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LA MALATTIA DELL’ALZHEIMER

RICERCA A CURA DI FRANCESCO PALAZZESI


L’ENCEFALO
L’encefalo è la parte più complessa del sistema nervoso.
Qui vengono analizzate le informazioni giunte dalla periferia
del corpo, attivate le risposte, immagazzinate le esperienze in
forma di memoria ed elaborate in emozioni.

Nell’encefalo si distinguono una sostanza grigia formata dai


corpi cellulari dei neuroni (che appaiono grigi perché privi di
mielina), e una sostanza bianca, costituita dagli assoni rivestiti
di mielina.

L’ encefalo comprende il cervello, il cervelletto e il midollo


allungato. Il cervello è la parte più importante e voluminosa
dell’encefalo. E’ formato da due strutture simmetriche, gli
emisferi (destro e sinistro), separati da un profondo solco ma
collegati tra loro da una formazione denominata corpo calloso.
LE ZONE DEL CERVELLO
Nel cervello possiamo distinguere due zone principali:

La parte più esterna, chiamata corteccia cerebrale, è corpo calloso


costituita da una sostanza grigia ed è percorsa da pieghe e
solchi che ne aumentano la superficie e formano zone distinte
dette lobi centrali a ciascun lobo è associata una funzione:
motoria, visiva, olfattiva, uditiva, del linguaggio della talamo
memoria e così via. cervello
ipotalamo
All’interno del cervello si trova la sostanza bianca, che ipofisi
contiene importanti nuclei di sostanza grigia, il talamo e ponte di Varolio cervelletto
l’ipotalamo.
midollo spinale
L’ALZHEIMER

La malattia di Alzheimer-Perusini, detta anche morbo


di Alzheimer, demenza presenile di tipo
Alzheimer, demenza degenerativa primaria di tipo
Alzheimer o semplicemente Alzheimer, è la forma più
comune di demenza degenerativa progressivamente
invalidante con esordio prevalentemente in età
presenile (oltre i 65 anni). Nel DSM-5 viene nominata
come disturbo neurocognitivo maggiore o lieve dovuto
a malattia di Alzheimer (331.0). Si stima che circa il
50-70% dei casi di demenza sia dovuta a tale
condizione, mentre il 10-20% a demenza vascolare.
LA STORIA
DELLA MALATTIA
Nel 1901, il dottor Alois Alzheimer, uno psichiatra tedesco,
interrogò una sua paziente di 51 anni, la signora Auguste D.
Le mostrò parecchi oggetti e successivamente le domandò che
cosa le era stato indicato. Lei non poteva però ricordare. La
signora Auguste D. fu la prima paziente a cui venne
diagnosticata la malattia di Alzheimer.

Alois Alzheimer affidò successivamente all'italiano Gaetano


Perusini, un giovane e brillante neurologo udinese, il compito di
raccogliere informazioni e dati su casi analoghi.

