verno dello Stato conquistatore, salvo l' os:;.;prvanza dei patti PYPntnal-
mente stipulati nell'atto di resa o di annessione.

1) L<'gge elett. pol., testo nnieo ~it., art. ll2 e ll3.


~) Legge comnuale e proY., testo nuieo cit., art. 23(i.
:i) Xnlla in·oya in contrario la consnf'tndine inYalsa ul'lle mo11ar<'hi(• a sistt>11t:1
•·ostitnzionale-rnppresentatiYo, per cni ad ogni passaggio dPlla (·orona i ministri
l>I'l'se11tano in massa le proprie dimissioni al nnoYo so\Tauo; anzi eiì> conferma il
principio (lclla <'ontinnità ginri<lica (]elle (·arid1e, malgrado il passaggio dPlla l'O-
ro11;i t1all'nno all'altro so\Tano; perrhè, spi miuistri de<'a(1essero d'ntlicio rwl solo
fatto <lel cmnhiameuto del rPg11a11te, non Yi sarehlw per loro all'1m liisoguo di
<lare le <limissioni.
8:-iti I PCJlllLICI CFFICI E LA mmAHCIIIA .UUIIXISTRATIVA

Non v'ha dubbio che in caso di occupazione militare di un teni.


torio, il nemico vincitore ha libera facoltà di sospendere o revocare
sia in massa, sia individualmente, tutti i funzionari civili (dei mili-'
tari non è neppure il caso di parlarne) 1lel paese eonquistato, ov-
pure di mantenerli provvisoriamente o definitivamente in uftieio,
e:;igendo da loro in questo caso fedeltà sotto minaecia di pene mal'-
ziali, ed obbligandoli al giuramento di obbedienza e di fedeltù 1 ).
Durante le conquiste della prima Hepubblica francese la Uou-
venzione nazionale emanò in data del 15 e 17 dicembre 1792 nn (h•-
creto col 11nale faceva obbligo ai generali di proclamare immediata-
mente nei paesi occupati dalle armi francesi la sovranità del popolo
e la soppressione immediata di tutte le autorità stabilite, convo('ando
subito l'assemblea del popolo per l'elezione di un Governo provvi-
s01'io, dalla quale assemblea dovevano restar esclusi, per questa prirna
volta solamente, tutti i funzionari, civili e militari, del cessato Go-
verno (art. 1 e 3 del decreto).
}fa un siffatto sistema, se si spiega coi principii as8oluti di libertù
e di eguaglianza politica, a cui si ispiravano quei bollenti rin>ln-
zionari, è da riprovarsi a causa dei gravi inconvenienti, che sorgono
inevitabilmente dalla istantanea soppressione di tutte le autoritù,
che lascia il paese conquistato, sia pure per breve tempo, in preda
all'anarchia od al despotismo militare. Più ragionevole è il sistema
adottato nella Conferenza internazionale tenutasi a Bruxelles nel Ui7 4
per la codificazione del diritto della guerra.
L'art. 3 del protocollo finale approvato da tutti i rappresentanti
delle potenze intervenute a quella Conferenza, fra cui l'Italia, dispone
che i funzionari ed impiegati di qualsiasi categoria possono, ad
istanza dello Stato occupante, consentire a continuare nell'esercizio
delle loro funzioni; ed in tal caso hanno diritto ad essere protetti,
nè possono essere licenziati o puniti disciplinarmente, se non quando
manchino agli obblighi assunti, e quando li tradiscono debbono es-
sere sottoposti a regolare procedimento penale.
Giova però avvertire che se è in facoltà del vincitore di conser-
vare in carica, mediante conferma espressa o tacita, tutti od aleuni
dei funzionari del paeì'le conquistato od occupato militarment<:', non
potrebbe sostenersi che i funzionari stessi siano dal canto loro as-
solutamente ed in og·ni caso obbligati a restare in ufficio. Quando i-;i

1) Seeondo le istruzioni per gli eserciti <le gli Stati Uniti d' A1tu•ric:t <lurante la
guerra ili secessiOJH', approvate clal presidente Lineoln il 2± aprile 1868, i <·api
•lell'""ercito <li oc<'npazione posso1to prctendPre clai magiHtrrtti Nl impiegati <'ivili
del paese invaso il giuramento di obbedienza tcmpora1teo o anehe n1t giurnmento
<li fe<lelt:ì, espellen<lo •1rn·lli che vi si rifiutino; ad ogni modo, eon o senza giu-
rmnento, gli impit>gati eiYili, al pari degli abitanti, dehlwno stretta ohhe1lil'nza
al vincitore sotto pena di morte (art. 26 delle istruzioni).
DOYEHI DEI l'CllBL!CI Ft:XZIOXAIU 3i'i7

tratta di uffici veramente indispensabili per il mantenimento rlell'or-


dine pubblico~ come sono per esempio quelli che si riferiscono alla
pnùhlica sicnrezza, oppnre quelli riguardanti servizi pubblici, f'he
non pos:-;ono soffrire interruzione, come Harebbero i Hervizi postali,
telegrafici e ferroviari, ammettiamo che il Governo dello Stato vin-
dtore possa co:-;tringere i fnnr.ionari, che sono addetti a tali uffici,
a continuare nel loro rispettivo Hervizio, almeno in via provviHoria,
fino a che non :,;ia posHibile provvedere con nuovo personale. Ma per
le cariche, le quali non presentino siffatto carattere di impellente
nece:-;sità, ed in particolar modo per le altre cariche amministrative,
(lalle quali è inHeparabile Ull certo Carattere politico (come per es.
le cariche di ministro, di prefetto, ecc.) il vincitore non potrebbe
obbligare tali funzionari a continuare nell'esercizio delle loro fun-
zioni senza commettere un vero atto di violenza, riprovato dal di-
ritto rlelle genti, allo stesso modo che sarebbe da riprovarsi il vin-
citore che costringesse i cittadini del paese soggiogato a portare le
armi contro la loro patria 1).
Fin qui ci siamo occupati dell'ipotesi di un territorio occupato dal
nemico con la forza delle armi. Volendo pur accennare all'altro caso
dell'annessione o cessione pacifica di un territorio mediante trattati
intemazionali, diciamo semplicemente che la condizione del pubbliei
funzionari, i quali si trovano in carica nel paese annesso o ceduto
rlovrà essere regolata dai patti del trattato di cessione o di annes-
Rione; e in difetto di clausole speciali spetterà regolarla allo Stato,
che acquista il dominio su quel territorio, tenendo conto in ogni easo
<h·ll'interesl'm pubblico degli abitanti, e rispettando per quanto pos-
sibile, la condizione di cose preesistente ed i diritti acquisiti dai
sing·oli fmÌzionari.

CAPO V.

DOVERI, DIRI'L"l'I E PHEROGA'l'IVE DEI PUBBLICI FUNZIONARI.

§ 1. - J)oz·er-i dei pubblici funz·ionari.


i:ìmurAHIO. - fl!J. L'obhligo della fedeltiL cd il ginmmento. - 100. OhbediP11za e sn-
hordinnzione gerarchil·n e reln.tiYi lillliti. - 101. Diligenza. e zelo nell'allempi-
mento delle proprie funzioni. - 102. Il segreto d'nftkio. - 10:3. Altri doYl·ri
accessori o speciali per dderlllinn.te categorie di pnhblici nftkiali.

!JU. L'ufficio pnbùlico, qnalnuqne ne sia la natura o l'oggetto o la


<lmata. sia cioè eivile o militare, gratuito o retribuito, temporaneo

1) Cn11snlta: Cnr8i, Occ11pazio11e milita1·c in 11'111po di r111e1Ta e relazioni i11ter11a:::io-

11ali elle 11e dcl'irnno (Hnum, 1~82), pngg. Hl C' lii:~.


:~58 I PUBBLICI CFFICI E LA GERARCHIA A)Dl!XISTHATIV A

o vitalizio, e dà qualunque autorità venga conferito, sia c10e pe 1•


nomina regia o per elezione popolare, non costituisce più nel diritto
pubblico odierno, come nel diritto feudale, un appannaggio concesso
per il vantaggio personale di clri ne è investito, ma bensì un man-
•lato di fiducia rivolto alla cura del bene pubblico da conseguii-si
mediante l'esercizio dei poteri dello Stato in una determinata sfent
della sua duplice attività di tutore dell'ordine pubblico o di promo-
tore del benessere sociale. Da cfo deriva che inerente al concetto
tlel pubblico ufficio vi è sempre quello di nn complesso di doveri, i
11nali si possono tutti riassumere nel fedele e zelante adempimento
delle funzioni assegnate a ciascun ufficio 1 ). Analizzando questo con-
cetto sintetico, troviamo che il primo dovere del pubblico funzionariot
quello la cui violazione rappresenta il più grave delitto che il fun-
zionario possa commettere, è il dovere della.fedeltà, in forza del quale
ogni pubblico ufficiale è tenuto ad avere costantemente, nell'esercizio
delle sue funzioni, in mira l'interesse pubblico a lui affidato, aste-
nendmii da qualunque azione od omissione contraria a tale interei;se.
!)obbligo della fedeltà è bensì comune a tutti i cittadini, in quanto
ognuno di essi deve astenersi, sotto minaccia di grave pena, dal
portare le armi contro la sua patria (Ood. pen., art. 105); ma per
il pubblico ufficiale questo dovere assume un'importanza ed un con-
tenuto molto più rilevante, in virtù del vincolo giuridico volonta-
riamente assunto dal funzionario pel solo fatto dell'accettazione del
mandato affidatogli dall'autorità superiore o dal voto dei suoi con-
cittadini.
Ad avvalorare vieppiù quest'obbligo morale e giuridico della fe-
deltà si è sempre usato in quasi tutte le legislazioni esigere dai
pubblici funzionari, prima di ammetterli all'esercizio delle loro fun-
zioni, il gi1irainento di fedeltà. Così il nostro Statuto, uniformandosi
all'antica e tradizionale consuetudine, esige il giuramento non sol-
tanto dai senatori e dai deputati (art. 49), ma benanche dallo stesso
Sovrano e dal Heggente, che ne faccia le veci (articoli 22 e 23).
Similmente la legge comunale e provinciale (articoli 128 e 212 del
testo unico 10 febbraio 1889) prescrive l'obbligo del giuramento per

1) Il concetto dei doveri d'ufficio è trrlmente compenetrato con quello delle pnh-

hliche cnriche che si pnù dire in modo nssoluto non potervi e8istere nn uffiC'io pnh-
hlico senza che porti seco nn determinato complesso di ohùlighi con un rispornleute
insi<•me di poteri e di diritti. I soli titoli meramente onorarii, qnrrli 8ono tt<l P,.
<[lielli che si sogliono conferire ai fnnziouari e nmgistrati emeriti collocati a riposo
orl nltrimenti nsciti di carica, non sono aceompaguati da alenn do,·ere come neppure
<la :ilcnu diritto o potere, salvo qnello, puramente formale ed onorifico, rli continnarc1
a Yestire l'nniforme ed a portare il titolo dell'nfticio coperto; ma 11ni non nhhiamo
cli nftici pubblici che In sola p:trYenza esteriore senza alcun contennto ginridi "" so-
stanziale. Trovimno perù nella nostra legislazione gli acldetU onorarii di amha~l"inta
" 11i legazione, i quali all'estero sono parificati agli ad1letti effettivi o di carrierrr
i•er tntti i 1loveri, 1liritti ed onori (R. decreto 2,1 <licemhre 1896, n. 578).
l>OYEIU !>El l'CBBLICI Fl.'.XZ!OXAHI

i sindaci e per i presidenti <lelle Deputazioni provinciali, nella loro


'l1rnlit~'t di capi esecutivi dell'amministrazione del Comune o della
Provincia, mentre eguale obbligo non viene imposto ai sempli<"i eon-
,;iglieri o meml.>ri della Giunta municipale o della Deputazione pro-
vineiale. Per dare a questo precetto una sanzione pratica, che prima
mancava, la legge 30 dicembre rn82 1 ) stabilì che decade dal mandato
il deputato al Parlamento, il quale ricusi <li prestare il giuramento
,;enza alcuna condizione o restrizione, in conformitù della formula
prescritta dallo Statuto, oppure non lo presti entro dne rnesi dalla
cmffalidazione della sua elezione, salvo il caso cli legittimo impedi-
mento; e simile dispoRizione venne introdotta anche nella nuont
legge comunale e provinciale (citati articoli 128 e ~1~) per il s'indaco
P<l il presidente della Deputazione provinciale, riducendo però ad un
solo mese il termine utile entro cui questi funzionari debbono, sot,t,o
pena di decadenza, prestare il giuramento.
Teoricamente parlando~ il giuramento dei singoli funzionari 1lo-
vrebbe essere ricevuto da quella stessa autorità che ha loro conferito
l'ufficio, e quindi i funzionari di nomina regia dovrebbero tutti giu-
rare nelle mani del Sovrano, quelli di nomina ministeriale in quelle
del }Iinistro, e quelli elettivi dovrebbero giurare davanti al ('Orpo
elettorale . .:\la poichè il seguire letteralment,e siffatta· regola, speeie
nei moderni Stati, in cui la gerarchia amministrativa ha preso una
enorme estensione, sarebbe causa di gravi inconvenienti, il <lirit.to
pmiit,ivo o consuetudinario stabilisce che il Rolo capo supremo del
(~overno, cioè il presidente del ConRiglio dei ministri, debba ginrare
<lavanti al He, mentre gli altri ministri prestano il giuramento Belle
mani del presidente stesso, ed alla loro volta rice\·0110, in persona
propria o per mezzo di un delegato, quello di tutti i funzionari da
loro dipendenti t). Il giuramento dei sindaci e dei presidt>nti di De-
putazione provinciale dev) e:,;sere prestato davanti al prefetto ddla
provincia o ad un suo delegato 3 ); ed è questa un'aUra anomalia
dovnta all'influenza ancor viva tlella ceRsata legge, per cui <ruelle
due cariche erano di nomina regia (secondo la legge comunale e pro-
vinciale del 20 marzo 186;) i sindaci erano tutti nominati dal He, e
capo della Deput.azione provinciale era un fnnzionario governativo
•li carriera, cioè il prefetto); mentre per ht leg·ge attuale essernlo
eariche elettfre, non Yi sarebbe più r~igione per costringere eoloro
clw ne :-;ono investiti a giurare nelle mani 'li un funzionario goYer-

1) I dne art~eoli, di (•ni si eo1npo11c cp1ella ltig·µ:<), t'on11a110 orn. µ:li art. H:l P H:~
<l1•l Yigente testo nnico <lPll:t Jeggt> Plettor:tle politicn, appron1to Po] R. <l<'<·reto
28 marzo 189:5, n. 83.
~) Regnlnment.o snll'ammin;strnzione central<', approY:ttn ""n R. decreto 28 nt-
tohrt> 1853, art. 30.
:~) Rt>gol:unellto 10 gingno l~KH pPr l'est>cnziollt-' clella leg·g·e ('OHI.<~ prov., art. Hl.
:~oO I l'l'BBLWI CFFIC! ,.; LA <a:IUdlCIII.\ A~DllX!STBATl\"A

nativo. Abbandonato <lai costnmi moderni l'antfro sistema dd ginra-


mento che si prestava solennemente davanti ai pnbblici comizi, og~ddì
coloro che sono <·lliamati dal voto dei cittadini a coprire cari<'11e
elettive, anzichè giurare cormn popnlo, giurano davanti al collegfo.
di cui fanno parte; per esempio i deputati al Parlamento giurano
davanti alla Camera, con la presenza del He, in occasione ddle
solenni sedute, con lt> q nali sono inaugurnte le sessioni parlamentari;
ma la ln·esenza del Sovrano non è ritenuta neces::;aria, così d1e i
deputati che non si trovino presenti alla Heduta reale, lire;.;tano il
giuramento in un'altra ;.;eduta qualsiasi.
La formola del giuramento non 1m<> essere lasciata all'arbitrio dPl
ginrante, perchè, He così fosRe, la diversità delle eRpresRioni adopt>-
rate potrehbe dar luog·o ad equivoci, che toglierehlJero a quell'atto
ogni Reriebì. L'art. 4U <lei nostro Statuto, e snlle sne traccie l'arti-
colo 1:!8 della legge eomnnale e provinciale, Htabiliscono la formola
del giuramento in queHti termini: « G-inro di essere fedele al Re, di
os:'lervare lealmente lo Statuto e le leggi dello Stato e di esercitare
le mie funzioni col solo scopo del bene inseparabile del Re e della
patria ». Questa formola deve com!iderarsi come rigorosamente sa-
cramentale, male qualsiasi alterazione nei termini o parziale omis-
sione renderebbe nul'lo il giuramento. Non è però necessario che sia
ripdnta parola per parola dal giurante, ma basta, secondo la eon-
snetmline invahm nella pratica parlamentare ed arnmini1-1trativa, ehe
il giurante prommzii la parola ginro <1opo che l'ufficiale, cui s1wtta
ricevere il giuramento, ne abbia lett.a o pronunziata, in sua presenza,
la formola 1 ). Nessuna riserva, limitazione od eccezione potrehlw
ammettersi <la parte del giurante, neppure sott.o pretesto di spiegare
o meglio determinare il proprio intendimento, e se fatta, renderebbe
nullo di pien diritto il giuramento 2 ). Infatti tanto la legge elettorale
politica ehe quella ammininistrativa, nelle disposizioni che alJhiamo
giù piÌl volte richiamate, esigono e1-1pressame11te, sotto pena di deea-
denza dal mandato, che il giuramento sia prestato nei tenn-in·i pre-
scritti 1lalla legge, vale a dire secondo la preciim · formola imposta dal

1) Pt·r i funzionari tlell' ortlinP gi ndiziario la formo la tl i gi nra111P1tto prt'st'ritta


clall'art. 10 tlella Jpgge 6 1lil'P1t1hrP 1865 il la sPgnPnte: « Ginro •li eHsne fetlPl•' :d
R .. , ili ossprn1rc leal111ente lo tit:itnto e tntt" le li•ggi tlt•l Hegno e cli ndempiPr" cla
nomo ili onore e tli coscienz[t lt• fnnzi011i <'he mi sono aftitl:ttt' ». Il regola11a·nto g<'ltt'-
ralP ,!('Ìlllliziario. approYato <'OH R. det'l't'to 14 <lÌ<'<'mhr" 18li:>, stnl1ilisce iwg·li art. ;37 "
SPg'HPnti nornu• pnrticolan·ggiatP snl motlo in cni dt'YP farsi la prPstn.zio11P tlPl
ginra1nt·11to. La fonnola gin/'\tinia1H:•a iwl µ:inr:llllPllto dPi urngi:..;trati ci i· <·1111:-:Pl'Y:tta
nPlla nt>\·ella IX, intitolata « ,fu~j11ra11d111n, quod prarstat111· ab iis, q11i mar1i-'ll'11f11~
.1.;11..,.<·ipiuut ».
2 ) 1-'ngli inci(lcnti ""ll<'Yati 11t·lln Camt'rn da akn11i d<'pntati, t']lt' p1·pstnrow> il

gi11ralllP11to eon risPI'Y<' o pl't'YPntin' <lichiarnzi011i, dirPtte a li111it:n·n" la portnta otl


a negarne ì'eftiC':t<'in, eonsnltn :\Inrn·iui " (~ah·otti, Sor111c l'ri ,,,,; di'/ l'11r/1111w11to ita-
li11110 (Roma 1~81), pag. 10-17.
DOYEHI DEI l'l'llllLICI n:xzroxABI

}Pgislat,ore. Per i funzionari amministratiyi cli nomina regia non vi


]La alcuna disposizione che fissi in termini sacra mentali la formo la
tlel giuramento; ma tuttavia è indiscutibile che il g-inrament.o deve
essere prestato in termini che corrispondano, almeno nei punti t'S-
i'it'UZiali, alla dizione dell'art. 49 dello Statuto, senza alcnna riserva
o limitazione; ed in caso che il funzionario si rifiuti di ginrare 1m-
ramente e semplicemente, deve essere dichiarato decaduto dalla ca-
rica a lui conferita.
li giuramento dev'essere prestato da ogni pubblico ufficiale prima
di assumere l'esercizio delle sue· funzioni; nondimeno non imi> dirsi
('he la semplice omissione di quell'atto per mera traseuranza renda
illegale l'esercizio della carica, salvo il caso di dolo; giacchè il gfo-
ra mento non è per il nostro vigente diritto pubblico una eondizione
essenziale e costitutiva del pubblico ufficio; tanto è vero che ah-
hiamo nella nostra gerarchia amministrat,iva dei veri pubblici uffi-
ciali, come ad esempio i pubblici insegnanti, ai quali non si ri<'hiede
alcun giuramento, e d'altro canto vi sono cittadini dai quali si esige
il giuramento di fedeltà (per esempio i soldati "dell' m;ercito e della
marina) senza che per ciò assumano la veste di pubblici uffieìali. Del
resto nella nostra pratica amministrativa, per una deplorevole negli-
µ;enza dei capi, l'osservanza dell'obbligo del giuramento è spesso di-
menticata fino al punto che in talune amministrazioni il prt>cetto
della legge pui) dirsi ormai caduto in desuetiHline. Ad ogni mollo,
di fronte ai privati, i provvedimenti emessi dal funzionario che non
ha ancora g'iurato conservano la loro piena validità fino a che siano
revocati od annullati, nelle forme di legge, dall'autorità superiore.
La prestazione del giuramento di fedeltà nel diritto pubblico odierno,
a tl:fferenza di quanto avveniva nel diritto feudale, non è più un at,to
di omaggio rivolto alla persona del Sovrano, ma bensì un solenne
impegno assunto di fronte alla sovranità impersonale e permanente
dello Stato; in conseguenza il giuramento prestato ad un Soyrauo
rimane valido anche rispetto al suo legittimo successore, senza dm
oceorra un nuovo atto di. g'iuramento, stante il principio fondamentale
<li 1liritt.o cost.ituzionale rex ·non moritur; onde nessuna ragione di
1lfritto giustifica la consuetwline invalsa presso di noi di richiedere
un nuovo g·iuramento ai deputati e senatori ad ogni passaggio della
corona 1), consuetudine basata, non sn motiYi giuridici, ma soltant.o
sulla <·onvenienza politica per cui si vuole che al solenne giuramento
JH't>stato dal nuovo Sovrano davanti al Parlamento eorrispornla im-

1) :\'ci dn<' pa8s:tggi <lPlla l'orona, <"lre ehh<'ro ltwg" tìnora flopo la pl'<H·larnazio1w
<1<'1 nostro 8tatnto. <"ioè HPll'assnnzionP n.l trono ili Yittorio Em:nrnl'le II P 1]p]J':rt-
tna!" regnante l~mhPrto I. il gi11ra111t'nto <lPi <lPpntnti P dei senatori n'nne rinno,-nto
ll<'lle 8tPsse se<lnte reali (2!1 marzo 18-Hl e HJ g<'1111'1io liii/I) in <"ni il nnon1 Son·nllo
]ll't>...;f(> il sno p;inra1nento.
:~ti2 I l'CBBLICI T.:FFICI E LA <rEHAIWHIA ,UDil:XISTHATIVA

me(liatamente nn nuovo giuramento di fedeltà da parte dei mentl>ri


(lel Parlamento Rtesso. Ad ogni modo è certo che nella nostra pra-
tica amministrativa l'assunzione al trono di un nuovo re non (hì
lnogo alla rinnovazione del giuramento dei pubblici fnnzionari.
Hipetute proposte per l'abolizione del giuramento politico vemtl·1·o
presentate nella nostra Camera dei deputati, ma fnrono sempre re-
spinte con votazioni a fortissima maggioranza 1 ). Simile proposta non
venne mai fatta per il ginramento dei pubblici ufficiali dell'ordine
amministrativo e di quello giudiziario; e noi, senza attribuirt> nu
eccessivo valore morale ad nn atto, che viene éonsiderato cornt> nu
Herio vincolo soltant.o dalle coscienze oneste, le q nali sono pn·l·isa-
mente quelle che ne avrebbero meno bisogno, mentre i disonesti se
ne ridono, crediamo tuttavia che giovi conservare questo istituto,
spogliato, com'è nella nostra legislazione, di qualsiasi carattere rdi-
g'ioso, che vincoli od offenda comecchessia la libertà di coscienza ~).
Xel nostro diritto pubblico manca una speciale sanzione penale
diretta a reprimere la violazione del giuramento politico od arnrni-
nistrativo, quale si ha per il reato di spergiuro commesso in giudizio
cidle o penale '3); e ciò si spiega facilmente con la considerazione
che mentre il venir meno al giuramento politico od annninist.rativo
costituisce soltanto la mancanza ad una promessa o ad un impegno,
per quanto solennemente assunto, nello spergiuro civile o penale
abbiamo invece la voluta e cosciente attestazione di fatti, che il
giurante stesso sa essere insussistenti, ed in questo secondo caso il
(lolo dell'agente è senza confronto più grave. Del resto la maneanza
di sanzione penale non basta certo di per sè a togliere ogni pfficaeia
ad un atto, che nel diritto pubblico ha uno scopo ed nn contenuto
piuttosto morale che giuridico, mirando sopratutto a vincolare (•on
la solennità della forma la coscienza e l'onore del pubblico uftieiale.
Un'altra comddemzione, che deve pure dissuadere, a parer nostro,
dall'idea di sopprimere il giuramento dei pubblici funzionari, !"i è
fomita (lall' esempio degli altri Stati ci vili europei, che non soltanto

1) Vedi }Iancini e Galeotti, op. e !oc. citati.


~) ~el <":tmpo clcl diritto Jll'O<'PRsnale, così in materia civile come in 11111tt-ria penale,
il g·inramento sorse senza <lnhhio snlla ha.se del sentimento religioso, in 'ln:1nto il
giurante l'liiarnava a testimonio la <livinità p<'r avvalorare le proprie affm·1uazio1ii o
lll'omcsse, impre1·ando a. sì' stesso il cast.igo <livino, in enso t!i Hpcrginro (.srrcra1111'11l111n
impreca/io). }fa qnesto carattere religioso e talvolta stretta.menfo confessionali' rlel
g·inramento, che è tuttora consen-ato in a.lcn11e legislazioni o<lierne (per""· l'ingl<.,,e,
la !P<lcsea, l'olaurlese, ecc.) pnìi <lirsi totalmente scom1i:trso nella. legislazioll<' itnlian:t,
in seguito alla legge 30 gingno 1876, la •1nn.le sostitnint alla forrnola religiosa del-
l'art. 226 <lei eo<l. di proc. civ., mm formol:t di ginramento ci,·ile, ehe si :ulattn Pgnal-
lll<'HtP :ti credenti rli 'lnalsinsi confessione religiosn. ed ni non <·redenti, ,e1tza viIH·o-
lm·e menomnmente la lihertà <li coscienza. Consnlt:t in proposito Le8sona. T.,111·ia
delle pi·ove, Yol. II, pag. 6 e st>gg.
:l) Co1l. pen., art. 214- " 221.
llOYEBI l>EI l'UIBLICI Fl"XZIOXAHI 3()3

t'OllO concordi, compresi quelli più ùernocrati<'i (come per esempio


la Svizzera), nel conservare quell'istituto, rna vi annettono una im-
portanza ancora più alta di quella che si :;uol darvi presso di noi.
Il solo paese che fa eccezione alla regola è la Francia, dove eon un
decreto rivoluzionario emesso dal Governo della difesa nazionale in
data del ;") settembre 1840, cioè dal giorno successivo alla caduta
dell'Impero, venne abolito d'un colpo il giuramento politico e quello
di tutti i pubblici funzionari dell'online civile, amministrativo, mili-
tare e giudiziario 1 ).
100. Dopo il dovere della fedeltù viene, secondo per importanza,
il dovere dell'obbe(lienzct agli ordini legittimi dell'autorità superiore;
u1entre il primo di questi due doveri ha un contenuto negativo, in
quanto per esso ogni funzionario deve astenersi dal tradire gli inte-
ressi pubblici a lui affidati, il secondo presenta invece un carattere
positivo, in quanto esige che il pubblico ufficiale nell'esercizio delle
proprie funzioni uniformi la propria condotta all'azione direttiYa dei
superiori. Il precetto dell'obbedienza è una conseguenza necessaria
del principio della subordinazione gerarchica, perchè senza l'obbe-
dienza dell'inferiore al superiore verrebbe meno l'unità organica
'lella gerarchia amministrativa, e l'azione direttiva dello Stato nei
diversi campi della sua attività mancherebbe totalmente di coordina-
zione e perderebbe una gran parte della sua efficacia. All'obbedienza
:;ono tenuti tutti i pubblici funzionari, qualunque ne sia il grado e
l'autorità, non esclusi gli stessi ministri, i quali hanno tale obbligo
verso il Sovrano o capo dello Stato, il solo che non abbia altro su-
periore gerarchico a cui debba obbedire, ad eccezione della legge e
'lella propria coscienza.
}la l'obbligo dell'obbedienza, se riguarda senza eccezione tutti i
pubblici funzionari, non ha però per tutti la medesima portata. Gn' ob-
bedienza interamente passiva, cieca ed illimitata, quale sarebbe quella
'lovuta dallo schiavo al padrone, o dai sudditi ad nn autocrate, ri-
pugna al sentimento dell'umana dignità, il quale non consente che
nn essere pensante e cosciente si renda, al pari di nn bruto, mancipio
e strumento dell'altrui volere, tamq1itim bacnliis et quasi cadm·er, se-
('Oll<lo la celebre regola gesuitica. Perciò nell'ordinamento odierno
(leg'li Stati civili, qualunque sia la forma del governo, ad eccezione
(lei pochi paesi ancora oppressi dall'assolutismo, l'obbedienza nel-
1' ordine gerarchico dei pubblici funzionari si interpreta come un
clovere limitato all'adempimento delle attribuzioni proprie di eiascun

1 ) Qnl'l deereto, uou precednto nè spi<'gato da aknna relazionP, discnssione o

111otiYa.zione, è <"oneepito in ten11ini molto laconici, che rin'lano <"hiarnn1ente la sna


origine riYolnzionaria; esso è così forrnnln.to: « Le GonYernement ile la <léfonse natio-
llale <lf'crèk: Les fonetionnaires pnlilics ile l'or<lre dYil, a<lmiuistratif, milita ire et
j1ulieiaire sont déliés d" tont serment. Le serment politiqne est aholi ».
s1:a 1 PcBB1.1c1 eFF1c1 1, LA <:EHAHc111A A~nux1;;TuATIYA

ufficio; onde non si ammette che nn sn11t•riort>, per quanto elvntto


in grado, fos8e pure lo Htes8o principe, posi-la imporre ad un uffi<'iale
sno <lipendt>nte l'e:-;pcuzione di un ordine del tutto estrant>o alle fn1t-
zioni proprie dell'inferiore stei;so.
Inoltre il pre<'etto speciale dell'oùbedienza gerarchica trova un altro
lirnit,e morale e giuridico auche più importante nell'osservanza <lei
preeetti generali delle leggi di ordine puùùlico e dei bnoni costumi,
giaccliè nessun funzionario sarebbe tenuto ad ottemperare ad nn
tornando diretto a fargli commettere un'azione delittuosa od an('he
semplicemente immorale o contraria alla dignità umana. }fa qui sorµy
una grave difficoltà; a chi si appartiene di decidere se l'ordini'
impartito sia legittimo e morale, oppure illegittimo ed inunornlP 'I
Se questo giudizio spettasse esclusivamente al superiore, che emett.e
il comando, cfo equivarrebbe a privare l'inferiore di qualsiasi li-
bertà di discernimento, ed a renderlo cieco strumento dell'altrui
volontà; se invece si riconosce al comandato la facoltà di valutare
nella propria co8cienza l'òrdine ricevuto, si corre gran pericolo che
l'oùbligo dell'obbedienza perda ogni efficacia pratica, restando su-
bordinato alla facoltà di apprezzamento di chi dovrebbe obbedire.
La prima soluzione si conviene ad un ordinamento di8potico a tipo
militare; ond'è che nel diritto speciale, da cui sono rette le istitu-
zioni militari, troviamo precisamente delle disposizioni le quali san-
cil"cono l'obbligo dell'obbedienza pronta, incondizionata e senza di-
scussione, e puniscono come reato il r~tinto di obbedienzlt agli ordini
di nn superiore. Qualsiasi ragione o richiamo, che il militare creda
di clover opporre al comando ricevuto, non lo dispensa dal cloYere
di obbedire senza veruna dilazione, salvo a presentare in seguito i
proprii richiami alle autorità superiori nei modi prescritti dalle legg-i
e dai regolamenti 1 ) • .Malgrado una formola legislativa così imperio;;a
ecl assoluta cadrebbe in grave errore chi crede8se che in nessun caso
i militari possano rifiutare obbedienza ad un ordine 8Uperiore senza
rendersi colpevoli del reato di llisobbeclienza. Anzitutto vi è il caso
della forza maggime, la quale, quando impedisca l'esecuzione dell'or-
dine anlto, esime l'inferiore da ogni responsabilità come, ad esempio,
qnando il militare eomarnlato ad eseguire un determinato movimento
od a prestare un dato servizio, si t.roYasse per malattia nella. fisiea
imposHibilitù di ottemperarvi. S'intende però che l' impedimento deYP
essere i;erio ed eff:'ettiyarnente insormontabile per le forze clell' indi-
Yidno; altrimenti la seusa non ayrebbe consistenza.
}fa, anche prescindendo dall'ipotesi della 1·is major, che tutto sl·usa·
e g·iustifica, i prineipii fondamentali della ragione giuridiea non l'Oll-
sentono ehe si interpreti tanto rigorosamPnte il dovere militare dd-
1' obùedienza, fino al punto di costringere l'inferiore a commt•ttere

1) Cod. pt•1i. per l'e,cr('ito, art. 11:!; Cod. pP11. mil. marittimo, art. l:iO.
DOVEHI ])El l'l:ll!lLIC! FCXZ!OXAHI

nn'azione delittuo8a 1 ), oppure evidentemente immorale, soltanto


perchè gli viene ordinata da nn 1mperiore. Per i-;pingere fino a qnei-;ta
brutale esagerazione il principio della i-;ul)Ordinazione militare, lJii-;o-
<"1lerebbe ammettere che i militari cei-;i-;ai-;i-;ero di ei-;i-;ere umuini eo-
:cienti e volenti lJer diventare i-;emplici a utorni, nelle mani (lei loro
superiori, quai-;i macchine umane 11tei-;se in moto dalla Yoce del co-
1nandante; ed allora non i-;i potrebbe più ritenere il soldato in aknn
Illodo respon8abile di qualnnqne più enorme mii-;fatto, che egli eorn-
pis8e in i-;eguito all'ordine di un i-;nperiore. Sarebùe questa una eonse-
g·nenza manifei-;tamente a8surda ed incivile, che t,roviamo rei-;pinta
1lall' nnanime con8eni-;o di tutti i pubblicisti odierni; i quali <"orn·or-
dano nell'irn;egnare che il dovere dell' obbedienza gerarchica non
ei-;ime l'inferiore da rei-;pon8abi1Wt, ogniqualvolta si presenti evi-
dente alla coscienza dell'agente la criminosità dell'ordine, perehè
in tal caso egli non è più tenuto ad oùbedire. Di regola l'ordine
emanato dal s~lperiore, a cui l'autorità legittima ha affidato l'eser-
dzio del comarnlo, deve presumersi legittimo; ma questa presunzione
<li legittimità cede di fronte all'evidenza contraria dimostrata in
modo sicuro dalla coscienza individuale dei sottoposti 2 ).
Se adunque il dovere dell'obbedienza gerarchica non è assoluto ed
illimitato neppme nel regime militare, in cui i vincoli della sn ùor-
11inazione e della disciplina sono molto più stretti e severi, a mag-
g;ior ragione dobbiamo riconoscere che non Ri pu(> eRigere un'obbe-
dienza cieca e passiVa dai funzionari dell'ordine civile; i quali,
Rcelti con determinate garanzie d'intelligenza e cli moralità, debùono
possedere, almeno si suppone, maggior coltura, più viva intelligenza
e più esatte nozioni intorno alle attribuzioni dei singoli uffici ammi-
nistrativi ed ai limiti clei rispettivi poteri a).

