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GENERALITA’
CARATTERIZZAZIONE CHIMICA
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CAP.3 – CARATTERIZZAZIONE STRUTTURALE, MORFOLOGICA ED ELETTROCHIMICA
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Figura 25 - Effetto dell’interazione fra la radiazione X ed il campione.
Sperimentalmente (Φsp + S) si ottiene mediante la calibrazione della scala delle energie di
legame, ponendo come riferimento il segnale di un elemento di cui sia nota l’energia di
legame; solitamente si usa il segnale del C(1s) a 285,0 eV.
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Data la particolare sensibilità di questa tecnica di superficie, i primi strati atomici della
superficie del materiale oggetto di studio possono essere rimossi mediante irraggiamento
con ioni Ar (sputtering) per rimuovere lo strato di superficie, in genere influenzato dalla
contaminazione ambientale. Questo processo può essere ripetuto, alternando in sequenza
erosione ionica ed analisi XPS, in modo tale da analizzare di volta in volta uno strato
sempre più interno di materiale ed ottenere quindi profili di concentrazione elementare in
profondità (depth profiling).
E’ quindi attraverso la misura dell'energia cinetica dei foto-elettroni che è
possibile valutare l'energia di legame degli atomi di origine (BE), e stabilire l'elemento
chimico di provenienza (giacché ogni elemento ha un suo proprio picco di BE) e il
livello di core da cui l'elettrone è stato emesso. Inoltre, la variazione del valore
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Eν = (ν +
½)
hνe
dove νe è la frequenza di vibrazione, h è la costante di Plank e n è il numero quantico
rotazionale (ν ∍ [0,∞] ed intero).
Le regole di selezione per la transizione del legame da un livello energetico ad
un altro, derivanti dalla trattazione quantistica del moto di un oscillatore armonico,
prevedono che affinché ci sia interazione luce-materia il moto vibrazionale degli atomi
deve cambiare momento dipolare della molecola e, inoltre, Δν deve essere uguale a ±1.
Lo spettro vibrazionale dovrebbe, quindi, essere caratterizzato da una sola linea
a frequenza νe; in realtà, vi sono da considerare i contributi armonici, che descrivono
meglio la funzione d’onda degli stati vibrazionali e che comportano la presenza di altre
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La radiazione policromatica emessa dalla sorgente arriva allo specchio
semitrasparente e viene divisa in due parti: una va allo specchio fisso e l'altra allo
specchio mobile, che si muove avanti e indietro a velocità costante. Quando le due
radiazioni riflesse si riuniscono avvengono fenomeni di interferenza costruttiva o
distruttiva, poiché esse hanno percorso cammini ottici diversi.
Poiché la posizione dello specchio mobile, e quindi il cammino ottico di una
delle radiazioni, varia nel tempo, varieranno nel tempo anche l'interferenza fra le
radiazioni e la trasmittanza del campione. L’ interferogramma riporta la misura della
trasmittanza del campione in funzione del tempo; applicando a questa la trasformata
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di Fourier, si ottiene la trasmittanza in funzione del numero d'onda (il reciproco della
lunghezza d'onda).
Successivamente si procede all'interpretazione dello spettro ottenuto, risalendo
ai gruppi funzionali presenti nella molecola e alla sua possibile formula di struttura.
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BASI TEORICHE
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dove
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dove:
| Z | = modulo dell'impedenza;
j = √-1
θ = fase dell'impedenza;
Zreale = parte reale dell'impedenza, pari a | Z |·cosθ;
Zim = parte immaginaria dell'impedenza, pari a | Z |·senθ.
Il modulo e la fase dell’impedenza risultano rispettivamente uguali a:
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dove:
εo = permittività elettrica del vuoto (8.86 ×10-12 F×m-1);
εr = permittività elettrica del rivestimento
A = area del rivestimento esposta all’ambiente aggressivo;
d = spessore del rivestimento.
Nel caso di un rivestimento organico i valori di εr sono generalmente compresi tra 4 e
8.
La capacità di un rivestimento protettivo varia quando l'elettrolita penetra attraverso il
rivestimento stesso e le misure di impedenza consentono di valutare tali variazioni.
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dove:
io = corrente di scambio;
F = costante di Faraday;
R = costante universale dei gas;
α = ordine di reazione;
η = sovratensione;
n = numero di elettroni scambiati nella reazione.
Cdl: capacità del doppio strato, il doppio strato elettrico, le cui dimensioni sono
dell’ordine dell'angstrom (Å), si crea all’interfaccia fra il substrato metallico ed il
rivestimento utilizzato appena l’elettrolita raggiunge la superficie del metallo stesso. Il
valore di Cdl dipende da numerosi fattori quali, ad esempio, la temperatura, la
concentrazione ed il tipo di ioni, la rugosità del substrato metallico, l'adsorbimento di
impurezze all’interfaccia metallosubstrato.
