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MATERIALI E TECNOLOGIE INNOVATIVE 3

CARATTERIZZAZIONE STRUTTURALE, MORFOLOGICA ED


ELETTROCHIMICA DEI MATERIALI

GENERALITA’

I rivestimenti costituiti da film sottili modificano radicalmente gli strati


superficiali del materiale che ricoprono, stravolgendone le caratteristiche strutturali e
morfologiche. Il materiale così rivestito assumerà le particolari conformazioni e
caratteristiche estetiche o tribologiche che il processo di deposizione del film, se
correttamente condotto, doveva assicurare.
Per ottimizzare le caratteristiche del rivestimento in funzione dei parametri di
processo e per correlare le proprietà del film alle sue caratteristiche strutturali e
morfologiche assumono un ruolo fondamentale la conoscenza della composizione
chimica, della struttura e della morfologia dei rivestimenti, sia in superficie che
all’interfaccia tra il film deposto ed il materiale sottoposto a trattamento.
Nell’ambito del presente studio, il processo di deposizione è stato ottimizzato
in funzione della capacità protettiva del rivestimento dalla corrosione. Per questo
motivo è stato indispensabile non solo indagare sulle proprietà chimiche e strutturali
della superficie del film e dell’interfaccia film-bulk, ma anche misurare le proprietà
elettrochimiche del film deposto per raccogliere informazioni sulla cinetica di
reazione; tale valutazione è stata condotta mediante spettroscopia d’impedenza
elettrochimica.

Le tecniche di caratterizzazione strutturale impiegate sono : la spettroscopia


XPS (X-ray photoemission spectroscopy) per l’analisi composizionale, sia in
superficie, che in bulk del rivestimento e all’interfaccia rivestimento-substrato e la
FTIR spettroscopia infrarossa in trasformata di Fourier, per lo studio della
composizione chimica dei film depositati.

CARATTERIZZAZIONE CHIMICA

La caratterizzazione chimica in termini qualitativi e quantitativi della composizione


degli strati superficiali dei materiali tal quali e delle variazioni strutturali e
composizionali indotte dai trattamenti via plasma richiede l'uso di tecniche analitiche
che permettano l'identificazione delle specie chimiche presenti in regioni di spessore

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CAP.3 – CARATTERIZZAZIONE STRUTTURALE, MORFOLOGICA ED ELETTROCHIMICA

dell'ordine dei 50-100 Å. Queste informazioni possono essere ottenute mediante


tecniche spettroscopiche.
Nell’ambito della parte sperimentale di questo studio sono state effettuate delle analisi dei
materiali sottoposti a PECVD mediante spettroscopia di fotoelettroni ai raggi X (XPS) ed
analisi all’infrarosso in trasformata di Fourier. Le basi di queste due metodologie d’indagine
superficiale verranno descritte nei paragrafi seguenti.  

SPETTROSCOPIA FOTOELETTRONICA (XPS)

La spettroscopia fotoelettronica indotta da raggi X (X-ray photoelectron spectroscopy -


XPS) è una tecnica analitica di superficie, nota anche come "ESCA" (Electron-Spectroscopy
for Chemical Analysis).
Dalla misura dell'energia di legame, l'XPS permette la determinazione della presenza
degli elementi con numero atomico maggiore di 2 e generalmente anche della natura dei
legami nei quali sono coinvolti attraverso l'analisi della posizione in energia e del loro
spostamento (chemical shift) dei picchi fotoelettronici rispetto a valori tabulati e riferiti alle
specie atomiche elementari. A tale scopo si fa ricorso a banche dati che contengono un'ampia
ed esaustiva panoramica dei valori di energia di legame.
Tale tecnica consente quindi di realizzare la caratterizzazione chimica dei film sottili e
delle superfici evidenziando la percentuale atomica degli elementi presenti ed il loro intorno
chimico.
Il fenomeno fisico alla base di questa tecnica di analisi è l'effetto fotoelettronico: un
fascio di raggi X (RX) viene prodotto per bombardamento di elettroni, con un’energia
compresa tra 1 e 20 keV, di una superficie metallica (generalmente Al o Mg). Il fascio RX
incide sulla superficie del campione da analizzare, che emetterà elettroni dai livelli atomici
più interni
con una
energia
cinetica E,
dipendente
dai livelli
energetici
dai quali
sono stati
emessi.
(Figura
25).

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Materiali e tecnologie innovative 3

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Figura 25 - Effetto dell’interazione fra la radiazione X ed il campione.
 

I raggi X usati sono in grado di penetrare il campione fino ad una distanza


maggiore di 1000 nm dalla superficie; tuttavia, gli elettroni fotoemessi, a causa del
minore libero cammino medio nel solido (Inelastic Mean Free Path) possono
emergere solo da una profondità massima di circa 50-60 nm.
Gli elettroni colpiti acquisiscono energia sufficiente per essere fotoemessi con
un’energia cinetica residua Ek che dipende dall’energia dei raggi X, dall’energia di
legame dell’elettrone nel livello atomico di origine (binding energy, BE), dalla
funzione lavoro dello spettrometro Φsp e da un termine S (caricamento del campione)
nel caso in cui il campione sia costituito da un materiale dielettrico o non sia collegato
elettricamente a terra. La relazione che lega l’energia cinetica dell’elettrone
fotoemesso alle variabili elencate è la seguente:  
 

 
 
Sperimentalmente (Φsp + S) si ottiene mediante la calibrazione della scala delle energie di
legame, ponendo come riferimento il segnale di un elemento di cui sia nota l’energia di
legame; solitamente si usa il segnale del C(1s) a 285,0 eV.

