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Enfield Nº 2 Mk I

Il Grande Furto?

Probabilmente sì. Ma andiamo con ordine.

Al termine della prima guerra mondiale, l’arma corta d’ordinanza dell’esercito britannico era
il revolver Webley Mk VI in calibro .455.
Un' rma, che aveva dato buona prova nelle terre dell’Impero e nelle trincee della Grande
Guerra e che sparava una cartuccia precisa, potente e con un ottimo potere d’arresto. Ma
proprio sulla base di queste esperienze, le autorità militari britanniche erano giunti a
considerarla “eccessiva”, tanto che a partire dal 1921 iniziarono a pensare di rimpiazzarla
con un revolver più piccolo ma ugualmente “energico”, orientandosi verso un calibro .38, che
avrebbe consentito di ridurre sia la potenza che i costi, in modo da rendere più economico
l’addestramento delle reclute. Alla fine della guerra le forze armate britanniche si erano
trovate ancora una volta inspiegabilmente in carenza di armi corte, per cui si decise
l’acquisto di una nuova ordinanza. Per questo il War Office, rigorosamente tradizionalista e
non propenso a dotarsi di armi rientranti nella nuova categoria delle pistole
semiautomatiche (al termine del conflitto aveva esplicitamente dichiarato che lo standard
sarebbe rimasto il revolver), nello stesso 1921 inoltrò una specifica richiesta alla Webley &
Scott, alla quale la ditta rispose presentando una versione modificata di un suo vecchio
modello di revolver, il Mk III Police & Civilian Pocket Model, in calibro .38 S&W. Il War
Office apprezzò l’idea e formulò alcune considerazioni, chiedendo un modello più
perfezionato dell’arma. Questo venne consegnato all’inizio del 1922, indicandolo per la prima
volta come Mk IV. Furono quindi richieste lievi modifiche e, soprattutto, la cameratura di
una cartuccia più potente. Questa venne messa a punto attraverso il lavoro combinato della
Webley & Scott e della Kynoch Ltd. (la fabbrica di munizioni che già forniva la .455
Webley), che decisero di abbinare il bossolo della vecchia .38 Smith & Wesson ad una palla
da 200 grani pesante e lunga, ipotizzando che, a causa della sua conformazione, una volta
raggiunto il bersaglio tendesse a ribaltarsi mentre attraversava i tessuti, ottenendo
un’elevata capacità vulnerante. Nasceva così la “.38/200 S&W” che entrerà in servizio con
la denominazione ufficiale di “Cartuccia per pistola 380 Mk I” (con palla in piombo nudo) cui
seguiranno una Mk II (con una palla FMJ da 180 grani per adeguarsi alla Convenzione di
Ginevra) ed una Mk IIz (in cui la cordite venne sostituita dalla nitrocellulosa).

A questo punto, però, accade una cosa “strana”. Lo Small Arms Committee approva
l’impostazione generale del progetto e incoraggia la Webley ad andare avanti, ma al tempo
stesso passa il tutto alla Royal Small Arms Factory di Enfield (che dal 1921 già costruiva il
Mark VI), per inserire queste idee nelle armi allo studio presso di loro. Solo che… si
dimentica di informare la Webley della cosa. Così, i due gruppi di studio procedono
parallelamente nel lavoro, ma… l’uno all’insaputa dell’altro (o – almeno – la Webley all’insaputa
di quanto si faceva nell’arsenale). Ad Enfield l’incarico di seguire il progetto venne affidato
al vice-sovrintendente alla progettazione, il Capitano H. C. Boys, che per il momento si limitò
ad effettuare lievi modifiche del disegno, piuttosto ininfluenti. Il primo contatto fra la
Webley e l’arsenale si ebbe all’inizio del 1923, quando il Capitano Boys si rivolse proprio alla
ditta di Birmingham per chiedere la fabbricazione di due prototipi del suo nuovo revolver…
che in pratica era il loro! Ma alla Webley continuavano a credere di lavorare in
collaborazione e – pare – non sospettarono nulla. Le cose andarono avanti più o meno in
questo modo fino alla fine del 1926, quando lo Small Arms Committee approvò ufficialmente
i disegni e stabilì di effettuare i test di valutazione finale su sei revolver, che però questa
volta… furono prodotti ad Enfield. A questo punto, la Webley era stata di fatto tagliata
fuori dalle forniture governative di un’arma che aveva progettato in proprio, ritenendo che
quella dell’arsenale fosse una semplice collaborazione. Alla fine del 1927 l’arma aveva ormai
assunto le sue caratteristiche definitive ed entro l’anno successivo furono fissate quelle
della cartuccia.

