Sei sulla pagina 1di 67

LEONARDO ANTONIO DI CHIARA

LA MUSICA ARBËRSHË DI GRECI

Analisi musicale sui canti tradizionali di Greci (AV)


Ogni brano di
musica popolare
è un piccolo capolavoro

BELA BARTOK

AI MIEI GENITORI
le mie radici

ALLE MIE FIGLIE ANTEA E BENEDETTA


il futuro
Introduzione
________________________________________________________________________________

Sul finire del 1800 un grande compositore, Leos Janacek vaga nella sua Boemia
registrando canti popolari sui rulli di cera e annota su pentagramma le linee sonore, linee che le voci
della gente nei mercati, campagna e strade disegnano come forme geometriche invisibili
nell’ambiente acustico. Una trasformazione, diremo oggi, immediata in cui il suono delle voci
ascoltato diventa linea essenziale di canto, frammenti di canto disegnato con le note musicali sulla
carta. Non voglio assolutamente entrare nella tediosa disputa su cos’è la musica popolare di ieri e
di oggi, sul suo significato e funzione sociale. Il compositore suddetto e molti altri, che si sono
prodigati in simili ricerche personali, ci suggeriscono una via di ricerca diversa, che senza tanti giri
di parole risulta essere quella dell’affettività. Risulta dal fatto che nel cercare le radici musicali, le
radici sonore della propria gente, si cercano le emozioni, gli affetti, appunto, che la musica come
linguaggio preverbale contiene e comunica.
La musica popolare, intesa come ricerca di un’identità culturale, ricerca nelle radici di
un’espressione collettiva, è protetta dal manto sicuro di un anonimato che si lascia riconoscere
nella collettività stessa solo geograficamente definita.
La musica popolare è come vitalità, da sola non basta per essere autentica e autenticamente
creativa, però senza si rischia l’astrazione, l’astrazione non propriamente artistica, quella
anaffettiva.
Certamente la musica popolare arbëreshë rappresenta una fisiologica continuità e sviluppo
di quel periodo antico, come risulta dalla similitudine dei modi melodici e ritmici asimmetrici. In
qualche caso abbiamo degli esempi di canti e danze che i musicologi collocano senza difficoltà in
periodi della musica mediterranea del periodo ellenico.
Canti e danze di campagna, canti d’amore, lamentazioni funebri in cui le prefiche, dirette
discendenti del coro della tragedia greca, cantano il dolore lacerante nelle veglie funebri. Danze e
canti dedicati a momenti grandi o piccoli di vita quotidiana: nascite, ninne-nanne, canti infantili,
filastrocche, ma anche di lavoro; canti per lo sposo e per la sposa, canti per la vendemmia, canti
strazianti per chi emigra in altre terre, canti con giochi di parole, canti allusivi e di seduzione. Tutti
questi canti formano un grande arcobaleno dalla sorprendente quantità di colori musicali fatti di
voci e affetti, di strumenti diversi e di grande varietà ritmica e melodica, che sono riusciti a

3
Introduzione
________________________________________________________________________________
raggiungere un inequivocabile livello qualitativo affatto inferiore alle altissime conquiste
dell’espressione artistica nella storia del nostro popolo e paese.
Questo scritto, che vede relazionato Greci con i suoi costumi e le sue usanze attraverso la
musica, si riallaccia idealmente a quello che nelle prime righe qui sopra ho accennato. Il rapporto
libero e originale di un compositore con la musica della sua terra d’origine, un rapporto affettivo.
Come un ricercare in lontanissime memorie emotive, create in quel periodo in cui il rapporto
primordiale proprio con il canto e le parole affettive degli altri era senza mediazioni, fuso con la
propria creatività e rivolta verso l’ascoltatore.

4
La musica Arbëreshë
________________________________________________________________________________________________________________________

Nel sud dell’Italia vi sono diversi paesi fondati, o ripopolati, da profughi provenienti
dall’Albania, giunti nelle nostre coste principalmente tra il XV e il XVI secolo a seguito
dell’espansione dell’impero Ottomano. Il più alto numero di paesi arbëreshë (questo è il nome degli
albanesi venuti in italia in quel periodo) si trova in Calabria, ma vi sono rappresentanze anche in
Sicilia, Puglia, Lucania, Abruzzo e Molise. Dopo i tirolesi, gli arbëreshë sono la minoranza etno-
linguistica più numerosa d’Italia. In tutto il mezzogiorno d’Italia i Comuni che hanno conservato
l’etnia arbëreshë sono in tutto cinquanta. L’unica presenza in Campania l’abbiamo a Greci, paese
della provincia di Avellino, arroccato, come quasi tutti i paesi arbëreshë, su un’alta collina a 824
metri sul livello del mare. Il tratto più rappresentativo dell’identità arbëreshë è la lingua, tramandata
esclusivamente per tradizione orale e tenuta integra quasi sino ad oggi. In maniera simile ad altre
situazione ha iniziato a subire un grande processo di crisi. Secondo lo studioso Prof. Italo Costante
Fortino, docente di Lingua e Letteratura Albanese all’Università Orientale di Napoli <<
L’isolamento di questi paesi ha conservato la lingua per secoli, il momento di rottura è stata la
scolarizzazione di massa e l’avvento della televisione>>1. Altro importante elemento
rappresentativo delle comunità arbëreshë è la religione. Infatti in alcune comunità albanofone, pur
essendo cattoliche, si pratica il rito greco-bizantino; ciò, oltre ad essere importante culturalmente
(significativo caso di ecumenismo), ha permesso in alcuni casi la conservazione in forma orale
dell’antico canto bizantino. Nello specifico a Greci il rito greco ortodosso è andato perduto a causa
di un deciso intervento dell’arcivescovo di Benevento Cardinale Orsini, nominato Papa con il nome
di Benedetto XIII, che nel corso degli anni fece scomparire e dimenticare il rito ortodosso presso la
comunità di Greci. Altri elementi da non sottovalutare delle comunità arbëreshe sono rappresentati
dai costumi, dai repertori musicali e da circostanze rituali. Oggi questi elementi si presentano
decontestualizzati e considerati prevalentemente come elementi di accrescimento culturale, mentre
in passato erano parte integrante della vita tradizionale.

1
Cfr. Rivista GEO tribù d’Italia “Il canto libero degli Arbëreshe” aprile 2006 pag. 157.

5
La musica Arbëreshë
________________________________________________________________________________________________________________________

In questo scritto l’attenzione è rivolta all’aspetto musicale, ossia ai canti tradizionali e non di
Greci analizzati musicalmente e facendo un raffronto con i canti e le musiche delle altre comunità
albanofone.
Trovarsi di fronte a melodie e ritmi tramandateci oralmente scatena indubbiamente un forte
sentimento, quello del rispetto verso l’inesorabile e costante scorrere del tempo, che leviga e
trasforma la materia e il pensiero, ciò che non è determinato o assoluto. La trascrizione ferma il
flusso e lo scorrere del tempo; di conseguenza l’oralità perde la sua funzione e la sua magia,
venendo a mancare la sua stessa specificità, rappresentata dalla continua trasformazione che la
caratterizza.
La trascrizione dei canti, quindi, deve essere considerata semplicemente come una
possibilità in più, che non ha valore assoluto in se stessa, se non quello di rendere fruibile, a chi è
interessato, un supporto in più per potersi accostare a studi scientifici e di comparazione con altre
culture. Semplicemente, per i più, quella di avvicinare per quanto possibile alla comprensione dello
spirito che anima questi canti e delle emozioni che riescono a comunicare.

6
Analisi musicale di Oi ti Mari e U vaqa Sëndë Vit
________________________________________________________________________________

I primi studiosi della musica arbëreshë, che hanno subito il fascino e che per primi hanno
registrato la musica sul territorio nel corso dei loro studi nel 1954, sono Ernesto De Martino e Diego
Carpitella, i quali condussero per conto del Centro Nazionale Studi di Musica Popolare, una
spedizione di rilevamenti sonori sul campo presso alcune comunità arbëreshë della Calabria e della
Lucania.2 Prima di loro lo studioso Michele Marchianò3 si è occupato di musica nel 1901 presso le
colonie albanesi della Capitanata. La sua è stata un’analisi dei testi dal punto di vista della metrica
piuttosto che un’analisi completa, contenente anche la parte musicale.
Ma vediamo più da vicino i canti tradizionali arbëreshë di Greci. Purtroppo a Greci nulla è
rimasto nella memoria dei più anziani sui canti antichi provenienti dalla madre patria, canti di
battaglia e canti amorosi; contrariemente nelle comunità calabro-arbëreshe è insito nei ricordi, nelle
tradizioni un canto dal titolo Luleborë (Bucaneve), una canzone molto famosa della tradizione
albanese di Scutari. I canti ricordati dagli anziani di Greci sostanzialmente sono cinque:
- Oj ti lalë cia, O zio cià;
- Carme pogje pogje, Carmela ascoltami;
- Oj ti Mari, O Maria;
- U vaqa send vit, Sono andato a San Vito;
- Uait ima, Lamento Funebre;
- Kalimera, Canto religioso sulla passione di Cristo.
Questi canti li possiamo classificare a repertori connessi al ciclo della vita, ciclo dell’anno e ad
eventi di vita quotidiana.
Dal punto di vista musicale questi canti sono composti da una struttura bivocale, composta
da quattro o cinque segmenti (figg.1,2). Il primo segmento consiste solitamente nel dare

2
Cfr. ANTONELLO RICCI, ROBERTA TUCCI “Musica arbëreshe in Calabria” Ediz. Squilibri, Archivi di
Etnomusicologia dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, ROMA 2007.
3
Cfr. MICHELE MARCHIANO’ “Canti Popolari Albanesi delle colonie d’Italia” Ediz. Arnaldo Forni Editore –
Bologna 1986.