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CAP.3 – CARATTERIZZAZIONE STRUTTURALE, MORFOLOGICA ED ELETTROCHIMICA

I fotoelettroni emessi dal campione vengono raccolti da un analizzatore CHA (Concentric


Hemispherical Analyser) costituito da due semisfere concentriche tra le quali è applicata
una differenza di potenziale variabile (Figura 26). Il campo elettrico deflette gli elettroni
aventi un’energia cinetica compresa in un determinato intervallo, la cui ampiezza dipende
dalla risoluzione dello strumento. All’uscita del CHA è posizionato un rivelatore che
produce un segnale proporzionale alla quantità di fotoelettroni; riportando la quantità di
fotoelettroni in funzione dell’energia cinetica selezionata (o analogamente della binding
energy), si ottiene lo spettro d’interesse.
Le misure XPS vengono effettuate in alto vuoto (10-8 ÷ 10-10 mbar), in modo da ridurre
drasticamente le collisioni fra elettroni e molecole di gas e permettendo quindi ad un
numero consistente di elettroni di essere rilevati per dare origine ad un segnale registrabile.

Figura 26 – Schema di uno spettroscopio XPS.

Data la particolare sensibilità di questa tecnica di superficie, i primi strati atomici della
superficie del materiale oggetto di studio possono essere rimossi mediante irraggiamento
con ioni Ar (sputtering) per rimuovere lo strato di superficie, in genere influenzato dalla
contaminazione ambientale. Questo processo può essere ripetuto, alternando in sequenza
erosione ionica ed analisi XPS, in modo tale da analizzare di volta in volta uno strato
sempre più interno di materiale ed ottenere quindi profili di concentrazione elementare in
profondità (depth profiling).
E’ quindi attraverso la misura dell'energia cinetica dei foto-elettroni che è
possibile valutare l'energia di legame degli atomi di origine (BE), e stabilire l'elemento
chimico di provenienza (giacché ogni elemento ha un suo proprio picco di BE) e il
livello di core da cui l'elettrone è stato emesso. Inoltre, la variazione del valore

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dell'energia di legame può essere correlata allo stato chimico dell'elemento


fotoemittente e alla natura del legame o della struttura.
L'informazione ottenuta è pertinente ai primi strati atomici (2-7 nm), il che fa
dell' XPS una delle principali tecniche di analisi di superficie.
Oltre alla fotoemissione di elettroni di core e di valenza, l'interazione fotone
materia da luogo alla emissione di raggi X (fluorescenza XRF) e di elettroni Auger, e
induce processi secondari di emissione di elettroni (shake off e shake up). L’analisi di
questi fenomeni può fornire informazioni utili a descrivere l'intorno chimico
dell'atomo fotoemettitore e della struttura in cui è inserito.
 

ANALISI ALL’INFRAROSSO IN TRASFORMATA DI FOURIER


(FT-IR)

Questa tecnica di analisi si basa sull'assorbimento di radiazioni infrarosse (IR), ovvero


con lunghezza d'onda compresa fra 0,78 e 100 micron, da parte di alcune molecole.
Questo fenomeno è dovuto alla capacità delle radiazioni IR di provocare variazioni
nelle vibrazioni dei legami, entrando in risonanza con essi; ciò si verifica quando la
radiazione possiede una frequenza uguale o multipla di quella naturale del legame.
Alla regione dello spettro elettromagnetico denominata “medio infrarosso”,
appartengono infatti le onde elettromagnetiche in grado di promuovere le transizioni
roto-vibrazionali delle molecole.
Se il campione irradiato è un solido, i moti rotazionali possono essere trascurati e dalla
trattazione quantistica dell’oscillazione dei legami, in accordo con la teoria
dell’oscillatore armonico, si ottiene che l’energia associata ai livelli vibrazionali di un
dato legame risulta:

Eν = (ν +  ½)  hνe  
 
dove νe è la frequenza di vibrazione, h è la costante di Plank e n è il numero quantico
rotazionale (ν ∍ [0,∞] ed intero).
Le regole di selezione per la transizione del legame da un livello energetico ad
un altro, derivanti dalla trattazione quantistica del moto di un oscillatore armonico,
prevedono che affinché ci sia interazione luce-materia il moto vibrazionale degli atomi
deve cambiare momento dipolare della molecola e, inoltre, Δν deve essere uguale a ±1.
Lo spettro vibrazionale dovrebbe, quindi, essere caratterizzato da una sola linea
a frequenza νe; in realtà, vi sono da considerare i contributi armonici, che descrivono
meglio la funzione d’onda degli stati vibrazionali e che comportano la presenza di altre

