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DIOCLEZIANO
Già durante il regno di Marco Aurelio, e ancora di più sotto quello del figlio
Commodo, cominciarono a manifestarsi degli elementi di disgregazione, che
investivano i due settori fondamentali della società e del governo romano: in
campo politico si assistette all’esautoramento del senato a vantaggio dei
militari, i cui bisogni crescevano parallelamente al loro potere.
A ciò si deve aggiungere la svalutazione della moneta, che impoverì i ceti
medi, causò la decadenza economica delle città e una profonda crisi morale,
dovuta alla sfiducia nei valori tradizionali.
La crisi si aggravò nel corso del III secolo, conducendo lo Stato romano ad
una situazione difficilissima: all’esterno vi erano le pressioni dei barbari,
all’interno la pressione dei soldati, che ad un certo punto cominciarono a
nominare imperatori a loro piacimento.
Questa situazione divenne drammatica a partire dal III secolo d.C., quando si
aggiunse un nuovo elemento di disgregazione: la crisi economica causata in
primo luogo dalle enormi spese per il mantenimento dell’esercito.
La crescita della pressione fiscale, unita ad una diffusa inflazione, ebbe come
conseguenza la forte perdita di valore della moneta.
1.3 IL CRISTIANESIMO
La crisi morale dell’Impero Romano, in cui si diffuse una sfiducia nei valori
religiosi e civili, favorì il manifestarsi di nuove tendenze religiose: il III secolo
d.C. è l’epoca decisiva per il costituirsi delle strutture primitive della Chiesa
cristiana.
Il Cristianesimo ottenne sempre più consensi presso la gente bisognosa, ma
allo stesso tempo si rese sempre più evidente l’avversione del potere rispetto
alla nuova fede.
Addirittura verso il 250 d.C., quando il pericolo barbarico raggiunse uno dei
suoi momenti più gravi, il potere imperiale organizzò la prima persecuzione
sistematica dei Cristiani.
Dopo la morte di Commodo nel 192 d.C. si aprì uno scenario molto simile
all’anno dei quattro imperatori (68/69 d.C.): inizialmente il nuovo sovrano
Pertinace tentò una restaurazione filosenatoria.
Alla morte di quest’ultimo nel 193 d.C., il potere passò nelle mani del ricco
Didio Giuliano, che ottenne il potere comprandolo dai pretoriani, ma che fu
costretto ad affrontare tre defezioni da parte di comandanti militari.
Lo scontro per il titolo imperiale, morto Giuliano (tradito dai pretoriani già
nel 193 d.C.), riguardò Pescennio Nigro (governatore di Siria), Clodio Albino
(governatore della Britanni) e Settimio Severo (146-211 d.C.), legato della
Pannonia superiore.
A trionfare fu proprio quest’ultimo nel 197 d.C.: Settimio Severo, imperatore
tra il 197-211 d.C., era originario dell’Africa (proveniva da Leptis Magna
nell’odierna Libia) diede vita ad una dinastia che resse le sorti dell’Impero
fino al 235 d.C. (vi fu il breve intervallo di Macrino nel 217-218 d.C.).
Con Settimio Severo ebbe inizio quella che è definita la ‘’monarchia militare’’,
in cui l’autorità dell’imperatore si basa sulla forza degli eserciti.
Egli rivolse subito la sua attenzione verso la frontiera orientale, minacciata
dai Parti: alla fine del 198 d.C. Settimio Severo riuscì a conquistare
Ctesifonte, capitale partica, che venne rasa al suolo.
Il confine venne dunque portato fino al Tigri: ma si trattava di un’iniziativa
puramente propagandistica, riflessa nel titolo che assunse, quello di Partico
Maximus.
Dopo il successo sui Parti le truppe proclamarono il figlio maggiore di
Settimio Severo, Antonino, come Augusto; in seguito il più piccolo, Geta,
venne proclamato Cesare.
