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CONCETTI DI BASE:

Geografia economica à è una scienza che studia i fenomeni economici in quanto si presentano distribuiti della
superficie terrestre in sviluppo, in interdipendenza con l’ambiente ed in quanto si coordinano nell’insieme del
mondo e negli insiemi parziali onde esso risulta articolato. (definizione di Umberto Toschi).
Regione à sottoinsieme caratterizzato da un’omogeneità tra i caratteri.
Condizioni dello sviluppo dei fenomeni economici nella geografia economica:
- spazio;
- tempo;
- popolazione;
- ubicazione (i fenomeni economici si svolgono in un determinato luogo);
- localizzazione (scelta di una determinata ubicazione).

Principi fondanti della geografia economica:


1) principio di osservazione;
2) principio di distribuzione spaziale;
3) principio di causalità;
4) principio di sviluppo;
5) principio di connessione e di interdipendenza;
6) principio di sintesi geografica.

L’industrializzazione, la crescita metropolitana, le economie di scala nella produzione e la crescita intesa come processo
lineare per la produzione della ricchezza hanno fatto cambiare la visione di un mondo prima comprensibile e facile da
rappresentare, affermando cosi le scienze monosteliche (caratterizzate della ricerca e dall’enunciazione di leggi
universali). Il punto di svolta si è avuto tramite l’introduzione di 3 dimensioni: tempo, spazio e soggettività.
Vecchia scienza: tempo continuo, lineare e prevedibile; spazio omogeneo, banale e privo di differenze e dinamiche
proprie; soggettività negata a causa della razionalità.
Nuova scienza: il tempo esprime un’evoluzione verso qualcosa di più problematico, soggetto a dinamiche che non
permettono di prevedere gli sviluppi futuri; lo spazio è oggetto di calcolo, ma con una molteplicità di rapporti
economici, sociali, culturali, radicati ed ineliminabili; vi sono tanti punti di vista (soggettività) in quanto di fronte alla
complessità del mondo non vi può essere solo un unico punto di vista “certo”.
Gli eventi accadono sempre in qualche specifico luogo, a opera di uomini che hanno una loro specifica storia e che
fanno parte di più raggruppamenti (famiglia, religione, partiti, ecc..).

1. Lo spazio geo-economico: territorio, regioni, reti.


1. Le relazioni geografico-spaziali e l’organizzazione del territorio:
Spazio geografico à insieme delle relazioni che legano tra loro oggetti e soggetti localizzati sulla superficie
terrestre.
Queste relazioni si dividono in due tipi:
- orizzontali: sono relazioni geografico-spaziali che intercorrono tra soggetti e tra le loro diverse sedi (es. relazioni di
scambio e di circolazione di merci, persone, denaro informazioni ecc..);
- verticali: riguardano il rapporto delle singole attività economiche con le caratteristiche dei luoghi in cui esse hanno
sede (es. clima, caratteri demografici, storico-culturali, ecc..).
Nella geografia economica, i due tipi di relazioni sono sempre contemporaneamente presenti.
Territorio à insieme formato dalle relazioni orizzontali e verticali e dagli oggetti e soggetti che tali relazioni legano
tra loro e al suolo.
Organizzazione territoriale à ordine complessivo che queste relazioni assumano sul territorio.
La geografia economica studia la gran varietà dei tipi di organizzazione territoriale, che incidono sulle attività
economiche.
L’organizzazione territoriale viene analizzata considerando tre ordini di fatti:
1) le differenti condizioni naturali dei vari luoghi e regioni;
2) le condizioni ereditate dal passato, sia materiali (es. rete della città) sia sociali, culturali ed economiche;
3) l’organizzazione attuale: economico-sociale, politica e amministrativa.
Le prime due condizioni sono da considerare come condizioni oggettive, mentre la terza dipende in larga misura dalle
scelte dei soggetti.
à Regione e pensiero geografico:
1. Regione naturale: è propria del determinismo naturale (1750-1900):
- descrizione delle regioni naturali;
- distribuzione del popolamento condizionato dalle caratteristiche dei suoli e del clima (3 ambienti climatici:
ricoperti da foreste, anecumenici (non popolati), intermedi).

2. Regione possibilista: propria del possibilismo (1900-1950):


- influenza reciproca tra uomo e natura;
- due concetti fondamentali: genere di vita (insieme dei comportamenti sociali relativi al territorio, carattere
metodico e continuo del comportamento umano) e paesaggio (insieme delle fattezze visibili e sensibili che
conferiscono una certa uniformità ad un territorio);
- regione intesa come un territorio plasmato da un certo genere di vita che si esprime attraverso un paesaggio o
insieme di paesaggi tra loro in qualche modo connessi.

3. Regione funzionale: propria del volontarismo (concetti chiave del volontarismo sono: gravitazione e
polarizzazione, (dagli anni ’50 in poi)).
Punti principali del volontarismo:
- concetto di regione politica;
- l’uomo può determinare lo sviluppo tecnologico della regione, decidendo come organizzare il territorio;
- l’ambiente;
- importanza delle risorse in senso ottimistico;
- importanza dell’organizzazione urbana (ruolo delle città);
- possibilità di progettare consapevolmente l’intervento politico sull’ambiente;
- essenzialità della conoscenza delle leggi della natura per poter intervenire correttamente su di essa.
La regione funzionale è un’aggregazione territoriale nella quale le relazioni tra elementi costitutivi risultano
più rilevanti di quelli con l’esterno, prescindendo dal ruolo che ciascun elemento assume nell’organizzazione
dell’insieme.
La regione polarizzata mette in evidenza che i flussi non hanno ovunque la stessa intensità, bensì tendono a
polarizzarsi verso un “nodo” o da un “nodo” dominante.

4. Regione sistematica à si fonda sulla Teoria Generale dei Sistemi (dagli anni ’60 in poi):
la regione intesa come sistema sposta l’attenzione sul processo che muove la struttura verso il traguardo.
Concetti di interazione e apertura.
Nell’ambito del territorio assumono importanza i concetti di contiguità e di discontinuità i quali richiamano
l’esigenza di trattare le sue articolazioni à <<regionalizzazione>>

2. Il valore economico del territorio:


Nelle società pre-mercantili e pre-industriali, il valore del territorio dipendeva principalmente dalla sua attitudine a
soddisfare consumi locali, derivanti da bisogni primari.
L’inizio della società capitalistica è stato invece segnato, in Europa, dall’inizio dell’epoca comunale, nella quale il
terreno ha normalmente avuto un valore di scambio, legato principalmente alla minore o maggiore fertilità del suolo.
In questo tipo di economia era fondamentale organizzare il territorio in modo da ottenere dal capitale “terra” la
maggior resa economica possibile. Tuttavia finché l’uso del suolo è stato solo quello agricolo, esso non poteva essere
reso produttivo oltre un certo limite, superato il quale, le rese per ettaro non sarebbero aumentate. Questi limiti del
capitalismo agrario furono superati da quando iniziarono a svilupparsi le industrie, con le quali l’aumento della
produttività del lavoro umano sembrava non avere limitazioni, in quanto poteva essere aumentata con l’uso delle
macchine; in questo modo si sarebbe ottenuto più profitto, quindi più capitale da investire nel ciclo successivo.
Da un punto di vista geografico, il modo di produrre capitalistico industriale, ha avuto come conseguenza la
concentrazione dello sviluppo economico in pochi paesi e poche aree centrali, poiché la concentrazione spaziale
del lavoro fa crescere la produttività dei fattori impiegati.
I costi di produzione e il valore dei prodotti non sono uguali dappertutto: ci sono quindi luoghi e condizioni
territoriali che permettono di accrescere i profitti ( à concentrazione dello sviluppo in poche aree centrali). Stessa
cosa vale per il lavoro: chi ha bisogno di personale qualificato ha convenienza a localizzare l’azienda là dove esso è
facilmente reperibile, vicino ad aziende simili o a grandi città, ottenendo così economie di scala (vantaggi
economici). Chi invece necessita di molta manodopera anche non qualificata, localizza la sua produzione là dove il
costo del lavoro è più basso.

3. Economie esterne e infrastrutture:


Economie esterne à vantaggi che l’imprenditore ottiene grazie alle condizioni favorevoli presenti dove opera
l’impresa;
Diseconomie esterne à si hanno quando una localizzazione si presenta dannosa per le imprese o per gli abitanti;
Alfred Marshall nel 1890 indicò questi effetti utili territoriali con il termine di economie esterne. Cioè utilità che non
derivano dall’organizzazione interna, ma che possono essere utilizzate senza pagarne costi o pagandoli meno dei
vantaggi che se ne ricavano.
Economie di agglomerazione àincrementi di produttività che le imprese realizzano concentrandosi in certe aree (la
vicinanza di più imprese può ridurre i costi), effetto collaterale del mercato, esse fanno parte delle economie di
urbanizzazione che sono vantaggi che derivano da:

1. Opere di urbanizzazione primaria (strade, fognature, acquedotti, ecc..);


2. Facilità di scambi di merci, informazioni e servizi tra le imprese agglomerate;
3. Formazione di un sempre più vasto e differenziato mercato della forza lavoro a cui le imprese possono
attingere;

4. Presenza di servizi pubblici necessari per la formazione e riproduzione della forza lavoro;
5. Presenza di servizi pubblici (o infrastrutture sociali);
6. Sviluppo parallelo di servizi privati per le famiglie e per le imprese.
Le infrastrutture rappresentano tutto ciò che mediante la spesa pubblica rende un ambito territoriale stabilmente
idoneo a svolgere le funzioni economiche abitative, si possono distinguere in:
- infrastrutture materiali o tecniche (impianti ferroviari, strade...);
- infrastrutture sociali (scuole, ospedali, musei...);
- infrastrutture economiche (industrie di base, di fornitura di energia, di acqua…);
- infrastrutture dell’informazione e della ricerca.
Le infrastrutture presentano le seguenti caratteristiche:
- sono strutture territorialià la loro distribuzione geografica non è uniforme;
- sono beni non escludibili à non possono essere condizionati al pagamento di un prezzo di mercato;

- sono beni pubblici indivisibili à producono utilità collettive;

- non danno profitti à nessun capitale privato viene investito, a meno che non intervenga a sostegno in finanziamento
pubblico.

4. La rendita del suolo: può essere agraria, mineraria o urbana (rendita immobiliare).

5. Le regioni geografiche:
Per regione geografica si intende una porzione di superficie terrestre che:
- è costituita da un insieme di luoghi contigui;
- tali luoghi hanno qualche caratteristica comune o qualche relazione preferenziale tra loro;
- essi si distinguono e si differenziano rispetto ai luoghi circostanti, che presentano caratteristiche e connessioni tra
loro diverse e che quindi appartengono ad altre regioni.
Esiste una gerarchia territoriale per quanto riguarda la regione geografica economica:
- al livello microregione appartengono regioni delle dimensioni di uno o pochi comuni;
- il livello mesoregionale corrisponde a dimensioni intermedie, fino a quelle delle nostre regioni istituzionali;
- il livello macroregionale considera interi paesi o aggregati di regioni istituzionali, anche transfrontalieri;
- le megaregioni sono invece continentali o intercontinentali.
I tipi di regione:
- la regione politico-amministrativa è definita dai confini istituzionalmente riconosciuti, è omogenea solo in quanto è
soggetta all’autorità di uno stesso ente pubblico territoriale (es. Comune, Provincia, Regione, ecc..);
- la regione politica è ben delimitata e corrisponde di regola allo Stato, oppure allo Stato federale (livello gerarchico
inferiore) o ad organizzazioni sovranazionali (es. UE) (livello gerarchico superiore);
- la regione naturale è identificata dalle sue caratteristiche fisiche e in essa prevalgono pertanto relazioni di tipo
verticale (es. Pianura padana, caratterizzata dal rilievo pianeggiante);
- la regione storica è caratterizzata da fatti fisici e naturali a cui si sovrappongono peculiarità legate a un tipo di cultura
e storia, è infatti anche regione culturale, omogenea sotto un punto di vista etnico-culturale (lingua, religione, usi e
consumi).

6. Regioni economiche formali e funzionali:


Le regioni economiche possono essere individuate in due modi:
1) regioni funzionali (omogenee o uniformi): in base a certi attributi che caratterizzano pressappoco allo stesso modo
tuti che le compongono (es. regioni risicole);
2) regioni formali: in base a relazioni orizzontali, per il fatto che i luoghi che le compongono sono tra loro connessi da
relazioni più intense rispetto a quelle che quegli stessi luoghi possono avere con l’esterno (es. hinterland di un porto.
Forme più semplici di regioni funzionali sono quelle:
- monocentriche à regioni in cui le relazioni spaziali (flussi) fanno capo ad un unico centro; il principio di auto-
contenimento dei flussi si basa sulla relazione dei luoghi che compongono tale regione, relazioni che sono più fisse
rispetto a quelle che gli stessi luoghi possono avere con l’esterno (es. pentagono europeo – Londra, Amburgo, Monaco,
Milano, Parigi – inteso come regione funzionale), l’auto-contenimento dei flussi regola quindi i confini della regione
funzionale. Queste possono essere:

​- polarizzate, quando i flussi si dirigono tutti su un unico centro principale



- gerarchiche, quando l’organizzazione monocentrica si ripete a vari livelli, in modo che la regione si presenta
come un sistema di regioni monocentriche di diversa dimensione “inscatolate” le une dentro le altre;
- policentriche à regioni in cui non c’è una gerarchia tra i centri , ma ognuno di essi si specializza in funzioni
particolari ed è perciò connesso agli altri da relazioni di complementarità.
Una regione complessa è una regione considerata per i suoi caratteri formali e funzionali.
La regione programma è un tipo particolare di regione complessa che corrisponde all’ambito territoriale entro cui si
svolgono gli interventi programmati.

7. Regioni gerarchiche e regioni polarizzate:


Nelle regioni gerarchiche agisce soprattutto la distribuzione dei servizi che dipende da diversi fattori.
Tra i suoi diversi centri c’è una gerarchia legata al numero e alla qualità di servizi che ciascun centro offre, saranno di
livello più alto i centri più forniti in quantità e qualità.
La struttura delle regioni gerarchiche è stata meglio descritta dal geografo tedesco Christaller con il modello delle
località centrali, intendendo, con questo nome, i centri di offerta di servizi che servono ciascuno un’area circostante, la
cui ampiezza dipende dal numero e dalla rarità dei servizi offerti del centro. La gerarchia delle regioni centrali genera
perciò una gerarchia di regioni funzionali corrispondenti ad aree di gravitazione di diversa ampiezza (“inscatolate” le
une dentro le altre). Si avrebbe così una maglia omogenea ed equilibrata di regioni funzionali di diversa ampiezza,
disposte le une dentro le altre.
Nella realtà ciò non avviene perché lo spazio geografico non è omogeneo ma differenziato dalla natura, dalla storia e
dall’attrazione esercitata dalle economie di agglomerazione e di urbanizzazione. Questi squilibri sono dovuti
soprattutto a processi di agglomerazione, in quanto le attività economiche hanno dei vantaggi a localizzarsi le une
vicino le altre, ciò accelera la crescita della città, a scapito delle aree circostanti dove le economie di agglomerazione e
di urbanizzazione non si sono sviluppate nello stesso modo. Questi processi danno origine a strutture regionali
polarizzate; queste strutture creano squilibrio territoriale tra la regione centrale polarizzante e le regioni periferiche.
Oltre ad un certo limite, l’eccessiva concentrazione di attività in un polo, provoca delle diseconomie di
agglomerazione che oltre a respingere nuove attività, influiscono negativamente anche su quelle già presenti, mettendo
in crisi lo stesso polo; queste, possono portare all’arresto della crescita polarizzata e a fasi di depolarizzazione, in cui
popolazione, attività economiche e servizi si redistribuiscono prima in modo continuo e compatto nei dintorni del polo
(sub-urbanizzazione) e poi in modo meno compatto e con un raggio più ampio (peri-urbanizzazione).
8. Deconcentrazione e nuove strutture regionali a rete:
Le strutture regionali polarizzate e gerarchiche furono le forme di organizzazione territoriale tipiche della prima parte
del XX secolo, quando il principale fattore economico era l’impresa manifatturiera. A partire dagli anni ’70, invece, i
paesi di vecchia industrializzazione furono investiti da notevoli trasformazioni economiche, che incisero profondamente
sull’organizzazione del territorio. Ne derivarono così, schemi localizzativi nuovi e assai più flessibili.
Nei paesi di vecchia industrializzazione si è andata così formando una struttura regionale policentrica interconnessa
(a rete), nella quale, la popolazione e le diverse attività si distribuiscono in vari centri minori, connessi tra loro e con i
centri principali. La città, intesa come grande agglomerazione produttiva, distribuisce in una rete vasta anche centinaia
di chilometri molte delle funzioni che prima erano polarizzate al suo interno, tuttavia, le funzioni direzionali, i servizi
più importanti e le attività tecnologicamente più elevate, permangono tuttora nei “vecchi” poli. Tali strutture sono le più
adatte a favorire oggi a favorire lo sviluppo delle aree forti; queste sono favorite specie dalle aumentate velocità dei
trasporti e dal fatto che l’informazione che circola per reti (spazio discontinuo in cui i nodi, anche se fisicamente
distanti, sono più “vicini” tra loro). à Le sorti di queste regioni dipendono sempre meno dai loro rapporti interni.

9. Sistemi territoriali locali:


Uno degli effetti della globalizzazione economica è quello di mettere in competizione tra loro i vari territori, tale
competizione riguarda soggetti privati, pubblici e misti che, vivendo in uno stesso territorio, hanno un’identità
territoriale comune. Ciò permette loro di arrivare a elaborare e condividere un progetto di sviluppo corrispondente a
interessi comuni e di cooperare tra loro per realizzarlo. Essi formano una rete locale di soggetti che si comporta come
attore collettivo, il cui compito è quello di creare nuovo valore, combinando risorse locali con risorse che circolano
nelle reti globali (lavoro, informazione, denaro, beni strumentali, ecc..).
Ciò che tiene insieme la rete locale e la fa coincidere con un certo territorio è la messa in valore delle risorse e
condizioni potenziali proprie di quel territorio, stabilmente localizzate in esse; tale insieme di condizioni potenziali è
definito dal concetto generale di milieu territoriale locale, cioè un insieme permanente di caratteri storico-culturali e
sociali sedimentati in una certa area geografica attraverso l’evolvere storico dei rapporti intersoggettivi, a loro volta in
relazione con modalità di utilizzo degli ecosistemi naturali locali.
Le reti locali hanno bisogno dei sistemi locali, i milieu locali sono i serbatoi potenziali delle esternalità, di cui esse
necessitano per essere competitive sul mercato mondiale.
L’ambito territoriale delle reti e dei milieu locali è delimitabile geograficamente, costituendo così una microregione
chiamata sistema territoriale locale, nel quale le relazioni di rete tra i soggetti locali presuppongono rapporti di
vicinanza fisica, e quelle verticali si riferiscono a condizioni specifiche, i cui vantaggi comportano anch’essi una
fruizione locale da parte dei soggetti della rete medesima; il sistema territoriale è quindi, essenzialmente, una regione-
programma, ovvero, una costituzione volontaria che esiste se e solo quando certi soggetti attivano certe relazioni
(orizzontali) tra loro e con l’esterno, e certe relazioni (verticali) con i milieu territoriale in cui operano.

