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1) LA CRISI DEL III SECOLO E LE RIFORME DI

DIOCLEZIANO

1.1 LA CRISI DEL III SECOLO E LE RIFORME DI DIOCLEZIANO

Già durante il regno di Marco Aurelio, e ancora di più sotto quello del figlio
Commodo, cominciarono a manifestarsi degli elementi di disgregazione, che
investivano i due settori fondamentali della società e del governo romano: in
campo politico si assistette all’esautoramento del senato a vantaggio dei
militari, i cui bisogni crescevano parallelamente al loro potere.
A ciò si deve aggiungere la svalutazione della moneta, che impoverì i ceti
medi, causò la decadenza economica delle città e una profonda crisi morale,
dovuta alla sfiducia nei valori tradizionali.
La crisi si aggravò nel corso del III secolo, conducendo lo Stato romano ad
una situazione difficilissima: all’esterno vi erano le pressioni dei barbari,
all’interno la pressione dei soldati, che ad un certo punto cominciarono a
nominare imperatori a loro piacimento.
Questa situazione divenne drammatica a partire dal III secolo d.C., quando si
aggiunse un nuovo elemento di disgregazione: la crisi economica causata in
primo luogo dalle enormi spese per il mantenimento dell’esercito.
La crescita della pressione fiscale, unita ad una diffusa inflazione, ebbe come
conseguenza la forte perdita di valore della moneta.

1.2 TENDENZE ASSOLUTISTICHE

Il nuovo ruolo dell’esercito è alla base della trasformazione dell’ideologia


imperiale, fondata non più sulla figura del princeps augusteo rispettoso e
pronto a collaborare con l’aristocrazia senatoria, ma su elementi chiaramente
assolutistici.
Al senato nel III secolo d.C. veniva riconosciuto un ruolo esclusivamente
burocratico, soggetto all’autorità assoluta dell’imperatore.
Gli imperatori di origine illirica soprattutto, in quanto arrivati al potere grazie
alla proclamazione dell’esercito, erano assolutamente estranei alla tradizione
del regime senatorio.
L’adozione del culto solare da parte di molti di questi imperatori si spiega in
quanto esso era molto popolare tra l’esercito, quindi era il più funzionale al
mantenimento del potere.

1.3 IL CRISTIANESIMO

La crisi morale dell’Impero Romano, in cui si diffuse una sfiducia nei valori
religiosi e civili, favorì il manifestarsi di nuove tendenze religiose: il III secolo
d.C. è l’epoca decisiva per il costituirsi delle strutture primitive della Chiesa
cristiana.
Il Cristianesimo ottenne sempre più consensi presso la gente bisognosa, ma
allo stesso tempo si rese sempre più evidente l’avversione del potere rispetto
alla nuova fede.
Addirittura verso il 250 d.C., quando il pericolo barbarico raggiunse uno dei
suoi momenti più gravi, il potere imperiale organizzò la prima persecuzione
sistematica dei Cristiani.

1.4 LA DINASTIA DEI SEVERI

Dopo la morte di Commodo nel 192 d.C. si aprì uno scenario molto simile
all’anno dei quattro imperatori (68/69 d.C.): inizialmente il nuovo sovrano
Pertinace tentò una restaurazione filosenatoria.
Alla morte di quest’ultimo nel 193 d.C., il potere passò nelle mani del ricco
Didio Giuliano, che ottenne il potere comprandolo dai pretoriani, ma che fu
costretto ad affrontare tre defezioni da parte di comandanti militari.
Lo scontro per il titolo imperiale, morto Giuliano (tradito dai pretoriani già
nel 193 d.C.), riguardò Pescennio Nigro (governatore di Siria), Clodio Albino
(governatore della Britanni) e Settimio Severo (146-211 d.C.), legato della
Pannonia superiore.
A trionfare fu proprio quest’ultimo nel 197 d.C.: Settimio Severo, imperatore
tra il 197-211 d.C., era originario dell’Africa (proveniva da Leptis Magna
nell’odierna Libia) diede vita ad una dinastia che resse le sorti dell’Impero
fino al 235 d.C. (vi fu il breve intervallo di Macrino nel 217-218 d.C.).
Con Settimio Severo ebbe inizio quella che è definita la ‘’monarchia militare’’,
in cui l’autorità dell’imperatore si basa sulla forza degli eserciti.
Egli rivolse subito la sua attenzione verso la frontiera orientale, minacciata
dai Parti: alla fine del 198 d.C. Settimio Severo riuscì a conquistare
Ctesifonte, capitale partica, che venne rasa al suolo.
Il confine venne dunque portato fino al Tigri: ma si trattava di un’iniziativa
puramente propagandistica, riflessa nel titolo che assunse, quello di Partico
Maximus.
Dopo il successo sui Parti le truppe proclamarono il figlio maggiore di
Settimio Severo, Antonino, come Augusto; in seguito il più piccolo, Geta,
venne proclamato Cesare.
Dopo la campagna partica l’imperatore si stabilì a Roma, dove amministrò il
nuovo regime nel miglior modo possibile; solo nel 208 d.C. venne intrapresa
una nuova campagna militare in Britannia, dove erano aumentate le
incursioni delle tribù Caledoni provenienti dalla Scozia.
Morto Settimio Severo nel 211 d.C. ad Eburacum (odierna York), il potere
passò belle mani dei due figli, che avrebbero dovuto portare avanti la filosofia
di governo riassunta dal padre in una raccomandazione prima di morire:
‘’Andate d’accordo, arricchite i soldati e non preoccupatevi degli altri’’ (in effetti
sotto l’imperatore africano era aumentato il soldo, la paga dei soldati).
Il carattere assolutistico e autoritario del nuovo regime è confermato anche
dall’impossibilità di distinguere il patrimonio dello Stato, dai beni del
sovrano (le res privata).
Il potere dunque, alla morte del vincitore del 197 d.C., passò ai figli Marco
Aurelio Antonino, detto Caracalla (188-217 d.C) per il cappuccio indossato
sopra la tunica, e Geta.
Caracalla, al potere tra il 211-217 d.C., fece uccidere il fratello Geta nel 212
d.C., e nello stesso anno estese la cittadinanza romana a tutti gli abitanti
dell’Impero (ad eccezione dei dediticii, gli abitanti non ancora assimilati).
Alla base della Constitutio Antoniniana non vi fu solo la legalizzazione di
una trasformazione della società romana (veniva meno definitivamente la
distinzione tra Italici e provinciali), infatti essa perseguiva anche obiettivi
economici: con la concessione della cittadinanza venivano aumentati i
contribuenti.
Per combattere l’inflazione Caracalla introdusse anche una nuova moneta,
l’antoniniano, che aveva valore nominale di due denari, ma effettivo di un
denario e mezzo.
Caracalla venne infine eliminato da una congiura militare mentre si trovava
in Oriente per combattere i Parti (Carre 217 d.C.); egli non aveva fatto in
tempo a nominare alcun erede.
La sfiducia nell’aristocrazia spinse gli imperatori a potenziare il ruolo dei
cavalieri, che assunsero sempre più potere: la prova di ciò è che alla morte di
Caracalla, il potere venne preso dal prefetto del pretorio Macrino, primo
imperatore (nel 217-218 d.C.) di rango equestre.
Alla morte di Macrino, il potere passò nelle mani di un esponente della
famiglia dei Severi: Vario Abito Bassiani, detto Elagabalo (203-222 a.C),
imperatore tra il 218-222 d.C.
L’ascesa al potere di Elagabalo era dovuta all’intervento di due figure
femminili appartenenti alla famiglia severiana: Giulia Domna, moglie di
Settimio Severo, e sua sorella Giulia Mesa (nonna del nuovo imperatore).
Il principato di Elagabalo, forse uno dei momenti più oscuri della storia
imperiale del III secolo d.C., fu caratterizzato da un forte misticismo, dovuto
all’adesione dell’imperatore al culto esotico e stravagante del dio Sole (in
Oriente El Gabal), il cui simulacro (una pietra nera conica) venne portato a
Roma, dove gli venne anche dedicato un tempio.
Eliogabalo non venne particolarmente apprezzato a Roma, motivo per cui
Giulia Mesa lo obbligò ad associare al potere il cugino Bassiano; nonostante
ciò l’imperatore venne assassinato nel 222 d.C. dai pretoriani, che
nominarono imperatore Bassiano, che salì al trono con il nome di Alessandro
Severo (208-235 d.C.), imperatore tra il 222-235 d.C.
Il regno di Alessandro Severo fu caratterizzato inizialmente da un’efficace
azione politica, dovuta in primo luogo all’aiuto fornito dal grande giurista
Ulpiano, che ottenne il titolo di prefetto del pretorio e che favorì un nuovo
rapporto di collaborazione tra il senato e il potere imperiale.
Durante il regno di Alessandro Severo si verificò anche un evento di decisiva
importanza per la storia dell’Impero: nel 224 d.C. la dinastia partica degli
Arsacidi venne deposta da quella persiana dei Sasanidi, che si proclamavano
discendenti degli Achemenidi, la dinastia persiana che nel V secolo a.C. era
stata sconfitta dai Greci a Maratona e Salamina.
I Sasanidi cacciarono i Romani dalla Mesopotamia, arrivando poi a
minacciare la Siria: il successivo intervento dell’imperatore frenò lo slancio
persiano.
In seguito l’imperatore fu costretto a spostarsi in Gallia, dove premevano le
popolazioni barbariche: qui, nel 235 d.C., venne assassinato dall’esercito, che
temeva che egli stesse preparando un accordo con i barbari.
Con la morte di Alessandro finiva la dinastia severiana.
1.5 L’ANARCHIA MILITARE

