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METODOLOGIA 3 29 – 03 – 2021

B – BREATHING

B (Breathing) comprende la valutazione clinica


respiratoria e la valutazione dello strumentario
relativo alla respirazione. La respirazione inizia nello
step di “A – Airways”. “B – Breathing” fa riferimento
prevalentemente all’apparato respiratorio e, quindi,
gli scambi.

I VOLUMI RESPIRATORI

 I polmoni non si svuotano del tutto durante la fase


dell’espirazione. Un volume di aria, dunque, rimane all’interno dei polmoni: quest’ultimo è può variare in
base alle patologie del paziente (soprattutto le patologie a livello polmonare). Il volume di aria che rimane in
quota percentuale all’intero dei polmoni durante la fase di espirazione prende il nome di VOLUME
RESIDUO: quest’ultimo può variare, in particolar modo in caso di patologie ostruttive. La percentuale di
volume residuo che normalmente occupa una certa quantità aumenta e va a discapito di altri volumi.
 Un altro volume determinato dall’atto respiratorio vero e proprio risulta essere il VOLUME CORRENTE, il
quale di solito è fari a 500/600 ml (nel paziente caucasico). In un paziente con patologie broncostruttive, il
volume corrente sarà certamente minore: per compensazione, tende maggiormente ad aumentare la
frequenza respiratoria a discapito del volume. E’ per questo il motivo per il quale un paziente che soffre di
BPCO e si acutizza diventa tachipnoico: aumentando la frequenza respiratoria, quest’ultimo cerca infatti di
colmare il deficit del polmone.
 Tra gli altri tipi di volume è possibile annoverare il VOLUME DI RISERVA INSPIRATORIA e il VOLUME DI
RISERVA ESPIRATORIA, ovvero il volume residuo.
 Il VOLUME DI INSPIRAZIONE può variare in base all’introito durante un atto. Coloro i quali fanno le
immersioni di profondità (senza bombole di ossigeno), risultano avere una maggiore capacità polmonare:
entrando più aria ed espandendo al massimo la capacità polmonare, essi risultano avere una maggiore
riserva respiratoria.

LA SPIROMETRIA
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La spirometria consente di testare la funzionalità respiratoria di un paziente. La spirometria prevede la misura,


oltre che della quantità di aria che il paziente mobilizza con l’atto respiratorio, anche
della quantità di aria totale che può contenere il polmone comprendendo, quindi,
anche l’aria che rimane nel polmone dopo che si è
espirata tutta l’aria possibile. Il paziente respira
dentro un boccaglio collegato con lo spirometro e gli
viene chiesto di eseguire delle manovre respiratorie. Il
tecnico di spirometria suggerisce al paziente, infatti,
di riempire al massimo i polmoni: la capacità
inspiratoria del paziente viene in quel momento
registrata nell’apparecchio collegato allo spirometro
atto a misurare i movimenti d'aria. In un primo
momento la curva potrebbe essere negativa: quando
essa raggiunge l’apice, il tecnico di spirometria
suggerisce di buttare fuori tutta l’aria. A questo punto
la curva risale, facendo capire quanta aria il paziente è
riuscito a mandar fuori e per quanto tempo. Si viene,
dunque, a creare un plateau (ovvero il massimo
dell’espirazione e per quanto tempo il paziente riesce
a tenere quest’ultima). La discesa si presenta nel grafico quando il paziente smette di espirare.

UMIDIFICAZIONE DEI GAS

L’umidificatore, soprattutto nella ventilazione invasiva e in certi tipi di ventilazione non invasiva, risulta essere
fondamentale. Un paziente ventilato necessita inesorabilmente dell’umidificatore. L’umidificazione avviene a
livello delle prime vie respiratorie (le percentuali di umidificazione risultano essere differenti in base al distretto
interessato). Arriverebbe nei polmoni un’aria con una quantità di ossigeno umidificata. Nella ventilazione non
invasiva è possibile distinguere un gorgogliatore: l’aria in entrata passa prima dal gorgogliatore, si umidifica e
poi arriva nelle vie aeree alte. Perché ciò deve essere fatto da un umidificatore e non dal corpo del paziente
stesso? Questo accade in quanto l’ossigenoterapia arriva ad una pressione che non è quella atmosferica (cioè
0), ma arriva ad una pressione più alta. L’operatore sanitario deve decidere quanto alta debba essere (2, 3, 4, 5,
6 o 7 litri etc.): maggiore è la pressione, più forte sarà l’umidificazione nel gorgogliatore.

