Sei sulla pagina 1di 20

Menopausa

La menopausa è la cessazione permanente del ciclo mestruale, derivante dall’esaurimento dell’attività follicolare
ovarica. È una tappa fisiologica [non è una patologia] della vita della donna, biologicamente definita e tipica della
specie umana.
L’età media di insorgenza è 50-51 anni (range 40-56 anni) [in realtà la menopausa riproduttiva inizia a 40 anni].
La diagnosi è tendenzialmente retrospettiva: la menopausa naturale è dichiarata dopo 12 mesi consecutivi di amenorrea
(amenorrea fisiologica per la quale non sia stata evidenziata un’altra causa determinante).
● Menopausa precoce: scomparsa della mestruazione prima dei 40 anni. Ha un’incidenza del 3%. L’eziologia riconosce
cause genetiche, autoimmuni, infettive e iatrogene.
Comprende 3 forme: insufficienza ovarica incipiente, insufficienza ovarica prematura, sindrome dell’ovaio resistente.
● Menopausa prematura: scomparsa della mestruazione tra i 40-45 anni.
● Menopausa transitoria (in donne fertili): scomparsa della mestruazione causata da chemioterapia o agonisti del GnRH
● Menopausa chirurgica: scomparsa della mestruazione causata dall’ovariectomia bilaterale (con conseguente riduzione
di estrogeni e androgeni)

Climaterio: periodo di transizione che la donna affronta mediamente tra i 45 e i 55 anni, caratterizzato dalla graduale
modificazione della capacità ovarica: insufficienza ovarica, ↓ estradiolo, ↑ gonadotropine ipofisarie.
Pre-menopausa: rappresenta l’inizio del climaterio (quindi l’età media
di comparsa è intorno ai 45 anni) ed ha una durata variabile (2-7 anni),
terminando con l’ultima mestruazione. Ha un’espressione clinica
variabile: cicli irregolari, crescenti periodi di amenorrea.
Peri-menopausa: periodo che inizia con la comparsa dei segni e/o
sintomi della menopausa imminente (es. sintomi vasomotori e
irregolarità mestruali) e termina 1 anno dopo l’ultima mestruazione.
Post-menopausa: rappresenta la fine del climaterio, essendo il periodo
caratterizzato dalla cessazione dell’attività follicolare ovarica, compreso
tra l’avvento della menopausa e l’inizio della senilità (65 anni).

Modificazioni endocrine [ipogonadismo ipergonadotropo]


Peri-menopausa:
̵ Gonadotropine: l’FSH aumenta gradualmente, mentre l’LH, inizialmente normale, va incontro a saltuarie
elevazioni.
̵ Inibina e AMH: diminuiscono
̵ Estrogeni: presentano una costante e progressiva riduzione.
̵ Progesterone: presenta un’inadeguata e incostante produzione con conseguente iperestrogenismo relativo e
assoluto.
̵ Androgeni: si riduce la secrezione di androgeni ovarici e SHBG, ma anche degli androgeni surrenalici (soprattutto
il DHEA-S). [La costante e progressiva riduzione degli androgeni, quali il testosterone, l’androstenedione e il
DHEA-S, inizia già a 30 anni, ed è particolarmente rilevante nella post-menopausa essendo gli ormoni dell’energia
vitale e del benessere della donna.]
Post-menopausa:
- Gonadotropine: aumentano (l’FSH più dell’LH), in seguito all’assenza del feedback negativo dell’E2 ovarico.
- Estrogeni: la produzione di estradiolo (E2) diminuisce; la fonte principale di estrogeni diventa la conversione
periferica (a livello del tessuto adiposo) degli androgeni ovarici e surrenalici in estrone (E1), i cui livelli
rimangono quindi pressoché invariati (E1 che diventa l’estrogeno più importante).
- Progesterone: diminuisce, in seguito alla mancanza di steroidogenesi del corpo luteo.
L’ubiquità dei recettori degli
estrogeni nell’organismo e il

loro coinvolgimento nell’omeostasi di diversi tessuti e organi è tale per cui la carenza ormonale della menopausa induce
un riassetto a livello cellulare e d’organo, con conseguenti ripercussioni sistemiche. Perciò, nella donna in menopausa,
parallelamente alla carenza ormonale, si assiste a un vero e proprio cambiamento della risposta funzionale di molti
organi questo rende ragione della comparsa dei fattori di rischio in questa epoca della vita delle donne. L’entità del
cambiamento e la sensibilità e recettività degli organi coinvolti, condiziona la intensità e la diversificazione dei sintomi
climaterici all’insorgere della menopausa.

In menopausa le modificazioni ormonali causano problemi associati a:

- relativo eccesso di estrogeni:


- emorragia uterina disfunzionale: sanguinamento uterino anomalo, non ciclico, di durata e intensità variabili
[escludere cause organiche e iatrogene e patologie sistemiche]
- iperplasia endometriale
- neoplasia endometriale
- crescita miomi uterini
- mastopatia fibrocistica
- cisti mammarie
- carcinoma della mammella

- deprivazione estrogenica:
- sintomi precoci (1)
- disturbi vasomotori: vampate di calore, sudorazioni notturne, palpitazioni
- sintomi psicologici-cognitivi: tensione, ansia, instabilità, sbalzi d’umore, modificazioni della libido
- aumento del peso corporeo con distribuzione androide del grasso
- sintomi intermedi (2)
- manifestazioni da atrofia di cute e annessi
- sintomi urogenitali da uretrite e vaginite atrofica: secchezza vaginale, dispareunia, disuria, incontinenza
urinaria
- sintomi tardivi (3)
- declino cognitivo: perdita di memoria, malattia di Alzheimer
- patologie cardiovascolari
- osteoporosi
- neoplasie

(1) Sintomi precoci

La riduzione degli estrogeni si ripercuote, in base alla soglia individuale, sul tono noradrenergico (↑), serotoninergico
(↓), dopaminergico (↓), adrenergico (↓), oppioidergico (↓), colinergico (↓), gabaergico (↓), e quindi sull’attività del
sistema neuroendocrino a partenza dall’ipotalamo. Questo spiega i sintomi vasomotori, l’abbassamento della soglia del
dolore, l’insonnia, le modificazioni dell’umore, le alterazioni della memoria e della concentrazione e la perdita della
libido, e quindi la riduzione del senso di benessere della donna in menopausa.

Le “vampate di calore” (hot flush) si verificano nel 75% delle donne nei primi 5 anni dalla menopausa (spesso iniziano
in peri-menopausa e proseguono nella post-menopausa per poi declinare nel tempo) e sono una sindrome vasomotoria
caratterizzata da improvvise ondate di calore, della durata di pochi minuti, ad insorgenza dal tronco con irradiazione al
volto, al collo e poi a tutto il corpo, accompagnate da vasodilatazione, sudorazione e seguite da brividi di freddo. Hanno
insorgenza tipicamente notturna e nelle stagioni calde.
L’alterato tono catecolaminergico e le vampate sono responsabili dell’aumento del rischio cardiovascolare globale della
donna in menopausa. Le vampate stimolano i vasi a vasodilatarsi e vasocostringersi frequentemente per regolare la
temperatura e sono quindi correlate ad un aumento pressorio. I disturbi del sonno e dell’umore contribuiscono ad
incrementare il tono catecolaminergico con conseguente aumento della reattività del sistema cardiovascolare. Il tono
catecolaminergico alterato favorisce l’alterazione del metabolismo e l’instaurarsi di
insulino-R, obesità viscerale (↑ TG) e dislipidemia (↑ LDL).

La riduzione dei livelli di dopamina e melatonina influiscono sul controllo del ritmo
sonno-veglia; venendo meno il ritmico stimolo all’addormentamento e ad un sonno
regolare, la donna in menopausa tende a soffrire di insonnia.

I sintomi psicologici-cognitivi sono sperimentati dal 25-50% delle donne in


menopausa: depressione, ansia, irritabilità, disturbi della memoria e della
concentrazione, riduzione dell’autostima e riduzione della libido.

Alla riduzione del senso di benessere della donna in menopausa contribuiscono inoltre
l’aumento del peso corporeo e le modificazioni della forma fisica, frutto di
alterazioni endocrine e riduzione del metabolismo basale, ma anche di cambiamenti nello stile di vita e
nell’alimentazione (il tutto sempre riconducibile al calo di estrogeni). La distribuzione addominale (androide) del
grasso, rispetto a quella gluteo femorale (ginoide) contribuisce all’instaurarsi della sindrome metabolica (che
comprende obesità centrale, insulino-R, dislipidemia [↑ TG e LDL, ↓ HDL], ipertensione, maggiore attivazione della
coagulazione e stato proinfiammatorio), in quanto l’aumento del grasso viscerale correla con l’aumento di insulino-R e
di FFA e la riduzione di adiponectina, che si traducono in aumento dell’apo B e quindi dei TG e riduzione delle lipasi
epatiche e quindi aumento di LDL e riduzione di HDL. Inoltre, l’aumento del peso corporeo e la distribuzione centrale
del grasso corporeo contribuiscono, insieme alla diminuzione delle fibre collagene ed elastiche e la riduzione dello
spessore e della vascolarizzazione delle mucose e dell’epidermide, a cambiamenti anche nella sfera sessuale della
donna. Per tutti questi motivi è opportuno invitare la donna in menopausa a seguire un regime alimentare controllato.