Negli anni successivi vennero registrati in letteratura scientifica


undici altri casi simili; nel 1910 la patologia venne inserita per
la prima volta dal grande psichiatra tedesco Emil
Kraepelin nel suo classico Manuale di Psichiatria, venendo da
lui definita come "Malattia di Alzheimer", o "Demenza
Presenile ".
L’EPIDEMIOLOGIA
La malattia di Alzheimer è definibile come un processo
degenerativo che pregiudica progressivamente le cellule
cerebrali, rendendo a poco a poco l'individuo che ne è
affetto incapace di una vita normale e provocandone alla
fine la morte. La degenerazione è suddivisa in pre-demenza,
fase iniziale, fase intermedia e fase finale. I primi sintomi
sono spesso subdoli ed erroneamente attribuiti
all'invecchiamento o stress. Nelle persone con AD la crescente
compromissione di apprendimento e di memoria alla fine
porta ad una diagnosi definitiva. Può presentarsi il problema
dell’ agnosia o dell’ aprassia, sono più evidenti dei problemi
di memoria. Il progredire dell'AD ostacola l'indipendenza nei
soggetti i quali lentamente non sono più in grado di svolgere
le attività quotidiane. Le difficoltà linguistiche diventano
evidenti per via dell'afasia. Durante le fasi finali, il paziente
è completamente dipendente dagli altri. Il linguaggio è
ridotto a semplici frasi o parole, anche singole, portando
infine alla completa perdita della parola.
L’EZIOLOGIA
La causa per la maggior parte dei casi di Alzheimer è ancora in gran
parte sconosciuta, ad eccezione che per casi dall'1% al 5% in cui sono
state individuate le differenze genetiche esistenti. Diverse ipotesi
cercano di spiegare la causa della malattia:
L'ereditabilità genetica della malattia di Alzheimer, sulla base di studi
sui gemelli e familiari, comprendono dal 49% al 79% dei casi. La
maggior parte dei casi di malattia di Alzheimer non presenta
ereditarietà autosomica dominante e viene denominata AD sporadica,
in cui le differenze ambientali e genetiche possono agire come fattori
di rischio. Il fattore di rischio genetico più noto è l'eredità dell'allele
ε4 della Apolipoproteina E (APO-E). Tra il 40 e il 80% delle persone
con la malattia sono in possesso di almeno un allele APOEε4. L'allele
APOEε4 aumenta il rischio della malattia di tre volte negli eterozigoti
e di 15 volte negli omozigoti. Più recentemente studi di associazione
sull'intero genoma (GWAS) hanno trovato 19 aree in geni che
sembrano associate al rischio
Mutazioni nel gene TREM2 sono state associate ad un rischio da 3 a 5
volte più elevato di sviluppare la malattia di Alzheimer. Si pensa che
quando TREM2 è mutato ,i globuli bianchi nel cervello non sono più in
grado di controllare la quantità di beta amiloide presenti.
LA CLINICA
Il decorso della malattia può essere diverso, nei tempi e nelle
modalità sintomatologiche, per ogni singolo paziente; esistono
comunque una serie di sintomi comuni, che si trovano
frequentemente associati nelle varie fasi con cui, clinicamente,
si suddivide per convenzione il decorso della malattia.

La malattia inizialmente si manifesta spesso come demenza


caratterizzata da amnesia progressiva e altri deficit cognitivi.
A partire dalle fasi lievi e intermedie possono poi manifestarsi
crescenti difficoltà di produzione del linguaggio, con
incapacità nella definizione di nomi di persone od oggetti, e
frustranti tentativi di "trovare le parole", seguiti poi nelle fasi
più avanzate da disorganizzazione nella produzione di frasi e
uso sovente scorretto del linguaggio. Nelle fasi intermedie e
avanzate, inoltre, possono manifestarsi problematiche
comportamentali o psichiatriche.

Ai deficit cognitivi e comportamentali, nelle fasi più avanzate


si aggiungono infine complicanze mediche internistiche, che
portano a una compromissione progressiva della salute.
LA DIAGNOSI
La malattia di Alzheimer è di solito diagnosticata clinicamente dalla storia del
paziente, da osservazioni cliniche, dalla presenza di particolari caratteristiche
neurologiche e neuropsicologiche e per l'assenza di condizioni alternative.
Gli assessment neuropsicologici e cognitivi, inclusi i test di memoria ed esecutivi,
possono ulteriormente caratterizzare lo stato della malattia. Diverse
organizzazioni mediche hanno creato i criteri diagnostici per facilitare e
standardizzare il processo diagnostico. La diagnosi clinica viene confermata a
livello patologico solo con l'analisi istologica del cervello post-mortem.
Sono otto gli ambiti funzionali cognitivi più comunemente compromessi: memoria,
linguaggio, abilità percettiva, attenzione, abilità costruttiva, orientamento,
risoluzione dei problemi e capacità funzionali. Questi ambiti cognitivi sono
equivalenti ai criteri della NINCDS ADRDA, come elencati nel Diagnostic and
Statistical Manual of Mental Disorders (DSM) pubblicato dalla American
Psychiatric Association.
LA TERAPIA