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CAP.3 – CARATTERIZZAZIONE STRUTTURALE, MORFOLOGICA ED ELETTROCHIMICA

linee nello spettro a frequenze multiple di νe (detti overtone), caratterizzate da intensità


decrescenti al crescere della frequenza.
Fino ad una decina di anni fa si utilizzavano prevalentemente strumenti a
dispersione, in cui la risoluzione spettrale è permessa dalla separazione delle
lunghezze d’onda mediante un mezzo dispersivo (monocromatore).
Oggi, tale strumentazione è stata soppiantata dalla tecnica   interferometrica in
trasformata di Fourier. Nella spettroscopia FT-IR, la risoluzione spettrale è ottenuta
grazie ad un interferometro (solitamente quello di Michelson), mentre il trattamento
del segnale ottico si realizza modulando l’intensità della luce per le singole lunghezze
d’onda con una frequenza di campionamento ed operando la trasformata di Fourier sul
segnale risultante.
L’ interferometro di Michelson (Figura 27) è un dispositivo meccanico formato
da tre specchi: uno centrale semitrasparente (SS), uno fisso (SF) e uno mobile (SM).

Figura 27 - Interferometro di Michelson.

 
La radiazione policromatica emessa dalla sorgente arriva allo specchio
semitrasparente e viene divisa in due parti: una va allo specchio fisso e l'altra allo
specchio mobile, che si muove avanti e indietro a velocità costante. Quando le due
radiazioni riflesse si riuniscono avvengono fenomeni di interferenza costruttiva o
distruttiva, poiché esse hanno percorso cammini ottici diversi.
Poiché la posizione dello specchio mobile, e quindi il cammino ottico di una
delle radiazioni, varia nel tempo, varieranno nel tempo anche l'interferenza fra le
radiazioni e la trasmittanza del campione. L’ interferogramma riporta la misura della
trasmittanza del campione in funzione del tempo; applicando a questa la trasformata

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di Fourier, si ottiene la trasmittanza in funzione del numero d'onda (il reciproco della
lunghezza d'onda).
Successivamente si procede all'interpretazione dello spettro ottenuto, risalendo
ai gruppi funzionali presenti nella molecola e alla sua possibile formula di struttura.

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CAP.3 – CARATTERIZZAZIONE STRUTTURALE, MORFOLOGICA ED ELETTROCHIMICA

MISURE DI IMPEDENZA ELETTROCHIMICA

La valutazione del comportamento elettrochimico, correlabile con la capacità


protettiva dei rivestimenti depositati, è stata condotta mediante spettroscopia
d’impedenza elettrochimica (EIS, Electrochemical Impedance Spectroscopy).
La spettroscopia elettrochimica costituisce un mezzo molto efficace per
investigare le proprietà superficiali dei materiali metallici. Essa permette di separare
nel dominio delle frequenze il contributo di vari processi come:
• le reazioni all’interfaccia elettrodo/elettrolita,
• il trasporto ionico attraverso l’elettrolita,
• la conducibilità di grano nei materiali policristallini,
• la formazione di strati passivanti sull’elettrodo.
Le misure in dispersione stanno riscuotendo l’interesse da parte della comunità
scientifica per l’elevata automazione, affidabilità e riproducibilità e grazie alla
possibilità di poter interpretare i dati attraverso modelli circuitali. Queste ragioni
rendono la spettroscopia di impedenza un valido supporto investigativo per la
definizione delle proprietà di trasporto elettronico sia nei materiali e nelle soluzioni
liquide che all’interfase elettrodo/elettrolita.
Per lo studio dei fenomeni elementari si effettua una prima analisi del regime
di stato stazionario, approccio che consente di capire i processi coinvolti in un sistema,
ma è chiaramente inadeguato quando il livello di complessità dei processi coinvolti e
l’accoppiamento tra di essi aumenta.
La spettroscopia di impedenza è stata sviluppata ed attualmente è utilizzata
dalla comunità degli elettrochimici per lo studio dei fenomeni che hanno luogo ad
un’interfaccia elettrochimica come il trasporto di massa, la formazione del doppio
strato ed il trasferimento elettronico, pur senza la possibilità di indagare sui legami
chimici e sulla natura chimica degli intermedi di reazione.
Le misure di impedenza effettuate sui rivestimenti forniscono utili informazioni
relative a presenza di microdifetti o porosità, assorbimento di liquidi, solubilità,
degradazione, aderenza. Inoltre, tali misure consentono di valutare l’efficacia
protettiva di uno strato barriera, gli effetti di passivazione di una cromatazione, ecc.