7
Analisi musicale di Oi ti Mari e U vaqa Sëndë Vit
________________________________________________________________________________
l’intonazione da parte della voce principale, mentre gli altri sono dei frammenti bivocali che si
muovono all’interno della partitura prevalentemente per terze parallele e concludono quasi
sempre su di un’unica nota (unisono), la quale nota spesso è il terzo grado della scala, mentre si
usa come nota finale la tonica, ossia il primo grado della scala, solo a conclusione del brano.

fig.1)

Assai caratteristica è l’emissione vocale di questi brani; solitamente vengono intonati con voce
molto tesa e gutturale, quasi “gridata” che li rende di grande fascino e soprattutto idonei per
essere intonati in spazi molto grandi ed aperti visto anche il contesto ove spesso venivano

8
Analisi musicale di Oi ti Mari e U vaqa Sëndë Vit
________________________________________________________________________________
intonati, ossia durante le faticose giornate nei campi o durante la trasformazione e sistemazione
dei prodotti agricoli. Le nuove generazioni ormai non sono più in grado di padroneggiare questa
tecnica vocale “lacerata” per via anche di una diversa formazione fisiologica delle corde
vocali, frutto di un cambiamento radicale della vita quotidiana ove la voce è usata con
parsimonia, mentre l’apparato uditivo è esposto quotidianamente ad un elevato inquinamento
acustico.
fig.2)

9
Analisi musicale di Oi ti Mari e U vaqa Sëndë Vit
________________________________________________________________________________
Altro aspetto molto interessante è l’impianto armonico di questi canti. Siamo soliti ascoltarli
con un’esecuzione dove è previsto il sistema tonale a noi più vicino, tonalità maggiore o minore,
ossia quel passaggio dai modi gregoriani ai toni moderni che all’inizio del XVII sec. avviarono il
linguaggio musicale a trasformare i modi ecclesiastici nei nostri modi maggiori e minori. Maturò
così l’armonia tonale, in cui la musica gravita intorno al centro tonale principale (la tonica), e si
sviluppa attraverso una successione di accordi associati ai vari gradi della scala, che di volta in volta
assumono preminenza durante lo sviluppo del brano musicale. Con questo cambiamento ha assunto
grande importanza la sensibile (il 7° grado della scala), che nei movimenti cadenzali è assai
frequente e che attraverso il suo relativo accordo di settima di dominate forma una sensibilità
armonica molto caratterizzante. Tutta la musica da questo periodo sino ai nostri giorni è governata
dai classici movimenti cadenzali: I-V-I grado, la così chiamata cadenza perfetta.
Resta fuori da questo discorso tutta la musica di provenienza orientale la quale usa
esclusivamente scale diatoniche e pentafoniche. Al contrario della musica occidentale non usa la
cosiddetta scala temperata, cioè la perfetta suddivisione della scala in dodici semitoni uguali; nelle
regioni orientali e di provenienza balcanica si usa un’imperfetta divisione, così da creare dei
battimenti o micro toni che il profano attribuisce come lievi stonature. Questo sistema prende il
nome di Modale. La forma modale è quella originaria della musica in ogni parte del mondo anche
se con sfumature diverse, come ad esempio la limitazione ad una sola voce (monodia).
L’intonazione è giudicata sempre dalla percezione del musicista, anche nei sistemi più ricchi che
hanno stabilito suddivisioni inequabili degli intervalli musicali. Se si ascolta con attenzione cantare
le anziane di Greci si possono perceperire questi intervalli inequabili come anche nei canti di altri
paesi arbëreshë. Ora di seguito vengono esposti esempi nei quali le melodie di “O ti Mari” e “U
vaqa Sëndë Vitë” sono analizzate con i sistemi dei tetracodi greci e le scale dei modi gregoriani; si
potrà notare come le due melodie abbiano molti punti in comune.
Entrambe le melodie usano XI modo autentico dove la Finalis (nota conclusiva) è il Do
mentre la repercussio (nota caratteristica intorno alla quale si muove la melodia) corrisponde alla
nota Sol (fig.3).

10
Analisi musicale di Oi ti Mari e U vaqa Sëndë Vit
________________________________________________________________________________

fig.3)

11
Analisi musicale di Oi ti Mari e U vaqa Sëndë Vit
________________________________________________________________________________

12
Analisi musicale di Oi ti Mari e U vaqa Sëndë Vit
________________________________________________________________________________

L’XI modo gregoriano si può suddividere in due tetracordi greci e viene fuori un’ armonia
(insieme di due tetracordi) Lidia. Questa, insieme all’armonia Frigia, fa parte di quei tetracordi
(successione di quattro suoni discendenti compresi nell’ambito di quarta giusta) d’origine
prettamente orientale, pertanto ci troviamo di fronte ad un altro indizio che ci conduce alla musica
modale (figg. 4, 5).

fig.4)

fig.5)

Detto questo se si volesse accompagnare questi due canti con degli strumenti e anziché usare
il modo maggiore si utilizzasse l’XI modo ecclesiastico con le appropriate sequenze armoniche, il
canto acquisterebbe maggiore fluidità melodica che non risulterebbe stucchevole nelle continue
ripetizioni strofiche e anche una facilità a creare le note non perfettamente temperate che, come si è
già detto, sono caratteri tipici della musica arbëreshe cantate dalle anziane del paese.
Nei canti tradizionali arbëreshe di Greci il termine specifico, che dovrebbe indicare la
struttura melodica, il testo verbale e lo stile esecutivo si è perso. Mentre nelle altre comunità

13
Analisi musicale di Oi ti Mari e U vaqa Sëndë Vit
________________________________________________________________________________
arbëreshe è ancora presente con il nome di vjesh o vjersh, a seconda delle parlate delle varie aree.
Questo termine, che si potrebbe tradurre con verso, stornello o canto indica appunto un brano a due
voci. La voce principale, di solito la più acuta, è affidata ad un solista; la seconda voce ad un
piccolo coro che canta all’unisono. La memoria grecese ha dimenticato il termine preciso, ma non
l’impianto strutturale dei viesh.

14
Analisi musicale di Carme pogje pogje e Oi ti lal Çia
________________________________________________________________________________________________________________________

Carme pogje pogje e Oi ti lal Çia sono gli unici canti della tradizione grecese con il ritmo
vivace molto simile alla Tarantella specialmente Oi ti lal Çia, pertanto si presterebbero anche al
ballo. Con il termine Tarantella vengono definite alcune danze tradizionali prevalentemente
dell’Italia meridionale. Le melodie appunto sono costantemente in tempo veloce con fraseggi
melodici e ritmici in 6/8, 18/8 o 2/4 sia in modo maggiore che in modo minore, a seconda dell’uso
locale. Sia Carme pogje pogje, che Oi ti lal Çia rispettano queste caratteristiche; la prima ha un
tempo in 2/4, mentre Oi ti lal Çia ha un tempo in 6/8. Detto ciò non bisogna pensare che siano delle
Tarantelle vere e proprie, ma si potrebbe supporre che codesti brani possano aver risentito
maggiormente dell’influsso della musica napoletana, campana e pugliese. Infatti nel XIX sec. la
Tarantella è divenuta uno degli emblemi più noti del Regno delle Due Sicilie ed il suo nome ha
sostituito i nomi di balli diversi preesistenti in varie zone dell’Italia meridionale, diventando così la
danza italiana più nota all’estero.
La melodia di Carme pogje pogje è prevalentemente per gradi congiunti con puntate oltre
l’ambito dell’ottava, raro nella musica popolare; il rapporto armonico fra le parti è sempre di terza
minore e maggiore, con un andamento che alterna segmenti melodici in parallelismo4. Questi brani
si prestano bene all’accompagnamento da parte di strumenti a percussione, ritmici e melodici. La
struttura melodica della frase musicale si sviluppa nell’ambito di una settima minore, raggiunge la
sensibile (VII grado della scala) toccando i gradi che compongono un accordo di settima di
dominante (fig.6 e 7).
L’etnomusicologia è stata una delle discipline che ha rivelato all’Occidente che l’armonia
tonale non è il culmine dell’evoluzione musicale umana, come ha sempre sostenuto la mentalità
“eurocentrica”, ma piuttosto un’isola tonale in un oceano modale estremamente variegato, seppur
riconducibili ad alcuni principi di base comuni. In ogni parte del mondo esistono o sono esistiti
sistemi di musica modale.
L’oceano modale variegato si può individuare in questi due brani perché entrambi usano una
forma ibrida modale-tonale dato che è presente un’influenza anche del sistema tonale dando così

4
Parallelismo: quando più voci differenti seguono la stessa struttura ritmica.

15
Analisi musicale di Carme pogje pogje e Oi ti lal Çia
________________________________________________________________________________________________________________________

nuova vita agli elementi modali udibili nelle registrazioni eseguite sul campo: i famosi micro-toni
che le anziane di Greci usano con molta bravura.
Come per i due canti in precedenza analizzati anche qui l’intera melodia può essere divisa in
segmenti ed il primo di essi funge da intonazione; pertanto questi, come d’altronte Oi ti Mari e U
vaqa San Vit, erano eseguiti o da un unico solista, o da un solista con l’entrata di una o più voci. In
Carme pogje pogje e Oi ti lal Çia è possibile aggiungere una terza nota nella linea melodica, ossia
una nota di bordone5, tanto presente nelle esecuzioni arbëreshë delle comunità calabresi e lucane
grazie anche all’uso di strumenti musicali che sfruttano questa tecnica come la Zampogna o la
Surdulina6, ma è anche una prerogativa delle polifonie albanesi. Aggiungendo una terza voce di
Bordone, nel tessuto polifonico si verrebbe a rinforzare l’aspetto modale del brano. Pur non avendo
una terza voce a disposizione che esegue il bordone si può utilizzare la chitarra usandola con
un’accordatura aperta7 in cui la corda più grave lo esegue. Questa accordatura si può usarla anche
nei brani precedentemente analizzati.

fig.6)

5
Bordone: consiste in un suono basso e costante che sostiene la melodia
6
La Surdulina è la più piccola delle zampogne italiane.
7
Suonando insieme le corde vuote si ottiene un accordo.

16
Analisi musicale di Carme pogje pogje e Oi ti lal Çia
________________________________________________________________________________________________________________________

17
Analisi musicale di Carme pogje pogje e Oi ti lal Çia
________________________________________________________________________________________________________________________

fig7)

18
Analisi musicale di Carme pogje pogje e Oi ti lal Çia
________________________________________________________________________________________________________________________

In Oi ti lal Çia la struttura melodica della frase musicale si sviluppa nell’ambito di una
quinta giusta (mi-si), mentre il ritmo della linea melodica è un trocheo (lungo corto). Il suo tempo
composto, un 6/8, fa sì che questo brano sia molto adatto anche per un eventuale accostamento alla
attività coreutica. Testimonianze in proposito non ci sono giunte, ma il piglio del canto avvalora la
tesi prima esposta.
Il primo ed il secondo segmento sono formati da un incipit molto singolare; la melodia
raggiunto l’apice sulla nota si, sviluppa il secondo incipit esattamente utilizzando le stesse note al
contrario una sorta di tensione e distensione all’interno della melodia, quasi a voler emulare
l’inflessione della voce nell’emettere una domanda. Il terzo ed il quarto segmento contengono
appariscenti elementi tonali, visto che gli accordi delle otto battute formanti i segmenti, toccano i
gradi cardini di una cadenza perfetta (IV-V-I). (fig. 8)
Fig. 8)

19
Analisi musicale di Carme pogje pogje e Oi ti lal Çia
________________________________________________________________________________________________________________________

20
Analisi musicale di Uait ima
________________________________________________________________________________________________________________________

Un repertorio musicale esclusivamente femminile è quel repertorio di canti facenti


parte del ciclo della vita. Agli estremi di questo repertorio troviamo le ninna nanne e i lamenti
funebri.
In questo capitolo si analizzeranno i lamenti funebri, forma di musica popolare molto diffusa
nel meridione d’Italia; nello specifico si analizzerà la musica del Uait ima. (fig 9)

Fig.9)

Prima di addentrarci nell’analisi di questo canto è doveroso spiegare che codesto lamento
funebre è stato composto per la morte di una ragazza, avvenuta il giorno delle nozze quando si
attendeva l’arrivo dello sposo.
Esiste una doppia tradizione per quanto riguarda il testo, ossia, nella prima lo sposo arriva in
treno, mentre nella seconda si aspetta un Carabiniere.
Secondo la tradizione lo sposo arrivava con degli accompagnatori i quali avevano il compito
di trasportare il corredo e i bagagli della sposa alla sua nuova casa.

