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DARE SENSO

AL PAESAGGIO

Convocare esperienze, immagini, narrazioni


Vol. 2

a cura di
Silvia Aru e Marcello Tanca

MIMESIS

MIMESIS EDIZIONI (Milano Udine)


www.mimesisedizioni.it
mimesis@mimesisedizioni.it
Collana: Kosmos, n. ??
Isbn: 9788857530???
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Silvia Aru, Marcello Tanca

LANDSCAPE IS THE EVERYWHERE


OF PRESENT

Proverbio: Chi guarda troppo il paesaggio,


spesso ne va a far parte.
Ennio Flaiano

1. Una svolta paesaggistica?


In un elenco ideale dei tratti che hanno segnato il variopinto panorama
delle scienze sociali degli ultimi trentanni, lo spatial turn occupa indubbiamente un posto di primo piano. Annunciata o preconizzata da autori
come Michel Foucault (Lepoca attuale [] forse lepoca dello spazio,
Foucault 1998, p. 307) e Fredric Jameson (la nostra vita quotidiana, la
nostra esperienza psichica, i nostri linguaggi culturali sono dominati oggi
da categorie di spazio, 1989, p. 34), infine celebrata da Mike Crang e
Nigel Thrift (Space is the everywhere of modern thought, 2000, p. 1),
la svolta spaziale ha ridato insperata autorevolezza alla geografia intesa
pi che come disciplina scolastica descrittivo-enumerativa costretta, per la
sua congenita improduttivit riflessiva, a importare idee da altri campi di
ricerca come sapere strategico esportatore di modelli, problematiche e
metafore di indubbia efficacia euristica nellesplorazione delle molte facce
della contemporaneit (Warf, Arias 2009).
I saggi raccolti nel presente volume testimoniano che linteresse per la
dimensione spaziale dei fenomeni sociali non costituisce lunica svolta significativa che ha investito i settori scientifico-disciplinari socioumanistici;
accanto a quella spaziale nel nostro elenco dobbiamo includerne almeno
unaltra, che in qualche maniera le correlata, e che chiameremo svolta
paesaggistica. Con questespressione intendiamo alludere al carattere trasversale e pervasivo del paesaggio, oggetto, scrive Michel Collot, di un
rinnovato interesse in tutti i campi della vita sociale, intellettuale, letteraria
e artistica (Collot 2011, p. 9). Questo fenomeno, testimoniato negli ultimi anni dalla produzione incessante di atti di convegni, saggi scientifici,

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Dare senso al paesaggio

articoli di giornale ecc. dedicati al tema non da ultimo il volume che


il lettore ha in questo momento tra le mani impregna i nostri linguaggi
culturali in una maniera tale che non ha eguali in nessun altro momento
storico: Non si mai parlato cos tanto di paesaggio come nella nostra
epoca, non si sono mai avuti cos tanti paesaggisti (vale a dire professionisti della pianificazione paesaggistica), non si sono mai pubblicati cos
tanti libri di riflessione sul paesaggio (Berque 2008, pp. 9-10); e ancora:
La nostra epoca decisamente quella del paesaggio. [] Il discorso sul
paesaggio, per definizione, assume le forme pi varie. Il paesaggio si dice e
si scrive in mille modi, in mille contesti differenti (Jakob 2009, pp. 7, 15).
Leffetto pi immediato di questo nuovo corso non costituito solo da una
pi frequente ricorrenza del termine paesaggio nei discorsi degli studiosi
(specie di quelli appartenenti a comunit scientifiche un tempo impermeabili al suo utilizzo), in ultima analisi al fatto che se ne parla tanto (troppo o
troppo poco a seconda dei gusti); quanto dalla tendenza, viepi accentuata,
a ragionare in termini paesaggistici ossia a utilizzare il paesaggio per convocare esperienze, immagini e narrazioni, ossia per sintetizzare in ununica formula al tempo stesso allusiva e concreta un insieme piuttosto variegato di fenomeni, processi e questioni di ordine politico, estetico, morale,
culturale o tecnologico tra loro difficilmente separabili. Non pi relegata
al ruolo di categoria logica della descrizione geografica e della riflessione
filosofica (Tanca 2012, pp. 111-155), questa nozione funge da metafora,
simbolo, medium, indicatore o veicolo di particolari inquietudini, tensioni
e interrogativi di natura sociale, politica, ambientale o estetica, alimentando un dibattito inter- e transdisciplinare i cui risultati confluiscono nei
cosiddetti landscape studies.
Questa tendenza alla proliferazione di cui emblematico, tra gli
altri, il volumetto curato nel 2006 da Franco Zagari Questo paesaggio. 48 definizioni (Zagari 2006) pone ad ogni modo seri interrogativi
al geografo. Per comprenderne la portata, sufficiente ricordare brevemente il ruolo che il paesaggio ha rivestito nelle vicende della geografia
modernamente intesa, di cui ha seguito le alterne fortune e levoluzione
paradigmatica ricalcandone per cos dire vizi e virt: dallo studio comparato del physiognomischen Charakter der verschiedenen Erdrume, il
carattere fisionomico dei diversi spazi terrestri in Alexander von Humboldt, alla Landschaftkunde di Siegfried Passarge; dallaffermazione
di Max Sorre secondo cui toute la gographie est dans lanalyse des
paysages, alla rivista Landscape di John Brinckerhoff Jackson; o, per
muoverci in ambito italiano, alla definizione di Marinelli e di Toniolo
della geografia come scienza del paesaggio. In effetti nelle opere dei pi

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importanti geografi italiani del secondo dopoguerra (Biasutti, Toniolo,


Sestini ecc.), pur con enfasi differente da autore ad autore1, lo studio del
paesaggio incontrer un rilievo tale che si potuto parlare a buon diritto
di una vera e propria paesaggificazione della disciplina (Zerbi 1988, p.
31). Schematicamente, questa impostazione si sviluppata lungo tre assi
principali:
1) in primo luogo una distinzione tra paesaggio sensibile e paesaggio
geografico ossia tra la visione diretta di unestensione della superficie
terrestre colta da un particolare punto di osservazione e il suo compendio o sintesi astratta ottenuta attraverso la selezione degli elementi pi
caratteristici e ricorrenti in pi paesaggi. Il rapporto tra p. sensibile e p.
geografico pu essere descritto grossomodo come la differenza tra il concreto e lastratto, un momento soggettivo ed emotivo e uno oggettivo
e sostanziale, lesperienza estetica dei luoghi e la definizione di tipologie
paesaggistiche generali (p. desertico, tropicale, ecc.) ben pi funzionali dei
paesaggi sensibili alla comparazione delle diverse parti della Terra a causa
del numero virtualmente infinito delle loro varianti e delle transizioni tra
di essi.
2) una lettura tesa principalmente alla restituzione fisiognomica dei paesaggi e costruita prevalentemente su categorie formali riconducibili in ultima analisi al primato della dimensione visiva e topografica dei fenomeni
presi in esame: i volumi, le linee, i colori, coordinati nello spazio secondo un particolare assetto di distribuzione e di proporzioni; oppure [] gli
oggetti reali costitutivi della superfici terrestre, e manifesti nelle vedute
(Sestini 1963, p. 9). Cos anche se il paesaggio geografico rappresenta una
astrazione di quello sensibile, unastrazione che parte da un materiale che
a sua volta lesito di un processo di selezione di alcuni aspetti del reale
(quelli visibili e topografici).
3) la prevalenza accordata ai fattori naturali a scapito dei fattori antropici: [il paesaggio umanizzato] ha i suoi termini fondamentali formati da
elementi naturali: , quando non si restringa lo sguardo a spazi molto limitati (per esempio una citt, un distretto industriale), un paesaggio naturale
modificato, non creato, dalluomo scrive Biasutti in un passaggio della
sua fondamentale opera sul Paesaggio terrestre (1962, p. 18). Latteggiamento di fondo cio quello di chi non misconosce il peso della storia nel
modellamento dei quadri paesaggistici, ma lo riconduce in ultima analisi
allazione combinata degli elementi naturali (clima, morfologia, idrografia
1

Per un quadro della concezione del paesaggio nella geografia italiana del secondo
dopoguerra si rimanda a Vecchio 2002.

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e vegetazione): Luomo fa parte della natura come una delle tante unit
della vita scrive ancora Biasutti2.
Dopo tanta paesaggificazione, la geografia italiana rapidamente andata
incontro, negli anni 60, ad una altrettanto consistente depaesaggificazione.
Se le ragioni di questa inversione di tendenza sono diverse, le bordate inflitte da Lucio Gambi con la sua Critica ai concetti geografici di paesaggio
umano (1961) vi hanno giocato certamente un ruolo non secondario. Il
saggio di Gambi, che a distanza di pi di cinquantanni non ha perso niente
della sua freschezza, si concentra sui principali aspetti della concezione
topografico-naturalistica con cui veniva approcciato in Italia lo studio delle
forme paesaggistiche, mettendone a nudo, punto per punto, i limiti di fondo. Cos mentre Biasutti tendeva a ricondurre il paesaggio umano, come
abbiamo visto, agli elementi naturali che lo costituiscono, Gambi esordisce
riassegnando ai significati e ai valori che gli uomini attribuiscono ai luoghi il posto che compete loro tra i fattori che concorrono a plasmarne la
fisionomia. In altre parole, pur riconoscendo in essi la presenza di una serie
di tipi o di forme prodotte dallazione combinatoria dei fattori naturali,
per Gambi non si possono studiare i paesaggi terrestri come se questi non
subissero regolarmente lazione modificatrice delluomo. La critica gambiana attraverso la scelta del paesaggio rurale come esemplificativo del
modo in cui lintervento umano, incidendo sugli assetti naturali pu modificarli al punto tale da renderli perfino irriconoscibili rispetto alle condizioni di partenza investe anche il metodo enumerativo-descrittivo utilizzato
dai geografi per classificare le forme paesaggistiche: limitare lo studio dei
bocages, dellopenfield o delle colture promiscue alle loro forme visibili e
ai soli elementi topografici che li caratterizzano, trascurando ci che, pur
non apparendo, anima o edifica o plasma questi paesaggi i rapporti
sociali ed economici, i valori culturali, i costumi giuridici ecc. rischia di
condurre il ricercatore ad un sostanziale fraintendimento degli stessi. Scrive Gambi in un passaggio che esplicita in maniera molto chiara lo spirito
che anima la sua riflessione:
fondarsi in modo preliminare o esclusivo sul paesaggio visivo [] per identificare i vari complessi culturali della vita agricola, o ritenere che il paesaggio
visivo sia o dia una sintesi vera e piena della vita agricola, significa avere una
visione parziale, monca, insufficiente di tale realt: poich loperazione scarta
2

La foto di copertina del Paesaggio terrestre nelledizione del 1962 per certi versi sintomatica di questa concezione: luomo, pur presente infinitamente piccolo
nellinfinitamente grande non facilmente individuabile se non attraverso un
ingrandimento dellimmagine (per questo aspetto, cfr. Tanca 2015).

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ci che in primo luogo non visibile o in ogni modo non pu venire colto da
qualche senso, e che quindi non topograficamente configurabile. Ma ci che
non ha forma visibile o cartografabile, come il valore della citt o la scelta di
un orientamento economico o la natura di una istituzione sociale, fa parte della
medesima realt che assomma anche il paesaggio a cui i geografi limitano
abitualmente i loro studi.

La logica conclusione del ragionamento dunque che


il termine o pi precisamente il concetto di paesaggio non il pi adeguato per indicare la realt di un mondo come lagricolo (Gambi 1973, p. 168).

Va osservato, en passant, che nella misura in cui lo studio delle forme


del paesaggio sintetizzava i metodi e le posizioni epistemologiche in cui
si riconosceva la maggior parte dei geografi italiani, questi rilievi assumevano facilmente i toni di una critica tout court della disciplina, regione
depressa per usare unaltra celebre espressione gambiana, sostanzialmente estranea al coevo dibattito culturale e scientifico e percepita come un
sapere tutto sommato sterile, conservativo, arido, soprattutto assai lontano
dai problemi con cui dovevano confrontarsi gi allora le societ tecnologicamente pi avanzate (fenomeni urbani, condizioni del popolamento,
relazioni uomo-ambiente, ecc.). La debolezza della geografia, incapace
di intercettare le trasformazioni in corso e di offrire soluzioni ai problemi
di ordine sociale, economico e politico, stava dunque, come osserva Dematteis, nella tendenza a descrivere dei territori senza attori, fermandosi
per cos dire sulla soglia dei fenomeni:
il sistema descritto attraverso lanalisi paesaggistica era statico. Poteva
in parte spiegarci il passato, ma nulla ci diceva della sua dinamica, delle sue
potenzialit latenti e quindi dei suoi possibili sviluppi. Questa geografia, pur
definendosi umana, lo era solo in parte, perch descriveva un mondo senza
soggetti umani in azione. Essa non ignorava le componenti culturali, sociali,
economiche e politiche, ma le trattava come cose che nel passato avevano
interagito con altre cose (lambiente fisico) per produrre le forme rivelate appunto dal paesaggio visibile. In altre parole questa geografia ecologica era
in grado di dirci ben poco, per non dire nulla, sui cambiamenti possibili. Non
solo, ma, ignorando il cambiamento, suggeriva implicitamente limmutabilit
del mondo e cos chi la praticava finiva, anche senza volerlo, di giustificare lesistente e lordine stabilito su cui naturalmente questo si reggeva (Dematteis
2008, p. 4).

Un caso emblematico di questo modo di procedere, suggerisce ancora


Dematteis, rappresentato dal libro che Aldo Sestini dedica nel 1963 al pa-

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Dare senso al paesaggio

esaggio italiano, dunque nel pieno del boom economico, della speculazione edilizia e della distruzione del patrimonio ambientale e paesaggistico:
secondo la mentalit dallora non era compito della razionalit geografica
occuparsene. Infatti egli liquida la questione nellintroduzione allopera con
queste parole: non affronteremo, ma solo richiameremo, la questione dellarmonia dellimpronta umana nel paesaggio (...) Sono note le lagnanze che spesso si muovono a riguardo della deturpazione di paesaggi di particolare bellezza
o specialmente caratteristici. Detto questo, egli nelle pagine successive non
far pi parola del problema (ibid.).

Se lavvento della geografia analitico-quantitativa che domin il panorama frastagliato degli anni 60 e 70 diede il colpo di grazia al paesaggio
inteso come strumento utile a scandagliare in profondit la realt, a sua volta laffermazione delle geografie critiche, cos attente ai conflitti sociali e ai
temi politico-economici, non segn una significativa inversione di tendenza. Dovuto principalmente alle geografie di ispirazione post-strutturalista,
il ritorno del paesaggio come categoria esplicativa, dopo un oblio durato
per pi di un ventennio, ha coinciso con unattenzione non pi esclusiva
alla sua dimensione fisica e alle sue forme visibili (su cui si erano soffermate le generazioni precedenti), ma allargata alle sue implicazioni sociali e
ambientali, simboliche, ideologiche e culturali. Si preso (o forse si solo
tornati) cio a guardare al paesaggio non soltanto in qualit di realt sensibile e materiale ma anche, e in maniera sempre pi marcata, come medium,
modo di vedere, rappresentazione, entit scenica il cui valore di verit non
si esaurisce unicamente nelle sue forme esteriori ma intriso dei valori e
della percezione degli uomini dai quali di fatto inseparabile3. Quando
Denis Cosgrove scrive che lidea di paesaggio rappresenta un modo di vedere [a way of seeing] un modo in cui alcuni europei hanno rappresentato
a se stessi e agli altri il mondo attorno a loro e le loro relazioni con esso,
e attraverso cui hanno commentato le relazioni sociali (Cosgrove 1990,
p. 23); quando Eugenio Turri afferma che il paesaggio costituisce un teatro nel quale individui e societ recitano [] le loro storie e che questa
metafora vuole significare limportanza della rappresentazione di s che
luomo sa dare attraverso il paesaggio (Turri 1998, p. 13); quando, infine,
Trevor Barnes e James Duncan applicano la metafora della vita sociale
3

Inseparabilit sancita ad es. dalla Convenzione europea del paesaggio, ratificata


a Firenze nel 2000, che allart. 1 lo definisce una determinata parte di territorio,
cos come percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dallazione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni (corsivo nostro).

