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DIRITTO

D’AUTORE E
DELLA
PUBBLICITÀ

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INDICE

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INTRODUZIONE
Definizione di Pubblicità per il diritto à Qualsiasi messaggio che può avere
l’effetto di incidere sulla domanda di beni o servizi.

La conseguenza di questa definizione è che (oltre alle classiche pubblicità, come il


tabellare del giornale, lo spot televisivo, ecc.) anche ciò che c’è scritto sul
packaging del prodotto può essere considerato pubblicità (Caso di specie: succo
d’arancia che presenta “contiene vitamina C” sul packaging - comparazione
sleale/ingannevole, si cerca di marcare la differenza rispetto ai competitors ma ogni
succo d’arancia contiene vitamina C), ma anche ovviamente il product placement,
così come le sponsorizzazioni (non necessariamente rimandanti ad un prodotto ma
anche solo ad un marchio, oppure Della Valle che propone di ristrutturare il
Colosseo a suo onere è pubblicità per il diritto).

Disciplina della concorrenza sleale à È il frutto dell’elaborazione dei giudici


che, nel secolo scorso, in alcuni paesi di “Civil Law” (non anglossassone), iniziano
ad utilizzare una previsione che nel nostro ordinamento privato è l’articolo 2043
C.C., ovverosia la Clausola Generale di Responsabilità Civile, che semplicemente
dice che chi arreca ad altri un danno ingiusto con dolo o colpa deve risarcirlo.
Sfruttando questa previsione generale, i giudici iniziano a sanzionare il
comportamento degli imprenditori che si comportano in maniera scorretta verso i
loro concorrenti - uno di questi comportamenti è la pubblicità ingannevole.

Tutte le volte che l’imprenditore offre sul mercato i propri beni e servizi e
comunica qualcosa sulla domanda del consumatore esso va regolato nei limiti del
diritto della pubblicità. La pubblicità ingannevole è quel messaggio che incide
sulla domanda di beni o servizi idoneo a trarre in inganno chi sta sul mercato
dal lato della domanda.

La sanzione è coerente coi principi di fondo dell’economia di mercato - si sta


parlando della sovranità del consumatore, perno dell’economia di mercato. Il
premio per l’economista virtuoso (che sceglie un target e propone il giusto prodotto
al giusto prezzo, soddisfano il target mirato in termini di budget e necessità) è la
domanda stessa. Con la pubblicità ingannevole non solo arreco danno al
consumatore (che ovviamente sceglie male in quanto ingannato, acquista un
prodotto che non gli serve o non lo soddisfa o ha un rapporto Q/P meno
conveniente), ma anche ai concorrenti più produttivi (che hanno letto meglio il
target e calibrato meglio l’offerta e dovevano essere premiati dal consumatore) -
impedisco all’economia di mercato di funzionare in modo efficiente, premiando
quindi chi alloca male il budget, non è efficiente e ha minore produttività. In questo
scenario colpire la pubblicità ingannevole è coerente con le logiche fondamentali di
mercato.

Fino ad inizio 900 à Concorrenza perfetta: Si pensa che dato un numero indefinito
di offerenti il prezzo tende al costo marginale più il saggio medio di profitto.

Negli anni ’30 à due economisti inglesi sconvolgono le regole generali del
mercato, considerato ingenuamente in concorrenza perfetta fino ad allora.
Robinson (concorrenza imperfetta) che contesta che nel mercato l’offerta sia
illimitata, mentre Chamberlain (concorrenza monopolistica) sostiene che i
prodotti non siano affatto indifferenziati, bensì distinguibili tra loro, per
innovazione tecnologica e per marchi e pubblicità (isole di monopolio). Due fattori
potentissimi della realtà del mercato che creano differenziazioni sia quando c’è
innovazione tecnologica sia quando non c’è nessuna innovazione.
à Il selling power dei prodotti è esaltato dalla pubblicità, il marchio distingue il

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prodotto e veicola messaggi (di qualità, di stili di vita, di prestigio), è uno status
symbol, consente il suo posizionamento sul mercato. L’idea di Chamberlain è che
in realtà i prodotti offerti nei mercati in cui i marchi e la pubblicità sono rilevanti
non vivono nel grande mare della concorrenza, bensì in isole di monopolio
circondate da alte mura (che rappresentano la capacità evocativa del marchio,
prestigio del marchio, investimenti pubblicitari), che impediscono il libero accesso
della concorrenza. All’interno di queste nicchie posso alzare il prezzo fino
all’altezza di quelle mura. Ecco perché i 10 centesimi della stampa della griffe
sulla maglietta ripagano fino a 50 volte del costo unitario.

Se ci fosse una concorrenza perfetta, chiunque si azzarderebbe ad aumentare il


prezzo oltre il limite di CMa = SMaS cesserebbe d’intercettare la domanda e
dovrebbe riabbassare la richiesta economica - ma se si pongono le alte mura,
dentro la nicchia il produttore ridefinisce le regole ed il prezzo, protetto da queste
barriere, può crescere.
à La pubblicità, in questo scenario, è lo strumento per alterare le condizioni di
concorrenza perfetta ed è per questo motivo che le norme che la regolano,
prima della WW2, sono morto restrittive.
- In quegli anni non si può parlare del concorrente (soprattutto in Italia,
dove chi lo fa viene sanzionato per denigrazione), visto che l’unico modo
che si ha per parlare dei concorrenti è male, logicamente.
- Anche per la pubblicità ingannevole il rigore era massimo: il parametro
sul quale si tarava la valutazione di ingannevolezza era il consumatore
più sprovveduto. Egli è individuato come il meno provvisto di esperienza,
conoscenze e di acume tra i consumatori medi di un prodotto.

In questi anni la scuola di economia industriale di Harvard, in materia di diritto


antitrust, elabora a fondo la nozione di “Barriera all’ingresso”: Regolazione
pubblica, diritti di proprietà intellettuale, economia di scale, investimenti
pubblicitari à sono tutte barriere all’ingresso.
Chi è già nel mercato da tempo e ha già investito, anche in comunicazione, ha già
le sue barriere all’ingresso ben erette e andava quindi assoggettato ad uno speciale
regime di responsabilità e di rigore nella comunicazione con il mercato. In
quell’ambito, coi giudici (civili) molto rigorosi, per far crescere le professionalità
nel mondo pubblicitario, viene stipulata un’alleanza tra gli operatori di quel
mercato - nasce così l’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria.

- Nel 1966 esce il primo codice di disciplina: a stilarlo sono le associazioni


di categoria di media (giornali a stampa e Rai, con il suo Carosello),
inserzionisti e creativi pubblicitari. Il corpo di norme è molto più
complesso ed elaborato dei due unici e generalissimi art. del CC che
regolamentano la pubblicità e la categoria decide di assoggettarsi a queste
norme volontariamente. In accordo col rigore giuridico ordinario dei tempi,
si decide che anche l’organo giuridico dello IAP - il Giurì, che decide su
dispute interne agli associati dello IAP o tra terze parti che devono
attenersi al regolamento IAP - doveva tenere un certo livello di rigore. Lo
IAP stila queste regole cercando di rimanere vicino all’esperienza
giuridica: la pubblicità comparativa più pericolosa e problematica viene
bandita - quella comparativa diretta nominativa, che menziona il marchio
del concorrente. È molto circospetto nei confronti della comparativa
indiretta (1 fustino di Dixan vs 2 fustini bianchi). L’idea di fondo che
permea tutte le nuove norme dell’IAP, tuttavia, è quella di proteggere la
pubblicità come istituzione. Quest’idea matura guardando anche
l’esperienza statunitense: grande libertà nella pubblicità e nella
comunicazione ma anche disastrose guerre pubblicitarie, con risultati
negativi per l’intero sistema economico. L’IAP, infatti, realizza che quando

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la comparazione è troppo aggressiva, si cammina troppo sul filo della
pubblicità ingannevole, quando la competizione è esasperata, ciò che viene
screditato è l’istituto stesso della pubblicità ed il consumatore inizia a non
crederci più e avere un rigetto verso la comunicazione d’impresa. Il codice
di autodisciplina regolamenta (in maniera minuziosa) tante fasi della
comunicazione d’impresa con l’intento di sterilizzare i momenti di
maggiore ostilità, dichiaratamente per salvare la pubblicità come
istituzione.

- Cambiano però i tempi e cambia la percezione della pubblicità: la


pubblicità viene finalmente intesa come oggetto dal potenziale valore
artistico e si ricalibra la riflessione - se prima erano barriere all’ingresso,
ora vengono viste come effetti naturali del mercato. L’IAP viene affiancato
dalla giurisprudenza italiana ed europea su pubblicità ingannevoli,
comparative, direttive sulle pratiche commerciali sleali del 2005 (che crea
un framework di regole molto più ampio, dividendo le pratiche ingannevoli
e aggressive), DL 146 del 2007.

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07/10/21
Decreto Legislativo 2 agosto 2007, n. 145
Art. 1. Finalità
1. Le disposizioni del presente decreto legislativo hanno lo scopo di tutelare
i professionisti dalla pubblicità ingannevole e dalle sue conseguenze
sleali, nonche' di stabilire le condizioni di liceità della pubblicità
comparativa.
2. La pubblicità deve essere palese, veritiera e corretta.

Art. 2. Definizioni
1. Ai fini del presente decreto legislativo si intende per:
a. pubblicità: qualsiasi forma di messaggio che e' diffuso, in qualsiasi
modo, nell'esercizio di un'attività commerciale, industriale,
artigianale o professionale allo scopo di promuovere il trasferimento
di beni mobili o immobili, la prestazione di opere o di servizi oppure
la costituzione o il trasferimento di diritti ed obblighi su di essi;
b. pubblicità ingannevole: qualsiasi pubblicità che in qualunque modo,
compresa la sua presentazione e' idonea ad indurre in errore le
persone fisiche o giuridiche alle quali e' rivolta o che essa raggiunge
e che, a causa del suo carattere ingannevole, possa pregiudicare il
loro comportamento economico ovvero che, per questo motivo, sia
idonea a ledere un concorrente;
c. professionista: qualsiasi persona fisica o giuridica che agisce nel
quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o
professionale; e chiunque agisce in nome o per conto di un
professionista;
d. pubblicità comparativa: qualsiasi pubblicità che identifica in modo
esplicito o implicito un concorrente o beni o servizi offerti da un
concorrente;
e. operatore pubblicitario: il committente del messaggio pubblicitario
ed il suo autore, nonche', nel caso in cui non consenta
all'identificazione di costoro, il proprietario del mezzo con cui il
messaggio pubblicitario e' diffuso ovvero il responsabile della
programmazione radiofonica o televisiva.

Art. 3. Elementi di valutazione


1. Per determinare se la pubblicità e' ingannevole se ne devono considerare
tutti gli elementi, con riguardo in particolare ai suoi riferimenti:
a. alle caratteristiche dei beni o dei servizi, quali la loro disponibilità,
la natura, l'esecuzione, la composizione, il metodo e la data di
fabbricazione o della prestazione, l'idoneità allo scopo, gli usi, la
quantità, la descrizione, l'origine geografica o commerciale, o i
risultati che si possono ottenere con il loro uso, o i risultati e le
caratteristiche fondamentali di prove o controlli effettuati sui beni o
sui servizi;
b. al prezzo o al modo in cui questo e' calcolato ed alle condizioni alle
quali i beni o i servizi sono forniti;
c. alla categoria, alle qualifiche e ai diritti dell'operatore pubblicitario,
quali l'identità, il patrimonio, le capacità, i diritti di proprietà
intellettuale e industriale, ogni altro diritto su beni immateriali
relativi all'impresa ed i premi o riconoscimenti.

Art. 4. Condizioni di liceità della pubblicità comparativa


1. Per quanto riguarda il confronto, la pubblicità comparativa e' lecita se
sono soddisfatte le seguenti condizioni:
a. non e' ingannevole ai sensi del presente decreto legislativo o degli
articoli 21, 22 e 23 del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206,
recante «Codice del consumo»;
b. confronta beni o servizi che soddisfano gli stessi bisogni o si
propongono gli stessi obiettivi;
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c. confronta oggettivamente una o più caratteristiche essenziali,
pertinenti, verificabili e rappresentative, compreso eventualmente il
prezzo, di tali beni e servizi;
d. non ingenera confusione sul mercato tra i professionisti o tra
l'operatore pubblicitario ed un concorrente o tra i marchi, le
denominazioni commerciali, altri segni distintivi, i beni o i servizi
dell'operatore pubblicitario e quelli di un concorrente;
e. non causa discredito o denigrazione di marchi, denominazioni
commerciali, altri segni distintivi, beni, servizi, attività o posizione
di un concorrente;
f. per i prodotti recanti denominazione di origine, si riferisce in ogni
caso a prodotti aventi la stessa denominazione;
g. non trae indebitamente vantaggio dalla notorietà connessa al
marchio, alla denominazione commerciale ovvero ad altro segno
distintivo di un concorrente o alle denominazioni di origine di
prodotti concorrenti;
h. non presenta un bene o un servizio come imitazione o contraffazione
di beni o servizi protetti da un marchio o da una denominazione
commerciale depositati.
2. Il requisito della verificabilità di cui al comma 1, lettera c), si intende
soddisfatto quando i dati addotti ad illustrazione della caratteristica del
bene o servizio pubblicizzato sono suscettibili di dimostrazione.
3. Qualunque raffronto che fa riferimento a un'offerta speciale deve
indicare in modo chiaro e non equivoco il termine finale dell'offerta
oppure, nel caso in cui l'offerta speciale non sia ancora avviata, la data
di inizio del periodo nel corso del quale si applicano il prezzo speciale o
altre condizioni particolari o, se del caso, che l'offerta speciale dipende
dalla disponibilità dei beni e servizi.

Art. 5. Trasparenza della pubblicità


1. La pubblicità deve essere chiaramente riconoscibile come tale. La
pubblicità a mezzo di stampa deve essere distinguibile dalle altre forme
di comunicazione al pubblico, con modalità grafiche di evidente
percezione.
2. I termini «garanzia», «garantito» e simili possono essere usati solo se
accompagnati dalla precisazione del contenuto e delle modalità della
garanzia offerta. Quando la brevità del messaggio pubblicitario non
consente di riportare integralmente tali precisazioni, il riferimento
sintetico al contenuto ed alle modalità della garanzia offerta deve essere
integrato dall'esplicito rinvio ad un testo facilmente conoscibile dal
consumatore in cui siano riportate integralmente le precisazioni
medesime.
3. E' vietata ogni forma di pubblicità subliminale.

Art. 6. Pubblicità di prodotti pericolosi per la salute e la sicurezza


1. E' considerata ingannevole la pubblicità che, riguardando prodotti
suscettibili di porre in pericolo la salute e la sicurezza dei soggetti che
essa raggiunge, omette di darne notizia in modo da indurre tali soggetti a
trascurare le normali regole di prudenza e vigilanza.

Art. 7. Bambini e adolescenti


1. E' considerata ingannevole la pubblicità che, in quanto suscettibile di
raggiungere bambini ed adolescenti, abusa della loro naturale credulità o
mancanza di esperienza o che, impiegando bambini ed adolescenti in
messaggi pubblicitari, fermo quanto disposto dall'articolo 10 della legge 3
maggio 2004, n. 112, abusa dei naturali sentimenti degli adulti per i più
giovani.
2. E' considerata ingannevole la pubblicità, che, in quanto suscettibile di
raggiungere bambini ed adolescenti, può, anche indirettamente,
minacciare la loro sicurezza.

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Art. 8. Tutela amministrativa e giurisdizionale
1. L'Autorità garante della concorrenza e del mercato, di seguito chiamata
Autorità, esercita le attribuzioni disciplinate dal presente articolo.
2. L'Autorità, d'ufficio o su istanza di ogni soggetto o organizzazione che ne
abbia interesse, inibisce la continuazione ed elimina gli effetti della
pubblicità ingannevole e comparativa illecita. Per lo svolgimento dei
compiti di cui al comma 1, l'Autorità può avvalersi della Guardia di
Finanza che agisce con i poteri ad essa attribuiti per l'accertamento
dell'imposta sul valore aggiunto e dell'imposta sui redditi.
3. L'Autorità può disporre con provvedimento motivato la sospensione
provvisoria della pubblicità ingannevole e comparativa illecita in caso di
particolare urgenza. In ogni caso, comunica l'apertura dell'istruttoria al
professionista e, se il committente non e' conosciuto, può richiedere al
proprietario del mezzo che ha diffuso il messaggio pubblicitario ogni
informazione idonea ad identificarlo. L'Autorità può, altresì, richiedere
ad ogni soggetto le informazioni ed i documenti rilevanti al fine
dell'accertamento dell'infrazione. Si applicano le disposizioni previste
dall'articolo 14, commi 2, 3 e 4, della legge 10 ottobre 1990, n. 287.
4. In caso di inottemperanza, senza giustificato motivo, a quanto disposto
dall'Autorità ai sensi dell'articolo 14, comma 2, della legge 10 ottobre
1990, n. 287, l'Autorità applica una sanzione amministrativa pecuniaria
da 2.000,00 euro a 20.000,00 euro. Qualora le informazioni o la
documentazione fornite non siano veritiere, l'Autorità applica una
sanzione amministrativa pecuniaria da 4.000,00 euro a 40.000,00 euro.
5. L'Autorità può disporre che il professionista fornisca prove sull'esattezza
materiale dei dati di fatto contenuti nella pubblicità se, tenuto conto dei
diritti o degli interessi legittimi del professionista e di qualsiasi altra
parte nel procedimento, tale esigenza risulti giustificata, date le
circostanze del caso specifico. Se tale prova e' omessa o viene ritenuta
insufficiente, i dati di fatto sono considerati inesatti.
6. Quando la pubblicità e' stata o deve essere diffusa attraverso la stampa
periodica o quotidiana ovvero per via radiofonica o televisiva o altro
mezzo di telecomunicazione, l'Autorità, prima di provvedere, richiede il
parere dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.
7. Ad eccezione dei casi di manifesta scorrettezza e gravità l'Autorità può
ottenere dal professionista responsabile della pubblicità ingannevole e
comparativa illecita l'assunzione dell'impegno a porre fine all'infrazione,
cessando la diffusione della stessa o modificandola in modo da eliminare
i profili di illegittimità. L'Autorità può disporre la pubblicazione della
dichiarazione di assunzione dell'impegno in questione, a cura e spese del
professionista. In tali ipotesi, l'Autorità, valutata l'idoneità di tali
impegni, può renderli obbligatori per il professionista e definire il
procedimento senza procedere all'accertamento dell'infrazione.
8. L'Autorità, se ritiene la pubblicità ingannevole o il messaggio di
pubblicità comparativa illecito, vieta la diffusione, qualora non ancora
portata a conoscenza del pubblico, o la continuazione, qualora sia già
iniziata. Con il medesimo provvedimento può essere disposta, a cura e
spese del professionista, la pubblicazione della delibera, anche per
estratto, nonche', eventualmente, di un'apposita dichiarazione
rettificativa in modo da impedire che la pubblicità ingannevole o il
messaggio di pubblicità comparativa illecito continuino a produrre
effetti.
9. Con il provvedimento che vieta la diffusione della pubblicità, l'Autorità
dispone inoltre l'applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria
da 5.000,00 euro a 500.000,00 euro, tenuto conto della gravità e della
durata della violazione. Nel caso di pubblicità che possono comportare un
pericolo per la salute o la sicurezza, nonche' suscettibili di raggiungere,
direttamente o indirettamente, minori o adolescenti, la sanzione non può
essere inferiore a 50.000,00 euro.
10. Nei casi riguardanti pubblicità inserite sulle confezioni di prodotti,

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l'Autorità, nell'adottare i provvedimenti indicati nei commi 3 e 8, assegna
per la loro esecuzione un termine che tenga conto dei tempi tecnici
necessari per l'adeguamento.
11. L'Autorità garante della concorrenza e del mercato, con proprio
regolamento, da emanarsi entro novanta giorni dalla data di
pubblicazione del presente decreto legislativo, disciplina la procedura
istruttoria, in modo da garantire il contraddittorio, la piena cognizione
degli atti e la verbalizzazione.
12. In caso di inottemperanza ai provvedimenti d'urgenza e a quelli inibitori
o di rimozione degli effetti di cui ai commi 3, 8 e 10 ed in caso di
mancato rispetto degli impegni assunti ai sensi del comma 7, l'Autorità
applica una sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000,00 a
150.000,00 euro. Nei casi di reiterata inottemperanza l'Autorità può
disporre la sospensione dell'attività d'impresa per un periodo non
superiore a trenta giorni.
13. I ricorsi avverso le decisioni adottate dall'Autorità sono soggetti alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Per le sanzioni
amministrative pecuniarie conseguenti alle violazioni del presente
decreto si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni contenute nel
capo I, sezione I, e negli articoli 26, 27, 28 e 29 della legge 24 novembre
1981, n. 689, e successive modificazioni. Il pagamento delle sanzioni
amministrative di cui al presente articolo deve essere effettuato entro
trenta giorni dalla notifica del provvedimento dell'Autorità.
14. Ove la pubblicità sia stata assentita con provvedimento amministrativo,
preordinato anche alla verifica del carattere non ingannevole della stessa
o di liceità del messaggio di pubblicità comparativa, la tutela dei soggetti
e delle organizzazioni che vi abbiano interesse, e' esperibile in via
giurisdizionale con ricorso al giudice amministrativo avverso il predetto
provvedimento.
15. E' comunque fatta salva la giurisdizione del giudice ordinario in materia
di atti di concorrenza sleale, a norma dell'articolo 2598 del codice civile,
nonche', per quanto concerne la pubblicità comparativa, in materia di
atti compiuti in violazione della disciplina sul diritto d'autore protetto
dalla legge 22 aprile 1941, n. 633, e successive modificazioni, e del
marchio d'impresa protetto a norma del decreto legislativo 10 febbraio
2005, n. 30, e successive modificazioni, nonche' delle denominazioni di
origine riconosciute e protette in Italia e di altri segni distintivi di
imprese, beni e servizi concorrenti.
16. Al fine di consentire l'esercizio delle competenze disciplinate dal
presente decreto, il numero dei posti previsti per la pianta organica del
personale di ruolo dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato
dall'articolo 11, comma 1, della legge 10 ottobre 1990, n. 287, e'
incrementato di venti unità, di cui due di livello dirigenziale. Ai
medesimi fini, e' altresì incrementato di dieci unità il numero dei
contratti di cui all'articolo 11, comma 4, della legge 10 ottobre 1990, n.
287, e l'Autorità potrà avvalersi dell'istituto del comando per un
contingente di dieci unità di personale. Agli oneri finanziari derivanti
dalla presente disposizione si farà fronte con le risorse raccolte ai sensi
dell'articolo 10, comma 7-bis, della legge 10 ottobre 1990, n. 287.

Art. 9. Autodisciplina
1. Le parti interessate possono richiedere che sia inibita la continuazione
degli atti di pubblicità ingannevole o di pubblicità comparativa ritenuta
illecita, ricorrendo ad organismi volontari e autonomi di autodisciplina.
2. Iniziata la procedura davanti ad un organismo di autodisciplina, le parti
possono convenire di astenersi dall'adire l'Autorità fino alla pronuncia
definitiva, ovvero possono chiedere la sospensione del procedimento
innanzi all'Autorità, ove lo stesso sia stato attivato, anche da altro
soggetto legittimato, in attesa della pronuncia dell'organismo di
autodisciplina. L'Autorità, valutate tutte le circostanze, può disporre la
sospensione del procedimento per un periodo non superiore a trenta

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giorni.

Art. 10. Neutralità finanziaria


1. Dall'attuazione del presente decreto non devono derivare nuovi o
maggiori oneri per la finanza pubblica.

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Pubblicità ingannevole
Quattro i corpi di regole da tenere, quattro mondi tra loro concettualmente divisi
ma comunicanti.

1. La disciplina del CC in materia di concorrenza sleale;


2. La disciplina prevista del DL 145/2007 in tema di pubblicità ingannevole e
comparazione sleale;
3. Gli arti. 18 e seguenti del codice del consumo, che vietano le pratiche
commerciali scorrette;
4. Il codice dell’autodisciplina della comunicazione commerciale dell’IAP
(istituto autodisciplina pubblicitaria)

Sono anche applicati da 4 figure differenti:


- Nel primo caso viene applicata dal giudice civile ordinario (comcorrente);

- Nel secondo e terzo sono applicate da un’autorità amministrativa


indipendente, il Garante della Concorrenza e del Mercato - che ha competenze
in tema di pratiche commerciali scorrette (molto più ampia rispetto alla
pubblicità ingannevole - che tuttavia contiene) ed antitrust. Quest’autorità entra
in gioco con le competenze di pratiche comm. scorrette quando il soggetto
potenzialmente danneggiato è un consumatore, ovvero un soggetto che si
accosta al mercato per soddisfare bisogni personali propri o della propria
famiglia. Quando invece il comportamento danneggia un altro imprenditore, si
applica la disciplina sulla pub. Ingannevole e sleale (DL 145/2007) (es bene di
carattere professionale, non consumatore)

- Il quarto, il codice di autodisciplina invece va approcciato in altro modo: è una


serie di contratti (di carattere privato quindi) in cui le parti che compongono
l’IAP si vincolano a rispettare le norme autoimpostosi e ad assoggettarsi al
giudizio di un organo interno, il Giurì dello IAP, nonché a cessare ogni
comunicazione pubblicitaria che il Giurì dichiari contraria al codice.

Che sanzioni possono dare questi organi?


- Il giudice civile è l’unica figura, tra queste, cessazione, ma è l’unico ad
essere in grado di ordinare un risarcimento alla parte lesa. Come tutti i
procedimenti davanti al giudice civile, però sono lunghi, costosi e le parti
lese hanno l’onere di fare la prima mossa e dare l’impulso all’indagine e al
processo.
- L’autorità antitrust (secondo e terzo caso), invece, ha potere d’impulso:
ciò gli consente di investigare la conformità delle modalità di
comunicazione o di commercio delle imprese senza dover
necessariamente ricevere denunce da parte di terzi (che comunque può
accogliere). Le sanzioni sonno amministrativo-pecuniarie (delle multe da
pagare allo Stato, molto salate - fino ad €5M per ogni violazione,
ovviamente cumulabili). → AGCM inoltre, quando rileva l’infrazione, può
ordinare la pubblicazione della decisione a spese della violazione (cosa che
può fare anche il giudice ordinario) e/o un comunicato di rettifica, che
obbliga a pagare l’imprenditore per un comunicato a caratteri ben visibili
su testate giornalistiche in cui si dice “peste e corna” del suo prodotto.
L’unica sanzione che il Giurì dell’IAP può ordinare è un invito a desistere dalla
continuazione della campagna pubblicitaria. Le imprese, al netto del fatto che
non ci sia alcun a sanzione pecuniaria o amministrativa, ottemperano tutte alle
decisioni del giurì - la vera pena, infatti, è la “messa al bando” dell'inserzionista
che non segue le regole da parte delle parti dell’IAP. La violazione civile è, di

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fatto, la non ottemperanza di un contratto, difficile da far valere in quanto le parti
sono associazioni di categoria - che si legano con meccanismi di contratto
particolari.
→ Le associazioni dello IAP sono tuttavia obbligate dal codice a far rispettare
il codice all’interno delle categorie, tramite clausole nei contratti di
associazione alla categoria - un fenomeno di vitalità contrattuale.