(2) Sintomi intermedi

Alla riduzione del senso di benessere della donna in menopausa contribuiscono segni e sintomi a carico di cute e
mucose, correlati alla riduzione del contenuto di collagene, della maturazione dei cheratinociti, delle fibre elastiche,
dell’acido ialuronico, della vascolarizzazione, degli annessi cutanei, della secrezione lacrimale/salivare (il tutto sempre
riconducibile al calo di estrogeni); ne risultano secchezza cutanea, rughe, prurito e bruciore, fragilità, xeroftalmia e
xerostomia, alterazioni sensoriali. Nello specifico, a livello del cavo orale potranno manifestarsi secchezza, bruciore,
alterazioni del gusto, nonché incremento di carie, disestesie, gengiviti atrofiche, periodontiti [molti studi hanno trovano
una netta correlazione tra caduta dei denti ed osteoporosi sistemica], mentre a livello oculare potranno manifestarsi
secchezza, bruciore, sensazione di corpo estraneo, peggioramento dell’acuità visiva, fino a cheratocongiuntivite secca e
glaucoma.

Alla riduzione del senso di benessere della donna in menopausa contribuiscono i sintomi urogenitali, correlati alla
riduzione dello spessore della mucosa vaginale, del glicogeno e della flora batterica, dell’elasticità vaginale, della
resistenza a traumi ed infezioni, della vascolarizzazione e trasudazione vaginale, del trofismo delle basse vie urinarie (il
tutto sempre riconducibile al calo di estrogeni); ne risultano secchezza vaginale, dispareunia, vaginiti e cistiti ricorrenti,
pollachiuria o urgenza minzionale, incontinenza urinaria, compromissione della qualità di vita di coppia.
Gli estrogeni promuovono la formazione del glicogeno nell’epitelio squamoso; i lattobacilli di Doderlein, parte della
normale flora vaginale, dipendono dal glicogeno come fonte di energia e, convertendolo in acido lattico, mantengono il
pH vaginale acido (3,5 - 4,5), il che è fondamentale per ridurre le infestazioni patogene (streptococchi, stafilococchi,
coliformi, difteroidi). L’ecosistema vaginale si modifica quindi parallelamente al calo di estrogeni: si riducono i
lattobacilli e vengono selezionate specie che includono solamente batteri anaerobi ed enterobatteri. Al contrario, la forte
presenza di lattobacilli in menopausa è inversamente correlata con i sintomi da secchezza vaginale. Gli estrogeni
aiutano anche a mantenere lo spessore dell’epitelio squamoso multistratificato con il suo normale colore rosa, le pliche
e la lubrificazione; in loro assenza quindi si assiste alla proliferazione del tessuto connettivo, alla frammentazione
dell’elastina e alla ialinizzazione del collagene.
I cambiamenti atrofici associati al calo di estrogeni sono:
- accorciamento e restringimento del canale vaginale
- diminuzione quantitativa e qualitativa delle secrezioni vaginali
- diminuzione della capacità di ritenzione idrica, adiposa e del collagene della vulva
- assottigliamento delle pareti vaginali che diventano anche meno elastiche e pallide con perdita di rugazione
- aumento della friabilità della superficie vaginale che può presentare petecchie, ulcerazioni e sanguinamento,
spesso dopo un trauma minimo (il ripetersi di questo ciclo favorisce lo sviluppo di aderenze tra le superfici a
contatto)
- atrofizzazione del prepuzio del clitoride che perde il suo rivestimento protettivo e si irrita più facilmente.
L’atrofia vulvo-vaginale (AVV) comporta quindi la comparsa di secchezza vaginale, prurito vulvo-vaginale,
dispareunia. Tali sintomi si presentano nel 40-60% delle donne dopo alcuni anni dalla comparsa della menopausa e sono
meritevoli di trattamento, che si pone i seguenti obiettivi: alleviare i sintomi, preservare la funzione sessuale, ridurre i
cambiamenti anatomici dovuti all’atrofia, prevenire e trattare le infezioni.
Con l’atrofia vulvo-vaginale, però, si verificano anche alterazioni regressive del tratto urinario e del pavimento pelvico,
per cui si preferisce l’espressione “sindrome genito-urinaria della menopausa” (GSM) per indicare l’insieme dei segni e
sintomi associati alle modifiche di grandi e piccole labbra, clitoride, vestibolo e introito vaginale, vagina, uretra e
vescica, conseguenti alla diminuzione degli estrogeni (e di altri steroidi sessuali). La sindrome può includere:
- sintomi genitali di secchezza, bruciore e irritazione;
- sintomi sessuali di mancanza di lubrificazione, discomfort o dolore, e funzione compromessa;
- sintomi urinari di urgenza, disuria e infezioni ricorrenti del tratto urinario.
La GSM è una condizione cronica e progressiva [a differenza dei sintomi vasomotori non si risolve nel tempo senza
terapia], che richiede un riconoscimento precoce e una gestione appropriata per preservare la salute urogenitale.
Nonostante l'importanza della diagnosi precoce e del trattamento, la condizione è costantemente sottodiagnosticata e
sottotrattata (solo il 20% delle donne sintomatiche è trattato, anche a causa della riluttanza delle stesse a rivolgersi al
medico per questo tipo di problema), e questo si ripercuote negativamente sulla qualità di vita delle donne.
La diagnosi della GSM deve avvalersi di:
- anamnesi:
- vulva: ↑ suscettibilità agli irritanti fisici e chimici, agli insulti meccanici e alle infezioni
- vagina: ↑ suscettibilità agli insulti meccanici, dispareunia, prurito, bruciore, leucorrea e/o secrezioni atipiche
- vescica e uretra: disuria, nicturia, urgenza minzionale, incontinenza urinaria, infezioni ricorrenti
- esame obiettivo:
- vulva: perdita del cuscinetto adiposo delle labbra, restringimento e perdita del confine fra grandi e piccole
labbra, accorciamento del prepuzio del clitoride, perdita del pelo pubico
- vagina: secchezza ed insufficiente idratazione, arrossamento, perdita di elasticità, petecchie,
microfissurazioni e ulcerazioni, accorciamento, fibrosi e obliterazione dei fornici, appiattimento delle rughe,
restringimento dell’introito, evidenza di perdite atipiche
- esami strumentali: mediante l’esame citologico è possibile calcolare l’indice di maturazione vaginale (VMI)
utilizzando le percentuali di cellule superficiali, intermedie e parabasali rilevate. Gli estrogeni stimolano la
maturazione delle cellule epiteliali, aumentando il numero di cellule intermedie e quindi superficiali; quindi
mentre in età riproduttiva si osservano cellule intermedie e superficiali (cheratinizzate e di colore rosa, con un
basso rapporto nucleo-citoplasma), in menopausa prevalgono le cellule immature parabasali (povere di cheratina,
con nuclei voluminosi) su uno sfondi di essudato infiammatorio.
È comunque sempre importante la d.d. con: disordini autoimmuni, condizioni infiammatorie o allergiche, vaginite
infiammatoria desquamativa, dermatite da contatto, lichen planus/sclerosus, vaginiti croniche, tumori vulvari,
vulvodinia/vestibolodinia/vaginismo, cistite interstiziale, diabete, LES, disturbo psichiatrico.
(3) Sintomi tardivi

Alla riduzione della qualità di vita della donna in menopausa possono contribuire patologie del SNC quali
l’invecchiamento cerebrale, il deterioramento cognitivo, la demenza di Alzheimer [i 2/3 dei pazienti over 65 sono
donne], il morbo di Parkinson, la depressione, correlati alla riduzione dei fattori trofici, della vitalità neuronale, della
rigenerazione assonale, della sinaptogenesi, del flusso distrettuale, della neurotrasmissione e all’aumento della tossicità
β-amiloide. La responsabilità delle modificazioni ormonali in questi processi è dimostrata dalle variazioni secretorie di
NT, neuropeptidi e neurosteroidi, così come dalla riduzione dell’incidenza della demenza di Alzheimer, dopo
somministrazione della TOS.

