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AL PAESAGGIO
a cura di
Silvia Aru e Marcello Tanca
MIMESIS
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Per un quadro della concezione del paesaggio nella geografia italiana del secondo
dopoguerra si rimanda a Vecchio 2002.
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e vegetazione): Luomo fa parte della natura come una delle tante unit
della vita scrive ancora Biasutti2.
Dopo tanta paesaggificazione, la geografia italiana rapidamente andata
incontro, negli anni 60, ad una altrettanto consistente depaesaggificazione.
Se le ragioni di questa inversione di tendenza sono diverse, le bordate inflitte da Lucio Gambi con la sua Critica ai concetti geografici di paesaggio
umano (1961) vi hanno giocato certamente un ruolo non secondario. Il
saggio di Gambi, che a distanza di pi di cinquantanni non ha perso niente
della sua freschezza, si concentra sui principali aspetti della concezione
topografico-naturalistica con cui veniva approcciato in Italia lo studio delle
forme paesaggistiche, mettendone a nudo, punto per punto, i limiti di fondo. Cos mentre Biasutti tendeva a ricondurre il paesaggio umano, come
abbiamo visto, agli elementi naturali che lo costituiscono, Gambi esordisce
riassegnando ai significati e ai valori che gli uomini attribuiscono ai luoghi il posto che compete loro tra i fattori che concorrono a plasmarne la
fisionomia. In altre parole, pur riconoscendo in essi la presenza di una serie
di tipi o di forme prodotte dallazione combinatoria dei fattori naturali,
per Gambi non si possono studiare i paesaggi terrestri come se questi non
subissero regolarmente lazione modificatrice delluomo. La critica gambiana attraverso la scelta del paesaggio rurale come esemplificativo del
modo in cui lintervento umano, incidendo sugli assetti naturali pu modificarli al punto tale da renderli perfino irriconoscibili rispetto alle condizioni di partenza investe anche il metodo enumerativo-descrittivo utilizzato
dai geografi per classificare le forme paesaggistiche: limitare lo studio dei
bocages, dellopenfield o delle colture promiscue alle loro forme visibili e
ai soli elementi topografici che li caratterizzano, trascurando ci che, pur
non apparendo, anima o edifica o plasma questi paesaggi i rapporti
sociali ed economici, i valori culturali, i costumi giuridici ecc. rischia di
condurre il ricercatore ad un sostanziale fraintendimento degli stessi. Scrive Gambi in un passaggio che esplicita in maniera molto chiara lo spirito
che anima la sua riflessione:
fondarsi in modo preliminare o esclusivo sul paesaggio visivo [] per identificare i vari complessi culturali della vita agricola, o ritenere che il paesaggio
visivo sia o dia una sintesi vera e piena della vita agricola, significa avere una
visione parziale, monca, insufficiente di tale realt: poich loperazione scarta
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La foto di copertina del Paesaggio terrestre nelledizione del 1962 per certi versi sintomatica di questa concezione: luomo, pur presente infinitamente piccolo
nellinfinitamente grande non facilmente individuabile se non attraverso un
ingrandimento dellimmagine (per questo aspetto, cfr. Tanca 2015).
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ci che in primo luogo non visibile o in ogni modo non pu venire colto da
qualche senso, e che quindi non topograficamente configurabile. Ma ci che
non ha forma visibile o cartografabile, come il valore della citt o la scelta di
un orientamento economico o la natura di una istituzione sociale, fa parte della
medesima realt che assomma anche il paesaggio a cui i geografi limitano
abitualmente i loro studi.
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esaggio italiano, dunque nel pieno del boom economico, della speculazione edilizia e della distruzione del patrimonio ambientale e paesaggistico:
secondo la mentalit dallora non era compito della razionalit geografica
occuparsene. Infatti egli liquida la questione nellintroduzione allopera con
queste parole: non affronteremo, ma solo richiameremo, la questione dellarmonia dellimpronta umana nel paesaggio (...) Sono note le lagnanze che spesso si muovono a riguardo della deturpazione di paesaggi di particolare bellezza
o specialmente caratteristici. Detto questo, egli nelle pagine successive non
far pi parola del problema (ibid.).
Se lavvento della geografia analitico-quantitativa che domin il panorama frastagliato degli anni 60 e 70 diede il colpo di grazia al paesaggio
inteso come strumento utile a scandagliare in profondit la realt, a sua volta laffermazione delle geografie critiche, cos attente ai conflitti sociali e ai
temi politico-economici, non segn una significativa inversione di tendenza. Dovuto principalmente alle geografie di ispirazione post-strutturalista,
il ritorno del paesaggio come categoria esplicativa, dopo un oblio durato
per pi di un ventennio, ha coinciso con unattenzione non pi esclusiva
alla sua dimensione fisica e alle sue forme visibili (su cui si erano soffermate le generazioni precedenti), ma allargata alle sue implicazioni sociali e
ambientali, simboliche, ideologiche e culturali. Si preso (o forse si solo
tornati) cio a guardare al paesaggio non soltanto in qualit di realt sensibile e materiale ma anche, e in maniera sempre pi marcata, come medium,
modo di vedere, rappresentazione, entit scenica il cui valore di verit non
si esaurisce unicamente nelle sue forme esteriori ma intriso dei valori e
della percezione degli uomini dai quali di fatto inseparabile3. Quando
Denis Cosgrove scrive che lidea di paesaggio rappresenta un modo di vedere [a way of seeing] un modo in cui alcuni europei hanno rappresentato
a se stessi e agli altri il mondo attorno a loro e le loro relazioni con esso,
e attraverso cui hanno commentato le relazioni sociali (Cosgrove 1990,
p. 23); quando Eugenio Turri afferma che il paesaggio costituisce un teatro nel quale individui e societ recitano [] le loro storie e che questa
metafora vuole significare limportanza della rappresentazione di s che
luomo sa dare attraverso il paesaggio (Turri 1998, p. 13); quando, infine,
Trevor Barnes e James Duncan applicano la metafora della vita sociale
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come testo al paesaggio facendo leva sul suo essere una produzione sociale e culturale, che pur conservando una fissit oggettiva simile a quella
di un testo scritto pu essere letto indipendentemente dalle intenzioni dei
suoi autori (Barnes, Duncan 1992, p. 6), assistiamo ad un cambiamento di
prospettiva notevole rispetto al passato: il paesaggio non si esaurisce nel
riconoscimento delle sue forme visibili n assunto soltanto come artefatto materiale di origine naturale o antropica, bens come simbolo aperto
alle rappresentazione che gli uomini danno di s e come metafora che d
corpo ad unidea. Si tratta in breve della riappropriazione di quella che con
Franco Farinelli chiameremo larguzia del paesaggio, vale a dire il pieno
riconoscimento della sua natura duplice e allusiva, che permette di nominare insieme la cosa e [] limmagine della cosa, sovrapponendo nello
stesso campo di proposizioni significato e significante in maniera tale da
non poter distinguere luno dallaltro (Farinelli 1992, p. 209).