2. Il sistema mondo
Introduzione.
Per globalizzazione si intendono la serie di processi che hanno determinato (e determinano tutt’ora) profondi
mutamenti nelle relazioni umane e geografiche, che sembrano oggi:
- espandersi su una scala geografica senza precedenti;
- accelerarsi (mode, idee e crisi economiche circolano da una parte all’altra del mondo);
- interconnettere luoghi un tempo separati da enormi distante.

1. La globalizzazione e l’idea di un sistema-mondo.


Da un punto di vista geografico, la globalizzazione va immaginata come un cambiamento di scala nell’organizzazione
di molti fenomeni (ambientali, economici o geopolitici) che appaiono sempre meno come fatti locali, dato il
coinvolgimento sempre più ampio di una grande quantità di soggetti e di spazi geografici distanti tra loro. In tal senso,
la globalizzazione tende a ridurre l’importanza della distanza, ma occorre precisare che tutto questo non implichi
per nulla l’annullamento dello spazio geografico: la distanza fisica continua a rappresentare qualcosa di reale nella
nostra quotidianità; piuttosto che l’annullamento dello spazio, per globalizzazione si intende l’ampliamento,
l’intensificazione e l’accelerazione delle relazioni tra soggetti localizzati in differenti aree del mondo.
La globalizzazione può essere assunta come processo sociale:
- prende forma in maniera geograficamente squilibrata: l’integrazione economica può procedere a velocità differenti in
luoghi differenti, alcuni paesi sono più <<interconnessi>> ad altri, e differenti sono le risposte e gli esiti della
globalizzazione nelle diverse regioni del mondo;
- è un’esperienza sociale à Una costruzione di un immaginario globale.
- è un processo in costruzione à Il futuro della globalizzazione è aperto, fenomeni come il neoliberismo, la
liberalizzazione del commercio, la privatizzazione dei servizi pubblici, non sono affatto “naturali” o “inevitabili”, bensì
il risultato di scelte politiche ed economiche.

2. I molteplici aspetti della globalizzazione.


Globalizzazione come fenomeno multiforme: alcuni esempi di esperienze sociali e tematiche (extra-economiche)
sempre più globali sono:
- la globalizzazione del sapere scientifico-tecnologico: la competizione economica è sempre più dipendente dalle
invenzioni tecnologiche;
- la globalizzazione ambientale (global chance): effetto serra, buco dell’ozono, deforestazione, piogge acide…;
- la globalizzazione culturale: fenomeni di omologazione dovuti sia alla mondializzazione dei media (TV satellitari,
internet, film, musica...) e scomparsa dei modi di vita e produzione locali che porta alla perdita di tradizioni, lingue e
dialetti;
- la globalizzazione geopolitica: crescente ed immediata interdipendenza delle decisioni e degli avvenimenti politici
dei diversi paesi, crescente controllo di alcuni di essi sugli altri e capacità delle grandi potenze di intervenire
militarmente in qualunque momento in ogni parte del pianeta.

3. L’idea di un sistema-mondo e la <<vecchia>> divisione internazionale del lavoro.


È utile richiamare l’idea di divisione internazionale del lavoro, riguardante la distribuzione delle attività economiche e
produttive dello spazio mondiale, con cui:
- analizzare le modalità e le ragioni per le quali determinanti settori industriali o fasi del ciclo produttivo si concentrano
in determinate regioni geografiche;
- nel dopo guerra vi sono state analisi riguardanti le relazioni commerciali mondiali: l’export dei paesi più poveri
comprendeva soprattutto materie prime e semilavorati, mentre quello dei paesi più ricchi si riferiva a prodotti industriali
con elevato contenuto tecnologico.
Una simile divisione delle esportazioni era certamente legata a divari di natura industriale e alle differenti evoluzioni
dei vari paesi, spesso a causa del colonialismo, dei meccanismi di imposizione del capitalismo in paesi che ne erano
estranei e la corruzione dilagante in molti paesi che sono la dimostrazione di come la riproduzione di un sistema basato
sulla divisione internazionale del lavoro, non sia affatto destinato a produrre equità e sviluppo, bensì rinforzi di divari,
le differenze e le ineguaglianze tra paesi diversi.
Immanuel Wallerstain distingue appunto tre spazialità differenti assunte dal capitalismo a livello mondiale nel
sistema-mondo:
- il centro: caratterizzato dai paesi che assumono un ruolo dominante, vi sono intense relazioni funzionali che
consentono più efficacemente la circolazione e lo scambio di idee, servizi, informazioni e l’evoluzione della struttura
produttiva; sono le maggiori aree di mercato e di consumo per la produzione mondiale.
- la periferia: insieme estremamente vasto e differenziato di territori, si colloca in una posizione marginale e di
subordinazione economica rispetto al centro; relazioni economiche semplici, sporadiche e spesso limitate a funzioni
specifiche; la povertà diffusa, l’instabilità politica e l’arretratezza tecnologica sono caratterizzanti della posizione di
netta dipendenza e subordinazione nell’organizzazione del sistema mondiale e nella sua dinamica evolutiva;
- la semi-periferia: posizione intermedia che comprende aree di più recente industrializzazione o caratterizzate da
situazioni di transazione economica, vi è dipendenza tecnologica, finanziaria e decisionale nei confronti del centro e
presenta sistemi di relazioni meno complessi.

4. La <<nuova>> dimensione internazionale del lavoro.


Il mondo contemporaneo non è più descrivibile nei termini di un centro industrializzato contrapposto a una periferia
fornitrice di materie prime, la nuova divisione internazionale del lavoro è caratterizzata dalla frammentazione dei
processi produttivi a scala mondiale. Questo cambiamento nel ciclo del capitale nelle produzioni industrial ha potuto
prendere forma per tre ragioni differenti:
1) la disponibilità di un bacino di lavoratori industriali di livello globale, conseguente alla rivoluzione verde, ossia il
trasferimento delle tecnologie agricole dal Nord al Sud del mondo;
2) la possibilità di frammentare processi produttivi come conseguenza della divisione tecnica dei compiti sempre più
specifici del fordismo (catena di montaggio);
3) la presenza di una rete di trasporto e comunicazione efficiente.
L’affermazione dell’impresa multinazionale come attore principale dello scenario economico internazionale ha
ridisegnato questo quadro: la divisione del lavoro non è più collegata al potere e alle scelte di un governo nazionale, ma
spesso direttamente dalle imprese in conformità a scelte tecniche. In secondo luogo, le filiere produttive sono diventate
sempre più transnazionali, per cui diviene impossibile definire cosa produca ogni singolo paese, in quanto, ogni
prodotto è il risultato di fasi industriali localizzate in molti luoghi.

5. Flussi e reti: alcuni dati.


Le dinamiche della globalizzazione hanno mutato flussi e strutture dell’economia, a partire dalla specializzazione di
beni primari da parte dei paesi del Sud del mondo.
Analizzando i dati è evidente come i rapporti commerciali fra i tre principali poli mondiali – America Settentrionale,
Europa e Sud-Est asiatico, cosiddetta Triade – siano molto intensi.
Le esportazioni sono destinate in misura preminente all’Unione europea e agli Stati Uniti. Una quota inferiore di
importazione di manufatti è invece rinvenibile in Giappone, a fronte di un maggior peso dei carburanti, degli alimentari
e delle materie prime minerali.
Le importazioni provengono principalmente dall’Unione Europea e in misura assai uniforme dagli Stati Uniti.
Dal confronto fra la composizione delle importazioni e quella delle esportazioni emerge che da un lato c’è un
mercato di consumi sempre più globale, mentre il panorama cambia notevolmente, nel caso delle esportazioni, la
presenza di ruoli nettamente differenti: nell’America settentrionale, nell’Europa occidentale e in Asia, le esportazioni
di prodotti manifatturieri comprendono circa tre quarti del valore complessivo delle merci in uscita, l’America Latina si
trova in una posizione intermedia e l’Europa centrale e orientale, Africa e Medio Oriente, in bassa posizione per le
esportazioni manifatturiere, al contrario, in tutte e tre le aree vi è una netta prevalenza di esportazioni minerarie.
Considerando invece le esportazioni di servizi, queste son cresciute in valore dal 1980 ad oggi e a una velocità doppia
rispetto ai prodotti manifatturieri. Il commercio di servizi continua ad assumere un ruolo più marginale rispetto agli
scambi di merci in quanto la fornitura di un servizio si presuppone in prossimità fisica dei clienti.
La struttura del commercio mondiale si caratterizza inoltre per la quasi totale mancanza di relazioni fra i paesi del Sud
del mondo e all’interno delle regioni latinoamericane, africane e mediorientali.
L’analisi dei flussi commerciali conferma come l’area pacifica costituisca oggi il principale nodo economico mondiale:
i flussi tra Asia e America settentrionale rappresentano, infatti, i movimenti interregionali quantitativamente più
consistenti.
Un secondo flusso da considerare si riferisce ai cosiddetti investimenti diretti esteri, cioè i movimenti di denaro
(d’imprese multinazionali) destinati a filiali estere. Gli Stati Uniti rappresentano il principale investitore del mondo, in
grado di controllare quasi un quarto del totale mondiale dei flussi in uscita.
Lo squilibrio tra gli investimenti dei paesi ricchi e di quelli poveri si rivela meno radicale spostando l’attenzione sulle
destinazioni (ossia sugli investimenti in entrata) dove emerge una struttura complessa poiché gli investimenti sono
rivolti per circa un terzo ai paesi del Sud del mondo. Tutti i paesi del Nord del mondo assumono sostanzialmente sia il
ruolo di forti investitori che quello di destinatari di ingenti investimenti.
La globalizzazione ha creato confini meno netti tra paesi ricchi e paesi poveri, in quanto, nei paesi ricchi possiamo
trovare piccole realtà nelle quali vi è estrema povertà e arretratezza e nei paesi poveri possiamo trovare luoghi
estremamente polarizzati nei quali sono situate pochissime persone che sono ricchissime.

- ALCUNI DATI -
INVESTIMENTI DIRETTI IN USCITA, 2008 (ESPORTAZIONI):
1 – Stati Uniti. 2 – Francia. 3 – Germania. 4 – Giappone. 5 – Regno Unito. 6 – Svizzera. 7 – Canada. 8 – Spagna. 9 – Belgio. 10 – Hong Kong.
INVESTIMENTI DIRETTI IN ENTRATA, 2008 (IMPORTAZIONI):
1 – Stati Uniti. 2 – Cina. 3 – Regno Unito. 4 – Russia. 5 – Hong Kong. 6 – Belgio. 7 – Australia. 8 – Brasile. 9 – Canada. 10 – Svezia.

PIL Pro-Capite nel mondo à Stati vincenti: Stati Uniti, Norvegia, Giappone, Australia, Arabia Saudita, Europa occidentale, Russia.
PIL Pro-Capite a parità di potere d’acquisto à Stati vincenti: America del nord, Europa occidentale, Giappone, Corea del Sud, Taiwan.

6. Attori e poteri del sistema mondo.


Il funzionamento della globalizzazione è stato permesso dalla costruzione di adeguati apparati di norme, regole e poteri,
trattasi di un quadro complesso composto da diverse relazioni internazionali.
Nel 1944, le principali potenze del globo si incontrarono alla Conferenza di Bretton Woods, ponendo così le basi per
l’istituzione di tre importantissimi organismi internazionali:
- il Fondo Monetario Internazionale (FMI) è stato creato per regolare i fenomeni di natura monetaria, ma col tempo il
suo ruolo è stato legato soprattutto al finanziamento del debito pubblico dei paesi del Sud del mondo e alla
formulazione dei cosiddetti piani di aggiustamento strutturale (linee guida di intervento per lo sviluppo economico a
cui tutti i paesi devono sottostare per aver accesso ai finanziamenti del FMI e della Banca Mondiale);
- la Banca Mondiale nacque con l’obiettivo di risanare le economie degli Stati coinvolti nella guerra, ma dagli anni ’60
in poi cominciò ad occuparsi prevalentemente di progetti di sviluppo tramite il finanziamento di grandi opere e
impegnandosi nella lotta alla povertà.
- l’Organizzazione Internazionale per il Commercio (ITO) fu creata con lo scopo di promuovere la liberalizzazione del
commercio internazionale attraverso la rimozione di politiche protezionistiche, il progetto fu però sostituito nel 1948
dal GATT e solamente nel 1995 dalla nascita dell’Organizzazione Mondiale per il Commercio (WTO) un organismo
sovranazionale preposto alla regolazione del commercio globale, basato sulla riduzione delle barriere al commercio
mondiale, e guidata dal principio di liberalizzazione degli scambi, proibendo restrizioni quantitative all’importazione,
l’introduzione di dazi e la discriminazione di determinati prodotti o paesi.
Lo spazio economico globale non è regolato o dominato solo da organismi internazionali, ma vede la presenza di
rilevanti posizioni di potere da parte di soggetti privati, dotati di un peso economico e politico senza precedenti, quali:
- grandi imprese multinazionali;
- agenzie di rating (condizionano la finanza mondiale, Moody’s e Standard and Poor’s).
CRITICHE sulle forme assunte dalla globalizzazione:
- Il persistere di situazioni di estrema povertà à cattivo funzionamento del sistema;
- I pericoli del liberismo, la riforma a cui sono stati sottoposti i paesi poveri hanno spinto verso la liberalizzazione del
commercio, l’apertura degli investimenti esteri e la privatizzazione dei servizi pubblici, seguendo il modello
statunitense detto Washington consensus;
- organismi formalmente democratici à viscosità dei processi decisionali delle grandi organizzazioni internazionali;
- l’erosione della cittadinanza e del diritto alla città;
- la mancanza di controllo sull’operato degli attori economici;
- il prevalere degli interessi economico-finanziari su questioni come l’ambiente, pace, diritti civili ecc.
La coscienza di vivere in un mondo globale, ha fatto emergere una forte geografia della responsabilità (espressione di
D. Massey): si tratta della presa di coscienza di come i meccanismi del lavoro e del consumo possono aver ripercussioni
sull’economia di luoghi e persone distanti.

La globalizzazione non riduce le distanze nella realtà:


- la crescita economica di un paese si misura per mezzo del PIL, cioè il totale prodotto di ricchezza dai 3 settori.
Ma lo sviluppo è qualcosa di più complesso che recupera la dimensione qualitativa del livello di vita di una persona
(livello di istruzione, condizioni sanitarie, abitative, accesso ai servizi, opportunità di lavoro, rispetto dei diritti).
Qualità non migliorata, quantità sì, ma la qualità è più importante della quantità. (sviluppo umano decrescente).
Positività della globalizzazione:
- aumento del PIL mondiale;
- aumento del reddito pro-capite mondiale;
- aumento della speranza di vita alla nascita a livello globale;
- aumento della disponibilità degli alimenti;
- aumento del tasso di alfabetizzazione.
Questi aumenti però non hanno portato alla diminuzione degli squilibri, anzi, gli squilibri sono aumentati.

Il diritto alla città à è il diritto di avere voce in capitolo su tutte quelle scelte che hanno concrete ripercussioni sulla quotidianità della propria vita,
come la scelta di aprire o chiudere una multinazionale nella città in cui si vive e lavora. In un regime democratico, un abitante dovrebbe poter avere
voce in capitolo su qualunque decisione o strategia politico-economica che modifichi l’ambiente in cui vive.

4. Popolazione, lavoro, migrazioni, società, culture


Introduzione.
I diversi mondi: le tante classificazioni.
- Paesi ricchi e Paesi poveri à con una lettura legata al reddito pro-capite.
- Paesi sviluppati e sottosviluppati à in cui sviluppo e sottosviluppo si legano all’industrializzazione (oggi si parla di
Paesi in via di sviluppo);
- Primo, Secondo e Terzo mondo:

​a) primo à Paesi sviluppati ed economia capitalistica;


​b) secondo à Paesi con economia collettivista, scarso sviluppo del settore terziario (Area Sovietica);
​c) terzo à Paesi che dagli anni ’50 passavano dallo Stato di colonie a Paesi indipendenti.
… in seguito si è parlato di quarto mondo (nel quale sono inclusi i Paesi più marginalizzati del terzo mondo), mentre il
secondo mondo non esiste più.
- Nord e Sud del mondo à la definizione più utilizzata dagli organismi internazionali in quanto, non contiene un
giudizio di valore.
Il sistema mondo:
- Il mondo comprende oggi circa 200 Stati indipendenti;
- Vi sono forti relazioni di tipo economico, commerciale e culturale che la globalizzazione ha manifestato: si può
pertanto parlare di <<sistema>>;
- Il mondo è articolato di sette diverse tipologie:
1) ) Paesi sviluppati: America del Nord, Europa Occidentale, Australia e Corea del Sud (economie di più vecchia
industrializzazione, terziario avanzato e più rilevante).
2) Nuove potenze emergenti [BRICS = Brasile, Russia, India, Cina, Sud-Africa] (mano d’opera numerosa e a basso
costo, quota parte di capitale umano ben formato).
3) Paesi di nuova industrializzazione: Messico, Argentina, Cile, Turchia, Sud-Est Asiatico (export di produzione in
stabilimenti di delocalizzazione delle multinazionali).
4) Paesi esportatori di petrolio: paesi del Golfo persico, Equador, penisola arabica, Libia, Algeria, Nigeria, Angola e
Venezuela.
5) Paesi in via di sviluppo a crescita lenta: Colombia, Marocco, Niger, Pakistan…
6) Paesi ex-socialisti: Polonia, Repubblica Ceca, Romania, …
7) Paesi meno sviluppati: Africa sub-sahariana, alcune parti dell’America Latina, Afghanistan, Haiti, Nepal,
Colombia…

1. la crescita della popolazione mondiale.