Nella vita fertile della donna, gli estrogeni hanno un’azione protettiva del sistema cardiovascolare, attraverso effetti su:
- cuore: azione inotropa diretta
- vasi: ridotto tono vascolare, preservazione della funzione endoteliale (↑ di NO e PGI2 e ↓ di ET1 e TXA2)
- arterie: ridotta captazione endoteliale dell’LDL e prevenzione del deposito di colesterolo nelle lesioni vascolari
- metabolismo: ↓ glicemia a digiuno e insulinemia, ↑ HDL e ↓ LDL (e della loro ossidazione) e lipoproteina a
- coagulazione: riduzione del fibrinogeno e dell’attivatore del plasminogeno.
Per questo, il calo degli estrogeni comporta, in base alla soglia individuale, dislipidemia, ridotta tolleranza glucidica,
aumento delle R vascolari e riduzione dell’inotropismo cardiaco (non si verificano invece alterazioni dell’emostasi), con
conseguente aumento del rischio di aterosclerosi e malattie cardiovascolari [più della metà dei pazienti over 50 sono
donne] (cardiopatia coronarica [angina/IMA], malattie cerebrovascolari [TIA/ictus], ipertensione arteriosa, malattie
vascolari periferiche] che inficiano la sopravvivenza. Al fine di contrastare l’aumento del rischio cardiovascolare, è
necessario che la donna in menopausa intervenga sui fattori di rischio modificabili.

Alla riduzione della qualità di vita della donna in menopausa possono contribuire anche l’osteopenia, il dolore osseo e
articolare, la ridotta mobilità, l’osteoporosi, le fratture atraumatiche (del radio distale [di Colles], del collo del femore,
dei corpi vertebrali], conseguenti all’alterazione del metabolismo osseo (↑ riassorbimento osseo e ↓ neoformazione
ossea, ↓ assorbimento di calcio e dell’equilibrio PTH/calcitonina/vitamina D) che si verifica per il calo di estrogeni.
L’osteoporosi è una malattia sistemica progressiva dello scheletro, caratterizzata dalla presenza di una riduzione della
massa ossea e di alterazioni micro-architetturali, a loro volta responsabili di un aumento di fragilità ossea e di possibili
fratture. Negli under 70 ha un’incidenza maggiore nella donna con un rapporto di 3:1 [la menopausa quadruplica il
rischio]. Oltre alla carenza estrogenica, i fattori di rischio correlati alla riduzione della massa ossea sono: sesso
femminile ed età avanzata, familiarità per fratture, perdita in altezza e cifosi toracica, magrezza, basso apporto di calcio,
abuso d’alcol e tabacco, sedentarietà, terapia corticosteroidea > 1 anno, alcune patologie (AR, malattia neuromuscolare,
malattia epatica cronica, sindromi da malassorbimento, iperparatiroidismo, ipertiroidismo, ipogonadismo). La
complicanza più grave dell’osteoporosi è la frattura del collo del femore [il 90% delle fratture avviene dopo i 70 anni e
a 90 anni 1/3 delle donne ha subito una frattura], che è la principale causa di morbilità [nel 50% dei casi si verifica la
perdita di autosufficienza e solo il 30% recupera la funzionalità] e mortalità [fino al 20% dei casi entro 1 anno]. La def.
di osteoporosi si avvale della misurazione mineralometrica del livello di densità minerale ossea (BMD), indicato come
T-score (DS tra il picco di massa ossea della pz e quello medio di una giovane adulta): > -1 normale, -1/-2,5 osteopenia,
< -2,5 osteoporosi.
L’adeguato apporto quotidiano di calcio e la regolare attività fisica sono importanti strumenti di prevenzione, mentre i
farmaci impiegabili a scopo preventivo e terapeutico sono: calcio, bifosfonati, raloxifene ed estrogeni.

La donna in menopausa presenta un aumentato rischio oncologico (su cui incide soprattutto l’obesità e
l’iperestrogenismo relativo), correlato soprattutto alle neoplasie di mammella, polmone (fumatrici), colon-retto,
endometrio e ovaio.
La neoplasia della mammella rappresenta il 20-30% dei tumori femminili e riconosce numerosi fattori di rischio: età
avanzata, precedente carcinoma di mammella, endometrio o colon, nulliparità dopo i 30 anni, primiparità, non
allattamento al seno, alta densità mammaria alla mammografia, BMI>20% del peso ottimale, aumento di peso in post-
menopausa > 18 kg, alcol, dieta povera di frutta/verdure, terapia radiante pregressa, TOS in post-menopausa protratta.
La neoplasia del colon-retto è al 2° posto tra le neoplasie maligne e riconosce fattori di rischio genetici, ambientali,
ormonali e dietetici; la vitamina D [effetto antifiammatorio] e gli ormoni sessuali [riduzione del contenuto di sali biliari
nell’intestino] sono invece fattori protettivi.
La neoplasia dell’endometrio è al 4° posto tra le neoplasie maligne (incidenza 1,7-3%) e riconosce numerosi fattori di
rischio: perdite ematiche atipiche, TOS con solo estrogeno, tamoxifene, lunga storia mestruale, nulliparità, anovularietà,
sterilità, obesità, diabete, ipertensione, litiasi biliare, familiarità per il carcinoma del colon. La parità e i contraccettivi
orali (e paradossalmente il fumo) sono invece fattori protettivi.

La quantità e la qualità dei NT ipotalamici risentono delle variazioni


degli ormoni sessuali circolanti.
L’ipotalamo attiva, controlla, integra diverse funzioni fisiologiche:

Management
La diagnosi di menopausa in donne > 45 anni è essenzialmente clinica (amenorrea da 1 anno con sintomatologia
climaterica); in caso di dubbi si possono eseguire delle determinazioni ormonali: FSH > 40 mU/ml e estradiolo < 20
pg/ml
[I livelli di FSH sono inversamente correlati con l’entità della riserva ovarica residua. I livelli di FSH variano
giornalmente durante la perimenopausa e non sono indicativi della fertilità o del momento in cui probabilmente si
verificherà l’ultimo ciclo. L’AMH fornisce una misurazione diretta della riserva ovarica, quindi livelli bassi di questo
ormone indicano insufficienza ovarica. La sua interpretazione, per ipotizzare l’età della menopausa, deve essere
inserita nel contesto clinico con dosaggi eseguiti in laboratori controllati con standardizzazione delle metodiche di
misurazione e in funzione di specifici ranges di normalità per età.]

Considerando l’allungamento dell’aspettativa di vita della donna dopo la menopausa (attualmente una donna vive 1/3
della sua vita in post-menopausa), si rende necessario un trattamento che ne migliori qualitativamente, oltre che
quantitativamente, la sopravvivenza. Il management di una donna dopo la menopausa quindi deve includere:
- valutazione dello stato di salute
- identificazione dei sintomi correlati alla menopausa
- counselling e trattamento della sintomatologia
- interventi correttivi dello stile di vita e terapie preventive quando appropriato
- trattamento personalizzato: ormonale, non ormonale, non farmacologico.

Terapia ormonale sostitutiva (TOS)