21
Analisi musicale di Uait ima
________________________________________________________________________________________________________________________

La melodia utilizzata in questo canto si discosta notevolmente dalle melodie dei lamenti
funebri eseguiti dalle anziane durante le veglie del feretro. Forse il tramando orale di questo canto,
per un evento che sicuramente ha sconvolto la quotidianità, ha reso possibile di una melodia che
potesse essere cantata con facilità da tutti; oppure la comunità del tempo ha voluto mettere un
sigillo vistoso ad un evento “violento” così che la memoria non dimenticasse.
La pratica della lamentazione funebre, una volta così diffusa e praticata fino forse agli inizi
degli anni ’80, è ora quasi scomparsa. Gli elementi di culto arcaici, presenti nel lamento funebre,
possono considerarsi elementi del conservatorismo culturale e quindi, per questa funzione della
cultura arbëreshë, l’origine potrebbe essere anteriore, anziché più tarda. Le pratiche rituali
sembrano avere sorprendenti similarità con le pratiche documentate di lamentazione funebre
dell’antica Grecia. Nel XX sec. noi troviamo, nei “testi poetici” stessi delle lamentazioni funebri,
figure provenienti direttamente dall’antica mitologia greco-romana come il Fato o Caronte.
Nel mondo greco erano le ancelle e le etere a produrre i lamenti funebri, mentre in quello
romano erano le prefiche a dirigere i cori di ancelle che eseguivano il lamento in onore del
trapassato. Nel mondo contadino sono le donne della famiglia del defunto a vegliarlo, a intrattenere
con lui un dialogo come se fosse ancora in vita, improvvisando sul vissuto e sulla personalità del
defunto.
Oggi la nostra società ha escluso la morte dalle case; specialmente in città la morte è vissuta
da parenti e amici negli ospedali, ove le salme sono accolte negli obitori o nelle camere mortuarie in
attesa del funerale. Sembra che la morte non ci riguardi, sia quasi un tabù o che riguardi sempre e
solo gli altri.
Nell’ideologia di queste lamentazioni, il morto non compie di buon grado quel viaggio, ma
deve essere persuaso con le lusinghe ed accompagnato a modo, con una serie di pratiche volte ad
acquietare e rendere lo spirito innocuo per il vivente, assicurarne la dipartita finale ed impedirne il
ritorno. Oggi forse non più, ma in passato era consuetudine legare i piedi della salma, oppure
mettere nella bara alcuni vestiti, oggetti cari, qualche strumento di lavoro e persino dei soldi per
pagare a Caronte il passaggio del fiume.
Intesi come unità di parola, le lamentazioni funebri, fornivano un forum pubblico per il
teatro della morte. La signora nerovestita e con un bianco fazzoletto in mano, si strappava
ritualmente i capelli, si batteva il seno e le ginocchia e cominciava infine il suo pianto ritualizzato.
Attraverso il canto, i parenti dialogavano col morto. Gli parlavano amorevolmente, gli
rammentavano le vicende belle, ma anche quelle brutte vissute insieme, gli ponevano domande
paradossali, lo rimproveravano affettuosamente, lo ringraziavano per la saggezza con cui era
vissuto, gli si raccomandavano per il futuro. Insomma le scene di una vita vissuta insieme erano

22
Analisi musicale di Uait ima
________________________________________________________________________________________________________________________

riviste come in un filmato. Altre volte una lamentazione poteva essere infarcita di finzioni e
sentimenti non realmente sentiti. Quindi anche un canto funebre poteva ammantarsi di ipocrisia e
ciò succedeva, quando bisognava salvare le apparenze agli occhi della gente. Le lamentazioni più
efficaci erano tanto emotivamente intense quanto lunghe, per invocare la sofferenza degli
ascoltatori. Pertanto il massimo dell’intensità delle lamentazioni, con toni strazianti, si raggiungeva
quando la salma era collocata nella bara per essere portata via. Per i bambini presenti, tutta la scena
risultava agghiacciante. Chi si esibiva in queste lamentazioni non era per forza una donna colpita
dal lutto, ma poteva essere anche una donna vicino alla famiglia del defunto, mentre gli uomini
tipicamente, erano nella stanza accanto o fuori a piangere in silenzio.
E’ interessante leggere come un noto studioso tedesco, il von Hahn,8 descrive l’antico
lamento funebre albanese, così come ebbe occasione di ascoltarlo nella stessa Albania:
I lamenti funebri consistono in parti a solo e in cori; una voce comincia e con un tono, a
lungo protratto, mantenendosi sempre sulla stessa nota, lamenta il suo dolore in versi e in
prosa; per esempio:‘ Oh tu figlio mio, perché mi hai abbandonato?’; poi il suono trapassa
nella quarta maggiore o nella quinta e ha inizio un distico in versi, al quale, a un segno
della mano, si accompagna il coro delle altre donne. Appena il coro ha terminato, la voce
assolo prosegue il lamento nello stesso tono di prima, seguito quindi dal coro e così via. Ad
un certo momento un’altra donna, con un segno della mano, interrompe la lamentatrice e
prosegue essa nell’assolo. Il distico cantato dalla nuova lamentatrice e quindi dal coro
cambia contenuto e il lamento prosegue con questo successivo intervento di varie
lamentatici. Il lamento viene cantato dal corteo delle donne anche durante la sepoltura e
viene ripetuto in alcune ricorrenze, per esempio nel terzo giorno dopo la sepoltura. Nella
casa del defunto le lamentazioni proseguono per quaranta giorni, specialmente all’alba
delle domeniche e dei giorni festivi.
Il lamento funebre, come canto guidato in seguito da varie “lamentatrici”, alle quali si unisce
periodicamente un coro di donne, ha una larghissima diffusione non solo etnografica, ma anche
storica. Tutti ricorderanno le “lamentatici” che si avvicendavano nel lamentare la morte di Ettore,
ciascuna delle quali si abbandona al suo lamento mentre – come dice Omero – facevano eco con i
lamenti le donne.
Questo avvicendarsi fra assolo e coro è presente, pur se in forma semplice, nel lamento
funebre di Greci Uait ima, ed è l’unico esempio di presenza del coro, mentre a memoria di chi
scrive, l’esecuzione è avvenuta sempre con un assolo.

8
J.G. von HAHN, Albanesishe Studien, vol I, Jena, 1854

23
Analisi musicale di Uait ima
________________________________________________________________________________________________________________________

Come si è detto la descrizione dello Hahn riguarda le lamentazioni in Albania; ma il


costume si è mantenuto ugualmente nelle colonie della Puglia, Basilicata e della Calabria.
Ecco i versi della lamentazione avvenuta a Greci per la morte della sposa:

E nuzia i ka draza La sposa è sul catafalco


E trimi i prapa derzë lo sposo sta per arrivare
E shëpia më shëkuronë! E la casa si oscura!

E shëpia më shëkuronë! E la casa si oscura!

Më bia kumbora a muertu La campana suona a morto per me


Më thonë kush u vëdiqë Mi chiedono chi è morto
U vëdiqë Duvikia mëmës E’ morta Ludovica, mia figlia
Oi bijë zëmbra mëmës O figlia cuore della tua mamma

Oi bijë Duvikia mëmës O figlia cuore della tua mamma


Oi bijë zëmbra mëmës O figlia cuore della tua mamma

E kush të shëkrehu mëma? Chi ti ha sparato figlia?


Më shëkrëhu Pep De Furia Mi ha sparato Pep De Furia
Ma çë te shekrehu mëma? Con cosa ti ha sparato?
Më shëkrehu ma shëkupëtelan Mi ha sparato con la rivoltella

Oi bijë Duvikia mëmës O figlia Ludovica mia


Oi bijë zëmbra mëmës O figlia cuore della tua mamma

Facioni ka balkuni Affacciatevi al balcone


Mos vien ma papunin Ancora arriva con il treno
Facioni ka parafiria Affacciatevi alla finestra
Mos vien cavalaria Per vedere se arriva la cavalleria

Oi bijë Duvikia mëmës O figlia Ludovica mia


Oi bijë zëmbra mëmës O figlia cuore della mamma

24
Analisi musicale di Uait ima
________________________________________________________________________________________________________________________

Çë kashiuna vaqa e vodha Quali granai hai rubato


Çë mallaxe shëkashiova Quali magazzini hai scassinato
Pë të më bënja ktë tradhëmendë? Per colpirmi con la tua morte traditrice?

Oi bijë Duvikia mëmës O figlia Ludovica della mamma


Oi bijë zëmbra mëmës O figlia cuore di mamma.

I versi successivi sono di un lamento funebre proveniente dalla Grecìa Salentina dove l’
esecuzione è prevista con due esecutori, perché il testo poetico si sviluppa sotto forma di dialogo tra
la madre e la figlia, pertanto si avvicina molto all’esempio dello Hahn.

Come per una figlia

MADRE Hanno portato via mia figlia.


Chi piange e chi singhiozza.
Chissà dove l'hanno portata.
E' partita e non torna.

Dal paniere di mia figlia


spuntavano bianchi doni nuziali.
Venne Tanato e vi depose
aspersorio e ceri.

Chissà, chissà, figlia mia,


dove ti hanno portata i preti.

FIGLIA Dove per vento non si muove foglia.


Meglio, madre mia, che tu non sappia.

25
Analisi musicale di Uait ima
________________________________________________________________________________________________________________________

MADRE Chi ti lava la roba


perché tu faccia bella figura con le coetanee?

FIGLIA Nessuno di quanti siamo qui


è visto e vede.

MADRE Chi ti prepara il letto


perché tu dorma al soffice?