L’organizzazione economico-territoriale è strettamente connessa alla distribuzione della popolazione. Da essa dipende
la distribuzione spaziale dei bisogni, dei consumi e delle attività produttive.
La popolazione del pianeta ha raggiunto ad oggi circa i 7,2 miliardi di persone. L’umanità è arrivata molto tardi
all’attuale livello di popolamento: nel corso dei secoli, infatti, epidemie, carestie e guerre hanno spesso ridotto
drasticamente il numero degli abitanti della Terra. Tra il 1750 e il 1950 si è avuta una crescita lenta (prima del 1750, il
rapporto nascita/crescita era quasi sempre pari a 0). Si è poi avuta una fase dell’esplosione demografica iniziata dopo
gli anni ‘50. à Dal 1950 al 2000 la popolazione mondiale è cresciuta del 143% annuo. Negli ultimi anni il tasso di
crescita della popolazione mondiale ha cominciato a ridursi, tuttavia, l’incremento demografico continua ad essere di
quasi 80 milioni di individui all’anno e si prevede che tale cifra si manterrà pressoché invariata nei primi due decenni
del XXI secolo.
La crescita della popolazione mondiale non è uniforme su tutta la Terra, ma anzi è molto squilibrata tra paesi la cui
popolazione aumenta a ritmo elevato e altri in cui diminuisce. à Il mondo è nettamente diviso in due: da una parte vi
sono i paesi ricchi con crescita demografica debolissima (l’Europa detiene i valori più bassi), dall’altra si situano
invece i paesi del Sud del mondo che sono i principali protagonisti dell’aumento demografico.
- La transazione demografica: rappresenta la variazione dei tassi di natalità e di mortalità, nel tempo e nello spazio,
che da luogo a regimi demografici differenti.
Vi sono due tipi di regimi, uno antico e l’altro moderno, separati da uno stato di transazione.
Il regime antico è rappresentato da società preindustriali, da elevati tassi di natalità compensati da alti tassi di mortalità
e da società basate su unità produttive familiari.
Lo stadio di transazione si divide in due fasi, nella prima si riduce innanzitutto la mortalità, sotto l’effetto delle
migliori condizioni di vita e l’introduzione delle cure mediche, mentre la natalità rimane ancora alta. La seconda fase
presenta una riduzione del tasso di natalità come conseguenza della mutata situazione sociale.
Nel regime moderno invece, il tasso di natalità diminuisce ancora, fino ad eguagliare quello di mortalità: si raggiunge
a questo punto il livello di crescita zero, per passare poi, in alcuni periodi, anche a un saldo naturale negativo.
In questo momento in Europa, lo stadio di transazione è terminato quasi ovunque, passando ad uno stato di regime
moderno. Tutti gli altri paesi si trovano in fasi diverse dello stadio di transazione, la crescita maggiore si ha nei paesi in
cui la transazione è appena iniziata, nonché in quasi tutti i paesi dell’Africa, dell’Asia meridionale e la Bolivia; altri
paesi come la Cina, l’India e parte dell’Ameria Latina stanno uscendo dallo stadio di transazione per raggiungere
quello moderno.

2. La distribuzione della popolazione mondiale.


Esistono parti della Terra completamente disabitate (zone anecumene) le quali comprendono l’Antartide, il Canada
settentrionale, la Groenlandia, la Siberia, … la restante superficie delle terre emerse, stabilmente abitata è chiamata
ecumene e presenza di densità di popolazione fortemente variabili.
Il continente più densamente popolato è l’Asia (Cina e India determinano più del 40% della popolazione), seguito
dall’Europa. Ai valori più bassi si situano l’Oceania e l’America Meridionale. L’80% della popolazione mondiale vive
nel Sud del mondo.
Una distribuzione non omogenea:
- aree densamente abitate;
- aree scarsamente abitate;
- aree spopolate;
- tuttavia, oggi la popolazione è distribuita per il 50% in aree rurali e per il restante 50% in aree urbane.
2/3 della popolazione vive nelle fasce latitudinali centrali (tra il 20° e il 60°);
la popolazione si concentra in aree pianeggianti: la sua quantità diminuisce all’aumentare dell’altitudine à secondo
una stima, quasi l’80% della popolazione risiede al di sotto dei 500 metri à il 60% della popolazione vive entro i 100
km dalla costa.
Dove si concentra la popolazione?
Le 4 aree più abitate sono: l’Asia orientale (25%), l’Asia meridionale (21%), l’Europa (12%) e la parte nord-est degli
Usa e sud-est del Canada (2,5%)
Il valore relativo:
- Densità della popolazione (abitanti/Kmq);
- Densità fisiologica (abitanti/Kmq di superficie coltivabile);
- Densità agricola (abitanti rurali/Kmq di superficie coltivabile);
La composizione:
- la popolazione di un Paese (regione, città) varia per effetto di 4 condizioni: Pt = (P0 + Natività – Mortalità +
Immigrazione – Emigrazione);
- il tasso di crescita demografica è l’incremento percentuale annuo rispetto alla popolazione ed è comprensivo di:
- tasso di crescita naturale (differenza tra il tasso di natalità e il tasso di mortalità (N-M));
- tasso migratorio (differenza tra tasso di immigrazione e tasso di emigrazione (I-E)).
- tasso di fecondità (soglia di sostituzione > 2,1-2,5%);
- tasso di mortalità;
- tasso di mortalità infantile.

3. Le migrazioni.
La transazione demografica à Serve per vedere e studiare la relazione tra crescita demografica e sviluppo
economico. Per transazione demografica si intende il passaggio da una fase di equilibrio caratterizzata da alti tassi di
natalità e alti tassi di mortalità, con ridotto saldo naturale, a un’altra situazione di equilibrio caratterizzata, invece, da
bassi tassi di natalità e mortalità, con altrettanto ridotto tasso naturale.
La crescita demografica e la transazione à Tale transazione di realizza in 4 fasi:
- I fase à alto-stazionaria = tassi di natalità e mortalità molto alti (dovuti a carestie, guerre e malattie, tipiche di
società pre-industriali);
- II fase à Prima espansione = mantenimento di un elevato tasso di nascita e caduta del tasso di mortalità
(miglioramenti igienico-sanitari e nel campo della nutrizione, stabilità dei governi, tecnologia medica);
- III fase à Tarda espansione = consolidamento del tasso di mortalità a bassi livelli e riduzione del tasso di nascita
(affermazione della società urbano-industriale, donne lavoratrici, metodi di controllo delle nascite);
- IV fase à Basso-stazionaria = tasso di nascita e tasso di mortalità si consolidano a livelli bassi, la popolazione risulta
stazionaria.
La II e la III fase sono le fasi salienti della transazione.
Il fenomeno migratorio: benché questo fenomeno accompagni la storia dell’uomo, la ine del Novecento ha fatto
parlare di mondializzazione delle migrazioni.
Nel 2010 il numero di migranti nel mondo è stato stimato di circa 214 milioni di persone (più del 3% della popolazione
mondiale)
Gli spostamenti del popolo possono essere:
- esterni, rispetto al popolo di appartenenza;
- interni (dalle aree con ritardo di sviluppo verso le aree sviluppate, dalla campagna alla città, dalle citta più piccole ai
capoluoghi amministrati o dalla montagna alla natura…).
Le migrazioni internazionali si possono distingue in base:
- alla durata: temporanee o permanenti;
- alla composizione: singoli individui o interi nuclei famigliari; miste o prevalentemente maschili o femminili;
- all’età: con prevalenza delle classi centrali (15-45 anni);
- all’ambito territoriale: intercontinentale o intra-continentale;
- alle qualità lavorative dell’emigrante;
- alle modalità: migrazioni volontarie, individuali, pianificate o programmate; legali o clandestine.
I fattori dei movimenti migratori sono:
- la transazione demografica;
- la forte differenza reddituale e di qualità della vita;
- la mondializzazione dei trasporti e delle comunicazioni.
In forte crescita sono i rifugiati politici che hanno scelto di abbandonare il loro paese a causa delle guerre in corso o ne
sono stati espulsi per motivazioni politiche, e i profughi ambientali che decidono di emigrare a causa di fenomeni
ecologici insostenibili. Un tipo particolare di migrazione è rappresentata dai ricercatori che si trasferiscono dai loro
paesi in cui le loro competenze non vengono riconosciute e utilizzate, in altri dove vi sono più possibilità, questo
fenomeno è definito fuga dei cervelli.
Le principali aree di destinazione sono: l’Occidente, i paesi del Medioriente ricchi di petrolio e i NICS (new industrial
countries) verso i quali si dirige essenzialmente l’emigrazione asiatica.
Oltre alle motivazioni legate al mercato del lavoro, molti sono i fattori che influiscono nella scelta delle aree di
destinazione, ad esempio, le affinità di ordine culturale, linguisti e storico-politiche e la prossimità geografica.

4. La popolazione come forza produttiva.


La popolazione di un paese può essere considerata come risorsa economica di fondamentale importanza, e viene
indicata come capitale umano.
Si definisce popolazione attiva l’insieme delle persone in età lavorativa, che lavorano o cercano un lavoro.
Non tutta la popolazione attiva è realmente occupata: essa comprende anche quanti, pure essendo in età lavorativa, non
hanno lavoro (disoccupati).
Nei paesi del Nord del mondo la disoccupazione è strettamente legata alle politiche per il lavoro, una
deregolamentazione del lavoro ne determina una maggiore flessibilità e di conseguenza fa aumentare il numero delle
assunzioni.

5. Caratteristiche sociali della popolazione.


Due caratteristiche della popolazione che hanno notevole importanza, oltre che da un punto di vista sociale, anche da
quello della produttività di capitale sociale sono la sanità e l’istruzione.
Per quanto riguarda la sanità esistono ancora forti differenze tra paesi ricchi e paesi poveri, anche se dalla seconda metà
del XX secolo il divario si è notevolmente ridotto (più del 60% del Sud del mondo dispone oggi di assistenza sanitaria).
Un certo grado d’istruzione nella società moderna è richiesto a tutti per partecipare alla vita civile e politica, accedere
ai servizi e inserirsi nel mondo le lavoro. Quindi, in tutti gli stati esiste un livello d’istruzione base garantito dalla
scuola pubblica, tuttavia non sempre l’accesso a questo servizio è possibile all’intera popolazione, in molti paesi del
Sud, per mancanza di mezzi, le scuole sono poche e intere aree rurali ne sono prive, pertanto l’analfabetismo è tutt’altro
che scomparso al Sud, che ha picchi di tasso di analfabetismo anche dell’80%. Nei paesi più ricchi non supera il 2%
(Italia 1,4%).

6. L’indice di sviluppo umano.


Per misurare la qualità della vita mettendone a confronto il livello nei diversi paesi, è stato introdotto l’indice di
sviluppo umano ISU (o HDI), questo è un indice che viene annualmente calcolato da parte di una commissione

dell’ONU nel 1990. Ha valori che vanno da 1 (massimo) a 0 (minimo) ed è il risultato di tre dati:
- la speranza di vita alla nascita;
- l’alfabetizzazione degli adulti;
- il PIL pro-capite reale (cioè il PIL per ogni abitante corretto in base al potere d’acquisto locale).
Ciascuno dei tre dati è calcolato in funzione dello scarto tra il massimo e il minimo mondiale.
Nel 2013 il paese con il valore di ISU più alto è la Norvegia (0,955) e quello con il più basso è il Niger (0,304).
(Paesi con l’ISU più basso: Niger, Afghanistan, Sierra Leone, Repubblica Centro-Africana, Mali – Paesi con l’ISU più alto: Norvegia, Australia,
Islanda, Canada, Irlanda).

5. Gli spazi agricoli


1. L’attività agricola (L’agricoltura e la regionalizzazione agricola).
L’agricoltura comprende tutte le attività umane strettamente legate ai processi naturali:
- coltivazioni agricole
- allevamento
- economia forestale
- pesca.
La teoria geografica del determinismo ambientale presupponeva l’esistenza di una stretta relazione causa-effetto fra
ambiente naturale e fatti umani.
L’agricoltura è un’attività di primaria importanza in quanto produce gli alimenti indispensabili per la sopravvivenza
degli uomini; tuttavia la distribuzione delle coltivazioni nel mondo è molto irregolare: circa un terzo dei 13, 1 milioni
di ettari di terre emerse è oggi coltivato o utilizzabile per il pascolo, un altro terzo è occupato da foreste e boschi, ed il
restante terzo è improduttivo.
Le regioni temperate dell’emisfero settentrionale sono quelle dove la superficie coltivata è maggiore.
- grossi divari:
L’agricoltura è l’attività economica più diffusa sulla superficie terrestre, anche se occupa meno del 5% della
popolazione attiva dei paesi del Nord del mondo, è la principale attività e fonte di sostentamento per circa la metà della
popolazione del Sud. L’agricoltura è caratterizzata da forti divari a livello di ruolo rivestito all’interno delle diverse
economie: tra un’agricoltura di sussistenza e un’agricoltura di mercato.
Lo spazio coltivato pro-capite negli ultimi decenni si è ridotto, tuttavia è aumentata la produzione e la disponibilità di
alimenti appare sufficiente.

2. Le condizioni ecologico-ambientali.
Tra le attività umane, l’agricoltura, con l’allevamento, è la più legata ai fattori fisici dell’ambiente: in particolare al
clima e le acque, il rilievo e il suolo agrario. Questi fattori condizionano ovunque, ma sono più incisivi nel Sud del
mondo, dove vi sono meno possibilità di intervenire per carenza di capitali e tecnologie.
Il clima assume un’importanza determinante per l’agricoltura, in quanto i vegetali per svilupparsi e crescere hanno
bisogno di calore e di acqua; il periodo vegetativo richiede una temperatura media mensile di almeno 10° C. Per
quanto riguarda l’acqua, per poter praticare coltivazioni sono necessari almeno 250 mm di pioggia all’anno.
Ogni coltivazione agricola ha i propri limiti latitudinali oltre i quali non può essere praticata.
Il suolo è il substrato fertile su cui si coltiva, è formato da sostanze minerali (hanno origine dalle rocce) e organiche
(hanno origine dalla decomposizione di organismi viventi, animali e vegetali). Un suolo ricco di humus (formato da una
buona quantità di sostanze organiche) è il più adatto per le coltivazioni.
Il rilievo condiziona l’agricoltura per l’altitudine e per la pendenza. L’altitudine influisce sul clima, in quanto con
l’altitudine la temperatura diminuisce di circa 0.5° C ogni 100 metri, aumentano le precipitazioni e si intensifica il
vento. Per quanto riguarda le forme di rilievo, sono complessivamente favorevoli all’agricoltura le zone pianeggianti
o collinari o di bassa montagna con pendici molto ripide.
Diversi tipi di suolo, unitamente ai diversi climi, permettono di individuare diverse regioni agricole naturali:
1) Regioni equatorialià Clima caldo e umido, fitta vegetazione forestale, in parte utilizzata per il legname
2) Regioni della savana à Temperature elevate e stagionalità delle precipitazioni, attività agricola poco redditizia

3) Regioni desertiche à L’estrema aridità dei suoli consente a stento l’allevamento nomade (es. Sahara)

4) Regioni monsoniche à Temperature elevate e forti precipitazioni stagionali , fitta vegetazione naturale; l’alta
densità demografica ha fatto si che il manto vegetativo sia stato sostituito da un’agricoltura intensiva ad una in cui vi è
elevata produzione di riso (Asia Meridionale)
5) Regioni mediterraneo à inverni miti ed estati calde, precipitazioni limitate quasi solo alla stagione invernale, sono
presenti produzioni che non necessitano di molta acqua
6) Regioni temperate à comprendono le principali aree agricole del pianeta, rappresentano i paesi economicamente
più solidi e hanno clima temperato, agricoltura intensiva, predominio di allevamento, di ortaggi destinati a mercati
urbani e nelle aree più asciutte coltivazione di cereali
7) Regioni della taiga e del freddo à grandi boschi e foreste con poche coltivazioni, praticate anche in serre, che si
riconducono man mano che si sale di latitudine, verso i poli.
Nel Nord del mondo si è arrivati alla separazione fisica tra luogo di produzione e luogo di consumo e l’agricoltura in
molti casi è in grado di recepire innovazioni scientifiche e tecnologiche, nel Sud invece, le tecnologie e i macchinari
utilizzati si riducono notevolmente e il lavoro nei campi si svolge con l’utilizzo della trazione animale.
Vi sono due forme di organizzazione economica dell’agricoltura:
- agricoltura intensiva: rivolta ad ottenere la massima produttività del suolo (la più alta quantità di prodotto agricolo
ottenuto da ogni ettaro) tramite l’utilizzo intenso del terreno agricolo; nell’agricoltura moderna la necessità di
intensificare le colture richiede continui investimenti nella meccanizzazione (sviluppata specialmente in Europa,
Giappone e Israele: territori con poca superficie agraria rispetto alla quantità di popolazione); nell’agricoltura intensiva
è tradizionale invece, quando si ottengono grandi rese per ettaro attraverso il lavoro, avendo poco capitale a
disposizione e quindi poco sviluppo della meccanizzazione, spesso è policolturale ed è diffusa in regioni africane, in
Asia e nell’America meridionale.
- agricoltura estensiva: nella sua versione moderna tende ad ottenere il massimo della produzione per persona
impiegata (elevata produttività per addetto), in questo caso, le rese per terreno possono essere basse, è sviluppata nelle
grandi pianure di Canada, Stati Uniti e Australia; nell’agricoltura estensiva tradizionale invece, si fa scarso uso di
macchinari e gli investimenti sono minimi (forma meno redditizia dell’agricoltura), è presente nel latifondo delle
regioni mediterranee.

4. Superfici aziendali, proprietà della terra e riforme agrarie.


A partire dall’ultimo dopoguerra, si è assistito ad una trasformazione della distribuzione della proprietà terriera
attraverso le riforme agrarie, solitamente si è trattato di suddivisione delle terre dei latifondi o delle grandi proprietà in
piccoli appezzamenti gestiti direttamente da contadini. Essa ha solitamente obiettivi di ordine economico e sociale in
quanto tendente a migliorare le condizioni produttive e la redditività dei terreni e mira ad una politica di redistribuzione
della proprietà della terra per evitare conflitti sociali derivati da situazioni di forte divario tra ricchezza e povertà.

5. Il commercio dei prodotti agricoli.


Il consumo alimentare ha subito nel corso dell’ultimo secolo profondi cambiamenti, specie nei paesi più ricchi.
Lo si può riscontrare nei flussi commerciali mondiali caratterizzati da derrate agricole destinate ai paesi del Nord,
comprendenti sia prodotti tropicali, sia prodotti che provengono dai paesi a clima temperato con vaste superfici che
consentono l’allevamento e la coltivazioni cerealicola estensivi. I flussi verso il Sud invece, riguardano quasi
esclusivamente i cereali.
In generale, i cerali costituiscono la quota principale del commercio mondiale di prodotti agricoli.
I grandi flussi commerciali sono gestiti da un numero limitato d’imprese.
È in crescita il commercio Sud-Sud, oltre al commercio Nord-Nord già presente da tempo. Un altro elemento geo-
economico innovativo è quello a <<chilometri-zero>> cioè l’acquisto di alimenti di produzione locale; l’acquisto di
alimenti nel luogo di produzione riduce il trasporto degli stessi, dunque permette di risparmiare carburante e quindi
contribuisce a contenere il livello di emissioni che alterano il clima.

6. Le strutture territoriali dell’agricoltura contemporanea.


I modi di organizzare il territorio destinato all’attività agricola sono vari e differenti, vi sono:
- agricolture tradizionali dove le relazioni tradizionali sono nettamente dominanti (attività agricola dipende molto
dalle condizioni naturali) caratterizzate dal un’agricoltura di sussistenza.
- agricolture in cui l’organizzazione del territorio è molto segnata da relazioni orizzontali (si produce e si lavora con il
mercato globale o nazionale e vi sono investimenti all’esterno) e si basano su criteri di efficienza d’impresa e su
aumenti dei profitti.
L’efficacia delle strutture agricole non è assoluta, ma dipende dagli obiettivi che ha l’attività agricola nelle diverse parti
del mondo.

