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Amleto De Santanna Fabio Ghiotto Alessandro Moretta

Atlante di Istologia
Atlante di Istologia

Testi: Amleto De Santanna, Fabio Ghiotto, Alessandro Moretta

Preparati istologici e micrografie: Amleto De Santanna

Realizzazione grafica: Fabio Ghiotto

Nota: tutte le immagini di questo Atlante si riferiscono a preparati ottenuti da reperti e


preparati istologici presenti nella Sezione di Istologia del Dipartimento di Medicina
Sperimentale dell'Università di Genova .
I reperti istologici di feto umano e di animali domestici, come il cane, sono stati presi
dall'archivio della Sezione dove sono conservati da più di 50 anni. I pezzi relativi ai
mammiferi marini sono derivati da esemplari spiaggiati e sono stati utilizzati per lavori
scientifici in collaborazione con il Dipartimento di Biologia dell'Università di Genova.

i
1 Colorazioni istologiche
Colorazioni Colorazioni istologiche elettive
Colorazioni istochimiche
Colorazioni immunoistochimiche
Colorazioni in immunofluorescenza

Preparati istologici

Il campione, prelevato mediante biopsia o autopsia, viene fissato,


incluso e tagliato al microtomo o al criostato. Le sezioni ottenute, di
spessore variabile da 4 a 25-30 µm a seconda del tipo di ricerca da

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svolgere, vengono colorate per l’osservazione al microscopio ottico o a
fluorescenza.

Le colorazioni dei preparati oggetto del nostro Atlante sono state tutte
effettuate nei nostri laboratori e sono:

Istologiche

Istochimiche

Immunoistochimiche

Immunofluorescenti

Le colorazioni istologiche si dividono in: bicromiche, quando si usano


due coloranti, tricromiche, quando si usa un colorante basico e due
coloranti acidi, ed elettive, quando si privilegia la colorazione di un
determinato tessuto (connettivo, nervoso, muscolare) a scapito, a volte,
della visione topografica generale del preparato.

Le colorazioni istochimiche mettono in evidenza le caratteristiche


chimiche di un determinato tessuto e delle cellule che lo compongono.
Ciò avviene sviluppando una reazione chimica vera e propria che darà
un precipitato specifico colorato, direttamente sulla sezione. Esempio
classico è la PAS, reazione per i mucopolisaccaridi neutri, o l’Alcian blu,
per quelli acidi.

Le colorazioni immunoistochimiche sono altamente specifiche e


colorano determinati antigeni presenti nel tessuto. Questa tecnica
prevede l’uso di anticorpi secondari legati a cromogeni insolubili che
permettono la visione del preparato ottenuto mediante microscopia
ottica.

Le colorazioni in immunofluorescenza sono una variante di quelle


immunoistochimiche in cui si usano anticorpi secondari legati a
fluorocromi che emettono un segnale, dopo eccitazione, a determinate
lunghezze d’onda rilevabili con un microscopio a fluorescenza o
confocale.

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Colorazioni istologiche

In queste colorazioni le sezioni devono essere tagliate al microtomo con


uno spessore di circa 3-5 µm in modo da poter colorare singoli strati
cellulari e non avere piani sovrapposti.

Ematossilina-Eosina (Em-Eo)

E’ una colorazione bicromica che si basa sul diverso valore di pH dei


diversi tessuti e dei vari organelli costituenti la cellula. Il nucleo e i
componenti acidi del citoplasma (ribosomi, secreti acidi) vengono

Figura 1.1 Ghiandola


sottomandibolare
colorata con Emallume
Eosina: i nuclei e il
citoplasma delle
ghiandole sierose sono
colorate in violetto
intenso; il citoplasma
delle ghiandole mucose,
le fibre connettivali e il
sangue sono colorati da
una miscela Eosina-
Orange che dà varie
tonalità di rosso arancio. I
grossi adipociti non si
colorati in viola dall’ematossilina, che è un colorante basico, mentre il
colorano perchè i lipidi, di
citoplasma e i tessuti basici (muscolare, connettivo, osseo) vengono cui è costituito in gran
colorati in rosa, più o meno intenso, da una miscela acida di eosina- parte il citoplasma, sono
orange G (Figure 1.1-1.5). stati estratti da solventi
come xilolo o benzolo
durante la
processazione. Em-Eo
63x.

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Figura 1.2 Ghiandola
sottomandibolare a
maggiore ingrandimento
in cui si evidenziano i
diversi colori del
citoplasma dei due tipi
ghiandolari. Em-Eo 100x

Figura 1.3 Rene di


coniglio. Em-Eo 100x

Tricromica di Mallory

In questa colorazione il colorante nucleare, l’emallume di Mayer, colora


le strutture acide in violetto intenso, mentre i coloranti acidi sono blu di

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Figura 1.5 Muscolo
scheletrico umano. I
nuclei sono colorati in
viola, le fibre muscolari in
rosa intenso e lo scarso
connettivo interposto fra
le fibre in rosa pallido. Gli
eritrociti contenuti nei
capillari sanguigni sono
di un rosa acceso. Em-
Eo 63x

anilina e orange G. Questa colorazione viene usata quando i pezzi sono


fissati in formalina e perciò incompatibili con la tricromica di Heidenhain
(Figura 1.6).

Figura 1.6 Lingua umana


colorata con la Tricromica
di Mallory: i nuclei sono
colorati in violetto
dall’emallume, il
connettivo in azzurro
intenso. Mallory 100x

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Tricromica di Heidenhain (Mallory-Azan)

Questa colorazione deriva dalla colorazione di Mallory. Come le altre


colorazioni tricromiche, si basa, oltre che sulle proprietà acido-basiche
dei tessuti, anche sulla diversa solubilità o affinità dei vari coloranti acidi
usati, ottenendo così un risultato molto più brillante che nelle

Figura 1.7 Palato duro di


cane colorato con
Mallory-Azan. Sezione
trasversale ottenuta
decalcificando il
preparato. Sono mostrate
sezioni trasversali di
denti in cui la dentina è
colorata in rosso porpora
dall'azocarminio mentre il
sottile strato di smalto
esterno e il connettivo
della polpa dentaria
all'interno sono colorati in
azzurro dalla miscela di
Mallory. Nel tessuto
osseo, colorato in blu, si
notano le lacune che
contengono gli osteociti,
bicromiche. Nella variante di Heidenhain, l’azocarminio colora le poco evidenti perchè
strutture acide con un rosso-porpora molto acceso, mentre le strutture parzialmente distrutti
basiche (fibre collagene, reticolari, muco) reagiscono con il blu di dalla decalcificazione.
anilina o il violetto arancio (tessuto muscolare) dell’orange G. Il Mallory-Azan 63x
citoplasma, in generale, sarà arancione pallido. In questa maniera
otteniamo una netta separazione tintoriale tra il tessuto muscolare e
quello connettivo (Figure 1.7 e 1.8).

Tricromica di Masson

E’ particolarmente indicata per riconoscere i vari tipi di cellule del


connettivo. Colora i nuclei in viola con l’ematossilina; il citoplasma in

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Figura 1.8 Fegato di
maiale. Il citoplasma
degli epatociti è colorato
in rosa tenue dall'orange
G, i sepimenti connettivali
in blu intenso dalla
miscela di Mallory.
Mallory-Azan 63x

rosso più o meno vivo con la fucsina acida, il connettivo e le strutture


fortemente basiche in blu con il blu di anilina (Figura 1.9).

Figura 1.9 Adenoipofisi


umana. Si distinguono,
colorati in rosso arancio,
gli eritrociti (contenuti nei
vasi) e le cellule con
citoplasma basico; i
nuclei e le cellule con
citoplasma acido sono
colorate in viola.
Tricromica di Masson
200x

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Ignesti

E’ il metodo migliore per ottenere una netta differenziazione degli


elementi muscolari in mezzo a tessuto connettivo. Il colorante

Figura 1.10 Tessuto


circostante la prostata
umana colorato con la
tricromica di Ignesti. Si
distinguono nettamente i
fasci di tessuto
muscolare liscio colorati
in arancio-ocra intenso e
il tessuto connettivo
denso colorato in blu. I
nuclei sono colorati in
viola dall'emallume.
Ignesti 63x

Figura 1.11 Forte


ingrandimento del
tessuto circostante la
prostata. Si apprezza la
diversa colorazione delle
fibre muscolari colorate
dall'Aurantia in ocra
rispetto al connettivo
colorato in blu. Ignesti
200x

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nucleare è l’emallume di Mayer. Il tessuto muscolare è colorato in giallo-
arancio dall’Auranzia, il connettivo dal blu-turchino del Mallory (Figure
1.10 e 1.11).

Ematossilina Ferrica (Ematossilina di Heidenhain)

Colora in nero intenso le strutture acide ed i contorni cellulari. E’ il


metodo più comunemente usato per lo studio della cariocinesi.

Figura 1.12 Fibre


mucolari umane
dissociate e colorate con
Ematossilina Ferrica.
Questa colorazione mette
in evidenza, oltre che le
strutture basofile come i
nuclei, anche i contorni
cellulari e le bande
trasversali delle fibre
muscolari striate.
Ematossilina Ferrica
100x

Figura 1.13 Fibre


muscolari striate umane
a forte ingrandimento
colorate con Ematossilina
Ferrica. 400x

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Regolando la differenziazione di colorazione si possono mettere in
evidenza anche i centrioli, i confini cellulari, le liste di contorno, le
striature trasverse delle fibre muscolari ed alcuni granuli citoplasmatici
(Figure 1.12 e 1.13).

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Colorazioni istologiche elettive

In queste colorazioni le sezioni devono essere tagliate al microtomo con


uno spessore di circa 10-12 µm in modo da poter seguire il decorso
delle fibre colorate per tratti il più possibile ampi.

Gomori

E’ una colorazione elettiva per le fibre connettivali reticolari, che


appaiono in nero intenso su un fondo aspecifico che va dal grigio al
giallino pallido. Si basa sull’affinità dell’‘argento per le proteine
costituenti queste fibre. La reazione è attivata dalla luce che ha funzione
di catalizzatore (Figure 1.14 e 1.15).

Figura 1.14 Milza


umana: si evidenzia la
sottile trama reticolare
che circonda un capillare
sanguigno. Gomori per le
fibre reticolari.100x

12
Figura 1.15 Paratiroide
umana. Si nota la fitta
trama di fibre, molto
abbondanti nelle
paratiroidi, caratteristica
importante per
distinguere questa
ghiandola endocrina.
Gomori per le fibre
reticolari. 100x

Resorcin-fucsina di Weigert

E’ una colorazione specifica per le fibre elastiche che vengono colorate


selettivamente in nero-viola su un fondo praticamente incolore. Si può
fare un contrasto colorando i nuclei con emallume (Figure 1.16 e 1.17).

Figura 1.16 Polmone di


coniglio. Si evidenziano
le fibre elastiche
nell'intima di una grossa
arteria. Si noti il classico
andamento sinuosidale
delle fibre elastiche.
Weigert per le fibre
elastiche. 100x.

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Figura 1.17 Cartilagine
elastica umana. Weigert
per le fibre elastiche
100x.

Sudan III e Sudan Black

Queste colorazioni servono per evidenziare elettivamente le goccioline


lipidiche contenute nelle cellule adipose. Le sezioni si ottengono da
pezzi congelati e tagliati al criostato in modo da evitare i successivi

Figura 1.18 Mesentere di


topo. Colorazione elettiva
per il tessuto adiposo su
sezioni ottenute al
criostato. Sudan III 63x

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passaggi nei solventi organici necessari per l’inclusione in paraffina e
che scioglierebbero irrimediabilmente le goccioline lipidiche. Il Sudan III
colora le goccioline lipidiche in giallo-arancio mentre il Sudan Black le
colora in nero (Figure 1.18 e 1.19).

Figura 1.19 Mesentere di


topo. Sezione ottenuta al
criostato a -40°C per
evitare l'inclusione e,
quindi, i passaggi in
solventi organici che
avrebbero estratto i lipidi
presenti. Questa
colorazione elettiva
evidenzia con un
precipitato nero la
gocciolina lipidica
contenuta nella cellula
adiposa. Sudan Black
63x

Colorazioni elettive per il tessuto osseo

Questo tessuto,a causa della sua durezza, crea molti problemi tecnici,
sia nell’inclusione che, soprattutto, nel taglio. Per questo motivo,
quando la metodica non lo sconsigli, si tende a decalcificare i pezzi in
modo da eliminarne la parte inorganica. I liquidi decalcificanti (EDTA,
Figura 1.20 Sezione
trasversale di tessuto
osseo ottenuta per
abrasione, senza nessun
trattamento chimico e
non colorato. Il
frammento di tessuto
osseo è stato compresso
fra due vetrini con una
goccia di balsamo del
Canada. 63x

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acido nitrico, acido cloridrico) sono molto invasivi e a volte, se non usati
con estrema cura, rovinano irrimediabilmente il tessuto da analizzare.
Quando l’analisi del tessuto non permette la decalcificazione, si
possono ottenere dei buoni preparati con frammenti di tessuto osseo
abrasi e ridotti allo spessore di poche decine di µm che,
successivamente posti con una goccia di balsamo fra due vetrini, danno
una chiara visione dell’organizzazione del tessuto osseo in osteoni
(Figura 1.20).

Von Kossa

In questa colorazione si evidenziano i sali di carbonato e fosfato di


calcio in nero intenso con argento metallico. Per avere una migliore

Figura 1.21 Vertebra di


topo tagliata
trasversalmente, non
decalcificata e colorata in
modo specifico per il
tessuto osseo, che è
evidenziato da un
precipitato marrone
scuro. Von Kossa-Em-Eo
63x

visione topografica è utile contrastare con una colorazione di fondo (Em-


Eo, Azan, ecc.) (Figura 1.21).

Colorazioni elettive per il tessuto nervoso

Le caratteristiche del tessuto nervoso associate alla sua delicatezza


fanno sì che sia estremamente difficile ottenere preparati di buona

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qualità e durevoli nel tempo. Si possono ottenere preparati da pezzi
colorati in toto e poi inclusi in paraffina e tagliati, oppure ottenuti dopo
colorazione per schiacciamento fra due vetrini o, infine, con metodi
tradizionali. Molto dipende dall’esperienza, dalla qualità dei prelievi e
dalla risoluzione di una serie di problematiche che possono emergere
durante l’allestimento del preparato.

Nissle

Questa è una colorazione per il sistema nervoso centrale e si usa su


sezioni in paraffina di 10 µm di spessore. E’ relativamente semplice,

Figura 1.22 Encefalo di


topo. Sezione
longitudinale colorata con
il Blu di toluidina specifico
per le cellule nervose.
Nissle 63x

mette in evidenza la zona tigroide del Nissle, caratteristica del


citoplasma dei neuroni, colorandola con il blu-azzurro tipico del blu di
toluidina. Vengono colorati in azzurro tenue anche i sepimenti
connettivali (Figura 1.22).

Golgi (secondo Cajal)

Piccoli pezzi molto freschi di sistema nervoso centrale vengono trattati


da 1 a 5-6 giorni (a seconda dell’animale, delle dimensioni del pezzo e

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delle sue caratteristiche) in soluzione osmio-bicromica, in termostato a
25°C. Successivamente, il pezzo viene colorato con nitrato d’argento
all’1% in acqua. La reazione può durare fino a 3 giorni. A colorazione
avvenuta si includono i pezzi in paraffina o, se richiesto, in celloidina e si
tagliano sezioni molto spesse, intorno a 40-50 µm, per avere una visione
il più completa possibile del tessuto e dei vari costituenti cellulari.
Questa è una colorazione di difficile riuscita che, molte volte, presenta
problematiche praticamente irrisolvibili. In ogni caso, si ha una buona
colorazione quando le cellule nervose spiccano in nero intenso su un
fondo color tabacco. Proprio perchè di difficile e incostante riuscita sono
state proposte, da vari autori, diverse varianti (Golgi-Bubenaite, Golgi-
Cox, ecc.) ma le difficoltà di riuscita sono pressochè identiche (Figure
1.23 e 1.24).

Figura 1.23 Embrione


umano. Ganglio spinale
in situ con colorazione
elettiva per le cellule del
sistema nervoso centrale.
Golgi-Cox 100x

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Figura 1.24 Tenecefalo
umano. Neurone
multipolare colorato
secondo il metodo di
Cajal. Cajal 200x

Bielchowsky

Anche questo è un metodo complicato e di difficile riuscita, molto usato


per il sistema nervoso periferico. Si basa sull’affinità che l’argento
ammoniacale ha per le fibre nervose quando viene ridotto dalla
formaldeide ad argento metallico. Fattori variabili come la fissazione, il
pH e la temperatura possono influenzare l’intensità e la precisione di
questa impregnazione. A colorazione avvenuta si vedranno le fibre
nervose colorate intensamente in nero su un fondo grigio più o meno
intenso. Per consentire di seguire adeguatamente l’andamento non
rettilineo delle fibre le sezioni devono essere spesse almeno 12-14 µm.
Con questo metodo si colorano anche le terminazioni nervose (Figura
1.25).

Ruffini

Colorazione in toto di pezzi, anche voluminosi, adatta soprattutto alla


ricerca di terminazioni nervose e di grosse fibre periferiche. Riesce su
tessuto fresco a cui non siano stati fatti trattamenti preventivi, neanche
un lavaggio in acqua distillata. Dopo la colorazione con cloruro d’oro, i
pezzi ottenuti si macerano in glicerina per almeno sei mesi prima di
prelevare piccoli frammenti e, per delacerazione, ottenere vetrini da
osservare al microscopio ottico. Sei mesi rappresentano il tempo

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Figura 1.25 Cute di
balena. Nel sottocutaneo,
e precisamente in una
papilla dermica che si
incunea fra le creste
epiteliali, si nota un
gruppo di terminazioni
nervose (Corpuscoli di
Pacini) che presentano
una terminazione
nervosa libera centrale
colorata in nero intenso
(frecce) circondate da
lamelle concentriche
connettivali atte ad
amplificare lo stimolo
minimo di macerazione e si ottengono ottimi preparati anche dopo tattile. Bielschowsky 100x
molti anni. A colorazione terminata si osserveranno le terminazioni e il
tessuto nervoso in generale colorati in nero intenso su un fondo violetto
(Figura 1.26).

Figura 1.26 Placche


motrici di muscolo striato
di rana. Le fibre nervose
e le placche motrici sono
colorate in viola intenso.
Ruffini 100x

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Colorazioni elettive per il sangue

Gli strisci di sangue si ottengono per strisciamento di una goccia di


sangue fresco tra due vetrini coprioggetto, uno posto a 45° rispetto
all’altro. Si lascia essiccare per alcuni minuti e, dopo una rapida
fissazione in citofix o altro blando fissativo, si colorano con eosina-
ematossilina oppure con il metodo di Pappenheim.

Metodo panottico di Pappenheim

Sul vetrino con lo striscio si applicano poche gocce di liquido colorante


(May-Grunwald), si lascia agire per alcuni minuti, si fa un breve lavaggio
in acqua distillata e si contrasta con il colorante di Giemsa, controllando
al microscopio il grado di colorazione fino a giudicarlo sufficiente. I
nuclei si coloreranno in rosso violaceo, i citoplasmi basofili in blu, quelli
acidofili in rosso. I granuli neutrofili in marrone pallido, quelli eosinofili in
rosa e quelli basofili in blu intenso.

Cromosomi per schiacciamento

Dopo somministrazione di colchina, il frammento di tessuto viene lavato


in acqua distillata, fissato per 30 min. in acido acetico 50% e vengono
schiacciati tra un vetrino portaoggetto e uno coprioggetto. Dopo un

Figura 1.27 Cromosomi


umani di femmina. May
Grumwald-Giemsa 400x

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altro lavaggio in acqua distillata si possono colorare con Em-Eo o May
Grumwald-Giemsa (Figura 1.27).

Colorazione per perfusione

Si inietta in un grosso vaso dell’animale una soluzione molto diluita di


colorante vitale (di solito si usano Blu di metile o Rosso vitale diluiti
1:10000 o 1:15000). Il colorante vitale isotonico a 37°C viene iniettato
per circa 5-10 min, ad intervalli di tempo costanti. Si preleva l’organo
prescelto, si lascia all’aria per 10 min e poi si fissa in molibdato
ammonico al 10%. Infine si disidrata velocemente e si include in
paraffina molto morbida (Figura 1.28).

Figura 1.28 Fegato di


topo dopo iniezione
intravenosa di colorante
vitale. Si noti la sottile
trama dei capillari
sinusoidi(colorati in
rosso) che confluiscono
nelle vene centrolobulari.
Iniezione vitale 63x

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Colorazioni istochimiche

Le colorazioni istochimiche danno informazioni, più che sull’aspetto


morfologico del preparato, sul contenuto e sulla natura delle sostanze
chimiche contenute nei tessuti biologici esaminati. Si eseguono quindi
una o più reazioni chimiche, stechiometricamente esatte e specifiche,
che mettono in evidenza un determinato gruppo funzionale o un
particolare ione, presenti nei vari tessuti e nelle cellule che li
compongono. Si eseguono solitamente “batterie di reazioni” in modo da
avere, oltre al dato morfologico, più risposte che, alla fine, dovranno
essere univoche e incontrovertibili. I precipitati colorati così ottenuti
saranno evidenti al microscopio ottico o, nel caso si tratti di fluorocromi,
al microscopio a fluorescenza.

McManus-Hotchiss (PAS reazione)

Questa è una reazione specifica per la rilevazione delle mucine neutre in


tessuti come gli epiteli secernenti, le ghiandole endocrine, il sistema
nervoso. Viene impiegato un ossidante, in questo caso l’acido periodico,
che attacca selettivamente il gruppo funzionale amminico primario o
quello -OH, provocando la liberazione di un gruppo aldeidico rivelato poi
dal reattivo di Shiff (rosso porpora). Si esegue normalmente in
associazione all’Alcian blu (Figura 1.29).

Alcian blu

E’ una reazione importante per evidenziare, qualitativamente e


quantitativamente, sia le mucine acide solforate, che i glicosaminoglicani
(GAG) contenenti gruppi carbossilici. Di solito si esegue in
contemporanea alla PAS reazione, per avere un quadro completo delle
mucine presenti nel preparato, sia acide (Alcian, precipitato blu intenso),
sia neutre (PAS, rosso). Se la reazione avviene in ambiente fortemente
acido (pH 1) si mettono in evidenza solo i mucopolisaccaridi solforati, se

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Figura 1.29 Orecchio
interno di embrione
umano. Ossificazione
indiretta. Il tessuto osseo
è colorato in magenta per
la forte presenza, come
in tutti i connettivi, di
glicosaminoglicani neutri,
la cartilagine, anche se in
degenerazione, è invece
colorata in blu per il forte
contenuto di
glicosaminoglicani acidi.
Alcian-Pas 100x

avviene in ambiente mediamente acido (pH 3) anche quelli carbossilici


(Figura 1.30).

Reazione di Feulgen

E’ una reazione istochimica che mette in evidenza il DNA con un colore


magenta. L’idrolisi, in stufa a 60°C, avviene con HCl 1N e la sua durata
varia a seconda del fissativo precedentemente usato, dal tipo di tessuto
e dalla specie animale. Questo è, infatti, il punto critico della reazione
perchè con l’idrolisi a caldo si verifica la separazione delle basi
puriniche, con conseguente formazione di gruppi aldeidici, colorati con il
reattivo di Shiff in magenta. Se l’idrolisi, però, viene prolungata vengono
allontanati anche gli istoni e gli acidi apurinici aumentando così la
reazione nel liquido di idrolisi e facendo apparire i cromosomi sempre
meno colorati. Questa reazione è altamente specifica perchè non si
conosce nessun’altra sostanza cellulare, in queste condizioni, capace di
formare un composto colorato con il reattivo di Shiff (Figura 1.31).

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Figura 1.30
Ossificazione indiretta in
un embrione umano. La
cartilagine è colorata in
blu intenso per la
presenza di
glucosamminoglicani
(GAG). Alcian blu 63x

Figura 1.31 Fegato di


topo. Reazione di
Feulgen per lo
smascheramento del
DNA. Feulgen 100x

Reazione di Hillarp

La reazione di Hillarp per le cellule cromaffini è una reazione specifica


per le catecolamine che sono presenti, per esempio, nelle cellule della

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midollare del surrene che secernono adrenalina e noradrenalina. Queste
sostanze hanno, infatti, la proprietà di essere facilmente ossidate dal
bicromato formando un pigmento insolubile bruno-marrone (Figura
1.32).