1) Lo stesso Trilmnale snpr.,mo <li guerra e marina, per •1uanto siasi nwstrnto
se111prn rigido tutore della disciplina rnilit:tre, hn riconosciuta lPgittirna la 11isohlw-
1lienza, qmmdo si chie1la a.I subordinato un fatto delittrn>so. Sentenza 7 <lic<'mbre 18~t),
rie. Cricco (<<in1'i8JJ1'. del Trib ..rnpr. di f/ltel'l'a e 1n1u·i11a, anno 1885, pa.g. 178).
2 ) In questo senso si esprimono lfossi, Traité dc rli'oit pénal, lin·. Il, chap. XIII;

Hanter, Tmité de droit cri mi nel, § 70; Boitanl, Leço1rn ~nr le code pénal (Paris, 18:37),
pag. :3:31 e seg., e ClutnYeau et Hélir, Théorie dn code pé11al (Brnxellt>s, 18-!5),
Yol. I, 11. Hll.
:i) li prof. Orla.IHlo ul'i suoi l'ri1wipii di diritto a111111i11i.,fratiro (Firenze, 18Ul),
11. 169, per risoln're la 1p1istione, se il fnnzionario ahbia o pnr no il <liritto di ""a-
1ni11are se l'or<line del superiore sia o non sia !'onforme alla legge, pro1i01w nn nuoyo
"riterio deeisiYo, secondo il quale tale faeolt:ì spettcrebbL• all' inforiorP soltanto qnanrlo
il giudieare 1ldla lPgalità dell'atto rieutri 11elln sfera di cornpeteuza spettante per
lt•gge all'inferiore stesHo. Con tntto l'ossequio che nhhiamo per 1' illnstre professor<',
il criterio da lui proposto 11011 ci sembra accettahile, per"11è obhlil-(herehhe l' iuferiore
a1l ol1ht>dire ciecamente appunto nei casi in cui gli venisse dato un ordine estraneo
alle sne attri hnzioni; rneutre in questi casi egli- Jrn. pi il ehc mai tutto il diritto, "d
anche il doYcrc, di ritintarsi all'esc<'nzione dcl co11m11do, <prnndo lo crcd:t in snn co-
366 I Pl:llllL!CI {'FFH.:I E LA mrnAIWHIA .UUIIX18THATIVA

S'intende però che un pubblico ufficiale, sia che appartenga alla


gerarchia civile od a quella militare, quando giudichi nella propria
coscienza di non dover ottemperare al comando rivoltogli dal sno
legittimo superiore, perchè lo ritiene illegale od immorale, agiste
sotto la propria responsabilità, e per così dire a tutto suo rischio e
pericolo; perchè, se in seguito l'autorità competente giudicasse ehe
il comando era in vece legittimo e pienamente regolare, in tal caso
nulla scuserebbe l'inferiore dal dover rispondere della sua inobbe-
dienza, e tutto al più si potrebbe ammettere in suo favore una par-
ziale attenuante uel caso che la natura o la forma dell'ordine fossero
tali da iioterlo indurre facilmente in errore circa la legittimità o
moralità dell'atto ordinatogli dal superiore.
Bntro i limiti razionali fin qui accennati, i quali si possono rias-
sumere nel doppio concetto della po.~sibilitù .fisica e morale, l'obbligo
dell'obbedienza gerarchica è comune a tutti i pubblici ufficiali senza
distinzione fra quelli di nomina regia e quelli di origine elettiva,
fra quelli retribuiti e quelli puramente gratuiti. Ciò che costituisel•
la ragion d'essere del dovere dell'obbedienza è la subordinazione
degli inferiori ai superiori, la quale rappresenta la forza di coesione
indispensabile per dare unità di azione e di indirizzo al vasto orga-
nismo della gerarchia amministrativa; e se taluni funzionari, perchè
di nomina elettiva o perchè non stipendiati, andassero esenti dal
doyere dell'obbedienza, cfo basterebbe per rompere l'armonia clw
deve sussistere in quell'organismo, e sarebbe causa perenne di dis-
ordine e di anarchia nella gestione dei pubblici affari. Nè si potrebbe
dire che l'obbligo dell'obbedienza e della subordinazione vincoli in
più forte grado i funzionari stipendiati, vale a dire quelli che hanno
la qualità d'impiegati, che non i funzionari onorari, o più i fn:uzionari
di nomina regia che non quelli i quali derivano il proprio mandato dal
voto dei concittadini. Così gli uni come gli altri sono strettamente
obbligati alla subordinazione gerarehica, in quanto, beninteso, si
riferisca all'adempimento delle loro attribuzioni amministrative. Ad
esempio un sinda('o, funzionario det.tivo e non stipendiato, è tenuto
ad uniformarsi ag'li ordini dell'autoritù governativa (prefetto o soUo-
prefetto) per tutto eii1 che si riferisre all'esercizio delle sue funzioni

scienza dir<'tto n fini criminosi od immornli. l'er <JlUmto l'or<line dato dal s111wrior<· sia
estraneo alla <·ompetenza Pntro eni puù snilgersi il gindizio proprio dell' iuferion>.
non den' mai negarsi a <'ostni In facoltà di <lis<'ernere ed apprezzare con la sna
coscienza la legalità dPll'onliue. S' intewle perii che la facoltà <li <lisuLbi<lirc den•
restar limitata ai casi <li manifesta ingiustizia od inm1oraliti1 dell'atto ordinato; Pd in
ogni caso l' t>sneizio di tale fneoltà an·iene sempre sotto la strdta e pl'l'sonak
responsahilit:ì <lell' inferiori•. La mtig·gion• o minor attitudine <li costni a girnlican·,
anche per ragione <li competenza, della. legnlità dcll'or<li1w, potrà soltanto l'SSt'rP
valutata per <leterminare la resptmsnhilità p<'rsonale <lell' inferiore st<'""' in rPlazio1w
n1l'or(1ine e~wgnito o non eseguito.
l>OYEHI DEI ITHBICI FCXZIONAHI :·lti7

di ufficiale del governo, non meno di quanto vi sia tenuto un uffi-


ciale tlella carriera di puùùlica sicurezza od un funzionario della ('ar-
riera amministrativa. S' intende però che l'obbligo dell'obbedienza
sussiste 80lo in quanto vi sia un rapporto di suùordinazione gerar-
d1ica fra un'autorità. superiore ed un ufficiale inferiore; onde non
pni> parlarsi di un vincolo di subordinazione, nè per consegiwnza di
oùùedienza, fra due uffici, che siano assolutamente eHtranei o indi-
pendenti fra loro. Dove vi è autonomia, non vi pui> essere obbligo
di obbedienza. Così il sindaco come capo dell'annninistrazione comn-
nale non deve obbedienza ai funzionari del Govemo se non nei limiti
del potere di vigilanza affidato a questi funzionari.
101. Terzo dovere di ogni pubblico ufficiale è quello di atternh-'re
alle proprie funzioni con tutta quell'a.tti11·itù, quella d·iligenzri e qnello
zelo, cli cni è capace, adoperando interamente le proprie forze intel-
lettuali e morali per il conseguimento del fine proprio dell'ufficio
che gli è affidato. Anche quest'obbligo, al pari di quelli di cui (•i
siamo fin qui occupati, è comune a tutti i funzionari senza distin-
zione, siano elettivi o di nomina governativa, gratuiti o stipendiati,
ed appartengano all'amministrazione civile o militare, cenkale o
locale.
Pur troppo un falso concetto molto diffuso presso di noi fa sì elte
l'obbligo dell'attività zelante nell'adempimento delle proprie attri-
buzioni viene interpretato con molto minor rigore, quando si t.ratta
di cariche non ret,ribuite. Non occorre dimostrare quanto sia erroneo
e dannoso un siffatto modo di considerare le pubbliche funzioni,
quasi fossero una sinecura od un semplice titolo d'onore, quando
non vi sia annesso un emolumento a favore di chi le riveste; mentre
in realtà qualsiasi ufficio pubblico costituisce nn alto mandato <li
fiducia dato dalla sovranità a taluni cittadini con lo scopo diret,to
del benessere della comunità. Lo stipendio, lungi dal costituirt• un
elemento essenziale del pubblico ufficio, non ne è che una acchkn-
talihì, un accessorio, e nulla aggiunge alla solennità dei doYeri ine-
renti all'ufficio ste8SO; onde, sia o no stipendiato, il pubblico funzio-
nario, pel solo fatto di aver accettato il mandato offertogli, i-> t0nnto
a clisimpegnare scrupolosamente i suoi doyeri d'ufficio, senza ('he la
gratuità <lella carica, per quanto possa sembrargli onerosa, Yalg·~1
ll1t:•norna111ente a scusarne la negligenza.
Xon è per(J da credere che ad un pubblieo fnnzionario debba
l'ssere a8solutamente Yietato di applicarsi a qualsiasi altra atfrdtù
all' infnori delle attribuzioni proprie del suo ufficio; giaeehì.• se, dopo
HYer pienamente soddisfatto alle esigenze <lell'uffi('io, il fnnzionario
t.roya tempo e forze sufficienti per attendere ad altre opere, pnr('ht•
leeite ed oneste, qnesta sua mag·giore attidM non sarù ehe nn lw1w
l 1pr lni stesso e. per la societù, alla qnale acereseerù ('Oll!O(li o
Yant,aggi.
;{t)8 I !'CllBLICI l:FF!Cl E LA GE!tARC!llA A)DI!XJSTHA'J'!VA

Il divieto (li esercitare arti o professioni lH~i> eHsere imposto dalla


leg·ge pm1itiva ai funzionari, Hpecialmente se retribuiti, quaIHlo si
presn1trn che l'esercizio abituale di altra occupazione debba nuo<·<·i·l·
al :-;erdzio pubblico col (listrarre troppa parte <lell'attività individnall'
(lel fnnziouario, oppure tale divieto Hi fondi sopra ragioni <li ineo 111 _
patibilità morale fra la carica pubblica e l'esercizio <li determinah·
arti o profes:-;ioni 1 ). Siffatti divieti ,;ono maggiormente g'instifìeati
111rnrnlo si tratti di pubblici ufficiali retribuiti, perchè in questo <"aso
si deve supporre che lo stipendio basti per fornire al funzionario i
mezzi <l'una decorosa sussistenza; meno gilrnti e meno opportuni sa-
rebbero in vece, quando fossero applicati a funzioni gratnit,e, perehè
renderebbero in tal caso impossibile l'esercizio delle cariche onorm·ip
a tutti coloro che vivono del proprio lavoro, sotto qualsiasi forma,
e farebbero di tali uffici un monopolio dei ricchi.
lO:J. V osservanza del 8egreto d' 1~fficio è pure un dovere di tutti i
pubblici funzionari, in quanto la rivelazione delle notizie da loro
ani te per ragione cl' ufficio o degli atti o provvedimenti emanati o
(la emanarsi dagli uffici stessi possa riuscire dannosa allo Stato rnl
all'interesse pubblico od anche semplicemente lesiva dell' interessp
o <lell' onore dei privati cittadini. Il pubblico ufficiale ehe Yioli senza
giusta causa il segreto d'ufficio è punito a mente dell'art. rn;1 dd
Codice penale, e quando si tratti di segreti politici o militari, eon-
cernenti la sicurezza dello Stato, si applica la pena molto più grave
:,;tabilita dall'art. 107 dello stesso Codice; gfacchè in questo secondo
caHo la violazione del segreto d'ufficio assume il carattere di tradi-
mento. Indipendentemente da queste sanzioni penali, la violazione
del segreto d'ufficio costituisce sempre una mancanza disciplinare,
che può dar luogo ai relativi provvedimenti a carico del funzionario
colpevole "). La ginsta cansci, che può autorizzare il funzionario a

1) Così per ciò che rignarcla i fnnziouari dell' Amministru.zioue centmle dello Stato.
il rPgolauiento 23 ottohre 1853 (art. 97) ]lreHcrive che essi non poHsono accettar<'
I' iucn.rico di altre incombenze o servizii, a meno che il :MiniHtro Yi cousenta, clopo
rieonosciuto che eii> Hi:t couciliahile coll' iutcressc dello Stato e col servizio ohJ,Jiga-
torio. Analog:trneute l'art. 211 clel regolamento 4 maggio 1885 per l'amministrazione
" contabilità g·enerale dello Stato vieta agli a,genti, che hanno carattere di nftieiali
pnbhliei, l'esercizio di lJH:tlsiasi ufficio, professione, commercio od industria, sa.ho
chP Yi sieno autorizzati clal ~Iinistro competente.
L'art. rn della legge 8 ginguo 1874- dichiara incompatibile la professione di av-
\'Oca.to con qnalnnquc ufficio 011 impiego pnbblico non gratuito, tranne quello di
professore <li diritto o di scienze momli, storiche e filologiche nelle nniversit:\ o
nei licci 011 altri istitnti pubblici del regno, o cli segretario delle Camere <li ('O!ll-
mereio, o <li segretario co11rnm1le nei Comnni con popol:tzioue non superiore ai
diecimila abitanti. Egnale incompatibilità stahilisce l'art. 43 della stessa legge fra
Ja. professione cli procnmtore legale e gli uftici pubblici retribuiti.
2 ) Il citato Regolamento llel 23 ottobre 1853 contempla l' iuoss~rYanza Llel se-

greto imposto negli affari <li seryizio come nna delle canse che possono <lar lnogo
DOYEHI DEI PCBBLICI FC:'IZIO:s'AHI 86[)

rivelare i segreti <l'ufficio, può consistere anzitutto in un ordine


<lella legge, come ne porge esempio la disposizione dell'art. 101
clel Codice di procedura penale, che impone ad ogni autorità ed
oµ;ni ufficiale pubblico l'obbligo di denunciare al procuratore del He
i crimini o delitti, di cui venga a conoscenza nell'esercizio delle
proprie funzioni. Anche l'ordine legittimo dell'autorità superiore pnò
clispensare il funzionario dall'osservanza del segreto 1 ) •
. Quanto all'estemiione che debba darsi al concetto del segreto cl'uf-
ticio, è chiaro che non qualsiasi notizia o informazione relativa agli
affari d'ufficio riveste l'importanza di un segreto; ma tali possono
dirsi soltanto quelle che per l'indole delicata della materia che con-
cernono, come per esempio i provvedimenti e le informazioni in ma-
teria di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria, o per speciali
circostanze di tempi o di luoghi, come ad esempio le notizie militari
in occasione di guerra o di rivolgimenti interni, non possano venir
propalate senza compromettere in qualche modo l'efficacia dell'azione
amministrativa o senza danneggiare gli interessati od i terzi. In ogni
caso il segreto diventa strettamente obbligatorio per il funzionario,
quando gli sia inculcato in modo espresso dall'autorità superiore,
come quando gli sia imposto da qualche speciale disposizione di
legge o di reg·olamento 2). L'obbligo di mantenere il segreto perdura
naturalmente ancora dopo che il funzionario è uscito d'ufficio; giacchè
anche in questo caso la propalazione dei fatti da lui conosciuti nel-
l'esercizio delle sue trascorse funzioni potrebbe dar luogo agli stessi
pericoli ed inconvenienti, come se la rivelazione provenisse da un
ufficiale tuttora in carica; onde non v'ha dubbio per noi che le
penalità comminate dalla legge (Cod. pen., citati articoli 107 e 1G3)
contro la violazione del segreto commessa dai pubblici ufficiali si ap-
plicano egualmente a carico degli ex-funzionari, per la stessa ragione
che a favore dei pubblici ufficiali functi o.fficio si applica la speciale

alla rivocazione clegli impiegati (art. 89, IL 3). Eguale pe1rn disciplinare troYiamo
comminata dal successivo regolamento del 24 ottobre 1866 (art. 30, n. 3), contro
l'impiegato che propali dolosamente i provvedimenti dati o le informazioni an1te.
I) In questo senso l'art. 88 del citato regolamento 23 ottobre 1853 vieta agli
impiegati di propalare i provvedimenti emanati dal }linistero, senza l'autorizzazione
<le] :\Iinistro o del Segretario generale (ora Sotto-segretario di Stato) oppure del Di-
rPttore generale.
:?) ])eve quindi ritenersi vietato ai membri dei Consigli o Collegi amrninistratiYi
<li rivelare il inoprio o l'altrui voto, qua1Hlo si trntti di deliberazioni, per le quali
la legge prescrive la. votazione in forma segreta, come per es. la legge com. e prov.,
te~to unico 10 fehùraio 1889, ·all'art. 250.
Similmente è vietato ai componenti del Consiglio di Stato di far conoscere il
nome clel relatore incarica.tu dell'esame di un determinato affare, o di da.r copia- o
l'.onrnnicazione dei irnreri emessi dal Consiglio stesso, se non dietro consenso per
iseritto clel }linistro interessato (Regolamento pel Consiglio di Stato, approntto con
R. Decreto 17 ottolire 1889, art. 26).
3i0 I l'l:BllL!VI CFFIVI E LA (~EHAIWHIA A~DIIXI:-THATIVA

tntela giuridica contro qualsiasi offesa od ingiuria, ehe loro possa ila
altri recarsi per cause derivanti dal cessato esercizio del potere 1 ).
È grave quistione se il vincolo del segreto d'ufficio valga a di-
spensare i pubblici ufficiali dall'obbligo di fare testimonianza in gi,1-
dizio direa i fatti da loro conosciuti nell'esercizio delle proprie attri-
buzioni. Due interessi sociali di primaria importanza si tronmo
qui in diretto conflitto; da una parte vi è l'interesse della giustizia,
il quale esige che ogni individno si presti a contribuire con le pro-
prie cognizioni di fatto al raggiungimento dello scopo che giustizia
sia fatta, ed è questo un obbligo stabilito dalla legge per tutti, siano
cittadini o stranieri, e sancito con pene comminate ai trasgressori
(Cod. pen., art. 210); ma dall'altra parte sta l'interesse della puh-
blica amministrazione, che non consente si propalino al pubhlieo,
sia pure sotto la forma di deposizione in giudizio, fatti segreti, la
cui rivelazione possa recare pubblico nocumento, oppure eornpro-
rnettere l'ordine pnbblico e la sicurezza della patria. Per risolvert>
questo grave conflitto sarebbe necessaria una espressa disposizione 11i
legge, quale si trova in altre legislazioni 2 ), ma la nostra ne manca;
oncl'è che la patria giurisprudenza si vide costretta a ricorrere, st>b-
bene in materia di tanta gravità, ad una interprt>tazione estensiva,
estendendo ai pubblici ufficiali in genere la disposizione contenuta
nell'art. 288 del Codice di procedura penale, che dispensa gli avvo-
cati ed i procuratori, nonchè i medici, chirurg:hi ed altri esercenti la
professione sanitaria dall'obbligo di deporre in giudizio eiò che loro
risulti in seguito a rivelazioni o confidenze ad essi fatte da coloro
che ricorrono alla loro assistenza 3 ).

1) In questo senso una legge specinle llell' Impero germanico, in !lata 31 mar-
zo 18i3, dispone test1mhuente: « Il funzionario deve 11mntenere il segreto, nuche
dopo aver eessato di essere fnnziomtrio, Ani fatti venuti n sun conosceuzn n moti n1
delle sue fnnzioui, e che denmo essere tenuti segreti, sia per la loro natura, sia
per ordine de' snoi snperiori wmirchiei ».
2) Ln stessa legge germanicn stabilisce ancorn: « Il fn11zionnrio dae rifi11tar1· lli
deporre soprn i fatti che si llevono tener segreti, a meno che non nbhia nn'antoriz-
zazio11c speeinle da' snoi l'api o, Hl' più non è fnuzionario, da 11nelli che sarehhcro
snoi capi, se egli a\·esse consen·nto le fnnzioni !'he Psercitava qn:mclo eessi> <li f:tr
pnrte de 11' annniuistrazione ».
:l) In questo senso ahhimuo nna sentenza <lella Cori<' di <'>tssazione di :Milano, i11
<lnta 16 giugno 1864, rie. Rnssn ed altri (Cii111·i8pr. ital., 1864, !'ol. 872) ed un'altra
<lel Trib. correzionale cli Roma, del 21 marzo 1879, in cansa Dobelli e Pnhhlico :\!i-
nistero c. Colacito e Cherubini (Ll'f/f/1", 1879, park I, pag. 261). In questo se<"ornlo
caso si trnttn.,·a (lel ~liniBtro dell'interno, Gionmni l\il'otnn, il cprnle, <'ssemlo stato
ehinmato a clPpOIT!' l'OJUe tt·ste tli aeensa in nn proet>dirnento penale, si ritinti> cli
rispondPre, per('hè si tmttnva di fatti e eircostanze relati\·e all!' sne funzioni di :\li-
nistro. Gio,-a riferire cp1i la per~piena e t·onYincente n1otiYazione di qtwlln sentenza:
« In online all' inci11Pnte sollevùto clalla difrsa cklla pnrte t·i,·ile>, Jl!'l'('hè il testi-
monio harone Giovanni Nicott>ra hn. clichiarnto cli non rispornlPrP alla (limall(la fat-
DOVEIU DEI Pl:llllL!UI FUXZIOXARI 371

Se non che a questa interpretazione estensiva si potrebbe obbiet-


tare che quell'articolo del nostro Codice processuale ha soltanto in
Jllira la tutela dei segreti privati o di famiglia, e non riguarda punto
i segreti pubblici, vale a dire quelli che si riferiscono allo Stato ed
alla pubblica amministrazione; che, in altri termini, quella disposi-
zione è diretta a garantire la libertà e la sicurezza dei rapporti es-
senzialmente fiduciari, che intercedono fra i difensori ed i loro clienti
0 fra i sanitari ed i loro assistiti: ma non ha nulla che vedere coi
rapporti tra i pubblici funzionari e gli enti amministrativi, da cui
essi dipendono. Siffatta obbiezione non sussisterebbe; gfa.cchè anzi-
tutto nel ripetuto art. 288 debbono ritenersi compresi i segreti con-
fidati ai pubblici ufficiali dai privati, di fronte alla formola compren-
l"iva, che ivi si legge « ed ogni altra persona, a cui per ragione del

ta.g-li snlla snssisternm o meno di essersi la parte ci vile Do belli presentata ('On mia
Commissione di opern.i ·ad esso teste 'Jlmle Ministro dell'interno, e nel caso a1l fi('-
ceunare i fatti e rapporti intercessi fra loro; invocandosi dal medesimo il disposto
dell'art. 288 cotl. Ili proc. pen., nnicamente per non creare precedenti.
« Considern.to che il suindicato ùis1rnsto di legge accenna ad nn divieto d1e,
tanto 11er le leggi romane come pel moderno diritto, risale ::i,d una caus::i, d' ordinP
pubblico, ::i,llo scopo di non scemare quella fiducia illimitata e quell'autorità ehe
debbono godere, pel piìt ampio e libero esercizio delle funzioni, certe determinate
persone, le 11nali vengono in cognizione Ili alcuni fatti per ragione del loro uitìrio;
e1l è per ciò che siffatta sanzione è p1we estesci ai pnbblici fuuzionai·i, come lo dimo-
strano anche le parole usate dalla legge coll'accennare « ad ogni altra persona, a
cni per ragione del suo stato o dell:1 sna professione od u.tficio, sia fatta confi-
denza, ecc. ».
« Considerato poi che, trattn.ndosi di funzionari pubblici, l' interpret:tzione da
{farsi alla riferita disposizione non deve restringersi al caso soltanto che il fotto Hll
cni sono chiamati a deporre sia a1l essi affidato come segreto, ma deve estendersi
anche :i, f[uei fatti ehe nell'esercizio delle loro incombenze vengono a conos<'ere e
che per ragioni d'ordine pubhlico e per gli obblig-hi dPl proprio nfficio devono tener
segreti: altrimenti verrebbe meno a siffatti fnnzi01mri quella sicnrtà che è loro ne-
cessaria per liberamente ed autorevolmente esercitare le importanti attribuzioni loro
<lPmandate, e che si collegano coll'interesse pubblico.
« Considerato che in ordine all'apprezzamento, se i fatti e le circostanze, sn cni
<letti testi sono interrogati, siano di natura tale Ila. rilen1re nn segreto; come insegna
fa <lottrina ri gnardo ai medici etl av,·ocati, si osse1Ta che, trattandosi specialrnentl'
non ili im fatto puro, semplice ed isolato formnlato già nella 1lomandn, ma di fatti
<·umplt•ssi da s\•olgersi e conoscersi a seconda <lel risultato della deposizione <la farsi,
è iutnitiYo che il giudizio relativo 1lehba rimettersi esclusivamente alla coscienza P1l
alla probità del teste, che sotto il vineolo del prestato giuramento col proprio cri-
tPrio valnterà se il complesso ed il leg-arne intrinseco dei fatti e 1lelle C'ircostnnze sn
('lli dovrebht> deporre sia tale che pre8tarnlosi a ciii veng::i, n. compromettere la cleli-
C'atezza del proprio nfficio ed n. nuocere nll' intteresse pubblico riYclando nu segn•to:
111e11tre che, se al teste non si lasciasse si!fat.to s0Yra110 apprezzn111P11to, ma si 11e-

111a11dasse al magistrato, sarebbe necessn.rio l'he questi, per farsi nn esatto critf'rio.
<lin·esse g-ià conoscere tutto lo svolgimento rlelJn. <lPposizione, e qninfli dovrf'hhe
~·rnttanto ohhligarsi il teste a rispondere; locchè vPrl'PhhP n.Jlora a rPIHlPr<' illusorio
I] snncl'ennato diYieto dalla Jt.gge sanzionato ».
372 I PUBBLICI UFFICI. E LA GERARCHIA A)DIIXISTRATIVA

suo stato o della sua professione od o:tficio fu fatta confidenza di


ttualche segreto ». :Nia anche i segreti d'ufficio propriamente detti
quelli cioè che interessano direttamente la pubblica amministrazio11 e'.
possono m;sere considerati in certo modo come confidenze fatte al
funzionario dall'autorità superiore; e ciò basta a giustificare piena-
mente, a parer nostro, l'estensione dell'art. 288 a tutti i segreti di
nfficio.
Del resto, quand'anche mancasse nel diritto positivo qualsiasi di-
sposizione di tal genere, le supreme ragioni dell'interesse pubblico non
consentirebbero in vernn modo che per dimostrare l'innocenza o la
reità d'un imputato o, meno ancora, per dirimere una lite civile insorta
fra privati, si compromettesse irreparabilmente con inopportune riw-
lazioni la sicurezza della patria o si mettesse in pericolo l'ordine pub-
blico od anche semplicemente si menomasse la libertà di azione delle
autorità amministrative o l'efficacia dei provvedimenti da essa ema-
nati. Quale assurdità politica e giuridica sarebbe il negare agli in-
teressi pubblici quella garanzia di inviolabile segretezza che fin dai
tempi più antichi tutti i legislatori hanno accordato agli intereHsi
professionali dei medici e degli avvocati! Come si potrebbe logica-
mente dare maggior importanza e concedere maggior tutela ai segreti
riguardanti gli affari dei privati o delle famiglie che non a quelli
dello Stato e della pubblica amministrazione~ 1).
]fon è quindi possibile mettere in dubbio la facoltà che hanno
tutti indistintamente i pubblici funzionari di ~stenersi dal deporre
in giudizio, sia civile o penale, circa fatti e ci costanze, di cui ab-
biano avuto cognizione nell'esercizio delle loro funzioni o per causa
di esse, ogniqualvolta a giudizio degli stessi unzionari o dei loro
superiori gerarchici quei fatti o quelle circostanz'e costituiscano segreti
d'ufficio, da non poter essere propalati senza danno pubblico o senza
ledere ingiustamente gli interessi dei privati. Diciamo facoltà, perchè
l'apprezzamento circa il carattere segreto dei fatti, su cui un fun-
zionario sia chiamato a deporre, deve essere di necessità rimesso al
cl} terio dello stesso funzionario: onde non si potrà dal giudice re-
spingere la testimonianza che egli si dichiarasse disposto a pre-
stare; allo stesso modo che il difensore forense e l'esercente l'art.e
salutare sono sempre ammessi a deporre, quand'anche si tratti di
fatti da loro conosciuti nell'esercizio della professione: poichè la
legge, ben lungi dal dichiarare il medico e l'avvocato, e così pure
il pubblico funzionario, incapaci cli fare testimonianza, ha soltanto
inteso cli accordare loro una dispensa, della quale sono liberi di va-

1) I commentatori del nostro Codice <li proc. penrrle sono concorùi nel ricono-
s<'ere che la disposizione dell'art. 288 si estende anche ai funzionari pubblici per
l'osservanza clel segreto d'ufficio. Consnlfa i commenti di Borsani e Casorati, voi. Il,
~ 723, e del Salnto, voi. III, n. 985.
DOVEHI DEI Pt:BBLICI Ft:XZIOXARI 37::i

Iersi o no, secondo i suggerimenti della propria coscienza indivi-


duale 1).
S'intende però che la facoltà del funzionario di comparire a deporre
coine teste circa fatti relativi al suo ufficio trova un limite nell'ob-
blig·o di mantenere il segreto d'ufficio sancito dalle disposizioni di
legge, che abbiamo sopra richiamate (articoli 107 e 1G3 del Codice
penale); il che vuol dire che il pubblico ufficiale, ove sia chiamato
a deporre sn fatti concernenti le sue funzioni, ha bensì facoltà di
annuire alla richiesta dell'autorità giudiziaria, quando stimi, secondo
il suo prndente e coscienzioso discernimento, che i fatti, i quali
debbono formare oggetto della sua deposizione, non costituiscano
srgreti d'ufficio; ma in ogni caso dovrà poi rispondere, sia in via
disciplinare davanti ai propri superiori gerarchici, sia in via penale
davanti ai tribunali, se in realtà con la sua testimonianza avrà rive-
lato fatti o notizie che rivestissero quel carattere di segreti d'ufficio.
In altri termini, il giudizio sulla segretezza o no dei fatti, su cui
verte la prova testimoniale, è bensì rimesso alla coscienza indivi-
duale del funzionario, per la semplice ragione che qualunque indagine
11reliminare dei giudici snlla natura dei fatti costituirebbe già di per
sè una violazione del segreto; ma l'esercizio di questa facoltà (li
discernimento ha luogo sotto la stretta responsabilità personale
dello stesso funzionario; il quale, se vorrà premunirsi contro ogni
possibilità di cadere in errore nel suo apprezzamento, potrà pruden-.
temente rivolgersi in via preventiva all'autorità superiore per cono-
scere se debba o no astenersi dal deporre, in omaggio al segreto' di
ufficio. Se l'autorità interpellata dichiarerà che nulla osta per parte
sua a che il pubblico ufficiale presti la testimonianza di cui è ri-
chiesto, non occorrendo mantenere il segreto sui fatti, che ne deb-
bono formare oggetto, in tal caso l'ufficiale stesso potrà liberamente,
anzi dovrà, presentarsi a deporre, senza tema di incorrere in alcuna
reiìponsabilità, purchè beninteso nella ima deposizione non rilevi
altri fatti o notizie di carattere segreto, all'infuori di quelli, su cni
era stato autorizzato a testificare.
Se invece l'autorità superiore, vuoi in seguito a consiglio richiesto
dallo stesso funzionario, vuoi in seguito ad informazione avutane per
altra via, avesse espressamente inibito al suo dipendente di presen-
tarsi a fare t~stimonianza circa determinati fatti o notizie cl'ufficio,
sn cui, a parere dell'autorità stessa, debba serbarsi il segreto, nulla
Potrebbe scusare la responsabilità del funzionario, che, disobbedendo
al divieto, comparisse tnttavia a deporre.
10:~. Oltre questi doveri principali o fondamentali, di cui si è fin
qui discorso, vale a llire la fedeltà, garantita dal relativo ~duramento,

1) Vedi in questo senso il cit:i.to commento del Salnto, n. 980.


:n .j. I PCBBLICI l:FFICI l' LA GEHAHCHL\ A~DUXll;THATIV A

l'obbedienza gerarchica e la diligenzci ed cittivitcì nell'esercizio 1lelle


proprie attribuzioni e l'osservanza del se,qreto d'1iffe.cio, che costitni-
scono obblighi necessariamente comuni a qualunque categoria tli
pubblici ufficiali, senza distinzione tra funzionari civili o militari,
elettivi o di nomina regfa, stipendiati o gratuiti, temporanei o per-
manenti, vi sono poi ancora taluni obblighi accessori, speciali ]Jer
talune categorie di funzionari. :Non parliamo qui dell'obbligo della
bnona condotta, perchè se questo si riferisce al contegno del funzio-
nario nell'esercizio delle sue attribuzioni, rientra nel dovere dell'ob-
bedienza gerarchica od in quello dell'attività e diligenza; se poi ri-
guarda la condotta fuori di ufficio, non si può sotto questo aspetto
considerare in senso proprio come un obbligo speciale del pubblieo
ufficiale, selJbene la cattiva condotta in privato possa dar motivo a
provvedimenti disciplinari a carico del funzionario.
Fra gli obblighi speciali di talune classi rli funzionari dobbiamo
però ricordare il dovere della residenza, che spesso viene imposto ai
funzionari stipenrliati, sopratutto quando si tratti di uffici che richie-
llono la presenza continua della persona che ne è investita, quali
sono in special modo gli uffici militari, quelli giudiziari 1) e quelli di
polizia; l' ob 1Jligo di far uso di un vestito iiniforme, o in permanenza,
come è stabilito per gli ufficiali dell'esercito, o soltanto nell'atto di
esercitare le funzioni del proprio ufficio, come per i magistrati del-
1' ordine giudiziario; il divieto imposto ai medesimi ufficiali, così
dell'esercito di terra come della marina militare, di non contrarre
matrimonio senza il regio assentimento, che si accorda soltanto
quando concorrono nei due sposi determinate condizioni di età e di
possidenza 2 ); l'obbligo di prestare ca.iizione, a cui sono soggetti tutti
indistintamente quei funzionari che hanno maneggio di denaro pulJ-
lJlico, sia in entrata che in uscita, o tengono in custodia od in con-
segna beni della pubblica amminist.razione 3 ).
)la di tutti questi ed altri doveri speciali sarà più opportuno di-
scorrerne nelle singole trattazioni speciali riguardanti i rispettivi
rami di amministrazione, bastandoci in questa monografia generale
sui pubblici uffici l'aver parlato degli oblJlighi comuni a tutti gli
ufficiali, onde si compone la vasta gerarchia amministrativa.

I) Legge snll'ordinamento giudiziario 6 1lieembre 1863, art. 13.


2) Per gli ufficiali dell'esercito legge 2.J. dicembre 1896, 11. 55.J., col relath·o re-
golamento del 31 gennaio 1897, Il. 118; per quelli della marina la legge dell'8 ln-
glio 1897, n. 234.
3) Legge snll'auuninistrazionP e eontahilit:ì generale dello Stato, testo uui('o
l i fobbraio 188.J.. art. 65; e relativo regolamento .J. maggio 188'5, art. 229 e seguenti.
J>IHITTI DEI l'CBBLIC! l"FFICIALI

§ '.!. - Diritti clei zmbbl-ici 1ttjìcùtli.

)';o)DlAHIO. - 10.!. Potestà ili comando e potere llisciplinnre. - 105. Conl'orso e1l
assistenzll 1lella forza pnbblica. - 106. Tutela 1lello Stato. - 107. Distiuzioni
onorifiche. - 108. Rimborso delle speHe sosteunte per cnusa dell'ufficio.

104. In conseguenza del rapporto giuridico sinallagmatico, che in-


tercede fra gli enti di pubblica amministrazione ed i loro rappre-
sentanti o funzionari, se derivano da un lato obblighi e doveri a
carico degli steHsi rappresentanti o funzionari, sorgono altresì d'altro
lato diritti speciali a favore di q nesti. Come abbiamo già dichiarato
ripetutamente, noi q ni prescindiamo del tutto dai rapporti di diritto
privato che si presentano commisti a quelli di diritto pubblico, in
quanto l'assunzione di una carica possa costituire una locazione
(l'opera; noi qui studiamo il funzionario soltanto come un organo
individuale della volontà collettiva giuridicamente organizzata, senza
(listingnere se la funzione, a cui tale organo adempie, sia assunta
gratuitamente o mediante retribuzione. Lo studio dei rapporti con-
trattuali fra gli enti amministrativi ed i pubblici ufficiali nonchè
tutti gli altri agenti addetti al servizio degli enti stessi deve for-
mare oggetto di un'altra teorica speciale, assolutamente autonoma,
che sarà quella sullo stato degli imp·iegati.
Ciò premesso, è facile osservare che dal punto di vista puramente
pubblicistico, i diritti dei pubblici funzionari si riducono in sostanza
all'uso di quei mezzi che sono necessari per il pieno adempimento
delle attribuzioni loro affidate. Quindi diritto primo ed essenziale di
ogni funzionario è l'esercizio del .f1ts iniperii nelle forme e nei limiti
propri del suo ufficio 1). Scomparsa oggidì la distinzione fra l'impe-

1) Xel diritto romano, secondo la genuina t'.ostituzionc monarchica e reJIHbhli-


"'ma, si distinguent l' imperinin dalla semplice potestas; il primo, che mpprPscntaYa
nn pntere politico <liscrezionale non soggetto ad :tlcuna limitazione, snl,·o easi ec-
t'PZimrnli (per es. la p1·01:ocatio ad pop1tln111), spettava soltanto al magistrato supremo,
•·ioè in origine al solo re, p, più tardi, sotto la repnhblica, ai consoli ell ai magi-
str:tti consolari, in seguito al solo imper:itore: esso <·omprernleva essenzialmentt: il
comando militare ( i1nperi1111i in senso stretto), la ginrisdizione civile e penali·, e il
•liritto ili arresto. La potestas, che spettava di diritto a tutti i nmgi-itmti lH'l fatto
solo della loro nominn ell assunzione in ufficio, c011tpre111lPYa facoltit meno estese,
ristrPtte al campo pnramente anuninistrativo. Dopo Diocll'ziano, scouqmrno ogni
\"Pstigio 1lel regime repubblicano, potestas ell i111pel'i11111, eoncentraiulosi nelle mani
•l1·ll'nntocr:tte, persero ogni significato e valore 1lift'erenzin.le; es' intro1lusse in cmnl1io
la nno,·a 1listinzione fra il mcl'lllli i111pel'i11111 co11sistPnte nel 1liritto ili infliggere lH'ne,
•·ompresn. 11nella di morte, detto anchej11s r1ladii, ed il mixt1un i111pel'i11111, che ah1.1rac-
1·ia,·n soltnnto facoltit minori. Consulta in proposito: )JornmsPn, Romischfs 8taaf81'echt,
Yol. I, pagi1w 2.!-27 " 59-72; Eigenhrollt, De ma[JiNtrat1111m romn1101·11111 jurilmH, Lip-
:n6 I l'GIIIILICI UFFICI E LA GEHAIWHIA A~DHXISTHATIVA

rimn e la potestas, che stava a base della originaria costituzione ro-


mana, nelle legislazioni odieme i poteri dei pubblici ufficiali 8ono
regolati in modo strl'ttamente corrispondente alle funzioni loro a,;-
segnate. Ciò significa che le nostre leggi positive determinano sempre
con maggiore o minor precisione, quali :-;iano le facoltà, di cui i fun-
zionari possono valersi nell'adempimento del loro mandato. Qne,,;tl\
facoltà sono un'emanazione del potere sovrano nella forma esecutiva
che per l'art. 5 del nostro Statuto fondameut,ale spetta esclusiva-
mente al re ed agli ufficiali da lui nominat.i. Ma, come abbiamo giù.
osRervato altrove 1 ), la formola troppo a8soluta ed esclusiva con:-;a-
crata dalla nostra Carta costituzionale non esclude che una parte del
potere esecutivo pos,,;a essere, com'è realmente, affidata ad altre an-
toritc\ di origine non regia, ma popolare. Infatti non si pu(> negare
che i funzionari dell'amministrazione locale, i cui poteri derivano
direttamente dal voto dei cittadini elettori, adempiono vere e proprie
funzioni di carattere esecutivo ed esercitano una potestà d'imperio
autonoma e indipendente dalla potestà governativa, salvo i limiti
della vigilanza e della tutela; tanto è vero che ai Com uni· si rico-
nosce la facoltà di tenere alla propria dipendenza esclusiva nn corpo
armato per l'esecuzione coattiva dei provvedimenti di polizia mu-
nicipale.
r~a potestà del comando comprende in Rè il potere discipli.nare, che
è il mezzo con cui i pubblici ufficiali nei rapporti interni della ge-
rarchia possono assicurarsi l'obbedienza ed il rispetto dei funzionari
e degli agenti loro subordinati. Dei limiti di questo potere e delle
norme che ne regolano l'esercizio diremo nel prosRimo capitolo, trat-
tando della responsabilità disciplinare dei pubblici funzionari.
105. In virtù del potere esecutivo, di cui sono in rn,,;titi i pubbliei
ufficiali, i provvedimenti e gli ordini da essi emanati nella sfera delle
ri8pettive attribuzioni rivestono sempre il carattere di nn comando
coattivo, a cui i privati debbono obbedienza,. ed in caso di rifinto o
di resistenza, :-;i rirorre ai mezzi coercitivi mercè l'impiego della forza
pubblica. Per regola generale qualunque funzionario incontri osta-
colo o resistenza da parte di uno o più cittadini all'attuazione di
un :mo ordine ha diritto ad invocare l'assistenza della forza pub-
blica organizzata, e non soltanto dei corpi armati specialmente de-
stiJrnti al servizio della polizia amministrativa, quale è il eorpo
delle guardie di città con quello <lei reali earabinieri, ma altresì delle
truppe di terra e di mare, la cui missione diretta e principale è la
dife8a della pat,ria contro i nemici eskrni. La facoltà di disporre

siae, 1875; e Lamlncci, Sfuria. del diritto romano, n>l. I, ~ U2 e segg. Vedi anche il
n. 29 della presente rnonografin., oYe n.bbi amo eHposti in ria~sn n to i potPri propri i
dPll' imperin1n e qnclli <lelln potestas nel diritto romano.
1) Ve1li il n. 6·1 della presente monografia.
DIRITTI DEI l'CllBLIGI CFFICIALI 377

(lella forza pubblica propriamente detta, cioè dei corpi armati di


polizia, e di richiedere all'autorità militare l'intervento della milizia
trovasi espres~mmente riconosciuta dalle nostre leggi ai prefetti di
provincia 1 ) ed agli ufficiali di pubblica sicurezza che agiscono sot,to
la direzione del ·Ministro dell'interno 2 ); ma ciò non esclude che tutti
in generale i pubblici fnnzionari abbiano diritto di riehiedere l'as-
sistenza della forza pubblica per l'esecuzione dei provvedime11ti e
degli ordini da loro emanati, almeno, in quei casi in cui l'urgenza
del prov\'edimento non consente dilazione e renderebbe pericolosa
all'ordine pubblico la disobbedienza dei privati. Tale facoltà di ri-
chie<lere la cooperazione della forza pubblica spetta non Aoltanto ai
funzionari governativi, ma anche a quelli d'origine elettiva, e, senza
parlare del Hindaco che fnnziona da ufficiale di polizia giudiziaria
nei Comuni ove non risiede un ufficiale di pubblica Hicurezza 3 ), un
altro esempio ce ne porge la legge elettorale politica 4 ), la quale at-
tribuisce al presidente del seggio elettorale il diritto esclusivo di
disporre della forza armata per la tutela dell'ordine e della legalità
dei comizii.
106. Oltre all'assistenza e cooperazione della nictnns militaris, che
rappresenta nella forma materiale la potestà coercitiva dello Stato,
i pubblici ufficiali hanno ancora diritto alla tutela dello Stato me-
desimo contro qualsiasi attacco, che possa loro mnoversi a causa
dell'esercizio delle funzioni ad essi affidate. Questa tutela dello Stato
VPrso i suoi funzionari assume una doppia forma, in quanto la legge
da un lato reprime con determinate pene le ingiuste offese, di cui i
funzionari possono essere vittime per cause inerenti al loro ufficio
(tntela penctle) e dall'altro lato limita con talune prerogative giuris-
dizionali la facoltà dei privati di chiamare i funzionari a rispondere
in giudizio dei loro atti d'ufficio. Di queste due forme di garanzia
accordate ai pubblici ufficiali discorreremo più opportunamente in
due paragrafi successivi. ·
107. Qui accenniamo appena ad altri diritti accessorii dei pubblici
fnnzionari, ed anzitutto alle clistinz·ioni onor{fiche, il cui scopo non è
altro che qnello di rilevare esteriormente l'ufficio ed il grado g<>-
rarchico di ogni Aingolo funzionario o di servire come segno per ri-
chiamare gli inferiori ed i cittadini all'ossequio ed all'obbedienza.
Per la gerarchia militare, come per quella giudiziaria, che sono le.
due più strettamente organizzate, i regolamenti speciali stabiliscono
1·011 minuziosa precisione i distintivi proprii di ciascun grado e le

1) Legge com. e proY., ttrt. 8.


