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La Sicilia tra I e V sec. d.C.

: nella rete dell’Impero


di Cristina Soraci*

Nauloco, 3 settembre del 36 a.C.: «le truppe di Cesare che si trovavano


per mare elevarono un grido di vittoria e quelle sulla terra facevano loro eco
(…) E mentre i presenti salutavano (Ottaviano) come imperator, i pompeiani
accorrevano per primi (…) e lo pregavano di perdonarli1».
Così Appiano racconta ciò che accadde in quel fatidico giorno. Gaio Giu-
lio Cesare Ottaviano, grazie all’abilità tattica del fedele Agrippa e all’astuzia
diplomatica che lo contraddistingueva, aveva riportato più di una vittoria,
come fu chiaro dal succedersi degli eventi: aveva sconfitto un nemico, Sesto
Pompeo, e contestualmente neutralizzato anche il collega triumviro Lepido,
rivelatosi poco affidabile2; infine, aveva conquistato una provincia che sem-
brava perduta.
Non si trattava di una provincia come le altre, ma della Sicilia, la prima
provincia romana, quella di cui Cicerone aveva scritto: prima docuit maiores
nostros quam praeclarum esset exteris gentibus imperare, «per prima, (l’isola)
insegnò ai nostri antenati quanto fosse bello governare su genti straniere»3;
quella provincia, inoltre, a proposito della quale era stato affermato che con-
tribuiva grandemente ad aumentare il potere di chi la possiede4. La vittoria
di Nauloco decretò le sorti della Sicilia per ben cinque secoli.
«(Ottaviano, n.d.r.) impose alla Sicilia il pagamento di mille seicento ta-
lenti, rese noti i nomi dei governatori d’Africa e di Sicilia e divise le truppe
da inviare in ciascuna di loro5». In questa lapidaria affermazione appianea,

* Università di Catania
1
App. b.c. 5.121.501 e 124.514. Cfr. Dio 49.10.1.
2
Mundubeltz 2000; sulla sorte di Lepido dopo Nauloco vd., da ultimo, Gregori 2019.
3
Verr. 2.2.1.2 (ed. W. Peterson); Boyancé 1964-65, p. 341; Bartošek 1977, p. 113.
4
Diod. 23 fr. 1 (Exc. Hoeschel; ed. P. Goukowsky): Ὅτι Σικελία πασῶν τῶν νήσων
καλλίστη ὑπάρχει, ὡϛ µεγάλα δυναµένη συµβάλλεσθαι πρὸϛ αὔξησιν ἡγεµονίαϛ.
Cfr. anche Dio 11.43.4 (ed. E. Cary): καὶ τὴν νῆσον, ἅτε ἐν µέσῳ σϕῶν κειµένην,
ἐπίβασιν τοῖς κρατήσασιν αὐτῆς ἐπὶ τοὺς ἑτέρους ἀσϕαλῆ παρέξειν ἐνόµιζον «e
loro pensavano che l’isola che giaceva in mezzo a loro avrebbe offerto a coloro i quali se ne
fossero impadroniti una salda base contro gli altri».
5
App. b.c. 5.129.537. Sul pagamento dei milleseicento talenti cfr. Soraci 2011, pp. 148-149,
ove bibliografia.
8 Cristina Soraci

che riassume i principali provvedimenti presi da Ottaviano al termine del


conflitto che lo aveva opposto a Sesto Pompeo, la Sicilia compare in asso-
ciazione con l’Africa. Ciò non stupisce, sia perché l’Africa era stata in mano
a Lepido e quindi, dopo l’eliminazione politica di quest’ultimo, era passata
a Ottaviano, sia perché la vicinanza tra i due territori, storicamente attestata
dalle continue incursioni effettuate dall’una verso l’altra e viceversa, le ren-
deva molto affini, anche dal punto di vista dell’amministrazione.
Non sarà fuori luogo ricordare che, nella mentalità di un romano della
prima metà del I sec. a.C., Sicilia e Africa potevano essere confuse tra loro:
il lapsus attribuito al saccente frequentatore di una località marittima come
Pozzuoli, il quale, incontrando Cicerone al rientro dalla Sicilia (nel 74 a.C.),
aveva creduto che questi fosse invece ritornato dall’Africa, rende manifesto,
da un lato, il livello delle conoscenze geopolitiche che la gente comune aveva
a Roma, dall’altro, le profonde analogie e i legami esistenti tra le due pro-
vince6.
Per quanto concerne i provvedimenti presi da Ottaviano in campo am-
ministrativo, è preziosa la testimonianza, pur posteriore di più di due secoli
rispetto agli eventi narrati, offerta da Cassio Dione; questi, in riferimento
agli eventi del 21 a.C., afferma: «Augusto si recò in Sicilia allo scopo di rior-
ganizzare l’isola e le altre province fino alla Siria (…). Dopo aver sistemato,
tra le altre cose, quelle in Sicilia e aver ridotto Siracusa e altre città allo stato
di colonie di Romani, passò in Grecia7».
È chiaro, dunque, che la riorganizzazione amministrativa augustea ebbe
sempre più l’obiettivo di operare una riforma in tutte le province dell’im-
pero, di cui la Sicilia era parte integrante allo stesso modo delle altre: le città
siciliane vennero suddivise in colonie, municipi e centri che non godevano
di statuti privilegiati, i cui abitanti erano definiti stipendiarii, «sottomessi»8.