Figura 1.32 Surrene


umano. Le cellule
cromaffini della midollare
del surrene sono colorate
in marrone. Hillarp 100x

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Colorazioni immunoistochimiche

L’immunoistochimica è un metodo complesso e altamente specifico


per la rilevazione di determinati antigeni presenti nel tessuto o nelle
cellule da esaminare. Su una sezione di tessuto o su cellule
opportunamente preparate, si pone l’anticorpo specifico per
l’antigene che stiamo cercando. Avremo, in questo modo, una
reazione immunitaria antigene-anticorpo che sarà successivamente
rivelata da un anticorpo secondario coniugato ad un enzima
catalizzatore (ad es. perossidasi) che reagisce con un substrato
(cromogeno, ad es. DAB, FAST RED-TR) formando un prodotto
colorato visibile al microscopio ottico (Figure 1.33 e 1.34).

Figura 1.33 Cornea di


topo. Reazione
immunoistochimica HPR-
Streptavidina-Biotina
contro la E-Caderina che
si colora in marrone
intenso con il DAB. 200x

27
Figura 1.34 Fegato di
topo trasgenico
esprimente la proteina
GFP, che viene messa in
evidenza con questa
colorazione
immunoistochimica
mediante l’uso di un
anticorpo monoclonale
specifico per la GFP e
colorato dal DAB
(precipitato marrone).
Envision Dako 200x

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Colorazioni in immunofluorescenza

L’immunofluorescenza, come l’immunoistochimica, è un metodo


altamente specifico per la rilevazione di determinati antigeni presenti
nel tessuto o nelle cellule da esaminare. Su una sezione di tessuto o
su cellule opportunamente preparate, si pone l’anticorpo specifico
per l’antigene da analizzare. Otterremo così una reazione
immunitaria antigene-anticorpo. Si possono utilizzare sia anticorpi
direttamente coniugati a molecole fuorescenti (fluorocromi, ad es.
FITC, TRITC, PE, ecc.) ed in questo caso si parla di
immunofluorescenza diretta, oppure la reazione antigene anticorpo
viene evidenziata utilizzando un secondo anticorpo coniugato ad un
fluorocromo, specifico per il primo anticorpo, in questo caso si
parla di immunofluorescenza indiretta. Il campione così “colorato”

Figura 1.35 Cellule della


linea cellulare HeLa. In
questa immagine,
ottenuta con un
microscopio confocale, è
stata evidenziata, con un
anticorpo specifico, la
componente del
citoscheletro costituita
dalla proteina tubulina.
L'immagine è una
ricostruzione
tridimensionale ottenuta
utilizzando analisi di piani
seriali (dalla base
all'apice della cellula).
Cortesia di Silvia Bruno,
Dipartimento di Medicina
Sperimentale, Università
di Genova.

29
sarà poi analizzato mediante microscopio a fluorescenza o
microscopio confocale. Figura 1.36 Fibroblasti
umani coltivati in vitro.
L'immagine, ottenuta con
un microscopio
confocale, mostra la
distribuzione di una
proteina di
transmembrana (MHC di
classe I, in rosso) e di
una proteina di origine
virale presente nel
citoplasma (in verde).
Cortesia di Silvia Bruno,
Dipartimento di Medicina
Sperimentale, Università
di Genova.

Figura 1.37 Milza


umana. Follicolo linfoide
secondario. Sono stati
evidenziati i linfociti B
componenti il follicolo
che esprimono sulla
membrana plasmatica le
molecole IgG (in rosso),
IgM (in blu) e IgA (in
verde). Si noti la
presenza di alcuni piccoli
vasi. Cortesia di Silvia
Bruno, Dipartimento di
Medicina Sperimentale,
Università di Genova.

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Figura 1.38 Milza
umana. Follicolo linfoide
secondario. Sono stati
evidenziati i linfociti B
componenti il follicolo
che esprimono sulla
membrana plasmatica le
molecole CD27 (in rosso)
e IgD (in verde). In blu
(colorante fluorescente
DAPI) sono evidenziati i
nuclei di tutte le cellule
componenti il follicolo.
Nel quadrante in basso a
destra abbiamo la
sovrapposizione dei
diversi colori: le cellule
che esprimono solo
CD27 sono state
evidenziate con la
colorazione virtuale rosa
(blu + rosso), quelle che
esprimono solo IgD in
azzurro (blu + verde). Se
ne deduce che in questo
follicolo non sono
presenti linfociti B che
esprimono sulla
membrana plasmatica sia
CD27 che IgD (che
sarebbero evidenziate in
bianco: blu + rosso +
verde). Cortesia di Silvia
Bruno, Dipartimento di
Medicina Sperimentale,
Università di Genova.

31
2
Tessuto epiteliale Epiteli monostratificati, epiteli
stratificati, epiteli ghiandolari, epiteli
particolarmente differenziati

Il tessuto epiteliale è formato da cellule strettamente unite tra loro da


giunzioni specializzate, in modo da assolvere alla principale funzione di
questo tessuto: creare una barriera con l’ambiente esterno. Oltre ad
assolvere il compito di protezione, gli epiteli svolgono funzione di
assorbimento, secrezione, trasporto, scambio di gas, scivolamento (di

32
due superfici) e sensoriale. Questo comporta un cambiamento della
morfologia del tessuto a seconda della diversa funzione.

Le cellule che formano l’epitelio poggiano su una lamina basale che


separa l’epitelio dal tessuto connettivo sottostante. Al di sotto della
lamina basale è presente una lamina reticolare di natura connettivale
composta da collagene di tipo III. Le due lamine sono ben evidenziabili
come un unica membrana basale mediante colorazione con acido
periodico-reagente di Schiff (colorazione PAS).

Epiteli di rivestimento

Un epitelio si può presentare come un unico strato di cellule unite le une


alle altre e che poggiano su di una lamina basale sottostante: in questo
caso si parla di tessuto epiteliale monostratificato o semplice. Oppure
l’epitelio si può presentare composto da due o più strati di cellule, il più
profondo dei quali poggia sulla lamina basale: in questo caso si parla di
tessuto epiteliale pluristratificato o composto.

Le cellule che compongono il tessuto epiteliale hanno la caratteristica di


essere polarizzate, cioè la superficie delle diverse facce della cellula
svolge funzioni differenti. In particolare, le cellule epiteliali presentano un
dominio apicale ed uno basolaterale.

Il dominio apicale è il dominio che determina le caratteristiche


dell’epitelio e può presentare specializzazioni atte a creare un flusso
sulla superficie dell’epitelio stesso (ciglia) oppure ad aumentare la
superficie del dominio apicale (microvilli e stereociglia).

Gli epiteli di rivestimento si classificano sulla base di:

๏ numero di strati cellulari

๏ forma delle cellule

๏ presenza di specializzazione sul dominio apicale.

Negli epiteli pluristratificati la classificazione viene effettuata valutando la


forma delle cellule degli strati più superficiali.

33
Sono epiteli monostratificati i seguenti epiteli:

๏ epitelio pavimentoso semplice,

๏ epitelio cubico semplice,

๏ epitelio cilindrico semplice,

๏ epitelio pseudostratificato.

Sono epiteli pluristratificati i seguenti epiteli:

๏ epitelio pavimentoso stratificato,

๏ epitelio cubico stratificato,

๏ epitelio cilindrico stratificato,

๏ epitelio di transizione.

Epitelio ghiandolare

Il tessuto epiteliale con funzione secernente forma il tessuto epiteliale


ghiandolare.

Epiteli particolarmente differenziati

Sono epiteli che si sono particolarmente differenziati per rispondere a


funzioni specifiche e particolari.

34
Epiteli monostratificati

Epitelio pavimentoso semplice

È formato da un singolo strato di cellule più larghe che alte, con un


nucleo fortemente appiattito e disposte a formare una sottile
pavimentazione. Sono esempi di epitelio pavimentoso semplice:
l’endotelio, epitelio che forma la tonaca intima dei vasi; il mesotelio che
forma le sierose (pericardio, pleure e peritoneo); la capsula di Bowman
del corpuscolo renale; l’epitelio che forma la parete degli alveoli
polmonari (Figure 2.1-2.7).

Figura 2.1 Polmone di


coniglio. Alveoli
polmonari tappezzati da
epitelio pavimentoso
semplice. Em-Eo 200x

35
Figura 2.2 Rene di topo.
Epitelio pavimentoso
semplice della capsula di
Bowman nel corpuscolo
renale. Em-Eo 100x

Figura 2.3 Rene di


coniglio. Sezione
trasversale. Nella parte
centrale superiore
dell'immagine si può
osservare l'epitelio
pavimentoso semplice
che tappezza le pareti del
tratto discendente sottile
delle anse di Henle.
Azan-Mallory 100x

36
Figura 2.4 Rene di
coniglio. Sezione
longitudinale. E' evidente
l'epitelio pavimentoso
semplice che tappezza le
pareti del tratto
discendente sottile
dell'ansa di Henle. Em-
Eo 100x

Figura 2.5 Cornea di feto


umano. La faccia
posteriore della cornea è
rivestita da un sottile
epitelio pavimentoso
semplice che prende il
nome di endotelio
corneale. Il cristallino è
rivestito da un epitelio
cubico semplice. Em-Eo
100x

37
Figura 2.6 Rete testis
umana. L'epitelio
pavimentoso semplice
tappezza i canalicoli della
rete testis. Em-Eo 200x

Epitelio cubico o isoprismatico semplice

È formato da uno strato di cellule generalmente tanto alte quanto larghe


che presentano un nucleo sempre rotondo e disposto centralmente
rispetto alla cellula. In condizioni di attivazione le cellule di questo
epitelio possono assumere una forma più allungata ma sono distinguibili
dall’epitelio cilindrico semplice perchè presentano sempre un nucleo
rotondo e disposto centralmente. Questo epitelio ha funzione di
contenimento: di solito riveste i dotti escretori delle ghiandole esocrine,
alcuni tratti dei tubuli renali, i follicoli tiroidei. (Figure 2.7-2.11)

38
Figura 2.7 Sezione
semifine di rene di topo.
Epitelio cubico semplice
dei tubuli renali. Si
notano tubuli contorti
prossimali (frecce)
distinguibili per la
presenza di microvilli nel
dominio apicale delle
cellule. Em-Eo 200x

Figura 2.8 Ghiandola


tiroide umana. Epitelio
cubico o isoprismatico
semplice che concorre
alla formazione della
parete dei follicoli della
tiroide. Em-Eo 100x

39
Figura 2.9 Ghiandola
tiroide umana. Epitelio
cubico semplice a
maggiore ingrandimento.
Em-Eo 200x

Figura 2.10 Rene


umano. Tubuli renali
tappezzati da epitelio
cubico o isoprismatico
semplice. Em-Eo 100x

40
Figura 2.11 Ghiandola
parotide umana. Forte
ingrandimento di dotto
escretore tappezzato da
epitelio cubico o
isoprismatico semplice.
Notare anche i due
piccoli vasi sanguigni la
cui parete è formata
internamente da uno
strato di cellule
fortemente appiattite che
formano l'endotelio dei
vasi. Em-Eo 400x

Epitelio cilindrico o batiprismatico semplice

È formato da cellule molto più alte che larghe disposte a formare una
palizzata e che hanno un nucleo ovale posto nel primo terzo della
cellula, nella parte più vicina alla lamina basale. Questo tipo di epitelio è
molto diffuso, ha molteplici funzioni e per questo può avere diverse
specializzazioni sulla sua superficie. Nel canale intestinale, per esempio,
l’epitelio cilindrico semplice riveste la superficie luminale della tonaca
mucosa e le cellule che lo compongono presentano sulla faccia apicale
numerosi microvilli, cioè espansioni digitiformi della membrana
citoplasmatica, atti ad aumentare la superficie di assorbimento e a
facilitare gli scambi di sostanze. Nella salpinge l’epitelio cilindrico
semplice è ciliato perchè la sua funzione non è più di scambio, ma quella
di creare correnti amorfe atte a favorire la discesa dell’oocita verso

41
l’utero e, nello stesso tempo, ad ostacolare la risalita degli spermatozooi
lungo l’ovidotto. L’epitelio cilindrico semplice lo ritroviamo, senza
specializzazioni, anche a rivestire dotti escretori, tratti dei bronchi, tratti
del tubulo renale. (Figure 2.12-2-18)

Figura 2.12 Colon di


ratto. Parete intestinale in
cui si evidenzia una
mucosa sollevata in
pliche e tappezzata da un
epitelio cilindrico o
batiprismatico semplice.
Le cellule che lo
compongono sono molto
alte ed il nucleo, posto
alla base della cellula, è
molto allungato. Azan-
Mallory 100x

42
Figura 2.13 Colon di
ratto. Forte
ingrandimento di epitelio
cilindrico semplice in cui
si notano l'orletto striato,
colorato in azzurro e
posto all'apice delle
cellule cilindriche, e
numerose cellule
caliciformi mucipare.
Inoltre, è ben evidente la
membrana basale. Azan-
Mallory 400x

Figura 2.14 Cistifellea


umana. Epitelio cilindrico
o batiprismatico semplice
con microvilli. La tonaca
mucosa è sollevata in
pliche perchè la colecisti
è parzialmente svuotata.
Azan Mallory 100x

43
Figura 2.15 Giunzione
stomaco-esofagea di
coniglio. Notare il
passaggio fra l'epitelio
pavimentoso
pluristratificato
dell'esofago e l'epitelio
cilindrico semplice dello
stomaco. Tricromica di
Mallory 63x

Figura 2.16 Ileo umano.


Sezione trasversale di
villi intestinali in cui, oltre
all'epitelio cilindrico
semplice, si apprezza la
specializzazione apicale
dell'orletto striato
(frecce). Em-Eo 200x

44
Figura 2.17 Salpinge
umana. Le tube uterine
sono tappezzate da un
epitelio cilindrico
semplice ciliato. Em-Eo
100x

Figura 2.18 Salpinge


umana. Forte
ingrandimento in cui si
notano le ciglia presenti
all'apice dell'epitelio
cilindrico semplice.
L'ispessimento colorato
di rosa intenso alla base
delle ciglia è il sistema
specifico del loro
ancoraggio alla cellula,
derivante dall'insieme dei
singoli dispositivi detti
blefaroplasto o
corpuscolo basale. Em-
Eo 400x

45
Epitelio pseudostratificato (o pluriseriato)

è un epitelio in cui tutte le cellule sono in contatto con la lamina basale,


ma solo alcune raggiungono la superficie. Nei preparati i nuclei risultano
su piani differenti ma sfalsati, mai sovrapposti. Le cellule costituenti
questo epitelio hanno una forma decisamente variabile. Esse presentano
un rigonfiamento citoplasmatico in cui è alloggiato il nucleo: in alcune
cellule questo rigonfiamento si trova verso la base in altre verso l’apice.
Questa organizzazione dà l’impressione, al microscopio ottico, di un
epitelio pluristratificato, senza peraltro esserlo (da qui il nome di epitelio
pseudostratificato o pluriseriato).

Sono presenti due tipi di epitelio pseudostratificato:

๏ l’epitelio pseudostratificato ciliato,

๏ l’epitelio pseudostratificato con stereociglia.

L’epitelio pseudostratificato ciliato ha la funzione di purificare l’aria


inspirata da pulviscolo e patogeni atmosferici. Le cellule mucipare
caliciformi secernono muco che ha la funzione di intrappolare le
impurità, il muco viene poi diffuso uniformemente e spostato dalle alte
cellule ciliate, come accade per esempio nella trachea dove il muco è
spostato dalle cellule ciliate dal basso verso l’alto (ascensore muco-
ciliare). Questo epitelio si trova nella maggior parte delle vie respiratorie,
nella tuba di Eustachio, in parte della cavità timpanica e del sacco
lacrimale. (Figure 2.19-2.20)

46
Figura 2.19 Trachea
umana. Epitelio
pseudostratificato ciliato.
Em-Eo 100x

Figura 2.20 Fossette


nasali di embrione
umano. Epitelio
pseudostratificato ciliato.
Em-Eo 200x

47
L’epitelio pseudostratificato con stereociglia è presente
nell’epididimo. Sulla superficie delle cellule che compongono questo
epitelio sono presenti dei prolungamenti a ciuffo, le stereociglia, che
hanno la funzione di raccogliere e nutrire gli spermatozoi dispersi nel
lume dell’epididimo. (Figure 2.21-2.23)

Figura 2.21 Epididimo di


coniglio. Epitelio
pseudostratificato con
stereociglia. A forte
ingrandimento si possono
apprezzare i lunghi
filamenti citoplasmatici
che sormontano le cellule
pluriseriate e il sottile
strato di cellule appiattite,
o al massimo cubiche,
poste a ridosso della
membrana basale, dette
cellule di rimpiazzo. Azan
Mallory 200x

48
Figura 2.22 Epididimo
umano. Epitelio
pseudostratificato o
pluriseriato con
stereociglia. Notare la
presenza delle cellule di
rimpiazzo, appoggiate
alla membrana basale,
indicate dalle frecce. Em-
Eo 200x

Figura 2.23 Epididimo di


topo. Membrana basale
su cui appoggia l'epitelio
pseudostratificato con
stereociglia dei tubuli
dell'epididimo.

49
Epiteli stratificati

Epitelio pavimentoso pluristratificato

È composto da numerosi strati sovrapposti di cellule che si presentano


appiattite verso il margine libero del tessuto. Ha funzione di protezione e
di barriera nei riguardi di aggressioni esterne. Può essere cheratinizzato
o non cheratinizzato (l’epitelio pavimentoso pluristratificato non
cheratinizzato è in realtà parzialmente cheratinizzato). (Figure 2.24-2.30)

Figura 2.24 Esofago di


topo. Epitelio
pavimentoso stratificato.
Si notino i vari strati di
cellule epiteliali che sono,
nello strato più profondo,
cubiche e mano a mano
che si procede verso
l'alto, sempre più
appiattite. Ignesti 100x

50
Figura 2.25 Transizione
ano-rettale umana.Tratto
dell'intestino crasso in cui
si ha il passaggio
(freccia) tra l'epitelio
cilindrico semplice del
retto (a destra) e quello
pavimentoso stratificato
dell'ano (a sinistra). Em-
Eo 63x

Figura 2.26 Cute


palmare di uomo. Epitelio
pavimentoso stratificato
fortemente
cheratinizzato. Le cellule
appiattite sono disposte
su più strati e sulla
superficie dell'epitelio
appare un abbondante
strato corneo. Em-Eo 63x

51
Figura 2.27 Epitelio
pavimentoso stratificato
cheratinizzato umano. Il
tessuto epiteliale si
addentra nel derma
grazie alle creste
epiteliali, da cui si
dipartono, in ordine: a.
strato germinativo,
formato da un singolo
strato di cellule cubiche o
cilindriche; b. strato
spinoso, cosi detto
perchè i numerosi strati
di cellule, cubiche o
appiattite, che lo
formano, presentano dei
prolungamenti
citoplasmatici simili a
spine; c. strato
granuloso, formato da
due o tre strati di cellule
appiattite con granuli di
cheratoialina ben
evidenti; d. strato lucido,
qualche volta può essere
assente, è formato da
cellule appiattite che,
avendo perso il nucleo,
appaiono incolori. e.
strato corneo, composto
da numerosi strati di
cellule molto appiattite,
prive di nucleo e
completamente
cheratinizzate.Em-Eo
100x

52
Figura 2.28 Epitelio
pavimentoso stratificato.
Forte ingrandimento degli
strati: spinoso, granuloso,
lucido. corneo. Si noti
che, con questo
ingrandimento, le
estroflessioni
citoplasmatiche dello
strato spinoso non sono
molto evidenti, per
evidenziarle sono
necessarie colorazioni
specifiche dei contorni
cellulari, come ad
esempio l'ematossilina
ferrica. Em-Eo 200x

Figura 2.29 Cute umana.


Sezione trasversale di
cute umana pigmentata.
Em-Eo 40x

53
Figura 2.30 Feto umano.
Epitelio pavimentoso
stratificato di una
porzione di naso.
Reazione
immunoistochimica con
un anticorpo
monoclonale che
riconosce l'antigene
CD156 espresso dalle
cellule dello strato
germinativo degli epiteli
pluristratificat che
vengono colorate in
marrone intenso. DAB-
Em 100x

Epitelio cubico o isoprismatico pluristratificato

È formato da due o più strati di cellule cubiche. L’epitelio cubico


stratificato è, nei mammiferi, molto raro e riveste solo qualche grosso
dotto escretore. (Figure 2.31-2.32)

54
Figura 2.31 Ghiandola
sottomandibolare umana,
dotto escretore. Il numero
degli strati cellulari è
sempre molto ridotto, due
o tre al massimo. Em-Eo
200x

Figura 2.32 Ghiandola


parotide umana. Dotto
escretore con epitelio
cubico pluristratificato.
Em-Eo 400x

55
Epitelio cilindrico o batiprismatico pluristratificato

È formato da due o più strati di cellule sovrapposte. Nello strato più


profondo, sono piccole, poliedriche e non raggiungono mai la superficie
dell’epitelio, mentre lo strato più superficiale è formato da cellule
cilindriche vere e proprie. Nei preparati i nuclei risultano sovrapposti.
Questo epitelio ha la funzione di proteggere e tappezzare grossi dotti o
superfici particolarmente irrorate ed è molto raro nei mammiferi: lo
troviamo solo in grossi dotti escretori, nell’uretra peniena, in un breve
tratto dell’epiglottide e sulla superficie interna della palpebra. (Figure
2.33-2.37)

Figura 2.33 Ghiandola


sottomandibolare umana.
Epitelio cilindrico o
batiprismatico
pluristratificato che
tappezza un grosso dotto
escretore. Em-Eo 200x

56
Figura 2.34 Uretra
peniena umana. Epitelio
cilindrico pluristratificato.
Lo strato più profondo
dell'epitelio è formato da
piccole cellule cubiche,
mentre lo strato
superficiale da cellule
cilindriche alte. Em-Eo
100x

Figura 2.35 Uretra


peniena umana. Forte
ingrandimento di epitelio
cilindrico pluristratificato.
Notare la disposizione a
strati delle cellule
epiteliali particolarmente
ben evidente grazie ad
un taglio favorevole (linea
tratteggiata). Em-Eo 400x

57
Figura 2.36 Laringe
umana. Uno dei rarissimi
casi in cui ritroviamo un
epitelio di rivestimento
cilindrico pluristratificato
ciliato. Em-Eo 200x

Figura 2.37 Palpebra


umana, congiuntiva a
forte ingrandimento.
Epitelio cilindrico
pluristratificato formato
da due-tre strati di cellule
batiprismatiche. In
superficie, colorate in
rosso intenso sono visibili
le cellule in via di
desquamazione. Azan-
Mallory 400x

58
Figura 2.37 Mammella
umana. Epitelio cilindrico
stratificato di un dotto
escretore di ghiandola
mammaria umana. Em-
Eo 250x

Epitelio di transizione (o polimorfo)

Ha una morfologia molto variabile perchè riveste organi, come la vescica


urinaria o l’uretere, soggetti a forte variazione di volume durante la loro
funzione. Questo epitelio è formato da tre tipi di cellule: nello strato più
profondo, a diretto contatto con la lamina basale, troviamo cellule di
forma cubica o cilindrica (strato basale o germinativo), subito al di sopra

59
vi sono alcuni strati di cellule allungate (dette clavate o piriformi), infine lo
strato più superficiale è costituito da cellule, qualche volta binucleate,
ortogonali rispetto alle clavate e con la superficie superiore convessa

Figura 2.38 Vescica


urinaria umana. Epitelio
polimorfo o di transizione
tipico delle vie urinarie
dei mammiferi. Questo
epitelio è caratterizzato
da tre strati di cellule
sovrapposti. Em-Eo 63x

dette cupoliformi o ombrelliformi. La possibilità delle cellule clavate di


deformarsi allungandosi su un piano orizzontale, rimanendo comunque

Figura 2.39 Vescica


urinaria umana a piccolo
ingrandimento. Epitelio di
transizione o polimorfo
delle vie urinarie. Em-Eo
40x

60
incastonate nelle ombrelliformi, permette a questo epitelio di aumentare
la sua superficie in concordanza con la dilatazione dell’organo che
riveste. (Figure 2.38-2.42)

Figura 2.40 Vescica


urinaria umana. Forte
ingrandimento
dell'epitelio di transizione
o polimorfo. Sulla
membrana basale poggia
uno strato di cellule
cubiche o cilindriche; a
questo strato si
sovrappongono parecchi
strati di cellule allungate,
dette clavate o piriformi;
lo strato più superficiale è
formato da grandi cellule
con la superficie libera
convessa, dette
ombelliformi o a cupola,
che occasionalmente
possono essere
binucleate. Em-Eo 200x

Figura 2.41 Uretere


umano. Epitelio di
transizione o polimorfo
tipico delle vie urinarie.
Em-Eo 63x

61
Figura 2.42 Uretere
umano. Epitelio di
transizione o polimorfo.
Sono ben distinguibili i
diversi strati di cellule e
sulla superficie libera due
cellule cupoliformi
binucleate (frecce). Em-
Eo 200x

62
Epiteli ghiandolari

Gli epiteli ghiandolari sono costituiti da cellule secernenti derivate da


lamine epiteliali.