La fine della vicenda severiana aprì un cinquantennio di lotte e insicurezza in


cui emerse il ruolo decisivo dell’esercito, che avrebbe condotto l’Impero
sull’orlo del baratro.
Con la morte di Alessandro Severo e la proclamazione imperiale di
Massimino il Trace (173-238 d.C.), imperatore tra il 235-238 d.C., cominciò il
cinquantennio noto come ‘’anarchia molitare’’ (235-283 d.C.), durante il quale
si succedettero circa venti imperatori (legittimi e non).
Massimino, uomo rude ma dotato di una forza fisica e di una statura
impressionanti, ottenne diverse vittorie sugli Alamanni, tuttavia venne
nominato hostis publicus dal senato, che non aveva approvato la dura
pressione fiscale imposta dall’imperatore per rafforzare l’esercito.
Il senato nominò imperatore l’anziano Gordiano I, proconsole d’Africa, che si
associò subito il figlio Gordiano II: entrambi vennero eliminati dai soldati
fedeli a Massimino, che morì (tradito dalle sue truppe) mentre cercava di
raggiungere l’Italia (stava assediando Aquileia).
Morto Massimino, il primo imperatore a non essersi recato a Roma, il senato,
che aveva affidato il governo a venti consolari al cui interno furono scelti
come Augusti Pupieno e Balbino, si vide privato del controllo sul successore
al potere quando i due Augusti vennero uccisi dai pretoriani, che nominarono
imperatore il nipote di Gordiano I.
Durante il regno di Gordiano III (225-244 d.C.), imperatore tra il 238-244
d.C., il potere venne detenuto dal valoroso prefetto del pretorio Timisteo,
suocero dell’imperatore, fino al 243 d.C.
Gordiano III morì nel 244 d.C. mentre combatteva i Persiani, a succedergli fu
il nuovo prefetto del pretorio Filippo, detto l’Arabo (204-249 d.C.),
imperatore tra il 244-249 d.C.
Il nuovo imperatore, proveniente dall’odierna Siria, celebrò nel 248 d.C. il
millenario di Roma e ottenne alcuni successi nella difesa delle frontiere;
strinse un accordo di pace con il re dei Persiani Sapore (Shapur) I.
Anche Filippo morì in maniera violenta (249 d.C.): l’esercito acclamò il
prefetto urbano Messio Decio (205-251 d.C.) imperatore, carica che mantenne
tra il 249-251 d.C.
Il breve regno di Decio fu caratterizzato da una certa energia e da un forte
tradizionalismo: l’imperatore si impegnò nella difesa delle frontiere e nel
recupero dei valori e dei culti tradizionali.
Si trattò di un periodo molto duro per i Cristiani , infatti venne introdotta una
disposizione imperiale per cui tutti dovevano dimostrare la loro fedeltà ai
culti imposti tramite delle dichiarazioni.
Chi non sacrificava agli dèi e al Genio dell’imperatore veniva condannato a
morto: Decio scatenò nel 250-251 d.C. la prima persecuzione statale contro i
Cristiani (nelle loro fonti non a caso egli è descritto come un mostro).
Decio morì nei Balcani nel 251 d.C. combattendo contro i Goti; alla sua morte
l’Impero si trovava minacciato su tutti i fronti: a Oriente vi erano i Persiani di
Sapore, i Goti sul Danubio, gli Alamanni e i Franchi in Gallia e Germania.
Dopo una serie di effimeri sovrani militari (Erennio Etrusco, Trebolliano e il
figlio di Decio Ostiliano che governarono insieme, Emiliano: totale 251-253
d.C.), il potere passò nelle mani dell’anziano senatore Valeriano (200-260
d.C.), che si associò subito il figlio Gallieno (218-268 d.C.), a cui venne
affidato il controllo delle province occidentali.
Valeriano, imperatore tra il 253-260 d.C., combatté a lungo contro i Persiani,
venendo però sconfitto e catturato ad Edessa da Sapore I, che aveva anche
conquistato Antiochia.
Egli morì in prigionia nel 260 d.C., mentre costruiva una diga assieme ai suoi
soldati.
Gallieno, imperatore tra il 260-268 d.C., riuscì a bloccare l’avanzata degli
Alamanni e dei Goti, ma fu costretto ad abbandonare la Dacia e portare la
frontiera al corso del Danubio.
Gallieno fu poi spettatore immobile della formazione di due Stati separatisti
autonomi: l’Imperio delle Gallie, che riuniva le province di Gallia/Britannia/
Spagna, e il Regno di Palmira, comprendente Siria/Palestina/Mesopotamia,
retto dal valoroso Odenato.
Gallieno fu comunque autore di alcune riforme destinate ad avere dei seguiti
negli anni seguenti: sottrasse il comando delle legioni ai senatori affidandolo
agli equestri; smise di concentrare le truppe lungo i confini, ma concentrò
alcuni piccoli contingenti all’interno del territorio, come unità mobili di
difesa.