"l Legge 21 dicembre 1890, sngli nftkiali ell agt·nti ili pnhhlica sicnrezza,
nn. l e 40.
a) LPgge preddta, art. 6.
') Testo nnico, 28 mnrzo 1895, art. 58.
3i8 I PCBBLICI t:FFIC! E LA GEHAHCHIA .UDII:XISTilATIYA

forme di ossequio esteriore dovnte dagli inferiori ai superiori. Yi ha


poi il regio decreto 19 aprile 1868 il quale regola, sebbene in modo
non più del tutto rispondente agli ordinamenti attuali, F ordi11e
tlelle precedenze tra le varie cariche nelle presentazioni ufficiali
alla reggia e nelle pubbliche funzioni. I personaggi compresi nelle
prime quattro categorie della graduatoria portata dall'art. 1 di qnel
<lecreto, hanno il titolo di Grandi U.tfiziali dello Stcito e godono il
trattamento di Eccellenza (art. () del decreto stesso).
(~uanto alle onorificenze cavalleresche dei due ordini nazionali,
quello cioè dei SS. l\Iaurizio e Lazzaro e quello della Corona cl'Italia,
è da osservare che q neste distinzioni personali, destinate a ricom-
pensare le pubbliche benemerenze, non costituiscono un diritto per
i funzionari, sebbene sia consuetudine costantemente osservata in
tutte le nostre a!llministrazioni di concedere determinate onorificenze
ai funzionari che coprono uffici di grado elevato 1).
108. Come nel campo del diritto privato il mandante è tenuto a
rimborsare il mandatario delle antidpazioni e delle spese che questi
ha fatto per l'esecuzione del mandato (cod. civ., art. 1753), così nel
tliritt.o pubblico, per la stessa evidente ragione di equità, i pubblici
funzionari debbono essere fatti indenni di quanto abbiano do,·nto
spendere del proprio a vantaggio della comunità nell'esercizio del
loro pubblico mandato; e ciò indipendentemente dal compenso che
t'lia loro dovuto eventualment.e a titolo di stipendio o di retrilm-
zione, come corrispettivo dell'opera da loro prestata; del quale com-
penso qni non ci occupiamo. Il diritto del funzionario al rimborso
delle spese effettivamente incontrate nell'interesse pubblico non può
disconoscersi, sebbene manchi nella nostra legislazione una disposi-
zione generale che lo consacri 2 ). Tale diritto deve però interpretarsi
in senso rigorosamente restrittivo, in quanto il rimborso deve esseri:'.
limitato alle sole spese di incontestabile necessità o per lo meno di
evidente utiiità fatte nell'interesse della pubblica amministrazione;
gfacchè è da presumersi che a tutti i bisogni pubblici si debba <li
regola, e salvi casi eccezionali, provvedere coi fondi appositamente
stanziati nei bilanci preventivi degli enti amministrativi, e nelle
forme prescritte per la relativa contabilità.
Qnando il legislatore ha previsto il caso che un funzionario, re-
tribuito o no, possa andar soggetto a spese per l'adempimento dplle
sue attribuz:ioni, ha :·mmpre avnto cura di assegnargli una conveniPnte

1) Il R. decreto 20 febbraio 1868 ennmem le diver~e categorie dei pnhhliti fnn-

zionn.ri, che hanno qualità per poter rieevere detPrminn.te onorif\tot>nze nell'Ordini'
mauriziano, ma dichiara esplicitamente che nè il gr:ulo nè l'anzi:11Jit:ì d:ìnno 1liritto
:ul nna nomina o promozione canilleresca.
~) L'art. 238 tlelln. legge comunale e 111·0,·inciale (testo unico 10 febbraio 188!1)
stabilisce tale diritto pei c01rniglieri 1lelle amministmzioni locali.
TCTELA l'EXALE llEI Pi-IIIILICI CFFIC! 37H

somma a titolo di ·indenn-itù d'1~1ficio, la qnale rappresenta precisa-


mente il rimborso della spesa cui si presume il funzionario debba
:-;ottostare. Tale indennità può essere determinata sotto la forma di
assegno fisso annuale, come per i prefetti e per i sindaci, oppure
:-;otto la forma di gettone o medag·lia di presenza per ogni adunanza
collegiale a cui il fnnzionario interviene, come per i membri della
(·riunta provinciale amministrativa 1 ), od infine sott.o la forma di in-
dennità di viaggio e di diaria per ogni giorno, in cni il funzionario
debba trovarsi, per rag'ione d'ufficio, fuori della sua residenza ordi-
naria; ma in ogni caso conserva sempre· il sno carattere, che non è
di compenso o di retribuzione per opera prestata, ma soltanto ili
rimborso della spesa effettiva che il pubblico ufficiale abbia dovuto
sostenere per mettersi in grado di attendere alle fnnzioni, che gli
sono affidate.
Se poi, anzichè di spese incontrate dal funzionario per mettersi
in grado di disimpegnare le sue attribuzioni, si tratta di somme da
lui anticipate del proprio per provvedere ad un servizio o ad un
bisogno pubblico, in tal caso saranno applicabili i principii che re-
golano il rimborso delle spese dovute a chi abbia spontaneamente
assunto un pubblico ufficio; giacchè nel nostro presente ordinamento
amministrativo non è mai compreso fra gli obblighi dei funzionari quello
di anticipare di propria borsa le spese occorrenti ai pubblici servizi,
le quali debbono sempre essere prelevate dai fondi di bilancio; onde
se, in un caso d'urgenza, che non consenta l'indugio delle forme
contabili, o per altri motivi, come sarebbe per momentanea deficienza
di fondi nella cassa dell'amministrazione, il funzionario creda per sua
spontanea volontà di anticipare del proprio la somma occorrente, nel
fare ciò egli si rende spontaneo assuntore di un servizio pubblico, P va
quindi soggetto alle norme, 'clie regolano siffatto istituto giuridico, e
ehe vennero già cla noi esposte nel corso della presente monografia 2 ).

§ 3. - T1ite/.ci pencile dei pnbbUci 1~1fici.

So~DIAHIO. - 109. Concetti generali. - 110. Usurpazione dei pubblici uftid o dP!le
loro insegne. - 111. I reati di Yiolenza pubblica e di radunata Hecliziosa. -
112. La ribellione. - 113. L'oltraggio ai singoli funzionari ecl alle autorità col-
lettiYe. - 114. Diritto tli resistenza agli n.rbitrii ed abusi di potere. - 115. Ex-
ceptio i:e1·itatis nella tlitfamazione contro i pnhblici funzionari. - 116. Aggrnnmte
generica nei reati a danno dei pnbhli!'i ufficiali.

10!). 11 mezzo più diretto e più efficace, a cui può ri_correre il le-
gislatore per proteggere l'e~ercizio 1lelle pubbliche funzioni l'Ontro

1) LPgge com. e prcff., testo unic·o 10 fohhraio 188H, :H't. 10; e relatiYo rPgola-

lllento 10 giugno 1889, art. lG.


~) Vedi retro, n. 62.
380 I Pl'IIBLICI l'FFIGI E LA GEHARCHIA A)DlIXISTHAT!VA

i violenti at,tacchi dei privati, consiste nello stabilire determinate san-


zioni penali a carico di chi si rende colpevole di siffatti attentati.
Giù, nel diritto romano le ingiurie od offm;e recate ai magistrati re
mit ·nerbis Bi consideravano come aggravate in riguardo alla condi-
zione e dignità della persona offesa: personci atrocior inj1wfo jìt, 11t
qmwi magistratui jiat 1 ); ed in co1rneguenza di tale aggravante il giu-
dice era autorizzato ad aumentare la pena secondo le circostanze del
caso. La ragione di questo aggravamento era, al dire di un antieo
giureconsulto, qiwd i1~jnria illcttlt magistmtiii censetiir illata ipsi prin-
cipi 2); la quale' formola corrisponde ancora perfettamente al concetto
del diritto odierno, giacchè le offese recate ai pubblici ufficiali in
tanto si puniscono con speciali aggravamenti di pene, in quanto esse
violano i diritti della sovranità, ostacolando il pieno e libero esercizio
dei pubblici poteri.
Il principio fondamentale da tenersi sempre presente in questa ma-
teria dei reati commessi a danno dei pubblici funzionari è che la
tutela della legge non mira punto a creare una condizione giuridica
privilegiata alle persone dei funzionari, facendone in certo modo una
casta sociaie dominante, a somiglianza degli antichi feudatari, ma
soltanto a difendere le pubbliche funzioni nelle persone di coloro
che sono chiamati ad esercitarle in nome del potere sovrano. Da
questo principio deriva come immediato corollario che la tutela pe-
nale protegge non soltanto il funzionario nell'attualità del suo ufficio,
ma anche quello uscito di carica; giacchè anche il magistrato 11mnere
functus può andar soggetto ad ingiusti attacchi per motivi inerenti
al trascorso esercizio della carica, e d'altra parte i pubblici ufficiali
durante la loro permanenza in carica, non potrebbero attendere a
compierne i doveri con tutta la libertà d'azione e l'energia necessaria,
se Bi sapessero esposti senza sufficiente difesa alle postume aggressioni
dei malcontenti dopo la loro scadenza d'ufficio. È questa la regola,
che troviamo categoricamente sancita nell'art. 208 del nostro codice
penale, secondo cui tutte le volte che la legge considera la qualitù
cli pubblico ufficiale come elemento costitutivo o come circostanza
aggravante di un reato, perchè commesso a causa delle funzioni da
esso esercitate, comprende anche il caso in cui il pubblico ufficiale
più non rivesta tale qualità o non eserciti più quelle funzioni nel
momento in cui il reato è commesso. Questa disposizione, come ve-
dremo a suo tempo trattando della responsabilitù penale dei pubblici
ufficiali, si applica non soltanto a favore dei funzionari, ma anche a
loro carico, in quanto un ex-funzionario possa rendersi colpeYole di
un reato per canse inerenti alle sue cessate funzioni.

1) L. 7, ~ 8, Dig. de i11j111'iis; e I1rnt., lih. JY, tit. I\", ~ 9.


2) :\Ienocchio, De arbitrarii8jndicinin quaestio11ib11s et cansis, <pwst. 103, un. 197-188.
'ITTEJ,A PEXALE DEI Pt:HBLICI t:FFJCI 381

110. La protezione accordata dal codice penale ai pubblici funzio-


nari ha carattere non già personale, ma a8solutamente obbiettiYo,
essendo diretta alla difesa, non della persona, ma dell'ufficio da eHsa
ri \~eHtito; tanto è vero che la legge tutela penalmente le funzioni
pubbliche anche senza considerarle personificate negli individui che
le rappresentano, e perfino contro i funzionari 8tessi, in quanto questi
tlopo essere scaduti dalla carica continuino arbitrariamente ad eser-
citarne le funzioni 1 ). L'usurpazione ilei pubblici uffici, vale a dire
l'indebita assunzione o l'indebito esercizio di una funzione pubblica
(li 41ualsiasi natura, elettiva o di nomina diretta, civile o militare,
per parte di chi non ne sia stato investito dalla competente autorità
nelle forme di legge, è punita, tanto se commessa da un privato,
quanto se commessa da un pubblico ufficiale, il quale eserciti un'at-
tribuzione che non gli competa, salvo il caso che la spontanea as-
:;unzione del pubblico ufficio sia giustificata da circostanze di urgente
necessità o di evidente utilità pubblica, secondo le regole che ab-
biamo gfa altrove esposte 2 ).
Anche la semplice usurpazione delle insegne, dei distintivi o
ilei titoli di una carica è punita dalla legge 3 ), perchè se fosse lecito
a chiunque mostrarsi in pubblico accompagnato dalle insegne o fre-
g'iato dei distintivi, che per i regolamenti amministrativi, od anche
soltanto per consuetudine, costituiscono la manifestazione esterna
dell'autorità, ciò sarebbe causa di gravi inconvenienti, potendo (lar
luogo ad equivoci e fornir mezzo e pretesto a reali abusi ed effettive
usurpazioni di potere, senza considerare che i segni distintivi ces-
serebbero di aver qualsiasi valore come tali dal momento stesHo che
se ne potesse far uso da chiunque.
111. L'offesa più grave che può incontrare un pubblico ufficiale
nell'esercizio delle sue funzioni, e q nella che più interessa l'ordine
pubblico, consiste nella violenza diretta ad impedire la libertà cli
azione del funzionario stei;;so col costringerlo a fare o ad omettere
contro la propria volontà un atto inerente al suo ufficio. La violenta
coartazione dell'autorità, qualunque sia il mezzo adoperato per con-
seguirla, sia cioè mediante l' impiego della forza fisica o materiale,
armata o no, sia mercè la forza morale, ossia l' intimidazione o la
minaccia, costituisce sempre una diretta violazione del principio di
autorità; onde viene giustamente repressa dalla legge con gravi
pene 4 ). Le forme che può assumere il delitto di violenza pubblica
sono diverse; infatti, o la violenza avviene prima che il pubblico
nfficiale emani l'ordine od intraprenda l'atto del sno ufficio, ipotesi

l) Cod. pen., .art. 185.


2) Vetli retro il n. 62 della presente monografia.
3) Cotl. pen., art. 186.
•) Co(l. pen., art. 187-198.
;)8:J I PUBBLICI T:FF!CI J<; LA GEHARCHIA A~DIIXIWI'HATIVA

prevista dall'art. 187 del cod. pen.; oppnre la violenza sussegue al-
l'atto del fnnzionario ed il suo autore ha in mira di sottrarsi all'ese-
cuzione della legge, all'obbedienza dovuta all'autorità. In questa se-
conda ipotesi che è quella della ribellione o resistenzci configurata
dall'art. 190 dello stesso codice, la forza privata assume semplice-
mente un'attitudine di resistenza passiva e, per dir così, difensiya;
mentre invece nel primo caso il pri,-ato tende ad imporre positiYa-
mente la propria volontù su quella della legge, costringernlo il rap-
presentante dell'autorità ad agire in un determinato modo. La se-
conda forma di violenza, vale e dire la semplice ribellione, il più
delle volte è l'effetto di improvvisa det.erminazione, contemporanea
all'ordine del pubblico ufficiale; la prima invece, ossia la ris pttblica
propriamente detta, deriva quasi sempre da un disegno preordinato
del colpevole, che mira pei suoi fini particolari a sovrapporre la
propria volontà a quella del pubblico ufficiale ed a vincolarne prenn-
tivamente l'azione, sia in senso positivo, sia in senso negativo 1).
In conseguenza la prima forma di reato presenta una gravità morale
di dolo ed una temibilità politica molto maggiore che la seconda;
e ciò spiega come la pena comminata dalla legge sia più seYera.
Infatti, mentre per la vera e propria violenza è stabilità la reclu-
sione da tre a trenta mesi, che poi col concorso di speciali cir-
costanze aggravanti può salire fino al massimo di quindici anni, la
semplice ribellione o resistenza è punita con la reclusione da uno
a due anni, ed anche nell'ipotesi della maggiore aggravant.e non
può mai oltrepassare il massimo di sette anni.
La tutela penale dei pubblici nffici contro le possibili imposizioni
della forza privata deve applicarsi non soltanto a favore degli nf:.
fici singolari, quali sono di regola quelli appartenenti al cosidett.o
tipo burocratico, ma altresì a favore degli uffici collegiali; giacchè
anche questi, sebbene abbiano per proprio còmpito, non già l'e-
secuzione dirett.a dei provvedimenti amministrativi, ma la sernpliee
deliberazione, abbisognano essi pure di una piena libertà di azione;
gfacchè qualunque Yiolenza o minaceia estranea, che ne impedisse
o turbasse le adunanze, ponendo ostacoli alla libertà. di discussione
e di voto, costituirebbe una pericolosa violazione dei principii, sn
cui riposa l'ordinamento amministrativo. È percfo che il nostro co!liee

1) Sni eritrri <listintiYi fra la semplice 1·ibellio11e o resist+•nza all'antorità p la


Yel'll e propria riulenza pnbblica consulta: Carrara, Pro!Jra111ma del cur8o rii diritto cri-
minale, parte speeiale, Yol. Yl, \i§ 3031-303J; e Borciani, Dei reati di l'ibellio11c e
l'iole11za pubblica, pag. 76, 77; Xiecolini, (J11e8tio11i di diritto penale, Yol. I, pag. :2J9;
Pessina, Ele111e11ti di diritto penale, Yol. III, ~ 275: Pomotloro nel Fol'o ifa!., 1884,
parte II, col. U e segg.; Stazzone nella Leygc, 1885, Yol. II, pagine 647-648; Cn".
<li Homn., 23 maggfo 1888 (Lerme, 1889, Yol. I. pag. 16J) e Cass. pen. 1111iea, 11 giu-
gno 18fl0 (Ivi, 1890, Yol. II, pag. 1!17) e :22 aprile 1891 (Iri, 1891, Yol. II, pag. 60:3).
'ITTELA PEXALE nEI PCBllLlCI t:FF!Cl

(art. 188) parifica alla violenza pubblica propriamente detta, e pu-


nisce con egual pena, il fatto di chi usi violenze o rninaccie per i111-
pt•tlire o turbare le adunanze o l'esercizio delle funzioni di un corpo
gintliziario, politico od amministrativo o de11e loro rappresentanze o
di altre autorità, di uffici o tli istituti pubblici, ovvero per influire
sulle loro deliberazioni.
l danni, che derivano dalla illegittima coartazione della volontù
di un'assemblea deliberante, sono di tanto maggiori d1e quelli na-
scenti dalla violenza usata a singoli funzionari isolati, di quanto la
funzione del deliberare è più importante che quella dell'eseguire.
Pertanto il nostro legislatore, volendo benanco prevenire gli atti
preparatori diretti a menomare la libertà dei collegi deliberanti, ha
considerato (cod. pen., art. 189) come reato di per sè stessa la sola
radunat,a di dieci o più persone, le quali si propongano l' intento di
imporsi ad un corpo o collegio legalmente costituito, esimendo peri>
da pena coloro che fanno parte dell'adunata, quando questa si sciolga
alh1 prima intimazione dell'autorità. Questa figura di reato, che nella
dottrina prende il nome di radmuita sed·iz-iosa, ha un carattere più
formale, che reale, e sussiste per il semplice fatto che dieci perso1w
raccolte insieme, sia per caso, od in seguito a concerto preventin1,
manifestino in modo non equivoco l'intendimento di volersi imporre
all'assemblea. Quando dal contegno delle persone adunate traspare
palesemente la loro intenzione sediziosa, ciò basta perchè il reato
debba già ritenersi consumato, quand'anche nessuno dei turbolenti
abbia peranco proferito alcuna minaccia o commesso alcun atto di
violenza; perchè in questo caso ci troveremmo di fronte all'altra
figura di reato, ancora più grave, della vera e propria violenza
pubblica ad un corpo collegiale, prevista dal precedente art. 188. La
peua stabilita per la radunata sediziosa è della reclusione da un
mese a due anni; e quando sia commessa facendo uso di ar111i, la
reclusi01ie va dai tre mesi ai tre anni.
112. Come abbiamo testè accennato parlando dei caratteri, elu-'
distinguono la violenza pubblica dalla semplice ribellione, quest'ul-
tima forma di reato, meno grave della prima, si presenta eome im
atto di violenta resistenza all'azione del pubblico ufficiale. Soggetto
attivo della ribellione possono essere soltanto i l)l'ivati, onde giu-
stamente fn definita una lotta di prùvati cittadini 1 ); giaed1è le Yio-
lente collisioni, che possono talvolta insorgere fra nn pnhlJlieo uf-
ficiale ed un altro in ordine all'esecuzione cli nn in·ovvedimento
dell'autorità, od all'applicazione pratica delle leggi, potranno eostituire
eventualmente altre figure delittuose (per esempio se t·onnnesse fra
militari di grado diverso, il reato di in.rnbonlinnz·ione: oppure fra

1) Carrara, op. cit., n>l. Y, ~~ 27+1 c 275G.


384 I PCBBLICI CFFICI J<; LA GBRARCHIA ,DDIIXISTBATIY A

funzionari civili il reato di abiiso di aiitoritcì), ma non potranno 111ai


essere considerate come atti di ribellione, i quali presuppongono
come elemento costitutivo la rivolta della forza privata contro l' a n-
torità sociale legalmente costituita. Con ciò non intendiamo dire the
una persona, per il solo fatto che rivesta la qualità di pubblico nt:..
ficiale, non possa in nessun caso rendersi responsabile di ribellione;
poichè all'infuori di quanto si attiene all'esercizio delle proprie fun-
zioni il pubblico ufficiale non è che un privato qualsiasi, soggetto,
al pari di tutti gli altri cittadini, all'osservanza di tutte le leggi e1l
al rispetto di tutte le autorità. 11 funzionario, come tale ed in quanto
tale, non può mai rendersi colpevole di ribellione; ma come sem-
plice cittadino lo può benissimo, al pari di chiunque altri 1). In altri
termini, come bene osserva il Borciani 2 )i in fatto di ribellione tleve
c01rniderarsi come privato colui il quale nel fare violenta oppo:si-
zione all'esecuzione di un atto di giustizia o di un provvedimento
amministrativo agisca come individuo e non già quale persona ri-
rnstita di pubblica autorità, per quanto la persona stessa rive8ta
contemporaneamente, ma sotto altri rapporti, la qualifica di pubblico
funzionario; come, per spiegarci con un esempio, nell'ipoteRi di un
prefetto o di un sindaco che si rivoltino contro gli agenti della
forza pubblica nell'atto in cui qne8ti procedono al loro arresto in
flagTanza di furto o di omicidio.
Soggetto passivo del reato di ribellione possono essere non sol-
tanto i pubblici ufficiali, ma altresì coloro che richiesti da un pub-
blico ufficiale gli prestino assistenza nell'esecuzione di un atto o
provvedimento d'ufficio. Ognuno, sia cittadino o straniero, è tenuto,
per disposizione di legge a prestare il proprio aiuto o servizio, ogni-
qualvolta ne sia richiesto da un pubblico funzionario in occasione
di tumulti o di calamità o per l'arresto di delinquenti in flagranza
di reato; e chi contravviene a tale obbligo di solidarietà sociale è
punito con ammenda (cod. pen., art. 433). È quindi giusto che a
questo dovere imposto ai privati di concorrere con la propria opera
all'adempimento di un pubblico servizio corrisponda una tutela spe-
ciale della legge, che valga a difenderli contro le offese, a cui po;,;-
sono facilmente trovarsi esposti a causa del servizio obbligatorio ad
essi richiesto, specialmente trattando8i dell'arresto di malfattori. Cfo

1) Si è qnestio1rnto a questo proposito se il militare che resiste violentemente

agli agenti della forza. pnlJblica debba ritenersi rcspousaùile del delitto di resis.tenza
a senso del c0<l. pen. comune, <li competenza dei t.riùnnali ordinari, o non piuttosto
del <lelitto di resistenza alla forza arnmta preveduto dall'a.rt. 120 del cod. pen. lwr
l'esercito e dall'art. 14-1 del cod. pen. militare marittimo, di competenza dei trilrn-
nali militari. Consulta in proposito lo studio di Pietro Vico nella Rivista penale,
Yol. XIX, pag. 212-225.
") Op. cit., pag. 35.
TCTELA PEXAJ,E DEI PUBBLICI CFFICI 385
spiega perchè nell'art. 190 del cod. pen. il privato che dietro ri-
chiesta di un legittimo rappresentante dell'autorità interviene perso-
nalmente in un atto o servizio pubblico, è parificato allo stesso pub-
blico ufficiale, agli effetti della tutela contro gli atti di ribellione. Ma:,
si noti bene, la richiesta del funzionario per ottenere l'intervento del
privato è condizione indispensabile per far sì che costui possa go-
dere di questa tutela; onde chi spontaneamente, cioè senza esservi
invitato dai competenti ufficiali, si assumesse l'esecuzione di un atto
di autorità o la cura di un interesse della comunità, non avrebbe
alcun diritto ad invocare in suo favore la tutela speciale di quel-
l'articolo del cod. pen., e le violenze che venissero commesse a suo
tlanno a causa delle funzioni da lui assuntesi di propria iniziativa,
non potrebbero mai costituire il reato di ribellione 1).
Quanto all'elemento materiale del reato in questione, è da osser-
vare che non si deve confondere la semplice disobbedienza con la
ribellione; colui che dagli agenti della forza pubblica o da un pub-
lllico ufficiale è intimato a fare una qualche cosa e vi si rifiuta, sia
pure protestando vivacemente, non commette alcuna violenza nè
impedisce al legittimo rappresentante del potere di eseguire la sua
missione; egli oppone agli ageti una forza del tutto inerte e pas-
siva; onde non si può dire che commetta alcuna violenza, vuoi con
vie di fatto (violenza materiale), vuoi con minaccie (violenza morale)
diretta ad impedire l'esecuzione dell'atto di autorità. Per la stessa
ragione non sarebbe imputabile di ribellione chi colla fuga o con la
destrezza cercasse di sottrarsi all'ordine dell'autorità, per esempio,
all'arresto. Inoltre è da notare che la violenza del ribelle dev'essere
rivolta contro la personct del pubblico ufficiale o del privato che a
~ma richiesta gli presti man forte; onde non potrebbe punirsi come
ribellione un atto di violenza esercitato sopra le cose, salvo che
questa non sia che un mezzo per far violenza alla persona, come
sarebbe arl esempio nell'ipotesi di chi sbarrasse la via orl interrom-
pesse i mezzi di comunicazione per impedire al pubblico ufficiale
1' adempimento dei suoi atti d'ufficio.
L'uso della violenza o della minaccia non costituisce ribellione se
non quando avvenga nell'atto stesso in cui il pubblico funzionario
esereita le sue funzioni, perchè se fosse anteriore si avrebbe l'altra
figura giuridica più grave del reato di violenza pubblica, di cui ah-

1) _.\..ltroYt>, trattaiulo della speciale fignr:t ginri!lica consistente nella spontanea


a~sunzione <lelle pubhliche funzioni da parte di prh·ati (Yedi il n. 62 della pre-
sente monogratia), ahbiamo giit dimostrato che allo spontaneo assuntore cli tali
fonzioui non spetfa e non deve spettare alcuna prerogatiYa di autoritit nè di di-
fesa penale, neppure quella prevista dall'art. 396 del cod. pen., ehe aggmva la
penalità dell'ingiuria, <pumdo sia connnessa contro mm pernona legittimamente
incaricata di nn puùhlico servizio.
386 I l'CHBLICI l:FFICI E LA (iEHAHCIUA A)DIIXI~THATIVA

biamo poc'anzi parlato; se invece fosse posteriore, non avremmo l'ltP


un reato ordinario di lesione personale o di minaccia, seeornlo il
modo di violenza adoperato, con l'aggravante di essere conunes,.; 0
contro un pubblico ufficiale, a causa dell'esercizio delle sne fun-
zioni. Del pari, trattandosi di priYati, che siano ri<"hiesti di prestar
aiuto agli agenti o funzionarii, la violenta resistenza 1liyenta puni-
bile come ribellione soltanto se commessa nel momento in cui i pri-
vati coadiutori prestino effettivmnente la propria opera sotto idi
ordini dell'ufficiale, da eui furono richiesti. Xon importa dpl resto
se l'ufficiale, a cui siasi usato violenza, rivestisse o no la diYisa o
portasse visibilmente i 1listintivi del suo ufficio o 1lel suo grado;
basta che l'autore della violenza conoscesse la qualità ufficiale della _
persona ehe aveva di fronte, perchè il dolo specifico della ribellione
sussista in tutta la sua pienezza.
Se poi chi oppose violenta resisteuza, allegasse a sua 1liscolpa di non
aver conosciuto la qualità del funzionario o, pur conoscernlola, affer-
masse Ili aYer crednto in buona fede che l'atto, a cui esso attendeva
non fosse un atto del sno ufficio, siffatte scriminanti non dovranno
essere accolte con facilità, dovendosi richiedere dal colpevole una
prova piena e convincente della sua buona fede, ehe valga a di-
struggere la presunzione di dolo militante a carito di chi ba resistito
violentemente. È poi appena necessario di aggiungere elle, sebbene
la lettera della legge nel ripetuto art. mo del cod. pen. parli sol-
tanto del pubblico ufficiale, mentre adempie i dm:eri del proprio
ufficio, la .tutela particolare stabilita da quella disposizione sta a ga-
rantire qualsiasi atto di ufficio che si compia dai pubblici funzio-
nari, benehè non abbia origine in nn Yero e proprio obbligo del fun-
zionario, ma costitnisca semplicemente l'esereizio d~ una sua facoltà
o di un potere discretiyo conferitogli dalla legge. Tutti gli atti che
si compiano da un pubblico ufficiale nell'esercizio delle sue funzioni
sono, od almeno si presumono fino a prova contraria, unicamente
rivolti al bene pubblico, e <"Ostituiscono sempre l'esercizio dei poteri
affidati dall'autorità al suo rappresentante; e meritano quindi tutti
eguale protezione contro le violente resistenze, ehe possono in<"on-
trare nella loro esplicazione.
Al pari della violenza pnbbliea prop1famente 1letta, la ribellione
si considera qualificata ed è punita con maggior seYeritù quando sia
commessa, anche da un individuo isolato, facendo uso di armi, op-
pnre preyio concerto ed in riunione di oltre einque persone, se ar-
mate, rnl oltre dieei persone, se disarmate 1). Altra eirC'ostanza ag-

1) A propo~ito della riùt>llioue qnnlitìcatn non possiamo appro,·are la ginrisprn-

denza, tlelln nostra Cassazione penale, nè in quanto ritiene ehf' l'nso tli sassi o pio:tre
scagliate l'ontro i rappresentanti tlell'nntorità costitnisl'a riùellio1w a ma110 annata
(sentenza 10 febbraio 1893, Legge, 1893, ,-o!. I, png. 313). nè in qn:mtn afferma eltP
'ITTELA PKN"ALE DEI PLllBLICI t:FFICI 387

gravante eomnne ai due reati di violenza pubblica e di ribellione ed


a quello della radunata sediziosa è quella prevista dalla legge a
carico di coloro che nelle forme collettive ili siffatti delitti siano
stati cap·i o promotori della rivolta; costoro, ai quali giustamente
si fa risalire la maggior parte di responsabilità stante il dolo tutto
speciale da cui sono animati nel delinquere, vengono puniti con un
a~:gravamento di pena da un sesto ad un terzo (cod. pen., art. 193).
rna circostanza attenuante speciale è ammessa dal nostro legisla-
tore partendo da un giusto riguardo all' istinto innato in ciascun
uomo della propria difesa personale e dei proprii congiunti; onde
si comiiderano con minor severità gli atti <li resistenza, quando siano
diretti a sottrarre all'arresto sè stesso od un prossimo parente 01l
affine nei limiti stabiliti dalla legge (cod. pen., art. 191), vale a dire
senza limitazione di gradi fra ascendenti e discendenti, e fino al terzo
gra<lo <li parentela o di affinità in linea collaterale (fino agli zii e
nipoti).
Di una scriminante totale, che è comune non soltanto a tutti i
reati fin qni esaminati, cioè alla violenza pubblica, alla radunata se-
dizimia ed alla ribellione, ma anche all' oltraggio, diremo fra poco,,
dopo aver parlato di quest'ultima figura di reato.
113. Mentre le sanzioni penali testè esposte sono rivolte a garen-
tire più direttamente il libero e sicuro esercizio delle funzioni pub-
bliche nell' interesse dell'amministrazione, e concernono soltanto in
modo indiretto le persone dei funzionari, la figura giuridica del reato
di oltragg-io mira alla immediata tutela dell' integrità personale dei
funzionari, sotto il doppio aspetto fisico e morale. Qualsiasi affronto
che da altri si rechi re aut verbis ad un legittimo rappresentante
dell'autorità, in sua presenza ed a causa delle sue funzioni, è con-
siderato dalla nostra legge non soltanto come una ingiuria od una
lesione ordinaria aggravata dalla qualità di ufficiale rivestita dalla
vittima e 1lal movente di rivolta all'autorità, <la cui è spinto l' a-
gente, ma viene eretto a fignra gimi1lica ili reato speciale per sè
stante, il rpato di oltraggio.

a costituire l'altra aggTanmte del concorso di piìt persone sia necessario il pre,·io
concerto soltanto nell'ipotesi della riunione di oltrf' die<'i persone senz'armi, ma non
in (111ella della riunione di cinque persone eon arrni (sentenza 20 ottobre 1892, Cas-
sazione nnica, y()]. IV, col. 119). La prima massima i> inammessibile; perchè non si
]n1i> sostenere che i sassi siano armi, senza Yiolentare grossolanamente il significato
(lella parola anni, quale risulta dal linguaggio comune e dalla deiiniziouc data dallo
stesso codice penale (art. 155). La seconda poi ha contro di sè le esplicite dichiara-
zioni emesse in seno alla Commissione reale di reYisione e coordinazione del <'odit·P
(seduta del 6 marzo 1889), dalle quali risulta ehe l' inciso pr1'i·io concerto si Yolle ri-
ferire ad ambedue le ipotesi preced1mti, 1·ioè tanto a quella dellrt riunionP di piì1
di dnque persone armate, quanto a quella. della riunione di piì1 di died personP
S<·nz'armi. Queste osservazioni Yalgono ari.che per il reato di riolenza pubblica, a C'Ui
;;i applieano le identiche qualiiiche aggraYai1ti.
888 I Pt:BBLICI t:FFICI ~; LA GERARCHIA ,DDHXISTRATIVA

Dalla formola legislatiya (cod. pen., art. 194) risultano chiari gli
estremi del delitto in parola. Soggetto attivo di esso può essere,
come già osservammo dianzi per i reati di violenza pubblica e di
ribellione, non soltanto il privato, vuoi cittadino o straniero, ma
anche il pubblico ufficiale in quanto agisca di fronte acl altri pub-
blici ufficiali come semplice privato, all'infuori dell'esercizio del suo
ufficio 1). Soggetto passivo dell'oltraggio può essere solamente un
pubblico ufficiale considerato come tale, vale a dire come persona
investita del mandato di rappresentante od agente dell' autorità co-
stituita 2 ); ma non importa se siffatto mandato sia stato conferito
nelle forme legittime, e se la persona a cui venne affidato possedesse
al momento clella nomina, o possegga tuttora al momento del com-
messo reato tutti i requisiti di capacità voluti dalla legge per poter
essere assunto a quella carica. Basta che esista un ufficio conferito
dall'autorità legittimamente costituita perchè l'individuo che lo ri-
veste abbia diritto alla tutela particolare della legge penale contro
qualsiasi attacco, a cui possa trovarsi esposto a causa delle sue
funzioni. Qualunque sia la causa di incapacità o d'ineleggibilità o
l'irregolarità di forma, onde sia viziata la nomina o l'elezione, il
pubblico uffiziale conserva, a tutti gli effetti di legge, la sua veste,
fintantochè non gli sia tolta mediante regolare pronunzia di deca-
denza o di annullamento della nomina per parte dell'autorità com-
petente; tanto è vero che, per un canone indiscutibile di diritto
pubblico, già conosciuto nel diritto romano sotto il nome di legge
Barbciri1is Philipp1ts :~), gli atti amministrativi o giurisdizionali emessi

1) Non crediamo perciù che possa commettersi oltraggio tra funzionari di pari

grado, non i11Yestiti di alcuna autorità o comando dell'uno sull'altro (escluso quindi
ila questa ipotesi il caso di ufficiali fra cni, n.nche a parità di grado, come ad es.,
nei militari in serYizio, può sussistere un comando dell'uno sull'altro in base alla
precedenza di anzianità); g'iacchè l'elemento costitutiYo del reato di oltraggio, eome
<legli altri reati di ribellione o di Yiolenza pubblica, si è la rfrolta del printto contrc~
il rappresentante della legge, e tale elemento non si saprebbe riscontrare nei rapporti
fra piì1 funzionari <li pari grado ed autorità. Contrariamente decise iwrò la nostra
Cassazione penale con In sentenza del 13 giugno 1894 (Rivista penale, Yol. XL,
pag. 458 e Legge, 1894, p. Il, pag. 413), con la quale ritenne costituire oltraggio
mrn frase di dileggio rivolta da uno ad altro consigliere comunale in piena adnn:.mza
consigliare. A parer nostro l'ingiuria fra colleghi cli pari grado deY'essere punita
come se fosse fatta da privato a priYato salYo, se <lel caso, l'aggravante del tempo e
del lnogo; ma non mai come oltraggio.
2) L'art. 194 del cml. pen. contempla espressamente come soggetti passi,,i del-

l'oltraggio, oltre i pubblici ufficiali, anche i membri riel Parlamento; ma teoricamente