Il sistema era efficientissimo fino all’avvento di internet, che consente di usare i


social per la comunicazione d’impresa, potendo così non essere assoggettati ai
vincoli di categoria per i media tradizionali (partecipanti al sistema-IAP). Ciò
consente di sottrarsi al giudizio del Giurì, ma non al processo ordinario se
denunciati al giudice ordinario o all’antitrust, consentendo costi minori ma non
di esser parte attiva al procedimento, che parte solo se ritenuto necessario

Il DL 145/2007
Il DL apre con la definizione di pubblicità (pag. 1) all’art. 2 che, al comma b,
definisce quella ingannevole. L’inganno è molteplice: il comportamento tenuto
deve indurre il destinatario (sia colui al quale è desiderato far arrivare la
pubblicità, sia colui che la raggiunge senza volerlo e/o esserne il target - vedasi
minori, persone con disabilità, ecc.) in errore. L’errore è tale che induce il
consumatore a fare una scelta economica che altrimenti non avrebbe fatto,
insidiando la sua consapevolezza. L’errore è valutato coi criteri dell’art. 3: -

 le caratteristiche del bene/servizio (disponibilità, qualità, natura,


esecuzione, data di fabbricazione, idoneità, quantità. Descrizione, origine,
ecc.
→ “iPhone a metà prezzo” non dicendo quanti sono; il consumatore entra,
sono già finiti poiché era solamente uno, ma posso comunque bombardarlo
con offerte e promozione,

 Prezzo e condizioni di fornitura e le caratteristiche dell’inserzionista,


perché spesso si sceglie in base all’esperienza dell’inserzionista - “20 anni
nel settore”;

 Può dipendere anche dalla presentazione del messaggio: la pubblicità deve


sempre essere veritiera ma, secondo l’art. 2/b, anche quando il messaggio è
veritiero può essere ingannevole. Come? Con la grafica, ad esempio -
scritte grosse e scritte piccole (che sottintendo non siano rilevanti rispetto
al claim principale), ma anche immagini, cornici, ecc. In altre occasioni, il
messaggio può essere polisemico, generico e potenzialmente fuorviante.

Ma chi decide qual è la decodifica corretta? Il modello di consumatore che io


assumo per l’analisi: fino all’inizio degli anni 2000, il parametro era il consumatore
più sprovveduto, mentre ora il parametro deve essere il consumatore medio (ovvero
quello mediamente informato e avveduto rispetto al tipo di prodotto/servizio che
sta acquistando).
Il consumatore medio (vs quello sprovveduto che veniva utilizzato prima) è quello
potenziale di quel s/p, colui il quale non esclude al momento o in futuro di
acquistarlo. La compartimentazione inizia a dire qualcosa di più sul target della
mia analisi: se il p/s è di tipo professionale so che il consumatore è più abituato a
scegliere questo tipo di prodotto che ha incidenza sul suo lavoro.
Ma non siamo sempre gli stessi tipi di consumatori, dipende dalle caratteristiche
del servizio/bene: se vado ad acquistare una casa o un auto, dove l’esborso è più
importante, tipicamente ascolto ciò che mi viene detto e poi mi informo. Se
l’esborso è più leggero, un pacchetto di patatine, posso permettermi di sbagliare
sull’euro di acquisto (diverso il discorso sulle allergie che ci possono dare i
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prodotti) - quindi minore è l’esborso, minore è l’attenzione all’errore e
maggiore è la soglia di tolleranza all’inganno.
L’economia comportamentale ci dice poi che quando siamo messi di fronte
all’attività di decision making under risk patiamo dei cognitive bias (pregiudizi) -
di ogni tipo - che ci allontanano dalla scelta nazionale: l’effetto paniere è una di
queste, ovvero per aumentare le vendite di un prodotto lo confronto con uno di
costo ben più elevato ed uno di qualità/prezzo paragonabile ma sfaso i prezzi,
mettendo il mio ad un prezzo mediano. Il consumatore medio tende sempre a
scegliere il prodotto a metà (con le dovute eccezioni), con ragionamenti di
gratificazione mediana e di meno senso di colpa a spendere tutto ciò che si ha per
un singolo prodotto che posso trovare a meno. Questi cognitive bias sono sfruttati
per aumentare il prodotto, in quanto insiti in ogni consumatore (mediamente e più
avveduti), e sono molto legati alle scelte di presentazione del prodotto.
Ogni medium è un mondo a se, ha le sue regole quanto a tempi e modi di
decodifica del messaggio: se esso passa su un giornale (pub. Tabellare) posso
leggerlo e rileggerlo quante volte mi è necessario fino ad avere piena contezza del
messaggio che voleva rendere l’inserzionista - al contrario, se è uno spot televisivo
o radiofonico, i tempi di decodifica li sceglie l’inserzionista. Ciò implica che conta
solamente ciò che il consumatore medio riesce a percepire (le scritte a video
durante una scena molto animata o con un elemento molto attrattivo potrebbero
non essere percepite, ad esempio). Lo stesso messaggio/campagna, orchestrata su
più media, può quindi risultare su alcuni lecita e su altri illecita.

Continua l’art. 2/b dicendo che il pericolo d’inganno per il consumatore, per essere
tale, deve poter pregiudicare il suo comportamento economico e possa dunque
ledere un concorrente. La forma scelta dal legislatore è volutamente molto
generica: non solo l’inganno provoca una scelta d’acquisto altrimenti evitata, ma
provoca anche una deviazione del comportamento del consumatore in una fase
precedente all’acquisto, fornendo un contatto privilegiato.
L’inganno rilevante è dunque anche quello che si colloca nel primo stadio della
comunicazione pubblicitaria, quello anteriore all’acquisto e va sanzionato come
illecito anche qualora il consumatore per poter stipulare il contratto debba ricevere
piena informazione (“tutto gratis ma si era capito che nel contratto c’era qualcosa
da pagare” -> inganno).

14
11/10/21
Comparazione pubblicitaria
La comparazione pubblicitaria è tra le forme più complesse e problematiche da
disciplinare e valutare della comunicazione d’impresa. Chi comunica al mercato,
infatti, non parla solo di sé, ma anche di qualcun altro (il comparato). È una forma
pubblicitaria aggressiva.
La pubblicità comparativa produce un effetto ineliminabile, pregiudizievole per il
comparato: la denigrazione. Qualsiasi pubblicità comparativa ha senso a
condizione che avvantaggi il comparante. Infatti - sarebbe illogico il contrario e, al
limite, il claim può dichiarare la parità dei due prodotti ma solo il comparante trae
vantaggio.
ES: un newcomer che vuole posizionare un prodotto nel mercato già dominato da
altri incumbent o leader del settore.
Un imprenditore che vuole entrare nel mercato ha diritto di parlare degli
altri? Non potrebbe parlare solo di sé?

Come si è detto, in Italia, fino alla fine degli anni ’90, la forma comparativa
diretta nominativa di pubblicità era sempre illecita.
- La comparazione diretta nominativa è la più aggressiva, quella che
consente di individuare in modo specifico il comparato e lo menziona.
Confronto in modo esplicito, anche metaforicamente, consente di
individuare comparante e comparato. Nel 1999 lo IAP mise un divieto di
fare pubblicità comparativa nominativa.
- La pubblicità comparativa indiretta è invece quella in cui il comparato è
un servizio/bene indistinto.
ES: i famosi fustini bianchi vs fustino di Dixan.
- La via di mezzo è rappresentata dalla pub comparativa diretta per
relationem: quella che non menziona espressamente il comparato ma lo
identifica in modo inequivocabile
ES: Infostrada, newcomer nel mercato della telefonia fissa, si compara a
Telecom, monopolista totale della telefonia e facilmente riconoscibile dal
suo colore rosso tradizionale. Non c’era esposizione marchi ma facilmente
intuibile

La pubblicità comparativa diretta e indiretta deve esserci un confronto espresso. A


volte il confronto è implicito, però le regole di civiltà devono essere applicate
(superlazione assoluto relativa).
Che cos’è la superlazione pubblicitaria, assoggettata alle stesse norme dei
messaggi comparativi?
È quella comunicazione d’impresa che sfrutta i superlativi relativi e tutte le
forme di messaggio di primato: il N°1, il migliore, il più bello, il più economico,
il più conveniente, l’unico, il solo, ecc. Il confronto non è esplicitato (che rende
tutto più problematico giuridicamente) ma è inequivocabile, dice qualcosa di
rilevante e denigratorio nei confronti dei concorrenti.

Caso succo d’arancia “contiene Vitamina C” à Ovvio, viene presentato come un


plus che in realtà non esiste, avvantaggiando il mio prodotto rispetto agli altri in
una situazione in cui il consumatore medio, dato il prezzo relativamente basso del
prodotto e la scarsa attenzione (relativamente all’acquisto di un automobile),
abbassa la guardia o viene condizionato (anziani, bambini, ecc.). - la vitamina C è
presente in questo succo e non negli altri è il messaggio implicito => pubblicità
ingannevole.

Definizione : Art. 2 comma 1 lettera D del DL 145

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La pubblicità comparativa è quella che identifica in modo implicito o esplicito un
concorrente o beni o servizi offerti da un concorrente.
Attenzione però: solo se c’è confronto si può applicare il test di liceità - se c’è solo
accostamento, non è possibile.

Art. 4, Le Condizioni di Liceità della Pubblicità Comparativa


la pubblicità comparativa è lecita se sono soddisfatte le seguenti condizioni:
A. Che sia veritiera e non ingannevole (ai sensi del DL 145 artt. 2 e 3 ovvero ai
sensi DL 206/2005 “Codice del consumo” artt. 21/23) - che, come abbiamo
detto, non sia idoneo a generare l’effetto di alterazione di comportamento
economico del consumatore. (caratteristiche, prezzo, alterazione
comportamento economico, induzione acquisto)

B. Che confronti beni o servizi che soddisfano gli stessi bisogni o si pongono gli
stessi obbiettivi. Allo stato attuale questo punto risulta morto, è ovvio che la
comparazione debba avere il medesimo oggetto, correttezza della
presentazione.

C. È lecita la comparazione che confronta oggettivamente una o più


caratteristiche essenziali, pertinenti, verificabili e rappresentative,
compreso eventualmente il prezzo di tali beni e servizi. Questa lettera
dell’art. 4 “soccorre” la precedente per i casi più spinosi e chiarisce che la
comparazione deve essere prestazionale e non suggestiva, deve comunicare
informazioni utili e non suggestionare il pubblico. Ciò protegge sia i
consumatori sia le aziende virtuose, concedendo la comparazione solo su fattori
di prestazione del prodotto o servizio.
ES: FIAT ha più colori disponibili per vetture di segmento A di mercedes - che
però non investe su questo settore, il che lo rende tecnicamente ingannevole.

D. Non ingenera confusione sul mercato tra i professionisti (ovvero


l’imprenditore, l’”altro” rispetto al consumatore) o tra l’inserzionista ed un
concorrente o tra i marchi, le denominazioni commerciali, altri segni distintivi, i
beni/servizi dell’inserzionista e quelli di un concorrente.
Che cos’è la confusione in pubblicità? Il caso in cui si generi un inganno
sull’origine imprenditoriale del prodotto/servizio - ovvero che un prodotto
accostato ad un altro implichi che sia fatta dalla stessa azienda o da una affiliata
(per motivi di know-how, ecc.). fa credere che venga da quel comparato o ci sia
una relazione.

E. Non causa discredito o denigrazione di marchi, denominazioni


commerciali, altri segni distintivi, Beni, servizi, attività o posizione di un
concorrente.
È un caso in cui si supera il principio di continenza: scavalco i limiti della
sobrietà e della compostezza del rapporto tra comparante e comparato,
utilizzando un linguaggio che pregiudica l’immagine del bene/ servizio altrui
gratuitamente (linguaggio gergale, offensivo, metafore forti).

F. Per i prodotti recanti denominazione di origine, si riferisce in ogni caso a


prodotti aventi la stessa denominazione.
Per confrontare due vini, ad esempio, posso solo comparare due della stessa
origine (chianti vs chianti e non chianti vs amarone).

G. Non trae indebitamente vantaggio dalla notorietà connessa al marchio, alla


denominazione commerciale ovvero ad altro segno distintivo di un concorrente
o alle denominazioni di origine di prodotti concorrenti.
Questo è il caso dell’agganciamento: il consumatore permane consapevole che

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i prodotti vengono da due fonti diverse, ma il loro accostamento ha come
effetto un travaso di notorietà, prestigio.

H. Non presenta un bene o un servizio come imitazione o contraffazione di beni


servizi protetti da un marchio o da un a denominazione commerciale
depositati.
È un’ipotesi circostanziata di agganciamento: è il caso in cui la comparazione
presenta il prodotto come una contraffazione dell’originale. Il prodotto
“taroccato”, ad esempio, viene presentato come contraffazione della tale griffe
o del tale marchio - le vendite aumentano per essere simile al prodotto del tale
marchio ben più famoso.

Il comma 2 dell’art. 4 indica necessario dimostrare dei dati per avere la liceità
della pubblicità per quanto riguarda il comma 1/lettera C.

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Pubblicità occulta
Art. 5. Trasparenza della pubblicità
1. La pubblicità deve essere chiaramente riconoscibile come tale. La pubblicità a
mezzo di stampa deve essere distinguibile dalle altre forme di comunicazione al
pubblico, con modalità grafiche di evidente percezione.
2. I termini «garanzia», «garantito» e simili possono essere usati solo se
accompagnati dalla precisazione del contenuto e delle modalità della garanzia
offerta. Quando la brevità del messaggio pubblicitario non consente di riportare
integralmente tali precisazioni, il riferimento sintetico al contenuto ed alle
modalità della garanzia offerta deve essere integrato dall'esplicito rinvio ad un
testo facilmente conoscibile dal consumatore in cui siano riportate integralmente
le precisazioni medesime.
3. E' vietata ogni forma di pubblicità subliminale.

La pubblicità ingannevole è molto sfidante, anche di più della comparazione.


Questo perché la comparazione è usata poco, mentre la pubblicità occulta è la
pubblicità più usata e vive tra noi. Il consumatore abbassa la soglia di attenzione.

Ci sono 4 forme di pubblicità occulta:


1- La pubblicità relazionale occulta
2- Product placement occulto (o sponsorizzazione occulta)
3- Influencer marketing occulto
4- Pubblicità subliminale

Per ognuno di questi messaggi (1,2,3) posso avere la versione lecita e la versione
occulta, mentre per la pubblicità subliminale (4) esiste solo occulta.

Pubblicità relazionale:
La pubblicità si traveste da informazione. Di solito questo tipo di pubblicità è
scritto sotto forma di articolo. Vive nei contesti di informazione. Tipica dei
giornali, articoli di spalla in cui si sponsorizzano vari tipi di servizi (creme
miracolose, ricrescite dei capelli, ecc.).
Per verificare (verificarne l’illecità) che sia occulta è necessario un test in due fasi:
- la prima fase è verificare il contenuto e la forma dell’articolo:
informazione o pubblicità pura e semplice - tenendo ben presente che la
pubblicità deve essere distinguibile dalle altre forme di comunicazione, con
modalità grafiche di evidente percezione (Art 5).
Leggendo un articolo, infatti, mi aspetto di trovare alcune caratteristiche:
 un titolo sobrio ed informativo,
 una firma di un giornalista,
 un testo completo.
 Se è un articolo di carattere informativo il test finisce qui.
Un titolo eclatante che ricorda un claim che magnifica il prodotto e stimola
il lettore, il nome del marchio in neretto, un numero verde al posto di una
firma, è incorniciato - sono tutti indizi / “campanelli d’allarme”: sono
sufficienti per svolgere un ragionamento per presunzioni.
I giudici quando non hanno una prova diretta di un fatto, ritengono di
poterla ricavare per presunzioni (art 2629 cc) à un fatto ignoto può
essere ricavato da uno o più fatti noti in presenza di indizi gravi, precisi e
concordanti.
- La seconda parte del test (Art. 5 - La pubblicità deve sempre essere
riconoscibile con modalità grafiche di evidente percezione) verifica se il
messaggio, con le sue caratteristiche, è percepito come pubblicità o meno
dal consumatore medio. Qui, tutti gli indizi che mi hanno fatto intendere
che è pubblicità possono salvare o condannare l’inserzionista.
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Product placement:
È la citazione al fine promozionale di un marchio o di un prodotto in un contesto di
intrattenimento. Tecnica molto sofisticata di comunicazione pubblicitaria, consiste
nell’inserire citazioni di prodotti/marchi/imprese all’interno di contesti di
entertainment (show TV oppure opere cinematografiche).
Questa pratica è stata comunissima nel cinema degli anni ’70, in cui marche di
alcolici, sigarette, quotidiane erano presentissime a scopo pubblicitario, mentre poi
i marchi passano anche ad un contesto narrativo (007 dove guida Aston Martin e
Martini, gusti raffinati che collimano col personaggio). Occorre quindi capire se
quella citazione è giustificata da esigenze di carattere narrativo (o è dettata da
esigenze di carattere funzionale, non si può fare altrimenti) e sia ovviamente nei
limiti del necessario - in tal caso la presenza del marchio è lecita.
Quando però lo spettatore - consumatore non è avvertito del fatto che la comparsa
del marchio sia una pubblicità, si approccia al marchio con l’attenzione abbassata e
può cambiare i comportamenti economici dello stesso.

Come avvertire della presenza di pubblicità?


Lo strumento più efficace è la scritta in sovrimpressione nel momento in cui il
marchio viene citato “in questo programma è prevista la sponsorizzazione di
prodotti a fini commerciali”. Questo mezzo va bene per la televisione, ma per il
film? I due momenti in cui potrebbe essere più facile e logico indicare la presenza
sono i titoli di testa o di coda, che spesso sono i momenti meno visti in assoluto nel
film.

In Italia, per ovviare a questa problematica, con i DDL 18/2004 e 117/2005, si è


stabilito che è sufficiente la menzione nei titoli di coda. Questo è spiegabile con
l’evoluzione del pubblico, che è mo.to più abituato a percepire la pubblicità ed è
quindi più consapevole riguardo al fatto che esista questa modalità di
finanziamento dell’entertainment.
Quando una persona si accosta ad un dato informativo dall’esterno, se ha la
percezione che il soggetto, che fornisce le informazioni, è in un conflitto
d’interessi, ha un naturale atteggiamento critico verso quella informazione.
Quando, invece, non si ha la percezione di un conflitto d’interesse queste naturali
difese sono abbassate e si ha uno spirito critico migliore.

Quando si analizza un messaggio, il primo passaggio dell’analisi è capire se è


pubblicità oppure è qualcos’altro. Se non è pubblicità finisce lì. Se lo è bisogna
capire se è riconoscibile come pubblicità. Se è lecita, ok. Se non lo è bisogna capire
in che punto è illecita, perché e sanzionare.

LA PUBBLICITÀ SUBLIMINALE
Art5 comma 3
È quel messaggio che è colto dall’occhio ma non è elaborabile. Perché
l’esposizione a quel messaggio è così breve, che il cervello percepisce l’input ma
non lo elabora correttamente. Questo tipo di pubblicità non può essere analizzato
secondo il metodo pubblicità si/no è riconoscibile si/no. La pubblicità subliminale
è sempre occulta e sempre vietata.
Se la regola è che la pubblicità deve essere riconoscibile come tale, quella
subliminale non lo sarà mai. La pubblicità subliminale è quella che non è percepita
in modo consapevole dal destinatario. Si tratta tipicamente di fotogrammi molto
brevi in scenari di entertainment. Ma non solo un candidato alle elezioni americane
ha inserito un fotogramma denigratorio nei confronti di un suo avversario durante il
suo spot della campagna elettorale - non abbiamo però notizie di casi di questo tipo
portati davanti al giudice della pubblicità italiana.

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INFLUENCER MARKETING
In uno scenario del passato il discorso finirebbe qui. Con internet ed il mondo degli
influencer, però, il paradigma “classico” della pubblicità ingannevole cambia.
L’influencer opera come testimonial del prodotto o di un servizio. Il tutto nel
contesto in cui opera, come i social network o eventi.
Non molto tempo fa, un soggetto operante in modo professionale sui social media
(un influencer, quindi), viene portato davanti all’ACGM per aver pubblicato una
foto dove era presente in bella vista una nota marca di biscotti e dove promuoveva
un Contest in cui in palio vi erano alcuni prodotti della stessa marca. Il garante
dell’AGCM ha indagato ed ha scoperto che l’influencer ha acquistato uno stock di
prodotti della nota marca - ma anche che la stessa azienda si avvale di alcune
decine di micro-influencer che hanno la funzione di menzionare (a pagamento)
questi biscotti nel passaparola quotidiano, coi loro followers. Il caso si chiude con
l’assunzione di impegni: AGCM non riconosce l’illecito e non irroga sanzioni e gli
influencer si impegnano a rimuovere gli illeciti. Gli influencer devono quindi
attenersi al nuovo regolamento della “Digital Chart” dello IAP - un vademecum
molto efficace per governare questo fenomeno sconosciuto ma molto pervasivo.

L’articolo 1 della DC rimanda alla trasparenza e alla riconoscibilità della pubblicità


attraverso internet. Come sono certamente lecite le comunicazioni pubblicitarie via
internet?
1. Riconoscibilità; la comunicazione commerciale diffusa attraverso internet
deve rendere manifesta la sua finalità promozionale attraverso idonei
accorgimenti.
2. Endorsement: un influencer si intende l’insieme di celebrity, influencer,
blogger, ecc.) che dichiara di apprezzare, di utilizzare, di servirsi di un
certo prodotto o servizio. Deve essere però ben chiaro, tramite una ben
visibile dicitura (“Pubblicità/Advertising”, “Promosso da…/ Prompted
by…”, “Sponsorizzato da…”, “In collaborazione con…” nel caso della
descrizione di un post; in alternativa deve essere uno dei primi tre hashtag
e di immediata percezione, con dicitura “#Pubblicità/#Advertising” o
“#ad” unitamente a “#brand”) che si sta parlando di un contenuto
sponsorizzato. Nel caso in cui il contenuto sia a scadenza (IG Stories, ad
esempio), una delle diciture deve essere sovrapposta in modo ben visibile
agli elementi visivi di ogni contenuto promozionale. Quando invece non
c’è un vero rapporto di committenza tra l’influencer e il brand, ma
quest’ultimo invia in modo occasionale propri prodotti gratuitamente o per
modico corrispettivo, i post (o altri contenuti) che citano o rappresentano i
prodotti dovranno contenere un disclaimer “prodotto inviato da brand” o
simili. Se l’inserzionista, nel momento stesso in cui stipula un rapporto di
committenza o invia i prodotti, in maniera chiara ed equivoca rende edotto
l’influencer dell’obbligo di inserire il disclaimer, viene escluso da ogni
responsabilità - e solo l’influencer verrà sanzionato per la mancata
chiarezza.
3. Video: le regole sono sostanzialmente identiche a quelle dell’endorsement
- solo una la differenza importante, ovverosia il disclaimer deve essere
presente in apertura del video se si tratta di invio occasionale di prodotti, in
apertura ed in chiusura se c’è rapporto di committenza. Se è un contenuto
in streaming, occorre ripeterlo più volte durante il corso della trasmissione.
4. Inviti a evento: nel caso in cui non esista un rapporto di committenza ma
solo un invito da parte dell’inserzionista alla partecipazione ad un evento, è
necessario informare il pubblico che la partecipazione è avvenuta su invito
dell’inserzionista.
5. User generated content: sono i più problematici, visto che si è ignari del
contenuto fino al momento della loro pubblicazione. Gli UGC che hanno
natura di comunicazione commerciale devono indicare con chiarezza tale

20
natura, con gli stessi accorgimenti dei punti 1 e 2.
6. In-Feed Units (contenuti redazionali): molto simile alla pubblicità
redazionale classica, e come quest’ultima devono rendere ben chiaro che si
tratti di un prodotto sponsorizzato con avvertenze già viste nel punto 1 e
con accorgimenti grafici specifici (cornici, ombreggiature, evidenziazione
del testo o shading).
7. Paid Search Units (risultati di ricerca sponsorizzati): devono rendere
evidente la loro natura commerciale con una separazione (anche grafica)
dei contenuti, unitamente a diciture che informino gli utenti esplicitamente
che si tratta di contenuto di natura promozionale
(“Pubblicità/Advertising”), collocate vicino al risultato di ricerca con
modalità tali da renderle visibili ed evidenti.
8. Recommendation widgets (contenuti raccomandati): box che si aprono
nella navigazione in internet per segnalare determinati contenuti. Anche
qui ho bisogno di determinati accorgimenti che mi facciano capire che il
contenuto è sponsorizzato.
9. In App Advertising: vedi sopra.
10. Advergames: giochi promozionali, tipicamente a premi, mirati a rafforzare
il marchio legandolo a un momento di entertainment e la possibilità di
ottenere un determinato beneficio. Anche qui bisogna chiarire che il game
è "Sponsorizzato da brand” et similia.
11.

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Pubblicità di prodotti pericolosi per la
salute e la sicurezza
Art. 6. Pubblicità di prodotti pericolosi per la salute e la sicurezza
2. E' considerata ingannevole la pubblicità che, riguardando prodotti suscettibili di
porre in pericolo la salute e la sicurezza dei soggetti che essa raggiunge, omette
di darne notizia in modo da indurre tali soggetti a trascurare le normali regole di
prudenza e vigilanza.

È considerata ingannevole la pubblicità che, riguardando prodotti suscettibili, possa


porre in pericolo la salute e la sicurezza dei soggetti che essa raggiunge, omettendo
di darne notizia, in modo da indurre tali soggetti a trascurare le normali regole di
prudenza e vigilanza.

1. il prodotto deve essere pericoloso.


2. Si impone di evitare forme di comunicazione che possono indurre chi
riceve il messaggio a non rispettare le normali regole di prudenza e
vigilanza, non di avvertire riguardo la pericolosità dell’oggetto.
Quindi un prodotto intrinsecamente pericoloso bisogna dichiararlo, se invece si è
ha conoscenza della pericolosità del prodotto non è necessario dichiararlo (tenendo
conto del consumatore medio). È obbligatorio non mostrare scene in cui non si
trascura la pericolosità del prodotto. Lo stesso vale per i prodotti che non hanno
una pericolosità intrinseca. Bisogna anche valutare se si va ad intaccare la salute o
la sicurezza patrimoniale del consumatore.