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PROFILOMETRO
Una volta effettuate le deposizioni di film o le ablazioni di materiale (etching) è
necessario avere una misura esatta dello spessore dei diversi rivestimenti.
In termini molto generali il profilo metro è uno strumento in grado di copiare il profilo
di una superficie e plottarlo per la successiva misura dello spessore e della rugosità.
Nel caso si voglia misurare lo spessore di un film deposto il profilometro può
agevolmente misurare la differenza, ossia il gradino tra una zona trattata e una non
trattata.
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Le caratteristiche più importanti del fascio di elettroni sono l’energia (1-30 keV) e la
corrente (1 pA-1 µA). Questi due parametri determinano:
- la dimensione del fascio (risoluzione);
- il danneggiamento del campione;
- la quantità di segnale utile;
- la profondità di penetrazione.
Ad esempio, lavorare con basse correnti di fascio migliora la risoluzione e diminuisce
il danneggiamento, ma riduce anche il segnale utile rivelabile.
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CAP.3 – CARATTERIZZAZIONE STRUTTURALE, MORFOLOGICA ED ELETTROCHIMICA
È possibile suddividere le interazioni tra il fascio di elettroni primari e gli atomi del
campione in due categorie:
Urti elastici: l’elettrone cambia la sua traiettoria (può anche cambiarla di 180°) ma
mantiene invariata la sua energia. In questo caso il prodotto dell’interazione elettroni
primari-campione è costituito da elettroni retrodiffusi (BSE, Back Scattered
Electrons). Più il materiale colpito ha un elevato numero atomico Z, più l’elettrone
tende a subire urti elastici che lo fanno rimbalzare indietro. L’immagine al SEM viene
fornita in toni di grigio: più sono gli elettroni retrodiffusi dal materiale, più il grigio è
chiaro e, quindi, maggiore è il numero atomico Z del materiale. L’intensità dei BSE
può, quindi, essere correlata con il numero atomico degli elementi presenti nel volume
del campione che ha interagito con gli elettroni primari e può fornire alcune
indicazioni qualitative di composizione elementale.
Urti anelastici: l’elettrone perde parte della sua energia trasferendola al materiale.
Uno dei prodotti dell’interazione elettroni primari-campione è in questo secondo caso
costituito da elettroni secondari (SE, Secondary Electrons). Gli SE non sono altro che
gli elettroni di valenza (debolmente legati) di più bassa energia che vengono liberati a
causa dell’eccitazione provocata dall’interazione degli elettroni primari (0.5÷30 keV)
con la superficie del campione. A differenza dei BSE, gli SE non danno informazioni
composizionali (non avendo energie caratteristiche) ma forniscono informazioni sulla
morfologia del campione.
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Gli SE vengono generati dal fascio di elettroni primari lungo tutto il cammino
percorso nel materiale. Essi sono poco energetici (< 50 eV) e soltanto quelli dello
strato più vicino alla superficie (25 nm) del materiale riescono a fuggire e ad essere
quindi rivelati. L’intensità degli SE è governata dalla topografia superficiale del
campione: il numero di SE rivelati dipende dall’orientazione, dall’inclinazione, dalla
geometria superficiale del materiale rispetto al fascio incidente. Una superficie scabra
emetterà SE che rifletteranno le asperità superficiali.
Quando un fascio di elettroni incide sul picco di un’asperità, un gran numero di
SE generati nel volume d’interazione si trovano in prossimità della superficie (a
distanze < 25 nm) e riescono, quindi, ad emergere dal campione. Viceversa, quando il
fascio incide nel fondo di una cavità solo pochissimi degli SE generati nel volume di
interazione si troveranno in corrispondenza della superficie, mentre la maggior parte
sarà troppo lontana dalla superficie per riuscire a fuggire.
Un’immagine della superficie del campione può, quindi, essere ricostruita
misurando l’intensità degli SE in funzione della posizione del fascio primario nel suo
movimento di scansione.
La topografia della superficie è anche percepibile con il segnale dei BSE, ma in
quest’ultimo caso la risoluzione (~ 1 µm) è inferiore a quella raggiunta con gli SE ≈ 10
nm. La diversa risoluzione dell’immagine ottenibile analizzando i BSE o gli SE
dipende dal fatto che essi provengono da regioni di dimensioni e profondità diverse.
Le immagini ottenute, sia mediante SE che mediante BSE, possono essere
indirizzate su di un secondo schermo catodico ad altissima risoluzione per permettere
anche la registrazione fotografica di quanto si può osservare sullo schermo catodico
principale.
Oltre agli elettroni retrodiffusi (BSE) e secondari (SE), nell’interazione fascio
primario campione possono essere prodotti anche elettroni Auger e radiazione X
caratteristica. L’accoppiamento al microscopio elettronico a scansione di sistemi di
microanalisi che analizzano i raggi X caratteristici emessi dal campione permette tutta
una serie di indagini, sia qualitative che quantitative, circa la composizione elementare
in materiali composti.
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