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3. Su cui vd. da ultimo L. Battaglia Ricci, Un sistema esegetico complesso: il Dan-
te Chantilly di Guido da Pisa, in « Rivista di studi danteschi », viii 2008, pp. 83-100,
con bibliografia pregressa.
4. Sul tema vd. da ultimo D. Goldin Folena, Il commento nella pagina autogra
fa di Francesco da Barberino, in Intorno al testo. Tipologie del corredo esegetico e soluzioni
editoriali. Atti del Convegno di Urbino, 1-3 ottobre 2001, Roma, Salerno Editrice,
2003, pp. 263-82. Per l’autografia: A. Petrucci, Minima Barberina. i. Note sugli auto-
grafi dei ‘Documenti d’Amore’, in Miscellanea di studi in onore di A. Roncaglia a cinquan
t’anni dalla sua laurea, Modena, Mucchi, 1989, vol. iii pp. 1005-109; M.C. Panzera,
Per l’edizione critica dei ‘Documenti d’Amore’ di Francesco da Barberino, in « Studi medio-
latini e volgari », xl 1994, pp. 91-118; P. Supino Martini, Per la tradizione manoscritta
dei ‘Documenti d’Amore’ di Francesco da Barberino, in « Studi medievali », xxxvii 1996,
pp. 945-54.
5. Esplicita l’assunzione di responsabilità da parte dello stesso autore per l’as-
sieme dei segni presenti nella redazione definitiva dell’opera. Basti, al proposito,
quanto si legge nel vol. I ‘Documenti d’Amore’ di Francesco da Barberino secondo i ma-
noscritti originali, a cura di F. Egidi, Roma, Società Filologica Romana, 1904-1927
(rist. an. Milano, Arché, 1982), vol. i p. 262, dove, a chi lo accusa del fatto che egli
si va gloriando di aver « figurato e proemiato e glossato il testo » l’autore si preoc-
cupa di rispondere: « bene possum de hiis aperta sic facie respondere cum non sit
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edizioni d’autore, copie di lavoro, autoesegesi
Se si tiene conto sia degli studi che, sulla scorta del celebre Soglie di
Gérard Genette, hanno gettato luce sulla rilevanza critico-estetica
della forma del libro, sia delle raffinate indagini codicologiche e
paleografiche che hanno consentito di ricostruire le procedure
messe in atto dagli autori per editare le loro opere nei secoli che
precedono la stampa, la felice formula di « libro d’autore » potrà,
credo, essere applicata anche a esperienze come queste: a libri,
cioè, nati da un progetto editoriale organico, riconducibile all’au-
tore dell’opera e dotato di una sua specifica identità, siano essi rea
lizzati in toto, in parte, o per nulla dalla mano dell’autore stesso.
Sarà poi opportuno individuare delle sottocategorie, distinguen-
do i libri progettati e concretamente realizzati dall’autore che « di
propria mano » – come recita il titolo di questo nostro Convegno
– ha messo in codice il testo di una determinata opera, dai libri
progettati dall’autore, ma realizzati da professionisti del libro (do-
vendosi in questo caso sospettare piú o meno lecite intrusioni, per
cosí dire, dei collaboratori dell’autore).
Se oltre che sulla funzione testimoniale assolta dal libro (codi-
ce-archivio, brogliaccio, copia di lavoro, codice definitivo dell’o
pera) si punta l’attenzione sulla responsabilità dell’autore nell’or-
ganizzazione del paratesto editoriale di una sua opera, quell’eti-
chetta si potrebbe forse articolare distinguendo tra edizioni d’au-
tore autografe e non, ovvero tra i libri progettati dall’autore del
l’opera o di parte dell’opera attestata nel ms., ma senza la parteci-
pazione autografa di lui, come capita per le Expositiones et glose di
Guido da Pisa nell’appena ricordato codice Chantilly (catalogabi-
li sotto il cartellino: “edizioni d’autore non autografe”) e la copia
autografa di un’opera in redazione (almeno provvisoriamente, o
idealmente) definitiva, come capita per buona parte del Canzonie-
re attestato dal Vat. lat. 3195 o il Decameron attestato dal Berlinese
Hamilton 90, ma anche, per rimanere nella produzione di Boc-
caccio, per il Teseida attestato dall’autografo Laurenziano Acq. e
lictera in hoc libro [idest: nel ms. Barb. lat. 4076] nec figura que, ante alicuius
transcriptum, per me ad minus non fuerit tracta quater ».