- ormoni sistemici
- estrogeni
- naturali:
- coniugati: estratti dalle urine di giumenta gravida, sono formati da una miscela di sali di esteri
solfati di estrone, equilina, diidroequilina, ecc.; si somministrano per via orale, endovena, topico-
vaginale.
- liberi: chimicamente identici a quelli prodotti dall’organismo umano, comprendono il 17β-
estradiolo (E2) e l’estrone (E1) (rapidamente metabolizzati a livello epatico e quindi somministrati
localmente e tramite impianti sottocutanei ed endoaddominali) e l’estriolo (E 3) (non metabolizzato
a livello epatico e quindi somministrato per via orale).
- sintetici: possono avere una struttura steroidea ed essere somministrati per via orale o una struttura non
steroidea, di tipo stilbenico, ed essere somministrati per via orale, parenterale e topica.
- progestinici
- combinazioni estro-progestiniche
- STEAR (Regolatore selettivo dell’attività estrogenica tissutale):
- Tibolone: steroide sintetico dalle proprietà estrogeniche, progestiniche ed androgeniche; esercita un
effetto estrogenico sulla sintomatologia climaterica e sulla massa ossea (non sembra determinare
stimolo proliferativo a livello endometriale, ma la sua azione sul tessuto mammario non è ancora
completamente definita), mentre ha un effetto androgenico sul tono dell’umore e sulla libido.
- SERMs (Modulatori selettivi dei recettori degli estrogeni): sono sostanze non ormonali, di diversa natura
chimica, che si legano ai recettori estrogenici e possono agire come agonisti (attivatori), antagonisti
(repressori) o non avere effetto:
- ospemifene: sembra avere effetto agonista a livello cerebrale, osseo e dell’epitelio vaginale, antagonista
a livello mammario e neutro a livello cardiaco. Rappresenta un’alternativa orale agli estrogeni vaginali
nella AVV/GSM in quanto garantisce un aumento del VMI e una diminuzione del pH vaginale, con
miglioramento della sintomatologia [non ha la controindicazione degli estrogeni vaginali per le pazienti
con carcinoma mammario se prescritto dopo la conclusione del piano di trattamento].
- bazedoxifene
- TSEC (Complesso estrogenico tessuto selettivo): estrogeni coniugati + SERM. Questi composti possono
avere un’attività agonista o antagonista nei confronti dei recettori estrogenici, in maniera tessuto-specifica:
- duavive (estrogeni coniugati + bazedoxifene): gli estrogeni coniugati alleviano i sintomi climaterici,
mentre il bazedoxifene agisce come antagonista dei recettori estrogenici a livello uterino. Rappresenta
un’alternativa orale alla terapia combinata con progesterone nelle donne non isterectomizzate, in quanto
il SERM riduce notevolmente il rischio di iperplasia endometriale.
- ormoni topici
- estrogeni
- naturali: compresse e anelli contenenti estradiolo, oppure pessari, ovuli e creme contenenti estriolo.
L’estriolo stimola la proliferazione e la maturazione dell’epitelio vaginale; ha un’affinità recettoriale
molto inferiore (circa 10 volte) rispetto all’estradiolo, quindi non induce effetti estrogenici su
endometrio, osso e mammella. Il suo assorbimento è inizialmente elevato, a livello dell’epitelio atrofico,
ma successivamente diminuisce.
- sintetici: promestriene
- prasterone (DHEA): la somministrazione per via vaginale (ovuli) si è dimostrata estremamente efficace (in
aggiunta agli estrogeni topici) per il trattamento dei sintomi dell’AVV (tra l’altro aumenta la libido, e non ha
effetti sistemici). Per quanto riguarda gli effetti terapeutici sulla sindrome menopausale e altre malattie legate
all'età, diversi studi hanno evidenziato che l’integrazione di DHEA può alleviare i sintomi vasomotori,
preservare l'integrità del sistema immunitario, ridurre la perdita ossea e aumentare la massa muscolare; ma,
per scarsità del campione in esame e della durata del trattamento, dagli studi attuali non si possono trarre
conclusioni del tutto affidabili circa l’impiego sistemico di DHEA, e sono pertanto necessarie ulteriori
indagini.

Per il trattamento dell’AVV sono inoltre disponibili terapie alternative sintomatiche (non ormonali), quali creme/gel
lubrificanti (agiscono sullo stato irritativo, dando sollievo momentaneo) e sostanze idratanti. Quest’ultime esercitano
un’azione a breve o a lungo termine, in quanto migliorano l’equilibrio dei fluidi intracellulari dell’epitelio vaginale; il
tessuto si presenta quindi più trofico e la funzionalità migliorata. Tra gli idratanti più potenti rientra l’acido ialuronico. È
stato dimostrato che la somministrazione di acido ialuronico in una formulazione a bassissimo peso molecolare (che
garantisce una più alta biodisponibilità per os) è in grado di migliorare l’AVV, mediante un’azione diretta sulla mucosa
vaginale: ripristina lo stato fisiologico e contrasta l’infiammazione.

La TOS consiste nel somministrare solo estrogeno nelle donne isterectomizzate ed estrogeno con un progestinico nelle
altre (per limitare l'aumento del rischio di iperplasia e carcinoma endometriale che si verifica con l’estrogeno da solo) ;
esistono due schemi di somministrazione del progestinico:
- schema continuo: prevede la somministrazione continua del progestinico con l’estrogeno, a dosaggi inferiori
rispetto allo schema sequenziale; questo promuove l’atrofia endometriale con conseguente assenza della
mestruazione;
- schema sequenziale: tende a riprodurre quanto avviene nella donna in età fertile, attraverso la somministrazione
dell’estrogeno prima in monoterapia e poi in associazione al progestinico per 12-14 giorni al mese; questo
determina sanguinamento mensile sul finire o dopo la somministrazione del progestinico.

Gli estrogeni possono essere somministrati:


- per via orale: estrogeni naturali coniugati, estradiolo valerato, estradiolo micronizzato
- per via transdermica (cerotto, gel, crema): 17β-estradiolo
- per via vaginale (topica): estriolo, estradiolo, promestriene

I progestinici possono essere somministrati:


- per via orale: medroprogesterone acetato (MAP), progesterone micronizzato, medrogestone, diidrogesterone,
nomegesterolo acetato, ciproterone acetato
- per via transdermica: noretisterone acetato (NET)
- direttamente nell’utero mediante impianto intrauterino (IUD): levonorgestrel
- per via vaginale (topica): progesterone

Negli ultimi 20 anni, l’informazione riferita ai benefici e rischi della TOS è stata caratterizzata da una continua
alternanza di posizioni e raccomandazioni, spesso in contrasto tra loro e con le conoscenze scientifiche disponibili,
provenienti da fonti diverse (istituzioni, mass media, associazioni di cittadini e pazienti, gruppi dedicati alla
promozione della salute femminile). La TOS è stata a lungo considerata una terapia complicata, confusa e quindi
contrastata e questo ne ha limitato l’impiego.
Lo studio (randomizzato in doppio cieco) WHI (The Women’s Health Initiative) ha coinvolto >16.000 donne in USA in
post-menopausa fra i 50 e i 79 anni ed altre >10.000 con le stesse caratteristiche ma isterectomizzate, per analizzare gli
effetti sistemici della TOS (nello specifico la prevenzione primaria di malattia cardiovascolare, ictus, IMA; osteoporosi
e fratture, e il rischio di carcinoma della mammella, dell’endometrio e del colon-retto). Sono stati confrontati con
controlli placebo due tipi di TOS: estrogeni+progesterone ed estrogeni da soli (quest’ultimo in una coorte di donne
isterectomizzate, a causa del già noto incremento del rischio di cancro dell’endometrio in donne nelle quali si
somministrano solo estrogeni senza progesterone).
Dallo studio della TOS EP (interrotto nel 2002, dopo 5 anni di follow-up, per l’eccesso di rischi nelle donne trattate
rispetto al placebo) sono emersi:
- rischi: incremento del rischio di cancro al seno, di coronaropatie, ictus e TEV.
- benefici: riduzione del rischio di osteoporosi e fratture, e di cancro al colon-retto [invariato il rischio di carcinoma
dell’endometrio, del polmone o di altri tumori]
Dallo studio della TOS E (terminato nel 2004) sono emersi:
- rischi: incremento del rischio di ictus e TEV
- benefici: riduzione del rischio di coronaropatie (sul lungo termine), di carcinoma della mammella e di osteoporosi
e fratture [invariato il rischio di carcinoma del colon-retto].
Tra i due gruppi non è stata riscontrata differenza nella mortalità totale. Suddividendo il campione per fascia d’età, si è
concluso che l’inizio della TOS prima dei 60 anni garantisce dei benefici in termini di prevenzione, mentre i benefici
della TOS iniziata dopo i 70 anni sono inferiori ai rischi.

Lo studio (di coorte prospettivo multicentrico) MWS (The Million Women Study) ha coinvolto, fra il 1996 e il 2001,
>800.000 donne in UK di età pari o superiore a 50 anni, classificate in base all’utilizzo della TOS, dello stato
menopausale e di altri fattori. A queste donne veniva fornito un questionario da compilare e restituire al momento dello
screening del carcinoma mammario, al fine di valutare il rischio di cancro al seno e l’influenza sulla mortalità per
cancro al seno o altre condizioni nelle donne che assumevano la TOS. Dai risultati è emerso che:
- la TOS E determina un lieve aumento del rischio di carcinoma della mammella, dell’endometrio e dell’ovaio;
- la TOS EP aumenta il rischio di carcinoma della mammella più della TOS E, ma riduce quello di carcinoma
dell’endometrio. L’aumento del rischio di carcinoma della mammella aumenta proporzionalmente alla durata della
TOS ma scompare con l’interruzione della TOS;
- la TOS con E per via transdermica non aumenta il rischio di TEV.

Limiti di questi due studi:


● Lo studio WHI ha esaminato solo un dosaggio e solo una tipologia di TOS E e TOS EP; inoltre la dose utilizzata,
sebbene appropriata per le donne in menopausa, è stata considerata da molti esperti troppo alta per le donne di età
maggiore. Il profilo delle donne americane nello studio WHI era molto diverso da quello delle donne inglesi nello
studio MWS: età mediamente maggiore e elevato tasso di sovrappeso (fattori di rischio cardiovascolari ed oncologici); e
si è, inoltre registrato un numero considerevole di tassi di abbandono.
● La metodologia dello studio MWS è stata criticata in quanto non si trattava di uno studio controllato randomizzato in
doppio cieco e le donne compilavano autonomamente il questionario relativo alla TOS. Le donne erano già state
sottoposte ad esami mammografici e quindi tendenzialmente più a rischio di carcinoma (ad es. potevano già presentare
un nodulo sospetto) o comunque più consapevoli dei potenziali rischi correlati alla TOS. Infine, il follow-up è stato
effettuato mediante report dai registri nazionali dei tumori e non successivi questionari che segnalassero eventuali
modificazioni dell’assunzione della TOS dopo la valutazione iniziale.