Ritroviamo questa duplicit di intenti nel Preambolo della Convenzione
europea del paesaggio l dove questa lo definisce un elemento importante
della qualit della vita delle popolazioni e del benessere individuale e
sociale la cui salvaguardia, gestione e pianificazione comportano diritti e
responsabilit per ciascun individuo. Benessere, diritti, responsabilit: per
quanto queste enunciazioni di principio vadano sempre riferite ai paesaggi
empirici, vissuti, esse ci proiettano abbondantemente ben oltre i confini
dellesperienza sensibile di un soggetto che contempla da un punto di vista
privilegiato una porzione pi o meno ampia di territorio, per lambire una
problematica pi ampia (etico-politica, quindi sociale). Insomma, oltre che
alla sua esistenza empirica, che permane ad ogni modo come richiamo alla
realt e alla concretezza dei vissuti, si guarda con interesse alla straordinaria capacit allusivo-evocativa che contraddistingue il paesaggio, e che
supplisce la nostra difficolt di sbrogliare lambiguit del presente, dando
un nome alle sue non poche contraddizioni.
Cosa si perde e cosa si guadagna quando la natura ad un tempo allusiva
e concreta del paesaggio diviene in misura pi o meno grande lelemento
fondante di ogni discorso su di esso? Da un lato, perdiamo la sua connotazione di strumento analitico specifico della cassetta degli attrezzi del
geografo, dunque il suo carattere specialistico, funzionale alla descrizione
geografica del mondo. Dallaltro, nella misura in cui il paesaggio oggi non
pi legato in maniera esclusiva ad un particolare ambito scientifico-disciplinare n riconducibile ad una formula unica ed esaustiva, esso assume i
contorni di un concetto-chiave delle Humanities guadagnando unestensione pi nervosa, ampia e articolata. Questo processo parallelo, da un lato,
alla nascita di una domanda sociale di paesaggio (Luginbhl 2001) cio
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Lascensione del Ventoux compiuta da Petrarca ha in effetti tutti i requisiti per essere definito un evento epocale; per la prima volta, per quanto
ne sappiamo, la natura oggetto di una libera contemplazione disinteressata da parte di un soggetto che la percepisce da un punto di vista estetico. E in effetti limpresa, compiuta dal poeta in compagnia del fratello
Gherardo, sembra sprovvista di utilit pratica in quanto mossa unicamente
dal desiderio di vedere un luogo famoso per la sua altezza come scrive
egli stesso4. la curiositas, il movente dellimpresa, ad avere un effetto
dirompente, persino rivoluzionario, scandaloso per la mentalit dellepoca: Francesco non sale n per penitenza [], n per pellegrinaggio, n
per imitatio Christi. [] Sale, provvisto di tutta la sua cultura per gettarla
nella nuova esperienza dello sguardo e trovarsi nel cuore dellavventura
della sua rappresentazione visiva (Bertone 2000, p. 128). Tale scandalo
perdurer fino al XVIII secolo quando linvenzione (o la scoperta) della
verticalit lever la montagna dai luoghi considerati inaccessibili alluomo.
Ci che qui ci interessa che se ancora oggi parliamo di questo episodio della vita di Petrarca come della pi famosa ascensione alpina della
nostra storia letteraria (Longo 2007, p. 34) grazie al fatto che limpresa
ha lasciato dietro di s una traccia materiale, un testo, una scrittura che ha
permesso di trasmetterne il ricordo alla posterit. Si tratta della testimonianza contenuta nellepistola indirizzata al frate Dionigi Roberti di Borgo
San Sepolcro, di incerta datazione (scritta comunque tra il 1336 e il 1353)
in cui Petrarca racconta questepisodio. Se cercassimo un esempio del perch necessario lasciar tracce (Ferraris 2009) non potremmo trovarne uno
migliore. La parte pi interessante di questa vicenda non riguarda infatti,
a ben guardare, lascensione fisica (che qualcuno persino dubita sia stata
effettivamente compiuta e che probabilmente prima di Petrarca qualcun altro avr verosimilmente tentato), quanto la sua narratio: Oggi, spinto dal
solo desiderio di vedere un luogo celebre per la sua altezza, sono salito sul
pi alto monte di questa regione, chiamato giustamente Ventoso. Quello
che nasce con Petrarca insomma, pi che lesperienza del paesaggio, il
gesto di parlarne a qualcuno per trasmetterne il senso e il ricordo, dunque
il racconto, listituzionalizzazione della testimonianza, la descrizione letteraria come parte integrante e non accessoria di questesperienza. Il testo
prosegue nel seguente modo:
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La cima del Ventoso raggiunge i 1.912 metri sul livello del mare: Perch un paesaggio esista sono necessarie almeno tre, e non due cose: non soltanto un soggetto
che guarda e qualcosa da guardare ma anche il massimo dorizzonte possibile,
dunque unaltura che funzioni da punto di vantaggio, a meno di non essere in un
luogo assolutamente pianeggiante (Farinelli 2003, p. 41).
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Certo, come osserva tra gli altri Maurizio Vitta, in questa narrazione a
rigore il paesaggio vi quasi del tutto assente o, per meglio dire, resta implicito, taciuto, posto in subordine (Vitta 2005, p. 112); anche se il poeta
non lo nomina mai esplicitamente, esso tuttavia sottinteso nelle sue parole innanzitutto come sguardo (volgo lo sguardomi apparverosotto
i nostri occhi) e come limite di questo sguardo (non si vedono di qui
per la sola debolezza della nostra vista), quindi come scrittura, memoria,
maniera di raccontare (a s e agli altri) quello che si e non si visto.
Porre la questione della trascrizione di unesperienza del mondo significa per addentrarsi nel terreno dei rapporti tra due generi di scrittura,
quella geo-grafica e quella letteraria e quindi delle tensioni, delle relazioni
circolari, dei prestiti e delle contaminazioni, ma anche dei conflitti e delle
rivalit tra di essi. Questo rapporto pu essere definito in diversi modi: ad
es. mediante unottica interdisciplinare, che riunisce studiosi che, desiderosi di scardinare la fissit delle rispettive gabbie disciplinari (per riprendere una bella espressione di Giulio Iacoli), vanno alla ricerca di competenze
comuni, di intersezioni, di omologie di funzionamento tra le due forme di
scrittura e quindi di conferimento di senso alle cose (cfr. Guglielmi, Iacoli
2012; Papotti, Tomasi 2014). Linterdisciplinariet oppure si pu sciogliere
negli studi settoriali in cui i nessi tra geografia-letteratura sono fatti oggetto
di ricerche specifiche, che scorrono parallele ma che non necessariamente sono destinate a incontrarsi: la letteratura in quanto si occupa di temi
geografici, la geografia in quanto si occupa di temi letterari. Sar proprio
questultima lottica che seguiremo nelle prossime pagine in cui tenteremo
di sbrogliare, almeno in parte, lintricata matassa dei rapporti tra geografia
e letteratura ponendoci degli interrogativi che investono il senso di una
possibile convergenza tra le rispettive scritture: perch il geografo dovrebbe essere interessato ad esplorare le descrizioni paesaggistiche presenti
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che rende possibile la mediazione tra gli altri due; poich il modo in cui
lo intendiamo a dare il tono a questa relazione, per il momento ci accontenteremo di definirlo brevemente come un posto [] dove succedono
cose che possono succedere solo l (Turco 2014, p. 22); in virt della
sua pertinenza ubicativa che il luogo suscita gli eventi; questi sarebbero
inimmaginabili o diversi se collocati altrove. Resta da vedere in che modo
avvenga questo, come cio si produca quella che ancora con le parole di
Turco chiameremo qualit topica5.
