(DIBATTITO)
Relatore:
avv. Nunzio IZZO
del Foro di Roma
Legittimazione passiva nell’azione di ripetizione di canoni extralegali versati prima della vendita.
4) La problematica in esame non sembra cessare con la stipula di un accordo in deroga, ai sensi
dell’art. 11 l. 353/93 – beninteso con il conduttore che si trovi nella detenzione dell’immobile –
perché, non essendosi verificata la riconsegna materiale dello immobile locato e con essa il giorno
dal quale il diritto di ripetizione possa essere fatto valere, l’eventuale rinunzia potrebbe essere
ritenuta nulla in quanto riguardante una situazione giuridica non ancora perfezionatasi.
Un diverso ragionamento comporterebbe che una tale rinunzia dovrebbe essere ritenuta
ammissibile, allora, ogni qual volta si rinnovi il contratto, anche senza il cd. patto in deroga, in
quanto appare identica la situazione di esposizione a ritorsioni per il conduttore.
La tutela apprestata per l’indebito persiste, infatti, anche nella prospettata ipotesi dell’accordo in
deroga, non sembrando derogabile la disposizione sulla decorrenza della prescrizione. Considerato
che la previsione del dies a quo dalla riconsegna materiale dell’immobile riproduce esattamente
quella dettata nel pregresso regime vincolistico, dove la riconsegna effettiva del bene locato
coincideva con la cessazione de facto del rapporto giuridico assoggettato alla proroga legale, c’è da
chiedersi se tale riproduzione possa collidere, per irragionevolezza, con la ordinarietà introdotta
dalla legge 392/78, potendo non apparire coerente una regolamentazione che vada oltre i limiti della
durata contrattuale del negozio disciplinato.
Soggetto obbligato al pagamento dell’indennità di avviamento in caso di vendita successiva alla
cessazione de iure della locazione.
1) Sulla questione si è pronunciato il Tribunale di Roma che, con la sentenza 21 settembre 1993
all., ritiene che – in caso di intervenuta vendita dell’immobile nelle more tra la cessazione del
rapporto (giudizialmente pronunciata) e l’esecuzione del provvedimento – l’onere del pagamento
dell’indennità di avviamento “grava su colui che, alla data della cessazione del rapporto, aveva la
qualità di locatore, essendo il diritto del conduttore correlato proprio a quel momento: certamente,
qualora successivamente al provvedimento che dichiara siffatta cessazione il proprietario-locatore
alieni l’immobile, può convenire con lo acquirente (che attuerà la procedura per il rilascio, la quale
resta subordinata alla preventiva corresponsione dell’indennità in parola) una diversa distribuzione
di tale peso economico. A siffatta regolamentazione degli interessi di tali parti resta, tuttavia, del
tutto estraneo il creditore/conduttore, garantito dall’impossibilità per le controparti di effettuare
l’esecuzione se non abbiano prima provveduto a corrispondergli il dovuto”. In senso conforme ed in
termini Pret. Pietrasanta 31 ottobre 1989 - all. che afferma la legittimazione passiva del venditore.
Di contrario avviso è Pret. Roma 3 ottobre 1989 all. che – esaminando la diversa fattispecie
dell’acquisto dell’immobile da parte dello stesso conduttore – afferma, peraltro, che, con
l’alienazione dell’immobile locato, il locatore-venditore ha perduto la qualità di
proprietario/locatore e, quindi, anche la relativa legittimazione passiva, per cui, operando l’art. 1602
c.c. anche dopo la cessazione de iure della locazione fino alla materiale riconsegna dell’immobile
locato, al terzo acquirente il conduttore deve riconsegnare il bene locato e “da lui deve quindi
pretendere, dopo il rilascio o la messa in mora, il pagamento dell’indennità”.
Nella diversa fattispecie della vendita successiva alla materiale riconsegna dell’immobile locato
– anche per effetto del momento di avvenuta conoscenza legale del trasferimento – il Pretore di
Pordenone (sent. 29 aprile 1991 - all.) afferma che la vendita non comporta, in tal caso, la
sostituzione del compratore nell’obbligo del venditore di pagamento dell’indennità di avviamento
commerciale, perché la stessa si è ormai cristallizzata in capo al venditore-locatore, precisando, però
– nelle premesse della motivazione – che, in generale, legittimato passivo al pagamento
dell’indennità è chi risulti locatore al momento della scadenza contrattuale, anche se, poi, evidenzia
la rilevanza del momento dell’effettivo rilascio.
