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LEZIONE 8 30/03/2021

Ci sono diversi livelli di organizzazione della materia:

- Livello subatomico: si studiano le interazioni tra elettroni e nucleo, che sono responsabili del
comportamento elettrico, termico, magnetico e ottico degli atomi.
- Livello atomico e molecolare: interazione tra atomi (e/o molecole) che conducono a diversi tipi di
legame e a diversi stati di aggregazione della materia.
- Livello microscopico: si studia l’organizzazione tridimensionale degli atomi e delle microstrutture
dei materiali nello spazio. Le microstrutture consistono nell’organizzazione che può essere
visualizzata con il microscopio ottico o elettronico. Dà importanti informazioni sulle strutture interne
dei solidi, che possono essere cristallini o amorfi. Le proprietà macroscopiche sono misurabili
attraverso test specifici in laboratorio e sono frutto di tutte le interazioni che avvengono ai livelli
inferiori.
- Livello macroscopico: proprietà misurabili in laboratorio su un volume di materiale e risultanti la
media delle proprietà degli stati microscopici.

Le interazioni tra atomi e molecole prendono il nome di legami, questi sono responsabili dello stato di
aggregazione della materia e sono responsabili anche di alcune proprietà macroscopiche dei materiali. I legami
chimici sono classificabili in due grosse categorie che essenzialmente si differenziano per l’energia necessaria
per romperli:

 Forti: ionico covalente e metallico


 Deboli: forza di van der Waals

I legami forti

1. Il legame ionico è un legame che si manifesta quando due atomi hanno una grossa differenza di
elettronegatività, essenzialmente si viene a formare quando l’atomo più elettronegativo strappa
l’elettrone all’atomo più elettropositivo portando quindi alla formazione di un anione e un catione che
generano un legame ionico, di natura elettrostatica poiché si instaurano delle forze di attrazione di
natura Coulombiana (gli opposti si attraggono). Un esempio di legame ionico è quello che si instaura
tra sodio (Na) e cloro (Cl), infatti, andando ad esaminare la loro configurazione elettronica, al cloro
manca un elettrone per completare l’ottetto (appartiene al settimo gruppo), mentre il sodio ha un solo
elettrone di valenza nell’orbitale più esterno. L’interazione tra questi due atomi causerà la formazione
di due ioni: Cl- con carica netta negativa poiché avrà strappato l’elettrone nello strato più esterno al
sodio (anione), mentre Na+ avrà una carica netta positiva(catione). Il legame ionico ha la stessa forza
indipendentemente dalla direzione in cui si manifesta perché le forze coulombiane dipendono dalla
1
relazione quindi si genera una simmetria sferica che dipende solo dalla distanza tra i due atomi. Il
𝑟𝑟 2
legame ionico genera delle strutture che hanno un’organizzazione tridimensionale ordinata che
preserva l’elettroneutralità complessiva del sistema, questa prende il nome di reticolo cristallino.
- Il legame covalente si instaura tra atomi uguali, avviene tramite la sovrapposizione tra orbitali
atomici, potremmo definirlo come un legame che si instaura dalla messa in compartecipazione di uno
o più elettroni legata al fatto che la differenza di elettronegatività non è tale da determinare la
formazione di un legame ionico, ma l’atomo più elettronegativo attrarrà più a se gli elettroni di legame
con la formazione di cariche parziali: una negativa sull’atomo più elettronegativo e una positiva
sull’atomo più elettropositivo. Abbiamo dei vincoli nella formazione del legame, in quanto questo si
instaura nella direzione in cui gli orbitali atomici danno luogo alla massima sovrapposizione. Si
traduce in un maggior numero di vincoli nel posizionamento nello spazio degli atomi, accanto a
questo c’è un’elevata energia legata a livello di questo tipo di legame, quindi per poterlo rompere
occorre una quantità di energia molto elevata.
- Il legame metallico viene originato dai metalli, questo legame è dovuto al fatto che gli elettroni di
valenza dei metalli sono estremamente mobili, quindi questo tipo di legame può essere immaginato
come un mare di elettroni di valenza condivisi da tutti gli atomi dei metalli. Quindi i metalli hanno
una carica positiva immersa in un mare di elettroni. Il legame non cambia di intensità a seconda della
direzione in cui si sviluppa l’interazione e dà origine a strutture organizzate tridimensionali ordinate
di atomi, con la formazione di un reticolo cristallino caratterizzato da ioni tenuti assieme da un mare
di elettroni.

Le interazioni deboli

Le forze di van der Waals si manifestano quando, nella molecola in esame, il centro di carica negativo e
positivo non coincidono, in questi casi si parla di dipoli. Nel momento in cui si forma un dipolo si può misurare
il momento dipolare, ovvero un vettore che dà un’informazione relativa alla separazione tra i centri di carica,
il modulo è:

μ=|q|*d

la direzione è la congiungente i due nuclei mentre il verso è dal polo positivo a quello negativo.

Quando c’è un dipolo si possono formare tre interazioni:

- Forze di London: istantaneamente nella molecola si instaura la presenza di un dipolo causato dalle
vibrazioni cui è soggetto l’atomo. Se attorno a questo dipolo si dovesse trovare un atomo, questo
subirà una forza di London, ovvero verrà generato un dipolo anche sul secondo atomo con la
formazione di una forza attrattiva di London tra i due elementi.
- Forze di Debye: interazione tra una molecola senza momento dipolare, e una molecola con dipolo
permanente.
- Forze di Keesom: sono delle interazioni tra molecole che presentano due momenti di dipolo
permanente: come tra due molecole di acqua per esempio.
Il legame a idrogeno è un sottogruppo delle forze di Keesom, ricorda che si instaura tra molecole che
presentano un atomo di idrogeno legato ad un atomo molto elettronegativo che forma quindi una
forte polarizzazione del legame con la formazione di una carica posiva parziale sull’atomo di idrogeno
il quale creerà un’interazione con l’atomo più elettronegativo della molecola “gemella” accanto.

I legami deboli determinano una serie di caratteristiche molto importanti dal punto di vista ingegneristico: i
punti di ebollizione dei liquidi, la tensione superficiale e determinano le caratteristiche dei polimeri.

Perché gli elementi danno origine a legami?

Le forze che spingono gli atomi a formare legami sono delle forze di natura attrattiva e delle forze di natura
repulsiva che nascono dal fatto che i sistemi, nel momento in cui formano il legame, hanno una quantità di
energia inferiore rispetto a quella che hanno solitamente (rivedi teoria del legame di valenza).

Cosa succede man mano che gli atomi si avvicinano?

Nella figura vengono riportate le forze attrattive e repulsive agenti tra i due atomi ad una distanza r tra i nuclei
dei due atomi: quando i due atomi si trovano ad una distanza infinita, e una forza causa l’avvicinamento dei
due, allora la forza attrattiva sarà prevalente rispetto a quella repulsiva, ma se fosse presente esclusivamente
la forza attrattiva, gli atomi si andrebbero a compenetrare. Ciò non accade perché all’avvicinarsi dei due atomi
diventano sempre più importanti le forze di repulsione dovute alle nubi elettroniche dei due atomi. Questo
fenomeno è anche messo in evidenza dal principio di esclusione di Pauli poiché si ritroverebbero più elettroni
con gli stessi numeri quantici sullo stesso livello energetico e non può succedere!!

Man mano che gli atomi si avvicinano si instaurano forze di natura repulsiva. La presenza di forze attrattive
e repulsive fa sì che sul sistema agisca una forza netta, data dall’effetto complessivo di queste due forze, la forza
agente sul sistema è indicata sul diagramma come Fn.
Leggi il grafico: inizialmente quello che ha una maggiore predominanza sono le forze di attrazione, infatti la
forza netta è di attrazione, ma man mano che si avvicinano gli atomi la forza di attrazione si annulla
diventando una forza di repulsione. r 0 è la distanza tra i due nuclei alla quale la forza netta è nulla, questa
forza rappresenta lo stato di equilibrio, ovvero quella condizione in cui si instaura il legame.

La stessa cosa si potrebbe vedere in termini energetici:

Come abbiamo già detto il legame determina complessivamente una diminuzione dell’energia del sistema,
quindi la forza attrattiva e repulsiva si traducono in termini di energie potenziali. Quando i due atomi si
avvicinano sotto l’azione di una forza, si compie un lavoro. Ho quindi l’integrale definito tra r e ∞ di una forza
in funzione di uno spostamento (lavoro), per portarli da una distanza infinita ad una distanza r. Quindi
l’energia potenziale posseduta dal sistema è data da:

Dove Fa, è la forza attrattiva e Fr è la forza repulsiva.

Nel sistema quando i due atomi sono a distanza infinita si attraggono perché le forze di attrazione per r grandi
sono più forti di quelle di repulsione, a mano a mano che i due atomi si avvicinano, le forze attrattive
decrescono, ciò si traduce in un grafico in cui la forza netta passa per un massimo e poi per 0, quando passa
per 0 non agisce alcuna forza.
Quando in F(r 0 ) è nulla, allora cosa significa in termini di energia potenziale del sistema? Io so che in r 0 la forza netta è
0, quindi in r0 cosa succederà alla curva di E(r)?

F(r) è la derivata di E(r), ma se in F(r 0 )= 0, allora E(r 0 )=0. In questo punto quindi E(r) passa per un minimo
poiché la sua derivata è nulla. Questo valore corrispondente al minimo è proprio l’energia di legame. Se ora
voglio portare i miei atomi nuovamente ad una distanza infinita questa volta devo compiere un lavoro sul
sistema, devo agire con una forza per allontanare i miei atomi fino a portarli ad una distanza infinita, questa
è proprio la definizione di energia di legame. L’energia di legame è il minimo di energia richiesta per separare
due atomi dalla posizione di equilibrio fino a una distanza infinita, il lavoro da fare per evitare questo
allontanamento è E 0. Ogni curva dell’energia di legame è propria per ogni singolo elemento, l’energia da
impiegare per portare due atomi che danno origine a un legame è più alta.

L’energia che io devo impiegare per portare due atomi la cui interazione è rappresenatata dalla curva nera a distanza
infinita, è maggiore o minore del lavoro da compiere per allontanare i due atomi la cui energia di legame è rappresentata
dalla curva blu?

Nel caso della curva nera devo applicare più energia, visto che l’energia di legame è l’ordinata del punto di
minimo! Più grande è E0 più grande è la temperatura di fusione del materiale.

Comportamenti plastici ed elastici dei materiali

Un ipotetico pezzo di metallo al quale viene applicata una forza di trazione, si deformerà. L’allungamento è
𝛥𝛥𝛥𝛥
ΔL, e chiamiamo il rapporto 𝜀𝜀 = “deformazione”.
𝐿𝐿0

In termini ingegneristici la forza è un concetto abbastanza vago poiché la forza è applicata su una sezione A 0 .
𝐹𝐹
Definiamo il rapporto 𝜎𝜎 = come lo “sforzo”. Se applicando uno sforzo il pezzo di metallo si deforma, ma,
𝐴𝐴0
nel momento in cui lo sforzo sarà nuovamente peri a 0, il metallo ritornerà alle dimensioni originali, si parla
di deformazione elastica, ovvero una deformazione reversibile. Ad una forza elevata corrisponde una
deformazione plastica, ovvero una deformazione irreversibile.

Deformazione elastica

Esiste una relazione tra lo sforzo applicato e la deformazione subita, questa è nota come legge di Hooke:
𝐹𝐹 ∆𝐿𝐿
= 𝐸𝐸
𝐴𝐴0 𝐿𝐿0

“Lo sforzo sigma è uguale ad una costante moltiplicata per la deformazione”. E è una costante di
proporzionalità ed è noto come “modulo elastico del materiale”.
Cioè tra lo sforzo e la deformazione?

La relazione tra lo sforzo e la deformazione è rappresentata da una retta passante per l’origine: un incremento
dello sforzo corrisponde ad un incremento della deformazione. Il modulo elastico rappresenta la pendenza
della retta 𝜎𝜎 = 𝐸𝐸 ∗ 𝜀𝜀.

Immaginando di avere due materiali A e B, quale dei due ha il modulo elastico più alto?

σ
A

In questo caso A ha il modulo elastico più alto perché ha una pendenza più ripida. Incrementando lo sforzo σ,
la deformazione ε di B sarà maggiore. A parità di sforzo applicato, minore sarà il modulo elastico maggiore
sarà la deformazione.

Per vedere le ragioni della deformazione elastica devo andare ad indagare sul livello interatomico. L’azione
della forza ha determinato un aumento della distanza interatomica, tanto che una vota terminata la trazione
ritorna alla sua forma originaria. Per allontanare dalla posizione di equilibrio compio un lavoro per aumentare
la distanza:

Le due curve nell’intorno di F=0 hanno di diverso la pendenza, più elevata nei legami forti, (gialla).

A parità di incrementi di forza quale delle due coppie di atomi si allontanerà di più?

Quella del legame debole, dove piccoli incrementi di forza si traducono in grandi incrementi di distanza,
perché l’energia di legame è più bassa.
𝑑𝑑𝑑𝑑
In termini energetici corrisponde alla derivata seconda dell’energia, che a livello matematico rappresenta la
𝑑𝑑𝑑𝑑
curvatura del grafico E(r) nell’intorno del punto r 0 . Quindi riassumendo il modulo elastico E dipende dal
materiale che stiamo considerando e dipende dalla forza richiesta per l’allungamento di questo legame dalla
distanza di equilibrio a una nuova distanza. Più aumenta la curvatura E(r) più il materiale avrà modulo
elastico elevato.
LEZIONE 9 31/03/2021

Abbiamo visto come l’energia di legame sia legata al valore della temperatura di fusione, come la curvatura
in r=r 0 della curva E(r) sia legata al modulo elastico (e come la simmetria della curva incida sulla maggiore o
minore espansione termica), e abbiamo visto come le interazioni di Van der Waals siano significative per lo
stato di aggregazione.

Andiamo ora a valutare da un punto di vista dimensionale cosa succede alla materia su una scala di
osservazione di dimensioni più grandi rispetto a quello atomico molecolare. Essenzialmente tratteremo la
materia allo stato solido poiché è quello su cui si basano le progettazioni.

In termini di organizzazione nello spazio, cosa possiamo dire sui solidi?

Possono dare origine a solidi cristallini, con la disposizione ordinata nello spazio tridimensionale degli atomi
che compongono il solido, oppure possono generare dei solidi amorfi disponendosi in maniera disordinata
nello spazio.

In generale i metalli danno origine a strutture cristalline compatte;

i ceramici possono dare origine sia a strutture cristalline che a strutture amorfe (per esempio il vetro è amorfo);

i polimeri possono essere amorfi o semicristallini.

n. b.: Per “cristallinità” dei polimeri si intende qualcosa di diverso che dei ceramici: mentre nei ceramici
parliamo di disposizione ordinata degli atomi nelle 3 dimensioni, per quanto riguarda i polimeri la cristallinità
si realizza quando le catene si dispongono in maniera parallela l’una rispetto all’altra, se invece queste catene
sono parallele solo in alcune regioni, allora una regione del polimero sarà cristallina.

Qual è la forza che spinge gli atomi di un metallo a disporsi in maniera ordinata?

È una condizione di minimo di energia, cioè così come succede che due atomi formano un legame perché
consente loro di avere un livello energetico minore rispetto a quello che avrebbero presi singolarmente, allo
stesso modo questa organizzazione ordinata permette al sistema di godere di una condizione di energia
minima interna. Quindi la forza spingente alla creazione di un ordine, cioè alla formazione di un reticolo
cristallino, cioè all’organizzazione della materia ordinata nello spazio, è legata al raggiungimento di una
condizione di energia minima del sistema.

All’interno di un reticolo possiamo avere un ordine più o meno compatto, quando abbiamo parlato di legami
metallici e covalenti abbiamo visto che:

- in un legame metallico ci sono dei catoni immersi in un mare di elettroni, le strutture possono essere
compatte, in particolare abbiamo visto che la forza di un legame metallico non dipende dalla direzione
in cui si instaura il legame; la presenza di un legame direzionale limita la libertà degli atomi.
- il legame covalente si realizza invece nella direzione di massima sovrapposizione degli orbitali
introducendo delle rigidità che limitano l‘impaccamento atomico e limitano la libertà degli atomi.

Come posso descrivere la disposizione ordinata?

In presenza di un reticolo cristallino si può individuare un’unità di base ripetitiva che si possa riportare in
qualunque posizione del reticolo e che identifica il reticolo stesso. Questa prende il nome di cella elementare,
è l’unità di base minima ripetitiva che raccoglie in sé tutte le informazioni sul reticolo cristallino, se dovessi
moltiplicarla in tutte le dimensioni dello spazio mi darebbe il reticolo cristallino.

In questo modello gli atomi vengono considerati, per semplicità, come delle sfere rigide con raggio pari al
raggio atomico dell’atomo considerato. Per poter descrivere il reticolo considero quindi la cella elementare che
raccoglie tutte le simmetrie del reticolo.

Questa unità è caratterizzata da una geometria e una disposizione degli atomi al suo interno quali sono le possibili
geometrie delle celle elementari?