Ritenendo di aver subito un torto, la Webley & Scott chiese un risarcimento danni di 2247
sterline per coprire i costi di “ricerca e sviluppo” sostenuti fino a quel momento, che venne
rifiutato dai dirigenti dell’arsenale, sostenendo la tesi secondo la quale il revolver era stato
studiato e progettato presso di loro dal Capitano Boys con l’assistenza della Webley, e non il
contrario. Le richieste della ditta furono respinte. In effetti, che il nuovo revolver non
avesse nulla a che vedere con le realizzazioni e gli studi della Webley & Scott era evidente,
basta guardarlo accanto alla vecchia Mark VI per notare che le due armi non hanno proprio
nulla in comune… o no?
La Webley si rivolse al tribunale e vide parzialmente accolte le proprie posizioni, poiché la
Royal Commission on Awards to Inventors le assegnò un riconoscimento per complessive
1200 sterline (un colpo al cerchio e uno alla botte…). Ma, al di là degli aspetti economici,
questa storia aveva irrimediabilmente rovinato i rapporti pluridecennali fra la casa di
Birmingham e il War Office. Quest’ultimo fece sapere che non si sarebbe mai più rivolto alla
Webley per ordinare forniture militari. Tuttavia, pochi anni dopo, a causa degli eventi
bellici, la Webley & Scott realizzò comunque per le forze armate britanniche dei revolver in
calibro .38/200, il modello Mk IV, ma quella è un’altra storia…

Il 2 giugno del 1932 (undici anni dopo la prima richiesta da parte del War Office) il nuovo
revolver (che in realtà era già in distribuzione dal 1927) venne infine adottato
ufficialmente, con la denominazione di “Pistols, Revolver, No.2 Mark I, 0.380 inch, with 5
inch barrel”. Inizialmente destinato alle sole truppe terrestri, fu in seguito distribuito
anche alla RAF (nel 1934) e alla Royal Navy (1939). Le esportazioni, anche solo ai paesi
dell’Impero, furono estremamente limitate. Un piccolo quantitativo (circa 600 pezzi) finì
alla Royal Canadian Air Force (1937-1939) e un migliaio di revolver andarono in Irak.

Adottata più di un decennio dopo essere stata richiesta, la nuova arma venne quasi subito
(1936) considerata obsoleta dai vertici militari britannici. Le truppe l’avevano invece
accettata volentieri e non se ne lamentavano, con una sola eccezione, quella dei carristi (il
Royal Tank Regiment) che invece ne segnalavano negativamente la tendenza ad impigliarsi
nelle sporgenze delle pareti e dei portelli e ad ostacolare i movimenti negli spazi ristretti.
Strano che con il modello precedente, molto più grosso, nessuno se ne fosse accorto… ma
forse la cosa dipendeva dal fatto che più il tempo passava e più i carristi aumentavano di
numero e di importanza. È a questo punto che qualche genio ha un’illuminazione: in risposta ai
rilievi mossi al revolver vennero studiate alcune modifiche e il 22 giugno del 1938 veniva
ufficialmente adottata la versione “Pistols, Revolver, No. 2 Mark I*”, caratterizzata dal
fatto di avere un cane privo della cresta e del dente per lo scatto in singola azione e – quindi
– capace di sparare solo in doppia azione. Inoltre, veniva prevista una nuova molla principale
(più debole, in modo da offrire una minore resistenza per adattarsi al nuovo tipo di azione) e
un nuovo tipo di guancette, con poggiadito.

Con la stessa disposizione, veniva stabilito che la versione precedente (senza asterisco) era
dichiarata obsoleta e che tutti i vecchi esemplari avrebbero dovuto essere convertiti nel
nuovo modello, eseguendo gli opportuni interventi, in occasione del loro primo passaggio, per
un motivo qualsiasi, nelle fabbriche governative. La produzione (e la consegna) di lotti di
prova di revolver del secondo modello iniziò ben prima della loro adozione formale, nel 1936;
i primi richiami in fabbrica per la conversione di quelli precedenti iniziarono invece solo nel
1939. Nello stesso anno, o nell’ultimo terzo di quello precedente, iniziò la produzione
regolare dei Mark I*.