1.6 GLI IMPERATORI ILLIRICI

Gallieno venne ucciso nel 268 d.C. da una congiura ordita dai suoi ufficiali,
che consegnarono il potere al comandante della cavalleria Claudio II (213/14-
270 d.C.), il primo imperatore ‘’illirico’’ (proveniente dall’Illiria).
Claudio ottenne importanti vittorie contro gli Alamanni e contro i Goti, che
erano giunti ad occupare Atene: alla vittoria su questi ultimi si deve il suo
soprannome di ‘’Gotico’’.
Morto Claudio II, al potere tra il 268-270 d.C., gli succedette un suo
comandante, Aureliano (214-275 d.C.), che sottrasse il potere al fratello di
Claudio II, Quintilio (imperatore per pochi giorni).
Aureliano, al potere tra il 270-275 d.C., riuscì a sconfiggere le popolazioni
barbariche che erano penetrate nella Pianura Padana ed in seguito dotò Roma
di una nuova imponente cinta muraria: la costruzione delle ‘’mura
aureliane’’, il cui perimetro misurava 18km, fu portata a termine da Probo.
Aureliano ottenne anche il titolo di ‘’restitutor orbis’’ (‘’ricostruttore
dell’ordine’’) dopo aver riconquistato i regni separatisti: nel 272 d.C. sconfisse
Zenobia, signora di Palmira dopo la morte del marito Odenato, e nel 274
sconfisse Tetrico, ultimo imperatore delle Gallie.
Aureliano riuscì a restituire alla figura dell’imperatore un certo prestigio:
riorganizzò lo Stato in tutti i settori (dalla vita economica alla divinizzazione
del sovrano), impose l’inquadramento (alle dipendenze dello Stato) delle
associazioni professionali, come quelle degli armatori di navi (navicularii).
Introdusse poi una nuova riforma monetaria: la nuova moneta, chiamata
ancora ‘’antoniniano’’, sostituì quella precedente (del tutto svilita).
Egli rimase celebre anche per aver introdotto il culto del Sol invictus,
identificato con Mitra, divinità particolarmente cara ai soldati; si trattava di
una mossa per rafforzare il potere dell’autorità: si arrivava così ad una forma
di autocrazia dove il culto solare diveniva il culto dell’imperatore.
Aureliano venne ucciso nel 275 d.C. mentre preparava una campagna contro i
Persiani, gli succedette Probo (in realtà salito al potere dopo l’anziano
senatore Tacito e dopo Floriano, che però governarono pochi mesi),
imperatore tra il 276-282 d.C., anch’egli di origine illirica.
Probo riuscì ancora una volta a frenare la pressione dei barbari sul confine, e
portò avanti anche una campagna contro i Persiani, dove però trovò la morte;
il successore Caro, imperatore tra il 282-283 d.C., che riuscì a saccheggiare
Ctesifonte, la capitale nemica nel 283 d.C.
Caro venne eliminato dai militari: la sua morte aprì un biennio di confusione,
in cui furono al potere Numeriano e il figlio Carino (eliminati nel 285 d.C.),
dopo il quale prese il potere Diocleziano, proclamato imperatore dall’esercito
nel 284 d.C.
1.7 DIOCLEZIANO E IL DOMINATO

Con la salita al potere di Diocleziano (244-313 d.C.), imperatore tra il 284-305


d.C., ebbe fine il periodo noto come crisi del III secolo d.C.
Egli aprì un’età di riforme e rinnovamento che trasformarono in primo luogo
il potere imperiale centrale: cominciò con Diocleziano l’età del ‘’Dominato’’,
una forma di governo che si differenzia dal ‘’Principato’’.
Questa differenziazione acquisisce ancora più senso anche perché la
tradizione vede nel regno di Diocleziano, o in quello di Costantino, il
momento in cui ha inizio la Tarda Antichità.
Il regno di Diocleziano fu contraddistinto da una forte volontà restauratrice
dello Stato a tutti i livelli: economico, politico-militare e amministrativo.
Per garantire una migliore difesa alle regioni più minacciate, Diocleziano
trasferì la sua residenza a Nicomedia in Bitinia; si deve notare come l’Oriente
fosse molto più stabile economicamente dell’Occidente.
L’ideologia fondamentalmente conservatrice che ispirò le riforme
dell’imperatore riuscì a riorganizzare la compagine imperiale: Diocleziano
concepì un sistema in cui al vertice dell’Impero vi erano quattro monarchi
(‘’Tetrarchi’’, da cui il termine ‘’Tetrarchia’’), due di rango superiore detti
Augusti e due di rango inferiore detti Cesari.
Il sistema venne pensato per fronteggiare le rivolte regionali, ma allo stesso
tempo per garantire una successione ordinata: ai due Augusti succedevano i
due Cesari; i due Augusti cooptavano i due Cesari.
Si arrivò a questo sistema solo a tappe graduali: nel 285 d.C. Diocleziano
nominò Massimiano suo Cesare, con il compito di reprimere una rivolta nelle
Gallie, e l’anno seguente lo elevò ad Augusto.
Nel 293 d.C. vennero cooptati i due Cesari: Massimiano in Occidente sceglieva
Costanzo Cloro, mentre Diocleziano in Oriente nominava Galerio; la capitale
di Massimiano era Milano, quella di Diocleziano Nicomedia.
Diocleziano si era preoccupato anche di rafforzare la burocrazia, affidata a
uomini di fiducia le cui funzioni erano distinte da quelle dell’esercito, che
venne comunque potenziato.
Venne aumentato il numero delle province, in modo da evitare che i
governatori divenissero troppo potenti territorialmente.
Il sistema fiscale venne riorganizzato tramite l’introduzione di una nuova
forma di tassazione: l’imposta fondamentale si basava sul reddito agricolo e
il sistema di calcolo si basava sul rapporto tra terra coltivabile (iugum) e il
numero di coltivatori (caput).
Per semplificare il calcolo del tributo, realizzabile solo tramite un censimento
capillare, l’Impero venne organizzato in ‘’diocesi’’, dodici unità regionali;
anche l’Italia venne organizzata in diocesi (‘’italiciana’’), perdendo così
l’antico privilegio di non far parte del sistema provinciale.
La riforma monetaria portò all’introduzione di nuove monete di in oro e
argento di ottima qualità, che però sparirono presto in quanto le persone
preferivano tesaurizzarle.
Per bloccare la continua crescita dei prezzi venne poi introdotto, nel 301 d.C.,
un calmiere dei prezzi massimi (il noto Edictum de pretiis).
Le altre riforme di Diocleziano riguardano la tutela del matrimonio e la
messa al bando della setta dei Manichei, seguaci di una nuova fede
proveniente da Oriente.
Diocleziano non fu particolarmente impegnato sul fronte militare, egli infatti
placò delle rivolte in Britannia ed Egitto, mentre il suo Cesare Galerio riuscì a
terminare una campagna vittoriosa contro i Persiani, costretti ad accettare
una dura pace nel 298 d.C.
Sul fronte religioso Diocleziano promosse un’intensificazione del culto
imperiale, facendosi chiamare Iovius (‘’figlio di Giove’’).
Egli portò avanti anche una dura persecuzione contro i Cristiani (303-304
d.C.), motivata forse dalla volontà di rafforzare l’unità dell’Impero anche sul
piano religioso.
La persecuzione, legata al destino della tetrarchia, ebbe fine in Occidente già
con Costanzo Cloro, mentre in Oriente durò ancora diversi anni.
La fine delle persecuzioni venne ordinata da Galerio, morente, nel 311 d.C.; in
realtà furono portate avanti da Massimino Daia, cessando quando questo
venne sconfitto da Licinio.
L’1 Maggio 305 d.C. Massimiano e Diocleziano abdicarono, facendo così
subentrare i loro Cesari: Costanzo Cloro nominò Cesare Severo, mentre
Galerio Massimino Daia.
La tetrarchia entrò però subito in crisi: nel 306 d.C. Costanzo Cloro morì a
York e il suo esercito nominò imperatore il figlio Costantino, allo stesso
tempo il figlio di Massimiano, Massenzio, rivendicò il potere imperiale.
2) DA COSTANTINO A TEODOSIO MAGNO: LA
TARDA ANTICHITÀ E LA CRISTIANIZZAZIONE
DELL’IMPERO

