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1.

CICLO MESTRUALE, OVARICO E ORMONI SESSUALI FEMMINILI


Il ciclo MESTRUALE o uterino è l’intervallo di tempo che intercorre tra una mestruazione e la
successiva.
L’inizio di ogni ciclo è caratterizzato dalla mestruazione: perdita di sangue e tessuto dalla
superficie della parete endometriale. Alla mestruazione seguono la fase proliferativa e la
fase secretoria.
Il ciclo mestruale è presente per tutta la vita fertile della donna. Inizia intorno ai 12-13 anni, o
in maniera precoce 9-10 o più tardiva e termina con la menopausa intorno ai 50 anni.
La mestruazione è una gravidanza mancata, a sfaldarsi è il terreno “lavorato” dagli ormoni e
reso fertile su cui non ha attecchito l’ovulo fecondato: la decidua ispessita.
L’endometrio è ricchissimo di recettori per ormoni androgeni, estrogeni e progesterone.

L’ipofisi secerne le due principali gonadotropine: LH ed FSH.


L’FSH ha una produzione ciclica, molto ampia e variabile durante il ciclo ovarico.
L’LH ha una produzione abbastanza costante che si definisce “pulsatilità spontanea di LH”
(per pulsatilità si intende che l’ormone ha rialzi ben codificati nel tempo, ad esempio in una
donna in età fertile ogni 60-90 minuti abbiamo 3 picchi di LH; quando questa pulsatilità
manca del tutto o è disordinata il ciclo ovarico subisce delle modifiche o si blocca del tutto).
Nei primi mesi dopo la nascita l’LH ha bassi livelli. Durante la pubertà cominciano i picchi
notturni di LH, sino ai rialzi fisiologici in età adulta.
L’FSH alla nascita ha dei rialzi, nell’infanzia assume una secrezione tonica nulla e con la
pubertà analogamente all’LH inizia ad avere una pulsatilità, non basale ma dipendente dai
meccanismi di feedback periferici agli estrogeni.

Gli ormoni estrogeni vengono prodotti dai precursori androgeni formatisi nella steroidogenesi
a livello tecale e stromale dell’ovaio. La steroidogenesi è un processo LH dipendente.
A livello della granulosa gli androgeni vengono convertiti in estrogeni grazie all’enzima
aromatasi (nella PCOS l’ovaio produce un numero aumentato di ormoni maschili, con
fenomeni di acne, irsutismo, anovulazione, ecc.).

Dai centri corticali la produzione ormonale viene regolata costantemente anche sulla base di
stimoli esterni (alimentazione, stress, stile di vita), che intervengono sull’asse
ipotalamo-ipofisi-gonadi.
L’ipotalamo rilascia CRF, TRH e GnRH che stimola la produzione di LH ipofisario (quindi per
il feedback positivo degli estrogeni sull’ipofisi, anche l’FSH verrà prodotto) e la
concentrazione di estrogeni causerà la contro-regolazione a livello superiore.

Nel ciclo OVARICO si distinguono diverse fasi:


1. fase FOLLICOLARE: Durante la mestruazione avviene il reclutamento follicolare,
circa 15 follicoli primordiali vengono reclutati in un periodo variabili di circa 7 giorni.
Entro solitamente 15 giorni dalla fine della mestruazione il follicolo dominante
raggiunge la maturità facendo scattare la fase successiva. Questo periodo è
totalmente sotto l’influsso ormonale di FSH che permette l’accrescimento di questi
follicoli.
I follicoli primordiali contengono gli ovociti primari, cellule caratteristiche della vita
fetale che si sono fermate alla meiosi I.
I follicoli via via aumentano il loro volume, si riempiono di liquido follicolare e si
ingrossano fino a superficializzarsi. La maturazione di questi follicoli causa l’aumento
degli estrogeni, per la loro produzione, e un feedback negativo che blocca la
secrezione di GnRH: l’FSH ha i suoi recettori nelle cellule della granulosa ovarica e
stimola l’attività aromatasica, gli estrogeni formatisi determinano la comparsa di
recettori FSH ed LH aumentando ancor di più l’attività dell’aromatasi. I follicoli con
pochi recettori per l’FSH andranno incontro ad atresia quando cala la quota di FSH.
2. fase OVULATORIA: corrisponde alla rottura del follicolo, momento LH dipendente. Il
follicolo si rompe rilasciando nello scavo pelvico l’ovocita con cumulo ooforo. Ciò che
resta del follicolo diventa corpo luteo: produttore di progesterone.
3. fase LUTEINICA: il corpo luteo va incontro a fisiologica regressione dopo dieci giorni,
quando cala il picco di progesterone e si rialzano i livelli di FSH ed LH, con l’avvio di
un nuovo ciclo. Il progesterone provoca l’aumento della temperatura a livello locale,
per questo si usa misurare la temperatura vaginale al mattino per constatare se è
avvenuta l’ovulazione.

2. PUBERTA’
La pubertà è il completamento del processo di maturazione sessuale che iniziava già
durante la vita fetale in cui si assiste a modificazioni fisiche e neuropsicologiche importanti.
Il menarca, ovvero la prima mestruazione è solo l’epilogo della pubertà che è meglio definita
dalla “growth spurt” (con maturazione ossea e aumento staturale e ponderale, grazie a GH
ed insulina), passaggio dalla sterilità alla fertilità e acquisizione della libido.

Durante la vita fetale si verifica, intorno alla 7-8 settimana di vita, la differenziazione
sessuale XX, XY a seguito di un picco ormonale androgenico o estrogenico (un insulto
farmacologico durante questo periodo può condurre a pseudoermafroditismo, feti nati - morti
- prima del 3 mese dove il picco di GnRH non c’era stato, manca una differenziazione
sessuale). Dopo di cui per tutta la prima infanzia abbiamo una “pausa giovanile” che sarà
interrotta dalla pubertà.
Essa inizia quando un gruppo di neuroni ipotalamici, il “gonadostato”, situati probabilmente a
livello del nucleo arcuato si risvegliano (sotto influenza di insulina, estradiolo, leptina) e
producono GnRH attivando l’asse gonadotropico.
L’inibizione di questi neuroni è naturalmente spiegato dal fatto che l’organismo deve essere
pronto per la conduzione di una gravidanza prima di tutto fisicamente: è necessario che si
raggiunga un peso minimo di 45kg (a prova di ciò, l’asse riproduttivo di soggetti gravemente
sottopeso, affetti da anoressia o altri disturbi del comportamento alimentare hanno un asse
riproduttivo prepuberale).

Nel periodo prepuberale l’ipofisi secerne LH ed FSH senza essere stimolata dal GnRH, e la
secrezione ormonale è episodica, non pulsatile. Quando inizia la secrezione di LH ed FSH
regolamentata dall’ipotalamo, si da il via al GONADARCA: maturazione delle gonadi.
La maturazione delle gonadi si accompagna alla maturazione della ghiandola surrenale :
ADRENARCA (precede di circa 2 anni il gonadarca) che produce DEHA, DEHA solfato e
androstenedione, tutti ormoni androgeni (l’iperplasia surrenale congenita secondaria a deficit
della 21-idrossilasi, è caratterizzata da pubertà precoce falsa, in cui si ha pubarca senza
telarca).
Quindi inizia lo sviluppo mammario, TELARCA, e dei peli pubici ed ascellari, PUBARCA e
IRCARCA.
Le ovaie cominciano ad aumentare di volume ed ecograficamente acquisiscono un aspetto
policistico per l’apparizione dei follicoli, mentre l’utero aumenta il volume del corpo uterino
acquisendo la forma di un bulbo e infine di pera rovesciata.
In ultimo compare la prima mestruazione: il MENARCA, simbolo di completa maturazione
dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi.

3. MENOPAUSA
Il CLIMATERIO è un periodo di transizione della durata variabile durante cui si riduce
progressivamente la capacità riproduttiva femminile fino alla menopausa.
Si tratta di un processo fisiologico che la donna attraversa e che si manifesta in modo
diverso da donna a donna.
Per la definizione di MENOPAUSA occorre che la cessazione delle mestruazioni duri da 12
mesi e che essa derivi dall’esaurimento del patrimonio follicolare ovarico.
In questo caso si parla di menopausa SPONTANEA. La sua insorgenza varia intorno ai 50
anni di età, e si definisce PRECOCE se avviene prima dei 40 anni.
Le cause non fisiologiche di menopausa comprendono:
- la rimozione chirurgica di entrambe le ovaie con o senza isterectomia
- la soppressione iatrogena secondaria a chemio o radioterapia
Pre-menopausa iniziale -> è caratterizzata da diminuzione lieve di inibina con aumento
dell’FSH, mentre sono ancora normali i livelli di estrogeni ed i cicli sono ovulatori.
Pre-menopausa avanzata -> i livelli di estrogeni cominciano a diminuire (il 17 beta
estradiolo, prodotto per il 90% dall’ovaio durante l’età fertile, con la menopausa è prodotto
prevalentemente da tessuti extra ovarici come il tessuto adiposo e a più bassi livelli),
l’ipotalamo perde la sua attività ciclica e i cicli diventano anovulatori, alterazioni della
funzione tiroidea e surrenalica con riduzione della massa ossea.
Il calo degli estrogeni interessa clinicamente diversi apparati, determinando una riduzione
del senso di benessere della donna con riduzione generale della qualità di vita:
- amenorrea saltuaria
- sindrome uretrale (assottigliamento della mucosa uretrale con prolassi vescicali che
possono causare incontinenza urinaria)
- atrofia di mammella, ovaio, endometrio
- riduzione delle grandi labbra
- assottigliamento del derma, con cute meno elastica (comparsa delle rughe)
- disturbi vasomotori (vampate di calore, sensazioni di calore che divampa
improvvisamente a livello toracico per diffondersi a collo viso o a tutto il colpo,
seguite da sudorazione profusa e sensazione di freddo)
- insonnia, ansia, irritabilità, perdita della fiducia in sé stessi, deterioramento cognitivo
- caduta di capelli e perdita dei peli
- lassità dei tessuti sottomentonieri
- aumento delle patologie cerebrovascolari (gli estrogeni hanno un effetto
cardioprotettivo: aumentano l’HDL, riducono l’LDL, diminuiscono il tono vasale e
aumentano la produzione di NO)
In questa fase di transizione il compito del ginecologo è quello di controllare gli ultimi cicli
mestruali, eseguire esami per il controllo della funzionalità tiroidea, MOC, ecografia
transvaginale, mammografia e pap test, e qualora trovasse indicazione, proporre la
TERAPIA ORMONALE SOSTITUTIVA, in cui si somministrano ormoni sessuali sotto forma
di cerotti transdermici, compresse o gel cutanei.
Questa terapia deve essere iniziata precocemente in presenza di menopausa precoce,
sintomatica ma è controindicata in tutte le pazienti che hanno avuto tumori endometriali,
mammari, sanguinamenti vaginali di natura non determinata, patologie epatiche gravi,
malattie tromboemboliche o apoplessia cerebrale.
Può essere protratta per 5 anni o illimitatamente, avendo cura di tenere sotto controllo la
paziente costantemente e finché i benefici sono maggiori dei rischi. Tenendo conto che la
terapia ormonale sostitutiva presenta comunque effetti collaterali e aumenta il rischio di K
endometriale, mammario e di accidenti tromboembolici. Gli estrogeni causano tensione
mammaria, aumento di peso, ritenzione idrica, cefalea, dolore agli arti inferiori e
sanguinamenti anomali. I progestinici possono causare acne, gonfiore, seborrea,
depressione, insonnia, tensione mammaria e sanguinamenti anomali.

4. DISMENORREE
Il ciclo normale è detto eumenorroico. Dura tra i 24 ed i 35 giorni.
Per OLIGOMENORREA si intende la comparsa di flusso mestruale ad intervelli di tempo
superiori ai 36 giorni.
Per POLIMENORREA e IPERPOLIMENORREA si intende la comparsa di flussi mestruali
molto abbondanti che avvengono ogni 21 giorni o meno (è alterato il processo di secrezione
endometriale dovuto al progesterone, che trasforma l’endometrio da proliferativo, sotto
stimolo estrogenico, a secretivo). E’ caratteristica dell’immaturità dell’asse gonadico, per cui
la secrezione di progesterone è ridotta e la mestruazione in un utero proliferativo è
sovrabbondante, emorragico. Si tratta di un sanguinamento disfunzionale, che viene trattato
con progesterone.
Un’altra condizione in cui i flussi possono manifestarsi in modo continuo e abbondante
(escludendo fibromi sottomucosi sanguinanti) è il periodo perimenopausale. La perdita di
sangue dopo la menopausa, anche di una goccia, deve sempre far sospettare un cancro
dell’endometrio soprattutto in donne ipertese, diabetiche, obese, iperinsulinemiche, nullipare.
L’AMENORREA è l’assenza di mestruazione spontanea in età fertile per un periodo
superiore ai 6 mesi. Le amenorree sono tante:
- corticali: tumori cerebrali
- ipotalamiche: deficit ipotalamico di secrezione (solitamente associate a DCA,
ipogonadotropa o normogonadotropa).
- ipofisarie: l’ipofisi non risponde ai fattori di rilascio ipotalamici.
- ovariche: POF (premature ovarian failure, il patrimonio follicolare per motivi genetici,
immunitari è molto ridotto, si giunge alla menopausa anche a 20 anni).
- uterine: agenesia uterina, imperforazione dell’imene
- iatrogene: chemioterapia (in particolare in pazienti oncoematologici che non possono
ritardare l’inizio della chemioterapia per fare l’LH-RH analogo e mettere a riposo
l’ovaio, nel tentativo di preservarlo), radioterapia pelvica.
Possono anche essere suddivise in:
1. ALTE - ipogonadotrope
2. BASSE - ipergonadotrope
3. PRIMARIE - non si ha mai avuto il menarca (agenesia uterina, imperforazione
dell’imene, DM1)
4. SECONDARIE - le mestruazioni scompaiono successivamente (celiachia, sindromi
da malassorbimento)
Ultima cosa da attenzionare, è l’attività osteoblastica estrogeno dipendente. Specialmente
durante la pubertà 6 mesi di amenorrea sono sufficienti a causare osteopenia. Il tessuto
osseo è quello che più risente dell’amenorrea. I caratteri sessuali secondaari si conservano,
l’utero può rimpicciolirsi (ma se si cerca una gravidanza si possono eseguire protocolli
specifici che ristorano il suo volume ideale, mentre terapie per riprendere tessuto osseo
sono molto costose ma possono soltanto limitare l’ulteriore perdita di calcio che a seguito di
trattamenti cortisonici, stati infiammatori, gravidanza e menopausa causeranno in futuro).

- IMPERFORAZIONE DELL’IMENE -
L’imene imperforato copre totalmente il passaggio tra parete vaginale posteriore e vestibolo
e non presenta alcuna apertura. Questa evenienza è rara e rappresenta una patologia
ginecologica.
Viene riscontrato solitamente al momento della comparsa dei primi cicli mestruali e richiede
un piccolo intervento chirurgico per essere risolto (imenectomia).
In pratica, la membrana viene incisa per creare un'apertura e consentire la fuoriuscita delle
perdite mestruali. Se tale condizione non è corretta chirurgicamente, il rischio è quello di
incorrere alla formazione di un ematocolpo (accumulo di sangue all'interno della vagina per
impossibilità di deflusso).
- SINDROME DI MORRIS -
La sindrome di Morris o sindrome da insensibilità agli androgeni o femminilizzazione
testicolare è una sindrome determinata da un diverso percorso nella differenziazione
sessuale: persone con corredo cromosomico 46XY (a cui corrisponde un genotipo maschile)
sviluppano caratteri sessuali femminili.
Il cariotipo 46XY dà luogo allo sviluppo di gonadi (testicoli) ritenute nell’addome, ma la
refrattarietà agli androgeni determina la mancata soppressione dei caratteri femminili,
pertanto l’individuo è fenotipicamente femmina, senza utero e ovaie, e con possibilità di
ipoplasia vaginale.
L'insensibilità dei tessuti agli androgeni è causata da un allele recessivo che si trova nel
cromosoma X e la mutazione associata al recettore dell'androgeno che porta alla sua
inattività. Il quadro è molto variabile.
In genere gli individui sono longilinei, con un bacino stretto. I peli pubici e ascellari sono
diminuiti, la mammella può presentare un capezzolo più chiaro. Il fenotipo e l'identità
sessuale di queste persone è femminile.
- SINDROME DELL’OVAIO POLICISTICO (PCOS) -
La sindrome dell'ovaio policistico è un complesso di sintomi derivante da uno squilibrio
ormonale nelle donne in età riproduttiva.
Secondo la convenzione di Rotterdam del 2003, per fare diagnosi di PCOS è necessario
riscontrare almeno due delle tre seguenti condizioni:
- anovulazione, con conseguenti amenorrea e infertilità anovulatoria;
- eccesso di ormoni androgeni, che può manifestarsi con acne, irsutismo e disturbi
dell'umore;
- presenza di cisti ovariche, dalla caratteristica disposizione a "collana di perle”.
Le donne affette presentano inoltre un maggiore rischio di sviluppare resistenza all'insulina,
che si associa a obesità, diabete mellito di tipo 2, malattie cardiovascolari e
ipercolesterolemia.
Le cause della PCOS non sono ancora note, ma si pensa che siano correlabili a fattori
genetici e ambientali.
SINTOMATOLOGIA
- Alterazioni del ciclo mestruale, per esempio oligomenorrea (ciclo di durata superiore
a 35 giorni) o amenorrea (assenza di mestruazioni);
- Infertilità femminile (a causa dell'anovulazione cronica);
- Alopecia androgenica
- Acne, pelle unta e dermatite seborroica;
- Acanthosis nigricans
- Prolungati periodi di sindrome premestruale, con sintomi come gonfiore addominale,
sbalzi di umore, cefalea, dolore, ritenzione idrica e mal di schiena;
- Elevati livelli nel sangue di androgeni (testosterone, androstenedione e DHEAS) che
causano irsutismo;
- Obesità;
- Cisti multiple nella zona sottocorticale delle ovaie, che ad un esame ecografico
possono rassomigliare ad una collana di perle;
- Ingrossamento delle ovaie a causa delle cisti;
- Superficie ovarica spessa, liscia, color perlaceo;
- Rapporto tra livelli di LH (ormone luteinizzante) e FSH (ormone stimolatore del
follicolo) maggiore di 2.5, quando vengono misurati al terzo giorno del ciclo
mestruale;
- Bassi livelli di SHBG (globulina che trasporta gli ormoni sessuali);
- Iperinsulinemia per aumentata resistenza all'insulina dei tessuti periferici.
Le donne che soffrono di questa sindrome corrono il rischio di:
- Iperplasia e carcinoma dell'endometrio: a causa dell’eccesso di estrogeni e della
carenza di progesterone si può avere un ispessimento del rivestimento uterino che,
alla lunga, può sfociare nella neoplasia;
- Insulino-resistenza o diabete mellito, conseguenze dell'iperinsulinemia;
- Ipertensione;
- Disturbi del metabolismo lipidico (prevalentemente dislipidemia);
- Malattie cardiovascolari.
DIAGNOSI
Procedure diagnostiche standard:
1. Riscontro anamnestico di obesità, irsutismo, ed assenza di sviluppo mammario.
2. Ecografia pelvica alla ricerca di cisti ovariche: queste sono il risultato della mancata
ovulazione (Nella mestruazione fisiologica un follicolo dominante viene selezionato
ad ogni ciclo mestruale e dopo l'ovulazione, esso collassa e scompare. Nella PCOS,
la mancata ovulazione porta il follicolo a rimanere nelle ovaie per molti mesi. Si
possono trovare 10 o più follicoli per ovaio che possono assumere l'aspetto
ecografico di una "collana di perle”.)
3. Elevati livelli sierici di androgeni (DHEAS ed il testosterone): il rapporto LH/FSH è
maggiore di 1, al 3º giorno del ciclo mestruale.
Procedure diagnostiche per le condizioni associate di rischio:
1. Profilo lipidico ed analisi ematiche a digiuno
2. Test di tolleranza del glucosio a 2 ore dalla somministrazione orale di glucosio
(OGTT) nelle pazienti con fattori di rischio.
Esclusione di altre endocrinopatie mediante dosaggi ormonali:
1. Prolattina per escludere iperprolattinemia
2. TSH per escludere un ipotiroidismo
3. 17-idrossiprogesterone per escludere il deficit di 21-alfa idrossilasi.
TERAPIA
La terapia deve tendere a rompere il circolo vizioso dell'anovulazione cronica.
Si basa pertanto su:
- correzione dello stile di vita mediante dieta e attività fisica.
- contraccezione orale
- aumento della produzione di FSH con clomifene
- miglioramento del microambiente periovarico
- miglioramento della condizione di resistenza insulinica tramite metformina.