FIGLIA Me lo prepara il nero Tanato


con le dure pietre

La funzione del coro all’interno del lamento funebre è ben precisa, in altre parole aiuta a piangere la
“lamentatrice”, così come la “lamentatrice” fa da guida all’espressione del dolore collettivo.
Il lamento, nello spirito generale della cerimonia, accentua volutamente gli aspetti
parossistici della disperazione lasciando da parte ogni risoluzione più propriamente melodica dello
spirito parossistico: “…. dove ci hai lasciato? Ci hai lasciato in mezzo alla strada… Questi figli
miei li hai lasciati nudi… come faremo? ...”.
Il lamento segue un ritmo o una cadenza che lo distinguono dal parlare quotidiano, è
accompagnato da una mimica definita e tradizionalmente fissata, si svolge dal parossismo iniziale
della crisi andando verso il discorso; il discorso si basa su moduli verbali tradizionali (rapporto di
elementi fissi su cui s'innestano variabili) ed è accompagnato da ritornelli emotivi periodici a volte
corali.
Un punto focale è quello del passaggio dalla crisi al rito della lamentazione. La crisi
rappresenta un rischio psichico che può portare a manifestazioni vicine alla disgregazione ed alla
follia; questo stato può assumere due forme: assenza o scarica convulsiva, si va da una specie di
ebetudine (irrigidimento, immobilità, assenza, perdita di senso della realtà) fino all'opposto di un
comportamento disordinato e pericoloso fatto spesso di gesti volti contro se stessi (urlare, gettarsi a
terra, percuotersi, graffiarsi, strapparsi i capelli o i vestiti).
Vediamo ora dal punto di vista musicale il canto grecese Uait ima. L’impianto tonale è in
minore, comunemente il fa minore è la tonalità che meglio rappresenta o esprime il dolore.
J.S.Bach, ha usato questa tonalità esclusivamente per rappresentare la passione di Cristo e più
precisamente nel corale “Herzlich thut mich verlangen” presente nella passione di San Matteo.
L’andamento ritmico del Uait ime è in tempo ternario, ma il tempo lo si deve pensare con una
pulsazione molto dilatata ed anche un po’ irregolare per meglio esprimere il forte tormento. Come si
è detto prima, questo lamento si avvicina molto all’esempio fatto dallo studioso tedesco, proprio
perché è un canto che ha bisogno di un coro per l’esecuzione, coro che semplicemente ripete a mo’

26
Analisi musicale di Uait ima
________________________________________________________________________________________________________________________

di eco l’ultimo verso e rafforza ulteriormente il clima di disperazione. Il canto è eseguito a cappella
ossia senza l’ausilio degli strumenti musicali. L’inizio della melodia si presenta con il ripetersi di
ben tre volte del terzo grado della scala per poi scendere sino al primo grado della scala. Questo
inizio è molto simile all’inizio della V sinfonia di Beethoven, il quale dà il significato del ripetersi
per tre volte del terzo grado con la sua relativa discesa verso la tonica, al destino che bussa alla
porta. L’estensione melodica non oltrepassa la quinta, in questo caso si tratta di una quinta
diminuita (mi naturale- si bemolle). Anche l’estensione melodica indica il clima di disperazione di
questo brano, infatti l’accordo di quinta diminuita viene solitamente usato dai compositori quando si
vuole sottolineare un passaggio cupo, tenebroso ed intriso di dolore. Infine la sequenza armonica
dell’ultima frase del canto utilizza il secondo grado abbassato, la cosiddetta cadenza napoletana.
Utilizzando un'altra volta come dimostrazione un corale per organo di Bach (Nun Komm der Heiden
Heiland BWW 659, Vieni salvatore dei Pagani), si può notare che a battuta 22 nell’ultima
pulsazione Bach utilizza appunto il secondo grado abbassato proprio nel punto dove il testo narra la
morte di Gesù in croce per salvare l’umanità, quindi un passaggio carico di dolore, tensione e
disperazione. (Fig.10)
Come ho detto all’inizio di questo capitolo il Uait ima si allontana notevolmente dalle
lamentazioni funebri realizzate durante le veglie mortuarie, particolarmente nella componente
melodica. Ho provato anche a fare una registrazione sul campo, ma da superstizioni ben radicate è
stato quasi impossibile, perché appunto è proibito, interdetto, recitare-cantare fuori dal contesto
naturale in cui normalmente si cantavano, cioè in presenza del morto. Il problema più arduo è che
bisogna creare una situazione che in qualche maniera metta, nella condizione psicologica giusta, la
“lamentatrice” per trovare la carica interiore necessaria e toccare le corde dell’anima, condividere la
perdita di una persona per cantare-recitare il Uait ima. Comunque nell’unica registrazione da me
effettuata del Uait ima si può, almeno, ascoltare questo modo particolare di recitare-cantare, anche
se l’esecutrice ha effettuato il canto in maniera molto “felpata” per via appunto della superstizione.

27
Analisi musicale di Uait ima
________________________________________________________________________________________________________________________

Fig.10)

28
I canti religiosi: La Kalimera, Sën Sep kur të pe e Kanxuna Nataljuit
________________________________________________________________________________________________________________________

Nella cultura musicale arbëreshë di Greci sono pervenuti sino ai nostri giorni due
canti di argomento religioso che adottano appunto la lingua arbëreshë e sono la Kalimera ed il
canto in onore di San Giuseppe, Sën Sep kur të pe. Ci sarebbe anche una terza genuinamente
natalizia, una pastorale in onore del Bambin Gesù, ma che gli anziani di Greci abitualmente recitano
senza apporre una melodia e porta il titolo di Kanxuna Nataljuit (Canzone di Natale). Il testo di
questa canzone recita così:

Lopa më ngrohan La mucca mi riscalda


Ghadhuri më ftohan L’asino mi raffredda
Dhia këcen La capra salta
Curri xurlion Il caprone gira su se stesso
Krishti Bakuar Gesù Benedetto
Pa zjarr e pa petka Senza fuoco e senza vestiario
I dhëskuar Infreddolito.

Trattasi sicuramente di una pastorale cantata durante il periodo di Natale, la cui melodia con
il passare del tempo è andata persa ed è giunto sino ai giorni nostri solo il testo che potrebbe essere
anche incompleto, perché nella tradizione di canti natalizi di estrazione popolare si è soliti
imbattersi in più strofe dove si enuncia appunto la nascita del Bambin Gesù in una mangiatoia, la
moltitudine di pastori, gli angeli in festa e l’arrivo dei Re Magi dall’oriente guidati dalla stella
cometa.
I canti popolari di argomento religioso possono avere sia origine popolare, che origine più
qualificata. Quelli di origine più istruita, sono espressi con versi raffinati che presentano grande

29
I canti religiosi: La Kalimera, Sën Sep kur të pe e Kanxuna Nataljuit
________________________________________________________________________________________________________________________

ricchezza lessicale; le parole usate non sono di uso comune, ma proprie della poesia colta. Tali
componimenti sono attribuiti ad uomini di chiesa competenti di testi religiosi. I canti relativi alla
religione di origine più popolare affiancano quelli usuali e, il più delle volte, li sostituiscono per il
loro maggior radicamento tra la popolazione. Sovente coniugano cristianesimo ed elementi pagani.
In essi permangono tracce della cultura popolare contaminata da preesistenti riti pagani, che la
chiesa aveva tentato di eliminare, ed esprimono i caratteri di una certa ritualità, quasi sempre bene
augurante.
Di origine dotta certamente possiamo considerare la Kalimera canto epico lirico per la
passione di Gesù.
Anche negli altri paesi arbëreshë si canta la Kalimera, ma a differenza di quella grecese,
questo canto commemora la resurrezione di Lazzaro. Gruppi di persone prima dell’alba della
Domenica delle Palme, ma anche al vespro del sabato, usano andare in giro di casa in casa,
cantando le Kalimere alla famiglia visitata, da cui ricevono in cambio doni. Si tratta di canti
augurali in lingua arbëreshë, espressione genuina e spontanea del popolo.
A San Benedetto Ullano viene cantata la seguente Kalimera:

Ndrinin lurin margaritate Portiamo alle spose l’annata più lieta


Pjot ulule dheu e kanicare Con stuoie copiose di bachi di seta
Ngreu m’u ngreu m’u zonje shlëpis Svegliatevi lesta signora e di lena
E shih se ësht një gonez me ve Ci porta una cesta di uova ripiene
Mirre katër e pesë keqe ve Ascolta la nuova padrona di casa
Me di të barda për ne Vogliamo un po’ d’uova e qualche altra cosa.

A Greci contrariamente la Kalimera è eseguita la sera del Venerdi della settimana santa; si
narra, quasi copiosamente, la passione di Nostro Signore Gesù ad iniziare dall’ultima cena, fino alla
morte in croce. Nel finale si ha un supplemento con una preghiera di ottima creazione lirica e intrisa
di possente sentimento. Il prof. Emilio Monaco nel suo libro “Greci tradizione e cultura Arbëreshë
in Campania”9 scrive a proposito della Kalimera di Greci: “…venerdi santo si faceva e si fa per le
vie del paese la Via Crucis con figuranti veri, che in costume impersonavano i vari personaggi
della Passione. In tale giorno, ancora oggi, s’intona in chiesa un antico canto religioso arbëreshe,
la “Kalimera” che su un motivo triste e monotono, rievoca la Passione di Cristo…” E’ plasmata da
9
MONACO EMILIO “Greci Tradizione e cultura Arbëreshë in Campania” Litografia Impara Ariano Irpino 2002 pag.
84.

30
I canti religiosi: La Kalimera, Sën Sep kur të pe e Kanxuna Nataljuit
________________________________________________________________________________________________________________________

ben ottantuno strofe che l’esecutore solista canta a cappella, mentre l’assemblea si limita a ripetere
in coro l’ultimo verso di ogni strofa, una sorte di esecuzione antifonale. La Kalimera è molto simile
alla Lauda; canzone spirituale in lingua volgare e di carattere popolare, religiosa ma extraliturgica,
fiorita tra il 1200 e il 1700.
La kalimera è di tipo monodico, cioè ad una sola voce e la forma è strofica senza ritornello.
Nella melodia traspare un moderno senso della tonalità unito ad un progressivo distacco dalle
modalità ecclesiastiche.
La Kalimera ha inizio con un invito alla riflessione sulla sofferenza di Gesù, mentre alla
terza strofa inizia la narrazione vera e propria della passione di Gesù:

3) Të tenjat a javsë madha Il giovedì della settimana santa


Krishti pë ne preghoj Cristo per noi pregava
E mbbjodhi gjithë Apostuit Raccolse tutti gli Apostoli
E pë të mi kungoj Per distribuire la comunione.

Altro passo molto poetico è il tradimento di Giuda che recita così:

13) E subtu iku Xhudja E subito Giuda uscì


Oj kush a kish besë Chi lo avrebbe detto
E vata të shidi krishtin Andò a vendere Gesù
Pë një zet e dhjetë tures Per venti più dieci tornesi.

Nello spazio di una strofa si consuma una nefandezza, sembra quasi che lo stesso poeta
vergognandosi di una simile azione renda tutto conciso e scattante.

Nella sedicesima strofa possiamo notare tutto il lato umano di Gesù Cristo che non vuole soffrire:

16) E ndën njja uiri E sotto ad un ulivo


U vuh të prëghoj Incominciò a pregare
Sa pasjunan akshu të madha Perché una passione così grande
Proprju nën do a sufroj Proprio non la voleva soffrire.