•1uesta ttgginnta può ritenersi superflna, giacchè non v'ha dubbio che i rappresen-
tanti del potere legislativo vanno annoYemti in prima linea tra i pubblici uffieiali
(vedi in proposito il n. 10 della presente monografia).
'3) Barbario Filippo, schiaYo fuggitivo, chiese di esser fatto pretore di Ronm e
l'ottenne, non conoscendosi la sua condizione sen'ile, che lo re1uleYa assolutamente
incapace di coprire qnabiasi pubblico ufficio. Scopertasi piÌl tarcli la sua Yera con-
'ft:TELA PEXALlè DEI Pt:HBLICI t:FFICI 389

da un magistrato mancante della capacità giuridica per coprire la


carica rimangono pienamente validi, come se fossero partiti da un
funzionario fornito di tutti i requisiti. Per la medesima ragione, se
il pubblico ufficiale, malgrado la scadenza del termine prestabilito
pel suo ufficio, continui tuttavia a reggere di fatto la carica e a1l
esercitarne le attribuzioni, continuerà pure ad essere tutelato dalle
sanzioni penali stabilite a favore dei pubblici ufficiali; e lo stesso
si deve dire nel caso che un funzionario venga colpito durante il
HUO ufficio da qualsiasi causa di incapacità; gfacchè anche in questa
ipotesi, per quanto si tratti di incapacità assoluta ed insana bile, e
che per disposizione dL legge si incorra di pien diritto, la qualità di
pubblico ufficiale non cessa legalmente se non 1lal momento che la
decadenza sia pronunziata dalla competente autorità.
L'elemento obbiettivo dell'oltraggio consiste in qualsiasi atto o
parola, che offenda l'onore, la riputazione ed il decoro del pubblito
ufficiale. A differenza del codice penale sardo del 1859 (art. 2i)8) che
per l'esistenza di questo reato richiedeva « parole tendenti ad in-
taccare l'onore e la rettitudine », il vigente codice italiano con frase
molto più generica e comprensiva considera come oltraggi non sol-
tanto le parole propriamente lesive dell'onore o della rettitudine del.
magistrato, ma anche quelle semplicemente offensive al suo deeoro,
quali sarebbero ad esempio tutte quelle espressioni volgari od imle-
centi, che, senza costituire vere e proprie ingiurie, ledono tuttavia
l'autorità dell'ufficio e ne scemano il prestigio 1 ). Inoltre, mentre
il codice cessato contemplava soltanto l'oltraggio i·erbale, il codice
attuale prevede e colpisce anche quello reale, ritornando così a com-
pletare la formola del diritto romano dell'ingiuria re<~ata al magi-
strato re cnit i·erbis; non v'ha quindi 1lubbio che oggidì l'oltraggio
può consistere in soli atti di sprezzo, senza bisogno che questi siano
accompagnati da alcuna parola di contumelia 2) • .:\fa se gli atti com-
])inti in sfregio del rappresentante della legge siano tali da costituire
di per sè stessi un attentato all'integrità personale del funzionario,
in tale ipotesi, prevalernlo la figura giuridica del reato più graYe, sa-
ranno punibili come lesioni personali o come omicidi eon l'aggra-
vante generica stabilita dall'art. 200 dello stesso end. pen. per tutti
i delitti eommessi a danno dei pubblici ufficiali e non 1m'Yelluti ila

<lizio11e, fu ren>eato immediatamente dalla earica; lllfl gli e<litti ,, dt>ereti <'<l altri
atti proprii della giurisdizione pretoriale, ehe erano stati da lni emanati nell'esPr-
eizio <lella pretura, mentre ignoraYasi la sua eondizione serYile, Y<'1mero tnttaYia
ritennti Yalidi. Questa legge. ehe è un fr:unlllento delle opere del giureeonsulto
l;lpia110, troYasi inserita nel Digesto, L. 3, tit. De o.ffecio praetornm (lih. I, tit. XIY).
1) In senso conforme ve1li: Cass. pen., 15 fehhraio 189± (Foro penale, vol. III,
pag. 59).
"l Stessa Cassazione, 9 gingno 1892 (Uiuri.")Ji'Udenrn penale di Torino, 1892,
pag. :{38).
390 I PL'BllLICI L'FFICI E LA GERAHCHIA .UDIIXIJ'.\'l'HATIVA

nna speciale 1lisposizione <li legge. Similmente, quando le parole


pronunziate in dispregio del magistrato costituiscono propriamente
nna diffamazione, dovrà applicarsi la pena comminata per tale
forma ili delitto tenendo conto della stessa aggravante; perchè al-
trimenti si andrebbe incontro alla conseguenza giuridicamente as-
surda, che la diffamazione commessa contro un rappresentante del-
1' autorità., in sua presenza ed a causa delle sue funzioni, sarebbe
punita, a senso del ripetuto art. 194, più leggermente che lo stesso
reato commesso a carico cli un privato qualsiasi, a termini degli arti-
coli 393 del codice stesso; mentre non im<J esser dubbio che il legi-
slatore col prevedere il reato di oltraggio come figura delittuosa
speciale distinta dalle forme ordinarie cli reati contro l'onore ha
mirato precisamente a stabilire una tutela più efficace a favore delle
persone rivestite di pubblici uffici 1).
A noi sembra chiaro che con le disposizioni riguardanti l'oltraggio
si volle tutelare obbiettivamente la dignità ed il decoro <lei rappre-
sentanti della legge coll'impedire che essi possano in propria pre-

1) La contrtttldizione, davvero palese e grossolana in cni sarebbe caduto il nostro

codice penale se le disposizioni speciali concernenti l'oltraggio si considerassero


come prevalenti a quelle generali sull' ingiuria e diffamazione così da escluderne
l'applicabilità in tutti i casi di ingiurie fatte a pubblici funzionari venne già notnta
dai conmientatori del collice stesso. L'Impallomeni (Il codice penale italiww ill11stmto,
vol. Il, Il. 391) ed il l\fajno (Commento ul codice stesso, ~ 975), d'accordo co'n la Corte
di cassazione (sentenza 18 novembre 1891, in Rivistupenale, ''ol. XXXV, lmg. 488-489),
risolnmo la difficoltà applicando il principio del concorso formale dei reati, secondo
cui quando nn medesimo fatto vioht diYerse disposizioni cli legge l)enale, prevale
la fignrn tlel reato più gmve (cod. pen., art. 78); vale ft dire ritengono che le pa-
role od i fatti lesiYi dell'onore cli lln lrnbblico ufficiale, OYe presentino gli estrellli
del reato ordinario d'ingiuria o diffamazione, clehbano essere puniti collie tali con
l' aggravante generica dell'art. 200 .
.Altre Holuzioni non ci sembrano logicamente possibili; nè quella proposta dalla
<lirezione della Rivistu peuale (in nota n.lht sentenza testè citata) secondo cui do-
vrebllero a1)plicarsi le disposizioni degli articoli 194 e seguenti nel caso che il
fnnziouario non abbia sporto o non voglia sporgere querela, e sarebbero invel'e
applicabili quelle degli articoli 393 e seguenti nel caso che il fnnzionario oltrng-
giato si quereli, non sembrandoci ammissibile che la tleterminazione della figum
giuridica cli nn delitto dipenda clal fatto che l'offeso abbia o non abbia presentato
•1uerela: nè quella sostenuta dal Florian (Dei reati contro l'onore, Il. 266), che, pur
riconoscendo l' inconciliabile contmclclizione della legge, Hostiene tuttavia l'he le
<lisposizioni speciali sull'oltraggio delibano sempre preYalere a quelle generali snl-
l'inginria e cliffalllazione, e tenta soltanto nttennarne l'assurdità col notare che, "e
le pene comlllinate i)er l'oltraggio sono lllinori che quelle stabilite per l'ingiuria
e la diffamazione, vi sono d'altra parte a carico dell'oltraggio clne circostanze ag-
gravanti per l'imputato, in quanto l'oltraggio è di azione pubblica e non ammette
mai per scusn.nte la prova tlella verità; mentre per le semplici ingiurie o diffama-
zioni llOll si procede che a querela di parte e si ammette in taluni casi, frn ('lii
precisamente tp1ello in cni il diffamato sia nn pubblico llfficiale ed il fatto a lni
attrilmito si riferisca all'esercizio delle sne fnnzioni.
Tl'TELA l'EXALE DEI l'CBBLICI CFF!CI 391
,;enza troval'si esposti a mancanze di rispetto ; essendo di sommo in-
teresse pubblico che da tutti si serbi la riverenza dovuta all'autoritù,
costituita, si volle che contro gli insultatori si proceda d'ufficio, trat-
tamlosi di delitto pubblico; ma cfo non e:'lclude che il funzionario
offeso in sua preRenza dall' imputazione di un fatto disonorevole
possa, sporgendo querela, chiedere a carico del colpevole l'applica-
zione delle più severe sanzioni previste dal legislatore per la forma
ordinaria di diffamazione; ma in questo caso egli sarà tenuto a con-
cedere all'imputato l' exceptio i1eritati.~.
L'opinione sostenuta dal Florian 1 ), che le disposizioni degli arti-
coli Hl4 e segµ;. del codice penale debbano, come disposizioni spe-
ciali, prevalere in ogni caso ad altre disposizioni generali del codice
stesso, ogniqualvolta si tratti di oltraggi commessi con parole o vie
di fatto a danno di un pubblico ufficiale, in sua presenza ed a causa
delle sue funzioni, non può accoglier8i; perchè condurrebbe all'as-
surda conseguenza che un grave ferimento od un omicidio commesso
in tali circostanze ed accompagnato da atti o parole di vituperio
verso la vittima dovrebbe sempre punirsi con la pena stabilita per
l'oltraggio, la quale anche nella più grave ipotesi prevista dall'arti-
colo 195, non può mai oltrepassare il massimo di tre anni di reclu-
l'lione, mentre le pene previste per le gravi lesioni personali e per
l'omicidio, specie se aggravate dalla qualità di pubblico ufficiale
nella vittima e dalla causale derivante da un atto del suo ufficio, è
;.;enza confronto più grave, potendo salire, a termini degli arti-
coli 3()5 e 3i~~ fino ad oltre tre<lici anni di reclusione per le lesioni
<li rnaggfor gravitù, e fino a ventiquattro anni di reclusione per l'omi-
cidio. Riteniamo quindi che g·li insulti recati con atti o con parole
ad un pubblico funzionario, in presenza di esso ed a causa delle
sue mansioni, siano da punirsi come oltraggi soltanto nell'ipotesi
ehe non concorrano nel fatto gli estremi di un reato più grave.
Tnttavia, se qne,,;to sia nn reato d'azione privata, ed il fnnzionario
oltraggiato non sporga querela, il Pubblico ~Iinistero, avr<Ì sempre
diritto di metter in moto l'azione pubblica per ottenere la puni-
zione del fatto considerato soltanto come oltraggio, aggravato, se
<lel ca,,;o, da violenze o rninaccie, a, senso dell'articolo l!);j cod. pen.;
giacchè non si lllli) consentire che il silenzio della persona offesa,
ila qnalunqne motivo provenga, possa paralizzare l'applicazione di
nna sanzione penale rivolta essenzialmente a tutelare il decoro del-
l'antoritù pubbliea e la mae:;;tà della legge, pinttosto che l'onore sub-
biettiyo e personale del suo rappresentante :!).

1) Ye<li la uota precedente.


~) Ht~eentemente nn altro e~imio <'nitore <lel 1liritto 1wuale, il Frassati, in mi ar-
tieo]o pnhbli~nto nel Snppleineuto della Nil'i81a penale, yol. \-, pag. 76-1<7, lm proposto
1llla llll<ffa solnzione dell'ardua qn.:stioue. sostern~rnlo l'impossibilitit del concorso
39:! I PL'JlllLICI L'FFICI lè LA GEHAHCHIA A~DIIXISTHATIY.\

In ogni caso se il pubblico ufficiale, per immediata, e spesso ir-


refrenabile, reazione agli oltraggi, di cui è fatto segno, risponda
all'offesa con altre ingiurie od anche con vie di fatto, dovrà essergli
tenuto conto della provocazione a sua discolpa almeno parziale;
discolpa che potrebbe anche essere totale, quando si trattasse di
sole ingiurie reciproche, per le quali si ammette la compensazione,
a termini dell'art. 397 cod. pen.
Questa scriminante della compensazione delle ingiurie non po-
trebbe invece ammettersi a favore dell'oltreggiatore; perchè nel-
1' atto di chi ingiuria un pubblico funzionario, oltre il dolo ordinario
dell'offesa all'onore individuale, vi è per di più il dolo speciale della
mancanza cli rispetto all'autorità, pel quale non si pu(J mai ammet-
tere compensazione.
Il dolo specifico del reato di oltraggio consiste nell'intenzione di
venir meno al rispetto dovuto alla presenza del pubblico ufficiale,
offendendone comecchessia l'onore, la riputazione ed il decoro; ma
quando le parole pronunziate o gli atti commessi davanti al rappre-
sentante della legge siano per sè stessi manifestamente ingiuriosi,
diventa inutile la ricerca del dolo, che in tal caso inest re ispa, e
spetterà se mai all'accusato dimostrare che egli nel pronunziare quelle
parole o nel fare quegli atti non aveva intenzione di insultare l'au-
torità 1 ).

formale fra oltraggio e diffamazione. Seeornlo lni se mi fotto costituisl'e oltraggio,


non pni> mai <·ostitnire 1liffa1Hazionc, e le due fì.gnrc <li reato si escludono seJHpre a
vicenda; perchè caratteristica <lell:t prima è l'offesa imJHc<liata e <liretta, al rappr<'-
sentante <lell'autorità, offesa che dev'essere fatta i11 prnse11za del pubblico funziona-
rio; mentre caratteristica della 1liffanrnzione è la connmicazione ossia il colloquio
con piìt persone riunite orl anche sepa.ratc, indipenrlentemeutP rlalla presenza o no
dell'ufficiale diffttmato.
;\fa neppure questa soluzione ci sembra, fonda,ta; giacchè è hensì Yero <"lie m·l
reato di <litfauutzione non è richiesta la i)reseuza del diffamato; urn nou ne è neppune
esclusa, così che l'imput:rnione tli un fatto determinato e h•si-vo dell'onore tli mrn
l)ers<mtt cessi <li costituire una diffamazione soltanto per('hè aYYenuta alla presenza
della persona, contro cui l'imputazione è riYolta. Quindi non si puii iwgare la po,,i-
ùilit:'t l'he Yengtt commessa una <liffanrnzione a <launo di un pubblico funzionario.
in sua presenza ed a cansa dPlle sue funzioni; C'ii> elle costituisee precisrnnentP
il t·ornoorso formale dei due reati. Per chiarirci con un esempio pratico, si suppcrnga
che nell'atto in cui un giudice pronuncia la sua sentenza, la parte codannatn, fa-
cendosi udire <lal giudice stesso e tlal pubùlil"o ehe assiste all'udienza, :lft'errni clw
quella sentenza è l'effetto della corruzione suhìta dal rnagistm.to. In tal caso eoncor-
rono perfettnmemtP tutti gli estremi tanto dell' oltmggio, quanto tl<' lla <liffamazioue.
1) Circa la proni 1lel dolo specifico <lell'oltraggio si consultino 11neste ;lerisioni

della Corte suprema: 20 maggio 1890 (Rii:ista penale, voi. XXXII, pag. 518), 22 gpu-
naio 1880 (Le.rJge, 1890, Yol. I, pag. 565) e 22 maggio 1893 (Corte snprema cli Boma,
1893, parte penale, pag. 621); nonchè: Corte <l'app. di Casale, 15 fehhraio 1892
(Rir. pe11., voi. XXXYI, i)ag. 214.) e CortP d'npp. <li Trani, 21 aprilf' 1892 (Jl"i,
ml. XXXYII, pag. 208).
'lTTELA PEXALl·: DEI PUIJILICI UFFH.:I 393

Quanto all'estremo della presenza. del funzionario, eontro cui è rivolto


l'oltraggio, è necessario che limputato nell'atto che pronunzia le
parole o eommette gli atti offensiYi sia consapevole della presenza
del pubblico ufficiale in tale sua qualità, od in altri termini che sappia
di trovarsi dinanzi ad un rappresentante dell'autorità nell'atto di eserci-
tare le sue mansioni; ma non è neeessario d'altra parte che il funzionario
oda le parole o vegga gli atti d' insulto a lui riYolti, nè che egli
si trovi presente all'intera serie degli atti offensivi, bastando la
sua presenza ad un solo di essi 1 ). Inoltre per aversi la presenza
dell'oltraggiato non si richiede un'immediata vicinanza o contatto
fra lni e l'offensore, ma basta che il funzionario si trovi in pm;i-
zione tale da poter vedere gli atti o sentire le parole rli vituperio
a lui dirette, ancorchè per un motivo qualunque, come sarebbe a(l
esempio per sua difettosa facoltà visiva od uditica o per momen-
tanea distrazione di mente, o per altri rumori od ostacoli interposti,
non li vedesse o non li sentisse. Ciò che in sostanza la legge intende
punire colle disposizioni sull'oltraggio si è il mancato rispetto alla
presenza de' suoi rappresentanti od agenti; e quindi non è già F im-
pressione soggettiva dell'offeso, ma bensì Fatto dell'offensore in sè
stesso considerato, che costituisce il contenuto giuridico del reato in
parola.
L'oltraggio si considera aggravato, a senso del primo capoverso
dell'art. 195 cod. pen., ed è punito più severamente, qnando sin ae-
compagnato da violenze o minaccie. Inoltre il secondo capoverso dello
stesso articolo prevede una distinta figura delittuosa, nel caso cioè
che si usi violenza o si facciano minaccie a danno di un pubblico
ufficiale, ed a causa delle sue funzioni, ma senza che concorrano nel
fatto tutti gli estremi dell'oltraggio propriamente detto, cioè la pre-
senza dell'offeso e F intenzione, da parte dell'offensore, di recar onta
al rappresentante dell'antorità., come per esempio nel caso di minaecie
fatte per iscritto ad un fnnzionario, oppure anche verbalmente, ma
in aRsenza del 1ninaceiato 2 ). Nell'ipotesi della violenza, sia fisiea o
mornle l'estremo della presenza non pnò logicarnentr maiwan•, perd1è
non si può fa.r violenza ad nn assente; ma puù hensì mancare
l'altro estn·mo, elle è l'intenzione (li recar sfregio al dt·roro od
all'onmp del funzionario. In tutti questi casi la leµ:p:e pnnisce l' an-
tore della violenza o 1lella minaccia con la stessa pena stabilita per

1) Cass. prn., 28 agosto 18fll (Le[J[Je, 1892, voi. I, pag-. 38), Hl ottohrt> 1892

(Ca,8azio1w 1t11ica, Yol. IV, (•ol. 2i5) P 26 giugno 181).1 (Rii·. pen., vol. XL. png. 212).
2) Che il capoverso <lell' art. 193 C'od. pen. non Hi rifcriHca alla fignra <1ell' ol-

trng·gio propriamente detto, mn contempli nn' altra figura <listintn e per sì• stante,
hend1è affine all'oltraggio, venne anche ritenuto dalla Corte <li eassazione con sna
sentenza dell' 11 luglio 189±, inserita 1wl Foro italiano, 1893, parte li, <·ol. 21-2±,
nceompagnata <la nna nota dell'avv. Alherto Lingniti in senso <·onformP.
3!J.! I l'CBllLICI CFFICI E LA GEHAHCHIA A)DIISISTRATIVA

l'oltraggio aggravato dalla violenza o minaccia, percl1è l'uso della


violenza contro i rappresentanti dell'autorità, quand'anche non costi-
tuisca il reato più grave della violenza pubblica propriamente detta
o quello della ribellione, merita pur sempre un'energica repressione,
a tutela dell' interesse sociale che vuole si porti da tutti rispetto alla
legge personificata nei pubblici ufficiali.
Se poi l'oltraggio, la violenza o la minaccia siano commessi a
danno <li un pubblico ufficiale nell'attuale esercizio delle sue man-
sioni, ma per cause affatto estranee ad esse, in tal caso la repreiol-
sione che si richiede è meno severa, non riscontrandosi in tale ipo-
tesi il dolo specifico, che consh;te nell' intendimento di recare sfregio
all'autorità ed alla legge, ma non pui> neppure mancare totalmente;
perchè non si può consentire che altri, per sfogare le proprie ire
personali od i suoi privati odii e rancori contro una persona, ehe
riveste un ufficio pubblico, la assalga nel momento che essa attemle
al disimpegno delle sue mansioni, turbandone l'attività con danno
pubblico diretto ed immediato. In tal caso la pena dell' oltraggio
vien diminuita da un terzo alla metà (cod. ·pen., art. 196). Giova
inoltre notare che per la sussistenza di questa, forma, diremo così,
attenuata di oltraggio, occorre che lo sfregio, la violenza o le mi-
naccie siano fatti nell'atto che il funzionario esercita ptibblicamwnte
le sue mansioni, vale a dire che, quando l'atto avvenga fuori della
presenza del pubblico, potrà esser punibile soltanto come un reato
ordinario d' ingiuria, di minaccia o di violenza, ma non come ol-
traggio, sia pure attenuato, perchè mancherebbe in tal caso lo sean-
dalo ed il pubblico disdoro dell'autorità, sebbene non mand1i il
disturbo recato all'attualità della funzione pubblica 1).
Gli atti di 8f'regio o di vituperio assumono una gravità tutta spe-
('.iale quando, anzichè e8sere diretti contro uno o più funzionari in-
dividualmente considerati, siano rivolti contro un'autorità colletti-
vamente presa, sia o no essa co8tituita in corpo collegiale. In tal
caso l'offesa alla maestù della legge è molto maggiore, ed il danno
politico derivante dal reato è senza confronto più notevole, in
<1nanto il disdoro ad un corpo giudiziario, politico od amministra-
tivo mira direttamente a colpire l' autoritù in sè stei;sa più che i

1) In <]nesto senso opinano il .:\Iajuo, Coin1ne11to al cocl. pen. itcil., pag. 37'1, n. ~178
c<l il Crin•llari, Il cocl. pe11. interpretato, ece., yo]. VI, u. 388, pag. 2!2. L'Irnpal-
lomeni, nel sno Cod. pen. dal. il/1rntrnto, ,-ol. II, n. 393, pag. 222, 22:~, s0Htip1ie
inYeee per :wersi l'esercizio pnbblico 'le Ile funzioni, agli effetti dell'art. l!:lli, non
occorra che la fnnzione si cornpin in lnogo pnhblieo od :tll:t presenza del pnbhlico,
hastando che an·enga in uu lnogo, sia pur ehilrno, come sarebhe il gabinetto di
nu ministro, <li 1111 prefetto, <li un procuratore del re, t>cc., rna al quale il pnl•-
lilieo abbia diritto di aece<lPr11 a <'ansa delle funzioni, elle Yi sono esereitatt- dal
pnbhlfro nttieiale . .:\Ia <piesta iuterpretazione è respinta esplieitamentc <lall' psnHW
tl1•i laniri prqmratori tlel co1lice. Ve<li Crfrt'llari, loc. eit.
'LTTELA l'EXALE lll·;I l'C!IBL!Cl CFFICI 3fli'i

snoi rappresentanti. Ciò spiega come il nostro codice (art. lUI) pu-
nisca l'oltraggio ai corpi collegiali molto più gravemente che l'ol-
traggio ai singoli ufficiali, elevando il massimo della pena fino a
('inqne anni di reclusione, quando vi concorra l'aggravante della vio-
lenza o minaccia.
D'altra parte, siccome per evidenti ragioni ili dignib\ e di pru-
denza conviene lasciare ad ogni autorità costituita in forma eollet-
tiva il giudizio 1-1ull'opportunità o meno di trarre in gimlizio i suoi
vituperatori, giacchè in taluni 1~asi il decoro dell' autorità oltrag-
giata meg·lio si tutela con un disdegnoso silenzio che con rumoroso
processo, così il nostro legislatore, facendo un'eccezione al principio,
l'he il reato di oltraggio è sempre d'azione pubblica, stalJilisce che
per procedere contro i colpeYoli di oltraggio ad autorità o corpi
eollettivi occorre l'autorizzazione del corpo offeso. Se si tratta di
1·orpo collegialmente organizzato, quali sarebbero un Comiiglio co-
mmrnle o provinciale, una Giunta od mm Deputazione provinciale,
la Camera dei deputati, il Senato, un Tribunale od nna Corte d' ap-
pello o di cassazione, ecc., l'autorizzazione dev' esser data mediante
lleliberazione del collegio; se invece si tratta di autorità ordinate a
f<;rma gerarchica o burocratica, come per esempio un ~finistero, una
Prefettura o Sottoprefettura, una Questura, un' Intendenza di fi-
nanza, un reggimento, l'ufficialità di una mwe militare, ecc., l' au-
torizzazione a procedere deve partire dal capo gerarchico, vale a
dire dal funzionario più elevato per grado o per anzianità.
114. Il presupposto giuridico comune a tutte le sanzioni penali,
che abbiamo fin qui esaminate, si è quello dell' offesa recata alla
dignità della legg·e nella persona dei suoi rappresentanti; ne segue
<'he coloro i quali sono investiti delle pubbliche cariehe hanno di-
ritto alla tutela di siffatte sanzioni soltanto se ed in fJtUlllto essi
agitleimo come legittimi mandatari dell' autoritù sociale lei:?:almente
costituita. 8e invece essi agiscono abusivamente compiendo atti od
emanando onlini, che non entrino nella Hfem llelle attribuzioni loro
demandate, 1~e8Hano di essere rappreHentanti dell'autorità per diven-
tare semplici privati, ai quali si pui> da ognuno non soltanto lfomh-
hidire, ma anche resistere impunemente, opponendo alla forza la
forza, alla violenza la violenza. Seeornlo la disposizione contenuta negli
articoli l!J'.! e l!JH 1lel cod. pen. le sanzioni ri1..numlnnti qualsiasi atto
ili violenza o di rilJellione, individuale o collettiva, o di oltraggio
1·011 parole o eon vie di fatto cessano di essere applica lJili, ogniqual-
Yolta i pulJblici ufficiali abbiano (lato causa all' offesa eccedernlo i
limiti delle proprie attribuzioni.
L'eccesso di potere pu(1 assumere una triplice forma; la prima,
l'he possiamo chiamare relativa, si ha quarnlo un funzionario eHerl.'ita
hensì una attribuzione propria del suo ufficio, ma lo fa all' infuori dei
limiti di tempo o cli luogo aHsegnati llnlla legge, come ad esempio
896 I l'l:JIBLlùI l:FFICI E LA <mHAHCHIA A:.VIMIXISTHATIYA

nel caso di un magistrato che proceda o giudichi in un territorio non


sottoposto alla sua azione o giurisdizione; la seconda, quando il
pubblico ufficiale si arroga atti assolutamente esh'anei alle sue fun-
zioni, sia perchè assegnati ad altri ufficiali, sia perchè del tutto
estranei all'azione dell'autoritù. Bsempi di questa· seconda forma di
eccel"so <li potere si avrebbero nell' ipotesi di un funzionario di ordin<'
amministrativo che si arrogasse funzioni di carattere giurisdizionale o
contenziosa, od in quella di un pubblfoo ufficiale di qualsiasi or<lilll'
che volesse ingerirsi in affari di famiglia o rapporti della vita pri-
vata sottratti per loro natura a qualsiasi ingerenza delle autoritù.
Abbiamo infine la terza forma di eccesso di potere, che potremmo
chiamare eccesso modale, allorchè il pubblico ufficiale compia bemù
un atto che rientra nelle attribuzioni del 8110 ufficio, sia per compe-
tenza relativa che assoluta, ma nel compierlo adoperi mezzi o ma-
niere, che non gli sono legalmente consentiti; come ad esempio nel
caRo di un ufficiale di pubblica sicurezza che nell'eseguire una per-
quisizione od un arresto usi maltrattamenti od insulti verso le per-
sone o <lanneggi senza necessità la proprietù privata.
In tutti questi casi vi è l'abuso di potere, che autorizza i privati
alla resistenza, a titolo di legittima difesa. S' intende però che nel-
l'esercitare questo diritto fon<larnentale ed intangibile della perso-
nalità umana, i privati allorchè resistono o reagiscono all' arbitrio
dei rappresentanti della legge, operano sempre sotto la propria ri-
gorosa responsabilità, in quanto si espongono alle severe penalitù
dell'oltraggio e <lella ribellione, qualora risulti poi dal successivò giu-
dizio che in realtù il pubblico ufficiale non commise alcun arbitrio
nè eccesso di potere, sia nella sostanza che nella forma de' suoi atti.
Si applica qui in sostanza la stessa regola che abbiamo esposta
trattando dei rapporti di obbedienza e di subordinazione gentrehica
tra i funzionari. Come il dovere che incombe all' inferiore di obbe-
dire al suo superiore ha per limite la legittimità e moralità dell' or-
dine impartito da quest'ultimo, così l'obbligo dei cittadini di portar
rispetto ai pubblici ufficiali cessa di fronte ad un eccesso od abuso
di potere per parte <li costoro; ma sia nell' uno che nell'altro caso
chi rifiuta la propria obbedienza ai superiori o si ribella ai rappre-
sentanti dell'autoritù costituita deve sapere che la sua disobbedienza
o lo sua ribellione troverù seusa soltanto se ed in quanto l' ordine
dato fosse evidentemente eontrario alle leggi od ai buoni costumi,
oppnre l'atto <lel pubblico funzionario si presentasse manifestamente
arbitrario nella sostanza od eceessivo nella forma. Diciamo manUe-
stamente, perchè non basta una illegalitù qualsiasi, specialmente se
di sola forma, ad autorizzare la ribellione dei prh~ati; ma occorre
nn vero atto di arbitrio o <li abuso di autorità; altrimenti sarebbero
troppo frequenti i casi in cui i cittadini pt>r un difetto, sia pnr lieve~
di formalitù, si crederebbero autorizzati ad opporrt> la forza privata
TGTELA PEXALE DEI Pt:BBLICI GFFICI 397

all'azione dei rappresentanti della legge; e si cadrebbe facilmente


nel disordine e nell'anarchia 1). Contro le semplici illegalità commesse
1lai pubblici ufficiali negli atti amministrativi, le parti lese possono
valersi dei rimedi concessi dalla legge, tanto più ora ehe coll'istitu-
zione dei tr.ibunali della giustizia amministrativa, vale a dire della
Giunta provinciale amministrativa e della IV Sezione del Consiglio
1li Stato, i cittadini trovano un'efficace tutela ginrisclizionale contro
gli arbitri del potere esecutivo. Ciò costituisce una ragione di più
per restringere la facoltà clella resistenza e della ribellione ai Holi
casi di gravi e manifesti abusi commessi dai pubblici ufficiali in
mala fede; in questi soli casi può esser lecito al privato reagire
immediatamente, vim vi repellere, all'ingiusto attacco mossogli da un
funzionario, che abusi de' suoi poteri 2 ).
Del resto, se l'eccesso di potere e l'arbitrio del pubblico ufficiale
fanno sì che gli atti di resistenza o di oltraggio commessi dal pri-
vato non siano più passibili delle sanzioni penali stabilite per queste
speciali figure clelittuose, non impediscono però che le violenze o le
ingiurie del privato possano andar soggette a pena secondo le 11i-
:-;posioni comuni, come se fossero fatte da persona privata a persona
privata: onde, se il cittadino nel reagire alla prepotenza del rap-
presentante della legge eccede i limiti della legittima difesa e ca-
giona al suo avversario una lesione corporale oppure ne offende
l'onore con parole ingiuriose o con addebiti diffamatori, dovrà ri-
sponderne a norma delle disposizioni vigenti nei rapporti fra pri-
vati, salva l'attenuante della ingiusta provocazione, che potrà sempre
invocare in suo favore.
115. L'oltraggio è un delitto che offende, più che l'individuo, la
maestà della legge e il decoro della pubblica amministrazione;
quindi, come non si ammette che il silenzio od il perdono del fnn-
zionario oltraggiato possano impeclire il procedimento o sospernlere
l'applicazione della pena, così non si può neppure consentire nll'au-

l) In questo senso la nostm Cassazione penale ha costantemente rite11uto che


soltanto gli atti positiYi e manifesti di arhitrio ell illegalità commessi 1lal pubblico
nfficiale scusano la resistenza o l'oltraggio, ma non mai gli atti sempliceme11te erronei
od annullabili, compiuti in buona fede. Ve1lansi specialmente le sentenze del 19
g·ennaio 1894 (Cassazione w1icct, vol. V, col. 372) e 20 lnglio 1897 (Ivi, vol. YIII,
col. 1253). Per la stessa ragione la medesima Corte suprema decise con sentenza del
Hl maggio 1897 (Ivi, col. 1258) che la violenza pubblica direttn, a1l impedire l'a-
1lunanza 1lel Consiglio cournnale non cessn. di essere incriminabile per la pretesa
illegalità dell'adunanza, spettando alla sola autorità amministrativa il 1lecidere, in
seguito ai legittimi ricorsi degli interessati, se ln. ri anione consigliare fosse o no legni e.
2) In questo senso è costante la giurisprudenza della nostra Cassazione penale.
Ve11i da ultimo le decisioni del 7 settembre 1896 e del 15 e 20 lnglio 1897 (Giu-
8fizict penale, vol. II, col. 1195 e vol. III, col. 1269 e 1272) e 20 agosto 1897
(Giurispnule11za penale, vol. XVII, lmg. 504).
398 I PCBBLIUI CFFICI E LA mmAHCIUA A~nIIXI~THATIYA

tore dell'oltraggio di invocare a sua 1liseolpa la prova <lella veritù


dei fatti o delle qualità ingiuriosamente attribuite al rappresentante
della legge. Questo principio, ehe troviamo consacrato nell'art. l!J8
del codice penale italiano, esclude in modo assoluto l' e.tceptio 'l'eri-
tatis come discriminante dell'oltraggio, quaml'anehe la part.e lesa
dichiarasse espressamente di volerla ammettere; pere hè, se l' oltrag-
giato è libero di perdonare l'offesa fatta alla sua persona, non ha
facoltà di eondonare lo sfregio recato all'autorihì soeiale in lui per-
sonificata. Se inve<'e la lesione tlell'onore di un pubblieo ufficialt•
non presenta gli estremi costitutivi del reato di oltraggio, che sono
la presenza del funzionario oltraggiato e l'attualità dell' esereizio
delle funzioni, in tal easo l' exceptio i·eritatfa è ammessa in omaggio
alla libertcì della ('ensnra pubblica, che nei liberi ordinamenti eosti-
tuisce una delle preeipue garanzie di onesta amministrazione e di
retto governo.
Quando le accuse ili immoralità o cli disonestà non siano mosse al
funzionario in sua presenza e nell'atto, in eui esercita le sue attri-
buzioni, manca l'offesa diretta all'autorità pubblica, e subentra in-
vece l'interesse sociale che vuole si faccia piena luce 8ulla condotta
di eoloro, cui è affidata la direzione della cosa pubbliea, e 8i dilegui
ogni sospetto contro la loro onestù, o diversamente, ove risultino
fondate le a<'cm;e, si proceda in via penale e disciplinare a cari<·o
del funzionario colpevole, togliendogli quel mandato di fiducia, di
cui si è mostrato indegno. La prova della verità dei fatti è accor-
data espressamente dal nostro legislatore (cod. pen., art. 394) quarnlo
si tratti di d{tfltrnazione a danno di un pubblieo uffieiale e per fatti
relativi all'esercizio delle sue funzioni, semprechè, bene inteso, non
concorrano gli estremi eostitutivi del reato ili oltraggio.
111.i. Abbiamo trattato fin qui delle sanzioni penali dirette a tu-
telare in modo speeiale le persone dei pubblici ufficiali nell'esercizio
delle loro funzioni. Ci resta ora a parlare <li nna disposizione gene-
rale, che è quella dell'art. 200 del codiee penale, in virtù di cui Ri
consi<lern aggravato qnalsiasi altro reato, che si 1·ornrnetta eontro
un pn bblieo ufficiali:' a <'ansa <lelle sue funzioni. (Juesta circostanza
aggravante generale, che importa un aumento di pena da un sesto
a<l un terzo, si appliea soltanto quando la qualitù uffi<'iale della vit-
tima ed il movente del reato non siano già espressamente preveduti
dalle di8posizioni speda li e01wernenti le singole figure <·riminose.
come ad es. li troviamo preveduti per l'omil'i<lio (art. 363), per le
lesioni personali (art. 373) e per il danneggiamento (art. 4:34). Inoltre
è da notare ehe per rendere applkabile questa aggravante generi('a
dei reati <'Ommessi a danno delle persone rivestite di una eariea
pubblica, 8i riehiede dte il movente, da cui è spinto l'autore del de-
litto, abbia relazione, più o meno innnediata, eon le attribuzioni del
funzionario eome tale, vale a dire ('he il delitto sia eonnnesso a causa
PIUYILEGI J•;D DDil'XITl l>EI Pl:BBLICI Fl:XZIOXAIU 399
delle fnnzion·i; onde non basterebbe che fosse commesso nell'atto
dell'esercizio delle funzioni stesse; giacchè la legge nel sancire questa
aggravante generica ha avuto in mira non il momento, ma bensì il
movente del delit.to.

§ 4. - Privilegi ec7 immmiitù dei pt1bblici .fiinzionari.

::;o~DIAHIO. - 117. Eecezioni <li,·erse al diritto eoumne a favore Ilei puhhlil'i ufti-
ciali. - 118. Gimis1lizione speciale d!'l Senato sui ministri. - 119. Carattn·e
politico di questa giurisdizione. - 120. Reati ministeriali a cui si ap1lli<-a. --
121. i-ìuoi rapporti con la giuris<lizione penale ortlinaria. - 122. La garanzia am-
ministrativa dei prefetti e sindaei; cenni storici. - 123. Ragioni che ne l"Onsi-
gliano l'abolizione. - 124. Funzionari a cui è. attnnlmente concessa. - 125. Atti
che vi sono compresi. - 126. Ginristlizioni a cui si estentle. - 127. Procedi-
mento relativo. - 128. Altre !'Senzioni 011 innunnità a f:wore <lei puhhliei ufficiali.

