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sociologia del territorio

Ambiente e reti territoriali (Università degli Studi di Milano-Bicocca)

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SOCIOLOGIA DEL TERRITORIO, G. OSTI


CAPITOLO 1: AMBIENTI, TERRITORI, LUOGHI, LOCALES

1. LA VARIETA’ DELLE FORME SOCIALI

Vi sono tre chiavi di lettura riguardo alle attuali tendenze sociali rispetto allo spazio:

1. Il potenziamento delle autonomie locali si contrasta con le esigenze del libero commercio e di
integrazione su vasta scala, ciò produce delle regolazioni differenziate che frenano il movimento
delle merci e dei capitali. Il potere locale è visto come un modo per limitare i processi di
centralizzazione su scala globale.
2. L’individualismo fa da contraltare a quelle forme di appartenenza forte che si possono trovare in
alcuni gruppi etnico-religiosi. I gruppi che marcano una netta distinzione tra membri e non membri
producono appartenenze forti secondo lo schema amico/nemico.
3. L’esasperata ricerca dell’efficienza porta a un forte impatto ambientale di tutte le attività umane: ciò
si scontra con esigenze contrarie volte a moderare le richieste dei soggetti e delle organizzazioni. Un
altro fenomeno tipico della modernità, messo già in luce da Weber, è la progressiva
razionalizzazione intesa come serrata applicazione della razionalità strumentale, che incrementa la
produttività dei sistemi.

La dinamica complessiva dei tre assi, appena analizzati, come rafforzamento dei vincoli sociali (centripete)
od esasperazione delle tendenze centrifughe. Gli assi, i loro trade-off interni e i tentativi di mediazione,
hanno una declinazione in senso territoriale. (1) ruolo dell’Unione Europea con la sua forte azione per lo
sviluppo locale e le politiche antitrust. (2) affermazione delle ideologie universalistiche, come quella fondata
sui diritti umani. (3) campi energetici che cercano di conciliare il risparmio di energia con il suo uso più
efficiente. Nello stesso ordine troviamo: segnali importanti della tendenza al decentramento
amministrativo si notano in paesi occidentali emergenti. L’autonomia riguarda sia la presenza di potestà
legislative in capo agli enti locali, sia alla propria capacità impositiva (federalismo fiscale). Lo sviluppo locale
è un fenomeno a cui si presta molta attenzione, in quanto l’affermarsi della piccola impresa ha
accompagnato la riscoperta delle aree rurali grazie alla valorizzazione dei prodotti tipici e del turismo verde.
Sul fronte politico il fenomeno più rilevante è la partecipazione, che non può partire dal locale. Infatti sul
fronte opposto troviamo il fenomeno della globalizzazione economica, intesa come caduta di barriere alla
circolazione delle merci e dei capitali, ma anche come diffusione della grande azienda privata for profit
come modello applicabile. L’asse individualizzazione-corporativismo mostra un’insistenza sul tema
dell’anonimato nelle grandi città e allo stesso tempo vede nello sviluppo della mobilità l’occasione di
incontro per migliaia di persone nella metropoli. Sul terzo asse si formano fenomeni territoriali di notevole
rilievo, l’economia regionale ha ormai sancito l’importanza di forme di conoscenza locale nella produzione
dello sviluppo. Le economie locali hanno forti impatti territoriali che spesso riescono a esportare in località
disagiate, creando ingiustizie fra territori.

2. L’ANALISI ECOLOGICA

La relazione tra spazio e società ha origine dall’approccio ecologico. Ha avuto un’evoluzione laboriosa che
nasce con la Scuola di Chicago negli anni ’20 e approda ai tentativi di unificare la questione ambientale con
l’analisi della società. L’analisi ecologica indica un metodo per organizzare dati sulla distribuzione spaziale
dei fenomeni sociali, prende infatti a unità di analisi non i singoli individui ma aree delimitate da confini
amministrativi, geografici o culturali nelle quali risiedono esseri umani. La società viene equiparata a una
specie (o popolazione) che si adatta a un ambiente, sono in corso due processi: le pressioni esterne
dall’ambiente, dovute o a eventi naturali o all’arrivo di altre specie, e la specificità nell’organizzazione
interna, che si basa su potenti fattori di aggregazione che l’uomo condivide con gli animali. Nel caso degli

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esseri umani interviene anche la CULTURA, intesa come specifica modalità umana di elaborare strumenti di
adattamento all’ambiente. Si formano unità territoriali omogenee dal punto di vista culturale o normativo
(AREE NATURALI). Nella Scuola di Chicago si parla da un lato di subculture territorialmente definite e
dall’altro d competizione intraspecie e interspecie ossia la concorrenza per conquistare le risorse presenti
sul territorio. Vi sono al pari fenomeni di cooperazione, o commensalismo, parassitismo e mutualismo. Un
altro processo molto noto è l’invasione di una certa area da parte di una specie a scapito di un’altra oppure
la successione che rappresenta la sostituzione di una specie con un’altra.

Ogni specie tende ad ampliarsi nello spazio e nel tempo. L’ecologia umana riguarda lo studio delle relazioni
spaziali e temporali degli esseri umani in quanto influenzati dalle forze selettive, distributive e adattive che
agiscono sull’ambiente.

L’eredità dell’analisi ecologica si è sviluppata in tre filoni:

 Ecologia sociale;
 Ecologia delle popolazioni;
 Ecologia sistemica.

-Nell’ecologia sociale l’aggregato territoriale viene concepito come un organismo. Assume molta rilevanza
la distribuzione dei compiti. Ciò che più conta è la specializzazione funzionale e l’integrazione fra le parti.
L’organismo sarà tanto più adatto all’ambiente quanto più riuscirà a coordinare le sue parti con un efficiente
sistema di comunicazione. L’idea ripresa dalla Scuola di Chicago è che le aree abbiano una struttura
normativa o morale, quando questa è carente si parla di disorganizzazione. La concentrazione territoriale di
soggetti e attività umane genera qualità emergenti non riconducibili ai singoli individui; queste qualità sono
più o meno funzionali all’adattamento dell’ambiente in quanto decretano il successo o meno di quella
comunità territoriale nell’assemblare e gestire risorse vitali.

-Nell’ecologia delle popolazioni si focalizza sulle organizzazioni, intese come popolazioni o specie che
interagiscono in un ambiente dotato di determinate risorse. Si analizzano in particolare le entrate e le uscite
dall’ambiente, ossia quelle organizzazioni che sopravvivono e quelle che no. Vi è una grande importanza il
concetto di nicchia ecologica, come possibilità che si creino rapporti specifici ed esclusivi fra
un’organizzazione e determinate risorse dell’ambiente. La forte specializzazione è un modo per ridurre i
rischi di essere sopraffatti dalla competizione.

-L’ecologia sistemica ha una prospettiva olistica nel senso di guardare a catene ininterrotte di
interdipendenze e di considerare il mondo come n unico sistema relativamente chiuso, nel quale agisce in
particolare la seconda legge della termodinamica. L’azione dissipativa, o entropica, dell’uomo produce
un’alterazione dell’intero sistema mondiale.

3. L’ORGANIZZAZIONE TERRITORIALE

Il rapporto fra società e spazio è presa in considerazione anche come una relazione tra un sistema e il suo
ambiente. Il centro dell’attenzione è spostato sul sistema, il quale più che adattarsi alle condizioni
ambientali, agisce, attua quindi delle strategie confacenti al proprio fine il controllo della situazione. Si
introduce così il concetto di sistema territoriale, in cui prevalgono meccanismi di interazione con
l’ambiente. Si può concepire un sistema come un’entità in grado di mantenere con successo i propri confini
rispetto all’ambiente, esso agisce allo scopo di consolidare la propria identità, che essenzialmente è una
distinzione. Se un sistema è aperto riceverà molte sollecitazioni (feedback) che lo costringeranno a
ripristinare la situazione iniziale oppure a creare un nuovo equilibrio, nel primo caso abbiamo un feedback
negativo in quanto il sistema si irrigidisce o converge, invece nel secondo caso abbiamo un feedback
positivo in quando vi è flessibilità, divergenza o espansione. La differenziazione interna al sistema è anche
un accorgimento pe rispondere alla crescente complessità dell’ambiente.
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In termini spaziali le ricadute sono rilevanti: vari sistemi esercitano la propria azione sullo spazio
imprimendo su questo la propria identità, diventano così territorio, ambiente di numerosi sistemi impegnati
a segnare e mantenere i propri confini. Lo spazio si struttura così in base a numerose competenze che vari
sistemi esercitano su di esso. Il territorio diventa stratificazione dei sistemi che agiscono nello spazio in base
a specifici scopi.

I sistemi territoriali sono organizzati in termini strumentali. Per agire sul territorio anche un’organizzazione
fondata su fattori affettivi utilizzerà schemi mezzi-fini. L’esigenza di controllo dello spazio e di difesa dei
propri confini impone in genere un agire di tipo strumentale. L’organizzazione territoriale per eccellenza è lo
stato occidentale moderno, impostato secondo la nota autorità legale-razionale di Weber.

Una macrovariabile riguarda il tentativo delle organizzazioni di ridurre l’incertezza. L’incertezza richiama
l’idea che la razionalità degli attori sia limitata; essi non hanno tutti gli strumenti per esercitazione
pienamente la propria competenza spaziale. [Complessità crescente dell’ambiente -> incertezza -> reazioni
delle organizzazioni in termini di:

 Ulteriore differenziazione, specializzazione, creazione di nuovi sistemi


 Adozione di razionalità diverse da quella limitata
 Imitazione delle migliori pratiche: isomorfismo istituzionale

Stabilito che lo spazio è “suddiviso” in territori di competenza di sistemi organizzati secondo diverse logiche,
resta da specificare i confini. Stato->organizzazione territoriale per antonomasia.

Le organizzazioni hanno confini spaziali, variano nel tipo, nell’estensione e nello spessore. Lo stato si dota di
strumenti razionali per mantenere la funzionalità per i propri confini, prendono il nome di politiche, policies.
un carattere importante è il fatto che il mantenimento dei confini di ciascun sistema avviene attraverso
pacchetti di conoscenza applicata, che generalmente definiamo come tecnologia. I tratti analitici che la
contraddistinguono sono: un’esplicita e condivisa consapevolezza delle cose, la sua applicazione per
svolgere un certo compito, l’essere organizzata in maniera organica, essa stessa come un sistema nel
sistema, con regole, codici, tradizioni etc. Si tratta di sistemi socio-tecnici, ossia reticoli di elementi umani e
tecnologici operanti per ottenere un determinato fine produttivo.

La città è stata concepita da molti studiosi come un dispositivo tecnico particolarmente sofisticato per il
controllo del territorio. In essa si attua in maniera sistematica il coordinamento di presenza e assenza. La
capacità di coordinare assenza e presenza rappresenta poi una fonte di potere per taluni sistemi territoriali.
Ciò crea gerarchie. Le ragioni delle asimmetrie risiedono essenzialmente in due fattori: da un lato conta la
scarsità relativa della funzione che il sistema esercita sul territorio, dall’altro come tale sistema riesce a
imporre un monopolio spaziale in base a determinate regole. Molto noti sono il modello delle località
centrali di Christaller e la legge rangodimensionale di Zipf, in entrambi i modelli si prevede che le funzioni
commerciali si attribuiscano regolarmente sul territorio in base alla frequenza della domanda e al grado di
sofisticazione del bene/servizio che propongono. In base a questa regola si forma una precisa gerarchia
urbana.

Il monopolio territoriale deriva dall’abilità di un sistema di competenze nel farsi riconoscere come unico
settore legittimato a operare in una certa area. La posizione del monopolio può essere parziale: quindi
“quasi” monopolista e sono utili da utilizzare gli approcci istituzionali che mettono in evidenza come i
processi di legittimazione, la formazione delle regole e la loro applicazione sono fattori determinanti
nell’acquistare una posizione strategica.

Il capitale organizza lo spazio nel senso che mette a valore

a) Le risorse naturali, attraverso un sistematico sfruttamento di campi, miniere e bacini fluviali

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b) Le posizioni dei manufatti rispetto ai centri, attraverso la speculazione immobiliare e a rendita


fondiaria
c) Il costo territorialmente differenziato dei fattori di produzione, attraverso la delocalizzazione mirata
delle attività economiche

Si crea così, in termini marxiani, una divisione spaziale del lavoro che agevola lo spostamento dei capitali e
dei lavoratori nelle aree in cui questi possono essere sfruttati al massimo.

4. LA SIMBOLICA DEGLI SPAZI

Un terzo modo di guardare al rapporto fra spazio e società consiste nel concentrarsi sui meccanismi
percettivi e sulle modalità con cui gli esseri umani riconoscono il proprio ambiente. Si abbandona la
prospettiva oggettivista propria dei primi due approcci analizzati per approdare a una visione cognitiva
dello spazio. È una metafora della realtà, un modo per rappresentarla.

È importante capire come gli uomini hanno cominciato a definire le cose in un certo modo piuttosto che in
un altro. La definizione della situazione produce poi conseguenze reali, infatti secondo il teorema di Thomas
noto come profezia che si autoadempie. Le conseguenze per l’analisi dello spazio diventano sempre più
pesante, a causa anche dei vari termini da utilizzare.

Secondo Gasparini vi sono tre livelli in cui si sviluppa la simbologia spazialista:

1. Gli archetipi (idee innate e predominate dell’inconscio umano) riguardano il senso di appartenenza
alla società più vasta, si tratta di elementi comuni a tutti gli esseri umani. Riguardano anche aspetti
importanti della vita quotidiana;
2. L’organizzazione sociali (sono strumenti atti a mettere ordine nella mente, sono strumenti di
catalogazione, ricette cognitive) anche qui gli spazi assumono significati comuni, ma con un grado di
astrazione e importanza inferiore;

Le mappe cognitive (aiutano una comunità a rendere più riconoscibili per sé e per gli altri gli elementi più
importanti del territorio) chiamate anche ricette cognitive e sono rappresentazioni schematiche degli spazi
che ci aiutano a orientarci, memorizzazioni di rapporti tra spazi e forme che si utilizzano in modo reiterato.
Lo spazio dunque, diventa un percorso per andare da una località all’altra, esso viene organizzato in termini
gerarchici e di confini.

Queste organizzazioni spaziali rispondono a due requisiti tipi di della teoria cognitiva: la parsimonia e
l’ordine. La nostra mente, e quindi le nostre interazioni, hanno bisogno di comunicazioni rapide ed efficaci,
per le quali sono utili espressioni sintetiche che racchiudano una conoscenza pregressa data per acquisita.
Un’altra esigenza è quella di avere un ordine mentale. La mente umana richiede o cerca di ricostruire un
ordine logico che riconduca a unità, cerca coerenza fra le parti. Ognuno cerca in un modo o in un altro di
ridurre la cosiddetta dissonanza cognitiva.

Le operazioni mentali appena analizzate sono frutto dell’incrocio fra schemi appresi durante la
socializzazione e la diuturna esperienza di vita dei soggetti.

3. L’esperienza individuale, per sintetizzare questo rapporto dinamico si utilizza il concetto di pratica:
azioni che il soggetto usa in maniera semiautomatica nelle diverse circostanze della vita quotidiana,
denominati anche come ruoli.

