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Urodinamica Clinica, Cap.

1 - Anamnesi UROSTAGES

URODINAMICA CLINICA
CAPITOLO 1: Anamnesi

Introduzione

I sintomi del basso tratto urinario sono particolarmente frequenti, soprattutto con l’avanzare
dell’età. Nella pratica clinica, e in particolare nella ricerca, è indispensabile una raccolta accurata
della sintomatologia e dell’impatto che essa produce sulla qualità della vita. Attualmente sulla
scorta della semplice sintomatologia può essere intrapreso un trattamento, purché non invasivo, e
pertanto è indispensabile oggettivarla attraverso l’ausilio di strumenti quali la compilazione del
diario minzionale, l’uso di questionari e il test del pannolino quando è presente un’incontinenza.
Tuttavia la raccolta della storia clinica rappresenta tuttora una fase importante per
l’inquadramento dei disturbi lamentati dal paziente e per stabilire un contatto fiduciario reciproco
tra il medico ed il paziente. Nella raccolta dei sintomi, che vengono riferiti in maniera a volte
molto personale dall'ammalato, così come nella descrizione dell'esame obiettivo e dei parametri
urodinamici, è indispensabile, al fine di poter confrontare i risultati degli esami, utilizzare una
terminologia univoca, quale quella validata dall'International Continence Society (ICS) (1), cui si
farà riferimento in questo capitolo. In primo luogo vanno quindi raccolti i sintomi riferiti dal
paziente, descrivendoli in maniera dettagliata; non sempre le semplificazioni e cioè le semplici
distinzioni tra disturbi di svuotamento vescicale e di immagazzinamento sono corrette. Infine va
considerato che la maggior parte dei pazienti si presenta con una diversa varietà di sintomi e che
questi possono cambiare col tempo, per adattamenti o dopo trattamenti medici o chirurgici. Ad
esempio pazienti con incontinenza da sforzo possono sviluppare una pollachiuria, nel tentativo di
ridurre gli episodi di incontinenza, al punto che questo sintomo diventa più importante
dell’incontinenza stessa. Oppure disturbi di svuotamento possono insorgere dopo trattamenti
medici o chirurgici dell’incontinenza.

Anamnesi familiare e fisiologica

La presenza di incontinenza urinaria o di prolassi genitali negli ascendenti femminili di una donna
può far presupporre una situazione di deficit ligamentoso indotto da un’alterata costituzione
genetica del collagene.
Il fumo e abitudini alimentari scorrette come l’abuso di cioccolato, caffeina o di alcool devono
essere riconosciuti per la possibile interferenza con il funzionamento del basso tratto urinario
come l’induzione di una pollachiuria (caffè, cioccolato, tabagismo) o di una poliuria (alcool,
alimentazione ricca di frutta e verdura).

Anamnesi patologica remota

Nella raccolta dell'anamnesi va posta particolare attenzione alla storia patologica remota del/la
paziente e in particolare alle condizioni cliniche potenzialmente interferenti sulla funzione del
basso tratto urinario elencate in Tabella 1.

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Urodinamica Clinica, Cap. 1 - Anamnesi UROSTAGES

Tab. 1.

Storia medica Storia neurologica Storia ostetrica Storia ginecologica Storia urologica
Diabete mellito Sclerosi multipla Parità Vaginiti Infezioni urinarie
Bronchite cronica Morbo di Parkinson Macrosomia Endometriosi Enuresi nell’infanzia
Tubercolosi
Ipertensione arteriosa Mielopatie: Modalità di Masse ovariche o uterine Neoplasie vescicali
Scompenso cardiaco - traumatiche espletamento del parto
congestizio - ischemiche e durata del travaglio
- infiammatorie
- neoplastiche
Insufficienza venosa agli Vasculopatie cerebrali Incontinenza urinaria in Menopausa (età di insorgenza Traumi uretrali
arti inferiori gravidanza ed eventuale terapia)
Glaucoma Ernie discali Spondiloartrosi Incontinenza urinaria nel Interventi ginecologici Interventi urologici
stenosanti postpartum Interventi per incontinenza o
prolasso
Stipsi Interventi neurochirurgici Prolassi genitali Attività sessuale
postpartum
Interventi sul grosso Disturbi psichici
intestino:
-emicolectomie sin.
-amputazione del retto

Un diabete scompensato produce una poliuria mentre una neuropatia diabetica può interessare la
vescica solitamente producendo una ipocontrattilità.
Una bronchite cronica può produrre degli eccessi di tosse durante la quale si verifica una
incontinenza urinaria da stress altrimenti non manifesta o ben tollerata. Una TBC urinaria, in un
soggetto con o senza storia di una pregressa tubercolosi polmonare, può essere la causa di una
sintomatologia pollachiurico-strangurica.
La presenza di ipertensione arteriosa deve far pensare all’uso di farmaci potenzialmente
interferenti con la funzione del basso tratto urinario come i diuretici o gli alfa-litici.
Uno scompenso cardiaco congestizio o un’insufficienza venosa agli arti inferiori deve suggerire la
possibilità dell’uso di diuretici o del riassorbimento di liquidi in particolare nelle ore notturne con
poliuria secondaria.
Il glaucoma deve essere considerato solo perché potrebbe essere una controindicazione all’uso di
farmaci antimuscarinici.
La stipsi può portare o alla formazione di fecalomi, che possono interferire con la funzione del
basso tratto urinario (in particolare nell’anziano in cui si può verificare una ritenzione urinaria), o
al persistente ponzamento con formazione di prolassi o comunque di rilasciamento delle strutture
del piano perineale.
L’emicolectomia sinistra o l’amputazione del retto possono danneggiare le strutture nervose del
plesso pelvico con conseguente decentralizzazione vescicale. La radioterapia può in questi casi
contribuire ad una riduzione della compliance vescicale.
Le malattie neurologiche quando manifeste possono chiaramente interferire sul basso tratto
urinario, tuttavia esistono situazioni in cui l’esordio della malattia coincide con un sintomo urinario
come nella sclerosi multipla o in un’ernia discale mediana che interessi la cauda.
I disturbi della psiche possono essere secondari all’alterata qualità di vita indotta dalla
sintomatologia urinaria, tuttavia è importante riconoscere che in alcuni casi e in particolare nella
ritenzione urinaria femminile o in età pediatrica e adolescenziale, una psicopatia può produrre il

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disturbo urinario. Inoltre farmaci antidepressivi come i triciclici possono interferire con la
contrattilità vescicale.
Dal punto di vista ostetrico in Tabella 1 sono elencate le situazioni tipiche che possono condurre
ad una denervazione parziale del piano perineale, con conseguente predisposizione
all’incontinenza urinaria.
Anche la storia ginecologica è importante per riconoscere la coesistenza o preesistenza di
condizioni potenzialmente interferenti con il basso tratto urinario come quelle elencate in Tabella.
Interventi sull’utero, in particolare di eradicazione radicale per neoplasia possono anche qui
danneggiare il plesso pelvico con conseguente decentralizzazione vescicale. La radioterapia
eventuale può ridurre la compliance vescicale. L’attività sessuale va comunque indagata sia per
verificare l’eventuale interferenza o l’associazione con il sintomo urinario.
Infine non si può non ricordare che l’esordio di una neoplasia vescicale, in particolare del
carcinoma in situ, può simulare i sintomi tipici della cistite interstiziale, mentre è interessante
riconoscere in alcuni casi con sindrome di urgenza/frequenza la preesistenza di enuresi notturna.

Sintomatologia

Il colloquio con il/la paziente e l’interpretazione dei sintomi riferiti dallo stesso necessitano
disponibilità da parte del medico, una adeguata comunicazione che deve tener conto delle
differenze sociali e culturali, nonché il liberarsi di preconcetti dettati a volte dallo schematismo
mentale degli operatori ed influenzati dal tempo da dedicare al singolo ammalato. Seguendo la
classica suddivisione, i principali sintomi del basso tratto urinario sono distinti in quattro gruppi:
sintomi di incontinenza, irritativi, ostruttivi e dolorosi, come evidenziato in Tabella 2.

Tab. 2.

Incontinenza urinaria Sintomi irritativi Sintomi ostruttivi Sintomi dolorosi


Da sforzo Pollachiuria Esitanza Bruciore minzionale
Da urgenza Nicturia Ponzamento minzionale Dolore uretrale
Mista (da sforzo e da urgenza) Urgenza Mitto gocciolante Dolore ipogastrico
Da rigurgito (overflow) Senso di incompleto svuotamento Dispareunia
Riflessa
Sgocciolamento terminale e
postminzionale
Incontinenza risoria
Enuresi

Poiché persino la raccolta particolareggiata dell’anamnesi non sempre rispecchia la realtà è


sempre indispensabile correlare la sintomatologia presentata con la compilazione del diario o
foglio delle minzioni (Fig. 1) al fine di confermare la sintomatologia (es. una pollachiuria o nicturia
secondarie a poliuria).

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Fig. 1. Esempio di Foglio Minzioni

L’International Continence Society propone una standardizzazione, recentemente rivisitata, che


prevede la distinzione dei sintomi del basso tratto urinario in tre gruppi: sintomi della fase di
riempimento, di svuotamento e postminzionali. A questi vengono affiancati eventuali sintomi
associati al rapporto sessuale, a prolasso o a dolore come evidenziato in Tab. 3.

Tab. 3.

Riempimento Svuotamento Postminzionali Rapporto Prolasso Dolore


sessuale
Pollachiuria Esitanza Sensazione di Dispareunia Senso di gonfiore, Vescicale
incompleto pesantezza,
svuotamento stiramento
vaginale
Nicturia Ponzamento Sgocciolamento Secchezza Basso mal di Uretrale
postminzionale vaginale schiena
Urgenza Mitto: Incontinenza: Necessità di Vulvare
- ridotto - alla ridurre il prolasso
- diviso penetrazione per defecare o
- spray - durante il mingere
- intermittente rapporto

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- all’orgasmo
Incontinenza Sgocciolamento Vaginale
urinaria: terminale
- da sforzo
- da urgenza
- mista
- enuresi
- continua
- risoria
- durante i
rapporti
Sensibilità Scrotale
vescicale:
- normale
- aumentata
- ridotta
- assente
- aspecifica
(gonfiore,
sintomi
vegetativi,
spasticità)
Perineale
Pelvico

Analizziamo ora alcuni dei sintomi più ricorrenti, al fine di poterli meglio interpretare quando
vengono esposti dai singoli pazienti o richiesti dall’operatore sanitario.

Pollachiuria

La pollachiuria è il disturbo lamentato dal paziente che riferisce di urinare troppo spesso durante
le ore diurne. Esiste quindi una notevole variabilità individuale nel riferire il sintomo. Si ritiene
generalmente che una frequenza minzionale fino a 8 volte al giorno o superiore alle due ore possa
essere tollerata. In altre parole una capacità vescicale superiore a 300 ml rientra nella normalità.
Pertanto per distinguere una pollachiuria con ridotta capacità vescicale funzionale da una poliuria
è fondamentale la registrazione del foglio minzioni.
Vi è statisticamente un lieve incremento della frequenza minzionale con l’età, mentre non
sussistono differenze significative tra i sessi.
I fattori che possono condizionare un incremento della frequenza minzionale sono:
- ridotta increzione di ormone antidiuretico, come avviene nel diabete insipido o nella sindrome
da inappropriata secrezione di ADH con conseguente poliuria;
- diuresi osmotica, come si può avere in soggetti affetti da diabete mellito non compensato;
- polidipsia, che si può registrare in soggetti psicotici, ma non solo;
- riduzione della capacità vescicale funzionale secondaria a cause infiammatorie (cistite acuta,
sindrome urgenza/frequenza) o non infiammatorie, come nell’iperattività del detrusore o nella
vescica ipersensitiva, nelle condizioni di ostruzione funzionale o meccanica al flusso urinario
(caratterizzate dalla presenza di residuo post-minzionale), nelle situazioni di timore di perdite
urinarie o di ritenzione, con conseguente svuotamento vescicale frequente;

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- riduzione della capacità strutturale vescicale: si differenzia dalla precedente perché dovuta ad
alterazioni strutturali della parete e quindi presente anche in anestesia, come si può avere nei
casi di fibrosi post-infettiva (es. TBC urinaria), nella cistite interstiziale conclamata, nei
carcinomi vescicali, nella cistite attinica, negli esiti di chirurgia vescicale.

Nicturia

La nicturia è il disturbo che lamenta il paziente che riferisce di urinare una o più volte durante la
notte (esclusa la minzione prima di coricarsi e quella al risveglio mattutino).
L’incidenza di nicturia aumenta in entrambi i sessi con l’età. Non è condizione infrequente,
soprattutto per uomini di oltre 65 anni e per donne di oltre 75 anni alzarsi 1 volta per notte per
urinare. Quando è riferita una frequenza minzionale notturna maggiore, bisogna essere certi che
non vi sia un disturbo del sonno o l’associazione con altri sintomi, come il dolore, che svegliano il
paziente o escludere l’assunzione di liquidi durante le ore notturne o il riassorbimento di edemi
declivi, specificando quindi che si tratta esattamente di necessità minzionale che sveglia il/la
paziente e lo obbliga ad alzarsi per urinare. L’incremento della diuresi notturna da riassorbimento
di edemi declivi da insufficienza venosa o scompenso cardiaco congestizio anche lieve è in genere
la causa più frequente di nicturia associata a poliuria. Pertanto è necessario visitare il paziente per
evidenziare edemi declivi in particolare pretibiali o sacrali in pazienti allettati. Tuttavia una poliuria
notturna può essere presente in assenza di edema manifesto in quanto fino ad 1 litro di liquido
raccolto nell’interstizio può rimanere subclinico.

Urgenza minzionale

Indica un improvviso e forte desiderio di urinare che è difficile posporre. Può essere dovuto ad
incremento della sensibilità vescicale oppure ad iperattività del detrusore.

Incontinenza urinaria

L’incontinenza urinaria è definita come perdita involontaria di urine. La frase aggiuntiva “e


rappresenta un problema sociale o igienico” è stata tolta in quanto collega il sintomo alla qualità di
vita, che risulta valutata oggi da appositi questionari. Inoltre secondo l’ICS l’incontinenza urinaria
dovrebbe essere descritta specificando alcuni aspetti importanti come il tipo, la frequenza, la
gravità, i fattori precipitanti, l’impatto sociale, l’effetto sull’igiene e sulla qualità di vita, gli ausili
utilizzati per contenere le perdite e se il paziente richiede l’intervento per correggere il sintomo.
Deve essere distinta dalla sudorazione o da eventuali perdite vaginali.
Come già illustrato in Tabella 3, possiamo distinguere:

- incontinenza urinaria da sforzo: perdita di urine durante uno sforzo fisico, uno starnuto, un
colpo di tosse. Avviene quando la pressione intravescicale supera la massima pressione di
chiusura uretrale, in assenza di contemporanee contrazioni detrusoriali non inibite. Mentre
nell’uomo l’incontinenza urinaria da sforzo è dovuta ad un deficit dei meccanismi di chiusura,
nella donna può essere dovuta a deficit sfinterico, a dislocazione del collo vescicale oppure ad
entrambe le cause;

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- incontinenza urinaria da urgenza: perdita involontaria di urine associata o immediatamente


preceduta da un forte desiderio di urinare. Può essere dovuta ad iperattività del detrusore o a
ipersensibilità vescicale o a condizioni infiammatorie;
- incontinenza mista: è la perdita involontaria di urine associata sia a urgenza sia a sforzo,
starnuto o tosse;
- enuresi: indica qualsiasi perdita involontaria di urine, se si usa per indicare l’incontinenza
durante il sonno deve sempre essere specificato notturna. Può essere primaria, quando il
paziente non ha mai raggiunto la continenza notturna, oppure secondaria, quando l’enuresi
compare dopo un periodo di normale continenza urinaria;
- incontinenza continua: continua perdita di urina;
- incontinenza risoria: si verifica in alcuni soggetti, particolarmente in età adolescenziale e nel
sesso femminile, con perdita anche cospicua durante la risata;
- incontinenza durante il rapporto sessuale.
- incontinenza da rigurgito: nei casi di ritenzione urinaria cronica, l’elevato volume urinario può
determinare a lungo andare, la perdita di minime quantità di urine talora con sensazione di
urgenza minzionale. Tale definizione non compare più nell’ultima stesura della
Standardizzazione dei Sintomi dell’ICS.

Sensibilità vescicale

Può essere:
- normale: il soggetto avverte la sensazione di ripienezza vescicale ed il suo aumento fino al
desiderio minzionale;
- aumentata: il paziente avverte un precoce e persistente desiderio di urinare;
- ridotta: il paziente avverte il riempimento vescicale ma non il desiderio di mingere;
- assente: il paziente non avverte né il riempimento vescicale né il desiderio di mingere;
- aspecifica: il paziente non avverte lo stimolo vescicale specifico, ma può percepire il
riempimento vescicale come ripienezza addominale o con sintomi vegetativi o spasticità.
Questi sintomi sono comunemente avvertiti in pazienti neurologici in particolare dopo trauma
o malformazione spinale.

Esitazione preminzionale

E’ definita come difficoltà e ritardo ad iniziare la minzione quando il paziente avverte la necessità
di urinare. Può essere ovviamente normale se il soggetto che riferisce tale evenienza deve
svuotare volumi vescicali ridotti, inferiori ai 100 ml o al contrario elevati con sovradistensione
vescicale. Di converso, con volumi vescicali congrui, il sintomo può essere correlato ad una
ritenzione urinaria incompleta e quindi ad un disturbo dello svuotamento vescicale da ostruzione
cervico-prostatica o da ipocontrattilità del detrusore, oppure da mancato rilasciamento del piano
perineale durante minzione. Non si deve inoltre dimenticare la possibilità che il disturbo sia
dovuto ad inibizione psicologica della contrazione detrusoriale o alla presenza di dissinergia
detrusore-sfintere, soprattutto nei pazienti affetti da sclerosi multipla.

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Ponzamento

Descrive lo sforzo muscolare addominale utilizzato per iniziare, mantenere o migliorare il mitto.
Alcuni pazienti con lesione del midollo spinale possono riferire di mingere con la pressione
sovrapubica (manovra di Credè).

Caratteristiche del mitto

Può essere descritto come ridotto, quando il paziente ha la sensazione di un flusso ridotto rispetto
alla situazione precedente o ad altri individui, diviso o ad ombrello (spray) o intermittente, quando
si interrompe una o più volte durante la minzione.

Sgocciolamento terminale

Descrive una prolungata fase terminale della minzione con un flusso lento e gocciolante.

Sensazione di incompleto svuotamento

Come lo definisce il termine è la sensazione avvertita al termine della minzione.

Sgocciolamento post-minzionale

Perdita di urina dopo aver svuotato la vescica. Di solito si verifica dopo aver lasciato i servizi nel
maschio o dopo essersi alzata dal water nella femmina. Raramente associabile ad anomalie
dimostrabili, è in genere dovuto ad una “incoordinazione” tra sfintere liscio e sfintere uretrale
striato, per cui l’urina contenuta nello spazio tra i due sfinteri, al posto di essere recuperata in
vescica, viene persa al rilasciamento dello sfintere striato, dopo il termine della minzione.

Disturbi della sfera sessuale

La dispareunia, la secchezza vaginale e l’incontinenza durante il rapporto sono i sintomi più


frequentemente lamentati dalle pazienti. Questi sintomi dovrebbero essere descritti il più
completamente possibile. E’ utile distinguere l’incontinenza se si verifica alla penetrazione,
durante il rapporto o durante l’orgasmo.

Sintomi associati al prolasso

Il senso di gonfiore, pesantezza e stiramento vaginale, o un mal di schiena basso o la necessità di


ridurre il prolasso digitalmente per defecare o urinare sono tra i sintomi più frequentemente
riferiti dalle donne con prolasso.

Dolore

Si riferisce al dolore genitale e del basso tratto urinario.

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Urodinamica Clinica, Cap. 1 - Anamnesi UROSTAGES

Dolore, fastidio, senso di pressione fanno parte di uno spettro di sensazioni avvertite
individualmente. Il dolore produce il maggior impatto sul paziente e può essere collegato al
riempimento o svuotamento vescicale oppure essere avvertito dopo minzione o in modo
continuo. Può essere caratterizzato dal tipo, frequenza, durata, da fattori precipitanti o di sollievo
e dalla sede. Termini come stranguria, spasmo vescicale e soprattutto disuria sono difficili da
definire e di incerto significato e non dovrebbero essere usati a meno che si stabilisca un preciso
significato.
Il dolore vescicale è percepito a livello sovrapubico o retropubico e gradualmente aumenta con il
riempimento vescicale e può persistere dopo minzione. Tale sensazione porta ad incremento della
frequenza minzionale. Il dolore vescicale può essere secondario a condizioni infiammatorie, come
nella cistite acuta o nella cistite interstiziale.
Il dolore uretrale è percepito a livello uretrale.
Il dolore vulvare è avvertito attorno ed subito all’interno dei genitali esterni.
Il dolore vaginale è sentito all’interno sopra l’introito.
Il dolore scrotale può o non può essere localizzato al testicolo, all’epididimo, al funicolo o alla cute
scrotale.
Il dolore perineale è avvertito nella donna tra la forchetta posteriore e l’ano e nel maschio tra lo
scroto e l’ano.
Il dolore pelvico è meno definito degli altri ed è meno chiaramente legato al ciclo minzionale o alla
funzione intestinale e non è localizzato ad alcun singolo organo pelvico.

Sindromi genito-urinarie

Le sindromi descrivono costellazioni o varie combinazioni di sintomi, ma non possono essere usate
per una diagnosi precisa. L’uso della parola sindrome può essere giustificato se c’è almeno un altro
sintomo in aggiunta al sintomo usato per descrivere la sindrome. Nelle comunicazioni scientifiche
l’incidenza dei singoli sintomi nella sindrome deve essere espressa in aggiunta al numero di
soggetti con la sindrome.
Le sindromi qui descritte sono anormalità funzionali per le quali non è ancora stata stabilita una
causa precisa. Si presume che la valutazione routinaria (storia clinica, esame obiettivo e altre
indagini adeguate) abbia escluso patologie locali ovvie come quelle infettive, neoplastiche,
metaboliche o ormonali.

Sindromi del dolore genito-urinario

Sono tutte croniche. Il dolore è il sintomo principale, ma si associano sintomi del basso tratto
urinario, intestinali, sessuali o ginecologici.
La sindrome del dolore vescicale è rappresentata da dolore sovrapubico associato al riempimento
vescicale, che si accompagna ad altri sintomi come la pollachiuria e la nicturia, in assenza di
dimostrabile infezione urinaria o altra patologia manifesta come la calcolosi vescicale, il carcinoma
in situ e l’endometriosi.
L’ICS preferisce questo termine rispetto a cistite interstiziale, che è una diagnosi specifica e
richiede conferma dal riscontro delle caratteristiche cistoscopiche e istologiche.

