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IL DIRITTO ROMANO CASO PER CASO PER CASO

IMMISSIONI E CONFLITTI DI VICINATO: IL CASO DELLA TABERNA CASIARIA

Le recenti vicende sociali e giudiziarie legate alle immissioni nocive provenienti dagli impianti
industriali hanno suscitato tra i giuristi una rinnovata attenzione per i difficili equilibri di due
opposte esigenze: da un lato quella della produzione industriale legata agli interessi economici del
Paese, dall’altro lato i diritti insopprimibili e non negoziabili dei singoli e dell’intera comunità alla
salute, così come risulta pertanto dalle nuove definizioni di “danno ambientale”, contenute nella
direttiva 2004/35/CE. Si tratta di una materia intrecciata con la disciplina della proprietà
immobiliare e dei rapporti di vicinato. Inevitabile , il rimbalzo dei nuovi orientamenti sul modo di
concepire la funzione della proprietà privata. Questa tendenza in Italia ha assunto toni ancora più
forti con la recente pronuncia della Cassazione Penale, secondo cui la contravvenzione prevista
dall’art.674c.p. per il getto pericoloso di cose è configurabile anche nel caso di “molestie
olfattive”. La diffusione costante di odori di cucina nelle abitazioni vicine costituisce illecito
penale. Le nuove tendenze giurisprudenziali, si ispirano probabilmente allo spirito informatore
della l.22 maggio 2015 n.68, con cui il legislatore italiano ha sanzionato alcuni delitti contro
l’ambiente , individuando 5 “ecoreati”, tra cui “l’inquinamento ambientale”, e alla scelta a suo
tempo già effettuata dal legislatore europeo di affidare la tutela dell’ambiente al diritto penale. In
definitiva, il divieto di immissioni tutela la proprietà, ma anche la salute del proprietario e
l’amenità dell’ambiente.

Nel III sec. a.C. una lex Metilia de fullonibus dicta vietò a tintori e lavandai di immettere nei fondi
privati e nei luoghi pubblici le acque luride e maleodoranti provenienti dai loro laboratori, con
severe sanzioni a carico dei trasgressori. La disposizione rimase però di fatto inosservata. Abbiamo
testimonianze in due passi, di Giovenale e di Marziale. Dai versi di Giovenale, traspare l’esistenza
di una disposizione volta al trasferimento coattivo oltre il Tevere, in una sorta di “periferia
industriale” di tutte le attività più gravemente inquinanti. La disciplina delle propagazioni moleste
ebbe dunque un origine legislativa e con natura pubblicistica; ma poi la sua evoluzione ed il suo
perfezionamento furono prettamente devoluti al pensiero giurisprudenziale. Ed è per questa
ragione che la materia delle immissioni dette luogo, per secoli, ad uno ius controversum, di cui non
è facile ricostruire gli esatti contorni.

-Il testo:
la disciplina delle immissioni In tema di immissioni moleste, il testo fondamentale attiene ad un
celebre caso di inquinamento dell’aria prodotto da una taberna casiaria, cioè da un’attività
commerciale specializzata nella produzione di formaggi. Oltre a fornire i tratti essenziali , questo
brano contiene in nuce (il centro) i principi e le regole su cui si sono sviluppate le concezioni
moderne della materia. Il passo è conservato nei Digesta di Giustiniano. Il brano dice: Un certo
Cerellio Vitale, aveva interrogato Aristone sullaconformità a diritto delle immissioni di fumo
proveniente da un caseificio e diretto verso l’edificio superiore,
abitato appunto da Cerellio. Considerando che la taberna era stata data in locazione al casaro dal
Municipio, Aristone risponde in questi termini: che al casaro non è illecito immetere fumi negli
edifici superiori, a meno che non abbia il diritto in forza di una servitus. Pertanto colui che abita
sopra può agire nei confronti del proprietario sottostante , se costui non ha il diritto di effettuare
immissioni.

-La controversa e composita regolamentazione della fattispecie In linea di massima, gli strumenti
principali di tutela dell’immesso e dell’immittente sono stati indicati, rispettivamente, nell’actio
negatoria e nella vindicatio servitutis. Nonostante la doppia menzione delle possibilità di
costituzione delle servitù, dallo stesso testo ulpianeo risulta che non tutti i rapporti di vicinato
potevano essere inquadrati come servitù.
Perciò in caso di atti impeditivi esercitati dall’immesso, l’immittente avrebbe avuto a disposizione
2 rimedi tra loro cumulabili. E cioè: la tutela interdittale dell’uti possidetis ( utilizzo della
proprietà); e un azione penale, l’actio iniuriarum, secondo Pomponio è l’opinione maggioritaria.

LEX COMMISSORIA NELLA COMPRAVENDITA


-Gli effetti giuridici della clausola negli ordinamenti dei giuristi romani Com’è noto, la lex
commissoria consiste in una clausola accidentale tipica che poteva essere
aggiunta, per volontà delle parti, ad un contratto di compravendita, e che tendeva a tutelare il
venditore mediante la restituzione della res acquistata o il venir meno dell’obbligo di consegnarla.
Dall’inadempimento del compratore discendeva la risoluzione del contratto, ma tale conseguenza
non era automatica: spettava al venditore la facoltà di scegliere se pretendere in giudizio il
pagamento del prezzo ovvero farsi restituire la res. Una volta compiuta la scelta, il venditore non
poteva più mutare la propria decisione.