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come testo al paesaggio facendo leva sul suo essere una produzione sociale e culturale, che pur conservando una fissit oggettiva simile a quella
di un testo scritto pu essere letto indipendentemente dalle intenzioni dei
suoi autori (Barnes, Duncan 1992, p. 6), assistiamo ad un cambiamento di
prospettiva notevole rispetto al passato: il paesaggio non si esaurisce nel
riconoscimento delle sue forme visibili n assunto soltanto come artefatto materiale di origine naturale o antropica, bens come simbolo aperto
alle rappresentazione che gli uomini danno di s e come metafora che d
corpo ad unidea. Si tratta in breve della riappropriazione di quella che con
Franco Farinelli chiameremo larguzia del paesaggio, vale a dire il pieno
riconoscimento della sua natura duplice e allusiva, che permette di nominare insieme la cosa e [] limmagine della cosa, sovrapponendo nello
stesso campo di proposizioni significato e significante in maniera tale da
non poter distinguere luno dallaltro (Farinelli 1992, p. 209).
Ritroviamo questa duplicit di intenti nel Preambolo della Convenzione
europea del paesaggio l dove questa lo definisce un elemento importante
della qualit della vita delle popolazioni e del benessere individuale e
sociale la cui salvaguardia, gestione e pianificazione comportano diritti e
responsabilit per ciascun individuo. Benessere, diritti, responsabilit: per
quanto queste enunciazioni di principio vadano sempre riferite ai paesaggi
empirici, vissuti, esse ci proiettano abbondantemente ben oltre i confini
dellesperienza sensibile di un soggetto che contempla da un punto di vista
privilegiato una porzione pi o meno ampia di territorio, per lambire una
problematica pi ampia (etico-politica, quindi sociale). Insomma, oltre che
alla sua esistenza empirica, che permane ad ogni modo come richiamo alla
realt e alla concretezza dei vissuti, si guarda con interesse alla straordinaria capacit allusivo-evocativa che contraddistingue il paesaggio, e che
supplisce la nostra difficolt di sbrogliare lambiguit del presente, dando
un nome alle sue non poche contraddizioni.
Cosa si perde e cosa si guadagna quando la natura ad un tempo allusiva
e concreta del paesaggio diviene in misura pi o meno grande lelemento
fondante di ogni discorso su di esso? Da un lato, perdiamo la sua connotazione di strumento analitico specifico della cassetta degli attrezzi del
geografo, dunque il suo carattere specialistico, funzionale alla descrizione
geografica del mondo. Dallaltro, nella misura in cui il paesaggio oggi non
pi legato in maniera esclusiva ad un particolare ambito scientifico-disciplinare n riconducibile ad una formula unica ed esaustiva, esso assume i
contorni di un concetto-chiave delle Humanities guadagnando unestensione pi nervosa, ampia e articolata. Questo processo parallelo, da un lato,
alla nascita di una domanda sociale di paesaggio (Luginbhl 2001) cio

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Dare senso al paesaggio

allesigenza i salvaguardarlo e tutelarlo tenendo conto dei significati e dei


valori (affettivi, estetici e identitari) che le comunit locali gli attribuiscono
e, dallaltro, allampliamento del suo significato in favore di una concezione pi variegata e inclusiva, non pi circoscritta ad alcuni episodi (bench
ricorrenti e caratteristici) e che trova formulazione appropriata nellart. 2
della gi citata Convenzione europea (sia i paesaggi che possono essere
considerati eccezionali, che i paesaggi della vita quotidiana e i paesaggi
degradati). Non moda n fenomeno passeggero, avverte Collot, il pensepaysage (ci a cui abbiamo dato il nome di svolta paesaggistica) rappresenta insomma una manifestazione esemplare dei fenomeni umani e
sociali, dellinterdipendenza del tempo e dello spazio, e dellinterazione tra
la natura e la cultura, leconomico ed il simbolico, lindividuo e la societ.
Esso fornisce un modello per pensare la complessit di una realt che invita
ad articolare gli apporti provenienti dalle diverse scienze umane e sociali
(Collot 2011, p. 11).
2. Geografia come ermeneutica letteraria
Concetto ibrido e sfuggente, il paesaggio battezza nelle sue mille declinazioni una realt a sua volta ibrida e sfuggente. Proprio per questo ci
riguarda: proprio come noi strutturalmente ambiguo, vago e refrattario
ad una definizione univoca e perci delimitante (la sua esistenza pone il
problema di come possa darsi un insieme, che sia allo stesso tempo visibile
ma privo di confini e perci misurabile, Farinelli 2012, p. 9), quindi il pi
idoneo a richiamare la non-riconducibilit delle cose ad un unico canone di
lettura. Nello spettro delle configurazioni di senso, realizzate o potenziali,
mimetiche o simboliche che esso pu assumere non pu dunque mancare il
riferimento al cosiddetto paesaggio letterario. Si tratta, come vedremo, di
una nozione problematica, basata sulla relazione tra due convenzioni, quella geografica e quella letteraria. Ma che cos, propriamente parlando, un
paesaggio letterario? Spesso privo di una definizione esplicita, esso sembra
galleggiare nel mare dellindeterminatezza, come se il suo contenuto fosse
di per s ovvio, autoevidente (vedremo che cos non ). Questa ritrosia
tanto pi paradossale se si pensa che la celebre scalata del Mont Ventoux,
compiuta il 26 aprile 1336 da Francesco Petrarca, con cui si fa coincidere
la scoperta o linvenzione dellesperienza del paesaggio (Burckhardt
1952; Ritter 2001; Jakob 2005; Besse 2008) e, contemporaneamente, della
modernit, segna anche la nascita del paesaggio letterario. Ma andiamo
con ordine.

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Lascensione del Ventoux compiuta da Petrarca ha in effetti tutti i requisiti per essere definito un evento epocale; per la prima volta, per quanto
ne sappiamo, la natura oggetto di una libera contemplazione disinteressata da parte di un soggetto che la percepisce da un punto di vista estetico. E in effetti limpresa, compiuta dal poeta in compagnia del fratello
Gherardo, sembra sprovvista di utilit pratica in quanto mossa unicamente
dal desiderio di vedere un luogo famoso per la sua altezza come scrive
egli stesso4. la curiositas, il movente dellimpresa, ad avere un effetto
dirompente, persino rivoluzionario, scandaloso per la mentalit dellepoca: Francesco non sale n per penitenza [], n per pellegrinaggio, n
per imitatio Christi. [] Sale, provvisto di tutta la sua cultura per gettarla
nella nuova esperienza dello sguardo e trovarsi nel cuore dellavventura
della sua rappresentazione visiva (Bertone 2000, p. 128). Tale scandalo
perdurer fino al XVIII secolo quando linvenzione (o la scoperta) della
verticalit lever la montagna dai luoghi considerati inaccessibili alluomo.
Ci che qui ci interessa che se ancora oggi parliamo di questo episodio della vita di Petrarca come della pi famosa ascensione alpina della
nostra storia letteraria (Longo 2007, p. 34) grazie al fatto che limpresa
ha lasciato dietro di s una traccia materiale, un testo, una scrittura che ha
permesso di trasmetterne il ricordo alla posterit. Si tratta della testimonianza contenuta nellepistola indirizzata al frate Dionigi Roberti di Borgo
San Sepolcro, di incerta datazione (scritta comunque tra il 1336 e il 1353)
in cui Petrarca racconta questepisodio. Se cercassimo un esempio del perch necessario lasciar tracce (Ferraris 2009) non potremmo trovarne uno
migliore. La parte pi interessante di questa vicenda non riguarda infatti,
a ben guardare, lascensione fisica (che qualcuno persino dubita sia stata
effettivamente compiuta e che probabilmente prima di Petrarca qualcun altro avr verosimilmente tentato), quanto la sua narratio: Oggi, spinto dal
solo desiderio di vedere un luogo celebre per la sua altezza, sono salito sul
pi alto monte di questa regione, chiamato giustamente Ventoso. Quello
che nasce con Petrarca insomma, pi che lesperienza del paesaggio, il
gesto di parlarne a qualcuno per trasmetterne il senso e il ricordo, dunque
il racconto, listituzionalizzazione della testimonianza, la descrizione letteraria come parte integrante e non accessoria di questesperienza. Il testo
prosegue nel seguente modo:
4

La cima del Ventoso raggiunge i 1.912 metri sul livello del mare: Perch un paesaggio esista sono necessarie almeno tre, e non due cose: non soltanto un soggetto
che guarda e qualcosa da guardare ma anche il massimo dorizzonte possibile,
dunque unaltura che funzioni da punto di vantaggio, a meno di non essere in un
luogo assolutamente pianeggiante (Farinelli 2003, p. 41).

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Dare senso al paesaggio

Dapprima, colpito da quellaria insolitamente leggera e da quello spettacolo


grandioso, rimasi come istupidito. Mi volgo dattorno: le nuvole mi erano sotto
i piedi e gi mi divennero meno incredibili lAthos e lOlimpo nel vedere con
i miei occhi, su un monte meno celebrato, quanto avevo letto ed udito di essi.
Volgo lo sguardo verso le regioni italiane, laddove pi inclina il mio cuore; ed
ecco che le Alpi gelide e nevose [] mi apparvero, pur cos lontane, vicine.
[] mi volgo indietro, verso occidente, per guardare ed ammirare ci che ero
venuto a vedere. [] I Pirenei, che sono di confine tra la Francia e la Spagna,
non si vedono di qui, e non credo per qualche ostacolo che vi si frapponga, ma
per la sola debolezza della nostra vista; a destra, molto nitidamente, si scorgevano invece i monti della provincia di Lione, a sinistra il mare di Marsiglia
e quello che batte Acque Morte, lontani alcuni giorni di cammino; quanto al
Rodano, era sotto i nostri occhi (Petrarca 1978, p. 129)

Certo, come osserva tra gli altri Maurizio Vitta, in questa narrazione a
rigore il paesaggio vi quasi del tutto assente o, per meglio dire, resta implicito, taciuto, posto in subordine (Vitta 2005, p. 112); anche se il poeta
non lo nomina mai esplicitamente, esso tuttavia sottinteso nelle sue parole innanzitutto come sguardo (volgo lo sguardomi apparverosotto
i nostri occhi) e come limite di questo sguardo (non si vedono di qui
per la sola debolezza della nostra vista), quindi come scrittura, memoria,
maniera di raccontare (a s e agli altri) quello che si e non si visto.
Porre la questione della trascrizione di unesperienza del mondo significa per addentrarsi nel terreno dei rapporti tra due generi di scrittura,
quella geo-grafica e quella letteraria e quindi delle tensioni, delle relazioni
circolari, dei prestiti e delle contaminazioni, ma anche dei conflitti e delle
rivalit tra di essi. Questo rapporto pu essere definito in diversi modi: ad
es. mediante unottica interdisciplinare, che riunisce studiosi che, desiderosi di scardinare la fissit delle rispettive gabbie disciplinari (per riprendere una bella espressione di Giulio Iacoli), vanno alla ricerca di competenze
comuni, di intersezioni, di omologie di funzionamento tra le due forme di
scrittura e quindi di conferimento di senso alle cose (cfr. Guglielmi, Iacoli
2012; Papotti, Tomasi 2014). Linterdisciplinariet oppure si pu sciogliere
negli studi settoriali in cui i nessi tra geografia-letteratura sono fatti oggetto
di ricerche specifiche, che scorrono parallele ma che non necessariamente sono destinate a incontrarsi: la letteratura in quanto si occupa di temi
geografici, la geografia in quanto si occupa di temi letterari. Sar proprio
questultima lottica che seguiremo nelle prossime pagine in cui tenteremo
di sbrogliare, almeno in parte, lintricata matassa dei rapporti tra geografia
e letteratura ponendoci degli interrogativi che investono il senso di una
possibile convergenza tra le rispettive scritture: perch il geografo dovrebbe essere interessato ad esplorare le descrizioni paesaggistiche presenti

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nei testi letterari? In che modo deve essere condotta questesplorazione


o, in altre parole, quali sono i criteri di geograficit di questo approccio
ai testi? Come operare in maniera tale da produrre risultati che, per dirla
con Gabriele Zanetto (2001, p. 7), siano spendibili non solo tra i geografi,
ma reggano ad un esame generale? Consci del carattere necessariamente
sommario e parziale delle risposte che in questa sede potremo dare a tali
domande, tenteremo un primo livello di approssimazione funzionale ad
una definizione in chiave operativa della nozione di paesaggio letterario.
Partiamo dal primo interrogativo: vi una necessit interna che giustifichi il ricorso alla letteratura da parte del geografo quale strumento di
indagine della realt? Si tratta di una domanda per certi versi retorica, dal
momento che ad essa risponde in parte la cospicua produzione di lavori
che, dagli anni 70 del secolo scorso e sotto gli orientamenti pi diversi
che prendono il nome di geografia umanistica, culturale ecc., hanno inteso
guardare alla letteratura come ad una fonte di conoscenza geografica (Tuan
1976; Ley,Samuels 1978; Pocock 1981; Lando 1993; Brosseau 1996; Lvy
1997; Papotti 1996, 2011; De Fanis 2001; Incani 2007; Maggioli, Morri 2009; Cattedra, Madoeuf 2012, solo per citarne alcuni). Ma fingiamo
per un attimo con un facile esperimento mentale che questo non sia sufficiente e che un ipotetico interlocutore rifiuti questa risposta tacciandoci di
ricorrere con essa al classico principio dautorit; mettiamo tra parentesi
la cospicua bibliografia sullargomento per operare una sorta di epoch
fenomenologica e sforziamoci di definire i termini in cui la letteratura, mostrando in piena luce ci che altrimenti rimarrebbe avvolto nelloscurit
e mettendo al centro della scena ci che altrimenti resterebbe ai margini,
diviene espressione della relazione affettiva e simbolica che ci unisce ai
luoghi. Ricominciamo dunque daccapo: perch interrogare da geografi i
testi letterari e che cosa lecito aspettarsi da questo lavoro di scavo, appropriazione e verifica?
Fra le varie risposte possibili o esistenti assumeremo quella che individua nel luogo una nozione di importanza strategica per la corretta calibrazione del nesso geografia-letteratura. Procederemo pertanto invitando
il lettore a immaginare un triangolo ai cui vertici corrispondono la letteratura, i luoghi e la geografia. Mentre la letteratura intesa come arte del
linguaggio e identifica il regime non-ordinario della lingua nella misura
in cui questa trova espressione nel racconto di finzione (pi precisamente
la finzione narrativa), la geografia richiama, pi che la realt geografica
empiricamente e comunemente percepita, il sapere relativo ad essa, e quindi linsieme delle modalit iconiche e discorsive di rappresentazione del
mondo che gli sono proprie. Il luogo invece il termine medio, centrale,

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Dare senso al paesaggio

che rende possibile la mediazione tra gli altri due; poich il modo in cui
lo intendiamo a dare il tono a questa relazione, per il momento ci accontenteremo di definirlo brevemente come un posto [] dove succedono
cose che possono succedere solo l (Turco 2014, p. 22); in virt della
sua pertinenza ubicativa che il luogo suscita gli eventi; questi sarebbero
inimmaginabili o diversi se collocati altrove. Resta da vedere in che modo
avvenga questo, come cio si produca quella che ancora con le parole di
Turco chiameremo qualit topica5.
Schematizzando, le relazioni che intercorrono tra i vertici del triangolo
possono essere interpretate in almeno due modi, a seconda dellestensione
che attribuiamo al termine intermedio.
Nella prima, che per comodit chiameremo minimalista, le relazioni
di senso tra letteratura, luoghi e geografia sono modellate su uno schema
tutto sommato semplice, di tipo binario: da un lato, gli enunciati privi di
preoccupazioni di verit che si riferiscono a luoghi immaginari; dallaltro,
gli enunciati che sono attraversati da preoccupazioni di verit e che si
riferiscono a luoghi che hanno unesistenza reale. In entrambi i casi abbiamo
a che fare con atti di linguaggio: gli uni per sono atti o enunciati di finzione
che si applicano ad entit che non hanno esistenza hors-texte, ossia al di
fuori di tali enunciati; gli altri sono atti o enunciati di realt e si applicano
ad entit che esistono al di fuori e indipendentemente da tali enunciati. Si
tratta in breve di ci che Grard Genette (1991) chiama finzione e dizione,
cio di categorie congiuntamente esaustive e reciprocamente esclusive in
cui rientrano tutti gli atti linguistici: un enunciato finzione o dizione,
tertium non datur. La conseguenza pi immediata di questo schema
rigidamente binario in primis una concezione del testo e della scrittura in
cui i parametri estrinseci sono giudicati del tutto irrilevanti in favore delle
strutture immanenti dellopera (rien hors du texte, close reading). Anche
quando non lo dichiarano esplicitamente, le opere letterarie stipulano con
il lettore un contratto di finzione (Genette 1989, pp. 212 e ss.), ossia un
patto di finzionalit che dispensa dalla ricerca di altre chiavi di lettura che
5

Si tratta di un concetto centrale al quale ci richiameremo costantemente nella


nostra disamina del nesso geografia-letteratura; scrive Turco: Possiamo dire che
la qualit topica ha a che fare con localizzazioni non fungibili. Essa esprime una
pertinenza ubicativa: un rapporto di inerenza, concernente disposizioni che non
possono essere cambiate senza alterare la natura stessa di ci di cui si sta parlando.
[] Non sono condizioni oggettive a determinare una localizzazione, quanto lidea che gli uomini, i gruppi, le collettivit, i corpi sociali si fanno sulla necessariet di unubicazione, e sul significato sociale di quellassetto locazionale (Turco
2010, p. 139).

S. Aru, M. Tanca - Landscape is the everywhere of present

25

non siano quelle che si trovano nel testo: qualsiasi riferimento a luoghi
reali , come si suol dire, puramente casuale. Il testo letterario pu cos
essere descritto come un sistema chiuso, perfettamente autonomo e privo
di referente: lo spazio letterario per definizione un luogo del linguaggio,
una finzione, e il poeta come recita un noto verso di Pessoa egli stesso,
dichiaratamente, un fingitore. Questo modo di ragionare, che affonda le sue
radici nelle teorie dello strutturalismo e del post-strutturalismo francese,
efficacemente espresso da Michel Collot quando riassumendo le tesi di
Pierre Bayard, lautore di Come parlare di luoghi senza esserci mai stati
nota che leffetto di verit prodotto dal racconto non ha granch a che fare
con ladaequatio che questa instaura con un referente reale (geografico,
esistente al di l del testo); il referente finale del testo letterario in quanto
costituito da enunciati di finzione narrativa non un luogo reale ma il
pays intrieur dellautore, limago mundi privata in cui si specchia la
sua interiorit: Nella massa virtualmente infinita delle immagini e delle
informazioni prodotte a proposito di un luogo, lo scrittore seleziona quelle
che hanno senso per lui e le combina secondo una logica che non ha pi
niente di geografico n di storico (Collot 2014, p. 95). Cos, nel momento
stesso in cui il testo letterario mutua un elemento dalla realt come, ad
es., un designatore rigido: Pianura Padana, Monte Bianco, Rimini, Roma,
Sardegna ecc. questo si trasforma automaticamente in un elemento di
finzione6. Stanti queste premesse, non vi spazio per una indagine in chiave
geografica del testo di finzione se per indagine in chiave geografica del
testo di finzione intendiamo la ricerca di precise corrispondenze tra fatto
geografico e finzione letteraria. Questo per non vuol dire che il testo
6

Non va ovviamente sottovalutato il caso dei toponimi presenti nei testi letterari
che non avendo un corrispettivo reale Donnafugata nel Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Fontamara nellomonimo romanzo di Ignazio Silone,
ecc. sono il prodotto della libera fantasia degli scrittori (resta tuttavia aperta
la questione della loro verit ossia delle qualit topiche che essi veicolano).
Non del resto infrequente il caso in cui questi designatori siano allorigine di
curiose interferenze tra la geografia del mondo narrato e la geografia del mondo
reale. Per limitarci ad un esempio: nel 2003 lamministrazione comunale di Porto
Empedocle, il paese natale di Andrea Camilleri e in cui sono ambientate, sotto il
nome di Vigata, molte delle vicende del commissario Montalbano, chiede allo
scrittore lautorizzazione di poter affiancare il toponimo di invenzione al proprio
nome sui cartelli di benvenuto allingresso del paese. Liniziativa, previa concessione da parte di Camilleri, andata avanti fino al 2009 quando la nuova giunta
comunale, per protesta contro la decisione della produzione della fiction televisiva
di girare le riprese presso altre localit della Sicilia, ha levato il nome di Vigata dai
cartelli allingresso del paese (fulminanti implicazioni circolari, come si vede, tra
realt, letteratura, media).