BASI TEORICHE

Il concetto fondamentale della spettroscopia di impedenza elettrochimica è quello di


perturbare il sistema in esame con un potenziale sinusoidale di frequenza variabile:
x(t) = A sen (ωt)
e determinare la risposta in corrente del sistema stesso:

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y(t) = B sen (ωt + θ)


dove A e B sono i moduli dei due segnali, ω = 2πf è la pulsazione (f è la frequenza) e θ
la fase.
L’impedenza è, allora, data da:

e risulta un numero complesso espresso come:


Z(ω) = Zreale (ω) + j Zimmaginaria (ω)
Nelle misure di spettroscopia di impedenza elettrochimica, il sistema in esame viene
perturbato con un potenziale sinusoidale in ingresso di frequenza variabile:
E(t) = Eo cos (ω t) (*)
dove:

E0 = ampiezza del segnale applicato;


ω = velocità angolare (rad × s-1), pari a 2πf;
f = frequenza espressa in Hz.
La risposta del sistema è rappresentata da una corrente sfasata di un angolo θ rispetto
al segnale di ingresso:
I(t) = Io cos (ω t - θ) (*)
L'impedenza è, quindi, data da:

dove

Usando la formula di Eulero:


exp (jθ) = cos θ + j sen θ
si possono esprimere le equazioni (*) in forma complessa ottenendo rispettivamente:

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CAP.3 – CARATTERIZZAZIONE STRUTTURALE, MORFOLOGICA ED ELETTROCHIMICA

L’impedenza del sistema può essere, allora, rappresentata come:

dove:
| Z | = modulo dell'impedenza;
j = √-1
θ = fase dell'impedenza;
Zreale = parte reale dell'impedenza, pari a | Z |·cosθ;
Zim = parte immaginaria dell'impedenza, pari a | Z |·senθ.
Il modulo e la fase dell’impedenza risultano rispettivamente uguali a:

Per la rappresentazione dei risultati è possibile utilizzare i diagrammi di Nyquist


(Figura 28) in cui viene riportata in ascissa la componente reale dell’impedenza (Zreale)
ed in ordinata la componente immaginaria cambiata di segno (-Zim),.
Si può notare come la forma del diagramma sia un semicerchio che interseca l’asse
reale dell’impedenza in due punti; l’intercetta di sinistra, corrispondente alle alte
frequenze, fornisce il valore della resistenza della soluzione elettrolitica:

mentre l’intercetta di destra, corrispondente alle basse frequenze, fornisce la somma


Rsol + Rct, essendo quest’ultima la resistenza al trasferimento di carica, il cui valore,
dato dal diametro del semicerchio, risulta inversamente proporzionale alla velocità di
corrosione.

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Figura 28 – Diagramma di Nyqist.

Un altro modo di rappresentare i dati sperimentali è il diagramma di Bode in


cui si riporta sull’asse delle ordinate il logaritmo del modulo dell’impedenza |Z| o la
fase θ e sull’asse delle ascisse il logaritmo della frequenza, come evidenziato in Figura
29.

Figura 29 – Diagramma di Bode.

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CAP.3 – CARATTERIZZAZIONE STRUTTURALE, MORFOLOGICA ED ELETTROCHIMICA

INTERPRETAZIONE DEGLI SPETTRI D’IMPEDENZA

L’interpretazione degli spettri di impedenza può essere effettuata attraverso


l’utilizzo di opportuni circuiti elettrici equivalenti costituiti da particolari combinazioni in
serie e parallelo di resistenze, condensatori ed induttanze, in modo tale da simulare la
stessa risposta di impedenza del sistema in esame. L’analisi così condotta diventa, pertanto,
di tipo essenzialmente quantitativo, portando alla determinazione dei valori dei singoli
componenti circuitali.
Chiaramente, tali circuiti equivalenti risultano un utile strumento di analisi solo
quando i diversi elementi che in essi compaiono sono identificabili con grandezze fisiche o
processi chimico-fisici relativi al sistema reale nelle condizioni di studio.
L’abilità dell’analizzatore risiede nell’ottenere buone interpolazioni dei dati
sperimentali realizzando modelli elettrici ai cui costituenti sia possibile attribuire un chiaro
significato fisico. Operativamente l’interpolazione dei dati sperimentali e la valutazione
delle componenti del circuito vengono realizzate utilizzando uno specifico programma di
elaborazione dati. Le potenzialità della spettroscopia d’impedenza come mezzo di
investigazione sono legate, quindi, alla connessione diretta che si può ottenere tra il
comportamento di un sistema reale e quello di un modello di circuito elettrico ideale.  
È necessario aggiungere, tuttavia, che esistono alcune limitazioni all’uso di tali
“analogie elettriche” per la descrizione dei sistemi elettrochimici. Innanzitutto, raramente il
circuito equivalente è unico: solo i circuiti più semplici non sono ambigui nel rappresentare
i dati sperimentali. Inoltre, una delle condizioni generalmente assunte è il comportamento
lineare del sistema: i sistemi elettrochimici possono essere, naturalmente, altamente non
lineari e la linearità della risposta dipende strettamente dall’adeguata scelta dell’ampiezza
del segnale applicato.
Altre due limitazioni relative all’esatta corrispondenza tra circuito equivalente e
sistema elettrochimico possono derivare da:

• effetto della geometria sulla distribuzione della corrente;


• anomala dipendenza dalla frequenza dei parametri relativi sia al bulk, sia alla zona di
interfaccia.
Nonostante tali limitazioni, in questi ultimi anni si è assistito allo sviluppo sempre
crescente delle applicazioni delle misure di impedenza elettrochimica anche per lo studio di
interfasi costituite da soluzione elettrolitica–superficie metallica con mezzi polimerici
isolanti interposti.
Le difficoltà di interpretazione dei risultati sperimentali vengono spesso ridotte dallo studio
delle variazioni del dato sperimentale nel tempo e, soprattutto, dalla possibilità di
interpolazione e di adattamento ad un circuito elettrico analogo che l’elaborazione dei dati
al calcolatore può fornire.