 Riscaldata per O2 terapia ad altiflussi (High Flow Nasal Cannula o


Venturi). La ventilazione ad alti flussi, ad esempio, fornisce al
paziente un supporto respiratorio non invasivo con rilascio di aria
riscaldata, umidificata e arricchita di ossigeno, generalmente
attraverso una cannula nasale (riscaldata per O2 terapia ad alti
flussi): essa viene anche definita HFNC (High Flow Nasal Cannula)
o Venturi. In questo modo arriva una pressione ad alto flusso.
Tutti questi apparecchi sono dotati di umidificatore proprio:
somministrare ossigeno all’80% andrebbe col tempo a bruciare le
vie aeree alte in quanto l’ossigeno non umidificato equivale ad un ossigeno perso. L’ossigenoterapia,
essendo una terapia, necessita di una prescrizione medica. Molti effettuano l’aerosol terapia con
l’ossigeno e, cioè, collegano il reservoir con il farmaco prescritto dal medico all’ossigeno: si tratta di una
procedura totalmente errata. In quel caso si tratta di aerosol terapia e non di ossigenoterapia. Se un
paziente non necessita della somministrazione di ossigeno, ma per
farlo aerosolizzare è necessario portarlo almeno a 6 – 7 litri, si sta
ugualmente somministrando ossigeno al paziente nonostante non sia
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stato prescritto1. L’unica alimentazione messa negli altiflussi (o Venturi) è quella dell’ossigeno e non
quella dell’aria compressa in quanto quest’ultima la preleva dall’aria ambiente: si crea un vortice, in
base alla pressione negativa esercitata dentro, che aumenta la pressione di FiO 2. Questo capita anche
nella maschera Venturi: i raccordi colorati per la variazione della concentrazione di ossigeno erogato
vengono spesso collegati alla maschera Venturi, ma ciò non viene fatto solitamente nelle maschere
normali. I colori non sono standard, ma possono variare in base alla marca: le case produttrici allegano
un foglio in cui ad ogni codice colore dei raccordi corrisponde una pressione differente. Cambia,
dunque, la quantità di aria erogata. La pressione aumenta perché si crea una depressione interna che
attira l’aria dal di fuori: in base alla quantità di aria che entra all’interno nel raccordo, essa spinge più
velocemente l’ossigeno erogato.
 ATTIVA (riscaldata) in tutti i pazienti portatori di
cannula tracheostomica in ossigenoterapia, a
meno di differente indicazione medica. Uno dei
motivi per cui il paziente tracheostomizzato va in
arresto respiratorio (e, quindi, in arresto
cardiaco) risulta essere la creazione di ostruzioni
create dal muco, il quale diventa sempre più
denso fino a compattarsi. Esso diventa più denso
perché non è umidificato. Umidificando i
pazienti con la tracheo, quindi, in base alla
produzione di muco da parte del paziente, sarà
possibile andare incontro a questo rischio.
 PASSIVA con filtro HME, se pazienti con ventilazione meccanica prevista per non oltre 48/96 ore, e con
volumi Tidal non inferiori a 7 – 8 ml/kg/IBW, non ipotermici, e senza eccesso di secrezioni. Questo tipo di
umidificazione può avvenire in maniera:
 Passiva: Gli scambiatori passivi di umidità e calore (HME) sono quei filtri che vanno interposti
fra corrugato e circuito ventilatorio (oppure fra il corrugato e il pallone autoespansibile o,
ancora, al corrugato e al pallone va e vieni). Attraverso le membrane bianche presenti
all’interno, crea una umidificazione passiva: nell’atto inspiratorio ed espiratorio, l’aria viene
umidificata mediante queste membrane. quando il paziente esce dalla sala operatoria e deve
essere svezzato (svezzarlo significa togliere il tubo endotracheale e riportarlo alla sua
respirazione spontanea), non è necessario ventilarlo. Nei pazienti con ventilazione meccanica
prevista per oltre 48/96 ore e con volumi di Tidal non inferiori a 7 – 8 ml/kg/IBW (per IBW si
intende la massa corporea), maggiore è la massa corporea del paziente e più quest’ultimo
eserciterà resistenza alla ventilazione. Dunque, l’umidificazione passiva può essere impiegata
nei pazienti non ipotermici e senza eccesso di secrezioni (in quanto quest’ultimo, se eccessivo,
potrebbe dare origine a delle ostruzioni impedendo il passaggio dell’aria).
 Attiva.
 Passiva con filtro HME in pazienti con
necessità di isolamento di tipo
respiratorio (“airborne”), per esempio
nel COVID – 19, a meno di esplicita
differente indicazione medica.
 Sostituzione dei filtri HME posizionati
alla Y del circuito di ventilazione ogni
24 ore. La Y del circuito di ventilazione
unisce le due derivazioni dal tubo
1
Gli erogatori a parete, in un reparto base, risulta essere presente il vuoto (ovvero la pressione negativa che serve ad aspirare) e
l’ossigeno. In reparti in cui è previsto invece l’aggancio per una ventilazione invasiva, è possibile trovare anche l’aria compressa.
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dell’inspirazione e dell’espirazione. Il tubo confluisce poi in uno solo che viene successivamente
collegato al tubo endotracheale attraverso il tubo corrugato (quest’ultimo si posiziona fra il tubo
endotracheale e il circuito a Y).

GESTIONE RIMOZIONE DELLA CONDENSA NEL CIRCUITO:

Prevenzione dereclutamento e aerosol al momento della deconnessione – Tecnica della clamp in espirazione
e stand – by del ventilatore.