Tutti sono accumunati dall’idea che vi sia un processo incessante di costruzione e decostruzione di simboli
spaziali che rimandano al bisogno di comunicare in maniera rapida. Una prospettiva di questo tipo permette
di introdurre la differenza tra spazio e luogo. Le regole per identificare un place (luogo) sono tre:

1. Una località geografica, ossia una localizzazione unica nell’universo


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2. Una forma materiale ossia una fisicità, una sua oggettività artificiale o naturale
3. L’assegnazione di significato e valore ossia identificazione e nomina

Questi tre aspetti analiticamente sono separati ma nella realtà sono intrecciati. L’assegnazione di valori
simbolici a particolari luoghi è una costruzione sociale e quindi un processo storico, e come tale, è
revisionabile sulla luce di nuove esigenze, gusti e tendenze, quindi il fenomeno può mutare.

La deterritorializzazione assume una luce particolare in quanto i simboli dei luoghi non scompaiono ma,
semplicemente, diventano meno importanti per la vita quotidiana delle persone oppure cambiamo livello
combinandosi in maniera diversa rispetto al passato. Infatti si parla di riterritorializzazione ossia la
simbolizzazione spinta di località che nel passato erano poco tematizzate ma che alla luce di dinamiche
nuove vengono scoperte come portatrici di importanti significati collettivi.

5. L’APPROCCIO RELAZIONALE

Weber “relazione sociale”: un comportamento di più individui instaurato reciprocamente secondo il suo
contenuto di senso e orientato in conformità. L’elemento base è l’orientamento, ossia un elemento
cognitivo che permette di cogliere la condizione altrui e di agire di conseguenza. Sono luoghi quello in cui vi
è una comprensione dell’altrui posizione e ci si orienta a interagire. Giddens parla di ambito locale
intendendo uno spazio dove avvengono relazioni significative ossia relazioni nelle quali gli attori in campo
condividono almeno il significato del contesto in cui interagiscono.

Lo spazio non è un mero contenitore o supporto della relazione ma fornisce una cornice di senso alla
relazione stessa. Allo stesso tempo la relazione lo ricrea e lo plasma secondo un processo circolare fra spazi
investiti di significati derivanti dalle interazioni e spazi che vengono organizzati per l’interazione. Per
comprendere l’interazione fra relazioni sociali e spazio conviene accedere a una versione più analitica di
“relazione spaziale”. I modi in cui l’approccio ecologico e quello organizzativo guarano alla questione ci
porta verso un’accezione di relazione come interdipendenza; mentre l’approccio cognitivo la qualifica come
mezzo per giungere alla mutua comprensione.

La relazione spazialista può essere divisa in due spezzoni:

- Forme di reti che riguarda gli effetti congiunti della massa di interazioni
- Reciprocità che punta alla qualità delle relazioni, quindi vi sono diversi tipi di interazioni

Nel polo verso le strutture formali si presta attenzione agli effetti complessivi della somma delle interazioni,
producono cliques, posizioni marginali, relazioni ponte tra quasi cliques. Il metodo di misura semplicemente
“conta” i contatti consiste nell’analisi della pura frequenza dei contatti e della posizione degli attori nella
rete. Nel polo opposto, rete formale, si pensa alle relazioni diadiche il cui scopo è un rafforzamento della
relazione stessa, che assume la forma di un legame che consiste nell’analisi del tipo di relazione fra gli attori:
- specificazione dei contenuti; - specificazione dello stile relazionale. È un insieme di obbligazione reciproche
non formalizzate ma perduranti. Nel polo nella rete formale il mondo con cui le relazioni si dispongono crea
una struttura di opportunità. Nel polo della reciprocità si dente a distinguere ambiti sociali in cui prevale
tale tipo di relazione, oppure si postula una distribuzione diseguale del valore della reciprocità fra gruppi
sociali.

La declinazione spaziale di questi approcci relazionali sembra concentrarsi su due ambiti di ricerca:

 gli studi sull’esclusione socio-spaziale, la più insidiosa forma di emarginazione non riguarda solo lo
status e il livello del reddito ma anche l’accesso a reti di conoscenti e amici tali da garantire un
supporto in momenti fondamentali della vita;
 gli effetti delle interazioni face to face, le relazioni dirette sono state spesso considerate portatrici di
una qualità diversa della vita collettiva; a tre livelli: -gli affetti; - la comunicazione; - fiducia reciproca.
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L’alta densità umana porta a un sovraccarico di stimolazioni sensoriali per i soggetti; questi per evitare il
collasso adottano un atteggiamento intellettuale, ovvero selezionano pochi tratti delle persone che
incontrano e si pongono con un atteggiamento razionale, che porta a disconoscere l’altro nella sua totalità e
nelle sue emozioni.

Simmel parlava dell’ambivalenza di relazioni dirette in uno stesso luogo, un’elevata vicinanza induce
sentimento forti sia nel senso positivo che negativo del termine. L’assunto è che la vicinanza fisica crei
relazioni dense e significative, le quali diventano u ottimo strumento contro l’esclusione sociale. Allo stesso
tempo la vicinanza è fonte di conflitti anche molto aspri a causa di una spietata concorrenza per alcune
risorse ambientali scarse. La disgiunzione fra solidarietà e vicinanza non significa ovviamente cadere nello
stereotipo contrario, ovvero che sia sempre più agevole sviluppare sentimenti di comunanza con coloro che
sono lontani. L’errore di una simile conclusione sarebbe quello di assumere che lo spazio sancisca solo
vicinanza e lontananza. Oltre all’estensione abbiamo le forme spaziali.

CAPITOLO 2. LA MOBILITA’

Le forme spaziali sono importarti per spiegare i fenomeni sociali alla luce, anche, dell’enorme sviluppo della
mobilità. Questo per tre ragioni:

 la velocità e l’efficienza dello spostamento non annulla mai del tutto il costo del movimento in
termini di tempo; ogni spostamento ha un costo
 le società sono organizzate in maniera diversa per i trasporti
 la mobilità spaziale incontra preferenze altamente diversificate; mobilità è un fatto sociale totale
che coinvolge aspetti ecologici, organizzativi e culturali

1. ASPETTI FENOMELOGICI

L’automobile è l’indicatore più espressivo della mobilità fisica perché include in sé lo spostamento
individuale, rappresenta un’idea di libertà ed emancipazione. La diffusione dell’auto è pero fortemente
squadrata nel mondo, in quado la distribuzione riflette il livello di ricchezza monetaria dei paesi ma anche
peculiarità nazionali. Nel minore/maggiore uso dell’auto confluiscono, a parità dei redditi, i dei fattori
culturali e strutturali. Dalla fine degli anni ’50 la mobilità delle persone è cresciuta di 10 volte, in particolare
grazie al proprio mezzo privato.

La mobilità delle merci ha avuto la stessa evoluzione delle persone. La società mondiale diventa sempre più
mobile in tutti i suoi aspetti: infatti crescono sia gli spostamenti per via telematica di informazione, sia quelli
materiali di persone e merci. Siamo di fronte a un fenomeno epocale, favorito dalle innovazioni nel campo
dei trasporti e dalla diffusione dei principi di libertà e democrazia.

2. MOBILITA’ QUOTIDIANA, RESIDENZIALE, MIGRATORIA E TURISTICA

Le forme di mobilità umana viene analizzata seguendo lo scherma di Kaufmann che la suddivide in due
tipologie:

- Temporalità: lunghezza del periodo di spostamento; misura quindi un intero blocco di atti in
movimento.
- Uscita o meno dal proprio ambito di vita

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Temporalità corta Temporalità lunga

Spostamenti interni al bacino di vita


MOBILITA’ QUOTIDIANA MOBILITA’ RESIDENZIALE

Spostamenti esterni al bacino di VIAGGIO MIGRAZIONE vita

La mobilità quotidiana riguarda sia le forme più strutturate di pendolarismo breve, sia gli spostamenti per
accedere a una vasta gamma di servizi di base.

Il viaggio riguarda uno spostamento anche a distanze consistenti, ma che dura poco e comporta un
cambiamento dei propri luoghi e ritmi di vita. Coglie quindi il fenomeno del turismo.

i turisti-> attori del sistema; gli elementi geografici (-area di provenienza: motore del mercato turistico e
luogo di formazione della domanda turistica; area di destinazione: e area di transito) e il settore turistico
(insieme delle attività economiche e delle organizzazioni coinvolte nell’offerta del prodotto turistico; area di
provenienza, settore degli agenti di viaggio; area di destinazione, attrazioni e strutture; area di transito:
mezzi di trasporto)
La mobilità residenziale è un cambiamento di casa entro un’area geografica considerata familiare, ci si
sposta per ottenere maggiore funzionalità rispetto a servizi e lavoro, per ragioni di prestigio e per migliorare
la qualità della vita.

La migrazione implica un cambiamento esistenziale, l’attraversamento di un confine sociale e simbolico


piuttosto marcato. Il migrante cambia completamente la sua vita.

2.1 La mobilità quotidiana

È una mobilità di corto raggio, spostamenti di andata e ritorno nell’arco di una stessa giornata in luoghi
familiari. La quota di persone che viaggia è aumentata, sia nei piccoli comuni che nei grandi centri urbani.

Le ragioni della mobilità quotidiana:

- FATTORE LAVORO:
o Separazione fra il luogo di abitazione e quello di lavoro: la concentrazione delle attività
industriali e terziarie ha favorito questo fenomeno, ma vi sono regione (principalmente in
Italia) dove queste attività sono a livello familiare e dunque è quasi impossibile separare i
due fattori.
o Donne nel mercato del lavoro

- MUTAMETO TECNOLOGICO:
o Proliferazione: sminuzzare la produzione in luoghi diversi, a seconda della pluralità di
convenienze quali la disponibilità del terreno, di manodopera, di fonti energetiche. I due
processi – ricerca di nuovi e più ampi spazi e modularizzazione- hanno provocato una
disseminazione delle unità produttive sul territorio.
o Suborbanizzazione: l’aumento della popolazione e la diminuzione del numero di persone
per unità domestica ha portato a una forte e continua richiesta di abitazioni nuove. Molte
nuove famiglie hanno preferito spostarsi anche lontano dai centri urbani. I centri delle città

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hanno cominciato a perdere residenti perché molti nuclei familiari si spostavano verso gli
anelli esterni delle stesse città. Il cambiamento dei rapporti fra cittadini e hinterland è un
fenomeno chiamato periurbanizzazione.
o Crescita delle opportunità del tempo libero: oltre alla crescita numerica e tipologica delle
attività, si è assistito alla loro disseminazione nel territorio. Ad esempio il cinema.

Nelle metropoli europee la mobilità non è solo aumentata ma soprattutto ha cambiato forma diventando
sempre più breve (nello spazio), frequente (nel tempo), differenziata nelle attività e diffusa (nella direzione).

2.2 Mobilità residenziale

Non c’è soluzione di continuità fra mobilità quotidiana e residenziale nel senso che i due fenomeni hanno
causazioni reciproche e vi è un’area grigia intermedia che riguarda entrambi. Quest’area è rappresentata dal
fenomeno della doppia abitazione, di persone o famiglie che si spostano da un’abitazione all’altra secondo
ritmi diversificati.

La mobilità residenziale consiste nel fatto che l’attore pensa che il cambio di residenza avviene entro i suoi
confini socioculturali.

La migrazione comporterebbe a un cambiamento radicale del modo di vivere e pensare, una rottura con i
principi di autorità del luogo di provenienza. Ma tutto ciò non riguarda la mobilità residenziale bensì può
riguardare:

 Ex migranti
 Famiglie che nel periodo di massima numerosità decidono di procurarsi una casa più grande
 Nuclei familiari che cercano un’abitazione collocata in un quartiere più confacente al proprio status
 Spostamenti per regioni professionali

Per completare il tema della mobilità residenziale va citata la “getrification” (ingentilire le aree residenziali).
Il termine indica il rinnovamento di parti povere e degradate di una città attraverso la costruzione di
abitazioni lussuose, accessibili solamente a persone benestanti. Ciò provoca un innalzamento dei prezzi non
solo delle case ma anche dei servizi; per cui i pochi abitanti originari non interessati all’opera di
rinnovamento sono spinti a spostarsi.

Il fenomeno opposto viene definito “blockbustering” che consiste nel deprezzamento degli immobili in aree
di pregio abitativo in seguito al massiccio arrivo di neoresidenti o city users di basso status o debiti ad
attività illegali.

Entrambi i fenomeni sono moderne forse di invasione e successione residenziale, segnalano la presenza di
fratture socio-spaziali aventi carattere cumulativo. Esse si accentuano nel tempo con andamento
tipicamente a spirale. Esiste però una differenza nel modo in cui i due processi sono avviati; la gentrification
è spesso frutto di grossi investimenti di società immobiliari o di enti pubblici; mentre il blockbustering
sembra piuttosto l’effetti di una serie di scelte individuali o di piccoli gruppi poco organizzati.

2.3 Migrazioni

Simmel e Shutz sottolineano lo stesso aspetto pur nominandolo in modo differente: straniero sarebbe
diverso dall’estraneo in quanto nel primo vi è un tentativo di dialogo con la cultura del paese ospite, mentre
nel secondo questo non accade, evidentemente per responsabilità sia dell’autoctono che dell’immigrato. Vi
si possono aggiungere altre due definizioni: quella politica, in cui la migrazione è frutto dell’incrocio fra

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un’autorità che pretende un controllo esclusivo sul territorio e flusso di persone; e quella amministrativa, in
cui i migranti si definiscono coloro che vivono in un paese diverso da quello di nascita. A proposito di
quest’ultima definizione vanno ricordati alcuni aspetti basilari:

- Il criterio ufficiale adottato dagli organismi internazionali (Departement of Economic and Social
Affairs, Nazioni Unite)
- Non considera ovviamente la migrazione interna ai paesi
- Si presa a diverse distorsioni a seconda che il paese adotti prevalentemente lo ius soli o lo ius
sanguinis
- Riguarda i dati stock e non i dati di flusso. Rileva quindi la presenza di stranieri su un territorio
piuttosto che il vero e proprio flusso migratorio.

I flussi migratori assumono la forma di ondate, parzialmente indipendenti dal grado di sviluppo economico
dei paesi di origine. La mobilità del migrante viene opportunamente inquadrata con due importanti
concetti: il progetto e il percorso. Il secondo risulta più confacente alla reale situazione del migrante. Egli,
quantunque elabori dei progetti su come e dove arrivare, quello che poi realizza in effetti è un percorso
fatto di tappe, ripensamenti, ripiegamenti, cambi di destinazione ecc. La migrazione è dunque la forma più
complessa di mobilità spaziale. Altri elementi associati in senso stretto della mobilità sono il
transnazionalismo, ovvero il migrante come uomo marginale di Park che subisce la multiappartenenzza e
non è pienamente identifica né con la cultura del paese di origine né con quella di arrivo, e il fenomeno
della diaspora, qui invece, la mobilità è più virtuale che reale nel senso che i gruppi che si proclamano in
tale condizione sottolineano il desiderio di tornare alla patria perduta piuttosto che il reale movimento
verso di essa, in quest’ultimo caso viene esaltato l’intrigante sconnessione fra residenza e identità.

2.4 Turismo

Il turismo si presenta come una forma pragmatica di mobilità. Esso riguarda la visita di ambiti di vita non
usuali per brevi periodi. Il valore o la meta sono rappresentati dal luogo turistico piuttosto che dal girare o
vagabondare. Sono i tratti culturali ed estetici della destinazione ciò che attira del turismo. Non bisogna
dimenticare diverse forme del turismo: itinerante, come le crociere, i viaggi in camper o lo stesso turismo in
tenda.