Il Mark I (senza asterisco) non sarà stato un capolavoro di eleganza o una collezione di
scelte tecniche raffinate, ma era una buona arma, robusta, precisa ed affidabile, capace di
svolgere bene il suo lavoro sul campo di battaglia. Con la modifica a Mark I* si ottenne un
unico vantaggio (il minore impigliamento e – forse – una maggior facilità di estrazione), in
cambio di una serie di svantaggi piuttosto gravi. Ad esempio, la doppia azione (l’unica
possibile) risulta dura e non permette di tenere correttamente l’arma in punteria, per il cui
il bersaglio può essere colpito solo da distanze molto ravvicinate. E si tratta essenzialmente
di un’arma da difesa, alla quale l’utilizzatore dovrebbe affidare la propria vita. Si ignora
quale accoglienza abbiano riservato i carristi al nuovo revolver, ma sicuramente a tutti gli
altri non piacque. Vi furono critiche e, soprattutto, chi se lo vedeva assegnato lo sostituiva
alla prima occasione (che in un contesto bellico non mancava) con le semiautomatiche o i
revolver degli altri eserciti impegnati nel conflitto, di ambo le parti. Molti ufficiali per
l’impiego sul campo preferirono dotarsi di uno Sten. Restando ai revolver, chi poteva
scegliere si faceva assegnare “l’altro” .38/200, lo Smith & Wesson “British Service”

In effetti, nella sua seconda versione l’Enfield era un’arma poco precisa (a causa della sola
doppia azione), che utilizzava una munizione da molti ritenuta insufficiente e con tutti gli
svantaggi e i limiti che un revolver poteva presentare rispetto ad una semiautomatica. Ma
invece di pensare ad una sostituzione radicale, le autorità continuarono a richiedere
aggiornamenti e varianti. Così, nel 1942 (dopo alcuni tentativi più o meno sperimentali e tutti
abortiti – per fortuna) si giunse ad un’ulteriore modificazione (ufficialmente definita come
“Pistols, Revolver, No.2 Mark 1**”), quando le modalità di costruzione vennero “semplificate”
per soddisfare le necessità belliche. La semplificazione consistette semplicemente
nell’eliminazione della sicura automatica al cane, così che – in caso di caduta dell’arma – era
molto più facile spararsi da soli… o sparare al proprio commilitone vicino. Sicuramente si
verificarono molti incidenti. Anche in questo caso, era prevista la conversione delle armi
rientrate in fabbrica per vari motivi.

Oltre che ad Enfield, fra il 1941 e il 1943 circa 40.000 esemplari vennero realizzati da una
ditta scozzese, la Albion Motors di Glasgow, che li contrassegnò con il proprio logo.
Qualcuno dice che il numero degli esemplari prodotti sia stato circa la metà (20-24.000),
ma l’analisi dei campi matricolari fa propendere per la stima più alta. In seguito, a partire
dal marzo del 1943, il contratto per la produzione e tutti i macchinari e i materiali
passarono alla Coventry Gauge & Tool Co. di Coventry, vicino a Birmingham, che non produsse
alcun revolver, ma ne assemblò un numero molto limitato e di qualità piuttosto scadente,
marcandoli con la scritta “C.G.1” sul tamburo. In sostanza, non vi furono altri produttori. La
Singer Sewing Machine Company di Clydebank fabbricò dei componenti, contrassegnati
come “SSM”, che però furono assemblati a Enfield. Nel 1941, in Australia, nel Nuovo Galles
del Sud, si cercò di avviare una produzione di Mark I* e Mark I** presso la Howard Auto
Cultivator Company (HAC), una ditta che produceva macchine agricole. Tuttavia, a causa
dell’assoluta inadeguatezza dei macchinari forniti dalle autorità governative e
dell’inesperienza delle maestranze e dei tecnici il tentativo fallì completamente e vennero
realizzate solo poche centinaia di pezzi di scadente qualità.