Per completezza può essere utile ricordare che, nella diversa e particolare fattispecie di una
cessione di azienda perfezionata dopo la cessazione de iure del rapporto (nella specie per effetto
della retroattività della sentenza della Corte Costituzionale n. 108/86), il Pretore di Roma (sent. 9
giugno 1992 - all.) ha dichiarato la legittimazione a percepire l’indennità in capo al cessionario
perché nella vendita dell’azienda, effettuata dallo originario conduttore, deve ritenersi compresa
anche l’avviamento commerciale.
2) Per una soluzione della questione interpretativa più aderente alla lettera e alla ratio della
legge, non può prescindersi dalla elaborazione giurisprudenziale della Cassazione e della Corte
Costituzionale in merito all’indennità di avviamento.
Può ritenersi ormai acquisito e pacifico il principio che il diritto all’indennità per la perdita
dell’avviamento sorge nel momento e a causa della cessazione de iure del rapporto locatizio (Cass.
29 dicembre 1984 n. 6266, Cass. 20 ottobre 1989 n. 4224, Cass. 11 dicembre 1990 n. 11766 e Cass.
3 novembre 1993 n. 10836) indipendentemente, quindi, dalla sentenza che accerti l’avvenuta
cessazione della locazione, dalla data in cui la stessa venga richiesta dal conduttore e, soprattutto,
dalle successive vicende legislative e costituzionali (Cass. 16 gennaio 1991 n. 309).
Pacifica risulta la ratio della previsione dell’indennità, individuata, vuoi nell’esigenza di
conservazione, anche nel pubblico interesse, delle imprese il cui avviamento sia inerente
all’immobile, vuoi nella sua funzione risarcitoria del pregiudizio che il conduttore subisce per il
rilascio, secondo l’id quod plerumque accidit (C. cost. n. 36/80, n. 128/83 e n. 583/87), senza,
peraltro, escludere l’ulteriore funzione surrettizia di deterrente per evitare la cessazione del rapporto
locatizio (Cass. 14 aprile 1986 n. 2617) ed invogliare così il rinnovo contrattuale, specialmente alla
scadenza del regime transitorio.
Deve, poi, evidenziarsi che la connessione diretta tra l’indennità con la cosa locata è stata
sottolineata a proposito della esclusione dell’indennità in caso di cessazione della locazione per
factum principis (C. cost. 14 dicembre 1989 n. 542) o di distruzione dell’immobile che estingue in
radice il rapporto di locazione e con esso i rapporti accessori (C. Cost. 11 dicembre n. 576).
Non pare discutibile che la previsione degli artt. 34 e 69 L.n. 392/78 – secondo la quale
l’esecuzione del provvedimento di rilascio è condizionata dall’avvenuta corresponsione
dell’indennità – determini un collegamento tra l’obbligazione di restituzione dell’immobile locato e
quella di corresponsione dell’indennità, entrambe nascenti con la cessazione del rapporto locatizio –
di talché il conduttore non può validamente pretendere esecutivamente il pagamento dell’indennità,
fintanto che non abbia riconsegnato effettivamente l’immobile, così come il locatore non può
estromettere il conduttore se non abbia prima adempiuto la sua obbligazione.
Ai fini della questione in esame si ricorda che Cass. 10 dicembre 1987 n. 9161 afferma
testualmente che “il credito del conduttore per la detta indennità diventerà esigibile solo se e quando
il locatore provvederà ad eseguire la sentenza di rilascio, essendo il pagamento dell’indennità
soltanto una condizione per procedere all’esecuzione”.
Se tale assunto è condivisibile, ne consegue che al conduttore è riconosciuto il diritto di
pretendere il pagamento dell’indennità da colui che agisca in esecutivis e che, nel caso in esame,
non può che essere l’acquirente il quale si vedrebbe, altrimenti, paralizzata l’azione esecutiva.
Ciò sembra comportare una divaricazione tra il momento genetico del diritto all’indennità,
incidente sulla sua quantificazione (debito di valuta), e quello della sua esigibilità che può incidere
invece, sull’individuazione del soggetto obbligato al pagamento, con una progressività nel
perfezionamento della complessiva situazione obbligatoria che potrebbe essere conseguente alla
tutela che il legislatore ha voluto assicurare in fatto.
