L’Alzheimer è una patologia neurodegenerativa. Le cellule del sistema nervoso si dividono in
neuroni e microglia (astrociti, oligodendrociti ecc..). Molte delle malattie del sistema nervoso causano dei danni irreversibili; infatti si può rallentare la loro progressione, ma non esiste, per molte, una cura. In questi casi non ci sono dei farmaci che curano la malattia. Si parla, infatti, di farmaci sintomatici. Il sintomo più evidente nell’Alzheimer è la perdita della memoria. Per l’Alzheimer ci sono dei farmaci che possono aiutare i pazienti con la memoria (questo solo all’inizio della malattia). Le terapie sintomatiche vanno, quindi, ad agire a livello del sintomo. Nell’epilessia idiopatica i sintomi principali sono le convulsioni e attraverso dei farmaci si può migliore la vita del paziente. Questo migliora, ma non cura la malattia. Infatti, alla sospensione della cura il paziente avrà di nuovo delle crisi frequenti. Nel momento in cui l’epilessia è legata ad un processo tumorale o ad un’ischemia cerebrale basta eliminare l’ente che la causa. Anche l’ipertermia può portare convulsioni, ma si risolve abbassando la temperatura. Un farmaco prima di essere messo in commercio deve superate dei test pre-clinici dal punto di vista farmacologico e tossicologico. I test vengono effettuati a livello molecolare e cellulare (sugli animali). Dei farmaci è importante conoscere la farmacocinetica, cioè l’assorbimento, la distribuzione, il metabolismo e l’escrezione dei farmaci (ADME). La maggior parte dei farmaci viene eliminata attraverso la via renale. L’assorbimento dipende dall’idrofilia o lipofilia del farmaco. La farmacodinamica, invece, è il meccanismo d’azione del farmaco. Nell’epilessia viene utilizzato un farmaco chiamato fenitoina, che blocca i canali del sodio. Nell’Alzheimer si ha un’alterazione dei neuroni colinergici, che secernono acetilcolina. Si deve, quindi, aumentare il livello di acetilcolina; si può intervenire a livello del suo processo di sintesi o sull’accumulo del neurotrasmettitore a livello vescicolare. Le vescicole vengono trasportate, quindi se si blocca il trasportatore si può ridurre il livello di neurotrasmettitore presente al loro interno. E di conseguenza ridurre il quantitativo che viene liberato. L’acetilcolina viene liberata, va ad agire e successivamente il suo segnale viene interrotto. Precisamente l’acetilcolina viene sintetizzata dall’acetil-colina transferasi e degradata dall’acetil-colin-esterasi. Quindi i colin-esterasici degradano l’acetil-colina. Siccome che nell’Alzheimer si ha una riduzione del livello di acetil-colina, si possono utilizzare dei farmaci che bloccano l’acetil-colina esterasi (classe degli anticolin-esterasici). Infatti, il bersaglio di un farmaco non deve essere per forza un recettore, ma anche un enzima. Per aumentare il livello di neurotrasmettitore presente nello spazio sinaptico, e di conseguenza aumentare l’attività recettoriale, si va bloccare l’acetil-colin esterasi. In questo modo si bloccherà la degradazione dell’acetil-colina. La maggiore segnalazione a livello recettoriale avrà numeri effetti vantaggiosi. In questo modo si va a modulare la liberazione fisiologica del neurotrasmettitore; precisamente si va a modulare la quantità di acetil-colina che normalmente viene prodotta. L’acetil-colina dovrebbe essere degradata, invece si vanno ad aumentare i suoi livelli; in questo modo si va ad aumentare, tenendo conto delle concentrazioni che vengono liberate fisiologicamente, la presenza dell’acetil-colina a livello sinaptico. Si va così ad incrementare l’attivazione dei recettori. Questo può portare dei vantaggi in una situazione in cui si ha una carenza del tono colinergico. I recettori dell’acetil-colina si dividono in muscarinici (metabotropici) e nicotinici (ionotropici) Nel caso dell’Alzheimer si può anche utilizzare un farmaco chiamato memantina, che blocca i recettori dell’NMDA (recettori dell’N-metil-D-asparato). Questi ultimi sono i recettori del glutammato; la memantina è un antagonista non competitivo del recettore dell’NMDA. Alcuni farmaci possono essere utilizzati anche per altre patologie. Ci sono miliardi di neuroni immessi in circuiti molto complessi. Quindi, quando un farmaco va a modulare l’attività di un recettore o di un neurotrasmettitore si va a modulare l’attività di tutto il circuito. Non riguarderà solo quel recettore o quel neurotrasmettitore, ma anche tutti gli altri neuroni. Ad esempio, un recettore