Sei sulla pagina 1di 12

ALCUNI PUNTI IN MATERIA DI LOCAZIONI

(DIBATTITO)

Relatore:
avv. Nunzio IZZO
del Foro di Roma

VENDITA DELL’IMMOBILE LOCATO

Legittimazione passiva nell’azione di ripetizione di canoni extralegali versati prima della vendita.

1) Sembra opportuno riportare le disposizioni di legge che interessano la questione emarginata


che presenta aspetti peculiari in quanto la modificazione soggettiva riguarda un tipico rapporto di
durata, quale è quello di locazione e, soprattutto, perché nel corso di svolgimento di tale rapporto
giuridico possono sorgere distinti e diversi diritti di credito, a seconda del momento genetico o
funzionale preso in considerazione ed in relazione ad eventuali negozi giuridici che le parti possono
porre in essere nell’ambito della loro autonomia privata (cessioni di credito o di possibili esecuzioni
forzate).
Art. 1602 cod. civ..
“Il terzo acquirente tenuto a rispettare la locazione subentra, dal giorno del suo acquisto, nei
diritti e nelle obbligazioni derivanti dal contratto di locazione”.
Art. 19 Decr. L. lgt. 12 ottobre 1945 n. 669 comma 3.
“Le somme pagate per alcune delle cause previste dal primo e dal secondo comma, se
corrisposte dal locatore, o al sublocatore, possono essere computate fino a sei mesi dopo la
riconsegna della cosa locata; se corrisposte al conduttore uscente, possono essere ripetute entro tre
mesi dal pagamento”. (omissis). (Norma abrogata tacitamente dalla l. 253/50 Cass. 26 maggio 1962
n. 1246).
Art. 8 L. 26 novembre 1969 n. 833 comma 2.
“Le somme sotto qualsiasi forma corrisposte dal conduttore in violazione dei divieti di aumento
o che superino i limiti previsti dal comma precedente, possono essere computate in conto pigione o
ripetute con azione proponibile fino a 6 mesi dopo la riconsegna dell’immobile locato”.
Art. 2 sexies L. 12 agosto 1974 n. 351.
“Ogni pattuizione contraria alle disposizioni della presente legge di conversione è nulla,
qualunque ne sia il contenuto apparente. Le somme sotto qualsiasi forma corrisposte dal conduttore
o subconduttore in violazione dei divieti e dei limiti previsti dalla presente legge di conversione,
possono essere computate in conto pigione o ripetute con azione proponibile fino a sei mesi dopo la
riconsegna dell’immobile locato”.
Art. 79 L. 27 luglio 1978 n. 392 comma 2.
“Il conduttore, con azione proponibile fino a sei mesi dopo la riconsegna dell’immobile locato,
può ripetere le somme sotto qualsiasi forma corrisposte in violazione dei divieti e dei limiti della
presente legge”.
Coerentemente alla limitazione dell’autonomia privata per quanto riguarda la determinazione
del canone di locazione fissato per legge nella misura massima inderogabile, tali norme
attribuiscono al conduttore il potere di agire per la restituzione delle somme indebitamente versate,
nel termine decadenziale di sei mesi dalla riconsegna dell’immobile locato, con un’espressione che
la giurisprudenza di legittimità ha, finora, interpretato come materiale riconsegua dell’immobile
locato, indipendentemente dalla cessazione de iure del rapporto (Cass. 28 maggio 1986 n. 3588).
Ricorre, quindi, la riconsegna dell’immobile locato quando si verifichi l’immissione della cosa
locata nella sfera di disponibilità concreta del locatore (Cass. 20 febbraio 1993 n. 2071) ovvero il
mutamento del titolo del godimento del bene locato da detenzione qualificata per locazione ad
esercizio del diritto di proprietà, come in caso di prelazione o riscatto per l’uso diverso (Cass. 19
gennaio 1988 n. 356) o di libero acquisto da parte del conduttore per l’uso abitativo.
Il diritto alla restituzione dell’indebito non è soggetto alla prescrizione quinquennale – prevista
dall’art. 2948 n. 3 c.c. solo per il pagamento delle pigioni (Cass. 5 giugno 1992 n. 6941) – ma, ex
art. 2946 c.c., a quella decennale che, tuttavia, è, in concreto, inapplicabile per la previsione del
citato termine decadenziale (TABET, La locazione-conduzione, Milano 1969, 837 e Cass. 9 marzo
1993 n. 2813. Contra, però una parte della giurisprudenza e da ultimo Pret. Latina 23 febbraio 1994,
Arch. loc., 1994, 371 e BUCCI, MALPICA, REDIVO, Manuale delle locazioni, 1989, 245).
Secondo la recente dottrina (VITUCCI, La prescrizione, Commentario C.C. dir. da P.
Schlesinger, 1990, 77; in senso conforme Trib. Firenze 20 dicembre 1980 in Arch. Loc. 1981, 66 -
all.) tale previsione integra una norma speciale sulla decorrenza della prescrizione regolata dall’art.
2935 c.c. che si informa alla cd. teoria della realizzazione piuttosto che a quella della lesione
(RUPERTO, Prescrizione e decadenza, Torino 1985, 101). Nella giurisprudenza di merito, esiste,
tuttora, contrasto in ordine alla legittimazione passiva in caso di azione promossa dal conduttore per
la restituzione dell’indebito relativo al periodo precedente al trasferimento del bene locato.