Il recupero del senso del viaggio si inserirebbe nella tendenza postmoderna, portata a valorizzare ogni
particolare dell’esperienza turistica. In realtà, il viaggio ha una sua robusta tradizione di pensiero e di
pratiche che affondano le proprie radici in letture antiche. Il turismo invece può essere un’attività nella
quale si forma una sorta di dialettica fra luoghi diversi. Il turismo dal lato dell’offerta diventa un’attività
industriale molto articolata, gestita da imprese di varia grandezza e stile e puntano a una fascia di
popolazione ricca. Tuttavia i trasporti low cost e la ricerca via internet di pacchetti o combinazioni di viaggio
hanno aperto al viaggiare fasce sociali meno abbienti.

3. MOBILITA’, SOCIALITA’, REVERSIBILITA’

La crescita della fluidità porterebbe a una completa irrilevanza dello spazio (deterritorializzazione) o
finirebbe per creare nuove strutture spaziali che condizionano attori e azioni. La forte crescita della
connettività e il carattere reversibile della mobilità porta a pensare che le reti provochino la spartizione dei
territori: la mobilità indebolisce le frontiere vuotando del suo senso la nozione di territorio inteso come una
delimitazione reale. Il passaggio a sistemi reticolari connotati da fluidità spaziale porta a uno spazio aperto.
Altri studi dimostrano che lo sviluppo della produzione e degli scambi accresce la concentrazione spaziale

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della produzione e della popolazione. L’aumentata mobilità viene allora vista da una parte come fonte di
anonimato, dall’altra come una chance per sviluppare incontri.

La motilità è un termine usato da Kaufmann per tenere assieme tre aspetti della mobilità:

 Le infrastrutture: riguardano l’effettiva presenza di strade, stazioni ferroviarie, aeroporti ecc.


 L’accessibilità alle stesse: riguardano l’accessibilità universale alle stesse
 Le competenze e le rappresentazioni: riguardano il fatto che il soggetto abbia le cognizioni per
muoversi

La motilità è l’insieme di aspetti strutturali e soggettivi che permettono a una persona o a un gruppo di
padroneggiare la mobilità in una data area.

RELAZIONI
DEBOLI FORTI

ALTA
Spazi indefiniti Spazi centrali
MOTILITA’
BASSA Spazi dell’isolamento Spazi della segregazione

- Gli spazi indefiniti raccolgono l’ipotesi della deterritorializzazione;


- Gli spazi centrali sono i luoghi degli incontri, i luoghi carichi di simboli;
- Gli spazi dell’isolamento rappresentano spazi individuali, anche spazi pubblici ma vengono vissuti
come se gli altri non esistessero;
- Gli spazi della segregazione dove le relazioni si svolgono quasi esclusivamente nell’in-group

La mobilità ha un intrinseco aspetto dinamico colto grazie al grado di attaccamento a un territorio, la


mobilità di per sé non provoca, però, un distacco o attaccamento.

Vi sono tre possibili esiti sull’attaccamento del territorio:

1. La reversibilità: che consiste nel mantenersi ancorati al proprio originario territorio di riferimento,
nonostante i molti viaggi e spostamenti che i rendono necessari per vivere.
2. L’irreversibilità: indica il fatto che lo spostamento produce un distacco con il luogo di partenza o di
origine
3. La ricorsiva: nella quale il soggetto investe in diverse destinazioni di viaggio molte energie affettive.
Si lega cioè a diversi territorio, una poligamia di luogo.

4. LE ISTITUZIONI DELLA MOBILITA’

Il desiderio individuale di muoversi e di libertà di commercio del sistema economico necessitano di un


efficiente sistema di trasporti. Quest’ultimo costituisce la domanda e l’offerta della mobilità.

CAPITOLO 3: CONFINI

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Il confine si presenza come un archetipo; è infatti un organizzatore primario della vita sociale. Il confine
separa nella mente e nello spazio; permetto di distinguere e dividere è alla base sia della conoscenza che
del vivere collettivo. È elemento di delimitazione di due o più realtà territoriali caratterizzate da sentimenti
di identificazione e appartenenza ma può assumere diverse forme. Il confine non è soltanto una linea di
demarcazione ma esercita un influsso attivo sull’ambiente urbano, tendono anche a semplificare l’uso che la
gente fa termine. Vi sono due modalità basilari:

 Strumenti cognitivi: riguarda la primaria capacità di distinguere, discendere, classificare. Tracciare


una linea di demarcazione permette di enucleare degli oggetti, di pensare entità distinte,
individuabili con carattere proprio, inoltre, permette anche di avanzare nell’astrazione, ossia nella
possibilità di distinguere gli elementi caratterizzanti di un oggetto da quelli accessori. In altre parole,
permette la formazione dei concetti. -> significato intensionale (diverso dal significato estensionale
che riguarda tutti gli oggetti concreti)
 Strumenti di organizzazione del territorio: diventa anche un espediente della mente per facilitare
la conoscenza e ridurre l’indeterminatezza del reale. A fronte di popolazioni che vivono e lavorano
su spazi senza soluzione di continuità diventa importante stabilire dei confini fra l’area di
competenza di un soggetto e quella di un altro, fra luogo di abitazione di uno e dell’altro. Il confine
rappresenta una primaria fonte di ordine spaziale. I confini non sono entità stabili ma mutano nel
tempo. Zygmunt Bauman sostiene che i confini oggi rivestano ancora un ruolo importante e perciò
ne vengono creati di nuovi;

CONFINE
MOBILE STATICO

APERTO
Frontiera Ponte

Terra bruciata Periferia (margine)


CHIUSO

Il confine ci permette di stabilire ciò che è un principio di demarcazione del territorio, attraverso una
semplice linea, dando luogo a un’area circoscritta, fino ad arrivare a un’entità spaziale la quale si organizza
per mantenere la propria distinzione rispetto all’ambiente -> sistema territoriale.

Il confine è il punto di distinzione fra il sistema e il suo ambiente, concepito in modo dinamico tale per cui
esso cambia a seconda di come il sistema lo difende e da come reagiscono gli altri sistemi che formano il
suo ambiente. È, dunque, la categoria base per individuare sistemi territoriali. Horowitz mostra come i
confini oltre che a modificarsi possono anche sparire, annullarsi.

ASSIMILAZIONE DIFFERENZIAZIONE

(Annullamento dei confini) (Modificazione dei confini)

AMALGAMA INCORPORAZIONE DIVISIONE PROLIFERAZIONE

A+B->C A+B->A A->B+C A->A+B


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La diversificazione delle delimitazioni spaziali può essere intesa come dinamica tipica della società
moderna: crescente differenziazione delle organizzazioni al loro interno rispetto all’ambiente. La
differenziazione consiste nella divisione di un’unità o di una struttura in due o più unità/strutture che
differiscono tra di loro per le caratteristiche e per la rilevanza funzionale nei confronti del sistema.

Ciò che varia è il rapporto di esclusività. Vi sono, infatti, tre situazioni:

1. Territorialità vincolante: molte organizzazioni hanno competenze esclusive su un territorio e i


soggetti che vi abitano, o lavorano, non possono rivolgersi ad altro ente;
2. Territorialità preferenziale: altri enti pubblici non prevedono un rigido abbinamento fa l’esecuzione
della prestazione e la localizzazione in uno specifico territorio;
3. Territorialità elettiva: vi sono organizzazioni private, o non profit, che non sono territoriali nel senso
che operano senza vincoli locali.

In tutte e tre le situazioni di territorialità il confine dei sistemi di azione è di cruciale importanza. Questa
dinamica del confine è andata crescendo portando alla nascita, affermazione, e anche scomparsa, di molti
sistemi aventi una base spaziale di riferimento.

L’aspetto interessante è che quasi sempre vi è sovrapposizione dei diversi sistemi sullo stesso arale, una
sorta di territorial pillarisation, quando questi esercitazioni funzioni diverse si può immaginare una qualche
forma di integrazione o coordinazione; quando invece svolgono la medesima informazione si parla di
concorrenza.

Un ulteriore aspetto che rende potente il criterio del confine è rappresentato dalla possibilità di disegnare
bacini di utenza o gravitazionali. Le organizzazioni hanno il problema di collocare i propri servizi in punti
che ottimizzano l’accesso per gli utenti e minimizzano i costi di esercizio. Il criterio dell’omogeneità permette
di delimitare le aree in base a caratteri importanti e prevalenti dal punto di vista teorico, come, per
esempio, l’uso di una lingua o di un tratto etnico. Gli enti studiano dove collocare il servizio specifico, sia
come delimitare il bacino di utenza.

2. CASE, QUARTIERI, CITTA’ E REGIONI

2.1 La casa

La prima forte e chiara delimitazione spaziale è quella dell’abitazione. Rappresenta lo strumento per
proteggersi dalle intemperie in modo da svolgere alcune funzioni fondamentali al riparo da eccessive
interferenze ambientali. La casa è un sistema relativamente aperto rispetto all’ambiente, il grado di apertura
deriva sua dalla qualità dei suoi confini sia dal tipo di “varchi” che esistono con l’esterno.

 È il primo sistema di separazione dall’ambiente;


 Confini più o meno aperti a seconda dei materiali con cui è costruita e dalla cultura di
appartenenza;
 Racchiude funzioni affettive, curative, assistenziali, di sostegno e ricreative;

Il criterio di distinzione basato sulle funzioni va precisato su diversi piani:

1. Vi sono alcuni equivalenti funzionali, per cui attività tipiche della casa possono essere svolte altrove.
Es: l’allevamento dei neonati, generalmente in casa ma anche al nido;
2. Importanza relativa delle funzioni abitative: alcune funzioni sono più o meno importanti a seconda
del contesto socio-culturale di riferimento;

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3. Varietà della funzione simbolico-espressiva: essa è oggetto di particolari cure e investimenti affettivi,
rappresenta un prolungamento dell’identità persale.
4. Riduzione funzionale: con il miglioramento delle condizioni di lavoro, le ore passate in casa sono
aumentate per poi decrescere di nuovo.

Il criterio della funzionalità è fondamentale ma non copre l’intero arco dei significati abitativi. Vi possono
essere infatti parte della popolazione che vive poco in casa non tanto perché ha molte chance di
frequentare luoghi terzi quanto perché la casa si presenta poco accessibile o poco ospitale. In questo si
toccano due elementi fondamentali:

 L’equità della distribuzione del bene, segue un tema di assonanza postmoderna nel quale si
esaltano gli elementi di indeterminatezza delle mete sociali, fra cui l’ideale del possesso di una casa
fissata permanentemente in un luogo. Approccio robusto che guarda agli aspetti culturali
dell’abitare e quindi esalta il valore relativo a tutte le località e culture.
 Il grado di abilità trae spunto dai principi del socialismo operaio che esaltava il diritto per tutti ad
avere una casa decente dove vivere con la propria famiglia.

Il concetto di regionalizzazione, ossia la specializzazione degli ambiti locali in sottoaree nelle quali si
svolgono specifiche funzioni. Nel caso dell’abitazione vi è una storica delimitazione fra zona notte e zona
giorno.

Il secondo filone di studio registra anche una lunga serie di politiche per rendere più accessibile la casa alle
classi meno abbienti. Infatti, sono le ondate migratorie a rendere più acuto il bisogno di casa in particolare
nelle città (urbanizzazione), in quanto è un diritto alla casa e alla qualità abitativa, a causa di ciò si possono
creare baraccopoli, ghetti, slums, favelas... La deprivazione abitativa più recente non sarebbe legata solo
all’immigrazione ma anche all’affermazione di politiche neoliberali.

Antonio Tosi individua delle fasi storiche nei suoi studi:

 Prima fase: approccio interessato agli standard razionali (abitazioni uguali per soddisfare i bisogni di
base), finalizzato all’ordine e al controllo (foucalt)
 Seconda fase: Movimento degli urbanisti del 1933, più attenzione agli abitanti e si avviano
sperimentazioni di auto-costruzione dell’abitare

2.2 Quartiere e vicinato

Nonostante in inglese essi abbiano significato il quartiere identifica qualcosa di diverso dal vicinato:
 Parte della città, suddivisione pratica di un agglomerato vasto e compresso
 Elemento tipicamente urbano finalizzato a fornire ordine amministrativo alla città
Il vicinato identifica invece un’entità più diversificata di cui è difficile definire i confini (e per alcuni autori
sempre meno sensato in un’epoca di forte mobilità)
Tuttavia secondo altri autori ha ancora senso parlare di vicinato per tre motivi:
1. perché la breve distanza ha ancora conseguenze sulla forza delle relazioni
2. perché esiste ancora la ricerca di omogeneità con i vicini
3. perché il vicinato è ancora oggetto di intervento pubblico o veicolo di comunità
1) Con attenzione al primo punto di può ire che non è facile definire i confini relazionali che consentono di
identificare il vicinato. Il tema è molto studiato in Italia da Piselli.
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Le ricerche mostrano che:


- La maggior parte dei legami stretti hanno distanze che rientrano nella soglia spaziale di 5-15 km e di
un’ora di tempo
- La forma spaziale delle reti sociali è per lo più concentrica (strati sociali omogenei hanno relazioni
geograficamente omogenee ordinabili si una scala di distanze, più un soggetto è ricco più ampia è la
sua cerchia)
- Lo schema centro-periferia (servizi nel primo e residenze nel secondo) tiene meno rispetto al
passato a causa di:
o Disarticolazione dei nodi

o Moltiplicazione delle periferie che tentano di aggregarsi senza passare dal centro

La geometria variabile delle relazioni sociali mette in luce il carattere debole e relativo del vicinato:
- Le relazioni che contano non sono più vicini (laddove le relazioni sono limitate ai rapporti di
cortesia), ad eccezione che nei residuali quartieri operai o ad elevata popolazione anziana e
immigrata.
2) ricerca dell’uniformità di ceto alla base della delimitazione spaziale del vicinato
- Già nell’antichità i gruppi professionali si concentravano in certe parti della città (finalità di
identificazione sociale)
- Localizzazione residenziale secondo linee di stratificazione sociale (la distinzione di ceto passa
attraverso la segregazione residenziale, l’elevata durata della permanenza ma anche da particolari
stili di vita e rituali e villaggi urbani barriere invisibili che preservano gli abitanti dalle contaminazioni
di ceto)
- Laddove si ha segregazione residenziale quando la possibilità di risiedere nelle diverse zone di
una data città non è uguale per tutti ma varia a seconda del gruppo sociale di appartenenza
 Tema di approfondimento:
- Analisi della geografia sociale della città
- Studio della città duale (aumento della polarizzazione sociale al vertice e alla base della gerarchia
sociale o contrazione del ceto medio)
- Prevalenza delle relazioni locali vs delle relazioni su scala sovra-locale (modelli localistici vs selettivi
nella costruzione delle reti di relazioni)

PIANIFICAZIONE
RIDURRE LE DIFFERENZE ESALTARE LE DIFFERENZE

OPPRESSIVA Quartieri da uniformare Quartieri da integrare


COMUNITA’
LUOGO AFFETTI Comunità partecipante Welfare communities
E

CIVICNESS

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3) vicinato come oggetto


Incrociando il modo di vedere la comunità (oppressivo o affettivo) e l’approccio al quartiere (riduzione o
aumento delle differenze), è possibile creare la seguente tipologia:
1. Quartieri da uniformare (quartiere come ostacolo alla realizzazione di un
progetto urbano in cui tutti hanno pari opportunità di realizzazione)
2. Quartieri da integrare (specificità delle unità insediative e unità organica tra
quartieri e città)
3. Comunità partecipante (strumenti di partecipazione ma all’interno di una
pianificazione che riduce le differenze al fine di una maggiore equità socio-
territoriale)
4. Welfare communities (sussidiarietà e terzo settore come forme di sostegno
all’autogoverno della comunità locale)

2.3 Le città

La città è la delimitazione spaziale per eccellenza. Minore difficoltà di identificazione del confine rispetto al
quartiere: avendo un nome, una storia e un governo.
Tre questioni sulla distinzione analitica:
1. Come la città mantiene la propria identità rispetto all’ambiente : la città viene concepita come un
agglomerato denso di edifici senza soluzione di continuità. Non vi sono aree agricole all’interno ma
la densità è costituita da abitanti residenti per chilometro quadrato.
Una misura della densità (numero di residenti per km2 o per ettari) fisica è data dal rapporto di
urbanizzazione (Ru):

Ru (rapporto di urbanizzazione) = Se + Ss + Sa/Si


Ru= Se/Si
Se= superficie di edifici
Ss= superficie di strade
Sa= superficie di attrezzature
Si= superficie totale

Se al numeratore mettiamo il volume degli edifici in metri cubi abbiamo l’indice di fabbricazione.