Dopo la campagna partica l’imperatore si stabilì a Roma, dove amministrò il
nuovo regime nel miglior modo possibile; solo nel 208 d.C. venne intrapresa
una nuova campagna militare in Britannia, dove erano aumentate le
incursioni delle tribù Caledoni provenienti dalla Scozia.
Morto Settimio Severo nel 211 d.C. ad Eburacum (odierna York), il potere
passò belle mani dei due figli, che avrebbero dovuto portare avanti la filosofia
di governo riassunta dal padre in una raccomandazione prima di morire:
‘’Andate d’accordo, arricchite i soldati e non preoccupatevi degli altri’’ (in effetti
sotto l’imperatore africano era aumentato il soldo, la paga dei soldati).
Il carattere assolutistico e autoritario del nuovo regime è confermato anche
dall’impossibilità di distinguere il patrimonio dello Stato, dai beni del
sovrano (le res privata).
Il potere dunque, alla morte del vincitore del 197 d.C., passò ai figli Marco
Aurelio Antonino, detto Caracalla (188-217 d.C) per il cappuccio indossato
sopra la tunica, e Geta.
Caracalla, al potere tra il 211-217 d.C., fece uccidere il fratello Geta nel 212
d.C., e nello stesso anno estese la cittadinanza romana a tutti gli abitanti
dell’Impero (ad eccezione dei dediticii, gli abitanti non ancora assimilati).
Alla base della Constitutio Antoniniana non vi fu solo la legalizzazione di
una trasformazione della società romana (veniva meno definitivamente la
distinzione tra Italici e provinciali), infatti essa perseguiva anche obiettivi
economici: con la concessione della cittadinanza venivano aumentati i
contribuenti.
Per combattere l’inflazione Caracalla introdusse anche una nuova moneta,
l’antoniniano, che aveva valore nominale di due denari, ma effettivo di un
denario e mezzo.
Caracalla venne infine eliminato da una congiura militare mentre si trovava
in Oriente per combattere i Parti (Carre 217 d.C.); egli non aveva fatto in
tempo a nominare alcun erede.
La sfiducia nell’aristocrazia spinse gli imperatori a potenziare il ruolo dei
cavalieri, che assunsero sempre più potere: la prova di ciò è che alla morte di
Caracalla, il potere venne preso dal prefetto del pretorio Macrino, primo
imperatore (nel 217-218 d.C.) di rango equestre.
Alla morte di Macrino, il potere passò nelle mani di un esponente della
famiglia dei Severi: Vario Abito Bassiani, detto Elagabalo (203-222 a.C),
imperatore tra il 218-222 d.C.
L’ascesa al potere di Elagabalo era dovuta all’intervento di due figure
femminili appartenenti alla famiglia severiana: Giulia Domna, moglie di
Settimio Severo, e sua sorella Giulia Mesa (nonna del nuovo imperatore).
Il principato di Elagabalo, forse uno dei momenti più oscuri della storia
imperiale del III secolo d.C., fu caratterizzato da un forte misticismo, dovuto
all’adesione dell’imperatore al culto esotico e stravagante del dio Sole (in
Oriente El Gabal), il cui simulacro (una pietra nera conica) venne portato a
Roma, dove gli venne anche dedicato un tempio.
Eliogabalo non venne particolarmente apprezzato a Roma, motivo per cui
Giulia Mesa lo obbligò ad associare al potere il cugino Bassiano; nonostante
ciò l’imperatore venne assassinato nel 222 d.C. dai pretoriani, che
nominarono imperatore Bassiano, che salì al trono con il nome di Alessandro
Severo (208-235 d.C.), imperatore tra il 222-235 d.C.
Il regno di Alessandro Severo fu caratterizzato inizialmente da un’efficace
azione politica, dovuta in primo luogo all’aiuto fornito dal grande giurista
Ulpiano, che ottenne il titolo di prefetto del pretorio e che favorì un nuovo
rapporto di collaborazione tra il senato e il potere imperiale.