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Urodinamica Clinica, Cap. 1 - Anamnesi UROSTAGES

La sindrome del dolore uretrale è rappresentata da ricorrenti episodi di dolore uretrale, di solito
durante minzione, con pollachiuria e nicturia in assenza di documentabile infezione urinaria o altra
patologia manifesta.
La sindrome del dolore vulvare è rappresentata da ricorrenti episodi di dolore vulvare che è o
legato al ciclo minzionale o associato a sintomi suggestivi di disfunzione urinaria o sessuale. Non è
dimostrabile infezione o altra patologia manifesta. L’ICS suggerisce di non usare il termine
vulvodinia, perché porta a confusione tra il singolo sintomo e la sindrome.
La sindrome del dolore vaginale è rappresentata da persistente o ricorrenti episodi di dolore
vaginale associato a sintomi suggestivi di disfunzione urinaria o sessuale. Non è dimostrabile
infezione vaginale o altra patologia manifesta.
La sindrome del dolore scrotale è rappresentata da persistente o ricorrenti episodi di dolore
scrotale associato a sintomi suggestivi di disfunzione urinaria o sessuale. Non è dimostrabile una
orchiepididimite o altra patologia manifesta.
La sindrome del dolore perineale è rappresentata da persistente o ricorrenti episodi di dolore
perineale che è o legato al ciclo minzionale o associato a sintomi suggestivi di disfunzione urinaria
o sessuale.
Non è dimostrabile infezione o altra patologia manifesta.
La sindrome del dolore pelvico è rappresentata da persistente o ricorrenti episodi di dolore pelvico
associato a sintomi suggestivi di disfunzione del basso tratto urinario, sessuale, intestinale o
ginecologica.
Non è dimostrabile infezione o altra patologia manifesta.

Sindromi di disfunzione del basso tratto urinario

Nella pratica clinica, dopo aver valutato i sintomi del basso tratto urinario, l’esame obiettivo e i
risultati dell’esame urine e di altre eventuali indagini, sono spesso formulate delle diagnosi
empiriche come base per un iniziale trattamento.
L’urgenza con o senza incontinenza, di solito con pollachiuria e nicturia, può essere descritta come
la sindrome della vescica iperattiva, la urge sindrome o la sindrome urgenza-frequenza. Queste
combinazioni di sintomi sono suggestive di iperattività detrusoriale dimostrabile
urodinamicamente, ma possono essere dovute ad altre forme di disfunzione vescico-uretrale.
Questi termini possono essere usati se si esclude un’infezione o altre patologie manifeste.
Sintomi del basso tratto urinario suggestivi di ostruzione vescicale è il termine da usare quando un
uomo presenta prevalentemente sintomi della fase di svuotamento in assenza di infezione o altra
patologia manifesta ad eccezione delle possibili cause di ostruzione.

Conclusioni

L’anamnesi rappresenta un momento fondamentale nell’inquadramento diagnostico di un


paziente con disturbi del basso tratto urinario. Infatti consente di stabilire quali accertamenti
eseguire prima di intraprendere una adeguata terapia.
Poiché la raccolta, anche di una particolareggiata anamnesi, non sempre rispecchia la realtà è
sempre indispensabile correlare la sintomatologia presentata con la raccolta del foglio delle
minzioni (Fig. 1) al fine di confermare la sintomatologia (es. una pollachiuria o nicturia secondarie
a poliuria). La raccolta della sintomatologia consente di formulare spesso una diagnosi provvisoria

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Urodinamica Clinica, Cap. 1 - Anamnesi UROSTAGES

chiamata anche sindrome seguita dal nome del sintomo principale, che, sebbene non sempre sia
confermata con le successive indagini e in particolare con l’esame urodinamico, consente di
attuare dei trattamenti medico-riabilitativi non invasivi come primo approccio, secondo le più
recenti indicazioni dell’International Consultation on Incontinence (2) e dell’ICS (1).

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Urodinamica Clinica, Cap. 2 – Esame Obiettivo: Indicazioni ed evidenze cliniche UROSTAGES

URODINAMICA CLINICA
CAPITOLO 2:
Esame Obiettivo: Indicazioni Ed Evidenze Cliniche

Introduzione

I sintomi disfunzionali delle basse vie urinarie e la loro gravità, il sesso, l’età e la presenza o meno
di una patologia neurologica già nota dovrebbero indirizzare il medico verso il più appropriato tipo
di approccio diagnostico obiettivo che, a grandi linee, contempla:
- valutazione addominale
- valutazione perineale (ivi compresa la sensibilità)
- valutazione rettale
- valutazione dei genitali esterni e della vagina
- stress test per incontinenza urinaria
- esame neurologico
- evidenziazione di un eventuale residuo vescicale post-minzionale.
Tenendo presente l’algoritmo gestionale (1) divulgato dall’International Consultation on
Incontinence (ICI), è doveroso puntualizzare almeno due aspetti della valutazione clinica obiettiva,
l’esame neurologico e quello uro-ginecologico.

L'esame neurologico nella valutazione urodinamica: come e quando

Quando è utile inserire l'esame neurologico nell'ambito di una valutazione urodinamica? Una
prima risposta, solo apparentemente provocatoria, potrebbe essere "sempre". Potremmo trovarci
infatti di fronte a due situazioni: o il paziente è noto essere portatore di una qualche patologia
neurologica, nel qual caso l'opportunità di un esame per lo meno sommario si perora da sé,
oppure no. In questa seconda ipotesi un esame neurologico, seppure ridotto all’essenziale, è
ancora più opportuno. Infatti il paziente potrebbe presentare segni obiettivi neurologici
inaspettati, senza parlare di quelle patologie neurologiche che possono presentare un disturbo a
carico delle basse vie urinarie quale sintomatologia d'esordio. In questo secondo caso,
ovviamente, il riscontro eventuale di reperti anomali rappresenterà solo il primo passo verso una
valutazione specialistica approfondita.
L'esame obiettivo neurologico è una scienza ed un'arte allo stesso tempo e non sarà certo questa
la sede per un'esposizione completa di tale argomento. Ad integrazione di quanto già illustrato nel
I volume di questa opera (2), verranno di seguito illustrati alcuni punti dell’obiettività neurologica
da eseguire, per consentire un inquadramento rapido e generale del quadro clinico, ricordando
sempre che la semeiotica neurologica ha una funzione prevalentemente localizzatoria. Detta
semeiotica non ha infatti lo scopo di dire "cosa" c'è che non va, ma di orientare sul "dove" c'è
qualcosa che non va.
La valutazione neurologica dovrebbe in qualche modo definire o escludere la presenza di patologie
che interessano il sistema piramidale e/o extrapiramidale e il sistema nervoso periferico e

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Urodinamica Clinica, Cap. 2 – Esame Obiettivo: Indicazioni ed evidenze cliniche UROSTAGES

dovrebbe essere eseguita così:


• si osserva la capacità di mantenere la stazione eretta e la postura che di per sé possono
evidenziare grossolani deficit di forza, deficit dell'equilibrio o alterazioni posturali ( quali ad
esempio un atteggiamento generalizzato in flessione, che potrebbe indirizzare verso una sindrome
extrapiramidale) ; analoghe informazioni possono essere desunte ancor meglio dalla valutazione
della marcia (presenza dei movimenti sincinetici agli arti superiori, lunghezza del passo, base
d'appoggio, eventuali oscillazioni, zoppie, inclinazioni del bacino).
• in posizione supina si invita il paziente a tenere gli arti superiori completamente estesi a
45° circa dal piano orizzontale (prova di Mingazzini I) ad occhi chiusi e, successivamente, a
tenere gli arti inferiori sospesi con le cosce flesse sul bacino e le gambe parallele al piano
del letto ( prova di Mingazzini II). Tali manovre (mantenute singolarmente per 15-30”)
consentono soprattutto una valutazione veloce della forza ai 4 arti, consentendo di
evidenziare anche deficit sfumati.
• mobilizzando in modo passivo avambraccio sul braccio e mano sull'avambraccio, con
flesso-estensioni ripetute, sarà possibile valutare la presenza di un'alterazione del tono
muscolare; analoghe manovre andranno effettuate a carico della coscia sul bacino e della
gamba sulla coscia.
• l'elicitazione dei riflessi di stiramento muscolare a livello dei 4 arti è pratica tanto nota
quanto rilevante, per cui sarà sufficiente ricordare l'importanza tra l'altro del confronto fra
i due emilati (in associazione o meno alla elicitazione di eventuali riflessi patologici, quali il
Babinski).
• un esame delle sensibilità superficiali dovrebbe prevedere per lo meno una valutazione del
riconoscimento dello stimolo tattile superficiale dal dolorifico superficiale; lo stimolo andrà
portato sui 4 arti e a livello del tronco (alla ricerca di eventuali livelli), nonché, ovviamente,
a livello perineale. E' utile ricordare che gli stimoli devono essere portati in modo casuale,
per evitare apprendimenti dello schema di risposta; che devono essere abbastanza
numerosi da evitare un successo casuale; che non devono essere troppo numerosi, per
evitare errori da scadimento della collaborazione per affaticamento e/o noia.
• un esame delle sensibilità profonde dovrebbe prevedere la valutazione della capacità di
riconoscere i piccoli spostamenti delle dita di mani e piedi.
• invitando il soggetto a toccare ripetutamente di precisione la punta del naso con la punta
del dito indice proteso può essere utile nel riconoscere deficit di tipo cerebellare (o delle
sensibilità profonde );
• la manovra di Lasègue (flessione dell'arto inferiore esteso sul bacino) potrà evidenziare
eventuali irritazioni meningee e/o sofferenze radicolari, ad esempio frequenti in corso di
patologia discale lombare.
• fondamentale una valutazione del sensorio e delle funzioni corticali superiori (Mini Mental
State Evaluation), sia per il loro contributo alla comprensione del quadro neurologico
eventualmente presente, sia per evitare di attribuire ad una causa diversa disturbi
sfinterici.
• l'esame dei nervi cranici è molto complesso, va oltre l’obiettivo di questo capitolo e,
inoltre, non darebbe ulteriori informazioni utili.

Venendo ai casi più frequentemente riscontrati nella pratica clinica, questi possono essere
ricondotti, anche se con un eccessivo schematismo, ad alcuni quadri paradigmatici nel contesto di

2
Urodinamica Clinica, Cap. 2 – Esame Obiettivo: Indicazioni ed evidenze cliniche UROSTAGES

una (1)
1. Lesione "encefalica" (sovrapontina)
2. Lesione con livello midollare (sottopontina e sovrasavrale)
3. Lesione di tipo periferico (midollare sacrale, radicolare o tronculare).

Ad una lesione localizzata a livello encefalico potrà far pensare la presenza di un aumento dei
riflessi di stiramento muscolare diffusa ai quattro arti (encefalopatia diffusa) o a un emilato (più
spesso lesione focale - ad esempio da ictus). Sempre ad un danno cerebrale indirizzerà un deficit di
forza con la medesima distribuzione e - più spesso - un aumento del tono muscolare di tipo
piramidale o extrapiramidale. In una lesione di questo tipo si potrà osservare frequentemente
un'iperattività detrusoriale senza dissinergia nel caso piramidale, mentre in presenza di un quadro
extrapiramidale il pattern disfunzionale sarà di solito più complesso e meno prevedibile.
La presenza di un livello midollare è uno dei casi più classicamente descritti di pattern
urodinamico, con la presenza di iperattività detrusoriale con dissinergia, ricordando la complessità
di lesioni incomplete, multiple o estese in senso cranio - caudale.
Un quadro "periferico" presenta un'ipoestesia e/o un'ipostenia generalizzate o per lo meno
simmetriche (nel caso di un interessamento polineuropatico), oppure con distribuzione che
ripercorre l'andamento di radici e/o tronchi nervosi. In tal caso anche dal punto di vista
urodinamico ci si aspetterà un quadro “periferico”, con deficit detrusoriale e/o sfinterico, anche se
non sono da considerarsi eccezionali aspetti di iperattività da deafferentazione sensitiva.
Si ricorda, comunque, che questo è solo uno schema semplificato di valutazione obiettiva
neurologica al fine di ottenere un orientamento, ma che non può sostituire l'esperienza e la
competenza dello specialista neurologo, cui è opportuno ricorrere in presenza di qualunque
aspetto poco chiaro. Inoltre ciascuno dei quadri sopra descritti può non presentarsi isolatamente,
ma può coesistere - sia pur con diverso grado di espressione clinica - con gli altri., ben a
conoscenza che nel tempo può verificarsi una modificazione dei vari aspetti disfunzionali.
Riassumendo, nella valutazione di un soggetto con disfunzione perineale sarebbe opportuno per lo
meno valutare la deambulazione, il deficit di forza muscolare (Mingazzini I e II), la presenza di
riflessi iperelicitabili e/o patologici, la sensibilità perineale e la capacità di contratte lo sfintere
anale esterno. In presenza di soggetti anzaini, una valutazione almeno sommaria delle funzioni
cognitive si rende ovviamente necessaria.

Esame Obiettivo Ginecologico: evidenze cliniche

Tutte le pazienti che si presentino ad una visita uroginecologica per LUTS e/o per prolasso genitale devono
necessariamente essere sottoposte all’esame obiettivo ginecologico.
Infatti l’iter terapeutico, così come delineato dall’ ICI, varia notevolmente a secondo che i disturbi
urinari classificabili come vescica iperattiva/incontinenza /ritenzione o l’incontinenza anale o
ancora la dispareunia siano o meno associati a qualunque tipo di alterazione anatomica
obiettivabile ( es. descensus dei segmenti vaginali) a carico dei visceri pelvici.
Le raccomandazioni del comitato ICI comprendono:
1) ispezione dell’addome con l’esame di eventuali cicatrici, ernie, masse evidenziabili e/o
palpabili
2) esame neurologico sacrale di 1° livello per la valutazione delle funzioni sensorie e
motorie e dei relativi riflessi: va valutato il tono anale, la contrattilità volontaria dello

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Urodinamica Clinica, Cap. 2 – Esame Obiettivo: Indicazioni ed evidenze cliniche UROSTAGES

sfintere e la sensibilità perineale. A questo dovrà seguire un esame specifico più


approfondito nel caso in cui si rilevassero anormalità all’esame di 1° livello
3) esame dell’epitelio e delle mucose della vulva e dell’introito vaginale sia per la
valutazione dello stato di atrofia o di estrogenizzazione, che per eventuali secrezioni
vaginali, aree di escoriazione e irritazione, ulcere, cicatrici. L’esecuzione del pH vaginale
è consigliabile, in quanto si correla significativamente con l’estrogenizzazione della
mucosa.
4) valutazione dell’utero e degli annessi in termini di forma, dimensioni, dolorabilità, ecc.
All’esplorazione vaginale si può apprezzare una neoformazione a carico della parete
vaginale anteriore dovuta alla presenza di un diverticolo dell’uretra: la spremitura della
neoformazione può indurre la fuoruscita di materiale purulento dal meato uretrale.
5) eventuale evidenziazione di perdite continue di urina da comunicazioni patologiche tra
le basse vie urinarie e vulva o vagina (fistole urinarie)
6) valutazione accurata della muscolatura pelvica (5). Essa va eseguita primariamente con
l’ispezione/osservazione, che permette una prima valutazione della muscolatura
pelvica, ma il cui elemento negativo è costituito dalla possibile confusione con la
contrattilità della muscolatura perineale superficiale.
Alla ispezione deve seguire la palpazione dei muscoli elevatori bilaterali ( simmetria,
forza, durata della contrazione, ripetitività delle contrazioni = endurance). La forza si
può valutare sia soggetttivamente appoggiando le dita 2-3 cm, all’interno della vagina e
premendo leggermente postero-lateralmente sui ventri muscolari, che con un
perineometro, il quale fornisce un dato più oggettivo, ma non può valutare le eventuali
asimmetrie: esso non può quindi essere considerato quale “gold standard”(5). Il primo
dato può essere quantificato con un punteggio soggettivo da 0 a 3 o da 0 a 5, il secondo
con un punteggio da 0 a 10, essendo comunque importante rilevare anche situazioni
patologiche quali “inversione del comando” o contrazione di muscoli antagonisti.
Globalmente i fattori da valutare sono: simmetrie o asimmetrie , forza ed endurance,
risposta alla tosse ( contrazione funzionale), spostamento dei visceri connessi.
L’utilità della valutazione della muscolatura pelvica consiste nelle possibili indicazioni
alla riabilitazione del pavimento pelvico ( che costituisce l'approccio di prima linea alla
terapia dell'incontinenza urinaria da sforzo) e nella necessità di ulteriori indagini (
principalmente sul versante neurologico) in caso di atonia/ipotonia grave..
7) quantificazione del prolasso dei visceri pelvici (supporto delle pareti vaginali anteriore,
centrale e posteriore) mediante un sistema validato. E’ noto che fin dal 1995 l’I
nernational Continence Society (ICS) considera come gold standard il sistema POP-Q.
Esso comporta la valutazione di 6 segmenti vaginali (2 anteriori, 2 apicali e 2 posteriori),
ciascuno considerato nella sua posizione in cm. rispetto all’imene assunto come punto
0. A questi 6 dati va aggiunta la misurazione della lunghezzza vaginale totale, del corpo
perineale e dello iato genitale. Completata la griglia di valutazione si esprime lo stadio
di prolasso dei 3 segmenti vaginali ( da 1 a 4). Questa parte dell’esame va effettuata
inserendo in vagina uno speculo monovalva per allontamare la parte vaginale opposta.
E’ stato dimostrato che questo sistema presenta un elevata riproducibilità inter e intra-
operatore. Inoltre la valutazione della paziente in ortostatismo non muta il grado di
classificazione del prolasso in modo statisticamente significativo (6) , anche se in questa
posizione talvolta si possono avere gradi di prolasso leggermente superiori. Un'altra

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Urodinamica Clinica, Cap. 2 – Esame Obiettivo: Indicazioni ed evidenze cliniche UROSTAGES

posizione favorevole nei casi dubbi è quella con la paziente posizionata sul lettino
ginecologico, inclinata di 45° con le gambe divaricate, che permette una maggior
apertura dell’egresso del bacino: nel 26% delle pazienti il grado di prolasso così rilevato
era superiore rispetto a quanto osservato nella posizione in clinostatismo (7). Può
invece accadere che la valutazione così effettuata differisca in modo significativo da
quanto riferito dalla paziente come osservazione personale durante le attività
quotidiane.a causa di uno stato di rilassamento del sostegno pelvico ottenibile solo
dopo gli sforzi o un certo periodo di stazione eretta. In questi casi la paziente va
riesaminata dopo alcuni minuti di cammino o dopo manovra di Valsalva.
Secondo le considerazioni espresse dall’ ICI. l’utilità di questa classificazione, se
universalmente condivisa, è riassumibile in questi punti:
a) facilità e uniformità di comunicazione tra i ricercatori e i clinici attraverso
elementi obiettivi equivalenti e valutazioni sovrapponibili
b) accurato follow-up delle pazienti mediante una classificazione che tiene conto di
tutti gli elementi del profilo vaginale, con un agevole confronto con i dati pre-
terapia chirurgica o riabilitativa
c) valutazione obiettiva dei criteri attraverso cui classificare un risultato
terapeutico come un successo o un insuccesso.
Alla classificazione POP-Q si può aggiungere una valutazione dei singoli difetti di
sostegno delle pareti vaginali: il distacco può essere valutato come centrale, laterale o
trasversale. Inoltre è stata recentemente proposta una versione semplificata del POP-Q
system (8), basata unicamente sulla stadiazione della versione completa originale, che
si è dimostrata riproducibile.

8) valutazione della mobilità del collo vescicale ottenibile con:


a) ispezione semplice della parete vaginale anteriore sotto sforzo osservando la
spostamento in basso dell’area situata sotto il collo vescicale tra il terzo medio e il
terzo superiore delle parete vaginale anteriore
b) esecuzione del Q tip test; è controversa la letteratura in quanto a riproducibilità di
questo test (9,10). Tuttavia è di semplice escuzione, non costoso e facilmente a
disposizione di .qualunque uro-ginecologo.
10) osservazione delle fughe di urina sotto sforzo a diverso grado di riempimento vescicale
e in differenti posizioni: viene riportato che la presenza di fughe di urina a basso
riempimento contemporenea a monovre di Valsalva o colpi di tosse di lieve entità
suggerisce l’ipotesi di insufficienza dello sfintere uretrale (11). Il Bonney test ( cessazione
dell’incontinenza sollevando digitalmente il collo vescicale) non è considerato affidabile e
quindi non raccomandato.
11) La valutazione del residuo post-minzionale è considerata di primaria importanza, ma
non è possibile fornire raccomandazioni sui valori da considerare patologici. Secondo le
linee-guida della AHCAR un residuo post-minzionale < 50 ml. è da considerare normale.
Viene raccomandato di effettuare varie misure del residuo in quanto soggetto a
notevole variabilità
12) esame digitale del retto per la valutazione del tono anale e di un rettocele anteriore e/o
di un elitrocele non visualizzati durante l’ispezione vaginale; durante tale manovra si
valuta anche la consistenza del setto retto-vaginale.

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Urodinamica Clinica, Cap. 3 – Strumenti diagnostici non invasivi UROSTAGES

URODINAMICA CLINICA

CAPITOLO 3
Strumenti diagnostici non invasivi: Quali vantaggi dall’uso
del Diario Minzionale e del Test del Pannolino

Introduzione

Un corretto inquadramento del paziente con disturbi minzionali prevede la raccolta di un insieme
di elementi che consenta di: definire i sintomi, quantificarli, identificarne le cause organiche e
funzionali. La raccolta anamnestica, l’obiettività clinica, l’esame delle urine, le tecniche di imaging,
l’endoscopia e i test funzionali, in particolare l’indagine urodinamica nelle sue varie componenti,
possono collaborare diversamente, a seconda delle situazioni, alla valutazione del soggetto.
La valutazione peraltro deve iniziare necessariamente con una anamnesi accurata dei sintomi, che
riveste un ruolo fondamentale nella comprensione del problema. Di fatto è il sintomo che conduce
il paziente dal medico, ed è proprio questo che il medico, una volta escluse patologie a rischio per
la vita e per la salute dell’individuo, ha il compito di migliorare.
Al di là quindi di approfondimenti di tipo strumentale, che sono molto importanti nella
comprensione della fisiopatologia, ma che vanno comunque condotti e interpretati sulla base dei
sintomi, e che danno un quadro della situazione nelle condizioni “artificiali” dell’ambulatorio, è
fondamentale che il medico abbia un quadro esatto della situazione sintomatologica del paziente
nella vita quotidiana, in condizioni “ecologiche”.
In quest’ottica, per la valutazione del soggetto con incontinenza urinaria risultano importanti
alcuni strumenti che, nella loro apparente semplicità, forniscono dati informativi sulla frequenza e
la gravità dei sintomi, quali il diario minzionale, il cui utilizzo è raccomandato anche dalle linee
guida della International Consultation on Incontinence e il pad test (1).

