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La sarabanda - dal punto di vista interpretativo - è quella che si presta ai rischi e agli equivoci

maggiori. Il perché è presto detto: se non ci si sofferma a considerare il “carattere” di questa danza,
la sua fisionomia formale, si rischia di eseguirla o con un languore tardo-romantico (che qui è
ovviamente fuori luogo) o con una aridità espressiva come se questa musica provenisse da un
deposito di fossili e non fosse invece espressione dello splendido e grandioso barocco! Allora:
evitiamo il tardo-romanticismo ma - vi prego - non addormentiamo lo spirito di questa danza in una
esecuzione al cloroformio. Ecco, appunto: è una danza. E, della danza, esprime innanzitutto il
movimento, la pulsione ritmica, il contagio motorio derivante dall’ antico fuoco di danza sensuale
e.... sconveniente. Proviamo a suonarla allora con il piacere della danza, la grazia di movimenti
coordinati, (ri)diamole quel giusto impulso interno senza forzature espressive dal un lato, ma senza
anestetizzarne la vita, dall’ altro. Ci sembrerà tutt’altra cosa e invece, forse per la prima volta,
avremo suonato una sarabanda semplicemente per quello che è.
Le ragioni estetiche nascono dalla struttura musicale. E’ dunque ora di analizzare il movimento.

¾ - la minore - adagio quasi andante (56 alla semiminima).


Già nella prima frase di quattro battute va evidenziata l’ espressività semplice sottilmente
“sensuale” di questa danza; non c’ è drammaticità espressiva, tutto si svolge naturalmente:
Se ciò è vero, vanno allora evitati:
 un vibratone melodrammatico, più adatto all’ opera verista;
 uno spessore dinamico che, oltre a volgarizzare il disegno melodico, “ferma” la danza (ad es. nel
fa minima della prima misura spesso si sente un ingiustificato rinforzo del suono che nella testa
del flautista equivale a “sentite che suono!!!!” ma che, in realtà, sembra voler schiacciare i piedi
dei danzatori a terra!).
Va invece ricercato un suono di base scuro ma leggero, con prevalenza delle risonanze nasali (tipo
registro “chalumeau” del clarinetto).
La semplicità della danza non è affatto intaccata dalle successioni di quartine (batt. 10 e segg.);
tutt’altro! Essa si conserva anche quando il disegno si apre sul si (inizio di batt. 13), per poi
ricomporsi, con garbo e senza enfasi, nella chiusura della prima parte, in Do Maggiore. Ma sulle
quartine occorre porre una grande attenzione:
 al controllo del suono, soprattutto per quanto riguarda la dinamica (il rischio, qui, è quello di
“gonfiarle”);
 ad evitare gli accenti sulla suddivisione perché banalizzano il disegno e ostacolano la
leggerissima “ineguaglianza” che qui risulta molto in stile.
La seconda parte si apre con una frase di quattro battute:
Osserviamo: le prime due misure sono pressoché identiche alle rispettive misure iniziali sotto il
profilo ritmico; presentano diversità nella struttura armonica (siamo ora in Do Maggiore) e nel
profilo melodico; il colore del suono richiesto è poco più aperto, più chiaro, meno esitante: Ma ......
attenzione: il sol diesis di batt. 19 ci fa capire che l’ armonia ci stia riconducendo ad una tonalità
minore (la minore, appunto); si avverte qui come un “cambio orbitale.
Ecco, accordo di settima di dominante che porta al la minore: cambia il piano dinamico (sol diesis è
la base di appoggio: tutte le altre note risultano in secondo piano fino al la, che comunque va
suonato piano, come se fosse un’ unica appoggiatura sol diesis/la e, dunque, con appoggio sul sol
diesis e risoluzione morbida sul la), cambia la luce sonora, ossia il timbro, ora più scuro, lunare,
“tastiera”; cambia infine l’ “orbita”: la linea melodica, più che spiegarsi, sembra ora volersi
ripiegare su se stessa. Credo che la differenza sia abbastanza chiara.