Durante il regno di Alessandro Severo si verificò anche un evento di decisiva
importanza per la storia dell’Impero: nel 224 d.C. la dinastia partica degli
Arsacidi venne deposta da quella persiana dei Sasanidi, che si proclamavano
discendenti degli Achemenidi, la dinastia persiana che nel V secolo a.C. era
stata sconfitta dai Greci a Maratona e Salamina.
I Sasanidi cacciarono i Romani dalla Mesopotamia, arrivando poi a
minacciare la Siria: il successivo intervento dell’imperatore frenò lo slancio
persiano.
In seguito l’imperatore fu costretto a spostarsi in Gallia, dove premevano le
popolazioni barbariche: qui, nel 235 d.C., venne assassinato dall’esercito, che
temeva che egli stesse preparando un accordo con i barbari.
Con la morte di Alessandro finiva la dinastia severiana.
1.5 L’ANARCHIA MILITARE
Gallieno venne ucciso nel 268 d.C. da una congiura ordita dai suoi ufficiali,
che consegnarono il potere al comandante della cavalleria Claudio II (213/14-
270 d.C.), il primo imperatore ‘’illirico’’ (proveniente dall’Illiria).
Claudio ottenne importanti vittorie contro gli Alamanni e contro i Goti, che
erano giunti ad occupare Atene: alla vittoria su questi ultimi si deve il suo
soprannome di ‘’Gotico’’.
Morto Claudio II, al potere tra il 268-270 d.C., gli succedette un suo
comandante, Aureliano (214-275 d.C.), che sottrasse il potere al fratello di
Claudio II, Quintilio (imperatore per pochi giorni).
Aureliano, al potere tra il 270-275 d.C., riuscì a sconfiggere le popolazioni
barbariche che erano penetrate nella Pianura Padana ed in seguito dotò Roma
di una nuova imponente cinta muraria: la costruzione delle ‘’mura
aureliane’’, il cui perimetro misurava 18km, fu portata a termine da Probo.
Aureliano ottenne anche il titolo di ‘’restitutor orbis’’ (‘’ricostruttore
dell’ordine’’) dopo aver riconquistato i regni separatisti: nel 272 d.C. sconfisse
Zenobia, signora di Palmira dopo la morte del marito Odenato, e nel 274
sconfisse Tetrico, ultimo imperatore delle Gallie.
Aureliano riuscì a restituire alla figura dell’imperatore un certo prestigio:
riorganizzò lo Stato in tutti i settori (dalla vita economica alla divinizzazione
del sovrano), impose l’inquadramento (alle dipendenze dello Stato) delle
associazioni professionali, come quelle degli armatori di navi (navicularii).
Introdusse poi una nuova riforma monetaria: la nuova moneta, chiamata
ancora ‘’antoniniano’’, sostituì quella precedente (del tutto svilita).
Egli rimase celebre anche per aver introdotto il culto del Sol invictus,
identificato con Mitra, divinità particolarmente cara ai soldati; si trattava di
una mossa per rafforzare il potere dell’autorità: si arrivava così ad una forma
di autocrazia dove il culto solare diveniva il culto dell’imperatore.
Aureliano venne ucciso nel 275 d.C. mentre preparava una campagna contro i
Persiani, gli succedette Probo (in realtà salito al potere dopo l’anziano
senatore Tacito e dopo Floriano, che però governarono pochi mesi),
imperatore tra il 276-282 d.C., anch’egli di origine illirica.
Probo riuscì ancora una volta a frenare la pressione dei barbari sul confine, e
portò avanti anche una campagna contro i Persiani, dove però trovò la morte;
il successore Caro, imperatore tra il 282-283 d.C., che riuscì a saccheggiare
Ctesifonte, la capitale nemica nel 283 d.C.
Caro venne eliminato dai militari: la sua morte aprì un biennio di confusione,
in cui furono al potere Numeriano e il figlio Carino (eliminati nel 285 d.C.),
dopo il quale prese il potere Diocleziano, proclamato imperatore dall’esercito
nel 284 d.C.