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6. Su cui l’importante Malagnini, Il libro d’autore, cit., con estesa documenta-
zione fotografica.
7. L’attribuzione a Boccaccio dei disegni o almeno della loro precisa program-
mazione è imposta alla stretta relazione tra testo e immagine esplicitata, ad es.,
nel proemio al libro i, par. 3, che rende fedelmente conto della grafica adottata per
costruire l’albero genealogico disegnato nel margine superiore di c. 11v (ovvero
« sopra lo scritto », come recita il testo): « In arbore signata desuper ponitur in
culmine Demorgogon versa in celum radice, nec solum infra descripte progeniei
sed deorum omnium gentilium pater, et in ramis et frondibus ab eo descenden-
tibus describuntur eius filii et nepotes de quibus omnibus hoc in primo libro
prout signati sunt, distincte describitur ». La riproduzione di questa carta in Boc-
caccio visualizzato. Narrare per parole e immagini fra Medioevo e Rinascimento, a cura di
V. Branca, Torino, Einaudi, 1999, vol. ii p. 58. Qui, alle pagine immediatamente
seguenti, la documentazione completa.
8. Per l’autografo di Franco Sacchetti vd. L. Battaglia Ricci, Comporre il libro,
comporre il testo. Nota sull’autografo di Franco Sacchetti, in I moderni ausili all’ecdotica.
Atti del Convegno internazionale di Fisciano-Vietri sul Mare-Napoli, 27-31 otto-
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bre 1990, a cura di V. Placella e S. Martelli, Napoli, Esi, 1994, pp. 287-311; Ead.,
Autografi “antichi” e edizioni moderne. Il caso Sacchetti, in « Filologia e critica », xx 1995,
pp. 386-457; Ead. Exemplum e novella, in Letteratura in forma di sermone. I rapporti tra
predicazione e letteratura nei secoli XIII-XVI, a cura di G. Auzzas, G. Baffetti, C.
Delcorno, Firenze, Olschki, 2003, pp. 281-99, specie pp. 288-95.
9. Per il cosiddetto “declassamento” dell’attestazione autografa del Decame
ron vd. da ultimo M. Cursi, Il ‘Decameron’: scritture, scriventi, lettori. Storia di un testo,
Roma, Viella, 2007, specie pp. 39-42, con una recapitolazione della bibliografia
pregressa. Per la presenza di un sia pur ristretto manipolo di varianti lessicali re-
gistrate nei margini di quel medesimo codice un quadro esaustivo e informazio-
ne sulla bibliografia pregressa in M. Vitale-V. Branca, Il capolavoro del Boccaccio e
due diverse redazioni, 2 voll., Padova, Ist. Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, 2002, in
partic. nel vol. ii. Variazioni stilistiche e narrative, alle pp. 210-13. V. Zaccaria, Nota
al testo, in G. Boccaccio, Genealogie deorum gentilium, a cura dello stesso, Milano,
Mondadori, 1998, to. ii pp. 1592-609, ricapitola i risultati acquisiti sulla storia del
testo della Genealogia deorum gentilium, titolo che mi pare preferibile al pur corren-
te Genealogie dato che, come osserva L. Petrucci, Lasciti della prima circolazione
della ‘Genealogia deorum gentilium’ in un manoscritto campano del Quattrocento, in « Stu-
di mediolatini e volgari », xxvii 1980, pp. 163-82, nel titolo Genealogie non può che
essere un genitivo singolare.
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10. Come informa la nota apposta dal medesimo Boccaccio nel margine infe-
riore della c. 13r dove inizia la sua copia del libretto dantesco (« Meraviglieranno-
si molti », ecc.), egli è intervenuto sul testo estraendone le dichiarazioni che Dante
aveva concepito come parte integrante del prosimetro, per registrarle nel margi-
ne, dato che, come il prestigioso copista si preoccupa di precisare, esse « piuttosto
chiosa appaiono dover esser che testo ».
