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Lezione 1- Farmacologia 3/10

L’Alzheimer è una patologia neurodegenerativa. Le cellule del sistema nervoso si dividono in


neuroni e microglia (astrociti, oligodendrociti ecc..). Molte delle malattie del sistema nervoso
causano dei danni irreversibili; infatti si può rallentare la loro progressione, ma non esiste, per
molte, una cura.
In questi casi non ci sono dei farmaci che curano la malattia. Si parla, infatti, di farmaci sintomatici.
Il sintomo più evidente nell’Alzheimer è la perdita della memoria. Per l’Alzheimer ci sono dei
farmaci che possono aiutare i pazienti con la memoria (questo solo all’inizio della malattia). Le
terapie sintomatiche vanno, quindi, ad agire a livello del sintomo.
Nell’epilessia idiopatica i sintomi principali sono le convulsioni e attraverso dei farmaci si può
migliore la vita del paziente. Questo migliora, ma non cura la malattia. Infatti, alla sospensione
della cura il paziente avrà di nuovo delle crisi frequenti. Nel momento in cui l’epilessia è legata ad
un processo tumorale o ad un’ischemia cerebrale basta eliminare l’ente che la causa. Anche
l’ipertermia può portare convulsioni, ma si risolve abbassando la temperatura.
Un farmaco prima di essere messo in commercio deve superate dei test pre-clinici dal punto di
vista farmacologico e tossicologico. I test vengono effettuati a livello molecolare e cellulare (sugli
animali). Dei farmaci è importante conoscere la farmacocinetica, cioè l’assorbimento, la
distribuzione, il metabolismo e l’escrezione dei farmaci (ADME). La maggior parte dei farmaci
viene eliminata attraverso la via renale. L’assorbimento dipende dall’idrofilia o lipofilia del
farmaco. La farmacodinamica, invece, è il meccanismo d’azione del farmaco.
Nell’epilessia viene utilizzato un farmaco chiamato fenitoina, che blocca i canali del sodio.
Nell’Alzheimer si ha un’alterazione dei neuroni colinergici, che secernono acetilcolina. Si deve,
quindi, aumentare il livello di acetilcolina; si può intervenire a livello del suo processo di sintesi o
sull’accumulo del neurotrasmettitore a livello vescicolare. Le vescicole vengono trasportate, quindi
se si blocca il trasportatore si può ridurre il livello di neurotrasmettitore presente al loro interno. E
di conseguenza ridurre il quantitativo che viene liberato. L’acetilcolina viene liberata, va ad agire e
successivamente il suo segnale viene interrotto. Precisamente l’acetilcolina viene sintetizzata
dall’acetil-colina transferasi e degradata dall’acetil-colin-esterasi. Quindi i colin-esterasici
degradano l’acetil-colina.
Siccome che nell’Alzheimer si ha una riduzione del livello di acetil-colina, si possono utilizzare dei
farmaci che bloccano l’acetil-colina esterasi (classe degli anticolin-esterasici). Infatti, il bersaglio di
un farmaco non deve essere per forza un recettore, ma anche un enzima.
Per aumentare il livello di neurotrasmettitore presente nello spazio sinaptico, e di conseguenza
aumentare l’attività recettoriale, si va bloccare l’acetil-colin esterasi. In questo modo si bloccherà
la degradazione dell’acetil-colina. La maggiore segnalazione a livello recettoriale avrà numeri
effetti vantaggiosi. In questo modo si va a modulare la liberazione fisiologica del
neurotrasmettitore; precisamente si va a modulare la quantità di acetil-colina che normalmente
viene prodotta. L’acetil-colina dovrebbe essere degradata, invece si vanno ad aumentare i suoi
livelli; in questo modo si va ad aumentare, tenendo conto delle concentrazioni che vengono
liberate fisiologicamente, la presenza dell’acetil-colina a livello sinaptico. Si va così ad
incrementare l’attivazione dei recettori. Questo può portare dei vantaggi in una situazione in cui si
ha una carenza del tono colinergico.
I recettori dell’acetil-colina si dividono in muscarinici (metabotropici) e nicotinici (ionotropici)
Nel caso dell’Alzheimer si può anche utilizzare un farmaco chiamato memantina, che blocca i
recettori dell’NMDA (recettori dell’N-metil-D-asparato). Questi ultimi sono i recettori del
glutammato; la memantina è un antagonista non competitivo del recettore dell’NMDA.
Alcuni farmaci possono essere utilizzati anche per altre patologie. Ci sono miliardi di neuroni
immessi in circuiti molto complessi. Quindi, quando un farmaco va a modulare l’attività di un
recettore o di un neurotrasmettitore si va a modulare l’attività di tutto il circuito. Non riguarderà
solo quel recettore o quel neurotrasmettitore, ma anche tutti gli altri neuroni. Ad esempio, un
recettore dopaminergico può essere presente su neurone colinergico, e andrà così a modulare la
liberazione di acetil-colina. Quest’ultima può andare a sua volta a modulare l’attività di un
neurone glutammanergico, andando così a liberare glutammato. Quest’ultimo potrà andare a
modulare l’azione di un neurone gabaergico.