L’umidità crea condensa, la quale tende a finire nel tubo dei circuiti. La quantità
di condensa prodotta sale e scende lungo il tubo. Il tubo è collegato attraverso
il corrugato al circuito e la condensa si trova all’interno dei due tubi del circuito.
Per toglierla è necessario dislocare il circuito e far uscire fuori la condensa.
Durante quest’operazione le vie aeree del paziente risultano essere libere. Non
mettendo in stand by il ventilatore, quest’ultimo continuerà ad erogare il
volume corrente precedentemente impostato. Il volume corrente disperde il
liquido e lo nebulizza: per questo motivo, soprattutto negli isolati e nei pazienti con il Covid – 19, bisogna
trovare una soluzione al fine di evitare il contatto con l’esterno sia delle vie aeree (attraverso il tubo) che di
quello che rimane all’interno del circuito (attraverso il ventilatore), poiché si disperde nell’aria una certa
quantità di droplet o condensa (in base alla velocità). Ciò tende a contaminare il tutto. Per ovviare al
problema è possibile ricorrere alla tecnica della clamp in espirazione e stand – by del ventilatore:

 Per fare ciò è possibile clampare la pinza per chiudere il tubo e, quindi, isolare le vie aeree.
 Successivamente bisogna porre in stand – by il ventilatore in maniera tale che non eroghi più aria.
 Una volta messo il circuito in sicurezza, è possibile togliere la condensa all’interno dei tubi: più alta è la
temperatura impostata, maggiore sarà la condensa.
 La condensa che si forma all’interno del circuito viene raccolta in contenitori che devono essere
periodicamente svuotati. Una volta svuotata, bisogna collegare il tutto al tubo.
 Una volta ricollegato il circuito al tubo sarà possibile staccare la pinza.
 A questo bisogna far ripartire il ventilatore.

Non eseguendo tali operazioni, l’allarme del ventilatore segnalerà il circuito disconnesso o la perdita d’aria
(in quanto l’aria non gli ritorna, per cui scatta l’allarme). Facendolo partire durante l’ostruzione del tubo,
l’allarme del ventilatore segnalerà la pressione molto alta. Fare un reclutamento polmonare equivale ad
aprire gli alveoli attraverso la pressione. Disconnettendo il sistema e portandolo in area ambiente senza
chiuderlo, per una pressione negativa che si viene ad esercitare, diviene vano tutto il lavoro fatto nel
tentativo di reclutare, attraverso pressioni più alte (come la pressione di fine espiratoria, in maniera tale
che gli alveoli non si chiudano del tutto, ma si dilatano con PEEP sempre più alte), gli alveoli. Mediante la
pinza si riesce a mantenere una pressione positiva all’interno (se i polmoni non riescono a buttare fuori
l’aria, quest’ultima rimane dentro con conseguente otturazione degli stessi).

Ponendo un tubo all’interno dei contenitori d’aria:

 Se la pressione è superiore allo 0, l’aria rimane dentro;


 Se la pressione è inferiore allo 0 e quella dentro è superiore, l’aria tenderà ad uscire.

Facendo quindi un reclutamento con lo scopo di mantenere più alta all’interno dei polmoni per far sì che
questi ventilino meglio, non operando la chiusura (isolando le vie aeree) viene meno tutto il lavoro svolto.
Mettendo in stand by il ventilatore, si ha semplicemente un circuito attaccato ad una macchina che
comunque non eroga niente, per cui è possibile svuotarlo con sicurezza.

CHECK STATO DELLE BOMBOLE E TENUTA DEL CIRCUITO DEL NITROSSIDO, SE PRESENTE
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CHECK POSIZIONE DEL PAZIENTE SEMIRECUMBENTE A 30° O, SE CONTROINDICATO, IN


ANTITRENDELEMBURG

La posizione di Trendelenburg, o posizione anti – shock, è la posizione in cui è


posto il paziente in caso di shock o durante l'esecuzione di particolari indagini
radiologiche, nonché durante operazioni di chirurgia ginecologica e addominale.

La posizione di Trendelenburg inversa, anche definita anti –


Trendelenburg, è una posizione di decubito, opposta alla posizione di Trendelenburg, che
prevede l'inclinazione a 25-30° del letto in modo tale che la testa e il torace risultino su
un piano superiore rispetto a quello dei piedi, a paziente supino.

La giusta posizione è quella a 30°: la spalliera del letto deve creare un angolo di 30°. A tal
proposito esiste un indicatore dei gradi di inclinazione della testiera del letto. Una pallina,
infatti, si muove in base ai gradi di inclinazione del letto: si tratta di un indicatore dei gradi di angolo di
inclinazione del piano letto (trend/antitrend) incorporato nelle sponde (Trendelenburg e anti –
Trendelenburg). Quando la pallina si ferma, è possibile capire a quanti gradi il letto è inclinato.

C – CIRCULATION

Per C si intende la circolazione a livello dell’apparato cardiocircolatorio.