Tutte le possibili celle elementari possono essere identificate con l’utilizzo di sei parametri: tre sono le
lunghezze degli spigoli (a, b, c), e tre sono gli angoli inter assiali (α, β, γ). Il valore singolo è specifico per
l’elemento, ma ci sono macro famiglie di celle elementari:

*Queste vengono chiamate celle primitive dei 7 sistemi cristallini. *

I metalli nella quasi totalità dei casi hanno una cella cubica o esagonale, ogni cella elementare sarà
caratterizzata da una lunghezza dello spigolo diversa.
Dobbiamo valutare tutte le possibili disposizioni degli atomi nelle celle cubica ed esagonale:

Cubica

- quando gli atomi di un elemento si dispongono sui vertici del cubo, allora sarà una cella cubica
semplice, naturalmente consideriamo gli atomi come delle sfere rigide, allora possiamo far
riferimento a questa figura:

- Quando gli atomi di un elemento si dispongono su ogni vertice con un atomo al centro della cella, si
parla di cella cubica a corpo centrato.

- Quando gli atomi si dispongono uno su ogni vertice e poi uno al centro di ogni faccia del cubo si
parla di cella cubica a facce centrate.

Proprietà da considerare

- Numero di coordinazione: numero di atomi adiacenti che circondano ciascun atomo, è intrinseco alla
tipologia di cella
𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣 𝑑𝑑𝑑𝑑 𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎 𝑛𝑛𝑛𝑛𝑛𝑛𝑛𝑛𝑛𝑛 𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐
- Fattore di impaccamento:
𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣 𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑 𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐
- Relazione tra raggio atomico e dimensione dello spigolo della cella cubica: indipendentemente dal
raggio atomico esiste una relazione fissa tra il raggio atomico e il parametro di cella.

Cella elementare cubica a corpo centrato

La prima informazione è cercare di trovare il numero di atomi di esclusiva pertinenza di una cella cubica a
1
corpo centrato: l’atomo centrale c’è tutto, mentre ogni atomo ai vertici conta come 1/8, �8 ∗ � + 1 = 2 quindi
8
ci sono due atomi di esclusiva pertinenza. È una costante!!!

Numero di coordinazione: numero di atomi adiacenti ad un atomo, grazie alla simmetria delle celle
elementari qualunque atomo può assumere qualunque significato, quindi posso costruire la cella elementare
con l’atomo in esame al centro. Perciò il numero di coordinazione è 8.
Relazione tra parametro di cella e raggio atomico: è una relazione fissa che non dipende dall’atomo che dà
origine alla cella. Per fare questo ho bisogno di trovare una relazione tra a, ovvero lo spigolo, e r, ovvero il
raggio atomico. Posso trovarla solo se trovo una direzione in cui gli atomi si toccano, ovvero quella diagonale:

𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑 = 𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑 𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎 𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐 + 𝑟𝑟𝑟𝑟𝑟𝑟𝑟𝑟𝑟𝑟𝑟𝑟 𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎 1 + 𝑟𝑟𝑟𝑟𝑟𝑟𝑟𝑟𝑟𝑟𝑟𝑟 𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎 2

Nota che si considerano quindi 4 raggi atomici.

4r=a*rad(3)  a=4r/rad3

4𝑟𝑟 = 𝑎𝑎√3

Quindi il rapporto
𝑟𝑟
= 𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐
𝑎𝑎
Il fattore di impaccamento di una cella cubica a corpo centrato è 0.68
LEZIONE 10 07/04/2021

L’ultima volta abbiamo visto come ogni cella elementare possa essere rappresentata se sono noti gli spigoli e
gli angoli inter assiali, questa rappresentazione non è sufficiente, infatti è necessario conoscere come si
posizionano gli atomi all’interno della cella elementare: celle cubiche semplici, celle cubiche a corpo centrato
e celle cubiche a facce centrate.

Cella cubica a facce centrate

C’è un atomo al centro di ciascuna delle facce del cubo, come in figura:

1 1
Quanti sono gli atomi per cella? Sono 4, poiché su ogni angolo c’è di atomo, mentre su ogni faccia c’è di
8 2
1 1
atomo, quindi, per ottenere il numero totale di atomi basta fare: �8 ∗ � + (6 ∗ ).
8 2

Numero di coordinazione: 12, poiché possiamo considerare l’atomo centrale che si trova sulla faccia superiore,
il quale nel suo intorno vede: i 4 atomi sui vertici del cubo, gli atomi che stanno sulle facce attigue a quella su
cui giace e quelli della faccia che sta immediatamente sopra.

Relazione tra parametro di cella e raggio atomico: tutto parte dall’individuare una direzione che può essere
espressa in senso geometrico, la condizione secondo cui gli atomi del mio elemento si toccano è la diagonale
delle facce del cubo, applicando il teorema di Pitagora ottengo:

√𝑎𝑎2 + 𝑎𝑎2 =

=√2𝑎𝑎 = 4𝑟𝑟

Fattore di impaccamento: ricorda che si considerano degli atomi di forma sferica:

𝑅𝑅3 𝑅𝑅3
4[4𝜋𝜋 ∗ ] 4[4𝜋𝜋 ∗ ]
𝑃𝑃𝑃𝑃 = 3 = 3 = 0.74
𝑎𝑎3 4𝑅𝑅
[ ]
√2

Gli atomi occupano più volume all’interno della cella cubica a facce centrate rispetto alle celle cubiche a corpo
centrato, infatti il fattore di impaccamento in questo caso è più grande: 0.74>0.68.

Qualunque sia l’elemento considerato, se avrà celle cubiche a facce centrate, presenterà questi parametri.

Cella esagonale compatta

Ha come cella elementare un prisma a base esagonale caratterizzato da due spigoli: uno che rappresenta il lato
dell’esagono che costituisce la base (che da ora chiameremo “a”), e il secondo è l’altezza del prisma (che da
ora chiameremo “c”), parametro solitamente pari a c=1.63a.
Dobbiamo prima definire come si dispongono gli atomi in una cella esagonale compatta, avremo un atomo
per ogni vertice del prisma, un atomo al centro delle facce superiori e inferiori del prisma, e tre atomi nella
regione mediana.

Definiamo tutti i parametri:

- Numero di coordinazione: possiamo prendere l’atomo che sta al centro di una delle facce, e contare
gli atomi che vede nel suo intorno: sono 12. Ricorda che se consideri per esempio la faccia superiore
del prisma, quella rappresenta anche la faccia inferiore di un altro prisma, quindi devi considerare
anche i tre atomi in zona mediana del prisma di sopra: 6+3+3=12.
- Rapporto tra parametro di cella e raggio atomico:

Avendo a disposizione il rapporto esistente tra c ed a, ovvero c=1.63a, allora riusciamo ad ottenere
anche ulteriori informazioni su r e c, infatti nota che a=2r, quindi c=3.26r.

- Numero di atomi per cella: sono 6. Posso fare riferimento alla rappresentazione centrale nella figura
1
sopra: gli atomi al centro delle facce delle due basi valgono ½ di atomo, quindi valgono 2 ∗ . Gli
2
atomi al centro del prisma invece partecipano completamente, e sono quindi 3. Dobbiamo valutare gli
1 1
atomi sui vertici la cui sezione vale , l’angolo vale infatti 120°; 12 ∗ =2. Quindi in totale ho 2+1+3=6
6 6
atomi.
- Fattore di impaccamento: considerando il volume del prisma e 6 volte il volume di un atomo di raggio
r ottengo:
4
6 ∗ 𝜋𝜋𝑟𝑟 3 8𝜋𝜋𝑟𝑟 3 2𝜋𝜋
3 = = = 0.74
2
𝑎𝑎 ∗ 2.598 ∗ 𝑐𝑐 2
4𝑟𝑟 ∗ 2.598 ∗ 3.26𝑟𝑟 8.46948
Non esistono celle elementari con un fattore di impaccamento >0.74.

Cella cubica semplice


1
- Numero di atomi per cella 8 ∗ = 1.
8
- Numero di coordinazione: 6.
- Rapporto tra parametro di cella e raggio atomico: 2r.
- Fattore di impaccamento: 0.52
La maggior parte dei metalli presentano uno di questi tipi di celle:

Da queste possiamo studiarne alcune proprietà macroscopiche.

Analizzeremo altre grandezze da indentificare all’interno delle celle solo per le celle cubiche: come abbiamo
già visto, nel caso specifico delle celle cubiche, la cella elementare è un cubo e abbiamo, a seconda delle varie
tipologie di cella, una disposizione diversa degli atomi (uno su ogni vertice ecc.)

Come identificare la posizione di ogni atomo nella cella elementare? Considereremo le distanze come multipli interi
o frazionari del parametro di cella.

Come identificare la posizione?

- Individuare un sistema di assi cartesiani (x,y,z), la posizione degli atomi verrà identificata come le
coordinate rispetto all’origine degli assi. Se avessi, per esempio, un atomo posizionato nell’origine del
sistema di riferimento le coordinate che identificano la sua posizione saranno (0 0 0).
- Indico una direzione all’interno della cella ho quindi a che fare con un vettore. Dato un vettore, per
individuare gli indici di direzione, devo trovare le coordinate del punto di applicazione e dell’estremo,
per esempio:

Le coordinate del vettore giallo saranno: (0, 0, 0) come punto di applicazione, e (1, ½ , 1) come estremo.

- Fare la sottrazione delle coordinate (1-0, ½ -0, 1-0)


- Verificare che siano tutte intere, in caso contrario, bisogna moltiplicare per il numero intero più piccolo
che le renda non frazionarie. Quindi, nel caso dell’esempio, moltiplico per 2 ottenendo (2 1 2).
- Verificare che non ci siano dei numeri negativi, in caso contrario sostituire il “-“ con una barretta sul
numero che rappresenta la coordinata negativa.
- Rappresentare gli indici del vettore in parentesi quadre senza virgole, nel caso dell’esempio saranno
[2 1 2].

Gli indici di direzione sono un modo di rappresentare delle direzioni nella cella, sono un modo
standardizzato di rappresentare delle direzioni all’interno della cella elementare.

Quali caratteristiche hanno le direzioni utilizzando questa procedura?

- Direzioni parallele avranno gli stessi indici di direzione.


- Possibilità di individuare direzioni cristallograficamente equivalenti se la distanza degli atomi lungo
quella direttrice è identica. Immagina di avere una cella CCC (cubica a corpo centrato) lungo tutti gli
spigoli del cubo la distanza tra i vari atomi sarà uguale. Quindi queste direzioni sono tutte
cristallograficamente equivalenti. Stessa cosa vale per la cella cubica a facce centrate (CFC). Vale per
le diagonali del cubo CCC, mentre nelle celle CFC sono le direzioni della diagonale di ogni faccia del
cubo.

Gli indici di Miller

Vengono utilizzati per riferirsi a piani di atomi di uno specifico reticolo cristallino.

Sono caratterizzati da tre numeri interi rappresentati tra parentesi tonde senza virgole che li separano. Al fine
di individuarli c’è una procedura standardizzata molto semplice:

- Individuare un piano NON passante per l’origine, poiché coinciderebbe con gli assi e avremmo, come
reciproco, ∞.
- Individuare le intercette di questo piano, quindi le intersezioni del piano con gli assi. (se il piano è
parallelo ad uno degli assi ovviamente l’intercetta è ∞).
- Fare i reciproci di queste intercette.
- Eliminare gli eventuali numeri frazionari moltiplicando per il numero intero più piccolo che consenta
di non avere più frazioni.
- In presenza di indici negativi, mettere la barretta sopra.
- Togliere le virgole e inserire i parametri tra parentesi tonde, esempio: (h k l).

Può essere richiesto di rappresentare un piano a partire dalle coordinate.

Esempio:

Piani paralleli hanno gli stessi indici di Miller.


LEZIONE 11 13/04/2021

L’ultima volta eravamo andati ad identificare le caratteristiche principali proprie delle varie celle elementari
cubiche ed esagonali. Quindi avevamo visto la relazione tra parametro di cella e raggio atomico nelle celle
CCC, CFC nelle esagonali compatte e abbiamo visto il numero di coordinazione e il fattore di impaccamento.
Avevamo cominciato a trovare il modo per definire in maniera efficace un punto, una posizione, una direzione
e un piano all’intero della cella, trovando le coordinate rispetto ad un sistema di assi cartesiani. Abbiamo
specificato una metodologia standardizzata per trovare gli indici delle direzioni per poi concentrarci sugli
indici di Miller per rappresentare i piani. Abbiamo detto che siccome dobbiamo fare i reciproci non possiamo
adottare come piano, un piano passante per l’origine, quindi ciò che si può fare è spostare il sistema di
coordinate parallelamente a se stesso oppure spostare il piano parallelamente a se stesso poiché piani paralleli
hanno gli stessi indici di Miller.

Per densità atomica planare si intende la quantità, espressa con un’unità di misura che è l’inverso di un’area,
pari a:

𝑁𝑁𝑁𝑁𝑁𝑁𝑁𝑁𝑁𝑁𝑁𝑁 𝑒𝑒𝑒𝑒𝑒𝑒𝑒𝑒𝑒𝑒𝑒𝑒𝑒𝑒𝑒𝑒𝑒𝑒𝑒𝑒𝑒𝑒 𝑑𝑑𝑑𝑑 𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎 𝑖𝑖 𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐 𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐 𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠 𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑎𝑎𝑡𝑡𝑡𝑡 𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑙𝑙 ′ 𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎 𝑖𝑖𝑖𝑖 𝑒𝑒𝑒𝑒𝑒𝑒𝑒𝑒𝑒𝑒
𝜌𝜌𝑝𝑝 =
𝐴𝐴𝐴𝐴𝐴𝐴𝐴𝐴 𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠

Questa densità atomica planare è uguale per qualsiasi piano prendo in considerazione?

No, ci saranno dei piani più densamente popolati e altri meno densamente popolati, questo è importante
perché su quelli più densamente popolati si verificheranno alcuni comportamenti in maniera privilegiata.

Tutti i piani che hanno la stessa densità atomica planare sono cristallograficamente equivalenti. Quindi nel
caso delle celle CCC e, separatamente, delle CFC tutte le facce hanno la stessa densità atomica planare, quindi
sono cristallograficamente equivalenti.

Così come si può identificare la densità atomica planare, può essere calcolata la densità atomica lineare
misurata con un’unità di misura che è l’opposto di una lunghezza:

𝑁𝑁𝑁𝑁𝑁𝑁𝑁𝑁𝑁𝑁𝑁𝑁 𝑑𝑑𝑑𝑑 𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑 𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎 𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖 𝑑𝑑𝑑𝑑 𝑢𝑢𝑢𝑢𝑢𝑢 𝑙𝑙𝑙𝑙𝑙𝑙𝑙𝑙𝑙𝑙 𝑑𝑑𝑑𝑑 𝑙𝑙𝑙𝑙𝑙𝑙𝑙𝑙ℎ𝑒𝑒𝑒𝑒𝑒𝑒𝑒𝑒 𝑛𝑛𝑛𝑛𝑛𝑛𝑛𝑛 𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎 𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑 𝑑𝑑𝑑𝑑 𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖
𝜌𝜌𝑙𝑙 =
𝐿𝐿𝐿𝐿𝐿𝐿𝐿𝐿ℎ𝑒𝑒𝑒𝑒𝑒𝑒𝑒𝑒 𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑 𝑙𝑙𝑙𝑙𝑛𝑛𝑛𝑛𝑛𝑛 𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠
Qualunque direzione presenta la stessa densità atomica lineare?

No, perché ci saranno sempre delle direzioni in cui la densità atomica lineare è massima, se prendo uno spigolo
avrò solo 2r!! Anche in questo caso ci sono direzioni (nella CFC sono le diagonali delle facce) in cui la densità
atomica lineare è massima. Insieme alla densità atomica planare costituiranno un sistema privilegiato per lo
scorrimento degli atomi in presenza di sollecitazioni esterne. Per esempio in una cella CCC la direzione nella
quale ho la massima densità atomica lineare è la diagonale del cubo.

Un’altra informazione importante è che se si ha un piano, la direzione perpendicolare a quel piano avrà come
indice di direzione gli stessi indici del piano ad esso perpendicolare.

Ora bisogna trovare un’altra relazione che mi permetta di esprimere la relazione esistente tra il parametro di
cella a e la distanza interplanare (che è definita come la distanza tra due generici piani paralleli, se hanno indici
(h k l) la distanza interplanare sarà d hkl ).

Si vuole trovare la relazione esistente tra una generica distanza interplanare d hkl e il parametro di cella per le celle cubiche
poiché sono quelle più intuitive.

Si individuano: un sistema di riferimento (x y) e dei piani. I puntini neri rappresentano la posizione degli
atomi. I piani rappresentati sono tutti paralleli tra loro e all’asse z uscente dal foglio, e sono quindi tutti definiti
dagli stessi indici di Miller. Si vogliono trovare gli indici di Miller per questa famiglia di piani (seguendo
quindi gli step standardizzati.