Diario minzionale: utilità, limiti, evidenze cliniche

Il diario minzionale fornisce una serie di informazioni di tipo semioggettivo, cioè non mediate dal
ricordo e dalla interpretazione del soggetto e in questo senso costituisce un utile mezzo anche per
valutare non solo da un punto di vista quantitativo e qualitativo i sintomi con cui si presenta il
paziente, ma anche l’andamento degli stessi nel tempo e la risposta ai trattamenti effettuati.
A fronte di questi indubbi vantaggi il diario presenta alcuni svantaggi, costituiti dalle difficoltà di
standardizzazione sia nel definire lo schema ottimale del diario, sia nella durata più adeguata del
diario stesso (da 24 ore a 14 giorni), che nella interpretazione dei risultati ottenuti.
Il diario consiste nella compilazione, nel corso di uno o più giorni, di una carta, nella quale sono
elencate una serie di voci variabili: esistono versioni più semplici e versioni più dettagliate(2).
Attenendosi alla terminologia ICS/IUGA possiamo distinguere: la carta frequenza-volume (FVC),
nella quale per ogni minzione sono specificati l’orario e il volume urinato, e il bladder diary (BD)

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Urodinamica Clinica, Cap. 3 – Strumenti diagnostici non invasivi UROSTAGES

nel quale vengono registrati anche altri dati come gli episodi incontinenza, l’uso dei pannolini,
l’apporto di liquidi, il grado di urgenza.
La quantità di dati ottenibili con la compilazione di un diario rende ragione delle sue enormi
potenzialità, ma rende altrettanto difficile, come precedentemente sottolineato, standardizzare
uno schema unico adatto a tutte le situazioni. Ogni voce compilata, infatti, raffrontata alle altre,
può fornire al medico informazioni aggiuntive rispetto al racconto anamnestico ed alla
compilazione dei questionari autovalutativi.
Dal numero ed orario delle minzioni è possibile ricavare il dato della frequenza minzionale,
differenziando inoltre in frequenza diurna e notturna. Tale parametro si presenta variabile anche
sulla base della quantità di liquidi e tipologia di alimenti assunti, del clima e del motivo per cui il
paziente minge (per esempio in assenza di stimolo per prevenire perdite urinarie o prima di uscire
di casa piuttosto che per disponibilità del bagno). Va quindi interpretato anche in relazione al dato
dei volumi urinati. La frequenza urinaria si presenta in ogni caso significativamente più elevata,
cosi come più ridotto il volume medio urinato (mean Voided volume), in soggetti con incontinenza
urinaria da urgenza rispetto ai controlli (3). Si presenta inoltre tendenzialmente più elevata nelle
donne rispetto agli uomini (4) e con l’avanzare dell’età (5). In donne asintomatiche la frequenza si
presenta comunque variabile, mentre appare più stabile il dato del volume medio urinato. La
presenza di nocturia viene investigata attraverso il dato del numero di episodi di interruzione del
sonno per mingere , tenendo conto del fatto che ciò aumenta con l’età e che il dato è da valutare
in relazione all’insieme del volume urinato durante la notte che può orientare la diagnosi verso un
problema di poliuria notturna. Naturalmente il dato va interpretato sulla base dell’orario in cui il
soggetto si corica e si alza.
L’entità delle singole minzioni fornisce i valori del minimo volume urinato (V min), del massimo
volume urinato (V max ), e del volume urinato medio (V mean). Il Vmin appare di scarso valore, in
quanto si identifica spesso con delle minzioni a scopo “preventivo”. Il Vmax, che spesso
corrisponde alla prima minzione del mattino, tende invece a sovrastimare la capacità vescicale
funzionale. Il Vmean , che rappresenta il rapporto tra il volume giornaliero urinato e il numero di
minzioni, è invece il parametro più stabile e che meglio stima la capacità funzionale, pur
sottostimando la massima capacità.
Come già sottolineato, le informazioni che derivano dallo studio con esame urodinamico e quelle
derivate dal diario minzionale sono complementari tra loro. Vari studi hanno cercato di stabilire un
rapporto tra i volumi urinari dedotti dal diario minzionale (V min, V max, V mean) e i dati
cistometrici (first desire volume FSV, strong desire volume SDV, max cistometric capacity MCC). In
generale, peraltro, non pare esserci concordanza tra i parametri V min e V mean con i dati
cistomanometrici, risultando comunque questi in genere inferiori al SDV. Per quanto riguarda
invece il dato della V max, questo sembrerebbe essere positivamente correlato, seppur non
concordante con la MCC (5), e generalmente superiore ad essa nei soggetti con iperattività
detrusoriale (6), mentre i dati sono discordanti per la incontinenza da sforzo.
Gli episodi di incontinenza descritti in termini di orario sono una indicazione fondamentale per la
quantificazione della incontinenza nella vita quotidiana, che è ottenibile attraverso una verifica
del numero degli episodi (frequenza della incontinenza). La quantificazione della incontinenza
tramite il diario è, insieme alla valutazione della qualità della vita del soggetto incontinente, un
parametro di fondamentale interesse, in quanto è sulla base di questa che possiamo definire
l’entità del problema nella vita di tutti i giorni, nelle condizioni “ecologiche” (è in esse che il
paziente desidera migliorare, e non nei test di laboratorio, che invece interessano il medico per la
comprensione del problema). Un ulteriore dato utile per la quantificazione è l’entità dei singoli

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Urodinamica Clinica, Cap. 3 – Strumenti diagnostici non invasivi UROSTAGES

episodi di incontinenza , parametro decisamente più soggettivo (classificabile in una scala da 1 a


3), che ci consente di definire se la fuga si è limitata a poche gocce o se vi è stata una perdita
abbondante.
La tipologia degli episodi di incontinenza, intesa come segnalazione, per ogni perdita, della
correlazione con uno sforzo, o con l’urgenza o, in assenza di entrambe le situazioni, come
indicazione di non classificabilità, consente di approfondire la presenza di una incontinenza di tipo
misto, evenienza non infrequente, dato che rappresenta secondo le statistiche dal 10 al 45% delle
incontinenze. In caso di coesistenza della sintomatologia da sforzo e da urgenza è anche possibile
evidenziare con il diario la prevalenza di una tipologia rispetto all’altra e quindi orientare
l’approccio terapeutico verso il problema più rilevante e monitorarne meglio i risultati.
La causa dei singoli episodi di incontinenza, intesa in particolar modo come la descrizione degli
sforzi che si accompagnano alla perdita nel caso della incontinenza da sforzo, ha una sua rilevanza
specialmente nell’ambito dell‘ approccio riabilitativo, in quanto consente di identificare le attività
e i gesti a rischio nello specifico soggetto, mirando a modificarne la modalità di esecuzione e
orientando il programma verso esercizi specifici.
Il raffronto tra gli orari e il volume vuotato con le minzioni e gli episodi di incontinenza permette di
identificare in alcuni casi comportamenti minzionali errati, suscettibili di counselling, costituendo
questo un ulteriore risvolto terapeutico nell’uso del diario minzionale (un semplice esempio è dato
dal soggetto che abbia episodi di incontinenza da sforzo ad alti volumi, con frequenza minzionale
troppo bassa rispetto alla diuresi in un quadro di ridotta sensibilità al riempimento).
La quantificazione della incontinenza e la sua distribuzione nella giornata possono essere
ulteriormente approfondite, in particolar modo nei casi di incontinenza più gravi, attraverso il dato
della tipologia e del numero degli ausili per l’incontinenza utilizzati, ma soprattutto della pesatura
degli stessi. Infatti la pesatura del pannolino, sottratta la tara, consente di esprimere in maniera
numerica sufficientemente precisa e oggettiva la quantità di urina persa nei vari momenti della
giornata, con la piccola, non significativa imprecisione legata alla evaporazione o alla sudorazione.
Tale dato si presenta tanto più rilevante tanto più l’entità della incontinenza aumenta (e quindi
tanto più frequenti durante la giornata sono gli episodi, difficilmente descrivibili con il diario
standard) e tanto meno il soggetto percepisce le perdite ed è in grado di correlarle a momenti
precisi. Di fatto tale parametro si configura come un test del pannolino 24 ore (ma può essere
ripetuto agevolmente nei giorni) col valore aggiunto delle condizioni ecologiche. Si presenta per
esempio molto utile per monitorare l’andamento nelle incontinenze urinarie post-prostatectomia
radicale, specialmente in una prima fase, quando le perdite siano più abbondanti e più legate a
variazioni posturali e all’ortostatismo che non a singoli sforzi identificabili per la loro rilevanza. E’
invece scarsamente di utilità nel caso della incontinenza da sforzo femminile di lieve entità
presente meno di una volta la giorno.
Più di recente è stato posto l’accento su un ulteriore aspetto da valutarsi col diario minzionale ,
cioè la funzione sensoriale. Per approfondire l’argomento viene proposto l’utilizzo di altre voci nel
diario, in particolare il motivo che ha portato alla minzione (“sensory related diary”). E’ possibile
utilizzare una scala di entità dello stimolo (Wyndaele propone un grading 0-5) (7). Il vantaggio che
deriva dalla conoscenza di questo parametro è molteplice: quantificare la frequenza di episodi di
urgenza e correlarli ad eventuali perdite di urina, discriminare tra frequenze minzionali elevate
correlate allo stimolo urinario da quelle legate a fattori sociali ed a comportamenti di tipo
preventivo sulla incontinenza, come può avvenire anche in soggetti con incontinenza urinaria da
sforzo in assenza di sindrome della vescica iperattiva.

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Urodinamica Clinica, Cap. 3 – Strumenti diagnostici non invasivi UROSTAGES

Specificare i giorni della settimana in cui viene compilato il diario può essere utile per
comprendere diversi comportamenti minzionali che avvengono in seguito al cambio di abitudini
tra i giorni lavorativi e quelli festivi. Anche il richiedere , in soggetti con sintomatologia non
costante, se il periodo cui si riferisce il diario è un periodo con recrudescenza dei sintomi o al
contrario di benessere, aiuta a interpretare correttamente i dati.
Infine, l’ora e la quantità dell’apporto di liquidi ed eventualmente di alimenti ad alto contenuto
idrico, consente di correlare i dati della frequenza minzionale e dei volumi urinati con l’introito. Ciò
è utile a scopo diagnostico , ma possiede anche degli interessanti risvolti terapeutici, in quanto
talora una oculata variazione della quantità e della distribuzione dei liquidi nella giornata consente
un netto miglioramento di sintomi quali la frequenza e la nicturia.
In caso di problemi della fase di svuotamento in caso di vescica neurologica e non, il diario può
essere orientato a conoscere anche il parametro dei volumi urinari vuotati con cateterismo ad
intermittenza, sia esso post-minzionale che non. Tale diario, associato alle altre valutazioni
necessarie allo scopo da un lato di proteggere le alte vie urinarie, dall’altro di mantenere una
continenza, collabora nel definire il numero e gli orari più opportuni per effettuare i cateterismi
nel singolo paziente.
La complessità e completezza dei dati ottenuti da uno strumento cartaceo quale quello descritto
ha portato ad un tentativo da un lato di stimolare il paziente nella compilazione, dall’altro di
rendere più fruibili al medico le informazioni ottenute, costituito dalle varie versioni di diario
elettronico, anche se attualmente il diario cartaceo rimane il più versatile ed il più usato.
In conclusione, il diario si presenta come un prezioso aiuto al medico che voglia valutare un
paziente con sintomi delle basse vie urinarie. Nell’ottica di una standardizzazione del suo utilizzo il
problema principale rimane quello della durata ottimale della compilazione: vi è una certa
concordanza tra gli Autori che la durata di 24 ore possa dare solo una impressione sulla situazione,
che 3-4 giorni siano sufficienti per avere una corretta fotografia essendoci una buona consistenza
degli eventi registrati, che una settimana sia opportuna in caso di ricerca, e diari più lunghi siano
utili per l’aspetto terapeutico comportamentale (7-16). Chiaramente una maggiore durata fornisce
maggiori dati ma riduce la compliance del paziente.
Una recente review sottolinea come i diari utilizzati differiscano tra loro per contenuto, formato e
durata di compilazione e come nessuno studio descriva un processo di validazione completo per
alcuno di essi (17). D’altra parte è opportuno ricordare che siamo di fronte ad un mezzo molto
duttile e molto operatore e paziente dipendente: sarà quindi compito del medico valutare quali
dati gli interessano maggiormente (possono essere diversi a seconda della sintomatologia, del
fatto che ci si trovi di fronte ad un primo inquadramento o ad un approfondimento del sintomo, di
un follow-up durante o dopo terapia) modulando le richieste sulla base anche della compliance e
delle capacità del paziente, privilegiando almeno inizialmente una corretta compilazione ad un
eccessivo numero di dati.

Il test del pannolino (pad test): perché

In presenza di strumenti diagnostici raffinati quali le indagini urodinamiche e l’imaging


radiologico, ci si può chiedere quale ruolo rivesta una prova semplice e poco sofisticata quale il
test del pannolino (pad test), come descritto dall’ICS.
In effetti, una valutazione soggettiva dell’entità dell’incontinenza urinaria rischia di
condurre a grossolani errori di interpretazione: per alcune persone già la perdita di poche gocce di
urina può essere vissuta come evento altamente “stressante” e la lente d’ingrandimento dell’ansia

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Urodinamica Clinica, Cap. 3 – Strumenti diagnostici non invasivi UROSTAGES

e dell’apprensione può portare a definire tali episodi come “incontinenza grave”, in grado di
sovvertire la qualità di vita. In altri casi, fughe urinarie anche importanti e frequenti possono
essere tollerate e minimizzate, riferite come modeste perdite di urina che non influiscono
minimamente sulla qualità di vita.
In mezzo a tale universo di soggettività (di cui, peraltro, il medico deve tener conto), risulta
difficile comprendere quale sia la reale entità dell’incontinenza (elemento importante per la
programmazione corretta degli interventi terapeutici, per il follow-up o per l’eventuale
erogazione di ausili). Le indagini urodinamiche, esprimendo una realtà obiettiva “di laboratorio”,
non oggettivano l’entità dell’incontinenza nella realtà quotidiana del paziente. Ciò premesso,
risulta chiara la necessità di disporre di uno strumento di valutazione in grado di fornire
informazioni adeguate sull’entità dell’incontinenza urinaria durante gli atti della vita quotidiana.
Il test del pannolino è un metodo semplice che permette l’oggettivazione dell’entità delle
perdite di urina misurando la differenza nella pesatura del pannolino prima e dopo l’utilizzo dello
stesso. La metodologia, dapprima proposta da Bates nel 1983 e poi rivista da altri Autori (tra cui si
menziona Lose), è stata approvata in via definitiva dall’ICS nel 1988. Nel 1984 il Club Triveneto di
Urodinamica propose una variante (della durata di 30’, contro i 60’ del test ICS) con volume
vescicale prestabilito e fissato a 250 ml (18,19).
In realtà il pad test è descritto in letteratura in numerose varianti, senza che peraltro sia
ben definita la modalità migliore di esecuzione dello stesso (20). Possono essere in generale
distinte due categorie di pad test: quello effettuato ambulatorialmente e quello effettuato al
domicilio dal paziente.
I pad test ambulatoriali sono in genere di breve durata, variabile in letteratura tra 30 minuti e due
ore. Alcuni Autori richiedono ai pazienti di bere una quantità standardizzata di liquidi prima del
test, da 250 ml fino a 1 lt, altri preferiscono standardizzare il volume vescicale attraverso un
riempimento tramite catetere. Generalmente il paziente viene sottoposto ad alcuni test
standardizzati, che prevedono diverse combinazioni di sforzi quali salti, tosse, cammino, scale per
un tempo variabile. I test ambulatoriali di breve durata possono presentare una discreta
percentuale di falsi negativi (15-45%).
I pad test domiciliari sono di più lunga durata (generalmente 24-48 ore) e prevedono la
registrazione della differenza di peso dei pannolini prima e dopo l’utilizzo che avviene mentre il
paziente conduce le attività normali della vita quotidiana. I test del pannolino di lunga durata sono
considerati generalmente più affidabili, anche se di effettuazione meno semplice (21-28).
I risultati del test possono essere riportati con diverse modalità: come la misura totale della
perdita durante l’intera durata del test, come la misura delle diverse perdite durante i diversi
momenti dell’intera esecuzione del test o infine come percentuale di “cura” dopo trattamento. In
quest’ultimo caso la definizione di “cura” varia da studio a studio. Secondo la International
Continence Society il test è da definirsi negativo se la variazione nel peso del pannolino dopo il test
di 1 ora non eccede il grammo, ma molti Autori considerano “curati” soggetti che hanno perdite
inferiori a 2 g o più (29)
Un importante vantaggio nell’utilizzo del pad test risiede nel fatto di poter seguire nel tempo
l’andamento dell’incontinenza urinaria, rendendo oggettivi eventuali peggioramenti o
miglioramenti. In tal modo, si può verificare il risultato di un intervento chirurgico volto al
miglioramento della continenza e la sua efficacia nel tempo.
Il test del pannolino riveste molta importanza anche in campo riabilitativo. Infatti, esso permette
di quantificare la riduzione delle perdite di urina in corso ed in conseguenza del trattamento, il

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Urodinamica Clinica, Cap. 3 – Strumenti diagnostici non invasivi UROSTAGES

mantenimento del risultato nel tempo, l’opportunità di modificare il programma riabilitativo,


l’eventuale fallimento del trattamento conservativo.
Il test del pannolino nella sua versione domiciliare può aiutare inoltre nel determinare
adeguatamente la necessità di ausili per l’incontinenza, la loro tipologia e la quantità necessaria.
La positività del pad test, al contrario, non riesce a distinguere tra incontinenza da sforzo
ed incontinenza da urgenza (in altre parole, tra cause sfintero-perineali e cause detrusoriali); il suo
ruolo è quindi di quantificare ma non di qualificare le perdite stesse.

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Urodinamica Clinica, Cap. 4 – Uroflussometria e pratica clinica UROSTAGES

URODINAMICA CLINICA
CAPITOLO 4: Uroflussimetria e pratica clinica

Introduzione

L’uroflussometria (UF) è il rilevamento del flusso urinario emesso per via uretrale durante lo
svuotamento vescicale, in maniera semplice e non invasiva. L’esame del residuo vescicale dopo
minzione è complementare e rappresenta il volume di urina che permane in vescica
immediatamente dopo lo svuotamento. L’esame deve essere eseguito preferibilmente in una
stanza chiusa per garantire la privacy e ridurre al minimo possibile le interferenza esterne. Anche
se uno studio condotto su pazienti di sesso femminile ha dimostrato che non vi sono differenze
significative tra flusso prima e dopo cistomanometria, è preferibile sottoporsi a valutazione
uroflussometrica senza essere stato sottoposto a cateterizzazione, quindi da eseguire prima di una
eventuale cistomanometria. Riveste particolare importanza ottenere un volume minimo di 150 ml,
meglio 200 ml di volume vuotato (50 ml in meno in età pediatrica). Si devono eseguire almeno due
uroflussometrie nei casi sospetti per ostruzione, un solo flusso può indurre in errore. L’UF
domiciliare, nonostante la variabilità dei diversi flussometri portabili, è considerata una tecnica più
attendibile perché consente misurazioni multiple.
La valutazione del residuo post minzionale può essere effettuata mediante cateterismo o
mediante ultrasuoni. L’indagine deve assicurare una corretta misurazione del volume residuo,
considerando l’eventuale volume urinario aggiunto in presenza di reflusso vescico-ureterale o di
diverticolo vescicale. E’ necessario sottolineare l’importanza della valutazione del residuo
immediatamente dopo lo svuotamento. Nei casi in cui venga valutata mediante cateterizzazione, il
catetere deve essere rimosso lentamente per assicurare lo svuotamento completo. L’ecografia
addominale standard è più costosa dell’attrezzatura portatile, ma la valutazione è più attendibile;
tuttavia, l’uso di bladder scan è comunque sufficiente nella maggior parte dei casi.

Interpretazione dei tracciati

I tracciati ed alcune variabili rilevanti devono essere incluse nel report dell’UF. I tracciati
uroflussometrici devono sempre essere esaminati per escludere gli errori che possono esserci con
la lettura automatica. Generalmente la normale curva di flusso ha una forma armonica quasi
gaussiana, ed eventuali spikes di breve durata (inferiore ai 2 secondi) presumibilmente sono
artefatti, dovuti a contrazioni sfinteriali, torchio addominale e/o movimenti anomali dell’urina nel
raccoglitore che convoglia il flusso sul trasduttore rotante o a peso.
Le variabili comprendono il volume vuotato, il flusso massimo (Qmax), il flusso medio (Qave), il
tempo di svuotamento ed il tempo di flusso, che sono normalmente riportati dagli uroflussometri.
Il Qmax è il massimo valore registrato durante il flusso, il Qave è la risultante del volume vuotato
diviso il tempo di svuotamento. Il Tempo di Flusso è il tempo necessario alla misurazione del
flusso, escludendo il tempo di attesa.
Considerato che esiste una relazione non-lineare tra valori di flusso (Qmax e Qave) e volume
vuotato, il volume vuotato ed il volume di urina residua devono essere riportate assieme ai valori

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Urodinamica Clinica, Cap. 4 – Uroflussometria e pratica clinica UROSTAGES

di flusso. L’International Continence Society (ICS) raccomanda la presentazione dei risultati sotto
questa semplice forma: volume vuotato/Qmax/volume residuo. Il tempo di flusso e il tempo di
svuotamento sono particolarmente importanti per l’interpretazione di alcuni patterns.
Normalmente il residuo vescicale è molto basso, negli adulti un valore fino a 25 ml, misurato a
pochi minuti dallo svuotamento, è considerato entro i limiti di normalità. Un elevato residuo,
superiore a 100 ml richiede un attenta sorveglianza e/o trattamento; naturalmente deve essere
correlato alle altre misurazioni e alla situazione clinica. In età pediatrica un residuo superiore al
10% della capacità vescicale si può considerare elevata. In età geriatrica un volume residuo di 100
ml è molto comune e può essere accettabile, anche se possono condizionare il trattamento da
scegliere per l’incontinenza urinaria.
Se troviamo un Qmax normale senza residuo vescicale, in entrambi i sessi, difficilmente vi è un
ostruzione o un deficit di attività detrusoriale. Tuttavia possiamo trovare tracciati flussometrici
normali anche in pazienti ostruiti sia di sesso maschile che femminile. Per questo motivo la
valutazione del solo flusso ha un valore molto limitato nell’individuare l’ostruzione in alcuni
pazienti. Vari nomogrammi sono stati utilizzati per interpretare le misurazioni di flusso.
L’esame uroflussometrico è il metodo diagnostico funzionale più utilizzato tra i vari tests che la
valutazione urodinamica comprende. L’esame non consente di fare diagnosi certa, ad eccezione
della stenosi uretrale con caratteristico tracciato a “box”; tuttavia, è di estrema utilità
nell’evidenziare un disturbo di svuotamento e consentire l’impostazione dell’iter diagnostico
funzionale appropriato. Pertanto l’UF è utile come indagine di screening e nel monitoraggio sia nei
casi di disfunzioni borderline clinicamente compensate, sia dopo terapia medica o chirurgica. La
semplicità dell’esame e l’ottimo rapporto costo/beneficio spiega il suo grande utilizzo in ambito
clinico anche da parte di operatori con scarsa esperienza urodinamica; questo è un fattore di non
secondaria importanza se si considera il peso del giudizio dell’operatore che deve integrare anche
la valutazione clinica ed elementi accessori come il residuo vescicale e le abitudini minzionali per
porre il sospetto diagnostico più attendibile. La registrazione del flusso è una valutazione di base
che è applicabile in molteplici patologie con impatto sulla funzione minzionale. Riteniamo di
estrema utilità una revisione delle più frequenti applicazioni nell’ambito delle disfunzioni del
basso tratto urinario e dopo terapie mediche e chirurgiche, demolitive e ricostruttive, con impatto
sulla funzione vescico-sfinterica; oltre che dopo terapia medica e chirurgica l’UF può infatti trovare
indicazione anche nel campo dei trattamenti riabilitativi o “modulanti” con tossine o
neuromodulazione.