1.7 DIOCLEZIANO E IL DOMINATO
2.2 COSTANTINO
Costantino (274-337 d.C.), una volta acclamato dalle truppe nel 306 d.C.,
condusse per qualche anno una politica prudente; solo nel 310 d.C. egli
abbandonò i legami ideologici con la tetrarchia: in primo luogo aderendo ad
una religione solare, monoteistica.
Morto Galerio nel 311 d.C. (aveva appena ordinato di sospendere ogni tipo di
persecuzione contro i Cristiani), li succedette il suo Cesare Massimino Daia,
che però venne deposto da Licinio.
Costantino si mosse invece verso l’Italia, dove si scontrò con Massenzio, che
venne sconfitto definitivamente nella battaglia di Ponte Milvio (312 d.C.) sul
Tevere, dopo la quale divenne signore di Roma.
La vittoria ebbe un impatto straordinario, e questo perché fu ottenuta nel
segno di Cristo e da un imperatore che dichiarava di aver aderito al culto
cristiano.
La conversione di Costantino fu un evento eccezionale, non solo perché portò
all’inserimento della Chiesa nelle strutture dello Stato, ma perché lo stesso
imperatore poteva ora inserirsi nelle questioni dottrinali.
La religione promossa da Diocleziano era una forma aggiornata di quella
antica; Costantino fu invece più capace di essere in sintonia con il proprio
tempo (probabilmente egli si convertì dopo aver sconfitto Massenzio), la sua
conversione fu un evento preparato e organizzato per la propaganda.
Ora, se da un lato il Costantino politicante cinico, convertitosi solo per puro
calcolo politico (come voleva nel XIX secolo Jakob Burkhardt), non è mai
esistito, dall’altro non esisté mai neppure il Costantino cristiano da sempre.
Egli fu ij primo luogo un individuo di grande ambizione e che percepiva il
proprio successo come il riflesso di un disegno universale, un prospettiva che
non poteva rientrare nel mondo politeistico, ma che calzava perfettamente
con la teleologia cristiana.
All’inizio del 313 d.C. Costantino e Licinio si incontrarono a Milano, dove
sottoscrissero quello che impropriamente è definito ‘’editto’’, ovvero un
accordo di politica religiosa.
Rapidamente emersero però contrasti tra i due padroni del mondo romano,
anche se la situazione divenne di guerra aperta probabilmente solo a seguito
di alcune persecuzioni condotte da Licinio contro i Cristiani.
Lo scontro finale avvenne nella battaglia di Adrianopoli del 324 d.C., dopo la
quale Costantino divenne l’unico sovrano dell’Impero.
Il legame tra Costantino e la Chiesa fu stretto sin dall’inizio: nel 314 d.C. egli
convocò un concilio ad Arles per cercare di conciliare il contrasto apertosi in
Africa tra rigoristi (detti anche ‘’donatisti’’, da Donato vescovo di Cartagine)
e moderati a proposito di coloro che avevano abiurato al tempo delle
persecuzioni di Diocleziano.
Per salvaguardare l’unità della Chiesa convocò anche un concilio a Nicea nel
325 d.C. per cercare di sanare i contrasti tra Alessandro e Ario, che si
scontravano sulla natura di Cristo (Ario negava la natura divina di Cristo).
Per quanto riguarda invece l’amministrazione, Costantino raggruppò le
diocesi di Diocleziano in quattro prefetture: Italia, Gallie, Africa, dell’Illirico e
dell’Oriente (tutte raggruppavano dentro di loro delle province).
La principale conseguenza della vittoria ad Adrianopoli fu la fondazione di
Costantinopoli, la ‘’nuova Roma’’, nel 330 d.C.; la scelta di costruire una
nuova capitale (sulle rovine dell’antica Bisanzio) fu motivata forse dalla
volontà di costruire una capitale priva di contaminazioni con paganesimo.