Gli aspetti che occorre, quindi esaminare riguardano:
A) la necessaria uniformità di disciplina tra l’ipotesi, per così dire normale, nella quale sia il
locatore originario ad agire per il rilascio e quella in cui sia invece il terzo acquirente dell’immobile
che, pur dopo la cessazione de iure, subentri comunque nel lato attivo del rapporto locatizio di
durata, ormai di fatto e nel lato passivo del connesso rapporto di credito;
B) l’influenza o meno degli effetti della vendita che opera, di norma, il trasferimento del bene,
nello stato di fatto e di diritto in cui si trova, con tutti i pesi e gli oneri;
C) l’influenza o meno degli eventuali patti intercorsi tra il venditore ed acquirente in merito
all’accollo dell’indennità;
D) la persistenza o meno delle ragioni giustificatrici della previsione normativa, sia nei riguardi
del soggetto che in concreto riceve l’utilità, connessa alla riconsegna effettiva dell’immobile, sia nei
riguardi del soggetto che riceve, invece, il pregiudizio, secondo una valutazione legale tipica che
non ammette prova contraria;
E) l’inevitabilità dell’assoggettamento all’onere dell’indennità in conseguenza della
determinazione aliena di non proseguire nel rapporto e l’eventualità che tale prosecuzione avvenga
dopo il pagamento dell’indennità da parte del locatore/venditore nella prospettazione teorica
illustrata.
La soluzione della questione non può certamente prescindere dalle opzioni interpretative a
proposito della sussistenza o meno del risarcimento danni per il ritardo nella riconsegna
dell’immobile locato ex art. 1591 c.c., allorquando sussista il diritto del conduttore alla percezione
dell’indennità, perché i connessi aspetti di esigibilità delle contrapposte prestazioni attengono e
nascono esclusivamente con riferimento al periodo successivo alla cessazione de jure del rapporto.
Legittimazione passiva in caso di azione del conduttore per la restituzione del deposito cauzionale.
2) Qualora la costituzione del deposito cauzionale sia stata espressamente convenuta in un atto
scritto di data certa anteriore alla vendita – opponibile, pertanto, al locatore ex art. 1599 c.c. –
appare prevalente e quasi pacifica la legittimazione passiva dell’acquirente dell’immobile locato in
caso di azione di restituzione del deposito.
Una contraria, ma insolita dottrina, afferma che, in mancanza di accollo da parte
dell’acquirente, “tenuto alla restituzione non può essere e restare che chi l’ha ricevuto e lo conserva
nelle proprie mani” (G. PROVERA in Comm. Scialoja e Branca 1980, 451, voce locazione),
essendo, quindi, rilevante esclusivamente il rapporto tra venditore e acquirente in ordine
all’autonomo negozio di garanzia, quale è quello di deposito cauzionale.
La giurisprudenza ha affermato la legittimazione passiva del venditore e non dell’acquirente in
una fattispecie particolare che non pare possa sostanziare un vero contrasto giurisprudenziale. Il
Pretore di Mondovì, con sentenza 27 ottobre 1961 - all., ha, infatti, ritenuto la legittimazione
passiva del solo venditore in un’ipotesi di inopponibilità assoluta della costituzione del deposito
cauzionale, non sussistendo nella specie l’atto scritto di data certa anteriore alla vendita, né
ricorrendo le altre due ipotesi dell’accollo ex art. 1599 c.c. ovvero della conoscenza comunque
dell’esistenza del deposito e considerato che la costituzione del deposito non rientra tra gli elementi
fondamentali del contratto di locazione, potendo legittimamente mancare (Cass. 23 maggio 1959 n.
1498 e Cass. 22 febbraio 1957 n. 630) o essere sostituito da garanzia fideiussoria.
In tal senso sono anche (Corte Appello Brescia 10 novembre 1933 Foro It. 1934, I, 808) – in
relazione, però, al vecchio art. 1597 c.c., perché l’obbligazione discende da un contratto diverso e
accessorio rispetto alla locazione – e Cass. 14 giugno 1942, sempre però per un contratto non avente
data certa anteriore.
La legittimazione passiva dell’acquirente è affermata decisamente da Pret. Milano 18 luglio
1989 - all. per la considerazione che l’acquirente subentra ex art. 1602 c.c. anche nell’obbligazione
accessoria, considerato che, ricorrendo la figura del pegno irregolare trova applicazione l’art. 1408
c.c. (così anche TABET che esclude l’applicabilità dell’art. 1263 c.c.), con l’estinzione, pertanto,
dell’obbligazione di restituzione in capo al venditore, dal momento in cui si perfeziona la
sostituzione e valutato, anche, che “l’obbligo di versare il deposito cauzionale, previsto dall’art.