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Materiali e tecnologie innovative 3

A tale proposito una semplice analisi può essere condotta seguendo la


variazione della forma dei diagrammi di impedenza elettrochimica ottenuti in funzione
del tempo di esposizione all’ambiente aggressivo.
Nel caso di un metallo rivestito da un film barriera ideale (puramente
capacitivo), caratterizzato quindi da un’elevatissima impedenza, il modello circuitale
equivalente risulterà costituito da una combinazione in serie di una resistenza ed un
condensatore, come riportato in Figura 30 (a). La rappresentazione di Nyquist relativa
a tale modello sarà caratterizzata dalla presenza di una retta perpendicolare all’asse
reale dell’impedenza, come visibile in Figura 30 (b), essendo Zreale = R e Zim = 1/ωC.

Figura 30 – Circuito elettrico equivalente (a) corrispondente ad un metallo rivestito


da un film barriera ideale e (b) relativo diagramma di Nyquist.

In realtà, a causa di fenomeni di degrado che il film subisce nel tempo, il


comportamento dello stesso risulta profondamente modificato e può essere descritto
soltanto da un modello circuitale più complesso.
Nel caso di un metallo rivestito da un film barriera permeabile, il circuito
elettrico equivalente risulta quello riportato in Figura 31 (a), mentre il relativo
diagramma di Nyquist è riportato Figura 31 (b).

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CAP.3 – CARATTERIZZAZIONE STRUTTURALE, MORFOLOGICA ED ELETTROCHIMICA

Figura 31 – Circuito elettrico equivalente (a) corrispondente ad un metallo rivestito


da un film barriera permeabile e (b) relativo diagramma di Nyquist.

Il significato dei differenti elementi circuitali rappresentati nel modello


equivalente risulta essere:

Rs: resistenza della soluzione, dipende da numerosi fattori, tra i quali, la


concentrazione ed il tipo di ioni, la temperatura, la geometria della cella di misura.

Rc (o Rpo): resistenza del rivestimento, è interpretata come la resistenza che oppone il


film alla penetrazione dell’elettrolita e tiene conto della presenza di porosità o altre
tipologie di difetti dovuti, ad esempio, alla non ottimale uniformità o al basso grado di
cross-linking del rivestimento. Occorre inoltre tener presente il cammino che gli ioni
dell’elettrolita devono compiere attraverso il coating per raggiungere il substrato
metallico, cammino che sarà tanto più difficoltoso quanto maggiore risulterà il valore
di Rc.
CC: capacità del rivestimento, è interpretata come la capacità del coating intatto ed il
suo valore sarà tanto minore quanto maggiore risulterà l’efficacia protettiva del
rivestimento. Ricordando che un condensatore si crea quando due armature conduttrici
sono separate da un mezzo non conduttore, detto dielettrico, la capacità del coating si
può determinare tramite la relazione:

dove:
εo = permittività elettrica del vuoto (8.86 ×10-12 F×m-1);
εr = permittività elettrica del rivestimento
A = area del rivestimento esposta all’ambiente aggressivo;
d = spessore del rivestimento.
Nel caso di un rivestimento organico i valori di εr sono generalmente compresi tra 4 e
8.
La capacità di un rivestimento protettivo varia quando l'elettrolita penetra attraverso il
rivestimento stesso e le misure di impedenza consentono di valutare tali variazioni.

Rct: resistenza al trasferimento di carica, è’ la resistenza legata alle reazioni


elettrochimiche che si originano all’interfaccia rivestimento-substrato metallico. La
velocità di tali reazioni dipende dalla temperatura e dal potenziale secondo la nota
relazione di Butler-Volmer:

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Materiali e tecnologie innovative 3

dove:
io = corrente di scambio;
F = costante di Faraday;
R = costante universale dei gas;
α = ordine di reazione;
η = sovratensione;
n = numero di elettroni scambiati nella reazione.

Cdl: capacità del doppio strato, il doppio strato elettrico, le cui dimensioni sono
dell’ordine dell'angstrom (Å), si crea all’interfaccia fra il substrato metallico ed il
rivestimento utilizzato appena l’elettrolita raggiunge la superficie del metallo stesso. Il
valore di Cdl dipende da numerosi fattori quali, ad esempio, la temperatura, la
concentrazione ed il tipo di ioni, la rugosità del substrato metallico, l'adsorbimento di
impurezze all’interfaccia metallosubstrato.

