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Saggio Marco Cursi - Boccaccio architetto e artefice di libri: i manoscritti

danteschi e petrarcheschi

Giovanni Boccaccio, in molte occasioni, si misurò con il problema di comprendere


quale fosse la forma-libro più adatta per trasmettere le opere in latino e in volgare delle
altre due corone del Trecento. Della produzione letteraria di Boccaccio, conosciamo
34 manoscritti autografi, tra i quali 22 codici, integrali o parziali, 11 postillati e una
lettera privata). Varietà delle tipologie testuali: dagli autografi autoriali, che
trasmettono originali di opere come il decameron, il teseida, il buccolicum Carmen agli
autografi editoriali, nei quali sono trascritte opere di importanti autori classici e
medievali; dalle sillogi, ad esempio la raccolta chigiana in cui accanto alle opere
dantesche si incontra il RVF di Petrarca e la canzone Donna me prega di Cavalcanti
(spazio autoriale per il trattatello in laude di dante), ai libri-archivio come lo Zibaldone
laurenziano pluteo 29.8. È attesta la trascrizione di tre epistole di dante, giunte a noi
attraverso il manoscritto laurenziano: epistola xi (CARDINALIBUS YTALICIS, ai
cardinali italiani), epistola III (EXULANTI PISTORIENSI, a Cino da Pistoia), epistola
XII (IN LICTERIS VESTRIS, all’amico fiorentino). Nelle carte dello stesso codice,
Boccaccio tramandò l’intera corrispondenza tra Dante e Giovanni del Virgilio,
preceduta dall’epistola di frate Ilaro a Uguccione della Faggiuola, ritenuta per anni un
falso ma con possibile autenticità. La silloge contenuta nello zibaldone laurenziano era
complessa e fu confezionata in circa vent’anni; un’analisi generale della successione
dei testi che si avvicendano in essa è difficile, in quelle carte si succedono differenti
schemi di impaginazione e scritture diverse. Nell’assetto attuale la successione dei testi
non corrisponde a una progressione cronologica: nel fascicolo 7, si apre con la copia
interrotta del Liber sacrificiorum (il de misterio missae di ilideberto di lavandin);
prosegue con l’egloga del Mussato a Giovanni del Virgilio e un’epistola di Boccaccio
a Zanobi da strada (1345-1348). Il metodo di copia di Boccaccio è stato ricostruito
qualche anno fa grazie ad un’indagine condotta da Stefano Zamponi, Martina
Pentarotto e Antonella Tomiello. Per la prima parte della sua silloge (1327-1338) egli
adottò una tecnica convenzionale, trascrivendo in continuità su fascicoli lasciati sciolti
alcuni trattati storici e morali e due opere del maestro del suo tempo, Andalò del Negro,
che lo aveva avviato agli studi di astronomia negli anni napoletani; verso la fine degli
anni 30, dopo aver maturato l’idea della costruzione di una raccolta antologica dei
classici e mediolatini, ritenne opportuna una diversa organizzazione. Preparò un
quaderno formato da fascicoli quasi certamente uniti da rilegatura provvisoria, nei quali
si alternavano carte scritte e carte bianche. Su di esso riprese a trascrivere una serie di
testi di versi e prose di varie epoche. Non seguì una successione lineare, lasciò spazi
privi di scrittura che potevano tronare utili per successive integrazioni. Intorno al 1345,
la situazione codicologica del fascicolo doveva essere la seguente: prima parte del liber
sacrificiorum, 9 carte bianche, 6 carte con epistole. Tale tecnica potrebbe essere
definita copia differita, ad esempio un letterato fiorentino contemporaneo, Antonio
Pucci, la adoperò per il suo zibaldone laurenziano tempi 2. Boccaccio fece ricorso alla
medesima modalità di trascrizione per l’allestimento di un erudito autografo, lo
zibaldone magliabechiano banco rari 50. Lo zibaldone laurenziano ci consegna anche
la memoria del primo incontro tra Boccaccio e Petrarca. All’inizio degli anni 40 (prima
di conoscerlo nel 1350) Boccaccio volle riportare un piccolo florilegio costruito su
quattro epistole metriche, al quale antepose il notamentum, una nota di carattere
celebrativo in cui si fa memoria della cerimonia della laurea poetica di Petrarca nel
1341. Quel testo rappresenta il primo nucleo del de vita et moribus domini francisci
Petracchi de florentia, il precoce tentativo del ventisettenne Boccaccio di costruire un
profilo biografico di Petrarca quasi quarantenne forse per guadagnare la sua stima. Per
le metriche usa l’impaginazione a due colonne, straordinaria appare l’operazione
grafica per la trascrizione del notamentum: il testo è trasmesso attraverso un dispositivo
grafico di grande suggestione, 24 righe in una maiuscola distintiva mista, mescolanza
di modelli gotici, capitali e cavallereschi e un effetto chiaro-scuro nella pagina. Sembra
che si ispirasse alla scrittura epigrafica (Un'epigrafe (dal greco antico: ἐπιγραφή,
epigraphè, scritto sopra) o iscrizione è un testo esposto pubblicamente su un supporto
di materiale non deperibile (principalmente marmo o pietra, più raramente
metallo).L'intento del testo è spesso quello di tramandare la memoria di un evento
storico, di un personaggio o di un atto. Terminati i precoci esperimenti di copia del
Dante latino, Boccaccio si accosta al dante volgare, con la messa in pagina di una
silloge ora conservata nel cod. 104.6 della biblioteca e archivio capiturlar di Toledo.