Uroflussimetria in urologia femminile

L’uroflussimetria (UF) rappresenta indubbiamente una metodica estremamente utile in campo


uroginecologico. Questo esame può infatti essere utilizzato sia in fase diagnostica che nella
valutazione dei risultati post-operatori.
L’uroflussimetria può essere applicata per la definizione dei sintomi e disturbi dovuti a difetti di
svuotamento; grazie all’analisi di un singolo flusso è infatti possibile documentare un significativo
decremento del flusso massimo nelle pazienti con difetto di svuotamento. L’utilizzo della
flussimetria come primo passaggio nel work-up diagnostico di donne affette da disturbi di
svuotamento è confermato da un ampio studio prospettico italiano: Costantini e coll. dimostrano
infatti come in questi soggetti l’uroflussimetria raggiunga elevati livelli di specificità, valore
predittivo negativo con un conseguente elevato potere diagnostico.

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Urodinamica Clinica, Cap. 4 – Uroflussometria e pratica clinica UROSTAGES

Nelle pazienti affette da LUTS, la flussimetria è indicata prima dell’esecuzione di studi pressione
flusso; i valori di Qmax registrati durante una flussimetria libera sono infatti sensibilmente
maggiori di quelli registrati in corso di studi pressione flusso.
Uno dei limiti maggiori della flussimetria in campo uroginecologico è rappresentato dall’incapacità
di documentare differenze tra le pazienti con sola vescica iperattiva e quelle che presentano
associata incontinenza da stress.
Nell’analisi dei tracciati uroflussimetrici si deve tenere conto dell’anamnesi delle pazienti: l’età, la
menopausa, la parità e la mobilità uretrale possono infatti influenzare in maniera significativa i
risultati di questo esame.

L’ uroflussometria nella diagnosi e trattamento dei LUTD

I disturbi ostruttivi nel sesso femminile sono spesso sottostimati rispetto al sesso maschile, sia per
una minore prevalenza, sia per la ridotta attenzione delle donne nei confronti della “qualità” della
loro minzione. Da ciò deriva una minore attenzione da parte dei clinici e ricercatori nei confronti
delle sindromi ostruttive nel sesso femminile, con conseguente minore disponibilità di mezzi
diagnostici standardizzati e tendenza a trascurare la possibilità che i sintomi presentati dalla
paziente possano essere indicativi di un’ostruzione al flusso urinario. L’assenza di una definitiva
standardizzazione dei parametri pressione/flusso, come è avvenuto per il sesso maschile, ha dato
origine a varie proposte che mettono in relazione i due i due parametri principali, il Flusso
massimo e la pressione detrusoriale al Flusso Massimo. Sono così nati cut-offs proposti, su base
clinica, da Chassagne, Romanzi, Lemack-Zimmern, Blaivas -Groutz e Biscotto. Tuttavia, nessuna di
queste proposte ha ottenuto una validazione clinica, e ad oggi non esiste ancora un’analisi
pressione/flusso standardizzata per lo studio delle anomalie della minzione nel sesso femminile.
L’UF viene utilizzata insieme alla valutazione del residuo postminzionale nello screening delle
anomalie della fase di svuotamento vescicale sia negli uomini che nelle donne. Tuttavia, la sua
utilità clinica è limitata a causa della mancanza di valori di normalità a cui fare riferimento.
Vengono quindi presi in considerazione i patterns della curva insieme ai parametri del flusso ma
sempre confrontati con le caratteristiche cliniche presentate dalla paziente e oltre che con altre
informazioni derivate da altre indagini strumentali (residuo postminzionale, urodinamica avanzata,
ecografia ecc.). Le caratteristiche più importanti da prendere in considerazione dall’esame
flussimetrico sono indubbiamente la morfologia della curva ed il parametro flusso massimo. Per
consentire un’analisi migliore di quest’ultimo parametro Haylen, ha costruito il nomogramma di
Liverpool, basato sulle flussimetrie di 249 donne senza patologie del basso tratto urinario; grazie a
questo nomogramma è possibile considerare normali o anormali valori di flusso massimo e medio
in rapporto ai rispettivi valori di volume minzionale. La curva al di sopra del 10° percentile del
nomogramma di Liverpool per il flusso massimo in rapporto al volume mitto si è rivelato un utile
parametro discriminante nella diagnosi di anomalia minzionale.

L’ uroflussometria e la disfunzione minzionale

Con il termine di minzione disfunzionale, secondo la più recente standardizzazione terminologica


dell’ICS, si intende una alterazione dello svuotamento vescicale che si traduce in un flusso urinario
fluttuante o intermittente determinato da involontarie contrazioni intermittenti della muscolatura
striata periuretrale, e quindi da una incoordinata attività detrusoriale e sfinterica, in soggetti non

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Urodinamica Clinica, Cap. 4 – Uroflussometria e pratica clinica UROSTAGES

affetti da patologia neurologica. Normalmente, ad una contrazione detrusoriale vi è un


concomitante rilasciamento sfinteriale; quando ciò non si verifica ne risulta una condizione
disfunzionale di vario grado. Per fornire un’idea della diffusione della sindrome, Massey e Abrams
hanno riscontrato un’ostruzione urodinamica nel 2,75% su uno studio effettuato su 6000 pazienti.
Inoltre, un’indagine retrospettiva di Nitti ha rilevato che il 30% delle pazienti con disturbi dello
svuotamento vescicale presenta minzione disfunzionale, con un’incidenza maggiore delle analoghe
condizioni determinate dal prolasso urogenitale (25%).
L’eziopatogenesi della minzione disfunzionale non è chiara; nelle donne è spesso associata al
rilievo cistomanometrico di anomalie della fase di riempimento, come iperattività detrusoriale,
ridotta compliance, o ipersensibilità. Da questa osservazione deriva l'ipotesi patogenetica basata
sulla presunta iperattività del pavimento pelvico dovuta ad una sorta di “iperallenamento” messo
in atto dalla paziente nel tentativo di un miglior controllo della minzione. Del resto, secondo una
vecchia terminologia, la cosiddetta “vescica neurologica-non neurologica” o Sindrome di Hinmann,
si riferiva all’anomalia di svuotamento rilevata in bambine ed adolescenti, dovuta a
un’incoordinazione vescico-sfinterica, conseguente ad un precoce apprendimento delle corrette
abitudini minzionali: bambine che sono “educate” troppo precocemente al controllo dell’attività
vescico-sfinterica, sono più a rischio di sviluppare minzione disfunzionale, dal momento che il
primo presidio messo in atto per il controllo del basso tratto urinario è la contrazione della
muscolatura del pavimento pelvico. Tale iperattività cosciente e volontaria può esitare in una
situazione a rischio per lo sviluppo di una incoordinazione sfinteriale e quindi in minzione
disfunzionale. Le più recenti ipotesi mettono al centro della disfunzione un’anomalia del
pavimento pelvico, che può essere determinata da cause organiche, come il prolasso genitale,
psicologiche come le disfunzioni minzionali che occorrono dopo abusi sessuali o nelle sindromi
isteriche o nei disturbi della sfera emotiva, o neurologiche in senso lato, come ad esempio
l’ipertono del pavimento pelvico che frequentemente si osserva nella sindrome del dolore pelvico
cronico; tuttavia, alcuni Autori negano il ruolo centrale dell’anomalia funzionale del pavimento
pelvico nella sindrome da minzione disfunzionale, e rivolgono l’attenzione sul rilievo urodinamico
di ipo-acontrattilità detrusoriale, che invece può determinarsi come semplice conseguenza di un
riflesso inibitorio sul detrusore determinato dall’ipertonia pelvi-perineale. Oggi c’è accordo nel
riconoscere al pavimento pelvico e alle sue disfunzioni un’importanza determinante per i disturbi
della minzione in soggetti di sesso femminile non affette da patologia organica o neurologica,
anche alla luce delle profonde interazioni tra sistema nervoso (centrale e periferico) ed organi
addomino-pelvici, come facente parte di un’unica unità funzionale.
Alcuni studi hanno cercato di rilevare anomalie anatomiche e funzionali a carico dello sfintere
striato in pazienti con minzione disfunzionale. Indici obiettivi delle osservazioni patogenetiche e
fisiopatologiche potrebbero essere, ad esempio, il riscontro ecografico di un incremento
volumetrico dello sfintere striato uretrale in donne affette da ritenzione urinaria. A conferma delle
anomalie funzionali sfinteriche, è stata documentata un’anormalità EMGrafica ed ecografica di
aumento volumetrico sfinteriale in 14 pazienti affette da sintomi ostruttivi con vari gradi di
ritenzione urinaria. In queste pazienti è molto utile un monitoraggio mediante UF-EMG e residuo
vescicale post-minzionale. La Fowler ha rilevato che un’elevata percentuale di pazienti con
ritenzione urinaria ed anomalie elettromiografiche dello sfintere striato uretrale presenta
policistosi ovarica, suggerendo l'ipotesi che l’iperattività sfinterica possa essere suscettibile di
influenza ormonale. Questa associazione tra ritenzione urinaria, anomalie elettromiografiche dello
sfintere uretrale esterno e policistosi ovarica è nota come Sindrome di Fowler.

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Urodinamica Clinica, Cap. 4 – Uroflussometria e pratica clinica UROSTAGES

La minzione disfunzionale colpisce donne in giovane età, e si traduce dal punto di vista clinico in
una sintomatologia urinaria di tipo sia irritativo (pollachiuria, urgenza minzionale, incontinenza
urinaria da urgenza), che ostruttivo (esitanza minzionale, interruzione ed ipovalidità del mitto, uso
del torchio addominale). L’ostruzione che si determina nella minzione disfunzionale, non è dunque
di tipo statico, determinato cioè da un ostacolo anatomico al flusso urinario, ma dinamico, come
risulta dall’irregolare comportamento di una struttura muscolare quale è il pavimento perineale.
Inoltre deve essere preso in considerazione anche il frequente impiego del torchio addominale.
In conseguenza di tutti questi fattori il pattern uroflussometrico predominante presenta una curva
irregolare, di tipo 3 e 4 secondo Jorgensen indicativo dell’irregolare rilasciamento sfinterico
durante la contrazione detrusoriale utile, o suggestivo , ma non esclusivo, dell’impegno del torchio
addominale, che si può osservare in quelle pazienti con condizione ostruttiva inveterata, ridotta
sensibilità ed aumentata capacità vescicale insieme ad una condizione di ipo- a-contrattilità
detrusoriale. I parametri maggiormente alterati sono il tempo di flusso ed il flusso medio; il flusso
massimo è frequentemente al di sotto di 15 ml./sec, ma valori superiori possono essere ottenuti a
spese del ponzamento addominale e pertanto, si rende necessaria la correzione lineare al tempo
della curva di flusso.
Tra le terapie proposte per questa condizione patologica, sono compresi gli alfa-litici, con equivoci
risultati, l’infiltrazione sfinteriale di tossina botulinica di tipo A e più recentemente la
neuromodulazione sacrale.

Uroflussometria e difficoltà di svuotamento dopo interventi per incontinenza urinaria da sforzo


(IUS)

Le anomalie dello svuotamento vescicale rappresentano una delle complicanze più temute dopo
chirurgia per IUS. L’alterazione della fase di svuotamento si manifesta con quadri variabili dalla
ritenzione urinaria completa, alla ritenzione cronica incompleta fino ad isolate alterazioni della
morfologia e dei parametri flussometrici con aspetto della curva prolungata o intermittente e
riduzione dei valori del Qmax e Qave. Tali aspetti sono certamente da ricondurre alle variate
condizioni idrodinamiche minzionali introdotte dall’intervento.
E’ probabile, nell’ambito della discussione, ancora aperta, esistente circa il meccanismo attraverso
il quale agiscono le varie procedure chirurgiche messe in atto nella terapia della IUS, che esse
agiscano attraverso un aumento delle resistenze uretrali. Il che non significa necessariamente
causare un’ostruzione al flusso urinario e quindi un’anomalia della fase di svuotamento. La chiave
del successo di queste procedure è la loro efficacia durante la fase di riempimento, nella quale si
manifesta la disfunzione che vogliamo correggere. Questo dipenderà da alcune variabili, alcune
delle quali sicuramente tecniche, ma altre hanno sono da individuare nella valutazione pre-
operatoria della paziente ed hanno quindi a che vedere con una corretta indicazione. Non esiste
un’analisi di studio pressione/flusso validata per il sesso femminile, questo fa assumere estrema
importanza clinica alla flussometria, per le importanti informazioni funzionali che è in grado di
fornirci sia nella fase di valutazione preoperatoria, che nel monitoraggio post-chirurgico. Nella fase
di valutazione la letteratura individua nei bassi valori di flusso massimo e nella presenza di un
residuo post-minzionale > 50 ml dei fattori di rischio per ritenzione urinaria postoperatoria e ci
informa che a rischio sono anche pazienti che mingono con pattern perineale o addominale
(modesta o assente contrazione detrusoriale).

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Urodinamica Clinica, Cap. 4 – Uroflussometria e pratica clinica UROSTAGES

Una curva flussimetrica anomala, o con parametri ridotti, soprattutto il flusso massimo, saranno
indicativi di un irregolare svuotamento vescicale, o da ipocontrattilità detrusoriale o da ostruzione
meccanica al flusso urinario, entrambi configuranti una situazione a rischio. Tali riscontri ci
consentiranno di optare per una terapia alternativa o di attuare, con ulteriore precauzione, quei
tempi chirurgici che minimizzino il rischio di ostruzione, e ancora di informare la paziente, in sede
di consenso informato, del rischio di difficoltà di svuotamento vescicale anche in caso di successo
chirurgico, fino all’eventualità del ricorso al cateterismo ad intermittenza.
Disponendo di queste importanti informazioni preoperatorie potremo inoltre giudicare con
maggior discernimento le caratteristiche e le eventuali variazioni delle flussimetrie che si
impongono nel follow-up. Un improvviso peggioramento della qualità della minzione, con
comparsa, non rilevata in sede preoperatoria, di anomalie flussimetriche, residuo postminzionale
> 100 ml. e intensa sintomatologia disurica ci indicherà il sopraggiungere di una condizione
ostruttiva a cui porre rimedio; una semplice riduzione del flusso massimo con curva flussimetrica
anomala, in una paziente divenuta continente, che non accusa insorgenza di alcuna altra
sintomatologia “de novo” e che non presenti residuo postminzionale clinicamente significativo
necessiterà di un monitoraggio uroflussometrico.

Uroflussimetria in urologia maschile

La valutazione uroflussometrica è utilizzata nella pratica clinica soprattutto nel sesso maschile, le
più frequenti alterazioni di flusso hanno varie cause. L’anatomia maschile per la lunghezza uretrale
obbliga il flusso a un lungo percorso prima che dalla vescica giunga all’emissione esterna. La più
frequente. rispetto al sesso femminile, presenza di ostruzioni sia di natura anatomica legato al
fisiologico accrescimento della ghiandola prostatica, che alla maggior esposizione a rischi di
infezioni uro-genitali o traumi predisponesti a restringimenti uretrali che possono rappresentare
un ostacolo al regolare deflusso dell’urina. Pertanto l’UF che evidenzia prevalentemente lo
svuotamento anomalo è un esame di screening funzionale di primo livello nel sesso maschile.
Devono sempre essere considerate nella valutazione del tracciato uroflussometrico possibili
variabili quali: posizione in piedi o seduta, presenza di flusso bifido, utilizzo del torchio
addominale, comunque consente l’esecuzione di successive valutazioni morfo-funzionali mirate.

LUTS ed IPB

La flussimetria trova una delle sue principali applicazioni nei pazienti affetti da LUTS dovuti ad
ipertrofia prostatica benigna; combinata con la raccolta dei sintomi ed i disturbi ed abbinata con
l’esame ecografico della prostata permette infatti non solo di porre una diagnosi, ma di valutare la
possibile presenza di ostruzione.
A conferma di quanto sopra riportato, un recente studio prospettico longitudinale ha dimostrato
la correlazione diretta esistente tra sintomatologia prostatica, valutata con questionario IPSS,
volume prostatico,valutato mediante ecografia sovrapubica, e flusso massimo.
La stretta correlazione tra parametri flussometrici e sintomi urinari, giustifica l’utilizzo della
flussimetria per la validazione di nuovi questionari sintomatologici, permettendo di associare un
dato oggettivo al sintomo soggettivo.
Nei pazienti con IPB la flussimetria permette inoltre di monitorizzare la storia naturale dell’ IPB e il
suo impatto funzionale; uno studio di comunità condotto su 2406 soggetti ha infatti dimostrato

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Urodinamica Clinica, Cap. 4 – Uroflussometria e pratica clinica UROSTAGES

una moderata correlazione tra l’evoluzione dei sintomi urinari (IPSS) e la progressiva riduzione del
Qmax.
L’uso combinato della flussimetria prima e dopo trattamento permette di quantificare i risultati
funzionali ottenuti; in particolare, dopo la somministrazione di alfa-bloccanti il flusso medio e
quello massimo aumentano in modo significativo così come dopo interventi chirurgici, migliorando
complessivamente i sintomi e la qualità di vita di questi pazienti.

Uroflussimetria e prostatiti

Pazienti con prostatite e/o dolore pelvico riferiscono spesso variazioni della funzione vescicale:
dalla difficoltà di svuotamento alla sindrome di vescica iperattiva. La valutazione uroflussometrica
è utile sia per evidenziare anomalie di flusso sia modifiche dopo terapie mirate quali
antinfiammatori, analgesici, antibioticoterapia. Uno studio su una sere di 100 pazienti con
prostatite/sindrome dolorosa pelvica ha però rilevato un miglioramento significativo del National
Institutes of Health Chronic Prostatitis Symptom Index (NIH-CPSI) nei 2/3 dei pazienti senza un
significativo miglioramento dei parametri di svuotamento. Recentemente è stata pubblicata la
versione in italiano. Tuttavia la flussometria con valutazione del residuo vescicale è sempre
consigliabile nella pratica clinica.

Uroflussimetria dopo prostatectomia radicale

L’evento più temuto dopo prostatectomia radicale è l’incontinenza. La difficoltà di


svuotamento può essere determinata da deficit contrattile del detrusore e più frequentemente da
restringimento dell’anastomosi vescico-uretrale, j casi di stenosi uretrale sono rari. Uno studio
giapponese su 43 soggetti sottoposti a prostatectomia e valutati mediante I-PSS e UF in un follow-
up di quasi 10 anni, ha rilevato una riduzione temporanea del Qmax nel post-operatorio con
normalizzazione a 6 mesi, mentre l’I-PSS migliorava mediamente dopo 12 mesi. (69), uno studio
simile dopo rimozione precoce del catetere conferma la riduzione iniziale del Qmax probabilmente
dovuta all’edema dell’anastomosi o alla nuova dinamica menzionale, il monitoraggio
uroflussometrico ha consentito la diagnosi precoce di stenosi dell’anastomosi in 3 pazienti su 35.
La difficoltà di svuotamento seppur con spesso scarso impatto clinico è noto e spiega anche il
fenomeno del “milking” uretrale. Pertanto nel primo anno post-operatorio il controllo
uroflussometrico deve essere raccomandato.

Uroflussometria e stenosi uretrale

L’UF consente la diagnosi di stenosi uretrale per la caratteristica curva a “box” associata a
indagine radiologica (uretrocistografia retrograda) ed eventuale uretrocistoscopia. Inoltre è di
fondamentale importanza dopo trattamento disostruttivo endoscopico o ricostruttivo chirurgico.
In genere dopo una normalizzazione dei parametri flussometrici nel post-operatorio si osserva un
decremento dei parametri nei primi 2 anni. Dopo si ha una stazionarietà del quadro flussometrico.
Uno studio recente dopo trattamento della stenosi con laser mostra un miglioramento nel 89% dei
soggetti trattatti, mancano dati nel follow-up long-term. Tutti i pazienti con storia di stenosi
uretrali dovrebbero sottoporsi a un follow-up long-term mediante UF.

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Urodinamica Clinica, Cap. 4 – Uroflussometria e pratica clinica UROSTAGES

Uroflussimetria in urologia pediatrica

Le disfunzioni minzionali in età pediatrica rappresentano un’importante indicazione alla


flussimetria, grazie alla minima invasività della metodica. In particolare, è possibile utilizzare anche
apparecchi domiciliari per registrare più minzioni dei pazienti che possono fornire un quadro
giornaliero completo delle minzioni.
L’uso della flussimetria come esame di prima istanza permette infatti di discriminare quadri di
patologia ostruttiva da quelli di iperattività detrusoriale; questo dato risulta estremamente
importante soprattutto nel work-up del paziente con enuresi.
Esami più invasivi, come la videourodinamica, devono essere effettuati solamente dopo la
flussimetria; in bambini con disfunzioni minzionali di origine non neurogena, infatti gli alti costi e
l’invasività della metodica videourodinamica rendono questo esame secondario all’anamnesi,
esame obiettivo e flussimetria.
Un recente studio condotto su 98 soggetti affetti da varie patologie urinarie ha mostrato come
in flusso massimo ed il flusso medio presentino un’ampia variabilità intraindividuale; pertanto gli
Autori sostengono come in questi soggetti sia di primaria importanza va visualizzazione della
forma del tracciato, ancor prima dell’analisi dei valori numerici di Qmax e Qave, al fine di
identificare diagrammi peculiari, quale quello a “campana”, quello a “frazionato” e quello
“intermittente”. Tra le patologie di frequente interesse pediatrico ritroviamo la fimosi trattata
prevalemente per motivi estetici e cosmetici pur sospettando un impatto sullo svuotamento
vescicale, un recente studio condotto mediante UF ha escluso variazioni di flusso suggestive di
ostruzione nei pazienti con fimosi. Altra patologia di interesse pediatrico è l’ipospadia uretrale
Garignon ha dimostrato con un follow-up long-term che indipendentemente dal successo
chirurgico estetico si ha una riduzione flussometrica del 5 percentile nel 20% dei casi e un
anormale flusso medio nel 30% dei casi. Pertanto raccomanda la monotorizzazione mediante
flussometria in questi soggetti.