31
I canti religiosi: La Kalimera, Sën Sep kur të pe e Kanxuna Nataljuit
________________________________________________________________________________________________________________________

La narrazione della passione termina con la strofa settantaquattro, seguono sette strofe che
combinano un’altissima invocazione dall’accurato sentimento:

74) U trëmb pur shumë Ebbe molta paura


Ai çë kumandoj Colui che comandava e disse:
E i tha: “Oj sa ish Krishti” “Questi era il Cristo”
E pjeti i batoj E il cuore gli pulsava forte

75) E oj Krisht i Bakuar Oh Gesù Benedetto


Na pur të krëdhomi Noi pure ti crediamo
Vero Dio vero Uomo Vero Dio vero Uomo
Na pur të kunfësomi Noi pure ci confessiamo

76) Na jemi shumë mizëru Noi siamo troppo miseri


E ti kët na përdunosh Tu perdonaci
Na jemi shumë të liq Siamo troppo cattivi
Ti kët na kunfurtosh Confortaci

77) Na nëng dimi atë çë bëmi Noi no sappiamo quel che facciamo
Ti kët na lumënosh Illuminaci
Na jemi plo dhëghor Siamo pieni di dolore
Ti kët na kunfurtosh Confortaci

78) Na nëng jemi denju Non siamo degni


Të kemi ndonjagjë Di avere qualcosa
Ma ku kët rëkuromi Ma a chi dobbiamo ricorrere
Ndësa adhe ti na lë? Se anche tu ci abbandoni?

79) E na ip shumë forcë Dacci tanta forza


Të mos të malkomi Per non bestemmiare
Sa na atë çë bëqim Perché noi di quel che facemmo
Shumë shumë rëpëntomi Molto molto ci pentiamo

32
I canti religiosi: La Kalimera, Sën Sep kur të pe e Kanxuna Nataljuit
________________________________________________________________________________________________________________________

80) E oj ti Mëma jonë Oh tu madre nostra


E oj ti Shëmbr Oh tu Madonna
Na vrej e na ndih Guardaci e aiutaci
E na kij lipisi Abbi pietà di noi

81) E tuta disa ju Ed entrambi voi


Kini di noi pietà Abbiate pietà di noi
E psana pët uadhomi Per poi godere
Per una eternità. Per un’ eternità.

Fig.11)

L’impianto armonico della Kalimera è di modo minore (fa minore), modo questo che meglio
si addice per esprimere il clima di passione, di dolore che traspare nel testo. E’ un canto monodico e
l’integrale melodia è composta da otto battute con una dilatazione melodica di una settima minore.
Si prospetta con una scansione ritmica ternaria con andamento lento cosi che il testo possa essere
meglio capito e meditato. (fig. 12)

33
I canti religiosi: La Kalimera, Sën Sep kur të pe e Kanxuna Nataljuit
________________________________________________________________________________________________________________________

Fig.12)

34
I canti religiosi: La Kalimera, Sën Sep kur të pe e Kanxuna Nataljuit
________________________________________________________________________________________________________________________

E’ doveroso ricordare che un canto simile alla Kalimera si cantava anche in tutta la Grecìa
Salentina in lingua Grica, ma porta il nome di Passiuna tu Christù (Passione di Cristo). E’ un canto
composto da più di sessanta strofe e racconta della vita e della morte di Cristo, delle sue pene e
delle pene di sua madre: la Madonna.
Il canto era eseguito durante la settimana precedente la Pasqua cristiana. Di solito l’impianto
strumentale era dato da due competenti cantori, che si intervallavano nelle numerose strofe e da un
suonatore di organetto diatonico o fisarmonica. Erano spesso accompagnati da un portatore di
palma: un ramo di ulivo addobbato con nastrini colorati, arance rosse e immaginette di santi.
Trattandosi di un rito di passaggio (cade all’inizio della primavera), tutti questi segni sono
significanti della fertilità e dell’augurio di un buon raccolto. Alla fine del canto i cantori
chiedevano alla gente un obolo in denaro o in natura (uova, vino, formaggio…). Si racconta che in
qualche paese della Grecìa ci fosse una scuola per cantori della Passione. I giovani imparavano non
solo il testo lungo e complesso, ma anche la mimica gestuale che doveva necessariamente
accompagnare il canto. Ecco alcune strofe:
Ce posson ìsane cisi mera Com’era grande quel giorno
Reccumendètti ma sto Pedàci-mma Si raccomandò al nostro ragazzo che ci
Na mas sarvezzi po ‘tti’ zzichèddha Salvasse la nostra animuccia
Ca meretèome olin icìvi. Che tutti meritiamo di andare all’inferno

Ce ciso Angelu di cantu E quell’angelo melodioso


Ca mas salutezze ti’ Mmaria Che ci salutò Maria
Reccumandètti sto’ Spirdussantu Si raccomandò alla Spirito Santo
Poi ‘s ancarnetti po’ sti’ ccilìa Che le s’incarnò nel grembo.

Ce arte pu èstase ciso Pasca Ed or che è giuna Pasqua


Ce na ‘s cuntezzo atti’ Ppassiuna V’ho da raccontare della Passione
Ja possa pàtezze ‘so Vagnuna Quante ne patì quel Ragazzo
Ce cùsetè-ta me devozziuna. Ascoltate con devozione.

35
I canti religiosi: La Kalimera, Sën Sep kur të pe e Kanxuna Nataljuit
________________________________________________________________________________________________________________________

Come accennato in precedenza nella tradizione grecese vi è un altro canto d’argomento


religioso in lingua arbëreshe ancora molto presente nella memoria dei grecesi in onore di San
Giuseppe. Il testo recita così:

Sën Sep kur të pe San Giuseppe quando ti ho visto


Ghaq i bukur sa cë ji In tutto il tuo splendore
Ditë e natë ti më shkova Giorno e notte mi hai fatto vivere
Lumi a ti cë shejt rrova Gloria a te che sei vissuto santo

Sën Sep çë je ndër qiagh San Giuseppe che sei nel cielo
Dita jota grazia sia Il tuo sia un giorno di grazia
Ti pregho Krishtin pë ne Intercedi per noi
Sa vukati jonë jë Perchè sei il nostro avvocato.

Questo canto si avvale di appena due strofe, che racchiudono in sè tutto il sentimento
profondo che il popolo di Greci ha verso San Giuseppe. A memoria dello scrivente questo canto
(fig.13) era eseguito nel corso della festività di San Giuseppe, il giorno 19 Marzo, in cerchio ad un
grande falò eretto in piazza in onore del Santo. Si tratta, forse, di un primo prototipo di canto corale,
cioè, senza solisti, ma l’esecuzione è collettiva. Mentre negli altri canti, oltre ad un’esecuzione da
solista, è possibile anche l’esecuzione a gruppi alterni; in questa canzone l’unica esecuzione fattibile
è quella corale.
Musicalmente il canto è plasmato da un ritmo binario con un uso delle figure puntate
(fig.14) che contraddistinguono la forma della marcetta. Del tutto monodico, l’estensione melodica
è di una quinta giusta (mi-si) senza salti vocali, ma appunto la melodia procede uniformemente per
gradi congiunti.
Fig.13)

36
I canti religiosi: La Kalimera, Sën Sep kur të pe e Kanxuna Nataljuit
________________________________________________________________________________________________________________________

Fig.14)

37
Canti poco diffusi
________________________________________________________________________________

Vi sono alcuni canti popolari grecesi sprofondati nel “dimenticatoio”, vale a dire
canti che quasi non si ricordano più, ma che in passato hanno goduto di una certa popolarità. I più
famosi sono tre:Ka sheshi Sën Bartëmeut, Si do bemi nani e Voj Ko. Delle tre, solo Voj Ko usa una
melodia originale, mentre per le altre due si riciclano melodie già utilizzate.
Prima di proseguire ad un’analisi musicale più dettagliata, si riportano i testi di tutte e tre le
canzoni affinchè possano entrare nuovamente a far parte del repertorio più comune dei canti
grecesi.

Ka sheshi Sën Bartëmeut

Ka sheshi Sën Bartëmeut i një banera In largo San Bartolomeo c’è una banera
Trimat i libinë cikërat e ajo i ibi tabakera I giovani le chiedevano sigari e lei dava tabakera
Kush kët a përëtënoj sa ish akshu banera Chi poteva immaginarselo che lei fosse così banera
Ajo më vei lacia fërqin pët i namuronshi Lei metteva collane ed orecchini per far innamorare
Kola panezit si pëpadinë Nicola Panneso come un peperone.

Si do bëmi nani

Si do bëmi nani Come faremo adesso


Çë vamë eramë përdhe Che siam caduti in terra
Galuc e pullaqidha Galline e gallucci
I hengra gjthë e shidëmë ve Li ho mangiati tutti e vendute le uova

Si do bëmi nani Come faremo adesso


Çë vamë eramë pëdhe Che siam caduti in terra

38
Canti poco diffusi
________________________________________________________________________________
Galuc e pullaqidha Galline e gallucci
Nëng vinjanë më mëne Non vengono più a casa

A të mbrëma rëtrova nat Quella sera sei tornato tardi


Para Gënrosit të ran bot Davanti a Generoso ti hanno bastonato

Si do bemi……..

Pata bot ka një pëkurarë Hai avuto botte da un pecoraio


Vaqa re si strashënatë Sei caduto per terra in modo maldestro

Si do bemi………

Ata thoinë ot Loro dicevano otto


Ti thonja vindotë Tu dicevi ventotto
Njëra sa hiqa Finchè non sei entrato
Kd jo parciun In quella porzione.

Voj Ko

Voj Ko, Voj Ko, Voj Ko Oh Nicola, oh Nicola, oh Nicola


Qieva fesa e nani çë do Sciocco sei stato ed ora cosa vuoi

Venja ka merza Karmelas Plakut Andavi nella discesa di Carmela Plakut


U bëra paraçë ma Luvigin a Çakut Ti sei imparentato con Luigi di Ciacco

Voj ko………

A qishë brenda ka Shpia L’aveva dentro casa


Faramoj sa ziaj kuzia aspettava che bollisse la caldaia
E kuzia ziai e shkupoi La caldaia bolliva e riboliva
E Kola faramoj E Nicola aspettava

E kola bëj fletan Nicola tagliava le foglie


Gënuvinia mbarqoki ka dëreti Genovina prendeva il diretto

39
Canti poco diffusi
________________________________________________________________________________
Voj Ko, voj Ko, voj Ko Oh Nicola, oh Nicola, oh Nicola
Mirë shatin ez rëmo Prendi l’attrezzo e vai a lavorare.