VALUTAZIONE CLINICA CARDIOCIRCOLATORIA

 Valutazione dei polsi (radiali, brachiali, femorali): La


valutazione clinica cardiocircolatoria viene fatta
mediante la valutazione dei polsi. Esistono diverse
tipologie di polso come quello radiale, brachiale,
femorale e pedidio. Il polso radiale, ad esempio, non ha
la stessa intensità del polso femorale, così come non ha
la stessa intensità del polso pedidio per un discorso di
vicinanza al cuore: più si allontana, minore sarà la
pressione. Si avrà, dunque, un’onda più alta nel radiale,
un’onda più bassa nel femorale e un’onda più bassa
ancora nel pedidio. Ciò indica se vi è circolazione nella
determinata parte dell’organismo: non sentire il polso,
infatti, deve far destare preoccupazioni. L’ossipulsimetro misura le pulsazioni e riproduce un’onda sullo
schermo: ponendo il saturimetro nel dito del piede, l’onda non sarà uguale rispetto a quando il saturimetro
viene posto nelle dita delle mani. A livello delle dita dei piedi l’onda sarà più bassa rispetto all’onda che viene
riprodotta ponendo l’ossipulsimetro a livello dell’indice (la quale, appunto, dovrebbe essere più alta). A tal
proposito, l’ampiezza e l’altezza dell’onda risultano essere fondamentali perché, come nella pressione
cruenta, dà una sensazione di quanto possa essere la gittata: maggiore è la gittata, maggiore sarà il volume.
Al contempo, più bassa è la gittata e minore sarà il volume per una pressione minore (la pressione sarà
minore in quanto non riesce a superare il post carico che trova in aorta). La pressione non riesce a superare
il postcarico che tende a diventare via via più alto (a livello di pressione). L’ossipulsimetro non consente di
misurare la pressione ma, con un po’ di esperienza, si potrebbe capire mediante le onde generate sullo
schermo dalle pulsazioni.
 Refill capillare: esso consiste nel pressare il letto ungueale e vedere il tempo di riperfusione della cute dopo
pressione di 5 secondi. Se la cute rimane rossa nonostante la pressione, si avrà un refill minore in confronto
a quello normale.
 Colorito cutaneo: il colorito cutaneo risulta essere fondamentale. Esso consente di valutare la perfusione
(ovvero un paziente irrorato in maniera normale o ipoperfuso). Un paziente ipoteso (in cui l’ipotensione è
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dovuta ad un problema di shock o di capacità cardiaca), la capacità di perfondere tutte le parti del corpo sarà
certamente minore. E’ quello che accade di solo quando il paziente ipoteso va incontro a lipotimia o ad una
sincope, per cui tende ad essere più bianco in viso fino a svenire.
 Temperatura cutanea: la temperatura cutanea è molto importante per la circolazione. Un arto non irrorato
sarà più freddo rispetto ad un arto irrorato. Una vasocostrizione tende ad una minore irrorazione. Quando la
temperatura scende al di sotto dei 37°C vengono attivati i meccanismi di conservazione e di produzione del
calore quali la vasocostrizione. Raggiungendo il massimo della ipoperfusione (ovvero l’arresto cardiaco), il
paziente sarà molto freddo.
 Sudorazione: esistono diversi tipi di sudorazione.

Per la valutazione clinica del paziente non è necessario ricorrere ad un monitoraggio strumentale.

MONITORAGGIO STRUMENTALE DI BASE, CONTINUO O AVANZATO

 ECG (frequenza, ritmo e aspetto del QRS): Uno dei monitoraggi più conosciuti risulta essere
l’elettrocardiogramma. L'elettrocardiogramma è la riproduzione grafica dell'attività elettrica del cuore
registrata a livello della superficie del corpo. Le onde risultano essere determinate dall’attività elettrica del
cuore. In questo caso subentrano gli ioni, gli scambi, gli spostamenti e l’attività elettrica del cuore.
Attraverso l’elettrocardiogramma è, dunque, possibile apprezzare in primis l’attività elettrica del cuore. Se
l’onda è piatta (asistolia), ci si trova dinnanzi alla
mancanza di attività elettrica cardiaca. L’attività
elettrica del cuore parte certamente dal nodo
senoatriale e, quindi, dalle cellule pacemaker (letteralmente “segnapassi”). Quest’ultime determinano
successivamente il ritmo, oltre alla frequenza (per cui, in questo caso, il ritmo risulta essere sinusale). Il
ritmo cardiaco, in condizioni normali, è determinato da un segnapassi (pacemaker) naturale che si trova in
un punto definito dell'atrio destro, alla giunzione con la vena cava superiore, ed è detto nodo senoatriale,
per cui il ritmo normale del cuore viene detto ritmo sinusale. Per quanto riguarda la frequenza, l’impulso dà
vita a un atto e quest’ultimo darà vita ad una frequenza. Ciò non vale per il ritmo poiché quest’ultimo può
essere diverso, ovvero:
 Tachicardico;
 Bradicardico;
 Sinusale;
 Fibrillare: di fronte ad una fibrillazione atriale si ha un'alterazione del ritmo cardiaco, una
conduzione anomala degli impulsi di
contrazione cardiaca, tale per cui le
pareti degli atri del cuore subiscono
continue e incessanti sollecitazioni.
Tutto ciò si ripercuote negativamente
anche sull'attività dei ventricoli e sul
conseguente flusso di sangue pompato
dal cuore nel circolo sanguigno.