Una provincia non più privilegiata?

Confrontando la suddivisione amministrativa di epoca repubblicana con


quella di età imperiale è possibile formulare alcune considerazioni.

6
Cic. Planc. 26.64-27.65.
7
Dio 54.6.1: ἐν ᾧ δὲ ταῦτα ἐγίγνετο, ὁ Αὔγουστοϛ ἐϛ Σικελίαν ἦλθεν, ὅπωϛ καὶ ἐκεί-
νην καὶ τἆλλα τὰ µέχρι τῆϛ Συρίαϛ καταστήσηται; 7.1: καὶ ὁ µὲν ταυτ᾽ἔπραττεν, ὁ
δὲ Αὔγουστοϛ τὰ τε ἄλλα τὰ ἐν τῇ Σικελίᾳ διοικήσαϛ, καὶ τὰϛ Συρακούσαϛ ἑτέραϛ
τέ τιναϛ πόλειϛ ἀποίκουϛ Ῥωµαίων ἀποδείξαϛ ἐϛ τὴν Ἑλλάδα ἐπεραιώθη.
8
Plin. nat. 3.14.88-93. Circa l’uso del termine stipendiarius in questo passo di Plinio vd., da
ultimo, Soraci 2020, in partic. pp. 33-34.
LA SICILIA TRA I E V SEC. D.C.: NELLA RETE DELL’IMPERO 9

In epoca repubblicana (o, meglio, per quel che ci è dato desumere dalle
fonti, nel I sec. a.C.) la situazione siciliana era del tutto peculiare, al punto
che Cicerone considera la provincia decisamente privilegiata rispetto alle
altre9. Per quanto la testimonianza di Cicerone possa essere stata non del
tutto obiettiva e possa aver enfatizzato la condizione di privilegi di cui l’isola
avrebbe goduto10, è innegabile che il sistema di riscossione del raccolto per
quote di prodotto, unitamente all’esclusione della categoria dei pubblicani
dall’esazione delle tasse, abbia comportato un grado di controllo delle op-
portunità di vessazione dei contribuenti superiore a quello che si registra in
altre province11.
Dal punto di vista amministrativo, invece, venne riservato un trattamento
di favore a otto città, tre delle quali furono dichiarate federate, ossia dotate
di foedus, un trattato di alleanza, mentre altre cinque divennero immuni e
libere sine foedere12. La Sicilia fu in tal modo privilegiata rispetto ad altre: in
particolare, risulta indicativo e significativo il confronto con la Sardegna,
che, pur divenuta provincia nello stesso anno (227 a.C.), non poteva vantare
la presenza di città privilegiate al suo interno. Occorrerà attendere la seconda
metà del I sec. a.C. perché sia impiantata la prima colonia a Turris Libisonis
e ancora oltre per quella di Uselis, nonché perché Nora e Cagliari ricevano
il titolo di municipio13; in entrambi i casi, tuttavia, si tratta di statuti istitu-
zionali di stampo romano che mantenevano poco (i municipi) o quasi nulla
(le colonie) delle peculiarità amministrative e culturali pertinenti ai nuclei
insediativi originari.