2) Un primo orientamento afferma la carenza della legittimazione passiva dell’acquirente


perché l’art. 1602 c.c. dispone il subentro dell’acquirente nei diritti e nelle obbligazioni derivanti dal
contratto di locazione solo dal giorno del suo acquisto (Trib. Bologna 23 giugno 1986 -all), per cui
la sostituzione soggettiva nel particolare rapporto di durata avrebbe afficacia ex nunc, per espressa
disposizione normativa che scinderebbe, pertanto, il rapporto locatizio in tanti rapporti quanti sono
gli acquirenti, come è pacifico per l’ipotesi di inadempienza del conduttore (LO CASCIO in
AA.VV., La morosità del conduttore, 1990, 33). Secondo autorevole dottrina (LAZZARO, Le
Locazioni per uso abitativo, Milano 1993, 194) il meccanismo dello art. 1602 c.c. comporta
solamente una successione a titolo particolare nella parte residua di un rapporto personale. Il
locatore-venditore sarebbe, quindi, esposto all’azione di restituzione fino al decorso del termine
decadenziale in relazione alle vicende contrattuali future, sulle quali – è bene osservare – non può
più incidere per l’avvenuto trasferimento dell’immobile e che, quindi, rendono incerto il momento
della riconsegna materiale dell’immobile.
Nonostante il citato indirizzo della Suprema Corte, continua ad essere seguito da alcuni giudici
di merito l’orientamento che individua il dies a quo, per l’operatività della cennata decadenza, nel
momento della conoscenza legale dell’avvenuto trasferimento, in quanto per “riconsegna
dell’immobile locato” deve intedersi, non il rilascio materiale, ma la cessazione, de iure e de facto,
tra il conduttore e il locatore del periodo interessato dall’indebito (Pret. Napoli 22 marzo 1985 -all. -
Pret. Taranto 15 marzo 1983, Trib. Roma 12 novembre 1986, Pret. Roma 7 dicembre 1992 - all.
Pret. Venezia 19 luglio 1993 - all.).
Tale ultimo assunto sembrerebbe invalidato da Corte Cost. 2 gennaio 1990 n. 3 che ha
dichiarato infondata la questione di legittimità costituzione dell’art. 79, comma 2, l. 392/78 – nella
parte in cui non prevede anche l’ipotesi della cessazione di diritto e di fatto dell’originario rapporto
locatizio nel caso di vendita a terzi – per la significativa considerazione che “non si può ritenere
che, in tutti i casi in cui il soggetto passivo della domanda di ripetizione delle somme pagate oltre il
dovuto abbia cessato di rivestire la qualità di locatore, anche il conduttore abbia dismesso la propria
qualità e così abbia cessato di versare in quella situazione di esposizione a ritorsioni che giustifica,
per le conseguenti remore all’esercizio del diritto, il trattamento previsto dalla norma impugnata”.
Il decisum del giudice delle leggi non sembra, però, contrastare la legittimazione passiva
separata, in relazione all’effettiva percezione dei canoni indebiti, che sembra, invece, presupposta
da Cass. 14 giugno 1978 n. 2961 - all. laddove fa riferimento alla ipotetica soggezione della
precedente locatrice ad un’azione di ripetizione per l’indebito percepito.
La legittimazione passiva separata, in attuazione del principio dell’unicità della ratio della
stessa norma, sembra avallata dalla consolidata giurisprudenza di legittimità che ritiene l’acquirente
terzo rispetto ai diritti ed agli obblighi già perfezionatisi ed esauritisi a favore e a carico delle parti
originarie fino al giorno dello acquisto (Cass. 11 giugno 1964 n. 1452, Cass. 24 ottobre 1979 n.
5557, Cass. 24 marzo 1984 n. 1959, Cass. 27 novembre 1984 n. 6142 e Cass. 12 gennaio 1991 n.
254). La legittimazione attiva dell’acquirente per la risoluzione contrattuale è ritenuta ammissibile
solo se l’inadempienza persista dopo lo acquisto (Cass. 11 aprile 1985 n. 2377 e Cass. 11 giugno
1991 n. 6598), così come per l’azione risarcitoria in favore dell’acquirente è richiesta la persistenza
del danno (es. deterioramento come stato permanente della cosa locata) (Cass. 20 gennaio 1987 n.
442) ed escludendosi, quindi, la legittimazione attiva per un danno patito solo dal locatore-
venditore.
A conforto di tale interpretazione, la dottrina (VISCO, Le case in locazione, Milano 1969, 526)
ha ricordato il par. 571 del codice germanico in merito alla separazione dei periodi ante e post
vendita, mentre ulteriore confronto potrebbe essere tratto da quella elaborazione giurisprudenziale
che, in relazione agli effetti delle pronunce di incostituzionalità di norme disciplinanti un rapporto
di durata – per il quale, peraltro, il codice prevede, a volte, una disciplina divergente dai principi
generali (art. 2126 e 1458 c.c.) – afferma, infatti, che nei rapporti ancora in corso di svolgimento,
restano comunque fermi quegli effetti anteriori alla dichiarazione di illegittimità costituzionale che
“pur essendo essi riconducibili allo stesso rapporto non ancora esaurito, abbiano definitivamente
conseguito, in tutto o in parte, la loro funzione costitutiva, estintiva, modificativa o traslativa di
situazioni giuridiche rilevanti” (Cass. 11 aprile 1975 n. 1348), così che la norma annullata comporta
che essa possa aver prodotto effetti irreversibili (Cass. 21 febbraio 1985 n. 1586) anche
prescindendo dall’esaurimento o meno del rapporto giuridico in questione (in senso conforme Pret.
Roma 30 novembre 1986, in Giust. Civ. 1989, I, 1733 sull’ammissibilità dell’esaurimento di
vicende estintive nel corso di svolgimento del rapporto di locazione ai fini della ripetitio indebiti -
all.).
Limitatamente alla ratio della disposizione può osservarsi che la stessa potrebbe trovare
attuazione ancora più esaustiva con la legittimazione separata perché, altrimenti, l’acquirente può
essere indotto, comprensibilmente, ad agire tempestivamente per il rilascio dell’immobile locato per
evitare il possibile pregiudizio del suo patrimonio per la restituzione delle somme indebitamente
percepite dal suo dante causa, oltre gli onerosi accessori (interessi legali al 10%) ed al quale
potrebbero essere interessati anche i suoi creditori personali, con ciò determinandosi, in fatto, quella
ritorsione che il legislatore ha, invece, inteso eliminare e che l’interprete deve tener presente ai fini
dell’opzione ermeneutica.
3) La legittimazione passiva dell’acquirente è, invece, affermata da Pret. Verona 8 novembre
1988 all. che, con argomentata decisione, richiama Cass. 5 luglio 1976 n. 2496 che tale principio ha
enunciato in materia agraria per la considerazione che, altrimenti, il locatore potrebbe eludere i suoi
obblighi facendo subentrare un terzo e “pattuendo con lui l’esonero dell’osservanza della norma
dell’art. 1602 c.c.”. La citata decisione pretorile osserva, poi, che l’art. 1602 c.c. è limitato ai
rapporti tra venditore e acquirente e non può, quindi, coinvolgere il conduttore ed, inoltre, che
l’opposta tesi vanificherebbe la ratio della norma speciale che vuole impedire le inevitabili
ritorsioni (mancato rinnovo, ostruzionismo sulla manutenzione ordinaria etc.). Se a favore di
quest’ultima interpretazione, potrebbe militare l’esigenza di evitare l’incertezza del rapporto
giuridico di credito tra il venditore-locatore ed il conduttore, in quanto sarebbe, altrimenti, sospeso
fino allo spirare del termine decadenziale decorrente dalla riconsegna dell’immobile, per contro,
potrebbe essere non condivisibile la considerazione secondo la quale l’art. 1602 c.c. sia rivolto a
regolare esclusivamente i rapporti venditore-acquirente (in tal senso, però, Cass. 11 maggio 1965 n.
898 e Cass. 5 luglio n. 2496). Detta esigenza sembra essere assolta dalle norme sulla vendita.
L’art. 1477 c.c. dispone, infatti, che, salvo diversa volontà delle parti, i frutti della cosa locata
appartengono all’acquirente “dal giorno della vendita”, per cui potrebbe risultare pleonastica
l’interpretazione prospettata dal Pretore veronese.
La diversa interpretazione che afferma la legittimazione passiva separata potrebbe, invece,
apparire più razionale alla luce del principio emptio non tollit locatum, l’adozione del quale ha reso
necessaria la regolamentazione separata delle rispettive posizioni di credito e debito riguardanti il
conduttore. Il riferimento alla giurisprudenza agraria potrebbe, poi, risultare non decisivo – oltre che
per il discutibile rilievo assegnato al patto di esonero dall’osservanza dell’art. 1602 c.c. – per
l’ontologica diversità dei due sistemi giuridici, così come affermato a proposito dalla prelazione nel
caso di cd. vendita in blocco (Cass. 24 ottobre 1983 n. 6256).
In dottrina si è affermato che “ora è vero che il compratore subentra nella posizione giuridica
del venditore come nuovo soggetto del rapporto locatizio, ma per i suoi diritti ed obblighi, bisogna
stare allo stato di fatto e di diritto esistente al momento del contratto, non si può andare più in là.
Non è che egli subentri anche nei debiti e crediti già esistenti tra le parti” (VISCO, op. cit.) e che –
può osservarsi – possono essere oggetto di altri negozi giuridici in ipotesi già perfezionatisi ed
anche esauritisi nel frattempo. Il compratore – si osserva (MONDELLO in Arch. ric. giur. 1958,
343) – è tenuto alle conseguenze che il contratto di locazione produrrà non a quelle che ha già
prodotte.