La produzione complessiva del revolver britannico continuò fino al 1945, terminando con la
guerra o poco prima. Successivamente si effettuò solo più un’attività di manutenzione. Nel
1952 la sicura venne reintrodotta, e in seguito reinserita anche sulle armi che tornavano in
arsenale per riparazioni o manutenzione. L’Enfield rimase in servizio fin quasi alla fine degli
anni Sessanta, quando fu sostituito dalla pistola semiautomatica Browning HP 35 in calibro 9
Parabellum. La lunga storia di impiego di quest’arma, anche in contesti bellici, fa sì che a
volte ci sia un po’ di confusione: capita (in certi casi anche spesso) che il sistema degli
asterischi e le date indicate non siano coerenti con le reali caratteristiche delle armi sui cui
sono impresse.

Per l’Enfield N. 2 Mark I e – occasionalmente – per il Mark I* furono realizzare delle


conversioni in calibro .22 L.R., per un addestramento con munizioni a basso costo e gare di
tiro fra militari. Ne esistono di due tipi, una irreversibile, ottenuta con la ritubatura della
canna e delle camere del tamburo e intervenendo sul mirino, e l’altra estraibile, realizzata
dalla Parker Hale e già usata sul Mark VI e su altri revolver, da impiegare con un tamburo
sostitutivo.

Esiste un ultimo tipo di “Revolver Enfield”, una specie di mostruoso Mark I* dalla canna
estremamente corta (2-3 pollici), di tipo snub-nose, spacciato come modello speciale da
“Commando” o da “Carristi”, o da polizia in borghese. Niente di tutto questo: negli anni
Sessanta, vari importatori degli USA acquistarono un numero enorme di armi, fra cui
moltissimi revolver Enfield, per introdurli sul mercato civile del loro Paese. Alcune di queste
ditte, come la Seaport Traders o la Golden State Arms, ma non solo, decisero di accorciare
le canne di queste pistole per renderle più desiderabili per i privati e quindi più
commercializzabili. La pubblicità di queste armi si trovava spesso in molte riviste del
settore fra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta. Dal punto di vista del
collezionismo delle ex-ordinanza non si tratta quindi di “pezzi rari” quanto piuttosto di
“nuovi mostri”… non proprio nuovi.
A questo punto, come sempre, passiamo ad esaminare nel dettaglio l’arma fotografata per
questa scheda. Il lato sinistro l’abbiamo visto in apertura, osserviamo quindi il destro:
Le caratteristiche generali dell’arma ricalcano quelle del Webley Mk VI, di cui l’Enfield
riprende la linea. Tuttavia, in questo esemplare, come in molti altri, si nota già a prima vista
un’incongruenza: si tratta infatti di un Mk I che monta le guancette del MkI*. L’argomento
merita un approfondimento. Nel tempo, le guancette di questi revolver hanno subito
un’evoluzione, con cambi di caratteristiche e di denominazione, come si può vedere
nell’immagine sottostante:

Da sinistra a destra, troviamo:

1 – Guancette Mark I, in noce, zigrinate, per armi del campo matricolare 1-prefisso C, anni
1927-1934;

2 – Guancette Mark I, in noce, solcate da righe inclinate che arrivano fino alla sommità in
alto (mentre in quelle precedenti questa parte era liscia), per armi del campo matricolare
prefissi D-F, anni 1935-1938;

3 – Guancette Mark II, in noce, solcate da righe inclinate, con poggiadito su entrambi i lati e
dischetto reggimentale in ottone, per armi del campo matricolare prefissi G-Q, anni
1938-1942;

4 – Guancette Mark II, in noce, solcate da righe inclinate, con poggiadito su entrambi i lati
ma senza dischetto reggimentale in ottone, per armi del campo matricolare prefissi Q-R,
anno 1942;

5 – Guancette Mark III, in bachelite, con poggiadito su entrambi i lati e dischetto


reggimentale in ottone o acciaio, per armi del campo matricolare con prefissi successivi a R,
anni 1942-1945.

Come si vede le tipologie sono cinque, ma le denominazioni ufficiali (Mark) sono soltanto tre.
Le forme, essenzialmente, sono due: un prima versione, più bassa, per il MkI e una più alta
per il Mk I*. Quest’ultima è senz’altro più confortevole, studiata per tentare di compensare
le difficoltà derivanti dalla possibilità di sparare solo in doppia azione, anche se la sua
presenza va un po’ a discapito dell’operazione di apertura dell’arma, che viene leggermente
ostacolata dalla vicinanza della leva al poggiadito sinistro. Proprio per questo, si riscontrano
talvolta degli esemplari in cui l’appoggio per il pollice a sinistra è stato parzialmente abraso.
Sulla guancetta di destra (e molto più raramente anche su quella di sinistra, ma solo su
quelle in legno e non su quelle in bachelite) era incassato un dischetto metallico in ottone o
acciaio, a seconda dei casi, dello stesso tipo utilizzato per i fucili Enfield e destinato a
venire inciso con la sigla dell’unità a cui l’arma era stata assegnata, ma la cosa non venne
fatta quasi mai.