11. Come ricorda Armando Petrucci nei suoi fondanti saggi Minuta, autografo,
libro d’autore, in Il libro e il testo. Atti del Convegno internazionale di Urbino, 20-23
settembre 1982, a cura di C. Questa e R. Raffaelli, Urbino, QuattroVenti, 1985,
pp. 397-414, e Scrivere il testo, in La critica del testo. Problemi di metodo ed esperienze di
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e delle forme di mise en page realizzate dagli autori per le loro ope-
re, insieme con la funzionalità delle costruzioni grafico-visive da
loro realizzate, dimostra presente negli autori fattisi editori anche
una precisa volontà di creare (o forse meglio costruire, mimando
o meno modelli librari già esistenti) una determinata forma di li-
bro, “inscatolando” in modo personale e pieno di senso il testo da
loro composto in una struttura paratestuale che orienti nella frui-
zione dell’opera, ovvero a suo modo espliciti il senso che l’autore
ad essa ha attribuito, lasciando intravedere l’intentio auctoris.12 Per il
Decameron continuo a credere, come mi è capitato di scrivere altro-
ve, che la forma-libro sia « sentita » dal suo autore « come tratto si-
gnificante del sistema-testo »,13 e che quindi abbia assoluta rilevan-
za per l’interpretazione e la valutazione dell’opera. Appunto al fi
ne di riflettere sulla pertinenza in prospettiva critico-valutativa,
oltre che ecdotica e di storia della tradizione del testo, della forma
della mise en page (architettura spaziale dei testi, alternanza di scrit-
to e spazi bianchi, segni di paragrafazione e sistema di maiuscole,
lavoro. Atti del Convegno di Lecce, 22-26 ottobre 1984, Roma, Salerno Editrice,
1985, pp. 209-27.
12. Come è ampiamente presente alla tradizione critica piú recente: una mi-
nima informazione bibliografica e uno sguardo d’assieme in Intorno al testo, cit. Da
quest’acquisita consapevolezza discende, mi pare, un corollario pratico, ovvero
che qualsiasi riflessione critica sulle opere composte prima della stampa andreb-
be, anche per questo, condotta sui testimoni manoscritti, in particolare sugli au-
tografi, se conservati. La precisazione è imposta dalla stupefacente valutazione
espressa proprio a proposito del Decameron dal raffinato studioso dei paratesti Ge
nette che, dobbiamo supporre, per il capolavoro di Boccaccio deve aver utilizza-
to un’edizione corrente, forse priva di una pur minima nota al testo e certamente
fortemente manipolata, senza peraltro preoccuparsi di controllare quanto è da
tempo ben presente agli studi circa la responsabilità autoriale di titoli, rubriche,
ecc. Cito dall’ed. it.: « Il Decameron è, come viene indicato dal titolo, diviso in
dieci giornate di cui ciascuna porta il nome del suo narratore [sic!]; le dieci novel-
le che costituiscono ciascuna giornata hanno, nelle edizioni moderne, dei titoli la
cui autenticità sembrerebbe dubbia, accompagnati da riassunti di qualche riga
forse anch’essi tardivi, e che, se rientrano nel paratesto attuale, non hanno piú,
evidentemente, lo statuto di intertitoli » (G. Genette, Soglie. I dintorni del testo,
trad. it. Torino, Einaudi, 1989, p. 95).
13. L. Battaglia Ricci, Boccaccio, Roma, Salerno Editrice, 2000, p. 126.
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16. A. Petrucci, Spazi dei testi e strategie petrarchesche, in La parola scritta e le sue
grazie. A proposito della mostra « Petrarca nel tempo », con discorsi di A. Asor Rosa,
R. Bettarini, M. Feo, A. Petrucci, C. Villa, Pontedera, Bandecchi e Vivaldi,
2006, pp. 45-55; la cit. che segue da p. 47.
17. Petrucci, Minuta, autografo, libro d’autore, cit.
18. Petrucci, Spazi dei testi, cit., pp. 50-51.
19. Il brano (ivi, p. 51) è tratto da H.W. Storey, Il ‘liber’ nella formazione delle
‘Familiari’, in Motivi e forme delle ‘Familiari’ di Francesco Petrarca, a cura di C. Berra,
Milano, Cisalpino, 2003, pp. 495-505.