Miscellanea

INFEZIONI: Le infezioni delle vie urinarie nei soggetti giovani possono produrre modificazioni
minzionali, oltre a sintomi e disturbi che regrediscono dopo l’istituzione di un adeguato
trattamento antibiotico. Tuttavia, come suggerito da alcuni Autori la flussimetria non deve essere
inclusa nell’iter diagnostico standard di soggetti giovani affetti da UTI, in quanto le modificazioni
documentabili non sono di rilievo e si possono tradurre sia in un aumento che in una riduzione dei
parametri velocimetrici.
PROTESI URETRALI: l’uso di endoprotesi ureterali rappresenta un nuovo approccio terapeutico
alternativo alla chirurgia. L’uso della flussimetria in questi pazienti può essere utile per mettere in
evidenza le modificazioni a lungo termine del flusso dopo l’inserimento di questo tipo di
dispositivi.
TRAPIANTO RENALE: Nei pazienti sottoposti a trapianto renale la funzione vescicale viene
recuperata nel tempo; uno studio effettuato da Mizerski e coll ha dimostrato, grazie alla
flussimetria come la spinta minzionale cominci a modificarsi dopo 2 settimane dall’intervento, ed
aumenti costantemente fino alla 12 settimana. Questa metodica, economica e non invasiva, risulta
estremamente utile in combinazione con il diario minzionale in questi pazienti.

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Urodinamica Clinica, Cap. 4 – Uroflussometria e pratica clinica UROSTAGES

NEUROMODULAZIONE SACRALE nei pazienti ritenzionisti parziali o completi dopo impianto di


neuromodulatore sacrale l’esame uroflussometrico e residuo vescicale associato al diario
minzionale forniscono elementi preziosi per la diagnosi precoce di un peggioramento della
funzione di svuotamento consentendo interventi correttivi, dei parametri di stimolazione e/o
revisione dell’elettrodo, prima dello scompenso menzionale completo che può comportare un
ulteriore danneggiamento della componente muscolare detrusoriale e afferente sensitiva.

Conclusioni

Sicuramente l’UF associata a residuo vescicale post-minzionale è un esame che non consente
di fare diagnosi. Ma per la sua semplicità nelle mani di un medico funzionalista, del basso tratto
urinario e del pavimento pelvico, rappresenta un prezioso strumento diagnostico. Per la sua
semplicità può considerarsi un estensione strumentale nella valutazione clinica del paziente, con
tutti i limiti insiti nell’attendibilità oggettiva della valutazione, ma è una metodica in grado, come
nel caso del diario vescicale a cui si deve associare, di fornire per la sua ripetibilità periodica, grazie
alla sua semplicità e non invasività, ulteriori dati che consentono all’operatore di tracciare un
profilo dinamico sull’evoluzione/involuzione della funzione di svuotamento vescicale nel tempo.

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Urodinamica Clinica, Cap. 5 – Cistomanometria: indicazioni e limiti UROSTAGES

URODINAMICA CLINICA
CAPITOLO 5:
La cistomanometria: indicazioni e limiti
Introduzione

La valutazione urodinamica è un esame funzionale del basso tratto urinario che fornisce
spiegazioni fisiopatologiche obbiettive riguardo sintomi e/o disfunzioni minzionali .
Il test più appropriato viene selezionato ed eseguito nel tentativo di rispondere a domande ben
definite riguardo alla patologia da esaminare: nel caso dell’incontinenza urinaria l’esame è
finalizzato a slatentizzare ed oggettivare, per esempio, la perdita involontaria di urina durante
l’esecuzione dello stesso .
La cistometria o cistomanometria (CM) è l’ esame fondamentale nello studio dell’incontinenza
urinaria e le informazioni fornite da questo studio possono essere utili per stabilire l’eziologia
dell’incontinenza e possono aiutare il clinico a pianificare la condotta terapeutica più idonea .
Nel work-up clinico e diagnostico di un paziente incontinente, le indicazioni ad una valutazione
urodinamica secondo l’international Consultation on Incontinence, sono molteplici :

1. Fallimento del trattamento conservativo (comportamentale e riabilitativo) delle diverse


forme di incontinenza urinaria.
2. In presenza di prolasso genitale rilevante
3. In presenza di significativo ristagno postminzionale
4. In presenza di masse pelviche
5. Incontinenza urinaria cosiddetta “complicata”, cioè associata a:
-dolore
-ematuria
-infezioni ricorrenti
-difficoltà minzionali significative
-radioterapia pelvica
-sospetta fistola

In definitiva la valutazione urodinamica del paziente incontinente è finalizzata a osservare in


maniera obbiettiva la disfunzione del basso tratto urinario nell’intento di pianificare il trattamento
più appropriato per quel tipo di incontinenza e le patologie ad essa associate.
E’ di fondamentale importanza che ogni esame venga eseguito e refertato in accordo con gli
standard definiti dall’International Continence Society (ICS), in modo da ottimizzarne
l’interpretazione e facilitare la comparazione .
La necessità di una valutazione urodinamica nel paziente incontinente nasce dall’evidente
disparità fra sintomi urinari da un lato e segni oggettivi dall’altro. Infatti è a tutti noto l’aforisma
secondo cui “ la vescica è un testimone inattendibile “.

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Urodinamica Clinica, Cap. 5 – Cistomanometria: indicazioni e limiti UROSTAGES

La CM è associata a un tasso molto ridotto di rischi correlati con la necessità di una


cateterizzazione del paziente (con teorica possibilità di disuria e infezioni), ma richiede
apparecchiature sofisticate , relativamente costose e personale specializzato .
Pertanto prima di pianificare una indagine urodinamica bisogna sempre tenere conto del rapporto
costo beneficio dell’esame, valutandone con attenzione le indicazioni ed i limiti .

Indicazioni alla cistometria nel paziente incontinente

La CM rappresenta il test di base della valutazione urodinamica nel paziente incontinente : essa
misura in maniera continua il rapporto pressione/volume della vescica per valutarne la sensibilità,
l’attività detrusoriale, la capacità e la compliance .
Il fine dell’esame è quello di riprodurre , inoltre , i sintomi dell’incontinenza .
Si tratta di un esame per definizione provocativo, cioè che ha lo scopo di riprodurre
oggettivamente i disturbi urinari riferiti dalla paziente, e dinamico. Ciò significa che, durante
l’esame, vengono eseguite delle manovre finalizzate a provocare una incontinenza da sforzo o una
iperattività detrusoriale urodinamicamente obiettivabili.
Le indicazioni all’esame sono rappresentate dalla valutazione della funzionalità vescicale prima di
un approccio terapeutico di tipo chirurgico o a volte anche medico.
Prima di un intervento chirurgico la CM non solo consente di ottenere una diagnosi accurata ma
da’ modo di discutere con il paziente delle potenziali complicanze che possono nascere dopo
l’intervento in relazione ad alterazioni urodinamiche concomitanti ( come ad esempio il
peggioramento dell’iperattività detrusoriale dopo un intervento per correggere la componente da
sforzo di una incontinenza mista ) .

Dal punto di vista dei costi , una valutazione urodinamica multicanale in un paziente affetto da
incontinenza da sforzo è risultata più costosa di un semplice stress test associato ad una CM
semplice, con una sensibilità sovrapponibile però nell’identificare una incontinenza da stress
urodinamica (1) . In questo studio però non veniva considerato il rapporto costo beneficio sui
risultati a lungo termine del trattamento
Una volta posta indicazione all’esame cistometrico, vanno tenute in considerazione quelle che
sono le regole della buona pratica urodinamica:

1. Bisogna misurare sempre la pressione vescicale (Pves), addominale (Pabd) e calcolare la


pressione detrusoriale (Pdet) differenziale
2. I valori basali della Pves e Pabd devono essere prossimi allo zero
3. Se si usano cateteri a microtrasduttori la pressione iniziale del detrusore deve essere
compresa tra 0 e 2-3 cm H2O
4. La velocità di riempimento deve essere scelta in relazione al fine dell’esame
5. La risposta della Pves e Pdet alla tosse deve essere sovrapponibile
6. La postura del paziente durante il test è fondamentale : è difficile dimostrare una
incontinenza da sforzo urodinamica in clinostasi
7. Per dimostrare l’incontinenza o l’iperattività detrusoriale bisogna ricorrere a manovre
provocative tali da renderle evidenti

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Urodinamica Clinica, Cap. 5 – Cistomanometria: indicazioni e limiti UROSTAGES

8. L’esaminatore deve aver ben presenti le sensazioni riferite dal paziente e istruirlo in
maniera corretta su come comportarsi durante l’esame (ad esempio riferire ogni
sensazione durante il riempimento vescicale e non tentare di inibire lo stimolo minzionale).

Una delle indicazioni consolidate alla cistometria di riempimento è il valore predittivo sul successo
di un determinato tipo di terapia : infatti sono numerosi gli studi che dimostrano un tasso di
successo più elevato nella terapia chirurgica dell’incontinenza da stress (SUI) in donne senza
concomitante iperattività detrusoriale (2).
Recentemente uno studio ha dimostrato come non ci sia nessuna differenza in termini di risultati
fra pazienti sottoposte ad una cistometria semplice rispetto ad una multicanale e completa (3).
Una domanda che ci si pone spesso è se la cistometria di riempimento consenta una selezione più
precisa di un gruppo di pazienti affette da incontinenza da stress che risponderanno
particolarmente bene alla chirurgia nonostante concomitanti sintomi da vescica iperattiva .
In due lavori viene riportato che la chirurgia cura meglio i sintomi da iperattività in pazienti con
iperattività detrusoriale a bassa ampiezza ( < 15 cm H2O) rispetto a quelli senza iperattività
urodinamicamente dimostrabile ( 91% vs 39%) (4) o quelli con iperattività ad elevata ampiezza
(28%) o con vescica a bassa compliance (5).
Nel maschio e nei pazienti neurologici un circostanziato esame urodinamico viene considerato
generalmente una base essenziale per una gestione razionale dei problemi.
Tuttavia sono pochissimi gli studi intrapresi per valutare l’utilità della cistometria in questi
pazienti.
Nei maschi la cistometria si è rivelata incapace di predire la possibile insorgenza di incontinenza
dopo prostatectomia radicale : la terapia è di solito conservativa o medica per i pazienti anziani
(6)

Limiti della cistometria nel paziente incontinente

Sebbene i test urodinamici siano usati su larga scala , il loro ruolo nella diagnostica e terapia
dell’incontinenza rimane ancora controverso. Ci si chiede se i risultati siano sempre riproducibili
(7, 8) e se i test urodinamici siano sufficientemente sensibili e specifici nell’identificare in maniera
affidabile la patologia di base (9).
E’ noto da tempo infatti che esiste una discrepanza considerevole tra i sintomi riferiti dai pazienti e
la diagnosi urodinamica (10-12).
L’accuratezza diagnostica di un test è determinata in genere confrontando i risultati di un test con
uno standard di riferimento (gold standard) che definisce un vero stato di malattia.
La validità diagnostica dell’esame urodinamico non può essere stabilita in questa maniera perché
purtroppo non esiste un gold standard riconosciuto.
Pertanto l’unica alternativa nella valutazione della validità diagnostica è se la risposta ad una
determinata terapia dopo esame urodinamico sia migliore rispetto ad una serie di test diagnostici
che non comprendano la valutazione urodinamica.

Non esistono attualmente pubblicazioni che supportino la necessità della cistometria nella
valutazione di base o routinaria dell’incontinenza urinaria (13).

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Urodinamica Clinica, Cap. 5 – Cistomanometria: indicazioni e limiti UROSTAGES

In un lavoro su 442 donne sottoposte a terapia chirurgica per incontinenza da sforzo Black e
collaboratori hanno rilevato che l’aspettativa di miglioramento era sovrapponibile a prescindere
da una valutazione urodinamica eseguita prima dell’intervento chirurgico (14).
Anche un recente trial randomizzato pubblicato sul New England Journal of Medicine ha
confrontato 315 donne con SUI sottoposte a semplice valutazione clinica con altrettante
sottoposte anche a esame urodinamico (15). Gli outcomes chirurgici apparivano del tutto
sovrapponibili nei due gruppi. Purtroppo però le donne che erano incluse nel gruppo dell’esame
urodinamico avevano forme più severe, più persistenti nel tempo e più resistenti a precedenti
trattamenti rispetto all’altro gruppo e questo rende discutibili i risultati di questo lavoro. In una
recente review, Patel and Chapple hanno concluso che le attuali evidenze scientifiche, seppur non
conclusive, sottolineano l’utilità dell’esame urodinamico nella diagnosi, valutazione della severità
e terapia chirurgica della SUI (16).

E’ possibile inoltre che un tipo di valutazione urodinamica possa fornire informazioni più utili di
un’altra.
Questo è quanto risulta da studi che hanno confrontato l’utilità dell’urodinamica ambulatoriale e
convenzionale nella diagnostica dell’iperattività detrusoriale e dell’incontinenza da urgenza.
In uno di questi studi (12) in pazienti con sintomi da vescica iperattiva i test convenzionali erano
normali, mentre una successiva valutazione con metodi alternativi (holter urodinamico)
ambulatoriale) forniva una diagnosi patologica.
Ma il dato interessante è che comunque la condotta terapeutica non veniva influenzata dai
risultati della valutazione con holter , in quanto 2/3 dei pazienti con iperattività detrusoriale e ¼ di
quelli senza iperattività erano stati sottoposti a terapia medica con anticolinergici.

Pertanto il valore della valutazione urodinamica nella diagnosi e nella terapia di pazienti affetti da
incontinenza urinaria è tuttora in discussione .
Le attuali linee guide ne raccomandano l’esecuzione prima di un trattamento chirurgico
dell’incontinenza urinaria da sforzo, in caso di fallimento del trattamento conservativo,
comportamentale e riabilitativo.

Conclusioni

In una recente review pubblicata su “The Cochrane Library” (17) , Glazener e Lapitan hanno
cercato di determinare, sulla base di studi randomizzati, se l’esame urodinamico migliorasse i
risultati clinici ed economici della terapia dell’incontinenza urinaria .
Solo 2 studi su 20 eligibili erano valutabili per qualità metodologica e appropriatezza dei criteri di
inclusione riportando i risultati clinici e la ripercussione sulle decisioni terapeutiche .
Entrambi gli studi erano stati condotti tra donne incontinenti e, pertanto, non sono disponibili dati
riguardo i risultati clinici della valutazione urodinamica nei maschi o in pazienti affetti da
incontinenza urinaria ad eziologia neurogena.

Le implicazioni sulla pratica clinica che scaturiscono da questa “evidence based” review sono che
la probabilità di un trattamento medico o chirurgico è maggiore per donne incontinenti sottoposte
a valutazione urodinamica durante il loro iter diagnostico.

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Urodinamica Clinica, Cap. 5 – Cistomanometria: indicazioni e limiti UROSTAGES

Non esiste però un livello di evidenza sufficiente per poter affermare che queste donne hanno
meno probabilità di rimanere incontinenti dopo la terapia rispetto a quelle che non hanno
eseguito una valutazione urodinamica.

Ulteriori studi andranno estesi a tutte le categorie di pazienti la cui incontinenza può essere
indagata con valutazioni urodinamiche, con riferimenti precisi alla valutazione dei risultati clinici su
base soggettiva ed oggettiva, agli effetti collaterali , alle ripercussioni sulle decisioni cliniche, al
punto di vista e alla soddisfazione dei pazienti, alla qualità di vita e non da ultimo alle ripercussioni
economiche sui risultati.

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Urodinamica Clinica, Cap. 6 – Studio Pressione-Flusso: indicazioni UROSTAGES

URODINAMICA CLINICA
CAPITOLO 6:
Studio Pressione-Flusso: indicazioni

Introduzione

Lo studio pressione-flusso è strumento di valutazione della fase di svuotamento vescicale. Esso


registra contemporaneamente, durante la minzione, il flusso urinario e la pressione detrusoriale a
cui questo avviene.
È la osservazione urodinamica che, di fronte ad un basso flusso urinario, permette di determinare
se questo sia risultato di una ostruzione oppure di una ipocontrattilità detrusoriale. Come per la
cistomanometria, la pressione detrusoriale viene calcolata sottraendo alla pressione vescicale la
pressione addominale (1).
In condizioni fisiologiche, lo svuotamento vescicale avviene in modo attivo e volontario. Quando si
decide di urinare, esso si attua tramite una contrazione del detrusore sincrona con il rilasciamento
della muscolatura sfinterica liscia e striata; di solito, lo svuotamento vescicale avviene senza
utilizzo del torchio addominale, è completo e si attua a basse pressioni detrusoriali. (2,3).
Nel caso di ostruzione distale al collo vescicale, se il detrusore è sano (non scompensato), lo studio
pressione-flusso dimostra un’elevata pressione detrusoriale associata a valori ridotti di flusso.
Molti lavori hanno proposto i valori di riferimento inerenti la pressione detrusoriale ed il flusso
urinario nel maschio e nella femmina, ma ancora oggi non c’è accordo unanime in letteratura
riguardo a questi.

Contrattilità vescicale e resistenza uretrale

Il detrusore è un muscolo, e, come tale, segue la legge della tensione/lunghezza. La lunghezza è


determinata dal volume di riempimento vescicale (V). La tensione è proporzionale alla pressione
detrusoriale (Pdet). Un altro parametro che esprime il lavoro effettuato dalla vescica è il flusso (Q)
(4).
Durante la minzione, l’uretra determina una resistenza al flusso prodotto dalla contrazione
detrusoriale. Tale resistenza, almeno teoricamente, è direttamente proporzionale alla sua
lunghezza e inversamente proporzionale al diametro. Purtroppo però l’uretra non è un tubo rigido,
quindi l’equazione: resistenza uretrale uguale a pressione / quadrato del flusso massimo ( P det /
Qmax2) non può essere ritenuta valida.
L’uretra è infatti un tubo elastico, distensibile ed il flusso al suo interno dipende dal diametro e
dalla velocità di flusso; quest’ultima è proporzionale alla differenza di pressione tra due punti
dell’uretra.
Secondo la teoria del flusso nei tubi elastici, sulla quale si basano molti studi di urodinamica
avanzata, , il rapporto tra il flusso (Q) e la pressione (P) richiesta al detrusore per generare il flusso,
sarebbe regolato nel tratto di uretra prossimale allo sfintere esterno. Proprio in quella sede,

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Urodinamica Clinica, Cap. 6 – Studio Pressione-Flusso: indicazioni UROSTAGES

generalmente, si registra la pressione maggiore, ed è a tale livello che il detrusore esercita la forza
maggiore per distendere l’uretra stessa (5-9).
Nella pratica clinica si identifica solitamente come ostruito il paziente con pressioni detrusoriali
minzionali superiori a 70 cm/H2O se maschio e a 50 cm/H20 se femmina, quando tali valori si
associano a picchi di flusso massimo inferiori a 15 ml/sec. Questo criterio, benché valido in linea di
massima, non tiene di conto di variabili quali età dei pazienti e volume minzionale, ed inoltre
risulta difficilmente adeguato a descrivere i numerosi pazienti con valori border-line.
Lo studio pressione-flusso nel maschio

La causa più frequente di ostruzione al flusso nel maschio è l’ipertrofia prostatica benigna (IPB).
Per i costi elevati e per l’invasività della metodica, lo studio pressione-flusso non è ritenuto
congruo nell’inquadramento routinario del paziente affetto da IPB e candidato ad un intervento
disostruttivo (10-12), ma è da riservarsi a casi particolari.
I lavori che hanno messo in evidenza le relazioni esistenti tra sintomi, urodinamica, istopatologia e
fisiopatologia dell’ipertrofia prostatica sono numerosi (13-15). Nonostante ciò la rilevanza dello
studio pressione-flusso nella quantificazione del grado di ostruzione, nonché l’importanza da dare
a tale studio nell’inquadramento clinico del paziente ostruito sono ancora oggi molto dibattute.
Non vi sono infatti evidenze certe di una specifica utilità dell’esame nè sul ruolo reale di tale
esame nell’iter diagnostico.
Per molti autori il vero valore prognostico dello studio pressione-flusso non è chiaro.
Il maggior freno alla diffusione dello studio pressione-flusso su ampia scala nei pazienti affetti da
IPB è rappresentato dalla invasività e dai costi della metodica, che, per diversi autori non
giustificano un miglioramento diagnostico ritenuto molto modesto e, in ogni modo, spesso non
vincolante la decisione terapeutica (16-19).
Un altro aspetto da considerare è quello inerente ai parametri indicativi di ostruzione, dove è
presente una vasta zona di classificazione equivoca. Quest’ultima viene ritenuta troppo ampia da
alcuni Autori ed inoltre, ad essa spesso appartengono quei casi in cui proprio studio lo pressione-
flusso dovrebbe fornire l’elemento diagnostico in più necessario nel decision making.
Le linee guida dell’ International Consultation on Benign Prostatic Hyperplasia ribadiscono che lo
studio pressione-flusso è il solo mezzo per raggiungere la diagnosi urodinamica di ostruzione (20).
Nonostante ciò esistono lavori in letteratura che dimostrano che lo studio pressione-flusso
preoperatorio non è in grado di predire né l’outcome urodinamico del paziente disostruito, né il
miglioramento dei sintomi legato all’intervento chirurgico disostruttivo. Van Venrooj (20) ha
dimostrato che in 32 pazienti non ostruiti o comunque dubbi per ostruzione, dopo chirurgia
disostruttiva, si assisteva ad un 40% di aumento della capacità media effettiva correlato al
miglioramento dei sintomi. Inoltre il 50% delle vesciche iperattive perdevano tale iperattività, ma
tutto ciò non poteva essere previsto dall’esame urodinamico pre-operatorio. Hakenberg (21),
utilizzando il numero di Abrams e Griffiths come parametro di ostruzione, ha riscontrato un
miglioramento post-operatorio dei valori di flusso; questo miglioramento non è andato però di
pari passo con il miglioramento dei sintomi ma è risultato essere correlato solo con la loro
intensità precedente l’intervento chirurgico..
Nonostante che I nomogrammi più diffusi, tra cui ICS e Schaefer utilizzati nell’analisi urodinamica
avanzata abbiano mostrato una concordanza soddisfacente, con conseguente riduzione del
margine di discrezionalità correlato al tipo di elaborazione utilizzato, un altro problema connesso
all’utilizzo dello studio pressione-flusso è dato dalla non chiara riproducibilità del test (22, 23).

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Urodinamica Clinica, Cap. 6 – Studio Pressione-Flusso: indicazioni UROSTAGES

Questa è stata messa in evidenza in numerosi studi in cui è dimostrato un cambio di categoria
nella classificazione dell’ostruzione dei pazienti al secondo o terzo test, usualmente con passaggio
in una classe inferiore d’ostruzione (24,25).
Ad oggi Il razionale all’uso dello studio pressione-flusso nella valutazione di pazienti con sintomi
del basso tratto urinario (LUTS), specie se secondaria ad ipertrofia prostatica, rimane nella
mancanza di correlazione tra sintomi, volume della prostata ed ostruzione.
Infatti un terzo dei soggetti adulti e/o anziani con problemi minzionali non ha un’ostruzione. In
questi soggetti, solo lo studio pressione-flusso può escludere o provare l’esistenza dell’ostruzione
ed è raccomandato soprattutto quando il flusso massimo all’uroflussometria libera sia superiore a
10 ml/sec e ogni qualvolta la storia del paziente non sia in accordo con i dati clinici.
L’analisi avanzata del grafico pressione-flusso risulta inoltre utile per definire l’ostruzione
compressiva, tipica dell’ipertrofia prostatica, da quella costrittiva caratteristica delle stenosi
uretrali organiche.
Un ultimo campo di applicazione in cui è di fondamentale importanza lo studio pressione-flusso è
rappresentato da tutti i casi in cui si rende necessaria la verifica dei risultati ottenuti nonché dei
meccanismi di risposta a procedure alternative al tradizionale trattamento chirurgico o
endoscopico di resezione prostatica (27-29).
Ad esempio Hofner et al (30,31) hanno ipotizzato che la curva della Linear Passive Urethral
Resistance (LPURR) sia importante nel definire i pazienti maggiormente responsivi a termoterapia
ed i pazienti di alcune classi della CHESS Classification avrebbero migliori risultati clinici dopo
trattamento.