Lo studio (randomizzato in doppio cieco) WEST (The Women’s Estrogen for Stroke Trial) del 2004 ha coinvolto 650
donne americane da 20 ospedali, con l’obiettivo di valutare l’utilità della TOS E ai fine della prevenzione secondaria
dell’ictus ischemico. Gli esiti dello studio mostravano:
- invariata incidenza di ictus (eccetto un piccolo incremento nei primi 6 mesi)
- aumentato rischio di TEV
- aumentato rischio di cancro della mammella (soprattutto dal 4° anno di terapia)
- aumentato rischio di sanguinamento uterino anomalo, iperplasia endometriale e tumore dell’endometrio
- ridotto rischio di cancro del colon-retto (soprattutto dopo 3 anni di terapia)
- ridotto rischio di fratture da osteoporosi
Lo studio (randomizzato controllato con placebo) HERS (Heart and Estrogen/Progestin Replacement Study), condotto
tra il 1998 e il 2002, ha seguito per 4 anni >2700 donne in post-menopausa non isterectomizzate di età <80 anni, senza
riuscire a dimostrare l’efficacia della TOS EP (stesso regime utilizzato nello studio WHI) nella prevenzione secondaria
delle coronaropatie (gli esiti dello studio mostravano un iniziale incremento di coronaropatie seguito da un trend in calo
nel 4°-5° anno di terapia); la prosecuzione dello studio ha confermato il risultato (il trend in calo non si è mantenuto
negli anni successivi). Dallo stesso studio è inoltre emerso che la TOS EP non è associata ad un aumento del rischio di
TIA ed ictus ischemico, ma comporta un aumento del rischio di TEV.

Lo studio (randomizzato controllato) WISDOM (The Women’s International Study of long-Duration Oestrogen after
Menopause) del 2007 ha coinvolto >22.000 donne in post-menopausa fra i 50 e i 69 anni, al fine di valutare i rischi e i
benefici della TOS a lungo termine. Lo studio è stato interrotto prematuramente dopo 1 anno di follow-up in quanto la
TOS confrontata con il placebo aveva determinato una riduzione di incidenza delle malattie cardiovascolari e delle
fratture osteoporotiche ma un aumento del carcinoma della mammella e, in misura minore, di quello dell’ovaio,
dell’endometrio e del colon-retto.

TOS e COVID-19
Nel 2021, la Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia (Sigo), l’Associazione Ostetrici Ginecologi Ospedalieri
Italiani (Aogoi) e l’Associazione Ginecologi Universitari Italiani (Agui), hanno preso posizione sulla vaccinazione
anti-Covid19 e il (presunto) rischio trombotico nelle donne, condividendo un position paper ad interim sulla base dei
dati in letteratura. Il documento è stato condiviso anche dalla Società Italiana Menopausa (Sim), dalla Società Italiana
della Contraccezione (Sic) e dalla Società Italiana Ginecologia della Terza Età (Sigite). Nello specifico, il position
paper, sulla base dei dati attualmente disponibili dall’esperienza e dalla letteratura internazionale, affermava che:
- non vi è nessun dato in letteratura che evidenzi un aumento del rischio trombotico nella popolazione sottoposta al
vaccino anti-Covid19, ed in particolare AstraZeneca, rispetto alla popolazione generale;
- il vaccino anti-Covid19 non può essere pertanto considerato un fattore di rischio trombotico da sommare agli
altri eventuali fattori di rischio anamnestici e personali eventualmente presenti;
- non vi è nessuna controindicazione alla vaccinazione nelle donne che assumono estroprogestinici quale
contraccezione ormonale o terapia ormonale sostitutiva;
- non vi è indicazione ad eseguire indagini preliminari o attuare profilassi antitrombotica dopo la vaccinazione
(aspirina a basso dosaggio o eparina a basso peso molecolare)
- la vaccinazione non è una indicazione a eseguire indagini genetiche per valutare il rischio trombofilico.

La TOS non aumenta il rischio di mortalità per Covid-19, anzi diminuisce le probabilità di sviluppare una forma
grave dell’infezione. Uno studio recentemente pubblicato sul British Medical Journal Open ha dimostrato invece
che bassi livelli di estrogeni, una condizione comune per le donne in menopausa, può rappresentare un fattore di
rischio per le donne con 50 anni d’età o più. Per questo i ricercatori suggeriscono che andrebbe valutata la possibilità
di considerare una terapia ormonale per ridurre la gravità dell’infezione da Sars-Cov-2 nelle donne che hanno
superato la menopausa.
Da uno studio è emerso invece che i farmaci anti-estrogeni aumentano il rischio di mortalità per Covid-19. Lo studio
ha coinvolto 15mila donne svedesi tra i 50 e gli 80 anni che si sono ammalate di Covid-19 tra il 4 febbraio e il 14
settembre del 2020. Tra queste, 227 (2%) avevano ricevuto una diagnosi di cancro al seno ed erano in terapia con
farmaci anti-estrogeni che abbassano il livello degli ormoni, mentre 2.535 assumevano la TOS per alleviare i sintomi
della menopausa. Altre 12mila donne (81%) sono state coinvolte nello studio come gruppo di controllo. Dall’analisi dei
dati è emerso che, rispetto alle donne che non seguivano alcun trattamento, le donne che assumevano farmaci anti-
estrogeni avevano una probabilità 2 volte superiore di morire di Covid-19, mentre le donne in TOS il rischio di morte si
riduceva del 54%.
Dopo aver tenuto conto di altri fattori potenzialmente influenti, come l’età, il reddito, il livello di istruzione e le
condizioni di salute generali, le probabilità di morire per Covid-19 sono rimaste significativamente più basse (53%)
nelle donne in TOS. Questo studio mostra un’associazione tra i livelli di estrogeni e la morte per Covid-19, quindi i
farmaci che aumentano i livelli di estrogeni possono avere un ruolo nelle opzioni terapeutiche per alleviare la gravità
di Covid-19 nelle donne in postmenopausa e potrebbero essere studiati in studi controllati randomizzati.

Nel 2020 la Società Italiana della Menopausa (SIM) e la Società Italiana di Ginecologia della Terza Età (SIGiTE)
hanno redatto le linee guida relative all’uso della TOS in menopausa.

Principi generali

La TOS deve essere considerata parte di una valutazione clinico-terapeutica integrata che includa raccomandazioni sullo
stile di vita, la dieta, l’esercizio fisico, per il mantenimento o il raggiungimento di uno stato di salute e di benessere
ottimale. Quindi prima di iniziare la TOS sono indicati i seguenti esami:
- emocromo, glicemia, AST e ALT, γGT, esame urine, creatinina, colesterolo totale, HDL, LDL, TG
- esami della coagulazione (solo in casi di trombofilia familiare o di storia personale di TEV)
- visita ginecologica + ecografia pelvica, valutazione clinica urogenitale
- mammografia
Il rapporto tra i benefici ed i rischi della TOS non è assoluto ed univoco ma varia in funzione della selezione delle
donne, il momento di inizio, la dose e il tipo di TOS.

Il principio fondamentale è trattare le donne sintomatiche. La TOS sistemica è essenzialmente indicata per le donne
sintomatiche di età inferiore ai 60 anni, o comunque entro i 10 anni dalla menopausa, dopo avere escluso la presenza di
controindicazioni.
La selezione delle pazienti sintomatiche
nell’immediato periodo postmenopausale, o
perimenopausale, è essenziale per mantenere
l’effetto degli estrogeni endogeni, che solo un
inizio precoce può garantire. Infatti, la
presenza di sintomi della menopausa è correlata
ad un maggior rischio endocrino-metabolico
che condiziona un profilo di impiego
clinico più mirato e razionale.
In generale, non esiste dosaggio o prodotto
ideale adatto per tutte le donne a qualsiasi età. Ogni combinazione può avere caratteristiche peculiari che possono essere
opportunamente utilizzate. I numerosi prodotti disponibili consentono una personalizzazione dinamica della terapia
(dosaggio, composizione farmacologica, schema, via di somministrazione e durata di utilizzo), per garantire una
eccellente efficacia con massima sicurezza. La TOS deve essere personalizzata in funzione delle caratteristiche
individuali della donna, della storia personale e familiare, dei risultati di esami clinici e strumentali eventuali, delle
preferenze e le aspettative, oltre che della sintomatologia prevalente. Le donne che utilizzano la TOS dovrebbero
eseguire un controllo ginecologico almeno annuale, per la rivalutazione dei cambiamenti nella salute della donna e dei
benefici, dei rischi e degli obiettivi terapeutici previsti nel tempo. In genere, è buona norma ridurre il dosaggio
ormonale con l’età anagrafica della donna. Dosaggi inferiori a quelli utilizzati negli anni passati mostrano una buona
efficacia sui sintomi clinici e mantengono gli effetti preventivi benefici, con un profilo di rischio indubbiamente
migliore. Inoltre, per compensare l’effetto dell’età sul rischio trombotico, dopo i 65 anni sarebbe opportuno privilegiare
la somministrazione transdermica di estrogeni.