2.1 UN’ETÀ DI RINNOVAMENTO E NON DI DECADENZA

Il periodo storico che inizia con Costantino e arriva a Giustiniano è stato a


lungo indicato con il nome di ‘’Basso Impero’’, un’espressione oggi messa da
parte e a cui si preferisce il termine di ‘’Tarda Antichità’’.
Gli storici odierni hanno smesso di indicare questa fase come un periodo di
inesorabile decadenza, un preludio del Medioevo, caratterizzato
negativamente dal Dominato e dalla definizione di ‘’Stato coercitivo’’, in
riferimento ad una società divisa tra categorie privilegiate, gli honestiores, e
la massa immensa degli humiliores.
Queste definizioni negative appaiono oggi inaccettabili, in quanto non
tengono conto della vitalità culturale e artistica di questa fase storica, in cui si
distingue una fase decisiva: gli anni che vanno dal regno di Costantino alla
morte di Teodosio (395 d.C.), in sostanza il IV secolo d.C.
In effetti l’Impero formatosi con le riforme di Costantino e Diocleziano era
molto diverso da quello del passato: le esigenze dello Stato portarono ad
imporre una forte pressione sulla società.
Questo irrigidimento investe tutti i settori, anche la corte imperiale, in cui
venne introdotta una preciso cerimoniale ruotante attorno all’imperatore.
Il governo dello Stato passa nelle mani delle più potenti cariche militari e
civili, definite attorno ad una gerarchia sempre più stretta; si deve poi
aggiungere un altro fatto rilevante: l’imperatore non risiede più a Roma.
Il senato nel IV secolo ha ancora una certa attrattiva, ma ha perso tutta la
propria autorità, cosa che causò numerosi tensioni con la corte; oltre alle
cariche tradizionali, scomparve anche il ceto dei cavalieri, assorbito
dall’aristocrazia senatoria.
L’aristocrazia nel corso del IV secolo si impegnò soprattutto a difendere la
propria identità di ceto e i propri interessi, concentrati soprattutto nell’Italia
meridionale.
Le tappe della carriera senatoria rimasero (questura, pretura, consolato),
tuttavia si trattava di magistrature prive di ogni potere decisionale;
all’aristocrazia spettava solo il compito di organizzare i giochi per la plebe.
Il rapporto con la plebe di Roma rimase un fattore importante, e soprattutto
delicato.
La legislazione, che voleva vincolare al lavoro e alla condizione un grande
numero di persone, fu il monumento eretto dall’Impero per garantirsi la
propria sopravvivenza.
Anche se è inappropriato parlare di forme di protofeudalesimo, ci sono in
alcune regioni in cui in effetti la pressione fiscale ebbe come esito il colonato
come forma di immobilizzazione della forza-lavoro agricola: la risposta si ha
nel patrocinium, il patronato rurale dei grandi proprietari sui lavoratori alle
loro dipendenze.
La società non rimase però immobile, infatti vi era la possibilità di ascesa
sociale: tramite l’esercito soprattutto, ma anche tramite l’amministrazione, la
cultura e la scuola, ambiti da cui vennero reclutati valorosi collaboratori.

2.2 COSTANTINO

Costantino (274-337 d.C.), una volta acclamato dalle truppe nel 306 d.C.,
condusse per qualche anno una politica prudente; solo nel 310 d.C. egli
abbandonò i legami ideologici con la tetrarchia: in primo luogo aderendo ad
una religione solare, monoteistica.
Morto Galerio nel 311 d.C. (aveva appena ordinato di sospendere ogni tipo di
persecuzione contro i Cristiani), li succedette il suo Cesare Massimino Daia,
che però venne deposto da Licinio.
Costantino si mosse invece verso l’Italia, dove si scontrò con Massenzio, che
venne sconfitto definitivamente nella battaglia di Ponte Milvio (312 d.C.) sul
Tevere, dopo la quale divenne signore di Roma.
La vittoria ebbe un impatto straordinario, e questo perché fu ottenuta nel
segno di Cristo e da un imperatore che dichiarava di aver aderito al culto
cristiano.
La conversione di Costantino fu un evento eccezionale, non solo perché portò
all’inserimento della Chiesa nelle strutture dello Stato, ma perché lo stesso
imperatore poteva ora inserirsi nelle questioni dottrinali.
La religione promossa da Diocleziano era una forma aggiornata di quella
antica; Costantino fu invece più capace di essere in sintonia con il proprio
tempo (probabilmente egli si convertì dopo aver sconfitto Massenzio), la sua
conversione fu un evento preparato e organizzato per la propaganda.
Ora, se da un lato il Costantino politicante cinico, convertitosi solo per puro
calcolo politico (come voleva nel XIX secolo Jakob Burkhardt), non è mai
esistito, dall’altro non esisté mai neppure il Costantino cristiano da sempre.
Egli fu ij primo luogo un individuo di grande ambizione e che percepiva il
proprio successo come il riflesso di un disegno universale, un prospettiva che
non poteva rientrare nel mondo politeistico, ma che calzava perfettamente
con la teleologia cristiana.
All’inizio del 313 d.C. Costantino e Licinio si incontrarono a Milano, dove
sottoscrissero quello che impropriamente è definito ‘’editto’’, ovvero un
accordo di politica religiosa.
Rapidamente emersero però contrasti tra i due padroni del mondo romano,
anche se la situazione divenne di guerra aperta probabilmente solo a seguito
di alcune persecuzioni condotte da Licinio contro i Cristiani.
Lo scontro finale avvenne nella battaglia di Adrianopoli del 324 d.C., dopo la
quale Costantino divenne l’unico sovrano dell’Impero.
Il legame tra Costantino e la Chiesa fu stretto sin dall’inizio: nel 314 d.C. egli
convocò un concilio ad Arles per cercare di conciliare il contrasto apertosi in
Africa tra rigoristi (detti anche ‘’donatisti’’, da Donato vescovo di Cartagine)
e moderati a proposito di coloro che avevano abiurato al tempo delle
persecuzioni di Diocleziano.
Per salvaguardare l’unità della Chiesa convocò anche un concilio a Nicea nel
325 d.C. per cercare di sanare i contrasti tra Alessandro e Ario, che si
scontravano sulla natura di Cristo (Ario negava la natura divina di Cristo).
Per quanto riguarda invece l’amministrazione, Costantino raggruppò le
diocesi di Diocleziano in quattro prefetture: Italia, Gallie, Africa, dell’Illirico e
dell’Oriente (tutte raggruppavano dentro di loro delle province).
La principale conseguenza della vittoria ad Adrianopoli fu la fondazione di
Costantinopoli, la ‘’nuova Roma’’, nel 330 d.C.; la scelta di costruire una
nuova capitale (sulle rovine dell’antica Bisanzio) fu motivata forse dalla
volontà di costruire una capitale priva di contaminazioni con paganesimo.
Roma non era più la sede imperiale sin da Diocleziano, infatti dopo la crisi
del III secolo d.C. era emersa la necessità di una nuova sede imperiale:
Bisanzio era la scelta più sensata, poiché legittimava la maggior importanza
dell’Oriente e per la sua posizione strategica a metà tra Asia ed Europa.
Costantinopoli, la cui fondazione avrebbe avrebbe aperto un nuovo corso
anche nella storia del Mediterraneo, fu dotata di tutte le strutture di Roma,
anche di un senato (inizialmente di 300 membri, poi giunto a contarne 2000),
che però non ottenne mai il prestigio di quello romano.
L’idea che Costantino aveva della propria funzione rispetto all’Impero e alla
Chiesa è chiarito dallo storico Eusebio vescovo di Cesarea, autore di una
Storia ecclesiastica e di una Vita di Costantino.
Le opere di Eusebio sono concentrate proprio sulla figura del primo
imperatore cristiano, definito come ‘’vescovo di quelli che sono fuori’’, dove
‘’fuori’’ di riferisce alla Chiesa, quindi è la guida dei laici.
Costantino venne seppellito nella Chiesa di Santa Sofia a Costantinopoli come
isoapostolo, ‘’uguale agli apostoli’’; tuttavia come si vede nel rescritto di Spello,
in cui la comunità umbra chiedeva di poter costruire un tempio dedicato al
nume imperiale, si nota che i culti tradizionali vennero tollerati (tranne
quelli in aperto contrasto con il Cristianesimo).
Una delle riforme più importanti di Costantino riguarda senza dubbio
l’esercito, che venne diviso in due macro gruppi: quello dei comitatenses, i
soldati che componevano il comitatus, l’esercito mobile che stava presso
l’imperatore, e quello dei limitanei, coloro che stavano a guardia del limes.
I primi, più pagati dei secondi, erano soldati di professione, mentre gli altri
erano soldati di second’ordine con poca esperienza e poco pagati; il comando
dell’esercito fu affidato ad un comandante della fanteria e uno della
cavalleria.
L’esercito però mancava di soldati: per ovviare a questo problema si abbassò
l’altezza per essere reclutati, si rese ereditaria la professione, tuttavia molte
persone erano già vincolate ad altri mestieri, quindi si cominciò ad ovviare al
problema della carenza di uomini tramite il reclutamento di barbari.
La minaccia barbarica era però divenuta gravissima: lo Stato affrontava la
problematica o tramite l’impiego di tutte le risorse militari rimaste, o tramite
politiche di assorbimento, spesso disomogenee, delle popolazioni esterne (si
è parlato di ‘’barbarizzazione della società’’).
Lo storico Ammiano Marcellino indica come date decisive il 357 d.C., anno in
cui Giuliano Cesare sconfisse gli Alamanni a Strasburgo, e la battaglia di
Adrianopoli del 378 d.C., in cui perì l’imperatore Valente e dopo la quale i
Goti penetrarono nell’area balcanica.
La disfatta ad Adrianopoli rese i barbari in grado di trattare con l’imperatore
Teodosio, che sfociarono nel 382 d.C. in un trattato (non il primo, ma il più
importante) con cui i Goti erano accettati in Tracia e in altre regioni.
2.3 LA MORTE DI COSTANTINO E LA FINE DELLA DINASTIA
COSTANTINIANA