117. Il principio fondamentale dei governi liberi, per cui tutti i


cittadini sono eguali davanti alla legge, non consentirebbe alcun
privilegio a favore dei pubblici funzionari; ma vorrebbe piuttosto
che coloro, ai quali è affidato l'esercizio dell'autorità nell'interesse
comnne, fossero soggetti ad una responsabilità più rigorosa che i
privati cittadini, appunto in ragione del maggior danno sociale, che
può derivare dalle loro trasgressioni. Nondimeno presso di noi ra-
gioni storiche e considerazioni d'indole politica proprie di un regime
di transizione fra la monarchia e la democrazia, qual' è il nostro pre-
sentemente, lasciano tuttora sussistere importanti privilegi di im-
nrnnità e di giurisdizione a favore dei pubblici ufficiali. Fra queste
eccezioni al diritto comune la più giustificata è ancora quella, che
esime dall'arresto personale i membri del Parlamento, fuori del caso
di flagrante delitto. Secondo la nostra costituzione (art. 37) tale
esenzione ha carattere permanente soltanto per i membri della Ca-
mera alta, i quali non possono mai essere arrestati, salvo, come s'è
detto, il caso di flagrante reato, se non in forza di un ordine del
Senato; mentre invece per i componenti della Camera bassa 1' irn-
urnnità personale dall'arresto dura solo nel tempo della sessione
l>arlamentare (art. 45). Questa immunità personale dei senatori e
dei deputati, che ha essenzialmente per scopo di garantire il libero
e:,;ercizio del mandato legislativo contro i possibili abusi del potere
e:,;ecutivo, è poi completata e rinforzata dall'alt.ra immunità di ca-
rattere propriamente giurisdizionale, per cui da un lato i senatori
g-odono di nn foro prh'ileg'iato per qualsiasi accusa penale mossa a
earico di essi, non p0tendo in yernn caso essere processati e condan-
nati se non dal Senato stesso costituito appositarnent,e in corpo giu-
dirante, sotto il nome di Alta Corte di giustizia; e dall'altro lato i
deputati, :,;enza avere un proprio foro speciale, non possono perii
400 I PDlBLICI UFFICI E LA GERARCHIA A)D!I::-.ISTRATIVA

essere tradotti in giudizio davanti ai tribunali penali ordinarii, senza


la previa auforizzazione della Camera.
Eccederemmo i confini del diritto amministrativo per invadert> il
campo del diritto costituzionale se volessimo qui trattare, con quella
ampiezza, che l'importanza del tema esigerebbe, dei privilegi parla-
mentari testè accennati. Hientra invece nel còmpito proprio della
nostra trattazione il discorrere della giurisdizione speciale stabilita
per le accuse contro i ministri, e della cosidetta garanzia annnini-
strativa concessa ai prefetti ed ai sindaci.
118. Per cominciare dalla prima, che troviamo sancita dagli arti-
coli ::W e G7 del nostro Statuto, osserviamo anzitutto che il principio
della responsabilità ministeriale sorse in Inghilterra contemporanea-
mente alla forma di governo monarchico-costituzionale, come neces-
sario temperamento del principio dell'assoluta immunità del sovrano;
e dalla costituzione inglese si venne estendendo a mano a mano agli
statuti fondamentali degli altri paesi, che adottarono quel regime di
governo 1). Se non che la maggior parte delle legislazioni si limitano
a proclamare la responsabilità dei ministri in termini più o meno
risoluti e spesso anche enfatici 2 ), senza curarsi poi di stabilire le
norme di procedimento occorrenti per l'applicazione pratica di quel
principio. Fra i grandi Stati odierni ve n'è uno solo che possegga
una legge speciale sulla responsabilità dei ministri; ed è l'Austria,
la quale con una legge del 1867 istituiva un apposito organo gfo-
risdizionale detto 'lribwuile di Stato (Stacitsger-ichtshof) composto di
dodici cittadini indipendenti e forniti di coltura giuridica che sono
eletti per metà da ciascuna delle due Camere legislative, ma però
all'infuori del loro seno, e durano in ufficio sei anni.
Presso di noi una legge sulla responsabilità ministeriale manca
tuttora; e benchè sia stata più volte solennemente promessa nei
discorsi della Corona in occasione dell'apertura del Parlamento, ri-
lllane tuttora allo stato di desiderio, malgrado che recenti e scan-
dalosi esempii di impunità ministeriali ne dimostrino l'urgente bi-
sogno. :;\la checchè sia di ciò, per quanto sia giuocoforza riconoscere
ehe la responsabilità dei supremi gestori della cosa pubblica non è
finora per l'Italia che un nome vano senza soggetto, ci sembra qui

l) Sull'origine e sullo s\·olgimento storico del principio della responsabilità mi-


nisteriale si consnlti: Lncz, Jlinisterverant1rortlichkeit n11d Staatsgel'ichtshofe, "'ien
1893; e Giriolli, Ln respo11sabilità penale dei Jli11istl'i e la gi1tl'i8(lizio11e tlei 11'ibu11ali
vrdinm·i, Roma, Società editrice laziale, 1895, nel <1nale trm·asi nna larga hihlio·
gTafia di l:wori speciali sull'argomento.
~) Così, per darne un esempio <li Yalore semplicemente storico, l'Assemblea ('O-
stituente francese nell'Mlnnanza del 13 luglio 1789 dichiaraYa i ministri pen;onal-
mente responsabili nientemeno che cli tutte le sYentnre nazionali presenti e fntnre,
des nwlhenl's pl'ise11ts et de to11s ce11x qui penrent s11iiTe !
PRIYILEGI ED DDICXIT.\ !>El l'CBBLICI FCXZIOXARI J01

opportuno combattere una erronea interpretazione accolta dalla no-


stra Corte :mprema, la quale tende a creare a favore dei ministri
nna vera e propria immunità penale ili fronte ai trilmnali ordinarii,
mentre in realtà la giurisdizione eccezionale creata dagli art. 36 e 47
per le accuse politiche contro i ministri non esdrnle punto l'eser-
cizio della giurisdizione penale ordinaria per i delitti comuni com-
messi dai ministri.
llH. Xon v'ha dubbio che la responsabilità ministeriale ha nn ca-
rattere essenzialmente politico, che non permette di confonderla con
la responsabilità penale, alla quale i ministri, come uomini e citta-
llini, vanno soggetti secomlo il diritto comune. 11 diritto concesso
dalla costituzione ai due rami del Parlamento di mettere i ministri
in stato di accusa e di giudicarli si riferisce soltanto ai delitti di
1:arattere politico, vale a dire a quegli atti ministeriali, che irnpli-
l'hino la violazione delle norme statutarie, oppure ledano le libertà
pubbliche ed i supremi interessi della patria. È questa nna giurisdi-
zione eccezionale, la quale rappresenta il mezzo più efficace, che
negli Stati costituzionali è accordato alle rappresentanze politiche
della nazione, onde possano esercitare la loro funzione di vigilanza
e di riscontro sull'esercizio del potere esecutivo allo scopo di man-
tenere Fazione dei governanti nei limiti della legalità e d'impedire
die essi abusino dei poteri loro affidati per manomettere la legge e
1hmneggiare gli interessi 1lel paese. La messa dei ministri in stato
1l'accusa è. l'nltùna rntio a cui possa ricorrere il Parlamento per
esprimere la i'ma riprovazione verso la politica del (}overno; è
l'atto in cui si esplica in tutta la sua pienezza la potestà parla-
mentare di controllo sui governanti; tant'è che il giudizio sulFàc-
(:nsa pui> anche essere affidato ad un collegio speeiale extraparla-
mentare, come, ad es., nel Belgio alla Corte di cassazione, e nel-
1' Austria ad un Tribunale di Stato, senza che con efo debba ritenersi
menomarnente ristretta la fnnzione repressiva della rappresentanza
nazionale di fronte all'azione dei ministri.
Il carattere eniinentemente politico dell'accusa parlamentare contro
i ministri dovrebbe condurre logicamente alla conseguenza che le
]iene applicabili ai ministri in caso di condanna fossero soltanto dì
('arattere politfro-diseiplinare, quale sarebbe principalmente la desti-
tuzione dalla carica di ministro con dichiarazione di incapacità a
coprire in seg:nito questo o qualsiasi altro ufficio o dignità nel go-
verno o nella pubblica amministrazione. Tale infatti è il sistema
adottato dalla Costituzione federale 1legli Stati l7niti nord-americani,
secondo la quale la condanna pronunciata dal Senato a carico di nn
11tinistro, sopra accusa ('inipenchment) intentata dalla Camera dei rap-
presentanti, non ha altro fine che quello di allontanare dal potere i
lllinistri, che ne abbiano abusato a danno del paese; ma non esclude
}lllnto che il ministro condannato possa o debba successivamente per
<J02 I l'l.llllLICI t:FFICI E LA GEHAHClllA A)DllXll'TIL\T!VA

gli RteHsi fatti venir Rottoposto a pro<:esso e punito dai trilmnali or-
dinarii, in conformità del diritto penale comune.
Se non che le costituzioni frarn·esi del 1814 e 1830 e quella belg·a
del 1831, d1e sono quelle su cui più direttamente si modellò il nostro
Statuto del 1848, accolgono un alt.ro sistema, ammettendo che ai mi-
nistri posti in stato <li accmm dal Parlamento possano infliggersi lt:>
pene personali previste dal codice penale <:omune. I~ qniudi da ritt:>-
nersi che le disposizioni della nostra carta fondamentale, sebbenp
molto laconiche e<l ambigue, debbano interpretarsi in questo stesRo
senso; opinione questa <'he trova del resto autorevole conferma nel-
l'art. 32, primo capovenm, del regolamento giudiziario dt:>l Senato
costituito in Alta Corte di giustizia, approvato dal Senato stesso in
seduta del 7 maggio 1870; giacchè in quella dispoRizione trovasi
Rtabilito che il Senato, nell'applicazione delle pene, si debba attt:>-
nere alle leggi penali comnni relative al reato di eui il senatore od
il ministro accusato sia dichiarato convinto.
Tuttavia, malgrado il carattere propriamente penale che si deve
riconoscere nella ginriRdizione speciale dell'Alta Corte di giustizia,
di fronte al nostro Statuto, sarebbe grave errore il credere ehe il
potere della Camera dei deputati come corpo d'aceusa e la ginr.iRtli-
zione del Senato come corpo giudicante eostituiscano presso di noi
un foro privilegiato per i ministri; giacchè se gli autori della nostra
carta costituzionale avessero inteso di creare per i ministri un foro
privilegiato intnitn per.çonae, l'avrebbero dichiarato esplicitamente,
come hanno fatto per i senatori, pei quali nell'art. 37 si trova ado-
perata F espressione molto chiara « il Senato è solo competente per
giudicare dei reati imputati ai suoi membri », mentre nell'articolo
precedente non dice già che il solo Senato <lebba giudicare dei reati
imputati ai ministri, ma soltanto che « il Senato costituito in Alta
Corte di giustizia giudica, fra l'altro, delle accuse portate contro i
ministri dalla Camera dei deputati ». La legislazione belga che ha cre-
duto conveniente di adottare per i ministri lo stesso sistt:>ma del foro
priYilegiato accolto per i senatori, lo ha stabilito es'pressamente eon
una legge del 1865, che sottopone alla giurisdizione della Corte di
cassazione, a sezioni unite, qualsiasi crimine o delirto commesso
dai ministri, anche fuori dell'esercizio (lelle loro funzioni, lasciando
al giudizio dei tribunali ordinarii soltanto le sempliei aceuse <li con-
travvenzioni.
1'.!0. Escluso pertanto che i capi supremi dei pubblici dicasteri
godano presso di noi di un foro personale privilegiato, resta a Yedere
quali siano gli atti pei quali i ministri possono essere sottoposti alla
giurisdizione straordinaria del Senato, in seguito all'accusa promossa
dalla Camera dei deputati. Il earattere stesso di questa giurisdizione
essenzialmente politica basta di per sè a persuadere che essa non
può riferirRi a qualsiasi Yiolazione delle leggi penali (•ommessa da un
PRIYILEGI Jm DfMt:XITÀ DEI Pt:BBLICI Ft:NZIONARI 403
ministro, sia pure con abuso dei poteri inerenti alla sua carica, ma
occorre che si tratti rli un atto, il quale abbia rapporto, più o meno
diretto ed immediato, con gli interessi politici del paese; tanto è
vero che a nessun deputato potrebbe mai cader in mente di pro-
porre la messa in stato di accusa a carico di un ministro, perchè, a
mo' d'esempio, abbia commesso un furto od un'appropriazione inde-
bita a danno di privati, oppure un reato contro il buon costume,
sebbene nel commetterlo siasi giovato dei suoi poteri di ministro.
Ognuno comprende intuitivamente che per mettere in moto la facoltà
di accusa~ che spetta alla Camera dei deputati di fronte ai ministri,
è necessario che si tratti di uno di quegli atti o provvedimenti, che
rappresentano l'esplicazione propria e diretta dei poteri ministeriali,
e che l'atto incriminato presenti .in sè tale dannosità politica da
compromettere i supremi interessi della patria, oppure implichi una
µ;raYe violazione delle norme statutarie o delle pubbliche libertà dallo
Statuto stesso garantite. Soltanto in questi casi possono trovare utile
e decorosa applicazione la solenne accusa pronunziata dalla Camera
dei deputati ed il più solenne processo davanti all' Alta Corte di
giustizia 1 ).
121. Devesi perciò ritenere che questa giurisdizione penale del
Parlamento sui ministri, che la nostra costituzione affida alla Camera
elettiva per la funzione dell'accusa, ed alla Camera vitalizia per quella
del giudizio, costituisce una vera e propria cogn#io extraordinaria di
carattere assolutamente eccezionale, la quale non esclude punto la
giurisdizione penale ordinaria sancita dal diritto comune, ma piut-
tm1to la integra e la completa. Come mi sforzai già di dimostrare in
nn mio studio, che ebbe occasione delle due note sentenze pronun-
ziate nell'aprile del 1895 dalla nostra Cassazione penale sulle accuse.
mosse contro l'ex ministro Giolitti 2 ), la giurisdizione parlamentare
in mat.eria di reati ministeriali è bensì prevalente e superiore alla
giurisdizione penale ordinaria, in quanto, non potendo evidentemente
concorrere ad un tempo due diverse giurisdizioni punith·e per uno
stesso reato, la giurisdizione dei tribunali ordinari cleve eedere di

l) A tale eon('etto si inspirant il iirogetto !li legge Sineo sulla rcsponsnhilit:ì


lllinisterinle, presentato alla Camera nel 1867; esso così siutetizzan1 il principio dt>lla
1'inrisc1izione parlamenta.re sui ministri; « La Camern dei ckputati imi> ordinare l'ac-
ensa dei ministri per ogni erimine o delitto, che leda gli interessi o il decoro della
Xazione ». Nella relazione ministeriale al progetto di legge presentato nel 1876 dai
ministri Mancini e Nicotera sulla responsabilit:'t dei pnbhlici funzionari si lPggt>:
« La responsabilità ([ci ministri è principalmente politica, non è retta soltanto !la
<Titeri ginridici, ammette eondonazioni e sanatorie per motivi di politiea convenienza,
t><l lrn lo scopo precipuo di far passare in altre mani il governo della cosa pubblica ».
2 ) Questo mio studio, che vide In luce nel periodico La Legge, 1895, voi. I, fa-

sdcoli 20 e 21, venne anche pubblicato in Pstratto sotto il titolo gi:ì richiamato in
nua nota pn•eellente.
404 I PCllllLICI lJFFICI E LA GEHAHCHIA A~DIIXI8TRATIVA

fronte alla giurisdizione eccezionale, il cui esercizio è rimesso con


piena libertà alla iniziativa della Camera dei deputati; ma la prima
giurisdizione non esclude la seconda, così da sospenderne l'azione,
in attesa che la Camera, cui spetta il diritto di mettere i ministri
in stato d'accusa, abbia dichiarato se intende o no far uso di questa
sua facoltà. In altri termini l'azione penale deve esercitarsi secondo
le norme ordinarie della procedura penale sopra qualsiasi violazione
della legge penale commessa dai ministri, sia pure nell' esercizio
delle loro funzioni o con abuso dei poteri ad esse inerenti, finchè
non venga arrestata e per così dire assorbita dalla messa in stato
di accusa pronunziata di propria iniziativa dalla Camera dei rap-
presentanti, senza che occorra all'uopo alcun avviso o comunicazione
alla Camera stessa da parte dell'autorità giudiziaria; giacchè il Par-
lamento, assai meglio e più prontamente dei tribunali, possiede i
mezzi e gli elementi per esercitare il suo controllo sulla condotta
politica dei ministri per vedere se e quando sia il caso di sottoporli
ad accusa dinanzi l'Alta Corte di giustizia. D'altra parte, se l'auto-
rità giudiziaria, prima di iniziare un'istruttoria a carico di un mi-
nistro, dovesse rivolgersi alla Camera ed interpellarla se intende o
no far uso della facoltà, che le compete, di promuovere contro il
ministro colpevole il processo di Stato, ciò equivarrebbe pratiea-
mente ad estendere ai ministri qnell' istituto della domanda di auto-
rizzazione ci procedere, che lo Statuto stabilisce per i soli deputati, con
l'aggravante che mentre per i deputati l' autorizzazione è richiesta
soltanto durante il corso delle sessioni parlamentari 1), per i ministri
Rarebbe sempre necessaria, anche quando è impossibile chiederla,
cioè quando la Carnera si trovi sciolta od a sessione chiusa.
~elle due sentenze del 1895, a cui abbiamo poc'anzi accennato ")~
la Corte di cassazione ha dato alle disposizioni degli articoli 36 e ui
dello Statuto un'interpretazione assolutamente diversa, ed a parer
nostro del tutto erronea, avendo ritenuto che la giurisdizione penale
del Parlamento sui ministri abbia carattere assoluto ed esclusiYo,
per modo che, quando un ministro sia accusato di nn reato qualsial'i,
anche dei più comuni, purchè commesso nell'esercizio delle sue fun-
:doni o con abnso delle medesime, l'autorità giudiziaria debba sempre
astenersi dal procedere, fino a che la Camera dei deputati non an-
torizzi il procedimento ordinario dichiarando che il movente, da l'Ui
il ministro fu spinto a delinquere, non era politico, ma personale.

l) Art . .i,:; dello Statuto.


~) Se ne puiJ leggere il testo in :tppendice al citato mio studio. Recentemente la
Corte snprcnm con h sna sentenza 1lel giorno 8 noYemùre 1897, emessa nel proc·f•;.;,;o
contro l'ex ministro Cl'ispi (pnbùlicata nella Legge, 1897, Yol. li, pag. 707) C'n11-
fermaYa la sna ginrisprmlenza di clne anni prima, senza darsi alcnn iiensiero dC'lk
serie critiche, a cui tale interpretazione aveva dato luogo.
PRIVILEGI ED DIMt:NI'l'À DEI l'l'.BBLICI FL:XZIONAIU 4-0:\

Con siffatta interpretazione, la quale per verità incontrò censure


quasi unanimi da parte dei nostri cultori del diritto pubblico 1 ),
la nostra Corte suprema è riuscita a creare ili suo arbitrio una nuova
specie di gctranzia politica a favore dei ministri, per analogia alla
9aranzia aimn'Ìnistrativa., di cui godono i prefetti ed i sindaci. l\'Ia
lasciando stare che questa istituzione, come vedremo fra poco, è
tutt'altro che meritevole di plauso dal punto di vista dei principii
liberali e democratici, tanto che da molti si propone di abolirla, è
troppo evidente che non si può estendere per via di interpretazione
analogica un istituto che rappresenta un'eccezione al diritto comune,
un privilegio; giacchè per un noto principio fondamentale di erme-
neutica legale « jii.ç singitlare non est proditeendii1n ad conseqitenticis ».
Ci bastino queste brevi osservazioni per dimostrare che, secondo
il nostro diritto pubblico attuale, non compete ai miniski alcun
privilegio di foro in materia penale e neppure una garanzia politica,
analoga a quella concessa ai deputati, che vieti all'autorità giudi-
ziaria di procedere contro di essi senza la preventiva autorizzazione
della Camera dei deputati.
122. Un vero e proprio privilegio è invece quello della così detta
garanzia amministrativa che troviamo ammesso dalla legislazione ita-
liana a favore dei prefetti e dei sindaci, in virtù degli articoli 8 e 139
della vigente legge comunale e provinciale, testo unico 10 feb-
braio 1889. Le orig·ini di questo istituto, diretto a tutelare l'autorità
dei pubblici funzionari amministrativi e la loro indipendenza di
fronte al _potere giudiziario, risalgono ad una costituzione degli im-
peratori romani Valente e Valentiniano, i quali, allontanandosi dal
principio liber:;i,le sanzionato dall'imperatore Costantino, che voleva
tutti i pubblici ufficiali soggetti al procedimento penale comune
(giacchè, come egli giustamente osservava, oinnein honorem reat11.~
e.rcl1ulit), stabilirono che, quando un reato fosse commesso da una
person!J., rivestita di una pubblica carica, il giudice locale potesse
bensì raccogliere le prove, istruire il processo ed anche arrestare,
oecorrendo, l'irnpntato, ma prima di sottoporlo a giudizio dovesse
riferirne al principe, od, in sua assenza, al prefetto del pretorio o
al mngister inilitum, secondo che si trattasse di un funzionario civile
o militare 2 ). Questo sistema trovava maggiore svolgimento in una

1 ) Hiconlimno qni fra i Yari stndi, a cui die1lt>ro occasi01w i processi Giolitti p

I .. relath·e s~uteuzc della Cassazione: Stoppato, I reati ministeriali e l'art. 47 dello


Statuto (in Giustizia penale, ml. I, col. 225-235); Escobedo, I reati ministeriali e il di-
ritto <li <WC11sa della Carnera (Ivi, col. i\02-518 e 881-886); Faggella, Giurisdizione del-
1'.Jlta Corte rli gi11stizia in rappo1·to ai rcctfi ministeriali (in Foro pe11ale, Yol. IV, park
•lottrinale, pag. 23-52) e Falcone, I 1·icorsi Giolitti in Cassazione, Roma, 18ll:\.
'J L. 2 Cod. Theo<l. De exhibendis et transmittendis r1'is, lih. IX, tit. I; P L. 3,
() 0 <1. stesso, G"bi seua.fores i·el clarissimi co11i·1'11ia11t11r.
406 I l't:IlBLICI t:FFICI E LA GEHAHCHLI. .nDIINISTHATIYA

posteriore costituzione dell'imperatore Zenone, la q nale prescriveva


che, quando un cittadino, il quale avesse rivestito un'alta carica
dello Stato, come quella di questore, o maestro dei militi, dopo
uscito d'ufficio venisse accusato di qualche delitto d'azione pubblica
o privata, il giudice ordinario dovesse anzitutto riferirne al principe,
il quale si riservava di autorizzare con una sua lettera il giudice a
procedere, fissandogli benanco la norme a cui doveva attenersi nel
giudizio, specialmente in riguardo alle prove del reato. Naturalmente
questa riserva dell'imperatore significava altresì che quando egli
avesse voluto sottrarre al processo il funzionario incolpato, era libero
di farlo, astenendosi semplicemente dall'impartire istruzioni al giu-
dice riferente, il quale doveva così tenere in sospeso il procedimento
a tempo indefinito.
L'istituto della garanzia amministrativa, sorto così nei tempi più
oscuri sotto l'influsso del dispotismo bizantino, scomparve più tardi
di fronte al regime liberale e democratico dei Comuni italiani, i
quali, come abbiamo esposto a suo luogo, sottoponevano tutti indi-
stintamente i pubblici ufficiali ad una responsabilità rigorosa e senza
riserve, rese effettiva mercè il diritto di accusa liberamente concest'o
ad ogni cittadino e garantita maggiormente con la sicurtà o fideius-
sione che si esigeva dai funzionarii, ed infine col sindacato, specie di
giudizio di revisione generale, a cui tutti i magistrati andavano sog-
g·etti dopo la scadenza dall'ufficio 1).
Durante la monarchia assoluta dei re francesi troviamo risorto il
privilegio giurisdizionale dei pubblici funzionarii sotto la forma dellf'
avoccizioni, mediante le quali il re richiamava al suo Consiglio tutte
le controversie nelle quali i suoi agenti fossero direttamente o indi-
rettamente implicati 2 ). La rivoluzione, che per coerenza ai suoi prin-
cipii liberali ed egualitarii avrebbe dovuto spazzar via quel privi-
legio,· come sbandì tutti gli altri, lo mantenne invece, suggestionata
dalle teoriche del Montesquieu sulla separazione dei poteri. Allo
scopo di al'.lsicurare l'indipendenza d'azione necessaria ai funzionarii
dell'amministrazione, mettendoli cì l' ltbri des ponrsnites indiscrétes on
téméraires, l'art. iu della Costituzione del 22 frimaio anno YIII
(13 dicembre li99) stabiliva: « Les agents du gouvernement, antres
que les ministres, ne penvent l'tre poursuivis pour faitt.-; rélatifs à
leurs fonctions qu'en vertu cl'nne décision du Conseil 'cl'État; en ce
cas la poursnite a lieu devant les tribunaux ordinaires ». Siffatta

1) Vedi i 1mmeri 47 e 48 della presentc monogratia.


2) Ì~ perii controverso fra gli scrittori f'ranl'esi se l'istituto delle a-i·ocazio11i
ri-
guartlasse soltanto le materie ciYili, t•ome sostiene Hélie, Traité de l'instructiou cri-
minelle, Paris, 1866, Yol. II, n. 857, oppure anche quelle criminali, come afferma
Mangin, Traité de l'acfion publiqne et de l'action cil'ile en matière crimiuelle, Paris,
1876, vol. I, pag". 183.
PHIYILE<;I El> DD!CXl'L\ DEI Pl:BBLICI Ft:XZIOXAHI 407
11isposizione, pnrtroppo in stridente contrasto allo spirito repnbbli-
C'ano, si spiega, oltre che coll' inflnenza esercitata dalle teoriche al-
lora predominanti circa la divisione dei poteri, con una reazione alle
eccessive pretese ed alle continue eRorbitanze connnesse dal potere
giudiziario sotto il regime precedente.
Ad ogni modo la caduta del secondo Impero segnò la scomparsa,
che tutto fa credere definitiva, dell'istituto dell'autorizzazione go-
vernativa dalla legislazione francese; giacchè pochi giorni dopo la
proclamazione della terza repubblica, uno dei primi atti emanati dal
Governo della difesa nazionale, in virtù dei pieni poteri che si era
assunti, fu quello di abrogare con suo decreto legislativo del 19 set-
tembre 18ì0, non soltanto quell'articolo 75 della Costituzione del-
l'anno VIII, ma anche qualsiasi altra disposizione di legg'i generali
o speciali, che avesse in mira di porre ostacolo ai procedimenti di-
retti contro pubblici funzionarii di qualsiasi ordine. Lo stesso de-
creto stabiliva però che con legge successiva si sarebbero determi-
nate le pene contro i privati che avessero intent.ato procedimenti
temerarii contro i pubblici ufficiali; ma siffatta legge, che avrebbe
per scopo di prevenire le accuse mosse per leggerezza o per astio
verso i rappresentanti dell'autorità, non venne mai promulgata fi-
nora, nè sembra che i francesi ne lamentino troppo la mancanza.
123. Senza dilungarci in altri cenni storici e di legislazione com-
parata, pei quali rimandiamo il lettore ai trattati e commenti spe-
ciali 1 ), ci basti rilevare che non v'ha più oggidì un solo Stato civile
ili qualche importanza, che non abbia sentito il dovere di bandire
11alle proprie leggi un istituto che ha fatto il suo tempo, e che, come
venne argutamente definito in Francia, sembra ideato a bello studio
!'Ome un 1nodo artistico per privare i cittadini di tutte le loro
libertà. Le ragioni che si solevano addurre per giustificare quel
privilegio d' inunnnib't giurisllizionale a favore dei pubblici funzio-
na rii si riducono in sostanza da un lato al principio della separa-
zione e della reeiproca autonomia del potere amminh;trativo e del
potere giudiziario, e da.ll'altrn lato alla necessità di tutelare la tran-
quillità e il prestigio dei funziona.rii contro le capricciose o t.eme-
rarie accuse dei privati. -:\la la prima ragione manca di fondamento,
perchè l'autorità giudiziaria, quando reprime penalmente o ripara
<:ivilmente un abuso di potere od una ingiustizia qualsiasi commessa
cla un rappresentante del potere esecutivo, non invade menomamente
il <'ampo dell'amministrazione; g'iacfhè per il noto prineipio della
legge sul contenzioso amministrativo 2) il gimliee i-> competente sol-

1) Vedi speeialmente Saredo, La 111ww legqe .sulla ammi11iNfrazio1w com1111ale 1· p1·0-


ec<'. nll. I, Torino, 1892, pag. J:)f) e seguenti.
1'Ì11ciale comme11tata,
~) Legge :W marzo 186i'i, allegato E, snl contenzioso :rn1ministratiYo, art.. ,J.
40!< I l'CllBLICI CFFICI E LA GERAHCH!A A'.VDUXI"THAT!VA

tanto a conoscere degli effetti dell'atto amministrativo in relazione


alla lesione recata al tliritto individuale, ma non pui1 mai emetten·
direttamente ordini o provvedimenti obbligatorii per le autorità a111-
rninistrative. Quanto al timore che l'autorità dei fnnzionarii posi,;a
troppo facilmente essere scossa da accuse infornlate, è ovvio osser-
vare che maggior danno è il discredito generale e_ permanente ehe
deriva ad un'intera clas8e di fnnzionarii dall'esistenza di un privilegio,
che pare istituito al solo scopo di coprire i loro abusi e le loro pre-
potenze. Del resto, se a prevenire inconsulte o calunniose accuse 8Ì
credono insufficienti le sanzioni del diritto comune, non sarebbe
difficile ideare una legge apposita, collie quella preannunciata dal
decreto francese del 1870, la quale stabilisce speciali pene contro gli
ingiusti accusatori.
Queste ragioni ci inducono a<l associarsi senza esitazione alla
schiera già numerosa degli scrittori, che, si pni1 dire ormai con voct:>
unanime, propongono l'abolizione di quel vecchio arnese di governi
dispotici, che, in mano di un governo liberale, diviene necessaria-
mente un telmn ·imbelle sine -ictu, anzi, quel che è peggio, si llluta
in un'arma a doppio taglio, di cui esso non osa servirsi se non ra-
rissimamente per t.inwre del discredito che la negata autorizzazione
a procedere contro un funzionario getterebbe sul Governo stesso,
mantenendo vivo il sospetto che esso abbia bisogno di quella cappa
per coprire le proprie ma.gag11e; le q nali, come sempre sembrano
tanto più gravi ag1i occhi del pubblico, quanto più Fautorit.à si
sforza òi tenerle celate 1 ). Infine la prova più eloquente dell'assoluta

1) Fra gli autori contrari alla garanzia am1ui11istrntiYa riconliamo principalmente

i segnenti: Borsari, Dell'azione pubblica, pag. 41+ e sf'gg,; Honasi, Ddla re,çpo1rnabi-
lità penale e cit'ile dei miniNt1·i e degli nitri 1~tfìciali pnbblici ecc,, Bolog1m 187•1, park. I.
ca'IL IV; Scolari, Dil'itto amministratii·o, 2.a etliz,, 11, 837 e segg.; Borsani e Casorati,
Cori. di proc. prn. co111menlC!to, Yol. 1, ~ +2 ,, seg.; Kocito, Prolegomeni alla jiloMijia
del diritto fii1ulizial'io, penale e cii:ile, cap. VII, 9 iiO e seg. ; ::l>lencci, Istituzioni di dir.
a11wd11istratirn, e San'!lo, Tmttato delle leggi (Napoli 1871), mL 769-773. Piìt tar<li perì>
quest'ultimo scrittore 11011 si tliehiarn. piì1 risoluto ay\·ersnrio dell'istituto tlella ga-
ranzia nmrninistrati,·n., limitandosi a far Yoti col Persi<-o (Diritto amministratiro.
2." edizione., Yol. I, Xapoli, 1875, pag. 271) che si HtU<lii altro BJOdo di conciliare In l•·-
gitti111a lihertit !l'azione 11Peessaria ai rappresentanti <lPl potere PHecutiYo co11 lP gua-
rentigie don1te al diritto dei <·ittadini (Yedi Co1111uento citato della legg·e <·ont. ,.
proY,, n>l. eit., pag. 17+). Ikeeutt-mente ancora scrissero in senso eontrario alla g-a-
ranzia amuiinistmtfra: ~loseatelli, L'antorizza.zione a p1·uceden• couil'o i pubblici 11,tli-
cictli (in Ririxta pen((/e, ,·ol. XLI, pag, ~.4-iil) e Xamias, nel DirfeNto it((/i((uu, Yoc1·
_./ utori.zzw:ioue a procedere, 11, 105 e seguenti. Ora poi, mentre seriYiamo (ottohre 18H71
<·i giunge notizia che il IY Congresso giuri1li<·o n:1zionalf', t .. 1111to in questi giorni a
Xapoli, ha Yotato una proposta tendente all'abrogar.ione pnrn t· sc111plire (h•gli :11-ti-
1-oli 8 t• lBfl <lella Yigentc lt>gg-<' comunale e pro,·ineial•~-
1 soli "''rittori che si pronunziano in fan>re della garanzia a1111niniRiTatiYa so110:
Drng·o, (~11extio11i di diritto com111wle, pag, 227 ,. seg·g,, l' 8al11to, Cu111111e11ti al codice di
prue, j)('IWil', 8." <'fliz., ,·ol, YIL pag, iil6 ,, segg. Andte i eo111111Pntatori r!Plla leg·gp
PIUVILEGI ED DDn:xIT,Ì. DEI l'CBBLICI FCXZlOXARI 40fl

inutilità. di quell'antiquato istituto, che dallo stesso minist.ro Crispi


nella seclnta della Camera dei deputati del lii luglio 1888 venne de-
finito un anacronismo, ce la fornisce la statistica ufficiale, dalla quale
risulta che sopra trentanove autorizzazioni a procedere contro gindaci,
che fnrono richieste nell'anno 18H;J, neppure una 8ola venne rifiutata,
e lo stesso era accaflnto nell'anno precedente, sebbene il numero
delle domande fosse stato quasi doppio; nell'anno 1893 sopra 8et-
tantacinquc domande una sola fn respinta, e nel 1891 su novantotto
ri<'hieste ne fnrono rifiutate due. Durante tutto questo periodo non
fu presentata alcuna domanda di autorizzazione a procedere contro
prefetti. Ciò significa in pratica che ogni anno l'autorità ~:indiziaria
cla una parte deve sospendere molte volte l'esercizio delle RlH:' fun-
zioni istruttorie per richiedere l'autorizzazione a procedere, e l' au-
torità amministrativa è costretta dal canto suo a sottoporre alla firma
del Re un apposito decreto per l'autorizzazione, senza che tutta
questa doppia perdita di tempo e di lavoro serva ad altro che a
spargere una luce sfavorevole sui funzionarii, che la legge si ostina
a voler proteggere con un privilegio odioso, più apparente che ef-
fettivo.
124. Premesse queste considerazioni storico-critiche, vediamo ora
brevemente quali siano le norme giuridiche, da cui P regolata nel
nostro vigente diritto positivo la garentia amministrativa dei prefetti
e dei sindaci. Tre debbono essere i punti principali della nostra
ricerca: 1. 0 quali siano i fnnzionarii coperti da tale privilegio; 2. 0 a
·quali atti esso si estenda; :3. 0 quale sia il procedinwnto da seguirsi
per la sua applicazione.
Circa la prima q nestione ci basti osservare che, trattandosi cli nn
privilegio che implica una grave deroga al diritto comune, deve
respingersi rigorosamente qualsiasi. interpretazione estensiva; e quindi
è da ritenersi che i soli fnnzionarii coperti dalla garanzia amnum-
Rtrntiva sono quelli tassativamente indicati dagli articoli 8 e l:'l!J
della legge comunale e provinciale, vale a dire i prefetti e sotto-
prefett.i, e coloro che ne fanno le veci, non che i sindaei. Coloro d1e
fanno lt> veci del prefetto o del sottoprefetto sono, rispetto al pre-
fetto, il consigliere delegato, e, rispetto al sottoprofetto, il RPgrPtario
più anziano fra quelli addetti alla sottoprefettura. A costoro, in
•iirnnt,o facciano ]p funzioni del RuperiorP asseut,e o imm(·ante, sarù

<:0111. e prm·., l'Olllc l'Astengo, il :\lng11i, il Caronl'ini, il .Jt.rnolo. C!'l'. si tli<-hiar:mo


geut'rnl111t>utt· favm'l•\·oli a 'l11csto istituto; rnn alln loro adesio11e 11011 puì1 attrilmirsi
,u;rau peso. ginl'"11ì·, tratt:mdosi cli St>Illplil'i eo111111enti al tlil'itto vigPnte l'ompilati
••sdnsivamente sui dati tiella giurispru<lei1za prntfra essi si limit:mo :ttl illustrnn· la
legg·e s!'ritta sc11za assorgere a l'ritiehe Hl'it'ntifkht• 11è a proposte di rifor111e leg-isla-
ti,·e. Fa et·t·t>zione tuttavia il :.\Iazzol't'olo, el1c 11cl Hl\O ComnH•nto, ,,,lito 1lall'Hoepli
(3.a t>tliz., 18llJ), pag. 21, si 1lid1iara risoluto avn·rsario 1lel JHH'O lihnale istitnto.
.no I l'l'BBL!Ul CFFICI E LA GEHAHCHIA A)Dll:'\ISTHATIVA

applic~lliile la tutela speciale della legge; ma non mai ai funzionarii


di pubblica sicurezza e neppure ai questori, perchè tutti questi fun-
zionarii agiscono bensì sotto la direzione del rappresentante del
(~overno nella provincia o nel circondario e a termine dell'art. 1
della legge :n dicembre 18!:10, ma non si può dire che ne facciano
le veci, perchè altra cosa è <lipen<lere gerarchicamente da un supe-
riore, altra farne le veci; chi fa le veci del suo superiore assente
od impedito, lo sostituisce nell'adempimento delle sue funzioni; in-
vece chi agisce sotto gli ordini o la direzione del superiore presente
in ufficio, ne attua le disposizioni e ne segue le norme direttive.
Gli ufficiali di pubblica sicurezza non potranno essere chiamati a
rispondere personalmente, nè in via penale nè in via civile, di un
atto o provvedimento da essi compiuto od omesso in seguito ad ordini
1lel prefetto o sottoprefetto, loro superiore gerarchico; perchè, salvo
il caso che l'illegalità o l'immoralità dell'ordine fosse tale da non
poter essere obbedito in buona fede 1), il dovere della subordinazione
e dell'obbedienza gerarchica li esime da ogni responsabilità. Se invece
essi hanno agito di propria iniziativa, cioè senza un ordine espresso
1lell'autorità politica, in tal caso dovranno rispondere delle loro azioni
secondo le norme del diritto comune, senza poter invocare a propria
1life:;a un privilegio che la legge ba inteso di accordare ai soli rap-
presentanti diretti ed immediati del Governo nell' amministrazione
provinciale e locale 2 ).
Ammettiamo però che la garanzia sia applicabile a favore di qual-
siasi funzionario amministrativo, che, per delegazione del prefetto,
sottoprefetto o sindaco attenda ad una fnnzione propria di una di
<[nelle autorità; gfacchè la legge non mira a proteggere la persona,
ma la funzione considerata nella sua entità politica :i). Per la stessa

l) Hiehiamiamo >t qnesto proposito ciò che abbiamo s"ritto nel 1:apitolo Jll'ec<·-
,]ente (11. 100) circa l:t facolt;ì, anzi l'obllligo, dell'inferiore di disollbedirn ad nn
or<line del Knperiore manifestamente "ontrario alla legge od ai lrnoni eostnmi.
2) L'opinione contmria è soHtenuta 11al S:tre1lo, nel Commento eitn.to, Yol. Il,

pag. li5 e seg., il 1pwl1• ritie1w l'!rn la gamnzi:t si estenrla anche n.i funzionari di
pnhhlil'a Ricnrezza per gli atti da loro compiuti sotto la .1lirezione ilei prefetti e ilei
sottoprefetti. Ili :wYiso confonnl' al nostro è il Namias, 111<11rngrn.iia cit.atn., 11. 11.±.
'') Ciii deYe dirni tanto nel!' ipotesi che l:t delegazione <lelle fnnzioni Yenga fottn.
1lirettamente d:tlla legge, quanto nel!' ipotesi che sia fatta dn.l prefetto, sottuprdetto
o siwlaeu, pnrchè, beninteso, tale 1lelegaziune sia consentita 1lalla legge ed an·p11ga
nelle forme da essa presl'ritte. Xon possiamo perciò >tpprontre l:t masHima fl.l'COlt:t
ilalfo Cassnzioni ili Fir1•11ze, 5 luglio 1879, rie. Poli (Legge, 1880, pmte I, pag. 53.±) e
ili Palermo, 2 marzo 1888, rie. Pnleu (Legge, 1889, vul. I, pag. 45ll) nel SflnHo che la
garanzia amministrati va prutt>gga il fnnzionario 1lelegato 11Pl solo <:n.so 1:he. le fnn-
zio11i gli Yenganu dPlep;ate direttamente dalla legge, e non 11mmdo gli Y<'ngano 1\t'-
]Pp;ate 1lal sin<la!'o medesimo. In senso 1·onforme alla nostra opinione Yep;gaHi nn:i
s1'ntt>nza dt>lla Cortfl d'appello ili <ienont, 22 giugno 1889, app. Ce,asco (Leyge, 188\l,
vol. II, pag. 183).
l'RlVILEta ED DD! CXITÀ DEI l't:BllL!Cl Ft:XillùXAIU 411

ragione la guarentigia è anche applicabile, sebbene l'art. 13U della


legge comunale e provinciale non lo dica espressamente, a favore di
qnei funzionari dell' amministrazione comunale, che facciano le veci
del sindaco assente od impedito, a termine dell' art. 138 della legge
stessa, vale a dire, in ordine imccessivo, l'assessore delegato, l'asses-
sore anziano od il consigliere anziano; e così pure a favore del com-
missario straordinario, che in caso di scioglimento del Consiglio Ci)-
munale regge l'amministrazione del Comune esercitando i poteri del
sindaco e quelli della Giunta, a mente dell'articolo 26U della legge
stessa.
12;). Riguardo alla seconda questione che ci siamo proposta, cioè
a quali atti si estenda la guarentigia amministrativa, è ovvio anzi-
tntto che a questa tutela rimangono perfettamente estranei tutti gli
atti compiuti dai funzionari come semplici persone private, quali
sarebbero i delitti comuni, benchè commessi con abuso dei poteri
inerenti all'ufficio, salvo beninteso che si tràtti di accuse concernenti
direttamente l'esercizio delle pubbliche funzioni. Cos1, per spiegarci
con un esempio, crediamo che sarebbe necessaria l' autorizzazione a
procedere contro un prefetto, sottoprefetto o sindaco imputato <li
peculato, di concussione o di corruzione, a senso degli articoli 168 e
seguenti del Codice penale; ma non quando l'accusa fosse di omicidio,
cli lesione personale, di ratto o di stupro, :>ia pure conunessi con
abuso dei poteri inerenti alla carica. Ciò che il legislatore volle
proteggere è il libero esercizio delle funzioni amministrative, non
g·iù, gli abnsi di potere che il funzionario poiisa commettere per fini
privati e personali.
Quanto ai sindaci, si discute vivarnente se l' immnnità ginriRdizio-
nale si estenda a tutti indistintamente gli atti da loro compint.i nel-
1' esercizfo delle molteplici attribuzioni affidate dalla legge a questi
fnnzionarii. Il sindaco è anzitutto il capo dell'amministrazione co-
munale, ed in questa sua qualità presiede i Collegi amministrativi
municipali (Com;iglio e Giunta), ne eseguisce le deliberazioni, st.ipula
i contratti per il Comune e lo rappresent.a in giudizio 1) ; in secondo
luogo è ufficiale del Governo, e come tale è incaricato principalmente
tli provvedere, sotto la direzione delle superiori autoritù governative,
alla pubblicazione delle leggi, dei decreti ed altri atti del (}overno,
9tli tenere i regiRtri dello stato civile e cli invigilare all'online pub-
blico ed alla sanifaì pnbblica 2); in terzo luogo riveste la qnalità di
ufficiale di polizia giudiziaria e ne adempie, sotto la direzione del
Pubblico }Iinistero, le funzioni dirett,e all' aceert.arnento dei reat.i ed
all'arresto dei delinquenti "); in quarto luogo nei Comuni, ove non

1) Legge l'Olll. ,, prov., te8to nni<-o, 10 fd1hrnio ll'i<fl. :1rt. 1:31.