La canzone Voj Ko, come già esposto in precedenza, è l’unico canto dei tre ad utilizzare una
melodia ex-novo sviluppandosi su una semplice struttura melodica di otto misure in tempo ternario,
con andamento lento. Nella prima parte della frase c’è una forte presenza di salti melodici, mentre
nella restante seconda parte il canto utilizza esclusivamente gradi congiunti. Lo sviluppo melodico
non sopravanza la settima minore (mi-re), mentre, la chiusura della frase precipita sul terzo grado
della scala ed evita sistematicamente il primo grado della scala, espediente questo, molto caro alla
musica popolare.(figg.15-16)
Fig. 15)

40
Canti poco diffusi
________________________________________________________________________________
Fig.16)

41
Canti poco diffusi
________________________________________________________________________________
Nella canzone Ka sheshi Sën Bartëmeut la melodia adottata è presa dalla nota canzone
arbëreshë U vaqa Sën Vit . La pratica di adoperare melodie di canti conosciuti per accomodarci un
nuovo testo è una consuetudine antica che risale al XV secolo con la Messa, composizione
polifonica per eccellenza. In breve per comporre una Messa si adottava un cantus firmus10 per lo
più derivato dal repertorio liturgico, ma assunto spesso anche dal repertorio di musica profana e
popolare, com’è il caso della melodia della canzone popolare francese dell’Homme armè adottata
quale cantus firmus di messe da numerosi polifonisti dei sec. XV e XVI. Lo stesso Bach ha fatto
uso di una conosciuta canzone d’amore del tempo per un corale di Passione: Herzlich tut mich
verlangen (Ardemente anelo ad una beata fine). Questa consuetudine non ha mai smesso di essere
utilizzata; gloriose star della musica leggera spesso si avvalgono di melodie d’autori stranieri
sistemandoci su testi ex-novo, vedi Jovanotti, Zucchero, Vasco Rossi ecc. ecc.

Tutt’altro discorso invece per la canzone Si do bemi nani, la quale per la prima parte della
melodia utilizza la musica di Carme pogje pogje con leggere sfumature, mentre nella restante
seconda parte si serve di un motivo nuovo.
Altra cosa insolita per la musica arbëreshë di Greci è l’utilizzo di due ritmi disuguali
all’interno di un brano. Nello specifico il canto Si do bemi nani (figg. 17-18) si serve di due ritmi
per le altrettante sezioni: binario per la prima e ternario per la seconda. E’ un espediente adottato
come già detto solo in questa canzone, ma è un manierismo diffuso nella musica popolare di area
centro-meridionale. Nella seconda sezione dove l’autore ha fatto uso del ritmo ternario, il testo
riporta le sfortunate disavventure del protagonista, di conseguenza si può ipotizzare l’utilizzo del
tempo ternario con una pulsazione ritmica non veloce proprio per far apparire il testo più
intelligibile, mentre per la prima parte, che sostanzialmente funge da ritornello e ovviamente il testo
si ascolta più volte, l’autore ha optato per un scansione ritmica binaria con pulsazione veloce.

10
Melodia che, affidata a una voce, più tardi detta tenor, fungeva di base al gioco contrappuntistico delle altre voci,
svolgendosi lungo l’intera composizione, dapprima con valori di durata lunghi ed uguali per ciascuna nota, più tardi
anche secondo artifici ritmici.

42
Canti poco diffusi
________________________________________________________________________________
Fig.17)

Fig.18)

43
Nuovi canti arbëreshë
________________________________________________________________________________

Oggi nella piccola comunità arbëreshë di Greci si guarda alle proprie tradizioni
musicali e non, con rinnovato interesse, come a patrimoni culturali di valore identitario, di cui
riappropriarsi e a cui legarsi, come risorse da trasmettere soprattutto ai giovani per una maggiore
consapevolezza e come motori per possibili sviluppi locali basati su reali forme di valorizzazione
della diversità culturale.
Questo attaccamento, interesse alle tradizioni etnico-musicali arbëreshë di Greci lo si poteva
già scorgere circa 23 anni fa e precisamente nel 1987, quando la collaborazione artistica fra chi
scrive ed il Professore Morena Marco Aurelio, ha dato alla luce tre brani in lingua arbëreshë che
piano, piano stanno entrando a far parte del repertorio popolare di Greci: Sarapohëshi
(all’imbrunire), Këshu të bukur nëng të pë majë (così bella non ti ho vista mai), Hënxës (alla luna).
In tutti e tre i canti, il contenuto narrante dei testi, realizzati dal Prof. Morena, è l’amore in tutte le
sue sfaccettature; l’amore consumato in tempi remoti, amore fatto di sguardi, d’incontri e di
corteggiamenti sotto il raggio argenteo della luna.

Sarapohëshi

Një brëma kur sarapohëshi una sera all’imbrunire


E më the da më do mirë mi hai detto di amarmi
U të hapa zëmbran ima ti ho aperto il mio cuore
Nëng do bëhëshi më arsirë e non voleva più farsi notte

Mëba mend buzan jota ricordo le tue labbra


A të natë nëng zenja gjum quella notte non prendevo sonno
E shëtrati nëng më mëbajë ed il letto non mi teneva
Sa të denja mirë shumë perché io ti amavo tanto.

44
Nuovi canti arbëreshë
________________________________________________________________________________

Nerz manat mos më vrejë Domani non mi guardare


Nëdë më shëhan ka kroi se c’incontreremo alla fontana
Sa gjngjat nëng kët dinë perché la gente non deve sapere
Sa kio zëmbre pë ti rojë che il mio cuore per te vive.

Nëdë vuxan nëng a munjë Se il barile non lo peso


E më tradonjan sitë e gli occhi mi tradiranno
Eja më ip një dor vieni a darmi una mano
Malli pë ti u ritë. Il mio sentimento per te è cresciuto.

Dal punto di vista della fattura musicale questo canto si presenta con una scansione ritmica
lenta in tempo composto e con un allestimento tonale nel tono di La. L’estensione melodica è di una
nona (mi-fa), e pur se l’impianto tonale è nel modo minore, non scarseggiano modulazioni nel
relativo tono maggiore che restituiscono al canto un sapore antico e manifestano il significato del
testo intriso di amore ma, al contempo, anche di dolore. Tra la seconda e terza strofa si sviluppa un
gradevole vocalizzo modulante al tono maggiore per poi far ritorno al modo minore; vocalizzo,
questo, che vuol essere quasi un sussurro dell’anima per attenuare l’insonnia prodotta dal desiderio
di rincontrare l’amata (figg. 19,20).
Fig.19)

45
Nuovi canti arbëreshë
________________________________________________________________________________

Fig.20)

46
Nuovi canti arbëreshë
________________________________________________________________________________

Di tutt’altro piglio è il canto Këshu të bukur nëng të pe mai (Così bella non ti ho vista mai),
risultante da un elemento ritmo ternario in 6/8 con pulsazioni veloci. L’allestimento tonale è nel
modo minore per la strofa, mentre è in maggiore per il ritornello per meglio esaltare il testo che
narra la bellezza irresistibile di una ragazza agli occhi di un innamorato. In questo canto, come per
quello precedente, la dilatazione melodica è di una nona (mi-fa), ottenuta in pochissimo tempo
grazie al salto di ottava primario, che vuol parafrasare il testo verbale strofico iniziale: “çë bijë
bukur” mentre nella strofa l’inflessione al relativo tono maggiore è lievemente più lunga rispetto a
Sarapoheshi. La strofa termina modulando sul V grado della scala, così da forgiare una sospensione
e dare maggiore impulso al ritornello (figg.21-22).

Çë bijë bukur qjo kumborë come suonava bene la campana


E më sgjoi gjdhë një hore svegliando tutto il paese
U nëng flinja ka ajo herë non dormivo a quell’ora
Sa mëmbuidi e frij er ë perché tuonava e spirava un forte vento

Mëba mënd të dial manatë Ricordo era una domenica mattina


Nëng zënja gjum ka ai shëtrat non riuscivo a dormire
Vakia ka messia si llaqje here sono andato a messa come altre domeniche
U ka një ti ka njetrë derë io sono entrato da una porta tu dall’altra

RIT: Këshu të bukur nëng të pe majë Così bella non ti ho mai vista
Këshu të bukur nëng të pe majë

U vrenja vetëmë a të utar Guardavo solo l’altare


Sa këta si nëng kinja par perchè non avevo mai visto i tuoi occhi
Kur u pam ka para herë quando ci siamo visti la prima volta
Ka a ta shëkallë frijë erë un forte vento spirava sulle scale della chiesa

Sa na beri ajo kumborë Quanto ha fatto quella campana


Çë të dialan sgjoi një horë che la domenica svegliava il paese
Kishë er kët bacomi chiesa e vento dobbiamo benedire
Ndësa bashëkë sot na romi se oggi viviamo insieme

47
Nuovi canti arbëreshë
________________________________________________________________________________
Fig.21)

48
Nuovi canti arbëreshë
________________________________________________________________________________

Fig.22)

49
Nuovi canti arbëreshë
________________________________________________________________________________
Chiude il “tris” di canti, frutto della cooperazione con il prof. Morena, il brano dal titolo
Hënxës (alla luna), genuino brano ove ancora una volta il tema è l’amore, il corteggiamento, le
lusinghe per una giovane donna (figg. 23-24).

Hënxës

Sa hër ai ruvëtiel Quante volte Rovitello


Na pa dora dora ci ha visti tenerci per mano
Sa hër ai lis Quante quel albero
Na fëshehu ka hora ci ha nascosti dal paese

RIT. Sa hërë ajo hënxë Quante volte quella luna


Nëng dili pë ne non usciva per noi
E gjngjat a Katundit e la gente di Greci
Pihëshin pëse si chiedeva perchè

Një mëbrama ka bregu Una sera la Breggo


Pe preshë na vam di fretta siamo andati
Hënxa nëng a dij la luna non lo sapeva
Gjthë na panë e tutti ci hanno visti.

RIT.

Çë kur vum kuror Da quando ci siamo sposati


Buna ket nëdonjë xët saranno vent’anni
Ajo delan e hin lei sorge e tramonta
Si bëri pe haqje viet come ha fatto per tanti anni

RIT.

Nani pë të bijët jona Adesso per i nostri figli


Delan njëtër hër nuovamente esce
Nëng ka më a të fakia non ha più quel volto
E nëng frinë më ajo er e non soffia più quel vento.

50
Nuovi canti arbëreshë
________________________________________________________________________________
Fig.23)

Il brano si presenta con un “brioso” ritmo in 2/4, mentre l’impianto armonico è nel tono
minore per la strofa e maggiore per il ritornello. La dilatazione melodica è di una nona (sol-la),
mentre lo sviluppo melodico predilige i gradi congiunti. Nella strofa l’inizio è nel tono maggiore,
usato intenzionalmente per avere l’opportunità di modulare nel relativo minore ed effettuare così
l’ideale cadenza dal sapore antico. Questo “stratagemma” è di grande effetto per chi ascolta il canto,
dato che nel corso dell’esecuzione è auspicabile battere solo la prima pulsazione delle battute
modulanti, per poi riprenderle entrambe con l’inizio del ritornello (fig.24).

