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B – BREATHING
I VOLUMI RESPIRATORI
LA SPIROMETRIA
METODOLOGIA 3 29 – 03 – 2021
L’umidificatore, soprattutto nella ventilazione invasiva e in certi tipi di ventilazione non invasiva, risulta essere
fondamentale. Un paziente ventilato necessita inesorabilmente dell’umidificatore. L’umidificazione avviene a
livello delle prime vie respiratorie (le percentuali di umidificazione risultano essere differenti in base al distretto
interessato). Arriverebbe nei polmoni un’aria con una quantità di ossigeno umidificata. Nella ventilazione non
invasiva è possibile distinguere un gorgogliatore: l’aria in entrata passa prima dal gorgogliatore, si umidifica e
poi arriva nelle vie aeree alte. Perché ciò deve essere fatto da un umidificatore e non dal corpo del paziente
stesso? Questo accade in quanto l’ossigenoterapia arriva ad una pressione che non è quella atmosferica (cioè
0), ma arriva ad una pressione più alta. L’operatore sanitario deve decidere quanto alta debba essere (2, 3, 4, 5,
6 o 7 litri etc.): maggiore è la pressione, più forte sarà l’umidificazione nel gorgogliatore.
stato prescritto1. L’unica alimentazione messa negli altiflussi (o Venturi) è quella dell’ossigeno e non
quella dell’aria compressa in quanto quest’ultima la preleva dall’aria ambiente: si crea un vortice, in
base alla pressione negativa esercitata dentro, che aumenta la pressione di FiO 2. Questo capita anche
nella maschera Venturi: i raccordi colorati per la variazione della concentrazione di ossigeno erogato
vengono spesso collegati alla maschera Venturi, ma ciò non viene fatto solitamente nelle maschere
normali. I colori non sono standard, ma possono variare in base alla marca: le case produttrici allegano
un foglio in cui ad ogni codice colore dei raccordi corrisponde una pressione differente. Cambia,
dunque, la quantità di aria erogata. La pressione aumenta perché si crea una depressione interna che
attira l’aria dal di fuori: in base alla quantità di aria che entra all’interno nel raccordo, essa spinge più
velocemente l’ossigeno erogato.
ATTIVA (riscaldata) in tutti i pazienti portatori di
cannula tracheostomica in ossigenoterapia, a
meno di differente indicazione medica. Uno dei
motivi per cui il paziente tracheostomizzato va in
arresto respiratorio (e, quindi, in arresto
cardiaco) risulta essere la creazione di ostruzioni
create dal muco, il quale diventa sempre più
denso fino a compattarsi. Esso diventa più denso
perché non è umidificato. Umidificando i
pazienti con la tracheo, quindi, in base alla
produzione di muco da parte del paziente, sarà
possibile andare incontro a questo rischio.
PASSIVA con filtro HME, se pazienti con ventilazione meccanica prevista per non oltre 48/96 ore, e con
volumi Tidal non inferiori a 7 – 8 ml/kg/IBW, non ipotermici, e senza eccesso di secrezioni. Questo tipo di
umidificazione può avvenire in maniera:
Passiva: Gli scambiatori passivi di umidità e calore (HME) sono quei filtri che vanno interposti
fra corrugato e circuito ventilatorio (oppure fra il corrugato e il pallone autoespansibile o,
ancora, al corrugato e al pallone va e vieni). Attraverso le membrane bianche presenti
all’interno, crea una umidificazione passiva: nell’atto inspiratorio ed espiratorio, l’aria viene
umidificata mediante queste membrane. quando il paziente esce dalla sala operatoria e deve
essere svezzato (svezzarlo significa togliere il tubo endotracheale e riportarlo alla sua
respirazione spontanea), non è necessario ventilarlo. Nei pazienti con ventilazione meccanica
prevista per oltre 48/96 ore e con volumi di Tidal non inferiori a 7 – 8 ml/kg/IBW (per IBW si
intende la massa corporea), maggiore è la massa corporea del paziente e più quest’ultimo
eserciterà resistenza alla ventilazione. Dunque, l’umidificazione passiva può essere impiegata
nei pazienti non ipotermici e senza eccesso di secrezioni (in quanto quest’ultimo, se eccessivo,
potrebbe dare origine a delle ostruzioni impedendo il passaggio dell’aria).