4) La problematica in esame non sembra cessare con la stipula di un accordo in deroga, ai sensi
dell’art. 11 l. 353/93 – beninteso con il conduttore che si trovi nella detenzione dell’immobile –
perché, non essendosi verificata la riconsegna materiale dello immobile locato e con essa il giorno
dal quale il diritto di ripetizione possa essere fatto valere, l’eventuale rinunzia potrebbe essere
ritenuta nulla in quanto riguardante una situazione giuridica non ancora perfezionatasi.
Un diverso ragionamento comporterebbe che una tale rinunzia dovrebbe essere ritenuta
ammissibile, allora, ogni qual volta si rinnovi il contratto, anche senza il cd. patto in deroga, in
quanto appare identica la situazione di esposizione a ritorsioni per il conduttore.
La tutela apprestata per l’indebito persiste, infatti, anche nella prospettata ipotesi dell’accordo in
deroga, non sembrando derogabile la disposizione sulla decorrenza della prescrizione. Considerato
che la previsione del dies a quo dalla riconsegna materiale dell’immobile riproduce esattamente
quella dettata nel pregresso regime vincolistico, dove la riconsegna effettiva del bene locato
coincideva con la cessazione de facto del rapporto giuridico assoggettato alla proroga legale, c’è da
chiedersi se tale riproduzione possa collidere, per irragionevolezza, con la ordinarietà introdotta
dalla legge 392/78, potendo non apparire coerente una regolamentazione che vada oltre i limiti della
durata contrattuale del negozio disciplinato.
Soggetto obbligato al pagamento dell’indennità di avviamento in caso di vendita successiva alla
cessazione de iure della locazione.