Schematizzando, le relazioni che intercorrono tra i vertici del triangolo
possono essere interpretate in almeno due modi, a seconda dellestensione
che attribuiamo al termine intermedio.
Nella prima, che per comodit chiameremo minimalista, le relazioni
di senso tra letteratura, luoghi e geografia sono modellate su uno schema
tutto sommato semplice, di tipo binario: da un lato, gli enunciati privi di
preoccupazioni di verit che si riferiscono a luoghi immaginari; dallaltro,
gli enunciati che sono attraversati da preoccupazioni di verit e che si
riferiscono a luoghi che hanno unesistenza reale. In entrambi i casi abbiamo
a che fare con atti di linguaggio: gli uni per sono atti o enunciati di finzione
che si applicano ad entit che non hanno esistenza hors-texte, ossia al di
fuori di tali enunciati; gli altri sono atti o enunciati di realt e si applicano
ad entit che esistono al di fuori e indipendentemente da tali enunciati. Si
tratta in breve di ci che Grard Genette (1991) chiama finzione e dizione,
cio di categorie congiuntamente esaustive e reciprocamente esclusive in
cui rientrano tutti gli atti linguistici: un enunciato finzione o dizione,
tertium non datur. La conseguenza pi immediata di questo schema
rigidamente binario in primis una concezione del testo e della scrittura in
cui i parametri estrinseci sono giudicati del tutto irrilevanti in favore delle
strutture immanenti dellopera (rien hors du texte, close reading). Anche
quando non lo dichiarano esplicitamente, le opere letterarie stipulano con
il lettore un contratto di finzione (Genette 1989, pp. 212 e ss.), ossia un
patto di finzionalit che dispensa dalla ricerca di altre chiavi di lettura che
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non siano quelle che si trovano nel testo: qualsiasi riferimento a luoghi
reali , come si suol dire, puramente casuale. Il testo letterario pu cos
essere descritto come un sistema chiuso, perfettamente autonomo e privo
di referente: lo spazio letterario per definizione un luogo del linguaggio,
una finzione, e il poeta come recita un noto verso di Pessoa egli stesso,
dichiaratamente, un fingitore. Questo modo di ragionare, che affonda le sue
radici nelle teorie dello strutturalismo e del post-strutturalismo francese,
efficacemente espresso da Michel Collot quando riassumendo le tesi di
Pierre Bayard, lautore di Come parlare di luoghi senza esserci mai stati
nota che leffetto di verit prodotto dal racconto non ha granch a che fare
con ladaequatio che questa instaura con un referente reale (geografico,
esistente al di l del testo); il referente finale del testo letterario in quanto
costituito da enunciati di finzione narrativa non un luogo reale ma il
pays intrieur dellautore, limago mundi privata in cui si specchia la
sua interiorit: Nella massa virtualmente infinita delle immagini e delle
informazioni prodotte a proposito di un luogo, lo scrittore seleziona quelle
che hanno senso per lui e le combina secondo una logica che non ha pi
niente di geografico n di storico (Collot 2014, p. 95). Cos, nel momento
stesso in cui il testo letterario mutua un elemento dalla realt come, ad
es., un designatore rigido: Pianura Padana, Monte Bianco, Rimini, Roma,
Sardegna ecc. questo si trasforma automaticamente in un elemento di
finzione6. Stanti queste premesse, non vi spazio per una indagine in chiave
geografica del testo di finzione se per indagine in chiave geografica del
testo di finzione intendiamo la ricerca di precise corrispondenze tra fatto
geografico e finzione letteraria. Questo per non vuol dire che il testo
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Non va ovviamente sottovalutato il caso dei toponimi presenti nei testi letterari
che non avendo un corrispettivo reale Donnafugata nel Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Fontamara nellomonimo romanzo di Ignazio Silone,
ecc. sono il prodotto della libera fantasia degli scrittori (resta tuttavia aperta
la questione della loro verit ossia delle qualit topiche che essi veicolano).
Non del resto infrequente il caso in cui questi designatori siano allorigine di
curiose interferenze tra la geografia del mondo narrato e la geografia del mondo
reale. Per limitarci ad un esempio: nel 2003 lamministrazione comunale di Porto
Empedocle, il paese natale di Andrea Camilleri e in cui sono ambientate, sotto il
nome di Vigata, molte delle vicende del commissario Montalbano, chiede allo
scrittore lautorizzazione di poter affiancare il toponimo di invenzione al proprio
nome sui cartelli di benvenuto allingresso del paese. Liniziativa, previa concessione da parte di Camilleri, andata avanti fino al 2009 quando la nuova giunta
comunale, per protesta contro la decisione della produzione della fiction televisiva
di girare le riprese presso altre localit della Sicilia, ha levato il nome di Vigata dai
cartelli allingresso del paese (fulminanti implicazioni circolari, come si vede, tra
realt, letteratura, media).
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fuori dalla sua scrittura: se cos non fosse, tutto il suo libro si sgretolerebbe in una
polvere di finzioni (Donnarumma 2014, p. 12).
Una classificazione utile in tal senso distinguer tra, poniamo, luoghi immaginari
la cui geografia tuttavia coerente con quella del mondo reale (labbazia dellalta
Italia in cui sono ambientate le vicende del Nome della rosa di Eco, lisola patagonica di W o il ricordo dinfanzia di Perec, ecc.); e luoghi immaginari privi di unubicazione precisa o che si collocano in territori totalmente altri, che non hanno
niente a che fare col mondo quale lo conosciamo (la Middle Earth dei romanzi di
Tolkien, Flatlandia di Abbott, ecc.). Nel primo caso il locus imaginarius diviene
locus archetipico in cui si sintetizzano emblematicamente le qualit topiche di
tutti i luoghi a cui si allude, in un gioco di rimandi intertestuali (si veda a questo
proposito il bel volume di Gian Mario Anselmi e Gino Ruozzi sui Luoghi della
letteratura italiana, 2003); nel secondo, il locus imaginarius si configura come
negazione per astrazione di tutti gli altri luoghi, siano essi immaginari o soltanto
reali (in questo caso abbiamo a che fare con quella che Umberto Eco chiama
allotopia).
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ritornando ad occuparci pi specificamente di descrizioni paesaggistiche letterarie che tenteremo di abbozzare una risposta al quesito relativo
alla valenza di un approccio alla letteratura come quello geografico e definire in termini pi precisi in cosa consista la dote che il geografo porta
nello studio dei testi letterari ossia quale sia il contributo specifico che pu
dare a questo campo di indagine. Per fare questo sposteremo ancora una
volta il focus del nostro punto di osservazione in direzione di quellampio spettro di configurazioni di senso, realizzate o potenziali, simboliche
o mimetiche, che pu assumere il paesaggio (concetto liquido, come abbiamo suggerito fin dalle prime pagine di questa Introduzione). Se, come
crediamo, in questa gamma molto variegata rientra anche il paesaggio
letterario, ci implica, da un lato, che la sua logica di funzionamento richiami nelle sue linee essenziali la logica di funzionamento del paesaggio
tout-court (di cui rappresenta in qualche maniera unapplicazione e una
variazione); daltra parte, il paesaggio letterario s paesaggio, ma dotato
di tali tratti caratteristici da richiedere una trattazione a parte, specifica, che
ne evidenzi le peculiarit. questo che ci apprestiamo a fare scegliendo di
concentrarci ora su quattro definizioni. Si tratta certamente di una scelta
deliberata e arbitraria, forse anche contestabile le definizioni avrebbero
potuto essere di pi, oppure di meno; esse ci appaiono nondimeno funzionali allo scopo che ci siamo preposti in queste pagine: illuminare, di volta
in volta da una diversa angolazione, un aspetto essenziale della questione
che intendiamo trattare.