IF= Ve/ Si

IF= indice di fabbricazione

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Ve= volume edifici

2. Come reagisce con l’esterno:

I tre criteri di Wirth sono stati a lungo utilizzati per una distinzione della città dalla campagna. Si
sostiene che questa distinzione non abbia più senso sempre a causa della mobilità che rende i tre
termini varietà relative:

I. Densità
II. Ampiezza
III. Eterogeneità
Le produzioni tipiche della campagna avvengono su scale mondiali e attraverso processi che le rendono
più simili ad attività industriali. Dunque, la campagna non può fare da termine negativo per individuare
la città perché si è urbanizzata, nel duplice senso che adotta modi di produzione tipici della città e ha
subito essa stessa un processo di delocalizzazione.
La distinzione non corre più fra la città e il suo contorno agricolo-rurale, ma passa attraverso tipi di città.
Se è sempre più difficile distinguere la città dall’intorno (sulla base di criteri morfologici) occorre allora
cercare l’identità in altri criteri:
a) Città come luogo di scambi di natura economica, politica, culturale.
b) Città come luogo di comando per la gestione di aree vaste
c) Città come luogo della varietà, in cui le culture, arti, professionisti, arte sono concentrate
Tuttavia secondo molti autori ciò non è più vero in contesti connotati da:
- Elevata mobilità
- Dispersione di molte funzioni urbane nel periurbano e nelle ex aree agricole (urbanizzazione della
campagna)
- Industrializzazione della produzione agricola e decentramento della raccolta di beni primari
Quindi idea della città come mercato, luogo del comando dal quale partono le direttive per la gestione di
un’area ben più vasta. Si rispetta anche l’idea simmeliana della varietà metropolitana come luogo dove
culture, arti, professioni, manifestazioni artistiche sono concentrate e dove gli individui vi aderiscono.
I confini permettono di individuare i punti di accesso e ciò che determina il grado di apertura di un sistema.
Un sistema molto aperto per interscambiare ma allo stesso tempo selettivo e organizzato. La città si
identifica quindi con confini molto porosi ma allo stesso tempo con fori di dimensioni e forma molto varia. È
l’idea di confine come filtro. Il metacriterio ci permette di capire perché diventa sempre più difficile
individuare la città; ciò si spiega con il fatto che: a) i diversi sottosistemi di scambio sono sempre meno
spazialmente sovrapponibili e b) molti scambi avvengono per via telematica. Infatti gli uffici sono sparsi sul
territorio, i centri commerciali sono dislocati nelle periferie, i campus universitari si trovano a diversi
chilometri dal centro.
Al suo interno la funzione residenziale diventa sempre meno importante poiché la popolazione può anche
risiedere dal luogo dello scambio (ridimensionamento ma non annullamento del criterio demografico
poiché la residenzialità è una fondamentale fonte di senso della città). Traduzione empirica dei criteri
strutturali e sistematici; presenza di luoghi di scambio materiale e immateriale.
Si può quindi delimitare la città come quell’area che raccoglie i più importanti centri di scambio.

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3. Quali sono i suoi confini interni:


Prima suddivisione tra sobborghi e ghetti;
Le famiglie benestanti si spostano dai centri urbani affollati verso le aree periferiche dove sono migliori gli
standard abitativi, quelle povere e meno mobili restano nel centro storico (dove poi si insediano gli
immigrati che aumenteranno la concentrazione residenziale secondo linee entico-economiche). Processo di
sub-urbanizzazione e ghettizzazione.
Approcci diversi alla lettura dei processi di sub-urbanizzazione di ghettizzazione: scuola ecologica e
tradizione marxista
a) Analisi ecologica: colonizzazione delle nuove aree da una parte di gruppi sociali più orti
finanziariamente e allontanamento dei gruppi sociali più deboli (versione conservatrice: naturale
redistribuzione dei gruppi sociali sulla base delle capacità diverse di competere e di far valere i
propri talenti)
b) Analisi radicale: localizzazione della classe operaia nei ghetti e di quella borghese nei suburbi, non
volontà dell’amministrazione pubblica (succube delle classi benestanti) di contrastare la
polarizzazione residenziale e nascita delle subculture della povertà come esito e non come causa.
Ghetto: origine ebrea, luoghi a marcato profilo etnico di collocazione omogenea nel mercato del lavoro
connotati da emarginazione, povertà e circoscrizione spaziale. Spesso al loro interno si creano forme di
bounded solidarity, ovvero di solidarietà interna/limitata e di opposizione con l’esterno. Enclave etnico-
economica: di sub-area con elevata organizzazione interna caratterizzata dalla presenza di imprese etniche
anche di livello elevato.

2.4 La regione
Le città spesso, ma non sempre, parte di aree vaste, cosiddette regioni o comprensori (territori che per
motivi storici e funzionali sono sotto l’influenza di una città, principio di autocefalia)
In Italia ciò ha avuto una causa storica nella tradizione del potere esercitato dalle città sui contadi e più tardi
nella scelta pianificatoria di organizzare il territorio sui bacini di utenza standard (unità territoriali dotati di
tutti i servizi di base distribuiti razionalmente dal centro verso la periferia)
La dispersione dei fenomeni sociali oggi è tale che la loro scala si è allargata (costringendo il passaggio del
livello organizzativo dal locale al regionale)
Criteri di definizione dei confini regionali:
- Funzionale (bacino di fruizione di un servizio)
- Politico amministrativo (decentramento e federalismo)
- Economico (produzione
Diversamente è possibile delimitare la regione a partire dai confini prospettici (derivanti dal punto in cui si
guarda il territorio)
a) Visione urbana della regione (visione urbano-centrica)
b) Visione locale della regione (città come unno dei tanti nodi di rete)
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1. Prospettiva urbana: analisi dell’influenza della città nel tempo


a) Criterio temporale: città come corpi vivi che hanno una propria evoluzione, fasi di crescita e di
declino
Dalla rivoluzione industriale, tre fasi:
- Crescita della città compatta (espansione delle periferie, città fordista)
- Calo dei residenti del centro (inner city) e crescita degli anelli periferici o di assi radiali (edge city,
città metropolitana)
- Sprawl urbano e, eventuale, unione con aree urbane contermini (città-regione, conurbazione, meta
city)

b) Criterio qualitativo: le funzioni urbane si diffondono su aree molto più vaste di quelle che
storicamente contornano la città. La diffusione urbana riguarda funzioni urbane prima concentrate
in città: dapprima i servizi commerciali e ricreativi (alla ricerca di spazio) e poi le residenze
Tuttavia gli stili di vita delle popolazioni urbane e non urbane (ex rurali) tendono sempre più ad
assomigliarsi, anche a causa della maggiore mobilità e della perdita dei legami produttivi con il proprio
territorio.
Per altri autori non si può parlare di fine della gerarchia urbana (lo sprawl non è sinonimo di
indifferenziazione delle funzioni urbane) per i seguenti motivi:
- Solo le funzioni residenziali e commerciali si sono disperse
- Persistono concentrazioni di funzioni urbane di servizi di alto rango
- Le città hanno ancora scale di influenza territoriale diverse (dal rango mondiale delle città globali, al
rango continentale delle città che influiscono su vaste macro regioni al rango nazionale delle città
che insistono su nazioni o territori sub nazionali)
Indicatori di rango:
- Rango dimensionale: abitanti della città sul totale degli abitanti del Paese
- Presenza di funzioni apicali (borse valori, aeroporti)
- Specializzazione in particolari ambiti
Secondo questa prospettiva la città di rango superiore identifica una regione. Il suo nome diventa criterio di
delimitazione di un’area vasta che con essa ha legami funzionali e politico-simbolici (tutto ciò consente alla
città di dialogare con città di rango simile e di condizionare il governo nazionale).

2. Prospettiva locale: regione non più come estensione delle funzioni delle città di rango superiore
ma come sintesi di omogeneità (di tipo soprattutto economico-produttivo ma anche politica e
culturale) esistenti tra diversi nodi urbani di una rete.

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Tutte queste delimitazioni hanno un profilo prevalentemente economico-produttivo, sebbene entrino in


gioco anche elementi culturali e politici (regione come area in cui prevale una subcultura politica con
costumi più o meno secolarizzati)
criteri empirici di identificazione della regione:
- Rango dimensionale di un insieme di città
- Distribuzione spaziale dei diversi settori e attività economiche
- Diffusione di valori, ideologie e istituzioni
- Reti di relazioni fiduciarie

CAPITOLO 4: DISPARITA’ TERRITORIALI E SVILUPPO LOCALE

1. LE DISUGUAGLIANZE TERRITORIALI SU SCALA GLOBALE

Le differenze tra le aree del mondo vengono descritte usando come unità di analisi gli stati nazionali e come
indicatore il prodotto interno lordo.
Critiche al PIL:
- Rileva solo l’attività economiche colta con l’uso della moneta
- Non distingue tra tipi di beni prodotti
- Non coglie le attività economiche che non hanno transizione monetaria ufficiale
- È un dato di flusso, ovvero rileva la produzione di un anno
 Dividendo il PIL per il numero di abitanti di un Pauese si ha il PIL pro capite: vantaggi consente la
comparazione
 Per tener conto della capacità di acquisto e correggere le distorsioni dei valori monetari si calcola il
PIL per residenti a parità di potere di acquisto
 Per depurare i valori della variazione dei prezzi, in uno stesso Paese di calcola il PIL reale
 Nel PIL reale si utilizzano i rezzi costanti riferiti ad un anno base mentre con il PIL nominale si
utilizzano i prezzi correnti
Il panorama mondiale appare molto polarizzato e difficoltà di individuare intere regioni omogenee sotto il
profilo del reddito monetario. Un criterio di aggregazione dei paesi è di farlo secondo classi variazione del
PIL:
- Paesi che crescono poco (variazione inferiore al 3%)
- Paesi emergenti (variazione superiore al 3%)
In conclusione, bisogna considerare come sempre archi temporali diversi sia dati di flusso che dati di stock.
Il PIL pro capite resta un dato di flusso.

L’indice di sviluppo umani (ISU: HDI- Human Development Index) comprende, oltre al reddito pro capite, il
livello di istruzione, e l’aspettativa di vita alla nascita e serve a conteggiare il valore del capitale umano e un
generico fattore di benessere fisico.

Il concetto di sviluppo umano fu elaborato alla fine degli anni ’80 al fine di superare ed ampliare l’accezione
tradizionale di sviluppo incentrato solo sulla dimensione economica (PIL).

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Riguarda ambiti dello sviluppo economico e sociale:

 Promozione diritti umani


 Difesa dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile
 Sviluppo dei servizi sanitari e sociali

L’ISU utilizza un approccio centrato sulle persone, in quanto l’individuo è il fine e lo strumento di sviluppo,
ciò garantisce la partecipazione e la democraticità dei processi.

Vi sono quattro pilastri dello sviluppo umano:

1. Partecipazione

2. Equità

3. Sostenibilità (acceso alle opportunità garantite anche alle generazioni future)

4. Produttività

L’approccio delle capacità è la base concettuale dell’approccio allo sviluppo umano. Benessere, povertà e
disuguaglianza devono essere valutati in base alle capacità (opportunità).

L’indice di sviluppo umano da risultati in buona misura sovrapponibili con quelli del PIL, con alcune
differenze che emergono dal confronto fra la posizione nella graduatoria (ranking) dell’uno e dell’altro.
Un’elevata differenza fra i due rankings indica una scarsa corrispondenza fra ricchezza e benessere di un
paese.

2 NAZIONI E TIPI DI CAPITALISMO

Vi è l’opportunità di selezionare gli stati in base al tipo di capitalismo. Si tratta di un’analisi istituzionale,
secondo la quale le economie sono plasmate dall’insieme di regole vigenti in uno Stato.

Vi sono quattro tipologie di analisi dei tipi di capitalismo:

1. In cui si sottolinea il ruolo forte dello stato; concentrato sulle differenze fra paesi occidentali e paesi
comunisti;
2. Si basa sulle differenze fra il sistema di produzione asiatico e quello occidentale sull’onda della
crescita del Giappone;
3. Guarda alla differenza fra capitalismo renano e anglosassone
4. Distingue ben cinque tipi di capitalismo: asiatico, continentale, di mercato, mediterraneo e
socialdemocratico;

(1) la rapidità con cui il sistema di potere sovietico si è dissolto ha fatto dimenticare la lunga permanenza dei
due blocchi, intesi in senso politico-ideologico ma anche economico. La differenza macroscopica era la
proprietà dei mezzi di produzione, nel primo caso in prevalenza dei privati, nel secondo dello stato
nazionale. Una modalità di interazione stato-mercato viene chiamato “decreto”.

Il modello decreto riguarda la Francia, il Giappone e i paesi asiatici, in cui i governi riescono a isolarsi
piuttosto bene dalle pressioni dei gruppi di interesse adottando una linea politica che mira a rafforzare
direttamente le imprese private e le loro performance tecnico-commerciali. Sul piano sociale risulta invece
poco attento alle misure di welfare.

(2) differenza fra capitalismo occidentale ed orientale. In questo caso si sottolineano maggiormente aspetti
legati alla cultura e all’organizzazione interna delle prese. L’identificazione del lavoratore con l’impresa, il
prevalere del senso di appartenenza al gruppo sull’individuo sono visti come frutto di correnti di pensiero
plasmate dal confucianesimo e da un’eredità di una cultura avvezza all’autodisciplina. A causa di ciò lo stato
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assume un profilo nazionalistico, incentivando i mercati interni rispetto a quello esterni e a questo si
accompagnerebbe un tentativo di contenimento della diffusione di stili di vita e consumo occidentali.

(3) nel capitalismo renano e anglosassone viene messo in evidenza il rapporto fra proprietà e gestione delle
imprese. Il cambiamento del capitalismo è dato da quando si è distinta la proprietà dei mezzi di produzione
dalla gestione degli stessi, i capitalisti dei manager. Questa distinzione sarebbe particolarmente marcata nel
capitalismo anglosassone, nel quale la proprietà è tendenzialmente diffusa e i manager molto mobili.
Mentre nel capitalismo renano il rapporto fra proprietari e gestori è più organico. Spesso le banche sono
proprietarie di ampie quote delle imprese, lo stesso ente pubblico può essere uno degli azionisti. Il primo
tipi è chiamato anche capitalismo degli shareholders (azionisti) mentre il secondo degli stakeholders
(portatori di interesse). Ognuno dei due ha i propri punti deboli: molto potere ai manager (asimmetrie
informative fra principale e agente), da un lato, e ingessatura della gestione dall’altro.