I RITMI

Attraverso i ritmi è possibile capire da dove


partono gli impulsi: l’impulso può partire da altri
punti in base alle anomalie che presenta (come
nel caso delle extrasistoli). Se ad esempio il
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ritmo salta la parte atriale del cuore, esso partirà a livello ventricolare per cui tutto il cuore si contrae e
successivamente il paziente va in arresto (in questo caso l’impulso non si origina dal nodo senoatriale, per
cui non può essere considerato un ritmo normale). Attraverso il ritmo è possibile comprendere la differenza
tra ritmi puramente riprodotti (dove il cuore non fa nessuna attività) e ritmi normali. Uno di quelli normali,
in virtù da dove parte l’impulso, è il ritmo sinusale: quest’ultimo si origina a partire dal nodo senoatriale. Si
tratta di un ritmo normale.

LE ARITMIE

La fibrillazione ventricolare, la tachicardia ventricolare, l’asistolia e la PEA sono le quattro aritmie


principali da saper riconoscere nel monotor poiché danno l’allarme di patologie importantissime quali il pre
– arresto e l’arresto.

PRE – ARRESTO E ARRESTO CARDIACO

L’arresto si manifesta con l’asistolia (in cui non si ha produzione elettrica), mentre il pre-arresto si
manifesta con l’attività elettrica senza polso (in cui si vede un ritmo sul monitor, ma il paziente non è
cosciente, non risponde agli stimoli e non ha polso), per cui il paziente è in arresto cardiaco. La PEA risulta,
dunque, essere l’attività elettrica senza polso. In questo caso si fa il massaggio cardiaco e si somministra
l’adrenalina in quanto la PEA e l’asistolia non sono defibrillabili, mentre la tachicardia ventricolare senza
polso e fibrillazione ventricolare sono massaggianti e defibrillabili. In questi ultimi due casi bisogna tenere
conto del ritmo: nel caso di un adulto è possibile defibrillare, per poi proseguire con il massaggio cardiaco
senza avere somministrato l’adrenalina. Ciò avviene perché il ritmo non è sinusale dal momento che si
hanno degli spike (cioè delle cellule che si contraggono in maniera caotica facendo muovere il muscolo
cardiaco, non permettendone però la contrazione di quest’ultimo), per cui attraverso l’onda elettrica si
cerca di creare un “reset” in maniera tale da far partire l’impulso in maniera normale e riprendere l’attività
sinusale. Nel monitor occorre sempre saper riconoscere queste 4
anomalie del ritmo.

STEMI E NON STEMI

È importante, inoltre, riconoscere lo STEMI e il NON STEMI (attraverso i


quadratini della carta millimetrata) in caso di infarti e ischemie è
importante vedere il distanziamento dell’onda). Tra l’onda P e il
complesso QRS deve essere presente una certa distanza: generalmente
l’infarto STEMI è caratterizzato da un tracciato che ha porzioni in cui ST è
sopraslivellato e altre in cui è sottoslivellato. Il blocco di branca
corrisponde a una anomalia (impedimento o ritardo) nel sistema di
conduzione elettrica del cuore, vale a dire nella trasmissione degli impulsi
elettrici che all'interno del cuore (tra atri e ventricoli) ne determinano il
battito. A volte, ciò rende più difficoltoso per il cuore pompare il sangue in modo efficiente a tutto
l'organismo. I blocchi senoatriali sono anomalie della conduzione dell’impulso dal nodo seno atriale agli
atri. I blocchi atrioventricolari sono definiti BAV e
possono essere di primo, secondo e terzo grado; sono
anomalie della conduzione dell’impulso dagli atri ai
ventricoli. E’ fondamentale, dunque, conoscere le
distanze, le ampiezze e le altezze normali lungo un
tracciato elettrocardiografico: per misurare l’ampiezza
di un’onda si utilizza come unità di misura il
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quadratino della carta millimetrata. Tutto ciò che differisce è anormale e tutto ciò che è anormale assume
un nome in base a dove si riscontra l’anormalità.

 Pressione arteriosa sistemica invasiva (pressione sistolica, pressione diastolica e pressione media): per
pressione arteriosa sistemica invasiva si intende una pressione che si misura attraverso un accesso arterioso.
L’arteria viene collegata a un trasduttore, il quale si collega a sua volta ad un’uscita del monitor e consente di
leggere la pressione sistolica, diastolica e media. In questo modo viene riprodotta un’onda.
Come è possibile vedere nell’immagine a sinistra, si ha l’arteria, il trasduttore e una pressione che consente di
non far refluire l’arteria dal momento che la pressione arteriosa è maggiore. In questo modo si esercita una
pressione pari a 300 mmHg al fine di evitare che, se si dovesse avere uno sbalzo pressorio (ovvero una pressione
più alta), il sangue refluisca.