26

Dare senso al paesaggio

letterario sia esclusivamente un fatto linguistico e letterario n tantomeno


che non possa essere interpretato come il racconto (la testualizzazione) di
una spazialit n infine che la sua geografia interiore sia meno vera e
perci indegna di attenzione (torneremo pi avanti su questo punto).
Il triangolo e i rapporti tra i suoi vertici possono essere interpretati anche
in un altro modo. Anche in questo caso, molto dipende dal valore che attribuiamo alla parola luogo. Innanzitutto, come Genette tiene a precisare
(1989, 1994), linserimento in un contesto di finzione o la subordinazione
a fini di finzione di enunciati di tipo geografico non necessariamente privano questi enunciati del loro valore di verit. Per quanto opere come la
trilogia marsigliese di Jean-Claude Izzo, romanzi come Rimini di Tondelli o racconti come i Narratori delle pianure di Celati, siano simulazioni
di enunciati di realt in cui trova espressione il mondo interiore dei loro
autori, non tutti gli enunciati che vi sono contenuti sono atti di finzione
n le topografie che essi veicolano o denotano costituiscono una forma di
comunicazione privata. Ospitando al loro interno degli isolotti non finzionali (Genette 1994, p. 50), queste opere possono essere descritte come
un amalgama pi o meno ben riuscito di elementi di diversa provenienza, alcuni dei quali attingono inequivocabilmente al paesaggio interiore
dellautore, mentre altri sono mutuati dalla realt. Una cosa certa: la
finzione non molto pi che realt reinventata [] le sue asserzioni non
sono chiaramente tutte ugualmente simulate, e nessuna di esse forse lo
rigorosamente e integralmente non pi di quanto una sirena o un centauro
siano integralmente esseri immaginari. Quel che vale per la finzione come
discorso vale per la finzione come entit o come immagine: il tutto pi
fittizio che ciascuna delle sue parti (ibid.). Una distinzione netta tra finzione e dizione puramente teorica, astratta; alla prova dei fatti in unottica che chiameremo geoletteraria per distinguerla da quella precedente
queste due categorie non solo non sono reciprocamente impermeabili,
ma interagiscono contaminandosi7. Si prenda a titolo di esempio il caso,
7

Un caso particolarmente evidente di questa ibridazione tra enunciati finzionali


ed enunciati non-finzionali rappresentato dalla non-fiction novel, genere misto
inaugurato da Truman Capote con A sangue freddo (In Cold Blood 1966) e ispirato ad un fatto di cronaca nera avvenuto in Kansas alla fine degli anni 50. Un
esempio pi recente, ben noto al lettore italiano, dato da Gomorra (2006) di
Roberto Saviano, un romanzo-reportage a volte rischiosamente in bilico tra due
generi, che pure hanno regole e statuti diversi (La Porta 2010, p. 66). In Gomorra
il fatto viene rielaborato secondo i modi della narrazione letteraria; e, tuttavia,
il risultato finale non pu essere definito a rigore unopera di finzione del tutto
priva di preoccupazioni di verit: La scrittura nasce da un sapere che, in prima
istanza, non letterario. Le prove che Saviano vanta devono poter essere trovate

S. Aru, M. Tanca - Landscape is the everywhere of present

27

ricordato da Francesco Fiorentino, dellepisodio dei Promessi sposi in cui


Renzo percorrendo le vie di una Milano sconvolta dalla peste alla ricerca di
Lucia, giunge infine nel lazzaretto di via Festa del Perdono. Questo snodo
narrativo offre lo spunto per una serie di interrogativi che toccano molto
da vicino i rapporti tra fatto e finzione: Ma questa citt che attraversiamo
con Manzoni o stata veramente Milano? Qual la vera Milano?
Quella che scorre davanti al nostro sguardo quando passeggiamo per Corso Magenta o via Brera? Quella che conosciamo attraverso Manzoni? O
Stendhal o tanti altri scrittori o il cinema o la televisione?. La risposta
la seguente: La distinzione, ovviamente, non possibile. Per ognuno di
noi, in gradi diversi, Milano un luogo fatto di realt e finzioni, esperienza personale e informazione culturale. E poi la finzione una dimensione
della realt istituita culturalmente, per pi o meno tacita convenzione. La
differenza tra essa e il reale (in qualunque modo lo si voglia definire) non
ontologica ed soggetta a periodiche rinegoziazioni (Fiorentino 2012,
p. 17). Certo, di fronte ad un discorso di finzione si riproporranno problemi
di decifrazione non dissimili da quelli riscontrati con i resoconti di viaggio
(Scaramellini 1993). In questo caso, per, non si tratta tanto di definire dei
meccanismi automatici di discriminazione e selezione collettiva e globale
per andare, mappa alla mano, a caccia di riscontri perfettamente oggettivi,
misurando ci che sta nel testo col metro di ci che sta fuori di esso
(quanto la Milano descritta da Manzoni coincide con la Milano reale?)8;
ma di riconoscere, nel dettaglio infinitamente complesso e variegato dei
procedimenti narrativi, la ricchezza di implicazioni circolari tra fatto e finzione. Un lavoro come il Dizionario dei luoghi letterari immaginari di

fuori dalla sua scrittura: se cos non fosse, tutto il suo libro si sgretolerebbe in una
polvere di finzioni (Donnarumma 2014, p. 12).
Una classificazione utile in tal senso distinguer tra, poniamo, luoghi immaginari
la cui geografia tuttavia coerente con quella del mondo reale (labbazia dellalta
Italia in cui sono ambientate le vicende del Nome della rosa di Eco, lisola patagonica di W o il ricordo dinfanzia di Perec, ecc.); e luoghi immaginari privi di unubicazione precisa o che si collocano in territori totalmente altri, che non hanno
niente a che fare col mondo quale lo conosciamo (la Middle Earth dei romanzi di
Tolkien, Flatlandia di Abbott, ecc.). Nel primo caso il locus imaginarius diviene
locus archetipico in cui si sintetizzano emblematicamente le qualit topiche di
tutti i luoghi a cui si allude, in un gioco di rimandi intertestuali (si veda a questo
proposito il bel volume di Gian Mario Anselmi e Gino Ruozzi sui Luoghi della
letteratura italiana, 2003); nel secondo, il locus imaginarius si configura come
negazione per astrazione di tutti gli altri luoghi, siano essi immaginari o soltanto
reali (in questo caso abbiamo a che fare con quella che Umberto Eco chiama
allotopia).

28

Dare senso al paesaggio

Anna Ferrari (Ferrari 2007) appare da questo punto di vista estremamente


stimolante per le sfide che pone al sapere geografico e ai metodi di analisi
di cui questo dispone. Cosa accadrebbe se cominciassimo a considerarlo
a tutti gli effetti un libro di geografia alla stregua del Tableau di Vidal o
di Postmetropolis di Soja? Ci che interessa il geografo nel suo modo di
approcciare i testi letterari9 non tanto lobiettiva difficolt di individuare
sempre, per ogni luogo immaginario, lesatta corrispondenza o ubicazione
nel fatto geografico, quanto leventualit che nella finzione narrativa lo
scrittore abbia introiettato competenze spaziali e modelli di relazione con il
vissuto dei luoghi (fosse anche solo per negarli): I mondi di invenzione
scrive Thomas Pavel sono i principali contenitori degli aspetti strutturali
che vengono impiegati a scopi referenziali (Pavel 1992, p. 218). Perci,
con movimento analogo a quello con cui la letteratura comparata si costituisce come ermeneutica geografica (Iacoli 2007), la geografia si configura
come ermeneutica letteraria. Questo significa utilizzare gli strumenti teorici e metodologici che le sono propri10 per compiere unesplorazione delle
rappresentazioni dei luoghi e dei paesaggi, delle figure della territorialit,
dei codici e dei saperi spaziali della finzione letteraria. Ma questo comporta
lassunzione del testo finzionale come archivio, laboratorio e palestra in
cui si sperimentano e si inventano geo-grafie, luoghi dellimmaginario e
immagini dei luoghi, in cui si provocano cortocircuiti virtuosi tra esperienza dei luoghi e invenzione, realt e immaginazione, fatto e finzione e
dove la parola, liberata da un rapporto di semplice aderenza con loggetto
che denota, si apre allevocazione del senso (Jakobson 1985, p. 53). Se la
9

Ma questo vale mutatis mutandis anche per i prodotti dellindustria cinematografica


e musicale.
10 Ivi compresi quelli cartografici. Non paia incongrua questa affermazione. Lanalisi cartografica dello spazio letterario pu produrre realmente risultati di grande
interesse e accrescere sensibilmente la nostra comprensione della geografia del
testo purch non si riduca a mera opera di georeferenziazione di luoghi letterari su
una carta topografica. Citiamo a questo proposito il lavoro che Muriel Rosemberg
e Florence Troin hanno dedicato al romanzo Total Khops di Jean-Claude Izzo
(Rosemberg, Troin, in corso di stampa) e che ci sembra superare i limiti intrinseci di un approccio cartografico ai testi come quello (pur non privo di spunti di
riflessione) dellAtlante del romanzo europeo di Franco Moretti (Moretti 1997).
Non secondario che Moretti il quale pure afferma che collocare un fenomeno
letterario nello spazio suo proprio non [] la conclusione del lavoro geografico, ma solo il suo inizio (ivi, p. 9) in seguito anche alle osservazioni critiche
di alcuni geografi italiani (Cerreti 1998; Lando 1998), abbia riconosciuto luso
improprio, nellAtlante, del termine geografia in luogo di cartografia. Si veda
lammissione contenuta in La letteratura vista da lontano: per me la geometria
significa di pi della geografia (Moretti 2005, p. 73).

S. Aru, M. Tanca - Landscape is the everywhere of present

29

letteratura ha dunque qualcosa da dire, e forse da insegnare, al geografo,


anche la geografia ha voce in capitolo.
3. Il paesaggio letterario: 4 definizioni
Finora abbiamo risposto, in maniera certo parziale e frammentaria, alle
prime due domande da cui eravamo partiti. Il racconto finzionale non un
fatto unicamente linguistico e letterario, che rinvia solo ed esclusivamente a se stesso, ma chiama in causa la geografia quale componente strutturale si potrebbe dire ineliminabile della narrazione. Lavorare more
geographico sul racconto non consiste (o non si esaurisce) nel produrre
censimenti il pi possibile esaustivi dei pezzi di mondo che lo scrittore
ha travasato (o travisato) nella propria opera, ma nellesplorazione della
soglia magica, sempre oscillante perch mai uguale a se stessa da opera a
opera e da autore ad autore, in cui ci che sta dentro e ci che sta fuori dal testo letterario per principio non sono n contrapposti come vero e
falso n identificati come se fossero una cosa sola, la sola, la stessa; simili
eppure differenti, essi definiscono un campo aperto di possibilit inerenti
le pertinenze ubicative e le qualit topiche in gioco. E questo richiede il
ricorso a categorie di analisi che non siano pi soltanto quelle della linguistica e della critica letteraria, e non perch queste risultino inefficaci o poco
stimolanti (una vasta bibliografia attesta decisamente il contrario), ma perch non sufficienti, da sole, a mettere in risalto la ricchezza di competenze
e semantiche topiche, di suggestioni spaziali e paesaggistiche che trovano
ospitalit presso i testi letterari11.
11 Ancora una volta si rimanda a Turco l dove, richiamandosi alla prospettiva vidaliana della geografia come scienza dei luoghi, definisce il luogo come qualit
spaziale e dispositivo di individuazione (Turco 2010, pp. 144 e sgg.). Il che ci
sprona a non sottovalutare la variet e la vastit dei livelli di analisi che sono
implicati in unindagine geografica dellopera darte. Spostandoci per un attimo in
un campo che non pi propriamente (soltanto) letterario, ma (anche) musicale:
che cos (o cosa si deve intendere per) la geografia della Zauberflte mozartiana? I luoghi in cui lopera stata composta (il piccolo padiglione di legno messo
a disposizione per Mozart da Schikaneder e che oggi, smontato, si trova a Salisburgo) e rappresentata per la prima volta (il teatro Auf der Wieder, in quella che
era allora la periferia di Vienna)? La serie degli scenari e degli ambienti previsti
dal libretto (paesaggi rocciosi, templi, monti, sale egizie, palmeti, giardini, ecc.)?
La geografia culturale delle fonti letterarie (lo Zauberstck o teatro meraviglioso
dascendenza barocca, il Singspiel, il teatro comico viennese, il mito dellEgitto
esoterico, il repertorio fiabesco austro-tedesco) e degli stili utilizzati dal composi-

30

Dare senso al paesaggio

ritornando ad occuparci pi specificamente di descrizioni paesaggistiche letterarie che tenteremo di abbozzare una risposta al quesito relativo
alla valenza di un approccio alla letteratura come quello geografico e definire in termini pi precisi in cosa consista la dote che il geografo porta
nello studio dei testi letterari ossia quale sia il contributo specifico che pu
dare a questo campo di indagine. Per fare questo sposteremo ancora una
volta il focus del nostro punto di osservazione in direzione di quellampio spettro di configurazioni di senso, realizzate o potenziali, simboliche
o mimetiche, che pu assumere il paesaggio (concetto liquido, come abbiamo suggerito fin dalle prime pagine di questa Introduzione). Se, come
crediamo, in questa gamma molto variegata rientra anche il paesaggio
letterario, ci implica, da un lato, che la sua logica di funzionamento richiami nelle sue linee essenziali la logica di funzionamento del paesaggio
tout-court (di cui rappresenta in qualche maniera unapplicazione e una
variazione); daltra parte, il paesaggio letterario s paesaggio, ma dotato
di tali tratti caratteristici da richiedere una trattazione a parte, specifica, che
ne evidenzi le peculiarit. questo che ci apprestiamo a fare scegliendo di
concentrarci ora su quattro definizioni. Si tratta certamente di una scelta
deliberata e arbitraria, forse anche contestabile le definizioni avrebbero
potuto essere di pi, oppure di meno; esse ci appaiono nondimeno funzionali allo scopo che ci siamo preposti in queste pagine: illuminare, di volta
in volta da una diversa angolazione, un aspetto essenziale della questione
che intendiamo trattare.
Procediamo qui in base al piano che ci siamo dati e domandiamoci: che
cos, propriamente parlando, un paesaggio letterario? Questo interrogativo potrebbe apparire a prima vista superfluo; ciascuno di noi confrontandosi con le forme narrative tipiche dei testi letterari, non ha particolari
difficolt a rispondere: (I) il paesaggio letterario la descrizione letteraria
di un paesaggio. Si prendano i seguenti brani tratti dallopera letteraria di
tre autori del 900 italiano:
Pioveva. Per qualche tempo, egli rimase con la fronte contro i vetri della
finestra a guardare la sua Roma, la grande citt diletta, che appariva in fondo
cinerea e qua e l argentea tra le rapide alternative della pioggia spinta e respinta dal capriccio del vento in unatmosfera tutta egualmente grigia, ove ad intervalli si diffondeva un chiarore, sbito dopo spegnendosi, come un sorridere
fugace. La piazza della Trinit de Monti era deserta, contemplata dallobelisco
solitario. Gli alberi del viale lungo il muro che congiunge la chiesa alla Villa
tore (il lied popolare e aristocratico, lopera comica e seria allitaliana, la tragdie
lyrique, lo stile liturgico e il corale luterano)?

S. Aru, M. Tanca - Landscape is the everywhere of present

31

Medici, si agitavano gi seminudi, nerastri e rossastri al vento e alla pioggia.


II Pincio ancora verdeggiava, come unisola in un lago nebbioso (Gabriele
DAnnunzio, Il piacere, 1889).
Egli si mosse ed and alla finestra; il sole era scomparso, e una bassa, fitta
cortina di nubi grigie stava sospesa sulla citt. Lisa abitava al primo piano, ma
la casa sorgeva sopra una specie di collina, e da quella parte un vasto panorama
di tetti si stendeva davanti alla finestra; comignoli, tegole, terrazze, abbaini,
poggiuoli, tutta la visione aveva sotto il cielo grigio un umido e uggioso colore
tra giallo e marrone, a cui il vetro difettoso della finestra prestava delle sbavature e delle deformazioni di scenario scolorito e mal dipinto; pi lontano il
fumo che ogni casa esalava si confondeva con le nubi e formava una specie di
nebbia nella quale i profili irregolari dei tetti e la selva dei camini perdevano
ogni prospettiva, sinfittivano, si confondevano (Alberto Moravia, Gli indifferenti, 1929).
Raggiunse la terrazza. Era una notte straordinariamente limpida. I campanili
delle chiese, le torri, la cupola di Brunelleschi, Orsanmichele, si illuminavano
nello sfondo come tante diapositive turistiche proiettate sulla parete brillante
e quasi fosforescente della citt vista dallalto. Le serpentine di luci arancioni
disegnavano i contorni dei grandi viali di circonvallazione. Dalla parte opposta
correva la fossa nera dellArno contenuta fra due sponde di luci bianche e spioventi. La facciata di San Miniato era l, in alto sulla collina, straordinariamente
illuminata (Pier Vittorio Tondelli, Rimini, 1985).