Attiva.
Passiva con filtro HME in pazienti con
necessità di isolamento di tipo
respiratorio (“airborne”), per esempio
nel COVID – 19, a meno di esplicita
differente indicazione medica.
Sostituzione dei filtri HME posizionati
alla Y del circuito di ventilazione ogni
24 ore. La Y del circuito di ventilazione
unisce le due derivazioni dal tubo
1
Gli erogatori a parete, in un reparto base, risulta essere presente il vuoto (ovvero la pressione negativa che serve ad aspirare) e
l’ossigeno. In reparti in cui è previsto invece l’aggancio per una ventilazione invasiva, è possibile trovare anche l’aria compressa.
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dell’inspirazione e dell’espirazione. Il tubo confluisce poi in uno solo che viene successivamente
collegato al tubo endotracheale attraverso il tubo corrugato (quest’ultimo si posiziona fra il tubo
endotracheale e il circuito a Y).
Prevenzione dereclutamento e aerosol al momento della deconnessione – Tecnica della clamp in espirazione
e stand – by del ventilatore.
L’umidità crea condensa, la quale tende a finire nel tubo dei circuiti. La quantità
di condensa prodotta sale e scende lungo il tubo. Il tubo è collegato attraverso
il corrugato al circuito e la condensa si trova all’interno dei due tubi del circuito.
Per toglierla è necessario dislocare il circuito e far uscire fuori la condensa.
Durante quest’operazione le vie aeree del paziente risultano essere libere. Non
mettendo in stand by il ventilatore, quest’ultimo continuerà ad erogare il
volume corrente precedentemente impostato. Il volume corrente disperde il
liquido e lo nebulizza: per questo motivo, soprattutto negli isolati e nei pazienti con il Covid – 19, bisogna
trovare una soluzione al fine di evitare il contatto con l’esterno sia delle vie aeree (attraverso il tubo) che di
quello che rimane all’interno del circuito (attraverso il ventilatore), poiché si disperde nell’aria una certa
quantità di droplet o condensa (in base alla velocità). Ciò tende a contaminare il tutto. Per ovviare al
problema è possibile ricorrere alla tecnica della clamp in espirazione e stand – by del ventilatore:
Per fare ciò è possibile clampare la pinza per chiudere il tubo e, quindi, isolare le vie aeree.
Successivamente bisogna porre in stand – by il ventilatore in maniera tale che non eroghi più aria.
Una volta messo il circuito in sicurezza, è possibile togliere la condensa all’interno dei tubi: più alta è la
temperatura impostata, maggiore sarà la condensa.
La condensa che si forma all’interno del circuito viene raccolta in contenitori che devono essere
periodicamente svuotati. Una volta svuotata, bisogna collegare il tutto al tubo.
Una volta ricollegato il circuito al tubo sarà possibile staccare la pinza.
A questo bisogna far ripartire il ventilatore.
Non eseguendo tali operazioni, l’allarme del ventilatore segnalerà il circuito disconnesso o la perdita d’aria
(in quanto l’aria non gli ritorna, per cui scatta l’allarme). Facendolo partire durante l’ostruzione del tubo,
l’allarme del ventilatore segnalerà la pressione molto alta. Fare un reclutamento polmonare equivale ad
aprire gli alveoli attraverso la pressione. Disconnettendo il sistema e portandolo in area ambiente senza
chiuderlo, per una pressione negativa che si viene ad esercitare, diviene vano tutto il lavoro fatto nel
tentativo di reclutare, attraverso pressioni più alte (come la pressione di fine espiratoria, in maniera tale
che gli alveoli non si chiudano del tutto, ma si dilatano con PEEP sempre più alte), gli alveoli. Mediante la
pinza si riesce a mantenere una pressione positiva all’interno (se i polmoni non riescono a buttare fuori
l’aria, quest’ultima rimane dentro con conseguente otturazione degli stessi).
Facendo quindi un reclutamento con lo scopo di mantenere più alta all’interno dei polmoni per far sì che
questi ventilino meglio, non operando la chiusura (isolando le vie aeree) viene meno tutto il lavoro svolto.
Mettendo in stand by il ventilatore, si ha semplicemente un circuito attaccato ad una macchina che
comunque non eroga niente, per cui è possibile svuotarlo con sicurezza.