5. CONTRACCEZIONE
In italia nel 1975 la legge istituisce i consultori per la diffusione dei metodi contraccettivi.
Un contraccettivo è un mezzo o un farmaco atto a prevenire la fecondazione, in modo
sicuro, efficace, di semplice utilizzo, reversibile e a basso costo.
L’indice di PEARL valuta statisticamente l’efficacia di un contraccettivo, identificando il
numero di gravidanze su 100 donne che usano il sistema contraccettivo prescelto per un
anno. L’indice è per la pillola anticoncezionale di 0,5, per l’IUD di 2, per il preservativo oscilla
tra 2 e 12, per il coito interrotto di 13, per il diaframma vaginale di 14, per le creme
spermicide di 28 e per l’ogino-knaus di 30.
I metodi contraccettivi si distinguono in:
1. ORMONALI, come la pillola anticoncezionale, spirale (IUD), cerotto, anello vaginale,
iniezioni intramuscolo o sottocute.
2. DI BARRIERA, come il preservativo, il diaframma, il cappuccio cervicale.
3. NATURALI, come il metodo di Billings o ogino-knaus, il coito interrotto, l’osservazione
della temperatura basale.
4. INTERCETTIVI, come la PDG assunta entro 24-48 ore dal rapporto a rischio o la
pillola dei 5 giorni dopo (es. ULIPRISTAL modulatore selettivo dei recettori del
progesterone, con azione abortigena per il ritardo di maturazione endometriale che
provoca).
5. DEFINITIVI, come la legatura delle tube durante il parto cesareo o con l’occlusione
per via trans isteroscopica degli osti tubarici.
Nella contraccezione ormonale di associano progestinici ed estrogeni che inibiscono
l’ovulazione e l’impianto dell’ovulo eventualmente fecondato.
Gli ormoni possono anche essere usati per modulare, ovvero stabilizzare, un flusso
mestruale come emmenagogo o anti emmenagogo a seconda del fatto che la donna a cui lo
si somministra sia amenorroica o voglia ritardare il flusso mestruale.
L’associazione più conosciuta è Levonorgestrel + Estrogeno (quasi sempre etinil-estradiolo a
50 microg), con uso del progestinico a basse dosi (0.05 mg). Oppure altre associazioni
all’estrogeno possono essere Desogestrel, Gestodene o Dienogest.
La combinazione di farmaci viene assunta a combinazioni fisse e dose costanti:
terapia MONOFASICA per 21 giorni con 7 giorni di pausa (o assunzione del placebo) con
pseudo mestruazioni;
terapia BIFASICA per 15 giorni con 7 di pausa e pseudo mestruazioni;
terapia TRIFASICA con assunzione di 3 farmaci differenti ed un placebo usati per 5, 5, 11 e
7 giorni rispettivamente.
Si possono usare anche formulazioni di soli progestinici o formulazioni in cui non c’è
l’interruzione e non si ha la pseudo mestruazione.
L’uso di contraccettivi non è esente da rischi o complicazioni. Tra le complicazioni di
maggiore rilievo ricordiamo l’aumentato rischio trombotico (per cui tra le controindicazioni
alla terapia ormonale vi sono le varici, la trombosi venosa periferica, cardiopatie, diabete
mellito, ipertensione severa, epatopatie, tumori mammari ed endometriali).
Effetti collaterali comuni comprendono cefalea, nausea, vomito, calo della libido, aumento di
peso, ritenzione idrica e spotting ematico.
Alla sospensione si può osservare la Sindrome di Sheraton con galattorrea ed amenorrea.

6. FECONDAZIONE ASSISTITA
Le tecniche di fecondazione assistita si sono diffuse a partire dal 1978 quando è nata la
prima bambina concepita con fecondazione in vitro. Sono tutte tecniche finalizzate
all’ottenimento di una gravidanza in soggetti infertili o sterili.
STERILITA’ - difficoltà nel riuscire ad iniziare una gravidanza dopo un anno di rapporti non
protetti (difficoltà ad ottenere una gravidanza)
INFERTILITA’ - impossibilità a portare a termine la gravidanza
Sono sintomi di una patologia idiopatica o di cause note a carico del sistema
endocrino-riproduttivo di uomo o donna.
CAUSE ENDOCRINE: da mancato funzionamento dell’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi, come
prolattinomi, policistosi ovarica, menopausa precoce, insufficienza del corpo luteo.
CAUSE ORGANICHE: che danneggiano l’organo riproduttivo come endometriosi, tumori,
PID, cisti benigne, alterazioni uterine congenite come malformazioni ovariche o uterine o
acquisite come sinechie (aderenze), polipi e fibromi.
ALTRE: immunologiche (ag antispermatozoo, antifosfolipidi, autoanticorpi), trombofilia,
infezioni.

Il processo di fecondazione assistita inizia con un'anamnesi personale, prima non


ginecologica e poi ginecologica per valutare: l’età, patologie endocrine, allergie, malattie
autoimmuni, interventi chirurgici pregressi, l’età del menarca, la regolarità dei cicli, durata,
presenza di dismenorrea, ecc. e prosegue con una visita ginecologica comprensiva di
palpazione bimanuale, esame con speculum vaginale, PAP test , tampone vaginale ed
ecografia.
Quindi si prosegue con:
- dosaggi ormonali seriati o con il 3rd day test (prelievo e dosaggio ormonale al terzo
giorno di ciclo) che ci danno informazioni riguardo la riserva ovarica (FSH > 15 indica
riserva in diminuzione, passaggio verso la menopausa),
- con l’isterosalpingografia che valuta la pervietà tubarica, il diametro tubarico e lo
spandimento
- l’idrosonografia con lo scopo di diagnosticare eventuali polipi e miomi uterini
permettendoci, la soluzione fisiologica immessa di trasformare l’utero in cavità reale
da virtuale.
Gli esami di secondo livello comprendono l’analisi del cariotipo genitoriale per la ricerca di
mutazioni della fibrosi cistica o X fragile, una laparoscopia o isteroscopia per un sospetto
diagnostico all’eco o PID (che si rileva nel 90% dei casi). Altri esami preliminari
comprendono la ricerca del gruppo sanguigno, i marker di epatite, TORCH e favismo.
Nell’uomo si svolge l’esame del liquido seminale che valuta volume (> 2 ml), pH (7,2-8,2),
numero di spermatozoi (15 mln), motilità (progressiva rettilinea veloce o lenta, non
progressiva, immobile), morfologia (> 30%) e vitalità (> 75%).

Le tecniche di fecondazione assistita si dividono in 3 livelli:


1. comprendono:
- l’induzione dell’ovulazione e rapporti mirati che comprende l’uso di
gonadotropine hMG estratte da urine di donne in menopausa o FSH ed LH
ricombinante, e l’attesa del momento “propizio” che si controlla con eco
periodiche ed esami del sangue: il picco di LH si raggiunge somministrando
GnRH, e corrisponde all’ovulazione, dopo di che si somministrano
solitamente HCG, progesterone, antiaggreganti e cortisonici per favorire
l’attecchimento;
- l’induzione dell’ovulazione e inseminazione intrauterina, per cui è importante
la tecnica di preparazione del liquido seminale, che deve essere prelevato,
posto in un terreno di coltura, centrifugato e messo in un incubatore, dopo un
paio d’ore gli spermatozoi più mobili risalgono in superficie e vengono
prelevati per essere depositati sul fondo dell’utero con l’uso di un cateterino;
2. comprendono:
- le fecondazioni in vitro propriamente dette FIVET (in vitro fertilization and
embryo transfer, indicata nel caso di tube chiuse, oligoastenospermia
moderata, forme idiopatiche di infertilità)
- ICSI (intracytoplasmatic sperm injection, indicata per le oligoastenospermie
severe, in questo caso un solo spermatozoo viene iniettato dentro l’ovocita
decoronizzato), in cui la fecondazione avviene in laboratorio e
successivamente si trasferisce l’embrione in utero.
Per constatare l’avvenuta fertilizzazione si osserva l’espulsione del secondo globulo
polare (presenza di 3 pro nuclei), e si può decidere se procedere con l’Assisted
Hatching che consiste nell’asportazione della zona pellucida per facilitare l’uscita
dell’embrione dalla blastocisti e le fasi di annidamento;
3. comprendono:
- GIFT in cui si prelevano ovulo e spermatozoo per via laparoscopica e si
inseriscono nella tuba;
- TET in cui si trasferisce l’embrione nella tuba;
La stimolazione ormonale può avere delle complicanze: rischio di gravidanze multiple,
intolleranza ai farmaci o l’insorgenza di OHSS (ovarian hyperstimulation syndrome) che può
essere lieve, moderata o grave e si caratterizzata per comparsa di diarrea, vomito, stravaso
di liquidi (ascite e versamento pleurico), ipovolemia, sbilancio elettrolitico, disfunzione
epatica, dispnea.
Se la donna non rimane gravida, l’iperstimolazione si risolve da sola, mentre se si instaura la
gravidanza i sintomi tendono ad aggravarsi a causa della continua produzione di HCG che
continua a stimolare l’ovario. Il rischio di OHSS è più basso in caso di IVF piuttosto che in
caso di inseminazione AIH (artificial insemination by husband, indicata nel caso in cui vi sia
una stenosi del canale cervicale, erosioni, iperplasia longitudinale del collo dell’utero,
oligoastenospermia lieve, anticorpi anti spermatozoo nel muco cervicale) e di induzione
semplice e rapporti mirati, perchè nella fecondazione in vitro si svuota l’ovulo di tutti i follicoli
in accrescimento e la stimolazione ormonale cessa.

Migliore è l’embrione selezionato, maggiori sono le possibilità di successo della tecnica, tra
l'altro sempre correlate all’età: questo per quanto riguarda la fecondazione omologa.
Ovociti e spermatozoi possono essere anche donati da altri soggetti.

7. ABORTO
Esiste un cut-off legale che distingue l’aborto dal parto pretermine se avviene entro e non
oltre il 180° giorno di gestazione (25 settimane e 5 giorni), ed un cut-off medico che definisce
aborto la morte di un feto di massimo 500g di peso alla 22-23 esima settimana.
La definizione di aborto dal punto di vista medico-legale è importante per la distinsione tra
parto pretermine ed aborto stesso.
Il parto pretermine o prematuro si ha dopo la 22-24 esima settimana e l’eventuale morte
neonatale o intrauterina non viene considerata abortiva.
Dal punto di vista etico, si parla di aborto quando il prodotto del concepimento, allo stadio
considerato non ha possibilità di vita autonoma.
Esistono diversi tipi di aborto:
spontaneo -> sporadico o ricorrente
provocato -> interruzione volontaria di gravidanza
L’aborto SPONTANEO può avvenire durante il primo trimestre o durante il secondo
trimestre.
La sua INCIDENZA varia a seconda dei periodi in cui lo si riscontra, in fase preclinica
avvengono la maggiorparte degli aborti, ovvero quando la camera gestazionale si è formata
e produce beta HCG ma l’embrione non è visibile, in fase clinica l’incidenza diminuisce, sino
a diventare minima nelle forme in cui il feto cresce sino alla rilevazione del battito cardiaco.
Le CAUSE più frequenti degli aborti del primo trimestre sono genetiche o ovulari dovute a
cromosomopatie incompatibili con la vita. Altre cause comprendono: malformazioni uterine,
insufficienza del corpo luteo, insufficienza placentare, patologie materne come trombofilia o
altre patologie autoimmuni, iperandrogenismo severo, ma anche età avanzata, fumo di
sigaretta, obesità, assunzione di alcol, deficienze alimentari e stress acuti.
Una causa di aborto importante è l’INSUFFICIENZA CERVICO SEGMENTARIA o Beanza
Cervicale. Può essere congenita o acquisita ed è una condizione in cui il collo dell’utero si
dilata precocemente durante la gravidanza, potendo causare un aborto o un parto
prematuro. La diagnosi si pone quando in una donna non gravida il passaggio di un
dilatatore di Hegar n°8 avviene senza difficoltà o durante la gravidanza sulla base di alcuni
criteri ecografici: FUNNELING, DILATAZIONE > 25 MM, LUNGHEZZA < 20 mm.
Il trattamento consiste nel CERCHIAGGIO CERVICALE: si posizione in anestesia generale
o spinale, un nastro (fettuccia in mersilene) in corrispondenza dell’orifizio uterino interno.
La SINTOMATOLOGIA più frequente di un aborto o di una minaccia di aborto è: dolore
addominale o pelvico e metrorragia (un’altra patologia con sintomi simili è la gravidanza
ectopica).
I sanguinamenti vaginali sono frequenti in gravidanza, compaiono nel 20-25% di tutte le
gravidanze e solo il 15% delle metrorragie gravidiche sono dovute ad un’aborto.
Per verificare il benessere fetale si ricorre al dosaggio di beta HCG (che diminuisce sempre
più dopo l’aborto), oppure, se il battito cardiaco fetale BCF era apprezzabile ci si basa sulla
sua assenza o presenza.
L’aborto PROVOCATO o interruzione volontaria di gravidanza è regolata dalla legge 194 del
1978 che disciplina e depenalizza le modalità di accesso al’aborto.
L’interruzione volontaria di gravidanza può essere praticata:
- entro 90 giorni, rivolgendosi ad un consultorio pubblico o ad un medico di fiducia che
rilascia un certificato che attesta lo stato di gravidanza e la richiesta di interruzione,
con assenso dei genitori o del giudice se la donna è minorenne, che le consente di
presentarsi 7 giorni dopo in un ospedale pubblico per la procedura e gli interventi che
saranno effettuati da personale sanitario non obiettore di coscienza.
- dopo 90 giorni qualora la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la
vita della donna o quando siano stati accertati processi patologici come anomalie e
malformazioni del nascituro che determinino un grave pericolo per la salute fisica o
psichica della gestante.
L’interruzione di gravidanza farmacologica con MIFEPRISTONE (RU486), un modulatore
selettivo per i recettori del progesterone associato a MISOPROSTOLO (analogo sintetico
della prostaglandina E1) avviene per vasocostrizione, anossia del feto, atrofia placentare ed
espulsione.

8. GRAVIDANZA
La gravidanza è un evento fisiologico che inizia quando l'ovocita fecondato dallo
spermatozoo completa la seconda divisione meiotica, bloccata fino ad allora in metafase,
avviene il dimezzamento cromosomico e l’espulsione del secondo globulo polare.
Il giorno successivo alla fecondazione si forma lo zigote, per unione dei pronuclei materno e
paterno e comincia ad andare incontro ad una serie di divisioni mitotiche per cui ad esso
segue la morula e la blastocisti. Tutte queste trasformazioni avvengono nelle tube uterine.
Al 6°-7° giorno la blastocisti si rompe, esce dalla zona pellucida dell’ovocita e giunta su
endometrio secretivo dove si impianta e inizia a formare i villi coriali che si trasformeranno
successivamente in placenta. A questo punto si comincia a parlare di EMBRIONE.
Tra le cellule embrionali alcune secernono beta HCG, più o meno a partire dal 14° giorno
dalla fecondazione, rilevabile nel siero materno e utile per la diagnosi di gravidanza.
Durante questa fase, si potrebbe verificare la divisione della blastocisti, quindi la formazione
di un GRAVIDANZA GEMELLARE (o multigemellare).
Se la divisione avviene prima dell’impianto della blastocisti potremmo avere una gravidanza
gemellare BICORIALE e biamniotica (per cui gli embrioni si sviluppano in 2 sacche diverse
con membrane separate e corredi cromosomici diversi, poiché provengono da due diversi
ovociti fecondati separatamente). Se invece la divisione avviene dopo l’impianto in utero, si
ha una gravidanza gemellare MONOCORIALE (gli embrioni condividono un'unica sacca, un
unica placenta e assetto cromosomico uguale).
A partire dalla 9° settimana di gestazione si parla di FETO, è qui che inizia ad essere
apprezzabile l’attività cardiaca.

ETA’ GESTAZIONALE - è la durata della gravidanza calcolata a partire dal giorno dell’ultima
mestruazione.
EPOCA CONCEZIONALE - è la durata della gravidanza calcolata a partire dal giorno
dell’ovulazione, il 14° dopo l’ultima mestruazione, giorno in cui presumibilmente è avvenuta
la fecondazione.

DIAGNOSI DI GRAVIDANZA
SEGNI DI PRESUNZIONE
Sono la conseguenza di un incompleto adattamento dell'organismo materno alla gravidanza.
Insorgono precocemente e sono rappresentati da: nausea, vomito, ptialismo (salivazione
abbondante), varici (come conseguenza della stasi venosa degli arti inferiori), emorroidi,
aumento del volume dell'addome, ecc.
SEGNI DI PROBABILITA'
Includono:
- amenorrea: se una donna ha le mestruazioni regolari è il segno più significativo.
- alterazioni mammarie: dalle prime settimane - si possono avvertire sensazioni
dolorose e un senso di tensione al seno e talvolta piccole secrezioni di colostro.
Nel seno compaiono i tubercoli di Montgomery (ghiandole sebacee areolari
ipertrofiche) e talvolta le smagliature.
- alterazioni vulvari e vaginali: si può osservare la comparsa o l'aumento della
leucorrea. La vulva appare iperemica.
- l'utero aumenta di volume;
- compressione dell'utero: l'aumento volumetrico dell'utero gravido può portare alla
compressione della vescica e del retto e l'aumento della pressione addominale può
causare vene varicose, emorroidi, idronefrosi (dilatazione del bacino e dei calici
renali).
SEGNI DI CERTEZZA
- test di laboratorio che rivelano l'esistenza dell'uovo in via di sviluppo, come il
dosaggio di B-HCG;
- l'ecografia,
- l'apprezzamento di:
parti fetali (nel terzo trimestre, tramite le manovre di Leopold),
i loro movimenti (avvertiti dalla gestante dopo il quarto mese),
percezione del battito cardiaco fetale (che si può apprezzare con il SonicAid dopo la
decima settimana).
ESAME OSTETRICO
Include:
La raccolta dell'anamnesi. Uno dei segni più rilevanti è la presenza o assenza di
amenorrea.
Si procede quindi alla visita che comprende: sopralluogo; palpazione; auscultazione;
esplorazione; test di laboratorio; esami strumentali.
L'ISPEZIONE ci mostra l'aumento volumetrico dell'addome dal secondo trimestre;
pigmentazioni della pelle come cloasma gravido sul viso; la linea alba addominale tende a
trasformarsi nella linea nigra.
La PALPAZIONE viene eseguita con il paziente in posizione rilassata e supina. Dal quarto
mese in poi, l'utero diventa un organo addominale e il suo fondo sarà progressivamente più
alto:
4° mese: area sotto-ombelicale inferiore
5° mese: area sotto-ombelicale media
6° mese: area sopra-ombelicale inferiore
7° mese: zona ombelicale
8° mese: zona medio-sopra-ombelicale
9° mese: zona sopra-ombelicale superiore.
Dopo la 26esima settimana di gravidanza si possono eseguire le manovre di Leopold.
- PRIMA MANOVRA DI LEOPOLD
La prima manovra di Leopold serve a determinare il livello del fondo uterino rispetto
alla linea xifo-pubica.
L'esaminatore identifica con il lato palmare delle mani il livello a cui è arrivato il fondo
dell'utero. Con l'aumento del volume dell'utero, anche il livello del suo fondo si
sposta. La distanza tra la sinfisi pubica e il fondo dell'utero è espressa in cm; viene
valutato durante ogni visita.
Alla fine della gravidanza (40' settimana) la distanza misura circa 32 cm sopra la
sinfisi pubica.
- LA SECONDA MANOVRA DI LEOPOLD
Questa seconda manovra è necessaria per localizzare le parti piccole e il dorso del
feto, valutando contemporaneamente la riducibilità del diametro trasversale a livello
dell'ombelico. Le mani dell'esaminatore sono posizionate piatte lateralmente all'utero
e si tenta di portarle verso la linea mediana, con la manovra di riducibilità. La
riducibilità è massima nella situazione longitudinale, è diminuita nella situazione
obliqua, è minima o assente nella situazione trasversale.
- TERZA MANOVRA DI LEOPOLD
L'ingresso pelvico è attento a capire quale parte è presentata (estremità cefalica o
estremità podalica). La manovra consiste nel posizionare il palmo della mano destra
sopra la sinfisi pubica. Quando la parte presentata è fissa, non c'è il segno del
ballottaggio, al contrario quando la parte presentata è mobile, lo scrutinio si osserva.
- LA QUARTA MANOVRA DI LEOPOLD
La quarta manovra di Leopold è utile come conferma della terza. L'operatore, posto
accanto alla donna di fronte ai suoi piedi, affonda le dita di entrambe le mani e
scivola lungo la superficie dello stretto superiore. Permette di stabilire il grado di
discesa della parte presentata (testa o podio) nella cavità pelvica.
- QUINTA MANOVRA DI LEOPOLD (O MANOVRA DI ZANGEMEISTER)
Serve per stabilire la presenza o meno del segno del passo tra la sinfisi pubica e la
parte presentata. Una mano è posta sulla sinfisi pubica e l'altra sulla testa del feto.
Quando è presente il segno del gradino, la parte presentata si trova all'esterno dello
scavo. Questa manovra è sempre positiva quando c'è sproporzione cefalo-pelvica.
L'AUSCULTAZIONE viene effettuata mediante lo stetoscopio, che consente la rilevazione
acustica del battito cardiaco del feto (BCF) dopo la 20esima settimana.
Oggi un dispositivo ad ultrasuoni (SonicAid) viene utilizzato più frequentemente.
Il bcf si distingue dal battito materno perché è asincrono rispetto al battito materno e perché
è pendolare. Infine, la frequenza media bcf è di circa 140 battiti al minuto.
L'ESPLORAZIONE vaginale viene eseguita in posizione ginecologica, dopo aver svuotato la
vescica. Come primo passo, l'esame viene eseguito con lo speculum vaginale, al fine di
rilevare l'aumentata secrezione vaginale durante la gravidanza, il colore cianotico della
mucosa vaginale e della cervice.
È possibile apprezzare l'aumento del volume dell'utero e il suo cambiamento di consistenza:
a partire dalla 7° settimana è possibile apprezzare un rammollimento della portio.
TEST DI LABORATORIO
Durante la gravidanza, gli esami di laboratorio rilevano la presenza di gonadotropina
corionica (hCG) nelle urine o nel sangue. Questi test sono già positivi a partire dalla 6-7
settimana di amenorrea. Il dosaggio della frazione beta (B) della gonadotropina corionica
(B-hCG) è molto sensibile e ha un'elevata specificità.
ULTRASUONI
Fino alla 7° settimana, il periodo gestazionale viene stabilito in relazione alle dimensioni
della camera ovale.
Alla 7° settimana è possibile rilevare l'attività cardiaca del feto.
Dalla 7° alla 10° settimana, i dati ecografici utilizzati ai fini della biometria sono la
determinazione del CRL (lunghezza vertice-sacrale dell'embrione).
Dopo la 10° settimana, la grandezza antropometrica del feto più studiata è il BPD (diametro
cefalico biparietale), da correlare sempre con il periodo gestazionale.
Altre misure importanti sono: la lunghezza del femore; la lunghezza dell'omero e la
circonferenza della testa; la circonferenza addominale (AC).