La contrazione del ventricolo sinistro comporta l’eiezione del sangue (presente


nel ventricolo) in aorta, per poi dare origine al grande circolo. L’eiezione si
verifica a riposo, per cui il sangue viene eiettato fuori dal ventricolo sinistro.
Ciò viene fatto perché la pressione della contrazione cardiaca risulta essere
superiore alla resistenza della valvola e del postcarico (ovvero il sangue
presente in aorta) e, per tale motivo, riesce a spingere il sangue presente nel
ventricolo sinistro. Più sale e maggiore sarà la pressione
rilevata. Alla fine della contrazione ventricolare si verifica
il rilasciamento del muscolo cardiaco, per cui la pressione esercitata dal post-carico e
dalla valvola risulta essere superiore
alla pressione che si ha all’interno
della camera ventricolare: ciò
comporta una chiusura che viene
registrata attraverso il gradino che
viene a formare nell’onda arteriosa (così come si vede in
foto, a livello della incisura dicrota). Ciò prende il nome di
incisura dicrota: essa si verifica, quindi, in caso di chiusura
della valvola. Quando la valvola si chiude, la pressione
eiettata dal ventricolo sinistro si azzera e si ha la caduta.
Ogni volta che un’onda si viene a formare, si registra la
frequenza cardiaca. Ogni qual volta l’onda risale, si ha la
gittata cardiaca (la quale rappresenta il ritmo cardiaco). La
pressione arteriosa (PA) può essere misurata sia con
metodica non invasiva che con metodica invasiva. Il sistema non invasivo implica l’uso di un bracciale
pneumatico, mentre il monitoraggio invasivo - o cruento - prevede l’incannulamento di un’arteria tramite
una cannula arteriosa collegata ad un set a circuito chiuso e ad un sistema di trasduzione, che comunica a
sua volta con un monitor. Sul monitor verrà visualizzata sia l’onda pressoria sia il suo valore numerico. Il
trasduttore (nonché il rilevatore che guarda le pressioni) legge la pressione massima (sistolica), la pressione
minima (diastolica) e la media. Quanto descritto precedentemente rappresenta, dunque, il monitoraggio
della pressione arteriosa cruenta. Il sistema non invasivo implica l’uso di un bracciale pneumatico: il
bracciale si gonfia fino ad esercitare una pressione massima che non consente più di sentire il suono.
Quando la pressione dell'aria nel bracciale sarà uguale a quella arteriosa, un po' di sangue riuscirà a passare
nell'arteria producendo un rumore: il primo rumore udito chiaramente corrisponderà alla PRESSIONE
SISTOLICA (detta anche MASSIMA). Riducendo ulteriormente la pressione i rumori diventeranno
inizialmente più intensi, quindi via via più deboli: la completa scomparsa dei rumori corrisponderà alla
PRESSIONE DIASTOLICA (detta anche MINIMA). Attraverso la misurazione non cruenta non è possibile, però,
misurare la pressione media. L’onda pressoria visualizzata sul monitor sarà uguale all’onda mostrata
nell’ossipulsimetro. L’onda dell’ossipulsimetro risulta essere più larga e più bassa in quanto viene presa a
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livello del dito, mentre l’onda presente sul monitor viene presa a livello dell’arteria: l’ossipulsimentro ricava
le pulsazioni in questo modo. Si avrà dunque il riposo, l’eiezione, il massimo, la discesa e la chiusura.

 Pressione arteriosa sistemica non invasiva


(pressione sistolica, pressione diastolica e
pressione media): La pressione arteriosa (PA) può
essere misurata anche con una metodica non
invasiva (ovvero non cruenta). Il sistema non
invasivo implica l’uso di un bracciale pneumatico.
Attraverso la misurazione non cruenta non è
possibile, però, misurare la pressione media.

Solamente attraverso il monitor è possibile misurare quest’ultima. Esiste una formula per calcolare la pressione
arteriosa media, la cui formula risulta essere la
seguente:

 Pressione venosa centrale al rubinetto sul


distale del CVC: la punta di un catetere venoso
centrale (ovvero la porzione distale) arriva a
livello della giunzione atrio – cavale. Ciò avviene
sia attraverso l’inserzione di un PICC (ad
inserzione periferica) che attraverso l’inserzione
di un catetere venoso centrale. Le tecniche di
rilevazione della PVC prevedono due sistemi:
1.Monitoraggio elettronico, attraverso l'ausilio
di un trasduttore di pressione (valori
normali tra 4 e 10 mmHg);
2.Monitoraggio attraverso una colonna ad
acqua o manometro ad acqua (valori
normali tra 3 e 8 cm H2O).
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Numerosi studi hanno dimostrato che le due tecniche di rilevazione garantiscono gli stessi risultati, per cui da un
punto di vista clinico – assistenziale possono considerarsi entrambi affidabili. Collegando un cilindretto di acqua
ad uno spremi sacca, tale soluzione viene fatta salire in un contenitore numerato che determina un punteggio
da 0 a 15 ml di acqua (per cui si riempie tutto il circuito). Dopo di ciò occorre aprire il circuito (attraverso un
rubinetto nella parte distale) e far scendere l’acqua verso l’atrio attraverso tale circuito che giunge al livello
della giunzione atrio – cavale. All’interno dell’atrio si ha una certa pressione: si fanno risalire 10 – 15 ml di acqua
all’interno, si apre il rubinetto e si vede quanta acqua scende. Ci sarà un punto in cui la pressione atrio – cavale
sarà uguale e opposta a quella presente nella colonnina d’acqua. Dal momento che tale pressione è uguale e
opposta, l’acqua si ferma e, a quel punto, sarà possibile rilevare la pressione. Ciò si può fare con la colonnina
d’acqua o con una pressione invasiva di un’altra derivazione che, sempre con un trasduttore, va a misurare la
pressione venosa centrale. Ciò determina il volume e, quindi, la volemia del paziente (cioè se il paziente è
disidrato o meno). Se il paziente è disidrato, la pressione sarà più bassa (ipovolemia), per cui occorrerà idratare
il paziente. Tra i segnali che indicano che il paziente è disidrato (“vuoto”) è possibile annoverare l’aumento della
frequenza cardiaca. La frequenza aumenta per mandare maggior volume, aumentando quindi gli atti di gittata
per compensazione. Un altro segno (ma non è significativo perché può essere falsato da altri fattori) è dato dalla
posizione in Trendelenburg (ciò viene fatto in caso di svenimento, cioè lipotimia) in quanto, alzando le gambe, si
favorisce il ritorno e aumenta il volume: di solito, man mano che si riempie (essendo il paziente vuoto),
diminuisce la frequenza cardiaca.