9
Cic. Verr. 2.3.6.12. Il brano è, com’è noto, uno dei più discussi dell’antichità; ci limitiamo
a citare solo alcuni tra gli ultimi studi pubblicati: Genovese 1993; Aguilar Guillén, Ñaco del
Hoyo, 1997, pp. 73-78; France 2007, pp. 169-176.
10
Tuttavia, la volontà dei Romani di imporre tributi di ammontare meno oneroso per le po-
polazioni locali è attestata anche nel caso di altre province e già all’epoca dell’annessione:
Lo Cascio 1986, p. 35 e n. 14. Per la Macedonia e l’Illirico (II sec. a.C.): Liv. 45.18.7, 26.14,
29.4 e Diod. 31.8.3, sui quali vd. Ferrary 20142, pp. 179-180 n. 194; per le popolazioni poste
sotto il dominio di Pergamo: App. b.c. 5.4.17-19, in merito al quale cfr. Merola 2001, pp.
36-39; per la Cappadocia (17 d.C.): Tac. ann. 2.56.4, a proposito delle cui motivazioni vd.,
da ultimo, Pani 1972, p. 160 e Cassia 2004, p. 298. Al contrario, Polibio attesta che i Car-
taginesi fecero ricorso, durante la prima guerra punica, all’imposizione di tributi molto ele-
vati in Libia: Pol. 1.72.1-5. In effetti, com’è stato recentemente ribadito, il livello impositivo
della Repubblica romana non fu particolarmente alto neppure per gli stessi cittadini rispetto
a quello di altri stati coevi: Taylor 2020.
11
Genovese 1993, pp. 171-188.
12
Cic. Verr. 2.3.6.13; Pinzone 1999, pp. 11-37 e 59-120; Prag 2014, pp. 186-189 e 195-199;
Soraci 2016a.
13
Vd., da ultimo, Ibba 2017.
10 Cristina Soraci

Al contrario, in epoca imperiale e già a partire dal 21 a.C. l’assetto istitu-


zionale delle città siciliane venne uniformato a quello delle altre province e
ciò appare evidente nei libri III, IV e V dell’opera pliniana, che si prefiggono
lo scopo di offrire una rapida panoramica relativa alla situazione istituzionale
delle varie regioni dell’impero. In Sicilia sono presenti adesso colonie, mu-
nicipi, città di diritto latino14.
Anche dal punto di vista amministrativo l’eccezione rappresentata dalla
presenza di due questori nell’isola sembra essere stata annullata, come ha
dimostrato Werner Eck con argomenti − riguardanti la numerosità delle epi-
grafi pervenute − non decisivi ma perfettamente condivisibili: in età impe-
riale la provincia dovette avere un solo questore, al pari delle altre15.
La Sicilia, dunque, non è più privilegiata; è, ora più di prima, una pro-
vincia dell’impero. Non per questo, tuttavia, è lecito adottare l’affermazione
tranchant secondo la quale in età imperiale l’isola vivebat ma non valebat16.
In passato, studiosi molto validi (per limitarci al solo panorama italiano,
si ricordino Fulvio Grosso, Giulio Clemente, Lellia Cracco Ruggini17, ma
l’elenco potrebbe continuare a lungo con la menzione di quanti hanno ri-
preso affermazioni divenute stereotipate) hanno interpretato la scarsezza di
fonti relative alla Sicilia in età imperiale come sintomo di una lenta e pro-
gressiva decadenza. A ben guardare, tuttavia, le uniche fonti a scarseggiare
(e, comunque, solo relativamente) in riferimento alla Sicilia imperiale sono
le fonti letterarie; la maggior parte della documentazione epigrafica e archeo-
logica isolana risale, invece, proprio ai secoli dell’impero.
Per alcuni studiosi moderni, il “declassamento” dell’isola a provincia mar-
ginale, di scarso interesse per l’impero, sarebbe stato determinato in misura
non trascurabile dalla perdita del ruolo di principale fornitore di grano per
Roma18. Non sono mancate, tuttavia, alcune voci contrarie, che hanno fatto
leva, tra l’altro, anche sull’illogicità di tali affermazioni; si veda, in tal senso,
quanto scriveva quasi un secolo fa Vincent M. Scramuzza, sintetizzando lu-
cidamente la questione: “it is not likely that Octavian, as soon as he had ac-
quired Egypt, lost all interest in Sicily”19.

14
Soraci 2019b; Korhonen-Soraci 2019.
15
Eck 1991, in partic. p. 114: “In diesem Punkt hat sich unter Augustus offensichtlich die
Systematik gegen die Tradition durchgesetzt”.
16
Mart. 6.70 v. 15; l’espressione di Marziale è stata impiegata in riferimento alla Sicilia da
Grosso 1968-1969, p. 246 e dalla Ruggini 1980, p. 483.
17
Grosso 1968-1969, p. 246; Clemente 1979, pp. 468-473; Ruggini 1980, pp. 483-487.
18
Cfr. bibliografia citata in Soraci 2011, pp. 99-115.
19
Scramuzza 1937, p. 349.
LA SICILIA TRA I E V SEC. D.C.: NELLA RETE DELL’IMPERO 11