CHECK STATO DELLE BOMBOLE E TENUTA DEL CIRCUITO DEL NITROSSIDO, SE PRESENTE
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La giusta posizione è quella a 30°: la spalliera del letto deve creare un angolo di 30°. A tal
proposito esiste un indicatore dei gradi di inclinazione della testiera del letto. Una pallina,
infatti, si muove in base ai gradi di inclinazione del letto: si tratta di un indicatore dei gradi di angolo di
inclinazione del piano letto (trend/antitrend) incorporato nelle sponde (Trendelenburg e anti –
Trendelenburg). Quando la pallina si ferma, è possibile capire a quanti gradi il letto è inclinato.
C – CIRCULATION
dovuta ad un problema di shock o di capacità cardiaca), la capacità di perfondere tutte le parti del corpo sarà
certamente minore. E’ quello che accade di solo quando il paziente ipoteso va incontro a lipotimia o ad una
sincope, per cui tende ad essere più bianco in viso fino a svenire.
Temperatura cutanea: la temperatura cutanea è molto importante per la circolazione. Un arto non irrorato
sarà più freddo rispetto ad un arto irrorato. Una vasocostrizione tende ad una minore irrorazione. Quando la
temperatura scende al di sotto dei 37°C vengono attivati i meccanismi di conservazione e di produzione del
calore quali la vasocostrizione. Raggiungendo il massimo della ipoperfusione (ovvero l’arresto cardiaco), il
paziente sarà molto freddo.
Sudorazione: esistono diversi tipi di sudorazione.
Per la valutazione clinica del paziente non è necessario ricorrere ad un monitoraggio strumentale.
ECG (frequenza, ritmo e aspetto del QRS): Uno dei monitoraggi più conosciuti risulta essere
l’elettrocardiogramma. L'elettrocardiogramma è la riproduzione grafica dell'attività elettrica del cuore
registrata a livello della superficie del corpo. Le onde risultano essere determinate dall’attività elettrica del
cuore. In questo caso subentrano gli ioni, gli scambi, gli spostamenti e l’attività elettrica del cuore.
Attraverso l’elettrocardiogramma è, dunque, possibile apprezzare in primis l’attività elettrica del cuore. Se
l’onda è piatta (asistolia), ci si trova dinnanzi alla
mancanza di attività elettrica cardiaca. L’attività
elettrica del cuore parte certamente dal nodo
senoatriale e, quindi, dalle cellule pacemaker (letteralmente “segnapassi”). Quest’ultime determinano
successivamente il ritmo, oltre alla frequenza (per cui, in questo caso, il ritmo risulta essere sinusale). Il
ritmo cardiaco, in condizioni normali, è determinato da un segnapassi (pacemaker) naturale che si trova in
un punto definito dell'atrio destro, alla giunzione con la vena cava superiore, ed è detto nodo senoatriale,
per cui il ritmo normale del cuore viene detto ritmo sinusale. Per quanto riguarda la frequenza, l’impulso dà
vita a un atto e quest’ultimo darà vita ad una frequenza. Ciò non vale per il ritmo poiché quest’ultimo può
essere diverso, ovvero:
Tachicardico;
Bradicardico;
Sinusale;
Fibrillare: di fronte ad una fibrillazione atriale si ha un'alterazione del ritmo cardiaco, una
conduzione anomala degli impulsi di
contrazione cardiaca, tale per cui le
pareti degli atri del cuore subiscono
continue e incessanti sollecitazioni.
Tutto ciò si ripercuote negativamente
anche sull'attività dei ventricoli e sul
conseguente flusso di sangue pompato
dal cuore nel circolo sanguigno.
I RITMI
ritmo salta la parte atriale del cuore, esso partirà a livello ventricolare per cui tutto il cuore si contrae e
successivamente il paziente va in arresto (in questo caso l’impulso non si origina dal nodo senoatriale, per
cui non può essere considerato un ritmo normale). Attraverso il ritmo è possibile comprendere la differenza
tra ritmi puramente riprodotti (dove il cuore non fa nessuna attività) e ritmi normali. Uno di quelli normali,
in virtù da dove parte l’impulso, è il ritmo sinusale: quest’ultimo si origina a partire dal nodo senoatriale. Si
tratta di un ritmo normale.