L’ESECUZIONE DELL’ELETTROCARDIOGRAMMA

L’ECG si esegue con 12 derivazioni per vedere aritmie, alterazioni del QRS o del tratto ST.

CHECK FUNZIONAMENTO A MODALITÀ PACEMAKER

Nel caso in cui il paziente abbia il pacemaker.

IL MONITORAGGIO DELLA FUNZIONE RESPIRATORIA

 Monitoraggio del DO2 (trasporto dell’ossigeno): il monitoraggio della funzione respiratoria ha come gold
standard un esame che risulta essere l’emogasanalisi (EGA). Esso consente di misurare il pH, ovvero la capacità
del corpo umano di mantenere l’omeostasi: se esso aumenta o diminuisce, il paziente va incontro ad una
alcalosi o un’acidosi. Il pH si misura in millimoli (cioè mille volte una mole), per cui basta un piccolo spostamento
dal valore normale (7.35 e 7.45) per far scompensare il paziente e portarlo in acidosi o alcalosi. Tale
compensazione avviene con la respirazione e con il rene che funge da tampone (i tessuti producono
continuamente CO2; il polmone elimina CO2 con la respirazione ed il rene elimina HCO 3 tramite l’urina: i sistemi
tampone, lattati e bicarbonati, permettono di impedire le variazioni del pH). Se un paziente è in acidosi bisogna
bicarbonati, mentre se è in alcalosi bisogna ottenere un miglioramento della ventilazione. L’emogas
rappresenta un ottimo esame in quanto consente di capire la gravità della situazione del paziente: se un
paziente respira bene è un buon segno, mentre se respira male la situazione non migliorerà fino a quando non
migliorerà la sua qualità respiratoria che viene data dall’emogas. In terapia intensiva l’emogas è fondamentale
in quanto consente di indirizzare il piano
assistenziale e diagnostico in modi diversi
e di cambiare eventualmente la strategia.
L’emogas può essere arterioso o venoso:
un emogas è venoso quando si ha il valore
dell’ossigeno basso e la CO2 alta.

 La gittata cardiaca si può valutare in due modi: con l’ecocardio o con il PiCCO/vigileo. Il vigileo si usa
soprattutto in sala operatoria.
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 Monitoraggio della perfusione d’organo con target pressione arteriosa media (PAM) di 60-65 mmHg:
soprattutto in terapia intensiva cardiovascolare.

COSA SI APPREZZA E SI VALUTA NELLA


CIRCULATION?

1. E’ fondamentale in primis valutare il check di


fissaggio in sicurezza degli accessi vascolari:
bisogna verificarne la pervietà e la sicurezza (ovvero
capire se gli accessi vascolari sono fissati bene). Gli
accessi vascolari non dovrebbero più essere fissati
con i punti di sutura, se non in rarissimi casi, poiché
aumentano la possibilità di infezioni. Essi sono
infatti stati sostituiti dai sutureless (oppure quick
luck), nonché sistemi di fissaggio che prendono la
forma delle alette del catetere venoso centrale e lo fissano in maniera tale che non si sposizioni.
2. Bisogna inoltre verificare la pervietà degli accessi vascolari. Effettuare una buona pulizia è fondamentale al fine
di evitarne l’otturazione (soprattutto in quelli centrali). Ciò viene fatto attraverso:
 L’aspirazione del volume di riempimento-catetere e messa a riposo con bolo di
soluzione fisiologica di 10 ml 2 a pressione positiva con tecnica stop and go; dopo aver
fatto tale lavaggio dei lumi privi di catetere privi di infusione in continuo si chiudono
successivamente attraverso tappini a valvola. Esistono diversi tipi di tappini, come
quelli clave (antireflusso). Sono dei tappini contenenti una valvola che permette di
accedere all’interno del presidio utilizzato. Essi vengono
posizionati nelle varie porte di accesso ai presidi e ne garantiscono
la chiusura verso l’esterno. Quest’ultimo si posiziona all’uscita del
catetere e permette di tenerlo chiuso e di infondere senza
staccarlo: ad esso si connette la siringa priva di ago, si esercita una
pressione e si infonde la terapia. Dopo aver fatto ciò, il tappino si
chiude. Ciò avviene perché all’interno del clave è presente una
molla, la quale se viene spinta con la punta della siringa va verso il basso creando due possibilità di
canalizzazione nei due lati: si infonde e il liquido passa; nel momento in cui si ritrae la punta della
siringa, la molla va a chiudere (per cui quando non c’è più la spinta ritorna la valvola). Il tappino dà la
possibilità di non creare un contatto all’esterno con il catetere venoso centrale, per cui se si dovesse
mettere un dito infetto a livello della superficie di accesso del connettore è come se tale dito venisse
messo nella giunzione atrio-cavale (perché rappresenta il collegamento tra l’esterno e l’interno).
 Nei cateteri vascolari con lumi a riposo, controllo di aspirazione e volume di riempimento catetere e
lavaggio come descritto sopra attraverso tappini a valvola, una volta per turno. Bisogna, dunque,
controllarli ad ogni cambio turno.