1) Sulla questione si è pronunciato il Tribunale di Roma che, con la sentenza 21 settembre 1993
all., ritiene che – in caso di intervenuta vendita dell’immobile nelle more tra la cessazione del
rapporto (giudizialmente pronunciata) e l’esecuzione del provvedimento – l’onere del pagamento
dell’indennità di avviamento “grava su colui che, alla data della cessazione del rapporto, aveva la
qualità di locatore, essendo il diritto del conduttore correlato proprio a quel momento: certamente,
qualora successivamente al provvedimento che dichiara siffatta cessazione il proprietario-locatore
alieni l’immobile, può convenire con lo acquirente (che attuerà la procedura per il rilascio, la quale
resta subordinata alla preventiva corresponsione dell’indennità in parola) una diversa distribuzione
di tale peso economico. A siffatta regolamentazione degli interessi di tali parti resta, tuttavia, del
tutto estraneo il creditore/conduttore, garantito dall’impossibilità per le controparti di effettuare
l’esecuzione se non abbiano prima provveduto a corrispondergli il dovuto”. In senso conforme ed in
termini Pret. Pietrasanta 31 ottobre 1989 - all. che afferma la legittimazione passiva del venditore.
Di contrario avviso è Pret. Roma 3 ottobre 1989 all. che – esaminando la diversa fattispecie
dell’acquisto dell’immobile da parte dello stesso conduttore – afferma, peraltro, che, con
l’alienazione dell’immobile locato, il locatore-venditore ha perduto la qualità di
proprietario/locatore e, quindi, anche la relativa legittimazione passiva, per cui, operando l’art. 1602
c.c. anche dopo la cessazione de iure della locazione fino alla materiale riconsegna dell’immobile
locato, al terzo acquirente il conduttore deve riconsegnare il bene locato e “da lui deve quindi
pretendere, dopo il rilascio o la messa in mora, il pagamento dell’indennità”.
Nella diversa fattispecie della vendita successiva alla materiale riconsegna dell’immobile locato
– anche per effetto del momento di avvenuta conoscenza legale del trasferimento – il Pretore di
Pordenone (sent. 29 aprile 1991 - all.) afferma che la vendita non comporta, in tal caso, la
sostituzione del compratore nell’obbligo del venditore di pagamento dell’indennità di avviamento
commerciale, perché la stessa si è ormai cristallizzata in capo al venditore-locatore, precisando, però
– nelle premesse della motivazione – che, in generale, legittimato passivo al pagamento
dell’indennità è chi risulti locatore al momento della scadenza contrattuale, anche se, poi, evidenzia
la rilevanza del momento dell’effettivo rilascio.
Per completezza può essere utile ricordare che, nella diversa e particolare fattispecie di una
cessione di azienda perfezionata dopo la cessazione de iure del rapporto (nella specie per effetto
della retroattività della sentenza della Corte Costituzionale n. 108/86), il Pretore di Roma (sent. 9
giugno 1992 - all.) ha dichiarato la legittimazione a percepire l’indennità in capo al cessionario
perché nella vendita dell’azienda, effettuata dallo originario conduttore, deve ritenersi compresa
anche l’avviamento commerciale.

2) Per una soluzione della questione interpretativa più aderente alla lettera e alla ratio della
legge, non può prescindersi dalla elaborazione giurisprudenziale della Cassazione e della Corte
Costituzionale in merito all’indennità di avviamento.
Può ritenersi ormai acquisito e pacifico il principio che il diritto all’indennità per la perdita
dell’avviamento sorge nel momento e a causa della cessazione de iure del rapporto locatizio (Cass.
29 dicembre 1984 n. 6266, Cass. 20 ottobre 1989 n. 4224, Cass. 11 dicembre 1990 n. 11766 e Cass.
3 novembre 1993 n. 10836) indipendentemente, quindi, dalla sentenza che accerti l’avvenuta
cessazione della locazione, dalla data in cui la stessa venga richiesta dal conduttore e, soprattutto,
dalle successive vicende legislative e costituzionali (Cass. 16 gennaio 1991 n. 309).
Pacifica risulta la ratio della previsione dell’indennità, individuata, vuoi nell’esigenza di
conservazione, anche nel pubblico interesse, delle imprese il cui avviamento sia inerente
all’immobile, vuoi nella sua funzione risarcitoria del pregiudizio che il conduttore subisce per il
rilascio, secondo l’id quod plerumque accidit (C. cost. n. 36/80, n. 128/83 e n. 583/87), senza,
peraltro, escludere l’ulteriore funzione surrettizia di deterrente per evitare la cessazione del rapporto
locatizio (Cass. 14 aprile 1986 n. 2617) ed invogliare così il rinnovo contrattuale, specialmente alla
scadenza del regime transitorio.
Deve, poi, evidenziarsi che la connessione diretta tra l’indennità con la cosa locata è stata
sottolineata a proposito della esclusione dell’indennità in caso di cessazione della locazione per
factum principis (C. cost. 14 dicembre 1989 n. 542) o di distruzione dell’immobile che estingue in
radice il rapporto di locazione e con esso i rapporti accessori (C. Cost. 11 dicembre n. 576).
Non pare discutibile che la previsione degli artt. 34 e 69 L.n. 392/78 – secondo la quale
l’esecuzione del provvedimento di rilascio è condizionata dall’avvenuta corresponsione
dell’indennità – determini un collegamento tra l’obbligazione di restituzione dell’immobile locato e
quella di corresponsione dell’indennità, entrambe nascenti con la cessazione del rapporto locatizio –
di talché il conduttore non può validamente pretendere esecutivamente il pagamento dell’indennità,
fintanto che non abbia riconsegnato effettivamente l’immobile, così come il locatore non può
estromettere il conduttore se non abbia prima adempiuto la sua obbligazione.
Ai fini della questione in esame si ricorda che Cass. 10 dicembre 1987 n. 9161 afferma
testualmente che “il credito del conduttore per la detta indennità diventerà esigibile solo se e quando
il locatore provvederà ad eseguire la sentenza di rilascio, essendo il pagamento dell’indennità
soltanto una condizione per procedere all’esecuzione”.
Se tale assunto è condivisibile, ne consegue che al conduttore è riconosciuto il diritto di
pretendere il pagamento dell’indennità da colui che agisca in esecutivis e che, nel caso in esame,
non può che essere l’acquirente il quale si vedrebbe, altrimenti, paralizzata l’azione esecutiva.
Ciò sembra comportare una divaricazione tra il momento genetico del diritto all’indennità,
incidente sulla sua quantificazione (debito di valuta), e quello della sua esigibilità che può incidere
invece, sull’individuazione del soggetto obbligato al pagamento, con una progressività nel
perfezionamento della complessiva situazione obbligatoria che potrebbe essere conseguente alla
tutela che il legislatore ha voluto assicurare in fatto.
Gli aspetti che occorre, quindi esaminare riguardano:
A) la necessaria uniformità di disciplina tra l’ipotesi, per così dire normale, nella quale sia il
locatore originario ad agire per il rilascio e quella in cui sia invece il terzo acquirente dell’immobile
che, pur dopo la cessazione de iure, subentri comunque nel lato attivo del rapporto locatizio di
durata, ormai di fatto e nel lato passivo del connesso rapporto di credito;
B) l’influenza o meno degli effetti della vendita che opera, di norma, il trasferimento del bene,
nello stato di fatto e di diritto in cui si trova, con tutti i pesi e gli oneri;
C) l’influenza o meno degli eventuali patti intercorsi tra il venditore ed acquirente in merito
all’accollo dell’indennità;
D) la persistenza o meno delle ragioni giustificatrici della previsione normativa, sia nei riguardi
del soggetto che in concreto riceve l’utilità, connessa alla riconsegna effettiva dell’immobile, sia nei
riguardi del soggetto che riceve, invece, il pregiudizio, secondo una valutazione legale tipica che
non ammette prova contraria;
E) l’inevitabilità dell’assoggettamento all’onere dell’indennità in conseguenza della
determinazione aliena di non proseguire nel rapporto e l’eventualità che tale prosecuzione avvenga
dopo il pagamento dell’indennità da parte del locatore/venditore nella prospettazione teorica
illustrata.
La soluzione della questione non può certamente prescindere dalle opzioni interpretative a
proposito della sussistenza o meno del risarcimento danni per il ritardo nella riconsegna
dell’immobile locato ex art. 1591 c.c., allorquando sussista il diritto del conduttore alla percezione
dell’indennità, perché i connessi aspetti di esigibilità delle contrapposte prestazioni attengono e
nascono esclusivamente con riferimento al periodo successivo alla cessazione de jure del rapporto.