Lo studio pressione-flusso nella donna

Se l’utilità dello studio pressione-flusso è dibattuta e controversa nel maschio, l’analisi della
minzione femminile risulta decisamente più problematica (32-36).
Nella donna la minzione avviene normalmente con pressioni detrusoriali molto basse, sia perché
spesso la donna durante lo svuotamento vescicale utilizza il torchio addominale, sia perché il
rilasciamento sfinterico e del piano pelvico, in presenza di un’uretra breve, determina una brusca
riduzione delle resistenze a valle della vescica.
Applicando le conoscenze acquisite nel maschio alla femmina, viene invece postulata una
dinamica minzionale, che contempla rialzi anche marcati della pressione detrusoriale, tipica del
maschio.
Per questi motivi, nessuna elaborazione ha avuto una popolarità o uno sviluppo minimamente
paragonabile a quanto accaduto nel maschio ed i metodi per valutare la contrattilità detrusoriale
nelle donne non sono comunque ancora stati definiti.
Nonostante ciò, numerosi autori hanno tentato di fornire una definizione urodinamica di
ostruzione applicabile alla donna al fine di avere un parametro che possa essere utile sia prima del
trattamento, quale spiegazione dei sintomi, sia dopo chirurgia, per stabilire il ruolo di un’eventuale
ostruzione iatrogena.
Secondo Groutz (37) si è in presenza di ostruzione nella femmina quando un flusso basso,
persistentemente inferiore a 12 ml/sec, si associa ad una pressione detrusoriale al flusso massimo
maggiore di 20 cm/H20. Utilizzando questi parametri, è stata rilevata una prevalenza di ostruzione
del 6,5% in un gruppo di donne con LUTS.
Lemack e Zimmern (38) esaminando una popolazione di donne con LUTS, ed utilizzando come

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Urodinamica Clinica, Cap. 6 – Studio Pressione-Flusso: indicazioni UROSTAGES

parametri di ostruzione pressioni perminzionali di 21 cm/H20 o maggiori, associate ad un flusso


massimo di <11 ml/sec, hanno riscontrato una prevalenza di ostruzione nella popolazione studiata
del 20%.
Adottando la definizione di Kuo (39) secondo cui l’ostruzione è caratterizzata da una pressione di
50 cm/H20 o più con un’uretra stretta alla cistografia, la prevalenza dell’ostruzione in donne
affette da LUTS risulta essere del 9,6%.
Salvatore e Khullar (40) hanno invece definito l’ostruzione femminile come un picco massimo di
flusso inferiore a 15 ml/sec associato ad una pressione superiore a 60 cm/H20. La prevalenza in
questo caso era pari al 1,5%.dei casi studiati.
Blaivas e Groutz (41) hanno sviluppato un nomogramma applicabile alle donne. Secondo questo le
pazienti con Pdet massima superiore a 57 cm/H20 erano ostruite, mentre quelle con pressioni
inferiori non erano ostruite. In tale nomogramma la Pdet veniva messa in relazione ai parametri
registrati all’uroflussometria libera. Utilizzando tale nomogramma in un gruppo di 600 donne, il 6%
è risultato mediamente ostruita, il 2% moderatamente ostruita e solo l’1% fu considerata
severamente ostruita.
In linea di massima, quindi si è sviluppata la tendenza a considerare nella donna con riduzione del
valore di flusso, il limite di 50-60 cm/H20 per le ostruzioni moderate o severe e di 20-30 cm/H20
per le ostruzioni minori.

Lo studio pressione flusso in pazienti incontinenti

Non c’è solitamente indicazione ad uno studio pressione-flusso nei pazienti incontinenti se essi
presentano una uroflussometria libera normale senza residuo post minzionale significativo.
Se altresì l’uroflussometria è patologica o si è in presenza di un residuo elevato, uno studio-
pressione trova indicazione al fine di valutare una possibile ostruzione uretrale od un deficit di
contrattilità detrusoriale.
Karram et al.(42) hanno dimostrato che nelle donne con stress incontinence le pressioni
detrusoriali sono inferiori alla media, rilevando una pressione detrusoriale di 12 cm/H20 durante
lo svuotamento in 70 donne con incontinenza urodinamica da sforzo, contro una media di 20
cm/H20 rilevata in 30 donne continenti. Esiste inoltre evidenza clinica che, in alcuni tipi di
incontinenza da urgenza, le pressioni detrusoriali di svuotamento siano spesso più alte che nei
soggetti normali. In questi casi, lo studio pressione-flusso può inoltre fornire un elemento utile per
distinguere tra un ostacolo al flusso di tipo organico da uno funzionale, quale possibile causa di
una contemporanea iperattività detrusoriale, che frequentemente può determinare urgenza
minzionale ed incontinenza da urgenza.
Lo studio pressione-flusso inoltre può essere utile nell’inquadramento diagnostico delle pazienti
che devono essere sottoposte ad una chirurgia della continenza, al fine di identificare quelle che
potranno incontrare difficoltà di svuotamento dopo l’intervento a causa di una ipocontrattilità
detrusoriale; tuttavia non è dimostrata una superiorità dello studio pressione-flusso in tal senso
rispetto alla semplice uroflussometria libera e alla valutazione del residuo post-minzionale, né è
dimostrato che lo studio pressione-flusso possa identificare i soggetti a rischio di ritenzione
urinaria post-operatoria. Esistono però alcune osservazioni secondo cui gli insuccessi della
chirurgia dell’incontinenza femminile sono maggiori nelle donne con pressioni di apertura e
chiusura del collo vescicale molto ridotte ma non è provato che lo studio pressione-flusso sia in

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Urodinamica Clinica, Cap. 6 – Studio Pressione-Flusso: indicazioni UROSTAGES

grado di predire i risultati di un’uretrolisi in pazienti già sottoposte a chirurgia per incontinenza,
quindi con ostruzione iatrogena.
Nel maschio anziano non esistono prove certe che lo studio pressione-flusso pre-operatorio possa
aiutare a predire il miglioramento dell’urgenza o dell’incontinenza da urgenza, dopo resezione
prostatica.
Lo studio pressione-flusso rimane comunque uno strumento insostituibile nella diagnosi e nella
valutazione dell’incontinenza urinaria nel soggetto neurologico nonché quella indagine che può
spesso condurre il clinico a sospettare possibili concause neurologiche nella patogenesi
dell’incontinenza urinaria.
Lo studio pressione-flusso quindi non va inserito nell’iter diagnostico di tutti i tipi di incontinenza
urinaria, ma può essere richiesto in casi particolari, soprattutto se la clinica orienta per una
componente neurologica o un’ostruzione organica uretrale nella patogenesi dell’incontinenza.

Prospettive future

Le proposte di un metodo di urodinamica non invasiva hanno avuto scarso seguito. Un esempio in
tal senso è rappresentato dalle esperienze sperimentati di Schafer (44,45), che ha proposto nel
maschio di utilizzare un catetere-condom e di studiare lo svuotamento vescicale attraverso lo
stesso catetere compresso dall’esterno.
Ad oggi, lo studio pressione-flusso, anche se attuato in elaborazioni avanzate differenti, è l’unica
modalità oggettiva per verificare la presenza di un’ostruzione cervico-uretrale, e per quantificarla
(43). Lo studio pressione-flusso è inoltre parte integrante della diagnostica necessaria
all’iquadramento del paziente affetto da vescica neurologica.
Ciò che manca e che è da raggiungere, è un accordo sui parametri che definiscano il grado di
ostruzione mediante l’utilizzo di nomogrammi affidabili e specifici per l’uomo e la donna,
continente o meno, prima e dopo possibili trattamenti specie se chirurgici.
Ogni terapia alternativa a quella endoscopica o chirurgica tradizionale, non può prescindere dallo
studio pressione-flusso nella valutazione dei risultati prodotti.
Nella donna, l’esame è ancora meno diffuso a causa di difficoltà interpretative.
Le informazioni che lo studio pressione-flusso può fornire, indipendentemente dall’elaborazione
avanzata utilizzata, forniscono un quadro dettagliato sulla fisiopatologia della minzione, ma
devono essere integrate dal clinico con l’anamnesi, strumenti semplici come il diario vescicale,
l’esame obiettivo e le altre tecniche diagnostiche al fine di trarre le decisioni terapeutiche più
corrette in entrambi i sessi (46).
Una maggior diffusione dello studio pressione-flusso è da perseguire, anche se questa non avverrà
finché non saranno a disposizione attrezzature che ridurranno i costi e l’invasività dell’esame.

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Urodinamica Clinica, Cap. 7 – Abominal Leak Point Pressure: Indicazioni e limiti UROSTAGES

URODINAMICA CLINICA
CAPITOLO 7
Abdominal Leak Point Pressure: Indicazioni e limiti
Introduzione

Nel primo volume è stato definito il concetto di abdominal leak point pressure (ALPP) e ne è stata
descritta la metodica di misurazione. Il test, introdotto da McGuire e coll. (1-4), negli ultimi 20 anni
ha avuto una crescente diffusione nella valutazione dell’incontinenza urinaria da sforzo (IUS),
specialmente nelle donne, con l’obiettivo principale di identificare l’incontinenza da insufficienza
sfinterica intrinseca (ISD) e di stabilirne la gravità. Nel 2010 l’ALPP è stato recepito nel documento
congiunto IUGA-ICS di standardizzazione della terminologia relativa alle Disfunzioni Pelviche
Femminili. A tale documento si fa dunque riferimento per la definizione attuale della metodica(5).
Gli obiettivi di questo capitolo sono i seguenti:
- precisare l’accuratezza della metodica nella diagnosi di IUS;
- evidenziarne il ruolo classificativo e le correlazioni con il quadro clinico e con altre
metodiche diagnostiche;
- valutarne le possibili implicazioni prognostiche e terapeutiche;
- riassumerne indicazioni e limiti.

Accuratezza diagnostica

L’accuratezza diagnostica di un test è definita essenzialmente dalla sua sensibilità e specificità. Per
la diagnosi di IUS la sensibilità di un test descrive la percentuale di pazienti incontinenti con test
patologico ed è inversamente correlata alla percentuale di falsi negativi. A sua volta, la specificità è
data dalla percentuale di soggetti senza incontinenza urinaria in cui il test risulta normale. Per
quanto riguarda l’ALPP, il test non dovrebbe risultare positivo in donne che non abbiano
incontinenza urinaria da sforzo: pertanto non si dovrebbero registrare falsi positivi e la specificità
del test dovrebbe essere pari al 100%. Al contrario, la sensibilità dell’ALPP presenta una notevole
variabilità in relazione alle condizioni d’esame, e specialmente in rapporto alle manovre
provocative utilizzate (manovra di Valsalva o colpi di tosse) ed al volume vescicale considerato
(6,7) (tabelle 1 e 2). Una recente rivisitazione degli aspetti metodologici relativi all’ALPP pubblicata
su Neurourology & Urodynamics ad opera di Türker e coll. evidenzia, a massima capacità
cistometrica, una maggiore sensibilità del test quando indotto da colpi di tosse rispetto alla
manovra di Valsalva (tabelle 1 e 2) e dimostra l’interferenza sui valori di ALPP del catetere
vescicale aumentando il tasso di stress test falsamente negativi dovuti al ruolo ostruttivo del
catetere stesso.

1
Urodinamica Clinica, Cap. 7 – Abominal Leak Point Pressure: Indicazioni e limiti UROSTAGES

Tabella 1
Misurazione della Valsalva leak point pressure (VLPP): sensibilità diagnostica
Autore Volume vescicale Sensibilità
Miklos e coll. (1995) 150 ml 63% (19/30)
300 ml 70% (21/30)
400 ml 70% (21/30)
Sultana (1995) Massima capacità cistometrica 71% (40/56)
Swift-Ostergard (1995) Massima capacità cistometrica 88% (59/67)
Theofrastous e coll. (1995) Massima capacità cistometrica 81% (61/75)
Nitti-Combs (1996) 150-200 ml 81% (52/64)
Theofrastous e coll. (1996) 100 ml 28% (33/120)
200 ml 42% (51/120)
300 ml 58% (70/120)
Massima capacità cistometrica 72% (87/120)
Bump e coll.(1997) 300 ml 53% (84/159)
Faerber-Vashi (1998) 150 ml 19% (10/52)
200 ml 58% (30/52)
250 ml 95% (49/52)
Peschers e coll. (2000) 200-300 ml 59,3% (35/59)
Türker e coll. (2010) Massima capacità cistometrica 49,4% (82/166)
da Weber, modificata (6,7)

Tabella 2
Misurazione della Cough leak point pressure (CLPP): sensibilità diagnostica

Autore Volume vescicale Sensibilità


Miklos e coll. (1995) 150 ml 50% (15/30)
300 ml 70% (21/30)
400 ml 67% (20/30)
Siltberg e coll. (1999) 300 ml 60% (9/15)
Peschers e coll. (2000) 200-300 ml 96,6% (57/59)
Türker e coll. (2010) Massima capacità cistometrica 69,3% (115/166)

da Weber, modificata (6,7)

Per la Valsalva leak point pressure (VLPP) i valori di sensibilità variano dal 42% all’81% per volumi
vescicali di 150-200 ml (8-11), dal 58% al 70% per volumi di 300 ml (8, 10) e dal 49 all’88% alla
massima capacità cistometrica (7,8, 12-14). Per la Cough leak point pressure (CLPP) la sensibilità
varia dal 50% a 150 ml (10) fino al 96,6% a 200-300 ml, mentre scende circa al 70% a massima
capacità cistometrica (13,7).
In generale i valori di VLPP sono inversamente correlati al volume di riempimento vescicale (8, 16,
17). Rispetto alla CLPP, la VLPP appare meglio controllata e meno variabile nel tempo (10, 18).
Tuttavia le pressioni raggiungibili durante i colpi di tosse sono generalmente maggiori di quelle
misurate in corso di manovra di Valsalva: questo spiegherebbe la maggiore sensibilità diagnostica
della CLPP riscontrata da alcuni Autori (15,7).

2
Urodinamica Clinica, Cap. 7 – Abominal Leak Point Pressure: Indicazioni e limiti UROSTAGES

Ruolo della ALPP nella classificazione della IUS

McGuire e coll. nel 1993 hanno sottoposto a valutazione videourodinamica 125 donne affette da
IUS ed hanno correlato la ALPP con la tipologia di incontinenza da sforzo. La IUS veniva definita di
tipo III in caso di “pressioni uretrali prossimali inferiori a 10 cmH2O a 0,5 cm dal collo vescicale” o
di “sfintere interno aperto, incompetente”, con o senza ipermobilità uretrale. Tale categoria
videourodinamica, in accordo con la classificazione di Blaivas e Olsson (19), era identificata con il
concetto di “insufficienza sfinterica intrinseca” (ISD). L’incontinenza era invece definita di tipo II in
caso di “pressioni uretrali prossimali superiori a 10 cmH2O a 0,5 cm dal collo vescicale”: in questi
casi le perdite urinarie erano correlate ad ipermobilità uretrale (> 45°). Gli Autori hanno osservato
che il 75,7% delle donne con ALPP inferiore a 60 cmH2O mostravano una IUS di tipo III (ISD),
mentre in donne con ALPP > 90 cmH2O l’incontinenza urinaria era associata ad ipermobilità
uretrale nella totalità dei casi. Infine, nelle donne con valori di ALPP compresi tra 60 e 89 cmH2O
l’incontinenza era di tipo III nel 19,6% dei casi e di tipo II nell’80,4%. Le pazienti con incontinenza
da sforzo di tipo III non erano invece identificate in maniera affidabile dalla profilometria uretrale
(1).
Negli anni seguenti il gruppo di McGuire, in base ad un numero elevato di osservazioni
videourodinamiche, ha stabilito che una ALPP ≤ 60-65 cmH2O sarebbe indicativa di un grado
significativo di ISD, mentre una ALPP ≥ 90 cmH2O sarebbe solitamente associata ad ipermobilità
uretrale; valori compresi tra 60 e 90 cmH2O costituirebbero una zona grigia a significato incerto,
in cui probabilmente le due componenti di ISD e di ipermobilità uretrale sarebbero variamente
combinate tra loro (2-4). Tali osservazioni sono state poi confermate da numerosi altri Autori,
benché le metodiche utilizzate differissero in alcuni casi da quella originale, per cui i valori
registrati non erano sempre confrontabili. In particolare, i valori soglia (“cut-off”) di ALPP per la
diagnosi di ISD variavano da 45 a 100 cmH2O a seconda degli Autori (1, 11, 13, 14, 20-24). La zona
grigia era compresa tra 60 e 90 cmH2O secondo la maggior parte degli Autori (1, 11, 13, 23, 24),
tra 45 e 60 cmH2O nell’esperienza di altri (14). Le differenze riportate erano in gran parte dovute
ai diversi valori basali considerati (pressione intravescicale all’inizio del test o immediatamente
prima della manovra di Valsalva o dei colpi di tosse), oltre che alle differenze nella metodica di
misurazione dell’ALPP.
Secondo McGuire e coll. la misurazione della VLPP sarebbe più sensibile per la diagnosi di ISD
rispetto alla CLPP (3). Secondo Haab e coll. la VLPP misurata al volume vescicale di 200 ml
costituirebbe il valore di riferimento per la diagnosi di IUS di tipo III (16). Secondo Faerber e Vashi,
invece, la VLPP ai volumi vescicali di 250-300 ml sarebbe quella meglio correlata con i reperti
fluoroscopici e più appropriata ai fini classificativi (9). Secondo Theofrastous e coll. la negatività del
test al volume vescicale di 300 ml escluderebbe la presenza di una bassa pressione uretrale e di
una ISD pura; tuttavia la specificità della VLPP nei riguardi della ISD si è dimostrata inadeguata
(rispettivamente 63% per bassa pressione uretrale e 50% per ISD pura), con un basso valore
predittivo positivo (8).
Ghoniem e coll. nel 2002 hanno proposto una classificazione della IUS in base ai valori di ALPP ed
al quadro videourodinamico, distinguendo 3 sottotipi di ISD di gravità crescente. Nel 32% dei casi il
collo vescicale era chiuso a riposo e l’incontinenza da sforzo era diagnosticata solo dalla ALPP, che
era < 120 cmH2O (tipo A). Nel 45% il collo vescicale era aperto a riposo con morfologia a becco e la
ALPP era < 90 cmH2O (tipo B). Infine nel 14% delle pazienti era presente un’uretra aperta “a

3
Urodinamica Clinica, Cap. 7 – Abominal Leak Point Pressure: Indicazioni e limiti UROSTAGES

manico di pipa”, con funzione sfinterica assente, e la ALPP era < 70 cmH2O (tipo C). Tutti e 3 i
sottotipi di ISD avevano una pressione uretrale massima di chiusura (MUCP) < 10 cmH2O (25).

Correlazione con la gravità della IUS

Nitti e Combs hanno osservato una stretta correlazione tra la VLPP e il grado soggettivo di IUS: il
75% delle donne con IUS di grado 3 avevano una VLPP < 90 cmH2O. I maggiori gradi di
incontinenza corrispondevano a bassi valori di VLPP anche nel gruppo di donne con ipermobilità
uretrale (11).
La correlazione tra bassi valori di ALPP e gravità dell’incontinenza urinaria da sforzo è stata
osservata da molti Autori (1-4, 13, 16, 20, 26-29)e confutata da altri più recentemente (30,31).
Cummings e coll. su 57 pazienti con IUS hanno evidenziato bassi valori di VLPP (< 65 cmH2O)
nell’83% delle donne con IUS grave già sottoposte ad intervento chirurgico, nel 55% di quelle con
sintomi gravi o con pregressa chirurgia e solo nel 47% di quelle con sintomi lievi e non
previamente operate (20).
Pajoncini e coll. hanno studiato prospetticamente 166 donne con incontinenza da sforzo
urodinamica ed hanno osservato che bassi valori di VLPP (≤ ≤ 60 cmH2O) e di MUCP (≤ ≤ 30 cmH2O)
permettevano di identificare un gruppo di pazienti con fattori predittivi di ISD, quali la maggior
gravità della IUS, la minore lunghezza funzionale dell’uretra ed il riscontro anamnestico di un
maggior numero di pregressi interventi di chirurgia uroginecologica (28). In uno studio successivo
dello stesso gruppo sono state analizzate prospetticamente 92 donne con incontinenza da sforzo
urodinamica: all’analisi statistica una VLPP < 60 cmH2O, una MUCP < 30 cmH2O ed il riscontro di
pregressa chirurgia uroginecologica e/o isterectomia erano i parametri più significativamente
correlati con la ISD (29).
Al contrario Albo e coll. osservano una moderata correlazione reciproca dei vari parametri di
gradazione della severità dell’Incontinenza (anamnestici ed oggettivi), ma documentano una
scarsa correlazione tra VLPP e tutti gli altri parametri. Vale la pena qui segnalare che gli autori
rilevano una sensibilità del 49% ed una specificità del 60% per lo Stress Test a vescica Vuota in
posizione Supina. I dati dello stesso gruppo [Urinary Incontinence Treatment Network] vengono
ribaditi da Nager e coll. in uno studio più recente. (30,31)
Anche negli uomini affetti da IUS la VLPP si è dimostrata efficace e riproducibile nel quantificare il
grado di ISD (1, 32). Secondo Desautel e coll. la VLPP sarebbe indicativa della gravità del danno
sfinterico nella IUS post-prostatectomia radicale (33). Comiter e coll. hanno studiato la funzione
uretrale in uomini con IUS post-prostatectomia radicale ed hanno osservato una correlazione
statisticamente significativa tra i valori di ALPP, pressione uretrale massima di chiusura (MUCP) e
pressione retrograda al punto di fuga (RLPP). Ciascuno di questi parametri era a sua volta
significativamente correlato alla gravità dell’incontinenza, valutata in base al consumo di pannolini
(34).