1608 c.c., rietra tra le obbligazioni essenziali del conduttore, cioè tra quelle obbligazioni il cui
inadempimento giustifica la risoluzione del contratto (Cass. 15 maggio 1971 n. 1428, Cass. 27
febbraio 1962 n. 356 e Trib. Roma 11 gennaio 1956 in Foro It. rep. 1957 voce locazioni n. 189).
A conforto della legittimazione passiva dell’acquirente, la dottrina ha posto l’accento sulla
condivisibile considerazione che l’obbligazione di restituzione si fonda su fatti la cui efficacia non
si è esaurita prima del trasferimento, osservando che la funzione del deposito è destinata a
realizzarsi nel futuro, al momento cioè, dell’effettiva riconsegna (DELLE SEDIE, Se l’acquirente
dell’immobile locato sia tenuto alla restituzione al conduttore del deposito canzionale in Nuovo
Dir. 1963, 984 e SCHIAVON cit.), per cui, ai fini dell’applicabilità dell’art. 1602 c.c. l’interprete
deve tener conto dell’avvenuta nascita o meno dell’obbligazione di restituzione.
Per la soluzione della questione rileva, pertanto, l’esigibilità dell’obbligazione di restituzione
del deposito che individua il soggetto obbligato sul piano sostanziale che, quindi, è legittimato
passivo in caso di azione per la restituzione.
L’esigibilità del credito può integrare il criterio per la soluzione delle questioni che si pongono,
nel caso di vendita del bene locato, per una corretta individuazione della legittimazione attiva e
passiva delle diverse situazioni di credito.
Nuova pattuizione del canone in corso di rapporto (da considerarsi come nuovo contratto ai fini
della durata?).
Come si è già detto, a proposito della legittimità dei canoni differenziati, pare pacifica nella
giurisprudenza di legittimità la funzione assegnata all’art. 32 nella nuova disciplina ordinaria delle
locazioni urbane ad uso diverso, caratterizzate dalla libera determinazione del canone, ed, ora, anche
per quelle abitative stipulate con un patto in deroga: quella cioè di “conservare un attenuato sistema
di blocco dei canoni” (Cass. 11 agosto 1987 n. 6896), in quanto “appare chiaro, dalla lettera della
norma, l’intento del legislatore di salvaguardare, da un lato, la libertà contrattuale delle parti, non
ponendo... alcun limite alla libera determinazione del canone... e, dall’altro,... di contenere,
“considerando un parziale blocco di canoni, il fenomeno inflattivo col divieto di modifiche del
canone liberamente adottato (che “si presume costituisca il giusto prezzo di mercato)” (Cass. 8
marzo 1993 n. 2770).
Sulla base di tale interpretazione può quindi, farsi tranquillo riferimento alla giurisprudenza
formatasi sul pregresso regime di blocco dei canoni, per risolvere la questione indicata a margine,
sulla quale si è, comunque, pronunciata la Suprema Corte con una decisione che sembra, però,
suscitare qualche perplessità, soprattutto per le non considerate implicazioni per l’uso abitativo.
Con sentenza 19 settembre 1993 n. 11402 - all. è stata ritenuta valida la pattuizione con la
quale, nel corso del rapporto di locazione di immobile adibito ad uso diverso dall’abitazione, le parti
convengano un aumento del canone per la considerazione che la nullità prevista dall’art. 79 attiene
solo alla preordinata previsione di aumenti del canone, ma non incide sulla possibilità di disporne
una volta che il diritto di non subire aumenti sia sorto, con la stipulazione del contratto, e, quindi,
possa essere fatto valere anche attraverso la rinuncia.
Considerato che ogni corresponsione, in concreto, di aumenti del canone integra, per facta
concludentia, una convenzione, perché tale pagamento implica l’accettazione tacita da parte del
conduttore, di un’espressa richiesta del locatore (contra Pret. Pietrasanta 24 maggio 1988 - all.) – la
pronuncia citata sembrerebbe rinnegare tutta l’elaborazione giurisprudenziale consolidatasi, sotto il
pregresso regime vincolistico, sulla insanabile nullità dei patti che prevedono aumenti (Cass. l9
settembre 1970 n. 1608), salvi i patti in deroga previsti eccezionalmente dall’art. 5 l. 21 dicembre
1960 n. 1521, e fino all’entrata in vigore dell’art. 4 dl. 23 dicembre 1964 n. 1356, i quali, tuttavia,
non potevano sanare o ratificare gli aumenti precedentemente corrisposti in violazione delle leggi
vincolistiche (Cass. 27 novembre 1971 n. 3645 e Cass. 23 gennaio 1976 n. 216).