In termini territoriali, nel primo modello risulta più svincolato infatti l’unico parametro di giudizio
sull’impresa sono i profitti e se questi sono elevati permettono di confermare i lauti ingaggi dei manager e di
remunerare gli azionisti i quali non sono una concentrazione territoriale. Nel secondo modello invece, la
collocazione territoriale degli stakeholders è più definita, in genere si tratta di rappresentanti di interessi di
livello nazionale oppure regionale.

(4) tipologia dei meccanismi di Amable rispetto a due dimensioni: 1- tipo lo welfare (esteso/non esteso); 2-
mercati finanziari/rigidità del MDL; da ciò poi identifica 5 tipi di capitalismo su base nazionale con diverse
variabili: a) la competizione sui beni di mercato; b) il nesso lavoro-salario e le istituzioni di mercato del
lavoro; c) il settore dell’intermediazione finanziaria e la corporate governance; d) la protezione sociale e il
welfare state; e) il settore istituzione. Dopo aver aggregato le variabili con l’analisi multivariata si aprono due
procedure che sono complementari tra loro in quanto permettono un controllo incrociato dei risultati. La
prima componente è interpretabile come riferimento un welfare esteso o meno, la seconda è più complessa
e ha, da un lato, la preminenza del capitale finanziario e, dall’altro, la rigidità del mercato del lavoro.
Incrociando i dati vengono fuori i cinque tipi di capitalismo:

 Asiatico (Giappone, Corea del Sud)


 Continentale (Germania, Francia, Belgio, Austria)
 Di mercato (Usa, Regno Unito, Australia, Canada)
 Mediterraneo (Spagna, Portogallo, Grecia, Italia)
 Socialdemocratico (Danimarca, Finlandia, Sveglia)

In conclusione, questa lettura dei tipi di capitalismo permette di mettere a fuoco tre aspetti:

1. Configurazioni istituzionali entro le quali il mercato e l’economia operano


2. Una gamma crescente di paesi cui sono applicabili queste analisi, mano a mano che l’economia di
mercato di allarga
3. L’evoluzione dei paesi verso il mantenimento delle differenze oppure verso una convergenza in forza
della globalizzazione o, ancora, verso tipi di ibridi inediti.

3. L’ANALISI SU SCALA REGIONALE

Un ulteriore spostamento di scala, da quella nazionale a quella regionale. Ciò è particolarmente urgente in
un paese come l’Italia, nel quale le differenze interne sono fra le maggiori. Bisogna, anzitutto, stabilire quale
scala subnazionale e quali misure di disparità adottare.

Nel banana model viene utilizzato un classico schema centro-periferia, che è il limite principale oltre ad
avere una schema chiuso, che si dimostra utile, pur rischiando di essere parziale e rapidamente obsoleto.
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Poiché è molto difficile trovare criteri univoci di identificazione della scala sub-nazionale è utile ricorrere
all’Unione Europea e alla NUTS (nomenclatura delle unità territoriali statistiche) e va da un livello Nuts 0 che
rappresenta gli stati fino a Nuts 5 che rappresenta le unità territoriali più piccole. I primi tre Nuts
identificano il livello regionale, i Nuts 4 e 5 quello locale. A questo puto si può giustificare l’opportunità di
un’analisi a livello subnazionale con tre argomenti:

 Esistono nazioni di grande estensione e ampia popolazione; è facile immaginare che vi siano molte
differenze interne; (regioni geodermografiche)
 Esistono assetti istituzionali peculiari concernenti i rapporti fra stato e regioni; (regioni istituzionali);
 Esistono fattori intrinsechi alle singole regioni che ne hanno determinato un percorso di sviluppo
originale, non riconducibile a fattori esterni all’area stessa (regioni locali);

La densità della popolazione a livello regionale varia molto. Si possono riscontrare delle tendenze: Francia e
Spagna presentano alte densità riproducono un modello urbano-rurale o meglio, urbano costiero
contrapposto alle zone interne. L’Italia e la Gran Bretagna si adattano meglio a un modello regionale.
Mentre a mosaico si presentano i paesi dell’Europa orientale da poco entrati nell’unione.

Per valutare appieno le disparità regionali bisogna tener conto del diverso modo con cui il parametro della
ricchezza si distribuisce fra regioni e quanto pesa demograficamente ciascuna regione. L’analisi regionale si
può svolgere in due modi:

1. Tenendo conto delle appartenenze nazionali: si classificano i paesi secondo certi caratteri
utilizzando l’analisi della varianza ossia il rapporto tra la varianza fra gruppi e la varianza entro i
gruppi. Se tale rapporto dà un valore maggiore di uno, significa che la classificazione per tipi
nazionali è cogente.
2. Verificando se vi siano aggregazioni di regioni che sono trasversali a tali appartenenze.

Un diverso modo di procedere consiste nel non preordinare le differenze regionali in uno schema nazionale
o sovranazionale, ma di vedere se esse presentino valori tali da essere accorpate a posteriori in tipi.

4. I PERCORSI LOCALI

Negli ultimi trent’anni sono emerse zone di eccellenza economica, dovute grazie a dei processi tipici su scale
territoriali più piccole di quelle nazionale o regionale. Le dimensioni messe in luce nella spiegazione del
successo o meno di casi locali sono due:

 La regolazione del mercato del lavoro: la struttura occupazionale, molto condizionata dai livelli di
industrializzazione e la presenza di neocorporativismo locale (patti taciti di collaborazione, distretti
industriali)
 La circolazione delle informazioni: presenza di istituti di formazione, investimenti in ricerca e
sviluppo da parte di imprese ed enti locali.

Una particolare combinazione di tradizione artigianale, delega ampia alle istituzioni politiche, introduzione
di innovazioni di prodotto che ha generato economie locali di successo.

Vi sono dimensioni produttive dei sistemi locali: specializzazione in un settore merceologico, prevalenza
della piccola e media impresa, forte integrazione interna. Nell’idealtipo di distretto non vi è sollo il fatto che
tante imprese sono impiegate a produrre quella data merce, vi è anche differenziazione delle fasi che
riguardano l’intero ciclo del prodotto. Le caratteristiche principali dei sistemi locali sono:

 Integrazione interna
 Specializzazione in un settore merceologico
 Piccola media impresa

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 Scuole di formazione tecnica


 Organizzazioni private e no profit (legate al sociale)

Vi sono poi dimensioni tipicamente istituzionali che riguardano il già menzionato ruolo delle scuole di
formazione tecnica; si può aggiungere le camere di commercio, le banche, le università, gli enti locali.
Svolgono un ruolo di sostegno e di facilitazione dell’impianto di unità produttive.
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Vi sono dimensioni culturali, differenziate a loro volta da norme, valori e ideologie, in base alla presenza di
organizzazioni private o no profit con elevato profilo morale. Questo insieme viene spesso unificato sotto
l’etichetta del capitale sociale.

5. QUADRI CONCETTUALI DELLO SVILUPPO LOCALE

Interrogarsi sulle cause delle disparità esistenti ai vari livelli territoriali vuol dire chiedersi quali siano le
origini e le forme del cambiamento socio-territoriale (altrimenti detto dello sviluppo inteso quale
sottocategoria del mutamento). In termini analitici, si considera lo sviluppo come una sottocategoria del
mutamento.
Criteri identificativi del mutamento:
 Arco temporale
 Insieme di relazioni permanenti tra elementi
 Gerarchia delle relazioni e degli elementi
Ovvero si ha cambiamento quando nell’arco temporale prefissato di modificano gli elementi della struttura
ritenuti più alti della gerarchia
Elementi cruciali per misurare l’eventuale cambiamento:
1) Autonomia, misurabilità e mobilità del lavoro, terra e denaro sul mercato (luogo di incontro fra
domanda e offerta di beni da parte di attori razionali) - mobilità dei fattori di produzione
2) Avanzamento tecnologico sostenuto dalla capacità di ricreare la natura delle cose (esperimenti,
prodotti e macchine) e dalla rivoluzione mobiletica (per trasferire velocemente persone e cose)
3) Acquisizione dei diritti civili (libertà di opinione, di lavoro/produzione e di movimento), dei diritti
politici e dei diritti sociali

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Conseguenze-> crescita dei redditi, risparmi, investimenti, consumi, produzione e risorse oer la formazione
dei lavoratori
Questione: è rilevante o meno il contesto specifico in ci avvengono i processi di cambiamento? Le
dinamiche dello sviluppo riguardano singole aree o intenzioni tra esse (caratteristiche specifiche dei luoghi e
loro grado di apertura)?
Con attenzione al contesto in cui avvengono i processi di cambiamento (fattori endogeni o esogeni) e al
fatto se le dinamiche di sviluppo interessino singole aree o interazioni tra aree (ambito di analisi) è possibile
costruire la seguente tipologia:

AMBITO DI ANALISI

SINGOLE AREE INTERAZIONE FRA AREE

COMUNI (O ESOGENI)
Teoria della modernizzazione Teoria della dipendenza
Sviluppo come superamento dei vincoli Sviluppo come liberazione da rapporti
socioculturali (individuo razionale) di scambio iniqui (rapporti centro-
FATTORI periferia)

Teoria dello sviluppo endogeno Teoria dei reticoli sociali


Sviluppo come valorizzazione di diverse Sviluppo come capacità di instaurare
TIPICI (O ENDOGENI) risorse interne (path dependency) relazioni su diversi piai e con l’esterno
(capitale sociale)

a) Teoria della modernizzazione: anni ’50-’60 periodi di de-colonizzazione e confronto tra i blocchi
sulle prestazioni del proprio sistema produttivo. Nel blocco occidentale: idea di sviluppo come
processo universale caratterizzato dal rafforzamento delle amministrazioni statali, dalla diffusione
dei valori dell’impresa economica e dall’industrializzazione.
b) Teoria della dipendenza: attenzione non alle singole aree ma almeno a due in interazione reciproca
e sviluppo come liberazione dei rapporti di scambio iniqui (dipendenza di un Paesi dagli altri per
quanto riguarda tecnologia, capitali finanziari e canali di commercializzazione).
Caratteri della dipendenza di un paese rispetto ad un altro:
 Uso ma non sviluppo e controllo delle tecnologie basse accumulazione finanziaria e restrizione
dell’accesso al credito
 Struttura oligopolistica degli intermediari commerciali (collocati nei Paesi sviluppati) e finzione delle
regole di mercato (gerarchie tra imprese)
 Colonizzazione culturale (acquisizione dei valori dei Paesi centrali e percezione della propria
marginalità)
 Corruzione delle élite e delle burocrazie periferiche (asservite dal punto di vista culturale), assenza
di amministrazione autonome e di borghesie capaci di innescare lo sviluppo
Applicazione dei due schemi a diverse scale territoriali
Esempi:
rapporto nord-sud Italia
 Familismo amorale di Banfield: persistenza di valori come fattore di arretratezza economica e civile
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 Complementarietà patologica: mancato sviluppo del sud come funzionale a quello del nord
(manodopera a basso costo, vendita di prodotti in regime di quasi monopolio del sud)
 Mal sviluppo: divisione del lavoro tra produzione ad alta intensità di capitale al nord e bassa al sud
 Dualismo sulla dimensione aziendale: grande impresa al nord come sinonimo di sviluppo e piccola
al sud come indicatore di marginalità e arretratezza
c) Teoria dello sviluppo endogeno:
Entrambe le prospettive precedenti rinviano ad uno schema duale. Guardano invece i caratteri
specifici di un singolo territorio vi sono modelli di spiegazione storico-comparativi
Sviluppo come esito di fenomeni di lungo periodo (avvento della Riforma protestante, unificazione
nazionale, superamento del feudalesimo) -schemi non più dualistici ma pluridimensionali (due/tre
variabili dalla cui combinazione nascono tipi di ideali in cui collocare casi concreti)
Esempi:
- Studi di Weber sul capitalismo
- Teorie economiche dello sviluppo basate su modelli endogeni attenti alle declinazioni locali dei
fattori produttivi: investimento capitali, disponibilità lavoro e di tecnologia.
Due approfondimenti:
1. Ruolo della conoscenza come fattore di sviluppo. Declinazione della conoscenza con attenzione al:
- fattore lavoro: relazione tra sviluppo e alti livelli di istruzione;
- fattore innovazione: sottospecie dello sviluppo, applicazione dell’invenzione. Si ha innovazione
quando il neo prodotto o processo comporta un vantaggio per chi lo adotta. Importanza di variabili
territoriali.
La conoscenza può essere tacita o esplicita (verbale e comunicata) locale o universale.
- Quella tacita di solito è locale e a raggio di diffusione limitato. Spesso è considerata una esternalità
positiva, fattore di successo dei sistemi produttivi locale, derivante dalla contiguità fisica delle
imprese. Si tratta di conoscenze condivise da comunità di pratica ma non atte a diffondersi in modo
ubiquo (beni di club ad uso esclusivo ma non rivale il cui valore accresce con l’uso). Altre
conoscenze somigliano invece a beni pubblici (non possibile l’uso esclusivo e non perdono valore
usandole; es: conoscenze che derivano da istituti pubblici).
2. Political economy comportata:
- Approccio che coniuga due fattori, il gioco di interessi organizzati e la presenza di istituzioni dello
sviluppo
- Attenzione a questa relazione a tutti i livelli territoriali, in particolare locali: corporativismo locale,
situazioni in cui imprese e istituzioni stabiliscono un patto tacito per garantire lo spillover della
conoscenza e infrastrutture e servizi mirati (i cosiddetti beni pubblici dedicati o selettivi)
- Quindi, variante degli approcci storico-comparativi con particolare enfasi sullo scambio locale: ogni
area raggiunge particolari compromessi tra imprese e istituzioni sono funzionali alla crescita
economica (patti taciti o formalizzati che hanno ricadute su altre aree)
d) Teoria dei reticoli sociali
A differenza degli schemi duali ora il rapporto è tra aree è meno univoco (reticolarità come riduzione
delle gerarchie pur in presenza di forte interscambio, dalla dipendenza alla interdipendenza)

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Sviluppo come capacità di aree socialmente compatte di ridurre i costi di transizione a causa dell’elevata
fiducia tra attori economici localmente situati (importanza della fiducia alimentata da rapporti personali
frequenti e simmetrici)
Riduzione della dipendenza grazie alla combinazione di fattori tipici locali e capacità di mettersi in
relazione.
Esempio: città che riacquistano importanza grazie al fatto di essere sede di importanti eventi internazionali
o di flussi di finanziamento, aree turistiche o agricole capaci di valorizzare le proprie risorse e di inserirsi in
circuiti internazionali

5. POLITICA E TERRITORIO

La prospettiva socio-territoriale fornisce tre motivi per cui esiste un nesso relazionale fra politica e
territorio:
A) Istituzionali: territorio come principio di ordine gerarchico dell’organizzazione del potere e
articolazione spaziale (livelli amministrativi)
B) Metodologici: territorio come entità organica sede di comunità residenziali e delle relative funzioni
(che devono essere governate in modo organico) – esercizio coordinato di funzioni vitali (organicità)
C) Valoriali: territorio come area di azione del potere costituito finalizzato a controllare cose e persone
per contrastare le sperequazioni che violano i principi demografici – misure contro le sperequazioni
(equità territoriali)
Premessa terminologica secondo Weber:
1. Potenza: possibilità di far valere in una relazione sociale la propria volontà
2. Potere: possibilità di trovare una disposizione ad obbedire ad un comando (natura relazionale,
disposizione ad obbedire per abitudine, per convenienza e per legittimazione)
3. Disciplina: possibilità di trovare, in virtù di una disposizione acquisita, obbedienza
Potere:
- Natura pubblica (si esercita sulla collettività attraverso l’amministrazione)
- Stato come tipica istituzione che incarna l natura pubblica del potere
- Composizione dello stato: ente-sovrano legittimo, ordinamento, territorio come delimitazione
spaziale entro la quale esercitare atti vincolanti di entità sovrana – spazio come requisito della
statualità
- Associazione tra Stato-popolazione-territorio (demos come concetto che indica sia la popolazione
sia il territorio)