~) Legge ~tessn., n.rt. 1:32.
' 1) Co<l. <li proc. pen., art. 07, 62 e 67.
412 I PCBBLICI t:FFICI E LA GI'HARCHIA .UDIIXISTHATIVA

risieda un ufficiale cli pubblica sicurezza, il sindaco ne eRercita le


funzioni sotto la direzione e la dipendenza del prefetto, del sotto-
prefetto o tlel q nestore 1 ) ; e da ultimo, in mancanza di altri funzio-
narii designati dalla legge, il sindaco è chiamato a fungere da Pull-
blico Ministero nei giudizi penali davanti alle Preture 2 ).
Alcune di queste attribuzioni, vale a dire quelle che si riferiscono
alla polizia giudiziaria ed alla ra1>presentanza del Pubblico Ministero
nei giudizii pretoriali, appartengono strettamente all'ordine giudi-
ziario, tanto che per l' esercizio di tali funzioni il sindaco è sotto-
posto direttamente alla sorveglianza ed alla dipendenza dell' autorità
giudiziaria. È quindi .concordemente ammesso che egli non può go-
dere in questi casi di nna garentia quale non è concessa agli ufficiali
superiori dello stesso ordine giudiziario dai quali esso dipende; al-
trimenti si verrebbe a permettere all'autorità amministrativa l' ap-
prezzamento di fatti relativi a funzioni giudiziarie; il che offende-
relllle quel principio della reciproca indipendenza dei due poteri, che
si volle appunto assicurare con l' istituzione della guarentigia ~).
Quanto alle funzioni che il sindaco compie come ufficiale dello
stato civile, sebbene esse siano annoverate dall'art. 132 della legge
comunale e provinciale fra quelle che sono affidate al sindaco nella
sua veste di ufficiale del l+overno, è tuttavia da ritenersi, malgrado
la contraria ginrisprndenza della Corte di cassazione e del Consiglio
di Stato, che non godano della garanzia, essendo in sostanza aUri-
buzioni di ordine più giuridico che amministrativo, ond' è che per
l' esatto adempimento di esse il sindaco non è posto sotto la dipen-
denza delle autorità amministrative, ma bensì sotto l'immediata e
diretta vigilanza dei procnratori del He ed è tenuto a conformarsi
alle istruzioni a lui impartite dal .l\:Iinist,ero di grazia e giustizia 4 ).

1) Legge 21 dicembre 18HO Hngli nf'f:ieiali etl agcHti ili publiliw sicnrezza, art. 6.
2) Lt>gge 6 dicemhre 186i\ Hnll' onlin:n11Pnto giudiziario, art. 132.
:;) La Corte di «nssazione •·on una n·t·entissima sentenza in data tlel 20 lnglio 18H7
(Uiirntizia penale, Yol. III, col. 112:{), è andata in contrario :H"Yiso, ritenendo dtt·
le attrilmzioni di polizia giudiziaria, demandate al sindaco da.gli art. 62 e seg. del
Cod. tli proe. pe11., tlelihauo couHidcrarsi quali attribuzioni di uftieia.le tld Gon•rno,
e che quindi non possa senza autorizzazione procedersi contro il sirnlaeo pn fatti
inerenti alle sue funzioni <li nfti1·iale di polizia giudiziaria, qualt> è il reato di~
rifiuto o tli omissione tli rnpporto.
}la questa risoluzione nou l'i st·mbrn eonetta, parte11do essa 1lal eoncetto elw
per l'art. 121 della legge com. e proL il simlat'o noH possa riYcstire ehe due HOIP
<prnlitù, quella di capo dell'amministrnziollt> t'OilllllHlll' e quella di nfticialè <lel Go-
nJrno; co11eetto f'Yi1le11kmeutf' erroneo, psscndo assnr<lo che talune fnnzioni, t'OUW
iwr es. quella ili rappr<'st'ntrmfr llel Pnhhlieo Ministero nri giudizi penali dtn-anti
al Pretori·, si poss:mo classiticare sotto l' mm o l'altra <li quelle dne qualitù del
sinclu.1·0, Il' qnali sono bensì le prinl'ipali, ma non le sole e<l PsclusiYe.
'J R. Dendo li'i lltffl'Illhn· 186ii, sull'or1lina111L'llto ddlo stnto eiYile, art. 13. ~o­
tiamo JH'l'Ì> l'ltt· la ginri~1n·111ll'nza l·osì dt'lla Corte ili (·assnzione di Roma (seutpnza
PIUYILEGI ED DDIC:\'l'Ll DEI PCBBLICI Ft:XZIOXARI 4.rn

Più grave si presenta il dubbio se sia necessaria l' autorir.zazione


sovrana per procedere contro il sindaco, quando abbia agito in qua-
lità di capo dell'amministrazione comunale. Su questo punto si nota
un contrasto fra la ginrisprndenza della Corte di cassazione e quella
del Consiglio di Stato; giacchè la prima ritiene costantemente la
soluzione negativa, nel senso cioè che la tutela della guarentigia
copra soltanto gli atti del sindaco come ufficiale del Governo, ma
non quelli che esso compie nella veste di capo dell'amministrazione
municipale 1); mentre il secondo è d'avvisso che la garanzia debba
comprendere anche questi ultimi atti, non essendo lecito all' inter-
prete introdurre una distinzione che non si trova nella legge, cioè
nell'art. 13H della legge comunale e provinciale 2 ). Sebbene la mag-
gior parte degli scrittori si pronunzii in favore della interpretazione
restrittiva sancita dalla Cassazione, noi riteniamo col Saredo che,
in coerenza al fine propostosi dal legiRlatore col mantenere l'istituto
della garanzia annniniRtrativa, il fine cioè di proteggere il prestigio
e la forza d'azione dell'autorità amministrativa, contro gli ing·iusti-
ficat,i attacchi dei privati, la log'ica vuole che si ammetta la tutela
della legge anche a favore del sindaco, in quanto agisce in veste di
capo dell'amministrazione comunale; perchè anche in queste fun-
zioni, non meno che in q nelle a lui affidate come ufficiale del Go-
verno, il Rindaco e8ercita attribuzioni cl' ordine anuniniRtrativo e

14 ninggio 1884, nella Legr1c, 1883, YOl. I, pag. 279) come dd Consiglio Ili Stato (pa-
rere del 18 dice111hre 1868 nel Jfan11ale degli ammini8frato1·i, 1869, pag-. 338) è di con-
trario :LYviso, ritenernlo neceRsaria l'antorizzazioue sovrau:1. per potersi lH'oce<lere
contro i sindaci imputati <li contmvvenzione a Ile nonne concernenti lo stato ciYile,
a mente dell'art. 4.04 clel Codice civile. Xella dottrina d sono aknni '"rittori che
:tpprovano quesbt giurisprudenza; così il Baudana-Vaccolini, Commento al cuci. cit'.,
voi. I, parte III, pag. 1488, il Drago, Q1te8tio11i di diritto comunale, pag. 2i52 e segg.,
ed il Magni, Commento allei lc!fge com. e prov., snll':nt. 8, n11. 22-24. }fo l'opinione
•la noi sostenuta nel testo puìi ritenersi prevalente, essen<lo sostenuta <lal Snluto,
Co1111n. del Codice di proc. pc11., 3.a ediz., vol. VII, IL 2549; flni Borsaui e Casorati,
Cod. di. proc. pen. comnwnlllto, vol. I, ~~ Jii-46; 1lal Borsari, Couun. del cod. civ., voi. I,
§ 331; dal Conti, Il sindaco nel diritto mnininistrativo Ualia110, n. 230; dal Scevola,
Oordinamento dello stato ci1:ile, n. 532; dall' Aliherti, La !farauzia amministrativa dei
sindaci (in Bi11ista mnmini.stratii"a, 1870, pag. 17-18); <l:il Rare<lo, Comnwnto eitato,
Yol. III, pag. 421; <lal ::Ofamias, monografia citata, 11. 122; e <la! }loscatelli, Studio
citato in Rivisflt penale, Yol. XLI, pag. iJ0-51. In sen8o "onforme si ha altresì nna
notevole sentenza <klla Corte d'appdlo <li Ge11ova, 22 '-'ingno 1880 (Le!fge, 1899,
vol. II, pag. 133).
1) Vedi in questo senso: Cass. tli Roma, 28 ottobre 1885 (Legye, 1886, I, 281) e

22 fehhraio 1890 (Legge, 1890, II, 135) e 1. 0 di~:emhre 18fl3 (legr1c, 1893, I, 94); Cass. tli
Firenze, 6 <licemhre 1884 (Le.rJrJe, 1885, II, 681); Cnss. di Torino, 10 gennaio 1883
(Legye, 1883, I, 676); Cass. di Na110li, 5 gingno 1882 (Leyge, ivi, pag. 716) e Cass. di
Palermo, 2 marzo 1888 (Legge, 1889, I, 4i'ifl).
~) Pareri 17 marzo, 6 e 27 giugno 1866 (Jla11. degli a111111., 1869, p:1g. 356, in nota)
e 18 dieemlHe 1868 (Iri, pag. 3i58).
414 I Pl'BBLICI 1'.FFICI l·: LA GEBABCHIA A)IMINIS'J'RATlVA

compie atti che interessano direttamente la gestione della cosa pub-


blica, pei quali può trovarsi esposto ad inimicizie, odii e vendette,
non meno che quando agisce come funzionario di pubblica sicurezza
o come esecutore degli ordini emessi dall'autorità governativa 1).
l!W. Altra grave questione si è fatta in Francia e presso di noi
per stabilire dinanzi a quali giurisdizioni occorra F autorizzazimw
sovrana prima di procedere contro i prefetti, sottoprefetti o sindaci
ed i loro facienti funzione. Oltralpi i più autorevoli pubblicisti si
sono accordati col Comiig1io di Stato francese nel ritenere che la
gnarentigia si eHtenda non soltanto ai giudizi penali, e per qualsiasi
procedime11to, sia che si tratti di crimine, di delitto o . di semplici
contravvenzioni previste dal Codice penale o da leggi speciali, ma
altresì ai giudizi civili 2). In Italia la questione è più controversa,
essendovi parecchi autori i quali sostengono che la guarentigia, di
cui agli articoli 8 e 13!:1 della legge comunale e provinciale, debba
limitarsi ai 80li procedimenti penali 3). Tuttavia prevale anche presso
di noi l'opinione che non possa farsi distinzione fra procedimenti
penali e giudizi civili, ed in questo senso si è dichiarat.a, safvo
qualche eccezione, la giurisprudenza delle nostre Corti 4 ).
Questa sembra anche a noi la soluzione preferibile di fronte alla
lettera della legge che non autorizza distinzioni fra l' una. e F altra
forma di giudizio, ma più ancora per lo spirito della legge stessa,
che evidentement.e ha in mira di proteggere i funzionarii contro
qualsiasi azione giudiziaria, che possa turbarli nel libero e sereno
esercizio delle loro attribuzioni; e male raggiungerebbe il suo scopo

i) Vedi Sa redo, Commento citato, vol. III, pag. 42:~; e nello stesso senso :Kamias,
lo<'. cit., Il. 120. Gli autori che sosk11gono non spettare la gam11zia al sind:wo come
ca po tlell' amuii nistrnzione <·ommrnle sono princi paln1e11t.e q 11esti : Borsani e Uasorati,
Conwi. eit., vol. I, pag. 545; ~lagni, op. cit. snll'art. 8, nn. 10-13; Conti, op. ('.Ìt.,
nn. 219-230; ed Aliberti, Joc. cit., pag. 12.
2) Consulta fra gli altri: Dalloz, Bépei·toil'e, voe . .Mise en juge11w11t dcs fonction-
naires pu.blics, nn. li'.i8 e segg.; Fanstin-Hélie, Tmité rle l'instruction cl'i1ninelle, vol. III,
~ 170; Bathie, Traité t/11501'. et prat. dt• dl'oit 1mblic et ad111i11i8frntif, ,-o]. III, ~ 479;
Ducrocq, Cott/'8 de dJ'oit adtninisfl'atif, Il. Ull; Aucoc, e011férences 811.I' l'administratio11
et fr droit arlininistl'afif, voi. I, n. 422 e Dnfonr, Traité généml de droit ad1wi11istrat(f',
vol. VI, n. •l21.
:;) B01rnsi, op. eit., eap. IV; Conti, op. cit., 11. 231 e segg.; Ginstiniani, Tradu-
zione <lel Le Sellyer, in appendice nl vol. II, 11. VI; De Stefani-Nicolosi, Qu.istioni
sulla r1narenti[fia degli atti dei prefetti (Legge, 1869, II, pag. 917 e segg.); Mantellini,
Lo Stato ed il codice civile, nil. I, pag. 113; Namias, Monografia citata, 11. 134.
4) In '}nesto senso oltre i commenti di Serpieri e SilYagni, di Arabia e Correa,
<li Sterlich, di Astengo e di Snredo (sull'art. 8 della legge com. e proY.) si veda:
Meneei, Istituzioni di diritto a-mininistrnli1'0, eap. V, § 8. Fra le sentenze vedi spe-
cialmente: Cass. di Torino 19 non1ubre 1874 (Legge, 1875, vol. II, pag. 87) e 7 lu-
glio 1876 (Legge, 1876, II, 328); non ehe i l)fl.reri del Consiglio di Stato 14 dicem-
lire 1860 (Le[fge, 1861, II, 7), 12 maggio 1863 (Legge, 1863, II, 1:{8) P li> settembri' 1875
(Uinri8p1'. del Cuusigliu di Stato, vol. I, png. 826).
l'HIYILIWI E)) DDffXIT.\ rn:r Pl'BBLICI FCXZIOXARI 41'1

8 e limitasfH' la tutela alle sole azioni penali, mentre un'azione civile


puìJ esser causa di danni e di apprensioni non meno gravi pel fun-
ziouario. È perìJ pacificamente amnH'SSo da tutti che la guarentigia
non si estende ai ricorsi amministrativi, sia in via gerarchica che in
via contenziosa, come i:mrebbe nei giudizi daYanti alla Giunta pro-
vinciale amministratin1, alla IY Sezione del Consiglio di Stato, e
pei giudizi contabili al Consiglio di prefettura ed alla Corte dei
('onti 1). ~fa la garanzia sussiste anche di fronte alle giurisdizioni
penali straordinarie, eccezionali o privilegiate, qual' è la giurisdizione
dell'Alta Corte di giustizia pei senatori, come pure di fronte alla
giurisdizione speciale istituita pei militm·i dell'esercito e della marina;
e quindi contro un prefetto, sottoprefetto o sindaco che rivesta al
tempo stesso la qualità di senatore, non si potrà iniziare alcun pro-
eedimento davanti al Senato per atti da lui compiuti nell'esercizio
della sna carica, se non previo l'assenso sovrano; e del pari un mi-
litare cui siano affidate, sia pure per incarico temporaneo o straor-
dinario, le funzioni proprie di c1uegli uffici civili, non sarà passibile,
neppure in tempo di guerra, di processo cla"rnnti ai Tribunali penali
militari per fatti inerenti all'esercizio di tali funzioni, se non dopo
ottenuta F autorizzazione governati va.
Occorre poi notare che il privilegio della garanzia amministrativa,
al pari di quello analogo della garanzia politica che spetta ai depu-
tati, rappresenta un istituto giuridico d'ordine pubblico, stabilito
non già nell'interesse privato delle persone, ma bensì per il migliore
andamento della cosa pubblica; dal che devesi concludere che non è
dato ai funzionarii, che ne sono investiti, di potervi rinunciare. La
sola eccezione alla gnarentig'ia amministraUva è quella prevista dal-
l'art. 112, ultimo capoverso, della legge elettorale politica (testo
unico 28 marzo 1895) e dall'art. 100, ultimo capoverso, della legge
comunale e provinciale, ove trovasi stabilito che i pubblici ufficiali,
vale a dire i prefetti, sottoprefetti, sindaci e loro facienti funzioni,
<1uando siano imputati di reati elettorali, non sono coperti dalla
garanzia. All'infuori di questo caso, tassativamente previsto dal le-
gislatore, in qualsiasi procedimento penale e civile contro uno dei
J>nhblici ufficiali suddetti l'autorità giudiziaria non può agire se non
dopo aver impetrata l'autorizzazione sovrana, indipendentemente da
<pmlsiasi rinunzia al privilegio da parte del funzionario imputato o
eonvenuto.
Ossen·iamo ancora che, in applicazione di un principio già più
volte richiamato nel corso di questo capitolo 2 ), la guarentigia seg·ne

1) 111 qnP,.;to sPnRo si ha nn'importantc decisione <lella Corte <li eassaziont' tli
Roma, n sezioni nnite, in data ckl 22 nprilt> 188:2 (Legf!e, 1882, II, 217).
2 ) V0tli specialmente il 11. 109.
Jl(:i I Pt:BBLICl CFFICI E LA GERARCHIA .UDIIXI8TRA1'IYA

il fnnzionario anche dopo la sua decadenza dall'ufficio, qualunque


sia la causa per cui la decadenza siasi verificata, sia cioè per de-
correnza del termine, per rinunzia volontaria, per collocamento a
riposo, per incapacità ed incompatibilità sopravvenutegli o per prov-
vedimento disciplinare; giacchè le stesse ragioni che hanno indotto
il legislatore a vietare che il giudice possa, senza previo assenso
del Governo, sindacare gli atti del funzionario, sussistono egual-
mente, o che il funzionario si trovi tuttora in carica o che sia
functus officio. La tut,ela, essendo accordata alla funzione e non all'in-
dividuo, deve permanere per gli atti compiuti dal pubblico ufficiale,
senza riguardo alla sua qualità o condizione nel momento in cui
Fazione è promossa od esercitata. Devesi perciò ammettere che la
garanzia sussiste anche a favore degli eredi del funzionario, in quanto
essi vengono chiamati a rispondere civilmente degli atti compiuti
tlal loro autore nell'esercizio delle funzioni di prefetto, sottoprefetto
o sindaco.
12i. Poche parole ci basteranno per rispondere alla terza questione
che ci siamo proposta, quale sia cioè la procedura da seguirsi nei
1·asi in cui è richiesta l'autorizzazione sovrana a procedere. Secondo
le norme chiaramente stabilite negli articoli 805-808 del Codice di
procednra penale, in tali casi il giudice istruttore deve limitarsi ad
assumere le prime informazioni e procedere ai primi atti per accer-
tare se sia il caso di rilasciare a carico del funzionario incolpato il
mandato di comparizione o di cattura. Se il risultato di queste in-
dagini preliminari, durante le quali il magistrato inquirente deve
rigorosam~nte astenersi dal recare qualsiasi molestia o disturbo al
funzionario, sia pure con un semplice interrogatorio, riesce negati\·o,
si dichiarerà senz'altro non esser luogo a procedere, sen~a bisogno
tli far intervenire l'autorità regia per un'autorizzazione che sarebbe
senza scopo. Se invece gli indizi di colpevolezza raccolti in quella in-
chiesta preliminare siano tali da indurre il giudice istruttore od il
Pubblico }Iinistero nella convinzione che si debba rilasciare il man-
dato di comparizione o di cattura, in tal caso il procuratore del
He richiede l'autorizzazione mediante suo rapporto, trasmesso per Yia
gerarchica, al }linistro di grazia t\ giustizia, e corredato di tutti i
documenti necessari. Il :Ministro di grazia e giustizia, dopo aver co-
municati gli atti al }Iinistero dell' interno per le sue informazioni,
sottopone gli atti al parere del Consiglio di Stato, in Sezione di grazia
e giustizia 1), e poscia deeide se l' autorizzazione debba essere con-
cessa o negata, sottoponendo alla firma regia il relativo decreto.

1) Circa i c·ritPrii segnìti dal Consiglio di St:lto nel dare il suo parere sulle do-
mande <li autorizzazione :i pro<'efl<'rP consulta: Sarello, Commento citato, vol. Il,
pag. 197 e seg.
PHIYILEGI ED DOICXITÀ DEI PCBJlLICI FCXZIOXARI 4-17

Se l'autorizzazione è concessa, ed, una volta concessa diviene ir-


revocabile, gli atti sono inviati, col decreto di autorizzazione, al-
1' autorità giudiziaria, la quale, rimosso l'ostacolo che si opponeva al
giudizio, procede regolarmente secondo le norme del diritto comune.
Se invece il decreto è negativo, l'autorità giudiziaria, cui viene co-
municato, deve semplicemente prenderne atto e dichiarare il non
luogo a procedere per la negata autorizzazione sovrana. Trattandosi
di un'azione civile da promuoversi contro uno dei funzionari protetti
dalla garanzia amministrativa, l'attore deve presentare direttamente
l'istanza al procuratore del Re, il quale fa il suo rapporto, sempre in
via gerarchica, al Ministero di grazia e giustizia, seguendosi pel resto
la stessa procedura stabilita per i procedimenti penali.
128. All'infuori delle prerogative, di cui abbiamo fin qui parlato,
nessun altro privilegio spetta secondo il nostro odierno diritto ai
pubblici funzionari. Essi sono soggetti, al pari dei privati cittadini,
a tutti i pubblici carichi, sia che riguardino la persona, come il ser-
vizio militare obbligatorio, sia che si riferiscano ai beni, come le
imposte dirette ed indirette. Tutte quelle numerose e svariate esen-
zioni, che in altri tempi solevansi riconoscere a favore dei pubblici
ufficiali, sono oggidì. scomparse di fronte al principio democratico del-
l'eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge.
A questa regola· la nostra vigente legislazione ammette soltanto
pochissime eccezioni, le quali, del resto, piuttosto che a concedere
nn privilegio personale ai pubblici funzionari, mirano ad assicurare
nell'interesse pubblico l'esatto adempimento dei loro doveri d'ufficio,
coll'impedire che le persone rivestite delle cariche più elevate, il
cui esercizio implica gravi responsabilità ed asRorbe intierarnente
l'attività individuale, siano distratte da altre cure di minor impor-
tanza. Questo è il concetto che giustifica lesenzione dal servizio
obbligatorio di giurato, che la legge 8 giugno 1874 (art. 3 e 4) ac-
corda ai ministri, ai segretari generali e direttori generali dei Mi-
nisteri, ai membri del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, ai
prefetti e sottoprefetti, agli ufficiali di pubblica sicurezza od ai fun-
zionari dell'ordine giudiziario, nonchè ai senatori ed ai deputati du-
rante le sessioni parlamentari.
Sulla stessa ragione è fondata l'esenzione dal servizio militare
obbligatorio, che si concede ai funzionari ed impiegati, i quali per
essere unici titolari in un ufficio pubblico, non possono esserne di-
stolti, neppure temporaneamente, senza danno del servizio cui sono
acldetti. Anche nel campo del diritto privato troviamo un'esenzione
a favore dei pubblici funzionari, ed è quella sancita dall'articolo 272
del Codice civile, a tenore del quale i presidenti delle Camere legi-
slative, i ministri segretari di Stato, i presidenti del Consiglio di
Stato, della Corte dei conti e delle Corti giudiziarie ed i capi del
Pubblico :\Iinistero presso le Corti medesime, i segretari generali
418 I Pt:BllLICI t:FFICI l•: LA GERARCHIA A~Dl!XI~THATIYA

(ora sottosegretari di Stato), i direttori generali delle amrninist.nt-


zioni centrali (Ministeri) ed i capi delle amministrazioni provinciali
(prefetti) sono dispensati d'ufficio dalle funzioni di tutore o protn-
tore; perchè il legislatore suppone che le gravi e diuturne occupa-
zioni inerenti alle più alte cariche dello Stato non consentano a chi
ne è investito di poter distrarre una parte qualsiasi della propria
attività dalla cura dei pubblici negozi 1 ), sebbene anche la tutela
fosse considerata dagli antichi come un munus piibricmn, ma più
per ragione d'analogia, che per realtà di significato. Inoltre il snc-
cessivo art. 273 del codice stesso accorda il diritto di farsi dispen-
sare dall'assumere o continuare l'esercizio della tutela a tutt.i i
militari in attività cli servizio, compresi perciò gli ufficiali dell'eser-
cito e dell'armata navale, ed a tutti coloro che abbiano missione dal
Governo fuori del regno (agenti diplomatici e consolari) o che per
ragione cli pubblico servizio risiedano fuori del territorio del tribu-
nale in cui è costituita la tutela. Queste esenzioni, che sono stabi-
lite non come privilegi personali a favore dei pubblici ufficiali, ma
bensì come garanzie pel buon andamento dell'amministrazione, non
implicano peri> alcuna ineapacità, che impedisca ai funzionari stessi,
per quanto elevato sia il loro ufficio, di poter rinunziare alla dispensa,
che loro è accordata dalla legge, purchè beninteso la volontaria as-
sunzione della tutela non rechi effettivamente alcun ineaglio all'a-
dempimento dei doveri propri delle rispet.t.in' cariche.

CAPO YI.

RESPONSABILITÀ DEI PFBBLWI UFFICIALI.

§ 1. - Considera.zioni r1euerali.

SOMMAH!O. - 129. Triplice responsahilitit: eiYile, p1>11ale e, disf'iplinare. - 130. Cans0


della poea efficacia della responsabilitit dei pnbblici nttieiali nell'odierna Italia.
- 131. Deficienza <li controllo da parte della pnbhlica cosc·ienza.

l'.W. un principio di giustizia naturale, riconosciuto da tutti i po-


poli fin dagli albori della civiltù, nwle che l'uomo, essere ragione-
vole e cosciente, sia tenuto a rispondere del danno, che egli abbia
cagionato ad altri ingiustamente, nwi compiendo azioni dalla legge
vietate, nwi omettendo nel suo operare q nella diligenza, che si

1) «Ne pnpillornrn :rnt minornm distPnti 1wgotiis tanto mn11eri <·a •inne par est

diligentin. Yacare prohiherentnr ». Così espri111c·ya il Ril'lwri, L"11il'ersa cii·ili8 et crimi-


nalis juri8pl'udentia (Veuetiis, 18+1), Yol. I, ~ 24Hl, pag. 395, In <·ansa dell'esenziorn'
dei pnhbliC'i nffiein.li dalla tutela.
R~~SPOXSAHILI'L\ l>EI Pl:llllLICI FCXZIOXARI 419

puiJ pretendere da ognuno nella convivenza sociale. Questo prin-


cipio, già consacrato dalla legge delle Dodici Tavole, poscia larga-
mente svolto ed applicato dai giureconsulti romani, maggiormente
elaborato più tardi dal diritto canonico, venne tradotto nelle for-
mole sintetiche dei codici odierni, le quali dispongono che qualunque
danno recato per colpa dell'uomo, sia col fatto proprio, sia col fatto
delle persone da lni dipendenti oppure delle cose che egli tiene in
sua custodia, obbliga il colpevole al risarcimento 1 ). Al di sopra di
q nesta responsabilità civile, rivolta alla riparazione della perdita
risentita dal danneggiato, vi esiste una responsabilità d'ordine più
elevato, che tocca direttamente all'interesse pubblico; è la respon-
sabilità penale, in forza della quale chi commette determinate azioni
(od omissioni) espressamente previste dalla legge va soggetto alla
repressione sociale sotto forma di pena. Entrambe queste due forme
di responsabilità trovano piena applicazione agli atti dei pubblici
ufficiali; g'iacchè nel nostro diritto pubblico odierno le sole persone
giuridicamente irresponsabili, però soltant.o dal punto di vista pe-
nale, sono il He ed il Sommo Pontefice, stante il carattere di per-
sonale inviolabilità, che è riconosciuto nel nostro diritto pubblico
al principe dello Stato ed a quello della Chiesa 2 ).
::\Ia per i pubblici funzionari esiste ancora una terza forma di re-
sponsabilità ; ed è la responsabilità disciplinare, la quale si svolge
nei rapporti interni della gerarchia con forme speciali di procedi-
mento e con pene di carattere amministrativo, delle quali il grado
più grave consiste nella destituzione dall'ufficio.
130. Abbiamo già visto nella parte storica cli questa nostra mono-
grafia quale cura ponessero le antiche legislazioni di Grecia e di
Homa per rendere effettiva e rigorosa la responsabilità dei pubblici
funzionarii; e la stessa cura abbiamo notata nei liberi governi dei
Comuni italiani; nè poteva accadere diversamente, dappoichè la re-
sponsabilità di coloro, cui è affidato l'esercizio dell'autorità sociale,
costituisce senza dubbio uno dei cardini dell' ordinamento giuridico
di uno Stato libero. Soltanto sotto nn govemo assoluto, o per dir
meglio dispotico, può accadere che i rappresentanti del potere, gli
amministratori della cosa pubblica possano impunemente abusare
delle loro funzioni per fini illeciti e di tornacont.o personale; perchè
sotto una tal forma di goYemo la sola norma di diritto pubblico è
la volontà del despota, al quale soltanto spetterebbe reprimere le
malversazioni e gli abusi dei snoi funziona rii; e se egli per qualsiasi
ragione, sia cioè per .debolezza od inettitudine, sia per t.acit.a con-
nivenza coi colpevoli~ si astiene dal farlo, nessun magistrato vi ha,

1) Cod. ciY., art. 1151-11:>3; Cotl. di proc. pen., art. 1 e 3.


2) St[ttnto tlel regno, art. 4; Legge 13 maggio 187l. sulle guarentigie pontiticie,
art. 1.
±20 I PCBBLICI DFFICI ·i~ LA GERARCHIA AMMINISTRATIYA

che possa chiamarli a rispondere del loro operato. Ma in un regime


libero, dove il popolo concentri in sè i diritti della sovranità od al-
meno partecipi in qualche modo al loro esercizio, la responsabilità
dei pubblici ufficiali è un istituto indispensabile per mantenere
l'equilibrio necessario fra il potere esecutivo ed il legislativo e per
garantire il rispetto delle pubbliche libertà. Dove la responsabilità
dei funzionari sia disconosciuta dalle leggi od anche semplicemente
limitata ed ostacolata con immunità o con forme privilegiate di pro-
cedimento a favore degli agenti del Governo, le libere istituzioni
non possono funzionare correttamente.
Tale è pur troppo il caso della nostra patria: ed infatti la storia
di questi ultimi anni ci insegna che presso di noi i più gravi abmii
del potere ministeriale possono essere consumati con una scandalosa
impunità, altamente esiziale al prestigio delle istituzioni nazionali:
ed agli abusi ministeriali si aggiungono spesso quelli dei funzionarii
inferiori, che per il difetto di sorveglianza da parte dei superiori o
per l' imperfezione dei nostri ordinamenti processuali, non di rado
sfuggono anch'essi ad ogni sanzione penale. Causa precipua di questo
deplorevole stato cli cose si è la mancanza, da tutti i pubblicisti
deplorata, di una buona legge sulla responsabilità dei pubblici uffi-
ciali in genere e dei ministri in ispecie; legge che venne più Yolte
})l'Omessa dai nostri Governi ed anche proposta con un apposito
progetto dei ministri Mancini e Nicotera, presentato alla Camera
dei deputati il 25 novembre 1876, cioè subito dopo l' avvento del
partito di Sinistra al potere; ma anche oggi, dopo quasi cinquan-
t'anni cli vita costituzionale ed oltre trentasei anni cli unità na-
zionale, continua a restare nello stato di desidernttim.
131. l\fa forse più ancora che dalla mancanza di una legge speciale
l'impunità di cui spesso godono effettivamente in Italia ministri e
funzionarii deriva dallo scarso sviluppo della nostra coscienza pub-
blica e dal fum;ionamento ancora molto imperfetto del controllo del-
1' opinione pubblica. Quando mancano nei cittadini, o si troYano
appena allo stato rudimentale, il senso della solidarietà civica e l' af-
fetto sincero al bene comune, nessuna legge, per quanto inspirata
ai più sani concetti di rigore, sarebbe sufficiente ad assicurare una
efficace repressione degli abusi di potere. V abito contratto dalla
maggior parte delle popolazioni italiane, in forza di secolare adat-
tamento sotto governi dispotici, e quel che è peggio, stranieri, fa
sì che presso di noi ben pochi cittadini, anche fra i più colti ed i
più onesti, si dànno seriamente pensiero dell' andamento della pnb-
blica amministrazione; considerandosi da ciascnno come cosa asso-
lutamente estranea, <li cui non mette conto occuparsi, tutto ciò cltt>
non tocca da vicino il proprio interesse privato. Se anche nei mo-
menti di agitazione elettorale si ode parlare di interesse pubblico,
di rettitudine nella gestione dei pubblici affari, di onestà dei pub-
Rl!:SPOXSABILITÀ J)ISCIPLIXARE 421

blici fnnzionarii, non sono che frasi di bell'effetto che si adoperano


come arma nella lotta elettorale; e poi, appena fatte le elezioni, si
dimenticano colla stessa facilità con cui erano state pronunziate.
Qualche indizio di risveglio nella coscienza pubblica comincia tut-
tavia a mostrarsi qua e là; e ad affrettare questo risveglio ha giovato
non poco l'introduzione dell'azione popolare in materia di elezioni,
così politiche come amministrative, e di amministrazione comunale 1 ).
Altro efficace contributo allo svolgimento della coscienza pubblica
venne pure portato dall'art. 256 della legge comunale e provinciale,
che ha mirato a rendere effettiva e reale la responsabilità degli am-
ministratori municipali.
Frattanto dopo aver constatato da un lato la quasi totale defi-
cienza di vigilanza per parte dei cittadini verso la condotta dei
pubblici funzionari e dall'altro lato l'imperfezione delle nostre leggi
in materia di responsabilità dei funzionari stessi, facciamoci ad
esporre le norme, che regolano siffatta responsabilità nello stato at-
tuale del nostro diritto pubblico interno.