Nei tre brani proposti, i cui autori non potrebbero essere pi distanti
tra loro per personalit e collocazione temporale e culturale, ritroviamo
tuttavia un discreto numero di motivi ricorrenti. Ognuno di essi individua
un blocco semantico dato dallinterruzione della narrazione (cio del flusso
di azioni o eventi su cui si regge la dimensione temporale del racconto) e
introdotto dal gesto di un personaggio che forte di una posizione privilegiata sopraelevata si accinge alla perlustrazione visiva del mondo pu
essere qualcuno che sta con la fronte contro i vetri della finestra, va
alla finestra oppure raggiunge la terrazza; questatto ricorda ad ogni
modo lapertura di un sipario che svela una quinta teatrale, sulla quale
posta in bella mostra una serie di oggetti. Questo blocco, facilmente distinguibile da tutto in cui si inserisce, pu essere estratto, quindi letto e
decifrato autonomamente dalle condizioni in cui stato emesso. Per darci
cosa? Una descrizione di oggetti colti nella loro simultaneit e in cui il
corso del tempo sembra essere momentaneamente sospeso; cio come
se per usare unespressione di Genette (1989, 1994) il narratore si fosse
allontanato per un attimo per far posto alla sola funzione ostensiva. Abbiamo cos la Roma piovosa e ventosa del Piacere descritta da DAnnunzio

32

Dare senso al paesaggio

attraverso sensazioni visive opache (cinerea, argentea, grigia, ecc.) qua e


l intervallate da fugaci chiarori e in cui spiccano alcuni dei suoi principali
iconemi (Trinit de Monti, il Pincio, la Villa Medici). Ancora, la Roma
degli Indifferenti, rappresentata da Moravia in un indecifrabile foggy day,
citt anonima in cui tuttavia emergono i profili irregolari dei tetti (un vasto panorama nel quale si assembrano comignoli, tegole terrazze, abbaini,
poggiuoli) e colori scoloriti, sbavati, tra giallo e marrone. Infine, la Firenze
notturna di Tondelli, limpida, brillante, quasi fosforescente, i cui iconemi
(i campanili, le torri, la cupola di Santa Maria del Fiore, lArno, ecc.) si
dispongono come tante diapositive turistiche. Non sfugga il carattere
eminentemente decorativo di queste descrizioni paesaggistiche: per quanto
ampie e particolareggiate, esse rappresentano un ornamento del discorso,
tableaux indpendants che nulla tolgono e nulla aggiungono alla narrazione dalle cui vicende risultano peraltro slegate, quasi appartate. Limitandosi
a denotare il referente, queste unit isolabili non vanno al di l della parola
in quanto parola: il segno si fonde interamente con loggetto effetto di
reale per dirla con Barthes (1988). Il paesaggio letterario inteso in questo
modo, come descrizione avulsa dalla narrazione e fine a se stessa, enumerazione, censimento o catalogo delle cose descritte qui una piazza, l una
processione di tetti, di l i grandi viali di una circonvallazione, ecc. vive
dellimmediatezza dello sguardo che un soggetto rivolge ad un mondo di
oggetti preesistenti e lontani rispetto ai quali egli unicamente spettatore
passivo e inerte, dacch essi non hanno alcuna funzione allinterno delle
vicende che lo riguardano. Concezione questa che trova il proprio corrispettivo geografico nella veduta, ossia in un codice che del disegno topografico, cui strettamente imparentato, condivide la ratio geometrica e
con essa i valori di precisione, nettezza e regolarit (Romano 1991; Quaini
1991; Bousquet-Bressolier 1995; Nuti 1997). vera e propria scenografica
veduta, ad es., la seguente descrizione nel modo in cui denota le cose, enumera le parti, dispone dei piani visivi per produrre leffetto di reale:
Una sera, in luglio, Noemi stava seduta al solito posto nel cortile, cucendo.
La giornata era stata caldissima e il cielo dun azzurro grigiastro pareva soffuso
ancora della cenere dun incendio di cui alloccidente si smorzavano le ultime
fiamme; i fichi dIndia gi fioriti mettevano una nota doro sul grigio degli orti
e laggi dietro la torre della chiesa in rovina i melograni di don Predu parevano
chiazzati di sangue (Grazia Deledda, Canne al vento, 1913).

Restituzione mimetica di un complesso di oggetti (fichi dindia, orti, le


torri della chiesa in rovina, ecc.) cos come della loro distribuzione nello

S. Aru, M. Tanca - Landscape is the everywhere of present

33

spazio (segnalata dallutilizzo dei topodeittici: alloccidente/laggi/dietro),


il paesaggio-veduta vive qui di una vita propria che si legittima da s.
La funzione decorativa, pur molto diffusa in letteratura, non tuttavia
lunica che pu essere assolta dal paesaggio. Lungi dallesaurirsi in unelencazione pi o meno lunga e particolareggiata di una serie di oggetti,
questo pu infatti costituire parte integrante di una narrazione rispetto alla
quale cessa di essere un elemento distinto e secondario. Le potenzialit
narrative implicite nel dispositivo paesaggistico erano ad es. ben chiare a
Italo Calvino quando, in Ipotesi per la descrizione di un paesaggio (1995)
scrive che si comincia credendo che loperazione sia semplice, delimitare
un pezzo di spazio e dire tutto ci che vi si vede; egli per aggiunge che,
fin da subito, il metodo da seguire nella descrizione diventa altrettanto importante che il paesaggio descritto: la scelta tra una descrizione statica, da
fermi, come di solito stanno i pittori, oppure in movimento moltiplicando i punti di vista, delinea lalternativa tra veduta e paesaggio (o, il che
lo stesso, tra osservare e partecipare per dirla con Gyrgy Lukcs). Calvino
ne conclude che una descrizione scritta unoperazione che distende lo
spazio nel tempo, e pertanto una descrizione di paesaggio, essendo carica di temporalit, sempre racconto (Calvino 1995, pp. 96-97). Quando
questo accade, e gli enunciati che lo riguardano non possono essere letti
in maniera autonoma dalle condizioni in cui vengono emessi pena la
loro indecifrabilit siamo ben oltre il paesaggio-veduta. Incorporato nel
racconto, non pi elemento che fa da sfondo accessorio agli eventi ma intimamente fuso con essi, il paesaggio diviene evento, esperienza narrativa,
declinazione del soggetto che [] si autorappresenta come il protagonista
di una storia (Turco 2010, p. 124). Arriviamo cos alla nostra seconda definizione: (II) il paesaggio letterario la trascrizione dellesperienza del
paesaggio compiuta da un personaggio o da una voce narrante (lio in
movimento, di cui parla Calvino, nel suo relazionarsi con un territorio).
Si prenda a tal proposito lincipit della Casa in collina (1948) di Cesare
Pavese:
Gi in altri tempi si diceva la collina come avremmo detto il mare o la
boscaglia. Ci tornavo la sera, dalla citt che si oscurava, e per me non era un
luogo tra gli altri, ma un aspetto delle cose, un modo di vivere. Per esempio,
non vedevo differenza tra quelle colline e queste antiche, dove giocai bambino
e adesso vivo: sempre un terreno accidentato e serpeggiante, coltivato e selvatico, sempre strade, cascine e burroni. Ci salivo la sera come se anchio fuggissi
il soprassalto notturno degli allarmi, e le strade formicolavano di gente, povera
gente che sfollava a dormire magari nei prati, portandosi il materasso sulla
bicicletta o sulle spalle, vociando e discutendo, indocile, credula e divertita.

34

Dare senso al paesaggio

Si prendeva la salita, e ciascuno parlava della citt condannata, della notte


e dei terrori imminenti. Io che vivevo da tempo lass, li vedevo a poco a poco
svoltare e diradarsi, e veniva il momento che salivo ormai solo, tra le siepi e il
muretto. Allora camminavo tendendo lorecchio, levando gli occhi agli alberi
familiari, fiutando le cose e la terra. Non avevo tristezze, sapevo che nella notte
la citt poteva andare tutta in fiamme e la gente morire. I burroni, le ville e i
sentieri si sarebbero svegliati al mattino calmi e uguali. Dalla finestra sul frutteto avrei ancora veduto il mattino. Avrei dormito dentro un letto, questo s. Gli
sfollati dei prati e dei boschi sarebbero ridiscesi in citt come me, solamente
pi sfiancati e intirizziti di me. Era estate, e ricordavo altre sere quando vivevo
e abitavo in citt, sere che anchio ero disceso a notte alta cantando o ridendo,
e mille luci punteggiavano la collina e la citt in fondo alla strada. La citt era
come un lago di luce. Allora la notte si passava in citt. Non si sapeva chera un
tempo cos breve. Si prodigavano amicizie e giornate negli incontri pi futili.
Si viveva, o cos si credeva, con gli altri e per gli altri.

Bench ritornino qui alcuni degli elementi che abbiamo gi incontrato


negli esempi precedenti (come la finestra sul mondo), questo brano introduce qualcosa che del tutto assente nei passi citati pocanzi di DAnnunzio, di Moravia e di Tondelli, imperniati comerano su una divisione molto
rigida tra descrizione e narrazione, spazio e tempo, stasi e movimento. In
Pavese non solo difficile affermare con assoluta certezza dove finisca
luna e dove cominci laltra ma, soprattutto, il paesaggio della Casa in
collina non uno scenario immobile al quale gli uomini si rapportano
esclusivamente in qualit di spettatori; al contrario, sono proprio le interazioni che essi stabiliscono con i suoi elementi costitutivi (collina, citt,
siepi, strade, prati, ville, ecc.) a nutrire lorganizzazione del racconto. Se
questo accade perch il regime di spazialit cui fanno riferimento questi
autori non lo stesso. In DAnnunzio, Roma in fondo; in Moravia, Lisa
abita al primo piano ma sopra una specie di collina; in Tondelli, Firenze
vista dallalto, da una terrazza, ecc. La spazialit in altre parole strutturata in maniera molto rigorosa: alto e basso, vicino e lontano,
soggetto e oggetto si escludono reciprocamente, identificando il luogo
(o per meglio dire la sede) in cui si trovano, rispettivamente, colui che,
stando immobile, contempla la realt e la serie degli oggetti che riempiono
di s la visione. Tutto il contrario di quel che accade in Pavese. Nel passo
riportato della Casa in collina lorganizzazione dello spazio non rispecchia
semplicemente la separazione tra, da un lato, un punto di osservazione e,
dallaltro, unestensione terrestre; collina e citt rappresentano non i poli
opposti di una dicotomia ma le mete entro cui si svolgono le peregrinazioni
dei personaggi del romanzo, veri e propri soggetti mobili non irrigiditi in
una statica contemplazione del reale (i loro spostamenti vanno dalla collina

S. Aru, M. Tanca - Landscape is the everywhere of present

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alla citt e poi di nuovo dalla citt alla collina). Rispetto al paesaggioveduta, questa modalit descrittiva non ci restituisce soltanto la fisionomia
dei luoghi un terreno accidentato e serpeggiante, coltivato e selvatico, sempre strade, cascine e burroni ma ci spiega in che modo questa
interagisca con le vicende che riguardano gli uomini: nutrita di precise
competenze territoriali, la narrazione pavesiana fiuta le cose e la terra,
strutturata cio in maniera tale che n i luoghi descritti, n le loro propriet
essenziali possano essere mutati senza che questo alteri o comprometta
profondamente la natura stessa degli eventi narrati. Un procedimento analogo ritorna in un passaggio, simile per ambientazione e lintensit della
compenetrazione tra geografia e racconto (la guerra, la collina), tratto dal
Partigiano Johnny di Beppe Fenoglio:
Oltre Mango, stava il vero Sinai delle colline, un vasto deserto con nessuna
vita civile in cresta ed appena qualche sventurato casale nelle pieghe di qualche
vallone. La notte era completa, il sentiero invisibile sotto i piedi tentanti, e un
vento sinistro, come nascente da un cimitero di collina, soffiava a strappi, e nel
suo calo lintera atmosfera crocchiava, come per una frizione dei suoi stessi
strati di gelo. Solo i cani di guardia dei casali a mezzacosta, fiutando il loro
soprano passaggio, latravano brevi e irosi, coi loro padroni che certo li maledicevano e gli promettevano morte per quel deprecato e forse fatale indizio di
vita. Pi avanti, il poderoso versante si invertiva e maestosamente incombeva
sulla Valle Belbo. Gli uomini sostarono un minuto e guardarono e rifletterono
gi bella valle doomed, doomed for the morrow, un immoto mare dinchiostro.
Poi risollevarono gli occhi e li livellarono alla grande collina dirimpettaia di
Castino, la sua cresta rigorosamente spenta semiaffogata nella notte, e pensarono a Nord e agli uomini intorno a lui, ai tedeschi e cannoni di domani.

Ritroviamo in questo frammento la tendenza a fluidificare i movimenti


dei soggetti che interagiscono col paesaggio. La spazialit che Fenoglio
vi tratteggia mobile, discontinua e irregolare; il paesaggio delle Langhe
tra Mango, Villa Belbo e Castino, con le articolazioni di colline e valli, di
sentieri e casali, non lo ribadiamo un elemento accessorio alla lotta partigiana; formazione geografica concreta (Turco 2010, p. 123) che
scricchiola e soffia, incombe e gonfia la notte con i suoi latrati, esso non
un luogo tra gli altri, ma, per recuperare la felice espressione di Pavese,
un modo di vivere. Un senso di appartenenza che si manifesta infine nel
seguente esempio, tratto ancora da Rimini di Tondelli; di nuovo una collina, ma una collina lontanissima non soltanto nel tempo e nello spazio da
quelle di Pavese e Fenoglio:

36

Dare senso al paesaggio

Prendemmo la sua auto, una vecchia spider Alfa Romeo. Il motore romb
salendo la collina di Riccione alta. Susy guidava con molta perizia, ma anche
con una specie di disinvolta sbadataggine. Si voltava verso di me e sorrideva
nel vedermi perso a scrutare il paesaggio.
Faceva fresco ed era piacevole viaggiare scoperti. Lodore della salsedine si
mescolava a quello della collina, degli alberi, della campagna. Abbordammo
un piccolo tornante. Improvvisamente il cielo di un profondo blu notte si apr
sulla visione della riviera con le strisce luminose delle automobili, i fari, le
insegne degli alberghi non pi distinguibili se non in confusi bagliori luminosi.
E le citt, le citt dai nomi cos perfettamente turistici Bellariva, Marebello,
Miramare, Rivazzurra apparvero come una lunga inestinguibile serpentina
luminosa che accarezzava il nero del mare come il bordo in strass di un vestito
da sera. Poich se da un lato tutta la vita notturna rifulgeva nel pieno del fervore
estivo, dallaltro esistevano solo il buio, il profondo, lo sconosciuto; e quella
strada che per chilometri e chilometri lambiva lAdriatico offrendo festa, felicit e divertimento, quella strada per cui avevo da ore in testa una sola frase
per poterla descrivere e cio sotto locchio dei riflettori, ecco, quella stessa
scia di piacere segnava il confine fra la vita e il sogno di essa, la frontiera tra
lillusione luccicante del divertimento e il peso opaco della realt. Ma non si
trattava che di un lungomare e non di un regno. Si trattava di una strada sottile
che separava i due territori di desolazione della terra e del mare.