1. LE RELAZIONI INTERGOVERNATIVE
Lo stato nazionale si è venuto formando nel XIX secolo ed è il frutto de uno sforzo per controllare ed
esercitare funzioni su un ben preciso ambito spaziale. La formazione dello stato moderno viene vista come il
superamento di regimi feudali, attraverso la centralizzazione delle funzioni nelle mani del sovrano che mira
a esautorare i poteri locali. Quest’opera di centralizzazione dura secoli e trova un’ampia conferma con la
rivoluzione francese, messa in contrapposizione con l’organizzazione americana la quale era fondata
sull’adesione spontanea di autonomie locali a uno stato federale. Tutto ciò regge fino alla crisi della società

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di massa che si avverte con l’avvento del postfordismo. L’intervento dello stato centrale sembra insufficiente
a garantire equità. Si passa quindi a un decentramento, per alcune ragioni:
 Indebolimento dello stato per via della crisi fiscale e del rafforzamento di aree di libero scambio;
 Rafforzamento dell’idea che i bisogni e le relative risposte trovino una migliore organizzazione su
una scala inferiore a quella statale (sussidiarietà);
 Permanenza di tensioni etniche in grandi stati;
 Emergere di ideologie antistatalistiche
Si può tentare una sintesi adottando una classificazione in due stadi:
 Macrodistinzione fra stati federali e unitari
o Gli stati federali si possono distinguere dalle confederazioni per il fatto che la maggior parte
delle competenze sono in mani ai singoli stati che si sono uniti in un patto di alleanza per
svolgere funzioni comuni;
o Gli stati unitari si distinguono per via del modello francese/napoleonico o quello britannico;

La tipologia di Page, incrocia lo status giuridico e quello politico dei governi locali. Lo status giuridico si
riferisce alle competenze formali che sono concesse ai governi locali, quello politico guarda invece
all’accesso dei politici locali alle arene decisionali nazionali. Page quando applicò il suo modello giunse alla
conclusione che vi sono sostanzialmente due tipi di stato:

- I paesi dell’Europa settentrionale, nei quali vi è riconoscimento di un’ampia autonomia ai governi


locali sia in termini di capacità di spesa che di discrezionalità degli interventi, con il risultato però di
essere isolati rispetto al centro nazionale.
- I paesi dell’Europa del sud si trovano nella posizione opposta, poca autonomia ma forti legami
centro-periferia con trasferimenti discrezionali di risorse

La spiegazione che viene data a tale dualismo è:

 nel sud Europa vi è una forte dose di clientelismo (paton-client relationship) che comporta a fitte
relazioni di scambio discrezionale fra centro e periferia. In questi stati contano molto le capacità di
mediazione dei politici ai vari livelli;

In base all’aggiornamento della tipologia operato d Goldsmith, si nota la migliore posizione dei paesi centro
europei come Germania, Svizzera e Austria, nei quali i governi locali hanno massima autonomia legale ed
elevata influenza politica sul centro e una posizione al centro dello schema per i paesi come l’Italia, la
Spagna e la Francia. La situazione di paesi feudali come il Canada e l’Australia risulta essere peggiore.
Laddove sono più forti i livelli di governo intermedi, l’autonomia dei governi locali è più soffocata.

La peculiare situazione della Gran Bretagna fa capire come il livello di complessità sia aumentato nel
governo e nelle loro interrelazioni. Il concetto di regionalismo asimmetrico/differenziato indica quei paesi
in cui i governi locali hanno livello di autonomia differenziata. L’Italia con la presenza di ragioni a statuto
speciale è un caso ormai storico.

La distinzione di Page fra dimensione legale e quella politica può essere ulteriormente precisata,
individuando indicatori dinamici dell’autonomia locale, ovvero fattori che vanno oltre la semplice
attribuzione di competenze. Tre indicatori sono cruciali:

1. le entrate dei governi locali


2. il livello di spesa
3. la quantità di personale (dipendenti pubblici)

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in generale, si nota che i governi locali hanno spese superiori alle entrate per il fatto che godono di
trasferimenti dal centro e non sono in grado di coprire tutte le proprie uscite con le entrate derivanti da
proprie tasse e tariffe. Tuttavia vi sono diverse eccezioni tanto da far pensare a una classificazione degli stati
che vada oltre la dicotomia federali/unitari e introduca un più flessibile continuum.

Infatti, Keating imposta un continuum dove collocare a un estremo gli stati federali, nel mezzo diverse forse
di regionalismo e al polo opposto il cosiddetto regionalismo funzionale, ossia la delega di competenze non
a enti territoriali eletti a suffragio ma ad agenzie ad hoc.

Il pluralismo degli enti che lavorano ai diversi livelli territoriali induce ad abbandonare la categoria di
relazioni centro-periferia per adottare quella di relazioni intergovernative. Queste ultime possono basarsi
su quattro principi diversi: dipendenza, separazione, cooperazione e concorrenza. I primi due ricalcano i
modelli francese e britannico; in uno si esalta il valore dell’interesse nazionale, nell’altro il valore delle
autonomie locali. Nell’uno, i fondi sono erogati principalmente dal centro, i controlli sono almeno sulla carta
ampi e frequenti; nell’altro i controlli sono scarsi.

Nel modello cooperativo le competenze sono condivise, pur assegnando solitamente al livello più alto la
fase della legislazione e/o programmazione e a quello più basso la fase dell’attuazione. Anche il principio di
concorrenza finisce per scardinare i modelli più tradizionali di preventiva assegnazione dei ruoli e compiti
diversi. Esso introduce un elemento tipico del mercato.

In conclusione, i principali aspetti delle relazioni intergovernative:

 Si va verso la crescita dei livelli di governo (sovranazionali); governo metropolitano e subcomunali


 Si va verso una maggiore responsabilità e considerazione per i livelli bassi
 Vi è un’apertura a enti pubblici non territoriali (agenzie) e alle imprese profit e no profit, si parla in
generale di una contrattualizzazione delle politiche
 Il dinamismo dei governi locali è stato agevolato dalla crescita di entità sopranazionali e dallo
sviluppo delle comunicazioni, ciò ha permesso accordi e progetti fra enti locali su scala
interazionale.

2. LE POLITICHE TERRITORIALI: ASPETTI ANALATICI

L’analisi dell’orientamento territoriale ci consegna uno scenario molto dinamico nel quale gli enti pubblici si
muovono in un quadro di crescente interdipendenza e nella centrifugazione delle funzioni. In questo
scenario diventa sempre più difficile dedurre comportamenti dei singoli enti. L’aumento
dell’interdipendenza con la centrificazione delle funzioni dà come risultato l’azione istituzionale più
imprevedibile.

I motivi di questo dinamismo sono stati elencati; sono diversi e giova ricordare che non sono escluse
situazioni in controtendenza, ossia di uadi istituzionali precisi e molto vincolanti che riducono i margini di
manovrai dei governi locali, in generale si solleva una crescita di imprevedibilità dell’azione istituzionale. Il
territorio sollecita un approccio organico che nella fattispecie della politica si tramuta in interventi
coordinati e sistematici.

L’esigenza di organicità impone allora agli enti preposti di:

 Svolgere una funzione di coordinamento;


 Ordinare le suddette attività nel tempo; è la funzione di pianificazione;
 Permette il collegamento fra parti del territorio e gestione di infrastrutture;

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 Sopperire a carenze derivanti dalla distribuzione privata di beni all’erogazione di servizi. A loro volta
questi saranno distinti in servizi di welfare e servizi di utilità;

Alla base delle politiche territoriali vi sono due elementi di fondo:

- La partecipazione locale, si intrinseca a sua volta in tre dimensioni: diritto di parola, sussidiarietà e
solidarietà. La prima rispetto al diritto e la capacità di un attore di esprimere pubblicamente il
proprio parere su un determinato argomento. Un aspetto molto importante è la presenza della
sussidiarietà che riguarda la tendenza ad assegnare alle entità sociopolitiche di minore grandezza e
direttamene a contatto con il cittadino l’organizzazione di servizi di rilevanza pubblica. Questa a sua
volta viene divisa in: verticale (priorità al locale fra gli enti pubblici); orizzontale (priorità ai gruppi
della società civile sugli enti pubblici). Un altro aspetto importante è l’essere parte responsabile di
un tutto in quanto partecipare non significa solo rivendicare una propria autonomia ma anche
condividere il destino degli altri.
- La presenza di un bagaglio tecnico consiste in: conoscenze su un particolare ambito della realtà;
procedure standardizzate per stabilire priorità e decidere; strumenti per realizzare concretamente il
servizio; la conoscenza si traduce in termini di professionalità e le procedure in termini di decisioni.
L’incrocio fra attori inclusi e bagaglio tecnico produce dei processi che la policy analysis codifica in
termini di fasi.

3. LA PIANIFICAZIONE TERRIORIALE

La pianificazione territoriale nasce da una duplice esigenza:

- La tensione a superare gli squilibri geografici


- Il desiderio di utilizzare in maniera razionale le risorse del territorio

Gli urbanisti distinguono fra pianificazione territoriale o area vasta e quella urbana, più circoscritta.
Stabiliscono dei livelli di generalità nei piani: dal livello strutturale, in cui si prendono in considerazione le
invarianti del territorio, a quello strategico che tiene conto dell’imprevedibilità e complessità dinamica dei
moderni processi decisionali, fino a quello operativo, nel quale si vagliano le competenze e professionalità
degli apparati amministrativi.

Il piano urbanistico si compone di tre elementi:

- Relazione, è un documento che spiega la filosofia del piano.


- Norme, spiegano i criteri da adottare per costruire o ricostruire i manufatti e per organizzare gli
spazi aperti (qui si scatenano i maggiori conflitti).
- Carte, rappresentano il territorio suddiviso in zone.

La pianificazione territoriale si gioca, dal un lato, sul piano istituzionale e, dall’altro, sul piano della political
economy ovvero dei rapporti di forze fra gli interessi in campo. La partecipazione assolve il duplice scopo di
fornire informazioni sui bisogni dei cittadini e coinvolgerli nell’individuazione degli obiettivi.

4. I SERVIZI PUBBLICI LOCALI “UTILITIES” E CURA DELLA PERSONA

I servizi pubblici locali sono attività di servizio alla popolazione di una comunità. Sono delle attività di
servizio alla popolazione di una comunità che per loro natura necessitano di un’impronta, sia essa
l’erogazione diretta da parte di un ente locale o il fatto che questo si limiti a controllare e programmare il
servizio. L’art. 12 d.Igs 267/2000: servizio pubblico locale “servizio che ha per oggetto la produzione di beni
e attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile della comunità”.

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A. Servizi di cura/benessere della persona- d prossimità/comunità- o finali


B. Servizi intermedi/strumentali o utilities

Sono attività di supporto che devono essere erogati con continuità e che devono essere posti sotto il
controllo pubblico (universalizzazione delle prestazioni). Dal punto di vista della dimensione territoriale non
tutti i servizi sono erogati dall’ente locale e consistenti sono le differenze nazionali.

I servizi per gli edifici hanno un carattere tecnico-strumentale definiti con il termine utilities. I servizi di cura
alla persona hanno forti contenuti relazionali e affettivi. Ciò che li accumuna sul piano teorico sono due
aspetti: il primo riguarda il fatto che sono attività di supporto che devono essere erogate con continuità; e il
secondo che essi siano stati posti sotto il controllo pubblico.

Domanda:

a) In che misura questi servizi sono affidati a enti locali?


o Per quanto riguarda le utilities le soluzioni cambiano a seconda del bene erogato. I servizi
idrici e fognari, generalmente, vengono affidati a enti locali. In Italia, ad esempio, la rete
principale del gas è posseduta dal gruppo Eni.
o Per quanto riguarda i servizi sociali la situazione è articolata: alcuni, come quello
pensionistico, sono di pertinenza nazionale. I servizi sociale e sanitari in Italia sono
appannaggio delle regioni che si servono di enti strumentali, quali Asl.
b) Esistono ragioni teoriche per un radicamento locale di tali servizi?
o Sì: il motivo che la gestione locale permette di adattare meglio il servizio alle esigenze
specifiche del territorio e agevola un controllo diretto da parte dei cittadini
o No: sostiene che la gestione locale non permette economie di scala e cicli integrati che
richiedono grandi dimensioni spaziali. Inoltre, una gestione molto frammentata aumenta i
costi perché moltiplica gli uffici e i consigli di amministrazione.
Soluzioni sull’articolazione dei servizi sul territorio:
- Accorpamento: fondere diverse utilities pubbliche.
- Suddivisione delle funzioni (controttualizzazione delle politiche): distinzione tra i ruoli di controllo-
programmazione (pubblici) e i ruoli esecutivi (pubblici o provati). Vantaggi: l’utente finale può
ampliare la gamma delle organizzazioni da cui ottenere il servizio.
QUESTIONI:
1. Alcune funzioni sono condivise tra più livelli amministrativi e uno stesso ente può svolgere funzioni
diverse
2. Ruolo crescente delle imprese private e non profit a realizzare compiti affidati a enti pubblici locali e
programmati dalle regioni
3. I servizi intermediari hanno una struttura e un’erogazione di stampo industriale che permette un
facile calcolo del valore del bene fornito, quelli finali hanno invece obiettivi di cui è difficile valutare
l’efficacia
4. Perciò le utilities riescono più facilmente ad accorparsi in entità più grandi mentre i servizi, per
esempio di cura, resistono a processi di fusione e allargamento
5. L’impresa non profit occupa spazi marginali nel campo delle utilities. Il settore socio-sanitario ha
caratteri invece di forte radicamento territoriale
Privatizzazione della pubblica amministrazione (New Public Management)
Gestione della PA come organizzazione privata:
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 Nuove forme di gestione interna: contabilità analitica, controllo di gestione e direzione degli
obiettivi
 Separazione tra gestione e controllo come nelle s.p.a
 Rendicontazione da parte di enti terzi
 Rapporti con l’esterno (modello delle tre A: autorizzazione, accreditamento e accordo contrattuale)
 Project financing (costruzione di opere pubbliche da parte di privati a proprie spese e permesso di
gestire l’opera per un certo periodo)
 Edilizia contrattata (permesso di costruire contraccambiato dal privato con investimenti in opere
pubbliche o in denaro)

SERVIZI PUBBLICI LOCALI

STRUMENTALI SOCIOSANITARI
FONTE DI FINANZIALMETO Cittadini (pagamento tariffe) Cittadini (tassazione ordinaria)

REGOLATORE Unione Europea, stato, regioni Unione Europea, stato, regioni

FUNZIONE GESTORE Autorità ambiti territoriali ottimali Aziende sanitarie locali, comuni