Art. 6 DL 145/2007 - Pubblicità Prodotti pericolosi


Questo enunciato normativo dichiara come considerata ingannevole la pubblicità
che, riguardando prodotti (o servizi, rimasto nella penna del legislatore ma valido
per AGCM) suscettibili di porre in pericolo la salute e la sicurezza dei soggetti che
essa raggiunge, omette di darne notizia in modo da indurre tali soggetti a trascurare
le normali regole di prudenza e vigilanza.
Anche questo è un illecito di pericolo: è vietata la pubblicità non a condizione che
si provi che qualcuno abbia avuto un danno, è sufficiente che il giudice possa
ritenere che vi sia un pericolo che qualcuno patisca un danno. Il danno non
riguarda il comportamento economico, ma riguarda bensì la salute e la sicurezza
dei soggetti raggiunti.

Si è discusso a lungo se siamo di fronte ad un caso particolare di pubblicità


ingannevole o a tutt’altro - divieto di pubblicità inadeguata/ inappropriata di
prodotti pericolosi.
Una impostazione ritiene vi sia un inganno sulle caratteristiche di pericolosità dei
prodotti, ma potrebbe ridurre la capacità prescrittiva di questa limitazione - che
sembra invece particolarmente ampia. Questa previsione è essenziale ed efficace, ci
dice molto di più il legislatore non dichiari: la pubblicità di prodotti pericolosi è
consentita nonostante vi siano limitazioni, divieti puntuali, più intense per le
pubblicità di alcolici, prodotti per tabagisti e gioco d’azzardo/ scommesse, in
quanto possono turbare gravemente la salute psicofisica della persona).
Occorre verificare l’intrinseca pericolosità del prodotto/servizio, secondo la
sua normale destinazione d’uso; e verificare se la stessa è percepita
autonomamente dal consumatore medio, tra cui tipicamente risiedono anche i
bambini e gli anziani oltre una certa età, magari con alcune problematiche di tipo
cognitivo à la soglia di tolleranza è normalmente bassa, vista l’ampia platea.

In questo caso avrò due ipotesi: quella in cui la pericolosità è percepita (coltelli,
automobili, ecc.) e quelli in cui non è percepita (un composto chimico velenoso,
inodore, insapore, di colore identico all’acqua ad esempio). Per ognuna di queste
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situazioni (prodotti non pericolosi, pericolosi e percepibili, pericolosi e non
percepibili), ho una serie di prescrizioni.
- Se il prodotto non è intrinsecamente pericoloso, in capo all’inserzionista
non grava alcun obbligo di informazione (in particolare quello di informare
il consumatore che eventuali usi impropri sono pericolosi), ma non posso
ovviamente mostrare una scena di utilizzo improprio (se non altamente
metaforico) poiché significherebbe indurre il consumatore a violare le
normali leggi di sicurezza e vigilanza da osservare quotidianamente.
- Se il prodotto è intrinsecamente pericoloso ma non evidentemente tale:
l’illecito, tipicamente illecito omissivo, consiste nel non segnalare la
pericolosità del prodotto, che va tipicamente indicata anche sulla
confezione del prodotto, nonostante ciò non sia comunque sufficiente - già
dalla pubblicità deve essere noto al potenziale consumatore che il prodotto
è pericoloso.
Ovviamente, è illecito mettere in scena un uso di questi prodotti che esalti
il pericolo del loro utilizzo. es: una persona che beve un bicchiere di acido
corrosivo, per capirci.
- Se il prodotto è intrinsecamente pericoloso ed il consumatore medio ne
percepisce la pericolosità, non è necessario esaltare e segnalare i profili di
pericolosità del prodotto al consumatore poiché evidenti ed il consumatore,
nel suo comportamento economico e nelle sue scelte, non sarà
condizionato dall’assenza di questi messaggi - ci arriva da solo in sostanza.
ES: In una pubblicità di un auto, non sarà necessario ricordare al
consumatore di fermarsi agli stop, rispettare i limiti di velocità, ecc.

Nonostante appaiano semplici norme di logica semplicità, bisogna tenere ben


presente tutto ciò che si può e tutto ciò che si deve dire nella campagna di
comunicazione di un prodotto pericoloso, con la logica conseguenza di un
cambiamento significativo nella comunicazione: tutto ciò che va detto deve
essere ben chiaro e persistente nella mente del potenziale consumatore, non
può essere detto molto rapidamente ed in modo incomprensibile.
L’informazione necessaria affinché il consumatore capisca la pericolosità del
prodotto (se non evidente), tuttavia, ha come logica conseguenza il sacrificio di
parte di spazio e di tempo dello spot - che ha costi di messa in onda notevoli.

Salute e sicurezza - in che senso? Quali sono i beni protetti da questa previsione?
Protegge l’integrità psicofisica degli esseri umani. Non serve per proteggere gli
animali in quanto tali. Una decisione isolata ha detto che la previsione protegge
anche il profilo patrimoniale dell’essere umano.
La linea dominante, per quanto riguarda l’ambiente, è che la previsione imponga
obblighi particolari di comunicazione nei casi in cui vi siano pericoli per la
salubrità dell’ambiente che possano riverberarsi direttamente sulla vita
umana à raccontare che un prodotto può essere pericoloso se rilasciato
nell’ambiente, inquinando quindi suolo e falde acquifere, ad esempio - no quindi al
pregiudizio all’ambiente per se.

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Bambini e Adolescenti
Art. 7. Bambini e adolescenti
1. E' considerata ingannevole la pubblicità che, in quanto suscettibile di
raggiungere bambini ed adolescenti, abusa della loro naturale credulità o
mancanza di esperienza o che, impiegando bambini ed adolescenti in messaggi
pubblicitari, fermo quanto disposto dall'articolo 10 della legge 3 maggio 2004, n.
112, abusa dei naturali sentimenti degli adulti per i più giovani.
2. E' considerata ingannevole la pubblicità, che, in quanto suscettibile di
raggiungere bambini ed adolescenti, può, anche indirettamente, minacciare la
loro sicurezza.

Caso Tegolino, mulino bianco


Per ogni Tegolino, due in regalo:
 La pubblicità viene reputata ingannevole perché nel pan di Spagna è
presente
 L’alcool e non viene citato.
 Barilla di difende dicendo che è presente 0,3 g di alcol affermando che
in una bevanda analcolica sono presenti ben 3 grammi di alcool.
 Non si sa dire quale è il valore di alcool sotto il quale non vi è danno
fisico al minore.
 Reputata ingannevole perché è pericoloso per un minore; non è tanto
perché non viene citata la presenza di alcool ma se questo

Ma chi sono gli adolescenti?


Secondo gli psicologi sono tutte le persone in età scolare, anche fino alla fine
dell’università, ma secondo l’ordinamento giuridico sono tutte le persone fino ai 18
anni, età in cui si acquisisce la capacità d’agire giuridica. Tutte le pubblicità,
quindi, destinate agli universitari, non sono passibili di “test-art.7”.

Comma 1 à Si limitata a ribadire il divieto di pubblicità ingannevole rimodulando


il parametro: target minore ma anche quando la pubblicità è in grado di
raggiungere il minore e quindi sono esposti al messaggio, e occorre tenere conto
che loro hanno capacità critica e la loro esperienza è inferiore rispetto ad un adulto.
Sfera emozionale che induce l’adulto ad acquistare un prodotto con l’idea di “non
far soffrire il figlio”
Comma 2 à Se il pericolo non è visibile a prima vista c’è l’obbligo di
comunicarlo. Se invece è presente c’è l’obbligo che vengano comunicati anche le
normali regole di prudenza.

Questa previsione può essere letta come una regola speciale al divieto generale di
pubblicità ingannevole, che calibra il divieto su di un consumatore medio
peculiare, meno avveduto rispetto agli altri.
Il mondo della minore età è amplissimo, bisognerà isolare al suo interno delle
macrocategorie: lo spartiacque più importante è l’età scolare, 7 anni, dove via via
la loro capacità di esercitare un magistero critico aumenta. Sotto i 7 anni i
destinatari hanno la caratteristica di non essere raggiunto dai messaggi scritti ma è
molto più facilmente influenzabile.
Anche gli adolescenti hanno limitatezze rispetto a chi è un giovane adulto
(neurologi ci dicono che il cervello continua a formarsi fino a 21 anni): è più facile
che siano ingannati, hanno meno capacità di decodificare correttamente i
messaggi, cadono in errore più facilmente, hanno più difficoltà a leggere le figure
retoriche (iperboli e metafore), hanno minore senso critico per via della loro poca
esperienza di vita, hanno studiato mediamente di meno.
Dunque quindi abbassare la soglia di tolleranza e alzare quindi la soglia di

24
rigore à tutto ciò che potrebbe essere decodificato correttamente e non risultare
ingannevole, o compromettere il comportamento economico di un adulto, può
condizionare il minore.
Anche se i contratti possono essere invalidi e quindi annullabili, se stipulati da un
minore, il tema è più complicato di così. È assodato che il minore, anche quando
non è tipicamente il soggetto che acquista (anche se sempre più spesso, di fatto, lo
fanno), non di rado è il soggetto che sceglie. Tante volte, quando il bambino
chiede, l’adulto è disarmato, più vulnerabile e quindi tende ad assecondare le
richieste del bambino che non è responsabile diretto di spesa ma di fatto è il
soggetto che sceglie (influenzato potenzialmente dagli spot pubblicitari) - e può
quindi condizionare il comportamento economico del genitore.

Illecite, in base a questa previsione, sono anche le pubblicità che per incrementare
le vendite fanno leva sulla normale credulità di minori - ad esempio le pubblicità
che mirano a generare un bisogno e che mirano ad agire sul piano psicologico,
che stimolano shopping compulsivo e che pongono in inferiorità chi quel
bene/servizio non lo ha.
ES: bimbe che sulla scena maneggiano trucchi per bambine ed un testimonial che
dice “non potrai più uscire senza”.
Per quanto riguarda il comma 2, si pone l’attenzione sulla vulnerabilità
dell’adulto nei confronti del minore, sfruttando il suo senso innato di protezione
ed il possibile disagio strumentalizzato di un bambino e l’enfatizzazione di
problematiche che lo possono riguardare.

Fin qui siamo nel campo dell’inganno. È considerata ingannevole la pubblicità,


che, in quanto suscettibile di raggiungere bambini e adolescenti, può, anche
indirettamente, minacciare la loro sicurezza.
Questa è una previsione completamente distonica rispetto a tutto il diritto della
pubblicità (fatta eccezione per una presente nel codice dell’IAP): essa protegge i
minori e la loro integrità psicofisica non in quanto consumatori o soggetti che
possono influenzare i loro genitori, bensì in quanto esseri umani vulnerabili. È, se
vogliamo, una previsione che protegge l’istituzione della pubblicità, evitando che
sia screditata per un qualche tipo di pericoloso effetto boomerang.
Entrano in gioco, quindi, sia messaggi che possono pregiudicare la salute fisica,
che possono creare disagio psicologico (senso di inferiorità, stimola comportamenti
di spesa eccessivi, invidia per chi non ha il prodotto, ecc.).
I messaggi vietati appartengono a due grandi famiglie:
- Quelli che possono per sé pregiudicare la sicurezza del minore
àimmagini forti, violente, che possono creare tensioni, e che dovrebbero
essere utilizzate per un pubblico più circoscritto.
ES: Pubblicità di Oliviero Toscani con bimbo appena nato con cordone
ombelicale e ancora sporco di sangue e liquido amniotico giudicata troppo
forte dal giudice della pubblicità;
- Quelli che inducono all’emulazione di comportamenti pericolosi, dei
quali il minore potrebbe non comprendere la pericolosità
ES: una donna che ingerisce un anello, oppure una serata in discoteca che
ha come immagine una serata che ha tra le labbra una pillola - incitamento
all’uso di droghe, una pubblicità che raffigura il lancio di coltelli, ecc.
Tutte queste scene sono comprese da un adulto, in quanto metaforici o iperbolici,
potrebbero essere mal decodificati da un minore come un incitamento
all’emulazione di ciò che vede nella pubblicità.

Caso campagna Benetton per sensibilizzare alla guerra. Vestiti sporchi di sangue.
Campagna pensata da Oliviero Toscani.
Campagna Benetton con figurata una bambina appena anta con il cordone
ombelicale ancora attaccato.

25
Commento sulle campagne: queste pubblicità sono state sanzionate perché vi è il
logo Benetton nelle immagini. Sono state considerate inappropriate, poiché
vengono mercificati i valori e i temi inappropriati. Violati, soprattutto, gli articoli
9 e 10 del codice di autodisciplina della comunicazione commerciale.

26
CODICE DI AUTODISCIPLINA DELLA COMUNICAZIONE
COMMERCIALE
I corpi normativi che autodisciplinano la comunicazione commerciale sono ben 4.
Ognuno di questi 4 corpi di regole ha obiettivi differenti, infatti sono applicati da
soggetti differenti, che sono:

I 4 corpi normativi della pubblicità


Le regole di cui finora abbiamo parlato sono applicate in modo omogeneo in tutti
questi ambiti, vista la loro onnipresenza.
I. Disciplina di fonte statale - Divieto di atti di concorrenza sleale,
C.C.;
II. Disciplina delle pratiche commerciali scorrette ed ingannevoli -
Codice del Consumo;
III. DL 145/2007 - Regola in maniera puntuale la pubblicità
ingannevole e comparativa secondo la disciplina presa come punto
di riferimento sinora;
IV. Ordinamento dello IAP (Istituto dell’Autodisciplina
Pubblicitaria) - Fondato sul codice dell’autodisciplina della
comunicazione commerciale.

Questi corpi normativi, con riferimento all’ordinamento autodisciplinare (IAP) e


alla disciplina delle pratiche commerciali scorrette, hanno delle prescrizioni
ulteriori rispetto alla base che abbiamo finora osservato: c’è una base di previsioni
comuni ad entrambi (quello che abbiamo analizzato finora) e ci sono poi delle
regole particolari .

Quali sono le differenze ordinamenti tra questi quattro corpi normativi?

Concorrenza sleale, Art. 2598 del CC à si ha il già commentato divieto di


denigrazione (dei prodotti, dell’attività, della persona del concorrente). Da esso i
soggetti che applicano queste norme, i giudici civili, hanno ricavato il divieto di
comparazione sleale - che tuttora è la base per richiedere ad un giudice civile dello
Stato di sanzionare una pubblicità comparativa sleale.
Il giudice civile, nel valutare la comparazione sleale, farà tesoro di quanto si dice
nel DL 145/2007 che prevede quelle 8 condizioni di liceità della pubblicità. (Art.
4).
Questo DL viene direttamente applicato però da un altro organo dello Stato, l’Anti-
Trust (ovverosia il Garante della Concorrenza e del Mercato). Siccome però è nel
panorama del diritto statale la disciplina più puntuale della comparazione sleale,
anche i giudici civili (che devono amministrare questa previsione generalissima del
divieto di denigrazione) si avvalgono di quell’elenco di 8 condizioni e lo usano,
tipicamente, per effettuare il test della liceità di comparazione.

Perché questa duplicità di ruoli (Giudici/Garante ATT) che applicano regole


sostanzialmente analoghe, non solo in materia di concorrenza sleale ma anche di
pubblicità ingannevole?
Art. 2598 comma 3 CC – divieto generale di compiere atti che possano ledere
l’azienda del concorrente e che siano contrari ai principi della correttezza
professionale.
Perché in realtà questi soggetti hanno due ruoli differenti, solo in minima parte
sovrapponibili.

1. La disciplina sulla concorrenza sleale serve per dirimere conflitti tra


concorrenti e quindi può essere fatta valere solo dal concorrente; c’è una
legittimazione particolare, art. 2601, anche per le associazioni di
consumatori (che tramite la disciplina contenuta nel codice del consumo

27
consente alle associazioni di far valere gli illeciti per concorrenza sleale
tramite le sanzioni conosciute come azioni collettive, ovverosia ordini di
cessare il comportamento sleale).
Come abbiamo già detto però, solo il giudice civile può comminare come
sanzione il risarcimento del danno quando una pubblicità lede un concorrente.

Al giudice civile, naturalmente si possono chiedere altre cose:


- si può domandare che l’autore dell’illecito smetta immediatamente il
comportamento scorretto e che ad egli sia vietata la ripetizione,
- ma anche di condannare il soggetto a pubblicare a proprie spese la
decisione che accerta l’illecito.

La strada del giudice civile viene imboccata dall’imprenditore quando vuole un


risarcimento, sapendo che il giudizio ordinario civile ha in mano il pallino del
gioco à il giudice deve rispondere con certezza, sapendo che c’è una
controparte che si difenderà e che, in caso di soccombenza dell’attore, colui
che inizia il processo, potrà reclamare una forma di risarcimento che è la
rifusione delle spese processuali (considerata la lunghezza di questo tipo di
processi in Italia, dall’anno e mezzo ai tre anni e mezzo in primo grado, con
eventuali possibilità di appello e cassazione), visto che per stare davanti ad un
giudice civile, ovviamente, è necessaria la rappresentanza tecnica di un
avvocato.

Se lo stesso comportamento danneggia parecchi consumatori è possibile


attivare una Class- Action (uno dei pochi casi in cui l’ordinamento italiano lo
consente), per ottenere il risarcimento di tutti i soggetti danneggiati - molto più
comodo di una lunga serie di singole cause (anche perché i costi sarebbero
sovrabbondanti rispetto al valore della controversia). Se tutti i danni sono
omogenei è possibile unirsi a delle cause già iniziate, sommandole per ottenere
ristori.

2. Ed il procedimento davanti all’Autorità Anti Trust? Ha caratteristiche sue


particolari.
Anzitutto, il soggetto decidente non è un giudice dello stato ma è un’autorità
amministrativa indipendente, cioè un organo che appartiene al potere
esecutivo (non giurisdizionale). I membri dell’autorità ATT sono nominati
congiuntamente dai presidenti delle Camere, a loro discrezione, tra figure di
particolare prestigio che per la loro autorevolezza sono già garanzia per sé di
un giudizio equanime e distaccato. (Professori Universitari di materie
giuridiche o economiche, alti magistrati o ex-alti magistrati, altre persone che
abbiano ricoperto ruoli di particolare rilievo nella vita pubblica — ex Pres. del
Consiglio, ad esempio).

L’Autorità ATT, composta da tre membri svolge l’attività istruttoria per


presentare i singoli casi - attività istruttoria che può essere anche requirente,
ovverosia può iniziare anche senza un intervento di una parte, d’ufficio, per il
solo fatto che percepisca una pubblicità ingannevole o una comparazione
sleale e/o una variazione delle norme esaminate.
Più spesso si attiva su impulso di un singolo consumatore, che può restare
anche anonimo tramite meccanismi di denuncia che preservano l’anonimato, o
di un’associazione di categoria. Il denunciante può poi prendere parte al
procedimento amministrativo davanti all’autorità antitrust, nel quale ci sono
garanzie di difesa, prima di emettere il provvedimento che decide se il
comportamento (o il medium, ecc.) è lecito o meno. Al soggetto è data
possibilità di difendersi, di essere ascoltato, di depositare memorie in
audizioni.

28
Il denunciante non ha alcuna garanzia che il procedimento si avvii: una volta
fatta la segnalazione, tutto è rimesso alle mani dell’Autorità che, una volta
esaminata la denuncia, deciderà se darvi corso iniziando il procedimento, in
base al Dl 145/2007.

Molto si è discusso su quale sia la sua area di applicazione soggettiva:


dall’enunciato normativo che la regola sembrerebbero possibili due
interpretazioni.
- La prima è che il 145/2007 si applichi solo alla pubblicità destinata ai soli
professionisti;
- la seconda è la che si applichi alla pubblicità che è destinata ai consumatori
ma che danneggia i professionisti.
Quest’ultima è stata per tante ragioni preferita dagli studiosi della materia. Ma
è un dato di fatto che l’antitrust non applica queste regole qualora il
destinatario dei messaggi sia anche potenzialmente un consumatore e
preferisce applicare la disciplina delle pratiche commerciali scorrette -
destinate a proteggere solamente i consumatori.
Quando essa viene applicata si fa comunque uso delle regole di cui abbiamo
parlato, dovendo sempre utilizzare i test di liceità (a 8 punti dell’art. 4 se
destinata ai consumatori e se ritratta di pratica commerciale scorretta, se invece
si parla di pubblicità ingannevole quello previsto dagli artt. 2 e 3 del
145/2007).

Tuttavia, c’è una differenza di importi sanzionatori, che forse è la vera


motivazione di questa duplicità di possibilità di scelta da parte dell’antitrust:
- il massimale per ogni sanzione comparazione sleale (e quindi pubblicità
ingannevole) comminabile dall’AGCM è di €500.000;
- Mentre per le pratiche commerciali scorrette e di €5M - e non di rado si
arriva a questi massimali, visto che queste sanzioni fioccano tutto il giorno,
tutti i giorni. Se nello stesso messaggio ci sono più illeciti, però, i €5M si
possono moltiplicare.

A chi vanno questi soldi? Casse dello Stato, tranne una percentuale che AGCM
tiene per il suo funzionamento. Come abbiamo detto, infatti, non è un
risarcimento del danno, ma una multa di carattere pubblicistico per
violazioni di precetto dello Stato.
Naturalmente, l’autorità antitrust può anche irrogare un ordine di cessazione
del comportamento illecito con divieto di sua ripetizione, ma anche ordinare
la pubblicazione della decisione a spese dell’autore della violazione o un
comunicato di rettifica (sanzione terribile, nei casi più gravi) sempre a spese
dell’inserzionista su giornali di tiratura nazionale o su siti web, con costi
elevati e con grande evidenza. Ciò serve per evitare che gli inserzionisti
sfruttino comunque la visibilità ed il ritorno economico (magari
conveniente) di una pratica scorretta a fronte di una multa - e renderla quindi
sempre svantaggiosa, scoraggiando l’opportunismo dell’imprenditore che
magari aveva già calcolato il pagamento di una sanzione.
La sanzione verrà poi irrogata in base a due parametri à la durata e la gravità.

Cosa accade se il destinatario della sanzione non ottempera?


C’è una sanzione pecuniaria per l’inottemperanza, e in caso di reiterata
inottemperanza l’autorità può addirittura sospendere l’esercizio dell’attività
economica, provvedimento di straordinaria importanza e gravità che può
mandare in crisi l’imprenditore.

3. Il sistema autodisciplinare è qualcosa di differente:

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In campo non ci sono poteri pubblici, è un ordinamento privato. Le sue
decisioni, quindi, non possono avere la cogenza degli ordini giudiziali o
dell’autorità amministrativa indipendente.
Esso, tuttavia, funziona ed è stato per lungo tempo il cuore pulsante del
governo della pubblicità in Italia. Lo IAP nasce come associazione-alleanza
di categorie di professionisti: inserzionisti (le imprese che si avvalgono della
pubblicità), i creativi pubblicitari e i media.
Questi decidono di autodisciplinare il fenomeno pubblicitario per preservarlo,
evitare di screditarla come istituzione, come strumento d’informazione per il
consumatore utile alle imprese per farsi conoscere sul mercato - e quindi utile
ai media che convogliano il messaggio pubblicitario ed ai creativi che
banalmente lavorano in questo mondo.
È stato quindi creato questo decalogo, il Codice dell’Autodisciplina della
Comunicazione Commerciale (precedentemente Codice dell’Autodisciplina.
Pubblicitaria), e ci si è posti il problema di farlo rispettare. Lo IAP ha avuto
quindi l’idea di costituire un Giurì, ovverosia un organo interno
all’associazione composto da esperti (ex-alti magistrati, economisti, giuristi,
avvocati del mondo della pubblicità, esperti della comunicazione d’impresa,
professori di psicologia, docenti in materia di tecniche di pubblicità, ecc.)
chiamato a giudicare se i messaggi fossero conformi alle regole auto-impostesi
dagli attori in campo o meno.
Lo IAP ha ritenuto necessario istituire un altro organo da affiancare al Giurì,
ovvero il Comitato di Controllo: esso ha funzione requirente, ovverosia ha
il compito di sostenere l’accusa davanti al Giurì. Valuta se la denuncia è
fondata ed eventualmente avvia il procedimento. Come il garante dell’AGCM,
il CdC si può attivare d’ufficio, senza il bisogno di un impulso esterno.
- Nei casi di manifesta irregolarità, il CdC può decidere di irrogare
direttamente la sanzione, che in questo campo autoregolamentato è
un’ingiunzione di desistenza, cioè un invito rivolto all’inserzionista a
cessare la pubblicità in questione - che è tutto ciò che lo IAP, in un sistema
privatistico, può fare. Se l’invito è accolto, la questione si esaurisce.
- Qualora però, comunicato l’invito al destinatario, questo soggetto si
difenda contestando di aver violato il codice, il CdC prende atto delle
argomentazioni a difesa e valuta se ritirare o meno l’invito a desistere
poiché magari, grazie ai chiarimenti, capisce che il comportamento non è
illecito. Se ritiene che i chiarimenti non siano sufficienti, il CdC si rivolge
al presidente del Giurì che valuta il caso. Se l’irregolarità è manifesta tiene
l’invito a desistere, se invece ci sono dei dubbi valuta d’investire l’intero
Giurì della decisione.
- Quando il procedimento è invece avviato da un concorrente, l’intero Giurì
è investito della decisione d’ufficio e valuterà in concreto un caso. Un
giudizio davanti al Giurì dura pochissime settimane; davanti al Giurì, come
dall’Autorità, non ho bisogno di essere rappresentato da un avvocato anche
se in genere ciò accade.

Come funziona il sistema dello IAP?


La violazione delle regole del Codice può essere fatta valere davanti allo IAP
soltanto da operatori del mercato, quindi imprenditori lesi dall’altrui pubblicità
che viola il codice. Ogni altra figura, incluse le associazioni di consumatori,
deve denunciare la pubblicità al Comitato di Controllo.

Cosa accade se l’inserzionista non ottempera alle decisioni del Giurì?


Egli può rinnovare l’invito, ed in caso di inottemperanza anche al rinnovo
d’invito, il Giurì può rendere pubblico che l’inserzionista non vuole
ottemperare alle sue decisioni. Ma perché non accade questa cosa? Il sistema
dell’autodisciplina è costruito molto bene, secondo modalità che invogliano

30
gli operatori del mercato a rispettare a queste decisioni. Come abbiamo già
detto, le parti vincolate sono molte ed in modo ampio: le associazioni di
categoria sono vincolate per statuto, ed esse sono obbligate a prevedere che i
loro associati (nel momento stesso dell’associazione) sottostiano a queste
norme - e dunque le decisioni del Giurì.
Ma non basta: la lettera E delle disposizioni preliminari del codice stabilisce
che le associazioni devono prendere che i loro associati, nello stipulare
contratti in materia di pubblicità, debbano includere la cosiddetta clausola di
accettazione - ovverosia quella che impone anche alla controparte di rispettare
il codice e le decisioni dello IAP.
Il grosso inconveniente in questo meccanismo è l’avvento di internet, che non
è assoggettabile a media tradizionale né può avere un’associazione di
categoria - ed è lì che ovviamente il mondo dell’adv si sposta.

Su chi incombe l’onere della prova?