Non vi è alcuna indicazione a porre tassative limitazioni alla durata d’uso della TOS. La decisione di continuare la TOS,
modificarla o cessarla dipende dalle condizioni individuali, dai fattori di rischio personali e familiari, dagli obiettivi
clinici, considerando le preferenze e motivazioni personali della donna [in genere, in relazione ai sintomi climaterici, il
trattamento dura massimo 5 anni e poi viene interrotto per valutare se i sintomi si ripresentino con gravità tale da
giustificarne la prosecuzione].
La maggioranza delle donne in postmenopausa può utilizzare la TOS. Alle poche donne che non possono assumere la
TOS devono essere consigliate terapie alternative.
La TOS non deve essere consigliata in assenza di una Controindicazioni: condizioni in cui la
chiara indicazione. somministrazione di TOS sistemica non è accettabile:

Non sono controindicazioni alla TOS i tumori


ginecologici (ad eccezione di sarcomi uterini, tumori
delle cellule della granulosa e ovarici sierosi di basso
grado soprattutto endometrioidi) come il carcinoma
della cervice, e tutte le altre patologie neoplastiche non
ormono-dipendenti. Inoltre, alcune condizioni molto
frequenti quali la fibromatosi uterina, l’endometriosi, il
DM, l’ipercolesterolemia, l’ipertrigliceridemia, il
fumo, l’ipertensione e l’obesità, non devono essere
considerate controindicazioni ma solo indicazioni ad
una più stretta personalizzazione di dosaggi e schemi di
trattamento, utilizzando bassi dosaggi e/o terapie
transdermiche.
Dosaggi e combinazioni
La dose da impiegare è la minima efficace, iniziando con dosi basse per poi eventualmente modificarle in funzione della
risposta clinica della paziente e la possibile comparsa di effetti collaterali da sovradosaggio.
Nelle donne in menopausa naturale, la terapia estrogenica deve essere associata ad un progestinico, per prevenire
l’iperplasia e il cancro endometriale. La somministrazione combinata continua sembra essere più sicura delle
somministrazioni sequenziali per quanto riguarda la protezione endometriale nel lungo periodo. L’uso di un IUD
medicato al progestinico è razionale per la protezione endometriale, anche se al momento mancano studi adeguati con
un alto livello di evidenza. Le donne sottoposte ad isterectomia dovrebbero essere trattate esclusivamente con terapia
estrogenica. Lo studio WHI dimostra che la componente progestinica (MPA) ha un ruolo importante nella TOS per la
protezione endometriale, ma ha potenziali effetti cardiovascolari negativi e promuove un aumentato rischio di cancro
della mammella. Altri progestinici e il progesterone naturale possono ottimizzare gli effetti metabolici e le azioni sulla
mammella. La scelta del progestinico è critica poiché gli effetti collaterali e vere intolleranze al progestinico sono tra i
principali fattori che inducono una riduzione della compliance. L’uso di estrogeni coniugati in associazione al
bazedoxifene (TSEC) sembra una valida alternativa per prevenire iperplasia e cancro endometriale, eliminando l’uso del
progestinico (qualora non tollerato o controindicato). La somministrazione della TSEC è approvata per il trattamento
delle vampate di calore, riduce la densità mammaria e pare non aumentare il rischio di cancro mammario, anche se
ulteriori studi sono necessari per confermare il suo potenziale impatto positivo sul carcinoma della mammella.
La terapia con androgeni dovrebbe essere riservata alle donne con sintomi clinici di insufficienza androgenica:
In donne ovariectomizzate o con insufficienza surrenalica, la terapia con androgeni ha effetti positivi significativi, in
particolare sulla qualità di vita e sulla funzione sessuale. Non esistono in commercio preparati androgenici studiati ed
approvati per un loro utilizzo nella donna, per cui si deve ricorrere all’utilizzo off-label dei prodotti registrati per l’uomo
o alle preparazioni galeniche. La terapia con androgeni dovrebbe essere riservata a donne selezionate in cui un deficit
androgenico può essere responsabile di una risposta insufficiente alla TOS.

Effetti collaterali: la loro comparsa può essere determinata dal dosaggio, dal tipo e dalla via di somministrazione
utilizzata.

I sanguinamenti anomali, frequenti nei primi mesi di trattamento, possono portare a un aumento ingiustificato delle
procedure diagnostiche (i.e., isteroscopie, biopsie), che possono rendersi necessarie alla persistenza del sintomo.
Le terapie estroprogestiniche più della sola terapia estrogenica possono aumentare la densità mammaria clinica e
mammografica. L’elevata densità mammaria, di per sé è associata a un aumento del rischio di carcinoma della
mammella, e può anche ridurre il potere diagnostico della mammografia, rendendo a volte necessari ulteriori
accertamenti.
Il dosaggio di estrogeni correla con la sensazione di nausea, gonfiore addominale, dolori pelvici, ritenzione di
liquidi/aumento di peso.
La somministrazione di progestinici/progesterone può determinare cefalea, irritabilità, depressione, difficoltà a
concentrarsi. Alcuni progestinici possono peggiorare la tolleranza glicidica aumentando la resistenza insulinica.
Utilizzando regimi sequenziali si può avere un peggioramento del tono dell’umore durante la fase di somministrazione
del progestinico, più frequentemente nelle donne con storia clinica di sindrome premestruale o disturbo disforico
premestruale. La risposta può essere differente con progestinici diversi e talvolta può valere la pena tentare di cambiare
progestinico. Una storia clinica di depressione, sindrome premestruale o disturbo disforico premestruale, densità
mammaria aumentata, diabete o sindrome metabolica può rendere non appropriata la somministrazione del progestinico
per via sistemica. L’utilizzo delle spirali medicate con progestinico sembra rappresentare in questi casi una scelta
potenzialmente valida, anche se non sono stati condotti studi controllati al proposito. L’uso di TSEC è sicuramente
un’opzione per le donne in cui i progestinici sono controindicati o non tollerati.

Menopausa precoce, fallimento ovarico prematuro, insufficienza ovarica precoce


La menopausa precoce è una condizione patologica le cui conseguenze sulla salute della donna sono diverse rispetto
alla menopausa naturale (maggior rischio di malattie cardiovascolari, osteoporosi e demenza). La TOS nelle pazienti
con menopausa precoce è un’efficace terapia per le conseguenze a breve e lungo termine. Studi osservazionali
dimostrano che in caso di menopausa precoce la TOS riduce il rischio delle malattie cronico-degenerative, malattie
cardiovascolari, osteoporosi, migliorando le funzioni sessuali, cognitive e la QoL. Queste donne possono beneficiare
della TOS, eseguibile anche con contraccettivi orali, qualora non sussistano controindicazioni al loro utilizzo, almeno
fino all’età in cui insorge comunemente la menopausa fisiologica. Pur non essendo disponibili dati provenienti da studi
di confronto, è concettualmente preferibile utilizzare preparati contraccettivi contenenti estrogeni naturali (estradiolo
emidrato o valerato) per un migliore profilo metabolico.

Effetti della TOS a breve termine

Sintomatologia vasomotoria
La TOS è la terapia di scelta e la più efficace per i sintomi vasomotori e urogenitali. Altri disturbi associati alla
sintomatologia vasomotoria quali l’instabilità emotiva, disturbi del sonno possono migliorare durante TOS. Una TOS
personalizzata (compresa la possibile somministrazione di basse dosi di T) può migliorare la sessualità e la qualità di
vita.
Sindrome genitourinaria della menopausa
La TOS migliora i sintomi da atrofia urogenitale. La terapia estrogenica vaginale a basso dosaggio è la terapia di scelta
per le donne che lamentano unicamente la sindrome genitourinaria. I preparati estrogenici vaginali per la terapia
dell’atrofia urogenitale non richiedono l’associazione progestinica perché i dosaggi utilizzati e/o il tipo di estrogeno
somministrato (come il promestriene e l’estriolo) non determinano una proliferazione dell’endometrio. Inoltre, è
disponibile un trattamento locale con ovuli contenenti prasterone, ossia deidroepiandrosterone (DHEA), un precursore
steroideo inattivo di per sé e che viene convertito a livello locale in estrogeni e androgeni. Per la cura dei sintomi
dell’atrofia vulvovaginale è disponibile il trattamento per via orale con ospemifene, un SERM indicato per il
trattamento dell’atrofia vaginale, con un’efficacia simile a quella delle terapie estrogeniche vaginali.