DIAGNOSI PRENATALE
ECOGRAFIE TRIMESTRALI
Nel primo trimestre hanno l'obiettivo di constatare l’effettiva gravidanza, vedere la sede
dell’impianto, valutare il numero di camere gestazionali e la presenza dell’embrione e
cercare il battito cardiaco.
GRAVIDANZA ANEMBRIONICA: può essere diagnosticata in questo periodo. Si visualizza
un uovo “chiaro” in cui la camera gestazionale presenta un trofoblasto senza embrione.
Regredisce spontaneamente.
Nel secondo trimestre si valuta l’anomalia fetale con una pre-morfologica alla 16-17
settimana o con l’ecografia morfologica alla 20-21 settimana. Lo scopo è quello di escludere
eventuali patologie o malformazioni che possono pregiudicare la sopravvivenza del feto e
causare problemi alla madre. Nel caso in cui ci fossero malformazioni incompatibili con la
vita si da inoltre alla madre la possibilità di interrompere la gravidanza. Altrimenti la diagnosi
prenatale servirà comunque a scegliere il presidio adatto alla nascita e a evidenziare
l’eventuale necessità di seguire la gravidanza con più attenzione.
CRANIO - si considerano il diametro biparietale, la circonferenza cranica, il diametro del
cervelletto e la presenza del verme cerebellare, i ventricoli cerebrali, le orbite oculari, la
mascella (labbro leporino, difetti del cavo orale), il rachide (spina bifida).
TORACE E ADDOME - si valutano cuore e camere cardiache, stomaco, reni, vescica,
parete addominale (oncocele, onfalocele) e le estremità e gli arti (assenza, asimmetria,
sproporzioni).
ANNESSI FETALI - placenta, membrane amniotiche e visualizzazione del cordone
ombelicale con i 3 vasi.
Nel terzo trimestre l’ecografia ha l'obiettivo di valutare la crescita (confronto con le curve
standard) ed il benessere generale del feto, valutare il liquido amniotico e l’inserzione
placentare.
La valutazione del liquido amniotico si fa con la sonda addominale e la paziente supina. Ci
sono 3 modi:
1. qualitativo, operatore dipentente in cui sulla base dell’esperienza dell’operatore si
valuta in modo superficiale se il liquido è normale, aumentato o ridotto.
2. semi-quantitativo, in cui si ricerca la tasca massima verticale.
3. AFI (amniotix fluid index) in cui si valutano le tasche massime dei 4 quadranti e si
sommano, sopra i 24 cm si parla di polidramnios, sotto i 3 di oligoamnios, mentre se
non si evidenziano tasche di fluido si parla di anidramnios.
FLUSSIMETRIA
E’ un esame aggiuntivo che si esegue quando l’ecografia evidenzia un ritardo di
accrescimento fetale. Serve a valutare i flussi ematici e gli indici di resistenza tra placenta e
feto e il flusso delle arterie cerebrali (quando si riscontra dilatazione delle arterie cerebrali, il
feto è in grave sofferenza).
In poche parole serve per evidenziare alterazioni della circolazione intrafetali o extrafetali.
Si studia attraverso l’effetto doppler e raccoglie un indice di perfusione che indica ad
esempio la riduzione delle arterie dei villi, il difettoso sviluppo primario dei villi e condizioni di
vasocostrizione o di ischemia.
CELOCENTESI
Si effettua tra la 5-9 settimana di gestazione, con un anticipo notevole rispetto ad altri esami
fetali invasivi come la villocentesi e l’amniocentesi. Il metodo consiste in un prelievo di fluido,
effettuato per via transvaginale, dalla cavità celomatica: uno spazio che, a livello della
camera gestazionale, contiene liquido e cellule fetali e materne.
AMNIOCENTESI
Si esegue tra la 12esima e la 17esima settimana, più precocemente rispetto agli altri esami
ed è utile per lo studio dell’assetto cromosomico. Si può anche eseguire (più tardivamente)
per la valutazione di infezioni materno-fetali.
VILLOCENTESI
Con un ago di calibro maggiore rispetto all’amniocentesi si esegue il prelievo dei villi coriali.
Il rischio di questa procedura è quello di indurre un travaglio ebortico. E’ consigliata solo nel
caso in cui i genitori siano portatori di malattie genetiche familiari o nel caso in cui la
gravidanza è sospetta.
BI-TEST - valuta la beta HCG e la PAPP-A e la translucenza nucale.
TRI-TEST - valuta 3 elementi nel sangue, alpha feto proteina, estradiolo non coniugato e
beta HCG.
DIAGNOSI SU SANGUE MATERNO
Comprende una serie di test di nuova generazione utili a valutare malattie genetiche o
cromosomiche del feto, con un’attendibilità del 99% circa. Questi test si pongono a metà tra
lo screening e l’amniocentesi, per evitare il rischio abortivo di un esame più invasivo.
CARDIOTOCOGRAFIA
La cardiotocografia è la registrazione dell'attività cardiaca fetale, delle contrazioni uterine e
dei movimenti attivi fetali ed è uno dei metodi più validi con cui è possibile diagnosticare la
sofferenza fetale prima del travaglio.
Non stress Test (NST):
Si esegue con il cardiotocografo e ci permette di valutare la frequenza cardiaca fetale, le
contrazioni uterine e i movimenti fetali attivi. L'attività cardiaca del feto viene registrata
mediante elettrodi, mentre le contrazioni mediante trasduttori di pressione.
Quando si valuta la reattività fetale, è importante tenere a mente i momenti di sonno e veglia
fetale, infatti, i due momenti si susseguono con una frequenza di circa 20 minuti.
Nel tracciato cardiotocografico vanno considerati:
- frequenza cardiaca fetale basale e sua variabilità (che dovrebbe essere sempre
maggiore di 5 battiti/min e che se manca significa perdita di reattività del feto);
- movimenti fetali e contrazioni uterine;
- la risposta della frequenza cardiaca alle contrazioni uterine spontanee, che in
condizioni normali provocano accelerazioni della frequenza fetale.
La registrazione cardiotocografica viene generalmente eseguita per almeno 20 minuti.
Si può eseguire in 2 modi:
- diretto (gli elettrodi sono a contatto con la testa del feto);
- indiretto (gli elettrodi sono a contatto con l'addome materno, nella pratica clinica è il
più utilizzato).
In caso di febbre materna o parto pretermine, il feto sarà tachicardico, con frequenza che
supera i 160 battiti/min.
Si parla invece di bradicardia fetale quando la frequenza è inferiore a 120 battiti/min.
In assenza di altre anomalie del tracciato può essere una conseguenza di un difetto cardiaco
congenito. Nel caso in cui sia associato ad altre anomalie può essere conseguenza di una
condizione di asfissia fetale.
In base alla varianza si distinguono quattro tipologie di tracciato:
1. silent;
2. limitated;
3. normal;
4. jumping.
Le modificazioni della linea basale rappresentano:
1. accelerazioni;
2. decelerazioni;
3. picchi.
Le accelerazioni sono l'aumento della frequenza cardiaca fetale della linea di base, con
un'ampiezza di 15 battiti/min per almeno 15 secondi.
Rappresentano la risposta del feto ad uno stimolo di varia natura. Sono solitamente un
segno di benessere fetale.
Le accelerazioni possono essere classificate in:
- accelerazioni combinate (si tratta di un'accelerazione seguita da una decelerazione
che può verificarsi sia in condizioni di benessere che di sofferenza);
- doppie accelerazioni periodiche (indicano la parziale compressione del funicolo);
- accelerazioni sporadiche (non hanno alcuna correlazione con l'inizio della
contrazione uterina, sono prodotte da una stimolazione del feto. Rappresentano un
indice di benessere fetale);
- accelerazioni periodiche (si verificano principalmente durante il travaglio e in
associazione con l'attività contrattile).
Le decelerazioni sono rallentamenti periodici e transitori della frequenza cardiaca fetale.
Si classificano in base alla loro relazione con la contrazione uterina: precoci, tardive e
variabili.
Le decelerazioni precoci iniziano e finiscono in corrispondenza delle contrazioni; sono
dovute alla compressione della testa fetale e generalmente non sono patologiche;
Le decelerazioni tardive iniziano tardivamente rispetto alla contrazione uterina e sono
conseguenza della riduzione degli scambi materno-fetale. Hanno un significato patologico e
sono causate dall'ipossia e dai possibili esiti neonatali.
Le decelerazioni variabili si verificano in modo variabile rispetto alla contrazione. Sono la
combinazione di decelerazioni anticipate e tardive. Possono essere ricondotti a patologie
funicolari.
I picchi sono rappresentati da un brusco calo della frequenza cardiaca fetale con un
altrettanto rapido recupero della frequenza e della variabilità.
Hanno una durata sempre inferiore ai 30 secondi e non hanno significato patologico, ma
semplicemente indicano una particolare suscettibilità dei feti agli stimoli.

9. GRAVIDANZA EXTRAUTERINA E ECTOPICA


La gravidanza extrauterina o ectopica è considerata una rara anomalia dell’annidamento
(frequenza dello 0,5-1%) in cui l’ovulo fecondato si impianta al di fuori della cavità uterina:
nella tuba (98% dei casi, a livello ampollare 80%, istmico 12%, infundibolare 5% e
interstiziale 1-2%), nell’ovaio (0,2% dei casi), nella cervice (0,4% dei casi) o in addome (a
livello epatico, mesenterico, a livello del legamento largo dell’utero, ecc. (1,4% dei casi).
I fattori che predispongono a gravidanza ectopica sono:
- fattori che ostacolano la migrazione dell’ovocita (infantilismo della tuba, esiti
aderenziali di precedenti interventi chirurgici, salpingiti, IUD, anomalie degli
spermatozoi);
- fattori che agevolano l’annidamento della blastocisti nella tuba (endometriosi
tubarica);
La gravidanza ectopica tubarica, la più frequente, è solitamente destinata ad interrompersi
entro la 14esima settimana e questo per 3 motivi fondamentali:
1. l’ambiente tubarico non riesce a soddisfare le esigenze trofiche della blastocisti
2. la blastocisti per il suo potere angioerosivo causa un versamento ematico che si
raccoglie in tuba e si estende in peritoneo causando EMATOCELE peritubarico o
retrouterino
3. la tuba tende alla rottura per lo scompaginamento della sua mucosa e muscolare
(anche a seguito di lievi traumi come uno starnuto), causano una grave emorragia
peritoneale
Una gravidanza ectopica che può andare avanti è quella interstiziale, che potrebbe
trasformarsi in gravidanza angolare se ridiscende dalla tuba all’utero, o le gravidanze
addominali o infundibulari che migrano in addome.
Tuttavia, in genere la prosecuzione fino al termine delle gravidanze ectopiche è solo un
eccezione. Infatti il feto va incontro ad exitus e se non ancora formato, può essere
riassorbito o andare incontro a mummificazione, calcificazione o putrefazione suppurativa
(per intervento di batteri intestinali).
La clinica è asintomatica nelle fasi iniziali, ma a seguito di aborto tubarico o di rottura della
tuba la sintomatologia diventa evidente ed è caratterizzata da dolore fino all’emoperitoneo.
E’ di estrema importanza per la vita della paziente riuscire a fare una diagnosi precoce di
questa condizione, con esame ginecologico, ecografico e laboratoristico che ci indirizzano
anche verso la diagnosi differenziale con patologie che possono simulare una gravidanza
ectopica:
- appendicite
- perforazione di ulcera gastro-duodenale
- annessiti acute o croniche
- retroflessione di un utero gravido

10. PATOLOGIE MATERNO-FETALI


Sono malattie strettamente correlate allo stato gravidico e non si presentano al di fuori di
una gravidanza.
- DIABETE GESTAZIONALE -
Il diabete può essere una condizione preesistente alla gravidanza o manifestarsi in
concomitanza di quest’ultima. Nel primo caso si parla di Diabete Mellito
PREGESTAZIONALE, di tipo 1 o 2 o di intolleranza al glucosio, mentre nel secondo
caso il Diabete GESTAZIONALE rappresenta un intolleranza ai carboidrati (o una
forma di insulino resistenza) di gravità variabile il cui inizio o riconoscimento si
verifica durante il corso della gravidanza, interessando fino al 5% delle gravidanze.
Solitamente si manifesta dopo la 21esima settimana di gestazione e può
sopraggiungere sia per ipoinsulinismo (per ridotta riserva pancreatica) che per
iperinsulinismo (per insulino resistenza periferica).
I fattori di rischio materni per lo sviluppo di DG sono: obesità, familiarità di 1° grado
per DM2 e precedente storia di DG o alterata tolleranza glucidica e glicosuria.
La diagnosi si basa sull’esecuzione della curva da carico di glucosio, OGTT (oral
glucose tolerance test) per cui si fanno diversi prelievi prima e dopo un carico orale di
glucosio (75 g) per valutare la glicemia. Per la diagnosi di certezza sono necessarie
due o più rilevazioni sopra i valori limite. Mentre se ad essere alterata è solo una
rilevazione si può parlare di ridotta tolleranza al glucosio (condizione da non
sottovalutare perché gravata dalle stesse complicazioni).
Il diabete gestazionale causa passaggio dal compartimento materno a quello fetale di
aumentato glucosio, amminoacidi e lipidi, per cui le beta cellule pancreatiche vanno
incontro ad iperplasia e il feto aumenta l’insulina circolante.
Questo è correlato all’aumento del rischio di:
- morte intrauterina che in genere si verifica tardivamente
- morte perinatale
- sindrome da distress respiratorio fetale
- ipoglicemia alla nascita
- macrosomia (per l’aumento dei processi anabolici con eccessivo
accrescimento), che può causare nel 2% dei casi la DISTOCIA DI SPALLA
(complicanza che causa danno del plesso brachiale, lesioni e fratture
dell’omero e clavicola, encefalopatia con danno ipossico ischemico fino a
morte nel feto, mentre provoca emorragia e lacerazioni nella madre).
- malformazioni congenite cardiovascolari, scheletriche, genitourinarie e a
carico del SNC
- complicanze ostetriche (preeclampsia con PA > 140/90, proteinuria ed edemi,
parto pre termine, polidramnios)
L’approccio terapeutico e la sorveglianza materno fetale sono di fondamentale
importanza:
Per la madre si procede al controllo della PA, tampone vaginale, eco trans vaginale,
e controllo della contrattilità uterina.
Per quanto riguarda la sorveglianza fetale dobbiamo monitorare la crescita con
ecografie seriate, la flussimetria, il liquido amniotico e la maturazione polmonare.
La terapia prevede modificazioni dietetiche, esercizio fisico moderato e l’uso di
insulina e ipoglicemizzanti orali.
Per quanto riguarda il parto, le indicazioni riguardano l’induzione del parto vaginale
alla 40esima settimana e nei casi di macrosomia o di preeclampsia o malformazioni
fetali l'indirizzamento al taglio cesareo in elezione.
Durante il post partum ed il puerperio bisogna tenere a mente che bisogna
monitorare la glicemia con glucosate o insulina rapida se insorgono iper o
ipoglicemia. Si consiglia generalmente l’allattamento al seno perché riduce la
glicemia mentre il controllo con una nuova OGTT avviene a 6-8 mesi postpartum.
Solitamente il DG si risolve, anche se la donna avrà un rischio aumentato di
sviluppare DM2 nei 5 anni successivi al parto nel 47% dei casi.
- GESTOSI -
E’ la patologia più tipica del III trimestre di gravidanza ed è caratterizzata dalla triade
sintomatologica:
1. edemi - E - localizzati prevalentemente agli arti inferiori o in sede pre pubica.
2. proteinuria - P - significativa quando > 0.5/1000 g/ml
3. ipertensione - H - significativa quando > 140/60 mmHg
L’Ipotesi Eziopatogenetica di Page del 1972
E’ una delle più valide, si basa sulla teorizzazione che la gestosi nasca dalla
formazione di un CIRCOLO VIZIOSO formato da una serie di eventi causati da fattori
predisponenti e coadiuvanti (ipertensione essenziale, diabete, obesità, malattie
autoimmuni, nefropatie, genetica, alimentazione sbilanciata, ecc.).
Gli ormoni prodotti dalla placenta, in particolare gli estrogeni, metabolizzano i
mucopolisaccaridi del tessuto connettivo. Se avviene un incremento ponderale
brusco l’attività estrogenica viene favorita nel trattenere acqua extravascolare, per
cui gli edemi sono causati dal brusco incremento ponderale che altera l’idrofilia
tissutale.
Il sistema renina-angiotensina-aldosterone viene attivato in questo processo per
garantire una pressione sanguigna adeguata a rifornire il distretto materno (renale) e
fetale.
Con l’ipertensione le proteine tendono ad essere perse dal circolo, instaurando una
ipoproteinemia che genera un grande circolo vizioso: ipoproteinemia -> minore
pressione oncotica -> edemi -> vasocostrizione -> ipertensione.
L’aumento di prostaglandine ad azione vasocostrittrice (trombossani) e di
progesterone rappresentano il tentativo “placentare” di aumentare la pressione a
livello delle arterie spirali causando rialzi pressori notevoli che dovrebbero
compensare la riduzione del flusso e dei livelli di O2 e di nutrienti fetali.
Questo sistema di appannaggio ben presto perde la sua efficacia e si scompensa.
L’Ipotesi Eziopatologica di Brown del 1997
Chiama in causa una componente genetica materno-paterna responsabile di una
ANOMALA PLACENTAZIONE, con scarsa invasione miometriale.
Normalmente il citotrofoblasto invade le arterie spirali fino al tratto intramiometriale e
si trasformano in arterie utero placentari, arterie che perdono la reattività a stimoli
vasocostrittori esterni e acquisiscono regolazione autonoma.
Il deficit di invasione del citotrofoblasto causa la perdita delle caratteristiche
fondamentali del distretto arterioso utero placentare: alta capacitanza e bassa
resistenza.
Le COMPLICANZE più temute della gestosi sono:
- la PREECLAMPSIA, caratterizzata da cefalea, scotomi, fosfeni, diplopia,
acufeni e disturbi addominali.
- l’ECLAMPSIA, caratterizzata da attacchi convulsivi e perdita di coscienza.
Queste complicanze nascono fondamentalmente dalla maggiore probabilità che le
arterie placentari deficitarie vadano incontro a fenomeni ischemici ed embolizzazione
polmonare, fino ad un quadro di C.I.D. che potrebbe coinvolgere direttamente il
distretto cerebrale.
Il TRATTAMENTO si basa sull’uso di farmaci diuretici, sedativi e antidepressivi.
La SINDROME HELLP è una sindrome che si manifesta in gravidanza, è
potenzialmente pericolosa per la vita della paziente e viene considerata spesso una
variante o una complicanza della preeclampsia.
"HELLP" è un acronimo che ricorda le tre componenti principali della sindrome:
Hemolysis (emolisi), Elevated Liver enzymes (aumento degli enzimi epatici), Low
Platelet count (riduzione del numero di piastrine circolanti o trombocitopenia).
Insorge nel terzo trimestre di gravidanza, in donne che hanno già un'ipertensione
gravidica o segni indicativi di preeclampsia (pressione arteriosa elevata e
proteinuria).
Tra i sintomi più precoci: dolore epigastrico descritto come "bruciore di stomaco" o
dolore al quadrante superiore destro dell'addome; malessere generale; nausea;
vomito; cefalea; visione offuscata, parestesie e ipertensione arteriosa.
Fra le complicanze più gravi: rottura della capsula epatica con conseguente
ematoma; convulsioni o coma; CID; edema polmonare; insufficienza epatica.
L'unico trattamento efficace è rappresentato dall'induzione del parto appena
possibile. La coagulazione intravascolare disseminata (CID) va trattata con infusioni
di plasma fresco congelato per rimpiazzare i fattori della coagulazione del sangue.
Possono essere necessarie emotrasfusioni. Nei casi più lievi può essere sufficiente
una terapia con corticosteroidi e farmaci antipertensivi.
- AGENTI T.O.R.C.H. -
I microrganismi sono in grado di raggiungere il feto o il neonato:
- durante lo sviluppo intrauterino ➟ INFEZIONI CONGENITE
1. per via ematogena transplacentare
2. per via ascendente (vaginale), rara e in genere favorita da persistente
rottura delle membrane, che a sua volta facilita la contaminazione del
liquido amniotico e degli annessi.
- durante il parto ➟ INFEZIONI PERINATALI = per contatto con le secrezioni
vaginali infette o con eventuali lesioni presenti a livello genitale
- dopo la nascita ➟ INFEZIONI POSTNATALI = durante l’allattamento.
Le INFEZIONI CONGENITE determinano manifestazioni cliniche assai varie le quali
dipendono, oltre che dalle caratteristiche dell’agente infettivo, dall’epoca gestazionale
di trasmissione materno-fetale:
- nella prima metà della gravidanza si associano a un rischio più elevato di
aborto, morte intrauterina del feto, malformazioni, basso peso alla nascita,
prematurità e sequele a distanza. In questa fase della gravidanza, infatti, si
verificano i delicati processi di organogenesi, pertanto l’effetto teratogeno dei
microrganismi aumenta. Inoltre il SI del feto è ancora immaturo, quindi
l’agente infettivo può continuare a replicare nei tessuti, provocando danni che
talora si rendono evidenti a distanza di tempo dalla nascita.
- nella seconda metà della gravidanza il completamento dell’organogenesi, la
maturità del SI fetale e la maggiore permeabilità della placenta agli Ac
materni, riducono i danni conseguenti all’infezione fetale. Ciononostante le
infezioni acquisite al III trimestre possono causare parto prematuro a seguito
della liberazione placentare di citochine e prostaglandine.
Le INFEZIONI PERINATALI e POSTNATALI possono determinare
- gravi malattie sistemiche
- infezioni croniche.
TOXOPLASMA: È una zoonosi causata dal protozoo T. gondii, parassita
endocellulare obbligato, il quale si riproduce attraverso un ciclo sessuato nell’ospite
definitivo (gatto) ed uno asessuato nell’ospite intermedio (roditori, uccelli, uomo).
L’infezione materna decorre spesso asintomatica, solo raramente può manifestarsi
con malessere, febbricola, linfoadenomegalia. In assenza di trattamento della madre,
circa il 40% dei feti si infetta in utero, con una frequenza che aumenta
proporzionalmente al trimestre di gravidanza, in quanto lo sviluppo della placenta
facilita il passaggio del protozoo al circolo fetale.
L’infezione fetale contratta
- al I trimestre determina abitualmente aborto o morte intrauterina del feto
- al II trimestre determina malattia congenita sintomatica con lesioni cerebrali
(calcificazioni ed idrocefalo) e oculari (retinopatia, corioretinite acuta del
fondo); questi bambini generalmente hanno deficit neurologici a lungo termine
- al III trimestre determina infezioni più spesso asintomatiche, oppure lesioni
retiniche isolate.
OTHERS - altre MST
HIV: L’HIV è un retrovirus responsabile della sindrome da immunodeficienza
acquisita, caratterizzata da infezioni opportunistiche ricorrenti e abbassamento delle
difese immunitarie. La sieropositività per HIV è la condizione in cui viene riscontrata
la presenza di anticorpi anti-HIV ma non sono ancora comparsi i sintomi di AIDS.
La trasmissione del virus da madre a feto può avvenire durante la gravidanza,
durante il parto o durante l’allattamento. Il rischio di trasmissione stimato è di circa
1:5 (20%), che si riduce drasticamente al 4% se alla madre viene somministrata la
terapia antiretrovirale durante la gravidanza e al neonato durante le prime 6
settimane di vita.
L’HIV rappresenta un’indicazione relativa al taglio cesareo, infatti l’infezion perinatale
durante il parto vaginale è del 15%, mentre se il parto è espletato mediante TC
scende al 5%. Oggi con la terapia antiretrovirale, in realtà il rischio di infezione
perinatale durante parto vaginale è scesa all’8% mentre con TC in elezione al 3%. La
scelta della modalità di parto dipende sempre dal rischio materno legato al taglio
cesareo (più elevato rispetto ad un parto spontaneo).
VZV: È il virus responsabile, in acuto, della varicella, malattia esantematica
altamente contagiosa tipica dell’età pediatrica, trasmessa prevalentemente per via
aerea, ma può contagiare anche gli adulti e in questo caso è possibile, seppur rara la
trasmissione verticale:
- Se la madre contrae l’infezione primaria nei primi due trimestri di gravidanza,
la trasmissione verticale si può verificare fino nel 25% dei casi causando, nel
10% circa di questi, la sindrome da varicella congenita (caratterizzata da
lesioni cutanee, anomalie oculari come cataratta e corioretiniti, difetti
neurologici, ritardo psicomotorio e atrofia muscolare). Il 30% circa di questi
neonati muore nel corso dei primi mesi di vita.
- Nel caso l’infezione primaria materna pochi giorni prima del parto, si può
avere un’infezione neonatale lieve o grave.
Quando l’esantema materno compare in un periodo compreso tra 5 giorni
prima a 2 giorni dopo il parto, non viene trasmessa al feto un’adeguata quota
di Ac specifici materni, per cui il neonato sviluppa varicella neonatale grave,
disseminata, associata a mortalità del 20%.
Se la madre, invece, sviluppa la malattia fra i 20 e i 6 giorni precedenti il
parto, è probabile che il neonato sviluppi varicella neonatale lieve, in quanto
protetto dagli anticorpi materni.
LISTERIA: Lysteria Monocytogens è un batterio gram positivo, presente in cubi
conservati in frigorifero, latte non pastorizzato, carni poco cotte o pronte al consumo
(insaccati, hot dog). A differenza di molti altri microrganismi trasmessi attraverso
l’alimentazione che causano patologie gastrointestinali, Lysteria provoca
manifestazioni più gravi ed invasive, specialmente nel paziente
immunocompromesso o nella donna gravida, come: setticemia, meningite e morte
fetale.
PARVOVIRUS: È un virus in grado di infettare liticamente le cellule progenitrici della
linea eritroide, quindi è un potente inibitore dell’emopoiesi.
È possibile la trasmissione verticale in caso di infezione primaria in gravidanza con
effetti avversi nel feto nel 10% dei casi, in particolare se contratta nei i primi due
trimestri, ma il rischio di infezione materna è basso perché la maggior parte delle
donne è sieropositiva.
La più comune manifestazione clinica dell’infezione fetale è l’anemia e, nei casi più
gravi, l’idrope fetale non immune (NIHF, specialmente se l’infezione si verifica
durante il secondo trimestre, periodo in cui l’emopoiesi è epatica e l’emivita dei GR è
inferiore rispetto alle fasi successive di emopoiesi).
SIFILIDE: Patologia sistemica provocata dalla spirocheta Treponema pallidum, la
quale si sviluppa in 4 stadi evolutivi, se non trattata:
- Sifilide primaria, caratterizzata dal sifiloma primario nel sito di inoculo;
- Sifilide secondaria, caratterizzata da rash cutaneo, lesioni mucocutanee,
linfoadenopatia;
- Sifilide latente, caratterizzata da prova sierologica dell’infezione in assenza di
segni clinici, si distingue in precoce o tardiva, a seconda che si verifichi
rispettivamente meno di 1 anno o più di 1 anno dopo la sifilide secondaria;
- Sifilide terziaria, caratterizzata da lesioni neurologiche, cardiache e gomme a
livello cutaneo.
E’ possibile anche la trasmissione verticale:
- per via transplacentare = SIFILIDE CONGENITA
- durante il parto (più rara) in presenza di lesioni genitali attive = SIFILIDE
CONNATALE.
Se la trasmissione avviene nei primi 2 trimestri, si verificano le conseguenze più
gravi per il feto; se avviene nel 3 trimestre, è più probabile che il bambino sia
asintomatico alla nascita, con sviluppo dei primi sintomi tardivamente.
Si distinguono perciò due forme di sifilide congenita:
1. PRECOCE = quadro clinico presente alla nascita o manifesto entro i primi 2
anni di vita. Segni più frequenti: prematurità, basso peso alla nascita, rinite,
epatomegalia, splenomegalia, esantema vescicolare, periostite/osteocondrite,
meningite.
2. TARDIVA = sintomi dopo i primi 2 anni di vita con riscontro, di solito, di
positività sierologica. Le manifestazioni tipiche sono raggruppate nella triade
di Hutchinson: cheratite interstiziale, sordità da danno dell’VIII nervo, denti di
Hutchinson (malformazione degli incisivi mediani superiori di seconda
dentizione). Altri sintomi comprendono anomalie scheletriche (tibia a sciabola,
bozze frontali, naso a sella, rosario rachitico, articolazioni di Clutton) e ritardo
mentale.
ROSOLIA: Il virus della rosolia, è un virus a RNA che appartiene alla famiglia
Togaviridae. L’uomo è il serbatoio naturale. La trasmissione avviene per lo più per via
aerea mediante secrezioni orofaringee di individui infetti. La rosolia è una malattia
contagiosa tipica dell’età pediatrica con decorso benigno.
Negli adulti può causare artriti e artralgie.
Nel caso di infezione primaria materna acquisita nelle prime 12 settimane di
gravodanza, nell’80-100% dei casi, il neonato sviluppa la sindrome da rosolia
congenita, caratterizzata da:
- difetti visivi (cataratta, glaucoma, retinopatia o cecità)
- sordità
- cardiopatie congenite
- alterazioni ossee
- alterazioni neurologiche (microcefalia, ritardo mentale)
- epatosplenomegalia
Il rischio che il feto sviluppi la sindrome da rosolia congenita si riduce sensibilmente
nel caso di infezione primaria materna dopo la dodicesima settimana e diventa nullo
dopo la ventesima.
Nel caso in cui l’infezione primaria venga contratta dalla madre prima del
concepimento, il virus non costituisce alcun rischio per il feto.
CYTOMEGALOVIRUS: Il cytomegalovirus (CMV) è un virus a DNA che appartiene
alla famiglia Herpesviridae, trasmesso principalmente attraverso il contatto con urine,
saliva o secrezioni genitali di individui infetti.
Dopo l’infezione primaria, in genere acquisita nella prima infanzia in modo
asintomatico, il virus stabilisce nell’ospite un’infezione latente che perdura per tutta la
vita ma che, periodicamente, può essere alternata a brevi fasi di riattivazione,
associate all’eliminazione del virus attraverso urine e saliva.
Il rischio di trasmissione verticale è più alto nelle donne che acquisiscono
un’infezione primaria rispetto alle donne in cui si verifica riattivazione del virus.
La trasmissione prenatale del virus, soprattutto nel caso in cui si verifichi nella prima
metà della gravidanza, può interferire con la normale migrazione dei neuroni
neocorticali durante lo sviluppo del SNC fetale causando danni neurologici.
In genere, la trasmissione perinatale o postnatale non è associata alla comparsa, nel
neonato, di un’infezione di tipo sintomatico o di sequele neurologiche, se non in rare
eccezioni, come ad esempio nei bambini nati prematuramente.
HERPES VIRUS: HSV1-2 sono virus a DNA della famiglia Herpesviridae, neurotropi:
in seguito all’infezione primaria, stabiliscono latenza a livello delle cellule gangliari
sensoriali rispettivamente trigeminali e sacrali.
Le principali manifestazioni cliniche, sia in seguito ad infezione primaria, sia
ricorrente, sono l’herpes labiale, (HSV-1) e l’herpes genitale (HSV-2 e raramente
HSV-1), lesioni tipicamente rappresentate da uno o più grappoli di vescicole a
contenuto sieroso su base eritematosa.
HSV-1 viene principalmente trasmesso attraverso la saliva e il contatto con le lesioni
labiali mentre HSV-2 per via sessuale.
La trasmissione verticale di HSV avviene principalmente durante il parto (85%) per
contatto con lesioni infette presenti a livello dei genitali materni . Più rara la
trasmissione in utero (5%) o post-partum (10%).
Le manifestazioni cliniche di un’infezione neonatale da HSV possono comparire fra la
I-II settimana di vita in forma disseminata oppure localizzata.
- L’infezione erpetica disseminata coinvolge fegato, polmoni, cute, occhi e
SNC. Tasso di mortalità molto alto se non trattata prontamente.
- L’infezione localizzata può interessare:
1. SNC, con epilessia, letargia, irritabilità e tremori ± lesioni cutanee.
Pochi bambini sopravvivono senza terapia, e quelli che sopravvivono
presentano gravi sequele.
2. cute, occhi e mucosa orale, con lesioni vescicolari, corioretinite,
cheratocongiuntivite ed ulcere a livello orofanigeo.