7. L’agricoltura di sussistenza.
Questa forma di agricoltura comprende i sistemi agricoli naturali che non prevedono scambi di prodotti. In senso lato
è riconducibile a limitati scambi con gruppi vicini che possono avvenire sia in moneta sia in natura. In tutti i casi,
l’attività agricola, è pur sempre destinata al consumo alimentare diretto ed è esercitata tramite tecniche tradizionali. In
essa sono predominanti il lavoro manuale, l’utilizzo di strumenti tradizionali e la prevalenza della policoltura, in una

stessa azienda, associando l’allevamento all’agricoltura.


Ci sono tre tipi di agricoltura di sussistenza:
1) Agricoltura di sussistenza intensiva à presente dove le colture predominano nettamente sull’allevamento e
il territorio è esiguo se rapportato all’elevata densità della popolazione. Finché la quota di produzione
consumata dalla famiglia resta importante (fino a un terzo del raccolto) si tratta comunque di agricoltura di
sussistenza.

2) Agricoltura di sussistenza itinerante à forma tipica di agricoltura tropicale umida, dove l’accetta è spesso
uno strumento privilegiato rispetto alla zappa, essa viene utilizzata per l’abbattimento della foresta, che, una
volta bruciata, lascerà spazio alle colture (foresta equatoriale e monsonica)
3) Agricoltura di sussistenza delle zone semi-aride à è praticata con strumenti rudimentali, ma vi è
l’aggravante della siccità, che permette raccolti modestissimi e una pratica agricola obbligatoriamente
estensiva tradizionale.

• La RIVOLUZIONE VERDE: consiste in un ampio complesso di misure tese a intensificare la produzione agricola
nei paesi del Sud del mondo. Dalla diffusione di nuove tecnologie all’uso dei concimi chimici, dai programmi di
irrigazione all’introduzione di nuove varietà di cereali ed elevata resa produttiva. I vari interventi della rivoluzione
verde hanno favorito un numero ristretto di grandi e medi agricoltori che si trovano nella condizione di adottare le
innovazioni tecniche e acquistare macchinari e fertilizzanti, mentre si sono intensificate la denutrizione e la
migrazione dai campi verso i centri urbani. I risultati più significativi si sono avuti nella pianura indo-gangetica,
dove l’introduzione del grano americano (“grano miracolo”), hanno permesso all’India di attenuare sensibilmente il
livello di sottoalimentazione. Altro settore di intervento della rivoluzione verde è stata la motorizzazione
dell’irrigazione.

8. L’agricoltura di piantagione nei paesi del Sud del mondo.


Questa forma di agricoltura è molto specializzata nella coltivazione d prodotti tipici delle regioni a clima tropicale
umido (America centrale e caraibica, Sud-Est e Brasile, Africa occidentale e Asia sud-orientale). Si tratta di
un’agricoltura interamente rivolta all’esportazione, che quindi predilige la localizzazione lungo le coste e le vie
navigabili interne. Produce un numero limitato di beni, per i quali si possono individuare grandi regioni altamente
specializzate monoculturali. (caffè, zucchero, cacao, caucciù, palma da olio…)
In essa viene impiegata molta manodopera a basso costo e non molti macchinari, per cui, nella maggior parte dei casi
è organizzata in modo intensivo e tradizionale.
Nelle campagne del Sud del mondo, grazie anche ai finanziamenti degli organismi internazionali, iniziò, dopo il 1960,
un’importante attività di investimento con la costruzione di porti e vie di comunicazione per l’introduzione di nuove
varietà e dei concimi chimici. Questo processo di trasformazione, detto “rivoluzione verde”, comportò in alcune
regioni, l’accorpamento dei piccoli apprezzamenti in grandi colture specializzate e l’introduzione di nuove tecniche e di
strumenti produttivi.
L’agricoltura di piantagione nei paesi del Sud ha avuto conseguenze sull’organizzazione economica e sociale dei
paesi interessati, quali:
- l’attivazione di migrazioni su vasta scala;
- l’agricoltura speculativa, responsabile di consistenti migrazioni interne dalle campagne alle città e di conseguenza
dell’esplosione demografica nelle aree urbane;
- essendo un sistema volto interamente all’esportazione, esso necessitava di strette relazioni con i mercati di
destinazione dei prodotti.

9. L’agricoltura capitalistica dei grandi spazi.


Questa forma di agricoltura è caratterizzata dalla grande distanza che separa i luoghi di produzione dai centri di
mercato e di consumo del prodotto. Si differenzia per la localizzazione in regioni a clima temperato, anche non
densamente abitate (Stati Uniti, Canada, Australia, Nuova Zelanda). Si distingue per il suo carattere estensivo e per la
scarsa quantità di manodopera impiegata, che però utilizza un gran numero di macchinari. Le origini di questa forma
di agricoltura risalgono all’arrivo dei coloni europei nei territori dell’oltreoceano. Dalle coltivazioni di queste regioni
agricole totali provengono enormi quantità di cereali e prodotti per l’allevamento. La disponibilità illimitata di spazio e
la presenza di imprese molto estese consente di adeguare l’offerta al variare della domanda e l’adattamento rapido a
nuove tecniche. La resa per ettaro è bassa rispetto alle aree di coltivazione intensiva, ma la vastità dell’azienda permette
all’agricoltura di ottenere una produzione ed un reddito elevati e di essere molto competitivo sul mercato mondiale.
• L’impresa agroindustriale
Rappresenta la specializzazione e razionalizzazione più elevata delle attività collegate alla coltivazione della terra e
all’allevamento e forma un sistema di produzione complesso, che collega l’agricoltura all’industria e al settore dei
servizi.
Il sistema agroindustriale prevede:
1) la stretta integrazione tra agricoltura, industria e commercio alimentare;
2) il dominio crescente dell’industria sull’agricoltura
3) la realizzazione delle diverse fasi produttive all’interno di un’unica grande impresa.

10. L’agricoltura commerciale contadina.


Questa forma di agricoltura è presente soprattutto nei paesi ricchi e densamente popolati della fascia climatica
temperata (Giappone, Europa). È un tipo di agricoltura intensiva che adotta sistemi moderni di coltivazione ma che
non ha vaste superfici aziendali ed è condotta di solito al livello familiare. Le rese per ettaro elevate derivano dalla
meccanicizzazione e dall’intenso utilizzo di sostanze chimiche. I prodotti sono quasi completamente destinati a mercati

urbani, regionali e nazionali relativamente vicini ai luoghi di produzione.


È caratterizzata dall’alto prezzo dei terreni, specie in prossimità dei centri urbani e nelle aree a coltura altamente
specializzata, e ciò si ripercuote in costi elevati del prodotto.
(Agricoltura periurbana à attività agricole svolte in vicinanza di grandi aree urbane)

6. La produzione mineraria ed energetica


1. Le materie prime minerarie.
Classificazione delle materie prime minerarie:
- minerali metallici à assumono un’elevata importanza in numerosi settori industriali, grazie alla loro elevata
resistenza al calore e all’azione di agenti chimici; tra questi il più diffuso è il ferro, a seguire: rame, stagno, zinco,
piombo, alluminio, oro, argento e tungsteno.
- minerali non metallici à sono estremamente diffusi nella crosta terrestre e trovano impiego in una pluralità di settori
economici, come nell’industria (asbesto, mica, zolfo, salgemma) e nell’agricoltura (nitrati, fosfati e potassio sono utili
fertilizzanti) e nell’edilizia (argille per laterizi, marmi e pietre ornamentali in genere)
- minerali energetici à comprendono essenzialmente carbone, gas, petrolio e uranio.
Complessivamente, la distribuzione dei minerali sulla crosta terrestre è altamente ineguale. La maggior parte delle
materie prime è disponibile in giacimenti, ossia accumuli di materiali utili.
Per i depositi in profondità si realizzando tunnel sotterranei, mentre per l’estrazione in superficie si utilizzano cave e
strutture a cielo aperto. I depositi assumono un determinato valore economico a seconda della quota di materiale utile
mediamente disponibile.
Differenza tra <<risorsa>> e <<riserva>>
Non tutti i minerali che formano la crosta terrestre sono economicamente e tecnologicamente sfruttabili: le risorse, si
riferiscono ai soli volumi il cui impiego in attività umane è possibile (anche dal punto di vista dei costi di estrazione).
Per riserva si intende invece, una tipologia ancora più ristretta, relativa ai soli elementi effettivamente disponibili per
i quali esistono le condizioni tecnologiche, economiche e politiche per il loro immediato sfruttamento.
La strategia dominante delle imprese minerarie riguardo al problema della limitatezza delle risorse terrestri, consiste
nella diffusione dell’attività estrattiva nello spazio geografico, particolarmente nella ricerca e nello sfruttamento delle
risorse localizzate in regioni precedentemente inesplorate e difficilmente raggiungibili.
La geografia degli spazi minerari rileva spesso una netta separazione tra i luoghi di estrazione delle materie prime e
luoghi di trasformazione e produzione industriale.
Circa il 40% dei giacimenti di materie prime è localizzato nei paesi ad economia avanzata (Stati Uniti, Canada, Europa
occidentale, Giappone, Sudafrica e Australia); il 25% si trova nel sottosuolo di Russia e Cina e la restante quota nel sud
del mondo.
Esistono nel mondo profondi squilibri nei livelli di consumo. Ad esempio gli Stati Uniti, con meno del 6% della
popolazione mondiale, consumano circa un quarto dei minerali; la Russia è invece esportatrice: la vendita di materie
prime costituisce la voce di export più importante.
La complessa realtà della geografia mineraria può essere sintetizzata in quattro grandi tipologie regionali:

1. L’Europa occidentale e il Giappone rappresentano due regioni geografiche altamente consumatrici, ma


scarsamente dotate di materie prime, le cui principali aree di approvvigionamento sono rispettivamente
l’Africa e l’area del Pacifico.
2. L’America settentrionale è un’area altamente consumatrice ed esportatrice di determinati materiali. L’America
Latina è il maggior fornitore della porzione settentrionale del continente.
3. La Russia e l’Est europeo costituivano un’area quasi chiusa, dove i reciproci intercambi erano poco rilevanti e
prevalevano sugli scambi con gli altri paesi. I recenti accordi di fornitura di prodotti minerari verso l’Europa
occidentale e il Giappone hanno mutato questa realtà e attualmente le loro esportazioni sono rappresentate per
circa due terzi da materie prime.

4. I paesi del Sud del mondo, tradizionalmente esportatori, devono essere suddivisi al loro interno, in quanto vi
sono determinati paesi che hanno il possesso di una determinata materia prima.

2. Il settore minerario.
Le principali condizioni che influenzano la geografia mineraria sono: la massa mineraria, il suo tenore in materiali
utili, la posizione geologica dei giacimenti (profondità) e la loro posizione geografica (localizzazione).
Il concetto di economicità dipende da molteplici fattori, quali: costi di trasporto, condizioni di mercati, fattori politici e
strategici.
Il ferro è il prodotto più trasportato via mare dopo il petrolio, le principali correnti di scambio si effettuano tra alcuni
grandi produttori (Brasile, Australia, India, Canada) e i centri industriali statunitensi, europei e cinesi.
L’aumento della domanda e la riduzione dei costi di trasporto hanno portato all’allargamento dell’area di estrazione e a
far accrescere la resa dei giacimenti minerari marginali più lontani dalle aree di consumo.
Una regione mineraria è un’area di esportazione di materiali utilizzati altrove, per cui la sua organizzazione territoriale
poggia su un efficiente sistema di trasporti e di infrastrutture specializzate per avviare i minerali estratti verso le aree
industriali.
L’attività mineraria produce inoltre specifiche trasformazioni negative del paesaggio ambientale sotto forma di impianti
e linee ferroviarie dismesse, aree disboscate e superfici ingombre di detriti, come nel caso delle regioni carbonifere e
delle grandi miniere di rame. Altri effetti negativi sono l’inquinamento dei corsi d’acqua e dell’aria, la distruzione
dell’ecosistema e gli effetti che le estrazioni possono produrre sull’assestamento del suolo rendendolo soggetto a
sprofondamenti e inadatto alle costruzioni.

3. Le risorse energetiche.

Le fonti energetiche si possono dividere in:


- rinnovabili à fonti non esauribili (come l’energia solare) o che tendono a rigenerarsi in tempi utili all’uomo. La
principale tipologia è costituita dall’energia idroelettrica; molta attenzione viene rivolta alle fonti alternative, le quali
sono forme di produzione energetica che hanno registrato negli ultimi anni un sensibile sviluppo popolare, ma spesso
non di utilizzo, come ad esempio l’energia ottenuta dal calore e dai movimenti naturali, queste fonti però assicurano
solamente lo 0, 7% del consumo mondiale di energia. Una quota superiore (9,8%) è invece rappresentata dalla biomassa
vegetale e animale.
- non rinnovabili à costituiscono uno stock che può solamente diminuire, perlomeno nella scala dei tempi umani; si
tratta del caso del petrolio, una fonte di energia caratterizzata da elevata flessibilità di utilizzo e facilità di trasporto
(34% del consumo mondiale di energia). Il primato del petrolio rispetto ad altre fonti fossili è legato ai limiti delle
soluzioni alternative: il gas naturale (21%) necessita per il trasporto di infrastrutture complesse, il carbone (26%)
richiede elevati costi di trasporto e di estrazione.
La rapida evoluzione dei consumi è stata resa possibile, fino al 1973, dal prezzo basso degli idrocarburi, ciò ha
concorso a determinare nel Nord del mondo un modello di sviluppo economico a consumo energetico estensivo,
caratterizzato da:
- espansione industriale basata su un elevato consumo energetico
- rapida diffusione di beni di consumo durevoli che richiedono energia
- sistemi di trasporti il cui mezzo privato si è sviluppato più rapidamente di quello pubblico e quello su strada più di
quello su rotaia.
- modello residenziale basato sulla casa unifamiliare e sulla diffusione sub-urbana delle residenze, che ha prodotto
crescite esponenziali dei consumi energetici.

4. Gli spazi dell’energia.


L’energia idroelettrica è caratteristica dei paesi ricchi di fonti idriche come la Norvegia, Svezia, Austria e il Québec e
l’Ontario canadesi.
Per la produzione dell’energia nucleare vengono utilizzati minerali di uranio e di torio i cui atomi hanno la
caratteristica di emettere energia in un processo naturale definito “decadimento radioattivo” che nei reattori nucleari
viene accelerato mediante un processo di fissione consistente nel bombardamento dei nuclei dei metalli radioattivi con
conseguente emissione di energia in notevoli quantità. La produzione viene divisa in due fasi: preparazione del
combustibile e utilizzo nelle centrali elettronucleari. Alla fine degli anni ’80 gli Stati Uniti fornivano il 70% dei reattori,
oggi invece, dei 440 reattori operativi nel mondo, solo 103 sono localizzati negli Stati Uniti, mentre il resto in Armenia,
Brasile, India e Pakistan e altri paesi del Sud.
L’impatto ambientale delle centrali nucleari comporta ovunque problemi di non facile soluzione. L’espulsione di acqua
a temperatura elevata produce alterazioni degli ecosistemi, ancora più gravi sono i problemi irrisolvibili dello
smaltimento delle scorie a rischio di fughe radioattive.
Nel caso del carbone, la possibilità di trasportare il materiale è più costosa e meno redditizia di quella del petrolio, e
ciò fa sì che questa fonte energetica presenti una localizzazione meno rigida di quella idroelettrica.
Tipologie spaziali di utilizzo regionale del carbone:
- la Cina rappresenta il principale produttore al mondo (47% di carbone mondiale)
- gli Stati Uniti costituiscono il secondo produttore mondiale (17%) e detengono circa l’80% delle riserve del mondo
occidentale
- Russia e paesi dell’ex Unione Sovietica producono il 7% del carbone mondiale
- nelle vecchie aree carbonifere dell’Europa occidentale, il parziale esaurimento dei depositi di superficie e l’alto costo
d’estrazione nei piccoli giacimenti limita l’impego di carbone
- In estremo Oriente, come in Giappone, si importa carbone in misura crescente
In geografia la produzione di idrocarburi costituisce l’elemento più importante e complesso dell’organizzazione degli
spazi energetici; le aree di estrazione degli idrocarburi si sono notevolmente diffuse sulla superficie del globo in seguito
al perfezionamento delle tecniche di prospezione e di perforazione che hanno consentito lo sfruttamento di giacimenti
sempre più profondi.
Il gas naturale presenta notevoli difficoltà di immagazzinamento ed è trasferibile soprattutto mediante tubazioni. La
rete mondiale di gasdotti si estende su centinaia di migliaia di chilometri. A causa dei rilevanti costi di trasporto, il gas
naturale è dunque spesso utilizzato in aree relativamente vicine ai luoghi di estrazione.
Diversa è la geografia per il petrolio, nonostante la crescita sensibile dei prezzi energetici durante gli anni ’70 e
nell’ultimo decennio, nel complesso il consumo mondiale di energia non è sostanzialmente diminuito, anche se i rapidi
aumenti di prezzo hanno sensibilmente influenzato le dinamiche di mercato.
Regioni geografiche del petrolio:
- il Medio Oriente fornisce quasi un terzo del petrolio commercializzato nel mondo e possiede i due terzi delle riserve.
Nell’area ci sono sei giacimenti giganti (uno in Kuwait, due in Arabia Saudita, uno in Iran e due in Iraq).
- i paesi costieri del Mediterraneo costituiscono un importante area di importazione e trasformazione del greggio di
provenienza mediorientale. La capacità di raffinazione dei paesi rivieraschi (Italia) è nettamente superiore rispetto alle
esigenze dei mercati nazionali e alimenta i flussi di esportazione del prodotto raffinato verso le aree industriali
dell’Europa centrale.
- gli Stati Uniti, con il 4% delle riserve, denunciano una costante riduzione del loro ruolo di produttori. L’attività è
concentrata un quattro grandi sistemi petroliferi.
- la Russia nel 2008 era il secondo produttore mondiale, avviandosi però all’esaurimento dei bacini europei e centro-
asiatici, si è scelto di spostare la penetrazione progressivamente verso Oriente.
- In Europa occidentale, l’estrazione petrolifera è rilevante soltanto nel Mare del Nord, i cui giacimenti sono sfruttati da
Gran Bretagna e Norvegia, rendendo così i due paesi esportatori.
- le restanti regioni del pianeta producono proporzionalmente alle proprie riserve.