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CAP.3 – CARATTERIZZAZIONE STRUTTURALE, MORFOLOGICA ED ELETTROCHIMICA

CARATTERIZZAZIONE MORFOLOGICA TRAMITE


MICROSCOPIA ELETTRONICA

PROFILOMETRO
Una volta effettuate le deposizioni di film o le ablazioni di materiale (etching) è
necessario avere una misura esatta dello spessore dei diversi rivestimenti.
In termini molto generali il profilo metro è uno strumento in grado di copiare il profilo
di una superficie e plottarlo per la successiva misura dello spessore e della rugosità.
Nel caso si voglia misurare lo spessore di un film deposto il profilometro può
agevolmente misurare la differenza, ossia il gradino tra una zona trattata e una non
trattata.

Le Caratteristiche di un profilo metro meccanico sono la piattaforma mobile su cui


poggia il campione e la sonda fissa, generalmente in diamante,
Il profilo del campione è seguito tramite un sensore a trasduttore capacitivo che
registra il moto verticale della sonda. I parametri della scansione sono controllati
tramite computer. Dalla movimentazione lungo il piano xy della piattaforma,
registrando più scansioni, si possono ottenere ricostruzioni tridimensionali della
morfologia dei depositi.
La risoluzione lungo l’asse z, dipende dalla meccanica del sistema e dalla rugosità del
campione e dalla velocità di scansione, che può essere scelta (si può partire da velocità
pari a 1 µm s-1) in modo da assicurare un buon compromesso tra l’estensione della
superficie indagata e il tempo necessario per l’analisi.
La forza della sonda è il valore nominale della forza applicata durante il contatto con
la superficie del campione e deve essere calibrata anche in funzione della durezza del
materiale da misurare.
Oltre a quelli meccanici, esistono anche più moderni profilometri ottici
tridimensionali che grazie alla combinazione in un'unica testa di scansione di un
sensore confocale e di uno interferometrico, (quest'ultimo in grado di operare sia con
luce bianca, VSI, sia con luce laser, PSI) riescono a raggiungere una risoluzione
verticale di 0.1 nm e una laterale di 0.3 micron

MICROSCOPIO A FORZA ATOMICA (AFM)

La microscopia a forza atomica è una tecnica in grado di ricostruire


un’immagine tridimensionale della superficie del solido in esame, con risoluzione
verticale che può arrivare al di sotto di 1 nm. La sua principale applicazione consiste
nell'indagine della morfologia superficiale su scala atomica di un campione.

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Materiali e tecnologie innovative 3

Un'apposita sonda, costituita da una punta microscopica con un raggio di


curvatura alla sua estremità di una decina di angstrom, viene applicata all'estremità di
una barretta flessibile (cantilever) di nitruro di silicio lunga qualche centinaio di
micron. Questa sonda viene sottoposta alle forze che si originano dall’interazione con
la superficie del campione quando viene fatta muovere lungo un percorso di scansione
predefinito, che inducono delle deflessioni sulla barretta che vengono registrate e
permettono di risalire alla morfologia superficiale.
È possibile operare secondo due metodologie principali: “Modalità di
Contatto” oppure “Modalità di Non Contatto” (Figura 32).
Nel primo caso la sonda e il campione sono in contatto e vengono misurate le
forze di Van Der Waals repulsive interagenti fra i due. In questo caso sono presenti
altre due forze: una forza di capillarità, dovuta al sottile strato d'acqua che ricopre il
campione derivante dall'umidità atmosferica, e la forza esercitata dallo stesso
cantilever. In questa modalità operativa la forza totale esercitata sul campione varia da
10-8 N a 10-6 N.
Nel secondo caso sonda e campione sono tenuti a una distanza compresa fra 50
e 100 Å e vengono rilevate le forze attrattive di Van Der Waals interagenti fra i due
corpi. Sono misurate in questo caso forze dell'ordine di 10-12 N e sono pertanto
richiesti sistemi di rivelazione estremamente sensibili.

Figura 32 – Rappresentazione schematica dell'andamento delle forze di Van Der


Waals al variare della distanza sonda “in contatto” e “in non contatto” dell'AFM

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CAP.3 – CARATTERIZZAZIONE STRUTTURALE, MORFOLOGICA ED ELETTROCHIMICA