11. PARTO FISIOLOGICO


Per travaglio di parto si intendono una serie di fenomeni meccanici (materno fetali) e
dinamici (materni) tra loro intrecciati che conducono al parto.
Le fasi del parto comprendono:
1. fase PRODROMICA (week) che inizia qualche settimana prima e si completa con il
travaglio vero e proprio. Non sempre è caratterizzata da segnali precisi e a volte
passa inosservata. Possono essere presenti contrazioni preparatorie irregolari e
sopportabili (contrazioni di Braxton Hicks, già presenti al sesto mese, in cui inizia a
formarsi il segmento uterino inferiore, l’ISTMO da 6 mm giunge a misurare 6-8 cm).
2. fase di LATENZA (days) che ha una durata di alcuni giorni durante cui si verificano
processi maturativi a carico della cervice uterina:
- APPIANAMENTO (cervical flattening) progressiva riduzione di lunghezza del
canale cervicale con la formazione della “bocca uterina”, quando
l’appianamento è del 100% e la cervice si trasforma in un orifizio (questo
processo dipende dalla “rottura” del collagene ad opera di proteasi e
collagenasi e di un autolisi meccanica, CERVICAL RIPENING, fattori
intrinseci ed estrinseci possono modificare questo processo, ad esempio lo
stato psicologico). Nella primipara la dilatazione avviene dopo
l’appianamento, nella multipara la cervice può cominciare a dilatarsi durante
l’appianamento.
- CENTRALIZZAZIONE detta anche POSITION è lo spostamento del collo
dell’utero verso la regione anteriore (la porzione anteriore del collo uterino è
più mobile, durante le contrazioni tende a centralizzare verso questa regione),
la permanenza del collo in posizione posteriore causa un parto molto più
doloroso.
Questi fenomeni sono valutati dall’indice di Bishop: esso classifica le pazienti in
base alla probabilità di ottenere un induzione al parto di successo che viene eseguita
quando l’indice è > 8 pt (posizione cervicale anteriore, consistenza cervicale
morbida, dilatazione superiore ai 5 cm, posizione della testa) o farmacologicamente
(somministrazione di ossitocina e prostaglandine) o mediante la rottura fisica delle
membrane o favorendo la produzione endogena di prostaglandine (amnioxeresi con
amnihook e catetere di Foley).
3. fase ATTIVA o CORPORALE (hours), la più importante, in cui 1. le pareti uterine del
corpo cominciano a contrarsi generando una forza propulsiva che faciliterà
l’espulsione del feto (le contrazioni sono 4-5 ogni 10 min e hanno un’intensità di circa
40 mmHg) e 2. la dilatazione del canale cervicale.
La fase attiva può essere valutata grazie alla “Curva di Friedman” o curva
cervicometrica, che dimostra come nella fase attiva si osservi una fase di
accelerazione (fino ai 4 cm, solitamente), una di massima risalita (fino ai 10 cm,
solitamente) e una di decelerazione della dilatazione della cervice in relazione al
tempo (anche nella fase di latenza, la curva cervicometrica può segnalare una
dilatazione di circa 3 cm).
4. fase PELVICA o periodo ESPULSIVO (minutes) che inizia quando la dilatazione è
completa ed ha una durata di circa 2 ore (il parto in partoanalgesia è fisiologico
anche se l’espulsione avviene entro le 3 ore), in cui il feto supera il piano pelvico
medio e fuoriesce dalla vagina.
Le contrazioni sono ora più frequenti (5-6 ogni 10 min) e l’intensità aumenta fino a 60
mmHg, qui è fondamentale la partecipazione della madre tramite le SPINTE
(inspirazione profonda, apnea e spinta). Oltre alla spinta fisiologica data dalla madre
si può ricorrere alla Manovra di Kristeller, manovra ostetrica che dovrebbe facilitare
l’espulsione della testa in fase avanzata in cui un operatore spinge a livello del fondo
dell’utero, anche se non è esente da rischi: la complicanza più temute è la rottura
uterina con emorragia e morte improvvisa del feto.
I fenomeni meccanici (materno fetali) si stabiliscono nel periodo espulsivo sono 6:
1. riduzione e impegno: è l’adattamento dei diametri fetali della parte presentata
ai piani del bacino, si distingue:
- riduzione diretta quando avviene mediante un meccanismo di
compressione e può essere Assoluta (i diametri compressi vanno a
ridursi nel bacino ginecoide ed androide) o Relativa (i diametri
compressi causano l’allungamento di altri nel bacino platipelloide e
andropoide);
- riduzione indiretta quando avviene mediante sostituzione di diametri
(nella presentazione più fisiologica, il diametro occipito frontale viene
sostituito dal diametro sub occipito bregmatico, che essendo più corto:
9.5 cm contro 11.5 cm, favorisce meglio l’impegno;
L’impegno è il superamento dello stretto superiore da parte della
circonferenza maggiore presentata, può avvenire in SINCLITISMO o in
ASINCLITISMO a seconda del fatto che la testa scenda impegnando
contemporaneamente le due ossa parietali, altrimenti si parla di asinclitismo
anteriore se si impegna prima il parietale anteriore o di asinclitismo posteriore
si impegna prima l’osso parietale posteriore.
2. progressione: è il passaggio dallo stretto superiore allo stretto medio, che
avviene quando la dilatazione si completa (nel caso in cui vengano impresse
spinte esterne prima della dilatazione completa, si ha rischio di lacerazioni del
collo dell’utero).
3. rotazione interna: è una conseguenza dell’adattamento della testa bambino
alla forma del bacino; nello stretto medio il diametro migliore è quello sagittale
(mentre nello stretto superiore era il diametro obliquo). Il bambino in questo
passaggio rivolge la testa fisiologicamente verso il basso, guardando “a terra”
(nel caso in cui fosse a faccia in alto significa che è avvenuta una rotazione
sacrale dell’occipite, antifisiologica).
4. disimpegno: è la fuoriuscita della parte presentata dal canale del parto dopo
l’attraversamento dello stretto inferiore e l’orifizio vulvare (favorita dalla
retropulsione del coccige). Nel caso in cui la vulva dovesse creare un
ostacolo, si ricorre ad una tecnica nota come EPISIOTOMIA, sarebbe un
taglio vulvovaginale eseguito in senso longitudinale, mediano o laterale per
cui si incidono i muscoli perineali superficiali (bulbocavernosi, ischiocavernosi
e il trasverso superficiale del perineo). Il rischio di questa procedura è dato
dal taglio di muscoli sfinteriali (uretrale, vaginale, anale) e profondi del
perineo (elevatore delll’ano, formato da ileocavernoso, ileococcigeo e
rettococcigeo) e dalla formazione di fistole vagino-anali.
5. rotazione esterna: agevolata dalle manovre ostetriche che ruotano la testa
disimpegnate e di conseguenza le spalle del bambino ancora impegnate nello
scavo pelvico (prima si disimpegna la spalla posteriore localizzata a livello
della sinfisi sacroiliaca e poi quella spalla anteriore localizzata a livello
dell’eminenza ileopettinea).
6. espulsione: è l’espulsione totale del feto seguita dalla manovra ostetrica di
compressione perineale man mano che la paziente spinge, in modo da
evitare lacerazioni perineali.
I fenomeni plastici (fetali) del parto consistono nella deformazione delle parti molli
del feto durante l’attraversamento del canale del parto.
La deformazione più comune è il CAPUT SUCCEDANEUM o tumore da parto: si
manifesta in seguito alla rottura prematura delle membrane (avvenuta da diverse
ore), in un feto in presentazione cefalica. Consiste in una raccolta sieroematica
esterna al periostio, destinata a scomparire qualche giorno dopo il parto (di solito
entro 4 giorni).
Il CEFALO EMATOMA è invece una raccolta ematica situata tra il tavolato osseo ed
il periostio. Si sviluppa entro 2-3 giorni dalla nascita ed è una condizione patologica,
spesso associata a fratture (anche di lieve entità), in cui i vasi che decorrono sotto il
periostio si rompono.
5. SECONDAMENTO è il periodo in cui avviene l’espulsione o l’estrazione degli
annessi fetali: placenta con membrane amniocoriali e funicolo, dall’utero materno.
Normalmente avviene dopo 10 minuti spontaneamente, ma talvolta necessita di
intervento da parte dell’operatore con un secondamento manuale (l’operatore
inserisce una mano nell’utero della partoriente seguendo il funicolo e con la parte
ulnare della mano la estrae).
Affinchè la placenta venga espulsa si deve distaccare dall’ancoraggio uterino, cosa
che normalmente avviene partendo dalla porzione centrale (80% dei casi, distacco
secondo Schulzer) o più raramente partendo eccentricamente da uno dei margini
che progredisce con il distacco del margine inferiore (20% dei casi, distacco secondo
Duncan). Nel distacco laterale (eccentrico) la perdita emorragica è maggiore.
Difetti di aderenza o di impianto della placenta possono causare gravi emorragie
dopo il secondamento. Il distacco precoce di placenta normalmente inserita può
causare la morte del feto.
- PLACENTA ACCRETA
I villi penetrano in profondità invadendo il miometrio. A seconda del grado di
invasione distinguiamo:
1. placenta accreta attraversano la mucosa raggiungendo il miometrio
senza invaderlo;
2. placenta increta i villi si spingono nel contesto del miometrio;
3. placenta percreta raggiungono il perimetrio;
Ha un incidenza di 5/2600 parti. I fattori di rischio comprendono: storia di
placenta previa, multiparità, taglio cesareo, endometriti e leiomiomi. La
terapia si basa sull’isterectomia peripartum o con selettiva embolizzazione dei
vasi pelvici immediatamente dopo il TC.
- PLACENTA PREVIA
La placenta si impianta nel segmento uterino inferiore, si può distinguere in:
1. laterale
2. marginale
3. centrale
Il sintomo più comune è la metrorragia. Essa è causata dal fatto che il
segmento uterino durante il terzo trimetre di gravidanza si va estendendo
mentre la placenta è inestensibile.
La terapia comprende nel parto a termine l’esecuzione del TC, che trova
indicazione assoluta nel caso di placenta previa centrale, mentre in caso di
placenta previa laterale o marginale si può indurre l’amnioxeresi e tentare il
parto vaginale.
Nel caso in cui la placenta previa si presenti prima del termine e le
metrorragie non siano abbondanti, si può fare una vigile attesa prima del
taglio cesareo.
- DISTACCO DI PLACENTA NORMALMENTE INSERITA
Può essere prematuro o avvenire precocemente in travaglio ed essere
parziale o totale. Nel caso di distacco totale, il feto è sempre morto. Il segno
caratteristico è la contrazione tetanica dell’utero e un emorragia che può
anche essere interna.
Il trattamento prevede sempre il taglio cesareo. Nei casi gravissimi si ricorre a
isterectomia precesarea, che consiste nell’asportazione dell’utero col feto.
6. periodo POST PARTUM e PUERPERALE, il postpartum comprende le 2 ore
successive all’espulsione della placenta. Questa è la fase EMOSTATICA in cui l’utero
chiude i vasi sanguigni lacerati per effetto meccanico di A. nuove contrazioni e B.
formazione di trombi. Se questi meccanismi non avvengono si possono scatenare
copiose emorragie (come in caso di atonia uterina in cui si può somministrare
ossitocina ma se non si osservano benefici si deve procedere all’isterectomia totale).
In queste 2 ore è importante per cui sorvegliare la paziente controllandone il polso, la
temperatura, la pressione, perdite ematiche e la contrazione e retrazione uterina.
Il periodo puerperale inizia dopo il parto e termina con la ripresa delle mestruazioni.
La sua durata media è di 6 settimane, ma può protrarsi fino a 6 mesi specialmente se
si comincia ad allattare.
La più frequente complicanza del puerperio è la FEBBRE PUERPERALE ovvero
l’iperpiressia > 38°C, dovuta solitamente ad infezioni genitali, mastiti, cistiti e
cistopieliti o infezioni della ferita addominale in seguito al TC. Possono verificasi
anche tromboflebiti superficiali o profonde frequentemente dopo prolungata
immobilizzazione a letto ed embolia polmonare.
Dopo il parto si manifestano le LOCHIAZIONI: perdite genitali persistenti fino a 4-8
settimane dal parto dovute all’essudazione che accompagna i processi di riparazione e
all’eliminazione dei residui tessuti gravidici (durante le prime settimane le perdite sono
ematiche, lochia rubra, poi diventano siero ematiche ed infine cremose).
L’utero post partum pesa circa 1 kg, dopo una settimana 500 g, dopo due 350 g e dopo 40
giorni in media 60 g.
L’imene dopo il parto vaginale si modifica notevolmente e si formano le CARUNCOLE
IMENALI mirtiformi.
La vagina riprende presto gran parte del tono e dell’elasticità precedente, anche se la cavità
vaginale rimarrà più ampia.
La vulva si decongestiona e le suture di episiotomia o le brevi lacerazioni perineali
guariscono entro poche settimane.
Il perineo riprende gradatamente tono e consistenza anche se eventuali danni possono
slatentizzare dopo anni. I più frequenti sono di tipo nervoso per stiramento delle radici
nervose e causano incontinenza urinaria o difficoltà della minzione.
La parete addominale rimane atonica per 6 settimane di puerperio, le strie gravidiche poi
tendono a ridursi anche in base all’elasticità dei tessuti (potrebbero non scomparire
completamente).
Anche la gittata cardiaca ed il volume plasmatico ritornano alle condizioni pre gravidiche
entro 1 settimana dal parto con perdita totale di 3 litri di liquidi (con aumento apparente di
ematocrito ed emoglobina in questa fase). I fattori della coagulazione aumentano nei primi
giorni di puerperio, da cui l’aumentato rischio di TVP e di EP.
L’intestino e gli organi interni che vengono schiacciati durante i mesi di gravidanza verso
l’alto ritornano nella sede addomino pelvica. Un fastidio presente in puerperio possono
essere le emorroidi che possono andare incontro a congestione (congestione del plesso
emorroidale).
A livello urinario entro 3 settimane, la vescica ritorna alla condizione precedente, anche se
nei primi giorni dopo il parto, per l’atonia vescicale e l’edema da parto si può avere ritenzione
urinaria da sforzo, specie se il parto è stato traumatico.