Roma non era più la sede imperiale sin da Diocleziano, infatti dopo la crisi
del III secolo d.C. era emersa la necessità di una nuova sede imperiale:
Bisanzio era la scelta più sensata, poiché legittimava la maggior importanza
dell’Oriente e per la sua posizione strategica a metà tra Asia ed Europa.
Costantinopoli, la cui fondazione avrebbe avrebbe aperto un nuovo corso
anche nella storia del Mediterraneo, fu dotata di tutte le strutture di Roma,
anche di un senato (inizialmente di 300 membri, poi giunto a contarne 2000),
che però non ottenne mai il prestigio di quello romano.
L’idea che Costantino aveva della propria funzione rispetto all’Impero e alla
Chiesa è chiarito dallo storico Eusebio vescovo di Cesarea, autore di una
Storia ecclesiastica e di una Vita di Costantino.
Le opere di Eusebio sono concentrate proprio sulla figura del primo
imperatore cristiano, definito come ‘’vescovo di quelli che sono fuori’’, dove
‘’fuori’’ di riferisce alla Chiesa, quindi è la guida dei laici.
Costantino venne seppellito nella Chiesa di Santa Sofia a Costantinopoli come
isoapostolo, ‘’uguale agli apostoli’’; tuttavia come si vede nel rescritto di Spello,
in cui la comunità umbra chiedeva di poter costruire un tempio dedicato al
nume imperiale, si nota che i culti tradizionali vennero tollerati (tranne
quelli in aperto contrasto con il Cristianesimo).
Una delle riforme più importanti di Costantino riguarda senza dubbio
l’esercito, che venne diviso in due macro gruppi: quello dei comitatenses, i
soldati che componevano il comitatus, l’esercito mobile che stava presso
l’imperatore, e quello dei limitanei, coloro che stavano a guardia del limes.
I primi, più pagati dei secondi, erano soldati di professione, mentre gli altri
erano soldati di second’ordine con poca esperienza e poco pagati; il comando
dell’esercito fu affidato ad un comandante della fanteria e uno della
cavalleria.
L’esercito però mancava di soldati: per ovviare a questo problema si abbassò
l’altezza per essere reclutati, si rese ereditaria la professione, tuttavia molte
persone erano già vincolate ad altri mestieri, quindi si cominciò ad ovviare al
problema della carenza di uomini tramite il reclutamento di barbari.
La minaccia barbarica era però divenuta gravissima: lo Stato affrontava la
problematica o tramite l’impiego di tutte le risorse militari rimaste, o tramite
politiche di assorbimento, spesso disomogenee, delle popolazioni esterne (si
è parlato di ‘’barbarizzazione della società’’).
Lo storico Ammiano Marcellino indica come date decisive il 357 d.C., anno in
cui Giuliano Cesare sconfisse gli Alamanni a Strasburgo, e la battaglia di
Adrianopoli del 378 d.C., in cui perì l’imperatore Valente e dopo la quale i
Goti penetrarono nell’area balcanica.
La disfatta ad Adrianopoli rese i barbari in grado di trattare con l’imperatore
Teodosio, che sfociarono nel 382 d.C. in un trattato (non il primo, ma il più
importante) con cui i Goti erano accettati in Tracia e in altre regioni.
2.3 LA MORTE DI COSTANTINO E LA FINE DELLA DINASTIA
COSTANTINIANA
Nel IV secolo d.C. l’Impero Romano godette di una certa stabilità interna, di
fatto l’unico grande momento di crisi (seppur scongiurato) sarebbe potuto
essere determinato dalla proclamazione di Giuliano.
Morto quest’ultimo, gli succedette Gioviano, che morì nel 364 d.C. dopo aver
concluso una disonorevole pace con i Persiani; nello stesso anno venne
acclamato imperatore dalle truppe un ufficiale di origine pannonica,
Valentiniano I (321-375 d.C.), imperatore tra il 364-375 d.C.