Effetti muscoloscheletrici
La TOS ha effetti positivi su altri sintomi come dolori articolari e muscolari, cute, tessuto connettivo, cartilagini
articolari e dischi intervertebrali. Questi effetti hanno rilevanti azioni sulla patologia dolorosa osteoarticolare, le
artralgie migranti frequentemente lamentate in maniera ingravescente dalle donne in postmenopausa.

Effetti della TOS a lungo termine

Osteoporosi postmenopausale
La TOS a dosaggi standard è efficace nel controllare il turnover metabolico dell’osso e prevenire la perdita di massa
ossea correlata alla menopausa, riducendo l’incidenza di tutte le fratture osteoporotiche, incluse le fratture vertebrali e
femorali. Dosaggi inferiori al dosaggio standard sono capaci di equilibrare il turnover metabolico dell’osso, riducendo il
riassorbimento e prevenendo la perdita di massa ossea; tuttavia, per le basse dosi non sono disponibili dati sulla
prevenzione delle fratture. La TOS è indicata per la prevenzione dell’osteoporosi e delle fratture correlate nelle pazienti
con menopausa precoce e nelle donne in postmenopausa tra i 50 e i 60 anni o entro 10 anni dall’inizio della menopausa
con rischio di frattura. La decisione di protrarre la TOS oltre i 60 anni, per la sola prevenzione delle fratture
osteoporotiche, deve tener conto dei possibili effetti a lungo termine dei vari tipi/dosaggi della TOS in confronto ad altre
terapie. Nella donna con più di 60 anni non è raccomandato iniziare la TOS con il solo scopo di prevenire le fratture da
osteoporosi.

Patologia cardiovascolare
La selezione delle donne e il momento d’inizio della TOS sono essenziali nel determinismo delle azioni degli ormoni
sul sistema cardiovascolare e possono spiegare i risultati apparentemente contrastanti apparsi in letteratura. La TOS
riduce il rischio di diabete e ha effetti positivi su altri fattori di rischio per malattia cardiovascolare come il profilo
lipidico, la pressione arteriosa, la distribuzione del grasso corporeo e la sindrome metabolica. La maggior parte degli
studi, sia osservazionali che randomizzati, evidenzia i potenziali benefici della TOS nel ridurre il rischio di malattia
coronarica, la mortalità cardiaca e la mortalità totale, se iniziata in donne con sintomatologia climaterica, altrimenti
sane, senza malattie cardiovascolari, al di sotto dei 60 anni o entro i 10 anni dall’inizio della menopausa. La TOS
iniziata a dosaggi standard nella donna oltre i 65 anni e nelle donne con patologie cardiovascolari preesistenti può
invece determinare un aumento del rischio cardiovascolare. La terapia con soli estrogeni sembra avere un effetto più
favorevole rispetto alla terapia E-P (i risultati ottenuti con le combinazioni E/P sono meno univoci e dipendono dal tipo
e dalla dose del progestinico).

Disturbi cognitivi
Studi osservazionali dimostrano che la TOS in donne giovani in menopausa chirurgica, può avere benefici sui disturbi
cognitivi. Dagli studi osservazionali emerge che la TOS è associata ad un più basso rischio di demenza senile e di
morbo di Alzheimer. Al contrario nelle pazienti anziane che iniziano la TOS orale con estrogeni coniugati e MAP a
dosaggi standard si osserva un aumento del rischio di demenza; questo effetto non è stato evidenziato utilizzando i soli
estrogeni coniugati. Quindi la TOS non deve essere iniziata con il solo fine di prevenire la demenza senile. Iniziando la
TOS nelle donne con morbo di Alzheimer non si ha un miglioramento dei sintomi, né una rallentata progressione della
malattia.
Carcinoma della mammella
Il grado di associazione tra carcinoma della mammella e TOS in postmenopausa è controverso. Il rischio attribuibile alla
TOS è sicuramente basso e quantificabile per le donne che utilizzano prodotti combinati estro-progestinici quali
estrogeni coniugati e medrossiprogesterone acetato in circa 8 casi in più per ogni 10.000 donne/anno. Nello studio WHI,
la somministrazione di soli estrogeni coniugati in donne isterectomizzate per 7-15 anni riduce il rischio di carcinoma
della mammella (circa 7 casi in meno per ogni 10.000 donne/anno). Studi osservazionali europei suggeriscono che la
somministrazione di estradiolo in associazione con progesterone micronizzato o deidrogesterone non sia associata ad un
aumento significativo del rischio di cancro della mammella, come avviene con altri progestinici di sintesi. L’uso del
TSEC ha la potenzialità di ridurre o annullare il rischio mammario, grazie all’effetto antiproliferativo sulla mammella
del SERM dimostrato negli studi sperimentali, anche se al momento non esistono dati clinici al riguardo. Il carcinoma
della mammella in atto o pregresso è una controindicazione alla TOS; tuttavia, gli estrogeni vaginali a basse dosi
possono essere considerati con cautela solo nelle donne sintomatiche che non rispondono ai lubrificanti/reidratanti e non
trattate con inibitori dell’aromatasi. L’unico trattamento approvato dopo carcinoma della mammella è l’ospemifene che
può quindi essere prescritto dopo carcinoma mammario purché siano terminati i trattamenti chemio o ormonoterapici.

Carcinoma dell’endometrio
La terapia sistemica con soli estrogeni induce una stimolazione dell’endometrio correlata alla dose, con aumento del
rischio di iperplasia e carcinoma, mentre la TOS combinata continua riduce il rischio di tumore dell’endometrio. Al
contrario, le terapie sequenziali portano ad un lieve, ma significativo, aumento del rischio dopo 3-5 anni di utilizzo. I
nuovi schemi di terapia a basso dosaggio causano minore stimolazione endometriale e minore frequenza di
sanguinamento. I IUD per la somministrazione del progestinico possono presentare dei vantaggi per la protezione
endometriale con un minore impatto metabolico. Un precedente cancro dell’endometrio ormonosensibile di tipo I è al
momento considerato una controindicazione alla TOS. In donne con pregresso cancro endometriale isterectomizzate e
con sintomi vasomotori non controllati dalle terapie non ormonali, la decisione di utilizzare TOS sistemica dovrebbe
essere presa in accordo con l’oncologo. In alternativa, sulla base di limitate prove di sicurezza a breve termine, si può
prendere in considerazione la terapia estrogenica vaginale a basse dosi.

Carcinoma del colon-retto


La TOS riduce il rischio di cancro del colon-retto, con una riduzione di circa 6 eventi su 10.000 donne/anno. Questo
effetto è stato evidenziato con le associazioni estroprogestiniche ed in misura non significativa con la sola terapia
estrogenica.

Carcinoma tiroideo: gli studi disponibili non hanno evidenziato correlazioni con la TOS.
Meningioma: non ci sono dati epidemiologici circa l’incidenza in relazione alla TOS, ma è comunque una
controindicazione al suo impiego.
Melanoma: i dati relativi agli effetti della TOS sul rischio di incidenza sono discordanti, ma gli studi epidemiologici
non ne hanno evidenziato un incremento.

Tromboembolismo venoso
Il rischio di TEV durante la TOS dipende dall’età (è minimo sino ai 60 anni) e dal BMI. Il rischio è maggiore nei primi
6-12 mesi di TOS. Studi osservazionali hanno dimostrato che la terapia estrogenica transdermica, sembra eliminare il
rischio tromboembolico associato con la terapia orale. Il rischio tromboembolico può essere influenzato dal tipo di
progestinico. L’uso del TSEC, il tibolone, e le terapie estrogeniche vaginali a basso dosaggio non sembrano aumentare
il rischio di TEV. Il rischio di ictus è connesso con l’età. Globalmente con TOS sistemiche orali l’incremento del rischio
per ictus ischemico è quantificabile nell’ordine di un caso in più ogni 1000 donne l’anno (evento raro). Comunque, il
rischio tromboembolico non aumenta nelle donne normotese di età tra i 50 e i 59 anni. I dati ottenuti con la terapia a
basse dosi di estrogeni sono rassicuranti. Lo screening per trombofilia prima della somministrazione della terapia
sostitutiva non è indicato. Un’accurata anamnesi e l’esame clinico sono essenziali per la valutazione del rischio
trombotico. Screening selettivi possono essere adottati sulla base della storia personale e familiare.