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20. Ma forse non indebitamente, se alla cultura medievale non dovette essere
estranea la consapevolezza della precisa distinzione tra lo scrivere un’opera e il
“pubblicarla”. Una suggestiva spia, in tal senso, mi pare, emerge dalle Cronache
note. Cosí, ad es., Riccobaldo da Ferrara (operoso tra il XIII e il XIV sec.) in Hi-
storia Imperatorum per l’anno mcxc precisa: « Ugutio Episcopus Ferrarensis [idest
Uguccione da Pisa] per haec tempora librum derivationum edidit » (cosí in Rerum
Italicarum Scriptores, to. ix, Milano, Stamperia della Società Palatina, 1726, col. 125),
mentre in Historia Pontificum Romanorum (ivi, col. 178), egli ha potuto scrivere che
il medesimo « Hugo […] natione pisanus, Episcopus Ferrariensi, […] ex libro
Papiae […] librum Derivationum composuit ». Cosí, ad es., la registrazione sinte-
tica delle opere prodotte dagli scrittori religiosi fatta dal monaco benedettino
Sigeberto di Gembloux nell’anno 1112 prova, mi pare, che tra composuit ed edidit è
attiva nella coscienza di chi guarda alla produzione di opere letterarie a quest’al-
tezza cronologica una differenza semantica di qualche rilievo, seppur essa non
implichi, ovviamente, una qualche attestazione di autografia. Quel suo Liber de
scriptoribus ecclesiasticis offre, in effetti, un utile regesto della terminologia in uso a
quest’altezza cronologica, da parte di uno scrittore esperto di cronache letterarie
e prolifico produttore in proprio di testi letterari, per indicare le varie operazioni
dello scrivere creativo. Utile, nella nostra prospettiva, il ricorrere, tra tanti ge
nerici scripsit, dei nostri composuit ed edidit: è infatti possibile verificare che Sige-
berto privilegia composuit laddove la sua attenzione è puntata su fatti formali (co-
sí: « Adelmus […] scripsit librum De Virginitate, quem exempli Sedulii, gemina-
to opere, id est prosa et metro, composuit », « Walafridus […] Vitam et miracula
sancti Galli abbatis primo prosaice, deinde metrice composuit », « Hucbaldus […]
cantus multorum sanctorum dulci et regulari melodia composuit », « Stephanus
[…] cantum de inventione Stephani protomartyris auctentico et dulci modula-
mine composuit »), confermando che componere è verbo adibito a indicare l’atto da
cui nasce l’opera letteraria (e Guido da Pisa, nel prologo delle sue Expositiones al
l’Inferno dantesco potrà da parte sua precisare che « Ista manus est noster novus
poeta Dantes, qui scripsit, idest composuit, istam altissimam et subtilissimam
Comediam »). Il medesimo Sigeberto ricorre invece a edidit laddove la sua atten-
zione è rivolta al numero o all’estensione del libro prodotto, che magari è solo
una compilazione di testi altri; cosí, se « Paterius tres libros edidit, duos de testi-
moniis Veteris Instrumentis, et unum de testimoniis Novi Testamenti », preoccu-
pandosi anche (e la cosa è rilevante nella direzione della costruzione di un para-
testo editoriale) di imporre un titolo al ms. che tramanda l’opera cosí composta
(« ipsumque codicem appellavit Librum testimoniorum »): è infatti per risponde-
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re alla richiesta di un re, Atalarico, che « Anianus volumen unum de legibus The-
odosii imperatoris edidit », ed è in margine al suo lavoro di espositore delle epi-
stole di Paolo che « Florus […] adnotans singulos Augustini libro sin quibus ea
capitula exposita erant, […] novo e mirabili studio de alieno labore magnum sui
operis volumen edidit ». Cogente, in particolare, la formula scripta edidit che ricor-
re sia nel cap. 74 per papa Gregorio ii, che « interpellatus […] super quibusdam
capitulis […], optima responsione unamquamque quaestionerm absolvit, et
scripta edidit », sia nel cap. 76, per papa Gregorio iii, il quale « quia […] imperato-
res nolebant suscipere commonitoria apostolicae auctoritate scripta, […] contra
eos multa ad multos scripta edidit ». Composuit et edidit è formula che ricorre anche
nel titolo di un sermone di Albertano da Brescia datato 1243, come si legge nel
ms. Lewis E 1 della Free Library di Philadelphia: « hic sermo quem Albertanus
causidicus Brixiensis composuit et edidit inter causidicos januenses et quosdam
notarios […] » (sia il sermone di Albertano che la cronaca di Sigeberto sono con-
sultabili in rete, agli indirizzi: http://www.hs-augsburg.de/~harsch/Chronolo-
gia/Lspost13/Albertanus/alb_serj.html; e http://www.thelatinlibrary.com /si
gebert.script.html). La coscienza del lessicografo conferma: se per edere i sinonimi
registrati sono manifestare, emittere, exponere, proferre, producere, dare, per componere si
sottolinea, anche con un esempio di vita quotidiana, la prossimità con ornare (co-
sí in Uguccione, Derivationes, edizione critica princeps, a cura di E. Cecchini, G.