Il neurotrasmettitore del glutammato è maggiormente presente a livello del sistema nervoso
centrale. I neurotrasmettitori possono essere divisi in eccitatori e inibitori. Il glutammato è un
neurotrasmettitore eccitatorio, ed è quindi legato ad aumento dell’attività neuronale. In un
neurone molto attivo (fenomeno della depolarizzazione) saranno coinvolti ioni come il sodio e il
calcio. Con il concetto di attivazione, depolarizzazione e stimolazione ci si riferisce a recettori
canali collegati alla modulazione del livello di sodio e di calcio.
Il neurotrasmettitore inibitorio più conosciuto è il GABA (meno conosciuta è la dopamina).
Quest’ultimo va ad inibire l’attività dei recettori GABA(a) e GABA(b). GABA (a) è un recettore
accoppiato ad un canale ed ha un effetto iperpolarizzante. Quest’ultimo di solito riguarda
l’aumento dell’attività dei canali del potassio o del cloro. In questo caso è accoppiato ad un canale
del cloro. GABA(b), invece, è un recettore metabotropo.
I neuropeptidi sono localizzati nelle vescicole insieme ai neurotrasmettitori e vengono rilasciati
con essi. Questi assumono importanza in alcune patologie.
-IL DOLORE
l dolore è un meccanismo di difesa fisiologico. Quest’ultimo non è solo associato ai recettori
nocicettivi, ma può anche essere accoppiato ad un processo di tipo infiammatorio. Nel caso di
dolore di piccola entità si può usare un analgesico o antidolorifico, come il paracetamolo.
Quest’ultimo è anche un antipiretico, cioè abbassa la temperatura, ma non è un antinfiammatorio.
Oltre al paracetamolo, per un dolore di lieve entità si può usare l’ibuprofene, classico
antinfiammatorio. L’infiammazione aumenta la sensibilità al dolore; riducendo la produzione di
prostaglandine si va ridurre la sensibilità al dolore.
Nel processo infiammatorio si avverte dolore, perché le sostanze pro-infiammatorie liberate vanno
a sensibilizzare una determinata area. Con l’ibuprofene si va bloccare la produzione di
prostaglandine, e quindi si riduce la sensibilizzazione periferica al dolore.
Il dolore può anche essere cronico, associato ad esempio ad alterazioni del sistema nervoso. In
quest’ultimo caso si parla di dolore neuropatico. Ad esempio, si può avere la lesione di un nervo,
che chiaramente risulta più difficile da trattare. Ci sono anche altre forme di dolore cronico di cui
non si conosce esattamente la causa. Alcuni pazienti possono riscontrare dolore senza avere un
danno biologico. Solitamente il dolore è associato ad un danno e rimuovendone la causa si
presume risolto il problema. In altri casi le persone avvertono dolore continuo, senza che ci sia un
danno reale. Chiaramente risulta difficile risolvere queste patologie. In alcuni casi questo tipo di
dolore può essere associato a patologie psichiatriche; in altri non è possibile delineare in maniera
chiara la patologia.
-MALATTIE NEURODEGENERATIVE
Tra queste si riscontrano le demenze. Importante è a fare la differenza tra l’invecchiamento
cerebrale fisiologico, demenza e Alzheimer. Tra queste malattie vi è il Parkinson, il cui segno più
evidente è il tremore. In realtà il problema fondamentale di questa patologia è la rigidità: si hanno
delle alterazioni a livello del controllo del movimento. Il paziente avrà difficolta ad iniziare un
movimento (bradicinesia) e a controllarlo. La terapia per il Parkinson va a ridurre il tremore e la
rigidità.
Per ogni terapia esistono sia i pro che i contro. Gli effetti indesiderati saranno maggiormente
visibili nelle terapie croniche.
A questa categoria appartiene anche la SLA (sclerosi laterale amiotrofica) e la sclerosi multipla.
L’alterazione interesserà il cervello nell’Alzheimer e il muscolo striato nel Parkinson. Anche i
neurotrasmettitori coinvolti saranno diversi: glutammato e acetilcolina nell’Alzheimer e la
dopamina per il Parkinson (vi è una sua carenza).
-ICTUS, ISCHEMIA CEREBRALE E STROKE
Negli anni scorsi queste patologie colpivano soprattutto gli anziani. Attualmente molti giovani
vengono colpiti da ischemia cerebrale; al tempo stesso le terapie sono molto limitate. L’ictus può
essere di tipo emorragico, oppure può determinare un infarto cerebrale.