dopaminergico può essere presente su neurone colinergico, e andrà così a modulare la liberazione di acetil-colina. Quest’ultima può andare a sua volta a modulare l’attività di un neurone glutammanergico, andando così a liberare glutammato. Quest’ultimo potrà andare a modulare l’azione di un neurone gabaergico. Il neurotrasmettitore del glutammato è maggiormente presente a livello del sistema nervoso centrale. I neurotrasmettitori possono essere divisi in eccitatori e inibitori. Il glutammato è un neurotrasmettitore eccitatorio, ed è quindi legato ad aumento dell’attività neuronale. In un neurone molto attivo (fenomeno della depolarizzazione) saranno coinvolti ioni come il sodio e il calcio. Con il concetto di attivazione, depolarizzazione e stimolazione ci si riferisce a recettori canali collegati alla modulazione del livello di sodio e di calcio. Il neurotrasmettitore inibitorio più conosciuto è il GABA (meno conosciuta è la dopamina). Quest’ultimo va ad inibire l’attività dei recettori GABA(a) e GABA(b). GABA (a) è un recettore accoppiato ad un canale ed ha un effetto iperpolarizzante. Quest’ultimo di solito riguarda l’aumento dell’attività dei canali del potassio o del cloro. In questo caso è accoppiato ad un canale del cloro. GABA(b), invece, è un recettore metabotropo. I neuropeptidi sono localizzati nelle vescicole insieme ai neurotrasmettitori e vengono rilasciati con essi. Questi assumono importanza in alcune patologie. -IL DOLORE l dolore è un meccanismo di difesa fisiologico. Quest’ultimo non è solo associato ai recettori nocicettivi, ma può anche essere accoppiato ad un processo di tipo infiammatorio. Nel caso di dolore di piccola entità si può usare un analgesico o antidolorifico, come il paracetamolo. Quest’ultimo è anche un antipiretico, cioè abbassa la temperatura, ma non è un antinfiammatorio. Oltre al paracetamolo, per un dolore di lieve entità si può usare l’ibuprofene, classico antinfiammatorio. L’infiammazione aumenta la sensibilità al dolore; riducendo la produzione di prostaglandine si va ridurre la sensibilità al dolore. Nel processo infiammatorio si avverte dolore, perché le sostanze pro-infiammatorie liberate vanno a sensibilizzare una determinata area. Con l’ibuprofene si va bloccare la produzione di prostaglandine, e quindi si riduce la sensibilizzazione periferica al dolore. Il dolore può anche essere cronico, associato ad esempio ad alterazioni del sistema nervoso. In quest’ultimo caso si parla di dolore neuropatico. Ad esempio, si può avere la lesione di un nervo, che chiaramente risulta più difficile da trattare. Ci sono anche altre forme di dolore cronico di cui non si conosce esattamente la causa. Alcuni pazienti possono riscontrare dolore senza avere un danno biologico. Solitamente il dolore è associato ad un danno e rimuovendone la causa si presume risolto il problema. In altri casi le persone avvertono dolore continuo, senza che ci sia un danno reale. Chiaramente risulta difficile risolvere queste patologie. In alcuni casi questo tipo di dolore può essere associato a patologie psichiatriche; in altri non è possibile delineare in maniera chiara la patologia. -MALATTIE NEURODEGENERATIVE Tra queste si riscontrano le demenze. Importante è a fare la differenza tra l’invecchiamento cerebrale fisiologico, demenza e Alzheimer. Tra queste malattie vi è il Parkinson, il cui segno più evidente è il tremore. In realtà il problema fondamentale di questa patologia è la rigidità: si hanno delle alterazioni a livello del controllo del movimento. Il paziente avrà difficolta ad iniziare un movimento (bradicinesia) e a controllarlo. La terapia per il Parkinson va a ridurre il tremore e la rigidità. Per ogni terapia esistono sia i pro che i contro. Gli effetti indesiderati saranno maggiormente visibili nelle terapie croniche. A questa categoria appartiene anche la SLA (sclerosi laterale amiotrofica) e la sclerosi multipla. L’alterazione interesserà il cervello nell’Alzheimer e il muscolo striato nel Parkinson. Anche i neurotrasmettitori coinvolti saranno diversi: glutammato e acetilcolina nell’Alzheimer e la dopamina per il Parkinson (vi è una sua carenza). -ICTUS, ISCHEMIA CEREBRALE E STROKE Negli anni scorsi queste patologie colpivano soprattutto gli anziani. Attualmente molti giovani vengono colpiti da ischemia cerebrale; al tempo stesso le terapie sono molto limitate. L’ictus può essere di tipo emorragico, oppure può determinare un infarto cerebrale. I TIA sono