5. Prezzi, mercati, manovre speculative.


Le dinamiche dell’economia mondiale sono profondamente collegate alle fluttuazioni del mercato mondiale dei prezzi
delle materie prime e delle risorse energetiche. Il crollo del prezzo di un materiale può determinare situazioni di crisi
per vaste regioni geografiche, specializzate in una data industria estrattiva, mentre un suo aumento può determinarne la
fortuna. I meccanismi che determinano i prezzi delle materie prime sono complessi e dipendono dalle quantità del
minerale o dell’idrocarburo, l’organizzazione dei mercati è relativamente rigida e stabile nel tempo. Si tratta di un
fenomeno connesso ai tempi relativamente lunghi che si interpongono fra ricerca mineraria, decisione di sottoporre a

sfruttamento un determinato deposito e momento in cui può realizzarsi la produzione su grande scala.
A un livello molto generale, osservando le fluttuazioni di prezzo di lungo periodo si rileva come negli anni precedenti
l’ultimo conflitto mondiale i prezzi sui mercati internazionali fossero relativamente elevati. Il dopoguerra ha invece
inaugurato una fase in cui i prezzi reali delle materie prime ed energetiche sono rimasti costantemente bassi, cosa che
portò ad un intensificazione dei flussi di minerali verso paesi industrializzati e a un utilizzo estensivo delle risorse
stesse.
L’OPEC (Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio), a partire dal 1973, riuscì ad imporre una politica di prezzi
alti del petrolio, che costrinsero i paesi importatori a ridurre i consumi e a sfruttare fonti di approvvigionamento ad alto
costo, sia petrolifere che di altra natura. La strategia delle imprese minerarie e petrolifere si è modificata, esse hanno
continuato a giocare un ruolo decisivo come prestatori di servizi, consulenza tecnica e macchinari ed hanno avviato una
sistematica strategia di differenziazione dei settori d’intervento, portando a una crescente inter-penetrazione dei settori
petrolifero e minerario.

7. Le filiere industriali
1. Le relazioni industriali.
Il termine industria si riferisce al settore secondario, cioè all’insieme di attività manifatturiere di trasformazione di

prodotti primari in beni destinati al consumo ad opera di determinati soggetti economici: le imprese.
In termini di manifattura si tratta di un settore economico che comprende tre fasi distinte:

1. L’approvvigionamento di una o di svariate materie prime o semilavorati, che vengono riuniti in un


determinato luogo dove si procede alla loro trasformazione. Le imprese appartenenti a certi settori industriali
necessitano di un numero limitato di materiali per produrre un bene finito, mentre altre imprese necessitano di
centinaia di semilavorati.
2. La produzione è la trasformazione delle materie prime e dei componenti nel prodotto finito. Più lunga e
complessa è la trasformazione, più ampia sarà la differenza tra valore iniziale del materiale e il valore del
prodotto finito, differenza che viene indicata come valore aggiunto e che include i costi sostenuti dall’impresa,
quali salari e stipendi erogati ai lavoratori, costi dei macchinari acquistati per realizzare la produzione, costi di
funzionamento, costi per servizi e il profitto trattenuto dall’imprenditore. Alcune produzioni ad alta intensità
di lavoro sono basate prevalentemente sull’impiego di mano d’opera, mentre in altri settori i macchinari sono
preponderanti e quindi si parlerà di elevata intensità di capitale.
3. La distribuzione del bene prodotto sul mercato può essere costituita da consumatori finali o da altre imprese,
come nel caso della produzione di semilavorati (“prodotti intermedi”).
In termini generali vi sono tre diversi rapporti tecnico-funzionali nelle relazioni fra imprese all’interno di un ciclo
produttivo:
a. Verticali: rappresentate da una serie di processi produttivi legati l’uno all’altro in successione contribuendo
alla graduale trasformazione della materia prima in prodotto finito.
b. Laterali: quando le imprese producono parallelamente e indipendentemente componenti o servizi destinati a
coinvolgere verso un’unica impresa finale di assemblaggio.

c. Di servizio: quando le imprese utilizzano un processo o servizio comune fornito in una determinata area, come
nel caso dei servizi di logistica.
La filiera è l’insieme di una complessa rete di relazioni che interessa varie imprese all’interno di uno o più settori
economici, ovvero una catena produttiva che genera valore.

2. L’attività industriale nello spazio geografico.


Non è mai sto possibile individuare una regola generale che possa spiegare il comportamento delle imprese nello spazio
geografico, da un lato perché si tratta di scelte estremamente complesse, che prendono in considerazione una
molteplicità di fattori economici e sociali, e dall’altro lato perché le dinamiche sono estremamente variabili nel tempo,

collegandosi alle evoluzioni tecnologiche e industriali.


La geografia economica dei primi addensamenti industriali (XVIII secolo) fu sostanzialmente determinata dalla
prossimità alle materie prime, alle fonti di energia, alla manifattura tessile e alla lavorazione di metalli. La
localizzazione di quei primi distretti industriali privilegiava la prossimità di giacimenti minerari (ferro) e altre fonti di
energia.
L’evoluzione dei processi industriali contribuì alla complessificazione di questa logica; la necessità di abbondante forza
lavoro spinse verso la localizzazione in aree densamente popolate, mentre l’esigenza di minimizzare i costi dei trasporti
imponeva di mediare la distanza rispetto ai consumatori finali e alle fonti di materie prime.
La concentrazione di industrie determina la profonda trasformazione dell’area interessata: vi si addensano numerose
infrastrutture, si vengono così a creare quelle condizioni che favoriscono l’instaurarsi di relazioni che l’impresa deve
necessariamente intessere con l’ambiente esterno (economie esterne) e che, riducendo i costi di funzionamento,
inducono l’ulteriore concentrazione di imprese e di nuovi investimenti in infrastrutture.
Si distinguono le economie (vantaggi) secondo la loro realizzazione all’interno o all’esterno dell’impresa.
All’interno dell’impresa, la riduzione dei costi di produzione può avvenire con l’aumento delle dimensioni degli
impianti e dei volumi di produzione, unitamente alla standardizzazione della produzione.
All’esterno, l’identificarsi delle relazioni tra più imprese localizzate in una stessa area produce vantaggi collettivi, o
economie di agglomerazione. I vantaggi possono essere:
- la prossimità fisica fra imprese facilita l’instaurarsi di relazioni di scambio fra aziende che intervengono nello stesso
ciclo produttivo;
- la possibilità di utilizzare congiuntamente un unico sistema di infrastrutture e di servizi;
- l’atmosfera industriale presente in una determinata area favorisce un fitto interscambio di personale ed informazioni;
- la reputazione acquisita dai prodotti provenienti da una determinata località stimola fra i consumatori per quel
particolare tipo di beni.
Una seconda tipologia di economie esterne si riferisce alle economie di urbanizzazione, fra cui rientrano vantaggi
economici legati all’operare in prossimità a un centro cittadino:
- accesso a un mercato del lavoro molto differenziato per età, sesso, qualifiche e specializzazioni;
- prossimità a un vasto mercato di sbocco per i prodotti;
- la vicinanza a infrastrutture e servizi collettivi di livello superiori;
- possibilità di relazionarsi a un’ampia gamma di servizi per la produzione e di attività collaterali che le imprese non
trovano vantaggioso realizzare al proprio interno.

• IL FORDISMO
L’organizzazione produttiva dominante del XX secolo è definita come ford-taylorista, e fa riferimento alle
modalità organizzative introdotte per la prima volta da Henry Ford nei suoi impianti automobilistici presso Detroit,
fondate sulla grande dimensione degli impianti, l’integrazione verticale del ciclo produttivo, elevati livelli di
occupazione e produzione di beni standardizzati. Con il termine taylorismo si intende invece l’organizzazione del
lavoro e dei cicli di produzione che consentiva a quell’impresa di espandersi e di diventare il soggetto dominante
dell’economia, principi introdotti da Frederick Taylor e che prevedevano la scomposizione in segmenti separati del
processo produttivo all’interno dell’impresa e la separazione assai netta delle mansioni fra gruppi di lavoratori.
Questo tipo di organizzazione fu reso possibile grazie a particolari condizioni tecnologiche e grazie ad un
particolare sistema di regolazione sociale che prevedeva l’intervento diretto e indiretto dello Stato nell’economia
allo scopo di predisporre i centri industriali di adeguare infrastrutture, il mantenimento di salari relativamente alti e
il sostegno di una domanda crescente di prodotti industriali standardizzati. Le grandi imprese iniziarono a
concentrare in misura crescente le proprie funzioni nei pressi delle grandi agglomerazioni e ad assumere posizioni
dominanti nel mercato.
Questo modello ha consentito lo sviluppo della grande impresa verticalmente integrata e la formazione delle
moderne città industriali, ma si rivelò nel tempo alquanto rigido, in quanto la produzione di massa era poco
differenziata, le modificazioni della catena produttiva lente e difficili, la gestione della grande impresa
verticalmente integrata difficile e inefficiente. Queste rigidità si trasformarono in fattori involutivi dopo la
comparsa di significative innovazioni nell’elettronica, nelle telecomunicazioni, nell’informatica che mutarono
completamente lo scenario industriale del fordismo.

3. La dispersione dell’industria nello spazio geografico: decentramento e processi diffusivi.


I processi di concentrazione delle strutture industriali non si riproducono all’infinito, ma la continua addizione di unità
produttive in uno spazio ristretto e la conseguente concentrazione di popolazione, servizi e infrastrutture, può tradursi in
una serie di costi che annullano i vantaggi iniziali (es. congestione del traffico, inquinamento e perdita dell’efficienza

dei servizi data da un’elevata concentrazione).


Questi processi vengono chiamati diseconomie, e si hanno quando viene superata una certa soglia di agglomerazione e
sono alla base dei processi di deglomerazione.
Questi processi possono assumere valori diversi:
1. Rilocalizzazione à (decremento territoriale) si ha quando le imprese, di fronte all’aumento dei costi nelle
tradizionali aree urbane, spostano la sede della propria attività produttiva nelle aree suburbane o in regioni più
lontane. Se avviene nelle aree periferiche dalle grandi agglomerazioni si parla di suburbanizzazione o di
decentramento territoriale a corto raggio. Può anche assumere una forma di rilocalizzazione a lungo raggio se
l’unità produttiva si sposta verso aree decisamente esterne all’agglomerazione originaria, in questo caso si usa
spesso anche il termine delocalizzazione in quanto le strutture produttive tendono a scomparire dagli spazi
originari.

2. Decremento produttivo à si ha quando le imprese non trovano più conveniente la grande dimensione degli
impianti, ciò può verificarsi con la crescita della sindacalizzazione della forza lavoro o con un rapido
progresso tecnologico che rende obsolete le strutture produttive dell’impresa. Il ciclo produttivo viene così
scomposto in segmenti, assegnati ad altre imprese di più modesta dimensione. Esso porta alla formazione di un
tessuto di imprese di piccola e media dimensione che forniscono uno maggiore flessibilità rispetto alla grande
impresa.

3. Formazione di sistemi industriali periferici à si sviluppano in parte come conseguenza dei processi di
decentramento, ma anche seguendo logiche proprie, dettate da condizioni della società, dell’economia e
dell’organizzazione territoriale periferica.
Il rapido sviluppo industriale delle regioni dell’Italia centrale e nord-orientale (c.d. Triangolo Industriale, Torino +
Genova + Milano) è uno degli esempi più significativi di crescita industriale relativamente autonoma: questa periferia
industriale si è caratterizzata per la crescita di distretti industriali formati da piccole e medie imprese che hanno saputo
rispondere a domande di mercato specifiche e segmentate. Le piccole imprese hanno potuto accrescere i propri livelli
produttivi a costi contenuti.

4. Le dimensioni delle imprese e le strutture reticolari.


La grande impresa, potendo acquisire consistenti vantaggi sui mercati è in grado di attuare strategie di sviluppo che

travalicano i confini di una ristretta area geografica.


La piccola impresa, possedendo modeste potenzialità tecnologiche e finanziarie, esprime una limitata capacità di
azione strategica nei confronti del mercato e di altri soggetti operanti nel sistema economico.
Nelle grandi imprese le decisioni non vengono assunte da un unico soggetto, bensì da un gruppo di individui preposti
all’attività esecutiva, mentre nelle piccole imprese, le decisioni sono solitamente assunte da un unico soggetto: il
proprietario-imprenditore.
Le imprese operanti nel mercato vengono distinte dimensionalmente in rapporto al numero di occupati:
- grandi imprese à più di 500 addetti
- medie imprese à tra i 50 e i 500 addetti

- piccole imprese à meno di 50 addetti


Osservando le grandi trasformazioni dell’economia mondiale dell’ultimo secolo, rileviamo che per lunghi decenni il
sistema industriale ha teso ad essere sempre più dominato dall’impresa di grandi dimensioni, la quale ha finito spesso
per assumere un’organizzazione nazione e multinazionale.
Le grande impresa assume tipicamente una struttura reticolare coordinando le attività di più stabilimenti industriali
distribuiti su scala regionale, nazionale o sovranazionale, realizzando una divisione funzionale del lavoro fra sede
centrale e sedi centrali delle singole divisioni e infine le unità operative cui è demandata l’attività produttiva vera e
propria; spesso a tale struttura si sovrappone una divisione spaziale del lavoro, nella quale funzioni diverse sono
demandate a regioni e paesi differenti:

1. Le funzioni di decisione, pianificazione, strategia, ricerca e sviluppo sono spesso concentrate in un numero
ristretto di grandi centri metropolitani.
2. Altre funzioni produttive che richiedono lavoro qualificato e presenza di infrastrutture specifiche saranno
localizzate in aree intermedie, dotate di una base industriale consolidata ma caratterizzate da cosi di esercizio
inferiori.
3. Le produzioni standardizzate e a basso contenuto tecnologico che necessitano solitamente di manodopera
abbondante ma di qualificazione inferiore che sono maggiormente sensibili a differenziali salariali.

5. Le imprese industriali multinazionali.


L’impresa multinazionale (punto di vista geografico) è un’organizzazione economica che ha il potere di coordinare e
controllare operazioni in più di un paese. La sua peculiarità è riconducibile a tre caratteristiche:
- il coordinamento e il controllo di varie fasi della catena di produzione localizzata in paesi differenti;
- la capacità di trarre vantaggio dalle differenze geografiche nella distribuzione dei fattori di produzione e nelle
politiche nazionali;
- la potenziale flessibilità e quindi capacità di mutare o intercambiare forniture e operazioni fra le varie località
geografiche a una scala internazionale o globale.
Il fenomeno multinazionale comincia a partire dagli anni Sessanta, in particolare con l’internazionalizzazione delle
imprese statunitensi: Ford, General Motors e General Elettric, le quali furono fra le prime ad investire nel mercato
europeo.
Gli accordi alla base del libero commercio e la deregolamentazione dei movimenti di capitale facilitarono molto la
penetrazione delle multinazionali statunitensi in Europa insieme anche alla maturazione di importanti innovazioni
tecnologiche.
Si deve considerare come la rivoluzione verde degli anni ’50 abbia liberato migliaia di persone da un punto di vista di
pure sussistenza trasferendo nell’agricoltura dei paesi del Sud del mondo il modello dei paesi del Nord, mediante la
selezione di sementi ad alta resa, l’uso di concimi chimici e di tecniche di irrigazione adatta.
Il trasferimento di capitali e di prodotti manifatturieri a lunga distanza pose le basi per la formazione di sistemi
d’impresa fortemente internazionalizzati legati particolarmente al decentramento di numerosi segmenti di produzione
caratterizzati dall’impiego di mano d’opera relativamente dequalificata.
Si è assistito alla formazione di una nuova accumulazione capitalistica, comprendente il Giappone, la Cina e le Tigri
asiatiche (Taiwan, Corea del Sud, Hong Kong e Singapore).
La fase di espansione compresa tra la fine della 2° guerra mondiale e la crisi petrolifera del 1973, fu caratterizzata
dall’eccezionale crescita della grande impresa.
Con gli anni ’80 però, la strategia di queste imprese ha subito una profonda mutazione in conseguenza delle rapide
trasformazioni tecnologiche e della crescente concorrenza internazionale. Si è andata così formando l’impresa
multinazionale globale, sempre più differenziata geograficamente e incentrata sulla ricerca di alleanze e di accordi di
cooperazione con altri soggetti di svariate parti del pianeta. Le filiali straniere non sono più dipendenti dalla sede
centrale, bensì, sono centri più o meno autonomi, diffusi a rete su tutti i continenti, spesso impegnati in un ventaglio di
produzioni ampio e diversificato.
Si tende ad aprire uno stabilimento all’estero per prendere un mercato straniero, per ottenere relazioni privilegiate con
altre imprese e per avere accesso a determinati bacini di competenze e di lavoratori qualificati.
Il panorama delle multinazionali comprende realtà di importanza economica molto differenti: da piccole imprese con
uno stabilimento o un punto vendita all’estero, a veri e propri colossi dell’economia, con volumi d’affari che superano il
valore del PIL di intere nazioni. Le multinazionali sono localizzate quasi esclusivamente nell’ambito dell’America
settentrionale, dell’Europa e del Giappone.

6. La globalizzazione dell’economia e l’articolazione dello spazio mondiale.


Una delle principali trasformazioni del sistema industriale nei tempi della globalizzazione si riferisce alla vastità e
dinamicità della maggior parte delle filiere economiche, questo fenomeno viene indicato come global commodity
chain: si tratta di complesse ramificazioni in cui una moltitudine di altre attività prendono parte al processo di
circolazione del capitale, quelle dei fornitori e sub-fornitori, le attività di logistica e distribuzione, i servizi finanziari
che permettono il funzionamento di tutto il sistema, ecc..
La struttura della catena globale della produzione è dinamica e mutevole nel tempo: le imprese tenteranno
costantemente processi di aggiornamento e di posizionamento nel mercato.
Le trasformazioni della geografia della filiera possono assumere caratteri socialmente drammatici, come nel caso della
chiusura di impianti industriali allo scopo di essere ricollocati.
Il coordinamento di una filiera produttiva così ramificata è spesso organizzato da imprese multinazionali di grande
dimensione che strutturano tutta la filiera e il processo industriale, soprattutto nel caso di beni complessi e caratterizzati
da elevate economie di scala e da alta intensità tecnologica, la sede centrale della multinazionale presenta così
un’elevata capacità di controllo sulle relazioni industriali, inclusi fornitori, sub-fornitori e distributori filiali.
Differentemente, in molti alti casi, il coordinamento è guidato da imprese che si limitano ad acquistare merci o marchi
che si limitano a fornire brand: si tratta di una forma organizzativa comune nel caos di prodotti di consumo a elevata
intensità di lavoro (indumenti, scarpe, ecc..), le merci provengono spesso da paesi dell’Asia orientale. La generazione
del profitto riguarda la combinazione di design, di vendita o di marketing.
Il sistema delle global commodity chain prende forma all’interno di differenti quadri istituzionali formali e informali.
A livello globale ad esempio vi sono i regolamenti dell’Organizzazione mondiale per il commercio o dell’Unione
Europea, mente all’interno di ogni paese tutto ciò è giostrato dal ruolo delle politiche locali.

• Perché investire in Cina?