§ 2. - Responsabilità disciplinare.

so~DLl.RIO. - 132. Carattere <lell:t responsabilità disciplin:tre. - 133. Esereizio


tlel potere disciplinare e procedimenti re latiYi. -- 134. Pene disciplinari.

rn2. La prima responsabilità che vincola tutti i pubblici ufficiali


in tale loro qualità è la responsabilità disciplinare, la quale ha
principalmente per scopo di assicurare l'osservanza delle norme di
subordinazione gerarchica ed in generale l'esatto adempimento di
tutti i doveri di ufficio. È una responsabilità di carattere penale,
in quanto le infrazioni alla disciplina danno luogo a punizioni; ma
si distingue dalla responsabilità penale propriamente detta, anzi-
tutto nel modo di esercizio, perchè, a differenza di questa, il cui
esercizio è affidato all'autorità giudiziaria, la responsabilitù disci-
plinare vien applicata soltanto nei rapporti interni della gerarchia
amministrativa, senza intromissione di autorità estranee, e la sua
applicazione va soggetta a forme di procedimento meno rigorose e
meno solenni di q nelle stabilite per i processi penali; e se ne di~
stingne poi anche per il carattere delle sanzioni repressive, giacchè
le punizioni disciplinari presentano un carattere piuttosto morale che
repressivo, mirando alla correzione più che alla coercizione, e di
regola rivestono una gravitù ed una durat.a assai minore che non le
vere sanzioni penali previste dai codici. Infine aUro carattere diffe-

1) Legge elt>tt. poi., testo nnico 28 marzo 1895, art. 37 P 112; Legge co111. e
1n·cn-., teRto nnieo 10 febbrnio 1889, art. 100 e 114.
422 I Pl:BBLICI l:FFICI E LA GERARCHIA .-DDIIXISTHATIYA

renziale fra le due responsabilità consiste negli effetti delle relative


sanzioni, <lacchè le punizioni disciplinari non producono mai a carico
di chi ne è colpito quelle conseguenze cli indegnità o di incapacità
civile o politica, che spesso derivano dalle condanne penali.
Le due responsabilità, penale e disciplinare, avendo contenuto e
scopi diversi, non si escludono punto a vicenda, ma possono essere
esercitate contemporaneamente o successivamente sulle stesse per-
sone e per gli stessi fatti, e si svolgono in modo del tutto indipen-
dente fra loro, sebbene l'autorità amministrativa nei suoi procedi-
menti disciplinari possa tener conto dei risultati del procedimento
svoltosi davanti ai tribunali ordinari ed all'uopo anche sospendere
il procedimento disciplinare in attesa dell'esito di quello penale.
Del resto la condanna o l'assolutoria nel processo penale non vin-
cola menomamente l'apprezzamento dei giudici disciplinari e vice-
versa questo non esercita alcuna influenza necessaria su quello.
Il potere disciplinare è uno degli elementi costitutivi dell'autoritù
gerarchica; non può esistervi superiorità, di grado se il superiore,
oltre il potere di comandare, non ha in pari tempo quello di farsi
rispettare ed ubbidire dagli inferiori. :'.\fa non a tutti i superiori il
potere disciplinare può essere concesso in egual misura, sia per evi-
tare facili abusi, sia per mantenere la necessaria graduazione ge-
rarchica. Quindi per regola generale il potere disciplinare di un
funzionario sopra i suoi inferiori cessa o per dir meglio rimane mo-
mentaneamente eclissato in presenza di un funzionario di grado più
elevato, per la stessa ragione che il comando spetta sempre all'uf-
ficiale di maggior grado fra i presenti 1 ). Inoltre i provvedimenti di-
sciplinari presi da un'autorità inferiore possono sempre essere revocat.i
o modificati dall'autorità superiore.
133. I regolamenti speciali delle singole amministrazioni stabili-
scono i limiti e le forme da osservarsi nell'esercizio del potere disci-
plinare secondo il grado di chi lo deve esercitare. In generale un
funzionario ha sempre facoltà di infliggere ai suoi subordinati per lo
meno il semplice rimprovero, che è la più lieve forma di sanzione
disciplinare, adoperata per le omissioni in servizio e per le mancanze
di poco rilievo 2 ). L'applicazione delle punizioni più gravi, le quali,
a differenza dal semplice rimprovero, lasciano una traccia penna-
nente di biasimo nella carriera del funzionario, che ne è colpito,
viene invece riservata ai capi supremi della gerarchia od almeno ai

l) In qnesto se1rno il Regolamento cli <liscipliua milit::tre, approvato con R. <le-


creto <lel I. 0 dice111hre 1872, stabilisce al ~ 597, ehe il militare grnc111ato <leve nste-
nerni da ogni correzione, rimprovero o pnni;done in presenza cli 1111 8110 superiore,
salvo che vi sia <la 111i autorizzato.
2) Regolnmento cit., ~~ 611 e 612.
HESP(>X>'AB!Ll'Ll DISGIPLIXAHE 423
più alti gradi di essa 1) ; e per maggior garanzia degli inferiori è
prescritto q nasi sempre che Riffa tte pene non possano essere appli-
cate se non dopo aver sentito il parere di speciali collegi o consigli
<liRciplinari, formati dalla riunione dei fnnzionarii più elevati cli cia-
smma amministrazione 2 ).
Per talune categorie di pubblici ufficiali l'esercizio della funzione
disciplinare è affidato a speciali organi collegiali, i quali procedono
con forme e poteri Ili giurisdizione contenziosa. Così per gli ufficiali
1lell'esercito e dell'armata navale la legge sarda del 25 maggio 1852
nmn. 1376, tuttora vigente per l' intero regno, stabilisce (art. 41 e
seguenti) i Consigli di disciplinci che per l' esercito di terra si di-
Rtinguono in Consigli reggimentali e Consigli divisionali, e per la
marina in Consigli ordinari e superiori, e ne regola la formazione
ed il funzionamento con disposizioni molto particolareggiate.
Però le deliberazioni di questi Consigli di disciplina hanno, solo
tino ad un certo punto, valore di decisioni definitive, in quanto il
Governo può bensì moditica~le, ma soltanto in senso favorevole al-
l'ufficiale incolpato, senza poterne mai aggravarne la severità (arti-
colo 68 legge citata).
Del pari per i professori delle Università governative un' altra
legge sarda del 13 novembre 1859, nurn. 3725, estesa per questa
parte a tutto il regno con la legge 17 febbraio 1881, num. 51 (art. 1)
deferisce (art. 13) al Consiglio superiore cli pubblica istruzione il
giudizio disciplinare per le mancanze punibili con la deposizione
o con la sospensione per un tempo maggiore di due mesi, salvo al
ministro la facoltà di sospendere i professori, in casi cl' urgenza o

1) Uosì pel Regol::w1ento :U ottobre 1866 (art. :27 e 28) snll'annni11istmzione cen-
trale, la censura dev'essere dafa per is<·ritto (lal )linistro; la sospensione è ordinata
pt>r <lmll'eto ministerinle, e le pene massime, •·lw sono la renH'a e la destituzione
clall'ufticio, cle,·ono essere inflitte per decreto reale.
:!) o\d esempio per i fnnzionari del )Iiuistero cli grazia e giustizia e dei culti il
lL decreto 3 novemlm.• 1872, n. 1124 (art. 18), vuole che per l'applicazione delle pene
<lisciplinari maggiori <lPlla sospensione per un mese debba esser sentita la Commis-
sione f'onmita del segrPtario generale (ora sottosegretario di Stato), dei cttpi divisione,
dell'ispettore centrale e del ragioniere capo. Similmente il Regol. pel Consiglio del
:\Iinist.ero degli affari esteri, approvato con R. cle<'reto 8 marzo 1888, n. 527 4, stabi-
lisce all'art. 3, lettcm e, d1e il Consiglio stesso, il <JUale si compone dei cirnp1e capi
•livisione del ;\Jinistero sotto la presi<lenza <lel sottosegretario di Stato, debba <lare
il sno parere, <prnnclo ne sia. rieltiesto, sull'applicazione delle sanzioni disciplinari
agli impiegati, t·onw pure sugli elogi e premi da attrilmirsi ad essi. Il R. cle<'reto
27 gemrnio 1890, u. 6656, che istituisce nn Consiglio d'amministmzione per le poste
•'cl i telegrafi, prescriYe come obbligatorio il Yoto del Consiglio stesso, composto
degli ispettori generali e di nu <'apo di,·isione sotto l:t presidenza del sottosegretario
cli Stato, per ht dispensa dal Hen·izio e la destituzione degli impiegati di ruolo. A11a-
loghe disposizioni trovi>tmo pel personale dell'amministrazione centrale e pro\"ineiale
•Id )Jinistero del!' interno nel reeentP regolamento <lcl 13 agosto 1897, 11. -J.19 (art. il5)
,. per qnello clel )liuistero cli pubblica istnrnione nd dt>crdo ministeriale 8 lnglio 1895.
4z,1 I PUBBLICI l:FFICI E LA <amARCIIL\ A~DilXIHTHAT1''A

per far cessare un grave scandalo. Questa funzione disciplinare del


Consiglio superiore di pubblica istruzione riguardo ai profes1mri
universitarii ha carattere di vera e propria giurisdizione, e le rela-
tive deliberazioni del Consiglio sono vere decisioni, che il ministro
è tenuto ad eseguire. Invece per i professori delle scuole secondarie
e normali, il Consiglio stesso emette soltanto un voto o parere con-
sultivo, a cui il ministro è libero di attenersi o no, secondo il suo
prudente arbitrio (art. 11). Inoltre al medesimo Consiglio snperiorl'
è affidato dalla citata legge del 1;3 nornmbre 1859 (art. 14) il g'in-
dizio in grado d'appello sulle mancanzt:' disciplinari degli studenti
universitarii punite con l'esclusione o l'interdizione temporanea dal
corso degli studii.
Sempre quando vi sia una disposizione di legge o di regolamento
la quale prescriva il parere preventivo di un determinato consiglio,
i provvedimenti disciplinari che fossero adottati senza l' ossenanza
di tale prescrizione, sarebbero impugnabili per illegittimità o per
eccesso di potere davanti alla IV Sezione del Consiglio di Stato. A
più forte ragione dovrebbe ritenersi viziato di nullità. assoluta un
provvedimento disciplinare che fosse preso di propria autorità dal
potere esecutivo, quando si tratti di funzionarii soggetti ad una
giurisdizione disciplinare speciale, come ad esempio nel caso dei
profesRori d'Università, pei quali, come abbiamo visto testè, il Con-
siglio superiore di pubblica istruzione è giudice sovrano ed insinda-
cabile in materia disciplinare.
Il modo di procedere per accertare le mancanze disciplinari dei
funzionari è pure regolato dalle disposizioni particolari delle sin-
gole amministrazioni. Così per i Consigli di disciplina militari gli
articoli 56 e seg. della citata legge :!5 maggio 185~ stabiliscono con
minuziosa precisione le norme di procedura. Per l'esercizio delle at-
tribuzioni disciplinari del Consiglio superiore di pubblica istruzione
sugli insegnanti universitari Ri aveva un regolamento approvato
per R. decreto del 10 dicembre 187 4, num. 2300; ma questo fu più
tardi abrogato con altro R. decreto del 3 aprile 1881, num. 159; e
si attende tuttora il nuovo regolamento, che deve sostituirlo.
Ad ogni modo, anche in mancanza di Rpeciali disposizioni, vi smio
talune regole fondamentali, basate su principii indiscutibili di di-
ritto naturale, le quali debbono essere osservate in qualsiasi pro-
cedimento di!'lci plinare. I1a prima di queste norme, la cui inosser-
vanza renderebbe arbitrario ed illegale l' esercizio dPlla potestà di-
sciplinare, eonsiste nel diritto di difesa, che deve sempre essPre
riconosciuto a favorl' di colui che è incolpato di una mancanza di-
sciplinare. Condannare senza sentire le discolpe dell' accusato \>
graYe abuso di potere, così nei procedimenti iwnali propriamente
detti, eome nei semplici procedimenti disciplinari. Solt.anto nella
gerarchia militare, di fronte alle esigenze speeiali ehe presenta il
Iml'POXl'AHILI'Ll DI5CJPLIXARE

comando delle forze armate, si nega all'inferiore il diriHo di esporre


le proprie difese se non dopo aver subìta la punizione, che gli sia
inflitta 1 ), ma si noti bene, questa norma eccezionale è limitata alle
pene disciplinari minori, le quali non producono a carico dell'uffi-
ciale che ne sia colpito alcuna indegnità o decadenza cli diritti, sia
pure temporanea; mentre per l'applicazione delle pene più graYi,
quali sono la sospensione e la rimozione dall'ufficio, si segue invece
il procedimento stabilito dalla mentovata legge del 25 maggio 1852,
che ha per caratteristica il contradditorio dell'incolpato.
Giova per(1 osservare che l'obbligo di ammettere il funzionario ad
esporre, a voce o per iscritto, le proprie difese, non ha ragione di
essere quando si tratti di pene disciplinari che accompagnano di
pien diritto, oppure per sentenza del giudice, una condanna penale
propriamente detta; giacchè in questi casi la difesa dell'imputato
ha già avuto campo di svolgersi in tutta la sna pienezza nel corso
del giudizio penale; e sarebbe un'inutile duplicazione di atti pro-
cessuali chiamare nuovamente il funzionario già condannato penal-
mente a presentare le proprie difese in linea disciplinare, dal mo-
uwnto che la pena disciplinare che lo colpisce trova la sua piena
giustificazione nella cosa giudicata penale, che fa stato irrevocabile
eryci omnes 2 ).

1:34. Le pene disciplinari sono pure determinate dai regolamenti


speciali delle singole amministrazioni. Esse salgono da un nummo
che consiste in un .semplice rimprovero o richiamo fatto dal superiore
all'inferiore, fino ad un massimo, che è rappresentato dalla deca-
denza dall'ufficio. Sebbene, come abbiamo gfa osservato, il carattere
delle punir.ioni disciplinari sia piuttosto morale che materiale, cfo
non esclude che talvolta la sanzione disciplinare possa assumere la
forma di un castigo corporale, consistente in una temporanea pri-
vazione della libertù, come per es., negli arresti inflitti agli uffi-
ciali dell'esercito 3 ), oppure la forma di nna pena pecuniaria, couH:'
nel caso della sospensione dallo stipendio, che può essere inflitta
pt>r decreto ministeriale agli impiegati civili dell'amministrazione
\~entrale 4 ). I.a pena massima consii,;tente nella perdita dell'nffic:io
im«1 assumere la forma meno grave di semplice reYO<'a o rimozione
o q nella più grave di destituzione; <1uest'nltima si (list.ingne dalla

1) Regol. ili diHeiplina. militare citato, \\ 12.


2) È <p1indi perfettamente corretta la dispo8izione del regolamento per il H. ispd-
tor;ito generale delle stnule ferro.te, appron1to con R. <lecreto 2;5 rnnrzo 18~H, 11. 180.
il •prnle disponP. (art. ·15, ultimo capo\·.) che per l'n.pplieazione <lell1· pPne diseipli-
nari si <loYrà Hentire l'impiegato nelle sue discolpe, snh·o d1e trattisi ili <lisp1·11sn
o <li destituzione in seguito :Hl una sentenza penale p:rnsata in girnli«ato.
'1) Regol. disdpl. cit., §9 614, 628 e 689 e segg.
4) R.t>gol. 2-1- ottobre 1866, snll'mnministrazione eentralt', art. 26 P 28.
426 I PCBBLICI CFFICI E LA (iEIU.HCIIU .ODllXISTHATIV.-1.

prima per le conseguenze di incapacità che produce a carico del


funzionario che ne è colpito, e per la perdita del diritto alla pen-
sione, che pui) trarre seco a norma dell'art. 32 •lella legge 14 a-
prile 1864 1 ).
Le sanzioni disciplinari, di cui abbiamo fin qui discorso, trovano
la loro piena applicazione soltanto qnando si tratti di funzionari di
nomina governativa e retribuiti con stipendio; giacehè non sarebbe
possibile, a mo' d'esempio, applicare a carico di nn funzionario non
retribuito la sospensione dallo stipendio. Ma non è a dire con cfo
che i funzionari di nomina popolare ed aventi ufficio gTatuito va-
dano esenti da qualsiasi responsabilità. disciplinare. Infatti l'art. 125
della legge comunale e provinciale, testo unico 10 febbraio 188!),
modificato dall'art. 1 della legge 2!:l luglio 1896, stabilisce che il
sindaco benchè ufficiale onorario, pui> essere revocato dall'ufficio
per deliberazione motivata del Consiglio comunale, approvata dal
voto di almeno due terzi dei consiglieri assegnati al Comune. I1a
stessa disposizione di legge riconosce inoltre al Governo del l{e la
facoltà di rimuovere il sindaco dalla carica, ed al prefetto quella di
sospenderlo dall'esercizio delle sue funzioni: ed infine prevede le
canse di indegnità per le quali il sindaco, quando sia colpito da
condanne penali di qualche gravità, decade ·ipso jiire dall'ufficio.
Quanto agli altri funzionari di nomina popolare, la sola sanzione
disciplinare applicabile a loro carico consiste nella decadenza dalla
carica: e l'applicazione di questa sanzione spetta di regola al col-
legio, di cui i funzionari stessi fanno parte. Così la decadenza dei
consiglieri comunali e provinciali e dei deputati al Parlamento è
pronunziata rispettivamente dal Consiglio comunale e provinciale e
dalla Camera. Una cansa speciale di decadenza, la quale presPnta
nna maggiore analogia con le punizioni disciplinari dei funzionari
di nomina regia, è quella prevista dall'art. 23G della stessa legge
comunale e provinciale, il quale dispone che incorrono nella deca-
•lenza i consiglieri che non intervengano ad una intiera sessione
ordinaria, senza giustificati motivi di impedimento. Quali possano
essere q ueRti giustificati motivi la legge non lo indica lasciandone
il giudizio all'apprezzamento dei Consigli; ma applicando i principii
generali del diritto pubblico non par dubbio che le sole cause am-
mesRibili per Rcolpare la negligenza dei consiglieri sono le cause di
forza maggiore ed i caRi fortuiti. Tale non sarebbe quindi l'assenza
per affari od occupazioni d'interesRe privato e neppure per atten-
dere ai doveri di altro ufficio; giacchè nel primo caso chi ha ac-
cettato volontariamente una carica, deve essere sempre disposto a

.1) Questo artieolo, fnso e011 l'art. 20 della ]pgge 13 giugno 1893, <'OstituiseP ora
l'art. 183 del Yigeute testo unico delle leggi snlle ]H'Usioni c·i\·ili ,, militari, apprn-
Yato eon H. <lt>creto 21 febhraio 1895, 11. 70.
HESl'OX:-;ABILITÀ l'EXALE 427
8acrificare i suoi interessi privati alla cura dei pubblici affari; e nel
secondo caso 1' impossibilità di adempiere contemporaneamente ai
doveri dell'uno e dell'altro ufficio è la prova più convincente della
loro incompatibilità <li fatto, che non ne consente il cumulo.

§ :3. - Responsnbilitù pentile.


So)DI.-1.1uo. - 1:33. Jl peenl:.tto e<l i snoi estremi ginridici. - rn6. La couci1ssione.
137. La eorrnzione. - 138. Altri' fignre cli reati <lei pnbhlici nfticiali.

135. Al di sopra della responsabilità disciplinare, che si "volge nei


rapporti intemi della gerarchia, esiste per i pubblici ufficiali la re-
sponsabilità penale, la cui applicazione ha luogo all'infuori dei rap-
porti gerarchici, ed è affidata ai tribunali penali ordinari. Senza
ripetere qui quanto abbiamo detto poc'anzi sui caratteri differenziali
di queste due forme di responsabilità 1 ), facciamoci subito ad esami-
nare le diverse figure giuridiche, nelle quali si estrinseca la respon-
sabilità penale dei pubblici funzionari.
La prima di queste figure delittuose è il pemilnto, che consiste
nella sottrazione o distrazione del denaro pubblico. È questo senza
dubbio uno dei più gravi reati che si possano commettere dalle per-
8one investite dei pubblici ufficii, non soltanto per le perdite ed il
danno patrimoniale che ne risente l'erario pubblico, ma più ancora,
per il dolo speciale insito nell'opera di colui che, essendo stato chia-
mato dalla fiducia del sovrano o dei concittadini alla. gestione ed alla
custodia dei mezzi della comunità, tradisce la fede in lui riposta
sottraendo i beni affidati alla sua custodia. Il peculato, che i romani
definivano pecnniae pnbliccie ant sncrae fnrtnm non tib eo factmn, m~jus
perfoiilo fnit ~) e che punivano con pene gravissime (dapprima con
1' interdizione ciq,nae et ir1ni.~, più tardi con la deportazione), può defi-
nirsi nel diritto odierno l'appropriazione commessa da un pubblico
ufficiale del denaro pubblico o di qualsiasi pubblico valore, che gli
sia stato affidato per ragione del sno ufficio (cod. pen., art. 168).
Soggetto attivo del peculato può essere qualunque pubblico uffi-
eiale~ non importa se sia di nomina governativa o di elezione popo-
lare, se ·appartenga all'amministrazione centrale o locale, se presti
servizio gratuito o retribuito, se sia di grado umile od elevato. Dal
momento che una persona riceve dall'autorità legittimamente costi-
tuita il mandato di amministrare o conservare un bene mobile qual-
1'\iasi di proprietà pubblica, venendo meno alla fiducia in essa posta,
questa persona si rende colpevole cli peculato. E qui, richiamando
nn concetto fondamentale, che abbiamo gi<ì avuto occasione di chia-
rire ripetutamente nel corso della presente trattazione, o8serviarno

1) Vedi retro sotto il 11. 132.


:!) L. 9, 2 Dig. Ad legem ,Ju/iain pecnlaf118, ecc. (XLVIII, lB).
428 I ,Pt:llHLICI t:Fl<'ICI l' LA GimAHCHJA AM:\IIXISTRATI\"A

che per farsi luogo alla responsabilità penale per titolo di peculato,
non occorre indagare se la persoim, che ha commesso la sottrazion~
del pubblico denaro, fosse stata regolarmente investita della carica
o dell'ufficio e se possedesse tutti i requisiti necessari per poter co-
prire l'ufficio stesso; basta il fatto che l'ufficio sia esercitato, sia pure
temporaneamente ed anche in seguito ad nna elezione irregolare o
ad una nomina nnlla, perclt(• chi lo esercita sia strettamente respon-
sabile dell'uso che fa de' suoi poteri. Per quanto grave sia il Yizio
di nullità da cui è affetto l'atto di conferimento dell'ufficio, :fincliè
tale nullità non viene dichiarata dall'autorità competente, la persona
investita dell'ufficio deve essere considerata come un pubblico uffi-
ciale, così agli effetti favorevoli, vale a dire per il godimento dei
diritti e delle prerogative inerenti alla carica, come agli effetti gra-
yosi, quali sono gli speciali aggTavamenti di responsabilità che de-
rivano dall'esercizio delle pubbliche funzioni.
Si noti tuttavia che non intendiamo con questo affermare cbe
debba considerarsi come pubblico ufficiale, e possa come tale ren-
dere responsabile di peculato, chi non abbia ricevuto alcuna nomina
di sorta dall'autorità competente; poichè in questo caso mancherebbe
del tutto il mandato pubblico che crea la qualifica di funzionario; e
se, in assenza di tale mandato, taluno s' ingerisca arbitrariamente
nella direzione dei pubblici affari, compiendo atti propri di una ca-
rica pubblica, egli dovrà rispondere del suo operato come usurpatore
di funzioni pubbliche, a termini dell'art. 185 del codice penale; ma
nessun principio di logica giuridica consentirebbe di poterlo trattare
come un pubblico ufficiale, sotto qualsiasi rapporto di diritto 1).
Quanto all'oggetto, il delitto di peculato può cadere, secondo la
testuale disposizione della legge (cod. pen., art. 168), eosì sopra il
denaro come su qualsiasi altra cosa mobile, senza distinguere fra
cose fungibili e non fungibili, purchè si tratti di oggetti che abbiano
un valore o per sè stessi e per cfo che rappresentano; gfacchè nel
pecnlat,o lo scopo di arricchimento è elemento essenziale; e se manca
nell'agente l' animiis hwrnndi, la sottrazione da lui commessa potrà
costituire un'altra figura delittuosa, per esempio quella della sottra-
zione, soppressione o distruzione di titoli, atti, documenti o corpi di
reato, prevista dall'art. 202 dello stesso codice penale; ma non sarù
mai punibile come peculato, che richiede da un lato il fine di lucro
per parte dell'agente, e dall'altro lato il danno patrimoniale o la
perdita a carico del pubblico erario.
Renchè ori:,dnariamente ed in senso proprio il peculat.o significhi

1) Solt:mto in questo Hl'Uso " cou qnesta limitazimw ('i sembra plnnsibile ln ma~­
sima a1lottata <la.Ila. uost.ra Cassazione (Yedi da. ultimo seutenza 22 lng'lio 1897 in
Cassazione unica, n11. YIII, eol. 1240) nel senso "11e basti F i'sereizio di fatto <lelle
fnnziolli pnhhlidw per farsi luogo alln responsabilità per pN•nlnto.
HESPONòiABILI'LÌ. PENALE 429

:ìOttrazione di pcciinùi 1mblicci, nel nostro diritto, a quanto risulta in


111 aniera evidente dai lavori della Commissione coordinatrice del vi-
o·ente codice penale 1 ), si è inteso <li punire come peculato, non sol-
~anto la sottrazione commessa a danno della pubblica amministra-
zione, ma anche quella commessa a danno di privati, purchè si tratti
di oggetti o valori affidati ad un pubblico ufficiale per ragione del
suo ufficio. Tale estensione si giustifica non soltanto perchè, qua-
lunque sia la provenienza della cosa sottratta, eshite sempre da parte
del funzionario che la sottrae il dolo specifico della violata fiducia e
dell'abuso di ufficio, ma anche perchè gli enti amministrativi possono
indirettamente risentire danno patrimoniale dalle sottrazioni com-
messe a danno dei privati, in causa della responsabilità civile indi-
retta o sussidiaria che loro incombe di fronte ai privati danneggiati
dal fatto dei loro agenti o rappresentanti. Nè a questa interpreta-
zione può farsi difficoltà ricordando F art. 419 dello stesso codice
penale che punisce come appropriazione indebita qualificata quella
commessa sulle cose affidate o consegnate a taluno per ragione di
professione, industria od titficio; giacchè questa disposizione non si
riferisce alle persone rivestite cli un pnbbl.ico z~ffecio, ma soltanto ai
privati, ai quali per ragione delle incombenze, a cui attendono in-
dipendentemente da qualsiasi mandato dell'autorità pubblica, sia da
altri affidato un oggetto od un valore. In altri termini come l'ele-
mento costitutivo del peculato è l'abuso subbiettivo della fiducia
pubblica, così la base essenziale dell'appropriazione indebita quali-
ficata, prevista dall'art. 419, è l'abuso della fiducia privata; onde sia
l'una che l'altra figura delittuosa può aver oggetto indistintamente
le cose di proprietà pubblica e quelle cli proprietà privata. Per chia-
rirci con un esempio, il cassiere dello St.ato o del Comune commette
peculato quando sottrae dalla cassa il denaro che vi è custodito, sia
questo di proprietà dell'Amministrazione od appartenga a privati
(come nel caso delle cauzioni depositate nelle casse pubbliche); e
viceversa un imprenditore di trasporti od un guardiano sarà colpevole
di appropriazione indebita qualificata, e non mai di peculato, sia che
sottragga una cosa cli proprietà privata od una cosa di spettanza
della pnbblica amministrazione 2 ).

1) Verbali della Commissione, sednfa del 5 marzo 1889. Se non elle, per una ili
•1uelle inesplicabili contraddizioni, che purtroppo occorrouo uon infrequenti nei lavori
preparatori del codice penale italim10, la relazione ministeriale al Re per l'approva-
zione <lel codice stesso, afferma precisaiuente il concetto opposto (vedi i numeri
LXXXIX e CLXXIII), il concetto cioè elle il peculato possa twere per oggetto sol-
tanto danaro o cose di pubblica pertinenza. Così fra· le contrastanti opinioni delltt
Commissione coordina-trice e del ministro relatore la dottrina e la giurisprude;;za
rimangono nella piìt completa oscurità ed incertezza.
2 ) La nostra Corte di cassazione unica, camminan1!0 sulle orme delle cessate

Cassazioni penali territoriali, accoglie la soluzione da noi sostenuta nel testo, vale
4.30 I PrHBLICI l:F1"ICI E LA GEHAHCHJA .UDllXISTRATIYA

136. La COJbcussione è il reato <li cui si rende responsabile il pub-


blico ufficiale che abusando, con o senza violenza, dei poteri inerenti
al sno ufficio, ottiene per sè o per altri o si fa promettere denaro
od altra utilità che non gli sia dovuta. Questo delitto, che nelle leggi
romane prendeva il nome di crinien repetundarmn 1 ) ed era punito
con l'esilio o con una multa del quadruplo delle somme estorte, oltre
beninteso la restituzione delle somme stesse, ha per suo elemento
caratteristico lo spoglio del patrimonio dei privati mediante incus-
sione di timore da parte di una persona rivestita di pubblica auto-
rità. Come l'abuso della pubblica fiducia costituisce la base del pe-
culato, così l'abuso della pubblica potestà è il concetto obbiettivo
finale della concussione; l'indebito lucro del funzionario rappresenta
lo scopo finale comune ai due reati, che differiscono fra loro soltanto
nel mezzo adoperato dall'agente. Altra differenza fra il peculato e
la concussione si è che, mentre il primo reato può cadere su cose
tanto di proprietà pubblica che di proprietà privata, pnrchè affidate
al pubblico ufficiale in ragione della sua qualità, la concussione può
avere per oggetto soltanto beni patrimoniali privati. Inoltre il pe-
culato può riferirsi soltanto a beni mobili, quali sono il denaro ed
altri oggetti di valore, mentre la concussione può mirare anche al-
1' appropriazione di beni immobili. Così sarebbe certamente reo di
concussione il funzionario che, abusando de' suoi poteri, costringesse
o inducesse taluno a fargli donazione di una casa o di un fondo.
Concussione esplfoita è detta dalla dottrina quella che opera per
mezzo della violenza materiale o morale, ed è punita molto seve-
ramente con la reclusione da tre a dieci anni e con la multa non
inferiore alle trecento lire, oltre l'interdizione perpetua dai pubblici
ufficii, salvo che l'oggetto del delitto sia di lieve valore, nel qual
caso le reclusione viene ridotta entro i limiti da uno a cinque anni
ed all'interdizione perpetua si sostituisce quella temporanea (codice
penale, art. 16fJ). Meno graYe è la pena stabilita per la concussione
·implicita, che si ha quando il pubblico ufficiale, senza impiegare
alcun mezzo violento, persuade il privato a dare a lui o ad un terzo
denaro od altra utilità. Anehe in questo caso la ragione determi-

:l dire ritiene che possa eouuuetterHi peeulato auehc sottraeudo cose di propriet,\
privat:l, e ehP la disposizione di cui all'art. 419 eorl. peu. non riguardi gli uffici pub-
blici. V. eouf. Cass. Torino, 9 magg'io 1883 (Legge, 1883, voi. II, pag, 279); Cass. Fi-
renze, 2 maggio 1888 (Legge, 1889, vol. I, pag. 202); Cass. pen, unita, 25 :iprile 1891
e 16 gennaio 1894 (Legge, 1891, voi. II, pag~ 199 e 1894, voi. I, png. 421). Nella dot-
trin:i aderiscono a questa opinione il Carrara, Progmmma, Parte specia.le, vol. VII,
~ 3369; il Pessina, Elem. di di1'itto penale, voi. III, § 250; il l\Iajno, Commento al cod.
11en. italiano, n. 862; ed il CriYellari, Il cod, pe11. inte1p1·etato, Yol. V, pag. 718; vi
<'Ontmsta però l' Imp:illomeni, Il cod, pe11. illustrato, vol. II, u. 326.
1) Confr. il titolo del Digesto De lege ,htlia repet1111darn111 (XLVIII, 11) e quello

del Codice ..1!l lege Juliam repetu.11dai·1111i (IX, 27).


REl'PO::S-SABILIT.l PEXALE 431

nante della donazione estorta al privato è sempl'e il emtus publù:ae


11otestat-is, cioè il timore che inspira ai priYati il possesso rlei pnbbliei
poteri; ma il modo con cui il funzionario concussore abusa in suo
profitto di siffatto timore è diverso; nel primo caso vi è la coazione
della volontù ùel privato, nel secondo caso vi è invece la persuasione,
come ad esempio nell'ipotesi di nn ufficiale che si faccia consegnare
nna somma facendo credere che gli sia dovuta in ragione della sua
carica. La concussione implicita, meno temibile di quella esplicita,
in quanto l'inganno è meno pericoloso della Yiolenza, vien punita
con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da lire cento
a cinquemila, oltre la interdizione temporanea dai pubblici ufficii
(cod. pen., art. 170).
:\fa pnò accadere che l'inganno o l' erronea persuasione del pri-
vato che dà al funzionario ciò che non gli spetta, non parta dal
funzionario stesso, vale a dire non sia l'effetto di raggiri mendaci
da lui a bello studio escogitati allo scopo di farsi dare ciò che non
gli è dovuto. In questo caso il pubblico ufficiale, che nulla ha fatto
per parte sua, nessun mezzo illecito lia posto in opera, ma si limita
semplicemente a profittare dell'errore, in cui il privato è caduto da
sè stesso, la quantità morale del reato si attenua ancora di più,
giacchè ci troviamo di fronte ad una concussione che potremmo chia-
mare passiva. Giustamente quindi il legislatore sancisce in questo
caso una pena meno grave, limitando la reclusione da sei mesi a
tre anni (capov. del cit. art. 170).
137. La corritz-ione, che nel diritto romano si confondeva con la
concussione sotto il titolo generico cli crimen repetiindarum e nel diritto
penale dei tempi di mezzo assunse una figura propria sotto il nome
di bnmttnria, è il reato che consiste nella venalità del pubblico uf-
ficiale, che faccia mercato dei proprì doveri per procurarsi un illecito
guadagno. Anche qui, come nei due reati che dobbiamo precedente-
mente esaminati, cioè il peculato e la concussione, lo scopo a cui
mira il disonesto funzionario si è il lucro indebito; il movente è
sempre lo stesso, la cupidigia: ma il modo dell'azione è diYerso; nel
peculato vi è l'appropriazione diretta della cosa affidata al funzio-
nario per ragione del suo ufficio; nella concussione è 1' estorsione
inentemlo timore al privato o profittando del suo errore; invece nella
corruzione il funzionario tradisc<1 i suoi doveri tessendo turpi accordi
coi privati, coi quali si trova in rapporto per ragioni cl' ufficio, o
<1nanto meno accettandone compensi o retribuzioni che non gli spet-
tano. Di queste due ipotesi la prima costituisce la figura delittuosa
<lella corruzione vera e propria, quella cioè prevista dall'art. 17~ del
cod. pen., e punita più o meno severamente secondo le conseguenze
]liù o meno gravi che siano derivate dalle illecite convenzioni passate
tra corrott.o e corruttore.
La seconda ipotesi, che è quella prospettata nel precedente art. 171
432 I PCllBLÌCI CFFICI I> LA GEHARCHIA A)DI!XISTHATIY A

dello stesso codice, rappresenta una corruzione impropriamente detta


mancando in questo caso l'intesa preventiva tra le due parti; essa
non è altro in sostanza che il reato di illecita accettazione di doni
previsto dall'art. 118 del codice penale toscano. Il magistrato o
pubblico ufficiale che accetta doni per un atto di ufficio g'ià da lni
compiuto, sebbene non li abbia preventivamente pattuiti nè abbiano
avuta promessa, macchia pur sempre il decoro dell'autorità che
rappresenta e ne offende gravemente il prestigio, ingenerando nel
pubblico la convinzione che giustizia non si possa ottenere senza
ungere le mani, come si suol dire volgarmente, ai giudici ed ai fun-
zionari. La triste . abitudine dei regali ai pubblici funzionari, pnr
troppo ancora diffusa in talune provincie italiane, è assolutamente
vergognosa per un paese civile e per un Governo che si rispetti;
soltanto una vigile e severa applicazione delle sanzioni penali e di-
sciplinari a carico dei funzionari colpevoli di sì grave indelicatezza
potrà cancellare questa brutta eredità di certi Governi fondati nella
corruttela.
:Nel reato di corruzione, così propria come impropria (ed è questa
un'altra differenza che distingue la corruzione dal peculato e dalla
concussione), due sono necessariamente i complici o, per dir meglio,
i coautori del delitto; da una parte vi dev'essere il privato che
offre o promette il dono od il compenso, dall'altra il pubblico uffi-
ciale che accetta il dono o la promessa. La legge colpisce co' suoi
rigori tanto il funzionario corrotto che il privato corruttore; anzi
punisce in quest'ultimo anche il semplice tentativo di corrompere il
pubblico ufficiale (cod. pen., art. 173), nell'intento di tutelare effi-
cacemente i rappresentanti dell'autorità di fronte al pericolo di certe
tentazioni, rese talvolta assai forti, e pressochè irresistibili, dalle
ristrettezze economiche in cui versano quasi sempre i nostri magi-
strati e funzionari, troppo scarsamente retribuiti.
138. Oltre le tre figure delittuose, di cui abbiamo fin qui parlato,
vi sono poi ancora molti altri modi coi quali i pubblici ufficiali pos8ono
violare i loro doveri, incorrendo in responsabilità penale. In generale
può dirsi che qualsiasi abuso dei poteri inerenti all' ufficio quando
sia connnesso con dolo, costituisce nn delitto, previsto dal legislatore
sotto la figura generica e comprensiva dell'abnso d,i aiitoritù (codice
penale, art. 115). Ogni atto arbitario commesso dal magistrato o dal
funzionario giovandosi della potestà, che gli è affidata dalla legge,
per conculcare od offendere deliberato wiimo gli altrui diritti, quando
non costituisca una fornia speciale di reato prevista dalla legge, cade
sotto le sanzioni penali stabilite per q nesta figura generica di reato.
Soltanto nell'ipotesi che il rappresentante dell'autorità abbia agito
in buona fede, cioè senza intenzione diretta a violare la legge, andrà
esente da responsabilità penale, rimanendo però sempre soggett,o
alla responsabilità disciplinare di fronte a' suoi superiori per la negli-
HESPONSAllILITÀ CIVILE .t33

genza nell'adempimento de' suoi doveri d'ufficio, nonchè alla respon-


:;abilità civile pel riRarcimento dei danni cagionati ai terzi dalla sua
colpa.
L'abuso di autorità è anzitutto un'aggravante generica per qual-
~iasi reato che sia commesso da un pubblico ufficiale valendosi delle
facoltà e dei mezzi inerenti alle funzioni di cui è rivestito, e porta
,:on sè per naturale conseguenza un aggravamento di pena che per
il nostro codice penale (art. 209) può variare da un sesto fino ad un
terzo. Questa aggravante si applica soltanto in quei casi in cui la
qualità di pubblico ufficiale nell'agente non sia già contemplata
,)alla legge come elemento costitutivo d'nna speciale figura delittuosa.
Varie forme speciali di abuso di autorità sono previste dal nostro
codice penale. Il capoverso dello stesso articolo 175, che contiene la
llefinizione generale dell'abuso di autorità, ne prevede già una, che
tonsiste nel fatto del pubblico ufficiale, che nell'esercizio delle sue
funzioni ecciti altri alla violazione delle leggi od a.Ua disobbedienza
verso le autorità. ~ ell' articolo successivo troviamo prospettato il
delitto dell'interesse privctto in atti mmn,inistratii·i, e poi ancora negli
articoli susseguenti la rivelazione dei segreti d,' i~fficio, l'omissione o
r~fiuto di atti d'iitficio, l'omesso referto de'i rutti scoperU, e l'abban-
dono dell' i~ffecio. ,
Il trattare particolarmente di ciascuna di queste figure delittuose,
come pure delle altre non poche previste in diversi titoli del codice
penale, nelle quali l'abuso delle funzioni pubbliche entra come ele-
mento costit.utivo, sarebbe còmpito assai lungo ed affatto spropor-
zionato all'economia di un trattato di diritto amministrativo; onde
noi, paghi di aver tracciato le linee generali della responsabilità pe-
nale dei pubblici ufficiali, studiandone le forme più importanti e
caratteristiche, rimandiamo chi desideri in proposito più ampii svol-
gimenti ai trattati di diritto criminale ed ai commenti del codice
penale.

§ 4. - ResponsabUitù civile.

So)DIARIO. - 139. Responsabilità verso l'annninistrazione e verso i priniti. -


HO. Grado della eolpa applicabile a.i pubblici funzionari. - Hl. Privilegio
dello Stato Rnlle cauzioni. - 142. Eccezione alla inseqnestrahilit.à degli Rti1)endi
e delle pensior.i.

13!.l. Il principio fondamentale di diritto proclamato dall'art. 1151


del nostro codice civile, per cui ognuno è tenuto a risarcire il danno
eag'ionato ad altri per i;ma colpa, trova la sua piena applicazione
anche agli atti dei pubblici funzionari. :Non si può quindi mettere
in dubbio che costoro sono civilmente responsabili dei danni recati
1·on la loro colpa, vuoi alla pubblica amministrazione, vuoi ai privati,
434 I PCllllL!CI lTFICI E LA (~ERAHCHIA ..\.~DHXI,.;THATIL\

sebbene, come abbiamo giù osservato, manchino tuttora nella nostra


legislazione norme appropriate per determinare le condizioni ed i
limiti di tale responsabilità ed il modo di farla valere, ad eccezione
degli articoli 783-792 del cocl. di proc. ci,,., che regolano l'azione
civile contro le autorità giudiziarie e gli ufficiali del Pubblico ~Ii­
nistero, e del disposto dell'art. 256 della legge comunale e provin-
ciale, testo unico 20 febbraio 1889, che stabilisce la responsabilitù
soli<lale degli amministratori locali per le spese non autorizzate dal
bilancio e non deliberate dai rispettivi Consigli. In mancanza di
norme speciali, la responsabilità civile dei pubblici ufficiali va rego-
lata secondo il diritto comune, come se si trattasse di rapporti fra
privati. Quindi la prima regola da tenersi presente per giudicare di
siffatta responsabilità sarà quella che senza colpa non vi è respon-
sabilità: il che significa che così lAmministrazione come i privati.
quando vogliono chiamare un funzionario a rispondere cidlmente
dei danni da lui recati nell'esercizio delle sue funzioni, dovrannii
anzitutto dimostrare che egli ha agito con colpa o con dolo. Se si
tratta di dolo, vale a dire di positiva intenzione di nuocere, la prova
non sarà più necessaria quando il diritto del funzionario risulti da
una sentenza penale pronunziata a suo carico e passata in giudicato.
Ma in mancanza di una tale decisione, che farebbe stato erga omne.~
è pur sempre ammissibile l'azione civile, purchè chi agisce, sia esso
l'Amministrazione od un privato, si trovi in grado di fornire la
prova del dolo, giacchè l'esercizio dell'azione ciYile non è necessa-
riamente connesso a quello dell'azione penale. I soli casi in cui
l'azione del privato incontra ostacolo sono quelli in cui si tratti di
funzionari coperti dalla garanzia amministrativa, di cui abbiamo a
suo tempo abbastanza largamente discusso 1), oppure di magistrati
dell'ordine giudiziario, contro i quali l'azione di responsabilità civile
non può esser fatta valere se non in seguito ad autorizzazione dalla
Corte d'appello o di cassazione, a cui spetta il relativo giudizio di
merito 2 ). All'infuori di queste ipotesi, l'azione civile dell' Ammini-
strazione o del privato è sempre proponibile direttamente contro gli
ufficiali responsabili secondo le norme ordinarie di C'Ompetenza e di
procedimento.
140. Ma quale sarà il grado di C'Olpa che potrà implicare la respon-
sabilità del funzionario'? Di fronte all'Amministrazione, a cui il pub-
blico ufficiale presta l'opera sua, sarà la colpa contrattuale; e efo
senza distinguere fra ufficii gratuiti e nfficii retribuiti, perchè, indi-
pendentemente dalla prestazione o no di nn compenso, esiste sempre
fra l'ente amministrativo ed i suoi funzionari un rapport,o contrat-

1) Yedasi il cap. Y, ~ 4 delln presenti' monografia.