Costantino ricevette il battesimo solo in fin di morte, come voleva l’usanza


del tempo; a celebrare il battesimo fu Eusebio (omonimo dello storico e
vescovo di Cesarea), vescovo di Nicomedia di sentimenti filoariani che era
divenuto il consigliere privilegiato dell’imperatore in materia ecclesiastica.
L’imperatore morì nel 337 d.C. durante la festa di Pentecoste: egli venne
sepolto nella chiesa di Santa Sofia, dove aveva fatto costruire dodici cenotafi
(sei da un lato e sei dall’altro), al centro del quale vi era la propria tomba.
Costantino moriva tra l’altro conservando, seppur solo nominalmente, il titolo
di pontefice massimo, la carica suprema della religione pagana.
La consacrazione post mortem non venne portata avanti seguendo metodi
tradizionali, ovvero tramite divinizzazione, ma attraverso una moneta
celebrativa ricordata anche da Eusebio di Cesarea (‘’l’imperatore [era ritratto],
alla guida di una quadriga, viene portato su da una mano che gli è porta dall’alto’’.
Sorprende che Costantino non abbai definito in modo chiaro le modalità di
successione, anche se è ipotizzabile che, avendo creato delle prefetture che
corrispondevano alle zone di dominio dei tetrarchi, egli volesse consegnare
l’impero ad alcuni dei suoi figli e ai nipoti Dalmazio e Annibalino, che aveva
ricevuto il titolo di ‘’re dei re’’ nel 337 d.C.
Le fonti stesse confermano che alla morte di Costantino si fosse creato un
clima di incertezza, dovuto all’assenza di un chiaro disegno in merito alla
successione e soprattutto riguardo alla forma che l’Impero avrebbe dovuto
assumere.
Pare poco probabile l’idea di un collegio imperiale in cui tutti i sovrani erano
sullo stesso piano, anche perché Costantino aveva fatto dell’unità nel segno di
un unico imperatore la propria missione.
Nel 337 d.C. a prendere in mano l’iniziativa furono i soldati, che si
schierarono dalla parte dei figli del defunto: Dalmazio e Annibalino vennero
uccisi.
I figli di Costantino si misero allora d’accordo: Costantino II avrebbe avuto
Gallie/Britannia/Spagna, Costante avrebbe avuto l’Italia e l’Africa, mentre
Costanzo avrebbe avuto l’Oriente.
Costantino II morì nel 340 d.C. dopo una scorreria nel territorio di Costante,
che moriva invece nel 350 d.C. per colpa dell’usurpatore Magnezio: rimase il
solo Costanzo II, che nominò suo Cesare il cugino (sopravvissuto ai massacri
del 337 d.C.) Giuliano, a cui affidò la parte occidentale dell’Impero.
Giuliano ottenne una vittoria decisiva sugli Alamanni nella battaglia di
Magonza del 357 d.C., dopo la quale venne nominato imperatore dai soldati,
che nel 360 d.C. avevano portato la situazione sull’orlo di una nuova guerra
civile.
La morte di Costanzo II prevenne questa possibilità: Giuliano (331-363 d.C.),
imperatore tra il 360-363 d.C., si trovò dunque imperatore unico, anche se
solo per diciotto mesi (morì nel 363 d.C. mentre combatteva i Persiani).
Il suo regno è ricordato sia per il suo programma di riorganizzazione di
un’amministrazione efficiente e di rivitalizzazione del ruolo della città, sia per
il suo tentativo di restaurare la religione pagana.
La politica di Giuliano, detto l’Apostata (‘’rinnegato’’) in quanto egli aveva
abbandonato la fede cristiana nonostante fosse stato battezzato, trovò due
grandi ostacoli nella campagna persiana preparata da Costanzo II, e nel suo
progetto di restaurare la religione pagana.
La scelta di restaurare il paganesimo si traduceva infatti anche
nell’abrogazione dei privilegi che Costantino aveva concesso alla Chiesa
cristiana.
Il periodo turbolento di Giuliano ad Antiochia lo dimostra (Agosto 362-
Marzo 363 d.C.): l’austero imperatore si dimostrò poco propenso ad ascoltare
le richieste dei cittadini, che gioirono alla sua partenza.
Le discussioni tra Antiocheni e Giuliano divennero però la materia utilizzata
dall’imperatore per scrivere una satira indirizzata apparentemente contro se’
stesso: il Mispogon o L’odiatore della barba.