Il processo di rivalutazione del ruolo rivestito dall’isola in epoca imperiale


ha registrato un notevole balzo in avanti negli anni ’80 e ’90 del secolo scorso
grazie ai poderosi lavori dello storico ed epigrafista Giacomo Manganaro e
dell’archeologo Roger Wilson, apparsi a breve distanza l’uno dall’altro e di-
venuti pietre miliari delle ricerche sul tema; non a caso, tali lavori sono fon-
dati in misura preponderante sull’analisi delle testimonianze epigrafiche,
monumentali e di cultura materiale, grazie alle quali i due studiosi hanno
potuto rivalutare almeno in parte il ruolo rivestito dall’isola in epoca impe-
riale20.
Nonostante il tentativo di uniformizzazione delle realtà istituzionali iso-
lane, perpetrato a dire il vero nel corso dell’intera età imperiale e anche nelle
più disparate regioni dell’impero, la Sicilia rimaneva privilegiata almeno da
un punto di vista: diversamente da quanto avveniva altrove e come accadrà
anche nella Narbonense a partire dall’epoca di Claudio, i senatori che pos-
sedevano terre nell’isola vi si potevano recare per occuparsi di affari personali
senza l’autorizzazione del principe; per esplicita ammissione di Cassio Dione,
la Sicilia era una provincia «disarmata e pacifica»21. Se tale affermazione la-
sciava trasparire la sicurezza che nessun senatore avrebbe potuto fomentarvi
una rivolta contro il potere centrale, un’altra motivazione doveva essere sot-
tesa al provvedimento: Augusto avrà desiderato incentivare i legami, econo-
mici e non solo, tra la Sicilia e la penisola italiana, nonché venire incontro
alle esigenze dei senatori che da allora cominciarono a mostrare sempre mag-
giore interesse per i terreni isolani.

Le attrattive dell’isola

In effetti, la suburbanitas dell’isola nei confronti di Roma, decantata già


ai tempi di Cicerone22, trova in età imperiale una formulazione anche giuri-
dica; la Sicilia è considerata vicinissima all’Italia, dalla quale è separata solo

20
Manganaro 1988 e Wilson 1990. Da segnalare anche le importanti conclusioni cui giunge
Gregori 2012, p. 319, secondo cui nella Sicilia di età imperiale pare di intravedere “una
qualche forma di dinamismo sociale, che coinvolse gli strati medi della popolazione e andò
a beneficio dei singoli e dei loro discendenti, ma che tornò anche a vantaggio delle città”,
nella misura in cui gli onorati contribuivano allo splendore cittadino tramite il versamento
delle summae honorariae e gli atti di evergetismo. Il perentorio giudizio di “inerzia mum-
mificante della vita municipale isolana” (per cui vd. Ruggini 1980, p. 486) va, dunque, rivi-
sto.
21
Tac. ann. 12.23.1; Dio 52.42.6-7.
22
Cic. Verr. 2.2.3.7, su cui vd. in partic. Sartori 1993.
12 Cristina Soraci