51
Nuovi canti arbëreshë
________________________________________________________________________________
Fig.24)

52
Nuovi canti arbëreshë
________________________________________________________________________________
Oltre la collaborazione Di Chiara -Morena, è doveroso ricordare anche i contributi dati al
canto arbëreshë di Greci da altre persone. Inizierei a citare il canto del compianto Antonio Panella
(Bëtondi), costruito sul celeberrimo tango argentino “Caminito”: U ku donga vetta.
Pare che questo canto sia stato sentito a Greci per la prima volta durante una
rappresentazione teatrale avvenuta intorno agli anni ’50 e la leggenda vuole che il testo sia stato
scritto durante gli anni di prigionia del Sig. Antonio Panella.

A të ditë çë të kumbërdova quel giorno che ti ho incontrata


u ti të faramoqa sa të denja ti. io ti ho fermata perché ti volevo.
Ti ka sitë mua më lëgova tu dagli occhi mi hai capito
sa u të faramoqa sa të denja ti che io ti ho fermato perché ti volevo
Kinja shume çë do ta thonja é da molto che te lo volevo dire
u kur të kumbërdonja do e quando ti incontravo ti volevo
Hanja ma si. mangiare con gli occhi.
U të kame ka zembra e ka sitë, io ti ho nel cuore e negli occhi
shpirti imë je vetmë ti. La mia anima sei solo tu.

Rit.

Ti ku donga veta, u të ruanjë ma si Tu dovunque vai io, ti guardo con gli occhi
sa ka zëmbra ima je vetmë ti. Perché nel mio cuore ci sei solo tu.
Të prëghjunjam para, ti si Shën Bri Mi inginocchio avanti a te come a una Madonna
Sa u të dua mirë e ti nëngë a di. Perché io ti voglio bene e tu non lo sai.

Ka tre vijet çë të ruanjë ditë e natë E tre anni che ti guardo giorno e notte
Na ni veta mbë suldat Ora parto per il militare
e nëng të shohinj më. e non ti vedo più.
U të duaqa mirë si jatë Io ti ho voluto bene come un padre
para sitë ima u nëng të kam më davanti ai miei occhi ora non ti ho più
ka qo herë çë të faramova questa volta che ti ho fermata
ti mua më xhjurova ,sa nëg më lënja më tu mi hai giurato che non mi lasci più
u të kam ka zëmbra e ka kta si io ti ho nel mio cuore e negli occhi
shpirti imë je vëtmë ti. La mia anima sei solo tu.

53
Nuovi canti arbëreshë
________________________________________________________________________________
Rit.
Ti ku donga veta, u të ruanjë ma si Tu dovunque vai io, ti guardo con gli occhi
sa ka zëmbra ima je vetmë ti. Perché nel mio cuore sei solo tu.
A të dit çë ndaham! Ti eja e më salutò Quel giorno che parto! Tu vienimi a salutare
Sa të puthinjë doran e mos më harò. Che io ti bacio la mano e non mi dimenticare

Ti ku donga veta, u të ruanjë ma si Tu dovunque vai io, ti guardo con gli occhi
sa ka zëmbra ima je vetmë ti. Perché nel mio cuore sei solo tu.
U të shkruanjë sembur e ti më rëspëndò io ti scrivo sempre e tu rispondimi
Sa u të dua mirë e mos më harò perché io ti voglio bene e non dimenticarmi.

Altro canto composto dal sig. Antonio Panella è la canzone dal titolo Maria ima.

Një dite vaqa iasht ndënë nja lisi Un giorno andai in campagna e sotto ad un albero
Një vazë shumë të bukur fëgurisa ho visto una ragazza molto bella
U qasa mbaçu e ish si Shenmbrj mi sono avvicinato ed era come una Madonna
I thashna ndë më do mua u të dua ti le ho detto se tu mi vuoi io voglio te.

RIT. Maria ima thuai uaqë ti Maria mia dimmi di si


Sa u do ri sembu ma ti io voglio stare sempre con te
Nëng dua shtrat e ne dua ghië non voglio corredo e neanche dote
Ka zëmbra imma dua vëtmë ti nel cuore mio voglio solo te.

Ajo tha u kam pak viet e nëng lëgonj Lei ha detto Io ho pochi anni e non capisco
Do pianj tatan e mëman çë më thon voglio chiedere a mamma che mi diranno
I tha ti mëmma ima çë me thua le chiese Tu mamma cosa dici
Sot një tim iashtë mu namurua oggi in campagna un giovane mi si è innamorato.

RIT.:

Jema i tha ti bilj je a voks shumë La mamma le disse figlia sei troppo piccola
Sa të martonash sot nëng i kundë sposarti ora non è proprio possibile
Ti shtratinë të flesh nëng a ke tu il letto e il corredo non ce l’hai

54
Nuovi canti arbëreshë
________________________________________________________________________________
Meran atë tëshoqi e fle pëdre prendi tuo marito e dormirete per terra.

RIT.:

Aj nëng do ne shtrat e mangu gjë Lui non vuole né corredo e nemmeno dote
Me do vetëm mua pa mazgjë vuole solo me senza niente
Aj ners vien mëne e ju thotan iuva Domani lui verrà qui per parlarvi
Mua më këndat shumë e pur a dua a me piace molto e lo amo.

RIT.:

U vaqa ka shpia asaj pë t’i thonja Io sono andato a casa loro per dire
Sa u Marianë da a martonja che volevo sposare Maria
I thashna u iam i bëgat e plo tures ho detto loro io sono ricco e pino di soldi
Ndë sa nëng mar Marianë u më vëdese se non sposerò maria io morirò.

RIT.:

Ka Bregu e ka Ruvëtieli na Al Breggo e a Rovitello


Shkoimë shumë or passavamo molte ore
Na dukshi një milj viete te vejmë kuror non vedevamo l’ora di sposarci
Ti a veshur gjithë a badhr e plo përlina Tu vestita di bianco e piena di perline
Më duksha shumë a bukur ka sitë ima eri molto bella agli occhi miei.

RIT. Maria ima uaq thashna ti Maria mia si hai detto tu


Sa u do ri sembu ma ti io voglio stare sempre con te
Nani të mora e nëng të lë më ora sei mia e non ti lascerò
Ka zëmbra ima jë sembu ti. Nel cuore mio sarai sempre tu.

Il prof. Emilio Monaco nel suo libro “Greci tradizioni e cultura arbëreshe in Campania”
11
ha attribuito erroneamente questo canto al M° Nicola Maria Pucci, il quale ha solo contribuito nel
notare sul pentagramma musicale la linea melodica del canto.

11
EMILIO MONACO op.cit. pag. 120, 186.

55
Nuovi canti arbëreshë
________________________________________________________________________________

I testi delle canzoni del Sig.Panella e del Prof. Morena hanno un elemento in comune, per
meglio dire, riportano l’amore come sentimento. Innovazione incondizionata, invece, per un testo
arbëreshë è la canzone scritta e musicata dall’artista Domenico Liberato Norcia: Kur u ndaqa ka ki
Katund (Quando sono partito dal mio paese). Si tratta del primo esempio di canzone di protesta in
lingua arbëreshë , infatti l’autore denuncia la colpevolezza del potere politico nel non riuscire a
procurare dei posti di lavoro in territorio locale, costringendo i giovani alla triste decisione di
emigrare per poter realizzarsi nella vita attraverso il lavoro. Questo canto è eseguito per la prima
volta a Greci nel 1981 durante una serata di ballo liscio tenuta nel mese di agosto dall’orchestra del
compianto M° Nicolamaria Pucci, e a cantarla è lo stesso Domenico Liberato Norcia,
accompagnato appunto dagli elementi dell’orchestra di Nicolamaria Pucci.

Kur u u ndaqa ka ki katund Quando sono partito da questo paese


të mund zhbenja neng ish kund per poter lavorare non era possibile
Vaqa in Germania ma shumë hare sono andato in Germania con tanta allegria
Të mund tergonja di solda më ne per poter mandare un po’ di soldi a casa mia
Rit.
E kish kolpan kush kumandoj aveva la colpa chi comandava
Çe ca të zhbiar nëng prëkuroj che un po’ di lavoro non procurava
E ka qo hor a i na marçoj e da questo paese ci allontanava

Ku ndonga vaqa u sembu lutoqa dovunque sono andato ho sempre lottato


Ma horan ima u mai a haroqa ma il mio paese non ho mai dimenticato
Preghonja Krishtin nder qiagh e perdhe pregavo il cristo in cielo e in terra
Të mund turnonja nxitu më ne per poter tornare presto alla mia terra.

Ti trim, mos pënxo, kush a di u çe denja Tu giovane non pensare, cosa avrei da sognare
Bashk ma ti ka kio hor u do zhbenja nel nostro paese, insieme a te,vorrei lavorare
Ma kshu ish ahera, kshu isht nanì ma così era allora e così è ora
Një cimbë të zhbiar neng a ka manjari un po’ di lavoro non c’è l’ha ancora nessuno.

Rit.

56
Nuovi canti arbëreshë
________________________________________________________________________________
Musicalmente il canto è composto da strofa e ritornello con un andamento ritmico in tempo
ternario moderato, una sorta di valzer con alcuni punti dove l’accentuazione ritmica è ben marcata.
La struttura musicale si rifà alla consuetudine del Ballo Liscio, tradizione molto amata dai grecesi
essendo amanti del ballo di coppia (figg.25-26).

Fig.25)

57
Nuovi canti arbëreshë
________________________________________________________________________________

Fig.26)

58
Nuovi canti arbëreshë
________________________________________________________________________________
Questo canto lo si può sentire, nella versione arrangiata dallo scrivente, al seguente
link:www.youtube.it/antea05.
L’artista Domenico Liberato Norcia oltre al canto precedentemente esaminato, ha scritto altri canti
in lingua arbëreshë:
Gharxuni Il garzone;
Drikua grikhapta La comara "boccaperta";
Kur turnonj ka ki Katundi Quando torno in questo paese;
Ti mos më haro Tu non dimenticarmi;

Quest’ultimo canto è stato scritto in occasione del cinquantesimo anniversario del suo matrimonio,
pertanto è dedicato alla propria moglie; l’autore ha incaricato lo scrivente a curare l’arrangiamento.
Degno di nota è la canzone scritta dal M° Carmine Antignani dal titolo Karuzì presentata al
Festival della canzone arbëreshë di San Demetrio Corone nel 2008 ed interpretata dal gruppo folk di
Greci Katundi Zëmbra jonë diretto e curato dallo stesso Antignani.