Per esempio: considero il piano in grassetto in alto che interseca il reticolo in dei punti che rappresentano un
numero intero di distanza interatomica, quindi le intercette di questo piano sono date da 3 per la x (conta il
numero di atomi fino all’intersezione della retta in grassetto con l’asse), 2 per la y e infinito per la z.
- Ho individuato le intercette: 3a 1 , 2a 2
1 1
- Individuo i reciproci: e
3 2
- Moltiplico per il più piccolo intero che li renda non frazionari: 6. Ottengo quindi 2,3.
- Gli indici di Miller sono: (2 3)
- Faccio i reciproci degli indici di Miller per trovare le intercette del piano.

Dopo aver individuato il vettore perpendicolare al piano che mi interessa, voglio trovare il versore di questo
vettore, ovvero un vettore di modulo unitario che abbia la sua stessa direzione e lo stesso verso. Per fare ciò
mi basterà dividere il vettore per suo modulo. Noto che la distanza interplanare coincide con la proiezione di
uno dei due vettori sul versore perpendicolare. Quindi per trovarla mi basterà fare il prodotto scalare.

Divido quindi le componenti del versore, secondo l’esempio verrebbe:


2 3
𝑥𝑥 + 𝑦𝑦
√4 + 9 √4 + 9
Adesso per trovare la distanza proietto uno dei due vettori sul versore facendo quindi il prodotto scalare.

Ma x e y di a1/2 sono rispettivamente pari a (guarda il disegno) ½ e 0, e ricordo inoltre che, essendo la cella
cubica, a=a 1 =a 2

Quindi avrò:
2 1 3 1
+ ∗ 0= 𝑎𝑎 = 0.28𝑎𝑎
√13 2 √13 √13

Più in generale (solo per le celle cubiche):


𝑎𝑎
𝑑𝑑ℎ𝑘𝑘𝑘𝑘 =
√ℎ2 + 𝑘𝑘 2 + 𝑙𝑙 2
//

Un punto di un reticolo è un punto che nel suo intorno rispetto alla posizione reticolare è equivalente a
qualunque altro punto del reticolo cristallino. Possiamo considerare il reticolo cristallino come la risultante di
una serie di piani impilati la cui distanza è stata trovata prima. Inserendo dei piani con una certa orientazione
quello che esce è la cella elementare.

ABC ABC

Tra un piano e l’altro quando sono paralleli esistono chiaramente le distanze interplanari.
Diffrazione a raggi x.

Sappiamo quindi che un materiale cristallino è caratterizzato dalla presenza di un reticolo cristallino che può
essere rappresentato in termini di celle elementari costituite da una geometria e da una disposizione di atomi
nelle posizioni reticolari.

Ok, è tutto bellissimo, ma come faccio a interpretare per un determinato materiale il suo abito cristallino? Come faccio a
stabilire se il rame è CFC o CCC per esempio?

Si sfrutta la diffrazione ai raggi x, che consiste nel colpire il mio materiale con un fascio di raggi con lunghezza
d’onda pari a quella dei raggi x: 0.5A<λ<2.5°.

Definiamo prima la diffrazione: si verifica quando un’onda incontra una serie di ostacoli disposti ad intervalli
regolari che sono in grado di diffondere l’onda e sono separati da distanze di entità comparabile alla lunghezza
d’onda del raggio incidente.

Si considerino le onde 1 e 2 della prima figura () che hanno


la stessa lunghezza d’onda λ e sono in fase dal punto O-O’. si
supponga che entrambe le onde vengano diffuse di modo che
effettuino percorsi diversi. Si verifica un caso interessante
quando la differenza di lunghezza dei due percorsi è uguale
ad un numero intero n di lunghezze d’onda, queste onde
diffuse saranno ancora in fase e si rinforzeranno le une con le
altre. In questo caso le ampiezze si sommano originando
l’onda che si trova a destra, si dice che le onde interferiscono
in modo costruttivo. Tra onde diffuse sono possibili altre
relazioni di fase che non comportano questo mutuo
rafforzamento. L’altro caso estremo è rappresentato dalla
figura in basso, in cui le ampiezze delle onde si annullano tra
loro poiché sono fuori fase, e l’onda risultante avrà
ampiezza=0 (come vedi a destra della seconda figura), allora
l’interferenza sarà definita distruttiva.

Qual è la condizione necessaria perché il secondo raggio sia in fase con il primo? Cosa può succedere ai raggi che sono
stati riflessi?

La condizione è che 2d*sinθ sia uguale ad un multiplo della lunghezza d’onda: nλ=2d*sinθ. Con n numero
intero. Questa è la legge di Bragg.

Innanzitutto bisogna sottolineare che la riflessione dei fasci di raggi x è legata alla repulsione con gli elettroni
degli atomi che i raggi vanno a colpire.

Data una famiglia di piani con distanza (h k l) quand’è che escono rafforzate e quindi in fase? Il secondo raggio
rispetto al primo deve fare una distanza in più pari ad AB+BC: ora voglio esprimere questa distanza rispetto
alla distanza interplanare e di theta. Posso sfruttare i teoremi dei triangoli rettangoli: AB=BC=2d*sinθ quindi
il percorso aggiuntivo e 2d*sinθ.

Il valore più grande che può assumere 2d*sinθ può essere 2d, la lunghezza d’onda dei raggi che incidono deve
essere confrontabile con le distanze interplanari. Perché altrimenti questa relazione non sarebbe mai vera,
soprattutto perché n è un numero intero!

Sostituendo otteniamo:
2𝑎𝑎 𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝜃𝜃
λ=
√ℎ2 + 𝑘𝑘 2 + 𝑙𝑙 2

Come mai per capire se un materiale è cristallino o meno bisogna utilizzare i raggi x e non un altro tipo di radiazione?
Per avere una risposta da parte del materiale occorre che il raggio incidente abbia una lunghezza d’onda
paragonabile alle distanze interplanari. Le altre lunghezze d’onda sarebbero troppo grandi, è come se volessi
ispezionare l’interno di una cristalleria mandandoci un elefante: distruggerebbe tutto il contenuto!

Com’è fatto e come funziona un diffrattometro, che è lo strumento impiegato per la diffrattometria?

Un diffrattometro è uno strumentopolo utilizzato per misurare gli angoli ai quali avviene la diffrazione per
campioni in polvere. Un campione s sotto forma di un disco piatto viene posto su un supporto in modo tale
che possa ruotare attorno ad un asse perpendicolare al piano della pagina.

Per generare il fascio di raggi x occorre far attraversare un filamento di tungsteno da una corrente elettrica,
questo emetterà elettroni, e ci sarà una differenza di potenziale necessaria per accelerare gli elettroni. Questi
si muovono accelerati dalla differenza di potenziale e vanno a sbattere contro un anticatodo mantenuto freddo
(con acqua nei vecchi sistemi ora con liquidi refrigeranti). Quello che succede a questo punto è che nel
momento in cui sbattono cedono parte della loro energia per cui gli elettroni del rame assorbono questa energia
e saltano nei livelli energetici più elevati con un rilassamento, ovvero gli elettroni degli strati più esterni
cadono nei livelli più bassi. Visto che gli elettroni liberano energia quando passano da stati più alti a mento
alti, liberano energia sotto forma di onde elettromagnetiche hanno determinate lunghezze d’onda
caratteristiche dei rilassamenti poiché sono degli stati quantizzati di energia, ovviamente per la dualità onda
particella.
quando vanno da n=3 a n=1 emette kβ per esempio

Con uno spettro di emissione del tipo:

Con una emissione di questo tipo non si avrebbe nessuna informazione perché ci sono più picchi, situazione
ottimale sarebbe quella di ottenere un’unica linea di emissione con un picco caratteristico (quello più alto). A
questo fine, nei diffrattometri esistono, a seconda del materiale utilizzato come anodo, dei filtri, ovvero delle
sostanze che assorbono le radiazioni nel range selezionato e che filtrano letteralmente il fascio di raggi x per
renderlo monocromatico, ad una sola lunghezza d’onda.

L’intensità dei raggi diffratti viene rilevata da un rivelatore (o contatore) complanare con il generatore di raggi
x e con il campione considerato. Il contatore è montato su un carrello mobile che ruota sull’asse perpendicolare
al foglio e la sua posizione angolare è misurata in termini di 2θ indicata su una scala graduata. Al muoversi
del rivelatore (a velocità angolare costante) un registratore traccia automaticamente l’intensità del fascio
diffratto in funzione di 2θ (chiamato angolo di diffrazione). I picchi ad alta intensità indicano i piani
cristallografici che soddisfano la condizione imposta dalla legge di Bragg: nλ=2d*sinθ

Trasformandolo in un diffrattogramma:
Per alcuni angoli di diffrazione ci sarà un picco, per altri ci sarà un rumore di fondo.

Serve per identificare e individuare le fasi cristalline perché la posizione di ogni picco e l’intensità dei picchi è
come se fosse una carta d’identità del materiale considerato. Il posizionamento dei picchi è caratteristico del
materiale, come la larghezza che è riferibile alla dimensione dei cristalli che costituiscono il materiale, lo
spostamento rispetto alla posizione che ci aspettavamo è indice di una distorsione che il reticolo ha subito a
seguito di lavorazione. La diffrattometria mi permette di capire se il mio materiale è amorfo o cristallino (nel
caso di materiali amorfi avrò un grafico a gobba).
LEZIONE 12 14/04/2021

1. Il fascio incidente e il fascio diffratto sono sempre complanari.


2. L’angolo tra il fascio diffratto e il fascio trasmesso è sempre pari a 2θ.
3. Il seno dell’angolo di diffrazione non può mai essere maggiore di 1, questo implica che nλ<2d  per
n=1, λ<2d. Per n=2 avrò ad esempio: 2λ=2d*sinθ 2 cioè ci sarà un angolo per il quale i raggi successivi
dovranno compiere un percorso pari a 2λ.

In cristallografia le diffrazioni del secondo terzo ordine ecc., si considerano come prodotte da un piano reale
𝑑𝑑 2𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑 𝑑𝑑 𝑎𝑎 𝑎𝑎∗𝑛𝑛
o fittizio che ha come distanza interplanare  𝑛𝑛𝑛𝑛 = 2𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝑑𝜆𝜆 =  = 𝑑𝑑 =
𝑛𝑛 𝑛𝑛 𝑛𝑛 �ℎ2 +𝑘𝑘 2 +𝑙𝑙2 �ℎ2 +𝑘𝑘 2 +𝑙𝑙2

Una diffrazione del secondo ordine può essere vista come una diffrazione del primo ordine generata da un
piano reale o fittizio che ha come indici di Miller (n*h n*k n*l); verrà generato un picco associato a questo piano
ed è legato alla verifica della legge di Bragg per un ordine diverso dal primo.

A seconda si considerano i piani nel reticolo, avrò una distanza interplanare differente, e mi interessano solo
quei piani che contengono gli atomi, quindi è inutile fare la considerazione che ∃∞ piani paralleli a quello
considerato.

Cos’hanno di differente questi piani oltre agli indici di Miller? La distanza interplanare.

Una volta che stiamo usando una determinata macchina, λ è una costante perché dipende dal materiale di cui
è fatto l’anodo. Se λ, è costante sarà costante anche 𝑑𝑑 ∗ 𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠.

Prova ad attribuire a ciascun insieme di piani paralleli un picco del diffrattogramma.

Il primo picco si può attribuire ad (1 1 0), (occhio non si intende l’intensità del picco, bensì il fatto che è il
primo, sull’asse delle ascisse hai gli angoli 2θ) poiché è quello con la distanza interplanare più grande. Infatti
più la distanza interplanare è grande, più gli angoli θ saranno piccoli, poiché si deve manifestare

2𝑑𝑑 ∗ 𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠 = 𝜆𝜆.

Famiglie di piani con distanze interplanari più grandi saranno responsabili dei picchi che si verificano ad
angoli 2θ più bassi, poiché deve essere rispettata la legge di Bragg. Motivo per il quale quando abbiamo a che
fare con materiali mesoporosi, che hanno quindi distanze interplanari ampie, si hanno i picchi ad angoli molto
bassi, infatti bisogna modificare leggermente i filtri perché altrimenti non si riuscirebbero a leggere.

- L’intensità è legata alla dimensione dei cristalli che costituiscono i materiali. La maggior parte dei
materiali sono policristallini, nel senso che si formano dei nuclei che crescono per dare origine a tante
regioni cristalline che non combaciano l’una con l’altra. Se nel processo di solidificazione ho fatto in
maniera tale da ottenere dei grossi cristalli cioè ampie zone che hanno tutte lo stesso ordine, il
diffrattogramma presenterà picchi ben definiti di alta intensità. Se un materiale ha cristalli molto
grandi avrà picchi la cui intensità sarà molto più alta. La dimensione del cristallo è infatti legata ad un
numero k, una costante, β è la larghezza del picco a metà dell’intensità, più β è grande più la
dimensione dei cristalliti è piccola.
𝑘𝑘𝑘𝑘
𝑑𝑑 =
𝛽𝛽𝛽𝛽𝛽𝛽𝛽𝛽𝛽𝛽
- Se la posizione si sarebbe dovuta manifestare ad un determinato angolo, ma si sposta rispetto alla
condizione di equilibro, il reticolo è stato soggetto a delle distorsioni di compressione se il picco è ad
angoli superiori, è stato soggetto a trazione se il picco si manifesta ad angoli inferiori. Se il materiale è
stato soggetto a varie sollecitazioni il picco avrà diversi contributi.

Dato un diffrattogramma come facciamo a capire se il materiale presenta una cella CCC o CFC?

Nella cella CCC vedi come i due raggi siano separati da una distanza pari a λ. Quindi visto che è uguale, ci
sarà un contributo costruttivo, discorso che non vale per la CFC, in quanto, il raggio tra 1 e 3 è λ/2, tra 3 e 2 è
λ/2, ma tra 1 e 2 è λ, quindi il raggio 3 non sarà in fase con gli altri due e ci sarà un contributo distruttivo,
anche perché il valore di n nella legge di Bragg, DEVE essere un valore intero! A seconda della disposizione
degli atomi all’interno della cella cubica, la presenza di atomi in aggiunta oltre a quelli sui vertici del cubo,
implica la soppressione della risposta di alcuni piani presenti nella medesima cella, perché questi atomi nel
reticolo determinano una diffrazione distruttiva.

In base al diffrattogramma, e conoscendo i piani caratteristici di ogni cella, posso risalire alla tipologia di cella
che appartiene a quell’elemento di cui ho fatto i raggi x.

Ecco un elenco dei piani nelle celle CFC e CCC che sono soggetti a diffrazione:
La sommatoria degli indici di Miller dei piani che danno diffrazione dà un numero pari. I piani che danno
diffrazione in celle CCC e CFC sono molti. Se dovessi associare in maniera generica uno di questi picchi, per
esempio al piano 111 di una cella CFC, quale sarebbe?

Siccome è il primo piano a dare diffrazione è rappresentato dal primo picco, il piano (2 0 0) sarà rappresentato
dal secondo picco, e così via (vale anche per le celle CFC naturalmente), ma non posso associare un picco ad
un piano finché non so di che tipo di cella si parla.

Ricordiamo che la legge di Bragg per le celle cubiche può essere espressa come:
2𝑎𝑎 𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠
𝜆𝜆 =
√ℎ2 + 𝑘𝑘 2 + 𝑙𝑙 2
Lambda lo conosco, sinθ lo conosco (dal picco), quindi le incognite sono a e gli indici di Miller.

Considerando solo i primi due picchi del diffrattogramma:

elevo tutto al quadrato ed esplicito rispetto al parametro che leggo sul diffrattogramma: sinθ.

𝜆𝜆2 (ℎ2 + 𝑘𝑘 2 + 𝑙𝑙 2 )
𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠2 𝜃𝜃 =
4𝑎𝑎2
Del diffrattogramma considero il primo e il secondo picco prendendo theta 1 e theta 2 e facendone il rapporto:

𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠2 𝜃𝜃𝐴𝐴 ℎ𝐴𝐴2 + 𝑘𝑘𝐴𝐴2 + 𝑙𝑙𝐴𝐴2


=
𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠2 𝜃𝜃𝐵𝐵 ℎ𝐵𝐵2 + 𝑘𝑘𝐵𝐵2 + 𝑙𝑙𝐵𝐵2

È una relazione fondamentale: il primo membro può essere calcolato sperimentalmente (facendo attenzione a
dividere l’angolo per 2!), il secondo membro dipende dai piani. Immaginiamo di avere una CCC, il primo
piano di diffrazione avrà come indici (1 1 0) e il secondo (2 2 0) facendo il rapporto otterrei 0.5, se faccio il
rapporto al primo membro, e mi esce 0.5, vuol dire che la cella è CCC.

Mentre se considero una CFC: il primo picco è rappresentato da (1 1 1), il secondo da (2 0 0) il rapporto dà
0.75, se il rapporto al primo membro ho 0.75, vuol dire che quel materiale possiede una cella cubica a facce
centrate.