Valentiniano I decise di associare al potere il fratello Valente (328-378 d.C.), a
cui venne affidata la parte orientale dell’Impero: questa scelta, determinata
dalla volontà di controllare meglio le frontiere, fu un passo molto importante
nella separazione tra la parte occidentale e quella orientale dell’Impero.
Valentiniano, proprio per controllare meglio il confine, scelse di risiedere a
Treviri, mentre Valente risiedette a Costantinopoli.
Valentiniano I portò avanti una politica di tolleranza religiosa e di supporto
alle classe sociali più umili, inoltre egli riuscì a sconfiggere Franchi, Alamanni
e Burgundi tra il 365 e il 375 d.C.; egli represse anche la rivolta africana di
Firmo.
Valentiniano I morì di morte naturale nel 375 d.C. mentre combatteva contro
i Quadi, gli succedette il figlio Graziano (359-383 d.C.), anche se venne
nominato Augusto anche il fratello di soli quattro anni Valentiniano II (371-
392 d.C.).
L’esperienza di Valente in Oriente si dimostrò molto meno felice: a causa
dell’arrivo degli Unni nell’Europa centro-orientale, alcune popolazioni
furono spinte verso Sud, in primo luogo i Goti.
Questi, che premevano sulla frontiera danubiana, non si riuscì ad inserirli
pacificamente in territorio imperiale, quindi Valente decise di affrontarli, ma
venne sconfitto e ucciso nella battaglia di Adrianopoli del 378 d.C.
La sconfitta ad Adrianopoli ebbe delle conseguenze importantissime per la
storia dell’Impero: dopo Adrianopoli si aprì la politica di collaborazione
inaugurata da Teodosio.
L’inesperto Graziano, rimasto imperatore assieme al giovane fratello
Valentiniano II, chiamò in suo soccorso un generale spagnolo Flavio
Teodosio (347-395 d.C.) per condividere con lui l’impero (egli rimase al
potere dunque tra il 374-395 d.C.).
Questo si rese conto che sarebbe stato impossibile ricacciare i Goti al di là del
Danubio, così strinse con loro un trattato nel 382 d.C.: i Goti ricevettero delle
terre all’interno dell’Impero come popolazione autonoma, erano dunque dei
foederati, legati da un foedus (un trattato), per cui erano obbligati a fornire un
certo numero di soldati in caso di necessità.
Nel 383 d.C. emerse un nuovo pretendente al trono, Magno Massimo,
governatore della Britannia: egli invase la Gallia e costrinse Graziano al
suicidio.
Massimo regnò per qualche anno sulla Gallia, e poi invase l’Italia, dove era
arroccata Giustina, madre di Valentiniano II; l’entrata di Massimo in Italia
spinse Teodosio ad agire.
Nel 388 d.C. Teodosio sconfisse Massimo, e qualche anno dopo (392 d.C.) fu
costretto a intervenire di nuovo in Italia, quando il generale barbaro
Arbogaste fece uccidere Valentiniano II e nominare un rettore, Eugenio.
Teodosio sconfisse Eugenio nella battaglia del fiume Frigido 394 d.C. , in
Carnia (tra Friuli-Venezia-Giulia e Slovenia): dopo questa vittoria Teodosio si
trovò ad essere l’unico sovrano dell’Impero.
Teodosio ancora prima del Frigido aveva portato avanti una politica religiosa
di una certa importanza: nel 380 d.C. aveva promulgato l’editto di
Tessalonica, con cui rese il Cristianesimo la religione ufficiale.
Nel 381 d.C. indisse poi un nuovo concilio presso Nicea con cui veniva
ribadito il credo niceano e venne promulgata una legislazione più severa
contro i pagani.
Dietro questa decisione vi fu forse la volontà di punire il sostegno dato da
alcuni aristocratici romani, e pagani, all’usurpazione di Eugenio nel 392 d.C.;
uno dei sostenitori più celebri di quest’ultimo era Vico Nicomaco Flaviano,
prefetto del pretorio dell’Italia e console, che si uccise dopo il Frigido.