In particolare, le ghiandole si formano in seguito ad una proliferazione di


cellule epiteliali che si approfondano nel tessuto connettivo sottostante a
formare strutture cellulari con funzione secernente.

Se la ghiandola conserva un qualsiasi rapporto con la superficie libera


mediante un dotto escretore, riversando quindi il prodotto di secrezione
sulla superficie dell’epitelio di origine, abbiamo una ghiandola esocrina.
Se invece il dotto scompare e il secreto viene immesso nel circolo
sanguigno abbiamo una ghiandola endocrina (il prodotto di queste
ghiandole viene detto genericamente ormone).

Non tutte le ghiandole sono di derivazione epiteliale, vi sono alcune


cellule secernenti di natura diversa come le cellule interstiziali delle
gonadi, le cellule della teca del follicolo ovarico, i neuroni che secernono
ormoni (cellule neuroendocrine).

La secrezione ghiandolare può essere di tipo continuo o discontinuo.

Si parla di secrezione continua quando il secreto viene espulso dalla


cellula man mano che viene prodotto. Ne sono esempi le cellule
endocrine che secernono ormoni steroidei e le cellule mucipare.

Nella secrezione discontinua o ritmica, invece, il prodotto di secrezione


viene accumulato all’interno della cellula sotto forma di granuli e solo
successivamente espulso in seguito a stimoli ormonali, nervosi o
chimici. Ne sono un tipico esempio le cellule del pancreas.

63
Ghiandole esocrine

Le ghiandole esocrine sono formate da una parte secernente detta


adenomero, e una parte che drenerà il secreto verso l’esterno, chiamata
dotto escretore.

Le ghiandole esocrine possono essere classificate secondo diversi


criteri.

a. In base al numero di cellule che compongono l’adenomero: avremo


così ghiandole unicellulari e ghiandole pluricellulari

b. In base al numero e alle ramificazioni dei dotti escretori. Se un singolo


adenomero è drenato da un unico dotto escretore abbiamo una
ghiandola semplice. Se invece più adenomeri sono drenati da un solo
dotto escretore abbiamo una ghiandola ramificata. Se i dotti escretori
drenanti sono più di uno e convergenti gli uni negli altri e quindi in un
dotto escretore comune abbiamo una ghiandola composta.

c. In base alla forma dell’adenomero. Se l’adenomero è allungato con un


lume abbastanza evidente abbiamo le ghiandole tubulari. Un caso
particolare di ghiandole tubulari sono le ghiandole tubulo-glomerulari
rappresentate unicamente dalle ghiandole sudoripare. Se
l’adenomero è rotondeggiante con un lume piccolo e quindi molto
poco evidente abbiamo una ghiandola acinosa. Se l’adenomero è
rotondeggiante, grande e con un lume ben evidente abbiamo una
ghiandola alveolare. Nel caso di ghiandole ramificate o composte
possiamo avere una combinazione di adenomeri tubulari con
adenomeri acinosi (ghiandole tubulo-acinose) o con adenomeri
alveolari (ghiandole tubulo-alveolari).

d. In base al tipo di secrezione:

(1) Secrezione merocrina: il rilascio del secreto avviene attraverso la


membrana citoplasmatica lasciando la cellula perfettamente
integra (esocitosi), ne sono esempi la parotide, il pancreas
esocrino, le ghiandole salivari.

64
(2) Secrezione apocrina: con il secreto si ha perdita di parte del
citoplasma, circondato da membrana plasmatica, che così diventa
parte integrante del prodotto di secrezione. Fanno parte di questo
gruppo la ghiandola mammaria (limitatamente al meccanismo di
secrezione dei lipidi), le ghiandole sudoripare a lume ampio.

(3) Secrezione olocrina: si ha quando il secreto viene espulso nel


dotto escretore mediante la disintegrazione della cellula stessa,
sono un esempio di questo tipo di secrezione le ghiandole
sebacee.

e. In base alla natura del secreto (solo per le ghiandole merocrine):


sierose (se il secreto è formato prevalentemente da proteine e
acqua), mucose (se il secreto è formato prevalentemente da
glicoproteine e acqua) e siero-mucose (miste).

f. In base alla loro collocazione topografica, quindi intraepiteliali ed


extraepiteliali (che a loro volta si dividono in parietali ed
extraparietali). (Figure 2.43-2.75)
Figura 2.43 Intestino
tenue umano. Epitelio
cilindrico semplice con
microvilli con
inframmezzate cellule
mucipare caliciformi
(frecce). Le cellule
mucipare caliciformi sono
ghiandole esocrine,
intraepiteliali, unicellulari;
secernono muco con la
funzione di lubrificare e
proteggere la superficie
luminale dell'organo
cavo. A causa dell'alto
contenuto di muco, che è
idrofobo, le cellule
caliciformi mucipare, con
colorazioni convenzionali,
appaiono incolori o
debolmente colorate.
Em-Eo 100x

65
Figura 2.44 Intestino
tenue umano. Forte
ingrandimento in cui si
apprezzano le cellule
caliciformi inframmezzate
alle cellule epiteliali con
abbondante contenuto
intracellulare di muco
denso incolore. Em-Eo
200x

Figura 2.45 Colon di


ratto. Epitelio intestinale
cilindrico semplice con
microvilli e cellule
mucipare caliciformi
colorate con Alcian blu.
Questa è una colorazione
istochimica elettiva per i
mucopolisaccaridi acidi,
che vengono colorati in
blu intenso. Alcian blu-
Em 100x

66
Figura 2.46 Colon di
ratto. Forte
ingrandimento
dell'epitelio di
rivestimento dell'intestino
crasso con
inframmezzate cellule
mucipare caliciformi
(colorate in blu intenso).
Alcian Blu- Em 200x

Figura 2.47 Colon di


ratto. Cellule mucipare
caliciformi colorate con
Alcian Blu. Notare la
notevole quantità di
secreto prodotto dalle
ghiandole mucipare e
riversato nel canale
intestinale. Alcian Blu
200x

67
Figura 2.48 Intestino
tenue di ratto. Sezione
trasversale di villi
intestinali in cui si notano
numerose cellule
mucipare caliciformi.
Alcian blu- Em 100x

Figura 2.49 Vescichette


seminali umane. Lamina
epiteliale secernente. E'
la forma più semplice di
ghiandola esocrina
pluricellulare in cui tutto
l'epitelio di rivestimento è
formato da cellule
secernenti. Ne fanno
parte anche la mucosa
gastrica e l'endometrio
uterino. Em-Eo 100x

68
Figura 2.50 Endometrio
di utero umano in fase
proliferativa. Altro
esempio di lamina
epiteliale secernente.
Em-Eo 63x

Figura 2.51 Cute umana.


Epitelio pavimentoso
pluristratificato della cute
in cui sono evidenti
follicoli piliferi, alla base
dei quali, vi sono delle
ghiandole sebacee in
sezione longitudinale. Le
ghiandole sebacee sono
ghiandole acinose
ramificate a secrezione
olocrina. Em-Eo 100x

69
Figura 2.52 Cute umana.
Sezione trasversale di
cuoio capelluto in cui si
notano i vari follicoli
piliferi circondati da
ghiandole sebacee. Em-
Eo 63x

Figura 2.53 Cute umana.


Sezione di cuoio
capelluto a più forte
ingrandimento. Nella
ghiandola sebacea si
possono notare due tipi
di cellule: ai margini della
ghiandola abbiamo delle
cellule leggermente
appiattite o cubiche (a),
che sono le cellule
staminali, al centro
abbiamo, invece, cellule
rotonde, più grandi e con
il citoplasma ricco di
goccioline lipidiche, che
sono le cellule sebacee
vere e proprie (b). Em-Eo
100x

70
Figura 2.54 Palpebra
umana. Ghiandole tarsali
o del Meibonio. Queste
sono ghiandole esocrine
a secrezione sebecea
che hanno la
caratteristica di essere
riunite a grappolo intorno
ad un unico dotto
escretore, di solito molto
allungato. Sboccano in
corrispondenza della
zona di transizione tra
cute e congiuntiva. Azan-
Mallory 63x.

Figura 2.55 Palpebra


umana. Ghiandola
esocrina sebacea
(ghiandole di Moll)
associata a un ciglio che
sfocia sul margine libero.
Azan Mallory 100x

71
Figura 2.56 Pancreas
umano. Componente
esocrina del pancreas.
Ghiandola acinosa
composta costituita da
acini pancreatici ad
attività esocrina
esclusivamente sierosa.
Le ghiandole acinose si
riconoscono dagli
adenomeri rotondi o
rotondeggianti con un
lume appena evidente. Si
definisce composta sia
per la notevole
aggregazione degli
adenomeri, che per la
presenza di numerosi
dotti escretori di varie
dimensioni. Il tipo di
secrezione sierosa della
ghiandola viene
evidenziato
istologicamente
dall'intensa colorazione
del citoplasma delle
cellule secernenti dovuta
alla presenza di un
reticolo endoplasmatico
rugoso molto sviluppato,
ricco di ribosomi e quindi
molto affine all'emallume
usato come colorante
acidofilo. Em-Eo 100x

Figura 2.57 Pancreas umano. Forte ingrandimento di adenomeri


di ghiandola esocrina, acinosa composta a secrezione sierosa. Si
notino il nucleo rotondo delle cellule secerneti, il lume appena
evidente e l'intensa colorazione del citoplasma. Em.Eo 200x

72
Figura 2.58 Ghiandola
parotide umana.
Ghiandola esocrina
acinosa, composta a
secrezione sierosa. Si
noti la differenza
morfologica tra i dotti
escretori (a), dotati di un
epitelio ben differenziato
cubico o cilindrico e un
lume ben evidente, e gli
adenomeri (b) composti
da cellule secernenti più
colorate, con un
citoplasma in cui sono
ben visibili granuli di
secreto. Gli adenomeri
presentano un lume (c)
molto piccolo e poco
evidente. Em- Eo 200x

Figura 2.59 Colon di


ratto. Ghiandole
intestinali o cripte del
Lieberkuhn: ghiandole
esocrine tubulari
semplici. Queste
ghiandole formano un
tubulo di diversa
lunghezza che sbocca
sulla superficie libera (la
freccia indica il lume del
tubulo ghiandolare e la
direzione del secreto). In
questo modo il secreto
viene immesso
direttamente all'esterno
(lume intestinale). Azan
Mallory 100x

73
Figura 2.60 Colon di
ratto. Ghiandole
intestinali o cripte del
Lieberkuhn a forte
ingrandimento: sono
ghiandole tubulari
semplici che sfociano
sulla superficie libera del
lume intestinale. L'epitelio
è cilindrico semplice con
orletto striato con
inframezzate numerose
cellule mucipare
caliciformi. Azan Mallory
200x

Figura 2.61 Colon di


topo. Le ghiandole
intestinali o cripte di
Lieberkuhn sono tagliate
in sezione trasversale. Si
possono notare i tubuli
secernenti delle cripte di
Lieberkuhn. Questa
colorazione istochimica
mette in evidenza il
secreto acido delle
cellule mucipare
caliciformi (azzurro
intenso). Alcian Blu- Em
200x

74
Figura 2.62 Cute umana.
Ghiandola sudoripara
eccrina. Ghiandola
esocrina tubulo
glomerulare semplice.
Em-Eo 40x

Figura 2.63 Cute umana.


Ghiandola sudoripara
eccrina: ghiandole tubulo
glomerulari semplici. In
questa immagine si nota
come lo stesso tubulo
secernente sia avvolto su
sè stesso a formare un
gomitolo. Em-Eo 100x

75
Figura 2.64 Cute umana.
Ghiandola sudoripara
apocrina: ghiandola
tubulo glomerulare
ramificata a lume ampio.
A forte ingrandimento si
nota come, nonostante il
lume ghiandolare sia
molto ampio, il tubulo
ramificato si avvolga più
volte su se stesso. Em-
Eo 100x

Figura 2.65 Duodeno


umano. Ghiandole del
Brunner: sono ghiandole
esocrine localizzate nella
tonaca sottomucosa del
duodeno; sono ghiandole
tubulari ramificate a
secrezione mucosa
alcalina. Em-Eo 100x

76
Figura 2.66 Duodeno
umano. Ghiandole del
Brunner a forte
ingrandimento. Si noti
come il lume delle
ghiandole sia ben visibile,
caratteristica tipica delle
ghiandole tubulari, che le
rende distinguibili anche
in sezione trasversale
dalle ghiandole acinose.
Il citoplasma degli
adenomeri ghiandolari è
molto chiaro. Altra
caratteristica che rende
inconfondibile le
ghiandole a secrezione
mucosa è quella di
essere composte da
cellule con nucleo
fortemente schiacciato
alla base, conseguenza
dell'accumulo dei granuli
di secreto nel citoplasma.
Em-Eo 200x

Figura 2.67 Ghiandola


sottolinguale umana.
Ghiandole esocrine
tubulari composte a
secrezione mucosa.
Ignesti 63x

77
Figura 2.68 Ghiandola
sottolinguale umana a più
forte ingrandimento. Si
notino gli adenomeri
allungati e dotati di un
lume ben visibile per il
rilascio del secreto. Le
cellule presentano un
nucleo allungato e
fortemente schiacciato
alla base e un citoplasma
incolore. Ignesti 100x

Figura 2.69 Palato molle


umano. Colorazione
istochimica per mettere in
evidenza il secreto
mucoso acido colorato in
blu intenso. Alcian blu-
Em 63x

78
Figura 2.70 Ghiandola
sottomandibolare umana.
Ghiandola esocrina
tubulo acinosa composta
a secrezione mista (sia
sierosa che mucosa).
Em-Eo 63x

Figura 2.71 Ghiandola


sottomandibolare umana
a più forte ingrandimento.
Gli adenomeri tubulari
mucosi sono allungati,
chiari e con un lume ben
visibile; gli adenomeri
acinosi sierosi sono
tondeggianti e
presentano un
citoplasma molto
colorato, un nucleo
centrale e un lume poco
visibile. Sono posti nella
parte superiore, a
formare come a cappello
sugli adenomeri mucosi:
queste formazioni
vengono denominate
semilune del Giannuzzi.
Em-Eo 200x

79
Figura 2.72 Prostata
umana. Ghiandola tubulo
alveolare composta. A
piccolo ingrandimento si
notano le caratteristiche
peculiari di questo tipo di
ghiandole: adenomeri più
o meno allungati e lumi
ghiandolari
estremamente evidenti.
La prostata si distingue
dall'altra ghiandola tubulo
alveolare, la ghiandola
mammaria, innanzi tutto
per la forte componente
muscolare che circonda
gli adenomeri e per la
presenza di formazioni
circolari di sali di calcio
inorganici che sono
sempre presenti nei lumi
ghiandolari, anche se
molto variabili in forma e
numero (frecce). Em-Eo
63x

Figura 2.73 Prostata


umana. Piccolo
ingrandimento che mette
in evidenza la forte
componente muscolare
liscia che circonda gli
adenomeri ghiandolari
della prostata. Em-Eo
100x

80
Figura 2.74 Ghiandola
mammaria umana in
lattazione. Ghiandola
tubulo alveolare
composta in piena
attività: nei numerosi dotti
escretori si nota il secreto
prodotto dalla ghiandola
(latte, frecce). A
differenza della prostata ,
la componente
muscolare è
scarsamente
rappresentata e gli alveoli
sono più fittamente stipati
all'interno del tessuto
ghiandolare. Em-Eo 63x

Figura 2.75 Ghiandola


mammaria umana attiva
a più forte ingrandimento.
Ghiandola tubulo
alveolare composta. Em-
Eo 200x

81
Ghiandole endocrine

Queste ghiandole producono molecole, definite genericamente ormoni,


che sono dirette contro organi specifici, detti bersaglio, al fine di
regolarne l’attività. Gli ormoni possono essere di origine aminoacidica o
steroidea.

Vi sono ghiandole endocrine pure, cioè formate esclusivamente da


tessuto ghiandolare endocrino, e ghiandole di tipo anficrino, cioè
composte da tessuto ghiandolare sia endocrino che esocrino (tipico
esempio è il pancreas, il cui parenchima, nella maggior parte a
secrezione esocrina, presenta degli agglomerati di cellule ad attività
endocrina, gli isolotti pancreatici o di Langherans).

Le ghiandole endocrine si classificano in:

a. ghiandole endocrine a cordoni epiteliali solidi: le cellule secernenti


formano dei cordoni cellulari diversamente disposti nello spazio. Ne
fanno parte la maggior parte delle ghiandole endocrine: ipofisi,
paratiroidi, surreni, epifisi, placenta, corpo luteo;

b. ghiandole endocrine a follicoli chiusi: la parte secernente è formata


da follicoli che contengono al loro interno il precursore degli ormoni
tiroidei (tireoglobulina), unico esempio è la tiroide;

c. ghiandola endocrina a isolotti: gli isolotti di Langherans del


Pancreas;

d. ghiandola endocrina interstiziale: si trova negli spazi interstiziali tra i


tubuli seminiferi del testicolo, a gruppi di sei-otto o più cellule poste a
circondare un capillare, in cui immettono il secreto (testosterone) e
nell’ovaio.

(Figure 2.76-2.97)

82
Figura 2.76 Pancreas
umano, isolotto del
Langherans. La parte
endocrina del pancreas è
organizzata in cordoni
epiteliali solidi raccolti a
gomitolo a formare un
isolotto ad attività
endocrina immerso in
tessuto esocrino formato
da acini pancreatici. Em-
Eo 100x

Figura 2.77 Pancreas di


topo, isolotto del
Langherans. Ghiandola
endocrina a isolotti.
Ignesti 100x

83
Figura 2.78 Tiroide
umana. Ghiandola
endocrina a follicoli
chiusi. I follicoli sono
tappezzati da un epitelio
cubico semplice (tireociti)
e ripieni di sostanza
colloide. La tiroide è
l'unico esempio di
ghiandola endocrina a
follicoli chiusi. Em-Eo
100x

Figura 2.79 Testicolo di


topo. Negli spazi tra i vari
tubuli seminiferi contorti
del testicolo sono
contenuti tessuto
connettivo, vasi e cellule
endocrine dette cellule
interstiziali o del Leydig.
Queste cellule interstiziali
producono l'ormone
testosterone,
responsabile dei caratteri
sessuali secondari del
maschio. Al centro
dell'immagine si vede
uno spazio interstiziale
con un capillare
sanguifero circondato da
un gruppo di 5-6 cellule
grandi, globose e ben
colorate: le cellule del
Leydig. Ematossilina
ferrica 100x

84
Figura 2.80 Testicolo
umano. Cellule del
Leyding (area
tratteggiata) fra tre tubuli
contorti e vicino ad un
capillare sanguigno
(freccia), per potervi
immettere facilmente il
testosterone. Em-Eo
200x

Figura 2.81 Ipofisi di feto


umano. L'Ipofisi è una
ghiandola endocrina che
secerne un grande
numero di ormoni. In
questa immagine è
alloggiata nel suo alveo
naturale, ossia la sella
turcica, depressione
dell'osso sfenoide, alla
base del cranio. Golgi-
Cox 63x

85
Figura 2.82 Ipofisi
umana. In questa
immagine si riconoscono
le due parti che
compongono l'ipofisi: la
neuroipofisi formata da
tessuto nervoso (a
sinistra), poco colorata, e
l'adenoipofisi formata da
tessuto epiteliale (a
destra), molto ben
colorata. A dividere la
neuropipofisi dalla
adenoipofisi abbiamo la
pars intermedia, poco
sviluppata nell'uomo.
Tricromica di Masson 63x

Figura 2.83 Ipofisi


anteriore (adenoipofisi)
umana. Nell' ipofisi
anteriore si distinguono
diversi tipi di cellule: le
cromofile, molto colorate,
e le cromofobe, poco
colorate. Le cromofile, a
loro volta, si dividono in
acidofile, colorate in
rosso arancio e con
citoplasma basico, e le
basofile, con citoplasma
acido e colorate in viola.
Tricromica di Masson
200x

86
Figura 2.84 Paratiroide
umana. Ghiandola
endocrina a cordoni
epiteliali solidi. Le
paratiroidi si riconoscono,
oltre che per i cordoni di
cellule endocrine, anche
per la forte presenza di
capillari sanguigni ed i
sottili sepimenti
connettivali. Em-Eo 63x

Figura 2.85 Paratiroide


umana. Ghiandola
endocrina a cordoni
epiteliali solidi. Le
paratiroidi si riconoscono,
oltre che per i cordoni di
cellule endocrine, anche
per la forte presenza di
capillari sanguigni ed i
sottili sepimenti
connettivali. Si notano i
capillari, colorati in rosso
arancio, molto diffusi
nello stroma ghiandolare.
Em-Eo 100x

87
Figura 2.86 Ghiandola
surrenale di coniglio. Le
ghiandole surrenali
presentano una zona
corticale rivestita da una
capsula connettivale e
una zona midollare più
interna. La corticale è
divisa in tre zone:
glomerulare, fascicolata e
reticolare. La midollare è
posta più internamente e
si riconosce perchè più
chiara e ricca di vasi. La
ghiandola surrenale è
una ghiandola endocrina
che secerne due tipologie
di ormoni: nella corticale
vengono prodotti ormoni
stereoidei
(mineralcorticoidi,
glucocorticoidi e
androgeni) e nella
midollare catecolamine
(adrenalina e
noradrenalina).
Tricromica di Mallory 63x

Figura 2.87 Ghiandola surrenale di coniglio. Ghiandola endocrina a cordoni epiteliali solidi. Al di sotto della
spessa capsula connettivale, colorata in blu-verde intenso, i cordoni epiteliali solidi, per un breve tratto, hanno
un decorso glomerulare, cioè si avvolgono su sè stessi come a formare un gomitolo; successivamente si
distendono e le cellule si impilano parallelamente le une vicine alle altre formando delle colonne ben evidenti:
questa è la zona fascicolata, molto più estesa di quella glomerulare.Tricromica di Mallory 100x

88
Figura 2.88 Ghiandola
surrenale di coniglio. Si
evidenziano parte della
zona reticolare e parte
della midollare. Nella
zona reticolare i cordoni
cellulari si dispongono
nello spazio a formare
una rete. Tricromica di
Mallory 100x

Figura 2.89 Ghiandola


surrenale di coniglio.
Midollare del surrene. La
parte centrale del surrene
(midollare) presenta
cellule più rade e
numerosi vasi immersi in
un'abbondante rete
connettivale. Tricromica
di Mallory 63x

89
Figura 2.90 Ghiandola
surrenale di uomo.
Midollare del surrene.
Anche la midollare è
organizzata in cordoni
cellulari. Con questa
colorazione istochimica
sono state messe in
evidenza le cellule
cromaffini, colorate in
marrone. Queste cellule
vengono dette cromaffini
per la capacità di far
precipitare i sali di cromo
grazie alla presenza di
catecolamine (adrenalina
e noradrenalina). IHc
100x

Figura 2.91 Epifisi o


ghiandola pituitaria
umana. Ghiandola
endocrina a cordoni
epiteliali solidi. Si notino i
cordoni di cellule
endocrine e, come
carattere distintivo,
formazioni di sali di calcio
presenti nello stroma che
diventano più numerose
con l'età (frecce). Em-Eo
63x

90
Figura 2.92 Ovaio di
topo. In questa immagine
sono presenti ghiandole
endocrine a cordoni
epiteliali solidi: i corpi
lutei. Em-Eo 63x

Figura 2.93 Ovario


umano: corpo luteo
gravidico. Il corpo luteo è
una ghiandola endocrina
a cordoni epiteliali solidi.
Le cellule luteiniche,
grandi, globose e di
aspetto uniforme, si
dispongono a formare
cordoni. Em-Eo 40x

91
Figura 2.94 Ovario
umano: corpo luteo
gravidico a più forte
ingrandimento. Si noti la
disposizione cordonale
delle cellule luteiniche.
Em-Eo 100x

Figura 2.95 Ovario di


topo. Visione d'insieme di
ovario di topo in cui si
notano follicoli a vari
stadi di maturazione e un
corpo luteo gravidico.
Em-Eo 40x

92
Figura 2.96 Ovario di
topo a più forte
ingrandimento. Si notino i
follicoli nei diversi stadi
maturativi e la teche
interna ed esterna che
circondano il follicolo.
Em-Eo 100x

Figura 2.97 Follicolo


ovarico umano a forte
ingrandimento. Si
distinguono bene le
ghiandole endocrine della
teca interna poste tra le
cellule della granulosa e
le cellule fibrose della
teca esterna. Em-Eo
200x

93
Epiteli particolarmente differenziati

Sono epiteli che si sono particolarmente differenziati per rispondere a


funzioni specifiche e particolari. Ne sono un esempio gli epiteli che
formano lo smalto dei denti, il cristallino, i peli e le unghie.