SITUAZIONE - per situazione si intende il rapporto che si stabilisce tra l’asse cefalo podalico
del feto e l’asse longitudinale dell’utero.
Se questi sono Paralleli, si ha una situazione longitudinale, la più fisiologica.
Se questi formano un angolo di 45°, la situazione è detta obliqua.
Se formano un angolo di 90°, la situazione è trasversa, la più patologica (rientra tra le
indicazioni assolute per il taglio cesareo, per il rischio che comporta di “duplicazio corporis”.
PRESENTAZIONE - per presentazione si intende la parte del feto che si impegna nello
stretto superiore della vagina. Durante la discesa della testa del bambino si usa definire un
punteggio (CURVA MECCANICA DI PROGRESSIONE) che va da -3 a +3 man mano che la
testa di mette in contatto con l’ingresso pelvico (per calcolare questo punteggio si effettuano
delle MANOVRE DIGITALI per vedere se si riesce a far entrare qualche dito tra la sinfisi
pubica e la testa, in questo caso la testa non è impegnata nel canale del parto).
Se la testa è a contatto con la vagina, si ha una presentazione Cefalica, la più fisiologica.
Se il podice (il culetto) si mette in rapporto con la vagina, la presentazione è Podalica.
Se la spalla si mette in rapporto con la vagina, la presentazione è Di spalla, la più
patologica.
PRESENTAZIONE DI VERTICE - presentazione fisiologica, in cui si tocca la piccola
fontanella, quando è spostata in avanti e verso sinistra si ha VERTICE SINISTRO
ANTERIORE (VSA) la più fisiologica delle presentazioni
PRESENTAZIONE DI BREGMA - quando si tocca la grande fontanella
PRESENTAZIONE DI FRONTE - quando si tocca il naso
PRESENTAZIONE DI FACCIA - quando si tocca il mento

E’ indispensabile osservare i fenomeni di adattamento del neonato alla vita extrauterina.


Le prime cure che debbono essere effettuate sono:
- valutazione del benessere fetale con l’indice di Apgar
- aspirazione di muco dal cavo orofaringeo e dalle narici
- recisione del funicolo
- pesatura, misurazione, bagnetto, vestizione
- profilassi oftalmica
L’indice di Apgar si basa su 5 parametri (FC, respirazione, tono muscolare, risposta al
posizionamento del catetere nasofaringeo, colore della pelle) a cui si attribuiscono 0,1 o 2
punti per un totale massimo di 10. I neonati con punteggio inferiore a 4 necessitano di
intervento medico immediato, quelli con punteggio tra 4 e 6 sono moderatamente a rischio,
bisognosi di assistenza, vigilanza e ripetizione del test ogni 5 minuti. Sopra il 7 i neonati
sono considerati normali.
Per quanto riguarda la LATTAZIONE, si avrà la produzione di colostro, che inizia in 3-4
giornata con la montata lattea e coincide con la caduta di estrogeni e progesterone ematico
che rimuovono il blocco a livello dei recettori per la prolattina. La PRL trasforma la ghiandola
mammaria in ghiandola secretiva e il mantenimento della produzione di latte è garantito dal
riflesso di suzione (mammillo-ipotalamo-ipofisario).
Tra le controindicazioni all’allattamento vanno ricordate:
- capezzoli introflessi
- precedente chirurgia oncologica al seno
- ragadi resistenti a terapia
- assunzione di alcuni farmaci
- mastite

12. PARTOGRAFIA
La PartoGrafia è la registrazione grafica dei fenomeni del travaglio e del parto. E’ un metodo
efficace per rappresentare la progressione del travaglio. Questa raccolta di informazioni
inizia ad essere presa al momento della diagnosi di travaglio.
Comprende:
- la dilatazione cervicale
- lo stato delle membrane (rotte o integre)
- la pressione arteriosa della madre
- la posizione della testa del feto rispetto al canale del parto
- il battito cardiaco fetale e materno
- il colore del liquido amniotico
- le contrazioni uterine
Ogni 2 ore circa viene ripetuta la visita vaginale e i dati vengono aggiornati. L'obiettivo del
monitoraggio del travaglio è quello di individuare più precocemente possibile anomalie del
fisiologico travaglio di parto in modo da evitare e prevenire qualunque esito negativo in
madre e bambino.
Nel partogramma, la dilatazione cervicale e la presentazione della parte fetale vengono
riportati graficamente con cerchietti e triangolini che verranno uniti da 2 linee che si
incrociano, a dimostrazione del corretto andamento del parto (all’aumentare della dilatazione
la progressione aumenta).

13. PARTO OPERATIVO


E’ un parto vaginale non fisiologico che prevede l’applicazione alla testa del feto di forcipe o
ventosa, per gestire le fasi del travaglio e facilitare il parto.
Le indicazioni sono una fase espulsiva lunga (> 3-4 h), sospetto di compromissione fetale,
rischi legati alla salute materna (sospetto di danno midollare, disturbi cardiaci, o grave
spossatezza che impedisce una spinta efficace).

La scelta del dispositivo dipende dalle preferenze e dall’esperienza del ginecologo. Ma una
condizione necessaria prima di usare uno degli strumenti è che la testa del bambino si trovi
almeno in posizione +2 (2 cm sotto le spine ischiatiche materne) o più in basso, oltre
ovviamente ad aver ottenuto il consenso informato.
Le complicanze maggiori sono le lacerazioni materne vaginali e perineali e i traumi fetali
come ematomi neonatali, distocia di spalla, cefaloematoma, ittero ed emorragie retiniche.

La ventosa è uno strumento a pressione negativa che si posiziona sulla testa del feto e
mediante un processo di trazione dall’alto verso il basso porta il feto verso l’esterno.

Il forcipe è uno strumento metallico costituito da due branche, una femmina e una maschio
costituita da un perno, a differenza della ventosa che ha solo un’azione di trazione, con il
forcipe si riesce anche a ruotare la testa ed il feto. Ormai il suo utilizzo è sconsigliato per il
rischio di emorragie e di traumi fetali.
14. PARTO CESAREO
Il primo ad essere nato di parto cesareo fu Gorgia di Leontini, filosofo sofista greco, della
provincia Siracusana. In passato il parto cesareo si effettuava post-mortem nelle donne
morte in travaglio, nel tentativo di salvare il feto.
Ogni anno nel mondo sono eseguiti circa 20 milioni di tagli cesarei, con un'incidenza in
progressivo aumento dagli anni 80 ad oggi in Italia e nel mondo.
Dal 1985 l’OMS ha ritenuto che il tasso ideale di tagli cesarei dovesse essere compreso tra il
10 ed il 15%.
Il taglio cesareo se eseguito sulla base di una specifica indicazione medica, può
effettivamente ridurre la mortalità e la morbilità materna e perinatale ma non ci sono
evidenze scientifiche che dimostrino i benefici del parto cesareo per le donne e i bambini in
cui la procedura non sia necessaria.

Con la classificazione di ROBSON dei 10 gruppi, creata allo scopo di identificare in modo
prospettico gruppi di donne ben definiti e clinicamente rilevanti per valutare le differenze nel
ricorso al taglio cesareo all’interno di questi gruppi relativamente omogenei.
I. nullipare, gravidanza singola, > 37 w, travaglio spontaneo
II. nullipare, gravidanza singola, > 37 w, travaglio indotto o TC in assenza di travaglio
III. multipare, senza precedente cicatrice uterina, gravidanza singola, presentazione
cefalica, > 37 w, travaglio spontaneo
IV. multipare, senza precedente cicatrice uterina, gravidanza singola, presentazione
cefalica, > 37 w, travaglio indotto o TC in assenza di travaglio
V. multipare, con cicatrice uterina, gravidanza singola, presentazione cefalica, > 37 w
VI. nullipara, gravidanza singola, presentazione podalica
VII. multipara, gravidanza singola, presentazione podalica, incluse donne con precedenti
cicatrici uterine
VIII. gravidanza multipla, incluse donne con precedenti cicatrici uterine
IX. gravidanza singola, presentazione trasversa o obliqua, incluse donne con precedenti
cicatrici uterine
X. gravidanza singola, < 37 w, incluse le donne con precedenti cicatrici uterine

Il taglio cesareo è l’intervento chirurgico per mezzo di cui si estrae il feto dall’utero attraverso
una breccia aperta artificialmente con laparotomia ed isterotomia.
L’incisione cutanea viene praticata preferibilmente in senso trasversale 2.5 cm sopra la
sinfisi pubica (incisione di Pfannestiel). Incisioni mediane, a T, J o verticali (incisione di
Maylard) sono molto meno comuni.
Le potenziali indicazioni per l’incisione verticale sono: segmento uterino inferiore poco
sviluppato, come in caso di parto pretermine a 23-25 settimane, presentazione trasversa del
feto con dorso posteriore, miomi uterini che ostruiscono il segmento uterino inferiore (mioma
previo), placenta previa centrale o accreta.
Quindi si procede all’estrazione della testa fetale con manovra tradizionale se non si è già
impegnata nello stretto superiore, caso in cui si effettua una duplice manovra di
disinserimento (un assistente introduce in vagina una mano per spingere cranialmente la
parte presentata, mentre l’altro operatore fa trazione sulle clavicole fetali disimpegnando la
testa che potrà essere estratta attraverso l’incisione).
La placenta viene estratta manualmente se il secondamento non avviene spontaneamente
massaggiando l’utero dall’esterno entro 5 minuti.
Quindi si procede alla sutura uterina con punti staccati o continua con filo sintetico
riassorbibile 0 o 1. Si può eseguire un secondo strato di sutura muscolo muscolare mentre
generalmente il peritoneo parietale e viscerale non vengono approssimati (ciò avverrà
spontaneamente nel giro di qualche giorno), tuttavia alcuni autori suggeriscono
l'accostamento dei piani per ridurre le aderente.
Le fasce muscolari vengono suturate con punti continui o staccati ed il tessuto sottocutaneo
se lo spazio è maggiore di 2 cm per evitare ematomi e deiscenza della ferita. La cute viene
chiusa con punti di sutura o punti metallici.

Si ricorre al taglio cesareo quando il parto vaginale risulta meccanicamente impossibile o


comporta rischi eccessivi per il feto e per la madre:
- sproporzione cefalo pelvica o distocia
- distacco di placenta
- prolasso di funicolo (in cui una o più anse del cordone ombelicale si presentano
davanti la parte presentata fetale dopo la rottura delle membrane, mentre per
procidenza di funicolo si intende la medesima situazione, a membrane integre)
- placenta previa
- taglio cesareo iterativo
- patologie cardiache materne
- ipertensione endocranica
- masse pelviche
- condilomatosi genitale massiva
- stato fetale non rassicurante
- posizione podalica o trasversa
- macrosomia fetale (5 kg nella donna non diabetica, 4,5 kg nella diabetica)
- malformazioni fetali (idrocefalo, difetti del tubo neurale)
- gravidanza gemellare con 1° gemello non cefalico (20% delle gravidanze gemellari,
per evitare l’uncinamento dei gemelli)
- gravidanze multi gemellari
- HIV o HSV

Il taglio cesareo elettivo dovrebbe essere programmato non prima della 39 esima settimana.
Se gemellare anche alla 38 esima.
Qualora un taglio cesareo venga effettuato prima della 39 esima settimana, si procede a
profilassi corticosteroidea RDS.
Un taglio cesareo senza indicazione medica è eticamente ingiustificabile. Analizziamone
rischi e benefici potenziali:
RISCHI - aumento della morbilità materna a breve termine, aumento di endometriti,
trasfusione di sangue e trombosi venosa periferica, aumento dei giorni di degenza in
ospedale, lieve aumento del distress respiratorio alla nascita, aumento della morbilità
materna e neonatale a lungo termine, amentato rischio di placenta accreta e di isterectomia
nei successivi tagli cesarei.
BENEFICI - riduzione della morbilità e mortalità prenatale, riduzione di asfissia prenatale ed
eventi traumatici da parto, minore incidenza di disfunzioni del pavimento pelvico e riduzione
delle emorragie post-partum.

Il taglio cesareo è un intervento addominale maggiore con rischi potenziali sia per la madre
che per il feto, che aumentano in presenza dei seguenti fattori di rischio: obesità, patoloie
preesistenti, precedenti interventi chirurgici. Le complicanze che possono sopraggiungere
sono:
- isterectomia post partum 7-8:1000
- necessità di ulteriori procedure chirurgiche (RCU) 5:1000
- ricovero in terapia intensiva 9:1000
- trombosi venosa profonda ed embolia polmonare 4-16:1000
- lesioni vescicali 1:1000
- lesioni ureterali 3:10000
- rottura d’utero in gravidanze future 2-7:1000
- morte endouterina del feto in gravidanze future 1-4:1000
- placenta previa o accreta in gravidanze future 4-8:1000
- emorragia 5:100
- ri-ospedalizzazione 5:100
- infezione 6:100
- dolore e discomfort alla ferita 9:100
- morte materna 1:12000 (specialmente associata ad emorragia, sepsi, EP, problemi
anestesiologici legati all’anestesia generale indicata nei tagli cesarei d’emergenza)

Tutte le donne con pregresso taglio cesareo dovrebbero essere adeguatamente informate
dei benefici e dei rischi associati al travaglio di prova, al parto vaginale e al taglio cesareo
elettivo ripetute ed essere incoraggiate ad effettuare un travaglio di prova (a meno che
l’incisione precedente non sia stata verticale o qualora vi sia anamnesi positiva per
deiscenza o rottura dell’utero).
Particolare attenzione deve essere prestata alla comparsa di segni e sintomi di rottura
d’utero: dolore uterino che non regredisce nella pausa tra le contrazioni, perdite ematiche
anomale vaginali o urinarie, riduzione improvvisa delle contrazioni, risalita del livello della
parte presentata e shock.
L’uso di analgesia epidurale, ossitocina o prostaglandine non è controindicato.

15. PARTO PRE TERMINE E POST TERMINE


Il parto PRE termine è l’espulsione o l’estrazione del feto e dei suoi annessi dopo la
22esima settimana di gestazione e prima della 37esima settimana, indipendentemente dal
peso fetale (che eventualmente ha un significato prognostico).
L’incidenza del parto pretermine è rimasta stabile negli ultimi 30 anni e interessa il 6-15% di
tutti i parti. La frequenza aumenta con il procedere della gravidanza.
La mortalità neonatale si comporta in maniera opposta: è elevata fino alla 27esima
settimana, decresce gradualmente e a partire dalla 28esima settimana il feto ha la stessa
mortalità dei nati a termine.
23 w o < sopravvivenza tra il 2 ed il 35%
24 w sopravvivenza tra il 17 ed il 58%
25 w sopravvivenza tra il 35 e l’85%
L’eziopatogenesi del parto pretermine è complessa e multifattoriale. C’è un equilibrio tra
fattori miorilassanti ed uterotonici che regola l’attività contrattile del miometrio in gravidanza.
Da un punto di vista pratico, le cause di parto pretermine vengono distinte in:
- INFETTIVE (nel 40% dei casi), l’infezione determina da parte dei macrofagi e dei
linfociti dell’interfaccia amniocoriale la produzione di citochine e prostaglandine. La
contaminazione della cavità amniotica può avvenire attraverso 4 vie:
1. ASCENDENTE dalla vagina o cervice uterina, è la forma più frequente e
avviene in diversi stadi: la prima comprende lo stadio di infezione primaria,
vaginosi batterica (spesso dovuta a Gardnerella Vaginalis) o presenza di
patogeni cervicali quali Neisseria Gonorrhoeae e Chlamydia Trachomatis, poi
lo stadio di colonizzazione della decidua e delle membrane amniocoriali con
deciduite, un terzo stadio in cui l’infezione progredisce all'amnios (con o
senza rottura delle membrane) e infine l’infezione giunge al feto (per
aspirazione, ingestione o passaggio nel circolo fetale con batteriemia e
sepsi).
2. EMATICA dalla placenta per infezione transplacentare, pielonefriti, polmoniti.
3. PERITONEALE attraverso le tube uterine.
4. IATROGENA attraverso manovre invasive (amniocentesi, villocentesi).
- NON INFETTIVE, stress psicosomatici, distensione eccessiva dell’utero e distacco di
placenta.
I sintomi sono: crampi mestruali fissi o intermittenti, crampi addominali, diarrea, dolore
lombosacrale, pressione pelvica, perdite vaginali di sangue o liquido mucoso, acquoso o
chiaro, contrazioni uterine dolorose o meno a frequenza di 10 minuti circa.
Nel sospetto di parto pretermine si procede alla valutazione clinica, bioumorale ed
ecografica della gestante.
Una cervice corta, cut-off di 30 mm, aumenta il rischio di parto pretermine fino a 6 volte
superiore dai 30 mm ai 25 mm. La cervicometria si può valutare alla ecografia transvaginale
a vescica vuota, chiedendo alla paziente di spingere o a tossire e prendendo numerose
misurazioni dinamiche.
La fFN, fibronectina fetale è una glicoproteina della matrice extracellulare che funge da
collante tra membrane amniotiche e decidua endometriale, può e deve essere valutata con
un semplice tampone vaginale dopo la 22esima settimana, il cut-off di 50 ng/ml indica le
pazienti a rischio. Si esegue quando si osserva una dilatazione cervicale > 3 cm, quando si
verifica una PROM (rottura prematura delle membrane) o in caso di placenta previa o
perdite ematiche.
Inoltre si valuta la paziente con l’esplorazione manuale e si monitorano le contrazioni ed il
BCF con la cardiotocografia.
Lo scopo principale della terapia è quelli di rinviare il parto di almeno 48 ore per poter
somministrare terapia cortisonica (con betametasone in doppia dose da 12 mg intramuscolo
in 24 ore o di desametasone in 4 dosi da 6 mg ogni 12 ore) per favorire lo sviluppo
dell’albero respiratorio. La terapia corticosteroidea induce il processo maturativo alveolare
con massiva attivazione della colina-fosfato-cistidil transferasi che incrementa la produzione
di surfactante.
I farmaci usati sono farmaci TOCOLITICI come:
- inibitori delle prostaglandine,
- calcio antagonisti (es. nifedipina, diminuisce il calcio intracellulare per blocco dei
canali del calcio voltaggio dipendenti la somministrazione avviene per os con 30-160
mg al giorno e gli effetti collaterali materni sono minimi, quelli fetali assenti),
- solfato di magnesio (esplica un inibizione alla contrazione muscolare riducendo la
frequenza delle depolarizzazioni delle cellule muscolari e modulando la captazione di
calcio dalle cellule, l'infusione ev non deve superare mai i 15 mg/dl per evitare la
paralisi muscolare e l’arresto respiratorio della donna),
- antagonisti dell’ossitocina (es. atosiban, agisce direttamente rilassando il miometrio
bloccando i recettori per l’ossitocina e inibendo il rilascio di PG indotto dall’ossitocina,
con ottimi risultati),
- FANS,
- gliceril trinitrato.
Controindicazioni assolute alla terapia tocolitica sono la morte fetale intrauterina, la
presenza di anomalie congenite fetali, l’infezione intraminotica, complicazioni materne o
fetali che richiedono un immediato espletamento del parto.
Sotto le 23 settimane la tocolisi è usata con riguardo poiché il feto ha di per sé pochissime
chance di vita. Tra le 24 e le 33 settimane i benefici del farmaco superano i rischi materno
fetali per cui la terapia è di solito effettuata, salvo controindicazioni. Oltre le 34 settimane il
rischio di morbilità e mortalità fetale è basso per cui la terapia non è più raccomandata.
Il parto POST termine o gravidanza protratta è una gravidanza della durata di più di 42
settimane.
Non si conosce ancora l’eziopatogenesi esatta di tale condizione, che si verifica nel 10%
delle gravidanze ma è stata associata ad alcuni fattori di rischio:
- primiparità
- età della gestante
- scarse condizioni socio economiche
- scarso incremento ponderale in gravidanza
- minaccia di aborto
- precedente parto post termine
- uso cronico di FANS
- malformazioni fetali (es. anencefalia, per minore produzione di cortisolo in travaglio
che si comporta da agonista competitivo per i recettori del progesterone).
I feti nati post termine vanno più frequentemente incontro a ipossia a causa di diverse
complicanze tra cui: sindrome fetale della post maturità (dovuta all’invecchiamento
placentare), macrosomia fetale, emissione e aspirazione di meconio.
Una gravidanza protratta deve essere monitorata con cardiotocografia ed ecografia
morfologica fetale, per la valutazione dell’AFI (indice del liquido amniotico, solitamente si ha
oligoidroamnios) ed eventualmente si deve procedere all’induzione del parto con
somministrazione di prostaglandine e ossitocina.