Molto importante fu in questi anche la figura di Sant’Ambrogio (339/340-397
d.C.), vescovo di Milano dalla folla dal 374 d.C., quando era governatore
dell’Emilia.
Ambrogio è senza dubbio uno dei personaggi che meglio esplicitano il
profondo legame creatosi nel IV secolo d.C. tra Cristianesimo e Stato.
Come vescovo di Milano Ambrogio cercò di porre a freno i sentimenti
filoariani di Giustina, madre di Valentiniano II, e soprattutto egli per ben due
volte si scontrò con Teodosio I.
La prima volta obbligò l’imperatore a revocare la condanna contro un
vescovo che aveva incendiato una sinagoga in una località mesopotamica, la
seconda (più celebre) obbligò l’imperatore a fare pubblica penitenza per
rientrare nella comunità cristiana: una punizione causata dall’aver ordinato il
massacro dei civili a Tessalonica,dove era scoppiata una ribellione (390 d.C.).
Tra II e III secolo d.C. la trasformazione nei sistemi di gestione delle aziende
agrarie va considerata la manifestazione di una crisi in atto: la villa
schiavistica aveva infatti terminato il suo ciclo.
Molto ville erano state abbandonate, cosa che fece sì che la produzione
venisse decentrata su varie unità minori, nelle quali dominava una
conduzione indiretta.
Non vi erano più in sostanza schiavi che eseguivano ordini diretti, bensì dei
liberi coloni che pagavano un canone ai padroni; si formava così un mercato
più limitato.
Le incursioni barbariche che colpirono l’Italia, e gran parte dell’Impero,
causarono la chiusura di circuiti commerciali: la domanda d’olio non venne
più controllata dalla Betica, ma dall’Africa settentrionale, più vicina a Roma.
Le ripercussioni della crisi del III secolo d.C. hanno poco riscontro nelle fonti,
cosa che rende difficile ogni sorta di ricostruzione.
Altro elemento di novità fu l’accresciuto fiscalismo, l’aumento della
pressione coercitiva sulla società.
Nelle campagne comparve invece una figura nuova: quella del colono, il
coltivatore libero, ma di fatto vincolato alla terra su cui lavorava (una sorta di
‘’schiavo improprio’’).
Le innovazioni introdotte da Diocleziano furono importanti per la storia
dell’Italia, che perse i propri privilegi fiscali e venne equiparata alle altre
province; non si hanno notizie su come i proprietari terrieri della penisola
reagirono a questa decisione.
Molto importanti furono anche le trasformazioni economiche causate dalla
presenza di nuove capitali: alla fine del III secolo d.C. Roma smise di essere
la residenza dell’imperatore.
Milano per esempio, scelta già da Massimiano come capitale d’Occidente,
vide aumentare il proprio fabbisogno a causa del trasferimento degli uffici e
della corte; su Milano si indirizzeranno le risorse della cosiddetta ‘’Italia
annonaria’’.
Le esigenze sociali, le distorsioni economiche e le guerre causarono anche una
riduzione degli scambi commerciali all’interno del Mediterraneo; le élite
sociali furono le uniche a mantenere un vero potere d’acquisto, per gli altri
strati della società invece, la carenza di beni causò un abbassamento delle
condizioni di vita e anche un netto calo demografico.
Per un sovrano romano, a partire dal III secolo d.C., la prima preoccupazione
era quella di ricercare una fonte di legittimità, questo in primo luogo a causa
della perdita di influenza del senato.
Gli imperatori si rivolsero in primo luogo all’esercito, ma anche alle
acclamazioni e alle manifestazioni di consenso di vario tipo.
La ricerca di uno strumento che definisse in maniera chiara l’origine e le
finalità del potere emerse dunque con forza nel periodo dell’anarchia, e viene
meno solo con l’introduzione del cerimoniale.