Lo smalto

Lo smalto è un tessuto di derivazione epiteliale, duro, fortemente


mineralizzato, posto sulla superficie della corona del dente e a cui dà
protezione e particolare resistenza. Esso è composto al 99% da cristalli
di idrossiapatite organizzati in cilindri di forma ondulata che attraversano
tutto lo spessore dello smalto e all’1% da proteine che sono frapposte

Figura 2.98 Abbozzo di


dente di feto umano.
Sezione longitudinale.
Azan-Mallory 100x

tra i cilindri di idrossiapatite. Nel suo sviluppo embrionale l’abbozzo del


dente si genera da un’invaginazione profonda del tessuto cutaneo ed è

94
Figura 2.99 Palato duro
di cane. Sezione
trasversale di palato in
cui si notano due denti
tagliati trasversalmente e
incastonati nella
mandibola in via di
ossificazione. Azan-
Mallory 40x

incastonato nella mandibola e nelle ossa mascellari, fra il tessuto osseo


neoformato e il tessuto mesenchimale. Le cellule epiteliali che

Figura 2.100 Dente di


cane. Sezione
trasversale a più forte
ingrandimente. Si noti lo
smalto. Azan-
Mallory100x

95
depositano lo smalto sono definite adamantoblasti (o ameloblasti): esse
hanno un nucleo allungato, posto alla base del corpo cellulare cilindrico,
un citoplasma ricco di vescicole di secreto, con reticolo endoplasmatico
e mitocondri molto sviluppati.

Il cristallino

Il cristallino ha origine da un’invaginazione dell’ectoderma, il calice


ottico. E’ un organo elastico trasparente di forma ovale e biconvesso

Figura 2.101 Cristallino


di topo a 2 giorni di vita.
Cristallino in via di
sviluppo in cui si notano
l'epitelio anteriore, cubico
semplice (freccia). Ignesti
40x

(con due poli e una parte più larga centrale detta equatore), non
vascolarizzato, posto tra la camera posteriore e l’umor vitreo dell’occhio.
Il cristallino ha la funzione di far convergere l’immagine sulla retina. Esso
è formato da una capsula esterna di tessuto connettivo elastico (capsula
del cristallino), da un epitelio cubico semplice (epitelio anteriore del
cristallino), e dalla sostanza del cristallino formata da fibre del cristallino
sia corticali che nucleari (poste centralmente), che rappresentano cellule
epiteliali altamente differenziate. Le fibre corticali del cristallino

96
contengono nuclei e organelli che invece vengono persi nelle fibre
nucleari.

Figura 2.102 Cristallino


di topo di 28 giorni.
Sezione che mostra
l'equatore di un
cristallino. Si noti la
continuità tra l'epitelio
anteriore (cubico
semplice) e le fibre
nucleate caratteristiche di
questa regione. Ignesti
100x

Figura 2.103 Cristallino


di topo di 42 giorni a forte
ingrandimento. Ignesti
200x

97
Figura 2.104 Cristallino
di topo. Reazione
immunoistochimica che
mette in evidenza con un
precipitato marrone l'E-
Caderina (frecce). Le
caderine sono proteine
transmembrana che
mediano l'adesione
cellulare in presenza di
ioni Ca (proteine Ca
dipendenti). Le caderine
sono le principali proteine
di adesione responsabili
del mantenimento
dell'organizzazione
bidimensionale delle
cellule che compongono
gli epiteli. Esistono
Le unghie
diversi tipi di caderine,
Le unghie sono specializzazioni di derivazione epiteliale atte alla l'E-Caderina è tipica degli
protezione del tessuto cutaneo che riveste le estremità degli arti. Sono epiteli. HRP Em 400x
composte da una porzione più dura, esterna, formata da lamelle

Figura 2.105 Unghia


umana. Sono presenti il
derma cutaneo a formare
papille che si addentrano
in un epitelio
pavimentoso stratificato
in cui risultano assenti lo
strato granuloso e lucido.
All'apice è presente il
corpo ungueale formato
da uno spesso strato di
lamelle corneificate. Em-
DAB 40x

98
concentriche di cellule epiteliali corneificate con nuclei degenerati, detta
“corpo dell’unghia”, e una parte più profonda, ricca di vasi sanguigni,
tappezzata da un epitelio pavimentoso stratificato privo dello strato
granuloso e di quello lucido, detto “letto ungueale”. Alla base del letto
ungueale abbiamo una zona semisferica più chiara, perchè ricca di
vescicole di aria, detta lunula e al cui margine riconosciamo quella parte
di epitelio germinativo che permette l’accrescimento dell’unghia e che
viene chiamato “matrice dell’unghia”.

I peli

I peli sono specializzazioni cutanee. Essi hanno una parte superficiale


libera, il fusto, e una parte più profonda, radicata nella cute detta radice
che, alla base, si allarga nel bulbo pilifero. Il fusto è formato da numerosi
strati di cellule epiteliali pavimentose corneificate, allungate e ricche di

Figura 2.106 Cuoio


capelluto umano.
Follicolo di un capello
tagliato
longitudinalmente. Em-
Eo 40x

99
Figura 2.107 Bulbo
pilifero umano a forte
ingrandimento. Em-Eo
100x

glicogeno disposte in tre strati concentrici (la midollare, la corticale e la


cuticola). Nella cuticola (la parte più esterna) le cellule tendono a perdere

Figura 2.108 Cuoio


capelluto umano. Pelo in
sezione longitudinale.
Em-Eo 100x

100
i nuclei e a disporsi le une sulle altre come le tegole di un tetto. A livello
del bulbo pilifero alloggiano le cellule che formano la matrice, cellule che
garantiscono l’accrescimento del pelo e che, differenziandosi, daranno
origine ai vari strati che lo formano.

101
3
Tessuto connettivo Tessuto connetivo mucoso, tessuto
connettivo propriamente detto,
tessuti connettivi altamente
specializzati

Con il termine tessuto connettivo si definisce un tipo di tessuto che


fornisce supporto strutturale e metabolico agli altri tessuti, per questo
motivo è stato proposto il termine di “tessuto di supporto”.

102
Il tessuto connettivo (e quindi tutte le sue diverse tipologie) deriva dal
mesenchima. Le cellule mesenchimali, di origine mesodermica, sono di
forma irregolare, generalmente allungate e presentano una sostanza
intercellulare amorfa, priva di fibre. Le cellule mesenchimali sono
pluripotenti, hanno cioè la capacità di differenziarsi in ciascuno dei
diversi tipi di cellule connettivali (fibroblasti, condroblasti, osteoblasti,
mastociti, adipociti, globuli bianchi e macrofagi), oltre che in fibrocellule
muscolari.

Il tessuto connettivo è formato da cellule e da abbondante matrice


extracellulare interposta tra di loro. La natura di questa matrice
extracellulare determina le caratteristiche dei diversi tipi di tessuto
connettivo: si va da una matrice extracellulare fluida (sangue e linfa) in
cui possono essere trasportati diversi tipi di cellule connettivali (eritrociti,
leucociti, ecc.), ad una matrice solida ma lassa che permette il
passaggio di vasi sanguigni e sostanze, fino ad una matrice
extracellulare calcificata (tessuto osseo) che permette di creare strutture
molto resistenti. Abbiamo quindi una varietà di tipologie di tessuto
connettivo che si distinguono sia per il tipo di cellule che le compongono
che per la natura della matrice extracellulare presente. Questa matrice
extracellulare, detta anche “sostanza intercellulare”, è formata da due
tipi di componenti: le fibre (formate da collagene ed altri tipi di proteine)
e la sostanza amorfa o fondamentale (formata da proteoglicani). La
natura, la morfologia e la consistenza delle fibre e della sostanza amorfa
varia notevolmente nelle varie tipologie di connettivo a seconda delle
funzioni proprie del tessuto, dell’età dell’individuo e delle caratteristiche
particolari della specie presa in esame.

La diversa organizzazione strutturale del tessuto connettivo riflette le sue


funzioni. Quando prevale la funzione trofica, di trasporto di sostanze utili
all’organismo e di difesa dalle aggressioni virali o batteriche, il connettivo
deve essere facilmente penetrabile e presenta quindi la struttura leggera,
ricca di vasi e dotti linfatici tipica del tessuto connettivo lasso. Se,
invece, la funzione del tessuto di supporto è quella di contenimento, di
sostegno o, come nella cute, di una vera e propria barriera, il tessuto
connettivo si presenta denso, molto compatto, con fasci di fibre
organizzate e orientate in maniera opportuna in modo da assolvere le
proprie funzioni, organizzazione tipica del tessuto connettivo denso.

103
Anche l’organizzazione e la natura delle fibre varia in base alla funzione
del tessuto connettivo preso in esame. Al di sotto di tutti gli epiteli, siano
essi semplici o stratificati, è presente un connettivo lasso ricco di fibre
reticolari che, oltre a formare una base di sostegno per le cellule,
permette ai capillari di raggiungere più facilmente l’epitelio. Se il tessuto
connettivo deve resistere a trazione o a distensione, come nei tendini, è
ricco di fibre collagene e di fibre elastiche disposte ordinatamente. Se il

connettivo deve essere resistente alla compressione o circondare un


grosso organo, la componente principale costituente le fibre connettivali
è il collagene.

Fibre collagene

Sono secrete dai fibroblasti e sono presenti nella maggior parte dei
tessuti connettivi. Sono formate da una famiglia di proteine secrete
come procollagene e poi processate a tropocollagene nell’ambiente
extracellulare, tropocollagene che si assembla a formare fibre che
variano molto per quantità e che possono apparire come sottili filamenti
o come spesse fibre fortemente intrecciate di spessore variabile (fino a a
10 µm). La lunghezza delle fibre collagene non è ben determinabile,
corrono in tutte le direzioni e, a seconda delle loro funzioni, sono

104
organizzate in fibre parallele, intrecciate o incrociate. Se non sono
distese appaiono con un andamento leggermente ondulato.

Le fibre collagene con l’Em-Eo assumono una colorazione rosata, con il


Mallory una colorazione azzurro-bluastra. Esistono colorazioni specifiche
per le fibre reticolari (collagene di tipo III) ed elastiche. L’intensità di
colorazione, in questo tipo di tessuto, è proporzionale al numero e allo
spessore delle fibre contenute per cui un tessuto connettivo denso
risulterà sempre più colorato di un tessuto connettivo lasso.

Fibre elastiche

Le fibre elastiche sono sintetizzate dai fibroblasti, dai condroblasti, dai


condrociti e dalle cellule muscolari liscie. Sono formate principalmente
dalla proteina elastina. In alcuni organi è molto importate che il tessuto
connettivo sia elastico. Le fibre elastiche presenti nel tessuto possono
scorrere, allungarsi o deformarsi a causa di sollecitazioni esterne, ma
hanno la proprietà di riportare l’organo o il tessuto in cui sono contenute
nella situazione originaria. Tessuto connettivo ricco di fibre elastiche si
trova, ad esempio, nell’epiglottide, nella vescica urinaria e nella tonaca
media delle arterie.

Nelle normali colorazioni topografiche, come l’Em-Eo o l’Azan Mallory, le


sottili fibre elastiche non sono facilmente distindiguibili dalle altre fibre
ma, in fase di riposo e non stirate, possono essere distinte per il loro

105
andamento marcatamente ondulato. Per uno studio accurato sulla
presenza di fibre elastiche si deve ricorrere a colorazioni elettive per
l’elastina, come la resorcin fucsina di Weigert che, su un fondo
praticamente incolore, fa spiccare l’elastina in viola-nero intenso.

Fibre reticolari

Queste fibre formano sia la trama connettivale (stroma) che sostiene il


parenchima delle grosse ghiandole, sia esocrine che endocrine, che i
sottili reticoli che circondano le cellule nervose, quelle adipose e le fibre
muscolari. Sono associate alle lamine basali degli epiteli e formano il
tessuto di sostegno degli organi linfatici ed emopoietici.

Con colorazioni convenzionali anche le fibre reticolari sono difficilmente


distinguibili dalle altre fibre del connettivo. Per questo motivo, si sfrutta
la capacità delle fibre reticolari, se trattate con soluzioni alcaline di sali
d’argento, di legare argento metallico. Vi sono molte colorazioni a base
di argento metallico specifiche per le fibre reticolari, una delle più usate è
il Bielschowsky.

Sostanza fondamentale

Le cellule e le fibre del tessuto connettivo sono immerse in un liquido


colloidale e vischioso amorfo denominato sostanza fondamentale o
sostanza intercellulare amorfa. La sostanza fondamentale è una rete
tridimensionale, più o meno fitta, formata da glicosaminoglicani (GAG),
glicoproteine e aggregati di proteoglicani che hanno la capacità di legare
acqua e di rendere così la matrice permeabile a sostanze metaboliche e
gas che dal sangue passano alle cellule dei tessuti e viceversa. La
matrice amorfa e i liquidi tissutali sono, perciò, strettamente associati e
svolgono la funzione trofica tipica, ad esempio, del connettivo lasso. La
sostanza amorfa adempie a molteplici funzioni: connette le diverse
strutture fibrose dando loro un orientamento appropriato; regola la
diffusione di sostanze metaboliche; provvede alla difesa dell’organismo
ostacolando la diffusione di sostanze nocive e patogeni. La sostanza
intercellulare dei tessuti connettivali, con l’età, subisce importanti
alterazioni a causa di fenomeni legati alla senescenza.

106
Durante le preparazioni istologiche questa sostanza si solubilizza ed è
quindi impossibile ritrovarla colorata nei preparati. Al criostato, tagliando
a circa -30°C e colorando con la PAS reazione o con coloranti basici, si
colora molto debolmente. Nella cartilagine e nel tessuto osseo, il ricco
contenuto di glicosaminoglicani (GAG) e la consistenza della matrice
amorfa permette una buona resistenza ai fissativi e ai solventi chimici,
per cui si avrà una buona colorazione con l’Alcian Blu, grazie alla
capacità di questo colorante di legare i condroitinsolfati (un tipo di GAG).
L’Ematossilina ferrica, come colorazione istologica, e l’Alcian-Pas, come
colorazione istochimica, sono le colorazioni che normalmente si usano
per dimostrare la sostanza fondamentale. L’Ematossilina ferrica mette in
evidenza, non selettivamente, la sostanza intercellulare presente tra le
cellule epiteliali o tra le fibre connettivali con una colorazione nera
intensa. L’Alcian-Pas è una doppia colorazione istochimica per i
glicosaminoglicani: l’Alcian mette in evidenza, con una colorazione blu
intensa, quelli acidi, mentre la Pas, con il reattivo di Schiff, mette in
evidenza quelli neutri colorandoli in rosso-rosa. La cartilagine ialina
matura è colorata molto intensamente dall’Alcian Blu per la presenza di
condroitinsolfato ed eparansolfato, entrambi molto acidi.

Il tessuto connettivo si divide in tre categorie principali:

๏ tessuto connettivo mucoso,

๏ tessuto connettivo propriamente detto,

๏ tessuti connettivi specializzati.

Nota: diversi testi possono riportare una classificazione del tessuto


connettivo differente, ad esempio in alcuni testi il tessuto adiposo può
essere classificato come tessuto connettivo propriamente detto.

107
Tessuto connettivo mucoso

Il tessuto connettivo mucoso (indicato in alcuni testi anche come


tessuto embrionale) è un tessuto connettivo povero di fibre che si
forma durante lo sviluppo embrionale e persisite nell’adulto
limitatamente alla polpa del dente e all’umor vitreo dell’occhio. E’
composto prevalentemente da una matrice extracellulare di natura
idrofilica che gli conferisce una consistenza gelatinosa. E’ presente
anche nel cordone ombelicale dove prende il nome di gelatina di
Wharton. (Figure 3.1-3.3)

Figura 3.1 Embrione di


topo. Lingua. Cellule del
tessuto mesenchimale
che iniziano a modificarsi
per formare le prime
cellule muscolari
(rabdomioblasti ). Em-Eo
100x

108
Figura 3.2 Embrione di
topo. Lingua a più forte
ingrandimento. Si notino
le differenze
morfologiche fra i
rabdomioblasti, piccole
cellule allungate con il
citoplasma molto colorato
precursori delle cellule
muscolari vere e proprie
e le cellule mesenchimali
non ancora differenziate
che sono rotondeggianti
e con citoplasma poco
colorato. Azan Mallory
200x

Figura 3.2 Funicolo ombelicale umano. Nel funicolo ombelicale è presente il tessuto connettivo mucoso
maturo o gelatina di Wharton. In questo tipo di tessuto connettivo le fibre sono immerse in abbondante
sostanza amorfa così da poter essere flessibili ed elastiche e permettere il passaggio di tutte quelle cellule atte
alla protezione dell'organismo. Le caratteristiche della sua struttura permettono una certa compressione e
deformazione dell'organo senza compromissione dell'afflusso sanguifero al feto e ne garantiscono il rapido
ritorno alla forma originaria. Azan Mallory 64x

109
Tessuto connettivo propriamente detto

Il tessuto connettivo propriamente detto si divide in:

๏ tessuto connettivo lasso (o areolare),

๏ tessuto connettivo reticolare,

๏ tessuto connettivo elastico,

๏ tessuto connettivo denso (o compatto).

Tessuto connettivo lasso

Il tessuto connettivo lasso è caratterizzato dalla presenza di numerose


cellule con tipologia variabile mentre la sostanza amorfa è povera di

Figura 3.4 Intestino


crasso umano: ceco.
Tessuto connettivo lasso.
In questo tipo di
connettivo la componente
cellulare è molto
rappresentata a scapito
di quella fibrosa: questo
risponde alle esigenze
trofiche, di scambio e di
connessione tipiche di
questo tessuto. Queste
funzioni sono
ulteriormente confermate
dalla presenza di
fibre e non particolarmente densa, quindi poco colorabile con le numerosi vasi, dotti
normali colorazioni istologiche. (Figure 3.4-3.8) linfatici e fasci nervosi.
Em-Eo 64x

110
Figura 3.5 Esofago di
coniglio. Tessuto
connettivo lasso.
Nell'esofago abbiamo un
tessuto connettivo lasso
che, nonostante la
pesenza di
un'abbondante
componente cellulare e di
numerosi vasi, presenta
un consistente contenuto
di fibre collagene atte ad
assolvere la funzione di
sostegno dei tessuti
circostanti. Ignesti 100x

Figura 3.6 Lingua di


coniglio. Tessuto
connettivo lasso che
presenta, al di sotto della
membrana basale su cui
appoggia l'epitelio
pavimentoso stratificato
della lingua, fibre
collagene reticolari,
colorate in azzurro
intenso. Ignesti 100x

111
Figura 3.7 Intestino di
topo. Fitta rete
connettivale (colorata in
azzurro) che avvolge le
fibrocellule muscolari
liscie dell'intestino. Azan-
Mallory 100x

Figura 3.8 Colon di ratto.


Tessuto connettivo lasso
(colorato in azzurro)
all'interno di un villo
intestinale. E' presente
una forte componente
cellulare, numerosi vasi,
con una tonaca ben
evidente, e dotti linfatici,
molto più sottili e
allungati. Azan Mallory
100x

112
Tessuto connettivo reticolare

Si indica con il termine di tessuto connettivo lasso reticolare un tessuto


connettivo ricco in fibre reticolari costituite da collagene di tipo III.
Queste fibre, nonostante siano costituite da collagene, a causa della
diversità dell’organizzazione, delle dimensioni, della specifica funzione e,
soprattutto, della forte affinità all’Argento metallico (da qui la
denominazione di fibre argirofile) hanno mantenuto il loro nome
originario, ossia fibre reticolari o fibre del reticolo. La maggiore affinità
verso i coloranti a base d’Argento, che è alla base della colorazione di
Bielschowsky per le fibre reticolari, sembra sia da attribuire, più che alle
caratteristiche biochimiche dei costituenti le fibre, alla conformazione
delle fibre stesse e alla matrice che le circonda. Dal punto di vista
istologico l’unica vera differenza con le altre fibre collagene è data dal
fatto che mentre queste sono aggregate in fascetti, le fibre reticolari
sono isolate e tendono a formare sottili reticoli. Queste fibre circondano
le singole fibre muscolari e le fibre nervose periferiche in modo da
isolarle fra di loro, si associano alla membrana basale, subito al di sotto
degli epiteli, circondano gli adipociti, formano la sottile trama reticolare
che costituisce lo stroma connettivale degli organi linfoidi e delle grosse
ghiandole, sia esocrine che endocrine. (Figure 3.9-3.14)

Figura 3.9 Ovario di


topo. Connettivo
reticolare che si dipana in
tutto lo stroma ovarico
ispessendosi
notevolmente nelle
membrane basali.
Bielschowsky 64x

113
Nella vita embrionale, durante la trasformazione da tessuto
mesenchimale a tessuto connettivo, le fibre reticolari sono le prime ad
apparire e solo successivamente gran parte di esse vengono sostituite
da fibre collagene.

Figura 3.10 Ovario di


topo a più forte
ingrandimento. Si notano
le fibre reticolari,
particolarmente ispessite
subito al di sotto
dell'epitelio dei vari
follicoli oofori, proprio per
fornire una base solida
alle cellule epiteliali e
nello stesso tempo dare
la possibilità ai vasi di
svolgere la loro funzione
trofica. Bielschowsky
100x

Figura 3.11 Milza


umana. Fitta rete di fibre
collagene reticolari che
forma lo stroma della
milza. Gomori per le fibre
reticolari 200x

114
Figura 3.12 Milza
umana. Fibre connettivali
reticolari che circondano
un piccolo capillare
sanguigno. Bielschowsky
200x

Figura 3.13 Tiroide


umana. Le fibre reticolari
creano una delicata
trama reticolare che
avvolge i follicoli tiroidei.
Bielschowsky 200x

115
Figura 3.14 Cute
palmare umana, sezione
trasversale. Fibre
collagene reticolari,
colorate in nero intenso
dall'argento metallico,
che concorrono alla
formazione della
membrana basale.
Bielschowski 100x

Tessuto connettivo elastico

Le diverse strutture che compongono l’organismo devono spesso


rispondere a sollecitazioni meccaniche o assolvere a funzioni di
scorrimento o scivolamento. Il tessuto connettivo, che ha il compito di
assecondare questi movimenti, deve avere una struttura elastica capace
di rispondere ad eventuali sollecitazioni ma che, una volta terminate,
possa riportare la struttura alla forma e alla dimensione originarie, senza
deformazioni. Questo tipo di connettivo viene detto elastico. Il tessuto
connettivo elastico è composto da fibre non birifrangenti, diverse quindi
da quelle del connettivo collagene, formate da elastina, da sostanza
amorfa e da fibrillina.