Arbizzoni et alii, Firenze, Sismel, 2004, alle voci pono ed edo).
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21. Cosí Petrucci, Spazi dei testi, cit., p. 51, ma al proposito si dovranno ricor-
dare anche le raffinate analisi condotte sui manoscritti della lirica piú antica e su
quelli di Petrarca già nei primi anni Novanta da H.W. Storey nel suo Transcription
and Visual Poetics in the Early Italian Lyric, New York-London, Garland, 1993, o da
F. Brugnolo, Libro d’autore e forma-canzoniere. Implicazioni petrarchesche, in « Atti e
Memorie dell’Accademia Patavina di Scienze, Lettere ed Arti », ciii 1990-1991,
p.te iii, Classe di Scienze Morali, Lettere e Arti, pp. 259-90.
22. Petrucci, Spazi dei testi, cit., p. 53. Da qui anche la citazione che segue.
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23. L. Battaglia Ricci, Leggere e scrivere novelle tra ’200 e ’300, in La novella italia-
na. Atti del Convegno di Caprarola, 19-24 settembre 1988, Roma, Salerno Editri-
ce, 1989, vol. ii pp. 629-55.
24. Vd. n. 1.
25. A. Petrucci, Il libro manoscritto, in Letteratura italiana, dir. A. Asor Rosa, vol.
ii. Produzione e consumo, Torino, Einaudi, 1983, pp. 497-524, a p. 514.
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33. C. Bologna, Tradizione e fortuna dei classici italiani, Torino, Einaudi, 1994,
p. 344.
34. Petrucci, Il libro manoscritto, cit., p. 515.
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36. In Battaglia Ricci, Leggere e scrivere, cit., e Ead., Per una storia della fondazio-
ne del genere novella tra ’200 e ’30, in « Medioevo e Rinascimento », xii, n.s. ix 1998,
pp. 307-20.
37. Cursi, Il ‘Decameron’: scritture, scriventi, lettori, cit., pp. 155-59. Da qui, alla p.
156, le due citazioni che precedono.
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38. Piú che di vere e proprie redazioni – come recita il titolo del fondante
Branca-Vitale, Il capolavoro di Boccaccio e due diverse redazioni, cit. – mi parrebbe
opportuno parlare di diverse stesure, le quali attestano un infinito work in progress,
che ora innova, ora torna a recuperare, ma come ipotesi aperta, soluzioni già
sperimentate (come prova la registrazione nei margini di B di varianti verbali
attestate da testimoni che pare lecito credere siano stati confezionati prima di B:
quale, ad es., il celeberrimo codice Parigino It. 482).
39. Cursi, Il ‘Decameron’: scritture, scriventi, lettori, cit., p. 196. La successiva citaz.
da p. 217.
40. In Boccaccio visualizzato, cit., vol. i pp. 9-13; vol. ii pp. 67-72, con una precisa
documentazione fotografica cui si rimanda.
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il Berlinese »,47 sia che l’ha riprodotto con tale fedeltà, anche a li-
vello grafico-visivo, che Aldo Rossi ha potuto ventilare il sospetto
che il frammento fosse autografo di Boccaccio.48 L’ipotesi è stata
sottoposta a puntuale discussione da parte di Marco Cursi, che da
parte sua ha avanzato l’ipotesi che si tratti di una copia di servizio,
condotta da persona vicina a Boccaccio, nello studio di lui, su sua
diretta sorveglianza.49 Per quanto qui interessa vale la pena ricor-
dare che nel frammento Vitali, che si deve credere preceda l’auto-
grafo berlinese di vari anni se non di un decennio, compaiono sia
gli usi interpuntivi e l’uso funzionale delle lettere incipitarie che
noi vediamo attestati in B, sia la forma-libro di B: la mise en page su
due colonne, il grande formato delle carte (371 � 266: B; 362 � 246:
V) e perfino una consistenza complessiva probabilmente simile,
secondo la ricostruzione virtuale fatta dal medesimo Cursi sulla
base della numerazione antica di quelle carte.50
Il dato è di grande interesse, anche in prospettiva critico-lette-
raria. Come il testimone del Canzoniere petrarchesco confeziona-
to per Coluccio, anche il frammento Vitali ripete fedelmente la
tipica e significativa impaginazione per noi attestata dall’autografo
berlinese. A differenza però di quel Laurenziano, non si tratta di
una “testa di serie” – per usare la terminologia di Armando Pe-
trucci – della redazione definitiva dell’opera, ma sí invece del te-
stimone di una copia di lavoro, se non propriamente dell’origina-
le, di una stesura in movimento tra P e B. Si ha cosí conferma in-
diretta che l’adozione della forma di un libro universitario per il
Centonovelle e di quella precisa strategia paratestuale nella gestione
del passaggio dalla cornice alle novelle che è per noi attestata dal
tardo B (che a sua volta è una copia d’autore) è scelta editoriale che
caratterizza fin dalla prima stesura, per il suo autore, il libro nomi-
47. A. Grippa, Le carte piacentine del ‘Decameron’, in « Annali della Facoltà di Let-
tere e Filosofia di Siena », xx 1999, pp. 77-120, a p. 78.