2) Cod. di proe. dY., art. 786.
HESPOXSAB!Ll'LÌ. CIVILE 43;;

tuale di mandato. La sola differenza, che si deve ammettere sott.o


questo aspetto fra ufficii retribuiti ed ufficii gratuiti, è quella for-
mulata dall'art. 1746 del codice civile, nel senso che la responsabilità
si debba applicare meno rigorosamente nel caso del mandato gratuito
che nel caso contrario.
Di fronte ai privati la responsabilità civile dei pubblici ufficiali
non può essere che extra-contrattuale, ossia aquiliana; giacchè la
qualità in cui agisce il pubblico funzionario gli deriva in ogni caso
da atti sovrani della pubblica autorità, ai quali rimane estraneo il
volere del privato; o, per dirlo in altre parole, i privati, quando
ricorrono ai funzionari o trattano con essi per affari attinenti al loro
ufficio, non hanno libertà cli scelta nè si rivolgono a quel determi-
nato ufficiale perchè abbiano in esso maggiore fiducia che in altri,
ma soltanto perchè lo riconoscono, ed hanno obbligo di riconoscerlo,
rivestito del mandato di rappresentare l'autorità costituita. Ne viene
per conseguenza che di fronte ai privati i pubblici ufficiali debbono
rispondere anche della colpa lievissima, secondo i principii della
legge aquilia, per la quale, come è noto, et levissima cnlpa 1;enit.
Generalmente parlando, per stabilire il grado di diligenza, a
cui ogni pubblico ufficiale è tenuto nell'adempimento delle sue at-
tribuzioni, si deve por mente ad un tipo astratto rappresentato dalla
diligenza ordinaria di un buon funzionario, allo stesso modo che come
tipo della diligenza nel diritto civile si considera la diligenza del
buon padre di famiglia (cocl. civ., art. 1224). Quindi non sarebbe
giusto in nessun caso esigere da un ufficiale un grado di diligenza
superiore a questo tipo astratto, per quanto fosse provato che effet-
tivamente lo stesso funzionario nell'adempimento delle sue incom-
benze d'ufficio o nella cura de' suoi affari privati suole adoperare
una diligenza maggiore; come d'altra parte non si potrebbero scusare
errori o mancanze del funzionario in considerazione delle sue abitu-
dini eccezionalmente trascurate nella vita privata. Per dirlo in poche
parole, il termine di confronto, quando si tratta di giudicare della
colpa dei pubblici ufficiali, non può mai essere altro che il grado
medio di diligenza del buon funzionario. Naturalmente siccome una
determinazione a priori di questo tipo non potrà mai farsi nl> con
nna disposizione di legge nè con un atto del potere esecutivo, l'ap-
prezzamento dev,e necessariamente esser rimesso al prudente arbitrio
dei giudici chiamati a decidere di volta in volta sull'azione di re-
sponsabilità civile promossa contro un funzionario. In tale apprezza-
mento il giudice non rimane punto vincolato dai criteri delle autorità
amministrative, ancorchè corroborato da un solenne procedimento
disciplinare; ciò vale a dire che i tribunali potranno pronunziare la
responsabilità civile di un pubblico ufficiale per un determinato atto
da lui compiuto nell'esercizio delle sue funzioni, sebbene l'autoritù
amministrativa l'abbia dichiarato disciplinarmente incernmrabile, e
436 I Pl:BBLICI l:FFICI E LA GEHARCHIA A)DI!XISTHATIVA

viceversa potranno escludere la responsabilità civile, malgrado la


condanna disciplinare.
141. Partendo dal principio generale di diritto, consacrato nell'ar-
t.icolo 1!)49 del patrio codice civile, per cui i beni del debitore sono
la garantìa comune de' suoi creditori, i quali vi concorrono tutti con
eguale diritto, salve le cause legittime di prelazione, giunge alla con-
seguenza che i pubblici ufficiali sono tenuti a rispondere civilmente
coll'intero loro patrimonio di qualsiasi danno che essi abbiano cagfo-
nato alla pubblica amministrazione od ai privati nell'esercizio delle
loro funzioni. Il rapporto sinallagmatico di diritto pubblico, che inter-
cede fra l'Amministrazione ed i suoi agenti, non vale di per sè a
creare alcuna ragione di preferenza a favore dell'amministrazione
stessa di fronte ai privati, rispetto al risarcimento dei danni da con-
seguirsi sui beni dei funzionari colpevoli. Per aversi a favore dello
Stato o degli Enti amministrativi locali un diritto di p1;elazione oc-
corre che esista preventivamente in loro favore un vincolo contrat-
tuale sopra determinati beni del pubblico ufficiale responsabile;
occorre cioè che si tratti di beni da lui costituiti in ca'llzione o mal-
leveria, a termine dell'articolo 1958, n. 10 dello stesso codice civile.
Su questi beni, che possono essere indifferentemente di proprietà
del funzionario o di terzi, che garantiscano per lui, la pubblica am-
ministrazione si rivale dei danni o delle perdite che in qualsiasi
modo le siano recati dal funzionario, con privilegio speciale na-
scente dal diritto di sicurtà reale costituito per contratto. La cau-
zione, che la legge esige da tutti coloro che tengono la contabilità
od hanno il maneggio di denaro pubblico o la consegna di materie,
valori ed oggetti di proprietà pubblica, dev'essere prestata di re-
gola in denaro contante o in titoli di rendita sul debito pubblico al
portatore depositati presso la Cassa governativa dei depositi e p1e-
stiti, oppure in certificati di rendita nominativi con dichiarazione
di vincolo, e per alcune specie di contabili può essere anche data
sotto forma di ipoteca sopra beni immobili. Soltanto eccezionalmente
può lo Stato accettare, ove lo creda, in luogo della malleveria reale,
nna fideiussione fornita da istituti di credito di notoria solidità e di
accertata solventezza 1). La vigilanza sulle cauzioni dei contabili
dello Stato è affidata alla Corte dei conti, alla quale spetta opporre
il visto di esecutorietà su tutti gli atti relativi all'accettazione,
svincolo o sostituzione delle cauzioni stesse 2). Sui beni dati in mal-
leveria dai funzionari le pubbliche amministrazioni esercitano il pro-
prio diritto di prelazione per conseguire il soddisfacimento delle
obbligazioni contratte verso di loro dai funzionari stessi, sia che

1) Legge 17 fe!Jhmio 188±, sull'arnrn!nistrazione e contabilità generale (ldlo


Stato, art. 65; e regolamento relati,·o 4 maggio 1885, art. 231.
~) Leggn U ago!'to 1862, snlla Corte dci conti, art. 26 e 27.
RESPOX"ABILITÀ CI\"ILE 437

derivino dalla responsabilità contabile, il cui accertamento è devo-


luto alla giurisdizione speciale della Corte dei conti, sia che ab-
biano origine dalla responsabilità civile per delitto o quasi-delitto,
che dev'essere dichiarata dai tribunali ordinari.
X aturalrnente la cauzione prestata dai funzionari o contabili ga-
rantisce soltanto i crediti della pubblica amministrazione, a favore
della quale è prestata, e non già i crediti dei terzi. Quindi i privati,
siano individui o persone giuridiche, non possono esercitare alcuna
azione, nè ordinaria nè privilegiata, sui beni costituenti la cauzione
del funzionario, ancorchè si tratti di danni da costui recati nell'e-
sercizio delle sue funzioni. Ciò spiega la necessità di esigere da certi
pubblici ufficiali, come per esempio dai conservatori delle ipoteche,
due cauzioni perfettamente distinte, l'una a favore dello Stato, l'altra
a favore del pubblico. Entrambe queste malleverie hanno per scopo
di garantire i possibili danni derivanti dall' opera del funzionario;
ma l'una garantisce soltanto i danni dati al patrimonio dello Stato,
alla pubblica amministrazione, l' altra soltanto quelli risentiti dai
singoli; onde nè lo Stato potrebbe esercitare alcun diritto sulla cau-
zione data a favore del pubblico, nè viceversa i privati potrebbero
rivalersi sulla cauzione data per lo Stato.
142. AH' infuori di questo priviìegio sulle cauzioni nessun altro di-
ritto di prelazione potrebbe vantare, secondo la nostra vigente legisla-
zione, il pubblico erario pel rifacimento dei danni ad esso recati dai
pubblici funzionari. Questa regola ammette però un'eccezione, che si
riferisce non già al patrimonio generale del funzionario responsabile,
il quale rimane garanzia comune di tutti i creditori, ma soltanto ai
proventi che il funzionario stesso percepisce dallo stesso pubblico
erario. Questi proventi, siano essi corrisposti a titolo di stipendio
oppure di pensione, sono dichiarati dalla legge impignorabili, salvo,
oltre il caso degli alimenti dovuti per legge, quello di debiti del
funzionario verso lo Stato, dipendenti dall'esercizio delle sue fun-
zioni; nel qual caso la pignorabilità dello stipendio o pensione, da
effettuarsi mediante ritenuta, è permessa, ma limitatamente ad un
quinto delle somme dovute 1 ). Per la stessa ragione alla norma, che
stabilisce non potersi cedere nè sequestrare, oltre il quinto del loro
ammontare, gli stipendi, assegni e pensioni dovuti dalle Provincie,
dai Comuni o da altri Enti morali ai loro funzionari od impiegati,
la legge ha introdotto un'eccezione per il caso di debiti, che il fun-
zionario od impiegato abbia incontrati con l'amministrazione da (•.ni
dipende e per cause derivanti dall'esercizio delle sue funzioni (oltre,
anche qni, il caRo degli assegni elementari dovuti per legge). In

1) Cocl. di proc. ciY., nrt. i>91; Legge ~nlle pe1tHioni, testo nni<'o 21 fehhraio 1895,
art. 177.
438 I PCBBLICI \:FFICI E LA GEIUBCHL\ A3DIIXISTRA TIVA

questo caso l'eccezione a favore delle amministrazioni locali consiste


nel portare fino ad un terzo il limite della porzione sequestrabile
sug'li stipendi od assegni vitalizi 1 ). Sono queste le sole preferenze
accorclate nel nostro attuale diritto positivo alla pubblica ammini-
strazione per ottenere il risarcimento dei danni che essa possa ri-
sentire dai propri funzionari. Per tutto il resto l' Amministrazione
va soggetta, sotto questo rapporto, al diritto civile comune, al pari
di una persona privata ntitnr jitre privcitormn.

§ 3. - Responsabilitù inclirettct delln piibbUcn mnniinistrazione.

S1nn1..1.mo. - H3. Le tre teoriche fondamentali in materia di responsabilità della


pubblica amministrazione per la colpa de' suoi funzionari od agenti. -
14±. Esame critico di queste teoriche. - 14·5. L'azione institoria è inappli-
cabile alle funzioni <li governo. - i.J.6. Distinzione fra gli atti cl' im1wrio e
quelli di gestione. - 147. Criteri distintivi fra gli uni e gli altri.

143. La teorica della responsabilità della pubblica amministrazione


per i danni ingiustamente dati dai suoi funzionari è una delle più dif-
ficili che si possano presentare nello stato attuale della legislazione;
giacchè la mancanza assoluta di norme nel diritto positivo lascia
libero il campo alle opinioni più disparate. È questo un problema,
la cui risoluzione tocca direttamente alle più elevate regioni della
scienza etico-sociale, giacchè dipende dal diverso concetto che si può
avere dello Stato e delle sue funzioni, e dei rapporti fra il diritto
pubblico ed il diritto privato. Se si ritiene che le norme regolatrici
dell'esistenza giuridica degli Enti di pubblica amministrazione deb-
bano ricercarsi unicament,e nel diritto pubblico, si giunge diretta-
mente alht conseguenza di escludere l' applicabilità a tali Enti del
concetto di rappresentanza, che nel diritto civile costituisce la base
della responsabilità. pel fatto altrui. Se invece si ammette che il di-
ritto civile costituisca il diritto comnne applicabile anche alle rela-
zioni giuridiche fra lo Stato etl i privati, la responsabilità. dello Stato
e delle altre persone giuridiche pubbliche si afferma come regola.
J,e opinioni, che si sono manifestate intorno a questo grave argo-
mento, si possono percfo ricondurre a tre sistemi fondamentali, dei
quali il primo afferma la responsabilità. assoluta della pubblica am-
ministrazione per le colpe de' suoi impiegati; il secomlo asserisce
l' irresponsabilità. assoluta; il terzo ammette la responsabilità, ma
limitatamente a taluni atti o funzioni.
La dottrina della responsabilità assoluta, che possiamo chiamare
germanica, perchè ideata la prima volta e<l ampiamente svolta <la

l) Lt'g-ge 26 lnglio 1888, art. :!.


HESPUXSAllILI'L\ IXl>lHETTA DELLA l'l:BllLICA A)DIIXISTHAZ. J3H

g'inristi tedeschi di gran nome, quali il vYimlscheid, il Gierke, il


Desder e lo Zachariae, parte llal concetto che i funzionari, eorne
organi mediante i quali la volontà della corporazione si estrinseca,
ne sono i rapprei;entanti diretti, e pereii> la loro opera deve consi-
(lerarsi come opera dell'amministrazione nel cui nome e per il cui
mandato essi agiscono. Secondo questa teoria la responsabilità dello
Stato e degli ·altri Enti amministrativi assume la figura di respon-
sabilità direttli, che incombe agli Enti medesimi considerati come
altrettante persone gforidiehe aventi un'esistenza propria, non sola-
mente fittizia, ma bensì reale 1). Lo Zachariae però, con altri, pur
affermando come regola la responsabilità dello Stato, la considerano
non come responsabilità diretta e principale, ma soltanto come siis-
.~idiarùt, derivante dall'obbligo che ha lo Stato di garantire l'opera
(le' propri agenti, di cui si vale come mezzo necessario per esercitare
la sua personalità giuridica 2 ).
L'opposta dottrina, che mette capo all'assoluta irresponsabilità
della pubblica amministrazione per la colpa de' suoi funzionari parte
dal riflesso che lo Stato, rappresentando in sè stesso il diritto or-
ganizzato, non può senza contraddizione apparire violatore del diritto
stesso, e q nindi tutto ciò che da' suoi funzionari si operi contraria-
mente alla legge non può considerarsi come azione dello Stato. Questa
teorica, che in Italia trovò validi sostenitori in due illustri giure-
consulti, il ~fantellini ed il Saredo, entrambi alti funzionari flello
Stato :i), ammette soltanto in via sussidiaria l'applicazione del diritto
<'i vile agli Enti ili pubblica amministrazione; ed affermando che lo
Staw, anche quando contratta o stringe altri rapporti giuridici a
guisa di persona privata, conserva sempre il suo carattere di res
pnblicn, di autorità legittimamente costituita, sostiene che per deter-
minare le norme giuridiche, da cui debbono essere regolati i suoi
atti, Yanno ricercate di regola nel solo campo del diritto pubblico.
La terza dottrina, che tiene una via (li mezzo fra le dne opinioni
estreme, e raccog·lie il maggior suffragio di adesioni, così in Francia
eome in Italia, è fondata sul concetto che nello Stato, come negli

1) ìYin<ls<'hei<l, Leh1·buch des Pandektenreehts, 7." edizione, ~~ 5H e 470; Gierke,


/Ji<' <Te110.mmscltaf~theorie 1wd die deutsche Rechfs8p1·ech11ng (Belin, 1887), pag. 743 e
'<'gg.; Beseler, 8yste1n des ge1neinen dettf8ch1•n I'rivatrecltts, 4." ecliz., 1885, Yol. I,~ 66
I' ~pg-g:.

~) Zachariae, i-eber die Haft1rngsi·erbi11dlichkeit des Staats, in Zeit.,chrift fiir das ge-
'lllllmfe 8taats11'isNenschaft, Yol. XIX, pag. 248 e seg·g.; e GerhPr, 1!1'1111dziige des
rlrntsche11 8taai81'echts, 3." e<li:-,., Lipsia, 1880, pag. 213 " segg.
' 1) ::'lfantellini, AYYocato generale erarial•', Lo 8talo al il Co11ice civile (Firenze,
1880), Yol. I, pag-. 133 e segg., voi. III, pag. 391 e segg., e Rela.zioue 811/le 1wi·ocal11re
n·w·iali pel 1879 (Roma, 1880). Sarcdo (Consigli!'l'P <li Stato), Lo Stato e la respo1rna-
hilitù dt'gli atti dei pubblici f1111zio1111ri (::\fonografia inserita ll<'l pt>rio1lieo Ln Legge,
1X82, voi. I, pag. 69+-698.
440 I PCHJILl(;l CFFICI E LA GERARCHIA AMMIXISTHATIYA

altri enti politici minori, si debbano distinguere due personalità o


meglio due 'funzioni, la prima di soiTanitlÌ e la seconda di ge.~tione.
Lo Stato in quanto esplica la sua funzione di potere sovrano, cioi·
in quanto legifera, rende la· giustizia, tutela l'ordine pubblico ecl
esercita tutte le sue altre svariate attribuzioni di supremo gestore e
promotore degli interessi collettivi, non può essere chiamato a ri-
spondere della colpa de' suoi agenti, perchè nella missione di affer-
mare il diritto non può, per la ragione dei contrasti, entrare quella
di violarlo. Per queste funzioni, nelle quali lo Stato esplica il suo
potere politico, il suo j11s ùnperii, si nega la possibilità logica che
esso apparisca qual violatore della legge, di cui lo Stato stesso è fonte
e presidio. Al contrario quando la pubblica amministrazione esercita
le funzioni di gestione, cioè agisce come persona privata stipulando
contratti, ed esercitando i diritti di proprietà e di possesso sui beni,
che costituiscono il suo patrimonio, è soggetta al diritto privato,
iititnr .iure privcitorum, e per conseguenza è tenuta a rispondere della
colpa dei suoi funzionari che agiscono come suoi commessi in forza
del vincolo istitori o 1).
A questa terza dottrina si accostano due altre opinioni speciali,
le quali si presentano, a dir vero, con concetti giuridici alquanto
incerti e confusi, e sono quella del Laurent 2) che pone la respon-
sabilità come regola nei casi in cui il funzionario agisca come eom-
rnesso dello Stato, negandola eccezionalmente negli altri casi, e quella
del Gabba che parte come regola dal principio che lo Stato non sia
responsabile pel fatto dei propri funzionari, ammette tuttavia tale
responsabili'tà nei rapporti giuridici di natura privata, nei quali i
funzionari agiscono come rappresentanti o commessi dello Stato, o
nelle funzioni politiche, in quanto siano esercitate per mezzo di
agenti, che non hanno responsabilità propria ed operano non come
organi, ma come strimienti della pubbliea autorità 3 ).
144. L'esame di tutte queste teoriche, che ci proponiamo di fare

1) A qnesta teoria. della doppia personalità a1leriscono i segne11ri H<"rittori, s•·h-

bene si noti molta Yarietit da 1111 autore all'altro nelle applicazioni ~'arti<"olari, 1·11
anche nel modo di concepire i limiti dcllP due funzioni: Dncrocq, Co111"q de droU ad-
m.i11istratif (PnriR, 1871-86), Yol. I, IL 50, 2.J,8 e segg.; Ancoc, Co11fer1inces sur l'ad-
minisfl'((tion et le droit acl1ni11istratif(Paris, 1882-86). Yol. I, n. 273 e segg.: LafPrrièrf'.
Tr((ifé de la .ini·icliction admiuistra.tii·e (Paris, 1887-88), Yol. I, pag. 662; Larombii're.
Théorie et pratique cles obligationN (Pasis, 1857-58), sull'art. 1384 eod. napol., n. lii:
Bonasi, Della responwbilitcì cirile e penale dei ininistri e degli altri p11bblici uJliciali
(Bologna, 1874), pag. 449 e segg.; Giorgi, La dotll'i11a delle persone giuriclicht' o corpi
11wrali, Yol. III (Firenze 1892), Il. 68 e segg.; Giriotli, Il Comune nel diritto ciri/1·
(Torino, 1891), 11. 498 P segg.; f' )fosca, Xuol'i st11di e nuore dottrinl' sulla colpa
(Roma 1896), pag. 152 e st>gg.
2 ) LanrPnt, Principes cle droit cii· il, Yol. XX, 11. ;j90 e segg.

:i) }lonogrnf\a inserita nel 'Fu1·0 ita/i((no, 1881, parti' I, col. H32 " segg.
lmSPOXSABILIT,\ IXDlllETTA DJ•;LLA PT.:BHLICA A~UIINISTRAZ. 441

brevemente, ci aprirà la strada a stabilire i veri principii, che a


nostro avviso debbono regolare la soluzione della grave quistione
nello stato attuale del nostro diritto pubblico.
Delle tre dottrine fondamentali, che abbiamo esposte come tipi,
quella che ci sembra meno fondata dal punto di vista dello stretto
diritto, è la teoria che afferma 1' irresponsabilità assoluta della
pubblica amministrazione, partendo dal concetto dell'identità giuri-
dica fra lo Stato ed i suoi funzionari. Come rettamente osserva il
Chironi 1), anche volendo ammettere che questa confusione fra la
personalità dello Stato e quella dei suoi agenti sia giuridicamente
corretta, la conseguenza logica che se ne dovrebbe dedurre sarebbe
precisamente l'opposta di quella, che ne ricavano i sostenitori di
questa teoria; gfacchè identificandosi la pubblica amministrazione
coi suoi rappresentanti, i fatti di costoro diventano fatti nell'ammi-
nistrazione, la quale dovrebbe quindi rispondere in ogni caso come
di fatti proprii. Nè si può' sostenere che i funzionari rappresentino
l'amministrazione soltanto in quanto agiscono in conformità della
legge, e cessino di rappresentarla in quanto operino ingiustamente,
distinzione evidentemente iniqua, e che avrebbe per conseguenza
di escludere la responsabilità dello Stato anche nei rapporti con-
trattuali di carattere strettamente privato.
La dottrina germanica, che pone il principio della responsabilità
assoluta partendo dal concetto che il rapporto giuridico fra lo Stato
ed i suoi agenti sia un rapporto di rappresentanza regolato dalle
norme del diritto civile sull'azione institoria, è anch'essa inaccetta-
bile, perchè dimentica che lo Stato è anzitutto autorità e potere,
che legifera, giudica e comanda, prima e più che ente patrimoniale,
che possiede, contratta ed acquista. Secondo questa teoria che tras-
forma il diritto politico dei cittadini ad essere governati rettamente
in un diritto civile munito d'azione proponibile davant,i ai tribunali
onlinarii, qualsiasi atto del Governo, non esclusi quelli che presen-
tano più spiccato il carattere di atti d'imperio, sarebbero assog-
g·ettati al controllo dell'autorità giudiziaria, alla quale spetterebbe
esaminare se tali atti siano o non siano conformi alla legge, per at-
tribuire il risarcimento dei danni ai privati lesi dall'atfo illegittimo.
Così il potere giudiziario, emanazione dello Stato, verrebbe a sovrap-
J>orsi allo Stato medesimo, e verrebbe meno la reciproca autonomia
ilei due poteri, che è base necessaria di un governo costituzionale
l'ettamente ordinato.
}fa più che dall'assurdità delle conseguenze, a cui mette capo
<1nesta teoria, ne apparisce l'erroneità dal suo stes:-;o fondamento,

1) La colpa ud diritto cil'ifo odiano - colpa eontrnttnalP - 2." edizione (Toriuo,


189i), pag. 498 .
-!J2 I l'LJ!BL!CI t:FFICI E J,A GEHAHCHIA .-L\DHXISTILl.UVA

posto nel principio che i rapporti giuridici fra la pubblica potestà


ed i singoli membri della comunità debbano regolarsi secondo le
norme del diritto civile, che si vorrebbe considerare come diritto
comune, vale a dire come norma ordinaria di qualsiasi rapporto
giuridico, così pubblico come privato; mentre al diritto pubblico
non resterebbe altro carattere ed altro còmpito cbe quello di norma
eccezionale. Questo sistema, che tende ad assoggettare il diritto
pubblico al diritto privato, è assolutamente da respingersi non sol-
tanto per ragioni storiche, le quali dimostrano incontestabilmente
l'origine anteriore del jus p1iblicmn al jns privatiim, ma anche per
ragione logica, essendo ammessa da tutti i filosofi del diritto la
preminenza del diritto' pubblico sul diritto privato. Il codice civile
non ha altro scopo che quello di dirimere e regolare i conflitti dei
diritti individuali nei rapporti fra i singoli cittadini; è vana im-
presa volervi cercare le norme pei rapporti fra i singoli e la collet-
tività, fra i cittadini e la potestà sovrana, fra la proprietà privata
e l'interesse pubblico. ~on diciamo che talvolta non si possa invo-
care, quasi per ragione di analogia, un articolo del codice civile,
allorchè si tratti di risolvere una quistione, in cui sia parte inte-
ressata lo Stato, come ente politico; ma se ciò si fa, ed è lecito
farlo, è soltanto perchè in quella determinata disposizione del co-
dice civile si crede di riscontrare un principio fondamentale di di-
ritto, la cui applicazione non apparisca ripugnante al Jus imperii
proprio della pubblica amministrazione.
Del resto gli autori stessi che sostengono la responsabilità asso-
luta e generale dello Stato e delle altre persone pubbliche per il
fatto dei loro funzionari in base al rapporto istitorio, si trovano
poi costretti dall'evidenza logica ad ammettere importanti eccezioni
le quali dimostrano la poca sicurezza della base, su cui si fonda la
loro teoria. Così il Chironi, che presso di noi si è fatto autorevole
sostenitore di siffatta dottrina, dopo aver riconosciuto che la re-
sponsabilità degli enti amministrativi sussiste solo se ed in quanto
manchi una legge positiva, che limiti la responsabilità al solo funzio-
nario (ed in verità di fronte ad una legge siffatta ogni quistfone sa-
rebbe finita), invoca come esempio le disposizioni del cod. di proc. eiY.
(art. 783 e segg.) riguardanti la responsabilità dei giudici e degli
nfficiali del Pubblico }Iinistero 1 ). }fa <love ha trovato in quegli ar-
ticoli l'egregio professore una sola parola, che significhi esclusi01w
o negazione della responsabilità dello Stato t Il codice sancisce bensì
la responsabilità dei funzionari dell'ordine giudiziario; ma tace as-
solutamente di quella dello Stato. Quindi quelle disposizioni, come
pure le altre del codice civile (art. :!OG7 e segg.) che regolano la

1) Op. eit., pag. ;'J:30.


RESPO::-i'SABILITÀ IXDIHETTA ImLL.\ l'UlBLlCA A3DIIXISTIUZ. '143

responsabilità, dei conservatori delle ipoteche e qnella della legge


;;ull' amministrazione comunale e provinciale, ;;nlla responsabilità
degli amrniniRtratori locali (art. 2:rn del testo unico Hl febbraio 188!J),
non offrono alcnn argomento che dinoti nel legislatore l'intendi-
mento di escludere la responsabilità della pubblica amministrazione.
Ancora meno giustificato ci sembra l'altro esempio addotto dallo
:,;tesso autore 1 ), e che riguarderebbe i professori di università;
giacchè troviamo bensì nella legge sulla pubblica istruzione del 13 no-
vembre 185!) (articoli 10;3-112) alcune disposizioni che regolano la
responsabilità clisciplincire di questi pubblici insegnanti, accordando
loro determinate garanzie nel relativo procedimento; ma nè quella
nè altre leggi speciali contengono il minimo cenno circa la responsa-
bilità civile degli insegnanti. Inoltre è ovvio riflettere che pur affer-
mandosi con una speciale disposizione di legge la responsabità per-
sonale del funzionario, ciò non vuol ancora dire che ne rimanga
esclusa di necessità la responsabilità dell'amministrazione, almeno
come responsabilità sussid:icirùi.
145. Il vero è che, se si pone a fondamento della responsabilità
dello Stato il rapporto institorio, bisogna giungere inevitabilmente
alla conseguenza di estendere la responsabilità stessa a tutti in-
distintamente i funzionari od agent,i, che operano in virtù di un
ufficio pubblico o di un incarico qualsiasi conferito dalla pubblica
autorità. Non vi sarebbe quindi ragione neppure per escludere la
responsabilità dello Stato per i danni ingiustamente dati dai membri
dei collegi legislativi; poichè i deputati ed i senatori, in quanto par-
tecipano alla funzione legislat,iva ed all'esercizio di tutte le altre
importanti attribuzioni d'ordine amministrativo, che sono proprie del
Parlamento, rappresentano anch'essi lo Stato, anzi ne rappresentano
uno dei poteri fondamentali. ::\fa fino a questo pnnto, di sostenere
l'obbligo dello Stato a risarcire i danni cagionati dalla colpa o dal
dolo dei deputati o dei semttori, non si è mai ;;pinto nessuno fra i
più caldi sostenitori della dottrina elle combattiamo.
L'errore fondamentale di questa teorica consiste, a parer mio, nel
fermarsi al rapporto di rappresentanza, riguardandolo JH='r sè stesso
come ragione costitutiva della responsabilità pel fatto alkui, imli-
pendentemente da qualsiasi ulteriore considerazione dei Yincoli giu-
ridici fra il rappresentante, il rappresentato e<l i terzi. ::\la qual'è la
ragione per cui dal rapporto institorio si deduce la responsabilità
1lal preponente per la colpa del preposto i L'origine dell'azione in-
stitoria c'insegna elle questo istituto~ svolgendosi sulla ba Re dell' e-
quità per opera del diritto pretorio, ebbe per sno pnnto di par-
tenza il principio di giustizia naturale, in forza di cni chi trae

1) Op. eit., l)Hg'. ;)37.


444 I PGBBLH.:I GFFICI E LA GERAl!UHIA A'.\DII:SIISTRATIV A

profitto dall'opera di nna persona, de\'e prendere a suo carico tuttt~


le obbligazioni che questa persona venga ad incontrare verso i terzi
nella sua qualità di rappresentante del dominus negotii. « Aequm11
pra.etori ·vismn est, sicnt comrnoda sentiinus ex acttt institorum, ita
etùtm oblignri nos e.x contrcictibns ipsorwrn, et convenir·i 1 ): ecco in qual
modo Ulpiano spiegava la ragion d'essere che giustifica l'azione in-
stitoria. Ma certo in nessuna mente di giureconsulto romano avrebbe
mai potuto cadere la supposizione che un istituto creato dall'equità
pretoria per regolare i rapporti commerciali, potesse molti secoli più
tardi essere travisato fino al punto da farne la base della responsa-
bilità della respnblica. per la colpa dei magistrati.
In verità non è facile comprendere come si possa logicamente
pretendere di fondare sul diritto romano un concetto così ripugnante
allo spirito di quel diritto e che da un Ulpiano od un Papiniauo
non avrebbe potuto esser giudicato altrimenti che come una vera e
propria eresia giuridica. Quale maggior assurdo che il voler parifi-
care i rapport,i fra la repubblica ed i suoi magistrati con quelli che
passano fra il padrone di casa ed i suoi servi, oppure fra il proprie-
tario di un negozio ed i snoi commessi~
146. La terza teorica, quella che raccoglie il maggior numero di
aderenti così nella dottrina come nella giurisprudenza, in :Francia
ed in Italia, si fonda sulla distinzione fra le funzioni ehe lo Stato
compie come potere sovrano jure imperM e quelle che esso esercita
come semplice ente patrimoniale jure gest-ionis, ammettendo la re-
sponsabilità per queste ultime fnnzioni, negandola per le prime. Lo
Stato e gli enti pubblici minori, in quanto agiscono come pubblica
potestà nell'interesse generale dei consociati, non possono andar
soggetti a responsabilità pecuniaria per l'errore o il dolo dei loro
rispettivi agenti; se costoro per negligenza o per dolo trasgredi-
scono i doyeri del proprio ufficio ed arrecano ingiusto danno ai pri-
vati, essi soli dovranno risponderne di fronte ai danneggiati. Per
contrario se si tratta di atti relativi al patrimonio degli enti annni-
nist.rativi, in quanto eioè gli enti stessi, spogliandosi della loro
veste di autorità, assumono quella di possessori di beni e di con-
traenti, la responsabilità loro va regolata alla stregna del codice ci-
vile. Snppongasi che lo Stato oppure il Comune, dopo aver stipu-
lato un contratto di appalto o di compra-vendita rifiutino senza
legittima causa di darvi esecuzione, o ve la diano, ma con ritardo col-
poso; negare in siffatti casi all'altro contraente l'azione di risarci-
mento e.v contractu sarebbe non soltanto una iniquità, non tollerata
dal più elementare senso giuridico, ma un assurdo che si converti-
rebbe immediatamente in graYe danno per la stessa ammini8trazione

1) L. L De i118fituri1t actio11e, Dig. XIY, il.


RESPONSABILITÀ INDIHETTA DELLA PCHBLICA A)DI!NI1'THAZ. 44?1

che non troverebbe più chi volesse con lei contrattare in condizioni
così diseguali; gfacchè nessun contraente, anche di meùiocre scal-
trezza, si appagherebbe della responsabilità personale dei funzionari,
la quale offre ben poco affidamento, sia per la difficoltà somma in
cui si troverebbe il privato di provare la colpa personale del fnn-
zionario, sia per la scarsa solvibilità patrimoniale, che pur troppo
forma la condizione più comune nei nostri pubblici ufficiali.
Del resto si possono dare, e si danno non raramente, dei casi in
cui, senza colpa personale di alcun funzionario, la pubblica annni-
nistrazione si trova nel caso di venir meno all' adempimento di un
suo obbligo contrattuale, sebbene la sua inadempienza non possa
giustificarsi col caso fortuito o di forza maggiore (come per esempio
nel caso di ritardato pagamento per mancanza di foncli nelle casse
pubbliche). È dunque necessario che la pubblica amministrazione,
se vuol giovarsi delle forme contrattuali, indispensabili del resto
allo svolgimento della sua azione, si assoggetti in tutto e per tutto
alle norme contrattuali, che si osservano fra privati, e dove nei
contratti dello Stato si creda necessaria qualche norma eccezionale
o cli privilegio, a garanzia dell'interesse pubblico, cfo dev' esRere
clichiarato espressamente per legge; come, per citare un solo esempio,
si è fatto coll'art. 345 della legge sui lavori pubblici (20 marzo 186•)
alleg. F), col quale si riserva all' amministrazione la facoltà cli ri-
solvere in qualunque tempo il contratto di appalto, mediante il pa-
gamento dei lavori eseguiti e del valore dei materiali utili esistenti
in cantiere, oltre al decimo dell'importare delle opere non ancora
eseguite. Davanti alla disposizione esplicita della legge chi si pre-
senta a stipulare con lo Stato sa quello che deve aspettarsi, erl è
libero di decidersi se a quelle condizioni gli convenga o no strin-
gere il contratto. Per tutto il resto, che }lOn è regolato da una
norma speciale di diritto positivo, i contraenti hanno piena ragione
di ritenere che l'amministrazione, in quanto assume la veste di parte
contraente, intenda assoggettarsi a tutte le norme del diritto civile,
che si osservano fra privati. In una parola, nei contratti dello Stato
il codice civile è la regola, le leggi speciali rappresentano l'eccezione.
147. Certamente non sempre sarà facile distinguere nei casi pratici
la funzione cli governo da quella patrimoniale, tanto più che spesso
esse si presentano intimamente connesse ed intrecciate l' una ali' al-
tra. La regola da tener presente consiste anzitutto nel por mente al
fine, nel quale agh;ce l'ente' aunninistrat,ivo, ritenendo funzioni d' im-
])erio tutte quelle che hanno in mira uno scopo d'interesse pubblico,
sia che si tratti di un servizio obbligatorio o facoltativo per l'ente,
che lo compie. Per conseguenza in tutti i servizi, il cui obbiettivo
immediato è la tutela della sicurezza o della sanità pubblica o l' at-
tuazione cli un altro qualRiasi fine d'interesse generale, dovrà ne-
garsi la responsabilità dello Stato, dei Comuni e delle Provincie per
446 I Pl:BBLICI l:FFICI E LA GERAHCHIA .-DIMIXISTRATIYA

la colpa dei loro rappresentanti od agenti, senza distinguere tra i


fini essenziali e primordiali della pubblica potestà, che sono quelli
(]ella tutela della sicurezza e dell'ordine pubblico, ed i fini comple-
mentari ed accessori, che mirano al miglioramento ed al progre8so
della convivenza sociale. Lo Stato e gli Enti amministrativi minori,
sia che agiscono come tutori della collettività o che operino come
promotori del benessere comune, sotto il triplice aspetto economico,
intellettuale o morale, non si propongono il proprio vantaggio pa-
trimoniale; e non po8sono quindi essere chiamati responsabili del
danno ingiustamente dato per colpa dei rispettivi funzionari od agenti,
mancando in tutti questi casi il fine del lucro, che, come abbiamo
visto, costituisce il sostrato necessario a giustificare la responsabi-
lità pel fatto altrui in base all'azione institoria, ove si prescinda
dalla colpa in eligendo od in invigilando 1).
Giova poi notare che una funzione compiuta dallo Stato, da una
Provincia o da un Comune nell' interesse pubblico non perde il suo
carattere di atto cl' imperio per assumere q nello di atto di gestione
per ciò solo che i privati per usufruire dei Yantaggi inerenti a quel
determinato servizio pubblico debbano assoggettarsi al pagamento di
una tassa o corrispettivo soUo qualsiasi forma o titolo. Così il ser-
vizio pubblico dell'istruzione non cessa di essere una funzione di
autorità, perchè gli studenti siano tenuti al pagamento delle tasse
scolastiche; e per la stessa ragione troviamo giustamente deciso che
l'esercizio di uno stabilimento municipale di mattazione rimane pur
sempre un servizio fatto nell'interesse della sanità pubblica, sebbene
gli utenti siano soggetti al pagamento di una tassa 2).

1) In conseguenzn di qnesto principio lo Stato non è responsabile dei danni de-

rivanti da un arresto arbitrario, o da uu'accnst~ peuale intentata dal Pubblico Mi-


nistero senza. fonda.mento, ancorchè l' impntnto abbia. sofferto inginstamente la car-
cerazione preventiva. Il risarcimento <lei danni nlle Yittime del carcere preventivo,
sin che si Yoglia porre a carico <lello Stato o dei magistrati colpevoli, rimane tut-
tora nn desidemtnin per la nostra legislazione. - Del pari un Comune non risponde
dei danni deri,·anti da irregolare o legittima riscossione delle mnlte contravvenzio-
nali, o dellt' ohlazioni volontarie, l'he ne sono il sostitntini. Cass. di 'l'orino, 28 no-
vembre 1895 (Legge, 1896, vol. I, pag. 407).
2 ) In questo senso la Corte di cassazione di Roma con recente Hentenza del 9 lu-
glio 1897 (Legge, 1897, vol. II, pag. 400) esclndeYa la responsabilità del ComnnP
per il trnfngamento di m1 animale custodito nell'annnattatoio municipale.

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