Una volta che so anche questo posso anche ottenere il parametro di cella a.
LEZIONE 13 20/04/2021

Esercizio 1:

Per il ferro CCC calcolare:

a) La distanza interplanare;
b) L’angolo di diffrazione per i piani con indici di Miller (2 2 0).

Il parametro di cella per il ferro è di 0.2866 nm. La lunghezza d’onda del fascio monocromatico p pari a
λ=0.1790 nm.

Risposta a:
𝑎𝑎 0.2866 𝑛𝑛𝑛𝑛
𝑑𝑑ℎ𝑘𝑘𝑘𝑘 = == = 0.1013 𝑛𝑛𝑛𝑛
√ℎ2 + 𝑘𝑘 2 + 𝑙𝑙 2 √22 + 22 + 02
Risposta b:

𝑛𝑛𝑛𝑛 1 ∗ 0.1790 𝑛𝑛𝑛𝑛


𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠 = = = 0.884
2𝑑𝑑ℎ𝑘𝑘𝑘𝑘 2 ∗ 0.1013 𝑛𝑛𝑛𝑛

𝜃𝜃 = arcsin(0.884) = 62.13°

Ma l’angolo di diffrazione è pari a 2θ  2θ=2*62.13°=124.26°

Ricorda: se l’angolo incidente è θ l’angolo riflesso è 2θ.

Esercizio 2:

Un campione di ferro CCC viene posto in un diffrattometro a raggi x con una lunghezza d’onda λ=0.154 nm.
La diffrazione dei piani (1 1 0) è stata ottenuta per 2θ=44.704°. Calcolare il valore della costante di reticolo a
per il ferro CCC.

Risoluzione:

𝑛𝑛𝑛𝑛 𝑛𝑛𝑛𝑛 0.154 𝑛𝑛𝑛𝑛


𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠 = → 𝑑𝑑ℎ𝑘𝑘𝑘𝑘 = = = 0.2026 𝑛𝑛𝑛𝑛
2𝑑𝑑ℎ𝑘𝑘𝑘𝑘 2𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠 2(0.3803)

𝑎𝑎 = 𝑑𝑑ℎ𝑘𝑘𝑘𝑘 �ℎ2 + 𝑘𝑘 2 + 𝑙𝑙 2 → 𝑎𝑎 = 0.2026 𝑛𝑛𝑛𝑛 ∗ 1.414 = 0.287 𝑛𝑛𝑛𝑛

Una volta che leggo un picco sul diffrattogramma la legge di Bragg viene rispettata. Nella diffrattometria a
raggi x l’ordine è sempre pari ad uno, gli eventuali picchi derivanti da un ordine superiore al primo vengono
riportati come picchi relativi a piani (nh nk nl). Noi scegliamo i raggi x perché la lunghezza d’onda di questi
raggi è confrontabile con le distanze interplanari infatti confrontando le lunghezze d’onda dei raggi x e il
risultato di d hkl noti che sono confrontabili.

Esercizio 3:

Un diffrattogramma di un elemento che può avere sia struttura cristallina CCC che CFC mostra picchi di
diffrazione ai seguenti angoli 2θ= {40°, 58°, 86.8°, 100.4°, 114.7°}. La lunghezza d’onda λ= 0.154 nm.

Determinare:

a) La struttura cubica dell’elemento;


b) La costante di reticolo dell’elemento;
c) L’elemento.

Risposta a:

Per gli angoli 2θ= 40°, 58°  θ=20° e 29° si hanno i primi due picchi sul diffrattometro. Ciò implica che il
rapporto tra il quadrato dei loro seni ci darà un’informazione fondamentale sul tipo di cella cubica
dell’elemento.

𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠2 𝜃𝜃𝐴𝐴 𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠2 (20°)


= ~0.5
𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠2 𝜃𝜃𝐵𝐵 𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠2 (29°)

Visto che il risultato ottenuto è circa uguale a 0.5, stiamo parlando di una cella cubica a corpo centrato.

n. b.: questo risultato è valido poiché hai considerato gli angoli relativi ai primi due picchi, ovvero quelli
relativi ai piani (1 1 0) e (2 0 0)

Risposta b:

2𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎 𝜆𝜆 ℎ2 + 𝑘𝑘 2 + 𝑙𝑙 2
𝜆𝜆 = → 𝑎𝑎 = � = 0.318 𝑛𝑛𝑛𝑛
√ℎ2 + 𝑘𝑘 2 + 𝑙𝑙 2 2 𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠2 𝜃𝜃

//

Densità teorica
𝑛𝑛 ∗ 𝑃𝑃𝐴𝐴
𝜌𝜌 =
𝑉𝑉𝑉𝑉𝑉𝑉𝑉𝑉𝑉𝑉𝑉𝑉 ∗ 𝑁𝑁𝐴𝐴

Dove:

- n è il numero di atomi associati alla cella unitaria;


- P A è il peso atomico dell’elemento;
- V cella è il volume della cella unitaria;
- N A è il numero di Avogadro= (6.022*1023) atomi/mole

Una volta che è nota la tipologia di cella si può calcolare questa quantità.
𝑃𝑃𝐴𝐴
restituisce la massa del singolo atomo, poiché P A rappresenta i grammi in una mole, mentre N A è il numero di atomi
𝑁𝑁𝐴𝐴
in una mole, quindi, così facendo, ottengo la massa del singolo atomo che, moltiplicata per n, restituisce la massa
𝑚𝑚
complessiva degli n atomi presenti nella cella. restituisce quindi la densità.
𝑉𝑉

Esercizio 4: il rame ha una struttura cristallina CFC e un raggio atomico di 0.1278 nm. Assumendo che gli
atomi siano delle sfere rigide che si toccano l’una all’altra lungo la diagonale della faccia della cella elementare
CFC, calcolare il valore teorico della densità del rame in milligrammi su metro cubo. La massa atomica del
rame è 63.5 g/mole.

Risoluzione:

Per la cella elementare CFC la relazione tra il parametro di cella e il raggio atomico è √2𝑎𝑎 = 4𝑅𝑅 → 𝑎𝑎 = 0.361 𝑛𝑛𝑛𝑛

Nella cella CFC ci sono quattro atomi per unità di cella, quindi:
𝑛𝑛 ∗ 𝑃𝑃𝐴𝐴 4𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎 ∗ 63.54 𝑔𝑔/𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚
𝜌𝜌 = = = 8.98𝑀𝑀𝑀𝑀/𝑚𝑚3
𝑉𝑉𝑉𝑉𝑉𝑉𝑉𝑉𝑉𝑉𝑉𝑉 ∗ 𝑁𝑁𝐴𝐴 𝑎𝑎3 ∗ 6.022 ∗ 1023 𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎/𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚
Difetti nei cristalli

Molte proprietà dei materiali sono profondamente collegate alle imperfezioni del reticolo cristallino, per
“difetto cristallino” si intende un’irregolarità del reticolo che abbia una o più delle sue dimensioni dell’ordine
di un diametro atomico. L’effetto dei difetti cristallini non è sempre negativo, anzi! Se questi difetti vengono
controllati in maniera opportuna determinano l’insorgere di specifiche proprietà che permettono ai materiali
di essere utilizzati per specifiche applicazioni, queste pratiche sono alla base delle tecnologie di produzione di
molti materiali. Abbiamo detto anche che il reticolo cristallino esiste perché permette alle specie chimiche di
avere un’energia interna più bassa. Se fosse solamente questo il driver, avremmo un reticolo cristallino
esattamente come descritto; il problema è che nei reticoli esistono dei difetti originati dai processi di
solidificazione o per qualche trattamento fatto sul materiale. Le imperfezioni del reticolo sono una diretta
conseguenza della tendenza dei sistemi ad aumentare la propria entropia.

La classificazione delle imperfezioni dei cristalli viene frequentemente fatta in base alla geometria o
all’estensione dei difetti:

1. Difetti puntuali, (o di punto): riguardano una o due posizioni atomiche.


- Vacanze: il più semplice dei difetti puntuali è la vacanza. Per “vacanza” si intende un sito
reticolare vacante, condizione ovviamente legata alla mancanza dell’atomo in una posizione
reticolare. Tutti i solidi cristallini hanno delle vacanze, infatti non esistono materiali esenti da
questo tipo di difetto puntuale. La necessità dell’esistenza delle vacanze è legata al secondo
principio della termodinamica, infatti le vacanze aumentano l’entropia del sistema.
Le vacanze determinano una distorsione del reticolo cristallino.
Le vacanze seguono una legge di tipo Arrhenius:

𝑄𝑄
𝑛𝑛𝑣𝑣 = 𝑛𝑛𝑒𝑒 −𝑅𝑅𝑅𝑅
Dove:
o n v è il numero di vacanze;
o n è il numero totale dei siti atomici;
o Q è l’energia di attivazione, quindi l’energia richiesta per la formazione di una vacanza;
o R è la costante universale dei gas;
o T è la temperatura assoluta in Kelvin.

Il numero di vacanze in un reticolo cresce o decresce all’aumentare della temperatura? Cresce perché il segno
dell’esponenziale è negativo.

Questa caratteristica va ad impattare sulla densità teorica che è inversamente proporzionale al numero
di vacanze, infatti nell’equazione si trova il numero di atomi nella cella, quindi al loro diminuire
diminuirà la densità.

Se prendessi il materiale e volessi generare un certo numero di vacanze come dovrei fare? Devo andare a variare
la temperatura.

- Autointerstiziali: un autointerstiziale è un atomo del cristallo che si trova stipato in un sito


interstiziale, un piccolo spazio vuoto che di norma non è occupato. Nei metalli un autointerstiziale
genera una profonda distorsione del reticolo circostante in quanto l’atomo è significativamente
più grande rispetto allo spazio in cui si trova:
La presenza di questo difetto è molto meno comune rispetto alle vacanze.

- Sostituzionali: sia quello considerato un reticolo composto da atomi a, può succedere che una
posizione venga occupata da un atomo diverso da a, ad esempio b. Questa sostituzione determina
un difetto chiamato “sostituzionale” generato dalla sostituzione nelle posizioni reticolari di un
atomo di a con un atomo di b.

Nel difetto interstiziale l’atomo di b va a posizionarsi fuori dalle posizioni reticolare, negli interstizi.
La differenza tra difetti sostituzionali e interstiziali è che in quelli sostituzionali un atomo di b si mette
al posto di un atomo di a nel reticolo, nel difetto interstiziale, gli atomi di b più piccoli si mettono in
posizioni extrareticolari negli spazi vuoti della cella elementare.

2. Difetti di linea, (o lineari): monodimensionali.


3. Di superfice, (o bordi di grano): bidimensionali.

Esercizio 5: calcolare il numero di vacanze per cm3 e per atomo, per il rame a temperatura ambiente T 1 =298K
ed a T 2 =1357K (appena sotto la temperatura di fusione). Si rammenta che l’energia necessaria per produrre
una vacanza nel rame è 20 kcal/mol=20000 cal/mol, il parametro di cella del rame è a=362pm=3.62𝑥𝑥10−8 𝑐𝑐𝑐𝑐
ed il suo reticolo CFC contiene 4 punti/cella. Si ricorda che R=1.987cal/molK.

𝐴𝐴𝐴𝐴𝐴𝐴𝐴𝐴𝐴𝐴 𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐 4 𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎 4 𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎 𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎


𝑛𝑛 = = 3
= −8 3 3
= 8.43𝑥𝑥1022
𝑉𝑉𝑉𝑉𝑉𝑉𝑉𝑉𝑉𝑉𝑉𝑉 𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐 𝑎𝑎 (3.62𝑥𝑥10 ) 𝑐𝑐𝑐𝑐 𝑐𝑐𝑐𝑐3

20000𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐

𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚

𝑄𝑄 𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎 1.987𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐 𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣
𝑛𝑛𝑣𝑣𝑣𝑣1 = 𝑛𝑛𝑒𝑒 𝑅𝑅𝑇𝑇1 = 8.43𝑥𝑥1022 ∗ 𝑒𝑒 𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚 ∗298𝐾𝐾 = 1.806 ∗ 108
𝑐𝑐𝑐𝑐3 𝑐𝑐𝑐𝑐3

20000𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐

𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚

𝑄𝑄 𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎𝑎 1.987𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐
∗1357𝐾𝐾 𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣𝑣
𝑛𝑛𝑣𝑣𝑣𝑣2 = 𝑛𝑛𝑒𝑒 𝑅𝑅𝑇𝑇2 = 8.43𝑥𝑥1022 ∗ 𝑒𝑒 𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚𝑚 = 5.06 ∗ 1019
𝑐𝑐𝑐𝑐3 𝑐𝑐𝑐𝑐3
Calcoliamo ora il numero di siti di rame che risultano liberi alle due temperatura, ovvero la densità di vacanze
per atomo di rame. Il valore è già noto, essendo la quantità cercata uguale all’esponenziale che appare nella
legge di tipo Arrhenius per la concentrazione dei difetti.

𝑛𝑛𝑣𝑣 −
𝑄𝑄
𝜌𝜌𝑣𝑣𝑣𝑣1 = = 𝑒𝑒 𝑅𝑅𝑇𝑇1 = 2.15 ∗ 10−15
𝑛𝑛
𝑛𝑛𝑣𝑣 −
𝑄𝑄
𝜌𝜌𝑣𝑣𝑣𝑣2 = = 𝑒𝑒 𝑅𝑅𝑇𝑇2 = 6.07 ∗ 10−4
𝑛𝑛

Soluzioni solide

Un metallo puro è impossibile da trovare in natura, infatti, anche con le più raffinate lavorazioni il metallo
sarà puro al 99.9999%, ma ci sarà sempre un ordine di 1022/1023 atomi per m3 che costituiranno le impurezze
del materiale. La maggior parte dei metalli comuni esiste sotto forma di leghe, ovvero dei materiali costituiti
oltre che dal metallo base, anche da atomi di impurezze, aggiunti intenzionalmente, per migliorare le
prestazioni meccaniche o, ad esempio, anche la resistenza alla corrosione. Queste sono un esempio di soluzioni
solide.

Si parla di soluzioni solide quando, per aggiunta di atomi di soluto nel materiale ospitante, viene mantenuta la struttura
cristallina di quest’ultimo e non se ne formano di nuove. In questo scenario il soluto è l’elemento presente in
concentrazione minore; il solvente è il componente presente in maggior quantità, per questo gli atomi solventi sono spesso
chiamati atomi ospitanti.

Nelle soluzioni solide si trovano difetti sostituzionali ed interstiziali: una soluzione solida sarà interstiziale se
gli atomi di soluto si posizionano in una posizione interstiziale, in una soluzione sostituzionale gli atomi di
impurezza o di soluto rimpiazzano o sostituiscono gli atomi ospitanti; se ogni atomo di a può essere sostituito
dagli atomi di b allora la soluzione non ha limiti di solubilità, quindi i due elementi sono completamente
miscibili allo stato solido. Perché questo possa verificarsi bisogna che a e b ottemperino alle regole empiriche
di Hume-Rothery:

1. Fattore di dimensione atomica: solo se la differenza di raggio atomico tra i due atomi è inferiore al
15% si possono impiegare apprezzabili quantità di soluto per formare la soluzione solida, altrimenti
gli atomi di soluto creano consistenti distorsioni del reticolo e si viene a formare una nuova fase.
2. Struttura cristallina: affinché si abbia una significativa miscibilità allo stato solido, la struttura
cristallina dei metalli formata da due tipi di atomi deve essere la sessa, perché tutti siano
interscambiabili anche in termini di posizione degli atomi.
3. Valenza: a parità di altri fattori, un metallo ha più tendenza a sciogliere un altro metallo di valenza
più alta piuttosto che uno di valenza più bassa.
4. Elettronegatività: deve essere pressoché uguale.

//

Nelle soluzioni solide interstiziali, gli atomi di impurezza riempiono i vuoi, ovvero gli interstizi tra gli atomi
ospitanti.

Per le celle CCC e CFC ho siti interstiziali tetraedrici e ottaedrici. I siti tetraedrici sono caratterizzati da numero
di coordinazione 4, le linee rette congiungenti i centri degli atomi che circondano il sito formano un tetraedro
quadrilatero. Per il sito ottaedrico il numero di coordinazione è 6, congiungendo i centri delle sfere si ottiene
un ottaedro.

 Nel caso della cella cubica semplice ho un’unica posizione interstiziale che è al centro del
cubo.
 Per le celle CCC ci sono due tipi di sito ottaedrico e uno tetraedrico:
 Coordinate ottaedrico: ½ 1 ½ e ½ 1 0;
 Coordinate tetraedrico: 1 ½ ¼.
 Per le celle CFC ci sono due tipi di sito ottaedrico e uno tetraedrico:
 Coordinate ottaedrico: 0 ½ 1 e ½ ½ ½
 Coordinate tetraedrico: ¼ ¾ ¼.

Da un punto di vista visivo si vedono chiaramente gli interstizi (guarda le immagini in 3D). Abbiamo
un’indicizzazione specifica per ogni tipologia di cella. In questi siti mi potrò trovare il soluto nel caso di una
soluzione solida interstiziale. Visto che sono caratterizzati da volumi piccoli, queste posizioni interstiziali
possono essere occupate solo da atomi piccoli come O, H ecc. All’interno di ogni cella ci sono posizioni
particolari in cui gli atomi di soluto possono allocarsi.