16. PROLASSO URO-GENITALE E INCONTINENZA URINARIA DA SFORZO


Per prolasso uro-genitale si intende la discesa verso il basso, attraverso lo hiatus vaginale di
vescica, uretra, utero, retto e di anse intestinali, singolarmente o combinatamente.
In base al compartimento prolassato si parla di:
1. prolasso ANTERIORE: se prolassa l’uretra e la vescica, o entrambe (cistouretrocele);
2. prolasso SUPERIORE: se prolassa l’utero (isterocele), la cupola vaginale e le anse
intestinali (enterocele);
3. prolasso POSTERIORE: se prolassa il retto (rettocele);
I principali fattori di rischio presumibilmente implicati possono essere così suddivisi:
- OSTETRICI: numero di parti, periodo espulsivo prolungato, macrosomia fetale,
estrazioni strumentali, manovra di Kristeller, secondamento manuale.
- GINECOLOGICI: pregressa chirurgia ginecologica (isterectomia).
- UROLOGICI: infezioni, litiasi, coliche renali, enuresi infantile.
- PERSONALI: patologie sistemiche (diabete, obesità, malattie neurologiche, BPCO,
LES, ecc.), traumatismi o patologia della colonna vertebrale, abitudini di vita (fumo,
alcol, caffè, stipsi cronica, sforzi fisici).
- FARMACOLOGICI: teofillina, betamimetici, diuretici, alpha bloccanti, miorilassanti,
psicofarmaci.
Sistema POP-Q (Pelvic Organ Prolapse-Quantification)
Stadio 0: senza prolasso
Stadio I: la maggior parte del prolasso distale è a più di 1 cm sopra l'imene
Stadio II: la maggior parte del prolasso distale è compresa tra 1 cm sopra e 1 cm
sotto l'imene
Stadio III: la maggior parte del prolasso distale è più di 1 cm al di sotto dell'imene
ma 2 cm più corto della lunghezza vaginale totale
Stadio IV: c’è eversione completa
SINTOMATOLOGIA
Il prolasso resta asintomatico nel 10-20% dei casi, mentre nella restante parte le pazienti
lamentano una sintomatologia che può comprendere:
- Ostruzione delle vie urinarie con difficoltà a iniziare la minzione e uso del torchio
addominale, disuria, minzione a gocce, flusso stentato (all’esame urodinamico la
presenza del cistocele riduce il max flow rate e aumenta la resistenza uretrale ed il
residuo post minzionale per l’effetto kinking del prolasso);
- Bulging vaginale;
- Tensione pelvica;
- Dolore lombo sacrale per la dilatazione delle alte vie urinarie causata dall incompleto
svuotamento o dallo stiramento degli ureteri;
- Disturbi della sfera sessuale come dispareunia (dolore durante il rapporto) e
incontinenza durante il coito;
DIAGNOSI DIFFERENZIALE
La diagnosi differenziale va fatta con:
- ipertrofia longitudinale del collo uterino
- neoformazioni del collo o del corpo uterino sia polipi che miomi
- cisti vaginali
TERAPIA CONSERVATIVA
Si esegue nel caso di prolasso lieve, se la paziente è in menopausa per cui si esegue una
estrogenizzazione locale per ridurre il senso di peso o di corpo estraneo e la secchezza.
Si possono fare degli esercizi di ginnastica perineale usando palline di Kegel o coni di
Plevnik.
TERAPIA CHIRURGICA
Nelle donne con prolasso di grado avanzato con protrusione al di fuori dei genitali esterni, la
chirurgia è la scelta più indicata, a meno che la paziente non presenti valide
controindicazioni all’intervento (di ordine anestesiologico), per cui si possa decidere di usare
un pessario vaginale.
Durante il trattamento si può utilizzare una MESH in materiale sintetico biocompatibile
(polipropilene, derma porcino, marlex, ecc.) che aiuta nel riportare il collo vescicale e l’uretra
in posizione posteriore mentre sull’utero viene generalmente praticata un isterectomia.

INCONTINENZA URINARIA DA SFORZO


L'incontinenza urinaria da sforzo può essere correlata a:
- parto spontaneo, con prolungamento del periodo espulsivo;
- macrosomia fetale;
- episiotomia;
- lacerazioni vagino-perineali;
- parto vaginale operativo, mediante pinza e ventosa;
- taglio cesareo d'urgenza, eseguito dopo il prolungamento del periodo espulsivo.
Le principali alterazioni anatomo-funzionali indotte dal parto vaginale e che interferiscono
con il meccanismo della continenza sono:
- alterazioni del supporto pelvico;
- riduzione della pressione di chiusura uretrale e della lunghezza funzionale dell'uretra;
- ipermobilità uretrale.
INCONTINENZA ANALE
Lacerazioni dello sfintere anale si verificano nel 20% dei parti vaginali.
Le lacerazioni dello sfintere anale interno non sono generalmente riconosciute clinicamente,
a differenza di quelle dello sfintere esterno, che vengono riconosciute e riparate.
La maggior parte delle donne che hanno subito lacerazioni dello sfintere anale durante il
parto presenta danno neurologico del pavimento pelvico, con denervazione dello sfintere
esterno e sono predisposte a incontinenza gassosa o fecale.

17. DPC, PID ED ENDOMETRIOSI


Per dolore pelvico cronico (DPC) si intende un dolore di durata > ai 6 mesi, ciclico o non
ciclico, spontaneo o provocato, localizzato a livello pelvico e di intensità tale da determinare
una disabilità funzionale e richiedere un trattamento medico-chirurgico.
Si manifesta principalmente in donne in età fertile, mentre è raro in età prepuberale o in
menopausa, la prevalenza è del 4% delle donne di età compresa tra 15 e 73 anni (più
comune in donne divoziate/separate, rispetto a singles e sposate).
Il DPC può dipendere da patologie di origine:
1. ginecologica
- UTERINE: adenomiosi, miomi, stenosi cervicale, endometrite cronica, polipi,
malformazioni uterine, IUD.
- NON UTERINE: endometriosi, cisti peritoneale reattiva, cisti annessiali,
ovulazione dolorosa, gravidanza extrauterina, PID cronica, salpingite
cronica, salpingite tubercolare, aderenze.
2. non ginecologica:
- GASTROINTESTINALE: tumore del colon, ostruzione cronica intermittente
dell’intestino, colite, stipsi cronica, malattia diverticolare, ernia, morbo di
Chron, colon irritabile.
- MUSCOLOSCHELETRICA: dolore miofasciale della parete addominale,
dolore coccigeo cronico, compressione delle vertebre lombari, artrosi, rottura
o erniazione del disco intervertebrale, anomalie della postura, fibromiosite,
strappi muscolari o stiramenti muscolari, tumori del midollo spinale o del
nervo sacrale, sindrome del piriforme e nevralgie del nervo ileoipogastrico,
ileoinguinale, genitofemorale e pudendo.
- UROLOGICA: neoplasia vescicale, infezione cronica delle vie urinarie, cistite
interstiziale, cistite acuta ricorrente, uretrite acuta ricorrente, urolitiasi,
diverticolo uretrale, caruncola uretrale, dissinergia detursoriale.
3. sine causa (nel 40-60% dei casi)
Il DPC può nascere da 2 distretti:
- VISCERALE, è il dolore pelvico propriamente detto, diffuso e di difficile
individuazione.
- SOMATICO, quando viene riferito a strutture muscolo-scheletriche della pelvi (riesce
ad essere ben localizzato).
DIAGNOSI
Si inizia con attenta anamnesi (associazione del dolore al ciclo mestruale, lordosi lombare,
parto di un neonato macrosomico, parto difficile con ventosa o forcipe) ed esame obiettivo,
esami di laboratorio con dosaggio di biomarkers ed esami strumentali di primo e secondo
livello come ecografia, clisma opaco, risonanza magnetica, cistoscopia e infine laparoscopia
esplorativa.
La valutazione del dolore si serve di alcune scale e questionari, come il QoL (che valuta la
qualità di vita per capire l’impatto del dolore), la VAS (visual analogue scale, la più usata), la
NRS (numeric rating scale), McGill pain scale, Wong-Baker Face Scale.
L’esame clinico si compone di più fasi:
1. IN POSIZIONE ERETTA, valutare:
- postura e simmetria delle creste iliache (sindrome della gamba corta)
- stazione su una sola gamba (lassità della sinfisi pubica)
- andatura (problemi muscoloscheletrici)
- valutazione inguinale con e senza manovra di Valsalva (ernie inguinali e
femorali)
- valutazione delle articolazioni sacroiliache (artrosi)
2. IN POSIZIONE SEDUTA, valutare:
- postura e spasmo dell’elevatore dell’ano (sindrome del pavimento pelvico
doloroso)
- palpazione del tratto alto e basso della colonna (artrite, trigger point di
mialgia)
- test sensitivi e di forza muscolare (ernia discale)
3. IN POSIZIONE SUPINA
- flessione attiva della gamba e ginocchia al petto (disfunzioni della colonna
vertebrale)
- palpazione addominale superficiale e profonda (laparoceli, ernie epigastriche
ed inguinali)
- test di Carnett
4. IN POSIZIONE LITOTOMICA
- esplorazione e palpazione dei genitali esterni
- speculum
- esplorazione digitale
- esplorazione vaginale (anche bimanuale)
- esplorazione retto-vaginale (potrebbe dimostrare la presenza di noduli
endometriosici, o patologia anorettale)
Gli esami di laboratorio comprendono: PAP-test, tampone vaginale, coltura uretrale e
cervicale per clamidia e gonorrea, urinocoltura, emocromo completo, dosaggi ormonali,
ricerca di sangue occulto nelle feci, test di funzionalità epatica e renale, ricerca di uova e
parassiti nelle feci, test di Mantoux, ecc.
La laparoscopia diagnostica, in passato era ritenuta il gold standard nel work up diagnostico
del dolore pelvico cronico. Oggi, a causa dei rischi connessi, si considera un indagine
diagnostica di secondo livello e viene effettuata solo quando le altre tecniche di imaging
hanno fallito. Infatti in circa ⅓ - ½ delle operazioni esplorative sono negative e non
necessariamente la patologia riscontrata è causa del dolore.
TERAPIA
Medica, fisioterapica, psicoterapia, chirurgia.

PID o Malattia Infiammatoria Pelvica è indica l’infezione e l’infiammazione del tratto


genitale superiore nelle donne, che in particolare interessa:
- utero,
- tube di Falloppio,
- ovaie,
- altri organi collegati alla riproduzione.
In numerosi Paesi del Mondo la malattia infiammatoria pelvica è la più frequente causa di
infertilità prevenibile, i processi cicatriziali che si sviluppano in questi organi possono infatti
causare sintomi e segni come:
- infertilità,
- gravidanze tubariche (ectopiche),
- dolori pelvici cronici,
- ascessi (infiammazioni purulente).
SINTOMATOLOGIA
La manifestazione più evidente della malattia infiammatoria pelvica è il dolore, anche di forte
intensità, localizzato al basso ventre e alla pelvi.
Gli episodi acuti si associano spesso ad altri sintomi caratteristici, come:
- dispareunia (dolore durante i rapporti sessuali)
- leucoxantorrea (perdite vaginali di cattivo odore)
- spotting (sanguinamenti intermestruali)
- ipermenorrea (flusso mestruale particolarmente abbondante)
- lombalgia (dolore alla bassa schiena)
- febbricola o febbre lieve e debolezza
- diarrea e vomito
- sintomi urinari
EZIOLOGIA
La malattia infiammatoria pelvica è causata da batteri, la maggior parte dei quali a
trasmissione sessuale quali Chlamydia trachomatis e Neisseria gonorrhoeae.
La trasmissione può avvenire nel corso di rapporti sessuali non protetti, ma anche in caso di
parto, aborto spontaneo, interruzione di gravidanza, utilizzo della spirale contraccettiva.
TERAPIA
Il trattamento della malattia infiammatoria pelvica prevede l'uso di antibiotici (doxicillina,
gentamicina, clindamicina, ecc.); la terapia può coinvolgere anche il partner al fine di evitare
ulteriori infezioni. Per lo stesso motivo, nel corso della terapia antibiotica è consigliabile
astenersi dai rapporti sessuali.
In alcuni casi è necessario il ricovero ospedaliero e la somministrazione di terapia antibiotica
per via endovenosa.
Raramente si rende necessario l'intervento chirurgico.

Per Endometriosi si intende la presenza di tessuto endometriale in sede ECTOPICA.


Prevalenza:
- 3-15% della popolazione femminile in età riproduttiva.
- Età media alla diagnosi di 25-30 anni.
I focolai ectopici di mucosa endometriale sottostanno alla regolazione ormonale ovarica,
assumendo atteggiamenti proliferativi e funzionali simili a quelli che si verificano
nell’endometrio normale (compreso sfaldamento e sanguinamento in epoca mestruale).
Localizzazione
- Pelviche:
1. Interne (adenomiosi uterina, nel miometrio)
2. Esterne (intramiometriale): peritoneo pelvico, annessi, sierosa, visceri pelvici
ecc.
- Extrapelviche: Pleura, Polmone, Arti, Encefalo, Intestino
Inoltre la possiamo ulteriormente distinguere in endometriosi superficiale e profonda.
Per ENDOMETRIOSI PROFONDA si intende quella lesione che invade per più di 5 mm il
peritoneo pelvico. Questo tipo di lesione non è molto comune ed ha la tendenza ad infiltrare
gli ureteri, il retto-sigma e la vescica.
Endometriosi Peritoneale può essere:
- Pigmentata
- Non pigmentata
Il colore di queste lesioni è considerato un indicatore della sua attività
NERE: SEMIATTIVE
BIANCHE: INATTIVE
ROSSE: ATTIVE
Macroscopicamente possono apparire come:
- Lesioni nere, bianche o rosse
- Lesioni non visibili (endometriosi occulta)
- Aderenze
- Tasche peritoneali
Fattori di rischio:
- Classe sociale elevata
- Etnia caucasica
- Menarca precoce
- Cicli mestruali brevi
- Mestruazioni abbondanti
Teorie patogenetiche:
1. Reflusso di sangue mestruale (Mestruazione abbondante, Ipoplasia uterina con
stenosi cervicale, Retroflessione dell’utero, Malformazioni genitali, Aderenze
intrauterine)
2. Metaplasia dell’epitelio celomatico
3. Disseminazione per via linfatica o ematica
4. Disseminazione chirurgica
MOLTEPLICI meccanismi intervengono nella patogenesi dell’endometriosi:
- Infiammazione cronica
- Meccanismi neurologici
- Alterazione del Sistema Immunitario
- Predisposizione genetica
-
Il Dolore Pelvico associato a Endometriosi è dovuto a:
- Citochine e fattori di crescita rilasciati dai macrofagi.
- L‘effetto dei microsanguinamenti che stimolano i nocicettori pelvici.
- L’irritazione dei nervi del pavimento pelvico
- Neo-Innervazione in corrispondenza degli impianti endometriosici profondi.
Tutti questi meccanismi possono essere presenti contemporaneamente in una singola
paziente.
ANAMNESI:
- ASSENZA DI SINTOMATOLOGIA (20-25%)
- DOLORE:
- diffuso alla pelvi
- dispareunia (localizzazioni Profonde)
- dischezia
- dismenorrea (localizzazioni Superficiali)
- STERILITA
ESAME OBIETTIVO:
- Noduli del setto retto-vaginale e dei legamenti utero-sacrali
- Ridotta mobilità di utero e annessi
- Lesioni endometriosiche visibili in vagina
DIAGNOSTICA strumentale:
- ECOGRAFIA TRANSVAGINALE
- CISTOSCOPIA
- RETTOSIGMOIDOSCOPIA.
- ECOGRAFIA TRANSRETTALE
- TAC e RM
La diagnosi di certezza richiede il prelievo bioptico per la conferma istologica.
LA LAPAROSCOPIA E’ CONSIDERATA IL GOLD STANDARD non solo per LA DIAGNOSI
ma anche per LA TERAPIA CHIRURGICA DELL’ENDOMETRIOSI PELVICA.
STADIAZIONE:
Si utilizza la classificazione dell’AMERICAN SOCIETY FOR REPRODUCTIVE MEDICINE:
Si basa su un sistema a punti per cui sulla base della laparotomia si segnalano:
il numero, la sede e le dimensioni dei focolai che interessano tuba, ovaio, peritoneo pelvico
e Douglas.
La somma dei punti definisce lo stadio della malattia
TERAPIA:
- TERAPIA MEDICA: analgesici, danazolo, gestrinone, progestinici, iud al
levonorgestrel, contraccettivi orali, agonisti del GnRH.
- TERAPIA CHIRURGICA: rimozione chirurgica dei focolai.