Le ragioni alla base della rapidissima ascesa economica della Cina sono molte e complesse, si possono comunque
evidenziare alcuni elementi nella ricerca di spiegazioni:
- la Cina ha aperto le porte al proprio mercato esterno solamente da pochi anni;
- il basso costo di lavoro cinese si unisce a un basso costo delle materie prime e a una normativa in materia di
protezione dell’ambiente e tutela dei lavoratori particolarmente permissiva;
- spazi tecnologici di primo piano si localizzano all’interno delle principali aree metropolitane del paese, e
numerose imprese multinazionali localizzano qui attività di ricerca e sviluppo;
- con una popolazione di quasi 1,4 miliardi di abitanti, la Cina non costituisce solamente uno spazio in cui produrre
a prezzi economici, ma anche un fondamentale mercato da penetrare;
- la popolarità degli investimenti in Cina è altissima: l’accumulazione dei processi di ricollocazione industriale
determina la forte crescita di economie di agglomerazione e processi di imitazione nelle strategie di localizzazione
delle imprese.

8. I trasporti e le comunicazioni
Introduzione.
I trasporti e le telecomunicazioni sono strategici per tutti i campi dell’economia e fondamentali per l’organizzazione
del territorio. Essi hanno una localizzazione a rete su cui si inseriscono nodi più o meno importanti secondo la quantità
e la qualità dei flussi presenti.
I flussi di trasporto e di comunicazione hanno avuto negli ultimi decenni una forte intensificazione grazie alla
rivoluzione delle telecomunicazioni con le numerose innovazioni nel campo delle ICT (Information and
Communication Technologies) e con le attività di crescita dell’attività logistica che ha fatto crescere in modo
importante i nuovi nodi strategici.

1. Le arterie del territorio.


Nell’ultimo trentennio si è avuta una forte intensificazione delle relazioni spaziali su scala planetaria, coinvolgendo
aree del pianeta in precedenza più isolate, specie nelle regioni della Triade – Nord-America, Unione europea, Asia
orientale - che hanno moltiplicato gli spostamenti di merci, persone, capitali e informazioni. Il ruolo dei trasporti è
diventato quindi ancora più strategico, essendo, insieme alle telecomunicazioni, il mezzo per effettuare questi
collegamenti e il fattore fondante del processo di globalizzazione.
I miglioramenti tecnologici nei trasporti e nelle telecomunicazioni hanno ridotto l’attrito della distanza, avvicinando
molte aree del mondo, producendo il fenomeno che è definito come convergenza spazio temporale, da cui è derivato
un collegamento più rapido tra mercati e zone di produzione anche molto distanti tra loro. Non per tutte le parti del
mondo son stati riscontrati gli stessi miglioramenti: vi sono, infatti, varie ragioni per cui il Sud del mondo non ha
ridotto affatto la distanza ed anzi, ha formato un processo di marginalizzazione, andando a formare il cosiddetto quarto
mondo.
La distanza funzionale è misurabile considerando tempi di percorrenza e costi di percorrenza, le variabili che incidono
sui tempi e sui costi non sono solo tecniche o economiche, ma anche politiche, naturali.
Il trasporto è considerato quindi un elemento essenziale dell’organizzazione del territorio, in quanto forma le maglie
connettive del territorio stesso. La distribuzione delle strutture di trasporto sul territorio è una localizzazione a rete
sulla quale si inseriscono dei nodi; sulla rete circolano flussi di traffico di diversa intensità, che determinano
l’importanza del nodo.
Le linee di trasporto più importanti vengono definite assi di trasporto, a loro volta, gli assi di trasporto più frequenti e
importanti del mondo sono chiamati corridoi (o direttrici) di traffico. Le reti e i nodi possono assumere forme
(strutture spaziali) caratteristiche, suddivisibili in alcune tipologie principali:
a) Polarizzata: un centro ha l’accessibilità privilegiata e quindi rappresenta l’elemento dominante. Esempio: rete
dell’alta velocità ferroviaria francese, convergente su Parigi.
b) Gerarchica decentralizzata: la rete è modellata in modo che alcuni nodi abbiano significativi livelli di accessibilità.
Esempio: rete di trasporti autostradali tedeschi, dove sono numerosi i nodi ad elevata accessibilità: Monaco di
Baviera, Stoccarda, Francoforte, la regione di Ruhr, Amburgo, Berlino.
c) Distribuita interconnessa: nessun centro ha un livello di accessibilità significativamente diverso dagli altri. È un
modello quasi esclusivamente teorico. Esempio: si avvicina alla rete autostradale dei Paesi Bassi, dove tutte le città
principali del paese sono accessibili in modo egualmente elevato.

2. Le politiche dei trasporti.


Dall’inizio della rivoluzione industriale fino alla seconda meta dell’Ottocento, i trasporti furono gestiti per la massima
parte da compagnie private che operando in funzione di un immediato profitto d’impresa, costruivano le reti ove ciò
risultava conveniente, quindi la configurazione sul territorio delle reti di trasporto era assai densa nelle aree più
sviluppate, rada e incompleta in altre.
Nel Novecento si impose invece in Europa il concetto di trasporto come servizio collettivo di interesse pubblico e utilità
generale. L’intervento dello Stato si intensificò rapidamente attraverso la nazionalizzazione delle compagnie private,
particolarmente quelle ferroviarie e per la politica delle infrastrutture (la costruzione di vie di comunicazione in
determinate aree per incidere sullo sviluppo economico di una regione e per attenuare gli squilibri territoriali, es. Sud-
Italia, Brasile, Russia).
Dagli anni Novanta nei paesi del Nord del mondo la politica dei trasporti ha parzialmente cambiato rotta, cercando da
un lato di migliorare l’integrazione tra reti internazionali e reti locali (logica dell’U.E.) e dall’altro è in atto una
deregolamentazione che si manifesta in primo luogo in una minore presenza dello Stato sulla gestione operativa e
nella proprietà dei vettori nazionali, dei porti e degli aeroporti. Ciò ha dato il via all’emergere di imprese multinazionali
che disciplinano il flusso globale dei trasporti aerei, marittimi e terrestri del commercio e della gestione di aeroporti,
porti e reti ferroviarie.
Le infrastrutture di trasporto sono state anche oggetto di considerazioni geopolitiche, in quanto, in grado di fornire
l’accesso a risorse strategiche di mercati chiave (es. petrolio mediorientale).
Permangono dei gangli strategici il cui libero accesso è condizione essenziale per l’espletamento di una buona parte di
trasporti marittimi mondiali: si tratta dei canali interoceanici di Suez e Panama e degli altri stretti e passaggi.
Un’altra tendenza è quella della differenziazione selettiva, rappresentata nell’evoluzione della rete ferroviaria nei paesi
del Nord del mondo: accanto alla crescita dell’alta velocita, si sta assistendo a una riduzione della lunghezza della rete,
in molti casi infatti la rete ferroviaria viene sfoltita e selezionata perché ritenuta in certi tratti antieconomica.

3. Le innovazioni tecnico-organizzative e la scelta del mezzo di trasporto.


I vantaggi che offrono i diversi modi di trasporto possono riguardare la rapidità, l’economicità, la sicurezza, la
capillarità e la portata.
Da alcuni decenni i singoli modi oltre a competere tra loro, si completano a vicenda, dando vita a sistemi di trasporto
integrati, costruiti grazie soprattutto a due grandi innovazioni organizzative: l’intermodalità e la logistica.
L’intermodalità è stata possibile con l’utilizzo del container, questo modulo di carico di dimensioni standardizzate ha
permesso l’integrazione tra i mezzi di trasporto: è possibile trasferirlo su treno, nave, autocarro e aereo, con costi e
tempi di carico e scarico molto ridotti rispetto al passato. Esso ha interessato vari tipi di merci: materie prime,
semilavorati, prodotti finiti. Le navi porta-container sono state le grandi protagoniste insieme alle petroliere,
dell’incremento dei traffici marini.
Accanto all’intermodalità va ricordato anche il trasporto combinato, del quale, una delle forme più diffuse è il
cosiddetto roll-on/roll-off, che consente di trasferire direttamente un mezzo di trasporto, con o senza motore, su un altro
per poi scaricarlo a destinazione.
La diminuzione dei costi di trasporto e dei tempi di viaggio ha permesso una maggiore interazione tra luoghi distanti,
ma ha anche provocato una più ampia differenziazione economica tra le regioni, in quanto alcuni assi di trasporto
acquistano importanza, valorizzando certe aree, mentre altri diventano marginali, con relative conseguenze negative sul
territorio. La multimodalità privilegia in effetti un numero limitato di assi di trasporto, definiti corridoi plurimodali.

4. La logistica e l’organizzazione territoriale hub & spoke.


La logistica è la seconda grande innovazione organizzativa nel campo dei trasporti di merce e deriva
dall’organizzazione geografica dei flussi di merci e persone. L’importanza delle connessioni multimodali evidenzia
l’importanza dell’attività logistica. Dal punto di vista delle imprese è diventata un fattore strategico, sia perché
garantisce una riduzione dei costi di produzione, sia perché rende possibile il funzionamento dell’impresa-rete. Essa
risponde alla crescente domanda di produzioni just-in-time, nelle quali la riduzione delle scorte ha portato alla riduzione
di capitale investito in depositi ma alla necessità di un approvvigionamento sempre più elastico e tempestivo.
La logistica costituisce un fattore sempre più importante nella competitività ed efficienza di un sistema produttivo e di
un territorio, una discriminante risorsa distributiva del territorio stesso.
In Europa operano diversi network logistici di portata internazionale, in particolare nei paesi con grandi porti (Francia,
Paesi Bassi, Belgio e Germania) che puntano su un nuovo vantaggio competitivo e sull’installazione sul loro territorio
di grandi piattaforme logistiche per la distribuzione europea. Una delle regioni meglio organizzate è costituita dalle
Fiandre, regione resa particolarmente attraente dalla presenza dei porti di Anversa e Zeebrugge: qui si è localizzato il
primo Centro di Distribuzione Europeo, una piattaforma di nuova generazione che offre ai propri clienti servizi di
trasformazione, etichettatura, smistamento, prezzatura e controlli di qualità.
Per ciò che riguarda il traffico merci e persone per via aerea i maggiori aeroporti mondiali fungono da nodi centrali
chiamati hub per lo smistamento o il raccordo verso destinazioni più periferiche chiamate spoke. Questo sistema,
denominato hub & spoke, struttura in maniera gerarchica flussi aerei.
La rete dei trasporti veloci ha alcuni nodi centrali, le piattaforme di interconnessione (hub), si tratta di centri che grazie
alla contemporanea presenza di terminal aerei, stradali e ferroviari e alla possibilità di un rapido spostamento da un
mezzo all’altro fungono da nodo per tutta la rete mondiale dei trasporti.
Le nuove piattaforme logistiche e di interconnessione, se da un lato, in molti casi, migliorano le relazioni tra sistema
locale e ambito globale, dall’altro stanno accelerando i divari regionali, tra territori ben collegati e aree a elevata
distanza funzionale dai principali centri economici
• Dal sistema Point-to-Point a quello hub and spoke:
2
Nel sistema Point-to-Point la relazione tra tutti i punti necessita di n connessioni, mentre utilizzando un hub, i
punti si relazionano tutti con 2*n connessioni. I vantaggi legati al minor numero di collegamenti potrebbero essere
però in parte verificati dalla congestione dell’hub e dalla necessità di rispettare rigorosamente i tempi di
connessione.

5. I trasporti nel mondo.


Le principali direttrici sono quelle che intercorrono tra i paesi del Nord del mondo.
Il principale flusso di traffico si svolge tra l’Europa occidentale e l’America settentrionale. Il trasporto marittimo
unisce le due coste quasi per tutto il traffico di merci, che poi prosegue via terra tra costa Est e Ovest degli Stati Uniti e
tra Europa atlantica e mediterranea dove sono presenti importanti corridoi di traffico.
Ha assunto molta importanza la direttrice del traffico che collega l’America settentrionale ai paesi asiatici che si
affacciano sul Pacifico (Giappone e Cina in primo luogo), dove il trasporto marittimo si combina con quello terrestre.
La terza grande direttrice del traffico mondiale è quella che dall’Europa occidentale, attraverso il Medio Oriente e
l’Asia meridionale, arriva in Cina e Giappone, in essa prevalgono il trasporto marittimo e secondariamente quello
aereo.
Quarta direttrice è quella che dal Giappone e dalla Cina, attraverso la Russia e l’Europa orientale, arriva in Europa
occidentale. L’asse è coperto sia di rotte aeree sia di linee di traporto terrestri.
Nel mondo vi sono aree dove le reti di trasporto sono assenti e altre dove sono molto presenti.
Nel Sud del mondo i trasporti sono spesso più sviluppati nella aree costiere, che hanno avuto un effetto polarizzante per
lo sviluppo economico dl paese, in molti paesi del Sud, è evidente il dualismo esistente nella rete di trasporti tra alcune
aree costiere e il resto del territorio, come nel caso del Sud-Est del Brasile nei confronti degli altopiani interni e
dell’Amazzonia.
6. Le telecomunicazioni nell’economia globale.
Le società moderne sono caratterizzate dalla circolazione di informazioni, sotto forma di dati, notizie, suoni e
immagini. Dai flussi di informazione dipendono oggi le attività economiche, la cultura, la politica e la vita quotidiana
delle persone. Anche una parte consistente di capitali che circolano nel mondo si sposta attraverso le telecomunicazioni
e non più con il trasferimento materiale delle informazioni.
L’intero ciclo di funzionamento dell’impresa è legato a un sistema di comunicazioni, in questo senso, l’informazione si
aggiunge alle materie prime tradizionali quale fattore della produzione in tutti i tipi di società, specie in quella poli-
industriale.
Attualmente, intorno alle telecomunicazioni si sta formando una filiera produttiva che crea approssimativamente il
10% del PIL mondiale ed è formata da soggetti economici in passato ben distinti:
- i costruttori di reti o apparecchi per la telecomunicazione che spesso operano in settori d’avanguardia
- le imprese che gestiscono i media o le reti di telecomunicazione
- le imprese che offrono attività di servizio per l’utilizzo delle reti e delle telecomunicazioni
Questi soggetti oggi tendono a creare tra loro alleanze strategiche che rafforzano la capacità di penetrare un mercato
globale in forte espansione.
Nel settore delle telecomunicazioni avanzate la concorrenza è forte anche tra sistemi-paese, un esempio è dato dalle
comunicazioni e osservazioni tramite satellite.

7. Telecomunicazioni e territorio: il <<digital divide>>.


Il digital divide si riferisce alle diseguaglianze nella possibilità di accesso alle tecnologie dell’informazione e
comunicazione da parte di individui, famiglie e imprese situate in differenti aree geografiche del pianeta.
Il digital divide si osserva utilizzando tre principali indicatori che permettono di conoscere la diffusione delle
comunicazioni e la loro distribuzione geografica.
Il primo dato utilizzato per l’analisi del divario digitale riguarda i computer: il 60% dei PC del mondo è utilizzato da
poco più di un miliardo di persone (gli abitanti dei paesi ricchi), mentre i restanti 400 milioni di PC sono utilizzati da
oltre 5 miliardi di persone (gli abitanti del Sud).
Un secondo dato riguarda il rapporto tra il numero di abbonamenti telefonici e abitanti: in tutti i paesi ricchi vi è
più di un abbonamento per abitante, al contrario, in Africa vi è in media meno di un abbonamento ogni dieci abitanti.
L’Africa sta saltando il <<passaggio>> dello sviluppo della telefonia fissa per agganciarsi direttamente alle nuove
tecnologie della telecomunicazione mobile.
Il terzo indicatore mostra come nei paesi del Nord circa metà della popolazione utilizza internet, mentre nel continente
africano la media non supera l’1,5% e in America Latina la quota arriva al 10%. Gli utenti di Internet sono concentrati
in maggioranza nei paesi ricchi, con densità telematica più elevata nell’America anglosassone, nell’Europa scandinava
e in Australia e Nuova Zelanda. Tra i paesi del Sud del mondo la Cina è quello che sta facendo registrare il numero più
elevato di utenti Internet, in valore assoluto, simile a quello degli Stati Uniti.
Il digital divide rappresenta quindi un aspetto specifico del più ampio problema del trasferimento tecnologico, vale a
dire della diffusione nei confronti della popolazione e del territorio delle innovazioni tecnologiche; infatti più le
conoscenze e l’uso delle tecnologie di telecomunicazione è generalizzato, più lo sviluppo sarà equilibrato e duraturo.

9. Gli spazi del turismo


1. Un’attività globale, la continua crescita.
Definizione dell’Organizzazione Mondiale del Turismo (OMT) di turismo:
il turismo è praticato da chi si sposta dal luogo abituale di vita e di lavoro verso un’altra località per almeno una notte e
per non più di un anno, con lo scopo di arricchire le proprie conoscenze, di migliorare la propria salute o di divertirsi ed
evadere dai normali comportamenti della vita quotidiana.
Dal punto di vista geoeconomico, il turismo consiste in un flusso di persone e di capitali verso le località e le regioni
turistiche, dove vengono organizzati servizi e strutture tipiche degli spazi turistici. Questo flusso di persone e di
capitali si inserisce appieno nel processo di globalizzazione in corso.
Inoltre, si distingue il turismo anche secondo la scala, in particolare la scala nazionale da quella internazionale, in
quanto il movimento di turisti stranieri genera flussi di capitali, uso di mezzi di trasporti e tipi di servizi diversi da
quelli che sono propri del movimento turistico interno ad un paese. La scala nazionale ha una specifica variante nella
scala locale e regionale che comporta dinamiche specifiche.
Nella classificazione dei servizi, quelli turistici sono considerati, nei paesi del Nord del mondo, servizi di livello
mondo, in quanto utilizzati periodicamente da un gran numero di persone.
Le origini del turismo moderno risalgono al XVIII secolo europeo, quando tra la nobiltà dell’Europa centro-
occidentale, divenne molto ambito il viaggio in località relativamente esotiche e ricche di testimonianze artistiche. Ad
esempio, il viaggio in Italia, definito Grand Tour, era un fenomeno d’élite e aveva i caratteri di un lungo viaggio di
conoscenza e di piacere.
Dopo la seconda guerra mondiale, il turismo ha assunto così, nei paesi ricchi le attuali caratteristiche di fenomeno di
massa. Le località turistiche e i tipi di turismo si sono ulteriormente diversificati, interessando quasi tutti i tipi di
ambienti. Oggi circa un abitante su tre della Terra pratica il turismo (2,2 miliardi di persone), considerando invece solo
il turismo internazionale si parla di una persona su 8 (850 milioni).
Le aree interessate dal turismo sono in maggior parte nel Nord del mondo, sia per quel che riguarda le destinazioni sia
per quel che riguarda le aree di partenza. Il motivo principale è dato dalla differenza nel tenore di vita, ma in certa
misura incide anche la cultura dei vari popoli, che influisce sull’attitudine a trascorrere una parte del tempo libero in
una località diversa da quella in cui si abita.