Le sei misure che seguono possono distinguersi nella successione 21/22 - 23/24 - 25/26, ove 23/24
costituiscono una variante scritta rispetto alle due precedenti. Le misure 25/26 aprono di nuovo il
disegno sull’ accordo in spiegazione melodica di re minore (batt. 26). Non occorre qui fare il solito
ritenuto esagerato: è l’ armonia stessa che neutralizza la tensione del disegno precedente; è la scelta
bachiana di porre qui - sic et simpliciter - un tranquillo accordo di re minore ad azzerare ogni
residuo di tensione. E allora, per ottenere questo, suoniamo queste note (re - la - fa - re - fa - la) nel
modo più semplice possibile, senza gonfiare verso il basso; un’ unica arcata, tutte legate,
alleggerendo le ultime due note in maniera oltremodo naturale (l’ arco va verso la punta!).
Ed ora le otto misura prima della “ripresa”.
Ecco la mia lettura:
batt. 27/28, come se fossero un’ unica misura, in mf, contenuto, presto seguite dalle batt. 29/30,
anch’ esse un’ unica misura ma in mp; ora, accento metrico sul re (batt. 31), mf, e tutto il resto in
levare senza suddivisione; idem per la batt. 32 ma in mp e con colore scurissimo; tranquille e più
amabili le misure 33/34.

Il bourrée anglaise è caratterizzato:


 dall’ ottavo in levare - cortissimo e ben staccato - che favorisce l’ accento sul battere della
battuta successiva;
 le semicrome di passaggio sul tempo debole;
 il carattere molto affermativo della seconda misura.
Ecco, questi sono i “pilastri” su cui poggia la prima frase; ad essi va attribuito un identico spessore
dinamico, altrimenti qui la danza “sfugge” ; le altre note vanno eseguite tutte in secondo piano.
La puntualità ritmica dei sedicesimi ostinati favorisce una maggiore tensione allorché il disegno si
dirige verso la tonalità di Do Maggiore.
Dunque: buon appoggio sul mi (battere di ogni quartina; ma attenzione a non accentuare l’ ultima
semicroma di ogni quartina) e poi andare verso il Do Maggiore senza però precipitarsi; appoggiare
dunque il battere e, soprattutto, alleggerire la croma in levare, corta e senza peso.
Abbiamo ora un episodio costituito semplicemente dal dispiegamento melodico degli accordi in
successione tonica/dominante, ripetuto due volte:

Il disegno risulta più scorrevole, più “virtuoso” (!). E’ prassi eseguire le due semifrasi nell’
alternanza forte e piano. Ma credo che a ciò possa opportunamente aggiungersi un diverso “colpo d’
arco”, vale a dire, un diverso staccato.
Allora, prima semifrase (batt. 7/8): mf, staccato détache, morbido (D), scuro;
seconda semifrase (batt. 9/10): mp, staccato più corto e con lingua più avanzata (T), chiaro.
La differenza è allora nella tecnica artistica e non .... nel f e nel p.
Batt. 11/12 e 13/14: identiche per scrittura e per il carattere modulante (Do - Do settima la prima e
Fa - Re settima la seconda), sono ben salde sul battere ed aprono al Sol Maggiore che a sua volta
prelude al tono della relativa maggiore nel quale si chiude la prima parte della danza.
La seconda parte ripresenta modelli già analizzati, ovviamente proposti in ambiti armonici
differenti. Solo a batt. 39 interviene un nuovo episodio, più ampio nelle scale di sedicesimi che
“staccano” sul forte appoggio del battere:

Dopo il passaggio alla tonalità di mi minore, abbiamo quattro misure, distinte in 2+2, convergenti
verso i due bassi che definiscono la struttura armonica (re minore - Do Maggiore):
Di nuovo il .... vecchio problema: il do di arrivo, fondamentale dell’ accordo, va inteso nel terzo
spazio del pentagramma - come scritto - o, più coerentemente rispetto al re precedente, andrebbe
posto sotto il pentagramma? Le idee al riguardo non sono concordi: personalmente ritengo più
giusto eseguire il do sotto il pentagramma perché, in tal modo, si rispecchia l’ esatta simmetria del
disegno. Bach sapeva che sul traversiere la nota più bassa era il re e, per tale motivo, avrà
sicuramente pensato di trasportare la nota in questione (altrimenti ineseguibile) all’ ottava superiore;
ma questa è solo un’ ipotesi.
Si ripropone, nella tonalità di impianto, la frase iniziale, più agile però nella parte conclusiva;
troviamo pure un abbozzo di scrittura a due voci (uso questa espressione in senso estensivo) nelle
crome che precedono immediatamente le semicrome lanciate verso la conclusione della danza.

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