Nella sua organizzazione microscopica il tessuto connettivo elastico può


essere organizzato prevalentemente in fibre parallele (come nel
legamento nucale dei ruminanti, nei tendini e nei legamenti della colonna
vertebrale nell’uomo) o in fibre, più o meno numerose, sparse tra le fibre
collagene (epiglottide, orecchio esterno, vescica urinaria). Nella parete
delle arterie non vi sono fibre e l’elastina si presenta sotto forma di
lamine fenestrate dette membrane elastiche.

116
Macroscopicamente, il connettivo elastico è facilmente distinguibile per
la leggera colorazione giallognola che l’elastina dà a questo tessuto; a
livello microscopico invece, lo possiamo riconoscere solo grazie a
colorazioni specifiche elettive a base di resorcin-fucsina (Weigert) o di

Figura 3.15 Polmone di


coniglio. Fibre elastiche
che rivestono un'arteria
polmonare. Si noti il tipico
andamento sinusoidale
delle fibre che formano le
lamine elastiche. Questa
colorazione non ha
contrasto per cui i nuclei,
il citoplasma e la matrice
extracelluare sono
scarsamente colorati.
Weigert 100x

Figura 3.16 Polmone di


coniglio. Lamine
elastiche, colorate in
nero-viola intenso
nell'intima di una grossa
arteria del polmone.
Weigert 160x

117
aldeide-fucsina (Halmi) che danno a questo tessuto la classica
colorazione viola-nera intensa. (Figura 3.15-3.19)

Figura 3.17 Cute umana.


Fibre elastiche, colorate
in nero-viola intenso,
molto ondulate perchè
fissate in una condizione
di riposo. Il preparato è
stato contrastato con una
Em-Eo. Weigert Em-Eo
100x

Figura 3.18 Cute umana.


Fibre elastiche in visione
longitudinale, colorate in
nero, sparse nel derma
sottocutaneo umano.
Weigert Em-Eo 100x

118
Figura 3.19 Esofago di
coniglio. Fibre elastiche
(colorate in viola scuro)
sezionate
trasversalmente presenti
nel connettivo della
tonaca mucosa. Weigert
100x

119
Tessuto connettivo denso

Il tessuto connettivo denso è caratterizzato da numerose fibre formate


da collagene di tipo I, organizzate in fasci, anche molto spessi, immerse
in una sostanza amorfa e orientate in diverse direzioni nello spazio: a
fibre parallele (tendini), a fibre incrociate (cornea), a fibre intrecciate

Figura 3.20 Fegato di


maiale. Tessuto
connettivo denso
capsulare irregolare
(freccia). In questo
preparato si notano le
fibre collagene, molto più
spesse, e la parte
cellulare, meno
rappresentata. Azan
Mallory 64x

Figura 3.21 Linfonodo di


maiale. Tessuto
connettivo denso
capsulare irregolare che
circonda il linfonodo.
Azan Mallory 200x

120
(derma). Le cellule sono meno numerose rispetto al connettivo lasso.

Figura 3.22 Piede di


embrione umano. Il
tessuto connettivo denso
che circonda il tessuto
osseo prende il nome di
periostio ed è
riconoscibile per le fibre
dense e irregolari, ricche
di collagene e quindi
colorate intensamente in
rosso arancio presenti
nello strato esterno. Lo
strato interno presenta
osteblasti in diretto
contatto con l'osso
responsabili del suo
La sostanza amorfa del tessuto connettivo denso è più colorabile accrescimento durante la
rispetto a quella del tessuto connettivo lasso. Il tessuto connettivo vita fetale e durante lo
denso non presenta confini netti e precisi con il tessuto connettivo sviluppo. Inoltre,
lasso. (Figure 3.20-3.27) nell'adulto, è
responsabile della
formazione del callo
osseo in caso di frattura.
Em-Eo 100x

Figura 3.23 Prostata


umana. Fibre collagene
di tessuto connettivo
denso a fibre intrecciate
colorate in azzurro
intenso con,
inframmezzate,
fibrocellule muscolari
liscie colorate in marrone.
Ignesti 40x

121
Figura 3.24 Cute di
balena. Tessuto
connettivo denso a fibre
intrecciate del derma
cutaneo. Le fibre, per
poter opporre una
resistenza maggiore,
sono spesse, intrecciate
e ricche di collagene.
Azan Mallory 64x

Figura 3.25 Cute di


balena. Derma a più forte
ingrandimento in cui si
evidenzia, nel complicato
intreccio di fibre
connettivali, tessuto
adiposo, sia uniloculare
che multiloculare. Questa
particolare
organizzazione del
derma dei mammiferi
marini prende il nome di
Blabber. Azan Mallory
200x

122
Figura 3.26 Tendine
umano. Tessuto
connettivo denso a fibre
parallele. Le fibre
connettivali hanno un
andamento regolare e
parallelo per avere una
buona resistenza alla
trazione; hanno anche un
andamento leggermente
sinusoidale per la forte
presenza di componente
elastica. Em-Eo64x

Figura 3.27 Occhio di


topo. Cornea. Tessuto
connettivo denso a fasci
incrociati. Questa
disposizione delle fibre
collagene dà una
particolare trasparenza al
tessuto permettendo il
passaggio della luce
senza aberrazioni. HRP
Em 200x

123
Tessuti connettivi altamente specializzati

Si definisce tessuto connettivo altamente specializzato un tipo di tessuto


che per le sue peculiari funzioni assume caratteristiche istologiche tali
da distinguerlo chiaramente dagli altri tessuti connettivi.

I tessuti connettivi altamente specializzati sono:

๏ Tessuto adiposo

๏ Tessuto cartilagineo

๏ Tessuto osseo

๏ Tessuto linfoide

๏ Sangue

Nota: il tessuto cartilagineo ed il tessuto osseo vengono comunemente


definiti tessuti connettivi di sostegno.

Tessuto adiposo

Il tessuto adiposo è formato da cellule chiamate adipociti, che hanno la


funzione di accumulare grassi in vacuoli citoplasmatici.

Esisitono due tipi di tessuto adiposo.

Il tessuto adiposo bianco (o uniloculare). Gli adipociti che formano il


tessuto adiposo bianco presentano all’interno del citoplasma un’unica
grande goccia di materiale lipidico (da qui il termine tessuto adiposo
uniloculare) che sposta il nucleo, appiattendolo, in posizione eccentrica.
Non essendo circondata da membrana, la goccia lipidica di fatto
rappresenta un’inclusione cellulare. Oltre alla funzione di riserva

124
energetica il tessuto adiposo bianco presenta funzione di isolamento
termico, di riempitivo e di protezione di alcune strutture anatomiche,
come nelle cavità orbitarie e nelle logge renali.

Il tessuto adiposo bruno (o multiloculare). Gli adipociti che formano il


tessuto adiposo bruno presentano all’interno del citoplasma numerose
gocce di materiale lipidico (da qui il termine tessuto adiposo
multiloculare), il nucleo risulta in posizione centrale, rotondo, il
citoplasma appare ben evidente. La funzione del grasso bruno è quella
di immagazzinare riserve che sono però poi dissipate prevalentemente in
energia termica. Il tessuto adiposo bruno è ben rappresentato negli
animali che vanno in letargo. Nella specie umana è ben rappresentato
nel neonato dove rappresenta un meccanismo di protezione dalla basse
temperature, mentre nell’adulto è scarsamente rappresentato ed è
presente nell’ilo del surrene e nelle regioni sottoscapolare, ascellare e
pubica.

Figura 3.28 Mandibola di


feto umano a termine.
Tessuto adiposo
uniloculare. La cellula
adiposa è occupata quasi
esclusivamente da una
grossa gocciolina lipidica,
il citoplasma è
rappresentato solo da un
sottile anello che
circonda la gocciolina, il
nucleo è allungato,
piccolo e schiacciato in
periferia. La gocciolina
lipidica è stata estratta
durante la processazione
del preparato da alcool e
solventi organici, per cui
Entrambi i tipi di tessuto derivano da una cellula progenitrice comune,
nell'adipocita è rimasta
il preadipocita, che può differenziare sia in grasso bianco che in solo l'impronta incolore
grasso bruno. (Figure 3.28-2.34) della gocciolina lipidica.
Azan Mallory 160x

125
Figura 3.29 Mandibola di
feto umano a termine.
Tessuto adiposo
uniloculare a più forte
ingrandimento. Azan
Mallory 200x

Figura 3.30 Tessuto


adiposo di marmotta. Si
nota del grasso
uniloculare bianco con
inframezzate numerose
cellule di grasso bruno o
multiloculare. Em-Eo 64x

126
Figura 3.31 Tessuto
adiposo di marmotta. Si
nota del grasso
uniloculare bianco,
riconoscibile per lo
scarso citoplasma e il
nucleo fortemente
schiacciato in periferia,
con inframezzate, cellule
adipose dal nucleo
rotondo e centrale e
citoplasma più evidente e
ben distribuito all'interno
della cellula in cui sono
presenti tante piccole
goccioline lipidiche.
Queste cellule formano il
tessuto adiposo
multiloculare o grasso
bruno. Nei mammiferi,
questo tessuto è
generalmente presente
nei feti, nei primi mesi di
vita e in quegli animali
che vanno in letargo e
che devono, quindi,
avere una buona riserva
di calore per periodi
molto lunghi. Negli altri
mammiferi adulti il grasso
bruno è poco
rappresentato. Em-Eo
200x

Figura 3.32 Mandibola di feto umano. Grasso bruno o


multiloculare. Tricromica di Mallory 100x

127
Figura 3.33 Omento
umano. Tessuto adiposo
uniloculare che circonda
un piccolo vaso. Questo
preparato è stato
ottenuto per
congelamento e tagliato
al criostato a -40°C per
evitare i passaggi con
solventi, come xilolo o
benzolo, che avrebbero
sciolto la gocciolina
lipidica.
Successivamente la
fettina è stata colorata
con il metodo del Sudan
Black, che è una
colorazione elettiva per il
tessuto adiposo. Sudan
Black 64x

Figura 3.34 Mesentere di


topo. Colorazione elettiva
per il tessuto adiposo su
sezioni ottenute al
criostato. Sudan IV 63x

128
Tessuto cartilagineo

E’ un tessuto connettivo specializzato, costituito da cellule, i


condroblasti e i condrociti, circondate da una matrice extracellulare allo
stato di gel con fibre. La cartilagine è l’unico tessuto connettivo
sprovvisto di vasi sanguigni, per cui il nutrimento di questo tessuto è
affidato alla permeabilità della matrice extracellulare. La cartilagine è
generalmente rivestita da un connettivo capsulare, il pericondrio, fatta
eccezione per le articolazioni dove non presenta pericondrio ed è a
diretto contatto con il liquido sinoviale. I condroblasti sono ospitati in
lacune della matrice extracellulare dove possono dividersi a formare dei
priccoli gruppi cellulari chiamati gruppi cellulari isogeni (o più
semplicemente gruppi isogeni), circondati da matrice extracellulare.

La cartilagine, a seconda della caratteristiche della matrice


extracellulare e quindi della sua funzione, si divide in:

๏ cartilagine ialina,

๏ cartilagine elastica,

๏ cartilagine fibrosa,

๏ cartilagine cellulare.

Cartilagine ialina

E’ sicuramente il tipo di cartilagine più rappresentato nei mammiferi. I


condrociti presentano un nucleo ben evidente con uno o più nucleoli e
sono alloggiati in lacune o depressioni della matrice extracellulare.
Quando la cartilagine ialina è matura, i condrociti tendono a
raggrupparsi in isolotti, i gruppi isogeni. Questi sono più numerosi nella
zona profonda della cartilagine e più scarsi nelle zone più periferiche
(zona intermedia e zona tangenziale). I gruppi isogeni sono
generalmente assenti nella cartilagine ialina immatura. La cartilagine
ialina è avascolare e generalmente circondata da pericondrio.

La matrice, povera di fibre, è formata prevalentemente da sostanza


amorfa ricca di proteoglicani. La maggiore concentrazione di

129
proteoglicani si trova nella matrice che circonda i gruppi isogeni (matrice
extracellulare territoriale), mentre la restante parte di matrice

Figura 3.35 Fossette


nasali di embrione
umano. Cartilagine ialina
immatura. Si notano le
lacune di minore
dimensione, l'assenza di
gruppi isogeni e la scarsa
colorabilità della matrice
extracellulare. Em-Eo
40x

extracellulare è caratterizzata da una minor presenza di proteoglicani


(matrice extracellulare interterritoriale).

La cartilagine è più o meno basofila, per cui dal punto di vista dell’affinità
tintoriale è facilmente riconoscibile dagli altri tessuti connettivi, sempre
acidofili.

La cartilagine ialina ha, oltre che una funzione di sostegno, il compito di


dare allo scheletro un certo grado di flessibilità.

La cartilagine articolare, posta alle estremità delle ossa lunghe, è priva di


pericondrio, ha forma di lamina ed è molto levigata in superficie, così da
favorire lo scorrimento delle superfici articolari.

La cartilagine metafisaria, di accrescimento o di coniugazione, si trova


nelle ossa lunghe e partecipa attivamente al loro accrescimento in
lunghezza durante lo sviluppo.

Nella cartilagine metafisaria, procedendo dall’epifisi alla diafisi,


riconosciamo:

130
Figura 3.36 Fossette
nasali di embrione
umano. Cartilagine ialina
immatura. La matrice
extracellulare reagisce
con l'alcian blu perchè
composta da mucine
fortemente acide
(sialomucine e
ialomucine). Alcian blu
40x

๏ la zona delle cellule a riposo, con condrociti organizzati in maniera


tipica;

๏ la zona di proliferazione, dove le cellule, appiattite, si dividono in


modo da organizzarsi in colonne cellulari separate da abbondante
matrice extracellulare;

๏ la zona delle cellule ipertrofiche, in cui i condrociti aumentano


notevolmente di volume e smettono di moltiplicarsi ed in cui inizia il
processo di mineralizzazione della matrice;

๏ la zona delle cellule in degenerazione, in cui la sostanza fondamentale


è praticamente calcificata.

131
Figura 3.37 Piede di
embrione umano.
Cartilagine ialina
immatura con un centro
di ossificazione. Azan-
Mallory 200x

Figura 3.38 Testa di


femore umano.
Cartilagine
d'incrostazione o
articolare in cui notiamo
la crescita per
apposizione delle cellule
cartilaginee. Em-Eo100x

132
Figura 3.39 Polmone di
delfino. Bronco
polmonare in cui si
distingue, colorata in
viola intenso, la
cartilagine ialina che
forma gli anelli e le
placche di sostegno.
DAB-Em 100x

Figura 3.40 Trachea


umana. Cartilagine ialina.
Si notano i gruppi
isogeni, le zone
territoriali, più scure e
quelle interterritoriali, più
chiare. E' evidente,
colorato in rosa chiaro
perchè fortemente
basico, il pericondrio. La
cartilagine, invece,
essendo formata da
matrice extracellulare
acida è colorata in blu-
viola dall'emallume di
Mayer. Em-Eo 63x

133
Figura 3.41 Trachea
umana. Cartilagine ialina
matura. Sono ben
evidenti i numerosi gruppi
isogeni formati da
numerose cellule e la
forte acidità della matrice
cartilaginea. Em-Eo 100x

Cartilagine elastica

Le differenze più evidenti fra la cartilagine elastica e quella ialina


riguardano:

la sostanza intercellulare che è molto più scarsa e povera di


componente amorfa,

la presenza di abbondanti fibre elastiche che, soprattutto nella parte


profonda, si anastomizzano fra di loro a formare una rete che circonda le
lacune con i condrociti (questa sottile e ramificata trama elastica può
facilmente essere evidenziata con la resorcin fucsina di Weigert),

la scarsità di gruppi isogeni formati da pochissime cellule.

La cartilagine elastica è avascolare e circondata da pericondrio.

La cartilagine elastica dà maggiore elasticità agli organi in cui è presente


(epiglottide, padiglione auricolare, tuba uditiva o di Eustachio).

134
Figura 3.42 Epiglottide
umana. Cartilagine
elastica. Si noti la scarsa
presenza di gruppi
isogeni e di matrice,
sicuramente meno
abbondante che nella
cartilagine ialina, e le
lacune con i condrociti,
generalmente più
voluminose che nella
cartilagine ialina. La
matrice extracellulare
ricca di fibre elastiche è
colorata in nero dalla
resorcin-fucsina di
Weigert. Weigert Em-Eo
63x

Figura 3.43 Padiglione


auricolare di ratto a forte
ingrandimento.
Cartilagine otricolare.
Sono evidenti, colorate in
nero, le fibre elastiche.
Weigert Em-Eo 100x

135
Cartilagine fibrosa

Si presenta sotto forma di piccole placche a confini poco distinti,


costituite da condrociti, da una scarsa quantità di sostanza
fondamentale e da abbondanti elementi fibrosi (collagene di tipo I). E’
generalmente avascolare e non presenta pericondrio. I condrociti,
circondati da matrice extracellulare, sono isolati, in coppia o, talvolta,
allineati gli uni sugli altri a formare una lunga fila tra i fasci di fibre
collagene. Questo tipo di cartilagine rappresenta una forma di
transizione tra la cartilagine ialina ed il tessuto connettivo denso, tanto
che non è possibile avere un confine netto fra i due. E’ anche possibile,
nello sviluppo embrionale come in diverse condizioni fisiologiche, che i
due diversi tessuti possano gradualmente trasformarsi l’uno nell’altro.

E’ presente in alcune cartilagini articolari: nei dischi intervertebrali, nei


dischi articolari delle articolazioni del ginocchio (menischi) e della
mandibola, nell’articolazione sternoclavicolare e nella sinfisi pubica. E’
inoltre presente nel legamento rotondo del femore e nel punto di
inserzione nell’osso di alcuni tendini.

Figura 3.44 Disco


intervertebrale umano.
Zona di transizione tra
cartilagine ialina e
cartilagine fibrosa. La
matrice extracellulare
della cartilagine ialina
assume un aspetto
fibroso e perde
gradatamente la sua
acidità e, di
conseguenza, anche il
colore viola
dell'emallume. Nella
cartilagine fibrosa i
condrociti tendono a
diminuire, sia nel numero
che nelle dimensioni, e
ad allungarsi per lasciare
il posto alle fibre di
collagene. Em-Eo 100x

136
Figura 3.45 Disco
intervertebrale umano. Le
cellule cartilaginee sono
alloggiate nelle lacune e
impilate le une sulle altre
e circondate da denso
tessuto collagene. Più il
tessuto tende ad essere
fibroso e più la
colorazione passa dal
viola, tipico della
cartilagine, al rosso-
marrone tipico del
collagene. Em-Eo 100x

Cartilagine cellulare

E’ formata da grosse cellule cartilaginee, sferiche, addossate le une alle


altre. La matrice è molto scarsa, ricca di fibre elastiche atte a opporsi
alle sollecitazioni meccaniche. Esempio tipico è la cartilagine

Figura 3.46 Fossette


nasali di feto umano a
termine. Cartilagine ialina
immatura in cui
incominciano a vedersi i
primi gruppi isogeni
formati da 2-4 cellule.
Alcian Blu 100x

137
otricolare dei roditori. (Figure 3.35-3.46)

Tessuto osseo

Il tessuto osseo è un tessuto dinamico e plastico: provvede a modulare


la propria struttura in seguito a stimoli sia organici che meccanici. Esso è
formato da una parte organica ed una parte inorganica. La parte
organica è composta da cellule proprie del tessuto osseo (cellule
osteoprogenitrici, osteoblasti, osteociti e osteoclasti che provvedono
all’accrescimento, alla produzione e al riassorbimento del tessuto osseo)
e da matrice extracellulare (sostanza amorfa e fibre collagene di tipo I).
La parte inorganica è costituita da numerosi sali minerali come i fosfati di
calcio e magnesio e i citrati di Na, Mn, K. La componente organica della
matrice extracellulare rappresenta il 35% del peso secco dell’osso e ne
determina robustezza ed elasticità mentre la componente inorganica
mineralizzata rappresenta il 65% del peso secco e conferisce al tessuto
osseo compattezza e durezza. Il tessuto osseo è soggetto a numerosi
cambiamenti strutturali e funzionali dovuti all’età, all’alimentazione e alle
condizioni generali del soggetto.

Periostio

Le superfici esterne dell’osso sono rivestite da una spessa capsula


connettivale costituita da tessuto connettivo denso a fibre intrecciate, il
periostio, che ha il compito di proteggere l’osso e di supportare l’azione
trofica mediata dai vasi sanguigni di cui è ricco. Nella faccia esterna del
periostio sono presenti poche cellule e molte fibre collagene (definito
strato fibroso), nella faccia interna , invece, vi sono poche fibre,
numerosi capillari sanguigni e cellule osteoprogenitrici con potenziale
osteogenico (strato osteogenico). Dal periostio si dipartono
trasversalmente, verso il tessuto osseo, fibre connettivali, dette fibre di
Sharpey, che hanno il compito, addentrandosi nel sistema di lamelle
circonferenziali esterne, di fornire un buon sistema di ancoraggio
all’osso.

138
Endostio

L’endostio è formato da uno strato di cellule pavimentose e fibre


connettivali che ricoprono tutte le superfici interne dell’osso (trabecole
ossee dell’osso spugnoso, cavità midollari dell’osso compatto, canali di
Havers e di Wolkmann). Le cellule che formano l’endostio hanno un alto
potenziale osteogenico.

Cellule del tessuto osseo

Cellule osteoprogenitrici

Sono di origine mesenchimale e hanno proprietà staminali: esse


possono proliferare e differenziare in osteoblasti. Si trovano nel periostio
e nell’endostio: riattivate provvedono alla formazione di nuovo tessuto
osseo.

Osteoblasti

Sono i precursori degli osteociti; sono cellule voluminose, altamente


polarizzate, con un nucleo ovoidale leggermente spostato in periferia e
con citoplasma intensamente basofilo. Gli osteoblasti provvedono alla
produzione sia della matrice organica (definita osteoide) che alla
deposizione di quella inorganica, hanno quindi funzioni osteogeniche. Gli
osteoblasti producono collagene di tipo I, osteocalcina, osteopontina e
sialoproteina dell’osso.

Osteociti

Quando gli osteoblasti hanno terminato la formazione dell’osso


rimanendo intrappolati all’interno di lacune nella matrice da loro stessi
prodotta, diventano osteociti. Gli osteociti sono cellule di forma
irregolare, con un nucleo ben evidente e un citoplasma che presenta

139
diversi prolungamenti. Essi sono alloggiati nelle lacune ossee dalle quali
si dipartono, in ogni direzione, numerosi canalicoli microscopici.
Attraverso questi canalicoli i prolungamenti citoplasmatici di osteociti
diversi prendono contatto tra di loro tramite giunzioni comunicanti e con
capillari sanguigni presenti nei canali ossei, permettendo così scambi
metabolici tra gli osteociti stessi e tra osteociti e sangue. Gli osteociti
provvedono al mantenimento della matrice extracellulare dell’osso.

Osteoclasti

Gli osteoclasti non appartegono alla linea osteoprogenitrice ma derivano


dalla fusione di numerosi precursori monocitari (fino a 30) e sono
deputati alla distruzione (riassorbimento) e al rimaneggiamento del
tessuto osseo. Sono cellule molto grandi, potendo superare anche i 100
µm di diametro, e hanno numerosi nuclei. Anche gli osteoclasti sono
cellule altamente polarizzate: quando attivate presentano una faccia
citoplasmatica in prossimità dell’osso con caratteristiche increspature
molto mobili ed aderiscono alla superficie dell’osso creando un
microambiente isolato da quello circostante (zona sigillata) che viene
acidificato per l’attivazione successiva di enzimi di derivazione sia
lisosomale (proteinasi e fosfatasi) che non lisosomale (metalloproteinasi).
Questo processo porta all’erosione della matrice ossea e alla formazione
di una depressione definita lacuna di Howship.

Il tessuto osseo si divide in due tipologie principali:

๏ il tessuto osseo non lamellare o trabecolare in cui la matrice


extracellulare non forma lamelle; rappresenta il tessuto osseo
primario ed è presente durante la vita prenatale e nell’adulto nei casi
di neodeposizione ossea (ad esempio in caso di fratture);

๏ il tessuto osseo lamellare costituisce la stragrande maggioranza del


tessuto osseo nei mammiferi adulti ed è organizzato in lamelle.