LE ARITMIE
L’arresto si manifesta con l’asistolia (in cui non si ha produzione elettrica), mentre il pre-arresto si
manifesta con l’attività elettrica senza polso (in cui si vede un ritmo sul monitor, ma il paziente non è
cosciente, non risponde agli stimoli e non ha polso), per cui il paziente è in arresto cardiaco. La PEA risulta,
dunque, essere l’attività elettrica senza polso. In questo caso si fa il massaggio cardiaco e si somministra
l’adrenalina in quanto la PEA e l’asistolia non sono defibrillabili, mentre la tachicardia ventricolare senza
polso e fibrillazione ventricolare sono massaggianti e defibrillabili. In questi ultimi due casi bisogna tenere
conto del ritmo: nel caso di un adulto è possibile defibrillare, per poi proseguire con il massaggio cardiaco
senza avere somministrato l’adrenalina. Ciò avviene perché il ritmo non è sinusale dal momento che si
hanno degli spike (cioè delle cellule che si contraggono in maniera caotica facendo muovere il muscolo
cardiaco, non permettendone però la contrazione di quest’ultimo), per cui attraverso l’onda elettrica si
cerca di creare un “reset” in maniera tale da far partire l’impulso in maniera normale e riprendere l’attività
sinusale. Nel monitor occorre sempre saper riconoscere queste 4
anomalie del ritmo.
quadratino della carta millimetrata. Tutto ciò che differisce è anormale e tutto ciò che è anormale assume
un nome in base a dove si riscontra l’anormalità.
Pressione arteriosa sistemica invasiva (pressione sistolica, pressione diastolica e pressione media): per
pressione arteriosa sistemica invasiva si intende una pressione che si misura attraverso un accesso arterioso.
L’arteria viene collegata a un trasduttore, il quale si collega a sua volta ad un’uscita del monitor e consente di
leggere la pressione sistolica, diastolica e media. In questo modo viene riprodotta un’onda.
Come è possibile vedere nell’immagine a sinistra, si ha l’arteria, il trasduttore e una pressione che consente di
non far refluire l’arteria dal momento che la pressione arteriosa è maggiore. In questo modo si esercita una
pressione pari a 300 mmHg al fine di evitare che, se si dovesse avere uno sbalzo pressorio (ovvero una pressione
più alta), il sangue refluisca.
livello del dito, mentre l’onda presente sul monitor viene presa a livello dell’arteria: l’ossipulsimentro ricava
le pulsazioni in questo modo. Si avrà dunque il riposo, l’eiezione, il massimo, la discesa e la chiusura.
Solamente attraverso il monitor è possibile misurare quest’ultima. Esiste una formula per calcolare la pressione
arteriosa media, la cui formula risulta essere la
seguente:
Numerosi studi hanno dimostrato che le due tecniche di rilevazione garantiscono gli stessi risultati, per cui da un
punto di vista clinico – assistenziale possono considerarsi entrambi affidabili. Collegando un cilindretto di acqua
ad uno spremi sacca, tale soluzione viene fatta salire in un contenitore numerato che determina un punteggio
da 0 a 15 ml di acqua (per cui si riempie tutto il circuito). Dopo di ciò occorre aprire il circuito (attraverso un
rubinetto nella parte distale) e far scendere l’acqua verso l’atrio attraverso tale circuito che giunge al livello
della giunzione atrio – cavale. All’interno dell’atrio si ha una certa pressione: si fanno risalire 10 – 15 ml di acqua
all’interno, si apre il rubinetto e si vede quanta acqua scende. Ci sarà un punto in cui la pressione atrio – cavale
sarà uguale e opposta a quella presente nella colonnina d’acqua. Dal momento che tale pressione è uguale e
opposta, l’acqua si ferma e, a quel punto, sarà possibile rilevare la pressione. Ciò si può fare con la colonnina
d’acqua o con una pressione invasiva di un’altra derivazione che, sempre con un trasduttore, va a misurare la
pressione venosa centrale. Ciò determina il volume e, quindi, la volemia del paziente (cioè se il paziente è
disidrato o meno). Se il paziente è disidrato, la pressione sarà più bassa (ipovolemia), per cui occorrerà idratare
il paziente. Tra i segnali che indicano che il paziente è disidrato (“vuoto”) è possibile annoverare l’aumento della
frequenza cardiaca. La frequenza aumenta per mandare maggior volume, aumentando quindi gli atti di gittata
per compensazione. Un altro segno (ma non è significativo perché può essere falsato da altri fattori) è dato dalla
posizione in Trendelenburg (ciò viene fatto in caso di svenimento, cioè lipotimia) in quanto, alzando le gambe, si
favorisce il ritorno e aumenta il volume: di solito, man mano che si riempie (essendo il paziente vuoto),
diminuisce la frequenza cardiaca.