Esso ha come fine quello di riassumere il codice di comportamento che il
popolo si attendeva dal sovrano; tuttavia l’orizzonte rispetto all’età augustea
era cambiato decisamente (anche perché erano scomparse per esempio le
assemblee legislative).
Il sovrano diveniva dunque la ‘’legge vivente’’, l’incarnazione della giustizia:
colui che più di ogni altro si relaziona alle leggi, è anche il più giusto di tutti.
Allo stesso tempo il potere del sovrano era ‘’irresponsabile’’, ovvero non
doveva rispondere a nessuno; questo non significava però che esso potesse
sottrarsi alla legge, di cui era l’incarnazione.
Un trattato ellenistico sulla regalità attribuito a Diotogene ricorda il legame
speciale che lega il sovrano giusto a Dio: il compito del sovrano è quello di
incrementare nei sudditi un sentimento morale.
Il monarca diviene l’intermediario per arrivare al cielo; un altro trattatista
ellenistico, Ecfanto, scrive: ‘’Solo il re può dispensare questo dono alla natura degli
uomini….di seguirli sulla via del dovere’’.
La sacralizzazione della figura dell’imperatore è il risultato di un lungo
processo: già sotto Ottaviano questo processo ha inizio, egli infatti viene
definito ‘’Augusto’’, più elevato rispetto agli altri.
Al sovrano dunque cominciarono ad essere attribuite delle caratteristiche
sacrali, e questo soprattutto a partire dalla ‘’rivoluzione costantiniana’’.
Questo percorso riguardò anche l’evoluzione della superpotenza antagonista
dell’Impero Romano: il Regno della dinastia dei Sasanidi, i cui sovrani, a
partire dal fondatore Ardashir I (o meglio dal suo testamento), si definivano
‘’rappresentanti della religione di Zarathustra’’.
Nel citato testamento di Ardashir I si dice che: ‘’la religione e la regalità sono
gemelle: nessuna di loro può mantenersi senza l’altra’’.
L’imperatore tardoantico è tale ‘’per grazia di Dio’’, un fondamento teologico
che viene utilizzato già da Diocleziano per porre fine all’anarchia militare.
La fisiognomica è paradossalmente una delle realtà più vive del Tardo
Impero, sempre gli oratori (a pagamento ingaggiati dagli imperatori) vanno
ad insistere sull’eccezionalità fisica del sovrano.
La retorica è il mezzo attraverso cui controllare i potenti paradossalmente, in
quanto lo obbligava ad entrare in determinati canoni.
Costantino fece propria questa idea del sovrano (ma anche la visione
consequenziale della storia della fede cristiana), che venne accentuata dalla
propaganda dei suoi oratori, ma anche dalle opere su di lui.
Egli è celebrato nei panegirici come ‘’imperatore giovane, lieto e bellissimo’’, ma
lo stesso Eusebio ricorda che ‘’la sua persona superava in altezza tutti i suoi
accompagnatori, ma anche per la luminosa bellezza’’.
Lo scrittore cristiano è in sintonia con il suo tempo quando afferma, lodando
Costantino, che: ‘’rendeva manifesto l’angusto titolo dell’autorità monarchica nel
mirabile tessuto delle sue vesti’’.
Fuori linea è invece l’atteggiamento di Giuliano: le sue scelte aiutano a
cogliere il senso della filosofia antica nel Tardo Impero.
Egli si pone come un anti-Costantino, non accetta la deumanizzazione della
figura imperiale, che rifiuta con grande dignità, ma che lo pone anche in
contraddizione coi tempi.
Egli dovrebbe essere sbarbato come Cesare, ma si presenta invece con la
barba da filosofo, segno di rottura con i suoi predecessori.
Vi sono dei testi in effetti che insistono sulla contraddizione rappresentata da
Giuliano: si pensi al Sulla regalità del filosofo politico Sinesio, letto a fine del
IV secolo d.C. all’imperatore d’Oriente Arcadio: ‘’teatrale apparato per la
persona fisica del basiléus’’.