La modalità in “non contatto” è particolarmente indicata qualora si vogliano


analizzare campioni che potrebbero essere alterati dal contatto con la punta. Nel caso
di campioni rigidi i due modi di operare dovrebbero fornire risultati equivalenti.
Tuttavia, quando il campione è coperto da un sottile strato d'acqua (dovuto all’umidità
atmosferica), se è utilizzata la modalità in contatto la punta penetrerà attraverso il
liquido e rileverà l'immagine della superficie del campione mentre in “non contatto”
sarà registrata l'immagine dello strato d'acqua superficiale.
Il principio di funzionamento dello strumento in modalità di contatto può
essere descritto con l’ausilio della Figura 33: un raggio luminoso emesso da un laser a
diodo viene riflesso dal cantilever su un fotodetector sensibile alla posizione (PSPD).
Quando il cantilever a contatto col campione si flette per effetto della topologia
superficiale, la posizione dello spot laser sul PSPD si sposta e tale spostamento
fornisce una misura di quanto si è piegato il cantilever. Il segnale di deflessione viene
confrontato con un segnale di riferimento da un sistema elettronico che genera un
segnale di feedback da inviare allo scanner. Lo scanner è il cuore del sistema, è
costruito da un complesso di cristalli piezoelettrici (di solito ceramici a base di titanato
e zirconato di piombo e lantanio, PZT), per i quali l’applicazione di una tensione agli
estremi degli stessi è seguita da una distorsione del reticolo cristallino, e dalla
conseguente variazione di dimensioni del cristallo stesso. Tale variazione si mantiene
praticamente lineare entro un’ampia finestra di potenziali e questo consente un
accuratissimo movimento della punta nelle tre dimensioni. In base al segnale ricevuto,
lo scanner alza o abbassa la punta in modo da mantenere costante la deflessione del
cantilever. Il movimento dello scanner quindi avviene in corrispondenza alla
variazione di morfologia del campione e il segnale di feedback può essere allora
utilizzato per generare un'immagine della superficie del campione.

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Materiali e tecnologie innovative 3

Figura 33 – Rappresentazione schematica dell'AFM

Per la modalità “in contatto” lo strumento utilizza il metodo a forza costante. In


tale metodo viene mantenuta costante la forza applicata sul campione mantenendo
costante la deflessione del cantilever; in tal modo l'immagine è generata dal
movimento dello scanner. Il metodo ad altezza costante è quello in cui, al contrario, la
posizione dello scanner resta fissa e varia la deflessione del cantilever che viene
direttamente utilizzata per costruire l’immagine della superficie. Il metodo a forza
costante è generalmente più usato perché garantisce un miglior controllo
dell’interazioni che si generano tra la punta ed il campione.
La modalità di “non contatto”, invece prevede l’oscillazione del cantilever
attorno alla sua frequenza di risonanza. Una volta avvicinato al campione, la punta
montata sul cantilever risente delle forze attrattive a lungo raggio esercitate dagli atomi
del campione, che vengono tradotte in una variazione della frequenza di risonanza la
cui rilevazione e interpretazione permette la traduzione in un particolare topografico.
E’ necessario comunque prestare attenzione nell’interpretazione delle immagini
registrate perché in entrambe le modalità sono sempre il risultato della convoluzione
della morfologia della superficie con la geometria della punta della sonda. Pertanto, la

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CAP.3 – CARATTERIZZAZIONE STRUTTURALE, MORFOLOGICA ED ELETTROCHIMICA

geometria e le dimensioni della punta sono estremamente influenti sulla risoluzione


dello strumento.

MICROSCOPIO ELETTRONICO A SCANSIONE (SEM)

Il microscopio elettronico a scansione (SEM, Scanning Electron Microscopy) è


un altro strumento con cui è possibile investigare la morfologia superficiale dei film
sottili, in modo complementare all’AFM.
Il suo funzionamento si basa sul principio di inviare un fascio di elettroni
primari di intensità nota su di un campione conduttore e di raccoglierne, tramite
adeguata scansione sull’area corrispondente all’ingrandimento selezionato
dall’operatore, l'immagine bi-dimensionale e ingrandita della superficie stessa,
convertendo in segnale, tramite opportuni rivelatori, i diversi fenomeni risultanti
(emissione di elettroni secondari, back-scattering di elettroni primari,
catodoluminescenza, ecc.). Tali segnali vengono poi riprodotti su uno schermo
catodico il cui pennello elettronico deve risultare in fase con quello della colonna del
SEM, oppure vengono rielaborati mediante opportuni pacchetti software per ottenere
dati chimici qualitativi o quantitativi. L'immagine che si ottiene è dotata di un'ottima
profondità di campo (ovvero di un ampio intervallo di distanze attorno al fuoco
dell’immagine, dove essa risulta ancora nitida poiché la sfocatura è impercettibile o
comunque tollerabile), per cui si possono osservare in dettaglio le asperità superficiali,
le caratteristiche morfologiche di un singolo elemento o cristallo e le cavità della
superficie.
Il SEM è uno strumento elettro-ottico, composto principalmente da una camera
a vuoto e da un cannone elettronico che produce un sottile fascio di elettroni di elevata
energia. In grandi linee è costituito dalle seguenti parti essenziali (Figura 34):
• una sorgente di elettroni, (in genere un filamento di tungsteno (W) o esaboruro di
lantanio (LaB6);
• un anodo verso cui sono accelerati gli elettroni, tramite una differenza di
potenziale variabile tra 1 e 30 kV;
• due lenti elettromagnetiche per la focalizzazione degli elettroni;
• una lente di scansione per la scansione del pennello elettronico sul campione;
• uno o più dispositivi di rivelazione degli elettroni emessi dal materiale analizzato.
In modalità convenzionale. per evitare che gli elettroni perdano energia e si
sparpaglino per effetto di collisioni con le molecole di gas presenti in aria, è necessario
mantenere cannone, lenti e campione in un contenitore in condizioni di ultra alto vuoto
(10-8 ÷ 10-14 mbar); tuttavia negli ultimi anni, la tecnologia degli strumenti di
microscopia elettronica è notevolmente migliorata,con il risultato di avere, nel caso

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Materiali e tecnologie innovative 3

dell’ ESEM (Environmental Scanning Electron Microscope), apparecchi in grado di


fare analisi di campioni a pressioni molto più elevate (20 mbar).