Correlazione con altre metodiche diagnostiche

La correlazione tra stress test in posizione supina e VLPP < 60 cmH2O per la diagnosi di ISD è stata
studiata da McLennan e Bent nel 1998 (35) e da Hsu e coll. nel 1999 (22). Il primo gruppo ha
osservato che uno stress test positivo con vescica vuota aveva una sensibilità del 79% per bassa
VLPP, una specificità del 62%, un valore predittivo positivo (VPP) del 40% ed un valore predittivo

4
Urodinamica Clinica, Cap. 7 – Abominal Leak Point Pressure: Indicazioni e limiti UROSTAGES

negativo (VPN) del 90%. In virtù dell’elevato VPN uno stress test negativo permetteva di escludere
quasi certamente una VLPP bassa; a causa del basso VPP, tuttavia, uno stress test positivo aveva
una probabilità molto bassa di corrispondere ad una VLPP bassa (35). Nell’esperienza di Hsu e coll.
lo stress test eseguito al volume vescicale di 200 ml, con paziente in posizione supina, aveva valori
ancora maggiori di sensibilità e specificità per la diagnosi di ISD (rispettivamente 93,5% e 90%). Il
valore predittivo positivo del test era del 96,7%; il valore predittivo negativo dell’81,8% (22).
Una correlazione significativa tra pad test quantitativo e bassi valori di VLPP è stata osservata da
Theofrastous e coll. (8). Al contrario, Peschers e coll. hanno riscontrato una debole correlazione
statistica tra CLPP e pad test senza significato clinico, ma non hanno trovato alcuna correlazione
tra VLPP e pad test (15).
La correlazione tra ALPP e MUCP è controversa: secondo alcuni Autori esisterebbe una
correlazione significativa (8, 12, 21, 26, 36,37,31), non confermata da altri (1, 14, 15, 38). Secondo
Sultana la sensibilità della VLPP nel predire una bassa pressione uretrale sarebbe del 100% (12).
Bump e coll. nel 1997 hanno studiato la funzione uretrale mediante profilo pressorio uretrale,
VLPP e misurazione dell’asse uretrale sotto sforzo in 159 donne con incontinenza da sforzo
urodinamica. Gli Autori hanno osservato che bassi valori di VLPP (≤ 52 cmH2O) erano
significativamente associati a ISD; un significato analogo avevano bassi valori di pressione uretrale
massima di chiusura (MUCP ≤ 20 cmH2O) ed anomalie dell’asse uretrale sotto sforzo (≤ 22°) (21).
Complessivamente l’analisi dei dati crudi mostra una correlazione significativa tra ALPP e MUCP
(39), con valori soglia rispettivamente di 60 cmH2O e di 20 cmH2O per la diagnosi di ISD (1, 8, 12,
14, 21). Nager e coll. confermano una correlazione moderata tra VLPP e MUCP (r = 0.36,  P< 0.001)
(31)
Una correlazione tra bassi valori di ALPP ed anomalie elettrofisiologiche del pavimento pelvico è
stata osservata da Takahashi e coll. (40). Altri Autori hanno correlato il test con alterazioni
anatomiche dell’uretra e/o del pavimento pelvico evidenziate ecograficamente (41, 42). Infine
Lemack e coll. hanno confrontato il VLPP con parametri demografici, caratteristiche generali delle
pazienti, dati derivati dall’esame obiettivo ed altri parametri urodinamici. Su di un campione di
424 soggetti valutabili gli autori rilevano ad analisi multivariata una correlazione tra VLPP e
avanzare dell’età, basso BMI, elevati valori di flusso massimo e bassa pressione detrusoriale di
svuotamento (43).

Valore prognostico

Al di là del potere “classificativo” di un test, cioè della sua capacità di descrivere le caratteristiche
intrinseche di un fenomeno (nella fattispecie l’incontinenza urinaria), quello che si chiede ad un
test diagnostico è che sia in grado di individuare i pazienti nei quali le metodiche di trattamento in
uso rischiano di essere fallimentari.
L’evoluzione delle tecniche chirurgiche di correzione dell’Incontinenza urinaria cui abbiamo
assistito negli ultimi 20 anni non facilita certo il compito di chi vorrebbe fare chiarezza. I lavori che
originariamente confrontavano l’ALPP con la colposospensione secondo Burch devono essere
considerati distintamente rispetto alla letteratura più recente che prende invece in considerazione
le sling sottouretrali e relative varianti.
Tenuto conto di tutto ciò il valore prognostico del test nei riguardi dell’esito della terapia in
pazienti con IUS non può essere che incerto. La maggior parte degli Autori non ha evidenziato una
correlazione tra bassi valori di VLPP ed insuccesso della terapia chirurgica della IUS (44-48). Anche

5
Urodinamica Clinica, Cap. 7 – Abominal Leak Point Pressure: Indicazioni e limiti UROSTAGES

in pazienti sottoposti ad iniezione periuretrale di collagene non è stata osservata alcuna


correlazione tra valori di VLPP e successo dell’intervento (49). Al contrario, una revisione
retrospettiva su 51 donne sottoposte a sling suburetrale costituita da parete vaginale ha permesso
a Littwiller e coll. di rilevare una correlazione tra valori preoperatori di VLPP e risoluzione della IUS,
ma non tra VLPP e grado di soddisfazione delle pazienti; quest’ultimo era invece correlato alla
presenza o alla scomparsa di un’eventuale incontinenza urinaria da urgenza dopo l’intervento (50).
Goldman e coll. hanno osservato che una VLPP ≥ 50 cmH2O era associata ad un tasso di successo
della sling con parete vaginale anteriore pari al 93%, mentre ad una VLPP < 50 cmH2O
corrispondeva un tasso di successo del 40% (51). Nell’esperienza di Petrou e Broderick tutte le
pazienti con VLPP preoperatoria > 126 cmH2O sottoposte a sling avevano un esito favorevole
dell’intervento (52). Paick e coll. hanno valutato retrospettivamente 221 pazienti sottoposte a TVT
con un follow-up medio di 10.5 mesi (range 6-52) ed hanno rilevato che una VLPP bassa (< 60
cmH2O) era associata ad un tasso di successo dell’intervento pari all’82%, mentre una VLPP ≥ 60
corrispondeva ad un tasso di successo del 93,1%. In donne con VLPP bassa il riscontro di una
MUCP bassa e di sintomi di urgenza erano fattori predittivi indipendenti per fallimento del
trattamento (53). Nella stessa direzione porta il lavoro di Guerette e coll. relativo ad un gruppo di
56 pazienti con follow-up di 8 mesi trattate con Sling Transotturatoria a direzione out-in: valori di
cutoff di VLPPcap > 60 cmH2O e MUCP > 40 cmH2O hanno una sensibilità dell’83% (0.55, 0.95) e
specificità del 79% (0.67, 0.88) (54).
Al contrario Costantini e coll. in un gruppo di 59 pazienti con follow-up nettamente superiore (46
mesi) trattate con la stessa metodica, utilizzando gli stessi cutoff per VLPP e MUCP non trovano
alcuna correlazione significativa dei test con il fallimento chirurgico (55).
In conclusione il dato ad oggi forse più significativo viene espresso dall’ Urinary Incontinence
Treatment Network. Nager e coll. riportano uno studio di confronto randomizzato tra sling medio
uretrale Retropubica versus Transotturatoria. Su 565 pazienti seguite ad un anno riferiscono un
tasso di fallimento soggettivo del 43,4% (245/565) e oggettivo del 21,9% (124/565). Non
emergono valori di cutoff per VLPP e MUCP che correlino con il fallimento chirurgico, ma le
pazienti con valori di uno dei due test che ricadono nel quartile inferiore hanno un rischio doppio
di fallimento, indipendentemente dalla via di applicazione della sling. (56) Il tasso di fallimento
riportato da questo lavoro è particolarmente sfavorevole e si discosta dai dati medi della
letteratura. Forse questo elemento potrebbe fornire una chiave di lettura della scarsa predittività
dei test diagnostici ed in particolare dell’ALPP.

Effetti del trattamento sui valori di ALPP

E’ stato ampiamente documentato che il trattamento chirurgico della IUS modifica i valori di ALPP
sia nelle donne che negli uomini e che tali variazioni sono generalmente correlate con i risultati
terapeutici.
Gormley e coll. in adolescenti sottoposte a sling pubovaginale hanno osservato che i valori di ALPP
aumentavano all’infinito (57). Richardson e coll. hanno evidenziato che dopo iniezione
endoscopica di collagene un aumento significativo della stress leak point pressare (SLPP) era
correlato con la riuscita del trattamento (58). Bennett e coll. su 12 pazienti con ISD causata da
trauma midollare o mielodisplasia hanno osservato dopo iniezione di collagene un aumento della
ALPP in media di 57 cmH2O, associato ad un miglioramento della continenza urinaria (59). Petrou

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Urodinamica Clinica, Cap. 7 – Abominal Leak Point Pressure: Indicazioni e limiti UROSTAGES

e Broderick in pazienti sottoposte ad interventi di sling suburetrale hanno rilevato un aumento


post-operatorio significativo della VLPP solo nelle donne trattate con successo (52).
Sanchez-Ortiz e coll. hanno studiato retrospettivamente 31 uomini con IUS post-prostatectomia
radicale ed hanno osservato che una VLPP ≥ 60 cmH2O aveva un alto valore predittivo (70%) per
successo terapeutico dopo iniezione di collagene; ancora maggiore (81%) era il valore predittivo
negativo di una VLPP < 60 cmH2O (60). A loro volta Clemens e coll. hanno osservato che in pazienti
con IUS post-prostatectomia radicale i valori di ALPP aumentavano dopo sling bulbouretrale (61).
In conclusione, a differenza di quanto avviene per la MUCP dopo procedure anti-incontinenza
l’aumento della VLPP è correlato al miglioramento clinico.

Indicazioni e limiti

La misurazione della ALPP trova indicazione, specialmente nelle donne, in associazione ai classici
parametri clinici, per diagnosticare il tipo di incontinenza urinaria da sforzo, e in particolare per
individuare la presenza di una rilevante deficienza sfinterica intrinseca (suggerita da bassi valori di
ALPP), laddove un’incontinenza dovuta essenzialmente ad ipermobilità uretrale è associata ad alti
valori di ALPP.
In realtà, tale rigido schematismo con il tempo si è andato stemperando ed esiste oggi un’opinione
comune che nelle pazienti con incontinenza urinaria da sforzo c’è uno spettro continuo di
caratteristiche uretrali che vanno dalla pura ipermobilità uretrale con buona funzione uretrale
intrinseca fino all’uretra fissa con i gradi maggiori di insufficienza sfinterica (62). In questo spettro
continuo la misurazione dell’ALPP appare utile allo scopo di quantificare il grado di debolezza
sfinterica, fornendo indicazioni utili ai fini della scelta terapeutica. L’importanza di tali
informazioni appare ancor più evidente se si considera che le pazienti sottoposte a 3 o più
interventi di colposospensione falliti hanno una probabilità di successo di appena il 33% con
ulteriori procedure anti-incontinenza. Il primo intervento dovrebbe sempre essere la migliore
opportunità terapeutica e in questo contesto la VLPP potrebbe ottimizzare l’indicazione
terapeutica.
In epoca pre-TVT McGuire suggeriva che il riscontro preoperatorio di una ALPP relativamente alta
con ipermobilità uretrale potrebbe rafforzare l’indicazione ad interventi di colposospensione; una
ALPP bassa associata ad ipermobilità uretrale orienterebbe verso la scelta di un intervento di sling
suburetrale; infine, una ALPP molto bassa con uretra fissa potrebbe far propendere la scelta
terapeutica verso l’iniezione intrauretrale di bulking agents (2).
La letteratura che abbiamo esaminato offre dati estremamente controversi. Emerge certamente
un ruolo del test nel concorrere a definire più compiutamente le caratteristiche della singola
paziente; quanto poi alla possibilità di trarre indicazioni terapeutiche, non è possibile oggi
attribuire al test un potere discriminatorio tra le diverse procedure chirurgiche.

Conclusioni

E’ difficile trarre conclusioni definitive circa la capacità del test di definire la funzione e le
disfunzioni del meccanismo sfinterico uretrale. E’ peraltro indubbio che la misurazione dell’ALPP
non possa essere considerata come un singolo test per la diagnosi di insufficienza sfinterica
intrinseca, ma vada sempre valutata in combinazione con il quadro clinico e con gli altri dati
urodinamici e morfologici. I limiti della metodica, legati principalmente alla complessità delle

7
Urodinamica Clinica, Cap. 7 – Abominal Leak Point Pressure: Indicazioni e limiti UROSTAGES

variabili che influiscono sul test, possono essere affrontati soltanto grazie ad una stretta aderenza
ad una metodica standard, che riteniamo debba essere quella espressa nella più recente
standardizzazione congiunta IUGA-ICS (5).

8
Urodinamica Clinica, Cap. 8 – Profilo Pressorio Uretrale: valore clinico UROSTAGES

URODINAMICA CLINICA
CAPITOLO 8
Profilo Pressorio Uretrale: valore clinico
Premessa
L’utilizzazione del profilo pressorio uretrale (PPU) in ambito clinico è quanto mai controversa.
Infatti se da un lato questa metodica costituisce a tutt’oggi l’unica possibilità di misurazione
diretta della pressione presente all’interno del lume uretrale dall’altra non si possono non
evidenziare le perplessità che questa indagine desta sia in termini di attendibilità e sia in quelli di
riproducibilità dei risultati.

Incontinenza urinaria da sforzo nella donna

La misurazione del profilo pressorio uretrale (PPU) consente di effettuare una registrazione delle
pressioni intrauretrali a riposo e sotto sforzo. Purtroppo i parametri rilevati durante la
registrazione del PPU non consentono di correlare l’incontinenza con i valori pressori intrauretrali,
non permettendo quindi di dare una misurazione della severità di questa patrologia se non in casi
di marcata insufficienza sfinterica (1). D’altra parte risulta altrettanto evidente il fatto di non poter
disporre di un diverso metodo per la misurazione delle pressioni intrauretrali che non sia quello
identificabile con il PPU. Riportiamo di seguito l’utilità della metodica sia in condizione di
registrazione della pressione intrauretrale a riposo, sia nel corso della trasmissione della pressione
addomino-uretrale, ed infine durante la contrazione volontaria del piano perineale.

a) Profilo pressorio uretrale a riposo


E’ noto che la pressione di registrazione intrauretrale in condizioni statiche è direttamente
correlata alla pressione di chiusura presente lungo l’uretra stessa e che all’interno di quest’ultima
le variazioni pressorie sono estremamente elevate.

A questa condizione, infine, deve essere aggiunta anche la variazione della massima pressione di
chiusura intrauretrale (maximum urethral closure pressure, MUCP) in funzione dell’età rendendo
in tal modo estremamente ardua la definizione di un cut-off differenziativo tra soggetto
continente ed incontinente. Gli elementi precedentemente elencati ci orientano pertanto verso la
scarsa correlabilità tra incontinenza urinaria da sforzo e registrazione pressoria intrauretrale
statica se non in casi eclatanti compatibili con un’insufficienza sfinterica marcata ovvero con una
MUCP inferiore a 20 cm H2O.

b) Profilo pressorio uretrale dinamico


L’utilizzo di questo tipo di indagine risulta di poca utilità per le stesse criticità mosse per la
registrazione del profilo pressorio uretrale a riposo e che si possono identificare nei seguenti
punti:
- ampia sovrapposizione di risultati tra soggetti normali e coloro affetti da incontinenza
urinaria da sforzo (10,11,12);

1
Urodinamica Clinica, Cap. 8 – Profilo Pressorio Uretrale: valore clinico UROSTAGES

- Valore predittivo positivo della percentuale di trasmissione (PTR) addomino-uretrale pari al


53% circa (13);

c) Profilo pressorio uretrale in corso di contrazione volontaria del piano perineale


L’esecuzione di questo particolare di misurazione appare molto efficace per la valutazione
dell’attivazione della muscolatura del piano perineale ed in particolare per lo studio elettivo della
contrazione del muscolo pubo-coccigeo e l’eventuale presenza di co-contrazione addomino-
perineale o l’inversione di comando a carico del perineo stesso.

Incontinenza urinaria da sforzo maschile

L’incontinenza urinaria da sforzo maschile è di natura esclusivamente iatrogena e si identifica


nell’insufficienza sfinterica (IS). L’esecuzione di un PPU dinamico non possiede alcun significato
clinico nell’uomo affetto da IS a differenza invece del PPU statico che valuta la componente
sfinterica dell’uretra e sulla cui funzione di quest’ultima si fonda la continenza dopo
prostatectomia radicale (PR).
In questo contesto il PPU statico nel passato ha rappresentato l’unica indagine in grado di
correlare la pressione endouretrale con la funzione sfinterica dell’uretra e per diverso tempo una
ridotta pressione endouretrale si è sempre identificata con una riduzione della funzione sfinterica
mentre un’elevata pressione endouretrale con una soddisfacente funzione sfinterica uretrale. In
effetti anche se questa linea di principio può apparire razionale, tuttavia, esistono diverse
perplessità circa l’impiego del PPU statico dopo PR che si possono sinteticamente riportare nei
seguenti punti : a) E’ in grado il PPU di escludere una IS anche se in presenza di una rilevazione di
una pressione endouretrale > 20-25 H2O?; b) Qual è il significato clinico da attribuire ad un diverso
risultato di misurazione di due PPU in serie nello stesso paziente ? c) Quanto le caratteristiche
morfologiche della parete uretrale sono in grado di modificare l’esito della misurazione del PPU e
quanto invece l’attività della muscolatura intrinseca ed estriseca dell’uretra interferiscono sulla
reale registrazione pressoria endouretrale ? A questi interrogativi a tutt’oggi non siamo ancora in
grado di dare una risposta in quanto le variabili che caratterizzano questo sistema di misurazione
sono numerose.

Profilo pressorio uretrale nel paziente neurologico

II profilo pressorio uretrale (PPU) è di limitata utilità nel paziente neurologico. In effetti l’utilizzo di
tecniche di video-urodinamica e di elettromiografia del piano perineale consente nella maggior
parte dei casi una corretta valutazione del comportamento cervico-uretrale e sfinterico sia nella
fase di riempimento che in quella di svuotamento in soggetti con patologia neurologica. Tuttavia,
in particolari condizioni neurologiche, il PPU può essere utilizzato per valutare la funzionalità
(residua) dello sfintere.
È noto che, in caso di lesione completa o incompleta del cono midollare o delle radici sacrali e dei
nervi periferici, può evidenziarsi un quadro di incompetenza sfinterica (che può essere definita
areflessia sfinterica, in caso di assenza del riflesso di contrazione sfinterica con il progredire del
riempimento vescicale, in particolare ad elevati riempimenti. Tale condizione, caratterizzata da
deficit della forza contrattile del muscolo sfintere uretrale, può anche essere definita meccanismo

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Urodinamica Clinica, Cap. 8 – Profilo Pressorio Uretrale: valore clinico UROSTAGES

di chiusura uretrale incompetente, secondo la standardizzazione dell’International Continence


Society (ICS).
Una lesione del cono midollare può essere conseguente ad un danno traumatico, ad un accidente
vascolare o ad un processo espansivo oppure riconoscere una patogenesi infiammatoria/infettiva.
Il cono midollare è inoltre una delle possibili localizzazioni (20-30% dei casi) delle lesioni
(“placche”) della sclerosi multipla. Una lesione delle radici sacrali o dei nervi periferici può essere
causata da interventi chirurgici demolitivi (resezione addomino perineale o isterectomia), lesioni
traumatiche, diabete, ma anche da infezioni da Herpes Zoster e polineuropatie, fra cui la sindrome
di Guillan Barré (21).
In tutte le precedenti condizioni è possibile utilizzare il PPU, nelle sue varianti “statica” e
“dinamica”, per una valutazione delle pressioni endouretrali. I parametri da considerare saranno,
come nei soggetti di sesso femminile o maschile non neurologici, la pressione massima uretrale, la
pressione massima di chiusura uretrale, la lunghezza del profilo funzionale, il rapporto di
“trasmissione”. Per una descrizione dettagliata delle metodiche, si rimanda alla standardizzazione
delle tecniche di misurazione della pressione uretrale proposta dall’ICS.
Lo studio delle pressioni endouretrali con PPU è inoltre stato eseguito per valutare l’efficacia di
terapie volte a diminuire la contrattilità dello sfintere uretrale in caso di dissinergia
detrusore/sfintere. In tal senso, l’infiltrazione di tossina botulinica a livello delle fibre muscolari
striate dello sfintere, costituisce una valida alternativa alla tradizionale sfinterotomia, con il
vantaggio/svantaggio della reversibilità degli effetti. L’effetto della tossina può essere confermato
da una riduzione dei valori di pressione di chiusura uretrale del PPU.
In conclusione, è possibile affermare che se, come affermato all’inizio del paragrafo, il PPU non è
un esame frequentemente utilizzato nel paziente neurologico, d’altro canto un suo impiego in tale
categoria di pazienti non può essere escluso e potrebbe trovare indicazione in alcune condizioni.

Profilo pressorio uretrale e abdominal leak point pressure

Il profilo pressorio uretrale (PPU) e l’abdominal leak point pressure (ALPP) vengono considerati
come le uniche metodiche utili nella valutazione della competenza sfinterica uretrale.
Ma che cosa misurano queste due metodiche? Quali sono i vantaggi e limiti di ciascuna di esse? I
loro risultati sono sempre concordanti o possono essere divergenti? L’obiettivo del presente
paragrafo è di cercare di chiarire tali argomenti.
Che cosa misura il PPU? Si ritiene che la pressione di chiusura uretrale valuti non solo la tonicità
dello sfintere uretrale, ma anche quella dell’intero piano perineale . La misurazione del PPU statico
sarebbe quindi funzione non solo della pressione intra-luminale ma della tonicità dell’uretra.
Esperimenti su modelli animali sembrano dimostrare che tale tonicità sia dovuta per il 90% alla
muscolatura striata e liscia periuretrale (in parti uguali) e per il restante 10% al tessuto connettivo.
Il PPU dinamico valuta, d’altra parte, la trasmissione delle pressioni addominali a livello uretrale; in
altre parole registra l’incremento di pressione uretrale che si verifica sotto sforzo, come
percentuale del corrispondente incremento di pressione addominale. La trasmissione della
pressione addominale è in relazione alla ipermobilità/dislocazione uretrale, causata da un
indebolimento del supporto uretrale: maggiore sarà l’ipermobilità, minore la trasmissione.
L’ALPP, invece, misura la minor pressione intra-addominale capace di produrre un episodio di
incontinenza urinaria, durante uno sforzo: in altre parole è un indicatore della capacità dei
meccanismi sfinterici uretrali di resistere all’incremento di pressione endovescicale, causato

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Urodinamica Clinica, Cap. 8 – Profilo Pressorio Uretrale: valore clinico UROSTAGES

dall’aumentare delle pressioni intra-addominali sotto sforzo. Maggiore sarà l’ALPP, quindi,
maggiore la validità sfinterica. Lungi dal misurare caratteristiche uretrali, quali la tonicità o
l’ipermobilità/dislocazione (come nel caso del PPU), l’ALPP valuta quindi in modo diretto a quale
livello di sforzo l’uretra possa resistere e a quale, invece, non sia in grado di opporsi, con
conseguente manifestazione di incontinenza urinaria. È quindi tutto sommato giustificato definire
l’ALPP come una misura dell’incompetenza uretrale.
È stato ipotizzato che l’ALPP, almeno se valutato durante colpo di tosse (Cough Leak Point
pressure -CLPP-), sia dipendente dalla trasmissione delle pressioni addominali, dalla pressione
endovescicale e dalla massima pressione di chiusura uretrale. In altre parole, curiosamente, l’ALPP
potrebbe essere interpretato come una sorta di summa dei risultati registrati con le diverse forme
di PPU, essendo dipendente dal fattore “trasmissione di pressione addominale” e dal fattore
“massima pressione di chiusura uretrale”.
Avendo analizzato quali siano i parametri misurati dai due tests, risulta più facilmente
comprensibile il fatto che i loro risultati non siano sempre concordi. In effetti è stato dimostrato
che vi è una scarsa correlazione fra massima pressione di chiusura uretrale (MUCP) e ALPP,
sebbene un basso valore di ALPP sia spesso registrato in pazienti con bassi valori di MUCP. È stato
comunque anche osservato come pazienti con MUCP elevati perdano le urine a bassi valori di
ALPP; inoltre l’ALPP appare correlato alla gravità dell’incontinenza urinaria del paziente, ma
altrettanto è vero per il MUCP solo secondo alcuni autori, mentre per altri non lo è. Infine, i valori
di ALPP risultano significativamente modificati dopo interventi di correzione per incontinenza “da
sforzo”, mentre i valori di MUCP non sembrano cambiare in modo altrettanto evidente; il MUCP
appare invece correlarsi all’età della paziente.
La standardizzazione dell’International Continence Society (ICS) sulla misurazione delle pressioni
uretrali (41) si conclude affermando quanto segue sul PPU:
non è in grado di discriminare l’incompetenza uretrale da altre forme di incontinenza urinaria “da
sforzo” non dà una valutazione della gravità della condizione non è indicatore del successo della
terapia chirurgica non varia in modo significativo dopo chirurgia rimane sostanzialmente uno
strumento per la ricerca ma non per la clinica.
Il limite dell’ALPP, d’altra parte, è proprio nella mancanza di una standardizzazione nella sua
esecuzione: è ben noto che la tecnica è condizionata da alcune variabili, quali la posizione del
paziente, il riempimento vescicale, il tipo di sforzo eseguito (tosse o Valsalva), la dimensione del
catetere, il modo di azzerare le pressioni prima del test, la scelta di valutare la pressione
addominale o quella vescicale. Inoltre l’ALPP non sempre è ottenibile: non tutte le pazienti con
incontinenza “da sforzo” mostrano una fuga di urine durante il test e alcune non riescono a
produrre una pressione intra-addominale uguale o superiore a 60 cmH2O.
Ritorniamo però al punto di partenza: che cosa misurano il PPU e l’ALPP?
Se il PPU statico valuta la tonicità dell’uretra, e quindi non solo la tonicità dello sfintere uretrale,
ma anche quella dell’intero piano perineale, il PPU dinamico valuta la trasmissione delle pressioni
addominali a livello uretrale, a sua volta in relazione all’ipermobilità/dislocazione cervico-uretrale,
causata da un indebolimento del supporto uretrale. Un danno del supporto uretrale può produrre,
oltre che l’ipermobilità, una denervazione dei muscoli perineali e dello sfintere uretrale, con
conseguente diminuzione della tonicità sfinterica e riduzione della MUCP. Esisterà quindi uno
spettro di situazioni ai cui estremi si troveranno, da un lato, la sola ipermobilità in assenza di
denervazione e quindi di deficit sfinterico e, dall’altro, il solo deficit sfinterico in assenza di
ipermobilità. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, entrambe le condizioni saranno presenti.