Fin qui, la teoria. Ma nella realtà questi revolver passarono per le mani di utilizzatori con
preferenze personali, officine degli arsenali, conversioni e riconversioni, riparazioni, armieri
di reparto, ecc., ecc., per cui si trovano tutte le possibili combinazioni: guancette Mk II (con
poggiadito) su revolver Mk I (senza asterisco), perché ritenute più comode, ma anche il
contrario (guancette Mk I su revolver Mk I*), guancette in bachelite su armi che
dovrebbero averle in legno, e viceversa, e così via. Dal momento che in genere si tratta di
interventi effettuati prima che questi revolver venissero dismessi e passassero nel mercato
civile, tutte le soluzioni sono ritenute valide. Si tratta di una situazione analoga a quella
della configurazione meccanica, dove a causa di conversioni, riconversioni, riparazioni e
personalizzazioni varie non si ha sempre una corretta corrispondenza fra la situazione reale
dell’arma in esame e quella che dovrebbe essere sulla base di numeri di matricola, date di
produzione e asterischi.

Osservando il revolver dall’alto si apprezzano altre caratteristiche:

L’elemento che caratterizza maggiormente la linea dell’arma è la presenza delle alette


laterali, comparse per la prima volta sul Webley Mark III, che facilitano l’inserimento in
fondina; fino al Webley Mark VI venivano macchinate dal pieno durante la realizzazione del
pezzo, con un costo di produzione elevato e ingiustificato. Nell’Enfield invece furono
realizzate a parte e successivamente fissate all’arma.

Gli organi di mira sono il mirino (intercambiabile, a sezione rettangolare, del tipo a lama e
avvitato alla canna, con il margine posteriore inclinato in funzione antiriflesso) e la tacca di
mira, realizzata per fresatura sul margine superiore della leva di sblocco del telaio.
È un’arma britannica. Quindi, si deve considerare normale che sulle superfici esterne ci
siano quasi più punzoni che zone libere.

Il calibro (indicato semplicemente come “CAL. 38”) è impresso sulla sommità della canna, al
centro, come si può vedere nella foto dall’alto presentata più sopra. Sempre sulla canna, ma
più posteriormente, vicino al telaio, è indicato l’anno di produzione (’35) insieme ad una
broad arrow e al proof mark. L’anno è riportato anche, in misura molto più evidente, sul lato
destro del castello, insieme all’indicazione del modello e della casa produttrice e alla corona
di Re Giorgio:
Questo logo elaborato venne abolito nel 1941, per semplificare la produzione, e sostituito da
un marchio, una sorta di D con un trattino a metà del lato diritto, ottenuto dalla
sovrapposizione delle lettere E, F e D, che indicava la fabbrica di Enfield ed è già presente
in parecchi punti anche sull’arma qui fotografata. Si tratta di un contrassegno già in uso ad
Enfield dall’inizio del Novecento e utilizzato anche in seguito.

Ci sono poi moltissimi punzoni di ispezione e accettazione, sparsi un po’ ovunque: il proof
mark che indica la prova a fuoco militare, costituito dalla corona di Re Giorgio (G.R.)
(1911-1936) sopra i pennoni incrociati e la lettera P, la broad arrow di accettazione militare
e il punzone di ispezione di Enfield (corona - numero dell’ispettore - lettera E diritta o
rovesciata).
Nell’ultima immagine, ripresa dopo la rimozione delle guancette, si apprezza anche un’altra
caratteristica: la presenza delle 45 scanalature fresate sul dorso dell’impugnatura che
favoriscono il maneggio dell’arma (abolite nel 1944).

Anche il tamburo è coperto di punzoni; sulla faccia rivolta verso il tiratore è possibile
osservare il proof mark della prova a fuoco (corona di Re Giorgio sopra i pennoni incrociati e
la lettera P), la broad arrow dell’accettazione militare, il punzone di ispezione di Enfield
(corona - numero dell’ispettore - lettera E rovesciata) e il marchio di Enfield (la D col
trattino).