Davanti ai giudici ordinari, la regola è che chiunque avvia un giudizio deve
provare i vari fatti costitutivi della sua pretesa - e quindi l’onere della prova
ricade su chi denuncia l’illecito.
Nei sistemi IAP e AGCM, è previsto l’invertimento dell’onere della prova
tramite una regola apposita. È l’inserzionista che quindi deve dar prova
della veridicità delle informazioni fornite, come già visto in materia di
pubblicità comparativa - i dati della comparazione devono essere oggettivi e
verificabili e di ciò deve dare garanzia il comparante.

31
28/10
Pratiche commerciali scorrette
Regolato dall’ Art. 18 e seguenti del Codice del Consumo. A questo divieto
seguono due ulteriori divieti leggermente più specifici (seppur comunque generali)
per pratiche ingannevoli e aggressive, e due grandi “blacklist” esemplificativi di
comportamenti sempre e comunque vietati, molti dei quali attuabili soltanto o
mediante la pubblicità.

Art.18
1. Ai fini del presente titolo, si intende per:
a. "consumatore": qualsiasi persona fisica che, nelle pratiche commerciali oggetto del
presente titolo, agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività
commerciale, industriale, artigianale o professionale;
b. "professionista": qualsiasi persona fisica o giuridica che, nelle pratiche commerciali
oggetto del presente titolo, agisce nel quadro della sua attività commerciale,
industriale, artigianale o professionale e chiunque agisce in nome o per conto di un
professionista;
c. "prodotto": qualsiasi bene o servizio, compresi i beni immobili, i diritti e le
obbligazioni;
d. "pratiche commerciali tra professionisti e consumatori" (di seguito denominate:
"pratiche commerciali"): qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione,
comunicazione commerciale ivi compresa la pubblicità e la commercializzazione del
prodotto, posta in essere da un professionista, in relazione alla promozione, vendita o
fornitura di un prodotto ai consumatori;
d-bis 'microimprese: entità, società o associazioni che, a prescindere dalla forma giuridica,
esercitano un'attività economica, anche a titolo individuale o familiare, occupando
meno di dieci persone e realizzando un fatturato annuo oppure un totale di bilancio
annuo non superiori a due milioni di euro, ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 3,
dell'allegato alla raccomandazione n. 2003/361/CE della Commissione, del 6 maggio
2003;
e. "falsare in misura rilevante il comportamento economico dei consumatori":
l'impiego di una pratica commerciale idonea ad alterare sensibilmente la
capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole, inducendolo
pertanto ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe
altrimenti preso;
f. "codice di condotta": un accordo o una normativa che non è imposta dalle disposizioni
legislative, regolamentari o amministrative di uno Stato membro e che definisce il
comportamento dei professionisti che si impegnano a rispettare tale codice in
relazione a una o più pratiche commerciali o ad uno o più settori imprenditoriali
specifici;
g. "responsabile del codice": qualsiasi soggetto, compresi un professionista o un gruppo
di professionisti, responsabile della formulazione e revisione di un codice di condotta
ovvero del controllo del rispetto del codice da parte di coloro che si sono impegnati a
rispettarlo;
h. "diligenza professionale": il normale grado della specifica competenza ed attenzione
che ragionevolmente i consumatori attendono da un professionista nei loro confronti
rispetto ai principi generali di correttezza e di buona fede nel settore di attività del
professionista;
i. "invito all'acquisto": una comunicazione commerciale indicante le caratteristiche e il
prezzo del prodotto in forme appropriate rispetto al mezzo impiegato per la
comunicazione commerciale e pertanto tale da consentire al consumatore di effettuare
un acquisto;
j. "indebito condizionamento": lo sfruttamento di una posizione di potere rispetto al
consumatore per esercitare una pressione, anche senza il ricorso alla forza fisica o la
minaccia di tale ricorso, in modo da limitare notevolmente la capacità del
consumatore di prendere una decisione consapevole;
k. "decisione di natura commerciale": la decisione presa da un consumatore relativa a se
acquistare o meno un prodotto, in che modo farlo e a quali condizioni, se pagare
integralmente o parzialmente, se tenere un prodotto o disfarsene o se esercitare un
diritto contrattuale in relazione al prodotto; tale decisione può portare il consumatore a

32
compiere un'azione o all'astenersi dal compierla;
l. "professione regolamentata": attività professionale, o insieme di attività professionali,
l'accesso alle quali e il cui esercizio, o una delle cui modalità di esercizio, è
subordinata direttamente o indirettamente, in base a disposizioni legislative,
regolamentari o amministrative, al possesso di determinate qualifiche professionali.

Che cos’è una pratica commerciale?


È pratica commerciale tra professionisti e consumatori qualsiasi azione, omissione,
condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresa la pubblicità e
la commercializzazione del prodotto, posta in essere da un professionista, in
relazione alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori.
à ovverosia qualsiasi pratica che modifica la quantità di domanda di un dato
prodotto o servizio.

Questa disciplina delle pratiche commerciali scorrette incorpora tutt’un tratto la


regolazione della pubblicità nei rapporti tra professionista e consumatore. Visto che
i prodotti e servizi sono tipicamente offerti ad un pubblico indistinto, ne consegue
che quando l’imprenditore realizza una pubblicità deve assoggettarsi al vaglio di
queste regole. Il senso di queste regole è l’ampliamento della disciplina che
protegge i consumatori, estendendo le norme che regolano la pubblicità all’intero
parterre delle pratiche commerciali.

Dispositivo dell'art. 20 Codice del consumo


1. Le pratiche commerciali scorrette sono vietate.
2. Una pratica commerciale è scorretta se è contraria alla diligenza
professionale, ed è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il
comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore
medio che essa raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un
gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato
gruppo di consumatori.

3. Le pratiche commerciali che, pur raggiungendo gruppi più ampi di


consumatori, sono idonee a falsare in misura apprezzabile il
comportamento economico solo di un gruppo di consumatori chiaramente
individuabile, particolarmente vulnerabili alla pratica o al prodotto cui
essa si riferisce a motivo della loro infermità mentale o fisica, della loro
età o ingenuità, in un modo che il professionista poteva ragionevolmente
prevedere, sono valutate nell'ottica del membro medio di tale gruppo. È
fatta salva la pratica pubblicitaria comune e legittima consistente in
dichiarazioni esagerate o in dichiarazioni che non sono destinate ad essere
prese alla lettera.

4. In particolare, sono scorrette le pratiche commerciali:


a. ingannevoli di cui agli articoli 21, 22 e 23 o
b. aggressive di cui agli articoli 24, 25 e 26.
5. Gli articoli 23 e 26 riportano l'elenco delle pratiche commerciali,
rispettivamente ingannevoli e aggressive, considerate in ogni caso scorrette.

Divieto generale di pratiche commerciali scorrette dell’art. 20


Le pratiche commerciali scorrette sono vietate (comma 1).
Si ritengono scorrette quelle ingannevoli e quelle aggressive (comma 4).
Se il comportamento rientra nelle fattispecie artt. 23-26 sono scorrette (comma 5).
Il comma 2 definisce la pratica commerciale (qualsiasi comportamento che incide

33
sulla domanda del consumatore). Essa è scorretta se è contraria alla diligenza
professionale se falsa o vuole falsare in misura apprezzabile il comportamento
economico in relazione al prodotto del consumatore medio. Siamo di fronte quindi
ad un illecito di pericolo, basta che il comportamento sia idoneo a falsare la
condotta economica del consumatore - basta una prognosi di potenziale danno al
consumatore, alterando sensibilmente le sue attitudini nei confronti del mercato
(non necessariamente di spesa, ma anche altre decisioni riguardanti il mercato) e la
sua capacità di prendere decisioni consapevolmente (Art. 18, lettera e),
inducendolo a fare una scelta che altrimenti non avrebbe fatto. Qui si protegge la
sovranità e la libertà di scelta del consumatore come principio cardine del mercato
perfettamente funzionante, premiando quindi gli imprenditori virtuosi e - come
conseguenza, permettendo un’allocazione delle risorse ideale.

Cosa si intende per “decisione di natura commerciale”?


La decisione presa da un consumatore se acquistare o meno un prodotto, come
farlo, con che modalità di pagamento, se tenere un prodotto o disfarsene, se
estendere la garanzia, ecc.

Bisogna valutare l’entità della volontà a falsare il comportamento economico del


consumatore mediamente informato e mediamente avveduto - il consumatore
medio. Se però la pubblicità è diretta o raggiunge soltanto un gruppo, bisogna
considerare il medio del solo gruppo. Se però una pubblicità ha un messaggio con
ampio target ma che può apprezzabilmente falsare il comportamento solamente di
un gruppo chiaramente individuabile (ad es. la Barbie che cammina da sola, il
messaggio può essere raggiunto da chiunque ma è chiaro che il comportamento
economico potenzialmente falsato è quello dei bambini) ci si deve comportare con
maggiore rigore e attenzione.
Logicamente quando le iperboli o figure retoriche (considerate logicamente
legittime) sono riconoscibili, occorre decodificare secondo il significato che lo
stesso consumatore medio riesce ad intendere (I rotoloni regina non finiscono mai -
ovvio che non finiscano, ma chiaramente c’è molto materiale).

È considerata ingannevole una pratica commerciale (Art. 21 comma 1) che


contiene informazioni (caratteristiche, prezzo, condizioni di vendita, ecc.) non
rispondenti al vero o induce o può indurre in errore il consumatore. Anche una
pratica con informazioni vere presentata in modo che induce in errore il
consumatore è illecita. (G) Unica fattispecie differente dalle tipiche caratteristiche
del prodotto servizio è quella che prevede che se il consumatore ha diritti specifici
riguardo al prodotto, bisogna che egli sia edotto chiaramente su di essi (diritto
di recesso online o porta a porta, ecc.).

Dispositivo dell'art. 21 Codice del consumo


1. È considerata ingannevole una pratica commerciale che contiene
informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corretta, in
qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o è
idonea ad indurre in errore il consumatore medio riguardo ad uno o più
dei seguenti elementi e, in ogni caso, lo induce o è idonea a indurlo ad
assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe
altrimenti preso:
a. l'esistenza o la natura del prodotto;
b. le caratteristiche principali del prodotto, quali la sua disponibilità, i

34
vantaggi, i rischi, l'esecuzione, la composizione, gli accessori, l'assistenza
post-vendita al consumatore e il trattamento dei reclami, il metodo e la
data di fabbricazione o della prestazione, la consegna, l'idoneità allo
scopo, gli usi, la quantità, la descrizione, l'origine geografica o
commerciale o i risultati che si possono attendere dal suo uso, o i risultati
e le caratteristiche fondamentali di prove e controlli effettuati sul
prodotto;
c. la portata degli impegni del professionista, i motivi della pratica
commerciale e la natura del processo di vendita, qualsiasi dichiarazione o
simbolo relativi alla sponsorizzazione o all'approvazione dirette o
indirette del professionista o del prodotto;
d. il prezzo o il modo in cui questo è calcolato o l'esistenza di uno specifico
vantaggio quanto al prezzo;
e. la necessità di una manutenzione, ricambio, sostituzione o riparazione;
f. la natura, le qualifiche e i diritti del professionista o del suo agente, quali
l'identità, il patrimonio, le capacità, lo status, il riconoscimento,
l'affiliazione o i collegamenti e i diritti di proprietà industriale,
commerciale o intellettuale o i premi e i riconoscimenti;
g. i diritti del consumatore, incluso il diritto di sostituzione o di
rimborso ai sensi dell'articolo 130 del presente Codice.

2. È altresì considerata ingannevole una pratica commerciale che, nella


fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del
caso, induce o è idonea ad indurre il consumatore medio ad assumere una
decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso e comporti:
a. una qualsivoglia attività di commercializzazione del prodotto che
ingenera confusione con i prodotti, i marchi, la denominazione sociale e
altri segni distintivi di un concorrente, ivi compresa la pubblicità
comparativa illecita;
b. il mancato rispetto da parte del professionista degli impegni contenuti
nei codici di condotta che il medesimo si è impegnato a rispettare, ove
si tratti di un impegno fermo e verificabile, e il professionista indichi in
una pratica commerciale che è vincolato dal codice.

3. È considerata scorretta la pratica commerciale che, riguardando prodotti


suscettibili di porre in pericolo la salute e la sicurezza dei consumatori, omette
di darne notizia in modo da indurre i consumatori a trascurare le normali
regole di prudenza e vigilanza.
3-bis. È considerata scorretta la pratica commerciale di una banca, di un istituto di
credito o di un intermediario finanziario che, ai fini della stipula di un
contratto di mutuo, obbliga il cliente alla sottoscrizione di una polizza
assicurativa erogata dalla medesima banca, istituto o intermediario ovvero
all'apertura di un conto corrente presso la medesima banca, istituto o
intermediario.

4. È considerata, altresì, scorretta la pratica commerciale che, in quanto


suscettibile di raggiungere bambini ed adolescenti, può, anche indirettamente,
minacciare la loro sicurezza.
4-bis. E' considerata, altresì, scorretta la pratica commerciale che richieda un
sovrapprezzo dei costi per il completamento di una transazione elettronica con
un fornitore di beni o servizi

35
Omissioni ingannevoli
È la pratica che (date le caratteristiche del mezzo) omette informazioni rilevanti di
cui il consumatore medio ha bisogno per assumere una decisione commerciale, e
che quindi induce il consumatore a prendere una decisione di natura economica che
altrimenti non avrei preso.

I rimandi al sito web per poter approfondire ed integrare il claim su un qualunque


mezzo, è reso lecito - non sono quindi obbligato a inserire tutto nella pubblicità
tabellare, ad esempio, se stimolo a visitare il sito web. Se gli spazi sono limitati
(per peculiarità del medium), secondo il codice di condotta dell’IAP, bisogna
rimanere sul piano generico, il che rende necessario un rimando ad un altro
medium.
È illecito contrabbandare per informazione/espressione artistica una pubblicità - la
pubblicità occulta è quindi una omissione ingannevole.
Comma 4

Che cos’è un invito all’acquisto? Secondo l’art. 18 (che contiene le definizioni) è


una comunicazione commerciale indicante le caratteristiche e il prezzo del prodotto
in forme appropriate rispetto al mezzo impiegato per la comunicazione
commerciale e pertanto tale da consentire al consumatore di effettuare un acquisto.

L’art. 22 indica che è una pratica considerata omissione ingannevole quando


occulta o presenta in modo oscuro, incomprensibile, ambiguo o intempestivo le
informazioni rilevanti o non indica l'intento commerciale della pratica.
Contrabbando quindi come informazione di carattere artistico o creativo (per
esigenze narrative) quello che in realtà è un claim pubblicitario. La pubblicità
occulta è quindi un’omissione ingannevole - e quindi ovviamente una pratica
commerciale scorretta.

Art. 22 Codice del consumo, Omissioni ingannevoli

1. È considerata ingannevole una pratica commerciale che nella fattispecie


concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, nonché
dei limiti del mezzo di comunicazione impiegato, omette informazioni
rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno in tale contesto per prendere
una decisione consapevole di natura commerciale e induce o è idonea ad
indurre in tal modo il consumatore medio ad assumere una decisione di natura
commerciale che non avrebbe altrimenti preso.
2. Una pratica commerciale è altresì considerata un'omissione ingannevole
quando un professionista occulta o presenta in modo oscuro,
incomprensibile, ambiguo o intempestivo le informazioni rilevanti di cui al
comma 1, tenendo conto degli aspetti di cui al detto comma, o non indica
l'intento commerciale della pratica [ pubblicità occulta ] stessa qualora
questi non risultino già evidente dal contesto nonché quando, nell'uno o
nell'altro caso, ciò induce o è idoneo a indurre il consumatore medio ad
assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti
preso.
3. Qualora il mezzo di comunicazione impiegato per la pratica commerciale
imponga restrizioni in termini di spazio o di tempo, nel decidere se vi sia stata
un'omissione di informazioni, si tiene conto di dette restrizioni e di qualunque
misura adottata dal professionista per rendere disponibili le informazioni ai
consumatori con altri mezzi.

4. Nel caso di un invito all'acquisto sono considerate rilevanti, ai sensi del


comma 1, le informazioni seguenti, qualora non risultino già evidenti dal

36
contesto:
a. le caratteristiche principali del prodotto in misura adeguata al mezzo di
comunicazione e al prodotto stesso;
b. l'indirizzo geografico e l'identità del professionista, come la sua
denominazione sociale e, ove questa informazione sia pertinente,
l'indirizzo geografico e l'identità del professionista per conto del quale
egli agisce;
c. il prezzo comprensivo delle imposte o, se la natura del prodotto comporta
l'impossibilità di calcolare ragionevolmente il prezzo in anticipo, le
modalità di calcolo del prezzo e, se del caso, tutte le spese aggiuntive di
spedizione, consegna o postali oppure, qualora tali spese non possano
ragionevolmente essere calcolate in anticipo, l'indicazione che tali spese
potranno essere addebitate al consumatore;
d. le modalità di pagamento, consegna, esecuzione e trattamento dei reclami
qualora esse siano difformi dagli obblighi imposti dalla diligenza
professionale;
e. l'esistenza di un diritto di recesso o scioglimento del contratto per i
prodotti e le operazioni commerciali che comportino tale diritto.

5. Sono considerati rilevanti, ai sensi del comma 1, gli obblighi di informazione,


previsti dal diritto comunitario, connessi alle comunicazioni commerciali,
compresa la pubblicità o la commercializzazione del prodotto.

Perché invece le pratiche aggressive sono considerate scorrette?


Perché esercitano sul consumatore medio un indebito condizionamento (minaccia,
violenza, coercizione ecc.), inducendo il consumatore ad una scelta di natura
economica che non avrebbe preso senza quella circostanza. Qui il consumatore è
consapevole ma viene lesa la sua libertà di scelta tramite pratiche che inducono ad
impressionare una persona media.
Ecco che quindi tutte le pubblicità ingannevoli, occulte, comparative sleali che
abbiamo conosciuto finora sono pratiche commerciali scorrette, quando rivolte al
consumatore.

37
Il Codice di Autodisciplina Pubblicitaria
dello IAP
Il codice riproduce buona parte della disciplina della pubblicità che sta nel dl
145/2007. La lettera D dell’introduzione del codice riguarda la clausola di
accettazione, mettendo per iscritto ciò che abbiamo detto - tutte le associazioni che
compongono lo IAP sono tenute a far rispettare il Codice ai loro consociati durante
i loro contratti con gli inserzionisti (i quali, a loro volta, sono tenuti a tener conto
delle disposizioni dell’IAP).

 Art. 1 à “La pubblicità deve essere onesta, veritiera e corretta. Essa deve
evitare tutto ciò che possa screditarla.”
È l’indicazione dell’orientamento teleologico fondamentale (ovvero la finalità
principale) del Codice, ovvero la tutela della pubblicità come istituzione.
Proprio perché l’obiettivo è ad ampio raggio, la regolamentazione è più
pervasiva e granulare di quella del DLGS 145/2007 - d’altronde sono gli
operatori stessi che fissano le regole, ed è quindi fisiologico che possano
anche imporre un livello di limitazione maggiore rispetto a quello che dà un
potere esterno come quello dello Stato.

 Art. 2 à Divieto generale di pubblicità ingannevole.


 Art. 4 à Disciplina un caso particolare di pubblicità occulta, quello relativo ai
testimonial àche si possono usare in pubblicità, ma devono rendere palese la
loro natura e devono essere autentiche e responsabili.
 Art. 6 à Dimostrazione della verità della comunicazione commerciale.
Un principio fondamentale del Codice è l’articolo che consente l’inversione
dell’onere della prova che finisce in capo all’inserzionista.

 Art. 7 à Identificazione della pubblicità - e quindi della pubblicità occulta


(con il consumatore medio del gruppo di riferimento come parametro di
valutazione dell’ingannevolezza).
 Art. 8 à Una di quelle previsioni che nel DLGS (presente in qualche modo
nel codice del consumo, pratiche commerciali aggressive) non sono presenti.
È il divieto di sfruttamento di ogni forma di superstizione, credulità e
della paura (salvo ragioni giustificate).

 Art. 9 à La pubblicità non deve contenere affermazioni o rappresentazioni di


violenza fisica o morale o tali che, secondo il gusto e la sensibilità dei e dati
consumatori, debbano ritenersi indecenti, volgari o ripugnanti. Usare
immagini troppo forti per vendere scredita la pubblicità in quanto tale.

 Art. 10 à La pubblicità non deve offendere le convinzioni morali, civili e


religiose. Essa deve rispettare la dignità della persona umana in se tutte le sue
forme ed espressioni e deve evitare ogni forma di discriminazione, compresa
quella di genere.

Previsione di grande rilievo etico, è sempre stata una degli elementi distintivi
del Codice rispetto all’Ordinamento Statale.
Attenzione: non è vietato in una pubblicità utilizzare rimandi ad un credo
religioso, bensì utilizzarli in modo profanatorio, che accade quando questi
simboli sono piegati, strumentalizzati a fini commerciali.
ES: la pubblicità di Benetton x Oliviero Toscani con cimitero
ebraico per tenere viva la memoria dell’Olocausto, disse ai

38
tempi il Giurì che abbinare la scena ad un marchio sviliva il
senso del messaggio e strumentalizzarlo a fini economici).
È tuttavia notizia di questi giorni che una recente modifica del Codice della
Strada prevede il divieto di pubblicità, su strade e veicoli, avente contenuto
sessista, violento, offensivo o comunque lesivo dei diritti civili, del credo
religioso e dell’appartenenza etnica - ovvero discriminatorio.

 Art. 11 à Disciplina la presenza di bambini e adolescenti nella


comunicazione commerciale.
 Art. 12/12bis à Pubblicità pericolosa con specifica tutale riservata
all’ambiente (più rigorosi della previsione del DLGS).

 Art. 13 à Divieto di imitazione confusoria o servile delle idee


pubblicitarie.
- Deve essere evitata qualsiasi imitazione servile della comunicazione
commerciale altrui anche se relativa a prodotti non concorrenti, specie se
idonea a creare confusione con altra comunicazione commerciale.
- Deve essere inoltre evitato qualsiasi sfruttamento del nome, del marchio,
della notorietà e dell’immagine aziendale altrui, se inteso a
-
-
- trarre per se un ingiustificato profitto. Questa previsione contiene in realtà
due regole operative: una è posta a protezione dei valori recati dall’altrui
marchio (si vieta un’imitazione dell’altrui pubblicità - tramite slogan o
costruzione della pubblicità - che abbia effetti confusori, cioè che miri a far
intendere che il prodotto pubblicizzato venga dall’impresa concorrente la
cui pubblicità è imitata), l’altra mira a proteggere valori suggestivi e ad
evitare l’agganciamento tramite accostamento di un prodotto all’altro.
Se detraiamo dall’enunciato normativo queste due previsioni, però rimane il
fatto che la previsione vale anche per prodotti non concorrenti - e quindi non
ha potenziale effetto confusorio. Il fatto di usare un’altrui idea di
comunicazione commerciale, anche in assenza di un pericolo di confusione e al
di fuori di un rapporto di concorrenza, è un illecito disciplinare. Questo è uno
dei casi in cui il Codice vuole, tramite l’autodisciplina, tutelare la
pubblicità in quanto opera creativa in sé.
La tutela dell’idea pubblicitaria non si ferma qui nel codice: gli artt. 43-44-45,
riguardanti le regole di deposito, contribuiscono a normare questo aspetto.
- Il 43 dice che qualora un creativo pubblicitario interagisca con un utente
(cioè un inserzionista) all’interno di una gara (Contest
pubblico)/consultazione plurima (quando chiedo privatamente a più
creativi di studiarmi una campagna pubblicitaria) o individuale, l’utente
non potrà utilizzare l’idea pubblicitaria fattagli conoscere per i 3 anni
successivi al momento del deposito dell’idea in sé presso lo IAP.
L’invito al creativo è quello di passare a depositare bozzetti/descrizioni
campagna pubblicitaria/ecc. prima di recarti dal potenziale cliente, in modo
tale da vincolarlo per i prossimi 3 anni a rispettare il tuo lavoro.
- L’art. 44 invece disciplina la pubblicazione degli avvisi di protezione, che
è una comunicazione che l’inserzionista (o il creativo per lui) rende nella
quale si descrive la pubblicità oggetto della pre- emption (ovvero che esce,
come test, in anteprima su canali o medium non di grande portata - un
canale poco frequentato la sera tardi, ad esempio) con l’obiettivo di rendere
noto quest’avviso sul sito dello IAP in anteprima, con la conseguenza che
tutti gli operatori del mercato possono periodicamente monitorare il
contenuto degli annunci pre-emption e sapere su quali temi, slogan, idee
qualcuno abbia già “messo il cappello”. La protezione garantita dall’avviso
in questione dura 12 mesi e vincola gli altri consociati dell’IAP a non
39
sfruttare, per questo periodo di tempo, l’idea oggetto dell’annuncio pre-
emption.
- Per proteggere le imprese multinazionali che decidono di fare la stessa
campagna (o campagne simili) ma con sfasamenti temporali ed in diversi
scenari, l’art. 45 prevede la possibilità del deposito della pubblicità svolta
all’estero. Un imprenditore che realizza una campagna pubblicitaria
all’estero e desideri poi sfruttarla in Italia può depositaria presso lo IAP e
per 5 anni avrà lo sfruttamento esclusivo di quell’idea pubblicitaria. In
questo modo si governa il rischio dei cosiddetti “incontri fortuiti”, cioè
quei casi in cui la stessa idea venga coltivata da più operatori del mercato.
Non solo: si evita il rischio dell’imitazione servile pubblicitaria, cioè lo
sfruttamento non autorizzato del lavoro creativo altrui.

 Art. 14 à Divieto della denigrazione.


 Art. 15 à Disciplina della comparazione.
 Art. 16 à Principio di variabilità - la stessa pubblicità può essere lecita se
passa su un medium ma illecita su un altro; quando il messaggio è, a causa
del medium peculiare che limita gli spazi, in tutte le sue parti o in gran parte
generico, non lo si può circostanziare solamente in alcuni aspetti. Se si sceglie
il dettaglio, bisogna essere dettagliato su tutto, se il medium ti limita occorre
rimanere generici.

Titolo II - Norme Particolari


Esse riguardano alcuni tipi di sistemi di vendita problematici (vendite a credito, vendite a distanza,
forniture non richieste, manifestazioni a premio) ed alcuni settori merceologici molto delicati
(alcolici, cosmetici, integratori alimentari e prodotti dietetici, trattamenti fisici ed estetici, medicinali,
corsi d’istruzione, operazioni finanziarie e immobiliari, viaggi organizzati, giocattoli). Tipicamente
contestualizzano il divieto di pubblicità ingannevole con riferimento a questi settori particolari: sono
il frutto di 55 anni di esperienza di giurisprudenza autodisciplinare. Sono sostanzialmente forme di
elaborazione di regole specifiche nate da un’esperienza amplissima.