In questo paesaggio notturno, percorso con lo sguardo da una vecchia


spider che rombando ne aggredisce salite e tornanti, la Riviera romagnola
appare qualcosa di pi della sequenza di citt dai nomi perfettamente turistici disposti sul lungomare; essa disegna piuttosto una contrapposizione
molto netta tra due modi di vivere apparentemente inconciliabili: da un
lato, la vita notturna che rifulge nel pieno del suo fervore estivo, illusione
luccicante del divertimento, piacere, sogno; dallaltro, il buio, il profondo
e lo sconosciuto: il nero, la vita, il peso opaco della realt. Vita e sogno:
due territori della desolazione che si divaricano e si appartengono, ma il cui
confine (insieme geografico e simbolico) puramente illusorio, fittizio.
cos che la descrizione del paesaggio turistico, che a prima vista potrebbe
ricordare nei suoi modi esteriori la veduta, assume ad un tempo il valore di
un lavoro di sintesi e condensazione che permette di leggere in trasparenza
il territorio e di una denuncia delle sue contraddizioni pi spettacolari e
lancinanti.
Passiamo ora alla terza definizione. Sinora ci siamo concentrati pi sui
differenti modi in cui il paesaggio pu essere rappresentato nel testo di
finzione; si tratta ora di fare un passo indietro per leggerlo in termini genetici in quanto forma strutturante, pratica di scrittura, insieme di condizioni
enunciative e discorsive che integrandolo nello spazio del testo lo dotano
di unesistenza verbale. Diremo allora che (III) il paesaggio letterario

S. Aru, M. Tanca - Landscape is the everywhere of present

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il prodotto di un processo di verbalizzazione dello spazio e di testualizzazione del sapere. Questa definizione ha per noi un corollario molto importante: se anche stabilissimo che tutti gli enunciati relativi al paesaggio
presenti in un racconto finzionale non fossero altro che asserzioni simulate, prive di referenti esterni, questo non ne inficerebbe il valore cognitivo
allo stesso modo per cui ammettere che la scrittura geografica non il
fedele duplicato della realt esterna (Barnes, Duncan 1992, p. 4) non ci
impedisce di riconoscerle la capacit di leggere e interpretare i processi
di territorializzazione. A conti fatti, ragionare sulle condizioni di dicibilit
del paesaggio significa evidenziare i meccanismi referenziali e modali che
stanno alla base della sua verbalizzazione rendendola possibile, e che accomunano fatto e finzione segnalando lesistenza di una problematica
comune tra i discorsi dello scrittore e quelli del geografo (la testualizzazione di una pertinenza ubicativa). I segnali che ci troviamo in presenza della
descrizione di un paesaggio del resto non mancano. Ci riferiamo in primis
a quellarticolato campionario di indizi testuali caratteristici (mediazioni,
segnali, ecc.) che concorrono a produrre leffet paysager (Gendrat-Claudel
2007, pp. 132 e ss.): linsistenza, a livello generale, sul registro visivo (pi
evidente e persino dichiarato in quello che abbiamo chiamato paesaggioveduta, implicito ma non necessariamente dominante nel paesaggio-evento) e, pi in particolare, lintroduzione di un soggetto statico o in movimento che contempla il paesaggio percorrendone con lo sguardo lestensione;
la delimitazione-individuazione delloggetto e quindi del campo descrittivo (potenzialmente illimitato) mediante lutilizzo di figure retoriche come
la metafora, la presenza di toponimi (Roma, Arno, Valle Belbo, Adriatico)
e il ricorso ad un lessico geografico (negli esempi citati in precedenza:
deserto, collina, cresta, vallone, valle, versante, campagna, casale, cascine,
orti, boscaglia, burroni; citt, tetti, piazze, ville, campanili, chiese; riviera,
lungomare; tornante, circonvallazione; panorama, scenario, prospettiva);
lindicazione delle condizioni temporali e atmosferiche (estate; luglio;
sera, notte; pioggia, vento, nebbia); limpiego di topodeittici che gerarchizzando lo spazio, assicurano la spazializzazione della descrizione (in
fondo, qua e l, oltre, lass, dalla parte opposta, laggi, pi lontano); infine
la loro verbalizzazione (mise en discours) ossia il coordinamento dinamico di tutte queste eterogeneit in discorso. Tutti questi elementi discorsivi
e anche retorici (nella misura in cui esiste una retorica del paesaggio)
dispensano lenunciante dallavvertire ogni volta il lettore che quella che
seguir una descrizione paesaggistica; da questo punto di vista la loro
funzione performativa: fanno succedere il paesaggio semplicemente
descrivendolo. Cos, nel momento in cui il rischio di un testo inaccessibile

38

Dare senso al paesaggio

al lettore pena la sua esclusione dalla comunicazione e quindi il fallimento della medesima (Hamon 1972) scongiurato, il paesaggio perde ogni
opacit per mostrarsi in tutta la sua trasparenza e intelligibilit (leggibilit).
La comunicazione salva: descrivere il paesaggio equivale a produrre un
sapere sul paesaggio (Mondada 1994, pp. 501-502). A dimostrazione del
fatto che tanto per lo scrittore quanto per il geografo descrivere il paesaggio implichi il rispetto di determinate procedure di verbalizzazione delle
qualit topiche, si prendano i seguenti brani e tenti il lettore di identificarne
con assoluta certezza la provenienza:
La landa di Lessay una delle pi considerevoli di questa parte della Normandia che si chiama penisola del Cotentin. Paese di coltivazioni, di vallate
fertili, di pascoli verdeggianti, di fiumi pescosi, il Cotentin, questa Temp
della Francia, questa terra grassa e smossa ha tuttavia come la Bretagna, sua
vicina povera di arbusti, delle parti sterili e nude, dove luomo passa oltre e da
cui non si ricava niente, se non unerba rara e qualche brughiera subito inaridita. Questassenza di colture, questi posti privi di vegetazione, queste teste calve
per cos dire, formano solitamente uno stupefacente contrasto con i suoli che le
circondano. Come le oasi verdeggianti in cui ci si imbatte tra le sabbie del deserto, esse sono le oasi aride di questi paesi coltivati. Tutta un tratto gettano su
questi freschi paesaggi ridenti e fecondi intervalli di malinconia, arie inquiete,
aspetti severi, ombreggiandoli con sfumature pi scure. In genere queste lande hanno un orizzonte assai limitato. Entrandovi, il viaggiatore percorrendole
con lo sguardo ne percepisce il limite. Dappertutto, le siepi dei campi arati lo
circoscrivono.
Questa linea di altezza separa dal Bassin di Laval il bocage normanno,
analogo al bocage vandeano ma con la sfumatura speciale che un altro clima,
altri rapporti di contiguit e di vicinanza gli comunicano. Sotto il reticolo di
alberi le nebbie si addensano e trattengono lumidit al suolo. I diversi piani
del paesaggio si staccano nella bruma, e sfumano in dentellature boscose uno
dietro laltro. Dappertutto, attraverso gli alberi, brilla la prateria. Il bestiame,
senzaltro guardiano che le siepi, sembra il padrone del paese. Perch lo sguardo raramente pu estendersi; e dello spettacolo della vita rustica che prosegue
tranquillamente tuttattorno, non coglie che qualche dettaglio. Tuttavia non
mancano i segni attraverso i quali si manifestano le propriet intime del clima e
del suolo. La vegetazione di alberi esibisce una variet di essenze che lontana
dallavere nelle pianure vicine. In mezzo alle ginestre e alle felci la frequenza
degli agrifogli, delledera, dellalloro potrebbe far supporre al viaggiatore, dal
fondo dei sentieri dove imprigionato, la vicinanza dellOceano, quandanche
non vedesse le grandi nuvole che passano sopra la sua testa, e laspetto spesso
tempestoso del cielo.

S. Aru, M. Tanca - Landscape is the everywhere of present

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Descrizione geografica o descrizione letteraria? E quale luna, e quale laltra? Questi due frammenti condividono retoriche e indizi testuali al
punto tale da rendere difficile unidentificazione immediata. Difficolt che
ci porta direttamente a quello che il nucleo essenziale di una problematica della testimonianza, ossia di una discussione critica sui mezzi di
produzione della rappresentazione paesaggistica: la denominazione, intesa
qui come il primo dei gesti che mirano a fissare lindividualit delloggetto
descritto (lalternanza di pieni e di vuoti nel primo caso, il bestiame che
non ha altro guardiano che le siepi nel secondo); lattenzione per le propriet sensibili e le qualit espressive del paesaggio, equamente distribuita
in entrambi (intervalli di malinconia, arie inquiete, aspetti severi nelluno; sfumature speciali, brillio della prateria, aspetto tempestoso del cielo nellaltro); lintroduzione della figura del viaggiatore che ne perlustra
lorizzonte (con lo sguardo ne percepisce il limite/lo sguardo raramente
pu estendersi, ecc.) contribuiscono a ribadire la corrispondenza tra testo e
mondo descritto: la descrizione del paesaggio si arresta l dove al viaggiatore preclusa la possibilit di spingere pi in l il proprio sguardo. Cos,
dopo insistite affinit, scopriamo con un po di stupore che gli autori dei
due brani non potrebbero essere pi diversi: luno, Jules Amde Barbey
dAurevilly, scrittore romantico e visionario, dandy e decadente, lautore
del primo brano, tratto dal suo romanzo LEnsorcele (1852); laltro, Paul
Vidal de La Blache, autore del secondo brano, tratto dal Tableau de la
gographie de la France (1903), il padre fondatore della gographie humaine e maestro diretto e indiretto dei maggiori geografi francesi del XIX
secolo. Comuni ad entrambi sono dei meccanismi percettivi e discorsivi in
cui sguardo e sapere, visibile ed enunciabile, presenza ed essere si rispecchiano vicendevolmente, cosicch vi perfetta aderenza tra loggetto del
discorso e il discorso sulloggetto: Non vi sono differenze significative tra
lo sguardo del geografo classico e quello del romanziere della stessa epoca. Non tutto rientra nel campo visivo, ma tutto pu rientrarvi (Raffestin
1985, p. 31). Tanto Barbey dAurevilly quanto Vidal dipingono le loro
scene; essi ci consegnano un testo che un vero e proprio tableau, cio un
quadro in parole12.
Il testo dunque un tableau (si pensi ai Tableaux parisiens di Baudelaire), un quadro composto, anzich da forme e colori, da parole (esattamente
12 La nostra disamina chiaramente incompleta perch priva di un elemento sul
quale per evidenti ragioni di spazio non possiamo dilungarci in questa sede: allanalisi delle componenti geografiche della narrazione deve essere affiancata quella
della dimensione narrativa della rappresentazione geografica, certo minoritaria
in un discorso che si vuole scientifico, ma non per questo del tutto assente.

40

Dare senso al paesaggio

come le Ansichten der Natur di Humboldt) e queste parole sono segni che
stanno in luogo di qualcosa. Ne dobbiamo dedurre che la descrizione dipinge direttamente il proprio oggetto? Per ragioni strettamente connesse
alla natura del testo quale sistema di segni a raggruppamenti crescenti in
cui cio i significati e i significanti si sovrappongono stratificandosi (Segre
1974, pp. 3 e sgg.), cosicch ogni parola, da significato, diviene a sua volta
significante di un significato frastico e a loro volta i gruppi di frasi funzionano come significanti di un significato narrativo complessivo ecc. la risposta negativa. Una sequenza di enunciati percepita come una buona
descrizione paesaggistica solo se non viene recepita come mediazione di un
atto di comunicazione. In quel caso le parole e le cose convergono in un isomorfismo che non lascia pi molto spazio alla differenza tra ci che viene
enunciato e il modo in cui viene enunciato. La quarta definizione ci dice
perci che (IV) il paesaggio letterario la rappresentazione di una rappresentazione. Descrizioni come quelle di DAnnunzio, di Moravia e di Tondelli, brani allapparenza compatti e lineari, ad un esame pi accurato appaiono
costituiti da stanze che si aprono su altre stanze come in un labirinto che non
svela da subito la sua vera natura. Allingresso troviamo infatti un oggetto
allapparenza innocuo: una cornice. Descrivere, come spiega Roland Barthes
in S/Z, porre una cornice davanti alla realt (Barthes 1973, p. 54). Si tratta
di un gesto importantissimo, insieme pratico e teorico, ben noto ai fotografi
strettamente connesso a ci che Luigi Ghirri nelle sue Lezioni chiama il problema della soglia (Ghirri 2010, pp. 53, 153-157). Porre la cornice equivale
infatti a fondare ci che [si] vede ossia a decidere quali soggetti includere
e quali escludere dallinquadratura; senza questa selezione, la realt intesa
come la serie virtualmente infinita delle relazioni che hanno luogo tra le cose
resterebbe muta, inaccessibile alla parola in ci che essa ha di intelligibile
ma anche di non intelligibile. Sovrapporre la cornice significa pertanto, in
termini operativi, trasformare questa serie virtualmente infinita di relazioni
in una serie finita di cose assicurandosene lintelligibilit attraverso un lavoro di selezione e ritaglio. cos che, ridotto il referente a mera collezione di
oggetti, a immagine, veduta, simulazione della sua essenza, giacch di Roma
o della Riviera romagnola in ci che esse hanno di inesauribile e inestricabile, noi cogliamo soltanto linsieme delle sue fattezze visibili: non pi luogo,
ma imago loci (Trinit de Monti e Villa Medici in DAnnunzio, una lunga
teoria di tetti con i loro comignoli e loro tegole in Moravia, le insegne degli
alberghi delle citt dai nomi turistici in Tondelli, ecc.). Perch si possa parlare di paesaggio letterario non per sufficiente ricondurre il reale ad un
oggetto dipinto: non si tratta tanto di vedere Roma o la Riviera romagnola,

S. Aru, M. Tanca - Landscape is the everywhere of present

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quanto di farle vedere al lettore13. Occorre pertanto staccare limmagine


cos ottenuta dalla sua cornice, come suggerisce ancora Barthes, e operare
una seconda mimesi che mascheri, occultandole, le condizioni dellenunciazione. Solo cos il testo potr essere percepito come riproduzione fedele del
referente, fatto e non finzione: io, voce enunciante, descrivo a parole non
Roma ma un quadro che raffigura Roma, non la Riviera romagnola ma limmagine della Riviera romagnola; se sapr convincertene tu, lettore, prenderai
le mie parole non per la descrizione di unimmagine, ma per la cosa stessa.
Insomma, quando diciamo che il paesaggio letterario la rappresentazione
di una rappresentazione intendiamo questo, che la descrizione non gi della
cosa, ma dellimmagine della cosa; e questo rende lo scrittore quel che Platone diceva dellartista, e cio un facitore di terzo grado dal momento che
imita ci che gi simulazione di unessenza (Barthes 1988, p. 155).
Abbiamo enucleato cos 4 categorie di paesaggio letterario: 1) il paesaggio-veduta, che fa semplicemente da sfondo agli eventi narrati senza interagire con essi, e che pu essere letto indipendentemente dalle condizioni di
enunciazione; 2) il paesaggio-evento che invece partecipa attivamente alla
narrazione, risultandone de facto inseparabile, caratterizzato com dalla presenza di uno o pi soggetti mobili che, non accontentandosi di contemplarlo,
lo attraversano; 3) il paesaggio in quanto pratica di scrittura, insieme di regole e di forme discorsive e retoriche comuni tanto al geografo quanto allo
scrittore; 4) il paesaggio imitazione della simulazione di unessenza, vale a
dire meccanismo di rappresentazione, gioco di rimandi in cui lenunciazione
non ha come proprio referente diretto la cosa stessa, ma la sua immagine.
Probabilmente queste categorie non esauriscono la grande variet delle
descrizioni paesaggistiche presenti nelle forme narrative dei tesi letterari;
esse tuttavia appaiono dotate ai nostri occhi di un potere esplicativo utile
alla decifrazione delle qualit topiche richiamate da un testo finzionale;
ritorneranno nellanalisi del rapporto tra geografia e immagini al 6 della
presente Introduzione.
5. Oltre le parole: le immagini ferme e in movimento per dire altri
paesaggi
[M]odes [] offer potentials for differential transcriptions of the world.
Still image configures/transcribes the world in terms of entities, simultaneously
present, and their spatial relations; speech transcribes the world in terms of a
13 Facendo quindi leva sullipotiposi, termine che in retorica designa la capacit di
un discorso di mettere sotto gli occhi del lettore ci di cui si parla.

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Dare senso al paesaggio

sequential/temporal ordering of entities with words, as means to name relations


between entities; and features such as intonation, stress, length provide additional means to indicate an ordering of the named entities. Modes, in other words,
in their affordances, act as distinct transcriptional means of the world framed
for transcription (Kress 2011, p. 253).

Il paesaggio non una cosa e neanche un insieme di cose, ma un modo


particolare di vedere le cose (Cosgrove 1990, p. 23; Vecchio 1997, p. 478;
Farinelli 2003, p. 41). Eppure, questo modo particolare di vedere le cose,
come ricordato, va ben oltre il senso della vista cos come la sua rappresentazione pu andare ben oltre la scrittura, trovando anche canali di espressione e comunicazione che non sono necessariamente verbali. Il paesaggio
in altre parole si pu dire non solo a parole e si pu cogliere non solo con
lo sguardo: accanto alla letteratura, pittura, musica e cinema hanno concorso e concorrono nel tempo a dare vita e ad alimentarne il racconto e la
costruzione.
Proseguendo lungo alcune linee di analisi tracciate nei paragrafi precedenti in riferimento al paesaggio letterario, noteremo allora che lartista
sia esso scrittore, pittore, fotografo o musicista a decidere linquadratura della rappresentazione, scegliendo che cosa includere ed escludere
dalla cornice che appone alla realt, langolatura e la vicinanza con cui
osservare e raccontare il mondo che ci circonda: cosa raccontare a parole,
con le immagini o (per musica e cinema) attraverso i suoni. I vari media
intervengono in questo processo in qualit di forme strutturanti, sistemi
di pratiche simboliche con diverse condizioni di dicibilit: essi costituiscono, come nella IV definizione di paesaggio letterario, dei meccanismi di
rappresentazione che hanno come oggetto il paesaggio con la sua arguzia,
ovvero il piano della cosa e (inevitabilmente) anche la sua immagine, e che
risultano dotati di un proprio, specifico valore cognitivo. Le grammatiche
veicolate dai diversi media sono dunque diverse e, con esse, i processi di
rappresentazione e di interpretazione del mondo intorno a noi. In ciascuna
di esse sono coinvolti, naturalmente, sia lestro del singolo autore e/o artista, sia specifiche conoscenze costruite socialmente, che si sedimentano
e accrescono nel tempo per produrre spiegazioni del mondo e plasmare le
nostre visioni di cosa rilevante, proprio o possibile (Aru, Bignante 2015,
p. 132). Stiamo dunque parlando di veri e propri atti comunicativi che coinvolgono in unottica circolare e meticcia vari soggetti: gli autori delle
immagini e delle musiche in senso stretto, ma anche i destinatari primi a
cui sono rivolte.
Il riconoscimento delle valenze conoscitive (oltre che della complementariet) dei modi di rappresentazione si fatto pi pressante dagli anni

S. Aru, M. Tanca - Landscape is the everywhere of present

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80 quando nelle scienze sociali si diffonde una crescente attenzione alle


caratteristiche non linguistiche, incarnate e materiali nella produzione di
significato14, svolta che viene ricordata come semiotic turn (Dicks et al.
2011). La crescente attenzione alle produzioni di significato differenti da
quelle linguistiche si lega da un lato alla crisi della rappresentazione,
cio dellautorit simbolica della scrittura e delle immagini e, dallaltro,
allidea che non tutti gli stati mentali ed emozionali siano traducibili su un
piano verbale (sia esso orale o scritto). Questa emersione del piano emozionale e sensibile in linea con limportanza data in ambito disciplinare
alle diverse rappresentazioni territoriali, ai territori vissuti15 (Frmont
2007), e ai territori emotivi e [a]i paesaggi delle sensazioni e dei sentimenti (Persi 2010, p. 3).
Se un testo letterario racconta un paesaggio, evocandone attraverso
una sequenza di enunciati le qualit topiche, certo pi difficile definire in
concreto in cosa consista la capacit descrittiva della musica e questo proprio per ragioni che affondano le loro radici nella natura non-verbale del
suo linguaggio; la sua comprensione richiede di fatto competenze diverse
da quelle messe in gioco dalle modalit che rappresentano tradizionalmente i canali deputati di trasmissione dellesperienza paesaggistica (non casuale che il concetto di soundscape o paesaggio sonoro sia stato elaborato
non da un geografo ma dal musicologo Raymond Murray Schafer). Non
va tuttavia dimenticata in quella che si definisce la tradizione della musica
colta occidentale la presenza di un repertorio di composizioni dalle
Quattro stagioni di Vivaldi e dalla Pastorale di Beethoven fino a La Mer di
Debussy e ai Pini di Roma di Respighi, passando per louverture Le Ebridi
e la sinfonia Italiana di Mendelssohn, ecc. non prive di associazioni di
tipo extramusicali che rappresentano altrettanti tentativi di esplorazione da
parte dei rispettivi autori delle propriet descrittivo-evocative della musica
(Knight 2006, pp. 13-14). Il risultato di questi tentativi, in cui levocazione di un certo paesaggio affidata allutilizzo di determinati timbri stru14 Nelle metodologie visuali, ad esempio, le emozioni legate alla produzione, alla
consultazione e alla condivisione delle immagini divengono fonti di conoscenza
da cui trarre informazioni soggettive e parziali, ma non per questo meno presenti
o importanti per descrivere lo spazio e ci che in esso accade (Anderson, Smith
2001), produrre narrazioni sui luoghi, identificarne valori e significati simbolici e
identitari (MqQuoid, Dijst 2012; Lombard 2013; Aru, Memoli, Puttilli in corso di
stampa).
15 Lo spazio, lungi dallessere una realt astratta ed euclidea, da queste prospettive
la risultante del sovrapporsi dello spazio di vita e dello spazio sociale, che genera
quello vissuto propriamente detto.