Procediamo qui in base al piano che ci siamo dati e domandiamoci: che
cos, propriamente parlando, un paesaggio letterario? Questo interrogativo potrebbe apparire a prima vista superfluo; ciascuno di noi confrontandosi con le forme narrative tipiche dei testi letterari, non ha particolari
difficolt a rispondere: (I) il paesaggio letterario la descrizione letteraria
di un paesaggio. Si prendano i seguenti brani tratti dallopera letteraria di
tre autori del 900 italiano:
Pioveva. Per qualche tempo, egli rimase con la fronte contro i vetri della
finestra a guardare la sua Roma, la grande citt diletta, che appariva in fondo
cinerea e qua e l argentea tra le rapide alternative della pioggia spinta e respinta dal capriccio del vento in unatmosfera tutta egualmente grigia, ove ad intervalli si diffondeva un chiarore, sbito dopo spegnendosi, come un sorridere
fugace. La piazza della Trinit de Monti era deserta, contemplata dallobelisco
solitario. Gli alberi del viale lungo il muro che congiunge la chiesa alla Villa
tore (il lied popolare e aristocratico, lopera comica e seria allitaliana, la tragdie
lyrique, lo stile liturgico e il corale luterano)?
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Nei tre brani proposti, i cui autori non potrebbero essere pi distanti
tra loro per personalit e collocazione temporale e culturale, ritroviamo
tuttavia un discreto numero di motivi ricorrenti. Ognuno di essi individua
un blocco semantico dato dallinterruzione della narrazione (cio del flusso
di azioni o eventi su cui si regge la dimensione temporale del racconto) e
introdotto dal gesto di un personaggio che forte di una posizione privilegiata sopraelevata si accinge alla perlustrazione visiva del mondo pu
essere qualcuno che sta con la fronte contro i vetri della finestra, va
alla finestra oppure raggiunge la terrazza; questatto ricorda ad ogni
modo lapertura di un sipario che svela una quinta teatrale, sulla quale
posta in bella mostra una serie di oggetti. Questo blocco, facilmente distinguibile da tutto in cui si inserisce, pu essere estratto, quindi letto e
decifrato autonomamente dalle condizioni in cui stato emesso. Per darci
cosa? Una descrizione di oggetti colti nella loro simultaneit e in cui il
corso del tempo sembra essere momentaneamente sospeso; cio come
se per usare unespressione di Genette (1989, 1994) il narratore si fosse
allontanato per un attimo per far posto alla sola funzione ostensiva. Abbiamo cos la Roma piovosa e ventosa del Piacere descritta da DAnnunzio
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alla citt e poi di nuovo dalla citt alla collina). Rispetto al paesaggioveduta, questa modalit descrittiva non ci restituisce soltanto la fisionomia
dei luoghi un terreno accidentato e serpeggiante, coltivato e selvatico, sempre strade, cascine e burroni ma ci spiega in che modo questa
interagisca con le vicende che riguardano gli uomini: nutrita di precise
competenze territoriali, la narrazione pavesiana fiuta le cose e la terra,
strutturata cio in maniera tale che n i luoghi descritti, n le loro propriet
essenziali possano essere mutati senza che questo alteri o comprometta
profondamente la natura stessa degli eventi narrati. Un procedimento analogo ritorna in un passaggio, simile per ambientazione e lintensit della
compenetrazione tra geografia e racconto (la guerra, la collina), tratto dal
Partigiano Johnny di Beppe Fenoglio:
Oltre Mango, stava il vero Sinai delle colline, un vasto deserto con nessuna
vita civile in cresta ed appena qualche sventurato casale nelle pieghe di qualche
vallone. La notte era completa, il sentiero invisibile sotto i piedi tentanti, e un
vento sinistro, come nascente da un cimitero di collina, soffiava a strappi, e nel
suo calo lintera atmosfera crocchiava, come per una frizione dei suoi stessi
strati di gelo. Solo i cani di guardia dei casali a mezzacosta, fiutando il loro
soprano passaggio, latravano brevi e irosi, coi loro padroni che certo li maledicevano e gli promettevano morte per quel deprecato e forse fatale indizio di
vita. Pi avanti, il poderoso versante si invertiva e maestosamente incombeva
sulla Valle Belbo. Gli uomini sostarono un minuto e guardarono e rifletterono
gi bella valle doomed, doomed for the morrow, un immoto mare dinchiostro.
Poi risollevarono gli occhi e li livellarono alla grande collina dirimpettaia di
Castino, la sua cresta rigorosamente spenta semiaffogata nella notte, e pensarono a Nord e agli uomini intorno a lui, ai tedeschi e cannoni di domani.
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Prendemmo la sua auto, una vecchia spider Alfa Romeo. Il motore romb
salendo la collina di Riccione alta. Susy guidava con molta perizia, ma anche
con una specie di disinvolta sbadataggine. Si voltava verso di me e sorrideva
nel vedermi perso a scrutare il paesaggio.
Faceva fresco ed era piacevole viaggiare scoperti. Lodore della salsedine si
mescolava a quello della collina, degli alberi, della campagna. Abbordammo
un piccolo tornante. Improvvisamente il cielo di un profondo blu notte si apr
sulla visione della riviera con le strisce luminose delle automobili, i fari, le
insegne degli alberghi non pi distinguibili se non in confusi bagliori luminosi.
E le citt, le citt dai nomi cos perfettamente turistici Bellariva, Marebello,
Miramare, Rivazzurra apparvero come una lunga inestinguibile serpentina
luminosa che accarezzava il nero del mare come il bordo in strass di un vestito
da sera. Poich se da un lato tutta la vita notturna rifulgeva nel pieno del fervore
estivo, dallaltro esistevano solo il buio, il profondo, lo sconosciuto; e quella
strada che per chilometri e chilometri lambiva lAdriatico offrendo festa, felicit e divertimento, quella strada per cui avevo da ore in testa una sola frase
per poterla descrivere e cio sotto locchio dei riflettori, ecco, quella stessa
scia di piacere segnava il confine fra la vita e il sogno di essa, la frontiera tra
lillusione luccicante del divertimento e il peso opaco della realt. Ma non si
trattava che di un lungomare e non di un regno. Si trattava di una strada sottile
che separava i due territori di desolazione della terra e del mare.