Esercizio 6: calcolare il numero di siti ottaedrici che appartengono univocamente ad una cella CFC.

Risoluzione:

I siti ottaedrici includono 12 spigoli dell’unità di cella con coordinate:

½00 ½10 ½01 ½11

0½0 1½0 1½1 0½1

00½ 10½ 11½ 01½

Con la posizione centrale ½ ½ ½ ogni sito sullo spigolo della cella è condiviso con 4 unità di cella, quindi solo
¼ di ogni sito appartiene unicamente a ciascuna cella. Perciò il numero di siti che appartengono univocamente
ad ogni cella è:

1
12 𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑙𝑙𝑖𝑖 4 𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠 1 𝑎𝑎. 𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐 1 𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠
∗ + ∗ = 4 𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠/𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐
𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐 𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠 𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐 𝑎𝑎. 𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐
Nel ferro CFC, gli atomi di carbonio sono allocati su siti ottaedrici, ciò si verifica al centro di ogni spigolo
111
dell’unità di cella in siti come (0 0 ½) e al centro della cella ( ). Nel ferro CCC, gli atomi di carbonio entrano
222
11
in siti tetraedrici come �0 �. Il parametro di cella è a 0 =0.3571 nm per il ferro CFC e 0.2866 per il ferro CCC.
24
Si presuma che gli atomi di carbonio abbiamo un raggio di 0.071 nm.

a) Ci si aspetta una distorsione più profonda nel ferro CCC o CFC?


b) Quale sarebbe la percentuale atomica di carbonio in ognuno dei due tipi di ferro se tutti i siti
interstiziali fossero riempiti?

Risoluzione:

R carbonio =0.77A R siti ottaedrici (A) R ottaedrici /R carbonio R siti tetraedrici (A) R tetraedrici /R carbonio
Fe CCC 0.19 0.25 0.36 0.47
Fe CFC 0.52 0.67 0.28 0.36

Quando un elemento ha più di una cella elementare è una specie allotropica, il ferro è allotropico.

Le posizioni interstiziali devono avere una dimensione maggiore uguale o minore del soluto? Minore, perché l’atomo
deve essere incastrato.

Nei metalli CFC:

√2 ∗ 𝑎𝑎0 √2 ∗ 0.3571
𝑅𝑅𝐶𝐶𝐶𝐶𝐶𝐶 = = = 0.1263 𝑛𝑛𝑛𝑛
4 4
Sappiamo che il raggio interstiziale e il raggio della cella considerata sono legati dalla relazione:

0.3571 − 2 ∗ 0.1263
2𝑟𝑟𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖 + 2𝑅𝑅𝐶𝐶𝐶𝐶𝐶𝐶 = 𝑎𝑎0 → 𝑟𝑟𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖 = = 0.0523 𝑛𝑛𝑛𝑛
2

Nelle celle CCC i siti tetraedrici hanno un raggio di 0.36°, mentre i siti ottaedrici hanno un raggio di 0.19A.
Nel caso della CCC il carbonio predilige i siti ottaedrici nonostante siano più piccoli di quelli tetraedrici, questo
accade perché il mettersi in un sito tetraedrico comporterebbe uno spostamento di 4 atomi del Ferro, mentre
in una configurazione di tipo ottaedrico viene causato lo spostamento di soli due atomi di Ferro. Questo caso
particolare rende ancora più importante la differenza di solubilità tra il carbonio nel ferro CFC (γ) e tra il
carbonio nel ferro CCC (α) (in realtà esiste un Ferro CCC δ caratterizzata da un ulteriore parametro di cella).
Ci concentriamo su α e γ perché tutte le produzioni degli acciai partono dal ferro γ.

Tra le celle CCC e CFC, qual è quella più densamente popolata? La CFC, poiché il fattore di impaccamento è più
alto (0.74), quindi è più favorevole l’inserimento nelle CFC con configurazione ottaedrica di quanto non lo sia
in configurazioni tetraedriche in celle CCC, evidentemente, nelle CCC, gli spazi interstiziali sono distribuiti in
modo tale da creare spazi troppo grandi perché il carbonio si possa inserire negli spazi.

Il carbonio nelle CFC si andrà ad inserire in siti favorevoli a livello di direzioni. Nelle CCC andrà ad inserirsi
negli interstizi a lui più congeniali a livello energetico, non a livello di spazio!

Ricordiamo che il raggio del carbonio è 0.77A, quindi qualunque vuoto interstiziale abbia una dimensione
superiore al raggio del carbonio non è un sito interstiziale. Per capire quanta energia deve impiegare l’atomo
di carbonio per potersi allocare, bisogna fare il rapporto tra le dimensioni del sito e le dimensioni dell’atomo:
𝑅𝑅𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠(𝑜𝑜𝑜𝑜𝑜𝑜𝑜𝑜𝑜𝑜𝑜𝑜𝑜𝑜𝑜𝑜𝑜𝑜𝑜𝑜�
𝑡𝑡𝑡𝑡𝑡𝑡𝑡𝑡𝑡𝑡𝑡𝑡𝑡𝑡𝑡𝑡𝑡𝑡𝑡𝑡𝑡𝑡 )
𝑅𝑅𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐

È maggiore di 1, allora non si verificherà interstizione, per ogni numero minore di 1, allora, in via preferenziale,
il carbonio andrà ad inserirsi nei siti con rapporto più vicino ad 1.

Più alto è il rapporto minore sarà l’energia richiesta all’atomo per potersi allocare; maggiore è il numero di
atomi che hanno quella caratteristica, più grande sarà la percentuale di occupazione di questi siti; più piccolo
sarà il sito, più fatica farà ad inserirsi, perché avrà bisogno di una quantità di energia molto elevata, quindi
minore sarà il grado di occupazione di quei siti.

La solubilità del carbonio nel CFC è più alta che nel ferro CCC. Prendendo i siti più grandi della CFC e CCC,
il carbonio non va a finire nei siti tetraedrici, che nella CCC dovrebbero essere più favorevoli, ma si va a mettere
nei siti ottaedrici, questo fattore andrà ad impattare sulla differenza di solubilità del carbonio nelle CFC e nelle
CCC. Il ferro CFC ha come limite di solubilità 0.77% mentre il CCC ha come limite di solubilità 0.022% (in
percentuale in peso).

Carbonio e Azoto nel Ferro α, non occupano gli interstizi dei siti tetragonali, che risultano essere più larghi,
ma gli interstizi dei siti ottaedrici che sono meno propensi a creare tensioni sul reticolo, ciò si verifica con lo
spostamento dei due atomi di Ferro più vicini. Nel caso di interstizi tetraedrici infatti vengono mossi i quattro
atomi più vicini, e ciò richiede una maggior quantità di energia.
LEZIONE 14 21/04/2021

Oltre ai siti tetraedrici ed ottaedrici esistono anche siti cubici (visti nella lezione precedente) e triangolari:

- Siti cubici: sui vertici ci sono gli atomi del reticolo, e tra questi 8 atomi ci sarà uno spazio vuoto con
un sito interstiziale cubico.
- Siti ottaedrici: si ha un atomo al centro di un ottaedro ottenuto mediante la congiunzione degli atomi.
- Siti tetraedrici: se gli atomi nell’intorno dell’atomo interstiziale formano un tetraedro abbiamo un sito
tetraedrico.
- Siti triangolari: si ha l’atomo interstiziale tra tre atomi del reticolo.

Se si ha una cella cubica si crea uno spazio al centro noto come “sito cubico”.

Nelle celle CFC:


1
- Ottaedrica: 12 ∗ = 3 atomi di esclusiva pertinenza.
4

- Tetraedrica: 8 atomi di esclusiva pertinenza.

//

Diffusione.

Nei ceramici possiamo avere due difetti di punto:

 i difetti di vacanze che riguardano sia anioni che cationi.


 i difetti interstiziali che riguardano solo i cationi.

Una vacanza di un catione è accompagnata da un contemporaneo difetto autointerstiziale, in quanto si sposta


dal suo sito ad un altro poiché non verrebbe garantita la neutralità. (Frenkel)

Schottky: prevede la contemporanea assenza di un anione e di un catione.

Come far arrivare il soluto nelle posizioni reticolare?

Diffusione atomica: numerose reazioni e processi, importanti per il trattamento dei materiali, si basano sul
trasferimento di massa sia all’interno di un determinato solido (in genere a livello microscopico) sia da parte
di un liquido, un gas o un’altra fase solida. Questo fenomeno è effettuato tramite un processo di diffusione,
ovvero il trasporto di materiale per movimento di atomi. (Ne è un esempio la lega rame nichel p.122 Callister).
Su scala atomica la diffusione consiste essenzialmente nella migrazione di atomi da una posizione reticolare
ad un’altra, infatti gli atomi nei materiali solidi sono in costante movimento e cambiano continuamente
posizione. Un atomo può compiere un movimento se e solo se:

1. c’è una posizione reticolare adiacente vuota;


2. gli atomi devono avere sufficiente energia per vincere i legami con gli atomi vicini e quindi provocare
distorsioni reticolari durante lo spostamento.

Questo meccanismo è infatti reso spesso difficoltoso dal fatto che, essendo la materia considerata allo stato
solido, i legami mantengono gli atomi in posizioni di equilibrio, ma gli atomi, per effetto della temperatura
hanno vibrazioni termiche che ne favoriscono il movimento.

Quando parliamo di diffusione allo stato solido questo movimento di atomi può essere determinato da due
tipi di meccanismi differenti a seconda che io debba agire su una vacanza o su un interstizio. I meccanismi
prendono il nome di diffusione per vacanze (o sostituzionale) o di diffusione interstiziale.

*Diffusione per vacanze*

Il primo meccanismo implica l’interscambio di un atomo da una posizione normale del reticolo a una posizione
vacante adiacente. Naturalmente questo processo ha bisogno della presenza di vacanze e l’estensione con cui
si può verificare è proporzionale al numero di vacanze nel reticolo. Si può trovare un gran numero di vacanze
in metalli ad alte temperature. Dal momento che gli atomi e le vacanze che diffondono si scambiano la
posizione, alla diffusione degli atomi in una direzione corrisponde il movimento di vacanze in direzione
opposta. Tramite questo meccanismo si verifica l’autodiffusione e l’interdiffusione, in quest’ultima, gli atomi
delle impurezze, costituiscono gli atomi ospiti. Alla diffusione di un atomo corrisponde la controdiffusione di
una vacanza.

Perché b vada a sostituire un atomo di a nel reticolo cristallino, devono quindi esserci delle vacanze, perché,
se l’atomo di b dovesse farsi strada nel reticolo in assenza di vacanze, dovrebbe scalzare un atomo dalla
posizione reticolare, azione che richiede una quantità di energia troppo elevata. Nel momento in cui si ha una
vacanza, b interagisce con la vacanza per sfruttarla richiedendo un minor apporto di energia. Il meccanismo
di diffusione avviene per l’atomo che si posiziona nella vacanza, con un meccanismo di diffusione della
vacanza contraria al movimento dell’atomo stesso.

I meccanismi di diffusione per vacanza permettono di creare soluzioni solide sostituzionali.

Dal grafico: Rame e nichel sono sostanze completamente miscibili e formano, in questo caso, soluzioni
sostituzionali. Mettendoli a contatto e alzando la temperatura del sistema cosa succede? Inizialmente si ha una
regione in cui sono presenti solo atomi di rame, ci sarà infatti una linea di separazione a destra della quale la
concentrazione di rame sarà zero poiché sarà presente solo il nichel. Ad un aumento di temperatura il sistema
aumenta la velocità di diffusione delle vacanze e, di conseguenza, anche quella degli atomi di rame e nichel.
Il fatto che la concentrazione sia nulla a destra e molto alta a sinistra della linea di separazione, fa sì che esista
un gradiente che permette che gli atomi di rame diffondano nel verso in cui la concentrazione di rame è più
bassa. Quindi gli atomi di rame si sposteranno, sfruttando le vacanze, verso il nichel. Ad un tempo t1 diverso
da quello iniziale, avrò una situazione diversa da prima: andando ad analizzare il profilo di concentrazione
del rame, sarà alto nelle zone più lontane dalla linea di separazione, mentre si abbasserà in prossimità
dell’interfaccia. Arriverà un punto in cui gli atomi di rame saranno tutti distribuiti a cazzo, e in qualunque
punto si vada ad analizzare la concentrazione questa sarà costante (grafico 3). Quindi non avremo più
variazioni di concentrazioni di materiale poiché avrà raggiunto una condizione di equilibrio in cui gli atomi
si muovono, ma non ci sarà un flusso netto di atomi poiché viene meno la forza spingente, ovvero il gradiente
di concentrazione.

n. b.: rame e nichel possono essere messi in soluzione poiché rispettano tutte le regole empiriche di Hume-
Rothery, quindi si possono creare delle soluzioni di questi due metalli a qualsiasi concentrazione.

*Diffusione interstiziale*

Il secondo tipo di diffusione è dovuto agli atomi che migrano da una posizione interstiziale a un’altra adiacente
vuota. Questo meccanismo è tipico della interdiffusione di impurezze, come idrogeno, carbonio, azoto e
ossigeno, che hanno atomi abbastanza piccoli da poter entrare in posizioni interstiziali. Nella maggior parte
delle leghe metalliche, la diffusione interstiziale è molto più rapida della diffusione pe vacanze, in quanto gli
atomi interstiziali sono più piccoli e quindi più mobili. Inoltre, vi sono più posizioni interstiziali vuote che
vacanze, quindi la probabilità di movimenti atomici interstiziali è maggiore che per la diffusione per vacanze.

Nel meccanismo interstiziale l’atomo di b, che è molto più piccolo degli atomi di solvente, si muove saltando
da un sito all’altro sfruttando gli spazi vuoti del reticolo. Questo atomo non deve scalzare gli atomi di a dalle
loro posizioni reticolari, ma ci sarà solo una deformazione del reticolo cristallino nel suo intorno rispetto alle
posizioni originali.

Il grafico mette in evidenza la differenza


di energia necessaria per la diffusione
interstiziale rispetto a quella per
vacanze.

Da quali fattori dipendono la diffusione e la velocità della diffusione? La diffusione dipende da numerosi fattori:

- natura delle specie chimiche: i valori delle costanti dipendono dalla coppia soluto solvente, tenendo
conto anche del fatto che la coppia darà origine a soluzioni interstiziali o sostituzionali.
- Maggiori sono le vibrazioni termiche maggiore è la diffusione, il fattore fisico che può aumentare le
diffusioni termiche è la temperatura, più è alta più la diffusione aumenta.
- La concentrazione delle specie in quanto le concentrazioni di atomi di soluto influenzano la diffusività,
il gradiente di concentrazione del soluto è la forza spingente.
- Il tipo di cella elementare: ad esempio la diffusività del carbonio nel ferro CCC è 10-12 m2/s a 500°C,
molto maggiore di 5*10-15m2/s, valore della diffusività del carbonio nel ferro CFC alla stessa
temperatura. La ragione di questa differenza è che la struttura CCC ha un fattore di impaccamento di
0.68, più basso di quello della struttura CFC che è 0.74. Inoltre gli spazi interatomici tra gli atomi di
ferro sono più larghi nella struttura CCC. (la tabella si trova anche a pagina 131 del Callister).
Il coefficiente di diffusione è indice della diffusività di un solido, e tiene conto di tutte le variabili che
influiscono sulla diffusione. È dato dall’equazione:
−𝑄𝑄𝑑𝑑
𝐷𝐷 = 𝐷𝐷0 ∗ 𝑒𝑒 𝑅𝑅𝑅𝑅

Dove:

- D 0 è una costante indipendente dalla temperatura;


- Q d è l’energia di attivazione della diffusione;
- R è la costante universale dei gas R=8.62*10-5V/atomi K;
- T è la temperatura assoluta espressa in Kelvin.
LEZIONE 15 27/04/2021

La diffusione è un processo che dipende dal tempo: in termini macroscopici, la quantità di un elemento
traportata entro la struttura di un altro è funzione del tempo. Spesso è necessario conoscere quanto sia veloce
la diffusione, ossia la rapidità con cui una determinata quantità di massa si trasferisce. Questa velocità è
solitamente espressa come “flusso diffusivo” (J), definito come la massa (o in modo equivalente la quantità
di atomi) M che diffonde, nell’unità di tempo, attraverso una sezione di un solido di area unitaria in modo
perpendicolare alla superficie.
𝑀𝑀
𝐽𝐽 =
𝐴𝐴𝐴𝐴
Dove A rappresenta l’area attraverso cui si verifica la diffusione e t è il tempo di diffusione impiegato. Le unità
di misura di J sono kg/m2*s oppure atomi/ m2*s.

Per capire come avviene una diffusione si immagini di avere una membrana con una concentrazione fissa
della sostanza (c1 e c2 dove c1>c2) la stessa concentrazione c’è anche all’interno del setto al tempo t la
concentrazione esterna della membrana sarà c1 e quella interna sarà c2.