18. PATOLOGIE DI UTERO E OVAIO


UTERO
- MALFORMAZIONI UTERINE -
La malformazioni uterine consistono in alterazioni della morfologia uterina
determinate dall’insorgenza di anomalie durante i processi embrionali di formazione
dell’apparato riproduttore femminile, a carico di particolari strutture detti Dotti di
Muller; esse vengono perciò anche dette malformazioni mulleriane.
La loro effettiva incidenza nella popolazione generale si aggira tra lo 0,1 ed il 3%.
Le malformazioni uterine sono state classificate nel 1998 dall’American Fertility
Society secondo il seguente schema:
- Classe I – Agenesie o ipoplasie che comportano l’assenza o l’ iposviluppo di
vagina, cervice, fondo uterino, tube o una combinazione di queste strutture.
La Sindrome di Mayer Rokitansky-Kuster-Hauser è l’esempio più comune di
questa categoria.
- Classe II – Utero unicorne: l’utero è costituito da una piccola cavità
solitamente tubulare corrispondente alla metà di una cavità uterina normale
anche detta emicavità, con un solo ostio tubarico.
- Classe III – Utero didelfo: comporta la formazione di due uteri completamente
distinti (canale cervicale e cavità uterina). In circa tre casi su quattro è anche
presente un doppio canale vaginale.
- Classe IV – Utero bicorne: presenta una doppia cavità uterina ciascuna
provvista di un proprio ostio tubarico.
- Classe V – Utero setto completo o parziale: la cavità uterina risulta divisa in
due parti da una membrana fibrosa (detta “setto”), la quale parte dal fondo
dell’utero e prosegue verso il canale cervicale. Se il setto percorre l’intera
cavità uterina è definito “completo”, mentre si parla di “setto parziale” o
“subsetto” quando la divisione della cavità uterina non è totale.
In base alla sua estensione il subsetto può interessare il terzo superiore o il
terzo medio della cavità stessa determinandone rispettivamente una discreta
o moderata deformazione morfologica.
- Classe VI – Utero arcuato: il fondo uterino mostra una modesta prominenza
con una minima deformazione della morfologia della cavità uterina.
- Classe VII – Utero a T: la cavità uterina appare di dimensioni ridotte,
pressoché tubulare a livello della sua metà inferiore per poi ampliarsi
lateralmente a livello fundico assumendo una morfologia a T.
La sindrome di Mayer Rokitansky Kuster Hauser (MRKH) è una condizione
congenita caratterizzata dall'agenesia, cioè dalla mancata formazione (totale o
parziale), della vagina e dell'utero.
Questa agenesia può essere isolata (si parla allora di MRKH di tipo 1) oppure
associata ad altri difetti a livello renale, vertebrale, cardiaco (MRKH tipo 2).
Poiché i genitali esterni e le ovaie sono presenti (anche se queste ultime possono
essere dislocate in sedi anomale), e dunque sono presenti anche i caratteri sessuali
secondari, la sindrome viene in genere scoperta solo durante l'adolescenza, intorno
ai 14-16 anni, per la mancata comparsa delle mestruazioni.
Alla diagnosi si arriva dopo aver escluso altre sindromi cromosomiche (il cariotipo
delle pazienti con MRKH è perfettamente normale, 46XX) e aver confermato
l'assenza di vagina e utero con risonanza magnetica nucleare.
Oltre all'amenorrea primaria, la sindrome comporta impossibilità ad avere rapporti
sessuali e infertilità completa, dovuta alla mancanza di utero.
- POLIPI UTERINI -
Neoformazioni della mucosa uterina che crescono indipendentemente dal restante
endometrio. Possono essere singoli o multipli. Si manifestano tra i 30 e i 50 anni.
Sono rari in menopausa.
Possono essere sessili o peduncolati. Hanno dimensioni variabili da alcuni mm ad
alcuni cm. La sede di maggiore insorgenza è il terzo superiore o fondo della cavità
endometriale.
Possibile trasformazione carcinomatosa per cui vanno sempre asportati per
analizzarli dal punto di vista istologico.
Possono essere:
- adenomatosi → maggiore componente ghiandolare e minore componente
fibrosa;
- adenomatosi con iperplasia;
- iperplastici complessi;
- fibrosi → maggiore componente fibrosa e minore componente ghiandolare.
I sintomi riferiti dalla paziente sono:
- menorragie: mestruazioni prolungate;
- metrorragie: perdite mestruali al di fuori della mestruazione; -dolore;
- leucorrea sieropurulenta e maleodorante.
La diagnosi può essere effettuata durante la visita ginecologica grazie all’utilizzo
dello speculum che evidenzia i polipi che protrudono dall’orificio uterino esterno.
Talvolta si può trattare di un polipo sentinella cioè indicativo di altri polipi localizzati
all’interno. Verrà quindi effettuata l’ecografia che individua una lesione circoscritta
con ecogenicità superiore all’endometrio.
L’esame di secondo livello è l’isteroscopia la quale consente di studiare la cavità.
Essa permette non soltanto la diagnosi ma anche la terapia mediante asportazione
del polipo stesso che sarà sottoposto ad esame istologico.
- MIOMI UTERINI -
I miomi sono tumori benigni del tessuto connettivo dell'utero. L'incidenza maggiore si
ha tra i 40 ei 50 anni. Si presentano come noduli solidi, duri, circoscritti, sferici, di
colore bianco rossastro, circondati da una PSEUDOCAPSULA e costituiti da cellule
di fibre muscolari lisce.
Sono estrogeno-dipendenti e in base alla loro localizzazione possiamo distinguerli in:
- sottosierosi (più frequenti), causano di solito fenomeni compressivi;
- intramurali
- sottomucosi, sono quelli che causano maggior disagio e sanguinamento,
infatti nella sottomucosa avvengono le contrazioni uterine;
I sintomi sono:
- sanguinamento uterino anomalo (menometrorragia e polimenorrea) che può
causare una grave anemia cronica secondaria;
- dolore;
- lombosciatalgia;
- impianto anomalo o fallimento dell'impianto (l’aborto spontaneo, il
sanguinamento post partum o un parto prematuro, sono tutte situazioni
possibilmente causate da miomi uterini, è per questo che si consiglia alla
donna di rimuovere i miomi uterini prima di cercare una gravidanza)
DIAGNOSI
Alla visita ginecologica l’utero è ingrossato, di consistenza aumentata, con margini
irregolari, ed il mioma è mobile e indolore. Il tutto sarà confermato dall'esame
ecografico o dall'isteroscopia.
Se il fibroma è doloroso alla palpazione, ciò può indicare necrosi e suppurazione.
Inoltre, i fibromi possono subire degenerazione ialina, cistica, calcificata o grassa.
COMPLICAZIONI
- infiltrazione emorragica;
- necrosi;
- torsione del peduncolo;
- degenerazione SARCOMATOSA;
TERAPIA
Può essere adottato:
- un atteggiamento di attesa: se i fibromi sono piccoli e asintomatici;
- terapia medica: estrogeni-progestinici, analoghi del GnRH (mima
menopausa);
- terapia chirurgica (ultima scelta): miomectomia o isterectomia (in presenza di
emorragie, resistenza alla terapia medica, fibromi consistenti > 7-8 cm,
fenomeni di compressione).
FIBROMA PREVIO
Se il fibroma cresce verso la cervice (se è "previo"), può essere indicato il taglio
cesareo elettivo (la sua presenza potrebbe ostacolare la progressione del feto nel
canale del parto).
SARCOMA UTERINO
I sarcomi uterini sono un gruppo di varie neoplasie altamente maligne che si
sviluppano dal corpo uterino. Le manifestazioni comuni includono sanguinamento
uterino anomalo e dolore pelvico o massa.
Per il sospetto di sarcoma uterino, possono essere eseguite biopsia endometriale o
dilatazione e curettage, ma i risultati sono spesso falsamente negativi.
La maggior parte dei sarcomi viene diagnosticata istologicamente dopo isterectomia
o miomectomia.
Il trattamento richiede l'isterectomia addominale totale e la salpingo-ovariectomia
bilaterale. Se il cancro è avanzato, sono indicate la chemioterapia e radioterapia.
- ADENOMIOSI -
Sviluppo di endometrio ectopico nell’ambito del miometrio (adenomiosi interna). Essa
è responsabile di:
- dolore pelvico (dismenorrea);
- emorragie;
- dispareunia;
- aumento volumetrico dell’utero.
CARATTERISTICHE istopatologiche ed ecografiche (che la differenziano dal
fibroma): non vi è presenza della pseudocapsula.
Si ha un ingrandimento limitato alla parete posteriore.
Si ha un’area di ridotta ecogenicità ed eterogenicità del miometrio.
- CANCRO DELLA CERVICE UTERINA -
Il tumore della cervice uterina interessa la “portio vaginalis”, ovvero la parte inferiore
dell’utero che si aggetta dentro la vagina.
Solitamente questo tipo di tumore nasce da due tipi di cellule presenti nella cervice
uterina, in particolare cellule della zona denominata giunzione squamocolonnare:
questo è un punto di incontro tra due epiteli, quello dell’endocervice (un epitelio
cilindrico, semplice, mucosecernente) e quello dell’esocervice (pluristratificato,
piatto).
Ne esistono prevalentemente 3 istotipi:
1. CARCINOMA SPINOCELLULARE: con tutte le sue varianti di differenziazione
(cheratinizzate, non cheratinizzate, verrucose, condilomatose, papillari e
linfoepiteliomatose).
2. ADENOCARCINOMA: può essere mucinoso, sieroso, endometrioide, a
cellule chiare o mesofitiche.
3. CARCINOMA A PICCOLE CELLULE: ha prognosi sensibilmente peggiore,
rappresenta circa il 10% di queste neoplasie.
Il tasso di incidenza è maggiore nei paesi in via di sviluppo, grazie a controlli
ginecologici più frequenti e alla diagnosi precoce e trattamento delle infezioni da HPV
correlate.
I fattori di rischio chiamati in causa sono diversi:
- precoce inizio dell’attività sessuale
- partner sessuali multipli e rapporti a rischio
- gravidanze multiple
- giovane età alla prima gravidanza
- immunosoppressione
- precedente storia di displasia vulvare o vaginale
- infezione da HPV (ceppi ad alto rischio 16,18, 31, 33)
L’infezione può evolvere sia in senso di guarigione che verso la persistenza o la
progressione (instaurazione di un infezione latente in cui il genoma virale si associa
in forma episomiale al DNA nel nucleo della cellula ospite). Questi processi hanno
bisogno di molto tempo, anche decenni affinché l’oncogenesi progredisca.
Ciò spiega il cosiddetto PARADOSSO EPIDEMIOLOGICO del tumore cervicale: la
curva che esprime il DNA virale insieme ad una curva che definisce l’insorgenza di
tumore cervicale in relazione all’età delle pazienti dimostra come le manifestazioni si
abbiano in età adulta quando l’espressività virale va a scemare.
Gli oncogeni coinvolti sono due proteine virali di HPV: E6 ed E7, capaci di
sopprimere p53 e la pRB.
Il tumore spesso non da nessuna sintomatologia, fino a quando non è diventato
francamente invasivo:
- perdite ematiche intermestruali o postmenopausali
- perdite ematiche postcoitali
- dolore pelvico irradiato alla coscia
- anemia
- edemi degli arti inferiori (negli stadi più avanzati)
Vi è una grossa differenza tra cancro PREINVASIVO, intraepiteliale, e cancro
INVASIVO, che ha superato la membrana basale invadendo lo stroma sottostante e
può proseguire la sua crescita per contiguità e continuità.
Il tumore preinvasivo in stadio CIN (Cervical Intraepithelial Neoplasia) viene distinto
sulla base del grado di displasia cellulare in 3 stadi: CIN I (che regredisce nel 60%
dei casi mentre in meno dell’1% dei casi evolve in cancro invasivo), CIN II (che
regredisce nel 40% dei casi ed evolve nel 5%) e CIN III (regressione nel 30% e
progressione nel 22%).
Il carcinoma invasivo è stadiato secondo la classificazione TNM e FIGO
(Federazione internazionale di Ginecologia ed Ostetricia) in IV stadi di gravità:
I. stadio:
IA1 è il primo stadio di invasione, fino a 3 mm, può essere trattato con la
conizzazione che ha anche scopo diagnostico. Si distinguono sul risultato
della conizzazione 2 sottotipi:
- EARLY STROMAL INVASION < 1mm, caso con prognosi migliore in
assoluto.
- Infiltrazione tra 1 e 3 mm, caso con prognosi sempre buona ma con
dati di mortalità e metastatizzazione leggermente maggiori.
IA2 quando supera i 3 mm di invasione, fino ai 5 mm.
IB quando lo spessore è > di 5 mm.
In questi casi il trattamento chirurgico è più radicale, può estendersi funo ad
un’isterectomia con linfoadenectomia pelvica bilaterale o trachelectomia
radicale con asportazione di parametri e linfonodi (valutazione del linfonodo
sentinella).
Quando il tumore ha dimensioni > 4 cm, non è più consigliabile l'intervento di
tipo radicale (si opta di solito per la radioterapia), anche se in alcuni casi si
procede all’EVISCERAZIONE PELVICA che consiste nell’asportazione anche
di vagina, ovaie, porzione inferiore del colon, retto e vescica.
II. stadio: tumore che si è diffuso oltre l’utero ma non oltre la parete pelvica o al
terzo inferiore della vagina
III. stadio: tumore che ha invaso il terzo inferiore della vagina o la parete pelvica
o ha causato idronefrosi
IV. stadio: tumore con metastasi a distanza o a retto o vescica
Di fondamentale importanza per il tumore cervicale sono la prevenzione primaria e la
prevenzione secondaria:
La prevenzione primaria consiste nella profilassi vaccinale anti-HPV, in particolare
con la somministrazione di un vaccino tetravalente o nonavalente contro i ceppi più
ad alto rischio (16, 18, 11) a donne di età compresa tra i 9 ed i 26 anni.
La prevenzione secondaria si basa sull’esecuzione del PAP-TEST, ogni 3 anni nelle
donne di età compresa tra i 25 ed i 65 anni.
Il PAP-TEST è un esempio di esame citologico esfoliativo indiretto utile per studiare
l’aspetto morfologico e citologico delle cellule prelevate per riconoscere l’eventuale
presenza di patogeni o di atipie. Il nome PAP deriva dalla colorazione di
Papanicolaou che è usata nel PAP test e permette di colorare le cellule in base al
loro stadio maturativo: le cellule basali vengono colorate in blu e le cellule superficiali
vengono colorate in rosa.
Il PAP test raccoglie (alla giunzione squamo colonnare) cellule squamose e le cellule
colonnari ghiandolari.
Qualora queste non fossero presenti, potrebbe darsi che l'epitelio pavimentoso abbia
sovrastato quello colonnare anche causando difficoltà al drenaggio del secreto
ghiandolare con formazione delle “cisti di Naboth”. Anche se il prelievo risulta
ematico, dovrebbe essere ripetuto.
I risultati del pap-test, in genere consegnati dopo due settimane, vanno innanzitutto
distinti in:
- PAP-test NEGATIVO: le cellule epiteliali del collo dell'utero prelevate durante
il test sono risultate normali; di conseguenza non è necessario alcun
trattamento; la paziente viene comunque invitata a ripetere il test dopo il lasso
di tempo concordato con il medico
- PAP-test anormale (POSITIVO): nelle cellule epiteliali del collo dell'utero
prelevate durante l'esame è possibile evidenziare delle anomalie.
Il sistema Bethesda (TBS - The Bethesda System) è un sistema per la
compilazione standardizzata delle diagnosi di citopatologia cervicale o vaginale,
usato per refertare i risultati degli strisci del PAP-TEST.
I risultati anomali includono:
- cellule squamose atipiche:
1. cellule squamose atipiche di significato non determinato (ASC-US)
2. cellule squamose atipiche - non si esclude HSIL (ASC-H)
- lesione intraepiteliale squamosa di basso grado (LGSIL o LSIL)
- lesione intraepiteliale squamosa di alto grado (HGSIL o HSIL)
- carcinoma delle cellule squamose
- cellule ghiandolari atipiche non altrimenti specificate (AGC-NOS)
- cellule ghiandolari atipiche, sospetto per AIS o cancro (AGC-neoplastic)
- adenocarcinoma in situ (AIS)
I risultati LSIL possono essere gestiti con un semplice follow up poiché c'è un
12-16% di possibilità di progressione verso una displasia più severa.
HSIL non significa che il cancro è presente. Tra tutte le donne con un risultato HSIL,
il 2% presenta cancro cervicale invasivo, e senza trattamento circa il 20% potrebbe
progredire, quindi un HSIL è generalmente seguito da una immediata
COLPOSCOPIA con BIOPSIA.
Il trattamento di HSIL implica la rimozione o distruzione delle cellule affette, di solito
tramite LEEP (procedura di escissione elettrochirurgica) o crioterapia,
cauterizzazione o l'ablazione laser, ma nessuna di queste viene eseguita in caso di
gravidanza.
- IPERPLASIA ENDOMETRIALE -
È dovuta ad una aumentata produzione di ghiandole rispetto allo stroma.
Ha un ruolo potenzialmente maligno.
E’ associata ad una prolungata esposizione agli estrogeni, quindi ad
iperestrenismo relativo o assoluto (da obesità tumori secernenti, PCOS, terapia
estrogenica sostitutiva).
Una alterazione genetica è l’inattivazione del gene PTEN che, se attivo, fosforila AKT
e stimola sintesi proteica, proliferazione cellulare e inibisce l’apoptosi. Inoltre porta
all’attivazione del recettore per gli estrogeni, indipendentemente dal ligando.
Riscontriamo 4 diverse categorie:
1) IPERPLASIA SEMPLICE SENZA ATIPIA = definita anche “iperplasia lieve” o
“cistica”, poiché vi sono parecchie ghiandole di varie dimensioni, irregolari,
con dilatazione cistica.
Raramente evolve in adenoK (1%). Può evolvere in atrofia cistica, quando
viene sospesa la stimolazione estrogenica.
È la forma più comune e la causa più frequente di metrorragia in età
avanzata.
2) IPERPLASIA SEMPLICE CON ATIPIA = come la precedente, ma ha atipia
(perdita di polarità, nucleoli evidenti). L’8% evolve in K. Possono regredire
con terapia ormonale (di meno, se c’è atipia), possono fermarsi a tale grado,
oppure evolvere nelle forme complesse…
3) IPERPLASIA COMPLESSA SENZA ATIPIA = ghiandole affollate, numerose
e ramificate, ma comunque restano separate e non confluiscono e le cellule
epiteliali sono normali. Evolve in K nel 3% dei casi.
4) IPERPLASIA COMPLESSA CON ATIPIA = mostra una sovrapposizione
morfologica con l’adenoK ben differenziato, un’accurata distinzione può
essere fatta solo con l’isterectomia.
È trattata infatti con isterectomia o con attento follow-up in donne giovani +
terapia progestinica. Il 25-50% ha il K.
Quando c’è atipia al problema proliferativo se ne aggiunge uno differenziativo, cioè
aumenta il rapporto nuclei/citosol, aumentano la diversità tra i nuclei, i nucleoli e le
mitosi e tutto ciò rende più probabile l’evoluzione in K.
La progressione dalla atipica al K si ha in circa 4 anni, dipende dai fattori di rischio
congeniti e acquisiti.
In caso di sanguinamento: fare biopsia per diagnosi istologica.
- Se NON c’è atipica -> terapia ormonale che favorisca il blocco della
proliferazione e l’aumento della differenziazione;
- Se C’È atipia -> attento follow-up.
- TUMORE ENDOMETRIALE -
È il più comune cancro invasivo del tratto genitale femminile, responsabile del 7% di
tutti i tumori invasivi delle donne.
È più frequente nel postmenopausa (donne tra i 55 e i 65 anni). La sua incidenza è
aumentata negli ultimi 25 anni, ma il PAP test non ha modificato l’epidemiologia (è
positivo solo se il K ha infiltrato la regione cervico-vaginale).
Fattori di RISCHIO:
- Iperestrogenismo e iperplasia atipica;
- Obesità, DM, ipertensione arteriosa (tutte condizioni correlate tra loro e
associate ad aumentata produzione di ESTROGENI);
- Infertilità e cicli anovulatori (per mancata produzione di PGR);
- Età ovarica prolungata (menarca precoce, menopausa tardiva).
Fattori di PROTEZIONE:
- Gravidanza;
- Ovariectomia;
- Contraccettivi orali.
Pattern di crescita:
1. VEGETANTE/POLIPOIDE = si estende nella cavità uterina, fino ad istmo e
cervice, ma la tappa seguente è sempre l’infiltrazione;
2. INFILTRATIVO = ab initio.
ISTOTIPI
- K DI TIPO I -
Sono i più frequenti (80%) e i più precoci. Ben differenziati. Mimano le ghiandole
endometriali: chiamati CARCINOMI ENDOMETRIOIDI.
Sono associati ad obesità, diabete, ipertensione, infertilità, stimolazione E. nel
30-80% dei casi presentano mutazione dell’oncosoppressore PTEN (presente anche
nel 20% delle iperplasie endometriali, possibili precursori del K).
Mutati anche PIK3CA (ruolo nel processo di invasione) nel 40% dei casi, KRAS nel
25% dei casi, la β- catenina e p53 nei tumori scarsamente differenziati (è quindi una
mutazione ad esordio tardivo).
Può essere un tumore polipoide localizzato, oppure diffuso sulla superficie.
Diffonde invadendo il miometrio fino alle strutture contigue (se arriva al legamento
largo, spesso dà una massa palpabile). Nella fase avanzata dà METASTASI
linfonodali e polmone, fegato e ossa.
L’85% sono ADENOCARCINOMI ENDOMETRIOIDI: hanno quadri ghiandolari simili
al normale endometrio, ma sono assolutamente privi di stroma interposto.
Vengono suddivisi in 3 gradi:
1. G1 = K ben differenziato, con crescita solida <5%;
2. G2 = AdenoK moderatamente differenziato, con crescita solida <50%;
3. G3 = AdenoK scarsamente differenziato, con crescita solida >50%..
- K DI TIPO II -
Sono meno frequenti (15%) e più tardivi di 10 anni rispetto al tipo I. Sono
scarsamente differenziati. Si sviluppano in un quadro di atrofia endometriale.
Il sottotipo più comune è il CARCINOMA SIEROSO -> simile al sieroso delle ovaie.
Esistono anche il K a cellule chiare e il tumore misto mülleriano.
La p53 è mutata nel 90% dei K sierosi, con accumulo della proteina mutata,
evidenziabile con immunoistochimica nel nucleo delle cellule.
Il precursore del K sieroso è il CARCINOMA INTRAEPITELIALE ENDOMETRIALE
(EIC) che ha cellule identiche al K sieroso, ma manca di invasione stromale, e
presenta p53 mutata nel 75% dei casi (testimonia che tale mutazione è un evento
precoce nel K sieroso).
Il K invece è un tumore voluminoso che invade il miometrio. Il pattern di crescita
delle lesioni invasive è PAPILLARE (con cellule atipiche) o GHIANDOLARE (che si
differenzia dal K endometrioide per la forte atipia). Tutti i sottotipi vengono classificati
come G3.
Oltre all’invasione diretta, il K sieroso può dare interessamento peritoneale per
diffusione tubarica o linfatica.
STADIAZIONE
Dipende dalle strutture infiltrate.
Il miometrio rappresenta una barriera naturale di 1-2 cm, quindi “il tumore ha tanta
strada da fare” e solo in fase molto tardiva troveremo il K fuori dall’utero.
La menometrorragia dura ANNI prima che il tumore si estenda al di fuori.
Per questo la diagnosi è fatta spesso in stadio T1-T2 iniziale.
STADIO 1 = solo corpo uterino;
STADIO 2 = esteso alla cervice;
STADIO 3 = supera l’utero (paramétri, tessuti periuterini) ma resta nella pelvi;
STADIO 4 = retto, vescica, estensione extrapelvica o metastasi.
Non è disponibile un test di screening per il K endometriale.
Nell’80% dei casi la diagnosi si fa per sanguinamento e leucorrea in stadio 1 (limitato
al corpo uterino o entro il miometrio)
DIAGNOSI
Ecografia, isterectomia con curettage o biopsia e istologia.
TRATTAMENTO
Chirurgia + Radioterapia
La sopravvivenza è del 90% a 5 anni in stadio 1, 75% in stadio 2, 50% in stadio 2-3,
ma diminuisce se ci sono carcinosi peritoneale e ascite ematica.