Comprende la vita nuova, la commedia, e le 15 canzoni. A introdurre l’opera vi è la
biografia boccaccesca di dante, il trattatello in laude di dante. La datazione è
controversa, la recente ricerca esaminata da Cursi colloca l’opera in un arco di tempo
tra la fine degli anni 40 e la prima meta degli anni 50 (fase della maturità). Tale
collocazione viene data anche dall’uso boccaccesco di aggiungere accenti di funzione
tonica sulla o quando ha valore vocativo. Assemblaggio: trattatello in laude di dante,
vita nova, argomenti dell’inferno, inferno, argomenti del purgatorio, purgatorio,
argomenti del paradiso, paradiso. Le sezioni sono indipendenti perché formate da un
solo fascicolo (unita III, V, VII) o da una sequenza di quaternioni (In bibliografia, il
fascicolo di 4 carte nel libro manoscritto; anche il foglio di stampa su cui sono impresse
8 pagine.) chiusa da un fascicolo che segna una cesura con quanto segue (unità I, II,
IV, VI, VIII). La verifica paleografica compiuta tra esempla di scritture tratti dalle unite
codicologie maggiori (unità I, II, IV, VI, VIII) porta a ritenere che furono confezionate
a distanza di tempo l’una dall’altra. Inducono a ipotizzare che Boccaccio dapprima
trascrisse la commedia, poi la vita nuova, poi le canzoni e poi il trattatello. La silloge
Toledo a, deve essere valutata come il risultato di un progetto librario complesso,
realizzato attraverso modalità esecutive diverse rispetto allo zibaldone mambranaceo;
se in quel caso parlavamo di copia differita, qui siamo davanti a una copia frazionata,
realizzata in tempi medio lunghi su unità codicologiche dapprima autonome, poi
congiunte. La seconda silloge dantesca è contenuta nel cod. 1035 della Biblioteca
Riccardiana di Firenze; 4 in esso si leggono, la commedia e le 15 canzoni. Il codice,
forse parte finale di un altro più ampio, fu trascritto all’inizio degli anni Sessanta del
Trecento; ad attestarlo la scrittura, databile al periodo della tarda maturità del
Boccaccio, come mostrato dagli indicatori grafici cui si è fatto riferimento in
precedenza. Se nell'impaginazione il codice riccardiano appare perfettamente in linea
con il toledano, la struttura fascicolare dei due testimoni appare molto diversa:
argomenti all’inferno, inferno, argomenti al purgatorio, purgatorio, argomenti al
paradiso, paradiso, 15 canzoni. Di fatto siamo dinanzi ad una sola unità codicologica,
poiché non c'è mai coincidenza tra fine d'opera e fine di fascicolo. La piena coerenza
tra le varie parti di questo denso contenitore testuale trova riscontro anche nel dato
paleografico e viene pienamente confermata dalle occorrenze degli accenti sulla o
vocativa. La terza e ultima silloge dantesca di mano del Boccaccio è attualmente divisa
in due manoscritti conservati presso la Biblioteca Apostolica Vaticana, i Chigiani L.