Suggerimento operativo per la prescrizione della TOS


Nel 2020, l’Associazione Medici Endocrinologi (Ame) ha diffuso una guida in 7 punti per una gestione
“personalizzata” della menopausa, con particolare riferimento alla TOS, che potesse essere d’aiuto per il medico e la
paziente nella scelta dell’approccio più adeguato in base alla varietà e alla combinazione di sintomi. [ “La menopausa
non deve essere vissuta necessariamente come un incubo. Se ben gestita la qualità della vita rimane intatta o quasi. Le
soluzioni ai disturbi climaterici, però, non vanno bene per tutte e possono variare in base all’età della donna, alle
patologie pregresse e ai sintomi riportati”.]
1) Possono beneficiare della terapia le donne con vampate e sudorazioni notturne con un’età inferiore ai 60 anni, in
menopausa da meno di 10 anni.
2) Le donne con menopausa precoce, in assenza di contro-indicazioni, possono assumere la terapia fino al
raggiungimento dell’età media della menopausa (48-52 anni).
3) Studi osservazionali hanno dimostrato che l’incidenza del trombo-embolismo venoso, uno degli effetti collaterali
della TOS, è minore con le formulazioni trans-dermiche rispetto a quelle orali.
4) No al “fai da te”. Infatti, non dovrebbero essere utilizzati preparati a base di ormoni naturali bio-identici
(estradiolo, estriolo), se non approvati dagli organi regolatori, perché potenzialmente dannosi.
5) La terapia ormonale sostitutiva non è raccomandata per la prevenzione primaria o secondaria delle malattie
cardiovascolari o della demenza.
6) Le terapie non ormonali con dimostrata efficacia nei confronti dei sintomi vaso-motori includono: i farmaci che
inibiscono la ricaptazione della serotonina usati a basso dosaggio, quelli che inibiscono la ricaptazione della
serotonina-norepinefrina e il gabapentin. Hanno dimostrato efficacia anche le misure che portano a perdita di peso,
l’ipnosi e la terapia comportamentale.
7) Per le donne che presentano solo sintomi genito-urinari è raccomandato l’uso di estrogeni locali [o di ospemifene
per via orale].

TERAPIA NUTRACEUTICA
Fitoestrogeni: si tratta di molecole con struttura chimica simile a E2 (possiedono un anello fenolico che permette di
legarsi ai recettori degli estrogeni) di derivazione vegetale, che vengono metabolizzati dalla flora intestinale. Sono
impiegabili in alternativa alla TOS come primo approccio farmacologico della donna in menopausa.

Principali classi di fitoestrogeni:

- Isoflavoni: sono contenuti in:


- soia: è una pianta della famiglia delle Fabaceae (Leguminose) ed è la principale fonte di fitoestrogeni, nonché
la principale fonte alimentare nei Paesi Orientali. I principali isoflavoni della soia sono genisteina e
daidzeina. Tra i prodotti a base di soia ci sono: germogli, latte, olio, tofu, salse, lecitina (a basso contenuto di
isoflavoni) e farine di soia (ad alto contenuto di isoflavoni).
- trifoglio rosso: è una pianta della famiglia delle Fabaceae (Leguminose). Contiene isoflavoni (biocanina A,
formononetina, genisteina, daidzeina [i primi due vengono demetilati prima dell’assorbimento, il che rende il
trifoglio rosso simile alla soia) e in percentuale minore cumestani.

Attività farmacologica degli isoflavoni:


- proprietà di tipo SERM
- effetto antiossidante nei confronti di LDL
- inibizione delle neoformazione dei vasi sanguigni
- riduzione della velocità assorbimento osseo
- effetto anti-ossidativo sull’endotelio (studi in vitro)

La genisteina è la molecola più attiva; ha mostrato la maggior efficacia, rispetto al placebo, nel ridurre i sintomi
vasomotori e a lungo termine ha mostrato attività protettiva a livello cardiovascolare e riduzione della velocità di
riassorbimento osseo.

Tossicità dei fitoestrogeni:


- è legata all’eccessivo consumo
- la TD 50 (dose tossica nel 50% dei soggetti) non è ancora stata definita
- a dosaggi «terapeutici» mostrano scarsi e lievi effetti collaterali (mal di testa, disturbi gastrointestinali)
- genisteina: Studi di teratologia sui topi hanno mostrato che durante la gravidanza si accumula nel feto e può
essere causa di eritropoiesi fetale
- resveratrolo: potrebbe causare lesioni a livello renale e/o alterazioni epatiche

- Lignani (olio di semi, semi di lino, grano, segale ed avena, alcuni tipi di frutti di bosco)
- Cumestani (fagioli di lima, semi di girasole)
- Stilbene (mirtilli, arachidi, uva)

Cimicifuga: pianta del Nord America di cui si usa il rizoma, che contiene glicosidi triterpenici (acteina) e piccole
quantità di isoflavoni. In essa non sono stati individuati principi attivi e l’estratto totale non ha dimostrato forti proprietà
estrogeniche. Il suo meccanismo d’azione non è ancora chiaro, ma sembra avere una modulazione serotoninergica e
dopaminergica ed effetti antiinfiammatori e antiossidanti. Il suo utilizzo quotidiano per mesi non mostra effetti
collaterali e nemmeno un aumento dello spessore endometriale, ma sono stati riportati casi di epatotossicità. Stanno
implementando gli studi sull’efficacia ed è stato immesso in commercio un estratto secco standardizzato. I livelli di
sicurezza ed efficacia non sono ancora definiti.

Luppolo: rampicante spontaneo nell’area temperata della famiglia delle Cannabinaceae. Il lupponino, la droga data
dell’infruttescenza o dalla resina, viene impiegata per aromatizzare la birra. Contiene un flavone prenilato 8-
prenilnaringenina (xantumolo), che è un potente fitoestrogeno con alta affinità per entrambi i recettori estrogenici.
Previene l’aumento dei TG, del colesterolo e del tessuto adiposo ma ha possibili effetti cancerogeni su seno ed utero (in
terapie prolungate).

Fitoterapici di minor impiego:


- Resveratrolo (isoflavone): ha effetto anti-ateroscelrosi, favorendo la produzione di NO e contrastando
l’aggregazione piastrinica.
- Salvia Officinalis: pianta da cui si ricava un olio essenziale che contiene monoterpeni e sesquiterpeni, flavoinoidi e
tannini. Ha azione antiossidante e anti-infiammatoria.
- Angelica cinese (o Angelica Senensis o Don Quai): radice che contiene il ligustilde che ha azione antispasmodica
e anti-infiammatoria.
- Pueraria mirifica: contiene isoflavoni e fitosteroli fra cui il beta-sitosterolo. Molto utilizzata per il trattamento della
secchezza vaginale.
- Iperico: contiene ipericina e iperforina, utilizzato nei disturbi da ansia e depressione della menopausa.

Conclusioni sulla fitoterapia:


- Dimostrata l’efficacia nella riduzione dei sintomi vasomotori di lieve entità.
- Indicata nella prevenzione del rischio cardiovascolare e di osteoporosi.
- Terapia protratta per lunghi periodi, iniziando in età pre-menopausale.
- Gli studi allo stato dell’arte sono eterogenei.
- Allo stato attuale risulta difficile distinguere gli effetti della dieta rispetto ad una supplementazione con
fitoestrogeni.
- Non ci sono ancora studi che confermino un’efficacia superiore alla TOS.
- Non mostrano gli effetti collaterali della TOS.
- Non ci sono tutte le controindicazioni nella TOS.
- Fitoterapia non significa «terapia naturale» e quindi priva di rischi.

Sanguinamento in perimenopausa
Le modificazioni della quantità e della frequenza del ciclo rappresentano dei markers di peri-menopausa.

In presenza di un sanguinamento uterino anomalo considerare le seguenti possibilità:


- Cause ormonali:
Uno sbilanciamento ormonale nella produzione ovarica di progesterone e estrogeni correla generalmente con un
ciclo anovulatorio che può causare un sanguinamento anomalo. In alcune donne con cicli anovulatori l’endometrio
viene stimolato dalla continua esposizione agli estrogeni senza un sufficiente livello di progesterone per
sopprimere la proliferazione endometriale. Questo può causare un flusso irregolare e abbondante. Se l’esposizione
all’estrogeno è continua si può avere un anormale sviluppo a livello delle cellule endometriali (iperplasia) che può
portare ad un cancro dell’endometrio.
L’ipotiroidismo può causare menorragia, sia l’ipo- che l’iper-tiroidismo e l’iperprolattinemia possono associarsi ad
amenorrea.
- Cause organiche
Aborto e gravidanza extra uterina, fibromi uterini, patologia endometriale benigna, infezioni del tratto genitale,
patologia tumorale dell’endometrio, della cervice, della vagina (raro), sanguinamento post-coitale e legato ad
atrofia.
- Altre cause
Coagulopatie, grave insufficienza renale o epatica.

Potrebbero piacerti anche