da un piccolo stretto, come afferma Ulpiano agli inizi del III secolo23.
Proprio la sua vicinanza all’Italia, la sua terra straordinariamente fertile,
le sue abbondanti risorse, le sue meraviglie storiche, architettoniche e natu-
rali, come anche l’alone di mistero e di leggende che la circondava, ne ave-
vano fatto una meta privilegiata dai senatori, i quali la visitavano per turismo
o per curarvi questioni di affari. Se un epigramma di Marziale lascia inten-
dere che era aspirazione di chi aveva qualche pretesa possedere campi nella
regione di Ibla24, se il ricco millantatore Trimalchione, di petroniana memo-
ria, al pari di quanto fecero nella realtà non pochi Romani facoltosi25, mani-
festava apertamente la sua volontà di unificare le proprietà siciliane a quelle
italiche, in modo da possedere mezza penisola26, se ne può desumere che la
regione doveva attrarre fortemente i ceti romani più elevati.
In una lettera indirizzata a Lucilio, Seneca appare ansioso di ricevere no-
tizie sul viaggio in Sicilia condotto dall’amico: i misteri dell’isola, tra cui il
vortice di Cariddi e l’attività eruttiva dell’Etna, attendono di essere spiegati27.
Lucilio avrebbe dovuto effettuare anche, per conto di Seneca, la scalata sul
monte Etna, che doveva rappresentare una meta turistica ambita per i viag-
giatori più colti e raffinati; non a caso l’imperatore Adriano deciderà di salirvi
«per assistere al sorgere del sole, che dicono sia variopinto come quello del-
l’arcobaleno»28.
Allora come oggi, infatti, l’isola offriva diverse attrazioni turistiche, in ter-
mini di patrimonio naturale e artistico-architettonico. Vi era chi, come Lu-
cilio e Adriano, preferiva ammirare il primo, che, nel caso dell’Etna, era
ammantato di leggende, mentre altri si trovavano a proprio agio nel godere
del secondo: tra questi non si può non ricordare Caligola, che amava sog-
giornare a Siracusa29.
23
D. 50.16.99.1 (Ulpiano): “continentes provincias” accipere debemus eas, quae Italiae iunctae
sunt, ut puta Galliam: sed et provinciam Siciliam magis inter continentes accipere nos oportet,
quae modico freto Italia dividitur. Cfr. Arcaria 2016.
24
Mart. 10.74, vv. 7-9.
25
Cfr. il Sesto Pompeo di cui Ov. Pont. 4.15 v. 15 asserisce: tua Trinacria est…, le cui terre
furono forse confiscate da Caligola: Salmeri 1984, p. 19. Per una critica alla tendenza a voler
accumulare il possesso delle terre, anche di quelle situate in differenti province, vd. Sen.
epist. 19.114.26.
26
Petron. 48.3.
27
Sen. epist. 9.79.1-7.
28
Hist. Aug. Hadr. 13.3.
29
A Siracusa Caligola si recò più volte e vi istituì anche dei giochi: Suet. Cal. 20 e 24.4. Che
Siracusa fosse oggetto di svariate attenzioni da parte dell’imperatore appare chiaro da
quanto lo stesso Svetonio narra a proposito del rifacimento delle mura cittadine: Cal. 21.3.
Manganaro 1988, p. 69; Soraci 2016b, p. 113.
LA SICILIA TRA I E V SEC. D.C.: NELLA RETE DELL’IMPERO 13

Interessi economici non indifferenti dovevano essere, poi, alla base del-
l’autorizzazione concessa da Nerone per l’allestimento a Siracusa di un nu-
mero di spettacoli gladiatori superiore a quello normalmente consentito30:
gli spettacoli attraevano pubblico e ravvivavano l’economia.
E proprio l’obiettivo di sfruttare le risorse della Sicilia per inserirle in un
tessuto commerciale ad ampio raggio ha determinato i numerosi spostamenti
di uomini e merci, da e verso l’isola.
Un esempio emblematico in tal senso è rappresentato da Aponius Cherea,
vissuto nel II sec. d.C., che divenne questore a Narbona ma che si vantava
di aver ricevuto onorificenze edilizie, duovirali, da flamine e augure da parte
di ben tre città siciliane, Siracusa, Termini Imerese e Palermo31. Aponius era
probabilmente un navicularius dedito al trasporto di olio e vino32, il quale è
verosimile che abbia intrattenuto relazioni commerciali particolarmente fa-
vorevoli alle tre città siciliane, non a caso tutte portuali33, che lo onorarono.
La testimonianza è un esempio degli intrecci economici, promossi dai privati,
che legavano la Sicilia ad altre province dell’impero e in particolare alle Gal-
lie34.

30
Tac. ann. 13.49. i giochi gladiatori che si svolgevano a Siracusa erano, del resto, molto fa-
mosi: Val. Max. 1.7.8.
31
ILGN 573= D 6969 = AE 1892, 92: aedili/[cis e]t du(u)mviralibus [et] / [f]lamoni(i)s et
au[gura/l]ibus ornament[is] honorato. Dellong 2003, p. 404.
32
Wierschowski 2001, pp. 433-434 nr. 628 a n. 17 sottolinea la singolarità della testimo-
nianza in opposizione a quanti (tra cui Gayraud 1981, pp. 533 e 539), invece, la ritengono
un’attestazione di stretti rapporti tra Narbona e la Sicilia. È, tuttavia, significativo che il col-
legamento tra le due province risulti, tra l’altro, attestato nella carriera di alcuni personaggi,
i quali, prima di divenire proconsoli della Narbonense rivestirono l’incarico di questore di
Sicilia (come Lucio Ranio Optato, vissuto alla fine del II sec. d.C.: CIL 12.3170 = INimes
20, proveniente appunto da Nîmes, per cui vd. anche CIL 6.1507 = 6.8.3 = AE 1998, 149;
un anonimo questore pro praetore siciliano di età severiana, che ricoprì anche l’incarico di
proconsole della Narbonense, è noto grazie a CIL 8.2754 = 8.18129, proveniente da Lam-
baesis, su cui vd. Thomasson 1996, p. 181 nr. 57a) o quello di legato provinciarum Siciliae
et Asiae (Marco Acilio Prisco Egrilio Plariano, nel II sec. d.C.: CIL 14.155 = 6.1550 =
6.31678, 14.4442 e 14.4145 = 14.4444 provenienti da Ostia, su cui vd. Zevi 1970, pp. 295-
300 e Gregori, Incelli 2018, p. 95 nr. OQ1). Perplessità sulla possibilità che Aponius abbia
ricoperto il ruolo di navicularius manifestano Rougé 1966, p. 250 e De Salvo 1992, p. 398;
per Gregori 2012, in partic. p. 314, sarebbe stato un conductor incaricato della percezione
dei portoria siciliani.
33
Cfr. già Grenier 1937, p. 473.
34
Per i contatti tra la Sicilia e le Gallie cfr. Manganaro 1988, p. 82 n. 454; Guzzetta 1995,
soprattutto pp. 23-25, che giustamente cita anche gli scambi, seppure occasionali, intercorsi
tra le due province nel corso delle riunioni ecclesiastiche, tra cui quella citata da Eus. h.e.
10.5.21-23 (partecipazione del vescovo di Siracusa Cresto al concilio di Arles del 314 d.C.:
Siniscalco 1987, p. 76; Di Paola 1999, pp. 83-84; Otranto 2006, pp. 252-253).
14 Cristina Soraci