Deve, infatti, osservarsi che il principio della validità della rinuncia ad un diritto sorto o della
sua nullità in relazione ad una situazione futura, era largamente applicato anche nel pregresso
regime di blocco del canone, ma a quanto consta, solo nel senso di ritenere valida la rinuncia alla
ripetizione dei canoni allorquando fosse stato riconsegnato materialmente l’immobile locato, ma
non per legittimare aumenti nel corso del rapporto.
Come osservato in dottrina, l’ammissibilità dei patti comportanti aumenti del canone – che nel
regime vincolistico riguardavano essenzialmente quelli che fossero stipulati nel corso del rapporto
assoggettato a blocco – sarebbe una contraddizione in termini (LAZZARO, PREDEN, VARRONE,
Le locazioni in regime vincolistico, 1978, 115).
La lettura congiunta dell’art. 32, non tanto con il primo comma, quanto con il secondo comma
dell’art. 79, sembra militare a favore non solo del riconoscimento di un diritto a non subire aumenti,
relativamente al momento genetico del contratto, ma anche della sussistenza di un divieto di
aumento nel corso di svolgimento del rapporto, emergente chiaramente dalla previsione del termine
di decadenza fissato a decorrere dalla materiale riconsegna dell’immobile che, come si è ricordato,
la dottrina (VITUCCI) ritiene ipotesi speciale della generale previsione dell’art. 2935, c.c.
Tale prospettazione trova conforto nella pronuncia (già richiamata) della Corte Costituzionale n.
3 del 1990 laddove afferma che la ratio dell’art. 79 è quella di tutelare il conduttore, fino alla
riconsegna materiale dell’immobile, in una situazione di esposizione a ritorsioni che “giustifica, per
le conseguenti remore all’esercizio del diritto, il trattamento previsto...” e che, pertanto, sembra
escludere, per tutta la durata del rapporto, la ricorrenza del presupposto (diritto non solo sorto ma
anche che possa essere fatto valere) dalla recente decisione della Suprema Corte.
Potrebbe, invece, invocarsi il principio, affermatasi sotto il vigore del regime vincolistico per i
rapporti soggetti a proroga legale, in merito alla validità delle convenzioni che comportino un
vantaggio per il conduttore (Cass. 7 marzo 1977 n. 932), perché le limitazioni alla autonomia
privata sono imposte inderogabilmente per ragioni pubblicistiche, ma pur sempre nell’interesse del
conduttore, con la conseguente legittimità degli accordi transattivi che prevedano concessioni in
favore del soggetto tutelato (ex pluribus Cass. 26 maggio 1962 n. 1252, Cass. 11 giugno 1959 n.
1939).
Tale principio appare recepito anche dalla legge n. 392/78 che all’art. 67, ult. comma consente
la stipula di un nuovo contratto anche prima della scadenza del regime transitorio e ribadito da
recente giurisprudenza che, in caso di transazioni comportanti reciproche concessioni, ritiene
giustificata la sottrazione alla normativa ordinaria (Cass. 26 marzo 1991 n. 3270 - all.).
Il patto concluso nel corso di un rapporto potrebbe, quindi, sostanziare un comportamento
concludente dell’avvenuta stipula di un nuovo contratto con una nuova durata di sei anni (oltre la
rinnovazione abbligatoria) decorrente dal perfezionamento dell’accordo.
In senso contrario si è pronunciata parte della giurisprudenza di merito in quanto la
rinegoziazione del canone inizialmente pattuito non determinerebbe la novazione oggettiva del
contratto, per cui non subirebbe modifiche la durata pattuita dal rapporto (Pret. Pietrasanta 24
maggio 1988 - all.).
Non possono sottovalutarsi le conseguenze che il principio di diritto enunciato da Cass.
11402/93 avrebbe, per la sua valenza generale, per l’uso abitativo, dove potrebbe determinare la
liberalizzazione del canone senza l’osservanza delle condizioni richieste dalla l. n. 359/92, con
un’accorta rinegoziazione del canone non al momento del rinnovo ma prima, quando sia ancora in
corso de iure il precedente rapporto ed, eventualmente, non ancora spirato il termine per la
comunicazione della disdetta.