44

Dare senso al paesaggio

mentali, di ritmi, di particolari stilemi espressivi ecc., si risolve tuttavia


nella libert dellascoltatore di fruire autonomamente di questi brani anche
senza conoscerne fino in fondo le intenzioni programmatiche e quindi gli
eventuali referenti dellenunciazione musicale; in tutti questi casi perci
utile ricordare la dicitura che lo stesso Beethoven appose allo spartito della Pastorale: Mehr Ausdruck der Empfindung als Malerei, ossia pi
espressione del sentimento che pittura, come a dire pi Stimmung che
veduta. Le cose del resto non cambiano se volgiamo la nostra attenzione ad
una forma di espressione musicale su cui ha gravato per troppo tempo un
giudizio negativo, quello della canzone, considerata un genere minore,
deteriore, mero prodotto di consumo dellindustria culturale. In realt non
vi alcuna ragione per cui questa specie nei suoi risultati artisticamente
pi compiuti, come ad es. la cosiddetta canzone dautore, contrassegnata
da una innegabile qualit letteraria ed espressiva non possa veicolare
efficacemente immagini e rappresentazioni geografiche, attingendo da un
repertorio gi collaudato di temi, situazioni ed amosfere o reiventandolo da
zero, ed agendo direttamente sul vissuto dellascoltatore, promuovendo
aloni di senso e sentimento (Giovannetti 2007, p. 16). Non da escludere
infatti che in alcuni casi il successo di una canzone sia dovuto, oltre che al
felice connubio di testo e musica e/o allappropriatezza della performance
vocale (e scenica) dellinterprete, anche alla sua pertinenza ubicativa cio
alla capacit di dar voce e quindi di rendere riconoscibili le qualit topiche
dei luoghi, i tratti specifici che compongono la fisionomia di un paesaggio
o unesperienza spaziale (ad es. le canzoni dedicate al tema dellemigrazione; cfr. Marino 2014). Si tratta di un campo di ricerca che rimane ancora inesplorato ma dal quale potrebbero venire indicazioni utili ai fini di
unindagine sui modi di percepire/rappresentare la territorialit. Si pensi
soltanto, per limitarci ad un piccolo esempio, alle differenti visioni dello
stesso luogo offerte da Chi guarda Genova di Ivano Fossati (Chi guarda
Genova sappia che Genova / si vede solo dal mare) e Genova per noi di
Paolo Conte (Genova per noi / che stiamo in fondo alla campagna / e
abbiamo il sole in piazza rare volte / e il resto pioggia che ci bagna);
pur richiamandosi allo stesso referente, limmagine che le due canzoni veicolano di Genova quella di chi la vede dal mare e quella di chi vi giunge
dallentroterra appare estremamente differente; come nel prospettivismo
di Leibniz, la stessa citt pu essere vista da punti di vista anche molto
differenti16.
16 Se ci si vuole accostare con seriet e senza pregiudizi alla canzone importante
che questo venga fatto con tutte le precauzioni e le cautele che si disposti a rico-

S. Aru, M. Tanca - Landscape is the everywhere of present

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Come la musica, le immagini (ferme o in movimento) non appaiono in


maniera esclusiva come un inerte supporto a uno (o pi) discorsi verbali, ma assumono il valore autonomo di linguaggi e di codici che permettono di esprimere status emotivi e messaggi in alcuni casi difficilmente
esprimibili a parole. Da qui la crescente centralit dellimmagine come
strumento di rappresentazione testimoniata da lavori come quelli di JeanJacques Wunenburger (1999) e Hans Belting (2011). Come emerso pi volte nelle pagine precedenti, pi che un mezzo mimetico di riproduzione e
di trasmissione idea icasticamente esemplificata dal celebre slogan della
Kodak: You Press the Button, We Do the Rest la fotografia costituisce uno
strumento di controllo e di produzione di senso: Fotografare osserva ad
es. Susan Sontag significa [] appropriarsi della cosa che si fotografa.
Significa stabilire con il mondo una relazione particolare che d una sensazione di conoscenza, quindi di potere (Sontag 1978, p. 4). In virt della
sua immediatezza, con la quale, a differenza del gesto pittorico, sembra
restituirci senza mediazioni la cosa stessa, il medium fotografico appare
lo strumento pi efficace di denotazione della realt; ma questa immediatezza anche allorigine della difficolt, rilevata tra gli altri da Roland
Barthes nella Chambre claire, di sbrogliare il linguaggio deittico su cui
questo fonda il proprio carattere tautologico: Si direbbe che la Fotografia
porti sempre il suo referente con s; essa apparterrebbe infatti a quella
classe di oggetti fatti di strati sottili di cui non possibile separare i due
foglietti senza distruggerli: il vetro e il paesaggio, e perch no: il Bene e il
Male, il desiderio e il suo oggetto: tutte dualit che possibile concepire,
ma non cogliere (Barthes 1980, pp. 7-8). Limmagine fotografica rappresenta certamente un mezzo di conoscenza del paesaggio a patto per che
venga intesa e riconosciuta correttamente nella sua strutturale ambivalenza
noscere a forme artistiche pi rinomate, a cominciare dalla corretta calibrazione
del rapporto tra significato e significante, finzione artistica e fattogeografico.
Un curioso aneddoto, narrato direttamente da uno dei massimi cantautori italiani,
chiarir il senso di questa nota precauzionale: In questo caso [la canzone Parigi,
del 1981], protagonista ancora una volta la pioggia; ci sono due amanti che si
incontrano e rapidamente finiscono in un piccolo hotel, e tutto si raccoglie intorno alla frase Intorno solo pioggia, pioggia, pioggia e Francia. Mentre a me
italiano piaciuta questa frase quando lho scritta, mi suonava bene (perch la
Francia , per me, italiano, lestero), quando ho avuto la possibilit di soffermarmi
su una traduzione in francese perch un francese la cantasse, mi sono accorto che
al traduttore dava fastidio pronunciarla, cos come a me avrebbe dato fastidio
dire pioggia, pioggia, pioggia e Italia. Ho provato a dire al traduttore: E se
dicessi intorno solo pioggia, pioggia, pioggia e Olanda ? Risposta: S, s,
va benissimo (Conte 2003, pp. 15-16).

46

Dare senso al paesaggio

di riproduzione selettiva di un fatto visivo basata sul principio di aggregativit17.


In effetti difficile sfuggire alla forza evocativa e quindi al fascino persuasivo delle immagini di cui molti autori hanno sottolineato il rischio di
essere viste come riproduzione fedele della realt, coincidenza perfetta
con un pezzo di mondo18. Per riprendere le parole di un regista come Michelangelo Antonioni: Cominciando a capire il mondo attraverso limmagine, capivo limmagine. La sua forza, il suo mistero (Antonioni 1994, p.
63; Bernardi 2002, p. 11). Limmagine rappresenta, rimanda a qualcosa
che altrove, lontano; a differenza del simulacro, che sostituisce a tutti
gli effetti la realt, strettamente legata a unassenza (Bernardi, 2002). Le
immagini concorrono, dunque, cos come la letteratura, a ricordare che il
paesaggio spesso una soglia che spinge luomo oltre se stesso, verso
ci che appare ignoto sempre presente al di l della mediazione che esso
stesso rappresenta o rende possibile; il che evidenziato da Elisabeth Roberts quando ci ricorda la natura sospesa e in-between delle immagini,
che operano su differenti registri affettivi, rappresentazionali, materiali e
ideologici. Per questo, non possono essere studiate da ununica prospettiva
e in maniera univoca o analizzate al di fuori dei loro contesti complessi
(2012, p. 1).
Pur coinvolgendo in maniera particolare il senso della vista, le immagini permettono cos di ripensare il mondo attraverso lo sguardo e un (altrettanto potenziale) infinito moltiplicarsi dei punti di vista. Le immagini,
soprattutto quelle in movimento, ci mettono nella condizione di replicare
lesperienza del paesaggio enfatizzando la pluralit di prospettive su uno
stesso oggetto19. Questa attenzione per il leibniziano moltiplicarsi dei
punti di vista e delle soggettivit legata in particolar modo alla stagione
della post-modernit, alla crisi che questa porta con s dellidea filosofica
di totalit, crisi del soggetto, non pi un punto fisso al centro del mon17 Seguendo le tesi di Barthes (1980) limmagine fotografica si presenta non come
una trasformazione della realt, ma come un suo analogon per quanto ridotto (di
proporzioni, di prospettive e di colore). La fotografia, per lo studioso francese, si
sottrae, per sua natura, ad ogni forma di classificazione che distingua limmagine
dal suo referente (vale a dire ci che la fotografia rappresenta). Cfr. Tanca 2015.
18 Sulla relazione geografia-cinema si rimanda a Cerreti, Giangrasso (2004); DellAgnese (2009); Terrone (2010); DellAgnese, Rondinone (2011); Nicosia (2012).
19 Il movimento della cinepresa che attraverso lo spazio si fa racconto anche dellesperienza di paesaggio, permette di allontanarsi anche da se stessi e di guardarsi
attraverso il rapporto fra le immagini. Questo movimento il lavoro stesso della
filosofia, una continua uscita da se stessi, dal proprio punto di vista, per studiarsi
dallesterno (Bernardi 2002, p. 17).

S. Aru, M. Tanca - Landscape is the everywhere of present

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do, ma [.] in continuo movimento dentro un mondo che continuamente


muta (Bernardi 2002, p. 12). Nascono nel contemporaneo tante pseudofilosofie legate alla science fiction, basate proprio sullintercambiabilit
fra i mondi possibili, fra soggetto e oggetto, fra uomo e macchina, e molti
altri derivati di quello che Baudrillard ha chiamato il potere omicida delle
immagini, assassine del reale (ivi, pp. 12-13). Sembra che il morto sia
dunque il referente (concetto di realt in linguistica) e che lassassino sia
proprio limmagine.
Un rischio, quello di un appiattimento della forma che si sceglie per significare i contenuti, che accompagna, con un grado maggiore di realismo
dato dal movimento, la forza persuasiva delle opere cinematografiche. Nel
cinema proprio grazie alle immagini in movimento si riesce a spostare
lenfasi da ci che viene detto a ci che viene fatto, agito dai protagonisti
nei flussi di interazioni con altri soggetti, oggetti e luoghi rappresentati. Qui
lemozione si manifesta incorporata nel flusso di eventi, per i personaggi
e attraverso essi per gli spettatori. Siamo dunque di fronte a uno spettatore/flneur, losservatore mobile (Mottet 1999, cit. in Guerra 2012, p.
196) che si muove dentro un paesaggio mediale che, del paesaggio reale,
sintetizza le sensazioni e prova a riprodurle linguisticamente attraverso
un mezzo che sembrerebbe parlare allinconscio (Guerra 2012, p. 196).
Un altro aspetto sul quale vale la pena soffermarsi che nonostante i
modi diversi con cui viene concettualizzato e presentato lungo la sua storia nel cinema moderno e contemporaneo il paesaggio costitutivo del
linguaggio stesso (DAngelo 2010). In un primo momento, esso sembra vivere al cinema come prolungamento e perfezionamento della fotografia di
viaggio e come soggetto buono per documentari ed esplorazioni (Guerra
2012, p. 194). Ma nel tempo esso assume una centralit diversa (soprattutto nel cinema italiano), diventando qualcosa di pi di uno scenario: esso
stesso personaggio, si trasforma a poco a poco in un interlocutore in stretta
relazione con gli altri personaggi. Seguendo il ragionamento di Bernardi
(2002), possibile individuare da questo punto di vista almeno due tipologie di paesaggio cinematografico, non conflittuali, spesso compresenti:
il paesaggio narrativo e il paesaggio pittorico. Il primo, spazio dazione,
il paesaggio integrato e funzionale alla narrazione e alla drammaturgia
del film (paesaggio diegetico). Il secondo caratterizzato da uno sguardo
riflessivo, meta-narrativo, che cos come la pittura da cui deriva lattributo trova un senso non in quanto funzionale in senso stretto alla storia
narrata, ma perch allusivo di altre storie possibili.
Queste due tipologie astratte, sono state pi o meno compresenti nelle
varie stagioni della storia del mezzo cinematografico. Volendola ripercor-

48

Dare senso al paesaggio

rere a partire dallavventura dei fratelli Lumire, focalizzandosi sul rapporto esistente tra il paesaggio e il racconto narrato possibile individuare,
sempre scorta delle riflessioni di Bernardi (2002), cinque fasi: (I) in una
prima fase, quella dei primordi, abbiamo le vedute dei cinematografi. Il
paesaggio gioca qui il ruolo di protagonista assoluto; ogni veduta possiede
infatti carattere autonomo e compiuto. Appaiono per presto, nonostante
la forza del vedutismo, (II) i primi rapporti (incerti) tra i paesaggi rappresentati e una storia narrata. I luoghi sono usati per la messa in scena di una
storia, ma non ancora pienamente elaborati e trasformati in spazi narrativi
(possiedono ancora una propria autonomia, retaggio del vedutismo). Pian
piano luoghi e storia si intrecciano sempre pi.
(III) Nella terza fase del rapporto, intorno agli anni 30, il paesaggio
diventa ormai sistematicamente parte integrante della drammaturgia; si assiste a quello che Bernardi definisce un processo di subordinazione del
paesaggio a fini narrativi (2002, p. 55). Un esempio emblematico di questa
compenetrazione e subordinazione sono i film western in cui i personaggi
si trovano in una relazione dialettica con lambiente. Il paesaggio-natura
circostante costituisce un alone di libert e paura, un orizzonte di piacereminaccia; qui metafora di tutto quello che diverso dallidentit delluomo bianco presbiteriano maschio.
(IV) Nella quarta fase il paesaggio diventa apertura sui possibili, recuperando una forte dimensione pittorica, utilizzata per alludere ad una dimensione metatemporale e metanarrativa. La cinepresa si sposta, con essa
il personaggio che guarda oltre linquadratura, invitando lo spettatore a
fare lo stesso. Emblematico a riguardo il cinema francese impressionista.
I protagonisti (indimenticabili le figure di donna che guardano il mare) in
questa fase hanno una forte connotazione riflessiva e contemplativa, come
nel Raggio verde di ric Rohmer (1986). In un certo senso si pu notare un
recupero del vedutismo, anche se di segno dissimile da quello del passato.
Le vedute infatti sono qui utilizzate per esaltare la bellezza del paesaggio,
che diviene, prima di tutto, soglia per accedere alla contemplazione dei
possibili. Unapertura di orizzonti che ha senso solamente nella dialettica
che intesse con la storia raccontata.
(V) Lultima tappa, infine, definita da Bernardi come il tempo della riflessione. il tempo del neorealismo italiano20, il tempo, a livello storico, della
20 La storia del paesaggio potrebbe essere riassunta in un percorso che va dai luoghi
allo spazio e poi di nuovo dallo spazio ai luoghi, ma non luoghi spogli e senza
storia, come nelle origini, bens luoghi risonanti di molte storie possibili. In effetti,
sar proprio il cinema italiano a raccogliere questo insegnamento. Siamo arrivati
alle porte del Neorealismo (Bernardi 2002, p. 74).