La rete di relazioni inter-provinciali è poi magistralmente confermata dalle


scoperte compiute in Sicilia dall’archeologia terrestre e marittima, che ha per-
messo il ritrovamento di ingenti quantità di monete provenienti da svariate
zone del Mediterraneo. Sia che l’isola fosse la meta ultima delle imbarcazioni
che contenevano questi tesori, sia che, come avveniva frequentemente, essa
fosse solo una tappa intermedia nel viaggio verso altri porti35, è innegabile
che il volume di traffico gestito dalla Sicilia fosse non indifferente e che la
lunga epoca di prosperità le consentì di intrattenere proficue relazioni com-
merciali con le più importanti regioni del Mediterraneo.
Meno determinante, ai fini dei contatti tra regioni diverse, sarà stato il
ruolo dell’esercito: la prima provincia romana, considerata pacata da Augu-
sto36, non ebbe bisogno, se non sporadicamente, di truppe di stanza nell’isola,
con ciò limitando le possibilità di relazioni innescate dalla presenza di militari
provenienti da altre regioni37. Conosciamo però i nomi di alcuni Siciliani en-
trati nell’esercito, che con i loro spostamenti avranno contribuito alla circo-
lazione di merci, usi e costumi38.
Da quanto fin qui affermato, non stupisce, dunque, che la Sicilia fosse
considerata aperta alle sollecitazioni e agli stimoli provenienti da altre re-
gioni, anche in campo religioso. Essa subì il fascino di filosofi e personalità
carismatiche (Apollonio di Tiana, Ilarione) e vide il fiorire di diverse comu-
nità cristiane come anche di gruppi eterodossi39.
In Sicilia scelsero di risiedere, per periodi sempre più lunghi, diversi ari-

35
Cfr., ad esempio, il caso del relitto rinvenuto nella baia di Camarina, sul quale vd. Guzzetta
2014, pp. 96-110.
36
Str. 17.3.25: la Sicilia era inclusa tra le province εἰρηνικὴ καὶ χωρὶς ὅπλων ἄρχεσθαι
ῥᾳδία; cfr. anche Dio 53.12.2-4 (τὰ µὲν ἀσθενέστερα ὡς καὶ εἰρηναῖα καὶ ἀπόλεµα)
e, esclusivamente in riferimento all’isola, 52.42.7 (τὸ ἄοπλον τό τε εἰρηναῖον τῶν
ἀνθρώπων).
37
Negli elenchi forniti da Dio 55.23.2-24.5 la Sicilia non appare tra le province in cui erano
dislocate le legioni. Sulla suddivisione delle legioni in età augustea vd. Le Bohec 1992, pp.
33-35. Nel dimostrare la marginalità della provincia in età imperiale, la Ruggini 1980, p.
484 rilevava che in Sicilia mancava una flotta nei porti più frequentati e citava Vegezio (4.31)
per ricordare ancora nel IV sec. la dipendenza dell’isola dalla classis di Miseno; ma la sud-
detta classis controllava anche province ben più grandi e considerate di capitale importanza,
come Gallia, Spagne, Africa ed Egitto.
38
Sui Siciliani che intrapresero la carriera militare vd. Scramuzza 1937, p. 361, ma l’elenco
deve essere aggiornato.
39
Per la presenza di Apollonio in Sicilia vd. Philostr. v.Apoll. 5.13: Clemente 1979, p. 470;
Manganaro 1988, pp. 70-71; per quella di Ilarione Hier. v.Hilar. 25-28, su cui cfr. Rizzo
1988; De Salvo 1997-98. In merito alle comunità cristiane siciliane ci si limiterà a citare solo:
Messana-Pricoco 1987; Greco 1999; Pricoco-Sardella 1999; Motta 20042; Rizzo 2005-06;
LA SICILIA TRA I E V SEC. D.C.: NELLA RETE DELL’IMPERO 15