2. Sviluppo economico e mobilità turistica.


Gran parte della mobilità turistica si genera e si svolge all’interno delle aree più ricche del mondo e dei loro immediati
dintorni. Il livello dello sviluppo economico e sociale agisce quindi sia sulla formazione della domanda che sulla
capacità di offerta turistica, escludendo il turismo di élite infatti, il movimento turistico di massa è presente solo al di là
di certe soglie di ricchezza.
Tra i fattori della domanda, hanno forte incidenza anche i fattori culturali, cioè un insieme eterogeneo di variabili
ambientali e socio-culturali che possono spiegare la crescita della domanda, al di là della parte spiegata dalle differenze
di reddito e della disponibilità di tempo libero e ferie retribuite.
Gran parte delle variabili deriva dall’urbanizzazione e dal modo di vita urbano, analogamente anche il fattore climatico.
Dal lato dell’offerta la soglia di sviluppo economico e sociale richiesta è più bassa, tale però da garantire nell’area un
insieme di condizioni infrastrutturali, di servizi e di sicurezza accettabili dalla gran massa della domanda proveniente da
aree più ricche.
Parzialmente differente è il caso di quelle aree di paesi del Sud del mondo in cui il turismo è quasi completamente
organizzato da imprese e soggetti provenienti dai luoghi in cui si forma la domanda, ma l’entità del fenomeno è
talmente limitata in termini assoluti da rappresentare solo un caso minore. Tra i paesi del Sud, molti sono quelli che
hanno sviluppato una certa imprenditorialità turistica locale e una minima rete di servizi, in modo da trovarsi in
posizione privilegiata rispetto alla domanda internazionale del turismo.

3. I flussi turistici mondiali.


Su scala internazionale il principale flusso di turisti è quello tra paesi ricchi (Europa occidentale e America
anglosassone). Il flusso verso paesi del Sud del mondo copre circa il 30% del movimento turistico internazionale,
proveniente principalmente al Nord del mondo, mentre i flussi in partenza dal Sud (indipendentemente dalla
destinazione) superano di poco il 10% del totale.
Osservando le singole parti del pianeta, quella privilegiata del turismo internazionale è da sempre l’Europa: in essa
affluiscono ben 460 milioni di turisti stranieri all’anno; l’area mediterranea è quella che presenta il massimo afflusso,
risultando anche il principale polo turistico mondiale, con quasi il 20% del totale dei turisti.
L’Asia e l’America seguono a distanza l’Europa come importanza. L’America riceve 135 milioni di turisti, specie negli
Stati Uniti, in Messico, in Canada e nei Caraibi.
La crescita più forte è stata quella dell’Asia orientale, specie grazie a Cina, Malaysia, Singapore e Thailandia. La
regione ospita ormai quasi 150 milioni di turisti stranieri all’anno (18% dei totali).
Più contenuto è stato l’incremento dell’Africa settentrionale (Egitto, Tunisia e Marocco) e meridionale (Sudafrica),
mentre in Asia occidentale, spiccano la Turchia e l’Arabia Saudita, soprattutto grazie al turismo religioso alla Mecca.
In generale, negli ultimi anni, la vicinanza geografica continua a rivelarsi un fattore centrale di sviluppo turistico anche
per le località del Nord del mondo, nonostante la crescita dell’utilizzo dei voli aerei, questo perché vi è stata una
moltiplicazione dei soggiorni di breve durata, da due a sette giorni.
Buona parte dei flussi turistici internazionali sono organizzati da agenzie specializzate che predispongono viaggio,
soggiorno e itinerario per gruppi di turisti. Alcune di esse, grazie al consistente giro d’affari e all’azione su scala
mondiale, sono grandi imprese multinazionali.

4. L’organizzazione delle regioni turistiche.


Nei paesi del Nord vi sono regioni turistiche specializzate, esse sono aree mono-produttive (basate su un’unica
attività economica prevalente). Ma il fatto di avere un’unica attività, seppur fiorente, è per queste aree sia un punto di
forza (quando l’attività turistica è in una fase di crescita), sia un punto di debolezza (se la concorrenza di altre aree fa
ridurre l’afflusso di turisti).
Rispetto al territorio di cui fa parte, l’area turistica può avere un’economia separata, quando vi sono pochi rapporti
economici con il resto della regione, oppure, collegata, quando si sviluppano intensi flussi economici di vario tipo, che
integrano le località turistiche dello spazio regionale e generano nuove attività.
In generale, il turismo è stato ed è il motore dello sviluppo per molte aree del mondo. L’esplosione del fenomeno
turistico negli ultimi decenni ha creato anche molti posti di lavoro; ma la crescita della singola regione turistica non è
lineare e infinita: il successo di una regione turistica porta alla sua maturazione, ma anche le regioni più famose e
frequentate rischiano la saturazione e poi il declino se non sono in grado di pianificare il proprio sviluppo.

5. La scelta della meta turistica.


Vi sono diversi fattori che determinano le scelte della meta turistica:

1) Accessibilità: occorre tener conto dell’accessibilità della località o dell’area turistica, come ad esempio la
posizione-distanza di un’area rispetto alle principali zone di provenienza della domanda di turismo, oltre alla
distanza fisica, contano la facilità di accesso in senso sia reale (mezzi di trasporto e collegamenti) sia
psicologica.
2) Presenza di attrattive: la maggior parte di turisti si orienta verso attrattive di carattere naturale,
prevalentemente l’insieme sole-mare-spiaggia seguito dai grandi parchi e dalla montagna attrezzata per gli sport
invernali. In secondo luogo sono ricercate le attrattive di tipo storico-artistico (monumenti, scavi archeologici,
musei); inoltre, hanno un certo peso le attrattive di tipo urbano e i grani eventi e in alcuni casi anche le strutture
ricettive (alberghi, campeggi e ristoranti).

3) L’immagine: l’immagine che una certa località si crea, soprattutto attraverso i canali di informazione; la
pubblicità turistica e i messaggi che il potenziale turista riceve sono numerosi e diversificati. L’immagine è
fondamentale per le cosiddette località status-symbol, cioè quelle la cui frequentazione è eleva la posizione
sociale turistica. Negli ultimi anni è cresciuta un’immagine turistica diversa dalle precedenti, quella di località
che preservano e valorizzano l’ambiente e i beni culturali, specie nell’Europa, che è ricca di patrimoni culturali
riconosciuti <<patrimoni mondiali dell’umanità>> dell’Unesco.
4) Costo della vita.
5) Situazione geopolitica.
6. Gli effetti negativi del turismo.
Il turismo è un importante elemento del processo di globalizzazione perché incrementa la mobilità delle persone
insieme alle migrazioni e agli spostamenti temporanei per motivi di lavoro, ed è un importante fattore di contatto fra
culture diverse. Questo contatto può essere molto positivo, quando diventa un confronto tra modi di vita e di pensiero
differenti, ma accanto a questi effetti positivi ve ne sono anche di problematici: a volte nel contatto culturale prevale,
da parte del turista, un atteggiamento di superiorità, o tal volta di arroganza, nei confronti delle popolazioni delle
località visitate e della loro cultura.
Un secondo problema dipende dal fatto che nel Sud del mondo buona parte del turismo internazionale è organizzato da
imprese multinazionali, che apportano modesti vantaggi all’economia locale; talvolta, però, il circuito organizzato
dalle compagnie straniere è completamente autosufficiente: il turista non ha quindi nessun contatto con la società
locale.
Esiste di fatto un doppio circuito di servizi turistici: quello dei turisti del Nord del mondo, costoso, variegato e
moderno e quello per la grande maggioranza della popolazione, povero e limitato.
Un ulteriore effetto negativo del turismo è rappresentato dall’impatto distruttivo che l’attività turistica può avere
sull’ambiente e sul paesaggio quando non ne vengono tutelati gli equilibri ecologici e i caratteri originari.
Un ultimo effetto negativo del turismo è l possibile scomparsa delle attività tradizionali, come l’agricoltura e
l’artigianato, che la popolazione locala abbandona per dedicarsi alla più redditizia attività turistica.

7. Turismo sostenibile e viaggiatori responsabili.


I danni ambientali provocati dal turismo hanno sempre sensibilizzato i cittadini e politici, prima in Europa e poi in altre
regioni, verso un turismo rispettoso dell’ambiente e della cultura locale, definito turismo sostenibile.
L’Unione europea ha predisposto la Carta del turismo sostenibile, alla quale stanno aderendo Comuni e Regioni
dell’U.E., essa è una dichiarazione di principi e linee guida per un turismo e un’organizzazione degli spazi turistici che
rispetti e preservi l’ambiente e le risorse culturali dei luoghi.
Le iniziative di turismo sostenibile o <<ecoturismo>> si stanno diffondendo anche su scala mondiale, promosse
dall’Organizzazione Mondiale del Turismo.
Accanto ad esempi positivi vi sono però anche dei casi di utilizzo speculativo dell’idea di turismo sostenibile.: il forte
potenziale turistico ha indotto gruppi privati, con l’appoggio del governo e utilizzando il “marchio ecoturistico”, a
costituire complessi turistici poco ecologici e decisamente scollegati dalle comunità locali.
Anche da un punto di vista del visitatore vi possono essere atteggiamenti assai diversi nei confronti delle regioni
visitate: il turista di massa visita il luoghi solitamente in un gruppo organizzato da agenzie specializzate, senza porti
particolari problemi di sostenibilità, mentre il viaggiatore responsabile, al contrario, cura la preparazione del viaggio
informandosi sulla località e sulle popolazioni che si vogliono visitare e cerca contatto con le popolazioni locali per
conoscere le persone e la loro cultura per un reciproco arricchimento umano e culturale.
10. Le città, centri dell’economia
Introduzione.
La geografia economica considera le città sia come luoghi di forma e dimensioni particolari, sia come società locali,
cioè come attori collettivi che hanno un ruolo importante nei processi di concezione, produzione e distribuzione del
valore. Questi due aspetti interagiscono tra loro: lo spazio fisico urbano si dimensiona e si struttura per adattarsi alle
esigenze dell’azione e questa sarà più o meno estesa ed efficace a seconda di come gli attori hanno saputo strutturare lo
spazio della città e le sue connessioni con il territorio.

1. Le città: spazi fisici e attori economici.


Per quanto riguarda forma e dimensione, la città ha subito negli ultimi due secoli una serie di trasformazioni che
l’hanno dilatata enormemente e ne hanno reso i confini sempre meno netti.
In Europa, con la rivoluzione industriale, la città è dilagata a macchia d’olio nella campagna circostante, trasformandosi
da città nucleare a città estesa. Questo processo ha portato le città ad essere delle vere e proprie regioni, cioè sistemi
territoriali articolati in una rete di centri vicini, legati tra loro da forti relazioni orizzontali. Quindi oggi per città
intendiamo un sistema territoriale urbano più o meno esteso attorno al comune centrale che le da il nome.
All’inizio di questo processo, attorno alle prime città industriali, si formarono degli agglomeramenti continui, che,
quando le città erano vicine, si sono poi fusi tra loro, dando luoghi a spazi urbanizzati ancora più grandi, detti
conurbazioni. Questi fenomeni hanno interessato fino verso la metà del secolo scorso tutti i paesi industrializzati e
tuttora continuano nei paesi del Sud del mondo. Si formano agglomerati enormi, detti mega-città, come Shanghai,
Mumbai, Città del Messico e San Paolo del Brasile, tutte intorno ai 20 milioni di abitanti.
Nei paesi ricchi, lo sviluppo dell’automobile ha fatto sì che una parte consistente della popolazione urbana si insediassi
in <<corone>> urbane del raggio di alcuni chilometri attorno ai vecchi centri; a questo fenomeno, detto
suburbanizzazione, ha fatto seguito, negli ultimi decenni, quello della periurbanizzazione, cioè il distribuirsi della
popolazione e di varie attività economiche e di servizio lungo le strade e attorno ai villaggi delle città minori, un una
regione urbana del raggio di alcune decine di chilometri attorno ai principali agglomerati. In Italia questo fenomeno
prende il nome di <<città diffusa>>.
Le aree metropolitane dette anche regioni funzionali urbane, sono connesse al loro interno da relazioni orizzontale
particolarmente intense: movimenti pendolari per il lavoro, studio e servizi, flussi di semilavorati, servizi e informazioni
tra imprese.
Le megalopoli sono quei territori altamente sviluppati dove è presente una fitta rete di aree metropolitane e di città
fortemente connesse tra loro, anche se separate fisicamente da vasti spazi rurali; in Italia si parla di megalopoli padana.
Le città come attori sono i luoghi dove si concentrano e si interconnettono i nodi di una gran quantità di reti: quelle dei
trasporti, dell’energia, delle telecomunicazioni, delle filiere produttive, dei commerci della finanza, dell’informazione,
della ricerca, della cultura e dei grandi servizi; le attività che permettono alle città di svolgere tutte queste azioni
prendono il nome di funzioni urbane.
Si parla di reti urbane, quando le città tendono ad essere in rete tra loro. Dal punto di vista geografico, le reti urbane
sono viste come grandi infrastrutture connettive che svolgono due azioni principali:
a) valorizzano le risorse locali di un territorio più o meno vasto;
b) unificano i circuiti regionali e nazionali e li collegano con quelli internazionali.
I risultati migliori si ottengono oggi nei paesi e nei territori dove esistono sistemi territoriali policentrici, dove le città
sono numerose, ben distribuite, connesse tra loro e con alcuni grandi centri metropolitani, cioè dove si hanno strutture
urbane che corrispondo al modello delle megalopoli intervallate da spazi rurali e riserve naturali.

2. Le funzioni delle citta: tipi e portata.


La città è un’infrastruttura complessa che nel suo insieme offre agli abitanti e alle imprese quelle particolari economie
esterne che prendono il nome di economie di urbanizzazione.
Le funzioni urbane possono essere classificate combinando due criteri: quello del tipo di attività e quello del raggio
d’azione territoriale. Per tipo di attività si possono distinguere alcune grandi classi, comprendenti ciascuna diverse
sottoclassi, a cui corrispondono nelle città istituzioni, impianti, spazi, infrastrutture ed edifici specifici. Le funzioni
urbane sono:
1 - funzioni culturali:

➢ istituzioni culturali in senso stretto (scuole, associazioni, biblioteche, musei, teatri, ecc..)
➢ istituzioni religiose e luoghi di culto
➢ istituzioni della ricerca (università, politecnici, R&S all’interno di imprese, poli tecnologici, ecc..)
➢ organi della comunicazione (editori, giornali, emittenti radio-televisive)
2 - funzioni direzionali:

➢ istituzioni pubbliche del governo politico e amministrativo


➢ partiti politici, sindacati, associazioni di categoria, ecc..
➢ apparati della difesa e della sicurezza
➢ direzioni delle imprese finanziarie, assicurative, produttive e servizi connessi
➢ servizi associati alle funzioni direzionali
3 – funzioni produttive:

➢ imprese industriali manifatturiere, energetiche ed edili


➢ imprese agricole periurbane
➢ servizi tecnici autonomi o incorporati nelle imprese produttive
4 – funzioni distributive:

➢ trasporti e logistica
➢ distribuzione dell’acqua, dell’energie elettriche, del gas, degli idrocarburi
➢ sportelli bancari, promotori finanziari, agenzie di assicurazioni
➢ poste, telefoni e telecomunicazioni, gestori e operatori informatici
➢ commercio internazionale
➢ commercio all’ingrosso e di produzione-distribuzione
➢ commercio al minuto (negozi, supermercati, ecc..)
➢ artigianato di servizio
➢ fiere, mostre e mercati
5 – servizi per la cura, il benessere e l’ambiente:

➢ medici, ospedali, ambulatori e servizi sanitari in genere


➢ organizzazioni mutualistiche e assistenziali, centri per l’impiego, ecc..
➢ associazioni e impianti sportivi, palestre
➢ centri di fitness, istituti di bellezza, parrucchieri
➢ servizi ricreativi e d’intrattenimento
➢ nettezza urbana, smaltimento dei rifiuti, gestione delle discariche, imprese di pulizia
➢ parchi e giardini
6 – funzioni ricettive e turistiche:
➢ alberghi e strutture para-alberghiere
➢ ristoranti e pubblici esercizi
➢ sale per concerti, manifestazioni e congressi
➢ aziende turistiche, gestori di servizi e di attrattive turistiche
Per quanto riguarda la portata delle funzioni urbane, ciascuna di esse può avere un raggio d’azione diverso, a seconda
di quanto si estende l’influenza della città sul territorio circostante e a seconda della specializzazione funzionale della
stessa.
Considerando il raggio d’azione, si può distinguere fra quattro ambiti di scala geografica diversa:
• Microregionale: è il raggio d’azione territoriale delle piccole città.
• Mesoregionale: corrisponde a una normale Regione italiana, ma può anche estendersi a più regioni.
• Macroregionale: corrisponde a uno Stato o a un grande insieme regionali di Stati.
• Globale: è l’ambito in cui si esercita l’azione delle città metropoli globali, cioè di quelle che oltre a servire degli
intorni territoriali, micro/meso/macro-territoriali, svolgono un insieme di funzioni che riguardano l’intero pianeta.
Ci sono inoltre citta specializzate in singole funzioni, le quali possono avere una porta ben più vasta del loro normale
ambito d’influenza. Tali sono ad esempio le “capitali mondiali” dell’automobile (Detroit, Torino, Stoccolma, ecc..),
dell’aeronautica (Seattle, Tolosa), della scienza (Oxford, Cambridge, Boston) o del cinema (Hollywood, Mumbai).

3. Le città come centri di servizi e di comando.


Per quanto riguarda le funzioni urbane di servizio, occorre distinguere tre grandi categorie:
- i servizi per le famiglie: dipendono dal reddito spendibile della popolazione e quindi la quantità e la qualità della loro
offerta si localizza nella città in funzione della dimensione e della ricchezza della popolazione presente nella città stessa
e negli ambiti territoriali da esse serviti. Più grande è la domanda che gravita sulla città, maggiore sarà il numero di
servizi offerti. In una piccola città si trovano solo i beni e servizi di uso più comune; in una città di livello regionale
compaiono anche servizi più rari, quali quotidiani, grandi librerie, grandi magazzini, gallerie d’arte, ecc..; nelle città
globali è presente invece tutta la gamma di offerta atta a soddisfare le esigenze più varie e qualificate della popolazione
mondiale.
- i servizi per la collettività: sono quelli gratuiti o che hanno prezzi di regola inferiori al loro costo, in quanto sono
rivolti a soddisfare interessi generali, non dipendenti solo da scelte o disponibilità individuali. Questo criterio varia da
paese a paese, ad esempio è applicato più estensivamente nel cosiddetto modello di welfare europeo e più
riduttivamente in quello statunitense. Si tratta principalmente di servizi scolastici, sanitari, culturali, sportivi,
ambientali, assistenziali, per l’occupazione, l’abitazione e trasporti pubblici.
- i servizi per le imprese: si distribuiscono nelle città in modo tendenzialmente gerarchico: quelli più comuni (trasporti,
pulizie, contabilità, ecc..) li troviamo anche nelle città più piccole, mentre quelli più rari (consulenza legale, finanziaria
e assicurativa internazionale, ricerca applicata, marketing, pubblicità, ecc..) sono tipicamente metropolitani. Essi non si
limitano a seguire la domanda, bensì sono una componente fondamentale delle economie esterne di agglomerazione e
di urbanizzazione, perciò là dove sono presenti, tendono ad attrarre e a produrre nuova domanda.
La funzione principale che caratterizza le città globali e le metropoli non è quella di fornire servizi, ma quella di
orientare e dirigere la vita materiale, culturale, sociale ed economica delle popolazioni, dalla scala nazionale a quella
mondiale; tale funzione di comando e di controllo si articola in una serie di attività che formando il settore
quaternario.
Il quaternario è un complesso di attività e direzionali al centro delle quali si trovano gli organi del potere politico,
economico e culturale, in stretta relazione con servizi di natura strategica.