Inoltre, sul fianco è presente una sigla alfanumerica che indica il lotto di acciaio utilizzato
per la fabbricazione. Teoricamente, tutti i revolver avrebbero dovuto essere così
contrassegnati su canna, telaio e tamburo; in realtà, questo punzone si osserva solo sul
tamburo, e solo in un numero piuttosto limitato di esemplari.
Dopo la dismissione da parte dell’amministrazione militare, sull’arma è stata impressa
un’altra serie di punzoni, con i banchi civili. È possibile vederli sul lato sinistro, nella zona
sotto la canna e davanti al tamburo. In particolare troviamo: su due righe, i numeri .38”,
.767’ (indicazione del calibro) e 3 ½ TONS (valore indicativo della pressione di esercizio e
non di quella massima), in vigore dagli anni Ottanta per le armi poste in vendita sul mercato
civile, il marchio dei “pennoni incrociati” (che indica il superamento del collaudo) con le
lettere O B, che corrispondono al 1963 e il BNP (British Nitro Proof) coronato, usato dal
Banco di Birmingham dal 1954 al 1972 per le armi esportate. Quest’ultimo è presente in
diverse altre sedi, tra cui le sei camere del tamburo che sono quindi state collaudate
singolarmente.
Infine, le matricole. Sono impresse in tre punti diversi, uno per ognuna delle parti principali
dell’arma: canna, castello e tamburo:

La matricola dei revolver di Enfield è costituita da un numero di 4 cifre preceduto da una


lettera (prefisso) che cambiava progressivamente. Benché siano possibili errori e varianti, in
genere è possibile ritenere attendibile questo quadro riassuntivo:

N° 2 MK I N° 2 Mk I*
Anno Prefisso Anno Prefisso
1927-1931 Nessuno o A 1938 G
1932 A-B 1939 G–H
1933 B–C 1940 H–I–J–K–L
1934 C–D 1941 L–M–N–O
1935 D–E 1942 O–P–Q–R
1936 E N° 2 Mk I**

1937 E–F 1942 S–T–U–V–W–X-Y


1938 F–G 1943 Z – ZA – ZB – ZC - ZD
1939 G 1944 ZE – ZF – ZG - ZH
1945 ZH – ZI - ZJ
Con il passaggio al modello Mk I**, dal 1942 l’anno di produzione non è più indicato sull’arma per cui non è
possibile fare abbinamenti diretti e ci si deve basare solo sulle caratteristiche del revolver (come la scomparsa
delle zigrinature sul dorso dell’impugnatura o i codici della data dei marchi della prova a fuoco). L’abbinamento
fra data e prefissi, per quanto attendibile, è quindi indicativo.

Come i suoi predecessori studiati e realizzati dalla Webley, l’Enfield N° 2 Mk I è un


revolver ad apertura basculante. Questo meccanismo fa sì che al culmine dell’escursione
l’estrattore a stella fuoriesca dal tamburo, determinando l’espulsione dei bossoli esplosi, in
modo da facilitare notevolmente il ricaricamento dell’arma.
Con il revolver aperto si osserva un’altra caratteristica interessante:

Come nei revolver Webley, dal primo Mark I* al Mark VI, lo scudo di culatta è costituito da
un pezzo a sé stante, in acciaio temprato e tenuto in sede da una vite. Avendo osservato che
il foro per il passaggio del percussore tendeva facilmente ad erodersi, lo scudo era stato
realizzato separatamente, in modo da permettere anche ai semplici armaioli di reparto di
ripristinare subito la funzionalità di un’arma danneggiata, col il solo montaggio di un
ricambio.

Dopo la sua adozione, il revolver fu inizialmente portato nelle vecchie fondine già in
dotazione, nelle quali calzava abbastanza bene. Tuttavia, il 28 marzo del 1935 venne
adottata una fondina in tela più piccola, su misura per l’Enfield. La messa a punto della nuova
buffetteria in tela venne completata nel 1937 e risultò pienamente operativa l’anno
successivo. Nella foto qui sotto, il revolver in una fondina Pattern 37.
Concludiamo con dati tecnici dell’esemplare esaminato:

Calibro 38 S&W (38/200)


Numero di colpi 6
Lunghezza canna 127 mm, 7 righe destrorse
Lunghezza complessiva 260 mm
Peso scarica 764 g

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