40
11/11/21
Diritto d’autore
Si parla di una tecnica giuridica che consente l’appropriazione delle utilità
derivanti dalle forme espressive (e cioè dei significanti - il diritto d’autore,
infatti, non consente di proteggere i contenuti ideativi ed informativi, che
rimangono pertanto di libero uso) in qualsiasi lingua e linguaggio, qualsiasi sia il
significato trasmesso o che l’autore vuole trasmettere (rilevante su piano
artistico, scientifico, informativo), un tema neutro.
à Il significato non è proteggibile dal diritto d’autore, al contrario del
significante, forma espressiva dell’ingegno umano - una gamma
vastissima, dalla musica al software, dalle banche dati al design, dalle arti
figurative fino alle opere letterarie.

Corpus Misticus vs Corpus Meccanicum àSeparazione dell’opera dell’ingegno


umano dal supporto materiale.
Es: Bill Gates: programma windows vs millioni di computer;

“Merge of doctrine” = termine che utilizzano gli Americani per indicare il


principio che indica che quando la forma è indispensabile per rendere un
contenuto, allora esso è nemmeno proteggibile - deve restare in libero uso (vista
l’enorme dilatazione tempo-spaziale del diritto d’autore).

Il tema della “Forma espressiva” è un tema diabolico per gli economisti: al


contrario delle altre risorse protette da diritti di proprietà intellettuale (le invenzioni
brevettate, “soluzioni originali di problemi tecnici, i marchi, segni distintivi,
disegno industriale - entità non corporali, ovvero idee, informazioni, concetti che
però possono avere un substrato fisico che le ospita ma prescindono nella loro
essenza da questo corpus meccanicum), le forme espressive sono tecnicamente
viste come beni pubblici (che, economicamente, sono la prima causa di fallimento
del mercato).
Ci dicono gli economisti che se il modo migliore di stimolare la produzione di un
bene (non in quantità infinita, ovviamente: in quantità collimanti con la domanda di
mercato, con allocazione efficiente delle risorse) di cui si ha bisogno è attribuire la
proprietà di questo bene a chi lo crea, i beni pubblici non possono essere parte di
questo stimolo per due peculiarità:
à non sono suscettibili di possesso esclusivo e sono caratterizzate da non
rivalità nel consumo.

Cosa significa che gli intangibles ed i works, le opere dell’ingegno, non possono
essere oggetto di un potere materiale da parte del loro detentore che consente
di escludere qualsiasi altra persona dalle relative utilità - a differenza delle res, gli
oggetti fisici (Diritto reale, possesso)?
à Il diritto, nella stragrande maggioranza dei casi, non fa null’altro che
formalizzare soluzioni, punti di equilibrio, regole, principi già elaborati dai
consociati (tra cui i diritti Reali, sulle cose corporali).

Prima della teorizzazione del diritto di proprietà bisogna tornare fino all’antica
Roma (fucina del diritto moderno): il concetto di “mio” anticipava le autorizzazioni
e anche i testi normativi – la relazione diritta tra l’uomo e la cosa si basa sul primo
barlume di intelligenza dell’uomo sapiens, che anticipa il concetto di diritto
privato.

Con le forme dell’ingegno (beni non corporali), questo tipo di ragionamento non
è possibile:
Una volta che l’opera dell’ingegno è pubblicata, non esiste possibilità di

41
esercitare un possesso esclusivo, in quanto beni intangibili, la Non-Esclusività
del consumo. Si riproducono in modo potenzialmente infinito ed in modo
facilissimo, su una molteplicità di tipi di supporti materiali, soprattutto oggi, dal
momento che i mezzi digitali abbassano drasticamente il costo marginale per creare
una nuova opera, facendolo tendere a 0.
à non lo stesso corpus meccanicus ma lo stesso corpus misticus (no stessa
macchina, ma stesso film).

Non solo, la Non-Rivalità nel consumo è un altro aspetto economicamente


problematico.
Per non-rivalità del consumo del consumo si intende che lo stesso bene può essere
utilizzato da una pluralità, anche indefinita, di soggetti contemporaneamente, senza
che l’utilizzazione da parte dell’uno limiti le utilità traibili da parte dell’altro.
à Moltissime persone possono utilizzare lo stesso software, ascoltare la stessa
canzone, leggere lo stesso libro, guardare lo stesso programma, mentre due persone
non possono guidare la stessa macchina in due direzioni diverse.

Beni non escludibili e non rivali nel consumo, sono Beni Problematici à Beni
pubblici.
Beni sul quale non posso organizzare un mercato, la proprietà privata non
funziona nell’organizzarne la produzione. Chi lo produce ne patisce il free riding.
In questo scenario, investire denaro per creare (di fatto) beni pubblici è
problematico, poiché non riesci ad evitare esternalità positive per i terzi. Ciò
può produrre l’opportunismo, ovvero che persone diverse rispetto a coloro che
hanno investito denaro per creare questi beni ne beneficino senza consenso e
senza compenso.
Per ovviare al problema, ci sono da lunghissimo tempo meccanismi per stimolare
la creatività intellettuale: il mecenatismo, le sovvenzioni pubbliche, ad esempio.
Non c’è quindi spazio per un meccanismo mercato per poter ovviare
all’opportunismo: bisogna spostarsi sul diritto, stabilendo delle regole al gioco
che ristabiliscano sul piano giuridico l’escludibilità, impossibile sul piano fisico. Ci
vogliono delle regole che mi dicano che se io uso, senza il consenso del soggetto
che ha prodotto l’opera, quella determinata forma espressiva, il soggetto può
reagire e pretendere che mi siano irrogate sanzioni (che, in linea di principio,
abbiano l’effetto di riservare al soggetto le utilità dell’intangible). Deve esserci una
legge che preveda un consenso per l’utilizzo del bene, e che se questo utilizzo sia
legato ad un compenso mi obblighi a pagarlo. Le forme “classiche” di incentivo
alla creazione di opere sono rimaste, ma da circa 600 anni abbiamo dei meccanismi
che mirano a costruire anche un mercato delle opere dell’ingegno e dei prodotti
culturali che le contengono, mediante una serie di previsioni tecnico-giuridiche che
prevedono l’appropriazione in capo ad un privato del potere di sfruttamento delle
medesime opere.

La necessità di risolvere il problema delle utilità degli intangibles è emersa solo in


età moderna, mai in età antica né in età medievale - a metà del 1400 Güthenberg
inventa la stampa a caratteri mobili. In età antica c’erano ovviamente scritti, ma
questo dilemma dei diritti era bypassato dalla limitatezza degli esemplari di
scritto (che giungono fino a noi in forma di pergamena o papiro).
Inoltre, il valore dell’opera tendeva ad essere incorporato dall’esemplare
materiale (il libro costava e valeva tanto, contenendo il valore non solo
dell’esemplare materiale ma anche dell’opera che vi era scritta): l’autore,
disponendo dell’originale dell’opera, laddove decidesse di commerciare l’esito del
suo lavoro, aveva un potere contrattuale notevolissimo.
Lo sviluppo dell’invenzione della stampa è fulminante: in pochi decenni, c’è
un’esplosione di stampatori e di attività di stampa. È un fenomeno
economicamente e culturalmente importantissimo e straordinariamente

42
spontaneo.
Com’è possibile che le menti brillanti del diritto, fino ad allora, al 400, non
avessero realizzato l’importanza del tema degli intangibles? Qualche traccia di
consapevolezza c’è:

• II secolo DC, nelle scuole di legge romane si discute della Tabula Picta,
ovverosia dell’appartenenza di un dipinto realizzato da un artista su una tavola
di legno altrui. Questa è la prima presa di coscienza embrionale della
distinzione dialettica tra supporto materiale e forma espressiva. Il problema è
poi risolto sulla base delle regole dell’accessione, stabilendo cioè quale tra i due
è l’apporto economicamente più rilevante.

• I primi soggetti a richiedere tutela del loro lavoro sono gli stampatori, che al
momento sono degli artigiani e non hanno neppure, all’inizio, una corporazione
che li rappresenti, spesso incentivati dal potere politico, signore o dal sovrano a
venire ad esercitare la loro attività nei territori interessati.
ES: Manuzio Aldo, grande stampatore veneziano, protostoria del diritto
d’autore.
à Gli strumenti a disposizione del sovrano per tutelare lo stampatore sono i
privilegi,
Il privilegio ovvero un provvedimento dei pubblici poteri con il quale si
riserva ad un determinato soggetto l’esercizio di un’attività.
Talvolta viene acconsentito un privilegio per l’intera area territoriale (con
la conseguenza che nessun altro potrà fare lo stampatore in quel
ducato/regno/ecc.), in altri casi le esclusive vengono limitate, a volte per
classi di opere (tutte quelle della letteratura latina o greca o di Platone, ad
esempio).

 Una volta saturato il mercato dei classici, scatta l’esigenza di tutelare anche i
contemporanei, che già allora puntavano direttamente ad essere stampati e
tutelati fin da subito, che vedono lo stampatore arricchirsi, sfruttando il loro
lavoro intellettuale. O peggio, altri stampatori si arricchiscono rispetto ai quali
avevano affidato la loro opera arricchirsi.
ES: Basti pensare ad Ariosto, che nella prima pagina del suo Orlando Furioso
indica il Privilegio di stampa e illustra le sanzioni nel caso in cui quest’opera
fosse stampata da un’altra bottega.
A questo punto, sono gli autori a rivolgersi ai pubblici poteri del tempo,
chiedendo tutela ed ottenendo a loro volta il privilegio.
à Emergono due tipi di privilegio:
- Quello librario (dato allo stampatore e riguardante una riserva di
attività)
- Quello letterario (assegnato all’autore e riguardante una singola opera o
una pluralità di opere).
Il contenuto è sempre lo stesso, ovvero una riserva di utilizzazione
economica. I l pubblico potere dice: nessuno si permetta di stampare
libri/questo libro senza il consenso dello stampatore/dell’autore. Questi diritti
vengono poi variegati in varie maniere a seconda delle regole del luogo in cui
ci si trova; a volte tutti allo stampatore ma con accordo scritto tra lui e l’autore,
a volte solo all’autore ma dichiarato cedibile, ecc.
In questo modo iniziano a comparire gli strumenti di salvaguardia dello
sfruttamento delle opere dell’ingegno.
Permane tuttavia un problema di fondo: le opere dell’ingegno possono
contribuire alla diffusione di idee pericolose. Ecco che quindi il sovrano
assoluto vuole un controllo su tutto ciò.
à Organizza dunque la concessione del privilegio (sia librario che letterario)
subordinandola all’attività della censura, attività affidata o alle istituzioni
43
ecclesiastiche od ai professori delle università. Formalmente il controllo è sul
piano teologico, ma molto spesso ha contenuto politico.

• A fine ‘600, lo scenario che si può osservare in quasi tutti i paesi d’Europa vede
l’autore come tipico destinatario dei privilegi (o comunque l’autore vivente ha
un potere autorizzatorio determinate nei confronti dell’attività dello
stampatore), ma naturalmente non c’è garanzia che il privilegio venga concesso.
Le rivoluzioni liberali cambiano le parti in causa à liberalizzazione
dell’economia

• Questa situazione deflagra completamente con le rivoluzioni liberali (che


comportano l’abolizione delle norme e dei privilegi e la conseguente
liberalizzazione dell’economia): la prima normativa al mondo che segna il
passaggio dal sistema dei privilegi al vero e proprio diritto (che si chiamerà
“copyright”) è lo Statute della Regina Anna Stuart del 1709-10, pochi anni
dopo l’avvento del liberalismo nel Regno Unito.
• Per quanto riguarda l’esperienza continentale, la prima legge sul diritto d’autore
è il Droit D’Auteur, un decreto francese frutto della Convenzione Nazionale
del 1791, in piena rivoluzione. Il caso francese parte dai teatri, luogo dove
avvenivano le vere battaglie delle idee. Trovare perciò il modo di proteggere gli
interessi degli impresari teatrali ed in generale degli autori era cosa
rilevantissima. Quando la legge viene proposta, si dice che la proprietà
intellettuale è “la più sacra delle proprietà” perché riguarda i frutti dell’intelletto
umano.
• L’idea di fondo è che l’appartenenza delle utilità dell’opera all’autore trovi
giustificazione nel cosiddetto diritto naturale, ovvero delle prescrizioni o
posizioni soggettive immanenti alla natura umana. Dal privilegio al diritto.
Questa era la stessa base ideologica utilizzata da John Locke, in particolare dal
suo allievo William Lexton, circa un secolo prima, per fondare la proprietà
privata. à L’idea di fondo è che esista un diritto di proprietà in capo ad ogni
individuo sulla propria persona, il quale si estende sui frutti del lavoro della
propria persona, che appartengono integralmente a chi quei frutti li realizza.
Nel nuovo scenario, la tutela che viene garantita ad autori (letterari, teatrali,
ecc.) non può che essere un diritto (e non un privilegio), un potere
individuale di escludere gli altri da questa famosa forma espressiva che mi
viene direttamente dallo Stato, senza una valutazione discrezionale da
parte del potere politico.

Già nel 1793 si introduce un decreto che tutela tutte le opere dell’ingegno, non
soltanto quelle letterarie menzionate in quello del ’91. Inoltre, sul piano
normativo si affina la tecnica e si disciplina in modo più ampio e completo
l’attribuzione di un diritto soggettivo agli autori di tutte le opere dell’ingenuo,
indipendentemente dal campo di esplicazione dell’ingegno umano, sia quindi di
carattere artistico, sia scientifico, informativo, divulgativo, ecc.
In età più recente si introduce la tutela delle cosiddette “opere utili”, ovvero
software, design e banche dati.

• I due sistemi normativi originali, quello anglosassone e quello francese, in


origine sono molto simili; hanno però poi una evoluzione marcatamente
differente. Il modello continentale coniuga, nel corso dell’800, la sua natura
originaria di protezione dell’opera e del suo autore con la necessità di
proteggere la personalità creativa dell’autore. Emerge quindi il tema dei Diritti
della Personalità: l’idea cioè che occorra proteggere la persona umana in
tutta una serie di manifestazioni esteriori, i cosiddetti attributi della
personalità, che riflettono l’intimo dell’individuo - il nome, la sua effige, o
immagine, e quindi l’opera dell’ingegno come risultato dello sforzo creativo

44
dell’autore.
L’esito di tutto ciò è l’emersione di un’esigenza: la protezione dell’opera e la
relazione dell’autore con l’opera, indipendentemente dalla protezione degli
interessi patrimoniali dell’autore. Il senso è che il legame che c’è tra un
autore e la sua opera rimanga preservato al netto del fatto che egli cede il
suo diritto ad un editore, o chi per esso; è un interesse che può avere vari
riflessi, sia essa la paternità dell’opera, che l’opera non venga modificata
alternandola in modo tale da pregiudicare la sua morale e la sua reputazione,
ecc.
Questa serie ulteriore di interessi è strettamente legata alla personalità umana ed
è molto omogenea agli altri attributi della personalità. Qui nasce l’idea che si
debba proteggere anche la sfera morale, personale, dell’autore.
Nei vari ordinamenti questa cosa è risolta in vari modi differenti:
- in Germania (in origine anche in Francai, ma poi si riduce) si teorizza la
prevalenza del profilo personale. Si ritiene quindi che il diritto d’autore sia
un diritto della personalità, tanto che ancora adesso è incedibile in quanto
tale - si può solo concedere alcune forme di sfruttamento economico
agli imprenditori culturali;
- Mentre nello scenario italiano si teorizza qualcosa di differente. Esistono
quindi due serie di diritti:
o quelli Patrimoniali, che riguardano lo sfruttamento economico
dell’opera;
o quelli Morali, che proteggono la personalità creativa dell’autore.
I diritti patrimoniali si ritengono cedibili, in particolare acquisibili dagli
imprenditori culturali, i diritti morali no, in quanto appunto diritti della
personalità.
Cosa consegue da tutto ciò?
- Innanzitutto, che i diritti d’autore (in questa parte di mondo)
possono nascere SOLO in capo ad una persona fisica;
- Le prerogative di carattere personale non sono mai cedibili;
- L’atto creativo di per sé deve bastare per la nascita di questi diritti;
- Lo Stato non può subordinare la nascita di questi diritti a formalità
costitutive (come il deposito dell’esemplare dell’opera presso
qualche istituzione).

In ambito anglosassone, si prende la Common Law: il diritto comune


elaborato dalle corti inglesi che hanno iniziato, a partire dal ‘300, a creare
un diritto consuetudinario, più importante di quello di fonte statale di
origine giurisprudenziale - cioè creato direttamente dai giudici. In modo
più pragmatico, si prende nota che la relazione tra l’autore e opera è già
protetta da qualcosa di diverso dal copyright: è il Common Law che già
protegge la persona umana. Il copyright rimane quindi una forma di
tutela di carattere patrimoniale. E dunque può nascere anche in capo ad
una persona giuridica (ad esempio una società o il datore di lavoro
dell’autore) e può essere subordinata a formalità costitutive (vedi sopra).

I due rami divergenti del diritto d’autore verranno solo riavvicinati alla
Convenzione d’Unione di Berna per la armonizzazione del D.dA del 1886. Al
momento esiste un solo modello di copyright al mondo, ed è molto più
rassomigliante al Droit d’Auteur della tradizione latino-germanica.

Già fine 800 esigenza di armonizzazione del diritto di autore, 1886 convenzione di
Berna, prima armonizzazione

45
15/11/21
Cos’è proteggibile mediante il diritto d’autore?
(oggetto della protezione) (Legge 633/1941)
Quella del diritto d’autore è una storia costellata di prese di posizione e di pamphlet
molto polemici da parte di filosofi, pensatori ed economisti riguardo al fatto che la
proprietà intellettuale (il diritto esclusivo sulle creazioni dell’ingegno umano)
sarebbe qualcosa di inaccettabile e disfunzionale. Ma questi soggetti non hanno
inteso che non sono le idee ad essere appropriate, ma le modalità espressive
dell’idea stessa. Già Fichte aveva inteso molto del diritto d’autore, per primo
teorizzò l’esistenza di due “entità”: una forma espressiva, che si può e si deve
assoggettare ad una proprietà dell’autore, ed un contenuto ideativo/informativo che
deve invece restare liberamente a disposizione della collettività.
Immanuel Kant invece non aveva capito tantissimo le problematiche in campo, e
quando si è trovato a discutere riguardo a “La Liceità della Ristampa dei Libri”
(saggio in cui ne parla) ha fatto discorsi complicati riguardo al fatto che l’autore
sarebbe una sorta di mandatario del pubblico.
Fichte riprenderà il titolo del saggio kantiano e ridiscute il tema cogliendone i
concetti fondamentali - le idee non si devono e non si possono appropriare, le
infinite varianti nella loro espressione si. Quindi l’idea alla base del romanzo (se
parliamo di opere letterarie) no, la sequenza di parole sì. Potrò quindi riprendere il
tema del patto col diavolo senza pagare pegno a Goethe o Mann o tanti altri, non
con la stessa sequenza di parole. il tema letterario è reclinabile da chiunque.

Il WIPO (World Intellectual Property Organization - Fam. ONU) Copyright Treaty


degli anni ’90 rende ufficiale il concetto di tutela di forma espressiva e non di
contenuto da sempre immanente al sistema.

Negli Stati Uniti prende la forma della Merge of Doctrine, che ha un corollario
molto importante: se non si possono tutelare idee e contenuti ideativi, la forma
espressiva necessitata (in quanto unica possibile per rendere un’idea/contenuto) a
sua volta non è proteggibile, altrimenti la tutela si estenderebbe dalla forma al
contenuto.
Ad esempio, una formula fisica come E=mc2 non è proteggibile, in quanto
appropriandomi della forma espressiva mi approprierei anche dell’idea. In questo
caso la forma è sostanza.
Ancora, alcuni oggetti come le interfacce (o APIs), ovvero quelle porzioni di
codice la cui ripetizione in un software è necessaria per consentire l’interoperabilità
con un altro software, proprio perché necessitate non sono proteggibili. Inoltre la
legge sul diritto d’autore italiana esclude espressamente la tutela d’autore dei testi
normativi e degli atti amministrativi - non perché vengano dallo Stato, bensì perché
la Legge devo conoscerla nel loro esatto wording - la forma è sostanza quindi.
Il diritto in Italia è disciplinato dalla legge 633 del 1941, una legge che ha subito
innumerevoli interventi, molti dei quali sono il frutto dell’attuazione di direttive e
trattati dell’UE, ONU e WTO. L’unione Europea e questi altri enti si avvalgono di
questi strumenti per armonizzare le leggi dei loro stati membri, in questo caso in
materia di diritto d’autore. L’art. 117 della Costituzione, infatti, prevede che il
Legislatore Nazionale debba legiferare in conformità con gli obblighi assunti
mediante i trattati internazionali: ciò significa che gli accordi internazionali
servono per parametrare la legittimità delle leggi nazionali.

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Legge 633/1941 Disposizione sul diritto d’autore
Cap I Opere protette
Art.1à Sono protette ai sensi di questa legge le opere dell'ingegno di carattere
creativo che appartengono alla letteratura, alla musica, alle arti figurative,
all'architettura, al teatro ed alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la
forma di espressione.
Sono altresì protetti i programmi per elaboratore come opere letterarie ai sensi della
convenzione di Berna sulla protezione delle opere letterarie ed artistiche ratificata e
resa esclusiva con Legge 20 giugno 1978 n’ 399, nonché le banche di dati che per
la scelta o la disposizione del materiale costituiscono una creazione intellettuale
dell’autore.
- Abbiamo una prima identificazione di ambiti in cui si esercita la creatività
intellettuale, identificata in maniera chiara dal legislatore.

Art. 2 In particolare, sono comprese nella protezione:


1. Le opere letterarie, drammatiche, scientifiche, didattiche, religiose, tanto se
in forma scritta quanto se orale (come questa lezione);
2. Le opere e le composizioni musicali, con o senza parole, le opere
drammatico-musicali e le variazioni musicali costituenti di per sé opera
originale;
3. Le opere coreografiche e pantomimiche, delle quali sia fissata la traccia per
iscritto o altrimenti
- Previsione distonica rispetto alle altre. Per questo punto è necessaria una
fissazione, anche audiovisiva - al contrario delle improvvisazioni
musicali od oratorie, in quanto risulta veramente complesso dare prova
della loro effettiva sussistenza;
4. Le opere della scultura, della pittura, dell'arte del disegno, della incisione e
delle arti figurative similari, compresa la scenografia;
5. I disegni e le opere dell'architettura;
6. Le opere dell'arte cinematografica, muta o sonora, sempre ché non si tratti di
semplice documentazione (quindi non c’è trasfigurazione creativa della
realtà), protetta ai sensi delle norme del Capo V del Titolo II;
Previsioni inserite dal Legislatore dopo il 1941 (innovazioni introdotte)
7. Le opere fotografiche e quelle espresse con procedimento analogo a quello
della fotografia sempre che non si tratti di semplice fotografia (di nuovo, non
caratterizzata da creatività, quindi una piatta raffigurazione della realtà)
protetta ai sensi delle norme del Capo V del Titolo II
- nonostante l’esistenza della fotografia da ben prima del ’41, è solo dal
’77 che esse sono protette da diritto d’autore;
8. I programmi per elaboratore, in qualsiasi forma espressi purché originali quale
risultato di creazione intellettuale dell'autore. Restano esclusi dalla tutela
accordata dalla presente legge le idee e i principi che stanno alla base di
qualsiasi elemento di un programma, compresi quelli alla base delle sue
interfacce. Il termine programma comprende anche il materiale preparatorio
per la progettazione del programma stesso.
9. Le banche di dati di cui al secondo comma dell'articolo 1, intese come raccolte
di opere, dati o altri elementi indipendenti sistematicamente o metodicamente
disposti ed individualmente accessibili mediante mezzi elettronici o in altro
modo. La tutela delle banche di dati non si estende al loro contenuto e lascia
impregiudicati diritti esistenti su tale contenuto.
- Diritto sui generis, che consente di vietare ai terzi l’estrazione o il
reimpiego di una parte sostanziale di tale banca dati - si protegge
l’investimento dell’imprenditore che raccoglie tanti dati e li sistema in
modo autonomo
10. Le opere del disegno industriale (forma del prodotto) che presentino di per sé
carattere creativo e valore artistico.
47
L’introduzione del comma 10 dell’Art. 2 è un momento di rottura del sistema: da
sempre si dice che la tutela del diritto d’autore deve prescindere da valutazioni di
carattere estetico, ed anzi nella legge del 1925 si diceva che le opere fossero
protette indipendentemente da esso. Per il design, invece, scopriamo che il valore
artistico è un requisito di protezione, accanto al carattere creativo.

Sono protette anche opere che siano configurabili come appartenenti agli ambiti
dell’esperienza umana indicati all’Art. 1 ma non sono espressamente enumerate
dall’Art. 2, come la grafica editoriale (elementi decorativi di un testo a stampa/a
video), le opere multimediali (il videogioco che contiene il link per accedere al
concerto del cantante o simili, o il DVD che ha audio e video e contiene magari
anche del testo - che quindi utilizzano una pluralità di linguaggi) o le opere
televisive. Ora si sta discutendo se il paesaggio o le installazioni siano proteggibili
dal diritto d’autore (e la risposta è sostanzialmente positiva); ci si è chiesto se
Maradona che gioca a calcio e i suoi trick siano proteggibili (discorso complicato,
risposta tendenzialmente negativa considerata la componente di rappresentatività e
di ripetitività).

Quando un’opera denota carattere creativo? L’impostazione maggioritaria ritiene


che un elemento fondamentale della creatività sia la novità della forma. Qui si
contendono in campo due nozioni di novità, quella “soggettiva” e quella
“oggettiva”. Per i teorici della prima, per la tutela è sufficiente che l’opera sia
soggettivamente nuova (ovvero sia frutto di uno sforzo autonomo di un autore,
“sweat of the brow”); prevale tuttavia la teoria della novità oggettiva - se, senza
conoscerla, riscrivo (anche solo parte, senza perfetta coincidenza, cosa impossibile)
la Divina Commedia con lo stesso ordine di parole, non meriterei tutela, in quanto
il mio sforzo produrrebbe qualcosa di non-nuovo. Secondo la tesi della novità
soggettiva, i cosiddetti “incontri fortuiti” (due autori che arrivano autonomamente
ad una forma espressiva uguale o sovrapponibile) impongono di premiare entrambi
gli autori. Nella tesi oggettiva, si protegge solo il first-comer per 70 anni.
Quando la tutela termina, le opere cadono definitivamente nel pubblico dominio e
divengono riutilizzabili, con la conseguenza che chi dovesse creare una forma in
tutto o in parte coincidente non avrebbe tutela.
Ma gli incontri fortuiti avvengono nella realtà? Basti pensare al caso Albano-
Michael Jackson, o ad ambiti come i software (nel quale non di rado le
sovrapposizioni espressive si verificano) ma anche in arti figurative.