VI.213 e L.V.176;5 essi appaiono perfettamente complementari tra loro, secondo
quanto dimostrato nel 1974 da Domenico De Robertis. Lo studioso sostenne la sua tesi
puntando soprattutto su alcune argomentazioni di carattere codicologico: la rilevazione
di valori quasi identici nelle dimensioni delle carte e dello specchio di scrittura;
l'osservazione dell'apparato decorativo, che sembrerebbe uscito «dallo stesso piattello
per l'uno e l'altro codice» l'esame della struttura fascicolare, che attesta un'originaria
integrazione. Il primitivo assetto della silloge boccaccesca, dunque, prevedeva il
seguente ordinamento: trattatello in laude di dante, vita nuova; II: argomenti
all’inferno, inferno, argomenti al purgatorio, purgatorio, argomenti al paradiso,
paradiso; III: Ytalie ima certas honos, 15 canzoni, RVF. La sequenza qui ricostruita
appare molto simile a quella già sperimentata dal Boccaccio nel Toledano, con la
significativa aggiunta di due testi che fanno la loro prima comparsa nella produzione
manoscritta del Certaldese; il primo, posto tra la fine del poema dantesco e l'attacco
delle 15 canzoni, è un autografo autoriale, il carme Ytalie iam certus honos; il secondo,
collocato in chiusura di volume, è un autografo editoriale, la prima edizione nota dei
Rerum vulgarium fragmenta petrarcheschi. Per quel che riguarda i tempi di copia, il
De Robertis collocava la trascrizione un po' più avanti rispetto a quella del Riccardiano,
all'altezza della metà del settimo decennio del secolo. Da parte mia posso dire che
l'analisi paleografica conferma una datazione ai pieni anni '60, sicuramente successiva
a quella del Riccardiano e precedente o coeva a quella del Pluteo 52.9 (Genealogie
deorum gentilium), ma pone più di un dubbio sull'ipotesi di una copia in continuità nel
tempo delle diverse sezioni testuali. Il problema del rapporto tra le varie parti della
silloge, in effetti, è molto complesso: da un lato le rilevazioni di lettera riguardanti
ciascuna delle diverse unità lasciano intendere l'esistenza di pause e interruzioni nella
costituzione materiale del manoscritto; dall'altro gli indici di occorrenze degli accenti
sulla o vocativa mostrano valori percentuali molto alti, in linea con le tendenze generali
del periodo, con la vistosa eccezione della Vita muova, per la quale il numero di lettere
accentate è equivalente a quello delle lettere non accentate, Ne potremo dedurre, pur
con molta cautela, che in questo caso Boccaccio abbia fatto uso di una tecnica di «copia
frazionata», applicata però non a singole unità testuali, ma a macrosezioni di notevole
consistenza. La silloge chigiana è caratterizzata da una straordinaria novità nelle scelte
di natura testuale: l'inserimento nel compatto blocco dantesco dei Rerum vulgarium
fragmenta. La messa in pagina dell'autografo/idiografo petrarchesco Vat. lat. 3195 - in
parte confezionato in prima persona dal poeta, in par-te da un giovane copista al suo
servizio, Giovanni Malpaghin -, mostra «strategie scrittorie, di impaginazione e
presentazione dei testi (...) strettamente funzionali, più che alla "bellezza' esteriore del
manufatto, alla sua 'significativit'» Nei grandi canzonieri italiani del Decento e del
primo Trecento di norma si adottava una divisione per generi e convivevano diversi
sistemi di impaginazione: a mo' di prosa per i componimenti di dimensioni e struttura
variabile (ad es. canzoni e ballate); con versi incolonnati a due a due per rigo (secondo
una modalità di lettura orizzontale) per il sonetto. Petrarca per il suo libro prevede una
libera alternanza dei generi metrici e, quanto all'impaginazione, decide di estendere la
messa in pagina del sonetto (a due versi per riga) anche alle canzoni e agli altri generi
minori (tradizionalmente disposte a mo' di prosa). Unica eccezione a tale norma è
rappresentata dalla disposizione delle sestine, per le quali preferisce una lettura
incolonnata, in verticale. una ricerca da me condotta qualche tempo fa, mi ha consentito
di isolare un corpus di 29 manoscritti entro il limite del sec. XIV che risultano così
articolati: 11 codici la riprendono puntualmente; 5 scelgono un impaginato a due
colonne, ma con andamento di lettura verticale; 6 optano per un'impaginazione ad una
sola colonna; 6 adottano sistemi misti. In questo quadro d'insieme c'è un solo testimone
che applica un modello del tutto diverso rispetto a quelli passati in rassegna finora, che
potremmo definire prosastico, poiché applica indistintamente a tutti i componimenti,
sonetti compresi. Ragioni di carattere paleografico rendono a mio parere improbabile
l'ipotesi di una trascrizione avvenuta da un antigrafo d'autore, a Venezia, nella casa
posta sulla Riva degli Schiavoni; proprio in quella sezione del manoscritto chigiano,
infatti, fa la sua prima apparizione una variante di lettera che sarà tipica della vecchiaia
del Boccaccio, vale a dire la ç con cediglia ondulata. Essa attesta che l'opera fu con
ogni probabilità l'ultima in ordine di tempo tra quelle trascritte nella silloge vaticana e
suggerisce una datazione ad un periodo che si aggira intorno al 1365 o poco oltre. Se è
vero poi che il Boccaccio potrebbe essere venuto in possesso di un manoscritto
petrarchesco verso la metà del decennio, pare difficile pensare che un autografo del
poeta, con ogni probabilità impaginato secondo la disposizione poi attuata nel Vat. lat.