S. Aru, M. Tanca - Landscape is the everywhere of present

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lunga ricostruzione post- bellica. Il cinema diventa uno sguardo cosciente sulla
complessit del mondo; non c pi lo stupore, ma il dolore e il disinganno: se
prima lo spettatore era in grado di proiettarsi dentro al film, ora vi si trova proiettato, lungo traiettorie che se dovessimo proprio scegliere mezzo di trasporto
dovremmo ridurci a definire pedonali (Guerra 2012, p. 202).
Anche nella fotografie, nel cinema e nei testi musicali, vale dunque la
possibilit di intravvedere due concettualizzazioni diverse, ma spesso
compresenti di paesaggio: la veduta e levento. Il primo il paesaggio
inteso come sken (Bernardi 2002) quinta alla narrazione con i suoi ben
noti rischi: Una localit non pi un luogo unico, con le sue associazioni,
significati, ma una combinazione di caratteristiche astratte che la rendono
pi o meno scenica rispetto ad altre (Aru, Bignante 2015, p. 133). Il
secondo invece associabile a quello che Cresswell (2003) definisce paesaggio di pratica, in cui si produce un dialogo tra azione del soggetto e
spazio vissuto. il paesaggio partecipazione che fuga il rischio, insito in
una visione che d spazio solo allo sguardo dallalto, che la natura e i
luoghi siano pi da guardare che non da utilizzare, fuga in altre parole
la desostantivizzazione del luogo. Non solo dunque contemplazione paesistica, distanza, paesaggio-veduta, ma anche paesaggio come esperienza e
luogo di vita quotidiana (come legame tra il soggetto, la propria interiorit
e lesteriorit del mondo), soglia, mediazione. Per riprendere unimmagine
di Rilke, il dispositivo paesaggistico in questo senso parte di un tutto
che non si pu mostrare rispetto al quale luomo non sta di fronte, ma vi
si trova dentro. Ad essere sotto analisi sono dunque, anche in questo caso,
come per le forme narrative tipiche dei testi letterari, diversi regimi di spazialit: il paesaggio osservato dallalto o vissuto dal basso, paesaggio pi o
meno protagonista della scena, sfondo pi o meno distante dai protagonisti.
Giunti a questo punto, per ribadire la differenza di vedute ( proprio
il caso di dirlo) cos prospettata, ci viene in aiuto un esempio tratto proprio
dal mondo della finzione cinematografica. Nel film Lost in translation di
Sofia Coppola (2003) i due tipi di paesaggio, quello osservato dallalto,
simile allo sguardo cartografico, e quello vissuto dal basso e pi vicino
allesperienza vissuta, sono compresenti e in interazione dialogica.
I protagonisti del film, Bob e Charlotte (interpretati rispettivamente da
Bill Murray e da Scarlett Johansson), americani, si trovano a Tokyo; entrambi non parlano giapponese e vivono con estrema difficolt lestraneit
dellambiente nipponico con i suoi segni (e usi) spesso indecifrabili21. In
21 Situazione che in un certo qual modo ci rimanda a Limpero dei segni, un testo
di Roland Barthes che raccoglie le riflessioni suscitate da un viaggio in Giappo-

50

Dare senso al paesaggio

questa alterit, i due protagonisti si incontrano e sempre pi si cercano:


per la comunanza data dalla lingua, ma anche per laffinit delle loro storie
di vita. Tanto Bob quanto Charlotte vivono infatti un momento di difficolt coniugale e di stallo esistenziale nonostante le et diverse: giovane
ventenne lei, maturo sessantenne lui. Lost in translation la storia di due
solitudini che procedono parallele, ma che, per un attimo finiscono per sfiorarsi. A Tokyo dimorano in un grande hotel immerso nella citt, una sorta di
non-luogo che potrebbe trovarsi in qualsiasi altra grande metropoli globale.
il luogo in cui dallalto si domina la complessit e lestraneit di Tokyo.
Lhotel il silenzio, o il suono soave del pianoforte suonato la sera, sono
i lunghi corridoi dove si incontrano i due protagonisti, sono gli ascensori
veloci che uniscono i vari piani, sono soprattutto le camere standard
nellarredamento in cui dormono uomini daffari e turisti facoltosi, sono le
grandi finestre dei piani alti da cui si domina la vista della citt nipponica.
Da qui, da un piano alto in cui sono ospitate le camere dei due protagonisti, Tokyo appare in tutta la sua bellezza e distanza. Siamo di fronte ad
un paesaggio-veduta, i protagonisti osservano dallalto un mondo che si
pu vedere, ma in tutta la sua estraneit. In questo paesaggio distante,
immenso si riflettono i sentimenti (ma anche le storie di vita) di Bob e
Charlotte, la loro estraneit al contesto, ma anche lo straniamento delle
rispettive vite affettive. Latmosfera malinconica. La protagonista, in uno
dei fotogrammi pi famosi della pellicola, appare in contemplazione, seduta sul cornicione della grande finestra della sua anonima camera dalbergo
(fig. 1). Charlotte diviene qui una sorta di versione contemporanea della
donna che guarda il mare. Lei ha per di fronte Tokyo, un mare di vetro e
cemento, la gigantesca Tokyo, citt dei grattacieli con colori sfavillanti, dei
clacson delle macchine, della velocit del camminare e della folla anonima
e fagocitante. Dallalto tutto questo non si percepisce, se non limmensit
del costruito. Tokyo una veduta, ma in forte relazione dialettica col personaggio, perch ne metafora esistenziale.

ne. A proposito dellavventura giapponese di Barthes, scrive Umberto Eco: Il


semiologo, ci ripeteva, colui che quando va in giro per la strada, l dove gli altri
vedono fatti ed eventi, scorge, fiuta significazione. [] Finalmente [in Giappone]
egli si trovava di fronte a una civilt di cui non conosceva alcun codice: qui egli
giocava la sua capacit di capire, e di dire, che vi fosse significazione, anche nel
momento in cui non capiva quale. Gioco pericoloso, in cui Barthes camminava su
un filo di rasoio: di quel linguaggio egli non conosceva le regole, eppure sapeva
che si dice qualcosa anche nel modo di fare un pacchetto o di tagliare il pesce
(Eco 1994, p. XIII).

S. Aru, M. Tanca - Landscape is the everywhere of present

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Fig. 1 Charlotte (Scarlett Johansson), la giovane protagonista del film Lost in translation di Sofia Coppola (USA, 2003), contempla il paesaggio urbano di Tokyo dalla
finestra della sua camera dalbergo.

Nel proseguo del racconto, i protagonisti del film, sempre meno soli
grazie al loro incontro, al loro capirsi, decidono di spingersi e di andare
insieme a percorrere le vie della citt. La voglia dei personaggi di andare
oltre la vista di Tokyo, rimanda alla tensione tra la sicurezza (malinconica) dellalbergo, e la voglia di cavalcare lo straniamento, di accettare
la sfida di perdersi tra le vie di una citt dai codici disorientanti. Emblematicamente, questo passaggio, richiama forse la voglia di ripartire da
qui, dal perdersi, per poi ritrovarsi. Se dunque allinizio la fa da padrona
limmagine del paesaggio ritratto nel quadro della finestra, in questa seconda fase di scoperta della citt da parte dei personaggi, siamo di fronte al paesaggio-evento, paesaggio esperito. Bob e Charlotte, spingendosi oltre il perimetro dellhotel, accettano dunque la sfida (e le tensioni)
date dal perdersi, si affidano al disorientamento. In un certo senso la
vita che prepotente ritorna, avvolge, immerge e questo avviene grazie allesperienza del paesaggio che mette in moto un processo di addomesticamento dellestraneit proprio a partire dallo spazio vissuto22.
22 Un altro film che meriterebbe qui una citazione, e sicuramente in altri contesti
una trattazione specifica, Melancholia, scritto e diretto da Lars von Trier (2011).
Il film la storia di una catastrofe, raccontata attraverso la storia di due sorelle.
Melancholia il nome di un pianeta in procinto di collidere con la Terra, Clare e

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Dare senso al paesaggio

6. Convocare esperienze, immagini, narrazioni


I saggi raccolti nel presente volume esemplificano molto bene la variet
delle esperienze, delle immagini e delle narrazioni con cui si pu dare
senso al paesaggio (e quindi al mondo), attraversati come sono dallinquietudine di unindagine volta a testarne le potenzialit narrative, latenti o
manifeste, assumendolo di volta in volta come teatro o personaggio, tema o
procedimento descrittivo, pretesto per dare libero sfogo al nostro desiderio
di raccontare una storia e mezzo o artefice del suo stesso appagamento,
Come osserva Giulio Iacoli in Il senso vivo delle poetiche. Teoria letteraria e paesaggio, proprio al dialogo serrato tra teoria letteraria e geografia da una parte (in particolare quella di taglio umanistico, culturale
e sociale, pi sensibile alla dimensione narrativa del paesaggio) e teoria
estetica dallaltra che dobbiamo guardare se vogliamo trarre indicazioni
per un percorso di intersecazione complesso e in alcuni aspetti ancora
da immaginare in grado di illuminarci sui processi di significazione a cui
sottoponiamo i paesaggi. Emblematico di questa possibile fecondazione
reciproca appare il richiamo allopera di autori come Philippe Jaccottet (di
cui si ricorda la raccolta di prose Paysages aux figures absentes) e di Andrea Zanzotto (di cui si cita invece la raccolta di scritti significativamente
intitolata Luoghi e paesaggi). Entrambi muovono infatti dal rifiuto dellintimismo per dar voce alla compenetrazione geologica fra lindividuo e la
terra, quindi al paesaggio vivente inteso come spazio reale e immaginativo insieme, ad un tempo evocazione e forma visibile, dialogo ininterrotto
di presenza e assenza, interrogazione e ascolto delle voci degli espaces
Justine sono sorelle con caratteri e ruoli familiari contrapposti: la prima (mora) sorella maggiore, razionale e accudente nei confronti della seconda, Justine (bionda)
ribelle e depressa. La presenza sempre pi minacciosa di Melancholia, stravolger
la relazione tra le due sorelle, sovvertendo lordine naturale tra carattere (considerato) forte e malattia (ritenuta) segno di debolezza. Justine, proprio perch affetta da depressione, si profila come protagonista lucidamente rassegnata alla fine;
in sofferente distacco osserva la sorella Clare che non riesce invece a darsi pace,
si dispera, cerca il modo di fuggire alla fine ineludibile, barricandosi in casa e
cercando un ordine (terrestre) che nulla pu contro la Natura e il suo corso. Il film,
che ha ricevuto critiche contrastanti, fortemente basato sullinterazione di diversi linguaggi (le immagini al rallenti; la musica; i dialoghi dei personaggi...) che
dipingono atmosfere evocative, misteriose e affascinanti, fortemente pittoriche.
Levoluzione della malinconia di Justine e la traiettoria del pianeta Melancholia
stanno luna di fronte allaltra. Justine preveggente di oscuri presagi e dunque,
grazie ad una sensibilit fuori dalla norma, in relazione privilegiata con luniverso
(e qui Lars von Trier si ricollega alla figura del Malinconico cos come rappresentato da una lunga tradizione che affonda le sue origini nel medioevo).

S. Aru, M. Tanca - Landscape is the everywhere of present

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vcus. In particolare nella produzione di Zanzotto, venata di preoccupazioni ecologiste, il richiamo allimago loci si traduce in una poetica del
paesaggio veneto (i colli Euganei, la montagna e pi in generale i luoghi
che aprono squarci esistenziali) e in cui non mancano le preoccupazioni per
le alterazioni cui va incontro il territorio.
Muovendosi sul terreno dellanalisi imagologica applicata alla letteratura di viaggio Valentina Serra esplora, in Questa natura dispone alla
malinconia: paesaggio e carattere della Sardegna nellodeporica di lingua tedesca, il ruolo delle immagini paesaggistiche nella rappresentazione
dellisola e dei suoi abitanti ad opera di viaggiatori eccellenti come Max
Leopold Wagner, Ingeborg Tetzlaff e Max Niehaus. Questanalisi evidenzia il ruolo esemplare giocato dalla Sardegna nellaimmaginario europeo
(e specificamente tedesco) Nei resoconti dei numerosi viaggi compiuti da
scrittori di lingua tedesca in Sardegna [] si offre una precisa immagine
dellisola e dei suoi abitanti che ricorre di opera in opera, con accenti e
sfumature talvolta differenti: quella di territorio totalmente altro, spazio
insulare esotico portatore di una identit singolare data dallintreccio inestricabile tra uomo e natura, il cui paesaggio irradiatore di sensazioni e
atmosfere contrastanti, in un miscuglio inestricabile di selvaticit e malinconia. La rappresentazione del paesaggio assolve la funzione di veicolazione di peculiari immagini letterarie dellaltro, assumendo, nella sua
circolarit, la forma di una profezia autoavverante che contiene in s tutti
gli elementi atti alla sua realizzazione.
Ne Il paesaggio nella narrativa di Italo Calvino: limmagine della
natura, lesperienza della camminata, Francesco Migliaccio ci riporta al
paesaggio inteso come esperienza diretta e immediata del mondo, quindi
alle sue componenti materiali, sensibili e percettive (non esclusivamente
visive quanto sinestetiche) sia pure filtrate dalla memoria e ricomprese in
una cornice letteraria e narrativa come quella calviniana. Litinerario proposto, che comprende Il sentiero dei nidi di ragno, Il barone rampante,
il Ricordo di una battaglia e altri scritti minori, si svolge allinsegna di
una riappropriazione dei sensi (del paesaggio) tramite i sensi (dellio narrante); lesperienza della guerra in Liguria e la militanza partigiana sono
evocate, pi che direttamente narrate, da Calvino attraverso le sensazioni
che invadono i corpi: lumido della nebbia, i versanti nuvolosi, la coltre
verde, luce, ombra, fiumi ridotti a rigagnoli ecc. in un universo di colori,
odori, suoni e sensazioni tattili. Nel momento stesso in cui dice il paesaggio, la scrittura calviniana si fa memoria, vicolo, foresta, torrente, sentiero,
rappresentazione di unassenza: Il paesaggio diventa grafa e le parole
si dispongono sulla pagina come i rami nel fitto di una foresta. Questo

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Dare senso al paesaggio

intreccio vivente tra scrittura del paesaggio, da un lato, e paesaggio come


scrittura, dallaltro, tipico della poetica calviniana, si pone come mediazione tra enunciazione ed enunciato, connettendo tra loro significati, squarci
narrativi, eventi, immagini ed esperienze diverse. Se anzich confermare
le nostre aspettative, rafforzando le nostre certezze, il paesaggio mette in
atto laperta sconfessione di uno stereotipo, rendendo possibile la decostruzione di un clich e degli automatismi che lo accompagnano, esso si carica
di benefiche valenze eversive: quel che accade nel saggio Il montaggio
come cartografia: il paesaggio eversivo in The english patient di Michael
Ondaatje di Mauro Pala. Ondaatje mostra di aver compreso benissimo che
possibile trarre vantaggio dalla natura del paesaggio per definizione
relazionale e indeterminata sfruttando tutte le potenzialit narrative che
essa mette a disposizione attraverso una geografia apocrifa e simbolica,
costruita su materiali che non escludono interpretazioni univoche e stimolano la dispersione del senso in mille rivoli. ci che accade in uno dei
suoi romanzi pi noti, Il paziente inglese, opera in cui, scrive Pala, il
paesaggio non [] solo oggetto della narrazione, ma esso stesso si fa
testo generando un orizzonte di attese che se non possono essere realizzate completamente, rimangono nondimeno aperte. Sdoppiandosi nelle
due figure, opposte e incompatibili, del giardino e del deserto (la campagna
toscana e il Sahara), il paesaggio del romanzo trascende il ruolo tradizionale, secondario e passivo, di cornice o sfondo dellazione (ci che nelle
pagine precedenti abbiamo chiamato paesaggio-veduta) per imporre una
nuova grammatica della visione in cui gioca un ruolo attivo ed essenziale
la tecnica del montaggio.
Viaggio intorno ad una capanna: losservazione stanziale del paesaggio
in Dans les forts de Sibrie di Sylvain Tesson, il saggio di Davide Papotti sembra riportarci ad unaccezione tipicamente romantica ed estetica
della contemplazione del paesaggio: lesperienza compiuta dallo scrittore
francese Sylvain Tesson che ponendosi in controtendenza rispetto ai ritmi
sempre pi incalzanti e agli spazi via via pi esigui a disposizione nelle societ contemporanee per lesercizio dellosservazione paesaggistica
(interiore e esteriore), trascorre sei mesi sulla sponda di un lago della Russia. In realt, come evidenzia Papotti, le questioni da cui losservazione
stanziale messa in atto da Tesson muove e che al tempo stesso solleva,
andando ben oltre il culto nostalgico della wilderness, sono tipiche di un
rappresentante della civilt post-industriale: La stanzialit [] porta inevitabilmente a confrontarsi con uno dei filoni pi proficui e profondi della
riflessione spaziale delluomo: il senso dellabitare un luogo. Il testo del
francese offre materia per una riflessione di impronta heideggeriana sulla-

S. Aru, M. Tanca - Landscape is the everywhere of present

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bitare inteso, prima ancora che come gesto quotidiano con cui si risiede in
un luogo, come atto di stare al mondo. come cio se Tesson, lavorando
per sottrazione di tutti gli orpelli connessi ai contesti di vita urbani, giungesse infine ad isolare per introspezione un nucleo essenziale e irrinunciabile di verit una pulizia percettiva per usare lespressione di Papotti
che scaturisce dal suo modo di porsi rispetto al mondo.
In Due nuove chiavi di lettura delle descrizioni letterarie del paesaggio,
Daniele Bitetti focalizza la propria attenzione sulla relazione complessa
che avvolge, da un lato, una sequenza di enunciati finalizzati alla descrizione di un paesaggio e, dallaltro, determinati meccanismi discorsivi e
retorici che producono sul lettore un effetto di verit nel senso barthesiano
del termine (la gi accennata ipotiposi, ovvero la capacit di verbalizzare lo
spazio in maniera talmente suggestiva da mettere loggetto evocato sotto
i nostri occhi). Partendo dal riconoscimento del fatto che non esiste un
modello universale di fruizione paesaggistica abbiamo ricordato pi
volte nel corso di queste pagine la duttilit di questo dispositivo ad assumere la forma del contenitore discorsivo nel quale lo caliamo Bitetti distingue due chiavi di lettura delle descrizioni letterarie. Se il paesaggioveduta, ossia la descrizione letteraria di un paesaggio si configura come un
testo nel testo, questo ci autorizza a leggerlo e a trattarlo come un ipertesto, vale a dire come unespansione della quantit e della variet delle
informazioni verbali e non-verbali presenti nel testo narrativo: Lipertesto
in una pagina web tale se contiene uno o pi collegamenti (links) verso altre pagine testuali, file audio-video o immagini. Ecco, fatte le dovute
proporzioni il paesaggio potrebbe assimilarsi proprio a questo: con un solo
particolare la mente del lettore viene stimolata a ricordare dove possiamo
aver gi incontrato quello stesso particolare e quindi si ricollega a un altro
paesaggio (o a tanti altri), provocando in quel preciso istante delle sensazioni collegate a dei ricordi, richiamati alla nostra memoria dalla lettura.
La seconda chiave di lettura proposta dallautore rappresenta un tentativo
di sintetizzare attraverso un algoritmo (i cui elementi costitutivi sono dati
dalla luce, dallo spazio e dalla soggettivit del lettore) lefficacia di una
descrizione paesaggistica.
Nel suo contributo dal suggestivo titolo Rilke. Sentire il paesaggio con le
cinque dita della mano dei sensi, Daniela Liguori compie unattenta indagine del mondo poetico di Rainer Maria Rilke alla ricerca di suggestioni
e di spunti di riflessione riconducibili dellesperienza paesaggistica. Il lettore apprender che per il poeta questa costituisce unesperienza oscura e
straniante, un incontro con lassoluta vastit e leccedenza della natura: Il
paesaggio scrive Rilke non ha mani, non ha volto oppure solo volto,