Quanto deve essere nuova? Per creatività, secondo la corte di giustizia UE, si
intende il fatto che l’opera sia frutto della libertà espressiva dell’autore in
modo tale da poterne riflettere la personalità. Non impone, ovviamente, che
siano proteggibili solo le opere con un livello di innovatività espressiva tale da
rivelare subito il nome dell’autore (ad es. leggo questo romanzo e so che è Tizio
dal suo stile). Per essere tutelati è sufficiente invece che l’autore possa godere di un
margine di libertà, chiamata discrezionalità, nelle scelte sufficiente per estrinsecare
la sua personalità creativa. In sostanza, la corte di giustizia dell’UE ci dice che
sono proteggibili tutte le forme espressive nuove che siano frutto di scelte
discrezionali. Il livello di protezione è quindi bassissimo - ma c’è comunque un
limite a tutto. Ad esempio, quando Albano fece causa a Michael Jackson, Ennio
Morricone disse nella consulenza tecnica che la parte copiata era un qualcosa di
così banale da non meritare tutela in quanto molto comune nella musica pop. Il
giudizio di non-banalità comporta che il gradiente di tutela non è elevato - va
valutato in concreto caso per caso se il complesso delle scelte espressive effettuate
consente quantomeno di sostenere che c’è stato un esercizio minimo di
discrezionalità, guardando allo stato dell’arte preesistente e vedere se si tratta di
una forma espressiva standardizzata rispetto a quanto già c’era prima, se si trova

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qualcosa di identico con certezza si esclude la protezione, se si trova qualcosa di
parzialmente identico allora la porzione sovrapponibile non è protetta.

Ed il valore artistico? Veniamo da una tradizione giuridico-culturale in cui si è


sempre sostenuto che il valore artistico non va considerato un requisito di
protezione. Procedendo quindi per coerenza con quella tradizione, è da escludere
che il valore artistico possa essere inteso come conformità ai canoni dell’estetica.
L’armonia delle proporzioni, di carattere rinascimentale, ad esempio.
Quindi cos’è il valore artistico? La chiave di lettura subito proposta al tempo
dell’arrivo sul “tavolo” di questa previsione normativa è quella che rimanda
all’esperienza tedesca. In Germania le opere del design erano ai tempi protette a
condizione che presentassero un livello di creatività, elevato. La prima tesi quindi
partiva dall’idea che le tutela delle opere del design era possibile a condizione che
si tratti di forme espressive che presentino un livello di innovatività più elevato di
quello richiesto per le opere letterarie, musicali, ecc. Questo perché il design non è
protetto solo dal diritto d’autore, ma anche da una serie ampia di forme di tutela,
tra cui la Privativa sul Design (un diritto esclusivo simile al brevetto), tutela che
dura 25 anni.
La creatività particolare è la chiave che allunga la proprietà intellettuale da 25 a 70
anni sul design; i giudici italiani tendono a ritenere che solo in presenza di una
creatività marcata si possa dare
questo “premio” particolare di 70 anni di tutela post-mortem auctoris hanno
elaborato un test per valutare la marcata creatività di un design. L’indizio classico è
il consenso sociale da parte degli ambienti più provveduti (esposizione in
musei, gallerie d’arte, ecc.).
Ma poi è arrivata l’UE con la sua definizione “comunitarizzata”: la Corte di
Giustizia dice quindi che l’unico requisito per la protezione di qualsiasi opera
non può che essere la creatività
ES: sentenza Brompton - la seconda, che riguarda la bici pieghevole, dice che il
fatto che alcuni elementi della forma dell’opera sono necessitati da ragioni tecniche
non esclude la possibilità della protezione se esiste la possibilità di scelte
alternative. La CdG afferma quindi implicitamente che la bici può essere protetta.

Riguardo ai software: l’interfaccia grafica non può essere proteggibile dal diritto
d’autore, in quanto essa è una delle componenti e non una forma espressiva del
software, che ha come uniche forme il codice soggetto comprensibile alla macchina
ed il codice sorgente comprensibile all’uomo. Se le istruzioni per elaboratore sono
originali, il codice oggetto e sorgente saranno proteggibili dal diritto d’autore, in
quella forma lì.
Inoltre, l’interfaccia è necessitata e quindi difficilmente proteggibile in quanto
opera grafica, elemento del software, uno dei suoi componenti, cioè a condizione
che, confrontata con le altre immagini proiettate sul video dagli altri programmi,
risulti originale.

Art. 3. à Le opere collettive, costituite dalla riunione di opere o di parti di opere,


che hanno carattere di creazione autonoma, come risultato della scelta e del
coordinamento ad un determinato fine letterario, scientifico, didattico, religioso,
politico od artistico, quali le enciclopedie, i dizionari, le antologie, le riviste e i
giornali, sono protette come opere originali, indipendentemente e senza
pregiudizio dei diritti di autore sulle opere o sulle parti di opere di cui sono
composte.
Art. 4. à Senza pregiudizio dei diritti esistenti sull'opera originaria, sono altresì
protette le elaborazioni di carattere creativo dell'opera stessa, quali le traduzioni in
altra lingua, le trasformazioni da una in altra forma letteraria od artistica, le
modificazioni ed aggiunte che costituiscono un rifacimento sostanziale dell'opera

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originaria, gli adattamenti, le riduzioni, compendi, le variazioni non costituenti
opera originale.
Art. 5. à Le disposizioni di questa legge non si applicano ai testi degli atti ufficiali
dello stato e delle Amministrazioni pubbliche, sia italiane che straniere.

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Capo II – Soggetti del diritto

Art. 6. à Il titolo originario dell'acquisto del diritto di autore è costituito dalla


creazione dell'opera, quale particolare espressione del lavoro intellettuale.
(presunzione di paternità)

La fattispecie costitutiva del diritto d’autore (come abbiamo già detto) è la


medesima creazione della forma espressiva dell’opera - un atto di creatività
intellettuale. Abbiamo quindi la conferma netta che la legge sul diritto d’autore
italiano appartiene alla famiglia delle normative d’impianto latino-germanica, che
nascono dall’esperienza del Droit D’Auteur francese e nelle quali si esalta
l’apporto creativo dell’individuo-autore e nelle quali solo una Persona Fisica può
essere titolare originario dei diritti d’autore.

Come si fa però con le Intelligenze Artificiali, che replicano quindi alcune abilità
dell’intelletto umano?
Il punto fondamentale della questione è che le IA sono basate sul processo di
Machine Learning: il codice lascia degli spazi vuoti che vengono creati dalla
macchina basandosi sull’esperienza precedente (di richieste dell’utente, di ricerche
periodiche), auto-apprendendo, modificando il suo comportamento e creando
quindi di fatto un nuovo codice. Questo suo sforzo adattivo, che è tipico degli
esseri viventi, è quindi creativo: crea nuovo software, e questo è proteggibile dal
diritto d’autore. Ma la condizione che nasca il diritto d’autore è un atto creativo,
che solo l’uomo è in grado di compiere. Quando crea la macchina?

Forse è ora di ripensare le categorie giuridiche che abbiamo studiato finora e i


testi normativi, visto che molti di essi (come la Convenzione di Berna) sono scritti
in modo tale che non possono che riferirsi ad una Persona Fisica. Quando però ci si
para davanti ad una nuova situazione di creatività e discrezionalità (poiché crea
qualcosa che non esisteva sfruttando spazi di libertà), perché mai non dovrei
proteggere questa cosa nuova - visto che si soddisfano i requisiti degli artt. 1 e 2?
Deve finire come bene pubblico?
Due soluzioni interpretative:
- La prima, una interpretazione evolutiva delle parole del Legislatore. Riferiamo
quindi l’atto creativo a qualsiasi ente in grado di svolgerlo, compresa la
macchina, proteggendo quindi anche le creazioni dei computer.
- La seconda è l’applicazione rigorosa delle regole così come quando sono state
pensate con la conseguente esclusione delle creazioni delle IA dalla
tutelabilità. Questa seconda opzione però è disfunzionale: non è semplice
riuscire a individuare i casi in cui sia stata la macchina a creare.

Il soggetto che ha a disposizione i risultati della macchina perché mai dovrebbe


dirmi che non ha creato lui, bensì il computer? Ci sono dei casi in cui è possibile
dimostrare oggettivamente che è stata la macchina a creare, ma vi sono altrettante
situazioni grigie nelle quali, se si parte dall’idea che l’opera creata dalla macchina
non è proteggibile, l’unico esito ragionevole è una disputa - perché mai dovremmo
avere dei beni (dal valore economico rilevante) sostanzialmente privi di un titolare?
La teoria economico/giuridica dei beni ci dice che questo non è un assetto
efficiente - se si vuole stimolare gli investimenti per creare questi beni la cosa
migliore è trovare un’allocazione in capo ad un privato, possibilmente il soggetto
che investe per crearli.

Con questo si risolve anche una seconda sfaccettatura del problema: se le opere
dell’ingegno di un computer vengono tutelate, a chi spetta il diritto d’autore in
questione? La logica dovrebbe essere a colui che utilizzando il programma che ha
generato l’opera, ha sostenuto i relativi investimenti (in particolare l’attività di

51
Machine Learning).

Una soluzione efficiente potrebbe essere quella di proteggere tutto ciò che viene
considerato forma espressiva nuova e discrezionale, indipendentemente dal fatto
che siano state create da un uomo o da una macchina, e si alloca il diritto d’autore
in capo al soggetto che ha sostenuto l’investimento.
Ma chi è l’autore? È un bel tema, probabilmente incapace di soluzione. Finché la
macchina non avranno personalità giuridica e diritti (se mai li avranno, temi
quasi da fantascienza), prevalgono i quesiti e i dubbi - le risposte sono come
sempre legate al contingente.

Art. 7. à È considerato autore dell'opera collettiva chi organizza e dirige la


creazione dell'opera stessa. È considerato autore delle elaborazioni l'elaboratore,
nei limiti del suo lavoro.
Art. 8. à È reputato autore dell'opera, salvo prova contraria, chi è in essa indicato
come tale, nelle forme d'uso, ovvero è annunciato come tale, nella recitazione,
esecuzione, rappresentazione o radiodiffusione dell'opera stessa.
Valgono come nome lo pseudonimo, il nome d’arte, la sigla o il segno
convenzionale, che siano notoriamente conosciuti come equivalenti al nome
vero.
Art. 9. à Chi abbia rappresentato, eseguito o comunque pubblicato un’opera
anonima o pseudonima è ammesso a far valere i diritti dell’autore, finche' questi
non si sia rivelato.
Questa disposizione non si applica allorché' si tratti degli pseudonimi indicati nel
secondo comma dell'articolo precedente.
Art. 10. à Se l'opera è stata creata con il contributo indistinguibile ed inscindibile
di più persone, il diritto di autore appartiene in comune a tutti i coautori.
Le parti indivise si presumono di valore eguale, salvo la prova per iscritto di
diverso accordo.
Sono applicabili le disposizioni che regolano la comunione. La difesa del diritto
morale può peraltro essere sempre esercitata individualmente da ciascun coautore e
l'opera non può essere pubblicata, se inedita, né può essere modificata o utilizzata
in forma diversa da quella della prima pubblicazione, senza l'accordo di tutti i
coautori. Tuttavia in caso di ingiustificato rifiuto di uno o più coautori, la
pubblicazione, la modificazione o la nuova utilizzazione dell'opera può essere
autorizzata dall'autorità giudiziaria, alle condizioni e con le modalità da essa
stabilite.
Art. 11. à Alle amministrazioni dello Stato, alle Province ed ai Comuni, spetta il
diritto di autore sulle opere create e pubblicate sotto il loro nome ed a loro conto e
spese.
Lo stesso diritto spetta agli enti privati che non perseguano scopi di lucro, salvo
diverso accordo con gli autori delle opere pubblicate, nonché alle accademie e agli
altri enti pubblici culturali sulla raccolta dei loro atti e sulle loro pubblicazioni.

52
Capo III Contenuto e durata del diritto di autore
Sezione I Protezione della utilizzazione economica dell'opera

I diritti patrimoniali dell’autore


L’autore ha una serie di poteri riconosciutigli dall’ordinamento giudico riguardo
all’opera, in particolare alla sua forma espressiva. Se non li avesse, l’opera
dell’ingegno sarebbe un bene pubblico - e mancherebbe delle condizioni necessarie
per la costruzione di un mercato e di un sistema d’incentivazione alla sua
produzione basato sull’appartenenza a opera dei privati, poiché non escludibile e
non rivale nel consumo.
Quali sono questi poteri (o per meglio dire, facoltà)?

Art. 12. à L'autore ha il diritto esclusivo di pubblicare l'opera. Ha altresì il diritto


esclusivo di utilizzare economicamente l'opera in ogni forma e modo originale, o
derivato, nei limiti fissati da questa legge, ed in particolare con l'esercizio dei diritti
esclusivi indicati negli articoli seguenti.
È considerata come prima pubblicazione la prima forma di esercizio del diritto di
utilizzazione.
Art. 12-bis. à Salvo patto contrario, il datore di lavoro è titolare del diritto
esclusivo di utilizzazione economica del programma per elaboratore o della banca
di dati creati dal lavoratore dipendente nell'esecuzione delle sue mansioni o su
istruzioni impartite dallo stesso datore di lavoro.
Art. 12-ter. à L'articolo che così recitava: "Salvo patto contrario, qualora un'opera
di disegno industriale sia creata dal lavoratore dipendente nell'esercizio delle sue
mansioni, il datore di lavoro è titolare dei diritti esclusivi di utilizzazione
economica dell'opera." è stato inserito dal D.Lgs. 2 febbraio 2001, n.
95successivamente abrogato dall'art. 246, D.Lgs. 10 febbraio 2005, n. 30.

Art. 12 comma 2 - L’autore (…) ha altresì il diritto esclusivo di utilizzare


economicamente l'opera in ogni forma e modo (…). È una previsione generale che
sembra riservare qualsiasi altra utilizzazione economica dell’opera all’autore,
anche non compresa nel catalogo che abbiamo visto finora. Ogni tanto sorgono
nuove forme di utilizzazione: il problema si è posto, ad esempio, per l’esposizione
dell’opera (delle arti figurative) o, in tempi passati, per il noleggio.

Art. 13. Riproduzione dell’opera à Il diritto esclusivo di riprodurre ha per


oggetto la moltiplicazione in copie diretta o indiretta, temporanea o permanente, in
tutto o in parte dell'opera, in qualunque modo o forma, come la copiatura a mano,
la stampa, la litografia, l'incisione, la fotografia, la fonografia, la cinematografia ed
ogni altro procedimento di riproduzione.

Vietare ai Terzi la riproduzione dell’opera (Art. 13). Riproduzione è un concetto


sintetico per esprimere una pluralità di attività: qualsiasi forma di moltiplicazione
in copie, diretta o indiretta, temporanea o permanente, di tutta l’opera o di una sua
parte, in qualunque modo o forma (copia a mano, stampa, litografia, incisione,
fotografia, ecc.). Se guardiamo all’economia o ffline o tradizionale, la riproduzione
è qualcosa di abbastanza standardizzato, peculiare e riservato a determinate figure
professionali (l’editore che stampa il libro, ecc.). In uno scenario moderno (vinili
su musicassetta, masterizzatori di CD, ora massima digitalizzazione e metodologie
digitali avanzate), vista l’alta qualità e la vastità di modalità riproduzione e di
diffusione, se hanno ad oggetto una forma protetta dal diritto d’autore, dovrebbero
essere assoggettate al consenso del titolare. Alcune volte, la riproduzione è
liberalizzata.

53
Art. 14. à Il diritto esclusivo di trascrivere ha per oggetto l'uso dei mezzi atti a
trasformare l'opera orale in opera scritta o riprodotta con uno dei mezzi indicati
nell'articolo precedente.

Art. 15. Dimensione dell’opera consentita à Il diritto esclusivo di eseguire,


rappresentare o recitare in pubblico ha per oggetto la esecuzione, la
rappresentazione o la recitazione, comunque effettuate, sia gratuitamente che a
pagamento, dell'opera musicale, dell'opera drammatica, dell'opera cinematografica,
di qualsiasi altra opera di pubblico spettacolo e dell'opera orale.
Non è considerata pubblica la esecuzione, rappresentazione o recitazione dell'opera
entro la cerchia ordinaria della famiglia, del convitto, della scuola o dell'istituto di
ricovero, purché non effettuata a scopo di lucro.
Non è considerata pubblica la recitazione di opere letterarie effettuata, senza scopo
di lucro, all'interno di musei, archivi e biblioteche pubblici ai fini esclusivi di
promozione culturale e di valorizzazione delle opere stesse individuati in base a
protocolli di intesa tra la SIAE e il Ministero dei beni e delle attività culturali e del
turismo.
Art. 15-bis.
1. Agli autori spetta un compenso ridotto quando l'esecuzione, rappresentazione o
recitazione dell'opera avvengono nella sede dei centri o degli istituti di
assistenza, formalmente istituiti nonché delle associazioni di volontariato,
purché destinate ai soli soci ed invitati e sempre che non vengano effettuate a
scopo di lucro. In mancanza di accordi fra la Società italiana degli autori ed
editori (SIAE) e le associazioni di categoria interessate, la misura del
compenso sarà determinata con decreto del Presidente del Consiglio dei
ministri, da emanare sentito il Ministro dell'interno.
2. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri da emanare ai sensi
dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sentite le
competenti Commissioni parlamentari, sono stabiliti i criteri e le modalità̀ per
l'individuazione delle circostanze soggettive ed oggettive che devono dar luogo
alla applicazione della disposizione di cui al primo periodo del comma 1. In
particolare occorre prescrivere:
a) l'accertamento dell'iscrizione da almeno due anni dei soggetti ivi indicati ai
registri istituiti dall'articolo 6 della legge 11 agosto 1991, n. 266;
b) le modalità̀ per l'identificazione della sede dei soggetti e per l'accertamento
della quantità̀ dei soci ed invitati, da contenere in un numero limitato e
predeterminato;
c) che la condizione di socio sia conseguita in forma documentabile e con
largo anticipo rispetto alla data della manifestazione di spettacolo;
d) la verifica che la manifestazione di spettacolo avvenga esclusivamente a
titolo gratuito da parte degli artisti, interpreti o esecutori, ed a soli fini di
solidarietà̀ nell'esplicazione di finalità̀ di volontariato.
Art. 16.
1. Il diritto esclusivo di comunicazione al pubblico su filo o senza filo dell'opera
ha per oggetto l'impiego di uno dei mezzi di diffusione a distanza, quali il
telegrafo, il telefono, la radio, la televisione ed altri mezzi analoghi e
comprende la comunicazione al pubblico via satellite, la ritrasmissione via
cavo, nonché́ le comunicazioni al pubblico codificate con condizioni particolari
di accesso; comprende, altresì̀, la messa a disposizione del pubblico dell'opera
in maniera che ciascuno possa avervi accesso dal luogo e nel momento scelti
individualmente.
2. Il diritto di cui al comma 1 non si esaurisce con alcun atto di comunicazione al
pubblico, ivi compresi gli atti di messa a disposizione del pubblico.
Art. 16-bis.

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1. Ai fini della presente legge si intende per:
a) Satellite: qualsiasi satellite operante su bande di frequenza che, a norma della
legislazione sulle telecomunicazioni, sono riservate alla trasmissione di
segnali destinati alla ricezione diretta del pubblico o riservati alla
comunicazione individuale privata purché la ricezione di questa avvenga in
condizioni comparabili a quelle applicabili alla ricezione da parte del
pubblico;
b) Comunicazione al pubblico via satellite: l'atto di inserire sotto il controllo e la
responsabilità̀ dell'organismo di radiodiffusione operante sul territorio
nazionale i segnali portatori di programmi destinati ad essere ricevuti dal
pubblico in una sequenza ininterrotta di comunicazione diretta al satellite e poi
a terra. Qualora i segnali portatori di programmi siano diffusi in forma
codificata, vi è comunicazione al pubblico via satellite a condizione che i
mezzi per la decodificazione della trasmissione siano messi a disposizione del
pubblico a cura dell'organismo di radiodiffusione stesso o di terzi con il suo
consenso. Qualora la comunicazione al pubblico via satellite abbia luogo nel
territorio di uno stato non comunitario nel quale non esista il livello di
protezione che per il detto sistema di comunicazione al pubblico stabilisce la
presente legge:
1. Se i segnali ascendenti portatori di programmi sono trasmessi al satellite
da una stazione situata nel territorio nazionale, la comunicazione al
pubblico via satellite si considera avvenuta in Italia. I diritti riconosciuti
dalla presente legge, relativi alla radiodiffusione via satellite, sono
esercitati nei confronti del soggetto che gestisce la stazione;
2. Se i segnali ascendenti sono trasmessi da una stazione non situata in
uno Stato membro dell'Unione europea, ma la comunicazione al
pubblico via satellite avviene su incarico di un organismo di
radiodiffusione situato in Italia, la comunicazione al pubblico si
considera avvenuta nel territorio nazionale purché l'organismo di
radiodiffusione vi abbia la sua sede principale. I diritti stabiliti dalla
presente legge, relativi alla radiodiffusione via satellite, sono esercitati
nei confronti del soggetto che gestisce l'organismo di radiodiffusione;
c) Ritrasmissione via cavo: la ritrasmissione simultanea, invariata ed integrale,
per il tramite di un sistema di ridistribuzione via cavo o su frequenze molto
elevate, destinata al pubblico, di un'emissione primaria radiofonica o
televisiva comunque diffusa, proveniente da un altro Stato membro
dell'Unione europea e destinata alla ricezione del pubblico.

Diritto di comunicazione al pubblico (Artt. 15, 15-bis, 16, 16-bis).


Diritto di dimensioni enormi, centrale per Internet. Riguarda il potere esclusivo
dell’autore di vietare qualsiasi forma di comunicazione al pubblico, compresa la
messa a disposizione in internet.
Si può avere una messa a disposizione di un pubblico in presenza, recitazione
dell’opera teatrale, l’esecuzione in presenza dell’opera musicale, o a distanza,
distribuzione televisiva via etere, satellite o cavo. Queste sono tutte forme di
distribuzione punto a massa, ma nel divieto di comunicazione rientra anche la
circolazione punto a punto (l’invio di una e-mail, ad esempio - se ad essa allego la
foto del dipinto piuttosto che la canzone in formato MP3, sto comunicando l’opera
altrui).

Ci sono però dei casi nei quali non ho un pubblico certo ma un pubblico eventuale:
sono i casi in cui carico dei contenuti su un sito web (uploading), che è una delle
attività riservate al titolare del diritto d’autore. Coopera in concorso chi fa il
download oltre chi fa l’upload.

Art. 17.

55
1. Il diritto esclusivo di distribuzione ha per oggetto la messa in commercio o in
circolazione, o comunque a disposizione, del pubblico, con qualsiasi mezzo ed
a qualsiasi titolo, dell'originale dell'opera o degli esemplari di essa e
comprende, altresì, il diritto esclusivo di introdurre nel territorio degli Stati
della Comunità europea, a fini di distribuzione, le riproduzioni fatte negli Stati
extracomunitari.
2. Il diritto di distribuzione dell'originale o di copie dell'opera non si esaurisce
nella Comunità europea, se non nel caso in cui la prima vendita o il primo atto
di trasferimento della proprietà nella Comunità sia effettuato dal titolare del
diritto o con il suo consenso.
3. Quanto disposto dal comma 2 non si applica alla messa a disposizione del
pubblico di opere in modo che ciascuno possa avervi accesso dal luogo e nel
momento scelti individualmente, anche nel caso in cui sia consentita la
realizzazione di copie dell'opera.
4. Ai fini dell'esaurimento di cui al comma 2, non costituisce esercizio del diritto
esclusivo di distribuzione la consegna gratuita di esemplari delle opere,
effettuata o consentita dal titolare a fini promozionali, ovvero di insegnamento
o di ricerca scientifica.

I commi seguenti dell’art. 17 enunciano il principio dell’esaurimento eurounitario:


è una conseguenza del principio di libera circolazione delle merci nell’Eurozona
(che ha la necessità di eliminare tutti gli ostacoli al commercio tra stati membri
dell’UE) e del principio giuridico del principio di territorialità (le condizioni di
protezione delle opere dell’ingegno sono determinate per ciascuno Stato
dall’ordinamento giuridico di quello Stato - ovverosia nel momento in cui creo
l’opera nasce in capo all’autore un fascio di 27 diritti d’autore, uno per ogni Stato
membro dell’UE, che mi consentono di essere tutelato in ogni paese secondo la
legge di quello Stato) - quando creo un esemplare dell’opera e lo vendo (al
distributore, s’intende) in un determinato paese dell’UE perdo il diritto di
controllare la distribuzione successiva. Quando l’opera però arriva ai confini
nazionali e c’è l’intenzione di esportarlo in un altro paese UE, il titolare del diritto
può stoppare l’export. I giudici eurounitari, trovatisi di fronte a questo problema,
intendono la questione come un controsenso - si compartimenta il mercato e si va
contro al principio del libera circolazione delle merci nell’UE (che diventerebbe un
ostacolo al consumatore, visto che è il principio che consente di livellare i prezzi
nell’Unione verso il CMa).
à Livellare i prezzi verso il costo marginale

La Corte di Giustizia, per impedire le importazioni parallele, introduce quindi il


principio dell’esaurimento eurounitario - quando un esemplare dell’opera è
immesso in commercio per la prima volta in qualsiasi Stato UE, si estinguono tutti
i diritti d’autore di tutti i paesi della UE. La conseguenza è che quando l’opera
dell’ingegno viene venduta in Lituania, può liberamente arrivare in Italia senza che
il titolare del diritto d’autore possa impedire questa importazione. Il legislatore
italiano dice che il diritto governato dalla Legge Italiana di distribuzione si estingue
nel momento stesso in cui l’esemplare è immesso in circolazione nel territorio di
qualsiasi paese dell’Unione Europea. Già nella convenzione di Berna del 1886,
tuttavia, si era pensato alla tutela degli autori delle opere dell’ingegno come
nazionali a tutte le nazioni aderenti - Art. 5, è vietato agli Stati membri subordinare
la nascita del diritto d’autore a formalità costitutive (depositi, registrazioni, ecc.).

PRINCIPIO DELL’ESAURIMENTO
Nell’unione europea la legge sul diritto d’autore è molto simile. Quando l’opera è
creata nasce un diritto d’autore. L’autore quado la crea, crea qualcosa che ha i
diritti in tutti i paesi (se creo in Italia, ma usano l’opera in Francia, varrà il diritto
d’autore francese).

56
Quando l’opera è messa in circolo con l’autorizzazione dell’autore, non può
controllare la circolazione delle copie vendute. Le copie sono affette
dall’esaurimento di distribuzione.
La prima vendita nel territorio dell’unione europea esaurisce il diritto di
distribuzione su quell’esemplare, per tutti i paesi dell’unione europea.
L’esemplare nell’UE circola liberamente, mentre se l’esemplare circola al di fuori
dell’unione europea, per rientrare in UE deve avere il permesso dell’autore.