140
Tessuto osseo non lamellare (o trabecolare)

Nella vita prenatale e nell’adulto in particolari condizioni la funzione del


tessuto osseo non è tanto quella di assolvere al compito di forte
resistenza alla pressione o alla trazione, ma piuttosto di essere il più
possibile leggero, elastico e plastico.

Il tessuto osseo non lamellare si divide in tessuto osseo non lamellare a


fibre intrecciate e tessuto osseo non lamellare a fibre parallele (presente
prevalentemente negli uccelli).

Nel tessuto osseo non lamellare a fibre intrecciate le fibre collagene


sono intrecciate a formare un fitto reticolo, la sostanza fondamentale,
disposta irregolarmente, è poco rappresentata sia nella sua parte
organica che inorganica, le lacune ossee hanno forma globosa e sono
tendenzialmente più grandi che nel tessuto osseo lamellare. Il tessuto
osseo non lamellare a fibre intrecciate è presente anche nell’adulto a
livello di suture dovute a fratture, nelle inserzioni legamentose e
tendinee, sulle superfici a ridosso del periostio, in tutte le neodeposizioni
di osso in generale ed in particolare nel cemento del dente.

Il tessuto osseo non lamellare a fibre parallele è invece raro nei


mammiferi: lo si può trovare nelle zone di inserzione dei tendini.

Tessuto osseo lamellare

Il tessuto osseo lamellare, grazie alla sua composizione chimica e alla


sua particolare organizzazione strutturale, ha una forte resistenza alla
trazione, alla pressione e alle sollecitazioni meccaniche in generale.
Grazie alla sua organizzazione in lamelle, infatti, questo tessuto
garantisce una buona resistenza alle sollecitazioni, pur non
appesantendo particolarmente lo scheletro.

Il tessuto osseo lamellare si divide in tessuto osseo lamellare compatto


se è composto prevalentemente da lamelle concentriche complete,
come per esempio nelle diafisi, e in tessuto osseo lamellare spugnoso
se invece è composto da lamelle incomplete che formano tanti piccoli
frammenti incastonati fra di loro (trabecole ossee), come per esempio
nelle epifisi.

141
Il tessuto osseo compatto è molto duro, attraversato da numerosi canali
contenenti vasi sanguigni e dotti linfatici visibili solo al microscopio.

Il tessuto osseo spugnoso si presenta come un un reticolo


tridimensionale di trabecole ossee che viene a delimitare uno spazio
labirintico ripieno di midollo osseo.

Nelle ossa lunghe si distinguono le epifisi, corte e rotondeggianti,


localizzate alle estremità e costituite prevalentemente da osso
spugnoso, e una parte allungata, centrale, a forma di cilindro cavo detta
diafisi, formata da osso compatto, estremamente resistente agli urti e
alle pressioni e contenente midollo osseo. Nelle ossa piatte, invece,
distinguiamo due superfici di tessuto osseo compatto, denominate
tavolato interno ed esterno. Al centro è compreso uno strato di tessuto
osseo spugnoso.

L’osso è rivestito da uno spesso strato di tessuto connettivo capsulare


con forte potenzialità osteogenica: il periostio; fanno eccezione le
articolazioni e i punti di inserzione di muscoli e legamenti. Una sottile
membrana connettivale, l’endostio, riveste la cavità interna delle diafisi e
la superficie delle spicole ossee delle epifisi. Anch’esso, come il
periostio, presenta un notevole potenziale osteogenico. Durante
l’accrescimento delle ossa lunghe tra la diafisi e l’epifisi è presente uno
strato di cartilagine detta cartilagine metafisaria o di coniugazione che
assicura il costante aumento in lunghezza dell’osso durante la crescita.

Tessuto osseo lamellare compatto

Costituisce le diafisi nelle ossa lunghe, lo strato superficiale delle epifisi,


i tavolati delle ossa piatte e in generale riveste tutte le superfici ossee.
Le lamelle ossee sono organizzate in strati concentrici a formare gli
osteoni, in cui gli osteociti sono posti circolarmente, secondo diverse
orbite, intorno a canali, detti canali di Havers, contenenti uno o due
piccoli capillari sanguigni. Il numero di lamelle che circonda un singolo
canale di Havers può variare da 4 a 20. I vari canali di Havers
comunicano tra di loro grazie ad altri canali posti, però, trasversalmente

142
od obliquamente, detti canali di Wolkmann, anch’essi contenenti capillari
sanguigni. Le sostanze nutritizie arrivano agli osteociti tramite la rete
capillare e distribuite mediante la fitta rete di prolungamenti
citoplasmatici che li collegano. Gli spazi che si creano fra i diversi
osteoni sono occupati da frammenti di osso lamellare di forma e
dimensioni variabili detti sistemi interstiziali. I confini fra gli osteoni e i
sistemi interstiziali sono facilmente rilevabili da uno strato di tessuto
connettivo rifrangente detto linea cementante. La superficie ossea a

Figura 3.47 Osso


umano. Sezione
trasversale di osso non
colorato in cui si notano
le lamelle del tessuto
osseo lamellare
compatto. 63x

contatto con il periostio e l’endostio è formata da lamelle disposte


parallelamente alla superficie libera dell’osso; queste lamelle sono
chiamate lamelle circonferenziali.

Tessuto osseo lamellare spugnoso

E’ formato da lamelle incomplete associate a formare delle trabecole


(come ad esempio nelle epifisi delle ossa lunghe). Questa disposizione
spaziale garantisce una migliore resistenza a pressioni multidirezionali, e
genera degli spazi intercomunicanti in cui è alloggiato il midollo osseo.
Le lamelle sono più o meno intrecciate e di spessore variabile. Gli

143
osteociti sono distribuiti nelle lamelle in maniera disomogenea e con

Figura 3.48 Osso


umano. Singolo osteone
a più forte ingrandimento
(in rosa) in cui è ben
evidenziabile il sistema
lamellare concentrico che
circonda il canale di
Havers. Dagli osteociti si
dipartono sottili
prolungamenti
citoplasmatici che
mediante canalicoli
mettono in
comunicazione i diversi
osteociti. 100x

grandezza e forma variabile.

Figura 3.49 Femore


umano. Tessuto osseo
lamellare compatto in
sezione longitudinale in
cui non si possono
apprezzare i sistemi
Haversiani lamellari.
Invece, si notano
chiaramente sia i canali
di Havers in sezione
longitudinale che i canali
di Wolkmann, posti
trasversalmente o
obliquamente rispetto ai
primi, in sezione
trasversale. Em-Eo 40x

144
Figura 3.50 Femore di
topo. Epifisi di femore
tagliata trasversalmente.
L'ossificazione
endocondrale è
terminata, si notano le
trabecole di osso
lamellare spugnoso con,
all'interno, il midollo
osseo. Em-Dab 63x

Figura 3.51 Femore di topo a più forte ingrandimento


in cui si riconosce l'organizzazione lamellare delle
trabecole dell'osso spugnoso. HRP-DAB 100x

145
Figura 3.52 Epifisi di
femore umano
decalcificato. Tessuto
osseo lamellare
spugnoso di epifisi di
osso lungo. Si noti il
sistema lamellare
incompleto delle
trabecole ossee e il ricco
contenuto di midollo
osseo interno. Em-Eo
40x

Osteogenesi

L’osteogenesi o ossificazione è il processo che porta alla formazione di


tessuto osseo. Questo processo avviene partendo da tessuno
mesenchimale preesistente che viene trasformato in tessuto osseo.

Nell’embrione abbiamo due tipi di osteogenesi:

๏ l’ossificazione diretta o intramembranosa, in cui il tessuto osseo è


formato a partire da tessuto mesenchimale,

๏ l’ossificazione indiretta o condrale, in cui il tessuto osseo è formato a


partire da cartilagine ialina.

Entrambi i tipi di ossificazioni danno origine ad osso non lamellare che


viene poi trasformate in osso lamellare.

146
Ossificazione diretta

Durante il processo di ossificazione intramembranosa le cellule


mesenchimali dell’embrione si organizzano in aggregati (centri di
ossificazione) dove si differenziano in osteoblasti che depositano
osteoide (matrice extracellulare dell’osso), successivamente
mineralizzato a formare tessuto osseo primitivo anche detto tessuto
osseo non lamellare a fibre intrecciate che verrà poi sostituito, in seguito
a rimodellamento, da tessuto osseo lamellare. Esempi di ossificazione
intramembranosa sono quelli delle ossa frontale, parietali, parte delle
ossa temporali e mascellare. Nella mandibola il processo di ossificazione
diretta (definita ossificazione mantellare) è iniziato e guidato dalla
presenza di un bottone cartilagineo che funge da catalizzatore e
permette la trasformazione del tessuto mesenchimale circostante in
tessuto osseo. In modelli murini l’asportazione chirurgica del bottone
cartilagineo provoca la mancata ossificazione della mandibola.

Ossificazione indiretta

L’ossificazione indiretta o condrale (detta anche, impropriamente,


endocondrale) è quel processo che forma l’osso a partire da una
struttura in cartilagine ialina. Il termine condrale risulta più appropriato
(vedi anche V. Monesi, Istologia, Piccin Editore) perchè questo tipo di
ossificazione comprende sia ossificazione endocondrale propriamente
detta, che origina da cartilagine preesistente, sia ossificazione a carico
del pericondrio prima e del periostio poi, ossificazione pericondrale e
periostale, processo di ossificazione molto simile a quello
intramembranoso. Questi due processi, endocondrale e pericondrale/
periostale, avvengono contemporaneamente. Esempi di ossificazione
condrale sono quelli delle ossa della base cranica, della colonna
vertebrale, del bacino e degli arti.

Il modello più studiato di ossificazione condrale è quello delle ossa


lunghe. La formazione delle ossa lunghe inizia con la formazione di un
modello cartilagineo a cui fa seguito: nella diafisi (centro di ossificazione
primario) a) un processo di ossificazione endocondrale che rimpiazza la
cartilagine con tessuto osseo secondo una dinamica che pemette
l’accrescimento in lunghezza dell’osso e b) un processo di ossificazione
pericondrale/periostale che garantisce l’accrescimento in larghezza

147
dell’osso; nell’epifisi (centri di ossificazione secondari) il solo processo di
ossificazione endocondrale.

Ossificazione endocondrale

Il processo di ossificazione endocondrale si realizza per fasi successive.


Esempio tipico ne è l’ossificazione a livello della metafisi dell’osso lungo.
Si distinguono diverse zone:

1. Zona della cartilagine a riposo o di riserva, è formata da condrociti di


riserva che confinano con l’epifisi.

2. Zona di proliferazione, è formata da condrociti in attiva fase


proliferativa che si dispongono in colonne.

3. Zona di maturazione, è formata da cellule che aumentano di


dimensione.

Figura 3.53 Mandibola di


topo. Primissime fasi del
processo di ossificazione
diretta di tipo mantellare.
Al centro notiamo il
bottone cartilagineo, più
chiaro, con sopra tessuto
osseo neoformato,
colorato in azzurro. A
destra si vede l'abbozzo
di un dente. Azan-Mallory
63x

4. Zona ipertrofica, qui le cellule hanno raggiunto la loro dimensione


massima, la matrice extracellulare viene progressivamente calcificata
riducendone la permeabilità alle sostanze nutritizie.

148
5. Zona di degenerazione, la calcificazione della matrice porta a
degenerazione dei condrociti. Gli spazi delle lacune lasciate vuote
vengono popolati da vasi sanguigni e da cellule osteoprogenitrici che
si poi si raggruppano sulle formazioni di cartilagine calcificata residue
e su cui depositeranno tessuto osseo non lamellare a fibre intrecciate
che successivamente si riorganizzerà in tessuto osseo lamellare.

Ossificazione pericondrale/periostale

Esternamente all’osso in formazione abbiamo la formazione di una


membrana periostale che, a partire dal centro della diafisi, lo avvolge per
la sua lunghezza. Questa membrana deposita tessuto osseo non

Figura 3.54 Mandibola di


topo a più forte
ingrandimento in cui si
nota chiaramente, in
colore azzurro, il tessuto
osseo neoformato da cui
originerà la mandibola.
Azan-Mallory 100x

lamellare a fibre intrecciate apponendolo al tessuto osseo formatosi per


ossificazione endocondrale, garantendo così l’aumento in larghezza
dell’osso. Successivamente, il tessuto osseo non lamellare a fibre
intrecciate formato per ossificazione pericondrale/periostale va incontro
a rimodellamento e sostituito da tessuto osseo lamellare. (Figure
3.47-3.62)

149
Figura 3.55 Mandibola
umana. Bottone
cartilagineo
dell'ossificazione
mantellare in
regressione. Azan-
Mallory 100x

Figura 3.56 Cranio di


feto umano.
Ossificazione diretta
intramenbranosa di un
osso piatto. Notare la
totale assenza di tessuto
cartilagineo. Em-Eo 63x

150
Figura 3.57 Osso
facciale umano.
Ossificazione diretta o
intramembranosa. Si
notino le linee interna
(dell'endostio) ed esterna
(del periostio) di cellule
osteogenitrici. Mallory
100x

Figura 3.58 Femore


umano. Ossificazione
indiretta. Fronte di
ossificazione. La
micrografia mostra in alto
i condrociti appiattiti e
impilati a formare delle
colonne (zona
proliferativa); in posizione
intermedia il fronte di
ossificazione formato da
lacune con condrociti in
necrosi e da osteoblasti
che depositano la matrice
ossea (zona ipertrofica);
in basso, in azzurro i
residui cartilaginei, in
rosa, il tessuto osseo
neoformato, circondato
da capillari (frecce)(zona
di degenerazione). Em-
Eo 100x

151
Figura 3.59 Epifisi di
osso lungo umano.
Sezione di tibia umana
ottenuta tagliando
trasversalmente l'epifisi
inferiore. Al centro si
notano, immersi in
tessuto cartilagineo ialino
immaturo, i primi centri di
ossificazione secondaria
endocondrale. Azan-
Mallory 63x

Figura 3.60 Femore di


feto umano. Sezione
obliqua del fronte di
ossificazione. In alto si
notano le cellule della
cartilagine ancora
organizzata in gruppi
isogeni e la matrice
fortemente acida; al
centro i condrociti impilati
a formare delle colonne
con la matrice
debolmente acida; in
basso il tessuto
cartilagineo distrutto dai
condroclasti (in azzurro)
e la primissima
deposizione di osteoide
(in rosa pallido). Alcian
Blu 63x

152
Figura 3.61 Tibia di feto
umano. Epifisi di tibia non
decalcificata e tagliata
trasversalmente. A destra
le trabecole di osso
spugnoso sono costituite
da matrice mineralizzata
(colorata in marrone
nero), a sinistra, invece,
le trabecole sono ancora
prive di materiale
inorganico per cui
appaiono rosa pallido.
All'interno delle trabecole
abbiamo midollo osseo
rosso. Colorazione
specifica per il tessuto
osseo mineralizzato. Von
Kossa-Em-Eo 63x

Figura 3.62 Vertebre di


topo. Vertebre non
decalcificate di topo in
fase di ossificazione. I
sali inorganici sono messi
in evidenza dalla
colorazione marrone-
nera dell'Ag metallico
precipitato. Nelle porzioni
di tessuto osseo colorate
in rosa non vi è ancora
matrice inorganica
depositata. Von Kossa-
Em-Eo 63x

153
Tessuto linfoide

l tessuto linfoide è un particolare tessuto connettivo caratterizzato


dall’essere composto in gran parte da cellule dette linfociti sostenute da
una fitta rete connettivale. Le cellule che lo compongono vengono
generate in organi detti organi linfoidi primari, si spostano nei diversi
distretti corporei mediante la circolazione sanguifera e linfatica (e quindi
nel contesto dei tessuti connettivi sangue e linfa), possono sostare in
altri organi linfoidi detti secondari ed infine possono extravasare e
migrare attraverso il tessuto connettivo lasso. Da quanto detto si evince
che le cellule che compongono il tessuto linfoide possono trovarsi nel
contesto di svariati tipi di tessuto connettivo. Questo perchè la loro
funzione non è quella tipica del tessuto connettivo (cioè trofica e di
sostegno) bensì quella di difendere l’organismo dall’attacco dei più
disparati agenti patogeni. Questa funzione rende necessaria la capacità
di ricircolare in tutti i distretti corporei e di raggiungere le zone dove è
presente il patogeno da contrastare.

I linfociti sono cellule generalmente piccole, occupate da un nucleo


centrale, rotondo, molto evidente, circondato da un sottile anello di
citoplasma. La caratteristica morfologica principale di queste cellule,
oltre alle piccole dimensioni, è sicuramente quella di essere molto
colorabili, indifferentemente dal metodo di colorazione usato. Per
svolgere adeguatamente la propria funzione i linfociti hanno la
caratteristica di essere molto mobili. Possiamo ritrovare queste cellule
isolate o, il più delle volte, aggregate in formazioni più o meno
organizzate.

Gli organi linfoidi si dividono in organi linfoidi primari e organi linfoidi


secondari.

Gli organi linfoidi primari sono, nell’uomo, il midollo osseo ed il timo,


nella vita fetale, il fegato e la milza. Negli uccelli è presente un organo
linfoide primario particolare, localizzato nell’intestino, chiamato Borsa di
Fabrizio. Gli organi linfoidi secondari sono la milza, i linfonodi, il
tessuto linfoide associato alle mucose (MALT: tonsille, placche di
Peyer, appendice cecale e altri raggruppamenti linfocitari sparsi nelle
mucose).

154
Negli organi linfoidi primari hanno luogo tutte le tappe differenziative
che, a partire dalle cellule staminali già orientate verso la linea linfoide,
portano alla produzione di linfociti vergini maturi (B nel midollo osseo; T
nel timo) (fase antigene indipendente).

Gli organi linfoidi secondari sono la sede in cui i linfociti svolgono le


loro funzioni dopo attivazione in seguito ad incontro con l’antigene (fase
antigene dipendente).

Abbiamo principalmente due tipi di linfociti:

i linfociti B che sono generati e maturano nel midollo osseo (negli uccelli
si generano e maturano nella borsa di Fabrizio, da qui il loro nome);

i linfociti T che sono generati nel midollo osseo ma che maturano nel
timo (da cui il loro nome)

E’ presente anche una terza classe di linfociti, inizialmente definiti non B


e non T perchè non riconducibili a caratteristiche fenotipiche proprie dei
linfociti B o T, definiti successivamente linfociti Natural Killer (NK).

Una volta ultimato il processo maturativo, i linfociti migrano verso gli


organi linfoidi secondari o periferici e cioè milza, linfonodi, tessuto
linfoide associato alle mucose (MALT) in modo da poter assolvere al loro
compito di riconoscimento e aggressione di agenti microbici. La milza,
oltre a svolgere una funzione immunitaria, ha anche una funzione
emocateretica, cioè di distruzione di globuli rossi immaturi o non
funzionali. Questo processo avviene nella polpa rossa.

Midollo osseo

Il midollo osseo, nell’uomo, è il principale organo emopoietico. Il midollo


osseo è formato da tessuto linfoide ed è chiamato così perchè alloggiato
nelle cavità interne delle ossa, sia lunghe che piatte. In condizioni
normali svolge una funzione primaria nella produzione, maturazione e
distruzione delle cellule del sangue. Il midollo osseo con funzione
ematopoietica viene detto midollo osseo rosso perchè, in vivo, a causa
della forte presenza di sangue ed eritrociti, appare di colore rosso vivo.

155
Il midollo osseo, all’inizio della vita fetale, compare dapprima nella
clavicola per poi diffondersi in tutte le altre ossa. Durante lo sviluppo
fetale e per un periodo di diversi anni abbiamo prevalentemente midollo
osseo rosso. Dopo lo sviluppo dell’individuo gran parte del midollo
perde le sue proprietà emopoietiche mentre aumenta la componente
adipocitaria e connettivale che fa cambiare il suo colore fino a diventare
bianco-giallino, abbiamo quindi il midollo osseo giallo. Questo fa sì che,
nell’adulto, la funzione emopoietica sia ristretta ad alcune zone della
diploe della volta cranica, dello sterno, delle coste, delle creste iliache e
alle parti centrali di alcune ossa brevi, dove è presente midollo osseo
rosso.

Nel midollo osseo riconosciamo:

il tessuto di supporto, formato da cellule connettivali, i reticolociti, che


con le loro fibre argirofile formano una fitta trama reticolare che sostiene
le cellule del tessuto emopoietico e forma un sistema reticolare
spugnoso che ne facilita il passaggio e la migrazione;

il comparto emopoietico, ricco di cellule a vario stadio di maturazione


(eritrociti, granulociti neutrofili, granulociti basofili, granulociti eosinofili,
linfociti, monociti, megacariociti, piastrine);

Figura 3.63 Striscio di


midollo osseo rosso
umano. E' evidente il
tessuto adiposo che, non
colorato, appare come un
insieme di cellule vuote.
Em-Eo 40x

156
il comparto vascolare, costituito da seni venosi o sinusoidi che, oltre ad
avere funzione trofica, permettono la costante migrazione nel torrente

Figura 3.64 Striscio di


midollo osseo umano a
più forte ingrandimento.
Isole di tessuto
emopoietico miste a
cellule adipose. Al centro
si nota una grossa cellula
con nucleo polilobato, il
megacariocita (freccia),
da cui originano le
piastrine mediante
gemmazione di porzioni
di citoplasma. Em-Eo
200x

circolatorio di eritrociti ed altri elementi figurati del sangue. Addossati ai

Figura 3.65 Midollo


osseo umano in situ.
Sezione longitudinale di
osso lungo con,
all'interno, midollo osseo
rosso, facilmente
riconoscibile per la
presenza di tessuto
emopoietico misto a
tessuto adiposo. Em-Eo
63x

157
sinusoidi troviamo i megacariociti, grosse cellule che per gemmazione e
distacco di parte del citoplasma producono le piastrine.

Figura 3.66 Midollo


osseo umano in situ a più
forte ingrandimento. Si
notano chiaramente sia
l'endostio che riveste il
tessuto osseo lamellare
compatto, sia due grossi
megacariociti, all'interno
del tessuto emopoietico.
Em-Eo 100x

E’ difficile ottenere preparati istologici di midollo osseo a causa


dell’estrema delicatezza intrinseca di questo tessuto. Dopo opportuna

Figura 3.67 Borsa di


Fabrizio, organo linfoide
primario presente solo
negli uccelli. Nonostante
abbia un aspetto
morfologico simile al
timo, la borsa di Fabrizio
produce linfociti B (Bursa,
da cui prendono il nome).
Ematossilina ferrica-Eo
63x

158
fissazione e decalcificazione del tessuto osseo si possono ottenere
sezioni al microtomo, oppure si possono ottenere discreti preparati per
schiacciamento o tramite strisci di frammenti di tessuto. Le colorazioni
più usate sono quelle tipiche del sangue Em-Eo o May Grumwald-
Giemsa. Figure 3.63-3.67)

Timo

Il timo è un organo situato davanti ai grossi vasi del cuore. E’ formato da


due lobi ed è caratterizzato morfologicamente da una spessa capsula da
cui si dipartono dei sepimenti connettivali che dividono l’organo in lobuli.
Ogni lobulo contiene una parte periferica, detta corticale, colorata più
intensamente e in cui i timociti sono più numerosi e fittamente stipati, e
una parte più chiara, detta midollare, posta centralmente, dove i timociti
sono meno numerosi e in cui si possono trovare formazioni
rotondeggianti denominate corpuscoli di Hassal. I corpuscoli di

Figura 3.68 Timo di


coniglio. Il timo è un
organo linfoide primario
popolato da timociti che
successivamente
maturano a linfociti. La
capsula connettivale
manda all'interno
sepimenti che dividono
l'organo in lobi, ognuno
contenente una corticale
esterna più scura e una
midollare interna meno
colorata. Em-Eo 63x

Hassal, o corpuscoli timici, sono formazioni rotondeggianti di circa


30-100 µm di diametro composti da cellule epiteliali midollari
degenerate, altamente cheratinizzate e accartocciate concentricamente
le une sulle altre. Per questo appaiono molto colorate con i coloranti
basofili (nell’Em-Eo, per esempio, in rosa intenso dall’eosina).

159
Il timo è estremamente attivo durante l’infanzia; a partire dalla pubertà
va incontro ad un processo di regressione che comporta una

Figura 3.69 Timo umano.