stocratici romani, i quali intendevano così sottrarsi ai gravosi compiti che


l’Urbe affidava loro o semplicemente ritemprarsi dalle fatiche quotidiane40.
La produzione cerealicola, come anche quella degli altri prodotti, conti-
nuò ad essere regolarmente sfruttata e inviata sia a Roma, a titolo di tributo
o venduta dai privati41, sia in altre province42, per sopperire alle penurie sem-
pre in agguato o semplicemente per deliziare il palato dei consumatori, dato
che il grano siciliano era considerato uno dei migliori43.
E se nel corso dell’impero le ville di campagna si arricchirono di marmi e
mosaici policromi, ampliando la loro estensione, le città siciliane, almeno al-
cune, tra cui certamente Catania e Siracusa (ma anche Agrigento e Lilibeo
non dovevano essere state da meno) esibivano un fasto e uno splendore pari
a quello raggiunto in epoca greca o, nel caso di Catania, addirittura supe-
riore, al punto che quest’ultima venne, com’è noto, annoverata al tredicesimo
posto tra le più belle città dell’impero, prima della stessa Siracusa44.
Si arriva così alle soglie del V sec. d.C., quando l’importanza della Sicilia
verrà sempre più ufficialmente riconosciuta: è ben noto che Salviano definì
Sicilia e Sardegna fiscalia horrea danneggiati ad opera dei Vandali e recisi
velut vitalibus venis45.

La Sicilia nella rete dell’impero


Dopo la battaglia di Nauloco e con l’inizio del principato di Augusto la
Sicilia ha perso, dunque, alcune delle peculiarità che l’avevano caratterizzata
in epoca repubblicana. I suoi centri urbani sono stati sempre più uniformati
ai modelli romani, per un processo al quale in non pochi casi avevano con-
tribuito con convinzione essi stessi46, la sua cultura e alcune delle sue tradi-

40
Roda 1985.
41
Soraci 2011, pp. 202-203.
42
Sidon. carm. 11, v. 116 e 22, v. 173; cfr. Saitta 1987, p. 370; Guzzetta 1995, p. 25; Goltz
1997-98, p. 227 n. 82; Soraci 2011, p. 191.
43
Cfr. quanto afferma Plin. nat. 18.63.12.
44
Auson. ord. urb. nob., vv. 92-97. Su Catania in età tardoantica vd. Soraci 1996. A proposito
di Siracusa vd. Agnello 2001, pp. 21-37. In merito ad Agrigento tardoantica cfr. Parello-
Rizzo 2016; Soraci 2018b, pp. 19-20. Per Lilibeo Pfuntner 2019, pp. 101-106.
45
Salv. gub. 6.12.68. Soraci 2011, p. 197 n. 150, ove bibliografia; Pagliara 2009, in partic. p.
71; Caliri 2012, pp. 65-67; Caliri in cds.
46
Sull’intervento romano nell’uniformizzazione dei centri urbani dal punto di vista istitu-
zionale, e in particolare sul caso di Tauromenio, vd. Soraci 2018a; a proposito delle diverse
modalità e dei differenti gradi di uniformizzazione cfr. Korhonen, Soraci 2019. La spinta
all’uniformizzazione veniva in molti casi dalle stesse élites locali, che vedevano non pochi
vantaggi nell’accattivarsi il favore di Roma: Soraci 2019c, in partic. pp. 1063-1066.
16 Cristina Soraci