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il prodotto di un processo di verbalizzazione dello spazio e di testualizzazione del sapere. Questa definizione ha per noi un corollario molto importante: se anche stabilissimo che tutti gli enunciati relativi al paesaggio
presenti in un racconto finzionale non fossero altro che asserzioni simulate, prive di referenti esterni, questo non ne inficerebbe il valore cognitivo
allo stesso modo per cui ammettere che la scrittura geografica non il
fedele duplicato della realt esterna (Barnes, Duncan 1992, p. 4) non ci
impedisce di riconoscerle la capacit di leggere e interpretare i processi
di territorializzazione. A conti fatti, ragionare sulle condizioni di dicibilit
del paesaggio significa evidenziare i meccanismi referenziali e modali che
stanno alla base della sua verbalizzazione rendendola possibile, e che accomunano fatto e finzione segnalando lesistenza di una problematica
comune tra i discorsi dello scrittore e quelli del geografo (la testualizzazione di una pertinenza ubicativa). I segnali che ci troviamo in presenza della
descrizione di un paesaggio del resto non mancano. Ci riferiamo in primis
a quellarticolato campionario di indizi testuali caratteristici (mediazioni,
segnali, ecc.) che concorrono a produrre leffet paysager (Gendrat-Claudel
2007, pp. 132 e ss.): linsistenza, a livello generale, sul registro visivo (pi
evidente e persino dichiarato in quello che abbiamo chiamato paesaggioveduta, implicito ma non necessariamente dominante nel paesaggio-evento) e, pi in particolare, lintroduzione di un soggetto statico o in movimento che contempla il paesaggio percorrendone con lo sguardo lestensione;
la delimitazione-individuazione delloggetto e quindi del campo descrittivo (potenzialmente illimitato) mediante lutilizzo di figure retoriche come
la metafora, la presenza di toponimi (Roma, Arno, Valle Belbo, Adriatico)
e il ricorso ad un lessico geografico (negli esempi citati in precedenza:
deserto, collina, cresta, vallone, valle, versante, campagna, casale, cascine,
orti, boscaglia, burroni; citt, tetti, piazze, ville, campanili, chiese; riviera,
lungomare; tornante, circonvallazione; panorama, scenario, prospettiva);
lindicazione delle condizioni temporali e atmosferiche (estate; luglio;
sera, notte; pioggia, vento, nebbia); limpiego di topodeittici che gerarchizzando lo spazio, assicurano la spazializzazione della descrizione (in
fondo, qua e l, oltre, lass, dalla parte opposta, laggi, pi lontano); infine
la loro verbalizzazione (mise en discours) ossia il coordinamento dinamico di tutte queste eterogeneit in discorso. Tutti questi elementi discorsivi
e anche retorici (nella misura in cui esiste una retorica del paesaggio)
dispensano lenunciante dallavvertire ogni volta il lettore che quella che
seguir una descrizione paesaggistica; da questo punto di vista la loro
funzione performativa: fanno succedere il paesaggio semplicemente
descrivendolo. Cos, nel momento in cui il rischio di un testo inaccessibile
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al lettore pena la sua esclusione dalla comunicazione e quindi il fallimento della medesima (Hamon 1972) scongiurato, il paesaggio perde ogni
opacit per mostrarsi in tutta la sua trasparenza e intelligibilit (leggibilit).
La comunicazione salva: descrivere il paesaggio equivale a produrre un
sapere sul paesaggio (Mondada 1994, pp. 501-502). A dimostrazione del
fatto che tanto per lo scrittore quanto per il geografo descrivere il paesaggio implichi il rispetto di determinate procedure di verbalizzazione delle
qualit topiche, si prendano i seguenti brani e tenti il lettore di identificarne
con assoluta certezza la provenienza:
La landa di Lessay una delle pi considerevoli di questa parte della Normandia che si chiama penisola del Cotentin. Paese di coltivazioni, di vallate
fertili, di pascoli verdeggianti, di fiumi pescosi, il Cotentin, questa Temp
della Francia, questa terra grassa e smossa ha tuttavia come la Bretagna, sua
vicina povera di arbusti, delle parti sterili e nude, dove luomo passa oltre e da
cui non si ricava niente, se non unerba rara e qualche brughiera subito inaridita. Questassenza di colture, questi posti privi di vegetazione, queste teste calve
per cos dire, formano solitamente uno stupefacente contrasto con i suoli che le
circondano. Come le oasi verdeggianti in cui ci si imbatte tra le sabbie del deserto, esse sono le oasi aride di questi paesi coltivati. Tutta un tratto gettano su
questi freschi paesaggi ridenti e fecondi intervalli di malinconia, arie inquiete,
aspetti severi, ombreggiandoli con sfumature pi scure. In genere queste lande hanno un orizzonte assai limitato. Entrandovi, il viaggiatore percorrendole
con lo sguardo ne percepisce il limite. Dappertutto, le siepi dei campi arati lo
circoscrivono.
Questa linea di altezza separa dal Bassin di Laval il bocage normanno,
analogo al bocage vandeano ma con la sfumatura speciale che un altro clima,
altri rapporti di contiguit e di vicinanza gli comunicano. Sotto il reticolo di
alberi le nebbie si addensano e trattengono lumidit al suolo. I diversi piani
del paesaggio si staccano nella bruma, e sfumano in dentellature boscose uno
dietro laltro. Dappertutto, attraverso gli alberi, brilla la prateria. Il bestiame,
senzaltro guardiano che le siepi, sembra il padrone del paese. Perch lo sguardo raramente pu estendersi; e dello spettacolo della vita rustica che prosegue
tranquillamente tuttattorno, non coglie che qualche dettaglio. Tuttavia non
mancano i segni attraverso i quali si manifestano le propriet intime del clima e
del suolo. La vegetazione di alberi esibisce una variet di essenze che lontana
dallavere nelle pianure vicine. In mezzo alle ginestre e alle felci la frequenza
degli agrifogli, delledera, dellalloro potrebbe far supporre al viaggiatore, dal
fondo dei sentieri dove imprigionato, la vicinanza dellOceano, quandanche
non vedesse le grandi nuvole che passano sopra la sua testa, e laspetto spesso
tempestoso del cielo.