I TIA sono degli attacchi ischemici transitori, in cui si avverte una leggera cefalea o comunque
sintomi minimi. Quindi non avrà conseguenze gravissime; al contrario un attacco ischemico di
grosse dimensioni può portare grandi danni, come un infarto o un evento emorragico.
-EPILESSIE
Esistono diverse forme di epilessie:
1) CLASSICA  con l’attacco epilettico, la caduta del soggetto interessato e la perdita di
conoscenza;
2) ASSENZE  colpiscono principalmente i bambini. Questi ultimi si bloccano nelle loro attività,
per poi riprende dopo pochi secondi. Il bambino non ricorderà le cose fatte nel tempo in cui è
stato bloccato.
Le terapie saranno diverse a seconda del tipo di epilessia.
-ASSOCIAZIONE DEPRESSIONE-ANSIA
Uno stato di ansia si può riscontrare in situazioni particolari in tutte le persone. Nel caso di queste
patologie si possono avere risposte anomale per situazioni che invece vengono affrontate
normalmente dalla maggior parte delle persone. In questi casi l’ansia viene associata alla
depressione.
Un paziente che soffre d’ansia, dovuta a una fobia o senza un’apparente ragione, viene trattato
con dei farmaci chiamati ANSIOLOTICI.
Se si ha una depressione bisogna aumentare la stimolazione; se si ha invece un aumento
dell’eccitabilità bisogna ridurla, tornare cioè ad una condizione di normalità. Nel caso di
ipereccitabilità, in una situazione di ansia eccessiva, si può somministrare un ansiolitico, come le
benzodiazepine (valium, diazepam). Questi farmaci sono agonisti dei recettori GABA-a, e
aumentano il tono inibitorio con riduzione dell’ansia. Se invece si utilizzasse un antagonista sulla
subunità A, dei recettori per il GABA, si avrebbe il risultato opposto, con conseguenti convulsioni.
Sullo stesso sito può anche agire un agonista inverso.
Esistono molte benzodiazepine, collegate anche con gli IPNOGENI: molto spesso l’ansia può essere
accoppiata all’insonnia, con difficoltà nell’addormentamento e nel raggiungimento di un sonno
profondo. Di conseguenza si possono usare farmaci che agiscono sul recettore del GABA, sia come
ansiolitici che come ipnogeni, per indurre il sonno.
Esistono delle benzodiazepine che hanno una diversa emivita. Quest’ultima rappresenta il tempo
di dimezzamento che occorre per avere una riduzione del livello del farmaco in circolo; può anche
essere indicata come il tempo di permanenza del farmaco in circolo. Se c’è bisogno di un effetto
rapido si userà un farmaco con un’emivita rapida. Se l’emivita è troppo rapida il farmaco viene
eliminato facilmente e questo può essere svantaggioso. A seconda delle varie situazioni si potrà
usare un farmaco con un’emivita di 3 ore, di 6 ore etc.… Se il farmaco viene eliminato senza
determinare l’effetto rappresenta un’anomalia.
Tutto questo può essere associato alla depressione, perché un suo sintomo tipico è l’alterazione
del ritmo sonno-veglia: alcuni depressi dormono di più, altri invece dormono di meno e in alcune
condizioni possono avere crisi di ansia.
Il neurotrasmettitore collegato alla depressione è la SEROTONINA. Nel caso della depressione c’è
una riduzione in generale delle ammine, in particolare della serotonina. In questo caso bisognerà
intervenire aumentando i livelli di serotonina, che sono legati, come la noradrenalina, ad un
enzima chiamato monoamino-ossidasi (MAO → MAO-a e MAO-b). Si possono bloccare le MAO e
aumentare così i livelli di serotonina. Un’altra strategia è quella di andare a bloccare la
ricaptazione della serotonina. Quando la serotonina viene liberata si lega ai recettori 5 OH-T, ma
esiste un trasportatore a livello pre-sinaptico che ricapta la serotonina, andando così a ridurre
l’attivazione dei recettori serotoninergici. Con il blocco della ricaptazione si avrà un aumento della
permanenza della serotonina a livello dello spazio sinaptico, con conseguente aumento
dell’attività serotoninergica.
-ANESTESIA (associata al dolore)
Nel caso dell’anestesia locale si usano farmaci che bloccano i canali del sodio. Essi hanno un
meccanismo d’azione simile ai farmaci usati per l’epilessia. Questi farmaci sono chiamati anestetici
locali.
-Un’altra forma di dolore con caratteristiche leggermente diverse è quella legata alle CEFALEE e
all’EMICRANIA, a loro volta dipendenti dalla serotonina.
-PSICOSI
Andando a modulare i livelli di DOPAMINA o di GLUTAMMATO si possono avere degli effetti
collaterali, come le psicosi. Usando farmaci anti-psicotici si potranno avere delle manifestazioni
simili ad alcune malattie.

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