Figura 34 – Rappresentazione schematica del SEM.

Le caratteristiche più importanti del fascio di elettroni sono l’energia (1-30 keV) e la
corrente (1 pA-1 µA). Questi due parametri determinano:
- la dimensione del fascio (risoluzione);
- il danneggiamento del campione;
- la quantità di segnale utile;
- la profondità di penetrazione.
Ad esempio, lavorare con basse correnti di fascio migliora la risoluzione e diminuisce
il danneggiamento, ma riduce anche il segnale utile rivelabile.

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CAP.3 – CARATTERIZZAZIONE STRUTTURALE, MORFOLOGICA ED ELETTROCHIMICA

In Figura 35 sono illustrati i quattro diversi prodotti di interazione elettroni-


campione che si possono avere quando un fascio di elettroni colpisce la superficie di
un materiale conduttore.

Figura 35 – Rappresentazione dei fenomeni generati dall’interazione elettrone-


materia

È possibile suddividere le interazioni tra il fascio di elettroni primari e gli atomi del
campione in due categorie:
Urti elastici: l’elettrone cambia la sua traiettoria (può anche cambiarla di 180°) ma
mantiene invariata la sua energia. In questo caso il prodotto dell’interazione elettroni
primari-campione è costituito da elettroni retrodiffusi (BSE, Back Scattered
Electrons). Più il materiale colpito ha un elevato numero atomico Z, più l’elettrone
tende a subire urti elastici che lo fanno rimbalzare indietro. L’immagine al SEM viene
fornita in toni di grigio: più sono gli elettroni retrodiffusi dal materiale, più il grigio è
chiaro e, quindi, maggiore è il numero atomico Z del materiale. L’intensità dei BSE
può, quindi, essere correlata con il numero atomico degli elementi presenti nel volume
del campione che ha interagito con gli elettroni primari e può fornire alcune
indicazioni qualitative di composizione elementale.
Urti anelastici: l’elettrone perde parte della sua energia trasferendola al materiale.
Uno dei prodotti dell’interazione elettroni primari-campione è in questo secondo caso
costituito da elettroni secondari (SE, Secondary Electrons). Gli SE non sono altro che
gli elettroni di valenza (debolmente legati) di più bassa energia che vengono liberati a
causa dell’eccitazione provocata dall’interazione degli elettroni primari (0.5÷30 keV)
con la superficie del campione. A differenza dei BSE, gli SE non danno informazioni
composizionali (non avendo energie caratteristiche) ma forniscono informazioni sulla
morfologia del campione.

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Materiali e tecnologie innovative 3

Gli SE vengono generati dal fascio di elettroni primari lungo tutto il cammino
percorso nel materiale. Essi sono poco energetici (< 50 eV) e soltanto quelli dello
strato più vicino alla superficie (25 nm) del materiale riescono a fuggire e ad essere
quindi rivelati. L’intensità degli SE è governata dalla topografia superficiale del
campione: il numero di SE rivelati dipende dall’orientazione, dall’inclinazione, dalla
geometria superficiale del materiale rispetto al fascio incidente. Una superficie scabra
emetterà SE che rifletteranno le asperità superficiali.
Quando un fascio di elettroni incide sul picco di un’asperità, un gran numero di
SE generati nel volume d’interazione si trovano in prossimità della superficie (a
distanze < 25 nm) e riescono, quindi, ad emergere dal campione. Viceversa, quando il
fascio incide nel fondo di una cavità solo pochissimi degli SE generati nel volume di
interazione si troveranno in corrispondenza della superficie, mentre la maggior parte
sarà troppo lontana dalla superficie per riuscire a fuggire.
Un’immagine della superficie del campione può, quindi, essere ricostruita
misurando l’intensità degli SE in funzione della posizione del fascio primario nel suo
movimento di scansione.
La topografia della superficie è anche percepibile con il segnale dei BSE, ma in
quest’ultimo caso la risoluzione (~ 1 µm) è inferiore a quella raggiunta con gli SE ≈ 10
nm. La diversa risoluzione dell’immagine ottenibile analizzando i BSE o gli SE
dipende dal fatto che essi provengono da regioni di dimensioni e profondità diverse.
Le immagini ottenute, sia mediante SE che mediante BSE, possono essere
indirizzate su di un secondo schermo catodico ad altissima risoluzione per permettere
anche la registrazione fotografica di quanto si può osservare sullo schermo catodico
principale.
Oltre agli elettroni retrodiffusi (BSE) e secondari (SE), nell’interazione fascio
primario campione possono essere prodotti anche elettroni Auger e radiazione X
caratteristica. L’accoppiamento al microscopio elettronico a scansione di sistemi di
microanalisi che analizzano i raggi X caratteristici emessi dal campione permette tutta
una serie di indagini, sia qualitative che quantitative, circa la composizione elementare
in materiali composti.

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