Legittimazione passiva in caso di azione del conduttore per la restituzione del deposito cauzionale.

1) La dottrina prevalente configura il deposito cauzionale, costituito per la locazione, come


pegno irregolare (VISCO, BOLAFFIO, BRANCA, ORENGO, TABET, MICCIO, BUCCI,
MALPICA, REDIVO) perché la somma versata dal conduttore passa in proprietà del locatore che è
obbligato, poi, alla restituzione del tantundem (debito di valuta) solo dopo la liquidazione del
rapporto locatizio, non essendo, a tal fine, sufficiente la mera cessazione de iure, né il
provvedimento giurisdizionale perché la garanzia è prestata per l’eventualità di danni alla cosa
locata, di debiti insoluti per canoni ed accessori fino alla riconsegna materiale dell’immobile che
incidono sul completo esaurimento della funzione del deposito cauzionale (Cass. 3 maggio 1976 n.
1564, Cass. 27 giugno 1972 n. 2206, Cass. 20 dicembre 1955 n. 3907 e Trib. Milano 24 settembre
1981).
La giurisprudenza di legittimità ha, però, precisato che “l’obbligazione del locatore di restituire
il deposito cauzionale versato dal conduttore sorge non appena avvenuto il rilascio dell’immobile
locato, con la conseguenza che il conduttore è legittimato ad ottenere il decreto ingiuntivo” (Cass. 9
novembre 1989 n. 4725), salvo, comunque, l’opposizione del locatore per il riconoscimento dei suoi
diritti garantiti dal deposito, sempre che non abbia già agito tempestivamente per l’attribuzione del
deposito per l’esistenza di danni o di debiti.
La dottrina ha escluso l’assimilazione del deposito cauzionale alla figura del deposito perché
esula da tale genus, non essendo possibile intravedere, quale causa di esso, la funzione di custodia
(DE MARTINI, Noviss. Dig. It. voce deposito), mentre, in relazione alla possibile assimilazione del
mutuo – caratterizzato da una funzione neutra e dal riconoscimento di interessi, oltre alla
obbligazione di restituzione del tantundem – è stato osservato (SCHIAVON, La disciplina del
deposito cauzionale in Loc. urb. 1982, 553) che occorrerebbe verificare se l’introduzione della
obbligazione del pagamento degli interessi (art. 9 L. n. 633/69, art. 4 L. n. 841/73 e art. 11 L. n.
392/78) non possa incidere (modificandola) la tradizionale configurazione del pegno irregolare che
ha, infatti suscitato, di recente, qualche perplessità (COSENTINO-VITUCCI, Le locazioni dopo le
riforme del 1978-1985, Torino 1986, 147). Deve al riguardo ricordarsi che Cass. 13 aprile 1977 n.
1380 ha qualificato pegno irregolare e non come pegno regolare di credito la garanzia apposta su un
libretto di deposito a risparmio (in senso conforme Corte Appello Trieste 2 marzo 1994, in Giust.
Civ. 94, I, 2024).
In proposito si evidenza che la Direzione Generale imposte dirette, con risoluzione 8/238 del 27
aprile 1979, ha qualificato come compensativi gli interessi dovuti dal locatore sul deposito
cauzionale, escludendo che costituiscano reddito da capitale.