La presenza di un gradiente innesca il fenomeno della diffusione, ma bisogna fare una considerazione fisica:
per “gradiente” si intende un vettore associato ad un campo scalare, immaginando la temperatura per
esempio, il gradiente temperatura è il vettore ad essa associato con direzione e verso della massima variazione.
La condizione da correggere nella definizione da noi utilizzata, è che il gradiente punta sempre al valore più
grande, nel nostro caso la diffusione va da c2 a c1 quindi devo correggere il verso del vettore mettendo un
segno -. Ad un tempo t>t 0 , per effetto del gradiente e della diffusione, si innescherà un movimento di atomi
dalla zona sinistra alla zona destra della membrana. Indipendentemente dal numero di atomi che fluiscono
nella membrana c1 e c2 restano costanti.

Attraverso le curve rappresentate nella figura sotto si possono vedere i vari profili di concentrazione. La
concentrazione in entrata sarà sempre maggiore di quella in uscita, ma all’interno della membrana si avranno
dei passaggi: dei flussi diversi che variano a seconda del profilo di concentrazione che sono funzione della
posizione, cioè dalla distanza dalle pareti della membrana, e del tempo. Dopo un certo tempo t si ha il
cosiddetto “regime stazionario” (rappresentato dalla retta nel grafico, anche graficamente il gradiente è
costante) durante il quale il flusso diventa costante, quindi non c’è una dipendenza dal tempo, questo risponde
alla Legge di Fick. La seconda Legge di Fick è riferita a tutti gli stati prima, che non sono stazionari e sono
riferiti ad un gradiente di concentrazione che varia. Mentre nel regime stazionario il gradiente di
concentrazione resta costante, ossia si ha un equilibrio in entrata e in uscita dal setto poroso, prima di questa
fase ci sono delle fasi intermedie che puntano al raggiungimento dell’equilibrio. (Ricorda l’esempio del nichel
e del rame, tutti i passaggi preliminari al raggiungimento dell’equilibrio rispondono alla seconda legge di Fick,
lo stato all’equilibrio risponde alla prima).
La descrizione matematica della diffusione in condizioni di stato stazionario e in una singola direzione (x) è
𝑑𝑑𝑑𝑑
relativamente semplice, essendo il flusso proporzionale al gradiente di concentrazione, , secondo
𝑑𝑑𝑑𝑑
l’espressione:

𝑑𝑑𝑑𝑑
𝐽𝐽 = −𝐷𝐷
𝑑𝑑𝑑𝑑
Questa è la Prima legge di Fick. La costante di proporzionalità D è chiamata coefficiente di diffusione ed è
espressa in metri quadrati per secondo. Il segno negativo in questa espressione indica che la diffusione va in
senso contrario all’aumento di gradiente di concentrazione, e quindi da un’alta concentrazione a una bassa
concentrazione. La prima legge di Fick può essere applicata alla diffusione degli atomi in un gas attraverso
una lamina di metallo, in cui le concentrazioni (o le pressioni) delle specie che diffondono sono mantenute
costanti su entrambe le superfici. (Immagine 5.3 pagina 125 Callister).

Definizione di profilo di concentrazione: è un diagramma all’interno del quale si riporta la concentrazione C


in funzione della posizione (o distanza x) all’interno del solido. In particolare la pendenza della curva in un
particolare punto è il gradiente di concentrazione.

𝑑𝑑𝑑𝑑 Δc 𝐶𝐶𝐴𝐴 − 𝐶𝐶𝐵𝐵


𝑔𝑔𝑔𝑔𝑔𝑔𝑔𝑔𝑔𝑔𝑔𝑔𝑔𝑔𝑔𝑔𝑔𝑔 𝑑𝑑𝑑𝑑 𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐 = = =
𝑑𝑑𝑑𝑑 Δx 𝑥𝑥𝐴𝐴 − 𝑥𝑥𝐵𝐵

Ma nella maggior parte dei casi la diffusione non è stazionaria, questo vuol dire che il flusso di diffusione e il
gradiente di concentrazione variano nel tempo portando a un accumulo o a un impoverimento delle specie
che diffondono.

Questi sono i profili di concentrazione in tre tempi differenti:

𝛿𝛿𝛿𝛿 𝛿𝛿 𝛿𝛿𝛿𝛿
= (𝐷𝐷 )
𝛿𝛿𝛿𝛿 𝑥𝑥 𝑥𝑥
Questa è la Seconda legge di Fick. Se il coefficiente di diffusione è indipendente dalla composizione
(condizione che si dovrebbe verificare per ogni fenomeno di diffusione):

𝛿𝛿𝛿𝛿 𝛿𝛿 2 𝐶𝐶
= 𝐷𝐷 2
𝛿𝛿𝛿𝛿 𝛿𝛿𝑥𝑥
Le soluzioni di questa espressione (concentrazione in funzione sia della posizione che del tempo) sono
possibili solo quando sono specificate le condizioni al contorno più significative da un punto di vista fisico.
Una soluzione importante da un punto di vista pratico la si ottiene per un solido semi-infinito (se nessuno
degli atomi in diffusione raggiunge l’estremità della barra entro il tempo in cui si verifica la diffusione). Sono
inoltre fatte le seguenti assunzioni:

1. Prima della diffusione, gli atomi di soluto, che si diffonderanno, sono uniformemente distribuiti nel
solido e hanno concentrazione C 0 .
2. Il valore di x alla superficie è 0 e cresce con la distanza procedendo verso l’interno del solido.
3. Il tempo è zero un istante prima che abbia inizio il processo di diffusione.

Condizione iniziale:

𝑝𝑝𝑝𝑝𝑝𝑝 𝑡𝑡 = 0, 𝐶𝐶 = 𝐶𝐶0 𝑎𝑎 0 ≤ 𝑥𝑥 ≤ +∞

Condizioni al controllo:

- Per t>0, C=C s (concentrazione superficiale costante) a x=0


- Per t>0, C=C 0 a x=∞

L’applicazione di tali condizioni porta alla seguente equazione:


𝐶𝐶𝑥𝑥 − 𝐶𝐶0 𝑥𝑥
= 1 − erf � �
𝐶𝐶𝑠𝑠 − 𝐶𝐶0 2√𝐷𝐷𝐷𝐷
Dove:

 C x è la concentrazione alla profondità x ed al tempo t.


𝑥𝑥 𝑥𝑥
 erf � � è la funzione gaussiana i cui valori sono riportati al variare di (tabella a pagina 128 del
2√𝐷𝐷𝐷𝐷 2√𝐷𝐷𝐷𝐷
Callister)
Esercizio 1:

Si consideri la cementazione gassosa a 927°C di un ingranaggio AISI 1020 e si calcoli il contenuto di carbonio
a 0.5mm dalla superficie dell’ingranaggio e dopo 5 ore di cementazione. Si assuma che il contentuto di
carbonio sullasuperficie dell’ingranaggio diventi 0.90% e che il contenuto nominale del carbono a cuire
dell’acciaio sia 0.20%.

Dati:

D 927°C =1.28*10-11m2/s
z erf(z)
C s =0.90%
0.5 0.5202
C 0 =0.20% 0.521
0.55 0.5633
C x =?%

x=0.5mm=5*10-4s

Risoluzione:

𝐶𝐶𝑥𝑥 − 𝐶𝐶0 𝑥𝑥
= 1 − erf � �
𝐶𝐶𝑠𝑠 − 𝐶𝐶0 2√𝐷𝐷𝐷𝐷

0.9 − 𝐶𝐶𝑥𝑥 5.0 ∗ 10−4 𝑚𝑚


= erf ⎛ ⎞
0.9 − 0.2 𝑚𝑚2
2��1.28 ∗ 10 −11 � ∗ (1.8 ∗ 10 𝑠𝑠)
4
⎝ 𝑠𝑠 ⎠

𝐶𝐶𝑥𝑥 = 0.9 − 0.7 ∗ 0.538 = 0.52%

Altro esercizio importante: pagina 128/129 Callister, esercizio numero 5.2 guardalo e non fare la stupida 😊😊
LEZIONE 16 28/04/2021

I coefficienti di diffusione del rame nell’alluminio a 500°C e a 600C° sono rispettivamente D 1 = 4.8*10-14m2/s e
D 2 = 5.3*10-13m2/s. Determinare il tempo approssimativo che produce a 500°C lo stesso risultato di diffusione
che si ottiene con un trattamento termico di 10 ore a 600°C.

Risoluzione:

𝐶𝐶𝑠𝑠 −𝐶𝐶𝑥𝑥 𝑥𝑥 𝐶𝐶𝑠𝑠 −𝐶𝐶𝑥𝑥 𝑥𝑥


= erf( ) = erf( )
𝐶𝐶𝑠𝑠 −𝐶𝐶0 2�𝐷𝐷𝑇𝑇1 𝑡𝑡𝑇𝑇1 𝐶𝐶𝑠𝑠 −𝐶𝐶0 2�𝐷𝐷𝑇𝑇2 𝑡𝑡𝑇𝑇2

𝑥𝑥 𝑥𝑥
→ = → 𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠 𝑢𝑢𝑢𝑢𝑢𝑢𝑢𝑢𝑢𝑢𝑢𝑢 𝑠𝑠𝑠𝑠 𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠 𝑢𝑢𝑢𝑢𝑢𝑢𝑢𝑢𝑢𝑢𝑢𝑢 𝐷𝐷600 ∗ 𝑡𝑡600 = 𝐷𝐷500 ∗ 𝑡𝑡500 →
2�𝐷𝐷𝑇𝑇1 𝑡𝑡𝑇𝑇1 2�𝐷𝐷𝑇𝑇2 𝑡𝑡𝑇𝑇2

𝐷𝐷600 ∗ 𝑡𝑡500
𝑡𝑡500 = = 110.4ℎ
𝐷𝐷500

I sistemi a controllo distribuito sono con un’interfaccia grafica e permettono alla macchina di fare i vari
processi e tenerli sotto controllo.

I difetti di linea

Una dislocazione è un difetto lineare o monodimensionale intorno a cui gli atomi non sono posizionati
correttamente rispetto alle posizioni che dovrebbero avere nel reticolo perfetto. Abbiamo diversi tipi di difetti
lineari:

- A cuneo, (o a spigolo): si tratta di un difetto lineare in cui si trova una porzione di un piano aggiuntivo
di atomi, o semipiano. È centrato intorno alla linea che viene definita dall’estremità del semipiano
aggiuntivo di atomi, proprio per questo viene definito difetto lineare. Questa linea è talvolta
denominata linea di dislocazione, per la dislocazione a spigolo, è perpendicolare al piano del foglio
(entrante). Il difetto è dovuto alla presenza nel reticolo di un semipiano aggiuntivo: le distorsioni del
reticolo si localizzano entro una determinata area, intorno alla linea di dislocazione. Gli atomi che si
trovano al di sopra della linea di dislocazione in figura sono compressi fra loro, e quelli al di sotto
sono sottoposti a trazione. Questo effetto si traduce in una leggera incurvatura dei piani verticali di
atomi che si flettono intorno a questo piano aggiuntivo. L’ampiezza di questa distorsione diminuisce
con la distanza dalla linea di dislocazione; in posizioni lontane il reticolo cristallino è praticamente
perfetto.
Come si misurano le distorsioni? Qui bisogna introdurre un nuovo concetto: il vettore di Burgers. Definito con
b, indicano l’ampiezza e la direzione della distorsione del reticolo.

Per i difetti a cuneo: bisogna prendere una regione del reticolo cristallino ed effettuare una circuitazione
scegliendo un pass, nel caso della figura il passo=3. Se ci trovassimo in un reticolo privo di difetti facendo una
circuitazione ci ritroveremmo al punto di partenza, chiudendo quindi il circuito.

Figura (b), si inizia la circuitazione passando per la dislocazione altrimenti non darebbe alcuna informazione
sulla sua entità, si potrà subito notare dalla figura che, scegliendo un passo, comunque il circuito non si
chiuderà. Qui entra in gioco il vettore di Burgers: la cui direzione è indicata dalla retta congiungente il primo
atomo e l’ultimo atomo della circuitazione, il verso va dall’atomo iniziale all’atomo finale, mentre il modulo è
dato dalla distanza tra l’atomo d’inizio e quello finale.

Se si dovesse applicare uno sforzo di taglio ad un reticolo privo di difetti, cosa accadrebbe al materiale?

Innanzitutto una forza di taglio è una forza che viene applicata sulla base superiore di un rettangolo e che lo
trasforma in un parallelogramma (tipo esempio del libro), un corpo sottoposto ad una forza di taglio è soggetto
ad uno sforzo di taglio. Ci sarà una sezione in cui si romperanno tutti i legami e il materiale subirà una rottura
istantanea di tipo fragile. Dacché il reticolo era integro si romperanno tutti i legami.

Cosa succede ad un metallo per effetto del legame metallico e della presenza dei semipiani? Fino a quando non si
rompono tutti i legami, grazie alla presenza delle distorsioni viene assorbita parte dell’energia, e si vengono a
creare dei legami con il semipiano slittato, poiché, per diminuire le tensioni all’interno del sistema, il sempiano
andrà a formare dei legami.

A livello macroscopico il metallo ha subito distorsioni? Se si, di tipo elastico o di tipo plastico? La deformazione plastica
è determinata dal movimento di un gran numero di dislocazioni. Una dislocazione a spigolo si muove se si
applica uno sforzo di taglio nella direzione perpendicolare al suo asse. Nella figura in basso viene
rappresentata la meccanica del moto delle dislocazioni, sia il piano A l’iniziale semipiano aggiuntivo di atomi.
Quando viene applicato lo sforzo di taglio il piano A viene sollecitato verso destra e questo causa un
conseguente spostamento dei piani B, C e D nella stessa direzione. Se lo sforzo di taglio è sufficientemente
grande i legami interatomici del piano B vengono recisi lungo il piano di taglio e la metà superiore del piano
B diventa il semipiano aggiuntivo non appena il piano A si collega con la metà inferiore del piano B. questo
processo avviene per tutti i piani di modo che il semipiano aggiuntivo si muova da sinistra verso destra. Prima
e dopo il moto di una dislocazione attraverso alcune particolari regioni del cristallo, la disposizione degli atomi
è ordinata e perfetta, è solo durante il passaggio del semipiano aggiuntivo che la struttura reticolare viene
scomposta.
Il processo che produce deformazione plastica è chiamato scorrimento, il piano cristallografico lungo il quale
si sposta la dislocazione è il piano di scorrimento. Il moto delle dislocazioni è analogo a quello di un bruco

La dislocazione nei metalli garantisce e determina il loro comportamento duttile, cioè garantisce la possibilità
di una deformazione permanente a valle della deformazione elastica e a monte della rottura del materiale. Se
non ci fossero le dislocazioni e se queste non si potessero muovere ne reticolo avremmo una struttura fragile
dei metalli.

Per i materiali metallici il vettore di Burgers si orienta nella direzione cristallografica a maggiore densità
atomica.

Dobbiamo trovare delle relazioni che caratterizzano la dislocazione a cuneo:

a) Il vettore di Burgers è perpendicolare alla linea di dislocazione;


b) Il vettore di Burgers è parallelo al movimento della dislocazione;
c) La direzione del movimento della dislocazione è parallela allo sforzo di taglio.

- A vite: può essere immaginata come ottenuta da uno sforzo di taglio che determina la distorsione
rappresentata in figura. La regione superiore anteriore del cristallo risulta slittata di una distanza
interatomica a destra rispetto alla porzione inferiore. La distorsione atomica associata con una
dislocazione a vite è anch’essa lineare ed è localizzata lungo un asse di dislocazione, cioè la linea AB
in figura. Le dislocazioni a vite derivano il loro nome dal percorso a spirale o elicoidale o dalla rampa
che si deve percorrere girando sui piani atomici intorno alla linea di dislocazione. Per designare una
dislocazione a vite si usa il simbolo:

La linea di dislocazione punta verso la vite stessa.

Come individuare il vettore di Burgers: chiaramente avrà caratteristiche differenti da quelle descritte per i
difetti a spigolo. Il vettore di Burgers sarà perpendicolare al movimento della dislocazione, parallelo alla linea
di dislocazione e la direzione del movimento della dislocazione sarà perpendicolare allo sforzo di taglio.
Gli atomi intorno al reticolo difettivo sono quelli con livello energetico superiore, aumentando il vettore di
Burgers, aumenteranno gli atomi con energia maggiore. Il sistema è quindi caratterizzato da una sollecitazione
nell’intorno del difetto stesso, poi abbiamo visto come gestire o introdurre questi difetti.

- Mista: la maggior parte delle dislocazioni che si trovano in un materiale cristallino non sono
probabilmente né a spigolo né a vite, ma presentano componente di entrambi questi tipi: sono quindi
definite dislocazioni miste.

Sistemi di scorrimento.

Il movimento delle dislocazioni avviene in maniera preferenziale in sistemi di scorrimento caratterizzati da


piani di scorrimento e direzioni ad essi associate. Sia da un punto di vista numerico, che di tipologia, cambiano
da cella a cella. I piani di scorrimento sono i piani nei quali si ha la massima densità planare, mentre nelle
direzioni si ha la massima densità lineare.