Mentre con il termine lex s’intende qui, l’accordo dei privati avente rilevanza giuridica, più difficile
è chiarire il significato dell’attributo commissoria. Si è supposto che l’impiego del termine derivi
dalla circostanza che nell’applicazione della clausola in parola incorre il compratore che non paghi
il prezzo; ovvero che si parli di commissum nel senso di atto illecito commesso dall’emptor
inadempiente.

Se è chiaro il meccanismo giuridico che disciplina, l’assetto di interessi voluto dalle parti,più
complessa è la questione relativa al momento in cui il contratto può considerarsi efficace e perciò
pienamente operante. Due sono le soluzioni possibili, ed entrambe appaiono riportate nel primo
brano, oggetto della presente indagine, tratto dal commentario civilistico di Ulpiano.

Nel caso i cui il fondo sia stato venduto con lex commissoria, è preferibile ritenere che la
compravendita sottoposta a condizione si sia risolta, piuttosto che sia stata conclusa sotto
condizione. La differenza tra le due configurazioni è sostanziale: • per la prima F 0 E 0 la c.d.
emptio pura quae sub condicione resolvitur, la vendita si conclude subito, ma i suoi effetti
verranno meno, se il prezzo non sarà pagato entro una certa data; • per la seconda F 0 E 0 la c.d.
emptio condicionalis, l’efficacia dell’atto resterà sospesa fino al pagamento del prezzo;

Ciò porta a conseguenze pratiche diverse in ordine a taluni rapporti giuridici inerenti alla res
oggetto del contratto: nella vendita sottoposta a condizione risolutiva il compratore, comincia
subito l’usucapione del medesimo,percepisce i suoi frutti da esso derivanti e sopporta il rischio
dell’eventuale perimento, secondo la regola periculum est empori; Al contrario, se la condizione
è sospensiva, fino al pagamento del prezzo i frutti non spettano al compratore. Nel testo in
esame, Ulpiano propende per la prima opinione.
Verificandosi l’evento previsto in condizione, la risoluzione avrà efficacia retroattiva, ex tunc; il
altri termini, il contratto sarà considerato come se non sia mai stato concluso. Alternativa analoga
si pone per le altre clausole condizionali eventualmente aggiunte alla vendita. Il parametro di
riferimento dovrà perciò essere costituito dalla comune volontà dei contraenti, che sarà
necessario, volta per volta, interpretare. In tal caso a determinare l’esatto contenuto contrattuale
dovrà concorrere non solo la volontà dichiarata bensì anche l’atteggiamento complessivamente
tenuto dalle parti nel dare esecuzione all’accordo. E’ dubbio però, se tale impostazione sia frutto di
orientamenti classici ovvero rappresenti il tentativo giustinianeo di conciliare le opposte opinioni
giurisprudenziali, dalle quali, allo stato delle nostre conoscenze, si desume un orientamento
favorevole alla emptio pura quae sub condicione resolvitur. Particolarmente significativa in tal
senso è la testimonianza offerta da Ulpiano.

Se la cosa venga alienata a condizione che possa essere restituita nel caso in cui non piaccia al
compratore,
<<risulta>> che non sia stata venduta sotto condizione, ma che sia l’emptio a risolversi sotto
condizione. In altre parole, essa è considerata perfetta e solo eventualmente soggetta a
risoluzione, qualora manchi il gradimento. La cautela di Ulpiano in tema di lex commissoria è
forse spiegabile con la circostanza che in tal caso la sua opinione si discostava nettamente da
quella dell’autore cui era intitolato il suo commentario, il giurista Sabino, il quale due secoli prima
aveva probabilmente ritenuto che la vendita con lex commissoria fosse da considerarsi come
emptio condicionalis. Soltanto in seguito, si sarebbe consolidata, fino a divenire pacifica, la
configurazione della clausola come risolutiva. - La configurazione della clausola secondo
Pomponio Le fonti documentano l’attenzione dei giuristi romani per specifici problemi che
potevano sorgere in presenza della lex commissoria, ed è interessante in merito il secondo brano
oggetto di analisi, tratto dal commentario civilistico di Pomponio.

Si fa il caso del venditore di un fondo il quale abbia previsto,nella clausola che non venga versato il
denaro e quel bene sarà da considerarsi <<non comprato>>. La posizione di Pomponio era
spiegata autorevolmente in dottrina, introno alla metà del secolo scorso, con la circostanza che il
periculum rei non doveva essere sopportato dal venditore, in attesa del verificarsi della
condizione dipendente dalla volontà del compratore. Dalle ultime parole del brano si comprende
con chiarezza l’opinione di Pomponio in ordine alla configurazione della lex commissoria come
sospensiva o risolutiva.

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