48. A. Rossi, Da Dante a Leonardo. Un percorso di originali, Firenze, Sismel-Edi-
zioni del Galluzzo, 1999, p. 422.
49. Cursi, Il ‘Decameron’: scritture, scriventi, lettori, cit., p. 38.
50. Ivi, p. 39.
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51. Come ricorda G. Breschi, Il ms. Parigino It. 482 e le vicissitudini editoriali del ‘De
cameron’, in « Medioevo e Rinascimento », xviii, n.s. xv 2004, pp. 77-119, a p. 106.
52. Cursi, Il ‘Decameron’: scritture, scriventi, lettori, cit., p. 33, addebita l’assetto di
scrittura e impaginato di P alla fedeltà assoluta del Capponi a un antigrafo verga-
to di propria mano dall’autore.
53. Ivi, pp. 35-36.
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54. È questa la tipologia piú diffusa: cosí, ad es., si verifica a c. 11r per la novella
di Ciappelletto, a c. 23v per quella di Martellino, a c. 82r per quella Ghismonda,
ecc., ma a c. 122v ad essere illustrata, in anticipo rispetto alla sua effettiva presenza
nel libro, è la novella di Cisti (la seconda della vi giornata) e a c. 187r la vignet
ta illustra la nona della ix giornata, in una carta in cui è copiata la novella: anzi,
grosso modo a metà del testo novellistico in questione.
55. Cosí a c. 4v e a c. 6r si mettono in scena immagini di morte per illustrare il
racconto degli effetti della peste a Firenze, e a c. 122v in una vignetta pluriscenica
(tav. 2) si rappresenta il contrasto tra Tindaro e Licisca raccontato nell’intr. alla vi
giornata e, subito accanto, due episodi della novella di Cisti: una soluzione inso-
lita. tanto che una mano anonima si è sentita in dovere di glossare le due sezioni:
questo è il prologo della vi giornata per l’immagine a sinistra, e la novella di Cisti è questa
per le due a destra.
56. Cosí a c. 187r la vignetta utilizzata per illustrare la novella di Salomone e il
Ponte all’Oca (Dec., ix 9) compare in testa alla colonna di destra. Interessante che
la doppia immagine dell’asino bastonato e della donna bastonata dal marito, in-
terrompendo il flusso narrativo, si collochi ben avanti nel corpo del racconto (nel
corpo del par. 23 dell’ed. moderna), chiosando esattamente quanto si legge nel
testo che segue (tav. 3).
57. Sono, in concreto, l’immagine della brigata nel giardino a c. 4v e quella
della brigata che rientra a Firenze a c. 214r.
58. Cosí a c. 5r, a inizio d’opera, in testa alla colonna di sinistra, due coppie di
giovani innamorati a cavallo a visualizzare, come suggerisce D. Delcorno Bran
ca, « Cognominato prencipe Galeotto ». Il sottotitolo illustrato del Parigino it. 482, in « Stu-
di sul Boccaccio », xxiii 1995, pp. 79-88, il sottotitolo prencipe Galeotto e, a c. 187r,
sulla colonna di destra, come si è detto (n. 56), l’asinaio al Ponte dell’Oca intento
a battere il suo asino e, accanto, Gioseffo intento a battere la moglie.
59. Cosí a c. 4v, dove, alla fine dell’elenco delle rubriche, sono raffigurati i gio
vani seduti nel giardino, nei pressi di una fontana.
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66. Su questo vd. in partic. L. Battaglia Ricci, Nel giardino di Boccaccio: tradizio-
ne e innovazione, in Giardini celesti, giardini terrestri. Atti del Convegno di Certaldo
Alto, 29 maggio 2004, a cura di P. Santagati, Firenze, Ente Nazionale Giovanni
Boccaccio, 2006, pp. 15-22.
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