2) Qualora la costituzione del deposito cauzionale sia stata espressamente convenuta in un atto
scritto di data certa anteriore alla vendita – opponibile, pertanto, al locatore ex art. 1599 c.c. –
appare prevalente e quasi pacifica la legittimazione passiva dell’acquirente dell’immobile locato in
caso di azione di restituzione del deposito.
Una contraria, ma insolita dottrina, afferma che, in mancanza di accollo da parte
dell’acquirente, “tenuto alla restituzione non può essere e restare che chi l’ha ricevuto e lo conserva
nelle proprie mani” (G. PROVERA in Comm. Scialoja e Branca 1980, 451, voce locazione),
essendo, quindi, rilevante esclusivamente il rapporto tra venditore e acquirente in ordine
all’autonomo negozio di garanzia, quale è quello di deposito cauzionale.
La giurisprudenza ha affermato la legittimazione passiva del venditore e non dell’acquirente in
una fattispecie particolare che non pare possa sostanziare un vero contrasto giurisprudenziale. Il
Pretore di Mondovì, con sentenza 27 ottobre 1961 - all., ha, infatti, ritenuto la legittimazione
passiva del solo venditore in un’ipotesi di inopponibilità assoluta della costituzione del deposito
cauzionale, non sussistendo nella specie l’atto scritto di data certa anteriore alla vendita, né
ricorrendo le altre due ipotesi dell’accollo ex art. 1599 c.c. ovvero della conoscenza comunque
dell’esistenza del deposito e considerato che la costituzione del deposito non rientra tra gli elementi
fondamentali del contratto di locazione, potendo legittimamente mancare (Cass. 23 maggio 1959 n.
1498 e Cass. 22 febbraio 1957 n. 630) o essere sostituito da garanzia fideiussoria.
In tal senso sono anche (Corte Appello Brescia 10 novembre 1933 Foro It. 1934, I, 808) – in
relazione, però, al vecchio art. 1597 c.c., perché l’obbligazione discende da un contratto diverso e
accessorio rispetto alla locazione – e Cass. 14 giugno 1942, sempre però per un contratto non avente
data certa anteriore.
La legittimazione passiva dell’acquirente è affermata decisamente da Pret. Milano 18 luglio
1989 - all. per la considerazione che l’acquirente subentra ex art. 1602 c.c. anche nell’obbligazione
accessoria, considerato che, ricorrendo la figura del pegno irregolare trova applicazione l’art. 1408
c.c. (così anche TABET che esclude l’applicabilità dell’art. 1263 c.c.), con l’estinzione, pertanto,
dell’obbligazione di restituzione in capo al venditore, dal momento in cui si perfeziona la
sostituzione e valutato, anche, che “l’obbligo di versare il deposito cauzionale, previsto dall’art.
1608 c.c., rietra tra le obbligazioni essenziali del conduttore, cioè tra quelle obbligazioni il cui
inadempimento giustifica la risoluzione del contratto (Cass. 15 maggio 1971 n. 1428, Cass. 27
febbraio 1962 n. 356 e Trib. Roma 11 gennaio 1956 in Foro It. rep. 1957 voce locazioni n. 189).
A conforto della legittimazione passiva dell’acquirente, la dottrina ha posto l’accento sulla
condivisibile considerazione che l’obbligazione di restituzione si fonda su fatti la cui efficacia non
si è esaurita prima del trasferimento, osservando che la funzione del deposito è destinata a
realizzarsi nel futuro, al momento cioè, dell’effettiva riconsegna (DELLE SEDIE, Se l’acquirente
dell’immobile locato sia tenuto alla restituzione al conduttore del deposito canzionale in Nuovo
Dir. 1963, 984 e SCHIAVON cit.), per cui, ai fini dell’applicabilità dell’art. 1602 c.c. l’interprete
deve tener conto dell’avvenuta nascita o meno dell’obbligazione di restituzione.
Per la soluzione della questione rileva, pertanto, l’esigibilità dell’obbligazione di restituzione
del deposito che individua il soggetto obbligato sul piano sostanziale che, quindi, è legittimato
passivo in caso di azione per la restituzione.
L’esigibilità del credito può integrare il criterio per la soluzione delle questioni che si pongono,
nel caso di vendita del bene locato, per una corretta individuazione della legittimazione attiva e
passiva delle diverse situazioni di credito.

NULLITÀ, EX ARTT. 32 E 79 L. N. 392/78, IN RELAZIONE A:

Nuova pattuizione del canone in corso di rapporto (da considerarsi come nuovo contratto ai fini
della durata?).
Come si è già detto, a proposito della legittimità dei canoni differenziati, pare pacifica nella
giurisprudenza di legittimità la funzione assegnata all’art. 32 nella nuova disciplina ordinaria delle
locazioni urbane ad uso diverso, caratterizzate dalla libera determinazione del canone, ed, ora, anche
per quelle abitative stipulate con un patto in deroga: quella cioè di “conservare un attenuato sistema
di blocco dei canoni” (Cass. 11 agosto 1987 n. 6896), in quanto “appare chiaro, dalla lettera della
norma, l’intento del legislatore di salvaguardare, da un lato, la libertà contrattuale delle parti, non
ponendo... alcun limite alla libera determinazione del canone... e, dall’altro,... di contenere,
“considerando un parziale blocco di canoni, il fenomeno inflattivo col divieto di modifiche del
canone liberamente adottato (che “si presume costituisca il giusto prezzo di mercato)” (Cass. 8
marzo 1993 n. 2770).
Sulla base di tale interpretazione può quindi, farsi tranquillo riferimento alla giurisprudenza
formatasi sul pregresso regime di blocco dei canoni, per risolvere la questione indicata a margine,
sulla quale si è, comunque, pronunciata la Suprema Corte con una decisione che sembra, però,
suscitare qualche perplessità, soprattutto per le non considerate implicazioni per l’uso abitativo.
Con sentenza 19 settembre 1993 n. 11402 - all. è stata ritenuta valida la pattuizione con la
quale, nel corso del rapporto di locazione di immobile adibito ad uso diverso dall’abitazione, le parti
convengano un aumento del canone per la considerazione che la nullità prevista dall’art. 79 attiene
solo alla preordinata previsione di aumenti del canone, ma non incide sulla possibilità di disporne
una volta che il diritto di non subire aumenti sia sorto, con la stipulazione del contratto, e, quindi,
possa essere fatto valere anche attraverso la rinuncia.
Considerato che ogni corresponsione, in concreto, di aumenti del canone integra, per facta
concludentia, una convenzione, perché tale pagamento implica l’accettazione tacita da parte del
conduttore, di un’espressa richiesta del locatore (contra Pret. Pietrasanta 24 maggio 1988 - all.) – la
pronuncia citata sembrerebbe rinnegare tutta l’elaborazione giurisprudenziale consolidatasi, sotto il
pregresso regime vincolistico, sulla insanabile nullità dei patti che prevedono aumenti (Cass. l9
settembre 1970 n. 1608), salvi i patti in deroga previsti eccezionalmente dall’art. 5 l. 21 dicembre
1960 n. 1521, e fino all’entrata in vigore dell’art. 4 dl. 23 dicembre 1964 n. 1356, i quali, tuttavia,
non potevano sanare o ratificare gli aumenti precedentemente corrisposti in violazione delle leggi
vincolistiche (Cass. 27 novembre 1971 n. 3645 e Cass. 23 gennaio 1976 n. 216).
Deve, infatti, osservarsi che il principio della validità della rinuncia ad un diritto sorto o della
sua nullità in relazione ad una situazione futura, era largamente applicato anche nel pregresso
regime di blocco del canone, ma a quanto consta, solo nel senso di ritenere valida la rinuncia alla
ripetizione dei canoni allorquando fosse stato riconsegnato materialmente l’immobile locato, ma
non per legittimare aumenti nel corso del rapporto.
Come osservato in dottrina, l’ammissibilità dei patti comportanti aumenti del canone – che nel
regime vincolistico riguardavano essenzialmente quelli che fossero stipulati nel corso del rapporto
assoggettato a blocco – sarebbe una contraddizione in termini (LAZZARO, PREDEN, VARRONE,
Le locazioni in regime vincolistico, 1978, 115).
La lettura congiunta dell’art. 32, non tanto con il primo comma, quanto con il secondo comma
dell’art. 79, sembra militare a favore non solo del riconoscimento di un diritto a non subire aumenti,
relativamente al momento genetico del contratto, ma anche della sussistenza di un divieto di
aumento nel corso di svolgimento del rapporto, emergente chiaramente dalla previsione del termine
di decadenza fissato a decorrere dalla materiale riconsegna dell’immobile che, come si è ricordato,
la dottrina (VITUCCI) ritiene ipotesi speciale della generale previsione dell’art. 2935, c.c.
Tale prospettazione trova conforto nella pronuncia (già richiamata) della Corte Costituzionale n.
3 del 1990 laddove afferma che la ratio dell’art. 79 è quella di tutelare il conduttore, fino alla
riconsegna materiale dell’immobile, in una situazione di esposizione a ritorsioni che “giustifica, per
le conseguenti remore all’esercizio del diritto, il trattamento previsto...” e che, pertanto, sembra
escludere, per tutta la durata del rapporto, la ricorrenza del presupposto (diritto non solo sorto ma
anche che possa essere fatto valere) dalla recente decisione della Suprema Corte.
Potrebbe, invece, invocarsi il principio, affermatasi sotto il vigore del regime vincolistico per i
rapporti soggetti a proroga legale, in merito alla validità delle convenzioni che comportino un
vantaggio per il conduttore (Cass. 7 marzo 1977 n. 932), perché le limitazioni alla autonomia
privata sono imposte inderogabilmente per ragioni pubblicistiche, ma pur sempre nell’interesse del
conduttore, con la conseguente legittimità degli accordi transattivi che prevedano concessioni in
favore del soggetto tutelato (ex pluribus Cass. 26 maggio 1962 n. 1252, Cass. 11 giugno 1959 n.
1939).
Tale principio appare recepito anche dalla legge n. 392/78 che all’art. 67, ult. comma consente
la stipula di un nuovo contratto anche prima della scadenza del regime transitorio e ribadito da
recente giurisprudenza che, in caso di transazioni comportanti reciproche concessioni, ritiene
giustificata la sottrazione alla normativa ordinaria (Cass. 26 marzo 1991 n. 3270 - all.).
Il patto concluso nel corso di un rapporto potrebbe, quindi, sostanziare un comportamento
concludente dell’avvenuta stipula di un nuovo contratto con una nuova durata di sei anni (oltre la
rinnovazione abbligatoria) decorrente dal perfezionamento dell’accordo.
In senso contrario si è pronunciata parte della giurisprudenza di merito in quanto la
rinegoziazione del canone inizialmente pattuito non determinerebbe la novazione oggettiva del
contratto, per cui non subirebbe modifiche la durata pattuita dal rapporto (Pret. Pietrasanta 24
maggio 1988 - all.).
Non possono sottovalutarsi le conseguenze che il principio di diritto enunciato da Cass.
11402/93 avrebbe, per la sua valenza generale, per l’uso abitativo, dove potrebbe determinare la
liberalizzazione del canone senza l’osservanza delle condizioni richieste dalla l. n. 359/92, con
un’accorta rinegoziazione del canone non al momento del rinnovo ma prima, quando sia ancora in
corso de iure il precedente rapporto ed, eventualmente, non ancora spirato il termine per la
comunicazione della disdetta.

Pattuzione iniziale di canone in misura crescente.

La pratica di convenire, al momento della stipulazione del contratto di locazione, misure