- Per le celle CFC i piani di scorrimento sono quelli che congiungono tre diagonali delle facce abbiamo
la massima densità perché ci sono anche gli atomi al centro delle facce. Il sistema di scorrimento sarà
caratterizzato da 12 parametri di scorrimento.

- Per le celle CCC i piani di scorrimento sono sei e sono tutti quelli che passano per il centro del cubo.
Su questi 6 piani abbiamo 2 direzioni di scorrimento che sono le diagonali del cubo. Abbiamo quindi
12 sistemi di scorrimento

Porca puttana questa lezione è Satana.


- Per le celle esagonali compatte abbiamo un solo piano di scorrimento con 3 direzioni, quindi i sistemi
di scorrimento sono solamente 3.

Viste queste caratteristiche quale tra le celle CFC, CCC e esagonale compatta darà più duttilità ad un metallo? Esagonale
compatta sarà quella che garantirà minor duttilità, perché ha solo 3 piani di scorrimento, quindi i sistemi su
cui si possono muovere le dislocazioni sono molto pochi.

Mentre tra CCC e CFC i sistemi sono uguali in numero, ma diversi nella composizione: vediamo per esempio
le direzioni di scorrimenti in CCC e CFC.

Per ogni differente struttura cristallina esistono dei sistemi di scorrimento. Per la struttura CCC i sistemi sono
meno compatti dei sistemi per CFC e EC. I valori di forza necessari per permettere lo scorrimento nei metalli
CCC sono perciò più alti.

Il lavoro è definito come il prodotto scalare tra Forza e Spostamento, all’interno di una cella lo spostamento è
√3
dato da: nella CCC deve compiere metà della diagonale del cubo , nella CFC deve fare uno spostamento
2𝑎𝑎
√2
pari alla diagonale della faccia del cubo, ovvero , quale distanza è minore? Quella della CFC! Quindi nella
2𝑎𝑎
CFC si compie meno lavoro. In ordine crescente di duttilità: EC, CCC e poi CFC. Oltre a questo bisogna pensare
che le CCC a temperatura ambiente sfruttano pochi piani di scorrimento poiché necessitano di molta energia.
Questo implica che alcuni metalli con celle CCC presentano una transizione di duttilità proporzionale alla
temperatura.

///

Le dislocazioni possono formarsi nei cristalli come risultato di cattivo accrescimento, ma anche in seguito a
deformazioni meccaniche. Esse possono muoversi attraverso i cristalli per applicazione di una forza, e la
maggiore è la facilità con cui slittano i piani atomici che le contengono, spiegano la duttilità dei materiali reali.
In un metallo la densità di dislocazioni può essere pari a 107/108 cm-2.
LEZIONE 17 05/05/2021

Recap sulla lezione precedente:

La presenza delle dislocazioni nei materiali metallici permette la deformazione plastica. Sfruttando dei sistemi
di scorrimento, caratterizzati da piani di scorrimento e direzioni di scorrimento, si riesce, tramite la rottura di
un numero limitato di legami, ad espellere queste dislocazioni e quindi a deformare il metallo senza romperlo.
La presenza delle sole dislocazioni non basta a determinare un comportamento duttile del materiale; bisogna,
infatti, vedere anche il tipo di legame presente in quel determinato materiale.
Ad esempio, nei metalli, abbiamo un numero elevato di dislocazioni e gli atomi sono legati all’interno del
reticolo con legami metallici; ci sono, quindi, cationi immersi in un mare di elettroni e questo facilita il
movimento delle dislocazioni.
Invece nei materiali ceramici, dove già il numero di dislocazioni è più basso, i legami presenti sono di tipo
ionico e covalente e c’è un numero minore di dislocazioni. A causa del legame, quando le dislocazioni provano
a muoversi, hanno dei vincoli aggiuntivi. Per esempio, nel caso del legame covalente, il vincolo è dato dalla
rigidità del legame che è direzionale, e quindi deve garantire la massima sovrapposizione degli orbitali.
Invece, nel caso di legami ionici, la dislocazione, nel suo movimento, incontrerebbe degli ioni (anioni e cationi)
e quindi si innescherebbero delle forze elettrostatiche di repulsione, che bloccherebbero il movimento delle
dislocazioni.
Le dislocazioni sono quindi necessarie ma NON sufficienti per avere un comportamento duttile; oltre alla
presenza delle dislocazioni, ci deve essere infatti anche la possibilità delle dislocazioni di potersi muovere
(questa possibilità si ha nei legami metallici ma non nei legami ionici e covalenti). Per questo motivo, i materiali
ceramici hanno una rottura fragile, ovvero hanno un primo tratto elastico dopo il quale però si rompono, con
lo sforzo che va direttamente a 0.

Scorrimento nei monocristalli.

Come già detto le dislocazioni si muovono a seguito dell’applicazione di sforzi di taglio che agiscono lungo
un piano di scorrimento e in una determinata direzione. Ma anche all’applicazione di una sollecitazione di
pura trazione (o di compressione) si possono ottenere componenti di taglio in tutte le direzioni, fatta eccezione
per le direzioni parallele e perpendicolari a quelle degli sforzi di taglio indotti (𝜏𝜏𝑅𝑅 ).
Immaginiamo di avere un materiale come quello in figura (un provino) e supponiamo che su questo materiale
agisca una forza applicata di trazione. In particolare, analizziamo il caso di un monocristallo; nella pratica ciò
non esiste. Infatti, tutti i materiali tendono ad essere policristallini. Scegliamo un monocristallo in quanto,
facendo questa scelta, non abbiamo grani orientati in maniera differente e quindi è più facile analizzare il tutto.
Consideriamo, quindi, questo materiale monocristallino, con uno sforzo di trazione applicato (sulla superficie
𝐴𝐴), ovvero una forza che tende ad allungarlo; questa forza sarà la forza esterna applicata. Quello che dobbiamo
capire è come questo sforzo di trazione si ribalta, su un sistema di scorrimento specifico (e quindi su piani e
direzioni di scorrimento) in termini di sforzo di taglio, che è proprio quello che determina il movimento della
dislocazione. Dato uno sforzo di taglio applicato su una superficie, come si traduce in uno sforzo di taglio su
un piano di scorrimento.

𝜏𝜏𝑅𝑅 = 𝜎𝜎 𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐 𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐Φ

Per fare ciò, necessitiamo di due informazioni basilari, ovvero due angoli:
• 𝜆𝜆 è l’angolo che si forma fra la forza 𝐹𝐹 applicata e la direzione di scorrimento:
• Φ è l’angolo che si forma fra la normale alla superficie su cui sta agendo la forza 𝐹𝐹 e la normale al piano
di scorrimento.

Se quello in verde (prima figura) è il piano di scorrimento, che contiene appunto la direzione di scorrimento,
devo capire come la forza 𝐹𝐹 si va a tradurre, in termini di sforzo di taglio, sul sistema di scorrimento. Devo
quindi trovare 𝐹𝐹𝑠𝑠 , ovvero la forza che determinerà il movimento della dislocazione. Se la forza di taglio 𝐹𝐹𝑠𝑠 la
divido per la superficie 𝐴𝐴𝑠𝑠 , superficie dove viene esercitato lo sforzo di taglio, ottengo lo sforzo di taglio su
𝐹𝐹
quella superficie. Ho così ottenuto lo sforzo di taglio 𝜏𝜏𝑅𝑅 = 𝑠𝑠 , che viene anche chiamato tensione di taglio
𝐴𝐴𝑠𝑠
risolta. Viene così chiamata poiché, partendo dalla forza 𝐹𝐹, calcolo 𝜏𝜏𝑅𝑅 , ovvero lo sforzo di taglio sulla superficie
𝐴𝐴𝑠𝑠 . 𝜏𝜏𝑅𝑅 può essere calcolato facendo uso degli angoli 𝜆𝜆 e Φ. Dati 𝐹𝐹 e 𝜆𝜆, 𝐹𝐹𝑠𝑠 non è altro che la proiezione della forza
𝐹𝐹 sulla direzione in cui sta agendo la forza; quindi 𝐹𝐹𝑠𝑠 = 𝐹𝐹 ∗ cos 𝜆𝜆 . Invece, per quanto riguarda l’individuazione
della superficie su cui avviene lo scorrimento, o che 𝐴𝐴 non è altro che la proiezione fatta, rispetto a Φ, dell’area
𝐴𝐴
𝐴𝐴𝑠𝑠 ; quindi, ottengo che 𝐴𝐴 = 𝐴𝐴𝑠𝑠 cos 𝛷𝛷 , da cui ricavo che 𝐴𝐴𝑠𝑠 = (𝐴𝐴𝑠𝑠 è la superficie su cui avviene lo
cos 𝛷𝛷
𝐹𝐹𝑠𝑠
scorrimento). Poiché lo sforzo (o tensione) di taglio 𝜏𝜏𝑅𝑅 = , sostituendo quello appena trovato, ottengo che:
𝐴𝐴𝑠𝑠
𝐹𝐹∗𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐 𝜆𝜆 𝐹𝐹∗𝑐𝑐𝑐𝑐 𝑠𝑠 𝜆𝜆∗cos 𝛷𝛷 𝐹𝐹
𝜏𝜏𝑅𝑅 = 𝐴𝐴 = . , che non è altro che lo sforzo esterno che sto applicando, lo chiamerò 𝜎𝜎. Quindi
𝐴𝐴 𝐴𝐴
cos 𝛷𝛷
𝜏𝜏𝑅𝑅 = 𝜎𝜎 𝑐𝑐𝑐𝑐 𝑠𝑠 𝜆𝜆 cos 𝛷𝛷 è la tensione di taglio esercitata sul sistema di scorrimento in una particolare direzione,
quando esternamente applico una forza 𝐹𝐹 su un’area 𝐴𝐴.
Ricordiamo che quello che stiamo facendo è di trovare, partendo da una forza 𝐹𝐹 su un’area 𝐴𝐴, su uno specifico
sistema di scorrimento, quale sarà la forza di taglio esercitata sul sistema stesso (così posso capire se la
dislocazione si muoverà in quel sistema). Questo bisogna farlo poiché le dislocazioni si muovono su un sistema
specifico di scorrimento e verranno attivate quando su quel sistema di scorrimento, ovvero su quel
determinato piano e in quella determinata direzione, lo sforzo che agirà supererà un certo valore di soglia.
Questo valore soglia viene chiamato tensione di taglio critica, ed è proprio ciò che permette di far avvenire il
movimento della dislocazione. Da un punto di vista macroscopico, questo corrisponde allo sforzo di
snervamento, ed è il punto in cui cessa la deformazione elastica ed inizia la deformazione plastica del
materiale.
Data 𝜏𝜏𝑅𝑅 = 𝜎𝜎 𝑐𝑐𝑐𝑐 𝑠𝑠 𝜆𝜆 cos 𝛷𝛷, il prodotto fra i coseni dei due angoli viene chiamato coefficiente di Schmdit.
Una volta che conosco lo sforzo di taglio che sta agendo sulla superficie di scorrimento in una determinata
direzione, posso confrontarlo con lo sforzo di taglio critico, che so essere la soglia minima per poter muovere
la dislocazione; facendo questo confronto, posso capire se il materiale in esame si deformerà o no.
Naturalmente, se l’angolo 𝜆𝜆 fra 𝐹𝐹 e 𝐹𝐹𝑠𝑠 è 90°, la tensione di taglio risolta sarà 0 poiché il coseno di 90° è 0. Allo
stesso modo, se lo sforzo esterno agente è parallelo alla superficie, e quindi 𝛷𝛷 è 90°, il coseno di 90 sarà 0 e
quindi anche la tensione di taglio risolta sarà 0. La tensione di taglio risolta è invece massima quando sia 𝛷𝛷
che 𝜆𝜆 sono 45°.
Quindi conoscendo gli angoli 𝜆𝜆 e 𝛷𝛷, la forza esterna 𝐹𝐹 e l’area 𝐴𝐴 su cui applico la forza, posso stabilire cosa
succederà su quel particolare sistema di scorrimento.

ESERCIZIO SUL CALCOLO DEL FATTORE DI SCHMIDT:

Calcolare il fattore di Schmidt nel caso di una cella cubica CFC, con la forza F che agisce nella direzione 11� 0.
Individuo innanzitutto i due angoli 𝜆𝜆, che è l’angolo che si forma fra la forza 𝐹𝐹 applicata e la direzione di
scorrimento, e 𝛷𝛷 , che è l’angolo che si forma fra la normale alla superficie su cui sta agendo la forza 𝐹𝐹 e la
normale al piano di scorrimento (il piano di scorrimento in una cella CFC è quello tracciato dalle diagonali
delle 3 facce, grigio in figura; le direzioni di scorrimento sono le diagonali).
Ora, per ottenere gli angoli, basta fare il prodotto scalare tra 𝐹𝐹 e 𝐹𝐹𝑠𝑠 e fra 𝐹𝐹 e 𝐴𝐴.Il prodotto scalare lo posso fare
o facendo il prodotto dei due moduli moltiplicati per il coseno dell’angolo compreso, oppure utilizzando le
coordinate, facendo la somma dei prodotti delle rispettive coordinate. Ricordiamoci che la direzione normale
ha gli stessi indici del piano.

𝐹𝐹⃗ ∙ ���⃗
𝐹𝐹𝑠𝑠 = [1 0 0] ∙ �1 1 0� = (1 ∗ 1) + (−1 ∗ 0) + (0 ∗ 0) = 1
𝐹𝐹(𝐹𝐹𝑠𝑠 )𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐 = 1 → |𝐹𝐹| |𝐹𝐹𝑠𝑠 |𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐 = �12 + 02 + 02 ∗ �12 + (−1)2 + 0 ∗ 𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐 = 1
1
→ 𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐 = → 𝜆𝜆 = 45°
√2

𝐹𝐹⃗ ∙ 𝐴𝐴⃗ = [1 0 0] ∙ [1 1 1] = 1
𝐹𝐹(𝐴𝐴)𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐Φ = 1 → |𝐹𝐹||𝐴𝐴|𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐 = �12 + 02 + 02 ∗ �12 + 12 + 12 𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐Φ = 1
1
→ 𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐Φ = → Φ = 54.7°
√3

1 1
𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐 𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐𝑐Φ = ∗ = 0.408
√3 √2

Infine, devo capire se lo sforzo che agisce sul piano 111 nella direzione 11� 0, è sufficiente per far muovere la
dislocazione su quel sistema di scorrimento; devo quindi confrontare questo sforzo di taglio con lo sforzo
critico.

ESERCIZIO 2:
Si consideri un singolo cristallo di alluminio su cui viene applicato uno sforzo di taglio (di trazione). L’angolo
formato tra l’area e il piano di scorrimento è fisso, ed è 28,1° (angolo 𝛷𝛷). All’interno di questo piano di
scorrimento si ha la possibilità di avere 3 direzioni di scorrimento, che formano, con lo sforzo di taglio che
agisce su quella superficie, 3 angoli differenti (𝜆𝜆): 62.4°, 72.0°, 81.1°.
Interpretare su quale direzione la dislocazione sceglierà di muoversi e calcolare lo sforzo di taglio, sapendo
che lo sforzo esterno applicato 𝜎𝜎 = 1,95 𝑀𝑀𝑀𝑀𝑀𝑀.
Per rispondere alla prima domanda, bisogna trovare quell’angolo tale per cui la proiezione di quella forza, in
quella direzione, è la massima possibile. Poiché la proiezione è legata al 𝑐𝑐𝑐𝑐 𝑠𝑠 𝜆𝜆, esso sarà tanto più grande
quanto 𝜆𝜆 è piccolo. Quindi, sarà privilegiata la direzione relativa all’angolo 𝜆𝜆 più piccolo, ovvero 62,4°. Di
conseguenza, lo sforzo di taglio avverrà sempre sulla direzione relativa a quest’angolo. Per calcolare la
tensione di taglio risolto utilizzo la formula: 𝜏𝜏𝑅𝑅 = 𝜎𝜎 𝑐𝑐𝑐𝑐 𝑠𝑠 𝜆𝜆 cos 𝛷𝛷 = 0,80 𝑀𝑀𝑀𝑀𝑀𝑀. Poiché la dislocazione si sta
muovendo, lo sforzo di taglio è quello critico, ovvero quello che determina la deformazione plastica. Quando
questo avviene 𝜎𝜎 viene chiamato 𝜎𝜎 di scorrimento. Quindi, in quella direzione e su quel piano di scorrimento,
lo snervamento, ovvero il movimento della dislocazione, avverrà quando lo sforzo agente su quel sistema di
scorrimento sarà 0,80 𝑀𝑀𝑀𝑀𝑀𝑀.
I difetti di superficie.