ESECUTORE Impresa pubblica locale, imprese su Asl, comuni singoli o associati,

appalto privati e Ong in convenzione

5. LE POLITICHE PER LO SVILUPPO LOCALE


Politiche finalizzate a porre rimedio alle disparità territoriali. Essendo molte, e spesso, difficilmente
identificabili, si propone un loro inquadramento sintetico con attenzione ai diversi modelli di sviluppo.
Politiche: piano prescrittivo. Modelli: piano analitico
a) Teoria della modernizzazione: (anni ’50 e ’60)
attori: grandi imprese e istituti finanziari governativi (approccio neo classico in economia. Le azioni
sono quindi finalizzate a sostenere il movimento di capitali verso le aree depresse (es: politica
economica italiana degli anni ’50, soprattutto a vantaggio della grande impresa pesante). Strumenti:
incentivi alle imprese che localizzano in aree depresse
b) Teoria della dipendenza: (anni ’70)
disparità come conseguenza del cattivo funzionamento dell’economia capitalistica (politiche di
riequilibrio). Adozione di politiche keynesiane (opere pubbliche ì, nazionalizzazione di imprese,
concentrazione territoriale degli investimenti). Allo sviluppo cumulativo (polarizzazione in aree
ricche) si contrappone la creazione di poli industriali in aree depresse. Quindi attori: Ministeri
Industria e Finanze, imprese pubbliche, grandi imprese finanziarie, banche. Strumenti: incentivi alla
localizzazione di imprese, potenziamento della PA, creazione di patti-neo corporativi con gruppi di
interesse.
c) Teorie dello sviluppo endogeno (anni ’80 e ’90)
Presupposto: insufficienza del livello nazionale per contenere le differenze territoriali, capitale e
lavoro non più come le sole variabili economiche in gioco nella creazione dello sviluppo e elevati

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costi di transazione che non consentono più alla grande industria di rispondere a domande del
mercato sempre più flessibili.
Nascita delle politiche locali in senso sia territoriale sia di attori locali (piccole e medie imprese,
autorità locali e associazioni di categoria). Gli attori attuano azioni di sostegno finanziario,
commerciale e gestionale alle imprese locali, ovvero regie locali per promuovere servizi reali
Efficacia del modello del distretto industriale:
sostegno di queste politiche da parte dell’Unione europea e uso delle eccellenze di politica di
sviluppo locale al fine di creare un metodo di lavoro rispetto dei seguenti requisiti:
 Partenership pubblico-privato (governance)
 Co-finanziamento (co-responsabilità)
 Progetti coerenti con problemi e risorse (auto-determinazione dello sviluppo)
d) Teorie dei reticoli (anni ’90)
Presupposto: delocalizzazione produttiva, internazionalizzazione e de-territorializzazione anche dei
sistemi produttivi locali
Attori: attori pubblici, privati e non profit
Azioni: marketing, fondi pubblici esterni (per finanziare attraverso bandi pubblici i migliori progetti
di sviluppo), coalizioni tra amministrazioni locali (anche esterne) per acquisire risorse (reti come
strumenti di alleanza temporanea tra enti non contigui su singoli aspetti dello sviluppo)
Es: città di paesi o regioni diverse che si alleano per un progetto relativo alla mobilità urbana
sostenibile ma che sono nel contempo antagoniste circa lo sviluppo del proprio scalo aereo
Reticolarità a geometria variabile: compresenza di cooperazione e competizione tra aggregati
territoriali in funzione degli specifici oggetti
Strumenti: uffici di rappresentanza, incubatori, pianificazione strategica
Evoluzione delle politiche di sviluppo:
1. Progressiva centralità di enti locali e non profit
2. Dalla monetizzazione dello sviluppo all’attenzione ad aspetti immateriali
3. Allargamento dello spettro delle aree di intervento
4. Allentamento dell’attuazione specifica alle aree marginali favorendo la competizione d tutte le
entità locali
5. Politiche di sostegno della capacità progettuale delle amministrazioni
6. Territorialità come promozione di una comunità locale a tutti i livelli
7. Importanza della conoscenza
8. Dotazione del territorio con tecnologie dell’informazione e della comunicazione, richiamo di
imprese che investono in settori ad alta tecnologia, potenziamento delle strutture didattiche con
particolare attenzione all’alta formazione in discipline e settori emergenti
Conclusioni:

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a) Progressiva disarticolazione delle strutture e dei processi che presiedono alla pianificazione
territoriale sia all’interno delle istituzioni sia nel rapporto tra pubblica amministrazione e attori
esterni
b) Passaggio dalla legittimazione dall’alto alla legittimazione dal basso (processo di
contrattualizzazione in cui le politiche pubbliche si avvinano allo scambio di mercato)
c) Metafora della rete istituzionale: la disarticolazione avviene comprimendo le gerarchie ma non
superamento delle asimmetrie di potere e dei vincoli
d) Distribuzione differenziale di risorse materiali e immateriali (soprattutto la conoscenza), vincoli
normativi, dinamiche negoziali, come rappresentazione più completa della struttura delle politiche
territoriali
e) Importanza della valutazione (poiché i processi e gli esiti sono sempre meno scontati, vi sono molti
attori e aggiustamenti in itinere e per necessità di trasparenza)

CAPITOLO 6. CULTURE DEL TERRITORIO

1. Spazio e cultura

Gli eventi umani si collocano sempre in uno spazio fisico; lo spazio è definito dal tutto e grazie al nome
diventa “luogo” che è uno spazio che assume un significano/nome. Quando si hanno in quei luoghi delle
interazioni esse diventano locales, luoghi in cui diventano interazioni. Il passo ulteriore è quando quei luoghi
vengono apertamente difesi o promossi da un gruppo, e a quel tempo diventano “territori” ovvero locales
organizzati.

La cultura, vista dal punto di vista di Geertz, è una struttura di significati incorporati in simboli attraverso i
quali gli esseri umani comunicano e trasferiscono conoscenza e habitus, essa entra in tutti i passaggi.

Vi sono tre modi per poter approfondire la relazione fra territorio e cultura:

1. Gli esseri umani hanno un intrinseco senso del territorio, senso di appartenenza territoriale;
2. Spazio come categoria del conoscere; gli esseri umani usano le diverse declinazioni dello spazio
come metafore;
3. L’identità territoriale; nel fatto che i gruppi sociali creano continuamento oggetti culturali che poi
classificano, manipolano e anche scambiano.

2. Il senso di appartenenza territoriale

Pareto riteneva che gli esseri umani avessero delle tendenze di fondo, in larga misura innate e
immodificabili, che ne condizionavano il comportamento. Fra questi vi è la persistenza degli aggregati, con
la sottospecie “attaccamento ai luoghi”, ovvero un sentimento innato che non si giustifica. Gli uomini
credono di seguire i principi e ideali di alto profilo ma in realtà stanno rispondendo a questa specie di istinti.
Costituiti anche dalla razionalizzazione: trovare una giustificazione logica per un atteggiamento o
comportamento che tale non è.

Il senso di appartenenza territoriale può essere generato da un processo di simbolizzazione. Durkheim


spiega che il senso di appartenenza territoriale è una forma di riconoscimento affettivo della collettività
umana. È il frutto di una costruzione sociale che varietà a seconda della forza e della coesione di una
collettività.

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Tönnies tende a distinguere fra tipi di aggregazione umana. È nella “comunità”, dove la volontà individuali
sono fuse in un unico afflato, che si genera attaccamento reciproco e alle basi materiali della convivenza.
Quindi riscontreremo maggiore attaccamento nella società tradizionali, quelle in cui l’oggettivazione e
strumentalità dei rapporti umani è più ridotta. Il senso di appartenenza non ha solo una spiegazione sociale
è una predisposizione degli uomini a riconoscere il territorio come proprio, dove si sono svolte esperienze
(l’imprinting territoriale). Un altro modo per sviluppare questa prospettiva spinge verso l’etologia, che da
una spiegazione naturalistica e rinvia al senso di proprietà motivato dall’esigenza di ridurre i conflitti intra-
specie (attraverso la difesa dei confini).

La proprietà è un’astrazione delle territorialità del regno animale, evolutasi a riduzione della violenza intra-
specie. Contrassegnando i propri confini, la funzione della proprietà nelle società umane è quella di
prevenire i conflitti inter-umani.

Teoria del territorio del Sé di Goffman:

 Spazio personale
 Stallo
 Spazio d’uso
 Turno
 Rivestimento
 Territorio del possesso
 Riserva di informazioni
 Riserva conversazionale

Ogni individuo cerca di preservare uno spazio fisico, figurativo e relazionale. L’approccio etologico mette in
luce elementi comuni agli esseri umani e agli animali superiori, come la tendenza ad appropriarsi di un
territorio, a difenderlo, come anche subirne l’imprinting. Questo non esaurisce le multiformi modalità di
relazione fra gli uomini e l’ambiente. La mediazione culturale è la chiave dell’interpretativa per
comprendere questa relazione. La dimensione relazionale tratta delle relazioni tra le dimensioni soggettive
e oggettive, uomo-ambiente.

3. LO SPAZO COME CATEGORIA DEL CONOSCERE

1. Spazio e tempo

L’influenza fra strutture spaziali e azioni umane avviene nel tempo. Alfredo Mela propone di distinguere fra:

 Eventi che durano nel tempo


 Eventi ciclici
 Eventi singoli (spot)

Egli poi incrocia questa variabile con un’altra:

 Mantenimento dei confini spaziali: intende che le forme spaziali si mantengano nel tempo
 Ricerca di spazi di opportunità: intende che le forme spaziali mutino

Un’ulteriore metavariabile è che gli eventi possono essere o meno continui nello spazio fisico.

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FORMA SPAZIALE DINAMICA SCANSIONE TEMPORALE

DURATA CICLICITA’ SINGOLARITA’


Concerti
Continua (areali) riproduzione Residenza Fiere all’aperto
Circuiti sviluppo
mutamento Polo locale Expo
tecnologico
Sistema Turismo, Turismo
riproduzione trasporti campionati circo
Discontinua (reti)
Guerra Trans- Movimento
mutamento mondiale nazionalismo sociale

2. Il corpo e le pratiche

Il corpo con la sua materialità collocata nello spazio ci serve da metro di misura, ci aiuta a cogliere le
dimensioni fondamentali dello spazio, come il davanti e il dietro, il sotto e il sopra, la lateralità,
l’orientamento. Nell’esplorazione dello spazio tutti i sensi sono al lavoro per acquisire quel coordinamento
sensomotorio che è legato all’apprendimento dello spazio fuori del proprio corpo.

Low individua nell’atmosfera un punto d’incontro fra i meccanismi percettivi e i condizionamenti derivanti
da spazi strutturati. Nell’atmosfera di un luogo, contano i caratteri fisici e estetici, come anche il modo con
cui noi selezioniamo gli stimoli ambientali. È quindi un concetto che fa da ponte fra la dimensione della
soggettività e gli evidenti condizionamenti ambientali. La dimensione spaziale del corpo ci proietta su due
altri meccanismi sociali: le glosse del corpo e le pratiche.

Nel primo caso si entra nella famiglia dei linguaggi non verbali, si intende una comunicazione che avviene
grazie all’assunzione di posizioni o all’effettuazione di gesti ambi e visibili, tali da comunicare con chiarezza
un messaggio.

Nel secondo caso vi sono tre elementi in gioco: la corporeità dei soggetti, la collocazione spazio-temporale, i
gesti. È una serie di azioni irriflesse e meccaniche determinata da rapidi cortocircuiti fra percezioni,
valutazioni e gesti. Si può distinguere la pratica dell’azione che si presenta come maggiormente
“intenzionata”. Le pratiche hanno la loro radice teorica nel concetto di habitus di Bordieu. Sono in ultima
istanza “modi di fare”, sintetizzabili a tre A: atteggiamenti, azioni e ambientazioni. Riducono il rischio di
astrattezza e soggettivismo, permettono di andare oltre l’indagine di operazioni mentali.

3. La distanza

La distanza viene definita attraverso tre specificazioni:

- L’estraneità: mantenere la distanza per sancire estraneità da un certo tipo di soggetti. La misura
della distanza fisica della convivenza diventa un mezzo per interpretare la distanza culturale e il
desiderio di integrazione;

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- Il potere: distanza fisica che sancisce la distanza in termini di prestigio, ricchezza e potere, questo
avviene attraverso la formazione di gerarchie;
- Percezione: sfruttare la distanza per osservare le cose da un’altra prospettiva. Ponendosi a
un’elevata distanza dall’oggetto che si vuole studiare si riesce a coglierne meglio la natura e
permette di collocarla nella giusta scala dei fenomeni.

4. Il paesaggio

Il paesaggio è il modo in cui gli individui percepiscono il loro territorio. Designa una parte del territorio così
com’è percepito dalla popolazione, il cui carattere deriva da fattori umani e/o naturali e dalle loro
interrelazioni. Il paesaggio è come un’unità percettiva; prospettiva da cui guardare l’ambiente che ci
circonda. Simmel ha una visione ambivalente in quanto vi è una delimitazione arbitraria di ciò che è senza
soluzione di continuità; categoria a metà fra soggetto e oggetto (uomo e ambiente).

Si può riunire i criteri per interpretare il paesaggio in tre classi:

a) Cognitivi-percettivi: la tensione parte/tutto, selezione/inclusione etc


b) Valutativi: i valori e le utopie cui il paesaggio rimanda in quanto simbolo di unità sociale
c) Pragmatici: il paesaggio ci guida nel nostro muoverci quotidiano, dando senso alle nostre aioni

Il paesaggio viene preso in considerazione nella pianificazione territoriale in quanto punto di mediazione fra
istanze ambientalistiche e attese d’uso del territorio. Funziona, in contesti fortemente antropizzati, da
oggetto di confine, per precisarne i contenuti.