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Descrizione geografica o descrizione letteraria? E quale luna, e quale laltra? Questi due frammenti condividono retoriche e indizi testuali al
punto tale da rendere difficile unidentificazione immediata. Difficolt che
ci porta direttamente a quello che il nucleo essenziale di una problematica della testimonianza, ossia di una discussione critica sui mezzi di
produzione della rappresentazione paesaggistica: la denominazione, intesa
qui come il primo dei gesti che mirano a fissare lindividualit delloggetto
descritto (lalternanza di pieni e di vuoti nel primo caso, il bestiame che
non ha altro guardiano che le siepi nel secondo); lattenzione per le propriet sensibili e le qualit espressive del paesaggio, equamente distribuita
in entrambi (intervalli di malinconia, arie inquiete, aspetti severi nelluno; sfumature speciali, brillio della prateria, aspetto tempestoso del cielo nellaltro); lintroduzione della figura del viaggiatore che ne perlustra
lorizzonte (con lo sguardo ne percepisce il limite/lo sguardo raramente
pu estendersi, ecc.) contribuiscono a ribadire la corrispondenza tra testo e
mondo descritto: la descrizione del paesaggio si arresta l dove al viaggiatore preclusa la possibilit di spingere pi in l il proprio sguardo. Cos,
dopo insistite affinit, scopriamo con un po di stupore che gli autori dei
due brani non potrebbero essere pi diversi: luno, Jules Amde Barbey
dAurevilly, scrittore romantico e visionario, dandy e decadente, lautore
del primo brano, tratto dal suo romanzo LEnsorcele (1852); laltro, Paul
Vidal de La Blache, autore del secondo brano, tratto dal Tableau de la
gographie de la France (1903), il padre fondatore della gographie humaine e maestro diretto e indiretto dei maggiori geografi francesi del XIX
secolo. Comuni ad entrambi sono dei meccanismi percettivi e discorsivi in
cui sguardo e sapere, visibile ed enunciabile, presenza ed essere si rispecchiano vicendevolmente, cosicch vi perfetta aderenza tra loggetto del
discorso e il discorso sulloggetto: Non vi sono differenze significative tra
lo sguardo del geografo classico e quello del romanziere della stessa epoca. Non tutto rientra nel campo visivo, ma tutto pu rientrarvi (Raffestin
1985, p. 31). Tanto Barbey dAurevilly quanto Vidal dipingono le loro
scene; essi ci consegnano un testo che un vero e proprio tableau, cio un
quadro in parole12.
Il testo dunque un tableau (si pensi ai Tableaux parisiens di Baudelaire), un quadro composto, anzich da forme e colori, da parole (esattamente
12 La nostra disamina chiaramente incompleta perch priva di un elemento sul
quale per evidenti ragioni di spazio non possiamo dilungarci in questa sede: allanalisi delle componenti geografiche della narrazione deve essere affiancata quella
della dimensione narrativa della rappresentazione geografica, certo minoritaria
in un discorso che si vuole scientifico, ma non per questo del tutto assente.
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come le Ansichten der Natur di Humboldt) e queste parole sono segni che
stanno in luogo di qualcosa. Ne dobbiamo dedurre che la descrizione dipinge direttamente il proprio oggetto? Per ragioni strettamente connesse
alla natura del testo quale sistema di segni a raggruppamenti crescenti in
cui cio i significati e i significanti si sovrappongono stratificandosi (Segre
1974, pp. 3 e sgg.), cosicch ogni parola, da significato, diviene a sua volta
significante di un significato frastico e a loro volta i gruppi di frasi funzionano come significanti di un significato narrativo complessivo ecc. la risposta negativa. Una sequenza di enunciati percepita come una buona
descrizione paesaggistica solo se non viene recepita come mediazione di un
atto di comunicazione. In quel caso le parole e le cose convergono in un isomorfismo che non lascia pi molto spazio alla differenza tra ci che viene
enunciato e il modo in cui viene enunciato. La quarta definizione ci dice
perci che (IV) il paesaggio letterario la rappresentazione di una rappresentazione. Descrizioni come quelle di DAnnunzio, di Moravia e di Tondelli, brani allapparenza compatti e lineari, ad un esame pi accurato appaiono
costituiti da stanze che si aprono su altre stanze come in un labirinto che non
svela da subito la sua vera natura. Allingresso troviamo infatti un oggetto
allapparenza innocuo: una cornice. Descrivere, come spiega Roland Barthes
in S/Z, porre una cornice davanti alla realt (Barthes 1973, p. 54). Si tratta
di un gesto importantissimo, insieme pratico e teorico, ben noto ai fotografi
strettamente connesso a ci che Luigi Ghirri nelle sue Lezioni chiama il problema della soglia (Ghirri 2010, pp. 53, 153-157). Porre la cornice equivale
infatti a fondare ci che [si] vede ossia a decidere quali soggetti includere
e quali escludere dallinquadratura; senza questa selezione, la realt intesa
come la serie virtualmente infinita delle relazioni che hanno luogo tra le cose
resterebbe muta, inaccessibile alla parola in ci che essa ha di intelligibile
ma anche di non intelligibile. Sovrapporre la cornice significa pertanto, in
termini operativi, trasformare questa serie virtualmente infinita di relazioni
in una serie finita di cose assicurandosene lintelligibilit attraverso un lavoro di selezione e ritaglio. cos che, ridotto il referente a mera collezione di
oggetti, a immagine, veduta, simulazione della sua essenza, giacch di Roma
o della Riviera romagnola in ci che esse hanno di inesauribile e inestricabile, noi cogliamo soltanto linsieme delle sue fattezze visibili: non pi luogo,
ma imago loci (Trinit de Monti e Villa Medici in DAnnunzio, una lunga
teoria di tetti con i loro comignoli e loro tegole in Moravia, le insegne degli
alberghi delle citt dai nomi turistici in Tondelli, ecc.). Perch si possa parlare di paesaggio letterario non per sufficiente ricondurre il reale ad un
oggetto dipinto: non si tratta tanto di vedere Roma o la Riviera romagnola,
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rere a partire dallavventura dei fratelli Lumire, focalizzandosi sul rapporto esistente tra il paesaggio e il racconto narrato possibile individuare,
sempre scorta delle riflessioni di Bernardi (2002), cinque fasi: (I) in una
prima fase, quella dei primordi, abbiamo le vedute dei cinematografi. Il
paesaggio gioca qui il ruolo di protagonista assoluto; ogni veduta possiede
infatti carattere autonomo e compiuto. Appaiono per presto, nonostante
la forza del vedutismo, (II) i primi rapporti (incerti) tra i paesaggi rappresentati e una storia narrata. I luoghi sono usati per la messa in scena di una
storia, ma non ancora pienamente elaborati e trasformati in spazi narrativi
(possiedono ancora una propria autonomia, retaggio del vedutismo). Pian
piano luoghi e storia si intrecciano sempre pi.
(III) Nella terza fase del rapporto, intorno agli anni 30, il paesaggio
diventa ormai sistematicamente parte integrante della drammaturgia; si assiste a quello che Bernardi definisce un processo di subordinazione del
paesaggio a fini narrativi (2002, p. 55). Un esempio emblematico di questa
compenetrazione e subordinazione sono i film western in cui i personaggi
si trovano in una relazione dialettica con lambiente. Il paesaggio-natura
circostante costituisce un alone di libert e paura, un orizzonte di piacereminaccia; qui metafora di tutto quello che diverso dallidentit delluomo bianco presbiteriano maschio.
(IV) Nella quarta fase il paesaggio diventa apertura sui possibili, recuperando una forte dimensione pittorica, utilizzata per alludere ad una dimensione metatemporale e metanarrativa. La cinepresa si sposta, con essa
il personaggio che guarda oltre linquadratura, invitando lo spettatore a
fare lo stesso. Emblematico a riguardo il cinema francese impressionista.
I protagonisti (indimenticabili le figure di donna che guardano il mare) in
questa fase hanno una forte connotazione riflessiva e contemplativa, come
nel Raggio verde di ric Rohmer (1986). In un certo senso si pu notare un
recupero del vedutismo, anche se di segno dissimile da quello del passato.
Le vedute infatti sono qui utilizzate per esaltare la bellezza del paesaggio,
che diviene, prima di tutto, soglia per accedere alla contemplazione dei
possibili. Unapertura di orizzonti che ha senso solamente nella dialettica
che intesse con la storia raccontata.