L’ESECUZIONE DELL’ELETTROCARDIOGRAMMA
L’ECG si esegue con 12 derivazioni per vedere aritmie, alterazioni del QRS o del tratto ST.
Monitoraggio del DO2 (trasporto dell’ossigeno): il monitoraggio della funzione respiratoria ha come gold
standard un esame che risulta essere l’emogasanalisi (EGA). Esso consente di misurare il pH, ovvero la capacità
del corpo umano di mantenere l’omeostasi: se esso aumenta o diminuisce, il paziente va incontro ad una
alcalosi o un’acidosi. Il pH si misura in millimoli (cioè mille volte una mole), per cui basta un piccolo spostamento
dal valore normale (7.35 e 7.45) per far scompensare il paziente e portarlo in acidosi o alcalosi. Tale
compensazione avviene con la respirazione e con il rene che funge da tampone (i tessuti producono
continuamente CO2; il polmone elimina CO2 con la respirazione ed il rene elimina HCO 3 tramite l’urina: i sistemi
tampone, lattati e bicarbonati, permettono di impedire le variazioni del pH). Se un paziente è in acidosi bisogna
bicarbonati, mentre se è in alcalosi bisogna ottenere un miglioramento della ventilazione. L’emogas
rappresenta un ottimo esame in quanto consente di capire la gravità della situazione del paziente: se un
paziente respira bene è un buon segno, mentre se respira male la situazione non migliorerà fino a quando non
migliorerà la sua qualità respiratoria che viene data dall’emogas. In terapia intensiva l’emogas è fondamentale
in quanto consente di indirizzare il piano
assistenziale e diagnostico in modi diversi
e di cambiare eventualmente la strategia.
L’emogas può essere arterioso o venoso:
un emogas è venoso quando si ha il valore
dell’ossigeno basso e la CO2 alta.
La gittata cardiaca si può valutare in due modi: con l’ecocardio o con il PiCCO/vigileo. Il vigileo si usa
soprattutto in sala operatoria.
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Monitoraggio della perfusione d’organo con target pressione arteriosa media (PAM) di 60-65 mmHg:
soprattutto in terapia intensiva cardiovascolare.
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In molti cateteri, però, c’è scritto quanta soluzione bisogna mettere.
METODOLOGIA 3 29 – 03 – 2021
4. Gestione livelli di glicemia secondo protocollo interno, tollerata fino a 140 mg/dl, sicuramente da
correggere oltre i 180 mg/dl. Il protocollo interno dirà quanta insulina somministarre.
5. Rimozione dei cateteri venosi periferici in presenza dei cateteri venosi centrali power. In caso di accesso
centrale bisogna mettere anche accessi venosi periferici. Quando si sceglie di fare una procedura invasiva
bisogna sempre calcolare gli effetti positivi e quelli negativi: la qualità, la quantità e la duttilità dell’accesso
venoso centrale è superiore rispetto al catetere venoso periferico, al di là del gauge del cvp.
6. Check quotidiano dei siti di inserzione degli accessi vascolari: esiste una scala di valutazione che esamina
l’eventuale presenza di sintomi di infezione.
Cambio medicazione trasparente se integra ogni 7 giorni. Va cambiata ogni volta che si sporca, si
bagna o quando si rimuove parzialmente.
Cambio medicazione in garza, se integra, ogni 48 ore: si tratta della tipica medicazione con garza e
cerotti ai lati.
7. Sostituzione delle linee infusive con tapini a valvola e rubinetti, ogni 96 ore. II deflussore del Propofol
andrebbe cambiato ad ogni cambio siringa.3
RICAPITOLANDO
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La cannule nasali vengono usate soltanto per alti flussi. Gli occhialini vengono usati per i bassi flussi. Le cannule nasali
risultano essere più grosse e vengono fissate dietro la testa.