4. La città creativa e l’industria culturale.


Il milieu creativo urbano è un ambiente stimolante che si ritrova soprattutto nelle grandi città e che, come quello
metropolitano in generale, non p tranquillo, né sempre confortevole. Esso è strutturalmente instabile: sede di forte
competizione, di rischi voluti e di possibili fallimenti.
Uno spazio urbano è creativo se strutturato, anche fisicamente, in modo che la mobilità interna ed esterna della
conoscenza, dei suoi portatori ed elaboratori sia facilitata; esso dispone di spazi e di sedi adeguate per le università, i
centri di ricerca, le imprese innovative e le istituzioni in genere che producono e diffondono cultura e tecnologia.

5. La crescita delle città: il moltiplicatore urbano.


Studiare la dinamica urbana, significa studiare come le città crescono ed evolvono nel tempo.
La principale causa dell’adattarsi delle popolazioni in determinati luoghi e del suo aumento è il concentrarsi dei certe
attività o funzioni e il loro crescere nel tempo.
Esiste un rapporto di causalità fra occupazione e popolazione. Per analizzarlo occorre distinguere le due componenti
dell’occupazione urbana:
- quella nelle attività di base o esportatrici che sono rivolte a soddisfare una domanda di beni e servizi esterna alla città;
- quella nelle attività locali o al servizio della città che producono beni e servizi per la domanda interna, cioè per chi
vive nella città.
Avremo dunque:
Ot(occupazione totale della città) = Ob(occupazione nelle attività di base) + Oc(occupazione nelle attività locali)
Dire che esiste un rapporto diretto fra attività e popolazione significa affermare che ogni nuovo posto di lavoro produrrà
un incremento di m abitanti, dove m comprende l’addetto al nuovo posto di lavoro più le persone non attive del suo
nucleo familiare, in particolare avremo:
Pt(popolazione urbana) = m*Ot à m = Pt/Ot
Questo coefficiente m è detto moltiplicatore della popolazione urbana. Esso deriva da un moltiplicatore n della
popolazione urbana, in quanto a sua volta l’occupazione totale della città cresce solo se cresce l’occupazione nelle
attività di base:
Ot = n*Ob à n = Ot/Ob
Infatti le attività locali crescono quando aumenta la domanda locale, e quest’ultima aumenta solo se la crescita delle
attività di base avrà fatto prima aumentare il numero delle famiglie e delle imprese insediate nella città (cioè i soggetti
che esprimono la domanda locale)
I valori di m e di n possono variare parecchio, in relazione soprattutto al tasso di attività della popolazione (rapporto tra
popolazione totale e occupata), ai tassi di disoccupazione o sottoccupazione locale.
Il moltiplicatore urbano funziona in negativo nei casi di crisi in cui si riduce l’occupazione nelle attività di base.

➢ Il modello di Martin (tappe della crescita urbana secondo F.Martin) indica come, pur mantenendosi costante,
l’occupazione totale, cioè la somma delle attività di base e delle attività locali, le prime mutano qualitativamente.
In particolare si succedono fasi storiche caratterizzate ciascuna da una certa attività di base o gruppo di più attività
interconnesse. Ciò è dovuto in particolari a mutamenti globali, in parte a mutamenti indotti dalla stessa crescita
dimensionale urbana. La grande dimensione urbana genera divisioni del lavoro fra imprese: se in origine l’attività
di base è l’industria tessile, nasceranno imprese che producono macchine tessili e altre macchine utensili, fino a
formare un nuovo settore meccanico che potrà rimpiazzare quello tessile.

• Le fasi della crisi: catastrofi, biforcazioni, autopoiesi.


La teoria delle catastrofi offre un’interpretazione deterministica del fenomeno della rottura della traiettoria
lineare di un sistema, basata sul fatto che la variazione continua di una variabile può determinare mutamenti
improvvisi nello stato del sistema. Ad esempio, una funzione urbana come l’università che richiede una certa
dimensione di fruitori locali, può comparire improvvisamente dopo che è stata superata una certa soglia di
popolazione residente, ciò modificherà la struttura funzionale e potrà indirizzare lo sviluppo della città verso nuove
direzioni stimolate ad esempio dal fatto che l’università può fornire ricerca e formazioni utili alle imprese locali.
Un’applicazione della teoria dell’auto-organizzazione è invece rappresentata dal modello di Soudy, secondo il
quale, al cresce della dimensione urbana, si superano via via certe soglie che garantiscono l’efficienza di certe
funzioni o tipi di attività, e quindi le condizioni della loro possibile comparsa o scomparsa. All’interno di ogni
intervallo di dimensione efficiente, certe attività, crescono secondo il meccanismo del moltiplicatore visto in
precedenza. Ma quando si supera la soglia di efficienza si ha una biforcazione: se la città saprà accogliere e
sviluppare al proprio interno qualche nuova attività motrice efficiente in relazione alla sua nuova dimensione, essa
entrerà in una nuova fase di sviluppo cumulativo, altrimenti essa entrerà i una fase di declino. La soluzione di
questo dilemma dipende anche dalla capacità dei soggetti urbani di organizzarsi in modo da mutare la struttura
funzionale del sistema, adottando innovazioni che utilizzino al meglio risorse e condizioni locali così da renderlo
nuovamente competitivo.
Nel modello dell’autopoiesi i sistemi sono pensati come funzionalmente aperti ma operativamente chiusi; ciò
significa che il modello non considera le trasformazioni interne del sistema come effetti diretti o indiretti di stimoli
o input esterni. Nei sistemi autopoietici (= che si strutturano d soli) l’input esterno funziona solo come stimolo che
induce perturbazioni nello stato del sistema. La trasformazione avviene invece attraverso un’interpretazione interna
dello stimolo e una risposta, anch’essa interna, in quanto coerente con i principi organizzativi e con le regole di
comportamento proprie del sistema; quindi, la risposta non dipende dallo stimolo, ma dal campo dei
comportamenti consentiti dall’organizzazione interna propria di ogni sistema.

6. Valore e uso del suolo urbano.


La rendita urbana consiste nell’appropriazione da parte del proprietario del suolo, di un valore monetario
corrispondente ai vantaggi (economie esterne di urbanizzazione) di cui godrà chi intende costruire, comprare o dare in
affitto un immobile. Tale rendita, espressa dal valore unitario del suolo, varia a seconda della posizione: ogni soggetto, a
seconda degli usi del suolo che si propone, ricaverà, dai diversi luoghi della città, utilità diverse in relazione a come tali
luoghi si collocano nello spazio urbano. Di regola i vantaggi di posizione dipendono dall’accessibilità, cioè dalla
facilità con cui da detto luogo si riesce ad accedere a tutti gli altri e viceversa.
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Se consideriamo le imprese, ognuna di esse sarà disposta a pagare un prezzo per m tanto più alto quanto più alti sono i
vantaggi che potrà ricavare da una posizione più centrale e accessibile. Chi sfrutta di più le posizioni centrali, potrà
permettersi di pagare prezzi più levati e se ne aggiudicherà il possesso, mentre gli altri si distribuiranno in posizioni
sempre meno centrali, commisurate ai vantaggi che ne possono ricavare e in particolare: - agli effetti che
l’accessibilità ha sui risultati economici dell’attività;
- alla quantità di spazio necessaria.
Queste relazioni compaiono, su coordinate cartesiane (modello del suolo urbano): in ordinata (y) la rendita (prezzo del
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suolo a m ) e in ascissa (x) la distanza dal centro (funzione inversa dall’accessibilità).
Per ogni tipo di attività avremo una funzione diversa rappresentata dalle diverse rette inclinate negativamente. Ciascuna
di esse ci dice come al ridursi dell’accessibilità varia l’utilità della posizione e perciò la rendita che si è disposti a
pagare. Le rette, più inclinate per le attività più centrali e meno per quelle con minori esigenze di accessibilità, si
intersecano in certi punti (A, B, C) che proiettati sul piano, delimitano le zone che la “meno invisibile” del mercato del
suolo destina alle diverse attività.
Per il suolo usato dalle famiglie come abitazione, il mercato non premierà più chi sa sfruttare meglio la centralità, ma
semplicemente chi è più ricco e ha più soldi da destinare all’abitazione. Il soggetto residenziale persegue però due
obiettivi: la vicinanza al centro e la dimensione dell’abitazione.
Il modello concentrico del valore e dell’uso del suolo esplica il funzionamento del suolo urbano nelle grandi linee di
mercato, ma rimane ben lontano dalla reale geografia dell’uso del suolo. Ad essa ci si può avvicinare cercando di
introdurre ipotesi aggiuntive più realistiche. Anzitutto, si abbandona l’idea dell’isotropia, considerando come
l’accessibilità aumenti maggiormente lungo le maggiori arterie che si irradiano dal centro: i cerchi si trasformano in
qualcosa di simile a stelle, con tante punte quante sono gli assi di grande comunicazione che convergono sul centro.
Lungo tali assi si formano settori radiali con determinate specializzazioni funzionali. Questo è il modello per settori,
che l’economista Hoyt riconobbe nei primi decenni del secolo scorso come il più appropriato a descrivere il valore e
l’uso del suolo nelle città americane e che poi si applicò anche alle agglomerazioni europee.
Oggi, potremo avere aree favorite da caratteri ambientali o aree con caratteri storico-architettonici di pregio, o al
contrario aree di degrado, di segregazione etnica o più soggette a inquinamento atmosferico.
L’area urbana può presentare una struttura policentrica dovuta alla sua progressiva espansione, prima suburbana e più
recentemente periurbana. Nella sua crescita suburbana, la città ingloba centri minori preesistenti già dotati di
infrastrutture e servizi. Ancora più esternamente, negli spazi periurbani, si formano numerosi sub-centri, specialmente
attorno ai grandi nodi infrastrutturali che possono ospitare grandi centri commerciali, parchi di divertimenti, piattaforme
logistiche, grandi servizi come ospedali, università o nuove città satelliti.
I geografi Harris e Ullman hanno proposto n modello che combina cerchi concentrici, settori radiali e nuclei periferici.
Rimane preminente il valore del centro principale: in esso tendono a concentrarsi le sedi di grandi imprese e i servizi
rari connessi, le sedi di giornali e reti televisive, banche, compagnie di assicurazione, grandi società immobiliari.

11. Le politiche dello sviluppo economico.


1. Gli obiettivi delle politiche di sviluppo: crescita, decrescita, sostenibilità.
Il concetto di sviluppo si riferisce al miglioramento e al progresso di una società, cioè al passaggio verso forme migliori
di vita comune, ma a questa idea generale, possono corrispondere visioni assai differenti tra loro.
Negli ultimi anni il dibattito teorico sulla natura del concetto di sviluppo è stato particolarmente intenso e si è aperto a
molteplici interpretazioni verso le tradizionali accezioni economiche e utilitaristiche. Molti autori hanno posto in
evidenza i limiti di un approccio esclusivamente economico: è difficile considerare sviluppo un processo di forte
crescita economica, ottenuta attraverso la distruzione dell’ambiente naturale o lo sfruttamento dei segmenti più deboli
della popolazione. Considerare lo sviluppo unicamente nei termini della crescita del prodotto interno lordo,
rappresenterebbe, secondo molti, una semplice abbreviazione, tipicamente occidentale.
La critica agli approcci puramente economici (utilitaristici) si è articolata in direzioni molto differenti. È possibile
individuare un ricco filone teorico legato alla crescita marxista, tesa ad analizzare i meccanismi di squilibrio
intrinsecamente legati al modo di regolazione della società di tipo capitalistico. Il concetto critico più celebre è quello
dello sviluppo sostenibile, che ricomprende tematiche ambientali, sociali ed economiche di diverso tipo.
Lo sviluppo non va inteso in termini unicamente quantitativi, bensì qualitativi, ovvero come processo di trasformazione
verso forme migliori di società. Quindi, possiamo intendere come politica per lo sviluppo del territorio, ogni azione
strumentale a un miglioramento qualitativo della società insediata in un determinato spazio geografico.
Molti autori utilizzano l’espressione sviluppo dal basso per dire che le strategie, la proprietà e le trasformazioni del
territorio dovrebbero essere definite dalla popolazione locale, dai soggetti radicati sul territorio e non dai poteri “alti”,
spesso esterni al territorio.

2. Politiche di scala globale: l’azione delle grandi organizzazioni internazionali.


Lo scenario globale di oggi è il frutto di trasformazioni policentriche e istituzionali che hanno perso forma al termine
della Seconda guerra mondale. Gli USA desiderosi di evadere dall’isolamento economico che aveva contraddistinto il
paese nel passato, promossero nel 1944 una celebre conferenza internazionale, nota con il nome di Bretton Woods, il
cui scopo era discutere la realizzazione di importanti organismi internazionali che permettessero di governare i
fenomeni economici a una scala mondiale, secondo la filosofia del libero commercio e del libero movimento di capitali.
La conferenza pose le basi per l’istituzione di tre organismi di fondamentale importanza:
- il Fondo monetario internazionale: fu originariamente istituito per regolare i fenomeni di natura monetaria
attraverso un sistema di cambi fissi noto appunto come sistema Bretton Woods. Con la soppressione del sistema nel
1971, il ruolo del Fondo è divenuto essenzialmente quello di concedere prestiti a lungo termine agli Stati membri in
caso di squilibrio della bilancia dei pagamenti. Per il suo funzionamento, il Fondo dispone di un capitale messo a
disposizione dai paesi membri. Nel prendere decisioni, il potere di voto di ogni paese è appunto ponderato a seconda
della quota di capitale versata.
- la Banca mondiale: nacque con il nome di Banca per la ricostruzione e lo sviluppo, con l’obiettivo di sanare le
economie dei paesi convolti nel secondo conflitto mondiale. Tuttavia, a partire dagli anni Sessanta, l’ambito di
intervento si è spostato dall’Europa verso i paesi del Sud del mondo, finanziando specifici progetti ritenuti utili per lo
sviluppo. I fondi della Banca mondiale, derivanti da capitali versati dai paesi membri e da emissioni obbligazionarie,
sono concessi in presti ai paesi del Sud del mondo per la realizzazione di opere significative.
La Banca mondiale è stata pesantemente criticata per gli scadenti risultati ottenuti sul fronte dello sviluppo economico e
per i danni sociali e ambientali provocati da alcuni progetti promossi nel Sud del mondo.
- l’Organizzazione mondiale per il commercio (OMC o WTO): la sua nascita è stata più recente. Difficoltà politiche
non permisero la nascita di un organismo internazionale per la regolazione del commercio a Bretton Woods: nacque
solo un accordo, noto come GATT, il cui obiettivo era l’eliminazione, tra i paesi membri, di ogni accordo commerciale
preferenziale che favorisse un paese a scapito di un altro. L’esigenza di ridefinire gli accordi commerciali portò,
nell’86, all’inizio di un lungo processo di negoziazione chiamato Uruguay Round. Il risultato fu la nascita, nel 1995,
dell’Organizzazione mondiale per il commercio, organismo sovranazionale preposto alla regolazione del commercio
globale e alla ratifica di tre accordi:
• GATT: accordo generale sulle tariffe doganali e il commercio. Si tratta della versione aggiornata del precedente
GATT 1947 e GATT 1994 per distinguere gli accordi precedenti e successivi all’istituzione della WTO;
• GATS: accordo generale sul commercio dei servizi;
• TRIPS: accordo relativo ad aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale.
Le differenze tra GATT e WTO non sono solamente formali: il secondo è un organismo riconosciuti da quasi tutti i
paesi del mondo, dotato di poteri nella risoluzione di controversie internazionali con la possibilità di infliggere sanzioni.
Tuttavia, anche nel caso delle attività della WTO le critiche sono numerose, come reso evidente per esempio dalle
proteste popolari di Seattle del 1999. Le ragioni dello scontro sono innumerevoli: dalle questioni ambientali ai diritti dei
lavoratori, dall’opposizione all’ideologia liberale in generale a posizioni inerenti la qualità dei prodotti.
Nel caso degli ultimi due organismi, il potere di voto nel prendere decisioni è proporzionale alla quota di capitale
versato, da qui deriva l’evidente supremazia di un ristretto numero di paesi del Nord del mondo. Nel caso invece
dell’Organizzazione mondiale per il commercio, se sul piano formali vele il principio di voto per paese, voci critiche
hanno evidenziato come decisioni più importanti siano spesso prese a tavoli “ristretti” e “segreti”, all’ombra di lobby
economiche, imprese multinazionali e gruppi d’interesse.

3. Le politiche di sviluppo regionale europee e la loro evoluzione.


A una scala geografica inferiore, è possibile cogliere le spinte verso la formazione di aggregati di paesi, spesso vicini tra
loro (macroregioni), che perseguono politiche comuni. Si tratta di un fenomeno noto nella letteratura come
regionalismo (= aggregati di paesi che perseguono politiche comuni).
I vantaggi dell’aggregazione macroregionale sono molteplici: è possibile aumentare il proprio potere sui mercati,
affrontare problematiche comuni e richiamare l’attenzione del mondo su determinati problemi.
Il caso mondiale di maggiore integrazione economica fra Stati nazionali è oggi costituito dall’Unione europea, che
coordina le politiche di circa mezzo miliardo di abitanti distribuiti in 27 paesi, con profondi effetti sul territorio.
Le politiche regionali rappresentano il principale strumento delle politiche per ridurre i divari economici che
contraddistinguono lo spazio europeo. Esse si pongono tre obiettivi:
• La convergenza: promuovere le condizioni di crescita economica delle regioni, in maniera da ridurre le vistose
differenze oggi esistenti.
• La competitività e occupazione: migliorare le performance economiche e l’attrattività delle regioni europee
attraverso programmi di sviluppo e di supporto dell’innovazione e del miglioramento tecnologico,
dell’imprenditorialità, della protezione dell’ambiente, dell’accessibilità, della formazione e dell’aggiornamento
delle risorse umane.
• La cooperazione territoriale: la collaborazione fra regioni, specie se poste in paesi differenti o ai margini
dell’Unione europea, attraverso la promozione di iniziative locali e regionali.

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