56

Dare senso al paesaggio

e appunto per questa sua grandiosit, per lincommensurabilit delle linee


del suo volto, impressiona e avvilisce luomo. Eppure proprio questa
incommensurabile sproporzione scalare che getta le basi per un rapporto di
accettazione e di ricucitura in cui si tratta di imparare a vedere la natura
senza forma ossia il non-volto del paesaggio. Ci non pu avvenire, come
evidenzia la Liguori, per mezzo della logica delle scienze matematico-geometriche che tentano di ricondurre lirriducibilit della natura ad extensio,
mera estensione, in ultima analisi ad una mappa; piuttosto la parola poetica lo strumento attraverso il quale educare le cinque dita della mano dei
sensi vale a dire recuperare la ricchezza dellesperienza sensibile non pi
ristretta nei limiti della visione, per farne materia e consapevolezza di un
diverso rapporto con il mondo.
Oltre alla letteratura anche la fotografia, il cinema le altre arti visive
e la musica, possono essere interrogati (come ci ricorda il saggio di Vargiu
riprendendo le riflessioni di DAngelo sul cinema) per portare avanti delle riflessioni utili a comprendere in che modo si possa vivere in relazione
ai luoghi che abitiamo, che attraversiamo, che conosciamo viaggiando
come osserva Paolo DAngelo nelle riflessioni che questi consacra alla Filosofia del paesaggio. Attraverso il problema paesaggistico si accede dunque a una dimensione non solo (o tanto) estetica quanto antropologica.
Il rapporto tra il paesaggio e un fruitore centrale per le teorie di Augustin Berque, geografo, orientalista e filosofo, da cui prende le mosse il saggio di Roberto Lai Il senso vitale del vuoto: il paesaggio nellarte cinese:
La bellezza non nellambiente stesso ma in un rapporto (il paesaggio)
che implica la soggettivit umana. [] Il paesaggio cos sia dentro le cose
stesse sia dentro lanima (Berque 1999, in Lai). Partendo da questo assunto, lo studioso francese individua nella societ cinese la prima vera societ
di paesaggio. Qui la pittura di paesaggio svolge un ruolo fondamentale,
insieme alle filosofie come il taoismo e il buddismo (in particolare quello
Chan), fin dal VI sec. Dipingere il paesaggio un modo attraverso cui il
pittore cerca la serenit, ricercando una comunione con il proprio universo,
divenendo partecipe della natura pi ampia che lo circonda e di cui fa parte,
grazie a pratiche fortemente connesse alle dottrine e pratiche taoiste e
buddiste meditative e contemplative: Il paesaggio non appare qualcosa
che deve essere rappresentato da un essere esterno a esso, ma qualcosa da
ascoltare, attraverso lo xin (cuore, spirito e mente), uniformando il proprio
qi (respiro) a quello della natura. A condizionare fortemente, nei tratti e
nelle forme, la pittura di paesaggio in particolar modo il concetto di vuoto,
inteso non come nulla, ma come principio generatore, luogo in cui avvengono le trasformazioni, condizione di possibilit di ogni forma. Da qui,

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la predominanza nelle opere di paesaggio dello spazio bianco. Questi spazi


vuoti sono preganti di significato, perch rappresentano pi che la forma
della realt, la sua vita, uno spazio dunque spirituale pi che geometrico:
Pieno e vuoto sono interdipendenti, cos come inchiostro e carta, come
cuore e mano, interiorit del pittore e paesaggio figurato (Ghilardi 2009,
in Lai). Il saggio di Lai analizza il doppio valore trascendentale e dialettico
del vuoto nella pittura del paesaggio cinese per raccontare di un processo di
vera e propria illuminazione spirituale che accompagna lesplorazione del
pittore (ma anche del fruitore) al di l del solo senso della vista.
E un altro equilibrio in questo caso tra indeterminatezza e capacit
evocativa da un lato e il rigore descrittivo e quasi documentario del racconto dallaltro ci che d corpo al primo lungometraggio di Victor Erice,
El spiritu de la colmena (Lo spirito dellalveare, 1973). David Bruni
a parlarcene nel saggio su Victor Erice. Lo spirito del paesaggio. Nella
costruzione dellequilibrio tra evocazione e descrizione, il paesaggio protagonista. Non si limita ad essere quinta della narrazione, ma da un lato ne
garantisce la verosimiglianza (ci troviamo nella pianura castigliana intorno
agli anni 40 dello scorso secolo), dallaltro si definisce come paesaggio
di pratiche, luogo collegato quasi sempre ad azioni specifiche compiute
dai personaggi che in esso si muovono. Il paesaggio, lungo i 97 minuti in
cui si snoda la narrazione del lungometraggio, muta, definendosi sempre
pi in relazione alla soggettivit dei personaggi, in particolar modo di Ana,
una delle bambine protagoniste dellopera. Se, infatti, durante la prima parte il paesaggio assume un ruolo chiave per la descrizione geognostica del
mondo presentato (il qui e ora del racconto: ci troviamo nella pianura
castigliana), ad un certo punto esso muta radicalmente, tanto da diventare
quasi antitetico a se stesso, apparendo sempre pi risultato di un processo conoscitivo soggettivamente fondato, materializzazione del desiderio, delle paure e delle visioni del mondo di Ana. E lequilibrio (delicato)
del cortometraggio proprio contenuto in queste tensioni tra piani diversi
(o concezioni diverse) del paesaggio, che diventa dunque per questa via
spina nevralgica del racconto.
Non solo arti visive e cinema, ma anche musica. Le riflessioni affidate
da Luca Vargiu al saggio Due canzoni sul paesaggio. Frammenti di estetica
applicata, facendo eco alla riflessione condotta da DAngelo a proposito
del cinema, desiderano tracciare il ruolo delle canzoni nel veicolare modi
diversi di intendere il paesaggio. Per fare questo, Vargiu si concentra su due
canzoni tratte non solo da due diverse tradizioni, ma anche da due diversi
generi musicali: una canzone popolare tradizionale argentina e una canzone dautore della cosiddetta MPB, musica popular brasileira. Partendo

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Dare senso al paesaggio

dalla lettura dei testi delle canzoni possibile in primo luogo intravvedere
tra le righe la concezione panoramicistica o pittorico-vedutistica del paesaggio. Quella visione, lo abbiamo pi volte ribadito, che fa coincidere il
paesaggio con il panorama; con un quadro naturale tale che, virtualmente incorniciato, in analogia con la pittura di paesaggio, si offre a una
percezione distaccata e contemplativa da compiersi da un punto di osservazione elevato (il belvedere). Ma proprio il piano emotivo ed esperienziale che permette di riscontrare nei testi delle canzoni prese ad esempio
altre concezioni di paesaggio che trascendono la concezione pittorico-vedutistica. Vargiu, per rendere conto di questa diversa concezione, utilizza
il termine proiettivo. Il paesaggio diventa cos anche nelle canzoni
trasposizione dei sentimenti e degli stati danimo del soggetto. Il richiamo
qui alla tradizione (lunga tanto quanto quella pittorica-vedutistica) del
paesaggio come uno stato dellanima. La trasposizione sentimentale non
per fine a se stessa, ma in ultima analisi assume le forme di un invito
(diretto anche allascoltatore) a immergersi totalmente, con tutti i cinque i
sensi, nel paesaggio.
E arriviamo ad un altro supporto: la fotografia. A darci alcune chiavi di lettura per interpretare alcune potenzialit del supporto (e del mezzo) fotografico nel parlarci, descrivere e creare paesaggi Federica Pau.
Lautrice, in Il paesaggio di Basilico: dal senso dellinfinito allo sguardo
lento, ricorda il lavoro del fotografo Gabriele Basilico, unico italiano ad
aver preso parte alla Mission Photographique de la DATAR, limportante
progetto di documentazione delle trasformazioni del paesaggio contemporaneo voluto dal governo francese (1984-1988). Basilico era noto al
pubblico italiano per il progetto Milano ritratti di fabbriche ed da questa
esperienza fortemente legata allurbano e alla citt meneghina che il fotografo inizia il progetto francese maturando, via via, unidea pi chiara (ma
al contempo pi complessa) di paesaggio. Siamo agli inizi degli anni 80
del novecento, momento in cui matur in fotografia un crescente interesse
per il paesaggio contemporaneo. Oggetto dei suoi scatti, lo spazio aperto
del paesaggio e i suoi dettagli minuziosi e particolareggiati, colti attraverso uno sguardo iperanalitico. Lesercizio dello sguardo va per ben oltre
un piano prettamente descrittivo. Le fotografie di Basilico non catturano
infatti la sola vista del paesaggio, ma rendono conto dellesperienza e
della presa di coscienza del fotografo che cammina attraverso i luoghi; un
camminare che procede investendo tutta la sua dimensione corporea. La
presa di coscienza dello spazio ricorda Basilico attraverso la penna di
Pau non riguarda la sola visione, giacch essa legata certamente allo

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sguardo, ma anche al camminare, al muoversi fisicamente, alla ricerca di


un punto di ripresa.
Nel contributo di Emanuele Crescimanno Riappropriarsi dei propri
spazi: larte partecipativa di JR il paesaggio inteso come lorizzonte entro cui si svolge la vita quotidiana, per riprendere la definizione della Convenzione Europea del Paesaggio come una determinata parte di territorio,
cos come percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dallazione
di fattori naturali e/o umani e dalle loro interazioni. Se il paesaggio
da intendersi come la relazione tra le persone e il proprio luogo di vita e
azione (e non come semplice sostrato naturale), diverse epoche, cos come
diversi contesti, sono state caratterizzate da altrettante diverse relazioni tra
persone e luoghi. Lautore si sofferma sul percorso evolutivo di questo
rapporto, affermando che in ogni stadio esiste sempre qualcosa di appagante e piacevole legato al paesaggio. una prospettiva, quella di Crescimanno, che pone laccento sulla dimensione culturale, storica ed estetica
insita nellidea di paesaggio. Da qui, lattenzione per lopera di JR, artista
francese che guarda agli abitanti come gli attori principali nel processo di
riappropriazione degli spazi di vita, divenuti troppo spesso a causa della
modernit inospitali e refrattari a ogni possibilit di proficua esperienza. Non un caso che il lavoro dellartista si sia rivolto in particolar modo
alle periferie e che lartista coinvolga gli abitanti in qualit di co-autori.
E questa scelta permane anche in un altro progetto di arte collaborativa
firmato da JR, Inside Out (2011), in cui lartista, tramite web, ha chiesto
la collaborazione di chiunque volesse partecipare al progetto, inviando dei
ritratti fotografici in bianco e nero per scoprire, rivelare e condividere le
proprie storie con tutto il mondo. JR scrive lartista diventa cos un
automa, non pi lui ad azionare lotturatore dellobiettivo, non pi lui
a scegliere lubicazione e nemmeno ad attaccare i poster. JR diventa tutte
le macchine fotografiche degli utenti coinvolti, diventa le mani che hanno
attaccato quei poster, diventa tutti coloro che hanno aderito a Inside Out e,
viceversa, tutti i partecipanti diventano JR23.
E anche per Moirika Reker il paesaggio una particolare categoria di
pensiero che permette una mediazione tra luomo e la natura, una specifica
modalit di esperire la realt. Da questa prospettiva non solamente luomo a dare forma (shapes) al paesaggio, ma anche il paesaggio alluomo.
Il paesaggio infatti esperito in maniera sinestetica pu agire positivamente o negativamente la sua vita. Ad essere indagato, anche stavolta il
senso del paesaggio nella sua declinazione percettiva e multisensoriale/
23 Cfr. http://zest.today/arte/notizie-arte/jr-larte-partecipativa/.

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Dare senso al paesaggio

estetica legata allesperienza. In Landscape and the collapsing Metropolis.


The hypothesis of the urban Orchard lautrice si sofferma sui giardini urbani, di cui esplora le potenzialit come luoghi di coltura. La possibilit
di introdurre frutteti nel suolo pubblico e in ambito urbano viene presentata
come unattiva forma di resistenza e opposizione alla logica del consumo
e della dipendenza alimentare tipica dei contesti urbani: Public orchards
are, thus, a way for individual practice and community action, to learn
together how to take hold of one of the basic elements of life: how to feed
the family. And, by extension, how to go from passive consumers of food
and of aesthetic things (objects, images, architecture), to active participants, searching for a sustainable, meaningful city through an aesthetic of
immersion. Di questa produzione beneficia anche lambiente in termini
di ampliamento della biodiversit, di miglioramento della qualit dellaria,
dei suoli e dellacqua, cos come, a vari livelli, ciascuno di noi.
Se volessimo cercare un filo conduttore tra il lavoro di Antonio di Chiro,
Dimora, luogo e paesaggio nellepoca dellHeimatlosigkeit. Heidegger e
la fenomenologia dellabitare, e quelli appena ricordati di Pau, Crescimanno e della Reker (ma anche di Papotti), lo troveremmo nel tema della
modernit e dei profondi cambiamenti a questi associabili (siano essi di
natura fisica e/o sociale). Oggetto specifico del lavoro di Di Chiro lopera
di Heidegger e, a partire da questa, sia le inquietudini della nostra epoca
che lidea (su cui tanti hanno riflettuto, in primis Spengler, ma in maniera
affine Tnnies e Sombart) che la modernit e lo sviluppo urbano comportino una rottura definitiva con il passato organico-sintetico del vivere
comunitario. Il pensiero heideggeriano, troppo spesso interpretato come
un semplice ripiegamento nostalgico in un paesaggio arcaico e rurale, in
realt si configura come una riflessione sulla sradicatezza e della deterritorializzazione intesi come caratteri strutturali della nostra epoca: nella sua
speculazione il filosofo tedesco individua le ragioni della crisi dellabitare
nella rottura del rapporto costruire-abitare-dimorare, senza cadere in facili
sentimentalismi e rimpianti per il mondo preindustriale e precapitalistico.
Si tratta di un processo di totale uniformazione della Terra che cancella
le identit locali e priva di senso parole come casa, abitare, poesia, rompendo il nesso che le allacciava intimamente in un legame saldo e stabile:
in questo contesto scrive ancora Di Chiro che deve essere posta la
domanda che chiede della dimora, del luogo e del paesaggio: ogni tentativo di ripensare i luoghi, di restituire dignit e senso allabitare delluomo
sulla terra, deve inevitabilmente confrontarsi con questo percorso, con il
destino stesso dellOccidente, senza abbandonarsi a malinconiche illusioni
e retrograde lusinghe verso una dimensione perduta, ma, piuttosto, aprendo

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e percorrendo nuovi sentieri, proseguendo oltre linevitabile tramonto di


ci che stato.
Lultimo saggio del volume, Fare luoghi. abitare come arte dinsieme,
opera di Raffaele Marone. Il paesaggio appare come una serie di involucri,
una serie di piani che, partendo dal paesaggio interiore, arrivano a comprendere il paesaggio di Natura, passando per il paesaggio domestico della
casa, il paesaggio vicinale del quartiere, il paesaggio urbano della citt, i
paesaggi dello spazio antropizzato del territorio. Tutti questi paesaggi sono
frutto di interazione, persino i pi individuali prendono forma grazie allinterazione con altri. Anche qui ritornano concetti cardine gi visti: da un
lato quello dellabitare, qui inteso come vissuto di paesaggi plurimi a scala
diversa dallaltro quello della partecipazione di pi soggetti, ma anche
dei vari sensi implicati nella conoscenza e nellesperienza del paesaggio.
Su queste premesse possibile iniziare a delineare se non un programma, piuttosto una proposta di azioni concrete possibili per fare luoghi nella
contemporaneit, culturalmente ibrida. Per fare luoghi, ci si muove fisicamente nello spazio abitato lo spazio che gi esiste. E si immagina lo spazio da abitare lo spazio che vorremmo. Agire nello spazio abitato: abitare
camminando nello spazio; abitare ascoltando lo spazio; abitare descrivendo lo spazio. Agire per lo spazio da abitare: abitare sentendo lo spazio;
abitare immaginando visioni; abitare facendo luoghi (Marone). E qui lesempio cade nuovamente sullopera degli artisti nello spazio, in particolar
modo sulle installazioni che svolgono un ruolo importante nel raccogliere
i sentimenti e i desideri degli abitanti in un dato territorio, ma anche utili
per cogliere le potenzialit di trasformazione degli spazi. Larte e i processi
partecipativi possono dunque aiutare a far emergere, ma anche a sviluppare, immaginari altri sui nostri spazi di vita, immaginari che traducendosi in concreti atti territorializzanti possono portare alla realizzazione
di spazi altri, non ancora presenti (o non ancora immaginati). Si sposa
qui un concetto di realt molto pi vasto di quello tradizionale (moderno),
in cui il reale costruito non solo dallattuale (quello che vediamo), ma
anche dal possibile (quello che non vediamo) (Bernardi 2002, p. 31).

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