zioni sono state progressivamente assimilate da Roma, che le ha a più riprese


rielaborate47, la sua produzione cerealicola subisce adesso la concorrenza di
quella di altre regioni e non è più indispensabile per Roma in maniera esclu-
siva48. A partire dal principato augusteo l’isola diviene una provincia incor-
porata nella “rete” dell’impero.
Con il titolo del mio intervento, volutamente ambivalente, ho inteso però
avvalermi della duplice sfumatura di significato, negativa e positiva, offerta
dal termine “rete” per definire in modo realistico la peculiare situazione che
caratterizzava la Sicilia al pari delle altre province.
Da un lato, infatti, l’isola era certamente intrappolata nella rete dell’impero,
che la governava, la sfruttava e interferiva pesantemente nell’amministrazione
delle singole città o nelle relazioni tra gli abitanti di città diverse49, che veni-
vano, per così dire, influenzate, regolate e disciplinate.
D’altro canto, essere inseriti in un organismo sovranazionale, composto
da popolazioni molto diverse tra loro e unite dal comune obiettivo di pro-
sperare in pace, aveva i suoi vantaggi. Per la Sicilia, l’isola al centro del Me-
diterraneo, che da sempre aveva manifestato la sua peculiare vocazione al
dialogo, all’incontro50, allo scambio di uomini, merci e culture, essere inca-
stonata nella rete dell’impero, usufruire della rete dell’impero significava
sfruttare al massimo le potenzialità che le erano proprie.
L’appellativo di splendidae o il suo corrispondente greco λαµπρόταται,
attribuito soprattutto a Catania e Siracusa51, può in realtà definire la condi-

47
Si pensi alla leggenda troiana (Sammartano 2006; Battistoni 2010) e alle tradizioni legate
alla Venere Ericina (Schilling 1954, pp. 242-248 e 262-266; Kienast 1965; Martorana 1979,
pp. 94-95 et 97; Zucca 1989; Soraci 2019a, pp. 151-152).
48
Soraci 2011, p. 202.
49
Per quanto concerne l’intervento romano in Sicilia nell’amministrazione dei singoli centri
urbani, in particolare durante le elezioni dei magistrati cittadini e, in genere, nel corso delle
decisioni assunte dai senati e dalle assemblee locali vd. Soraci 2018b, in partic. pp. 12-14.
In merito all’intervento romano nelle relazioni tra le varie città dell’isola, spesso lacerate da
discordie e in competizione tra loro (Soraci 2019c), vd. ibid., pp. 17-19.
50
Cfr. Ampolo 2012; Manenti 2014.
51
Expos. mundi 65. Molè Ventura 1996, pp. 195-199; Ead. 1997-1998, pp. 164-172. Secondo
alcuni l’appellativo di “splendida” (gr. λαµπρὰ) sarebbe stato riferito anche a Taormina in
un’epigrafe (IG XIV, 1091 = IGUR 61) dalla datazione non sicura: al II sec. d.C. la fa risalire
Korhonen 2012, p. 351, mentre al III d.C. pensano, Wilson 1990, p. 316 e Portale 2005,
pp. 37-38 (Manganaro 1982, p. 378 n. 57 non la data esplicitamente, ma sembra inquadrarla
in età costantiniana); in iscrizioni di III sec. è attribuito a Lilibeo (CIL X 7239: secondo Ma-
rino 1978, pp. 98-100 e Forni 1984, l’epiteto abbreviato SPL dovrebbe essere sciolto al ma-
schile - spl(endidissimo) - e riferito al decurione) e a Termini (CIL X, 7345: Bivona 1994,
pp. 120-121 nr. 9).
LA SICILIA TRA I E V SEC. D.C.: NELLA RETE DELL’IMPERO 17

zione dell’intera isola, che sul finire dell’età imperiale aveva saputo far tesoro
della sua storia, della sua cultura, delle sue risorse naturali, del suo ingegno
e della sua bellezza per diversi scopi: far rifiorire almeno alcune delle proprie
città, rivitalizzare la propria produzione attraverso uno sfruttamento capillare
e un’adeguata commercializzazione e propaganda52, attirare l’attenzione delle
classi dirigenti dell’impero, che sempre più numerose la sceglievano come
terra di investimenti e luogo di residenza temporanea53, e raggiungere, in de-
finitiva, livelli di rinnovato splendore e prestigio.

52
Si pensi al vino del catanese: Molè Ventura 1997-1998, pp. 178-180.
53
Manganaro 1982; Vera 1988 e 1996.
18 Cristina Soraci

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n.Chr. (Texte – Übersetzungen – Kommentare), Stuttgart 2001.
Wilson 1990 = R.J.A. Wilson, Sicily under the Roman empire: the archaeology of a
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Zevi 1970 = F. Zevi, Nuovi documenti epigrafici sugli Egrili Ostiensi, in MEFRA,
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24 Cristina Soraci

Zucca 1989 = R. Zucca, Venus Erycina tra Sicilia, Africa e Sardegna, in A. Mastino
(a cura di), L’Africa romana. Atti del VI convegno di studio (Sassari, 16-18 di-
cembre 1988), Sassari 1989, pp. 771-779.

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