2.4 DALLA MORTE DI GIULIANO A TEODOSIO MAGNO

Nel IV secolo d.C. l’Impero Romano godette di una certa stabilità interna, di
fatto l’unico grande momento di crisi (seppur scongiurato) sarebbe potuto
essere determinato dalla proclamazione di Giuliano.
Morto quest’ultimo, gli succedette Gioviano, che morì nel 364 d.C. dopo aver
concluso una disonorevole pace con i Persiani; nello stesso anno venne
acclamato imperatore dalle truppe un ufficiale di origine pannonica,
Valentiniano I (321-375 d.C.), imperatore tra il 364-375 d.C.
Valentiniano I decise di associare al potere il fratello Valente (328-378 d.C.), a
cui venne affidata la parte orientale dell’Impero: questa scelta, determinata
dalla volontà di controllare meglio le frontiere, fu un passo molto importante
nella separazione tra la parte occidentale e quella orientale dell’Impero.
Valentiniano, proprio per controllare meglio il confine, scelse di risiedere a
Treviri, mentre Valente risiedette a Costantinopoli.
Valentiniano I portò avanti una politica di tolleranza religiosa e di supporto
alle classe sociali più umili, inoltre egli riuscì a sconfiggere Franchi, Alamanni
e Burgundi tra il 365 e il 375 d.C.; egli represse anche la rivolta africana di
Firmo.
Valentiniano I morì di morte naturale nel 375 d.C. mentre combatteva contro
i Quadi, gli succedette il figlio Graziano (359-383 d.C.), anche se venne
nominato Augusto anche il fratello di soli quattro anni Valentiniano II (371-
392 d.C.).
L’esperienza di Valente in Oriente si dimostrò molto meno felice: a causa
dell’arrivo degli Unni nell’Europa centro-orientale, alcune popolazioni
furono spinte verso Sud, in primo luogo i Goti.
Questi, che premevano sulla frontiera danubiana, non si riuscì ad inserirli
pacificamente in territorio imperiale, quindi Valente decise di affrontarli, ma
venne sconfitto e ucciso nella battaglia di Adrianopoli del 378 d.C.
La sconfitta ad Adrianopoli ebbe delle conseguenze importantissime per la
storia dell’Impero: dopo Adrianopoli si aprì la politica di collaborazione
inaugurata da Teodosio.
L’inesperto Graziano, rimasto imperatore assieme al giovane fratello
Valentiniano II, chiamò in suo soccorso un generale spagnolo Flavio
Teodosio (347-395 d.C.) per condividere con lui l’impero (egli rimase al
potere dunque tra il 374-395 d.C.).
Questo si rese conto che sarebbe stato impossibile ricacciare i Goti al di là del
Danubio, così strinse con loro un trattato nel 382 d.C.: i Goti ricevettero delle
terre all’interno dell’Impero come popolazione autonoma, erano dunque dei
foederati, legati da un foedus (un trattato), per cui erano obbligati a fornire un
certo numero di soldati in caso di necessità.
Nel 383 d.C. emerse un nuovo pretendente al trono, Magno Massimo,
governatore della Britannia: egli invase la Gallia e costrinse Graziano al
suicidio.
Massimo regnò per qualche anno sulla Gallia, e poi invase l’Italia, dove era
arroccata Giustina, madre di Valentiniano II; l’entrata di Massimo in Italia
spinse Teodosio ad agire.
Nel 388 d.C. Teodosio sconfisse Massimo, e qualche anno dopo (392 d.C.) fu
costretto a intervenire di nuovo in Italia, quando il generale barbaro
Arbogaste fece uccidere Valentiniano II e nominare un rettore, Eugenio.
Teodosio sconfisse Eugenio nella battaglia del fiume Frigido 394 d.C. , in
Carnia (tra Friuli-Venezia-Giulia e Slovenia): dopo questa vittoria Teodosio si
trovò ad essere l’unico sovrano dell’Impero.
Teodosio ancora prima del Frigido aveva portato avanti una politica religiosa
di una certa importanza: nel 380 d.C. aveva promulgato l’editto di
Tessalonica, con cui rese il Cristianesimo la religione ufficiale.
Nel 381 d.C. indisse poi un nuovo concilio presso Nicea con cui veniva
ribadito il credo niceano e venne promulgata una legislazione più severa
contro i pagani.
Dietro questa decisione vi fu forse la volontà di punire il sostegno dato da
alcuni aristocratici romani, e pagani, all’usurpazione di Eugenio nel 392 d.C.;
uno dei sostenitori più celebri di quest’ultimo era Vico Nicomaco Flaviano,
prefetto del pretorio dell’Italia e console, che si uccise dopo il Frigido.
Molto importante fu in questi anche la figura di Sant’Ambrogio (339/340-397
d.C.), vescovo di Milano dalla folla dal 374 d.C., quando era governatore
dell’Emilia.
Ambrogio è senza dubbio uno dei personaggi che meglio esplicitano il
profondo legame creatosi nel IV secolo d.C. tra Cristianesimo e Stato.
Come vescovo di Milano Ambrogio cercò di porre a freno i sentimenti
filoariani di Giustina, madre di Valentiniano II, e soprattutto egli per ben due
volte si scontrò con Teodosio I.
La prima volta obbligò l’imperatore a revocare la condanna contro un
vescovo che aveva incendiato una sinagoga in una località mesopotamica, la
seconda (più celebre) obbligò l’imperatore a fare pubblica penitenza per
rientrare nella comunità cristiana: una punizione causata dall’aver ordinato il
massacro dei civili a Tessalonica,dove era scoppiata una ribellione (390 d.C.).

2.5 LA VITTORIA DEL CRISTIANESIMO E LA RISPOSTA PAGANA

Nel IV secolo d.C. il Cristianesimo emerse come religione dominante nella


compagine imperiale, una svolta che ebbe come prima conseguenza
l’introduzione di legislazioni antipagane, culminate con quelle di Teodosio.
Il trionfo del Cristianesimo portò con se’ molte novità anche dal punto di
vista sociale: il vescovo, l’uomo santo e la donna divennero infatti i
protagonisti di un mondo rinnovato.
La risposta pagana si pose su un piano culturale, portato avanti in primo
luogo dall’aristocrazia senatoria, che vedeva nella difesa del paganesimo la
difesa della propria identità politica.
Il tentativo di restaurazione pagana portato avanti da Giuliano, che insistette
sulla polemica culturale nei confronti del Cristianesimo e che divenne nel suo
insuccesso una sorta di ‘’santo pagana’’.

2.6 LA CRISI ECONOMICA

Tra II e III secolo d.C. la trasformazione nei sistemi di gestione delle aziende
agrarie va considerata la manifestazione di una crisi in atto: la villa
schiavistica aveva infatti terminato il suo ciclo.
Molto ville erano state abbandonate, cosa che fece sì che la produzione
venisse decentrata su varie unità minori, nelle quali dominava una
conduzione indiretta.
Non vi erano più in sostanza schiavi che eseguivano ordini diretti, bensì dei
liberi coloni che pagavano un canone ai padroni; si formava così un mercato
più limitato.
Le incursioni barbariche che colpirono l’Italia, e gran parte dell’Impero,
causarono la chiusura di circuiti commerciali: la domanda d’olio non venne
più controllata dalla Betica, ma dall’Africa settentrionale, più vicina a Roma.
Le ripercussioni della crisi del III secolo d.C. hanno poco riscontro nelle fonti,
cosa che rende difficile ogni sorta di ricostruzione.
Altro elemento di novità fu l’accresciuto fiscalismo, l’aumento della
pressione coercitiva sulla società.
Nelle campagne comparve invece una figura nuova: quella del colono, il
coltivatore libero, ma di fatto vincolato alla terra su cui lavorava (una sorta di
‘’schiavo improprio’’).
Le innovazioni introdotte da Diocleziano furono importanti per la storia
dell’Italia, che perse i propri privilegi fiscali e venne equiparata alle altre
province; non si hanno notizie su come i proprietari terrieri della penisola
reagirono a questa decisione.
Molto importanti furono anche le trasformazioni economiche causate dalla
presenza di nuove capitali: alla fine del III secolo d.C. Roma smise di essere
la residenza dell’imperatore.
Milano per esempio, scelta già da Massimiano come capitale d’Occidente,
vide aumentare il proprio fabbisogno a causa del trasferimento degli uffici e
della corte; su Milano si indirizzeranno le risorse della cosiddetta ‘’Italia
annonaria’’.
Le esigenze sociali, le distorsioni economiche e le guerre causarono anche una
riduzione degli scambi commerciali all’interno del Mediterraneo; le élite
sociali furono le uniche a mantenere un vero potere d’acquisto, per gli altri
strati della società invece, la carenza di beni causò un abbassamento delle
condizioni di vita e anche un netto calo demografico.