Art. 18.
Il diritto esclusivo di tradurre ha per oggetto tutte le forme di modificazione, di
elaborazione e di trasformazione dell'opera previste nell'art. 4.
L'autore ha altresì il diritto di pubblicare le sue opere in raccolta. Ha infine il
diritto esclusivo di introdurre nell'opera qualsiasi modificazione.

à Azione inibitoria (cessazione dell’uso);


à Risarcimento del danno

à Permesso

Art. 18-bis.
1. Il diritto esclusivo di noleggiare ha per oggetto la cessione in uso degli
originali, di copie o di supporti di opere, tutelate dal diritto d'autore, fatta per
un periodo limitato di tempo ed ai fini del conseguimento di un beneficio
economico o commerciale diretto o indiretto.
2. Il diritto esclusivo di dare in prestito ha per oggetto la cessione in uso degli
originali, di copie o di supporti di opere, tutelate dal diritto d'autore, fatta da
istituzioni aperte al pubblico, per un periodo di tempo limitato, a fini diversi da
quelli di cui al comma 1.
3. L'autore ha il potere esclusivo di autorizzare il noleggio o il prestito da parte di
terzi.
4. I suddetti diritti e poteri non si esauriscono con la vendita o con la
distribuzione in qualsiasi forma degli originali, di copie o di supporti delle
opere.
5. L'autore, anche in caso di cessione del diritto di noleggio ad un produttore di
fonogrammi o di opere cinematografiche o audiovisive o sequenze di immagini
in movimento, conserva il diritto di ottenere un'equa remunerazione per il
noleggio da questi a sua volta concluso con terzi. Ogni patto contrario è nullo.
In difetto di accordo da concludersi tra le categorie interessate quali individuate
dall'articolo 16, primo comma, del regolamento, detto compenso è stabilito con
la procedura di cui all'articolo 4 del decreto legislativo luogotenenziale 20
luglio 1945, n. 440.
6. I commi da 1 a 4 non si applicano in relazione a progetti o disegni di edifici e
ad opere di arte applicata.

Diritto di elaborazione dell’opera (Art. 18). Il diritto esclusivo di tradurre ha per


oggetto la traduzione dell'opera in altra lingua o dialetto. Il diritto esclusivo di
elaborare comprende tutte le forme di modificazione, di elaborazione e di
trasformazione dell'opera previste nell'art. 4 (opere derivate). L'autore ha altresì il
diritto esclusivo di pubblicare le sue opere in raccolta. Ha infine il diritto esclusivo
di introdurre nell'opera qualsiasi modificazione. Anche la traduzione in termini
multimediali (libro -> film) è un diritto esclusivo dell’autore. Gli stessi principi
valgono per il software, complicatissimo da gestire: non è solo (come da
definizione TRIPS) un’opera letteraria, ma anche istruzioni per una macchina e,
una volta fatto funzionare, essa lo riproduce (che ricade nell’Art. 13 quindi, a
differenza di un libro o un CD - è per questo che necessito della licenza
dell’autore). Non solo: nel suo formato sorgente, è un’entità “viva” - viene

57
continuamente modificato, debuggato, aggiornato, sviluppato e sono operazioni
riservate al solo autore. C’è un’ultima operazione che si può fare coi software
(complicatissima ma fattibile), ovvero la decompilazione, ovverosia il passaggio da
codice oggetto a codice sorgente. Quest’operazione, fondamentale per
comprendere le logiche dietro al funzionamento di un software, è tuttavia
considerabile traduzione da un linguaggio ad un altro.

Art. 19.
I diritti esclusivi previsti dagli articoli precedenti sono fra loro indipendenti.
L'esercizio di uno di essi non esclude l'esercizio esclusivo di ciascuno degli altri
diritti.
Essi hanno per oggetto l'opera nel suo insieme ed in ciascuna delle sue parti.

Il risultato è che quando qualcuno acquista un diritto tra quelli prima enumerati
(oppure ottiene l’autorizzazione per svolgere una delle attività riservate in base a
quei diritti) non è detto che abbia acquisito o possa svolgere lecitamente una delle
altre attività.

Ultima osservazione sui diritti patrimoniali: in alcuni casi essi (che nascono sempre
in capo all’autore) si trasferiscono immediatamente in capo ad un imprenditore
culturale. Sono i casi del software, delle banche dati e del design: in questi tre casi
il diritto è subito acquisito dal datore di lavoro, qualora l’opera sia stata creata nello
svolgimento delle mansioni del lavoro subordinato. Ancora, nel caso delle opere
cinematografiche, il diritto d’autore sull’opera complessiva nasce automaticamente
per legge in capo al produttore - nonostante i diritti su ogni singola componente
dell’opera spettino allo specifico creatore (soggettista, sceneggiatore, regista,
autore della colonna sonora).
Nel caso dell’opera giornalistica, il diritto d’autore nasce in capo agli autori dei
singoli pezzi ma il diritto sull’intera opera trapassa in capo all’editore. In presenza
di un’organizzazione imprenditoriale che pone le premesse per la creazione
dell’opera, il diritto nasce in capo alla Persona Fisica ma, senza il bisogno di un
consenso ulteriore, trapassa in capo all’imprenditore che ha organizzato la
creazione dell’opera.

I diritti patrimoniali d’autore sono diritti disponibili dal contenuto patrimoniale e


vengono tipicamente ceduti dall’autore che, normalmente, non ha nel proprio DNA
lo sfruttamento economico dell’opera - ma monetizza la cessione di questi diritti in
capo ad un editore/operatore ecc. e sfrutta questi diritti per costruire il suo business.
Questi diritti hanno una durata, prevista per legge, molto lunga, pari a 70 anni post
mortem auctoris (dalla morte dell’autore); se ci sono più autori, dalla morte
dell’ultimo coautore. È una durata che ha un suo significato per le opere artistiche,
letterarie, ecc., meno per le creazioni utili - dopo 70 anni PMA il software è già
“preistoria”. Per il design il discorso è differente: quando la tutela è così lunga, per
creazioni che potrebbero non avere tempo, l’interesse a procrastinare la protezione
è altissimo.

Per preservare interessi superiori della collettività (ovverosia evitare che essa sia
privata dei contenuti protetti dal diritto d’autore) e dei singoli consociati,
l’ordinamento giuridico sul diritto d’autore italiano prevede di liberalizzare una
serie di attività, che dunque sono realizzabili da chiunque senza bisogno del
consenso del titolare del diritto - normalmente, egli chiede un compenso per il suo
consenso allo sfruttamento della sua opera (o, più raramente, vieta tout- court).

58
22/11/21

Capo V Eccezioni e limitazioni

Sezione I: Reprografia ed altre eccezioni e limitazioni

Art. 65.
1. Gli articoli di attualità di carattere economico, politico o religioso,
pubblicati nelle riviste o nei giornali, oppure radiodiffusi o messi a
disposizione del pubblico, e gli altri materiali dello stesso carattere
possono essere liberamente riprodotti o comunicati al pubblico in altre
riviste o giornali, anche radiotelevisivi, se la riproduzione o l'utilizzazione
non è stata espressamente riservata, purché si indichino la fonte da cui
sono tratti, la data e il nome dell'autore, se riportato.
2. La riproduzione o comunicazione al pubblico di opere o materiali protetti
utilizzati in occasione di avvenimenti di attualità è consentita ai fini
dell'esercizio del diritto di cronaca e nei limiti dello scopo informativo,
sempre che si indichi, salvo caso di impossibilità, la fonte, incluso il nome
dell'autore, se riportato.

L’art. 65, ad esempio, liberalizza la riproduzione di articoli di attualità di carattere


economico, politico o religioso, pubblicati nelle riviste o nei giornali, oppure
radiodiffusi o messi a disposizione del pubblico (quindi sia per televisione, radio o
internet), e gli altri materiali dello stesso carattere qualora siano riprodotti o
comunicati al pubblico in altre riviste o giornali, anche radiotelevisivi, se la
riproduzione o l'utilizzazione non è stata espressamente riservata, purché si
indichino la fonte da cui sono tratti, la data e il nome dell'autore, se riportato.

Se si guarda un qualsiasi articolo di un quotidiano nazionale, è ormai


frequentissimo trovare, scritto in piccolo, al fondo dell’articolo, la dicitura
“riproduzione riservata” - che è uno degli effetti di internet. Questa previsione, fino
a 10 anni fa, ha consentito ampiamente di rilanciare articoli pubblicati da altri
editori su altri periodici ma l’avvento di internet ha scompigliato il campo: se
poteva interessare ad un giornale incrementare i propri lettori sfruttando questo
spazio di libertà, ora il problema dei quotidiani è la sopravvivenza - ovverosia
evitare che la produzione giornalistica venisse cannibalizzata da servizi di rilancio
automatico degli articoli. Da diversi anni, quindi, tutti i principali giornali italiani
hanno scelto di affiancare alla copia cartacea un sito - che è un giornale
“dinamico”, che si aggiorna continuamente nel corso della giornata ed è
tipicamente riservato agli abbonati.

Art. 66.
I discorsi su argomenti di interesse politico o amministrativo tenuti in
pubbliche assemblee o comunque in pubblico, nonché gli estratti di
conferenze aperte al pubblico, possono essere liberamente riprodotti o
comunicati al pubblico, nei limiti giustificati dallo scopo informativo, nelle
riviste o nei giornali anche radiotelevisivi o telematici, purché indichino la
fonte, il nome dell'autore, la data e il luogo in cui il discorso fu tenuto.

I discorsi su argomenti di interesse politico o amministrativo tenuti in pubbliche


assemblee o comunque in pubblico, nonché gli estratti di conferenze aperte al
pubblico, possono essere liberamente riprodotti o comunicati al pubblico, nei limiti
giustificati dallo scopo informativo (non ripresi quindi integralmente, si può però
dare conto di ciò che il politico/sindaco/conferenziere/ecc. ha detto), nelle riviste o
nei giornali anche radiotelevisivi o telematici, purché indichino la fonte, il nome

59
dell'autore, la data e il luogo in cui il discorso fu tenuto.
Vi sono poi esigenze di buon funzionamento della giustizia, di pubblica sicurezza e
delle dinamiche parlamentari che impongono che le opere protette dal diritto
d’autore (come i discorsi dei politici in parlamento o le arringhe degli avvocati in
sede giudiziaria) siano tendenzialmente liberamente riproducibili.

Art. 67.
Opere o brani di opere possono essere riprodotti a fini di pubblica
sicurezza, nelle procedure parlamentari, giudiziarie o amministrative,
purché si indichino la fonte e, ove possibile, il nome dell'autore.

Art. 68.
a. È libera la riproduzione di singole opere o brani di opere per uso personale
dei lettori, fatta a mano o con mezzi di riproduzione non idonei a spaccio o
diffusione dell'opera nel pubblico.
b. È libera la fotocopia di opere esistenti nelle biblioteche accessibili al
pubblico o in quelle scolastiche, nei musei pubblici o negli archivi
pubblici, effettuata dai predetti organismi per i propri servizi, senza alcun
vantaggio economico o commerciale diretto o indiretto.
c. Fermo restando il divieto di riproduzione di spartiti e partiture musicali, è
consentita, nei limiti del quindici per cento di ciascun volume o fascicolo
di periodico, escluse le pagine di pubblicità, la riproduzione per uso
personale di opere dell'ingegno effettuata mediante fotocopia, xerocopia o
sistema analogo.
d. I responsabili dei punti o centri di riproduzione, i quali utilizzino nel
proprio àmbito o mettano a disposizione di terzi, anche gratuitamente,
apparecchi per fotocopia, xerocopia o analogo sistema di riproduzione,
devono corrispondere un compenso agli autori ed agli editori delle opere
dell'ingegno pubblicate per le stampe che, mediante tali apparecchi,
vengono riprodotte per gli usi previsti nel comma 3. La misura di detto
compenso e le modalità per la riscossione e la ripartizione sono
determinate secondo i criteri posti all'art. 181-ter della presente legge.
Salvo diverso accordo tra la SIAE e le associazione delle categorie
interessate, tale compenso non può essere inferiore per ciascuna pagina
riprodotta al prezzo medio a pagina rilevato annualmente dall'ISTAT per i
libri.
e. Le riproduzioni per uso personale delle opere esistenti nelle biblioteche
pubbliche, fatte all'interno delle stesse con i mezzi di cui al comma 3,
possono essere effettuate liberamente nei limiti stabiliti dal medesimo
comma 3 con corresponsione di un compenso in forma forfetaria a favore
degli aventi diritto di cui al comma 2 dell'articolo 181-ter, determinato ai
sensi del secondo periodo del comma 1 del medesimo articolo 181-ter. Tale
compenso è versato direttamente ogni anno dalle biblioteche, nei limiti
degli introiti riscossi per il servizio, senza oneri aggiuntivi a carico del
bilancio dello Stato o degli enti dai quali le biblioteche dipendono. I limiti
di cui al comma 3 non si applicano alle opere fuori dai cataloghi editoriali e
rare in quanto di difficile reperibilità sul mercato.
f. È vietato lo spaccio al pubblico delle copie di cui ai commi precedenti e, in
genere, ogni utilizzazione in concorrenza con i diritti di utilizzazione
economica spettanti all'autore.

Art. 68-bis.
Salvo quanto disposto in ordine alla responsabilità dei prestatori
intermediari dalla normativa in materia di commercio elettronico, sono
esentati dal diritto di riproduzione gli atti di riproduzione temporanea privi

60
di rilievo economico proprio che sono transitori o accessori e parte
integrante ed essenziale di un procedimento tecnologico, eseguiti all'unico
scopo di consentire la trasmissione in rete tra terzi con l'intervento di un
intermediario, o un utilizzo legittimo di un'opera o di altri materiali.

Art. 68
 Comma 1 poco attuale, si parla della riproduzione di opere per uso personale,
copiate a mano o con metodi non idonei allo spaccio di queste.

 Comma 2 - E' libera la fotocopia di opere esistenti nelle biblioteche accessibili


al pubblico o in quelle scolastiche, nei musei pubblici o negli archivi pubblici,
effettuata dai predetti organismi per i propri servizi, senza alcun vantaggio
economico o commerciale diretto o indiretto.
Queste sono le attività di fotocopia per preservare il proprio patrimonio
librario da parte delle istituzioni e delle biblioteche pubbliche.

 Comma 3 - Fermo restando il divieto di riproduzione di spartiti e partiture


musicali, è consentita, nei limiti del quindici per cento di ciascun volume o
fascicolo di periodico, escluse le pagine di pubblicità, la riproduzione per uso
personale di opere dell'ingegno effettuata mediante fotocopia, xerocopia o
sistema analogo.
Dunque per uso personale, lo studente può fotocopiare fino al 15% di un
volume: questa è la libera utilizzazione per reprografia - è una limitazione
decisamente importante del diritto esclusivo sulle opere a stampa. È uno
spazio di attività che consente un’ampia attività di disseminazione culturale ed
è possibile in virtù ad una certa quota di opere che sono nelle biblioteche e
non sono più oggetto di ristampa da parte degli editori.

 Comma 4 - I responsabili dei punti o centri di riproduzione, i quali utilizzino


nel proprio ambito o mettano a disposizione di terzi, anche gratuitamente,
apparecchi per fotocopia, xerocopia o analogo sistema di riproduzione,
devono corrispondere un compenso agli autori ed agli editori delle opere
dell'ingegno pubblicate per le stampe che, mediante tali apparecchi, vengono
riprodotte per gli usi previsti nel comma 3. La misura di detto compenso e le
modalità per la riscossione e la ripartizione sono determinate secondo i criteri
posti all'art. 181- ter della presente legge. [Spetta a SIAE raccogliere questo
compenso per poi ripartirlo fra gli interessati]

 Comma 6 - E' vietato lo spaccio al pubblico delle copie di cui ai commi


precedenti e, in genere, ogni utilizzazione in concorrenza con i diritti di
utilizzazione economica spettanti all’autore.
A fianco di quella libertà di utilizzazione prima ricordata, della quale
beneficiano gli utenti per uso personale, c’è un soggetto che paga - la
copisteria o chiunque gestisca gli apparecchi di riproduzione. Qual è la logica?
Questa forma di utilizzazione, che certamente è indispensabile per un’alta
disseminazione culturale, non è agevolmente controllabile. Il legislatore
quindi, invece di vietarla (pregiudicando quindi la disseminazione culturale),
la liberalizza integralmente per gli utenti e pone un obbligo di pagamento di
compenso in capo all’imprenditore che dovrebbe guadagnare da questa
attività. Il sistema è stato pensato in questi termini: quando mi reco in
copisteria devo dichiarare l’opera che fotocopierò, restando nel 15% - non
rendendola quindi un sostituto dell’opera completa, chi gestisce pagherà un
compenso per ogni pagina copiata e scaricherà questo compenso (piuttosto
esiguo) in capo all’utente, incrementando di poco il prezzo e dando a sua volta
conto a SIAE in termini di cosa, quanto ha fotocopiato e pagherà l’ammontare.
Il sistema (nato e funzionante in Germania) funziona meno rispetto al suo
61
paese d’origine vista la poca attenzione da parte delle parti in causa.

Art. 69.
1. Il prestito eseguito dalle biblioteche e discoteche dello Stato e degli enti
pubblici, ai fini esclusivi di promozione culturale e studio personale, non è
soggetto ad autorizzazione da parte del titolare del relativo diritto, ed ha ad
oggetto esclusivamente:
a) gli esemplari a stampa delle opere, eccettuati gli spartiti e le
partiture musicali;
b) i fonogrammi ed i videogrammi contenenti opere
cinematografiche o audiovisive o sequenze d'immagini in
movimento, siano esse sonore o meno, decorsi almeno diciotto
mesi dal primo atto di esercizio del diritto di distribuzione,
ovvero, non essendo stato esercitato il diritto di distribuzione,
decorsi almeno ventiquattro mesi dalla realizzazione delle dette
opere e sequenze di immagini.
2. Per i servizi delle biblioteche, discoteche e cineteche dello Stato e degli
enti pubblici è consentita la riproduzione, senza alcun vantaggio
economico o commerciale diretto o indiretto, in un unico esemplare, dei
fonogrammi e dei videogrammi contenenti opere cinematografiche o
audiovisive o sequenze di immagini in movimento, siano esse sonore o
meno, esistenti presso le medesime biblioteche, cineteche e discoteche
dello Stato e degli enti pubblici.

Art. 69 - Opere orfane: sono quelle opere di cui è impossibile, nonostante


l’impiego della massima diligenza, trovarne l’autore. Per queste opere c’è uno
spazio di utilizzazione, a determinate condizioni economiche, che prescinde
dal consenso dell’autore.
Se però l’autore viene trovato, si ristabilisce lo status quo in termini di esclusività
dei diritti.

Art. 70.
1. Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la
loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o
di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano
concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di
insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per
finalità illustrative e per fini non commerciali.

1-bis. E' consentita la libera pubblicazione attraverso la rete internet, a titolo


gratuito, di immagini e musiche a bassa risoluzione o degradate, per uso
didattico o scientifico e solo nel caso in cui tale utilizzo non sia a scopo di
lucro. Con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, sentiti il
Ministro della pubblica istruzione e il Ministro dell'università e della
ricerca, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, sono
definiti i limiti all'uso didattico o scientifico di cui al presente comma.
2. Nelle antologie ad uso scolastico la riproduzione non può superare la
misura determinata dal regolamento, il quale fissa la modalità per la
determinazione dell'equo compenso.
3. Il riassunto, la citazione o la riproduzione debbono essere sempre
accompagnati dalla menzione del titolo dell'opera, dei nomi dell'autore,
dell'editore e, se si tratti di traduzione, del traduttore, qualora tali
indicazioni figurino sull'opera riprodotta.

62
Art. 70 – Citazione Come posso fare però a non citare l’opera integralmente in
caso di opere delle arti figurative? È assoggettata ad equo compenso la
riproduzione delle opere letterarie nelle antologie ad uso scolastico (comma 2
dell’art. 70)

Art. 71.
Le bande musicali e le fanfare dei corpi armati dello Stato possono
eseguire in pubblico brani musicali o parti di opere in musica, senza
pagamento di alcun compenso per diritti di autore, purché l'esecuzione sia
effettuata senza scopo di lucro.

Art. 71-bis.
1. Ai portatori di particolari handicap sono consentite, per uso personale, la
riproduzione di opere e materiali protetti o l'utilizzazione della
comunicazione al pubblico degli stessi, purché siano direttamente collegate
all'handicap, non abbiano carattere commerciale e si limitino a quanto
richiesto dall'handicap.
2. Con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, di concerto con il
Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentito il comitato di cui all'art.
190, sono individuate le categorie di portatori di handicap di cui al comma
1 e i criteri per l'individuazione dei singoli beneficiari nonché, ove
necessario, le modalità di fruizione dell'eccezione.

Art. 71-ter.
È libera la comunicazione o la messa a disposizione destinata a singoli
individui, a scopo di ricerca o di attività privata di studio, su terminali
aventi tale unica funzione situati nei locali delle biblioteche accessibili al
pubblico, degli istituti di istruzione, nei musei e negli archivi,
limitatamente alle opere o ad altri materiali contenuti nelle loro collezioni e
non soggetti a vincoli derivanti da atti di cessione o da licenza.

L’art. 71-bis consente alcune forme di utilizzazione a persone con disabilità; l’art.
71-ter prevede qualcosa di molto importante per la ricerca: “E' libera la
comunicazione o la messa a disposizione destinata a singoli individui, a scopo di
ricerca o di attività privata di studio, su terminali aventi tale unica funzione situati
nei locali delle biblioteche accessibili al pubblico, degli istituti di istruzione, nei
musei e negli archivi”. Quando un’istituzione vuole mettere dei beni di importanza
storica elevata (come le cinquecentine delle biblioteche dell’UniPv) a disposizione
di chiunque, può digitalizzare (se non più protette dal diritto d’autore) le opere. Se
l’opera fosse protetta, è comunque possibile consultarla - come? Digitalizzandola e
poi consultabile tramite i terminali dell’istituzione. Questa previsione nasce dalla
Direttiva UE 29/2001, che menziona però esclusivamente la comunicazione di
questi esemplari: per garantire l’effetto utile della previsione, ci dice la corte di
giustizia, deve essere liberalizzata anche la digitalizzazione delle opere protette - se
finalizzata a questo scopo. Il DLGS che attuerà a brevissimo la direttiva 790/2019
della UE correggerà la previsione con menzione alla digitalizzazione.

Art. 71-quater.
È consentita la riproduzione di emissioni radiotelevisive effettuate da
ospedali pubblici e da istituti di prevenzione e pena, per un utilizzo
esclusivamente interno, purché i titolari dei diritti ricevano un equo
compenso determinato con decreto del Ministro per i beni e le attività
culturali, sentito il comitato di cui all'art. 190.

Art. 71-quinquies.

63
1. I titolari di diritti che abbiano apposto le misure tecnologiche di cui
all'articolo 102-quater sono tenuti alla rimozione delle stesse, per
consentire l'utilizzo delle opere o dei materiali protetti, dietro richiesta
dell'autorità competente, per fini di sicurezza pubblica o per assicurare il
corretto svolgimento di un procedimento amministrativo, parlamentare o
giudiziario.
2. I titolari dei diritti sono tenuti ad adottare idonee soluzioni, anche mediante
la stipula di appositi accordi con le associazioni di categoria
rappresentative dei beneficiari, per consentire l'esercizio delle eccezioni di
cui agli articoli 55, 68, commi 1 e 2, 69, comma 2, 70, comma 1, 71-bis e
71-quater, su espressa richiesta dei beneficiari ed a condizione che i
beneficiari stessi abbiano acquisito il possesso legittimo degli esemplari
dell'opera o del
3. materiale protetto, o vi abbiano avuto accesso legittimo ai fini del loro
utilizzo, nel rispetto e nei limiti delle disposizioni di cui ai citati articoli, ivi
compresa la corresponsione dell'equo compenso, ove previsto.
4. I titolari dei diritti non sono tenuti agli adempimenti di cui al comma 2 in
relazione alle opere o ai materiali messi a disposizione del pubblico in
modo che ciascuno vi possa avere accesso dal luogo o nel momento scelto
individualmente, quando l'accesso avvenga sulla base di accordi
contrattuali.
5. Le associazioni di categoria dei titolari dei diritti e gli enti o le associazioni
rappresentative dei beneficiari delle eccezioni di cui al comma 2 possono
svolgere trattative volte a consentire l'esercizio di dette eccezioni. In
mancanza di accordo, ciascuna delle parti può rivolgersi al comitato di cui
all'articolo 190 perché esperisca un tentativo obbligatorio di conciliazione,
secondo le modalità di cui all'articolo 194-bis.
6. Dall'applicazione della presente disposizione non derivano nuovi o
maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Sezione II: Riproduzione privata ad uso personale


Art. 71-sexies.
1. È consentita la riproduzione privata di fonogrammi e videogrammi su
qualsiasi supporto, effettuata da una persona fisica per uso esclusivamente
personale, purché senza scopo di lucro e senza fini direttamente o
indirettamente commerciali, nel rispetto delle misure tecnologiche di cui
all'articolo 102-quater.
2. La riproduzione di cui al comma 1 non può essere effettuata da terzi. La
prestazione di servizi finalizzata a consentire la riproduzione di fonogrammi e
videogrammi da parte di persona fisica per uso personale costituisce attività di
riproduzione soggetta alle disposizioni di cui agli articoli 13, 72, 78-bis, 79 e
80.
3. La disposizione di cui al comma 1 non si applica alle opere o ai materiali
protetti messi a disposizione del pubblico in modo che ciascuno possa avervi
accesso dal luogo e nel momento scelti individualmente, quando l'opera è
protetta dalle misure tecnologiche di cui all'articolo 102-quater ovvero quando
l'accesso è consentito sulla base di accordi contrattuali.
4. Fatto salvo quanto disposto dal comma 3, i titolari dei diritti sono tenuti a
consentire che, nonostante l'applicazione delle misure tecnologiche di cui
all'articolo 102-quater, la persona fisica che abbia acquisito il possesso
legittimo di esemplari dell'opera o del materiale protetto, ovvero vi abbia
avuto accesso legittimo, possa effettuare una copia privata, anche solo
analogica, per uso personale, a condizione che tale possibilità non sia in
contrasto con lo sfruttamento normale dell'opera o degli altri materiali e non
arrechi ingiustificato pregiudizio ai titolari dei diritti.

64
Il meccanismo della copia privata vale anche per musica ed audiovisivi, come
indicato all’Art. 71- sexies: “E' consentita la riproduzione privata di fonogrammi e
videogrammi su qualsiasi supporto, effettuata da una persona fisica per uso
esclusivamente personale, purché senza scopo di lucro e senza fini direttamente o
indirettamente commerciali, nel rispetto delle misure tecnologiche di cui
all'articolo 102-quater.”
Può capitare che alcuni produttori di audio e di video prevedano delle misure
tecnologiche che limitano le possibilità di questa copia - in questo caso non si
possono rimuovere le misure tecnologiche e la copia non è consentita.
La riproduzione di cui al comma 1 non può essere effettuata da terzi (non è
possibile preparare un CD, magari da regalare o vendere, o un MP3 o altri supporti
per altri). La prestazione di servizi finalizzata a consentire la riproduzione di
fonogrammi e videogrammi da parte di persona fisica per uso personale costituisce
attività di riproduzione soggetta alle disposizioni di cui agli articoli 13, 72, 78-bis,
79 e 80.
Inoltre, quest’attività di copia privata non si può realizzare con i contenuti scaricati
da internet nell’ipotesi in cui siano accessibili solo sulla base di accordi contrattuali
(abbonamento ad un servizio).