Sezione semifine di timo
con evidenti sepimenti
connettivali che dividono
l'organo in lobi. Em-Eo
63x

sostituzione dell’ordinata morfologia descritta con un’organizzazione via


via più confusa, ricca di tessuto connettivo e tessuto adiposo.
Nell’individuo adulto il timo si riduce a pochi frustoli di tessuto linfoide

Figura 3.70 Timo umano.


Nella midollare del timo
le cellule epiteliali
midollari possono
assumere un andamento
circolare cosi da formare
bulbi detti corpuscoli
timici o corpuscoli di
Hassal (frecce). Queste
cellule presentano
evidenti segni di
degenerazione. Em-Eo
200x

160
circondato da tessuto connettivo e adipociti. (Figure 3.68-3.71)

Figura 3.71 Timo di


uomo adulto in
regressione. La
morfologia del timo, dopo
la pubertà, si modifica
progressivamente fino a
diventare un insieme di
frustoli di tessuto linfoide
ricchi di tessuto adiposo
e tessuto connettivo
fibroso. Em-Eo 40x

Milza

La milza è un grosso organo linfoide localizzato nella cavità addominale,


a sinistra, sotto al muscolo diaframma. Essa è circondata da una spessa
capsula connettivale da cui si dipartono numerosi e spessi setti che, pur
addentrandosi profondamente nell’organo, non lo dividono in lobi e che
diventano progressivamente più piccoli fino a formare una sottilissima
trama reticolare che ne sostiene il parenchima. Le principali funzioni
della milza sono quelle di organizzare una risposta immunitaria verso
microbi che si trovano nel sangue (funzione linfopoietica, polpa bianca) e
di distruggere le emazie non funzionali o deteriorate (funzione
emocateretica, polpa rossa).

Il parenchima della milza viene suddiviso in polpa rossa e polpa bianca


con, interposta, la zona marginale, ricca di arterie e di macrofagi in
attività.

161
La polpa bianca è caratterizzata da noduli linfatici, formazioni ovoidali
composte da linfociti B, e da guaine periarteriolari composte, invece, da
linfociti T. L’arteriola risulta solitamente centrale rispetto al manicotto

Figura 3.72 Milza


umana. Si nota colorata
in azzurro la capsula
connettivale che avvolge
l'organo ed i sepimenti
che da questa si
proiettano a supportare,
insieme al connettivo
reticolare, il parenchima.
Azan-Mallory 40x

periarteriolare. In un preparato istologico la polpa bianca è facilmente


distinguibile per il colore più scuro, sia con l’Em-Eo che con le altre

Figura 3.73 Milza di


topo. Si nota, colorata in
rosa-arancio, la capsula
connettivale che manda
all'interno dll'organo
linfoide grossi sepimenti
connettivali (frecce nere).
Em-Eo 63x

162
Figura 3.74 Milza di
coniglio. Si notano i
manicotti periarteriolari
(tratteggiati) che formano
la polpa bianca della
milza, sia in sezione
trasversale che
longitudinale. Le frecce
indicano le arteriole
centrali in visione sia
trasversale che
longitudinale. Em-Eo 63x

colorazioni convenzionali a causa dell’alta affinità dei linfociti ai coloranti


acidofili.

La polpa rossa è costituita da una fitta rete di sinusoidi circondati da


cellule endoteliali, macrofagi e plasmacellule, ed è distribuita

Figura 3.75 Milza di


coniglio. Manicotto
periarteriolare in sezione
trasversale. Em-Eo 100x

163
uniformemente nell’organo. Al microscopio questa zona si riconosce
perchè più chiara, per la minor concentrazione di linfociti, e per la forte
presenza di vasi sanguigni. (Figure 3.72-3.76)

Figura 3.76 Milza


umana. Fibre reticolari
che circondano un
follicolo linfoide e un
capillare sanguifero.
Gomori 100x

Linfonodi

I linfonodi, in condizioni normali, sono piccoli organi ovoidali distribuiti


lungo i vasi linfatici. Il linfonodo è circondato da tessuto connettivo
denso capsulare che invia brevi sepimenti che si addentrano nel
parenchima linfonodale e, anche se di grosse dimensioni, sono corti e
molto raramente arrivano a lambire la midollare. Il parenchima è
costituito da accumuli di cellule linfatiche sostenute da uno stroma
formato da una fitta rete di tessuto connettivo reticolare ed è diviso in tre
zone, una zona corticale ricca di linfociti B, una zona paracorticale ricca
di linfociti T, una zona midollare, ricca di plasmacellule.

La zona corticale, più periferica, è situata subito al di sotto della capsula


connettivale ed è costituita da numerose formazioni ovalari dette follicoli.
Quando i follicoli presentano una morfologia costante e un colore

164
uniforme sono detti follicoli primari non attivati, quando invece,
presentano una parte centrale più chiara (il centro germinativo del
Fleming) circondata da una zona più scura (il mantello) vengono detti
follicoli secondari attivati.

Profondamente alla zona follicolare troviamo la zona paracorticale, ricca


di linfociti T stipati a formare una fitta rete in cui è molto raro trovare
qualche follicolo.

Figura 3.77 Linfonodo


umano. Si vedono due
grandi follicoli secondari
nella zona corticale di un
linfonodo. Al centro del
follicolo appare una zona
più chiara, il centro
germinativo del
Flemming, circondata da
una zona esterna più
scura, il mantello. Em-Eo
40x

Centralmente al linfonodo è situata la zona midollare, meno colorata


della corticale a causa della forte presenza di vasi e tessuto
connettivale. Qui i linfociti sono aggregati intorno ai cordoni midollari,
ramificati e tendenti ad anastomizzarsi fra di loro. Anche nella zona
midollare è presente una fitta rete di fibre reticolari che sostengono
adeguatamente il lasso parenchima dell’organo linfoide. I vasi sanguiferi
della midollare, in condizioni normali, sono di volume ridotto e poco
visibili.

I linfociti entrano nel linfonodo attraverso due vie: per mezzo dei vasi
linfatici afferenti se presenti nella linfa o per mezzo delle venule ad
endotelio alto (HEV) se presenti nel sangue.

165
La linfa entra nel linfonodo mediante vasi linfatici (collettori
prelinfonodali) che attraversano la capsula, si riversa nel seno

Figura 3.78 Linfonono


umano. La zona
paracorticale, posta
subito al di sotto della
zona corticale, appare
ricca di linfociti non
organizzati in follicoli.
Em-Eo 63x

sottocapsulare e da qui passa attraverso i seni midollari riversandosi


infine nel vaso linfatico (collettore postlinfonodale) che lascia l’organo

Figura 3.79 Linfonodo


umano. La zona
midollare è caratterizzata
dai cordoni midollari, in
rosa intenso, e da zone
più chiare i seni midollari.
Em-Eo 40x

166
attraverso l’ilo. La linfa che raggiunge il linfonodo può anche attraversare
direttamente il parenchima dell’organo per poi confluire nel collettore
postlinfonodale. Questo tipo di flusso della linfa attraverso il linfonodo
permette a cellule che hanno fagocitato l’antigene (ad esempio cellule
dendritiche) o a microbi liberi di fermarsi nel linfonodo e permettere
l’inizio di una risposta immune. (Figure 3.77-3.79)

Tessuto linfoide associato alle mucose (MALT)

Fanno parte del MALT formazioni quali le tonsille, le Placche di Peyer e


l’appendice vermiforme. I noduli linfatici presenti in queste formazioni
hanno un’organizzazione e una struttura stabile particolare e
caratteristica: sono parte integrante degli organi in cui sono immersi,
non hanno capsula connettivale che li delimita (ad eccezione di una
emicapsula presente ad esempio nelle tonsille palatine) ma hanno una
fitta trama di fibre reticolari che dà loro sostegno e la tipica forma ovale.
Il tessuto linfoide associato alle mucose è organizzato in follicoli che
possono essere primari o secondari a seconda che vi sia la presenza, o
meno, di un centro germinativo. Microscopicamente, le tonsille si
distinguono, oltre che per i numerosi follicoli che le compongono anche
per la presenza, sul margine libero, di un epitelio pavimentoso
stratificato tipico del primo tratto dell’apparato digerente (nelle tonsille
palatine) o di un epitelio pseudostratificato ciliato tipico dell’apparato
respiratorio (nella tonsilla faringea). Profondamente all’epitelio si può
distinguere una zona definita subepiteliale che si interpone tra l’epitelio e
i follicoli. L’appendice vermiforme, invece, è caratterizzata da un insieme
di follicoli linfatici che circondano un lume tappezzato da un epitelio
cilindrico semplice e dalla presenza di ghiandole tubulari semplici.

Inoltre, tutti i tessuti connettivi, specialmente quelli lassi posti subito al di


sotto degli epiteli, possono contenere ammassi linfocitari più o meno
sviluppati: Questi ammassi si possono riconoscere per la forte presenza
di piccole cellule molto colorate, i linfociti, e possono variare
notevolmente in volume a seconda del grado d’infiammazione del
tessuto ospitante. Gli ammassi linfoidi sono privi di follicoli, in generale
non possiedono un’organizzazione spaziale specifica e sono privi di
un’architettura stromale. (Figure 3.80-3.87)

167
Figura 3.80 Tonsilla
linguale umana. Porzione
di tonsilla linguale
facilmente distinguibile
per la presenza di un
nodulo linfatico e di una
ampia zona linfocitaria
subito al di sotto di un
epitelio pavimentoso
pluristratificato. Em-Eo
40x

Figura 3.81 Tonsilla


palatina umana. Al di
sotto di un epitelio
pavimentoso stratificato
si notano tre follicoli
linfoidi secondari con al
centro il centro
germinativo. Em-Eo 40x

168
Figura 3.82 Tonsilla
faringea umana. La
tonsilla faringea si
distingue da quelle
palatine perchè presenta
un epitelio
pseudostratificato ciliato
tipico della rinofaringe.
Em-E0 40x

Figura 3.83 Tonsilla


faringea umana a più
forte ingrandimento in cui
si evidenzia l'epitelio
pseudostratificato ciliato
della rinofaringe. Em-Eo
200x

169
Figura 3.84 Appendice
vermiforme umana. Si
notano le ghiandole
intestinali (tubulari
semplici), l'epitelio
cilindrico semplice con
cellule mucipare
caliciformi e il follicolo
linfatico. Em-Eo 40x

Figura 3.85 Colon umano. Nodulo


linfatico, sezione trasversale. Em-Eo 40x

170
Figura 3.86 Colon
umano. Nodulo linfatico.
Em-Eo 40x

Figura 3.87 Appendice


vermiforme umana. Em-
Eo 40x

171
Infiltrazioni linfocitarie

In condizioni patologiche è possibile evidenziare nel contesto degli


organi la presenza di infiltrati linfocitari richiamati da stimoli

Figura 3.88 Polmone di


delfino. Infiltrati linfocitari
in un polmone
chiaramente positivi per
Bcl2 (proteina che
promuove la
sopravvivenza cellulare
attraverso l'inibizione
della apoptosi). DAB-Em
100x

infiammatori. (Figure 3.88-3.94)

Figura 3.89 Polmone di


delfino a più forte
ingrandimento. Infiltrato
linfocitario e macrofagi in
una infezione polmonare.
Sia i linfociti che i
macrofagi (frecce) sono
chiaramente positivi per
Bcl2 (precipitato
marrone). DAB- Em 200x

172
Figura 3.90 Polmone di
delfino. Forte infiltrato
linfocitario in un bronco
polmonare Azan- Mallory
100x

Figura 3.91 Cute umana.


Infiltrato linfocitario nel
derma sottocutaneo in
paziente affetto da
psoriasi. Alcian Blu-Em
100x

173
Figura 3.92 Cute umana.
Infiltrato linfocitario in
paziente affetto da Lupus
Eritematoso. Alcian Blu-
Em 100x

Figura 3.93 Rene di


topo. Forte infiltrato
linfocitario presente nella
zona corticale ed in
particolare nei glomeruli
renali. Em-Eo 40x

174
Figura 3.94 Vescica
urinaria umana, trigono.
Infiltrato linfoide subito al
di sotto dell'urotelio. Em-
Eo 40x

Il sangue

Il sangue è un liquido di un caratteristico colore rosso, che circola in un


sistema chiuso di canali: i vasi sanguigni. E’ di provenienza
mesenchimale ed è formato da una parte corpuscolata (eritrociti,
leucociti e piastrine ) e da una liquida: il plasma. La funzione principale
del sangue, oltre a mediare il trasporto di ormoni, è quello di veicolare
l’ossigeno alle singole cellule che formano i tessuti. I globuli bianchi, o
leucociti, si trovano comunemente, oltre che nel sangue, anche nel
tessuto connettivo dove, invece di avere una forma più o meno
rotondeggiante, assumono un aspetto ameboide. Solo eritrociti e
piastrine svolgono i loro compiti interamente all’interno del sistema
vascolare. (Figure 3.95-3.103)

Eritrociti

Gli eritrociti sono piccole cellule ricche di emoglobina che conferisce


loro il colore rosso. La loro principale funzione è quella di catturare

175
Figura 3.95 Striscio di
sangue umano. Gli
eritrociti sono colorati in
rosa. La colorazione più
tenue della parte centrale
degli eritrociti è dovuta
alla conformazione
biconcava tipica di
queste cellule. I
frammenti di cellula più
scuri sono piastrine. Em-
Eo 400x

l’ossigeno nei polmoni e veicolarlo ai vari tessuti. Durante il processo di


maturazione, nel midollo osseo, perdono ogni proprietà DNA-dipendente

Figura 3.96 Striscio di


sangue di rana. Si notino
gli eritrociti nucleati e, al
centro, un eosinofilo. Em-
Eo 400x

e quindi il nucleo regredisce fino a scomparire. Nei pesci, nei rettili e


negli uccelli il nucleo degli eritrociti è ancora presente. La ridotta

176
dimensione dei globuli rossi permette loro di raggiungere anche i
capillari più periferici, mentre la caratteristica forma biconcava fa sì che
queste cellule abbiano, a parità di dimensione, una maggiore superficie
di scambio.

Piastrine

Le piastrine hanno origine nel midollo osseo per gemmazione di piccole


parti di citoplasma di grosse cellule chiamate megacariociti. Sono,
quindi, piccoli corpuscoli di forma rotondeggiante o vagamente
allungata, privi di nucleo e visibili al microscopio ottico solo a forte
ingrandimento, perchè di dimensioni molto più ridotte degli altri elementi
figurati del sangue, eritrociti compresi. Le piastrine prendono parte al
processo di coagulazione, essenziale per limitare le emorragie.

Leucociti

Sono cellule con un nucleo ben evidente che nel sangue hanno una
forma arrotondata, nel connettivo, invece, assumono un aspetto
ameboide. Esistono cinque tipi di leucociti che sono classificati in base
alla presenza o meno di granuli citoplasmatici (granulari e agranulari ) e
alla forma del nucleo (leucociti monomorfonucleati o leucociti
polimorfonucleati ).

I leucociti granulari, o polimorfonucleati, si dividono in base alle


caratteristiche tintoriali dei granuli citoplasmatici in basofili, eosinofili e
neutrofili.

I leucociti agranulari, o monomorfonucleati, si distinguono in base alle


dimensioni e alla forma del nucleo in linfociti e monociti.

Neutrofili

Sono i leucociti più numerosi, circa il 50-70% del totale. Al microscopio


ottico si riconoscono per la forma del nucleo che presenta tre o più lobi
collegati da sottili ponti cromatinici. Sono stati anche descritti nuclei
bilobati ma, per lo meno nel sangue, sono molto rari. Il numero dei lobi

177
Figura 3.97 Striscio di
sangue umano. Al centro
è presente un leucocita
granulare (neutrofilo) con
nucleo polilobato. Em-Eo
400x

dipende dall’età della cellula, più la lobatura è numerosa più la cellula è


vecchia, da questo si può risalire facilmente ad una maggiore o miniore
capacità rigenerativa del tessuto emopoietico. Nel 3% circa di questo
tipo di cellule si può riconoscere una piccola protuberanza nucleare a
forma di bacchetta di tamburo detta corpo di Barr indicatrice del sesso
femminile del soggetto. I granuli dei neutrofili, anche se ben visibili,
tendenzialmente sono molto poco colorati, da qui il loro nome. I
neutrofili sono dotati di capacità fagocitaria e intervengono nella difesa
dell’organismo contro le invasioni batteriche migrando attraverso le
cellule endoteliali e penetrando nel connettivo dove possono espletare
al meglio il loro compito. Nel corso di un’infezione batterica viene
stimolata la produzione di questi leucociti che aumentano di numero.

Eosinofili

Sono facilmente riconoscibili per i loro granuli specifici colorati


intensamente dall’eosina e dai coloranti acidi in generale. Il nucleo di
queste cellule è sempre bilobato e connesso da un sottile istmo. In
genere nel sangue rappresentano il 2-4% dei leucociti circolanti, ma
aumentano notevolmente di numero nel corso di allergie, parassitosi,
condizioni infiammatorie e malattie neoplastiche.

178
Figura 3.98 Striscio di
sangue umano.
Leucocita granulare
basofilo (granulocita
basofilo) riconoscibile per
la grossolana
granulazione
citoplasmatica colorata
dall'emallume (colorante
basico) in viola intenso. Il
nucleo è nascosto dalla
granulazione basofila.
Em-Eo 400x

Basofili

Si riconoscono per la forte granulazione basofila del citoplasma che, con


l’ematossilina, assume un acceso colore violetto che, di conseguenza,

Figura 3.99 Striscio di


sangue umano.
Leucocita granulare
eosinofilo (granulocita
eosinofilo) con evidente
granulazione rosa
intensa e un nucleo
generalmente bilobato.
Em-Eo 400x

179
tende a nascondere il nucleo a forma di U o di S. Sono circa lo 0,5-1%
dei leucociti circolanti. I grossi granuli basofili, contenenti eparina e
istamina, sono ricchi di lisosomi che, a differenza di eosinofili e neutrofili,
rilasciano il loro contenuto all’esterno e non nei vacuoli fagocitati.

Figura 3.100 Striscio di


sangue umano.
Leucocita agranulare
(monocita) con nucleo a
forma di rene e il
citoplasma privo di
granulazione. Em-Eo
400x

Intervengono sia nelle reazioni infiammatorie classiche sia nelle reazioni


allergiche.

Linfociti

La maggior parte dei linfociti circolanti nel sangue si presentano sotto


forma di piccole cellule rotondeggianti, molto colorate e con il nucleo
che occupa gran parte della cellula, lasciando al citoplasma solo un
sottile anello periferico. Queste cellule rappresentano, nel sangue, il
20-40% di tutti i leucociti circolanti. Morfologicamente i linfociti T , i
linfociti B e i linfociti NK non sono distinguibili fra di loro.

Monociti

I monociti rappresentano il 3-8% dei linfociti circolanti nel sangue. Sono


molto grandi e hanno un nucleo ben evidente dotato di una lobatura

180
accentuata dall’età della cellula, così da avere un aspetto che và dal
rene al ferro di cavallo. Il citoplasma è privo di granuli visibili al
microscopio ottico anche se ricco di lisosomi primari. Di passaggio nel

Figura 3.101 Striscio di


sangue umano. Piccolo
leucocita agranulare
(linfocita) con nucleo
tondo molto grande, privo
di lobature, che occupa
circa il 90% della cellula,
lasciando al citoplasma
una piccolissima
porzione periferica. Em-
Eo 400x

sangue, migrano nel connettivo dove diventano macrofagi o cellule


dendritiche.

Figura 3.102 Striscio di


sangue umano. In alto è
visibile un granulocita
basofilo, in basso un
monocita. Em-Eo 400x

181
Figura 3.103 Striscio di
sangue umano. Sono
visibili in alto un
granulocita basofilo e in
basso un linfocita. Em-Eo
400x

182
4
Tessuto muscolare Tessuto muscolare scheletrico,
tessuto muscolare striato cardiaco,
tessuto muscolare liscio

Il tessuto muscolare è un tessuto che si è specializzato nel generare


movimento mediante la contrazione delle sue cellule. Al variare delle
funzioni cui è deputato variano anche la sua morfologia e la sua
struttura. Abbiamo così tre tipi di tessuto muscolare:

๏ il tessuto muscolare striato scheletrico,

183
๏ il tessuto muscolare striato cardiaco,

๏ il tessuto muscolare liscio.

184
Tessuto muscolare striato scheletrico

Il tessuto muscolare striato scheletrico si forma, durante la vita


embrionale, dalla fusione di numerosi mioblasti a formare un
miotubo, le cellule cioè formano un sincizio cellulare di forma
cilindrica allungata che prende il nome di fibra muscolare. La

singola fibra muscolare è caratterizzata da strie trasversali che


formano bande caratteristiche, più chiare o più scure, visibili al

Figura 4.1 Muscolo


striato scheletrico umano.
Si notano la disposizione
parallela delle fibre
muscolari striate e la
posizione periferica dei
nuclei. Em-Eo 40x

185
Figura 4.2 Muscolo
striato scheletrico umano
a più forte ingrandimento.
Si distinguono: i sottili
sepimenti connettivali
che circondano le singole
fibre muscolari
(endomisio), i nuclei
fortemente allungati e
posizionati
perifericamente e le strie
trasversali. Em-Eo 200x

microscopio ottico. I nuclei sono estremamente allungati e periferici.


Ogni fibra muscolare è avvolta da un delicato strato di connettivo
reticolare detto endomisio. Le fibre sono organizzate in gruppi a
formare fasci avvolti da tessuto connettivo: il perimisio. A loro

Figura 4.3 Muscolo


striato scheletrico umano.
Si nota l'organizzazione
in fascetti del tessuto
muscolare
scheletrico.Ematossilina
Ferrica 63x

186
Figura 4.4 Muscolo
striato umano a più forte
ingrandimento. Sono
chiare le strie trasversali
che caratterizzano le
fibre, sono visibili anche
alcuni nuclei che
appaiono allungati e
periferici. Ematossilina
Ferrica 200x

volta i fasci di fibre muscolari si organizzano a formare i singoli


muscoli che sono avvolti da tessuto connettivo detto epimisio.
Questa organizzazione permette al muscolo striato di potersi

Figura 4.5 Lingua di


coniglio. Fibre muscolari
striate scheletriche in
sezione sia longitudinale
che trasversale. Ignesti
100x

187
contrarre e allungare velocemente senza danni. La contrazione di
questo tipo di muscolatura è generalmente volontaria.

Figura 4.6 Lingua di


coniglio. Tessuto
muscolare striato
scheletrico a più forte
ingrandimento. Ignesti
200x

Figura 4.7 Tessuto


muscolare striato
scheletrico umano. E'
evidente l'organizzazione
del tessuto muscolare
striato scheletrico: nuclei
allungati e periferici,
organizzazione in
fascetti. Em-Eo 100x

188
Figura 4.8 Lingua
umana. Tessuto
muscolare striato
scheletrico. Tricromica di
Mallory 200x

189
Tessuto muscolare striato cardiaco

Le cellule che compongono il tessuto muscolare striato cardiaco


prendono il nome di miocardiociti, hanno forma cilindrica (a volte
biforcata a ipsilon) e dimensioni di 85-100 µm in lunghezza e 15 µm
in larghezza, presentano strie trasversali ben visibili (come nel
muscolo striato scheletrico) ed un nucleo centrale e ben evidente
(come nel tessuto muscolare liscio). Una caratteristica peculiare del
tessuto muscolare cardiaco è la presenza di dispositivi specializzati
per la giunzione tra cellula e cellula: i dischi intercalari. Nei dischi
intercalari sono presenti “gap junctions” che permettono di
accoppiare elettricamente i miocardiociti permettendo loro una
contrazione simultanea.