2.7 CHE COSA SI INTENDE PER ‘’TARDA ANTICHITÀ’’

Partendo dal presupposto che ogni periodizzazione storica ha un innegabile


aspetto di provvisorietà, risulta difficile spiegare cosa si intenda per ‘’Tarda
Antichità’’.
Negli ultimi anni si è verificato a livello accademico un cambiamento
profondo nella considerazione del mondo antico, ma più precisamente nella
linea di demarcazione tra Antichità e Medioevo.
La periodizzazione storica parla oggi di una nuova età dai caratteri piuttosto
definiti: la Tarda Antichità, che possiede caratteri originali e distintivi.
Si preferisce la definizione di Tarda Antichità a quella di Basso Impero in quanto
si vogliono riflettere i tratti unici di un’epoca portatrice di valori positivi.
La denominazione ‘’Basso Impero’’ è stata introdotta in un’opera francese del
Settecento (‘’Bas-Empire’’), mentre il termine ‘’Tarda Antichità’’ è molto più
recente: esso venne utilizzato per la prima volta dallo storico dell’arte
viennese Alois Riegl, che lo utilizzò in un’introduzione a un catalogo di
tessuti.
Il termine ebbe successo già nel corso del XX secolo, in quanto si riferiva
(stando a Riegl) ad un ‘’nuovo senso dello spazio’’ che ha inizio con Costantino.
Le novità principali per Riegl stanno ovviamente nell’ambito artistico: in
sostanza l’arte cominciò ad essere percepita come ‘’intenzione artistica’’,
sintesi di sensibilità e volontà espressive che erano radicate nella tradizione
classica, ma se ne differenziavano.
Se per la fine della Tarda Antichità abbiamo delle date certe, invasione
longobarda per l’Occidente (568 d.C.), fine del regno di Giustiniano per
l’Oriente (565 d.C.).
Più complesso è indicare il momento iniziale di quest’epoca: alcuni dicono la
tetrarchia, altri dicono il regno di Costantino, altri ancora l’età severiana (tutti
momenti visti come di rottura rispetto al passato).
Questo nuovo orientamento valutativo ebbe molto successo nel mondo
intellettuale di fine Ottocento, quello del Decadentismo, che vedeva nella
decadenza il sorgere di nuove esperienze artistiche e letterarie.
2.8 L’IDEOLOGIA DELL’IMPERATORE TARDOANTICO

Per un sovrano romano, a partire dal III secolo d.C., la prima preoccupazione
era quella di ricercare una fonte di legittimità, questo in primo luogo a causa
della perdita di influenza del senato.
Gli imperatori si rivolsero in primo luogo all’esercito, ma anche alle
acclamazioni e alle manifestazioni di consenso di vario tipo.
La ricerca di uno strumento che definisse in maniera chiara l’origine e le
finalità del potere emerse dunque con forza nel periodo dell’anarchia, e viene
meno solo con l’introduzione del cerimoniale.
Esso ha come fine quello di riassumere il codice di comportamento che il
popolo si attendeva dal sovrano; tuttavia l’orizzonte rispetto all’età augustea
era cambiato decisamente (anche perché erano scomparse per esempio le
assemblee legislative).
Il sovrano diveniva dunque la ‘’legge vivente’’, l’incarnazione della giustizia:
colui che più di ogni altro si relaziona alle leggi, è anche il più giusto di tutti.
Allo stesso tempo il potere del sovrano era ‘’irresponsabile’’, ovvero non
doveva rispondere a nessuno; questo non significava però che esso potesse
sottrarsi alla legge, di cui era l’incarnazione.
Un trattato ellenistico sulla regalità attribuito a Diotogene ricorda il legame
speciale che lega il sovrano giusto a Dio: il compito del sovrano è quello di
incrementare nei sudditi un sentimento morale.
Il monarca diviene l’intermediario per arrivare al cielo; un altro trattatista
ellenistico, Ecfanto, scrive: ‘’Solo il re può dispensare questo dono alla natura degli
uomini….di seguirli sulla via del dovere’’.
La sacralizzazione della figura dell’imperatore è il risultato di un lungo
processo: già sotto Ottaviano questo processo ha inizio, egli infatti viene
definito ‘’Augusto’’, più elevato rispetto agli altri.
Al sovrano dunque cominciarono ad essere attribuite delle caratteristiche
sacrali, e questo soprattutto a partire dalla ‘’rivoluzione costantiniana’’.
Questo percorso riguardò anche l’evoluzione della superpotenza antagonista
dell’Impero Romano: il Regno della dinastia dei Sasanidi, i cui sovrani, a
partire dal fondatore Ardashir I (o meglio dal suo testamento), si definivano
‘’rappresentanti della religione di Zarathustra’’.
Nel citato testamento di Ardashir I si dice che: ‘’la religione e la regalità sono
gemelle: nessuna di loro può mantenersi senza l’altra’’.
L’imperatore tardoantico è tale ‘’per grazia di Dio’’, un fondamento teologico
che viene utilizzato già da Diocleziano per porre fine all’anarchia militare.
La fisiognomica è paradossalmente una delle realtà più vive del Tardo
Impero, sempre gli oratori (a pagamento ingaggiati dagli imperatori) vanno
ad insistere sull’eccezionalità fisica del sovrano.
La retorica è il mezzo attraverso cui controllare i potenti paradossalmente, in
quanto lo obbligava ad entrare in determinati canoni.
Costantino fece propria questa idea del sovrano (ma anche la visione
consequenziale della storia della fede cristiana), che venne accentuata dalla
propaganda dei suoi oratori, ma anche dalle opere su di lui.
Egli è celebrato nei panegirici come ‘’imperatore giovane, lieto e bellissimo’’, ma
lo stesso Eusebio ricorda che ‘’la sua persona superava in altezza tutti i suoi
accompagnatori, ma anche per la luminosa bellezza’’.
Lo scrittore cristiano è in sintonia con il suo tempo quando afferma, lodando
Costantino, che: ‘’rendeva manifesto l’angusto titolo dell’autorità monarchica nel
mirabile tessuto delle sue vesti’’.
Fuori linea è invece l’atteggiamento di Giuliano: le sue scelte aiutano a
cogliere il senso della filosofia antica nel Tardo Impero.
Egli si pone come un anti-Costantino, non accetta la deumanizzazione della
figura imperiale, che rifiuta con grande dignità, ma che lo pone anche in
contraddizione coi tempi.
Egli dovrebbe essere sbarbato come Cesare, ma si presenta invece con la
barba da filosofo, segno di rottura con i suoi predecessori.
Vi sono dei testi in effetti che insistono sulla contraddizione rappresentata da
Giuliano: si pensi al Sulla regalità del filosofo politico Sinesio, letto a fine del
IV secolo d.C. all’imperatore d’Oriente Arcadio: ‘’teatrale apparato per la
persona fisica del basiléus’’.