3195 (già sperimentata fin dalla fine degli anni '30 nel codice degli abbozzi Vat. lat.
3196) non avesse esercitato alcun potere d'attrazione sull'apografo boccacciano. In ogni
modo, al di là dei modelli di cui si poté servire, Boccaccio scelse consapevolmente un
sistema di impaginazione originalissimo, costruendo una pagina che privilegia il
modulo prosastico della canzone e lo estende all'intero corpus.Per concludere, vorrei
segnalare un manoscritto, soltanto di recente oggetto dell'attenzione della critica, che
rappresenta l'ideale punto d'arrivo del nostro percorso, poiché riflette fedelmente
l'immagine di un prezioso autografo del Boccaccio ormai perduto in cui crano
contenute opere di Dante, Petrarca e dello stesso Boccaccio: il Pluteo 39.26 della
Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze. Il codice è un membranaceo di dimensioni
medie, vergato in una semigotica piuttosto abile e sottoscritto da un «frater lacobus de
Vulterris». Il testimone laurenziano raccoglie una ricca antologia di testi pastorali:
Virgilio, eglogae; Petrarca, bucolicum Carmen; Boccaccio, buccolicum Carmen;
dante, egloge; Giovanni del Virgilio, egloge; checco di merletto de rossi, egloge. La
figura del copista («frater lacobus») è stata identificata con quella di un lacopo Martini
da Volterra, frate agostiniano studente di teologia, che avrebbe soggiornato presso il
Convento di Santo Spirito, dove era stata raccolta la biblioteca del Certaldese, tra il
1388 e il 1390; in mancanza di Riscontri con altri testimoni, l’identificazione non è
ritenuta certa. una serie di segnali paleografici e paragrafematici la rendono a mio
parere assolutamente certa:
- La struttura della pagina (articolazione delle rubriche, uso di titoli correnti nel
margine superiore; indicazione dei nomi dei protagonisti del dialogo nei margini
esterni, sistema delle iniziali miniate) richiama puntualmente il modello applicato
nell'autografo del Buccolicum carmen, Ricc. 1232;
-i capiletteraa mostrano una notevole vicinanza con modelli boccacceschi non soltanto
nella morfologia, ma anche in dettagli minimi, quali l'aggiunta di sottili tratti di
completamento (ad es. la coda sul tratto orizzontale della L);15
- i richiami sono posti tra due punti, come in quasi tutti gli autografi del Boccaccio, 76
e così i titoli correnti (secondo quanto si rileva nel Ricc. 1232 e nel Terenzio 38.17);"
- in alcuni casi, il copista appone in margine una c' sormontata da una virgola, ad
indicare presumibilmente la presenza di congetture o varianti manoscritte;" quel segno
di attenzione, molto caratterizzante, è tipicamente boccaccesco;
- di frequente sono apposti accenti sulla o in funzione vocativa, comprendendo
fedelmente l'abitudine grafica di cui si è trattato ampiamente in precedenza.

Nella biblioteca di Santo Spirito, dunque, doveva essere conservata un'altra silloge
d'autore, presumibilmente risalente agli ultimi anni di vita del Boccaccio (l'epistula
explanatoria rivolta a Martino da Signa che correda il Buccolicum carmen risale al 10
ottobre 1374). In quella grande antologia bucolica venivano posti l'uno accanto
all'altro, in una straordinaria galleria, Virgilio, Petrarca, Boccaccio, Dante, Giovanni
del Virgilio e Checco di Meletto Rossi. con quest'ultimo esperimento librario il
Certaldese trasmetteva in un solo volume quell'immagine unitaria che «aveva per
proprio uso lentamente edificata e che ora poteva esportare e diffondere con decisione,
di continuità sostanziale e formale tra la tradizione classica e la rinascente produzione
bucolica».

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