crescenti del canone si è, inizialmente, affermata per gli immobili adibiti ad uso diverso
dall’abitativo, per i quali la legge consente la libera determinazione del canone, soprattutto per
evitare la progressiva erosione del potere di acquisto della moneta che in tempi non remoti era
decisamente rilevante, con esclusione, comunque, dei casi di affitto di azienda al quale non sono
applicabili le norme della legge dell’equo canone (Cass. 10 maggio 1989 n. 2138).
A seguito, però, dell’introduzione degli accordi in deroga per le locazioni abitative, di cui
all’art. 11 d.l. 11 luglio 1992 n. 333 conv. nella l. 8 agosto 1992 n. 359, la stessa va diffondendosi
anche per le locazioni abitative, dal momento che le parti, con l’osservanza delle condizioni
previste, possono, ora, convenire liberamente la misura del canone, continuando, tuttavia, ad
incontrare – analogamente all’uso diverso – il limite legale dell’aggiornamento del canone.
Solo le locazioni degli immobili di nuova costruzione – individuabili esclusivamente attraverso
i criteri appositamente indicati dalla legge per un esatto discrimine con quelli esistenti alla data di
entrata in vigore del d.l. n. 333/92 – sfuggono alla problematica interpretativa in esame, perché non
è prevista per tale tipologia la persistente efficacia dell’art. 24, nel quadro della tendenziale
progressiva liberalizzazione della disciplina delle locazioni che sembra informare la nuova
normativa provvisoria (“fino alla revisione della disciplina delle locazioni urbane”, incipit della
citata disposizione), la quale significativamente non prevede, per tale specifica categoria di contratti,
la condizione dell’assistenza sindacale che, pertanto, ove prevista, risulta caratterizzata, anch’essa,
dalla provvisorietà insita della normativa dei cd. patti in deroga.
L’iniziale e più rigoroso orientamento giurisprudenziale che giudicava, in generale, illegittima
la preordinata maggiorazione annuale del canone, perché l’art. 32 – che nell’originaria formulazione
consentiva l’aggiornamento, nel limite del 75% della variazione istat, solo dall’inizio del quarto
anno e successivamente, con l’entrata in vigore della l. n. 118 del 1985, dall’inizio del secondo anno
– “tende a conservare un attenuato sistema di blocco dei canoni” (Cass. 11 agosto 1987 n. 6896 e
Pret. Rimini 27 febbraio 1986 - all.) è sembrato attenuarsi con il successivo indirizzo, secondo il
quale è legittima, in genere, la determinazione del canone in misura differenziata e crescente, per
frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto, “ancorata ad elementi predeterminati ed idonei
ad influire sull’equilibrio economico del sinallagma contrattuale, del tutto indipendente dalle
variazioni annue del potere di acquisto della lira”, come nel caso del canone di una sala
cinematografica correlato al costo unitario del biglietto d’ingresso ed al numero dei biglietti venduti
annualmente (Cass. 3 agosto 1987 n. 6695) salva la ricorrenza di frode alla legge.
Tale ultimo orientamento faceva, infatti, salva la prova che “a seguito di un accertamento di
fatto devoluto esclusivamente al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità ove
congruamente motivato”, risulti che “le parti abbiano in realtà perseguito surrettiziamente lo scopo
di neutralizzare soltanto gli effetti della svalutazione monetaria, eludendo i limiti quantitativi posti
dall’art. 32” (in senso sostanzialmente conforme Cass. 22 gennaio 1990 n. 326).
La più recente giurisprudenza di legittimità sembra però operare un revirement che sembra
incidere quantomeno sulla ripartizione dell’onere della prova perché afferma che tali pattuizioni
“devono ritenersi illegittime e quindi nulle, in quanto tendenti a superare quei divieti e ad attribuire
al locatore vantaggi non consentiti, a meno che quelle maggiorazioni non siano collegate
sinallagmaticamente all’ampliamento della controprestazione” (Cass. 9 luglio 1992 n. 8377 - all.).
L’intravisto contrasto è stato, comunque, negato dalla recente Cass. 8 marzo 1993 n. 2770 - all.
che – disattendendo la richiesta del P.M. di rinvio al Primo Presidente per l’esistenza di un contrasto
giurisprudenziale – afferma che “l’indagine per stabilire la legittimità della predeterminazione degli
aumenti nel primo triennio non deve essere diretta tanto a stabilire se le parti abbiano inteso frodare
la legge quanto se l’effettiva volontà delle parti stesse, ricavabile dal contratto, sia ancorata, nel
fissare i detti aumenti, ad elementi obiettivi di ordine economico che li giustifichino senza alterare
l’equilibrio economico del contratto”. L’onere probatorio viene quindi ad incombere sul locatore se
questi vuole vincere la prevedibile eccezione di illegittimità di una tale previsione pattizia,
costituendo eccezione alla regola quella della validità della pattuizione.
L’ultima affermazione di tale orientamento induce a riconsiderare la probabile legittimità e
validità di quella che forse è solo una più accorta formulazione della clausola di differenziazione del
canone per la durata del contratto che, sotto il profilo economico evidenziato dalla Corte, ben può
essere valutato nella sua unitarietà, cioè per l’intero suo svolgimento come peraltro avviene ai fini
della determinazione della competenza per valore delle controversie che lo dovessero riguardare.
Occorre pertanto, verificare se possa ritenersi legittima la differenziazione del canone che le
parti abbiano convenuto quale “mere modalità di pagamento” dell’unico canone globale convenuto
per l’intera durata del rapporto (in tal senso Trib. Roma 14 febbraio 1983 in Loc. urb. 1983, 429 e,
in motivazione, anche Pret. Udine 23 aprile 1990 - all.).
Come osservato in dottrina (BUCCI, MALPICA, REDIVO, Manuale delle locazioni, 1989,
416) occorrerà però che sia “espressamente menzionato il canone globale, giacché in tal modo è
sempre possibile accertare, se necessario (come per la determinazione dell’indennità di avviamento)
il canone mensile medio”. Salvo può aggiungersi – che il locatore, con un comportamento
improvvido e troppo fiscale, non tradisca, inconsapevolmente, lo scopo indiretto di aggirare il limite
posto dalla legge; come ad esempio pretendendo che la rinnovazione, ex art. 28, avvenga per il
canone ultimo corrisposto e non per quello medio, ovvero che l’aggiornamento periodico del canone
avvenga sul canone in fatto corrisposto e non sulla sua misura media, eccetto che da un calcolo
(possibile solo ex post) risulti non superato il limite del 75% dell’aggiornamento nell’intero periodo.
Le innegabili difficoltà operative potrebbero essere ridotte con la rinuncia, da parte del locatore,
alla facoltà di agire per il diniego di rinnovazione alla scadenza del primo sessennio, in modo da
ripartire il canone globale per la maggiore durata di dodici anni del rapporto che la legge ha inteso
assicurare al conduttore commerciale, attraverso il meccanismo della rinnovazione obbligatoria, ma
che, nel caso, comportano la forma scritta ad substantiam (Cass. 2 giugno 1993 n. 6130) e la
qualificazione di atto di straordinaria amministrazione (Cass. 29 ottobre 1993 n. 10779).
In tal senso si è pronunciata anche una parte della giurisprudenza di merito (Pret. Milano 14
giugno 1984 - all.).

Potrebbero piacerti anche