Immaginiamo di partire dallo stato liquido di un metallo e cominciamo ad abbassare la temperatura. Quando
si raggiungerà la temperatura di solidificazione, nel sistema si formeranno dei nuclei solidi; questi nuclei sono
molto ballerini, ovvero come si formano si dissolvono. Ci sono però dei nuclei che raggiungono dimensioni
tali da rimanere stabili; è proprio intorno a questi nuclei stabili che cresce il cristallo. Quindi, alla temperatura
di solidificazione si formano questi nuclei stabili; ognuno di questi nuclei cresce e dà origine ad un grano,
ovvero una porzione di materia caratterizzata da una specifica orientazione del reticolo (ogni grano ha
orientazione del reticolo differente).
Quando abbiamo un unico cristallo, con un unico orientamento, il materiale è monocristallino; quando si
formano grani con diverse orientazioni, il materiale è policristallino.
Quindi, nel momento in cui il liquido metallico solidifica, solidifica attraverso un processo di nucleazione e
cristallizzazione, ovvero si formano tanti nuclei; alcuni di essi sono stabili. Sui nuclei stabili avviene
l’accrescimento, in direzioni però differenti. Si origina così un policristallino.
Poiché ogni grano è caratterizzato da un’orientazione differente, il difetto di superficie si trova sui bordi dei
grani; infatti, la diversa orientazione fa sì che si perda la regolarità del cristallo.
Oltre al difetto legato ai bordi di grano, esiste anche un altro difetto che è quello relativo alla superficie esterna,
cioè quello dove manca la regolarità poiché non ci sono gli altri atomi dello stesso materiale, esternamente.
Quindi, superfici esterne bordi di grano rappresentano i difetti di superficie.
I grani possono essere osservati mediante microscopio ottico ed elettronico, a seconda di quanto sono piccoli
i grani presi in esame. Se prendo un materiale e lo analizzo sotto un microscopio ottico o elettronico, non vedo
nulla, poiché la naturale tendenza di un metallo è quello di ossidarsi; si forma quindi una patina, che maschera
quello che c’è sotto. Quindi, la prima cosa da fare è una lappatura al materiale: con dei panni ed una soluzione
contenente delle piccole particelle, si riesce a lavorare sulla superficie e togliere lo strato di ossido. Anche in
queste condizioni però, continuerò a non vedere nulla: avrò una superficie lucida a specchio, ma non vedrò i
grani. Per riuscire a vederli devo fare un etching chimico, cioè devo prendere questi pezzi di metallo, tagliati
in modo tale che siano planari, ed immergerli in soluzioni acide, legate al tipo di metallo da analizzare. Lo
immergo e poi lo estraggo; questo acido attacca il metallo in maniera differenziale fra le regioni cristalline e i
bordi di grano. Poiché i bordi di grano sono delle regioni difettive, sono più reattive e quindi lì verrà asportato
più materiale. A questo punto possiamo utilizzare il microscopio.

Quando vado a vedere cosa succeed, il fatto che le regioni del bordo siano ad una profondità differente rispetto
alla superficie dei grani si possono ottenere immagini differenziate. Il difetto di superficie è legato alla diversa
orientazione dei grani e sono regioni più reattive rispetto alle regioni cristalline interne.
LEZIONE 18 07/05/2021

Definizione: se in un solido cristallino gli atomi sono perfettamente ordinati secondo una ripetizione periodica
che si estende nell’intero campione senza interruzione si ottiene un monocristallo. I monocristalli esistono in
natura ma possono essere anche prodotti artificialmente.

La gran parte dei solidi cristallini è costituita da un insieme di cristalli molto piccoli chiamati grani; tali
materiali sono detti “policristallini”.

Quando abbiamo un materiale liquido e abbassiamo la temperatura fino alla temperatura di solidificazione, si
verranno a formare dei nuclei solidi che possono crescere o dissolversi a seconda delle loro dimensioni, se un
nucleo è stabile crescendo darà origine a un grano siccome i nuclei sono tanti otterremo un materiale
policristallino (con più grani) è molto difficile e costoso creare un materiale monocristallino, questa è una
tecnica molto utilizzata in ambito elettronico, in ambito ingegneristico ho solo materiali policristallini. I nuclei
sono orientati secondo direttrici differenti. Quando la solidificazione è stata completata avrò un materiale
policristallino con regioni di contatto tra un grano e l’altro, e per effetto della diversa orientazione dei grani

Cosa dobbiamo tirare fuori da un’analisi morfologica e microstrutturale fatta al microscopio ottico o
elettronico? Innanzitutto per “microstruttura” si intendono tutte le caratteristiche individuabili con i
microscopi. Siccome la dimensione dei grani incide sulle proprietà dei metalli, allora la ASTM (American
Society for Testing and Materials) fa delle pubblicazioni annuali che contengono degli standard riguardanti le
tecniche di prova delle proprietà meccaniche dei materiali. Qualunque prova può essere pubblicata solo se
codificata utilizzando una normativa, nelle stesse condizioni e materiale.

Quando si devono esaminare le proprietà di un materiale policristallino, spesso si misura la “dimensione del
grano”, che si può individuare grazie all’utilizzo di diverse tecniche, ma che, grazie alle nuove tecnologie, ad
oggi si può ottenere con il “metodo del confronto” (vedi pagina 115 Callister), definito e brevettato dall’ASTM:

𝑁𝑁 = 2𝑛𝑛−1

Dove n è il numero di dimensione del grano, quando andremo a comprare un acciaio troveremo questa
indicazione, che indica la dimensione indiretta del grano; N è il numero di grani presenti in un inch2 in
un’immagine scattata a 100x: tutti i grani completamente presenti valgono 1, quelli presenti parzialmente
1
valgono .
2

ESEMPIO 1:

La determinazione ASTM della dimensione del grano viene eseguita partendo da una microgra di un merallo
con ingrandimento 100x. Qual è il numero della dimensione del grano del metallo se ci sono 64 grani per inch2
(1 inch=25.7mm).

Soluzione:
𝑔𝑔𝑔𝑔𝑔𝑔𝑔𝑔𝑔𝑔
64 = 2𝑛𝑛−1 →
𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖𝑖ℎ2
log 64 = (𝑛𝑛 − 1)(𝑙𝑙𝑙𝑙𝑙𝑙2) → 1.806 = (𝑛𝑛 − 1) ∗ 301 → 𝑛𝑛 = 7

A numeri di dimensioni del grano più grandi corrispondono dimensioni di grano più piccole poiché ce ne
sono di più.

ESEMPIO 2: Se ci sono 60 grani per inch2 a 200x, allora a 100x avremo:

200 2 𝑔𝑔𝑔𝑔𝑔𝑔𝑔𝑔𝑔𝑔
𝑁𝑁 = � � �60 � = 240 = 2𝑛𝑛−1 → log 240 = (𝑛𝑛 − 1)𝑙𝑙𝑙𝑙𝑙𝑙2 → 2.380 = (𝑛𝑛 − 1)(0.301) → 𝑛𝑛 = 8.91
100 𝑖𝑖𝑖𝑖2
///

Quello che abbiamo analizzato con le micrografie è la microstruttura; la microstruttura è l’insieme di


caratteristiche che va dal numero di fasi presenti (nel sistema) alla loro distribuzione, forma geometrica,
frazione in volume di ciascuna delle fasi presenti e le dimensioni dei grani. È una tecnica molto importante
nell’analisi di un metallo.

Dobbiamo ora unire tutte le informazioni per sfruttarle da un punto di vista tecnologico. Poiché ogni difetto
può essere sfruttato per manipolare le caratteristiche del materiale considerato. Essenzialmente il problema è
che esistono diversi metalli troppo duttili per poter svolgere dei compiti specifici, uno dei problemi che ci si
pone è quindi quello di aumentare lo sforzo di snervamento, cioè aumentare lo sforzo necessario per attuare
il processo di deformazione plastica, e rendere il materiale meno duttile. Ci sono una serie di sistemi che
sfruttano la presenza di questi difetti:

- Dimensione del grano cristallino


- Strutture con più fasi metalliche
- Indurimento da soluzione solida
- Indurimento da precipitazione
- Indurimento dovuto a dispersione di particelle ceramiche fini
- Rafforzamento dovuto a fibre
- Strutture di incrudimento
- Orientazione preferenziale dei grani cristallini

Quali sono i meccanismi che determinano un indurimento nel momento in cui faccio una di queste operazioni?

1. Indurimento per soluzione solida:

(Esempio) Da questo diagramma si nota che, guardando una singola curva, l’elemento in lega aumenta lo
sforzo di snervamento a prescindere dall’elemento considerato. Analizzando i vari comportamenti qual è
l’informazione che posso estrarre? Mettere Zn o Be è la stessa cosa? No, infatti per piccolissime quantità
di Berillio aumenta esponenzialmente lo sforzo di snervamento. Qualunque soluto si metta nel solvente si
avrà un incremento diverso a seconda dell’atomo inserito. Ciò dipende dalle dimensioni dell’atomo,
poiché all’aumentare di queste, aumenta la dislocazione e quindi la distorsione del reticolo, qualunque
variazione energetica del reticolo è un ostacolo per la dislocazione, quindi questa avrà bisogno di più
energia per poter andare oltre. Come risultato macroscopico avrò un aumento dello sforzo di snervamento
che è sintomo della deformazione del reticolo e del movimento delle dislocazioni. Facendo una soluzione
solida quindi il materiale diventa meno duttile, un esempio sono leghe di argento o di oro.

2. Cosa ci aspettiamo si verifichi con la diminuzione della dimensione del grano? Lo sforzo di
snervamento aumenta o diminuisce? Aumenta perché, diminuendo la dimensione del grano, aumenta
il difetto di superficie, e aumenta il numero di bordi di grano a parità di volume, che sono un locus
difettivo del reticolo. Accade quindi che la dislocazione, arrivata sul bordo di grano non ha più una
regolarità del reticolo cristallino per continuare a muoversi, quindi ha bisogno di più energia. A mano
a mano che le dislocazioni si stanno muovendo per effetto della sollecitazione, si vanno ad impilare
sui bordi di grano, cioè cominciano ad accumularsi sui bordi di grano poiché dovrebbero avere un
‘energia elevata per poter procedere oltre il bordo di grano. Continuano a spingere fino a quando,
spingendo, non hanno la forza necessaria per andare oltre.

Può accadere che il materiale si rompa. Quando ciò accade, tutte le dislocazioni che erano impilate sono libere
di muoversi, liberando energia.

Quindi, diminuendo la dimensione del grano, le dislocazioni sono meno libere di muoversi; esse si
muoveranno all’interno del grano ma andranno ad impilarsi nei bordi di grano, poiché sono regioni
difettive

Da un punto di vista tecnologico come si varia la dimensione del grano?

Per variare la dimensione media del grano si agisce sulla velocità di diffusione e la velocità di nucleazione.
Bisogna quindi andare a regolare il numero di nuclei stabili che si formano e la velocità con cui questi nuclei
si accrescono.

Che è effetto ha la temperatura su questi due parametri? Immaginiamo di essere in una situazione in cui la
temperatura è poco più bassa di quella di solidificazione. La velocità di nucleazione è bassa poiché siamo vicini
all’equilibrio, poiché il sistema ancora non sa se deve procedere verso la fase solida o verso la fase liquida,
quindi la maggior parte dei nuclei che si formano si dissolvono nuovamente, mentre alcuni diventano stabili.
Quest’ultimi, essendo stabili, si accrescono. La velocità di accrescimento, essendo legata al movimento di
diffusione (la diffusione aumenta all’aumentare della temperatura), sarà elevata. Quindi avremo pochi
nuclei che crescono velocemente, poiché il coefficiente di diffusione, a temperature elevate, è alto, quindi è
facilitato il movimento della materia. Inoltre, i grani saranno grandi.

Immaginiamo che il materiale solidifichi a 1900°C e che, dalla fase liquida, sottoraffreddiamo il liquido a
700°C. La velocità di nucleazione è alta poiché il sistema è instabile in fase liquida a quella temperatura: quindi
comincerà a nucleare. Questi nuclei crescono lentamente poiché la diffusione è legata alla temperatura, e
quest’ultima è più bassa, avremo quindi tanti nuclei che crescono poco. I grani che si ottengono saranno
piccoli. In base al sottoraffreddamento si riesce a gestire la dimensione dei grani. I grani più piccoli
corrispondono a materiali più duri, poiché bloccano il movimento delle dislocazioni. Ciò viene espresso dalla
relazione di Hall- Petch. Questa relazione dice mette in evidenza come lo sforzo di snervamento sia legato alla
dimensione dei grani, in un certo range di dimensione del grano, dalla seguente relazione:
1
𝜎𝜎0 = 𝜎𝜎𝑖𝑖 + 𝐾𝐾𝐷𝐷 −2

Dove:

- 𝜎𝜎0 è lo sforzo di snervamento;


- 𝜎𝜎𝑖𝑖 è lo stress che si oppone al movimento delle dislocazioni (stress di frizione), dipende dal materiale;
- 𝐾𝐾 è la costante di disancoraggio, dipende dal materiale;
- 𝐷𝐷 è la dimensione media del grano.

Se D diminuisce, 𝝈𝝈𝟎𝟎 aumenta.

Da un punto di vista sperimentale è possibile trovare 𝜎𝜎𝑖𝑖 e 𝐾𝐾 prendendo un materiale in cui i vari pezzi hanno
diverse dimensioni del grano. Al fine di capire se siamo in un range in cui la relazione vale si effettuano delle
prove in cui si va misurare il valore di 𝝈𝝈𝟎𝟎 corrispondente a diversi valori di D, con il fine di effettuare una
linearizzazione del processo, infatti quando i punti sperimentali si distribuiscono su una retta, so che la
relazione è valida, poiché se non si dispongono su una retta significa che siamo fuori dal range di utilizzo di
questo modello.
𝝈𝝈𝟎𝟎 D
𝜎𝜎1 𝐷𝐷1
𝜎𝜎2 𝐷𝐷2
𝜎𝜎3 𝐷𝐷3
𝜎𝜎4 𝐷𝐷4

𝟏𝟏
Ciò che si fa è costruire un grafico con 𝝈𝝈𝟎𝟎 e con 𝑫𝑫−𝟐𝟐 (la si calcola conoscendo D), e poi si diagrammano.

Se i punti stanno su una retta, vuol dire che quel modello è rappresentativo dei punti sperimentali che avevo
considerato. Troveremo una funzione, “interpolazione lineare” ed Excel restituirà l’equazione della retta e lo
scatto quadratico medio R2.

Se R2 = 0,98 (oppure 0,99) va bene. A questo punto, avendo l’equazione della retta
𝒚𝒚 = 𝒎𝒎𝒎𝒎 + 𝒑𝒑, dove 𝒑𝒑 = 𝝈𝝈𝒊𝒊 mentre 𝒎𝒎 = 𝑲𝑲, abbiamo trovato le costanti che ci servivano per questo sistema
specifico che abbiamo considerato.

3. Lavorazione a freddo: Un altro metodo di indurimento è rappresentato delle lavorazioni a freddo:

 la laminazione: consideriamo una lamina del materiale che passa attraverso due rulli; la lamina viene
costretta ad una variazione di una dimensione dello spessore. Si formerà uno spessore via via
decrescente, man mano che questi due rulli nei vari passaggi diminuiscono.
 la trafilatura: consideriamo il materiale in esame che passa attraverso un ugello.

In generale le lavorazioni a freddo comportano un aumento del numero di dislocazioni, in particolare la


laminazione. Aumentando il numero di dislocazioni, la duttilità del materiale in esame diminuisce. (Classica
domanda dell’esame), ovvero c’è un incrudimento, poiché le dislocazioni, oltre ad esserci, devono essere
libere di muoversi. Il processo di lavorazione a freddo, e quindi di deformazione attraverso la trafilatura e la
laminazione, genera così tante dislocazioni che, quando queste provano a muoversi, possono accadere due
cose:

 le dislocazioni sono nel verso opposto e quindi si annullano. Si ripristina così la regolarità del
reticolo;
 sono nella stessa direzione, quando provano ad avvicinarsi, quindi, si respingono poiché si
introdurrebbe un difetto doppio. Ciò blocca il movimento delle dislocazioni.

Quindi, le lavorazioni a freddo aumentano lo sforzo del materiale per un effetto che si chiama incrudimento.
La stessa cosa succede quando si fanno le prove a trazione: in questa prova il materiale si deforma e quando
comincia a variare la sezione ci troviamo nel caso di una deformazione a freddo. Quando ci succede c’è un
incrudimento.

Consideriamo, ad esempio, il caso del rame. È possibile modificare lo sforzo di snervamento del rame
attraverso o una laminazione/trafilatura (infatti il rame di solito si trova sottoforma di fili), oppure in
soluzione solida. Da un punto di vista pratico, per incrudire il materiale, si effettua una lavorazione a freddo
poiché bisogna preservare la conducibilità elettrica del rame. Agendo tramite soluzione solida essa non si
preserva, poiché, mettendo un elemento in lega, la conducibilità elettrica diventa molto importante. Quindi,
quando si vuole usare il rame per sfruttare la sua conducibilità elettrica, dovrà essere incrudito, cioè va
diminuita la sua duttilità, in questo caso si utilizzerà il metodo della trafilatura.

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