(V) Lultima tappa, infine, definita da Bernardi come il tempo della riflessione. il tempo del neorealismo italiano20, il tempo, a livello storico, della
20 La storia del paesaggio potrebbe essere riassunta in un percorso che va dai luoghi
allo spazio e poi di nuovo dallo spazio ai luoghi, ma non luoghi spogli e senza
storia, come nelle origini, bens luoghi risonanti di molte storie possibili. In effetti,
sar proprio il cinema italiano a raccogliere questo insegnamento. Siamo arrivati
alle porte del Neorealismo (Bernardi 2002, p. 74).
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lunga ricostruzione post- bellica. Il cinema diventa uno sguardo cosciente sulla
complessit del mondo; non c pi lo stupore, ma il dolore e il disinganno: se
prima lo spettatore era in grado di proiettarsi dentro al film, ora vi si trova proiettato, lungo traiettorie che se dovessimo proprio scegliere mezzo di trasporto
dovremmo ridurci a definire pedonali (Guerra 2012, p. 202).
Anche nella fotografie, nel cinema e nei testi musicali, vale dunque la
possibilit di intravvedere due concettualizzazioni diverse, ma spesso
compresenti di paesaggio: la veduta e levento. Il primo il paesaggio
inteso come sken (Bernardi 2002) quinta alla narrazione con i suoi ben
noti rischi: Una localit non pi un luogo unico, con le sue associazioni,
significati, ma una combinazione di caratteristiche astratte che la rendono
pi o meno scenica rispetto ad altre (Aru, Bignante 2015, p. 133). Il
secondo invece associabile a quello che Cresswell (2003) definisce paesaggio di pratica, in cui si produce un dialogo tra azione del soggetto e
spazio vissuto. il paesaggio partecipazione che fuga il rischio, insito in
una visione che d spazio solo allo sguardo dallalto, che la natura e i
luoghi siano pi da guardare che non da utilizzare, fuga in altre parole
la desostantivizzazione del luogo. Non solo dunque contemplazione paesistica, distanza, paesaggio-veduta, ma anche paesaggio come esperienza e
luogo di vita quotidiana (come legame tra il soggetto, la propria interiorit
e lesteriorit del mondo), soglia, mediazione. Per riprendere unimmagine
di Rilke, il dispositivo paesaggistico in questo senso parte di un tutto
che non si pu mostrare rispetto al quale luomo non sta di fronte, ma vi
si trova dentro. Ad essere sotto analisi sono dunque, anche in questo caso,
come per le forme narrative tipiche dei testi letterari, diversi regimi di spazialit: il paesaggio osservato dallalto o vissuto dal basso, paesaggio pi o
meno protagonista della scena, sfondo pi o meno distante dai protagonisti.
Giunti a questo punto, per ribadire la differenza di vedute ( proprio
il caso di dirlo) cos prospettata, ci viene in aiuto un esempio tratto proprio
dal mondo della finzione cinematografica. Nel film Lost in translation di
Sofia Coppola (2003) i due tipi di paesaggio, quello osservato dallalto,
simile allo sguardo cartografico, e quello vissuto dal basso e pi vicino
allesperienza vissuta, sono compresenti e in interazione dialogica.
I protagonisti del film, Bob e Charlotte (interpretati rispettivamente da
Bill Murray e da Scarlett Johansson), americani, si trovano a Tokyo; entrambi non parlano giapponese e vivono con estrema difficolt lestraneit
dellambiente nipponico con i suoi segni (e usi) spesso indecifrabili21. In
21 Situazione che in un certo qual modo ci rimanda a Limpero dei segni, un testo
di Roland Barthes che raccoglie le riflessioni suscitate da un viaggio in Giappo-
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Fig. 1 Charlotte (Scarlett Johansson), la giovane protagonista del film Lost in translation di Sofia Coppola (USA, 2003), contempla il paesaggio urbano di Tokyo dalla
finestra della sua camera dalbergo.
Nel proseguo del racconto, i protagonisti del film, sempre meno soli
grazie al loro incontro, al loro capirsi, decidono di spingersi e di andare
insieme a percorrere le vie della citt. La voglia dei personaggi di andare
oltre la vista di Tokyo, rimanda alla tensione tra la sicurezza (malinconica) dellalbergo, e la voglia di cavalcare lo straniamento, di accettare
la sfida di perdersi tra le vie di una citt dai codici disorientanti. Emblematicamente, questo passaggio, richiama forse la voglia di ripartire da
qui, dal perdersi, per poi ritrovarsi. Se dunque allinizio la fa da padrona
limmagine del paesaggio ritratto nel quadro della finestra, in questa seconda fase di scoperta della citt da parte dei personaggi, siamo di fronte al paesaggio-evento, paesaggio esperito. Bob e Charlotte, spingendosi oltre il perimetro dellhotel, accettano dunque la sfida (e le tensioni)
date dal perdersi, si affidano al disorientamento. In un certo senso la
vita che prepotente ritorna, avvolge, immerge e questo avviene grazie allesperienza del paesaggio che mette in moto un processo di addomesticamento dellestraneit proprio a partire dallo spazio vissuto22.
22 Un altro film che meriterebbe qui una citazione, e sicuramente in altri contesti
una trattazione specifica, Melancholia, scritto e diretto da Lars von Trier (2011).
Il film la storia di una catastrofe, raccontata attraverso la storia di due sorelle.
Melancholia il nome di un pianeta in procinto di collidere con la Terra, Clare e
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vcus. In particolare nella produzione di Zanzotto, venata di preoccupazioni ecologiste, il richiamo allimago loci si traduce in una poetica del
paesaggio veneto (i colli Euganei, la montagna e pi in generale i luoghi
che aprono squarci esistenziali) e in cui non mancano le preoccupazioni per
le alterazioni cui va incontro il territorio.
Muovendosi sul terreno dellanalisi imagologica applicata alla letteratura di viaggio Valentina Serra esplora, in Questa natura dispone alla
malinconia: paesaggio e carattere della Sardegna nellodeporica di lingua tedesca, il ruolo delle immagini paesaggistiche nella rappresentazione
dellisola e dei suoi abitanti ad opera di viaggiatori eccellenti come Max
Leopold Wagner, Ingeborg Tetzlaff e Max Niehaus. Questanalisi evidenzia il ruolo esemplare giocato dalla Sardegna nellaimmaginario europeo
(e specificamente tedesco) Nei resoconti dei numerosi viaggi compiuti da
scrittori di lingua tedesca in Sardegna [] si offre una precisa immagine
dellisola e dei suoi abitanti che ricorre di opera in opera, con accenti e
sfumature talvolta differenti: quella di territorio totalmente altro, spazio
insulare esotico portatore di una identit singolare data dallintreccio inestricabile tra uomo e natura, il cui paesaggio irradiatore di sensazioni e
atmosfere contrastanti, in un miscuglio inestricabile di selvaticit e malinconia. La rappresentazione del paesaggio assolve la funzione di veicolazione di peculiari immagini letterarie dellaltro, assumendo, nella sua
circolarit, la forma di una profezia autoavverante che contiene in s tutti
gli elementi atti alla sua realizzazione.