3. Gestione di tipologie di infusione attraverso i lumi di un catetere venoso centrale, il


quale può essere:
a. Lume prossimale: farmaci vasoattivi e inotropi.
b. Lume mediale: farmaci della sedazione.
c. Lume distale: infusioni di liquidi (“via principale”)/ linea
misurazione Pressione Venosa Centrale.
d. Somministrazione farmaci estemporanei solo nella via principale
(lume distale).

2
In molti cateteri, però, c’è scritto quanta soluzione bisogna mettere.
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e. Gestione delle infusioni in continuo in accordo con le compatibilità tra farmaci.


f. Gestione nutrizione parenterale totale e cambio deflussore al cambio sacca (ogni 24 h).
g. Gestione reintegro elettroliti secondo
protocollo interno.

Considerando la porzione distale di un catetere venoso,


l’apertura e i fori non sono uguali. E’ possibile, infatti,
distinguere una parte posizionata più avanti, una a metà e
una più indietro (si hanno 3 lumi essendo un catetere a
tre vie), ovvero: una parte distale, una parte mediale e una parte prossimale. Ad esempio, nel lume distale
infondono liquidi a 80 ml/h, nel lume mediale si infondono i farmaci per la sedazione (come il Propofol o il
Midazolam) che avranno sempre una velocità inferiore a 80 ml/h, mentre nel lume prossimale (il più
lontano) si infondono gli inotropi (Adrenalina e Noradrenalina) con una velocità inferiore a quella della
sedazione. In questo modo si avrà una velocità maggiore dal lume distale e una inferiore nel lume
prossimale e mediale. Infondendo, invece, 80 ml di soluzione nel lume prossimale, man mano che i farmaci
sedativi e inotropi vengono spinti nel lume aumenteranno la loro velocità a causa della spinta da parte della
soluzione proveniente dal lume prossimale. Tutti e tre i lumi finiscono nello stesso torrente ematico, per cui
bisogna attenzionare che i farmaci infusi in ciascun lume (quando si incontrano a qualsiasi velocità) siano
compatibili: qualora dovessero essere incompatibili, essi tenderanno a cambiare lo loro reazione chimico –
fisica. Per capire se i farmaci sono compatibili bisogna controllare la tabella di compatibilità (presente
online): in essa viene anche indicato se i farmaci devono essere infusi nella porzione distale, mediale o
prossimale.

4. Gestione livelli di glicemia secondo protocollo interno, tollerata fino a 140 mg/dl, sicuramente da
correggere oltre i 180 mg/dl. Il protocollo interno dirà quanta insulina somministarre.
5. Rimozione dei cateteri venosi periferici in presenza dei cateteri venosi centrali power. In caso di accesso
centrale bisogna mettere anche accessi venosi periferici. Quando si sceglie di fare una procedura invasiva
bisogna sempre calcolare gli effetti positivi e quelli negativi: la qualità, la quantità e la duttilità dell’accesso
venoso centrale è superiore rispetto al catetere venoso periferico, al di là del gauge del cvp.
6. Check quotidiano dei siti di inserzione degli accessi vascolari: esiste una scala di valutazione che esamina
l’eventuale presenza di sintomi di infezione.
 Cambio medicazione trasparente se integra ogni 7 giorni. Va cambiata ogni volta che si sporca, si
bagna o quando si rimuove parzialmente.
 Cambio medicazione in garza, se integra, ogni 48 ore: si tratta della tipica medicazione con garza e
cerotti ai lati.
7. Sostituzione delle linee infusive con tapini a valvola e rubinetti, ogni 96 ore. II deflussore del Propofol
andrebbe cambiato ad ogni cambio siringa.3

RICAPITOLANDO

Gli argomenti di questa lezione da ricordare sono:

1. Bisogna attenzionare l’umidificazione;


2. È importante conoscere come funzionano le pressioni cruente e la sovrapposizione tra la
rappresentazione grafica dell’onda della saturazione e quella della pressione cruenta;
3. Gestione dei cateteri.

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La cannule nasali vengono usate soltanto per alti flussi. Gli occhialini vengono usati per i bassi flussi. Le cannule nasali
risultano essere più grosse e vengono fissate dietro la testa.

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