degli attacchi ischemici transitori, in cui si avverte una leggera cefalea o comunque sintomi minimi. Quindi non avrà conseguenze gravissime; al contrario un attacco ischemico di grosse dimensioni può portare grandi danni, come un infarto o un evento emorragico. -EPILESSIE Esistono diverse forme di epilessie: 1) CLASSICA con l’attacco epilettico, la caduta del soggetto interessato e la perdita di conoscenza; 2) ASSENZE colpiscono principalmente i bambini. Questi ultimi si bloccano nelle loro attività, per poi riprende dopo pochi secondi. Il bambino non ricorderà le cose fatte nel tempo in cui è stato bloccato. Le terapie saranno diverse a seconda del tipo di epilessia. -ASSOCIAZIONE DEPRESSIONE-ANSIA Uno stato di ansia si può riscontrare in situazioni particolari in tutte le persone. Nel caso di queste patologie si possono avere risposte anomale per situazioni che invece vengono affrontate normalmente dalla maggior parte delle persone. In questi casi l’ansia viene associata alla depressione. Un paziente che soffre d’ansia, dovuta a una fobia o senza un’apparente ragione, viene trattato con dei farmaci chiamati ANSIOLOTICI. Se si ha una depressione bisogna aumentare la stimolazione; se si ha invece un aumento dell’eccitabilità bisogna ridurla, tornare cioè ad una condizione di normalità. Nel caso di ipereccitabilità, in una situazione di ansia eccessiva, si può somministrare un ansiolitico, come le benzodiazepine (valium, diazepam). Questi farmaci sono agonisti dei recettori GABA-a, e aumentano il tono inibitorio con riduzione dell’ansia. Se invece si utilizzasse un antagonista sulla subunità A, dei recettori per il GABA, si avrebbe il risultato opposto, con conseguenti convulsioni. Sullo stesso sito può anche agire un agonista inverso. Esistono molte benzodiazepine, collegate anche con gli IPNOGENI: molto spesso l’ansia può essere accoppiata all’insonnia, con difficoltà nell’addormentamento e nel raggiungimento di un sonno profondo. Di conseguenza si possono usare farmaci che agiscono sul recettore del GABA, sia come ansiolitici che come ipnogeni, per indurre il sonno. Esistono delle benzodiazepine che hanno una diversa emivita. Quest’ultima rappresenta il tempo di dimezzamento che occorre per avere una riduzione del livello del farmaco in circolo; può anche essere indicata come il tempo di permanenza del farmaco in circolo. Se c’è bisogno di un effetto rapido si userà un farmaco con un’emivita rapida. Se l’emivita è troppo rapida il farmaco viene eliminato facilmente e questo può essere svantaggioso. A seconda delle varie situazioni si potrà usare un farmaco con un’emivita di 3 ore, di 6 ore etc.… Se il farmaco viene eliminato senza determinare l’effetto rappresenta un’anomalia. Tutto questo può essere associato alla depressione, perché un suo sintomo tipico è l’alterazione del ritmo sonno-veglia: alcuni depressi dormono di più, altri invece dormono di meno e in alcune condizioni possono avere crisi di ansia. Il neurotrasmettitore collegato alla depressione è la SEROTONINA. Nel caso della depressione c’è una riduzione in generale delle ammine, in particolare della serotonina. In questo caso bisognerà intervenire aumentando i livelli di serotonina, che sono legati, come la noradrenalina, ad un enzima chiamato monoamino-ossidasi (MAO → MAO-a e MAO-b). Si possono bloccare le MAO e aumentare così i livelli di serotonina. Un’altra strategia è quella di andare a bloccare la ricaptazione della serotonina. Quando la serotonina viene liberata si lega ai recettori 5 OH-T, ma esiste un trasportatore a livello pre-sinaptico che ricapta la serotonina, andando così a ridurre l’attivazione dei recettori serotoninergici. Con il blocco della ricaptazione si avrà un aumento della permanenza della serotonina a livello dello spazio sinaptico, con conseguente aumento dell’attività serotoninergica. -ANESTESIA (associata al dolore) Nel caso dell’anestesia locale si usano farmaci che bloccano i canali del sodio. Essi hanno un meccanismo d’azione simile ai farmaci usati per l’epilessia. Questi farmaci sono chiamati anestetici locali. -Un’altra forma di dolore con caratteristiche leggermente diverse è quella legata alle CEFALEE e all’EMICRANIA, a loro volta dipendenti dalla serotonina. -PSICOSI Andando a modulare i livelli di DOPAMINA o di GLUTAMMATO si possono avere degli effetti collaterali, come le psicosi. Usando farmaci anti-psicotici si potranno avere delle manifestazioni simili ad alcune malattie.