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Urodinamica Clinica, Cap. 8 – Profilo Pressorio Uretrale: valore clinico UROSTAGES

L’ALPP, che, come precedentemente descritto, è dipendente dalla trasmissione delle pressioni
addominali e dalla massima pressione di chiusura uretrale, sarà ridotto in caso di riduzione di tali
parametri. Spesso un ALPP ridotto è un segnale che può far ipotizzare la presenza i una “low
pressure urethra”, ossia di un MUCP ridotto; spesso un ALPP ridotto è presente in pazienti con
deficit sfinterico intrinseco. Per una precisa diagnosi eziologica del tipo di incontinenza “da sforzo”
presente nella singola paziente, tuttavia, molti fattori dovranno essere considerati: parametri
urodinamici (MUCP, ALPP, rapporto di trasmissione) e parametri clinici (ipermobilità uretrale,
gravità delle perdite, anamnesi della paziente). Solo dall’attenta analisi di tali fattori si potrà
ricavare un’accurata diagnosi e quindi un trattamento appropriato.

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Urodinamica Clinica, Cap. 9 – Videourodinamica: Quando? UROSTAGES

URODINAMICA CLINICA
CAPITOLO 9
Videourodinamica: Quando?
Per cercare di formulare una risposta ben definita alla domanda contenuta nel titolo di questo
capitolo occorre superare una serie di difficoltà legate principalmente alla distinzione fra:
1) risposte ben codificate a precise domande, derivanti dalla cosiddetta Medicina Basata
sull’Evidenza (EBM),
2) risposte meno definite che riflettono i nostri comportamenti abituali, basati sulle nostre
opinioni personali, peraltro condivise da molti esperti in un determinato ambito della medicina (
Medicina basata sull’Opinione o OBM).
I dati della EBM derivano da un processo di revisione, quanto mai serio, corretto ed accurato,
condotto da un gruppo ristretto di esperti, di quasi tutti i lavori scientifici (vengono presi in
considerazione soltanto quelli pubblicati in lingua inglese) su un determinato argomento. Tali
informazioni consentono di esprimere un giudizio preciso sulla reale efficacia di una terapia e sulla
utilità clinica di una metodica diagnostica. Tutto questo è molto giusto ed attuale e sicuramente
deriva dalla affermazione delle due grandi protagoniste del secolo XX, la scienza e la democrazia,
che hanno condotto al passaggio da una medicina basata sull’autorità ( l’efficacia di una metodica
terapeutica o diagnostica era garantita dall’autorità del grande medico, forte di una buona
conoscenza fisiopatologica del problema e di una grande esperienza e quindi di una incontestabile
credibilità) ad una medicina basata sulle prove oggettive di efficacia. Ma proprio i principi di una
buona Scienza e di una giusta Democrazia non possono non tenere in debita considerazione
anche i dati e le informazioni che derivano dalla Medicina basata sulle Opinioni (quella che
qualcuno chiama la Real Life Practice, RLP). I dati della RLP, sebbene non consentano di esprimere
un giudizio definitivo ed assoluto sulla reale efficacia di una terapia e sulla utilità di una metodica
diagnostica, permettono di formulare un giudizio globale, e quindi di maturare una opinione, sulla
validità anche a lungo termine di una terapia e sulle conseguenze che il risultato di un esame
diagnostico ha sulla gestione del paziente.
Allo stato attuale non esiste un testo che spieghi in quali pazienti la videourodinamica possa
essere realmente utile e perché. Provocatoriamente potremmo quindi affermare che la
videourodinamica non serve a nulla sino a prove contrarie.

Sul testo della 4th International Consultation on Benign Prostatic Hyperplasia del 1997, nel
capitolo dedicato all’Urodinamica esiste un paragrafo dedicato alla videourodinamica ed in esso si
legge: “…there is no evidence that video adds clinical benefit, beyond that given by pressure flow
studies, in elderly men with suspected BPO”. Tale affermazione, nel suo rigore assoluto, solleva
immediatamente una domanda cui dovremmo tentare di rispondere sulla base delle nostre
opinioni personali: “…e quando si sospetta una ostruzione nel paziente giovane?”. Sul testo della
5th International Consultation on Benign Prostatic Hyperplasia del 2000, nel capitolo
sull’urodinamica, scritto dallo stesso autore (P. Abrams), non esiste più il paragrafo dedicato alla
videourodinamica.

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Urodinamica Clinica, Cap. 9 – Videourodinamica: Quando? UROSTAGES

Nel capitolo sulla Videourodinamica del precedente Volume di questo testo (Urodinamica Clinica,
Vol.1, Tecniche) avevamo scritto che: “Nei disturbi minzionali che suggeriscono una possibile
ostruzione nell’uomo giovane, la radio-urodinamica è il solo esame in grado di dimostrare o
escludere un’ostruzione funzionale od organica del collo vescicale (mancata, ritardata o difettosa
apertura del collo in presenza di una valida contrazione detrusoriale)”.
In questo capitolo ci permettiamo di riportare un caso clinico emblematico nel quale l’esecuzione
dell’esame radiourodinamico ha consentito di pervenire ad una diagnosi corretta e quindi ha
condizionato la terapia.
Caso clinico: Giovane paziente di 24 anni che giunge alla nostra attenzione affetto da ritenzione
urinaria completa, presente da due anni e per la quale esegue cateterismi ad intermittenza. Una
valutazione urodinamica standard dimostra una condizione di acontrattilità detrusoriale in vescica
a normale compliance e normale sensibilità. Gli accertamenti di carattere neurologico e
neurofisiologico sono tutti negativi. Viene quindi eseguito un Test di Contrattilità Detrusoriale
(TCD) in anestesia generale onde valutare le potenzialità residue di contrattilità del detrusore. Il
TCD consiste in una stimolazione percutanea di tutti i nervi sacrali utilizzando parametri per
l’elettrominzione (30-40 Volts, 30 Hz, 210 microsec), sotto controllo cistomanometrico e con
contemporanea registrazione della pressione addominale tramite sonda rettale. Un primo TCD
documenta una valida contrazione della vescica e dell’ampolla rettale ottenibile con la
stimolazione diretta di S3 bilateralmente.
Le ipotesi diagnostiche che ne derivano sono quindi le seguenti:
1) scompenso idiopatico miogeno del detrusore
2) ostruzione congenita del collo vescicale con inibizione della contrazione detrusoriale.
Nel primo caso è possibile prendere in considerazione un ciclo di stimolazioni elettriche
intravescicali (IVES) o una neuromodulazione sacrale (NMS).
Nel secondo caso è possibile porre le indicazioni ad un intervento endoscopico disostruttivo.
Abbiamo quindi ripetuto il TCD sotto controllo radio-urodinamico [foto 1]. Il test ha dimostrato
che alla valida contrazione detrusoriale, ottenuta con la elettrostimolazione di S3, non corrisponde
l’apertura del collo vescicale. Viene quindi posta la diagnosi di ostruzione cervicale ed il paziente è
stato sottoposto ad intervento endoscopico disostruttivo che ha determinato la risoluzione
completa della condizione ritentiva.

Maggiore è l’evidenza scientifica a proposito della utilità clinica della videourodinamica nello
studio delle disfunzioni vescico-sfinteriche neurologiche del bambino e dell’adulto. Nel Report ICS
intitolato “The standardisation of terminology in neurogenic lower urinary tract dysfunction” la
videourodinamica viene indicata come l’esame diagnostico invasivo di prima scelta: “ Video
urodynamics: when combined with cystometry and pressure measurement during micturition
probably the most comprehensive investigation to document the lower urinary tract function and
morphology. In this combination the first choice of invasive investigations ”. Nelle Linee Guida
dell’EAU (European Association of Urology), nel capitolo dedicato alle disfunzioni neurologiche, la
videourodinamica viene definite il gold standard: ” Video urodynamics: This combination of filling
cystometry and pressure flow study with imaging is the gold standard for urodynamic
investigation in NLUTD (neurogenic lower urinary tract dysfunction).”
Nel capitolo sulla Videourodinamica del precedente volume di questo testo ( Urodinamica Clinica,
Volume 1, Tecniche) avevamo definito le disfunzioni neurologiche come l’indicazione principale
della videourodinamica; in questo capitolo ci limitiamo a riportare due casi clinici per i quali la

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Urodinamica Clinica, Cap. 9 – Videourodinamica: Quando? UROSTAGES

videourodinamica ha consentito una diagnosi appropriata, costituendo un elemento diagnostico di


orientamento terapeutico insostituibile.
Caso clinico: Paziente tetraplegico di 29 anni che giunge alla nostra attenzione provenendo da
un’altra regione, dove era stato sottoposto alcuni mesi prima ad un intervento di sfinterotomia,
avendo l’urodinamica standard dimostrato una condizione di dissinergia detrusore-sfintere striato.
Il paziente presenta fughe riflesse di urina e minge con la percussione sovrapubica ogni tre ore.
Sono presenti importanti crisi di disreflessia autonoma che compaiono a vescica piena, frequenti
episodi di infezione urinaria sintomatica ed il paziente viene sottoposto a due cateterismi
giornalieri per una condizione di parziale ritenzione (R.V. di circa 200ml.). Viene quindi effettuata
una valutazione radio-urodinamica che dimostra la quasi completa risoluzione della dissinergia
detrusore-sfintere striato (nonostante l’evidente incremento dell’attività elettromiografica l’uretra
membranosa si apre in maniera sinergica rispetto alla contrazione detrusoriale, anche se di
aspetto filiforme), [foto 2] la presenza di una evidente dissinergia detrusore-collo (ritardata e
difettosa apertura del collo) ed un reflusso vescico-ureterale monolaterale che diviene completo
in occasione della contrazione detrusoriale. Il paziente viene quindi sottoposto ad intervento
endoscopico di re-sfinterotomia e di sezione del collo vescicale. L’intervento ha determinato la
risoluzione della condizione ritentiva e della disreflessia autonoma. Anche gli episodi sintomatici di
infezione urinaria si sono notevolmente ridotti.
Caso clinico: Ragazza di 24 anni con mielomeningocele, esegue quattro autocateterismi al giorno
con incontinenza urinaria fra un cateterismo e l’altro, nonostante l’assunzione di terapia
farmacologia antimuscarinica (una precedente valutazione urodinamica standard aveva
documentato una condizione di iperattività detrusoriale in presenza di resistenze uretrali
conservate). La paziente viene quindi sottoposta ad una valutazione radio-urodinamica che
dimostra una condizione di evidente incompetenza cervicale (collo aperto già ad uno scarso grado
di riempimento ed in assenza di incremento della pressione vescicale) [foto 3] e la comparsa, a
gradi maggiori di riempimento, di piccole onde di contrazioni detrusoriali, in occasioni delle quali
tutta l’uretra si apre. Sulla base di tale referto la paziente viene sottoposta, nel corso di una stessa
seduta endoscopica, ad infiltrazione intrauretrale di collagene bovino ed infiltrazione
intradetrusoriale di tossina botulinica, con risoluzione dell’incontinenza.

Nel capitolo “Imaging and other Invetigations” della 2nd International Consultation on
Incontinence (ICI 2002) la videourodinamica viene definita “…the gold standard for evaluating
post-prostatectomy urinary incontinence ” in quanto è in grado al tempo stesso di identificare la
presenza non infrequente di una stenosi anastomotica e di definire la fisiopatologia
dell’incontinenza. Nel capitolo sulla videourodinamica del precedente volume di questo testo
(Urodinamica Clinica, volume 1, tecniche) avevamo sottolineato come soltanto con la
videourodinamica sia possibile valutare con precisione il VLPP nell’uomo ( e quindi la gravità del
deficit sfinterico), individuando l’esatto momento in cui, durante la manovra di Valsalva, il mezzo
di contrasto passa oltre l’uretra membranosa [foto 4]. A questo punto occorre però chiedersi:
perché è importante valutare la gravità del deficit sfinterico? Oggi nei confronti dell’incontinenza
urinaria maschile da sforzo abbiamo a disposizione diverse modalità terapeutiche chirurgiche,
quali la bulking infiltrativa, l’intervento di PRO-ACT, le sling sottouretrali e lo sfintere artificiale. La
scelta di una tecnica piuttosto che un’altra non deriva soltanto dalla invasività dei differenti
interventi chirurgici e dalle loro rispettive probabilità di successo, ma anche dal grado di gravità
del problema. Il giudizio di gravità è al tempo stesso clinico (grado dell’incontinenza) ed

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Urodinamica Clinica, Cap. 9 – Videourodinamica: Quando? UROSTAGES

urodinamico. Così come sarebbe assurdo proporre l’impianto di uno sfintere artificiale in una
incontinenza di lieve gravità, sarebbe altrettanto sbagliato ricorrere ad una infiltrazione
intrauretrale in caso di incontinenza grave.

Nella donna non neurologica la videourodinamica può essere utile sia nei casi di sospetta
ostruzione che nei casi di incontinenza urinaria. Nel primo caso la valutazione urodinamica
standard è in grado soltanto di documentare una condizione ostruttiva ma difficilmente evidenzia
con chiarezza la sede e la natura dell’ostruzione, sia perchè questa, se pur raramente, può essere
localizzata a livello cervicale ( e quindi documentabile soltanto con la videourodinamica) [foto 5] e
sia perché, in particolare nella donna, l’emg dello sfintere uretrale non è sempre effettuabile e/o
attendibile. Nella pratica clinica, di fronte ad una donna con sintomi della fase di svuotamento
l’urodinamica standard può documentare una condizione di acontrattilità detrusoriale sulla cui
base è giustificato impostare una terapia adeguata. In caso contrario (presenza della contrazione
detrusoriale) occorre ricorrere alla videourodinamica.
Nel capitolo della videourodinamica del precedente volume di questo testo (Urodinamica Clinica,
Volume 1. Tecniche), in accordo con quanto sostenuto dalla ICI, avevamo scritto che nelle forme
recidive di incontinenza urinaria femminile ed in quelle di più difficile inquadramento l’esame
radio-urodinamico riduce il numero dei casi in cui non è possibile identificare la causa del
problema. In questo capitolo riportiamo un caso clinico di incontinenza recidiva per la quale la
videourodinamica ha consentito una diagnosi più precisa ed ha quindi orientato la nostra scelta
terapeutica.
Caso clinico: signora di 53 anni affetta da una forma mista di incontinenza urinaria, con prevalenza
della componente da sforzo. L’ecografia perineale documenta una condizione di ipermobilità
uretrale; l’esame urodinamico dimostra una condizione di modesta iperattività detrusoriale
(contrazioni involontarie del detrusore che compaiono a gradi maggiori di riempimento e dopo
ripetuti colpi di tosse) ed una incontinenza da sforzo urodinamica (MPCU: 65 cm/H2O; VLPP: 90
cm/H2O). Alla paziente viene quindi prescritta una terapia antimuscarinica che risolve totalmente
il sintomo dell’incontinenza da urgenza, mentre persiste il sintomo incontinenza da sforzo,
associato ad una modesta urgenza minzionale. La paziente viene quindi sottoposta ad intervento
chirurgico di TVT-O. Alle dimissioni la signora non è più incontinente e svuota bene la vescica. Al
controllo dopo tre mesi la signora si dichiara non soddisfatta in quanto, pur non essendo più
presenti episodi di incontinenza da sforzo, persiste una certa urgenza minzionale (pur continuando
ad assumere la terapia antimuscarinica) e sono presenti alcune fughe di urina non percepite
(soprattutto quando resta per molto tempo in piedi o quando passa dalla posizione seduta a
quella ortostatica o ancora quando compie alcuni movimenti come quello di salire in macchina).
L’esame clinico è negativo, l’ecografia perineale documenta una buona posizione della benderella
e viene esclusa la presenza di residuo vescicale. Viene quindi eseguita una valutazione radio-
urodinamica in ortostatismo. L’esame documenta una condizione di evidente incompetenza
cervicale (collo aperto in assenza di incremento della pressione addominale ed a detrusore
stabile), [foto 6] in presenza di una urgenza minzionale che compare a 150 ml ma in assenza di
iperattività detrusoriale; le prove da sforzo ed il VLPP sono negativi. La paziente viene quindi
sottoposta a bulking infiltrativa intrauretrale con risoluzione quasi completa dei sintomi.

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Urodinamica Clinica, Cap. 9 – Videourodinamica: Quando? UROSTAGES

Conclusioni

In questo capitolo, a rinforzo di quanto già scritto nel precedente volume di questo testo
(Urodinamica Clinica, Volume 1, Tecniche) sono state fornite alcune “informazioni” il cui grado di
validità (Level of Evidence) non supera il livello 5 di Oxford e quindi anche le raccomandazioni che
ne derivano non sono forti. Nella consapevolezza che l’applicazione dei livelli di evidenza/gradi di
raccomandazione alle metodiche diagnostiche è certamente più complessa rispetto alle
metodiche terapeutiche, abbiamo cercato, anche con il ricorso ad alcuni casi clinici emblematici, di
sottolineare l’aspetto della “ rilevanza clinica” che la videourodinamica può avere nella pratica
clinica. In alcune situazioni disfunzionali, come ad esempio quelle neurologiche, la
videourodinamica può in effetti assumere il significato di elemento diagnostico in grado di
orientare e condizionare significativamente la strategia terapeutica ed in tale senso il consiglio, se
non la raccomandazione, di ricorrere ad essa è forte.

DIDASCALIA IMMAGINI
Foto 2: Ampia contrazione detrusoriale con evidente dissinergia elettromiografica (tracciato EMG
a fondo scala). L’immagine fluoroscopica dimostra un atteggiamento non dissinergico dell’uretra
membranosa (che appare però filiforme). Collo vescicale rigido (le immagini precedenti avevano
dimostrato anche un ritardo di apertura del collo).

Foto 1

Foto 1: videourodinamica in corso di TCD,


ampia risposta contrattile del detrusore
(canale della pressione rettale non
utilizzato) in corso di stimolazione, collo
chiuso

Foto 2
Foto 2: Ampia contrazione detrusoriale con evidente
dissinergia elettromiografica (tracciato EMG a fondo
scala). L’immagine fluoroscopica dimostra un
atteggiamento non dissinergico dell’uretra
membranosa (che appare però filiforme). Collo
vescicale rigido (le immagini precedenti avevano
dimostrato anche un ritardo di apertura del collo).

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Urodinamica Clinica, Cap. 9 – Videourodinamica: Quando? UROSTAGES

Foto 3

Foto 3: Incompetenza cervicale: collo aperto


in assenza di incremento della pressione
vescicale ed a detrusore stabile.

Foto 4

Foto 4: VLPP nell’uomo: positivo a 112


cmH2O, passaggio del m.d.c. oltre l’uretra
membranosa. Occorre rilevare come il
tracciato flussometrico non presenti alcune
segnale: senza l’ausilio radioscopico il VLPP
sarebbe stato interpretato come negativo.

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Urodinamica Clinica, Cap. 9 – Videourodinamica: Quando? UROSTAGES

Foto 5

Foto 5: ostruzione nella donna. Ampia


contrazione detrusoriale con mancata apertura
del collo vescicale ed aspetto filiforme di tutta
l’uretra.

Foto 6

Foto 6: incompetenza cervicale, già ad un


modesto grado di riempimento il collo appare
aperto, in assenza di contrazione detrusoriale.

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Urodinamica Clinica - Bibliografia UROSTAGES

URODINAMICA CLINICA
Bibliografia

Capitolo 1:

1) P.Abrams, L. Cardozo, M. Fall, D. Griffiths, P. Rosier, U. Ulmsten, P. van Kerrebroek, A.


Victor and A. Wein. The Standardisation of Terminology of Lower Urinary Function: Report
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Neurourol Urod 21:167-178, 2002.
2) 2nd International Consultation on Incontinence, Paris, July 1-3, 2001. Edito da P. Abrams, L.
Cardozo, S. Khoury, A. Wein. 2 nd Edition 2002.

Revisione a cura di S. Sandri

Capitolo 2:

1) Abrams P, Cardozo L, Khouri S, Wein A (eds). Incontinence, Vol 2, Management. Paris,


Health Publication Ltd, 2009.
2) Monitillo V, Nardulli R. Esame obiettivo neurofisiatrico. In: Di Benedetto P, Pesce F.
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Revisione a cura di: M. Soligo

Capitolo 8:

Revisione a cura di: E. Finazzi Agrò

Capitolo 9:

Revisione a cura di: R. Carone

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