190
Figura 4.9 Tessuto
muscolare striato
cardiaco umano. Visione
d'insieme. Nonostante il
piccolo ingrandimento si
notano alcune
caratteristiche tipiche di
questo tessuto: il
miocardiocita presenta
un nucleo posto
centralmente ed un
andamento irregolare.
Em-Eo 63x

Figura 4.10 Tessuto


muscolare striato
cardiaco umano a più
forte ingrandimento. Si
notano chiaramente i
nuclei centrali e
l'andamento dei
miocardiociti che, dopo
un breve percorso
rettilineo, si biforcano e
deviano lateralmente
anastomizzandosi con i
miocardiociti adiacenti
(frecce). Le strie e i dischi
intercalari con questa
colorazione
convenzionale non sono
visibili in maniera chiara.
Em-Eo 200x

191
Figura 4.11 Tessuto
muscolare striato
cardiaco umano.
Utilizzando una
colorazione elettiva per le
listarelle di chiusura e per
i contorni cellulari si
mettono in evidenza sia
le strie che i dischi
intercalari. Ematossilina
Ferrica 100x

Figura 4.12 Tessuto


muscolare striato
cardiaco umano a forte
ingrandimento in cui
appare evidente, al
centro dell'immagine, un
disco intercalare
(freccia). Ematossilina
ferrica 400x

192
Figura 4.13 Tessuto
muscolare striato
cardiaco umano. Sezione
semifine di muscolo
cardiaco in cui sono
facilmente distinguibili sia
le strie trasversali, che i
dischi intercalari, posti
come sistema di
congiunzione cellula-
cellula. Em-Eo 100x

Figura 4.14 Tessuto


striato cardiaco umano.
Le fibre del Purkinje
(miocardio specifico),
appaiono grandi,
globose, con uno o due
nuclei e ricche di
mitocondri e glicogeno,
sono particolarmente
evidenti all'interno
dell'area tratteggiata.
Queste caratteristiche le
fanno apparire al
microscopio ottico più
chiare e più grandi
rispetto alle classiche
fibre cardiache. Azan-
Mallory 63x

193
Tseeuto muscolare liscio

Il tessuto muscolare liscio è formato da singole cellule lunghe da 20


µm a 0,5 mm con un nucleo ovale centrale ben evidente. Il muscolo
liscio è sotto il controllo del sistema nervoso autonomo e
dell’apparato endocrino. Il tessuto muscolare liscio genera due tipi
di contrazione, una “ritmica”, in cui si rilevano impulsi periodici che
si diffondono a tutto il tessuto, e una “tonica”, che dà alle pareti
viscerali uno stato di contrazione parziale detto “tono muscolare”.
Le fibrocellule muscolari liscie, a seconda della loro funzione,
assumono una posizione spaziale diversa. Nei vasi hanno un
andamento circolare, così da creare un insieme di anelli che
possono facilitare il movimento ritmico. Nei visceri e nei grossi
organi cavi, invece, le fibrocellule muscolari liscie ,assumono,
generalmente, un andamento circolare, più interno, e uno,

ortogonale rispetto al primo, a disposizione longitudinale, più


esterno. Questa organizzazione permette una maggiore tenuta dei
visceri e facilita il movimento del contenuto viscerale nel suo
percorso, grazie ai movimenti peristaltici della parete. In alcuni
organi cavi, come la vescica urinaria e l’utero, le lamine muscolari
assumono un andamento meno regolare e formano un fitto intreccio
così da avere, oltre alla funzione di supporto e di contrazione tipica
di ogni tessuto muscolare, anche il compito di facilitare l’estensione

194
Figura 4.15 Tuba uterina
umana. Muscolatura
liscia plessiforme della
tuba uterina. Si nota
l'organizzazione spaziale
disordinata delle lamine
di muscolatura liscia. Em-
Eo 63x

nello spazio e quindi di aumentare la capacità di contenimento


dell’organo stesso. Questo tipo di tessuto muscolare è detto
“plessiforme”.

Figura 4.16 Tuba uterina


umana a più forte
ingrandimento. Si notano
le caratteristiche
specifiche delle
fibrocellule muscolari
lisce: sono allungate, con
un nucleo ovale centrale
ben evidente (sia in
sezione trasversale che
longitudinale), non sono
organizzate in fascetti
regolari e mancano di
strie trasversali. Em-Eo
100x

195
Figura 4.17 T Tonaca
muscolare di intestino
umano. Sono evidenti
fibrocellule muscolari
lisce a sezione
longitudinale e
trasversale. I nuclei
appaiono centrali rispetto
alla fibrocellula
muscolare in entrambi i
casi. Questa disposizione
in due strati muscolari
uno circolare e l'altro
longitudinale è tipica
della tonaca muscolare di
gran parte degli organi
cavi. Em-Eo 100x

Figura 4.18 Tonaca


muscolare di intestino
umano a forte
ingrandimento. Sezione
longitudinale di
muscolatura liscia. Sono
evidenti i nuclei in
posizione centrale e la
totale assenza di strie
trasversali. Em-Eo 400x

196
Figura 4.19 Tonaca
muscolare di intestino
umano. Sezione
trasversale di muscolo
liscio. Nelle fibrocellule è
ben evidente la posizione
centrale del nucleo. Em-
Eo 400x

Figura 4.20 Intestino di


topo. Sono evidenti i due
strati di tessuto
muscolare liscio presenti
nella tonaca muscolare,
uno circolare interno e
uno longitudinale
esterno. Azan-Mallory
63x

197
Figura 4.21 Intestino di
topo in sezione
trasversale a più forte
ingrandimento. Si notano
chiaramente i due strati
di tessuto muscolare,
circolare interno e
longitudinale esterno,
adatti a permettere i
movimenti peristaltici
tipici dell'intestino.
Tricromica di Mallory
100x

Figura 4.22 T Vena


umana. Tonaca media di
una grossa vena
composta
prevalentemente da
tessuto muscolare liscio.
Em-Eo 40x

198
5
Tessuto nervoso Il neurone, le cellule della neuroglia, i
gangli. il sistema recettoriale

Il tessuto nervoso ha la funzione di ricevere, elaborare e trasmettere


gli impulsi. Costituisce il Sistema Nervoso a sua volta organizzato in
Sistema Nervoso Centrale (SNC), che comprende encefalo e midollo
spinale e in Sistema Nervoso Periferico (SNP), formato dai gangli e
dai nervi spinali ed encefalici.

199
L’unità funzionale del tessuto nervoso è una cellula altamente
specializzata che presenta una precisa architettura e la capacità di
poter essere eccitata e trasmettere impulsi: il neurone. Il neurone è
coadiuvato nelle sua funzioni da altre tipi cellulari che nel loro
insieme prendono il nome di neuroglia (nevroglia) o semplicemente
glia. Il rapporto numerico neuroni-cellule della glia è di circa 1 a 10.

200
Il neurone

Ciascun neurone è formato da un corpo cellulare, detto pirenoforo o


soma, comprendente nucleo e ciptoplasma (pericarion) da cui si
dipartono uno o più processi citoplasmatici atti alla ricezione di impulsi, i

dendriti, ed un solo prolungamento citoplasmatico deputato alla


trasmissione di impulsi: l’assone. Nel pirenoforo troviamo il nucleo, i
diversi organelli citoplasmatici e abbondanti ribosomi associati al
reticolo endoplasmatico rugoso a formare aggregati che, al microscopio
ottico, sono evidenziabili come granuli di natura basofila, detti
complessivamente sostanza tigroide del Nissl. I dendriti sono sottili e
molto ramificati e possono presentare protuberanze dette spine o
gemme. Gli assoni sono più grandi e lunghi dei dendriti, originano dal
pirenoforo a livello del cono o monticello assonico e si possono
ramificare ripetutamente, ciascuna ramificazione termina con un
rigonfiamento a forma di bottone: la terminazione sinaptica o bottone
sinaptico. Le terminazioni sinaptiche possono prendere contatto sia con
altri neuroni sia con organi effettori. Nel primo caso le terminazioni
sinaptiche sono classificate in base alla regione neuronale con cui
prendono contatto. Abbiamo così terminazioni sinaptiche
assosomatiche, assodendritiche, assospinose e assoassoniche.

201
I neuroni, a seconda del numero di dendriti, si possono dividere in:

๏ neuroni unipolari: sono presenti nella vita fetale. Sono sprovvisti di


dendrite e il solo prolungamento, centrale al pirenoforo, funziona da
assone.

๏ neuroni pseudounipolari: sono neuroni con il pirenoforo a forma di


goccia, dotati di un solo prolungamento che, successivamente, si
divide a T formando, così, un assone e un dendrite. Tipico esempio
sono i neuroni dei gangli sensitivi spinali e dei gangli sensitivi dei nervi
encefalici.

๏ neuroni bipolari: il loro pirenoforo ha forma ellittica con due


prolungamenti, l’assone e il dendrite, posti ai poli della cellula. Li
troviamo nel ganglio spirale, nel ganglio vestibolare, nell’epitelio
olfattivo e nella retina.

๏ neuroni multipolari: sono di forma poliedrica proprio perchè dal


pirenoforo si dipartono un assone e due o più dendriti.
Rappresentano il tipo di neurone più comune presente nel tessuto
nervoso.

202
Figura 5.1 Telencefalo di
maiale. Neuroni
piramidali della corteccia
telencefalica (o
cerebrale). Golgi -Cox
63x

Figura 5.2 Telencefalo di


maiale a più forte
ingrandimento. Si notano
chiaramente le cellule
piramidali e alcune fibre
nervose. Golgi-Cox 100x

203
Figura 5.3 Tronco
encefalico umano.
Neuroni multipolari nel
midollo allungato. Nei
pirenofori dei neuroni si
nota chiaramente la zona
tigroide del Nissle. I
nuclei più piccoli e
rotondi sono delle cellule
della neuroglia. Nissle
200x

Figura 5.4 Telencefalo


umano. Neurone
multipolare della
corteccia telencefalica.
Cajal 200x

204
Figura 5.5 Tronco
encefalico umano, ponte.
Neuroni multipolari della
zona nigrosum tagliati
trasversalmente. Em-Eo
63x

Figura 5.6 Cervelletto di


topo. Cellule ottenute
dopo colorazione e
macerazione del tessuto.
Il preparato è stato
allestito per
schiacciamento di una
sezione molto spessa.
Visione in toto delle
cellule del Purkinje.
Golgi-Cox 63x

205
Figura 5.7 Cervelletto di
topo a più forte
ingrandimento. Visione in
toto delle cellule del
Purkinje. Golgi-Cox 100x

Figura 5.8 Cervelletto


umano. Cellule del
Purkinje a forte
ingrandimento colorate
su una sezione di tessuto
più spessa. Si noti come,
grazie al maggior
spessore del preparato,
la forte arborizzazione
dendritica sia più
evidente. Golgi 200x

206
Figura 5.9 Midollo
spinale di gatto. Sezione
trasversale in cui si
apprezzano: al centro il
canale ependimale e la
sostanza grigia ricca di
neuroni multipolari, in
periferia la sostanza
bianca con le fibre
nervose. Bielschowsky
63x

Figura 5.10 Midollo


spinale di gatto a più
forte ingrandimento. Si
notano i motoneuroni o
cellule radicolari (neuroni
multipolari) presenti nelle
corna anteriori del
midollo spinale.
Bielschowsky 200x

207
Le cellule della neuroglia

Le cellule della neuroglia sono molto più numerose dei neuroni e,


contrariamente ai neuroni, mantengono generalmente la capacità di
proliferare. Esse hanno funzione di supporto e cooperazione nelle
funzioni neuronali. Ne SNC abbiamo oligodendrociti, astrociti, microglia,
cellule ependimali, nel SNP cellule di Schwann e cellule satelliti.

Oligodendrociti e cellule di Schwann: il processo di mielinizzazione


delle fibre

Gli oligodendrociti e le cellule di Schwann si occupano di formare la


mielina rispettivamente nel SNC e nel SNP. La mielina è un rivestimento
formato dall’arrotolamento della membrana dell’oligodendrocita o della
cellula di Schwann attorno ad un tratto di assone. Più tratti successivi
del rivestimento fanno sì che l’assone sia ricoperto di mielina per tutta la
sua lunghezza. Abbiamo in questo modo diversi tipi di fibre.

Fibre mieliniche: si possono trovare sia nel SNC che nel SNP. Nel SNC
ogni oligodendrocita può avvolgere un tratto di più assoni mentre nel
SNP ogni tratto dell’assone è avvolto da una singola cellula di Schwann.

Ogni cellula di Schwann riveste un singolo tratto di assone, quindi ogni


assone risulta rivestito da più cellule di Schwann una di seguito all’altra:
gli spazi tra le diverse cellule di Schwann sono definiti nodi di Ranvier,
essi rendono la conduzione dell’impulso di tipo saltatorio. Lo stesso tipo
di organizzazione della mielina è presente anche nel SNC
(oligodendrociti).

Fibre amieliniche: in questo tipo di fibre gli assoni non sono avvolti da
guaina mielinica, ma più assoni sono sprofondati nel citoplasma di
cellule di Schwann. Nell’uomo troviamo questo tipo di fibre soprattutto
nel Sistema Nervoso Autonomo.

208
Fibre nude: quando le fibre nervose non sono avvolte da alcun tipo di
rivestimento. Le troviamo all’origine dell’assone dal pirenoforo, nel SNC
dove sono circondate da astrociti e in terminazioni nervose libere.

Al microscopio ottico le fibre nervose, se non viene effettuata una


colorazione elettiva, appaiono poco colorate e con un andamento
tipicamente sinuosoidale molto accentuato.

Astrociti

Gli astrociti sono presenti nel SNC dove rappresentano il maggior


supporto fisico ai neuroni e, tra le varie funzioni svolte, contribuiscono a
determinare la barriera emato-encefalica. Hanno una forma stellata con
diversi prolungamenti che terminano con dei pedicelli. Gli astrociti sono
divisi in due categorie: gli astrociti fibrosi che si trovano prevalentemente
nella sostanza bianca ed hanno pochi e lunghi prolungamenti
citoplasmatici e gli astrociti protoplasmatici che si trovano
prevalentemente nella sostanza grigia ed hanno corti prolungamenti
citoplasmatici ramificati.

Cellule della microglia

Sono cellule di derivazione mesodermica la cui principale funzione è


quella fagocitaria, per questo sono interpretate come componente per la
protezione immunitaria del SNC.

Cellule ependimali

Le cellule ependimali rivestono i ventricoli cerebrali ed il canale


ependimale (ependima tipico) ed i plessi corioidei (ependima atipico).

L’ependima atipico è un epitelio cubico-cilindrico, che riveste le cavità


dei ventricoli cerebrali ed il canale centrale del midollo spinale (canale
ependimale). A differenza di tutti gli altri epiteli le cellule ependimali non
poggiano su di un amembrana basale, ma hanno alla base sottili
ramificazioni che si intersecano con quelle degli astrociti sottostanti. A
livello apicale queste cellule presentano ciglia.

209
Figura 5.11 Nervo
sciatico di topo, sezione
longitudinale. Preparato
ottenuto per
dissociazione (cioè
separazione dagli altri
tessuti). Le fibre nervose,
generalmente poco
colorate, hanno il
classico andamento
sinusoidale. I nuclei che
si vedono sono quelli
delle cellule di Schwann.
Em-Eo 100x

L’ependima atipico è costituito da cellule dell’ependima strutturalmente


modificate e specializzate in attività secernenti e che rivestono i plessi
corioidei. Le cellule dell’ependima atipico, a differenza da quelle

Figura 5.12 Nervo


umano. Fasci nervosi
(funicoli) tagliati
trasversalmente e
separati da sottile tessuto
connettivo, il perinevrio
(freccia). Gli spazi vuoti
attorno alle cellule sono
artefatti della
preparazione dovuti alla
forte componente lipidica
delle guaine mieliniche.
Em-Eo 100x

210
dell’ependima tipico, sono cilindriche, poggiano su di una membrana
basale e presentano apicalmente numerosi microvilli. Sono coinvolte
nella produzione del liquido cerebrospinale (o cefalorachidiano o

Figura 5.13 Ganglio


spinale umano. Fibre
nervose che si dipartono
da un ganglio spinale.
Golgi 100x

liquor).

Figura 5.14 Nervo ottico


di topo. Si nota
l'andamento ondulato
delle fibre che
compongono il nervo
ottico. HRP DAB 63x

211
Figura 5.15 Surrene
umano. Piccoli fasci
nervosi e singole fibrille
nella midollare del
surrene, colorati in nero
da una colorazione
elettiva per le fibre
nervose. Bielschowsky
100x

Figura 5.16 Terminazioni


neuromuscolari di rana.
Colorazione elettiva per
le terminazioni nervose.
Si nota un fascio nervoso
che termina con placche
aderenti alle fibre
muscolari (placche
motrici) trasmettendo
così l'impulso per la
contrazione muscolare.
Ruffini 63x

212
Figura 5.17 Terminazioni
neuromuscolari di rana a
più forte ingrandimento.
Si nota chiaramente
l'espansione a forma di
bottone della
terminazione nervosa
(placca motrice) sulle
fibre muscolati striate.
Ruffini 200x

Figura 5.18 Plessi


corioidei con numerose
calcificazioni. Si
osservino i numerosi vasi
sanguiferi presenti
(frecce). Em-Eo 40x

213
I gangli

Lungo il decorso delle fibre nervose periferiche si formano dei


raggruppamenti di neuroni definiti gangli. Essi possono presentare
una capsula connettivale.

I gangli possono essere suddivisi in:

Gangli sensitivi spinali e dei nervi encefalici. I gangli sensitivi


spinali hanno una forma ovale, sono relativamente grandi e sono
rivestiti da una spessa capsula connettivale. Sono distribuiti ai lati
del midollo spinale a livello della radice posteriore del nervo spinale.
Al loro interno troviamo neuroni pseudounipolari distribuiti, per lo
più, in periferia poichè il centro del ganglio è occupato da un fitto
groviglio di fibre nervose che si dipartono dai neuroni
pseudounopolari stessi. I corpi cellulari dei neuroni pseudounipolari
sono circondati quasi completamente da cellule satelliti che, in
connessione con le fibre reticolari provenienti dalla capsula
connettivale, provvedendo al sostegno dei neuroni. I gangli sensitivi
dei nervi encefalici sono anch’essi costituiti da neuroni
pseudounipolari circondati da cellule satelliti.

Gangli del sistema nervoso viscerale (sia ortosimpatico che


parasimpatico): sono generalmente più piccoli dei gangli sensitivi
cerebrospinali, sono formati da neuroni multipolari mescolati a fibre
in maniera uniforme, in questo modo non si generano zone
morfologicamente e topograficamente distinguibili. Proprio perchè
multipolari, i corpi cellulari dei neuroni non sono completamente
circondati da cellule satelliti che appaiono, perciò, scarse e non
facilmente visibili. Quando questi gangli sono formati da pochi

214
neuroni, sono all’interno di altri organi e sono privi di capsula
connettivale vengono detti “gangli intramurali”

Figura 5.19 Ganglio


spinale di embrione
umano. Ganglio spinale
alloggiato nella sua sede
naturale. Si notano i
neuroni gangliari
(pseudounipolari) e il
forte ammasso di fibre
nervose che fuoriesce dal
ganglio stesso a formare
la radice posteriore del
nervo. Golgi-Cox 63x

Figura 5.20 Ganglio


spinale di embrione
umano a più forte
ingrandimento. Un
grosso fascio di fibre
nervose si diparte dal
ganglio spostando i
neuroni in periferia e si
addentra nel midollo
spinale. Questa è una
delle caratteristiche
morfologiche che ci
permette di distinguere il
ganglio spinale da quelli
del sistema nervoso
autonomo. In questo tipo
di gangli, infatti, le cellule
gangliari sono
raggruppate in isole
separate da grossi fasci
di fibre o disposte alla
periferia del ganglio.
Golgi 100x

215
Figura 5.21 Ganglio
mesenterico umano. In
questo tipo di ganglio le
fibre sono meno
rappresentate rispetto al
ganglio spinale e sono
distribuite regolarmente
in tutto il ganglio ed i
neuroni presentano una
distribuzione uniforme.
Azan-Mallory 63x

Figura 5.22 Ganglio


mesenterico umano. I
gangli del sistema
nervoso autonomo
presentano una
distribuzione delle cellule
e delle fibre nervose
uniforme. Inoltre i neuroni
presenti in questi gangli
sono di tipo multipolare e
sono circondati in
maniera incompleta da
cellule satelliti. Azan-
Mallory 200x

216
Figura 5.23 Ganglio del
sistema nervoso
autonomo a forte
ingrandimento. Si noti la
scarsità di cellule satelliti
intorno ai neuroni. Em-Eo
200x

Figura 5.24 Pancreas di


topo. Piccolo ganglio del
sistema nervoso
autonomo
(parasimpatico)
incastonato nel tessuto
connettivo del pancreas.
Em-Eo 100x

217
Il sistema recettoriale

Il nostro organismo presenta sistemi recettoriali che gli permettono


di ottenere informazioni relative all’ambiente che lo circonda. Questi
sistemi recettoriali possono essere di tipo speciale (come vista,
udito, equilibrio, gusto e olfatto) o di tipo generale, che raccolgono
informazioni diverse (ad esempio termiche e tattili). Le cellule
recettoriali sensitive che compongono questi sistemi possone
essere divisi in esterocettori, propriocettori e enterocettori (o
interocettori) a seconda che raccolgano informazioni rispettivamente
dall’ambiente esterno, da muscoli o tendini e legamenti e dai visceri.
Un altro sistema, più recente, di classificazione dei recettori si basa
sullo stimolo necessario alla loro attivazione (detto stimolo
adeguato). Questa classificazione divide i recettori in chemocettori,
fotocettori, termocettori e meccanocettori. E’ presente un ulteriore
gruppo con caratteristiche peculiari, sia dal punto di vista dello
stimolo adeguato che delle modalità di risposta allo stimolo stesso,
il gruppo dei recettori per il dolore, definiti nocicettori.

I recettori somatosensitivi comprendono terminazioni nervose libere


e terminazioni nervose incapsulate.

Le terminazioni nervose libere sono formate da sottili fibre che,


avendo perduta la guaina mielinica, si disperdono nel tessuto
epiteliale o in quello connettivale dei vari organi. Sull’apice hanno
espansioni bottoniformi atte a ricevere gli stimoli che possono
essere di varia natura.

Le terminazioni nervose incapsulate sono circondate da tessuto


connettivo lamellare e sono di morfologia molto variabile. Le più
diffuse sono i Corpuscoli di Pacini, di Meissner o quelle di Golgi-

218
Mazzone. Sono organizzate in modo che, alla terminazione nervosa
libera, sia associato un sistema di lamelle connettivali, per lo più
concentriche, atte ad amplificare lo stimolo.

Il tessuto nervoso, sia per la sua struttura sia per il fatto che,
generalmente, è compenetrato in organi di diversa natura, è molto
difficile da evidenziare con colorazioni istologiche convenzionali. Si
devono perciò usare fissativi particolari e colorazioni elettive per il
tessuto nervoso di difficile esecuzione e riuscita mai certa.
Generalmente si tende a colorare piccoli pezzi di tessuto in toto, per
poi includerli e tagliarli in sezioni molto spesse così da poter seguire,
almeno per un certo tratto, il decorso delle fibre.

Figura 5.25 Corpuscolo


di Pacini. Sezione
trasversale. La
terminazione nervosa,
posta al centro del
corpuscolo percepisce lo
stimolo vibratorio
amplificato dal connettivo
lasso lamellare che la
circonda. Em-Eo 100x

219
Figura 5.26 Corpuscolo
di Pacini a più forte
ingrandimento. Si nota la
terminazione nervosa,
posta al centro, e l'ampio
strato di connettivo
lamellare che la circonda.
Em-Eo 200x

Figura 5.27 Cute di


balena. Due corpuscoli
del Pacini posti subito al
di sotto dell'epidermide.
Em-Eo 200x

220
Figura 5.28 Cute di
balena. Corpuscoli del
Pacini organizzati a
grappolo e circondati da
capillari sanguigni. Nei
mammiferi marini i
corpuscoli del Pacini non
hanno tanto una funzione
tattile, quanto il compito
di segnalare il
cambiamento di
pressione. In questo
modo l'afflusso di sangue
ai vasi aumenta man
mano che aumenta la
profondità a cui si trova
l'animale e quindi la
pressione esterna . Ciò
contribuisce, in modo
determinante, alla
regolazione termica
corporea. Bielschowsky
100x

221
Figura 5.29 Bulbo
oculare di uomo. Si
distinguono la retina,
l'epitelio pigmentato, la
coroide e la sclera. Em-
Eo 40x

Figura 5.30 Bulbo


oculare umano. Tonaca
neurale e coroide. Nella
tonaca neurale si
distinguono lo strato
pigmentato e la retina
dove sono visibili i coni e
i bastoncelli. Em-Eo 100x

222

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