Ne Il paesaggio nella narrativa di Italo Calvino: limmagine della
natura, lesperienza della camminata, Francesco Migliaccio ci riporta al
paesaggio inteso come esperienza diretta e immediata del mondo, quindi
alle sue componenti materiali, sensibili e percettive (non esclusivamente
visive quanto sinestetiche) sia pure filtrate dalla memoria e ricomprese in
una cornice letteraria e narrativa come quella calviniana. Litinerario proposto, che comprende Il sentiero dei nidi di ragno, Il barone rampante,
il Ricordo di una battaglia e altri scritti minori, si svolge allinsegna di
una riappropriazione dei sensi (del paesaggio) tramite i sensi (dellio narrante); lesperienza della guerra in Liguria e la militanza partigiana sono
evocate, pi che direttamente narrate, da Calvino attraverso le sensazioni
che invadono i corpi: lumido della nebbia, i versanti nuvolosi, la coltre
verde, luce, ombra, fiumi ridotti a rigagnoli ecc. in un universo di colori,
odori, suoni e sensazioni tattili. Nel momento stesso in cui dice il paesaggio, la scrittura calviniana si fa memoria, vicolo, foresta, torrente, sentiero,
rappresentazione di unassenza: Il paesaggio diventa grafa e le parole
si dispongono sulla pagina come i rami nel fitto di una foresta. Questo
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bitare inteso, prima ancora che come gesto quotidiano con cui si risiede in
un luogo, come atto di stare al mondo. come cio se Tesson, lavorando
per sottrazione di tutti gli orpelli connessi ai contesti di vita urbani, giungesse infine ad isolare per introspezione un nucleo essenziale e irrinunciabile di verit una pulizia percettiva per usare lespressione di Papotti
che scaturisce dal suo modo di porsi rispetto al mondo.
In Due nuove chiavi di lettura delle descrizioni letterarie del paesaggio,
Daniele Bitetti focalizza la propria attenzione sulla relazione complessa
che avvolge, da un lato, una sequenza di enunciati finalizzati alla descrizione di un paesaggio e, dallaltro, determinati meccanismi discorsivi e
retorici che producono sul lettore un effetto di verit nel senso barthesiano
del termine (la gi accennata ipotiposi, ovvero la capacit di verbalizzare lo
spazio in maniera talmente suggestiva da mettere loggetto evocato sotto
i nostri occhi). Partendo dal riconoscimento del fatto che non esiste un
modello universale di fruizione paesaggistica abbiamo ricordato pi
volte nel corso di queste pagine la duttilit di questo dispositivo ad assumere la forma del contenitore discorsivo nel quale lo caliamo Bitetti distingue due chiavi di lettura delle descrizioni letterarie. Se il paesaggioveduta, ossia la descrizione letteraria di un paesaggio si configura come un
testo nel testo, questo ci autorizza a leggerlo e a trattarlo come un ipertesto, vale a dire come unespansione della quantit e della variet delle
informazioni verbali e non-verbali presenti nel testo narrativo: Lipertesto
in una pagina web tale se contiene uno o pi collegamenti (links) verso altre pagine testuali, file audio-video o immagini. Ecco, fatte le dovute
proporzioni il paesaggio potrebbe assimilarsi proprio a questo: con un solo
particolare la mente del lettore viene stimolata a ricordare dove possiamo
aver gi incontrato quello stesso particolare e quindi si ricollega a un altro
paesaggio (o a tanti altri), provocando in quel preciso istante delle sensazioni collegate a dei ricordi, richiamati alla nostra memoria dalla lettura.
La seconda chiave di lettura proposta dallautore rappresenta un tentativo
di sintetizzare attraverso un algoritmo (i cui elementi costitutivi sono dati
dalla luce, dallo spazio e dalla soggettivit del lettore) lefficacia di una
descrizione paesaggistica.
Nel suo contributo dal suggestivo titolo Rilke. Sentire il paesaggio con le
cinque dita della mano dei sensi, Daniela Liguori compie unattenta indagine del mondo poetico di Rainer Maria Rilke alla ricerca di suggestioni
e di spunti di riflessione riconducibili dellesperienza paesaggistica. Il lettore apprender che per il poeta questa costituisce unesperienza oscura e
straniante, un incontro con lassoluta vastit e leccedenza della natura: Il
paesaggio scrive Rilke non ha mani, non ha volto oppure solo volto,
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dalla lettura dei testi delle canzoni possibile in primo luogo intravvedere
tra le righe la concezione panoramicistica o pittorico-vedutistica del paesaggio. Quella visione, lo abbiamo pi volte ribadito, che fa coincidere il
paesaggio con il panorama; con un quadro naturale tale che, virtualmente incorniciato, in analogia con la pittura di paesaggio, si offre a una
percezione distaccata e contemplativa da compiersi da un punto di osservazione elevato (il belvedere). Ma proprio il piano emotivo ed esperienziale che permette di riscontrare nei testi delle canzoni prese ad esempio
altre concezioni di paesaggio che trascendono la concezione pittorico-vedutistica. Vargiu, per rendere conto di questa diversa concezione, utilizza
il termine proiettivo. Il paesaggio diventa cos anche nelle canzoni
trasposizione dei sentimenti e degli stati danimo del soggetto. Il richiamo
qui alla tradizione (lunga tanto quanto quella pittorica-vedutistica) del
paesaggio come uno stato dellanima. La trasposizione sentimentale non
per fine a se stessa, ma in ultima analisi assume le forme di un invito
(diretto anche allascoltatore) a immergersi totalmente, con tutti i cinque i
sensi, nel paesaggio.
E arriviamo ad un altro supporto: la fotografia. A darci alcune chiavi di lettura per interpretare alcune potenzialit del supporto (e del mezzo) fotografico nel parlarci, descrivere e creare paesaggi Federica Pau.
Lautrice, in Il paesaggio di Basilico: dal senso dellinfinito allo sguardo
lento, ricorda il lavoro del fotografo Gabriele Basilico, unico italiano ad
aver preso parte alla Mission Photographique de la DATAR, limportante
progetto di documentazione delle trasformazioni del paesaggio contemporaneo voluto dal governo francese (1984-1988). Basilico era noto al
pubblico italiano per il progetto Milano ritratti di fabbriche ed da questa
esperienza fortemente legata allurbano e alla citt meneghina che il fotografo inizia il progetto francese maturando, via via, unidea pi chiara (ma
al contempo pi complessa) di paesaggio. Siamo agli inizi degli anni 80
del novecento, momento in cui matur in fotografia un crescente interesse
per il paesaggio contemporaneo. Oggetto dei suoi scatti, lo spazio aperto
del paesaggio e i suoi dettagli minuziosi e particolareggiati, colti attraverso uno sguardo iperanalitico. Lesercizio dello sguardo va per ben oltre
un piano prettamente descrittivo. Le fotografie di Basilico non catturano
infatti la sola vista del paesaggio, ma rendono conto dellesperienza e
della presa di coscienza del fotografo che cammina attraverso i luoghi; un
camminare che procede investendo tutta la sua dimensione corporea. La
presa di coscienza dello spazio ricorda Basilico attraverso la penna di
Pau non riguarda la sola visione, giacch essa legata certamente allo
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