Art. 71-septies.
1. Gli autori ed i produttori di fonogrammi, nonché i produttori originari di
opere audiovisive, gli artisti interpreti ed esecutori ed i produttori di
videogrammi, e i loro aventi causa, hanno diritto ad un compenso per la
riproduzione privata di fonogrammi e di videogrammi di cui all'articolo
71-sexies. Detto compenso è costituito, per gli apparecchi esclusivamente
destinati alla registrazione analogica o digitale di fonogrammi o
videogrammi, da una quota del prezzo pagato dall'acquirente finale al
rivenditore, che per gli apparecchi polifunzionali è calcolata sul prezzo di
un apparecchio avente caratteristiche equivalenti a quelle della componente
interna destinata alla registrazione, ovvero, qualora ciò non fosse possibile,
da un importo fisso per apparecchio. Per i supporti di registrazione audio e
video, quali supporti analogici, supporti digitali, memorie fisse o
trasferibili destinate alla registrazione di fonogrammi o videogrammi, il
compenso è costituito da una somma commisurata alla capacità di
registrazione resa dai medesimi supporti. Per i sistemi di
videoregistrazione da remoto il compenso di cui al presente comma è
dovuto dal soggetto che presta il servizio ed è commisurato alla
remunerazione ottenuta per la prestazione del servizio stesso.
2. Il compenso di cui al comma 1 è determinato, nel rispetto della normativa
comunitaria e comunque tenendo conto dei diritti di riproduzione, con
decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, da adottare entro il 31
dicembre 2009 sentito il comitato di cui all'articolo 190 e le associazioni di
categoria maggiormente rappresentative dei produttori degli apparecchi e
dei supporti di cui al comma 1. Per la determinazione del compenso si
tiene conto dell'apposizione o meno delle misure tecnologiche di cui
all'articolo 102-quater, nonché della diversa incidenza della copia digitale
rispetto alla copia analogica. Il decreto è sottoposto ad aggiornamento
triennale.
3. Il compenso è dovuto da chi fabbrica o importa nel territorio dello Stato
allo scopo di trarne profitto gli apparecchi e i supporti indicati nel comma
1. I predetti soggetti devono presentare alla Società italiana degli autori ed
editori (SIAE), ogni tre mesi, una dichiarazione dalla quale risultino le
cessioni effettuate e i compensi dovuti, che devono essere contestualmente
corrisposti. In caso di mancata corresponsione del compenso, è

65
responsabile in solido per il pagamento il distributore degli apparecchi o
dei supporti di registrazione.
4. La violazione degli obblighi di cui al comma 3 è punita con la sanzione
amministrativa pecuniaria pari al doppio del compenso dovuto, nonché, nei
casi più gravi o di recidiva, con la sospensione della licenza o
autorizzazione all'esercizio dell'attività commerciale o industriale da
quindici giorni a tre mesi ovvero con la revoca della licenza o
autorizzazione stessa.

Chi paga? Art. 71-septies: Gli autori ed i produttori di fonogrammi, nonché i


produttori originari di opere audiovisive, gli artisti interpreti ed esecutori ed i
produttori di videogrammi, e i loro aventi causa (ovvero coloro che acquistano i
loro diritti), hanno diritto ad un compenso per la riproduzione privata di
fonogrammi e di videogrammi di cui all'articolo 71-sexies. Detto compenso è
costituito, per gli apparecchi esclusivamente destinati alla registrazione analogica o
digitale di fonogrammi o videogrammi, da una quota del prezzo pagato
dall'acquirente finale al rivenditore, che per gli apparecchi polifunzionali
(computer, ad esempio) è calcolata sul prezzo di un apparecchio avente
caratteristiche equivalenti a quelle della componente interna destinata alla
registrazione, […] il compenso, (commisurato alla capacità di registrazione) si
paga anche per i supporti di registrazione audio/video.
Chi paga questo compenso? Comma 3: Il compenso è dovuto da chi fabbrica o
importa nel territorio dello Stato allo scopo di trarne profitto gli apparecchi e i
supporti indicati nel comma 1. Il compenso è quindi determinato per via
ministeriale.
Per ogni apparecchio che può ospitare audio o video coperti da diritto d’autore
(quindi telefoni, computer, tablet, televisori, hard disk, chiavette USB, ecc.) è
necessario che chi li produce o importa sul territorio italiano paghi un compenso - a
meno che non riesca a dimostrare che con certezza l’apparecchio non sia in grado
di contenere materiale protetto (per esempio possono essere destinati a fini
solamente professionali che escludono radicalmente la possibilità di realizzare
copie private). La conseguenza quindi è che è possibile creare un archivio di opere
audiovisive sui propri dispositivi liberamente, senza quindi chiedere consenso, in
quanto il compenso per questo è già stato pagato; ovviamente la condizione è che
la copia che è presente sull’apparecchio sia stata messa in circolazione lecitamente.
Art. 71-octies.
1. Il compenso di cui all'articolo 71-septies per apparecchi e supporti di
registrazione audio è corrisposto alla Società italiana degli autori ed editori
(S.I.A.E.), la quale provvede a ripartirlo al netto delle spese, per il
cinquanta per cento agli autori e loro aventi causa e per il cinquanta per
cento ai produttori di fonogrammi, anche tramite le loro associazioni di
categoria maggiormente rappresentative.
2. I produttori di fonogrammi devono corrispondere senza ritardo, e
comunque entro sei mesi, il cinquanta per cento del compenso loro
attribuito ai sensi del comma 1 agli artisti interpreti o esecutori interessati.
3. Il compenso di cui all'articolo 71-septies per gli apparecchi e i supporti di
registrazione video è corrisposto alla Società italiana degli autori ed editori
(S.I.A.E.), la quale provvede a ripartirlo al netto delle spese, anche tramite
le loro associazioni di categoria maggiormente rappresentative, per il trenta
per cento agli autori, per il restante settanta per cento in parti uguali tra i
produttori originari di opere audiovisive, i produttori di videogrammi e gli
artisti interpreti o esecutori. La quota spettante agli artisti interpreti o
esecutori è destinata per il cinquanta per cento alle attività e finalità di cui
all'articolo 7, comma 2, della legge 5 febbraio 1992, n. 93.

Sezione III Disposizioni comuni

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Art. 71-nonies.
Le eccezioni e limitazioni disciplinate dal presente capo e da ogni altra
disposizione della presente legge, quando sono applicate ad opere o ad altri
materiali protetti messi a disposizione del pubblico in modo che ciascuno
possa avervi accesso dal luogo e nel momento scelto individualmente, non
devono essere in contrasto con lo sfruttamento normale delle opere o degli
altri materiali, né arrecare un ingiustificato pregiudizio agli interessi dei
titolari.

Art. 71-decies.
Le eccezioni e limitazioni al diritto d'autore contenute nel presente capo si
applicano anche ai diritti connessi di cui ai capi I, I-bis, II e III e, in quanto
applicabili, agli altri capi del titolo II, nonché al capo I del titolo II-bis.

Una previsione di chiusura, dove vengono riprodotti due passaggi dello “Three
Step Test”, una previsione contenuta originariamente nella Convenzione
dell’Unione di Berna e poi transitata nel trattato WIPO, nell’accordo TRIPS e nella
Dir. UE 29/200 in base alla quale i diritti dell’autore possono essere limitati solo in
casi speciali, a condizione che queste forme di utilizzazione non siano in contrasto
con lo sfruttamento normale delle opere né arrechino un ingiustificato pregiudizio.
È quindi possibile liberalizzare l’uso di un’opera dell’ingegno, ma solo in casi
particolari e solo a condizione che il diritto dell’autore non venga svuotato di
significato economico. Questa previsione consente al Giudice di verificare l’esito
dell’applicazione delle previsioni precedenti per evitare di generare utilizzazioni in
concorrenza con lo sfruttamento economico dell’opera da parte del titolare o coloro
che abbiano acquisito i diritti.

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24/11/2021
Diritti Morali d’Autore
Tradizione ormai secolare, sono veri e propri diritti della personalità, che
proteggono la relazione tra l’autore e l’opera o la personalità creativa
dell’autore - come è espressa nell’opera dell’ingegno. In linea di principio si
ritiene che l’opera dell’ingegno rifletta la personalità creativa dell’autore, e
all’autore sono riconosciute prerogative particolari nell’uso dell’opera.
à sono riconosciuti alcuni poteri che ancora una volta tendono a proteggere la sua
personalità (estrinsecata dalla relazione con l’opera da egli creata).

Diritto di paternità
Il diritto che ha l’autore che impedisce a chiunque di qualificarsi come autore della
sua opera. L’autore può reagire di fronte a chiunque si dichiari autori della sua
opera: questo potere, come tutti i diritti della personalità, è incedibile, irrinunciabile
e imprescrittibile e alla morte dell’autore trapassa, senza poter essere ceduto, in
capo ai suoi discendenti - ed in assenza di discendenti viene esercitato dallo Stato.
Questi diritti prevalgono anche su quelli patrimoniali (visto che tipicamente essi
vengono ceduti).

Art. 20.
Indipendentemente dai diritti esclusivi di utilizzazione economica
dell'opera, previsti nelle disposizioni della sezione precedente, ed anche
dopo la cessione dei diritti stessi, l'autore conserva il diritto di rivendicare
la paternità̀ dell'opera e di opporsi a qualsiasi deformazione, mutilazione od
altra modificazione, ed a ogni atto a danno dell'opera stessa, che possano
essere di pregiudizio al suo onore o alla sua reputazione.
Tuttavia, nelle opere dell'architettura l'autore non può̀ opporsi alle
modificazioni che si rendessero necessarie nel corso della realizzazione.
Del pari non potrà̀ opporsi a quelle altre modificazioni che si rendesse
necessario apportare all'opera già̀ realizzata. Però, se all'opera sia
riconosciuto dalla competente autorità̀ statale importante carattere artistico,
spetteranno all'autore lo studio e l'attuazione di tali modificazioni.

Art. 21.
L'autore di un'opera anonima e pseudonima ha sempre il diritto di rivelarsi
e di far conoscere in giudizio la sua qualità di autore.
Nonostante qualunque precedente patto contrario, gli aventi causa
dell'autore che si sia rivelato ne dovranno indicare il nome nelle
pubblicazioni, riproduzioni, trascrizioni, esecuzioni, rappresentazioni,
recitazioni e diffusioni o in qualsiasi altra forma di manifestazione o
annuncio al pubblico.

Indipendentemente dai diritti esclusivi di utilizzazione economica dell’opera, […]


anche dopo la cessione dei diritti stessi, l'autore conserva il diritto di rivendicare la
paternità dell'opera [nei confronti di chiunque si pretenda autore al posto suo].

L'autore di un'opera anonima o pseudonima ha sempre il diritto di rivelarsi e


[nonostante qualunque precedente patto contrario, anche di ghostwriting] di far
riconoscere in giudizio la sua qualità di autore. Gli aventi causa dell'autore che si
sia rivelato ne dovranno indicare il nome nelle pubblicazioni, riproduzioni,
trascrizioni, esecuzioni, rappresentazioni, recitazioni e diffusioni o in qualsiasi altra
forma di manifestazione o annuncio al pubblico.

Diritto all’integrità dell’opera, Art. 20 - L’autore, anche nel caso in cui abbia

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ceduto i propri diritti patrimoniali, conserva in ogni caso il diritto di opporsi a
qualunque “deformazione, mutilazione od altra modificazione, ed a ogni atto a
danno dell'opera stessa, che possano essere di pregiudizio al suo onore o alla sua
reputazione.”
Perché, ad esempio, i film di Fellini passano sui canali televisivi ad orari
improponibili? Una serie di cause avviate da svariati registi italiani di prestigio tra
gli anni ’80 e ’90, ha portato ad una giurisprudenza monolitica che ha dichiarato
che le interruzioni pubblicitarie dell’opera cinematografica sono modifiche
pregiudizievoli dei diritti morali d’autore.

Art. 22.
I diritti indicati nei precedenti articoli sono inalienabili. Tuttavia, l'autore
che abbia conosciute ed accettate le modificazioni della propria opera non
è più ammesso ad agire per impedirne l'esecuzione o per chiederne la
soppressione.

Art. 23.
Dopo la morte dell'autore il diritto previsto nell'art. 20 può essere fatto
valere, senza limite di tempo, dal coniuge e dai figli, e, in loro mancanza,
dai genitori e dagli altri ascendenti e dai discendenti diretti; mancando gli
ascendenti ed i discendenti, dai fratelli e dalle sorelle e dai loro discendenti.
L'azione, qualora finalità̀ pubbliche lo esigano, può altresì essere esercitata
dal Ministro per la cultura popolare.

Art. 24.
Il diritto di pubblicare le opere inedite spetta agli eredi dell'autore o ai
legatari delle opere stesse, salvo che l'autore abbia espressamente vietata la
pubblicazione o l'abbia affidata ad altri.
Qualora l'autore abbia fissato un termine per la pubblicazione, le opere
inedite non possono essere pubblicate prima della sua scadenza.
Quando le persone indicate nel primo comma siano più e vi sia tra loro
dissenso, decide l'autorità giudiziaria, sentito il Pubblico Ministero. È
rispettata, in ogni caso, la volontà del defunto, quando risulti da scritto.
Sono applicabili a queste opere le disposizioni contenute nella sezione
seconda del capo secondo del titolo terzo.

Diritto di ritiro dell’opera dal commercio o “Droit de Repentire” - È il diritto


che ha l’autore di ritirare l’opera dal commercio per gravi ragioni morali. Si può
pensare all’autore di un testo scientifico che ha commesso degli errori marchiani,
che possano pregiudicare la sua personalità; ancora, un autore che esprime una
posizione politica che poi intende ritrattare. La forma espressiva o il contenuto
dell’opera non è quindi coerente con il sentire dell’autore - ed egli quindi ha il
diritto di pretendere il ritiro dell’opera. Prevale il suo interesse personale (a fronte
naturalmente di un indennizzo nei confronti dell’editore) e l’altro soggetto dovrà
necessariamente accondiscendere alla richiesta dell’autore.

69
L’autore di idea originaria e poi l’acquirente del diritto patrimoniale ha il potere di
vietare o autorizzare determinate utilizzazioni dell’opera. Tipicamente, eserciterà
questo consenso mediate un contratto (che per l’art. 1322 del CC è l’incontro di
volontà di due soggetti i cui interessi perseguiti siano “meritevoli di protezione”).

Come si negozia il consenso ad utilizzazione economica delle opere


dell’ingegno? In linea di principio, tutti i patti tra i privati (tramite i quali questi
privati regolano la prestazione del consenso da parte del titolare del diritto d’autore
all’utilizzatore) hanno natura contrattuale e sono meritevoli di protezione.
Alcune dei queste modalità di regolazione dei rapporti reciproci tra il titolare dei
diritti e l’utilizzatore sono regolati in modo esplicito dal legislatore - e sono quindi
contratti “tipici” (ovverosia un contratto che riceve una disciplina da parte
dell’ordinamento giuridico). I contratti tipici in quest’ambito sono:
• Contratto di Edizione -contratto con il quale un editore a stampa e un
titolare dei diritti d’autore (normalmente l’autore stesso, ma anche
l’acquirente dei diritti) regolano la pubblicazione dell’opera a stampa da
parte dell’editore. Il cuore di questo contratto è l’obbligazione che assume
l’editore di pubblicare l’opera.
• Contratto di Rappresentazione - tipologia meno regolata ma pur sempre
tipica (in quanto presi in considerazione dalla legge sul diritto d’autore),
sono contratti tramite i quali un imprenditore culturale assume l’obbligo e
l’autore dà il consenso alla rappresentazione (teatrale, ad esempio)
dell’opera.
• Contratto di Esecuzione - sono i contratti tramite i quali imprenditori
culturali e autori si scambiano obbligazione e consenso all’esecuzione
dell’opera (tipicamente musicale).

Al di fuori di queste tre fattispecie, si esercita la fantasia degli operatori del


mercato: ad esempio, un contratto molto utilizzato è quello di Licenza. La licenza
è un’espressione generica per indicare il caso in cui il titolare dei diritti d’autore
autorizza l’uso dell’opera da parte del suo contraente. Il contratto di licenza è
tendenzialmente atipico, non disciplinato dalla legge, anche se talvolta è in qualche
misura tipizzato (ovvero costruito secondo archetipi ricorrenti) ad opera degli
operatori del mercato. Ci sono alcune clausole, ad esempio, tipicamente presenti in
tante licenza e che riguardano il caso dei software. L’EULA (End User Licence
Agreement), stipulato tante volte da chiunque per i software di PC, tablet,
smartphone, è un classico contratto di licenza, molto articolato e contenente molte
clausole ormai tipizzate dalla prassi commerciale, col quale è data l’autorizzazione
ad utilizzare il software. Come abbiamo già detto, questo bisogno nasce dalla
natura particolare di proprietà intellettuale del software (la macchina lo riproduce
parzialmente e continuamente - e necessita quindi del consenso). Il mondo del
software è molto particolare, perché è stato teatro di una grande deviazione rispetto
al modello di gestione degli esiti della creatività intellettuale finora raccontati (il
non si può fare nulla senza il consenso del titolare, sostanzialmente). Il mondo del
software conosce un’alternativa, nata sul campo ad opera degli operatori del
mercato.

Digressione storica
- Negli anni ’60, quando l’informatica inizia a diventare qualcosa di molto serio
e nella West Coast si inizia a lavorare su sistemi operativi, software
complessi in grado di gestire il funzionamento della macchina per
svolgere una pluralità di funzioni.
- Tra gli anni ’70 e ’80 la rivoluzione informatica si compie grazie a delle menti
geniali che immaginano di applicare questa modalità operativa, finora
destinata a grandi macchine a fini industriali, a macchine di capacità molto più
limitata messe a disposizione della gente qualunque, i Personal Computer.

70
Steve Jobs instillano i sistemi operativi direttamente nelle macchine, Bill
Gates li racchiude in dischetti (che finiranno, visto il diffondersi dei PC sulle
scrivanie di tutto il mondo, dentro ai computer di IBM - che dominava il
mercato hardware all’epoca). Quando si verificano questi fenomeni, in
parallelo c’è una quota di geniali programmatori che va “sott’acqua”: decide
di non giocare alle regole della proprietà intellettuale che ispiravano sia Jobs
che Gates. Windows assomiglia molto al primo sistema operativo Macintosh
di Apple, Jobs fa causa a Gates e trovano poi un componimento.
- La logica però (soprattutto quella alla base di Apple, nonostante si sia un po’
ammorbidita) è estremamente proprietaria - c’è un gruppo di programmatori
della West Coast che però prova a programmare un sistema operativo non
proprietario alternativo. È un sistema operativo al quale tutti possono
contribuire - come? Si racconta com’è fatto a chiunque, senza criptare alcuna
parte del codice. Il progetto GNU (acronimo di GNU’s Not Unix - Unix era,
all’epoca, il “padre” di tutti i sistemi operativi proprietari) viene sviluppato da
questo gruppo di libertari e comporta l’elaborazione di una quantità molto
elevata di software al quale concorrono spontaneamente e liberamente tanti
programmatori. Fino a poco tempo fa, questo programma operativo non
funziona benissimo: arriva Linus Torvalds ed offre il frutto del suo genio, cioè
il Kernel (quella parte di programma operativo determinante per il suo
funzionamento messa a punto tramite la su attività di programmatore) che,
adattato a GNU, dà vita a Linux, il primo vero sistema operativo alternativo ai
sistemi proprietari.
- A questo punto, il mondo degli sviluppatori che credono nell’open content e
nella diffusione totale della cultura, elabora un modello di licenza, chiamato
GPL (General Public Licence), basato sul Copyleft. Il modello si oppone al
copyright e funziona così: l’utilizzatore può utilizzare questo software
liberamente, senza bisogno di alcun consenso. Lo può riprodurre, moltiplicare
in copie, trasmettere a distanza e anche elaborare - ovvero creare nuovo
software - liberamente. Il software che sviluppa però a partire da quello che è
in uso libero, dovrà essere assoggettato allo stesso regime - anch’esso dovrà
essere lasciato in libero utilizzo per chiunque e dovrai pubblicare il codice
sorgente. Con il copyleft, si usa il potere nascente dal diritto d’autore non
per escludere gli altri dall’uso della risorsa, ma per obbligarli a
condividere il frutto del loro lavoro.
- Di fronte a questo modello operativo, IBM (gigante dell’industria, ha
dismesso la produzione di macchine e si dedica solo a software e servizi) si
converte completamente all’open source; Google ha deciso di utilizzare questo
modello per far circolare il suo sistema operativo per cellulari, Android, con
l’obiettivo di farlo diventare il leader mondiale negli OS per smartphone. Nel
mondo digitale, la GPL è il secondo contratto più diffuso al mondo, dopo le
condizioni generali di contratto per accedere a Facebook.

Con questa grande riflessione apprendiamo quindi che internet è un grandissimo


spazio di libertà ma controllato dal diritto: l’altro “corno” del tema è il divieto. Il
titolare dei diritti può quindi acconsentire all’utilizzo, magari dietro compenso, ma
può anche vietarlo. Molto spesso, acconsentirà quando, sul piano del suo modello
di business, riuscirà a negoziare con tutti i soggetti che utilizzano un compenso per
il consenso - vieterà tutte le volte che invece l’utilizzazione dell’opera risulterà
essere pregiudizievole per il suo modello di business.
Esempio: la casa discografica può immaginare di costruire un sito web in cui dà
accesso a pagamento a tutti coloro che vogliono fare streaming della musica che
produce; non si sogna nemmeno di autorizzare il negozio all’angolo a fare noleggio
di esemplari di CD della stessa musica o di consentire ad un sito di rilasciare
esemplari digitalizzati della musica che produco.
Evidentemente, chi sceglie questo tipo di business crede che ciò che fa lo possa

71
fare solamente lui oppure le vuole poter fare lui. Cosa accade quando
un’utilizzazione contrasta con la volontà del titolare o è compiuta da un
soggetto che non si cura di chiedere il consenso o di pagare un compenso?
Non è partita semplice capire il danno che mi ha inferto, visto che non ho relazioni
con gli utilizzatori di questi beni, ma chi sfrutta la mia opera dell’ingegno per
crearne un’altra senza il mio consenso. Le opere dell’ingegno spesso sono fattori
produttivi (allo stesso tempo di input e output di altri processi produttivi), che
spesso vengono usati nell’altrui attività imprenditoriale e quindi non è semplice
capire la misura dell’utilizzazione - oltre ad un problema di diffusione rapidissima
e totale. L’apparato sanzionatorio deve quindi essere più pesante, costrittivo
rispetto a quello che tutela la proprietà corporale: in materia di proprietà
intellettuale, gli strumenti che sono messi a disposizioni del titolare sono molto più
costrittivi.
Quali sono?
• Risarcimento del danno - si assiste ad una sorta di inversione dell’onere della
prova (è quindi il danneggiante che deve dimostrare di essere innocente - c’è
una prima misura di danno che è prevista per legge, il “Prezzo del Consenso”,
ovvero quel compenso che l’utilizzatore avrebbe dovuto pagare qualora avessi
chiesto il consenso) e la misura risarcitoria è come minimo pari a quella
Royalty ragionevole che sarebbe stata negoziata in condizioni di mercato (che
quindi copre i costi e remunera gli investimenti). A ciò si aggiunge ogni altro
danno che si riesce a provare, come il Lucro Cessante (il business che avrei
fatto e che invece mi è stato impedito dall’esistenza di questo prodotto
concorrente).
• Inibitoria - Non si tratta solo ex-post di contare i danni, ma si può ottenere
ancora prima che i danni si manifestino una inibitoria - un ordine del Giudice
rivolto all’utilizzatore di cessare questa utilizzazione non autorizzata. Cosa
comporta? Anzitutto, è assistito dalla sanzione penale (chi non ottempera con
ordine commette un reato) e dalla possibilità di ottenere penalità di mora (il
Giudice può predeterminare degli importi di valore elevato da pagare qualora
l’utilizzatore non ottemperi al suo ordine inibitorio - ti vieto di riprodurre gli
esemplare che stai vendendo a €5 dell’opera altrui e per ogni nuovo esemplare
dopo l’ordine pagherai €1000, oppure €10.000 per ogni giorno di ritardo con il
quale ottempererai al mio (Giudice) ordine).
• Sequestro dei mezzi e degli oggetti della violazione,
• Pubblicazione della sentenza - misura risarcitoria molto interessante, visto
che rende edotto il mercato del fatto che un soggetto ha violato gli altrui diritti
di proprietà intellettuale; ha una valenza comunicativa importante e, come nel
diritto della pubblicità, è il soccombente che deve pagare le spese di
pubblicazione della sentenza.

Alcune di queste misure, in particolare modo l’inibitoria, possono essere irrogate in


via d’urgenza in tempi rapidissimi. In 3/4 mesi, infatti, è possibile avere un ordine
del Giudice che in via cautelare intima all’utilizzatore di sospendere questa
utilizzazione illecita - ben prima della sentenza che decide il processo, di modo tale
da consentire che questa sentenza sia idonea a produrre degli effetti e non arrivi
“troppo tardi”.
Esempio attuativo - Qualcuno sta sfruttando il mio software senza consenso; per
prima cosa, chiedo una misura inibitoria per via cautelare al Giudice, che richiede
di cessare immediatamente l’uso della risorsa. Nel giro di 3 o 4 mesi, il Giudice
risponderà alla mia richiesta.

Avvio poi un processo ordinario (quindi che durerà 2/3 anni) nel quale si accerterà
chi ha ragione e quanti danni l’utilizzatore dovrà pagarmi. Per tutta la durata del
processo, permane l’ordine di non utilizzare quella risorsa. Quando poi il giudice
verificherà la mia ragione, trasformerà quella misura cautelare in qualcosa di più

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duraturo, irrogherà una sanzione inibitoria definitiva.

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L’obbiettivo di queste due facce della medaglia del diritto d’autore, autorizzazione
e divieto dell’opera, hanno come obbiettivo un risultato complessivo molto simile a
quello che consegue il proprietario di una cosa corporale, se vuole far utilizzare
agli altri stipula un contratto (di locazione, ad esempio, se si parla di immobili),
così come se vuole cedere il bene. Se invece desidera impedire agli altri di
utilizzarlo, e costoro non si fermano all’altrui diritto di proprietà e utilizzano il
bene contro la sua volontà, ha diversi rimedi che rendono effettiva questa sua
volontà escludente dall’uso del bene.

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