Una valida collaborazione, della Prof.ssa. Di Chiara Fiorella e Prof.ssa Maria Teresa ha dato
alla luce una canzone dal titolo: Veta spiert pë mua (alla ricerca di me stesso); Fiorella si è occupata
del testo, Maria Teresa ha composto la musica. Il testo s’interroga sulle difficoltà della vita
attraverso la ricerca del proprio io. E’ questo il primo testo arbëreshë, ove si trattano temi filosofici
ed anche la musica adoperata segna un mutamento radicale nel panorama dei canti popolari grecesi,
perché viene utilizzato per la prima volta la “contaminazione” con la musica Folk-Rock.
Una versione arrangiata dallo scrivente ha ricevuto il premio come miglior arrangiamento
alla VII edizione della canzone arbëreshë di San Demetrio Corone (CS). In quell’occasione il canto
è stato eseguito da entrambe le autrici ed è stata l’unica occasione in cui loro si sono messe alla
prova con la performance del canto (fig.27).

Eza haqië ka vietët ima Ho camminato molto durante la mia vita


Pe shumë sbisaho visto ho visto tante cose
Kiakia shumë ma jamë aktu ho pianto molto ma sono qui
Të gienjë udhan ima cerco la mia via

Rit. Sa udhë para mua Quanta strada davanti a me


Sa si pran mua Quanti occhi intorno a me
E u plak ilothët ed io vecchio e stanco

59
Nuovi canti arbëreshë
________________________________________________________________________________
Çë veta spiert pë mua che vado alla ricerca di me stesso

Sa shkahë bera u Quante scale ho salito


Sa herë me thanë jo Quante volte mi hanno detto no
Nëng i aktu a të çë do non è qui quello che cerchi
E u kalonja e hibnja ed io salivo e scendevo
Veta spiert pe një udhë Vado alla ricerca di una strada

Rit. Sa udhë para mua Quanta strada davanti a me


Sa si pran mua Quanti occhi intorno a me
E u plak ilothët Ed io vecchio e stanco
Çë veta spiert pë mua che vado alla ricerca di me stesso.

Fig. 27)

60
Nuovi canti arbëreshë
________________________________________________________________________________
A conclusione di questo capitolo si citano due canti scritti recentemente dallo scrivente: Mos
Kanjo (Non cambiare) e Ninna oh (Ninna oh). Il primo di essi, composto nel 2007, tratta il tema
dello scorrere inesorabile del tempo e dei mutamenti che può comportare; il secondo canto,
composto nel 2009, è una semplice ninna nanna.
Musicalmente i canti sono molto differenti; Mos kanjo utilizza armonie e schemi compositivi molto
somiglianti alla ballata pop-rock, Ninna oh invece utilizza imbastiture e armonie più tradizionali.
Degno di nota è la parte dell’assolo strumentale, in quanto vi sono sequenze armonico - ritmiche
che echeggiano la musica rinascimentale (figg.28,29).

M O S KA N J O

Nga mbrëmë kur kalon diaghi Ogni sera quando cala il sole
Shohinj detin e pënxonj Osservo il mare e penso
Si shkon moti si shkon moti Come passa il tempo
Si shkon moti si shkon moti Come passa il tempo
Bilja ima Figlia mia

Mba mend kur u leqa Ricordo quando nascesti


Jnja voks jnja voks Eri piccolo eri piccola
Nani u rita fletan e ikan Ora sei cresciuta parli e corri
Nani u rita fletan ke la favella Ora sei cresciuta e hai la favella
Si thon nde katund Come dicono a Greci

RIT)
Mos kanjo bija ima Non cambiare figlia mia
Mbietu si viogha rimani come una rosa

Kur ti më vren Quando tu mi guardi


Ma atë si të mdenja Con quegli occhi grandi
Zembra ima hapat e ka hare Il mio cuore si gonfia e gioisce
Zembra ima hapat e ka hare Il mio cuore si gonfia e gioisce
Bilja ima. Figlia mia

61
Nuovi canti arbëreshë
________________________________________________________________________________

NINNA OH

Si fle bukur Come dormi tranquilla


Si fle bukur Come dormi tranquilla
Biljë ima Figlia mia
Ti je çë nxunon Tu stai sognando
Je çë nxunon Stai sognando
Një mal plo lula Una montagna ricoperta di fiori
Ti je çë nxunon Tu stai sognando
Je çë nxunon Stai sognando
Një ud plo viogha Una strada ricoperta di rose

Fig.28)

62
Nuovi canti arbëreshë
________________________________________________________________________________

Fig.29)

63
Conclusioni
________________________________________________________________________________

Circa due anni fa mi sono imbattuto in una registrazione fatta sul campo nel 1987. In
questa bobina vi sono registrati alcuni canti grecesi eseguiti dal gruppo folk “Kamastra” ed alcuni
spezzoni di canti in arbëreshë eseguiti da alcune anziane di Greci. Durante l’ascolto ero in
compagnia di mia figlia Antea, che incuriosita, mi rivolse tante domande che culminarono in una
inaspettata:
“ Perché i cantanti urlano in questo modo?” La domanda posta in quel modo e con tutto il candore
di una bimba di 3 anni, mi colse di sorpresa tanto che me ne uscii con un semplice: “Lasciami
pensare”.
Questa domanda a sorpresa, e come spesso accade in queste circostanze ovvero, l’ascolto o
la visione dopo anni di eventi quasi dimenticati, ha suscitato in me interesse e ho iniziato a pormi
domande che sono culminate in questo lavoro.
Nell’ascoltare e riascoltare la bobina, fra le tante domande, mi venne quasi spontaneo
pensare che la conoscenza del territorio in cui si vive è uno degli obiettivi principali da perseguire.
La conoscenza della storia, anche attraverso la musica del paese in cui si è nati, della comunità nella
quale si vive, dovrebbe costituire la base del futuro sapere di ognuno di noi.
Lo sviluppo e il potenziamento del desiderio di conoscere usi, costumi e tradizioni che
hanno contrassegnato la vita delle generazioni precedenti, dovrebbero far parte del comune bagaglio
culturale di ogni singolo cittadino, se non vogliamo che pezzi della nostra stessa vita, del nostro
passato, più o meno remoto, scompaiano per sempre senza lasciare traccia. Spesso si conoscono
avvenimenti, generi musicali, canti e personaggi storici di levatura nazionale e mondiale, ma quasi
nulla sappiamo di quelli locali, di quelli che ci toccano più da vicino.
Pensare e mettermi alla ricerca tra le mie partiture e i miei documenti,rivedere a distanza di
tempo la mia esperienza col gruppo folk Kamastra, mi convinse che l’idea di realizzare un lavoro
sulla musica di Greci non era poi tanto peregrina, così come d’acchito m’era sembrato.

64
Conclusioni
________________________________________________________________________________
Il lavoro, quindi, ha la funzione di colmare una lacuna lasciata da altri appassionati di storia
locale che si sono interessati alle tradizioni Grecesi, tralasciando palesemente tutto ciò che toccava
la sfera musicale, vuole anche essere soprattutto un punto di partenza e riferimento per quanti in
futuro vorranno approfondire gli aspetti della musica arbëreshë di Greci e vagliare le ipotesi
avanzate. C’è da aggiungere, infine, che il presente lavoro non vuole essere esaustivo, ma vuole
porsi solo come un primo tentativo di recupero della musica popolare di Greci; vuole proporsi
come punto di partenza per quanti vorranno e sapranno fare più e… meglio di me.

Leuca, 21 Marzo 2010

65
Bibliografia
______________________________________________________________________________

Leos Janacek..........................................................................3
Luleborë.................................................................................7
A
accordatura aperta.............................................................. 16
Antignani Carmine .............................................................. 59
M
ANTONELLO RICCI ........................................................... 7 Messa ...................................................................................42
Michele Marchianò ................................................................7
modale .................................................................................10
B Monaco Emilio.............................................................. 30; 55
Bach......................................................................... 26; 27; 42 monodia ...............................................................................10
Beethoven ............................................................................ 27 Morena Marco Aurelio ..................................... 44; 50; 53; 56
BELA BARTOK ..................................................................... 2
Benedetto XIII....................................................................... 5 N
Norcia Domenico Liberato ........................................... 56; 59
C
cantus firmus ....................................................................... 42 O
Cardinale Orsini .................................................................... 5
Caronte ................................................................................ 22 Omero ..................................................................................23

D P
Di Chiara Antea .................................................................. 64 Panella Antonio ............................................................ 53; 56
Di Chiara Fiorella............................................................... 59 parallelismo..........................................................................15
Di Chiara Leonardo Antonio............................................... 53 Pucci Nicolamaria ........................................................ 55; 56
Diego Carpitella .................................................................... 7
R
E ROBERTA TUCCI................................................................7
Ernesto De Martino ............................................................... 7
S
F Surdulina..............................................................................16
Fato...................................................................................... 22
T
I Tarantella ............................................................................15
inequabili............................................................................. 10 trocheo .................................................................................19
Italo Costante Fortino ............................................................ 5
V
J Vasco Rossi .........................................................................42
Jovanotti .............................................................................. 42 Vitillo Maria Teresa.............................................................59
vjesh .....................................................................................14
von Hahn................................................................. 23; 24; 25
K
Kamastra gruppo folk.......................................................... 64
Katundi Zëmbra Jonë Gruppo Folk..................................... 59
Z
Zampogna ............................................................................16
Zucchero ..............................................................................42
L
Lauda................................................................................... 31
Lazzaro ................................................................................ 30

66
Bibliografia
______________________________________________________________________________
AA.VV 2006 Katundi die e sot- Greci ieri e oggi, Delta3 Edizioni, Grottaminarda (AV).

AA.VV 2006 Il canto libero degli Arbëreshë, Rivista GEO Tribù d’Italia.

AA.VV. 2008 Ish një herë-Antologia Grecese, Delta3 Edizioni, Grottaminarda (AV).

ALLORTO RICCARDO 1987 Storia Della Musica, Ed.Ricordi Milano.

AMADEUS 2009 Arbëreshë-Albanesi d’Italia, Storia, Cultura, Musica, Ed. Paragon Milano.

CHIRIATTI LUIGI 2000 Canto d’amore-voci, suoni, ritmi della Grecìa Salentina, Ed. Aramirè,
Lecce.

CONFORTI GERARDO 1922 Appunti di Storia Cronologica di Greci, Tipografia Pontificia degli
Artigianelli, Napoli.

DI CHIARA LEONARDO ANTONIO 2006 Il corale organistico nella sua evoluzione,


Conservatorio “Tito Schipa” Lecce.

DI MINNO PIO 2009 Greci- Storie di Santi, di Martiri e di Eroi, Comune di Greci Regione
Campania.

DE MARTINO ERNESTO 1959 Sud e magia, Ed. Feltrinelli Milano.

HANN VON J.G. 1854 Albanesishe Studien Vol I, Jena.

MARCHIANO’ MICHELE 1908 Canti Popolari Albanesi delle colonie d’Italia, Ed. Arnaldo
Forni Bologna, Ristampa anastatica.

SCALDAFERRI NICOLA 2005 Polifonia Arbëreshë della Basilicata,Ed. Nota-Valter Colle,


Udine.

67

Potrebbero piacerti anche