5. La zonizzazione e la disciplina urbanistica

La zonizzazione è la suddivisione di un territorio in subaeree ed è uno strumento per organizzare la


conoscenza, intesa come un’opera di distinzione e selezione; la ripartizione in zone della superficie di un
territorio diventa una condizione fondamentale per apprenderne i dati. È una categoria con cui le forme
spaziali sono interpretate.

a) Città come testo: città come fatto simbolico e storico, ovvero città come forma simbolica che
rappresenta valori culturali ed estetici (da interpretare come un testo e da guardare come un’opera
d’arte) es: città Toscana rinascimentale. Città come contenitore di opere d’arte ed essa stessa come
opera d’arte (opera d’arte ad alto contenuto simbolico che i confini sentono proprie e che
riconducono a valori e a temi collettivi)
b) Retoriche urbane: discorso retorico (relazione tra forma del discorso e forma urbana), sul carattere
della città e soprattutto sul suo futuro “le città che hanno un futuro sono quelle che lo hanno
scelto”. Da qui deriva la “meta-narrazione”, il discorso sul discorso (che consente di cogliere le
interazioni soggiacenti il discorso sulla città)
c) Eterotopie: a differenza delle utopie si tratta di luoghi reali assolutamente differenti dagli altri spazi
sociali dove questi ultimi sono nel contempo rappresentati, contestati e rovesciati. Es: specchio,
cimitero, cinema, teatro, carcere. Finalità: compensare, neutralizzare e purificare gli spazi sociali
d) Disciplina urbanistica: architettura come tecnologia politica (espedienti architettonici e urbanistici
per il controllo delle attività umane in una fase in cui il controllo si esercita sempre più attraverso
meccanismi razionali e l’autodisciplina del corpo)
 Es panoptico: edificio carcerario che permette grazie alla struttura radiale un controllo
permanente da una torre centrale. Altro esempio città della struttura radiale

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 Architettura come scienza per assicurare una cera collocazione della popolazione nello
spazio, e canalizzazione della sua circolazione
 Ambivalenza dei nuovi sistemi di controllo spaziale a distanza (supportati dalle tecnologie
della comunicazione): controllo invasivo ma nel contempo strumenti di comunicazione
 Ambivalenza anche della privacy: spazio di tutela dell’invasione delle proprie sfere intime
(ma essa stessa causa di asimmetrie tra coloro che riescono a tutelarla e colore che per
mancanza di mezzi sono esposti all’indiscrezione dell’osservatore)

4. LA COSTRUZIONE DELL’IDENTITA’ TERRITORIALE


Identità: diversi significati
- Continuità di un soggetto, al di là delle variazioni nel tempo e dell’adattamento nell’ambiente
- Delimitazione del soggetto rispetto agli altri
- Capacità di riconoscersi e di essere riconosciuto
Come noto l’identità ha nella sua stessa costituzione biologica aspetti relazionali e sociali e il pro cesso di
sviluppo dell’identità avviene in una relazione circolare con un sistema di delimitazioni
In altri termini, le relazioni strutturano l’identità (e le falle relazionali sono alla base della sua
destrutturazione) e l’autoidentificazione deve godere di un riconoscimento inter-soggettivo per fondare
l’identità (relazione tra auto-identificazione e sistema di relazioni)
Nelle situazioni critiche (aspettative contradditorie, perdita di appartenenze, nuovi sistemi normativi) si può
cadere nell’incapacità di produrre e mantenere una definizione di sé stabile.
Il paradosso dell’identità: la differenza per essere affermata e vissuta come tale suppone una cerca
uguaglianza e una certa reciprocità
Per comprendere l’identità territoriale occorre poi comprendere cosa sia l’identità collettiva.
Essa:
- Stabilisce i limiti della collettività rispetto all’ambiente socio-naturale;
- Regola l’appartenenza degli individui, definendo i requisiti per farne parte, i criteri per riconoscersi
ed essere riconosciti come membri
I processi di identificazione (sia individuali sia collettivi) si sono trasferiti dall’esterno all’interno della società
(fondamento dell’identità di tipo non più meta sociale ma dettato dall’agire umano associato, la cosiddetta
de-sacralizzazione)
Si parla anche di individualizzazione dei processi di attribuzione e di riconoscimento (identità come prodotto
della nostra azione conoscente e come risultato dell’auto-riflessione e non come un dato, più che identità si
parla di identizzazione per esprimere il carattere processuale, auto-riflessivo e costruito dalle definizioni del
sé).
In tal senso si parla di cultura come oggetto e di territorio come oggetto di valorizzazione simbolica.
Facendo riferimento al “diamante culturale” di Giswold, gli oggetti culturali riflettono le condizioni sociali
che a loro volta i influenzano e chi li produce hanno rapporti di reciproca influenza con chi li riceve
oggetti culturali rilevanti per l’identità territoriale sono:
- Manifestazioni di culturale locale (feste, studi locali, associazioni, organismi locali)
- Le ideologie del locale (fonte di coesione, benessere e sviluppo)

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- Le variabili etiche come fonte di legittimazione dei patiti politici (etno-territorialismo)

Due esempi: di identità territoriale:


a) DIASPORA: come riconoscimento che una etnia possiede una porzione dello spazio da difendere
(come esempio di costruzione sociale di una identità territoriale)
 Mondo sociale: forte stratificazione sociale
 Oggetto culturale°: patria ancestrale
 Creatore: imprenditori culturali forti e riconosciuti (forte attivismo)
 Ricevitore: soggetti sparsi pe il modo che si riconoscono no con una lingua, religione e altri
precetti
b) DISTRETTI O BACINI CULTURALI:
 Cultura con specificità locali da valorizzazione
 Offerta di oggetti culturali a vantaggio dei residenti nelle aree di fruizione
 Presenza di una economia della cultura
L’identità territoriale crea beni cultural che prevedono:
- Costi
- Benefici
- Professionisti degli eventi culturali
- Creazione di una industria culturale
o Valorizzazione economica con marchi ed etichette che rinviano alla presenza di un genius
loci a qualità artistiche e intellettuali tipiche di un luogo o alla combinazione di fattori umani
e naturali
- Promozione del valore del bene attraverso azioni di marketing territoriale
Critica al concetto di i.t:
- Secondo Bourdieu l’identità territoriale è costruita su singoli beni e pratiche culturali la cui fruizione
crea distinzione mentre il territorio come elemento d’identità è difficile da delimitare
- I luoghi sono beni pubblici per definizione (dai quali è difficile essere esclusi e il cui uso non
pregiudica quello di un altro) per cui i riferimenti alle identità territoriali corrono il rischio di essere
strumentali (o finalizzare a discriminare nella concessione dei diritti civili o a creare forme di
colonialismo giustificate sulla base di presunte forme di superiorità culturale)

CAPITOLOL 7. RIPARTIRE DALLA TERRA

1. Multidimensionalità della terra


Motivi del ritorno di attenzione politica nei confronti della terra e del suolo:
 Scarsità delle produzioni alimentari su scala mondiale
 Crisi ambientale: minaccia degli ecosistemi

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 Ripresa della valutazione simbolica della terra


 Crescita di attenzione verso il settore primario (poiché anche nei paesi urbanizzati e industrializzati
milioni di persone si occupano del settore primario, anche se non a tempo pieno “operai-contadini”
e ancora più numerose sono le aziende agricole)
 Sviluppo delle attività eco-agri-turistiche
2. Caratteristiche e innovazioni del settore primario italiano
 Forte frammentarietà del settore (molte aziende di piccole dimensioni, fattore che ostacola i
processi di razionalizzazione economica e produttiva). Tuttavia rivalutazione dell’efficacia dea
proprietà agricola diffusa al fine della conservazione del territorio (controllo sul degrado ambientale
e prevenzione allo spopolamento)
 Continuità della coltivazione per il consumo familiare e per gli scambi di breve raggio (oggi
valorizzati dai mercati locali, dalle filiere corte e dai gruppi di acquisto soldati)
 Diffusione degli agriturismi (idea iniziale: far vivere l’esperienza agricola a popolazioni urbanizzate) e
dell’agricoltura sociale (recupero di persone in stato di difficoltà, es: filone animalista che studia le
facoltà terapeutiche del contatto con gli animali)
 Sviluppo dell’agricoltura multifunzionale per l’offerta di servizi ambientali (controllo del territorio,
offerta di servizi di conservazione ambientale)
 Sviluppo della Politica Agricola Comunitaria (PAC) finalizzata a evitare crisi alimentari e problemi
distributivi attraverso:
o Liberazione delle risorse per le aree agricole

o Riduzione delle barriere a commercio internazionale delle domande alimentari per


stimolare la concorrenza tra gli operatori
o Entrambe gli interventi si scontrano con problemi di lobby (che premono per mantenere gli
aiuti alle aziende e contro la liberalizzazione del mercato) di territorio ambientale
(concorrenza di aziende extraeuropee che non devono sopportare i conti elevati di
produzione delle aziende europee)
3. Leggeri sulla terra
Testo d cicerchia centrato sul problema del crescente peso delle attività umane sul globo e sulla necessità di
approntare strumenti più integrati per analizzare e risolvere il fenomeno.
Percorso storico della questione:
 Studi di Malthus sulle conseguenze della crescita demografica
 Primavera silenziosa di Caeson, denuncia dei danni provocati dall’inquinamento da pesticidi
 Rapporto sui limiti dello sviluppo del Club di Roma del 1972
Due questioni:
 Questione qualitativa: alterazione dei meccanismi naturali di riproduzione della vita derivante
dall’immissione delle sostanze di sintesi nell’ambiente
 Questione quantitativa: progressiva diminuzione dello spaio vitale a disposizione degli esseri umani
e delle altre specie viventi
Con esclusiva attenzione alla seconda, la pressione sul suolo, sulle acque e sull’atmosfera è normalmente
misurata dal Modello DPSIR e dall’ESI. Entrambi sono utilizzati nei rapporti sullo stato dell’ambiente.
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4. Impronta ecologica
In qualsiasi ecosistema antropico, è possibile calcolare la pressione esercitata sull’ambiente in termini di
prelievo di risorse e di immissione di rifiuti attraverso l’indicatore di impronta ecologica. (esso misura l’area
di ecosistemi terrestri e acquatici richiesta per produrre le risorse che la popolazione umana consuma e per
assimilare i rifiuti che essa stessa produce ed è espresso in termini di superficie di territorio richiesta da ogni
individuo).
Essa si misura in ettari globali pro capite (così come la bio-capacità= capacità della natura di generare
materie prime e di eliminare sostanze nocive)
L’indicatore capovolge l’approccio classico alla sostenibilità legato al concetto di capacità di carico.
5. I super luoghi
L’attribuzione dell’aggettivo super ad alcuni luoghi (che risultano così sovraesposti a libello mediatico,
pratico e simbolico) rinvia a:
- Collocazione di questi luoghi nelle città (super luoghi per eccellenza)
- Persistenza di gerarchie spaziali tra i luoghi
Tipi di super luoghi:
- Del consumo (iper-valorizzazione delle attività commerciali, del consumo e della rendita)
- Dell’incontro (scambio, creatività e conflitto)
- ad alto contenuto simbolico

a) Super luoghi dei consumi:


Evoluzione del commercio al dettaglio dei piccoli negozi sparsi di grosse dimensioni concentrati nelle vie
commerciali o lungo i grandi assi stradali (grandi magazzini, supermercati, ipermercati, centri commerciali...)
Casi esterni: cittadelle dei servizi (vendita dei beni ma ance di servizi, anche di lesure). Critiche: concorrenza
al piccolo commercio e alimentazione culturale (centri commerciali)
b) Super luoghi dell’incontro:
Nelle città europee appaiano negli anni ’50 e ’60 anche se convivono due strutture del commercio (quella
diffusa dei piccoli negozi e quella concentrata dei contri commerciali)
Nascono negli Stati Uniti e Canada negli anni ’30 da palla maglio, pall mall, gioco tipico delle aree con negozi
delle città italiane del Rinascimento)
Idea base: costruire un vero centro commerciale attorno ad un grande magazzino (polo di attrazione).
Vocazione soprattutto alimentare del grande magazzino, con assenza di competizione, e sviluppo attorno di
esercizi commerciali (vendita di beni ma, in un secondo momento, anche in competizione tra loro. Quindi
spazio ibrido, per le compere ma anche per il tempo libero e per il divertimento.
Logica: servire popolazioni che abitano soprattutto nelle aree sub e peri-urbane, soddisfare non solo il
bisogno di acquisto ma di relazione sociale (servizi di ristorazione e per il divertimento nei centri di seconda
generazione). Soddisfare diversi tipi di bisogno anche quelli esotici e di fantasia.
Nel centro commerciale l’ingresso è libero, il che secondo Sennett ha reso la passività una norma (poiché è
venduto meno la pratica di mercanteggiare, dal rapporto con il banditore al rapporto con la merce
“spettacolarizzazione della merce”)

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Ma i centri commerciali sono anche luoghi sicuri, confortevoli e fantasiosi in cui si socializza al consumo
Tre tipi di servizi:
- Grande magazzino
- Altri negozi di vendita di beni materiali
Supermall: bacino di utenza regionale o interregionale
Forte diffusione mondiale, standardizzazione delle forme e della distribuzione dei beni, standardizzazione
dei comportamenti nonostante l’espansione delle possibilità di scelta rese possibili dalla globalizzazione.
In Europa e in Italia i centri commerciali non sempre hanno come polo di attrazione il divertimento, ma la
possibilità di trovare beni di marca a prezzi inferiori. Inoltre non hanno sostituito e si sommano a nuove a
vecchie forme di commercio.
Forte approccio valoriale (nei confronti sia della qualità del prodotto, sia sulle modalità di trasporto e
vendita sia del trattamento del riduttore. Consumo come esperienza di piacere collegato al luogo al tempo e
alla qualità della relazione con il venditore.

Contro critiche:
a. La piccola distribuzione è in crisi per motivi non necessariamente associati alla nascita della grande
distribuzione (poiché meno efficiente, più cara e non più associata alla gestione familiare)
b. la concentrazione spaziale dei centri commerciali è più funzionale alla segmentazione del tempo
libero delle famiglie moderne
c. l’organizzazione del la voro è diventata più esigente
d. i fattori di successo della grande distribuzione hanno creato le premesse per il riavvio del
commercio di strada (negozi di quartiere, mercati rionali circuito dell’usato-filiera corta) alla ricerca
dell’alta qualità dei prodotti o di relazioni di vicinato
e. l’inserimento dei centri della grande distribuzione nella categoria dei, cosiddetti non luoghi (e le
relative conseguenze in termini di spaesamento e insicurezza ontologica) è dubbia a causa di:
o scarsità di studi sul tema della società nei cosiddetti non luoghi compresenza di
frequentazione di centri commerciali, centri urbani ricchi di storia e sagre e feste paesane
o rapporto non rigido tra mobilità e attaccamento ai luoghi

o necessità di tener conto non tanto della presenza della grande distribuzione organizzata ma
di mobilità esclusive o meno di servirsene
o necessità di superare i vecchi dualismi della sociologia dei consumi (consumatore vittima o
consumatore sovrano) a vantaggio di letture attente al rapporto tra attore e struttura
sociale (pratiche e reciprocità tra commercianti e venditori)
i luoghi di consumo sono poi a loro volta oggetto di consumo
Consumo virtuale: consumo di immagini, seni, simboli, luoghi (apprezzati già solo per averli visti al di à di
essere vissuti). Opposizione fra sensazione e regione.
Del luogo vengono consumate non solo le immagini quanto l’atmosfera (intreccio tra architettura arte e
modi di vita) e le conseguenti sensazioni (di incanto, ispirazione, estraniazione) tipici delle cosiddette città
d’ambiente.

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Critica al consumo social: spettegolazione, banalizzazione, estremizzazione dei rapporti.


Conseguenze dei super luoghi del consumo:
- eccessiva presenza
- incremento della quotazione dei prezzi delle abitazioni
- elevato rendimento di negozi, capannoni e uffici

c) super luoghi dell’incontro:


Incontro: unità elementare di interazione focalizzata
Elementi caratterizzanti:
- presenza di un oggetto concordato
- elevata ritualità
- importanza dell’ambiente
- brevità temporale
- presenza di popolazioni (persone accomunate dalla condivisione spazio-temporale ma che non
interagiscono e si riconoscono in un creo comune)
Conseguenze dell’elevata concentrazione spaziale delle persone e dell’alta frequenza degli scambi:
- Simmel, comportamento blasè
- Durkheim, bi8sogno di differenziarsi per ridurre le tensioni derivanti dalla competizione
- aumento delle opportunità di scoprire cose nuove
- innovazione
- aumento delle tolleranze e della convivenza tra minoranze (come fattori di dinamismo sociale)
- creazione di interstizi, luoghi di vita della marginalità urbana- relazione tra città come luogo di
intensificazione degli scambi e città come sede della marginalità sociale
- problema della sicurezza

d) super luoghi ad alto contenuto simbolico:


Si tratta di luoghi che rappresentano valori forti e condivi dalla popolazione
1. spazi pubblici: ad essi sono associati i valori della aperura, libertà e confronto
Caratteristiche:
- morfologia spaziale
- normativa
Quindi spazio pubblico come super luogo della politica per antonomasia e del principio di cittadinanza
2. spazi sacri: si intendono quei loghi che sono investiti di significati e valori che trascendono l’indiviuo
- Inviolabili
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- Negativi
Vi sono alcune tendenze:
 Grandi manufatti tecnologici: oggetti di amministrazione e stupore per le meraviglie della
tecnica e l’abilità dei costruttori
 Bellezze artistiche e architettoniche, antiche e recenti e vi sono riferimenti alla nazione ma in
termini culturali e geografici
 Luoghi di culto
3. luoghi della memoria:

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