2.9 COSTANTINO: UNA FIGURA CONTROVERSA

La crisi dinastica apertasi con la morte di Costantino rese evidente il


fallimento del suo progetto politico: l’impero negli anni successivi alla sua
morte venne infatti lacerato da conflitti religiosi (si salvò da quelli politici solo
perché nel 361 d.C. Costanzo II morì prima di poter affrontare Giuliano).
La fortuna di Costantino prescinde dal dato fattuale, ma è subordinata alla
prospettiva ideologica e soprattutto religiosa.
Se a Costantino va attribuito il merito di aver cristianizzato l’Impero, allo
stesso tempo gli va riconosciuto quello di aver contribuito in maniera
inevitabile alla divisione dell’Impero in un’area di cultura greca e una di
cultura latina.
Il progetto di Costantino, quello di far coincidere il destino dell’Impero con
quello della Chiesa, non giunse a buon fine; tuttavia egli venne fin da subito
santificato, ancora oggi la Chiesa greca lo venera assieme alla madre Elena il
21 Maggio.
La Vita di Costantino di Eusebio di Cesarea fu uno degli strumenti che meglio
contribuirono a creare il culto dell’imperatore come santo, ma si rivelò anche
utile a proteggere la fama di Costantino dalle accuse dei pagani.
Uno dei più grandi eversori di Costantino e del suo operato politico-religioso
fu il nipote Giuliano, che in uno scritto satirico intitolato i Cesari, descrive lo
zio come un dissoluto e un dissipatore, che si convertì solo perché vide nel
Cristianesimo una fede che gli prometteva il perdono per i propri peccati.
Giuliano vedeva nella ‘’rivoluzione costantiniana’’ un atto eversivo, in netto
contrasto con i valori della tradizione.
Santo Mazzarino ha sostenuto che la storia del Tardo Impero possa essere
letta alla luce delle due immense figure di Costantino e Giuliano, con il
secondo che divenne il ‘’simbolo di battaglia ideologica’’.
Il Cristianesimo veniva infatti visto dalle élite pagane come il principale
responsabile della decadenza politica; un trattato anonimo Sulla guerra
(contiene i progetti di alcune macchine militari), viene anche presa di mira la
riforma monetaria di Costantino, che sostituendo la moneta d’argento con
una d’oro aveva impoverito le classi più umili.
Costantino è anche protagonista di numerose leggende: la più famosa ha
come protagonista la madre Elena, che secondo una storia della seconda metà
del IV secolo, avrebbe avuto un ruolo decisivo nell’Inventio crucis (il
‘’ritrovamento della croce’’).
La prima registrazione storiografica è situata nella Storia Ecclesiastica (opera
perduta) di Gelasio, vescovo di Cesarea alla fine del IV secolo d.C., ma da cui
dipendono molte opere storiche in greco sulla Chiesa del V secolo d.C. (anche
quella di Rufino di Aquileia).

2.10 UNA SOCIETÀ REPRESSIVA

La Tarda Antichità è un’età caratterizzata da forti contraddizioni: sicuramente


presenta caratteri fortemente repressivi e autoritari: durante l’età
repubblicana per esempio, l’utilizzo della tortura era riservato solo agli
schiavi (o applicato in casi di cospirazione contro lo Stato) , mentre nel corso
della Tarda Antichità era rivolto praticamente a tutti.
La sempre maggiore difficoltà di nel controllare il territorio, l’aumento delle
tendenze assolutistiche, il culto imperiale: si tratta di fattori che in qualche
modo favorirono l’utilizzo della violenza in ambito giudiziario.
Si tratta comunque di elementi consequenziali al trapasso repubblicano e alla
realizzazione del principio monarchico, uno sviluppo rispetto al quale il
pensiero stoico e quello cristiano presero delle prese di posizioni decise.
Seneca nelle sue opere non sostiene mai che le pene siano sproporzionate alle
ai delitti, Agostino nel V secolo d.C. invita il proconsole d’Africa a punire i
‘’nemici della Chiesa..secondo quel che richiede la mansuetudine cristiana’’.
Ambrogio è l’unico che invita alla ‘’clemenza’’, tuttavia egli si riferiva solo alla
non piena applicazione di una sanzione.
Si avverte in generale un aumento della violenza nell’applicazione delle
pene all’interno della società romana, come testimonia un papiro di
Ossirinco.
Il primo riporta il testo riguardante la riparazione dei canali e delle dighe in
vista della prossima esondazione del Nilo, motivo per il quale si impongono
delle corvée generali.
Nel testo si riporta che chiunque pagherà per evitare la prestazione lo farà ‘’a
rischio della sua stessa vita’’; si tratta di una formulazione senza precedenti.
Ancora più duro è il testo contenuto in una sorta di manuale scolastico,
riguardante scene di vita quotidiana, in cui si descrive il processo ad un
brigante: ‘’L’interrogante lo colpisce con il martello, gli lacera il petto’’.
Come già detto, questo tipo di severità venne allargato anche alle élite
provinciali (impero di Costantino, 316 d.C.), anche se in seguito ci si
preoccupò di distinguere i principales, le personalità più importanti.
In ogni caso si assistette ad un utilizzo sempre maggiore della pena
detentiva, anche per reati che in precedenza sarebbero stati puniti con l’esilio
o con una multa.
L’imbarbarimento delle pene è un tema su cui si è dibattuto a lungo
(probabilmente fu determinato dall’indebolimento di status degli humiliores
rispetto agli honestiores).
Per quanto riguarda invece la condizione di schiavi e donne, sicuramente
ancor prima del cristianesimo ebbe un ruolo importante nel miglioramento
delle condizioni la filosofia stoica.
Allo stesso tempo si è valutata anche l’importanza della trasmissione
ereditaria delle professioni, cosa che poneva lo schiavo e il padrone in un
diverso rapporto di dipendenza.
2.11 LA RIFORMA DEL PAGANESIMO PROMOSSA DA GIULIANO

Il tentativo di restaurazione della fede pagana promosso da Giuliano fu un


disegno complesso e ispirato anche ad alcune strutture della Chiesa cristiana,
come dimostra una lettera inviata dall’imperatore ad Arsacio, gran sacerdote
della Galazia.
In essa Giuliano invita il sacerdote a rendere l’Ellenismo (la riforma religiosa
pagana) il promotore principale di ospitalità e filantropia, dei settori in cui il
primato spettava al Cristianesimo.
Il raggiungimento di una posizione di egemonia nell’ambito assistenziale
emerge nella lettera come uno degli scopi principali della politica di Giuliano.

2.12 PAGANI E CRISTIANI ALLA FINE DEL IV SECOLO D.C.

Il dibattito che oppone cristiani e pagani ebbe come momento di vertice la


controversia del 384 d.C. sul ripristino in senato dell’altare della Vittoria.
Se da un lato Simmaco, rappresentate di una classe senatoria ancora pagana,
chiedeva solamente tolleranza, dall’altra parte Sant’Ambrogio si opponeva
rivendicando il ruolo della Chiesa.
Dice Simmaco nella sua Relazione III, Sull’altare della Vittoria: ‘’Se è vero che
l’antichità conferisce prestigio alle religioni, allora dobbiamo conservare una fede
praticata per tanti secoli e non discostarci dall’esempio dei nostri antenati’’.

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