OVAIO
- CISTI OVARICHE -
CISTI FUNZIONALI
Anomalie nel processo dell’ovulazione. Esagerata risposta dell’ovaio ad uno stimolo
ormonale.
Si distinguono in:
1. Cisti follicolari: C’è una sovradistensione del follicolo di Graaf conseguente
ad accumulo di liquido da mancata deiscenza che genera una formazione
tondeggiante, uniloculare, solitamente contenuto giallo citrino e delle
dimensioni di 3-10 mm.
2. Cisti luteiniche: Possono essere asintomatiche (generalmente prive di
attività endocrina) o provocare irregolarità mestruali se si ha la produzione di
progesterone. E’ possibile la loro rottura con emoperitoneo (CORPO LUTEO
EMORRAGICO): evenienza di addome acuto, spesso si pensa che si tratti di
una gravidanza extrauterina invece è un corpo luteo emorragico che mette a
repentaglio la vita della paziente.
3. Cisti teco-luteiniche: Dovuta alla mancata rottura del follicolo in presenza di
luteinizzazione delle cellule della teca e della granulosa. Possibile causa
iatrogena (iperstimolazioni per indurre gravidanze). Sono spesso associate
ad altre patologie: mola idatiforme, corioncarcinoma, tireopatie, gravidanza ad
elevata placentazione (es. gemellare)
4. Luteoma gravidico;
Le cisti funzionali possono essere:
- di riscontro episodico in donne sane;
- di riscontro frequente in donne con endocrinopatie;
CLINICA
Frequentemente asintomatiche. A volte possono comportare dolore pelvico tipo
colico- gravativo in fossa iliaca fino a quadri di addome acuto (compressione,
torsione, rottura) ed irregolarità ciclo ovarico e/o mestruale.
DIAGNOSI
Visita ginecologica che mostra una tumescenza monolaterale, teso-elastica, mobile,
rotondeggiante. Tutti questi sono parametri di tranquillità: in caso contrario bisogna
pensare a delle patologie maligne.
All’ecografia (trans-vaginale o trans-uretrale) si riscontra una cisti uniformemente
anecogena, uniloculare.
EVOLUZIONE
1. Riassorbimento spontaneo;
2. Complicanze: rottura, torsione sul peduncolo.
TERAPIA
- Osservazione (frequente regressione spontanea);
- Terapia estro/progestinica;
- Enucleazione chirurgica: laparascopica e non laparatomica.
CISTI ORGANICHE
Derivano da alterazioni istologiche più o meno complesse del tessuto ovarico.
Comprendono:
1. Cisti dermoidi o teratomi cistici: Neoplasia benigna che origina dalle cellule
germinali primordiali. La cisti ha parete spessa, opaca e biancastra, al taglio
fuoriesce una sostanza sebacea densa, pastosa, associata a peli, tessuto
osseo, denti ecc.
2. cartilagine (possono essere presenti tutti i tessuti derivanti dai tre foglietti
embrionali).. Rappresentano il 15% tumori ovarici benigni che si presentano
in donne giovani (20-30 anni). Possono essere bilaterali (15-25%) e con
diametro di 5-15 cm. La torsione è una complicanza frequente, mentre la
degenerazione maligna è rara (1-2%)
3. Cisti endometriosiche: Localizzazione ovarica di malattia endometriosica. Si
presenta come una massa cistica isolata o bilaterale (50% dei casi),
uniloculare, di dimensioni variabili da pochi millimetri a 10-15. Presenta
contenuto ematico (marrone scuro): “cisti cioccolato”. All’ecografia hanno
contenuto ipoecogeno con spessa granulazione di fondo.
4. Cistoadenomi Sierosi;
5. Cistoadenomi Mucinosi.
- TUMORI DELL’OVAIO -
Rispetto ai tumori di endometrio e cervice, sono meno frequenti ma più mortali,
perchè, essendo organi profondi e non palpabili, hanno una diagnosi casuale e
tardiva; Non si può fare screening perché non ci sono markers specifici: il CA125
(aumenta nel tumore sieroso, ma anche nella flogosi, nella malattia del pancreas,
nell’endometriosi), e l’α-FP (che aumenta nel tumore al seno endodermico e in alcuni
seminomi).
Il rischio di cancerogenesi è elevato se c’è mutazione dei geni BRCA1 e BRCA2.
La sintomatologia è tardiva con dolore addominale inferiore, disturbi disurici e
gastrointestinali, ascite con cellule neoplastiche per disseminazione peritoneale;
Sono distinti in:
- BENIGNI = 80% <40 anni, spesso monolaterali;
- MALIGNI = 20% >40 anni, spesso bilaterali
- BORDERLINE = a circa 40 anni.
E stadiati a seconda della loro espansione e disseminazione:
T1 = intraovarico
T2 = cavità pelvica
T3 = extrapelvico
M1 = metastatico
CLASSIFICAZIONE ISTOPATOGENETICA
1. Dell’EPITELIO CELOMATICO SUPERFICIALE
La maggior parte delle neoplasie primitive dell’ovaio rientrano in questa
categoria.
L’epitelio celomatico dà origine, per ispessimento ed invaginazione, ai dotti di
Müller, che formeranno gli epiteli del tratto genitale.
L’epitelio celomatico può differenziarsi, come quello del dotto di Müller, in
epitelio TUBARICO, ENDOMETRIALE, ENDOCERVICALE, e può farlo in
direzione neoplastica.
Classificazioni secondo 3 parametri:
1) Per DIFFERENZIAZIONE CELLULARE MULLERIANA
- SIEROSI -> tumori differenziati in senso epiteliale tubarico:
cilindrico ciliato non secernente muco.
- MUCINOSI -> in senso epiteliale endocervicale: cilindrico non
ciliato mucosecernente.
- ENDOMETRIOIDI -> in senso epiteliale endometriale:
eterogeneo, cilindrico ghiandolare parzialmente ciliato e non
mucosecernente.
- A CELLULE TRANSIZIONALI DI BRENNER -> nidi di cellule
transizionali simili alle vie urinarie. E’ un tumore fibroepiteliale
costituito da nidi di epitelio pseudosquamoso immersi in uno
stroma denso. E’ unilaterale, ha consistenza dura, capsulato.
Possiede dimensioni variabili (da pochi cm fino a 30 cm).
2) Per ACCRESCIMENTO
- CISTICI O CISTICI-PAPILLARI -> (accrescimento endofitico
con vegetazioni solido-papillari intracistiche), sono i più
frequenti, da epitelio delle “cisti da inclusione” che sarà
simil-tubarico, cervicale o endometriale.
- DI SUPERFICIE -> (accrescimento esofitico = l’ovaio resta
indenne), molto meno frequenti, la lesione protrude dalla
superficie ovarica verso l’esterno.
3) Per COMPORTAMENTO BIOLOGICO (in base a invasione stromale
e/o peduncolo vascolare della papilla, e anaplasia)
- BENIGNI = <40 anni, può progredire in borderline e maligno.
Possono avere aree cistiche, fibromatose, cistiche e
fibromatose assieme.
- MALIGNI = >40 anni, hanno invasività.
- BORDERLINE = circa 40 anni, hanno basso potenziale di
malignità: Sono uno stadio intermedio tra un benigno e un
maligno; Hanno una evidente anaplasia cellulare, ma assenza
di invasione stromale fibrovascolare! Possono avere aspetti
microinvasivi, ma non c’è superamento della capsula.
SIEROSI
Sono neoplasie delimitate da cellule alte, colonnari, ciliate e non
ciliate, simil-tubariche, riempite con liquido sieroso chiaro.
Sono molto frequenti (>50% dei tumori epiteliali dell’ovaio).
Hanno maggiore incidenza tra i 25 e i 45 anni.
Li classifichiamo in:
- BENIGNI (CISTOADENOMA SIEROSO;
CISTOADENOFIBROMA; ADENOFIBROMA): essi
rappresentano il 60% dei tumori sierosi con sopravvivenza del
100%; hanno parete liscia, sono bilaterali nel 20% dei casi, si
tratta di cisti rivestite da epitelio colonnare con ciglia
abbondanti ed esili papille.
- BORDERLINE: essi rappresentano il 15% con sopravvivenza
dell’85%; hanno tante proiezioni papillari, sono bilaterali nel
30% dei casi, c’è atipia cellulare ma non c’è infiltrazione.
- MALIGNI (CISTOADENOCARCINOMA SIEROSO): essi
rappresentano il 25% con sopravvivenza del 13%; sono
bilaterali (sincrona o metacrona) nel 66%, la massa tumorale è
grande, irregolare, con papille solide, capsula nodulare o con
aderenze; L’atipia nucleare si manifesta con pleomorfismo,
mitosi atipica e più nuclei; C’è tendenza all’infiltrazione.
Fattori di rischio: anamnesi familiare positiva, mutazioni ereditarie.
Mutazioni:
- K BASSO GRADO = KRAS, BRAF.
- K ALTO GRADO = BRCA1, BRCA2, p53.
Sia quelli a basso che ad alto grado diffondono all’omento e danno
ascite. Possono andare incontro a infarto emorragico per torsione del
peduncolo vascolare e dare addome acuto.
I K a basso grado hanno lenta progressione, i K ad alto grado hanno
spesso metastasi alla diagnosi.
MUCINOSI
Sono il 30% di tutte le neoplasie dell’ovaio.
L’80% è BENIGNO, il 10% è BORDERLINE, il 10% è MALIGNO.
E' correlato con alterazioni del protoncogene KRAS.
Sono spesso PALPABILI, perchè danno masse anche >25 kg!
Hanno cisti multiloculari rivestite da epitelio cilindrico mucosecernente
senza ciglia, con contenuto gelatinoso e attorno una capsula fibrosa
liscia (benigni) o nodulare (maligni) con papille intracistiche.
1. Un gruppo di tumori mucinosi originano dall’endometriosi ->
CISTOADENOMA MUCINOSO MULLERIANO.
2. Un altro gruppo ha abbondante crescita di similghiandolare o
papillare, con atipia e stratificazione -> PRECURSORI DEL
CISTOADENOK che hanno crescita solida, perdita
dell’architettura, cellule atipiche.
3. Un’altra categoria sono i NON INVASIVI -> che hanno atipia
epiteliale senza alterazioni stromali. Gli impianti peritoneali
sono di solito non invasivi.
ENDOMETRIOIDI
Rappresentano il 20% di tutti i cancri ovarici.
I BENIGNI (chiamati ADENOFIBROMI ENDOMETRIOIDI) e i
BORDERLINE sono rari, i MALIGNI sono K ovarici endometrioidi.
Possono svilupparsi in un quadro di endometriosi (15-20%) ed essere
accompagnati anche da un K all’endometrio.
Sono correlati con mutazioni di PTEN (presente anche
nell’endometriosi e nel K endometrioide dell’endometrio), KRAS,
β-catenina.
Hanno aree solide e cistiche, con epitelio ghiandolare colonnare simile
a quello endometriale, che risponde agli estrogeni e al progesterone,
con conseguente fenomeno emorragico (e “cisti cioccolato”).
2. Da CELLULE GERMINALI TOTIPOTENTI
Si ha nel 15-20%, è il 3-5% dei tumori maligni ovarici, >0-25 anni d’età. Nel
testicolo sono il 90% perché mancano gli epiteliali.
3. Da STROMA E CORDONI SESSUALI
Derivano da quelle cellule che fisiologicamente danno granulosa e teca nella
F e Sertoli e Leydig nel M.
FIBROMA OVARICO: Rappresenta il 4% dei tumori ovarici. Ha origine
connettivale dallo stroma ovarico. E’ monolaterale 90% dei casi. Si presenta
come una massa solida, sferica o lievemente lobulata, incapsulata,
consistenza dura grigia-biancastra.
ESAME ISTOLOGICO
Fibroblasti ben differenziati immersi in tessuto connettivo
CLINICA
Se di notevoli dimensioni può provocare la Sindrome di MEIGS : fibroma
associato ad ascite e/o versamento pleurico (Idrotorace Dx) per
compressione della vena cava.
TUMORE DELL’ILO OVARICO: Tumore rarissimo; 2% casi maligno.
- Età perimenopausale;
- Unilaterale, solido, mal delimitabile;
- Piccole dimensioni generalmente (non >6cm);
- A volte iperplasia endometriale (ipersecrezione di estrogeni da cellule
ilari).
4. METASTASI
Derivano da K mammella, K gastroenterico, tumore di Krukenberg con cellule
con castone.

19. PATOLOGIE DI VULVA E VAGINA


VULVOVAGINITI
Sono flogosi della vulva e della vagina che si distinguono in:
- Infettive: candida albicans, trichomonas vaginalis, vaginosi batteriche, vaginosi virali
(condilomi, herpes simplex);
- Da contatto: irritative, allergiche;
- Atrofiche;
- Post-attiniche.
DA CANDIDA ALBICANS:
Normalmente la candida albicans si trova a livello vaginale in perfetto equilibrio con la
microflora batterica.
La vulvovaginite si manifesta quando esiste un’alterazione di questo equilibrio che si traduce
nella riduzione dei meccanismi che normalmente impediscono la rottura della stabilità
dell’ecosistema vaginale.
I fattori predisponenti comprendono:
- Gravidanza: nel terzo trimestre in cui l’ambiente vaginale è suscettibile per l’aumento
di glicogeno.
- Malattie croniche;
- Malattie dismetaboliche;
- Deficit immunologici congeniti o acquisiti;
- Variazioni dell’equilibrio ormonale;
- Fattori iatrogeni;
- Abitudini personali (abiti aderenti, sintetici, dieta iperglicidica, tamponi vaginali).
CLINICA
Esiste una forma asintomatica ed una forma acuta e cronica.
Il sintomo predominante è il PRURITO che può essere più o meno intenso e solitamente
precoce. Ad esso si accompagnano il bruciore, l’arrossamento, la secrezione vaginale A
RICOTTA, l’erosione e la fissurazione da grattamento.
DIAGNOSI
Messa in evidenza dell’agente patogeno ed esame colturale.
TERAPIA
Si avvale degli imidazolici (ketoconazolo, miconazolo) per uso topico e per os. Molte volte si
dà una terapia locale ma bisogna ricordare che l’intestino è un serbatoio di questi patogeni
quindi se non si fa una terapia sistemica non si conclude nulla. Soprattutto la terapia
deve essere completa cioè interessare anche il partner. In caso contrario ciò che si ottiene è
il cosiddetto effetto ping pong (recidiva).
DA TRICHOMONAS:
Si tratta di un protozoo flagellato, fusiforme che si trasmette sessualmente. Si localizza nella
vagina e nella vulva ma può estendersi anche alla cervice, all’uretra e al retto.
Possibile interessamento delle salpingi per via ascendente con possibile PID (infezioni
pelviche che comportano non soltanto dolore ma anche infertilità per gravidanza
extrauterina).
Nell’uomo può dare uretriti e prostatiti (per questo bisogna curare sia l’uomo che la donna).
CLINICA
Esistono una forma asintomatica, una forma acuta e una forma cronica.
La vagina è a fragola, la portio è arrossata, la vulva è arrossata ed edematosa, le perdite
vaginali sono profuse, maleodoranti, omogenee e talvolta un aspetto schiumoso con colorito
grigio-giallo-verdastro.
Nella forma acuta la paziente riferisce bruciore, prurito, dispareunia e disuria. Riferisce un
peggioramento dopo le mestruazioni.
La forma cronica è caratterizzata da una mucosa vaginale normale, da abbondante
leucorrea, da una sintomatologia meno intensa.
DIAGNOSI
Ci si basa sulla clinica (perdite, bruciore e meno prurito), sull’esame microscopico,
sull’esame colturale (Ph vaginale tra 5 e 6). Talvolta ci si può confondere con una CIN.
TERAPIA
Farmacologica con metronidazolo.
DISTROFIE VULVARI
LICHEN SCLEROSUS:
Esso colpisce pazienti di qualsiasi età.
La cute vulvare si presenta bianca, sottile e fragile. Le piccole labbra possono restringersi
fino a scomparire. L’apertura vaginale può ridursi notevolmente.
EZIOPATOGENESI
Sconosciuta e multifattoriale (genetici, autoimmuni, ambientali).
CLINICA
Il sintomo più comune è il PRURITO che può essere severo e intollerabile. Si accompagna a
dolore, bruciore, lesioni da grattamento, dispareunia e disuria.
All’esame obiettivo si riscontrano papule bianco avorio e placche confluenti che interessano
la vulva, il perineo e la regione perineale. Non è interessata la vagina. Le modificazioni
secondarie possono essere erosioni, formazione di croste, cicatrici, fimosi fino al
restringimento dell’introito vaginale.
DIAGNOSI
Ispezione e biopsia per confermare la diagnosi.
TERAPIA
Cortisonici ed evitare l’uso di saponi irritanti.
LICHEN PLANUS:
Si tratta di una malattia cutanea cronica di tipo infiammatorio.
EZIOLOGIA
Sconosciuta. Qualcuno sostiene sia autoimmune oppure multifattoriale (batterica, virale,
chimica, iatrogena, traumatica).
CLINICA
Bruciore, prurito, dolore, lesioni da grattamento, dispareunia.
All’ispezione si riscontrano spesse placche dure biancastre, croste, cicatrici e ulcere. Si
tratta di una malattia molto invalidante.
DIAGNOSI
Clinica e biopsia.
TERAPIA
Cortisonici e trattamento delle infezioni.
IPERPLASIA A CELLULE SQUAMOSE
La cute è pruriginosa con superficie irregolare.
I sintomi sono prurito, bruciore e risvegli notturni dovuti al prurito che causa lesioni da
grattamento.
All’esame obiettivo le labbra sono ampliate, le lesioni sono bilaterali, il colore varia dal
rosa-rosso al violaceo e si possono formare ulcere.
TUMORE DELLA VULVA E DELLA VAGINA
Vulva e vagina possono essere colpite da diversi tipi di cancro. Il più comune è senza dubbio
il CARCINOMA SQUAMOSO (sette tumori vaginali su 10 e la maggior parte di quelli
vulvari). A livello della vagina questo tumore è più comune nella zona vicina alla cervice
uterina e prende origine in genere da una lesione precancerosa (VAIN, dall'inglese vaginal
intraepithelial neoplasia) che può in seguito diventare tumore anche a distanza di parecchi
anni. Nella vulva il carcinoma squamoso può essere di tipo cheratinizzante, presente
soprattutto in donne anziane e non legato alla presenza di infezione da HPV, o verrucoso
che assume l'aspetto di una verruca a crescita lenta e ha in genere una buona prognosi.
Quando invece il tumore nasce da una cellula ghiandolare prende il nome di
ADENOCARCINOMA, un altro tipo di neoplasia che colpisce vulva (otto casi su 100, in
particolare le cellule di Bartolini) e vagina (15 casi su 100). L'adenocarcinoma vaginale a
cellule chiare colpisce spesso donne giovani esposte in utero (cioè prima della nascita) al
dietilstilbestrolo (farmaco usato in USA negli anni 60-70 per prevenire l’aborto).
Meno comuni, ma comunque presenti in vulva e vagina sono anche i MELANOMI (6 per
cento dei tumori vulvari, specialmente in clitoride e piccole labbra, e 9 per cento di quelli
vaginali), tumori che hanno origine dalle cellule che producono pigmenti che colorano la
pelle, e i SARCOMI (2 per cento dei tumori vulvari e 4 per cento di quelli vaginali) che
derivano dalle cellule di muscoli e tessuto connettivo.
Infine, molti tumori vaginali sono in realtà METASTASI di tumori che hanno origine in altri
organi come per esempio la cervice uterina, la vescica, il retto, e prendono il nome
dell'organo dal quale derivano.
Per curare la patologia del basso tratto genitale è fondamentale avere una adeguata
conoscenza della diagnostica vulvo-vagino-colposcopica. Occorre adottare un approccio
multidisciplinare, in modo che il piano terapeutico sia concordato dal radioterapista e dal
ginecologo oncologo.

20. PATOLOGIA MAMMARIA


SCREENING MAMMARIO e DIAGNOSI PRECOCE
L’esame di una popolazione asintomatica al fine di individuare i casi che possono avere la
malattia oggetto dell’indagine, in questo caso un carcinoma mammario in fase iniziale.
I tumori mammari sono al 3° posto dopo quelli al polmone e stomaco.
La diagnosi precoce è la diagnosi di una neoplasia in una paziente che in assenza di sintomi
si sottopone ad accertamenti diagnostici.
La MAMMOGRAFIA è il test di screening per il tumore della mammella: con un’accuratezza
diagnostica del 95% (visualizza lesioni < 1cm).
La Società Americana di Radiologia raccomanda di ripeterla ogni 2 anni ad un età
> 40 anni o, nelle donne ad alto rischio, con anamnesi positiva di tumore alla
mammella (madre, sorella) a 35 anni con cadenza annuale
Si eseguono 2 radiogrammi:
1. uno cranio-caudale, evidenzia se il tumore è all’esterno o all’interno della mammella,
2. l’altro obliquo, con rappresentazione del muscolo grande pettorale per vedere se il
nodulo è nei quadranti superiori o inferiori.
SEGNI MAMMOGRAFICI PATOLOGICI
- Opacità stellare
- Microcalcificazioni (sono puntini bianchi piccolissimi di 1-2mm) con significato di
iperplasia semplice o forma atipica
- Distorsioni del parenchima
Alla mammografia si associa sempre l’ECOGRAFIA, che viene eseguita con sonde ad alta
frequenza da 7.5 MegaHertz in su.
Serve all’approfondimento delle lesioni mammografiche identificate con lo screening,
contribuendo in molti casi alla diagnosi finale. Se alla mammografia si evidenzia un’area di
addensamento, la visualizzazione all’ecografia dirime il dubbio.
Serve anche ad indicare la sede dell’agoaspirato per l’esame citologico, o la micro biopsia, e
per lo studio degli impianti protesici.
ELEMENTI DI BENIGNITA’ DI UN NODULO ALL’ ECOGRAFIA
- Si configura con una cisti avente morfologia ovale e asse orizzontale maggiore di
quello verticale
- Contorni netti e regolari
- Rinforzo degli echi posteriori è una caratteristica della cisti
- Assenza di vascolarizzazione (che se presente è disposta in periferia)
ELEMENTI DI MALIGNITA’ ALL’ECOGRAFIA
- Morfologia irregolare con asse sviluppato maggiormente in senso verticale
- Contorni irregolari
- Cono d’ombra posteriore
- Al color-doppler si vede che la vascolarizzazione occupa tutta la lesione
CITOLOGIA SU AGOASPIRATO
Si può associare all’ecografia se il nodulo è cistico e ha dimensioni maggiori ai 3 cm.
Si esegue mediante aspirazione con ago sottile, è una metodica rapida ed economica. Per
noduli profondi si accompagna a visualizzazione ecografica. Il materiale viene messo subito
sul vetrino e strisciato, per evitare che si alteri.
La sensibilità è 85% e specificità 95%, per cui se la diagnosi citologica è positiva, si può
passare direttamente al trattamento chirurgico.
Una diagnosi citologica negativa, data dalla possibilità di falsi negativi, è seguita da
MICROBIOPSIA (tru-cut o core byopsu mammotome).
La RISONANZA MAGNETICA evidenzia meglio la vascolarizzazione del tumore.
A causa dell’intenso campo magnetico sono escluse persone con impianti metallici, es.
pacemaker, protesi ecc.
E’ una metodica di 2 livello, integra la mammografia e l’ecografia. La risonanza magnetica
dopo chemioterapia ci dice la riduzione del tumore, le dimensioni esatte, la mammografia
non riesce. Inoltre, la RM individua una recidiva,la mammografia no. La RM è ottima nello
studio delle protesi, in caso di rottura si vedono delle strie di rottura.
CARCINOMA DELLA MAMMELLA
Malattia potenzialmente sistemica fin dalle prime fasi del suo esordio clinico.
I geni interessati nel tumore ereditario della mammella sono BRCA1 localizzato sul
cromosoma 17, e BRCA2 sul cromosoma 13.
Oggi la terapia si basa sulla chirurgia conservativa e tecnica del linfonodo sentinella (con un
colorante vitale o con un tracciante radioattivo). L’esame istologico può essere fatto dopo
l’operazione o durante. L’immunoterapia (chemio di nuova generazione) e la radioterapia
sono fondamentali per evitare le recidive.
PREVENZIONE -> attività fisica quotidiana, alimentazione con pochi grassi animali/saturi,
abolire alcol, favorire l’allattamento al seno, sconsigliare l’uso prolungato di contraccettivi
orali, limitare la terapia ormonale in menopausa a non più di 5 anni.

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