Anche se al momento non esiste una cura efficace, sono state proposte diverse
strategie terapeutiche per tentare di influenzare clinicamente il decorso della
malattia di Alzheimer. È inoltre opportuno integrare interventi psicosociali,
cognitivi e comportamentali, che hanno dimostrato effetti positivi, sinergicamente
all'uso dei presidi farmacologici, nel rallentamento dell'evoluzione dei sintomi e
nella qualità della vita dei pazienti e dei caregiver. In primo luogo, basandosi sul
fatto che nell'Alzheimer si ha diminuzione dei livelli di acetilcolina, un'ipotesi
terapeutica è stata quella di provare a ripristinarne i livelli fisiologici. Gli agonisti
colinergici invece avrebbero effetti sistemici e produrrebbero troppi effetti
collaterali, e non sono quindi utilizzabili. Si possono invece usare gli inibitori
della colinesterasi, l'enzima che catabolizza l'acetilcolina: inibendo tale enzima, si
aumenta la quantità di acetilcolina presente nello spazio intersinaptico. Le forme
di trattamento non-farmacologico consistono prevalentemente in interventi
comportamentali, di supporto psicosociale e di training cognitivo.
LA PROGNOSI
Le fasi iniziali della malattia di Alzheimer sono difficili
da diagnosticare. Una diagnosi definitiva è posta
solitamente una volta che si verifica una significativa
compromissione cognitiva e una percepibile riduzione di
capacità di svolgere le attività della vita quotidiana,
anche se la persona è ancora in grado di gestirsi
autonomamente.

L'aspettativa di vita della popolazione con la malattia


si riduce, con un tempo di vita media di circa sette anni
dopo la diagnosi. Meno del 3% della popolazione vive
più di quattordici anni. Malattie caratteristiche
significativamente associate alla ridotta sopravvivenza
sono un aumento della gravità del deficit cognitivo,
diminuzione del livello funzionale, diverse cadute e
disturbi neurologici. Altre patologie concomitanti, come
problemi cardiaci, diabete o storia di abuso di
alcool sono correlate con una sopravvivenza più breve.
LA PREVENZIONE DELLA MALATTIA
Al momento non ci sono prove definitive per sostenere l'efficacia di una qualsiasi misura
preventiva per la malattia di Alzheimer. Studi per identificarle hanno spesso prodotto
risultati incoerenti. Tuttavia, studi epidemiologici hanno proposto correlazioni tra alcuni
fattori modificabili e la probabilità per una popolazione di sviluppare la malattia. Solo
ulteriori ricerche, tra cui gli studi clinici, riveleranno se questi fattori possono aiutare a
prevenire o ritardare l'insorgenza della malattia di Alzheimer. Sebbene i fattori di
rischio cardiovascolari, come l'ipercolesterolemia, l'ipertensione, il diabete e il fumo,
siano associati con un rischio maggiore di insorgenza della malattia, le statine, che sono
farmaci per l'abbassamento del colesterolo, non si sono dimostrate efficaci nel prevenire
o migliorare il decorso.

Le persone che si impegnano in attività intellettuali, come la lettura, i giochi da tavolo,


i cruciverba, l'esecuzione con strumenti musicali, o che hanno una regolare interazione
sociale, mostrano una riduzione del rischio di sviluppo della malattia di Alzheimer.
Questo è compatibile con la teoria della riserva cognitiva, in cui si afferma che alcune
esperienze di vita forniscono all'individuo una riserva cognitiva che ritarda l'insorgenza
di manifestazioni di demenza. L'apprendimento di una seconda lingua, anche in tarda
età, sembra ritardare la malattia di Alzheimer.

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