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Questa nuova sessione é interamente dedicata ad uno dei capitoli più frequenti ed importanti che si riscontrano in

Medicina Intensiva a livello della respirazione, che riguarda la gestione del broncospasmo con ritenzione di CO2,
sia come patologia primaria che porta al ricovero in ICU (esacerbazione di BPCO e/o attacco d'asma) che
soprattutto come componente secondaria, come patologia associata di pazienti che vengono a trovarsi in ICU per
problematiche indipendenti da tale condizione clinica (sia per patologie polmonari che non) e che pertanto portano
l'intensivista a confrontarsi con la gestione del broncospasmo.

Similmente a quanto affrontato per le 5 cause di Ipossia (si veda il Capitolo dedicato, Capitolo 3.1)  é fondamentale:
a) trasformare il riscontro clinico in disturbo fisiopatologico per poter instaurare una terapia basata sui principi
fisiopatologici che hanno portato al disturbo, per b) poi trovare quali sono le cause eziologiche legate al disturbo
fisiopatologico. Si passa pertanto dalla clinica (ipercapnia) alla fisiopatologia per infine arrivare all’eziologia;  i
meccanismi fisiopatologici della ipercapnia sono 3 e qui, per didattica, li analizzeremo in maniera separata l’uno
dall’altro, anche se nella realtà clinica questi possono coesistere. La buona conoscenza dei tre meccanismi integrati
fra loro, permette all'intensivista di potersi destreggiare nella gestione di base della pCO2. Eventuali gestioni
avanzate della pCO2 tramite sistemi più invasivi (ECCOr, ECMO, ecc...) esulano da tutta questa sessione e
verranno trattati nel Capitolo 8.

È fondamentale mantenere una sistematicità nell’analisi del problema; perché se é vero che in situazioni semplici
appare evidente il processo diagnostico, in situazioni complesse e di co-esistenza di problemi fisiopatologici é
necessario passare in rassegna in maniera sistematica tutti gli elementi.  Il primo meccanismo che qui tratteremo e
che si consiglia essere il primo elemento da controllare nelle cause di ipossia é l’ipoventilazione alveolare.
Partiremo da un excursus fisiopatologico di meccanica respiratoria per poi arrivare alla conoscenza
della Equazione della Ventilazione Alveolare (che esula dallo scopo di tale trattazione) per infine riassumere a
livello pratico come eseguire una valutazione di un’ipoventilazione alveolare.

VENTILAZIONE:
La ventilazione é noto essere il prodotto del Tidal Volume (TV) per la frequenza respiratoria; se il TV di un
paziente é di 500 ml e la frequenza respiratoria é di 15 atti/min, la ventilazione polmonare é pari a 7.5 l/min. Della
ventilazione polmonare totale, una certa quota di volume rimane nello spazio morto anatomico (che é determinato
da tutte le aree che non partecipano agli scambi gassosi, compresi i tubi del ventilatore) e funzionale, mentre solo
una certa quota partecipa realmente agli scambio gassosi a livello alveolare. Ecco pertanto che una prima formula
da conoscere é che la ventilazione polmonare é pari alla sommatoria della ventilazione dello spazio morto sommata
alla ventilazione alveolare.
Ve = Vsm + Va

La ventilazione alveolare é la sola ventilazione che é responsabile dello scambio di gas; pertanto una ventilazione
« estrema » dove si esegue una sola ventilazione dello spazio morto, a priori appare non portare ad alcuna
ventilazione alveolare.

Un’altra modalità di misurare la ventilazione alveolare in un paziente sano deriva dall’equazione che va a misurare
la concentrazione di CO2 nel gas espirato; dato che non c’è alcun scambio di CO2 nello spazio morto, non c’è
alcuna CO2 alla fine dell’inspirazione. Quindi, dato che tutta la CO2 che si misura nell’espirazione deriva dalla
ventilazione alveolare:
VCO2 = Va * (%CO2/100)

La (%CO2/100) é spesso chiamato concentrazione frazionale di CO2 e si scrive come FCO2; pertanto la formula é
parti a VCO2 = Va * FCO2, che diviene Va = VCO2/FCO2. Dato che la pressione parziale di CO2 (chiamata
pCO2) è pari al prodotto della FCO2 per una costante (che é la constante di solubilità della CO2 nel sangue), si po
scrivere che:
pCO2 = k * VCO2/Va
Questa equazione, estremamente utile ed importante, si chiama equazione della ventilazione alveolare e spiega
come la concentrazione della pressione parziale di CO2 si a legata in maniera direttamente proporzionale alla
produzione di CO2 (VCO2) ed in maniera inversamente proporzionale alla ventilazione alveolare. Il grafico che
spiega questo è il seguente:

Alla riduzione della ventilazione alveolare si ha un


aumento esponenziale della pressione parziale di
CO2; a parità di ventilazione alveolare, tutte le
situazioni che aumentano la produzione di
CO2 (febbre, agitazione, stato infiammatorio,
infezione, corsa, esercizio fisico, ecc…) portano ad
un cambio di curva (che prende il nome di
« isoplet ») con conseguente aumento della pCO2 e
necessità di iperventilare per poter raggiungere le
precedenti pressioni parziali di CO2. L’utilità di
questa curva e dell’equazione della ventilazione
alveolare é tale che rappresenta un primo tassello
fondamentale per analizzare la prima delle cause di
ipossia: l’ipoventilazione alveolare.

Si noti bene come la pCO2 sia legata alla ventilazione alveolare, non direttamente alla ventilazione polmonare. E si
noti bene come il ventilatore delle unità di ICU misuri sempre la ventilazione polmonare e non la ventilazione
alveolare. Risulta pertanto utile approfondire il concetto di spazio morto, conoscerne l’entità e la quantità empirica
e sapere quali possono essere i metodi concreti per poterlo misurare.

SPAZIO MORTO:

SPAZIO MORTO ANATOMICO:


Lo spazio morto anatomico è il volume delle vie di conduzione, che generalmente é attorno a 150 ml, e che si può
pensare essere attorno a 2 ml/Kg di peso ideale del paziente (da ricordare che lo spazio morto anatomico cambia
anche con la posizione del paziente).

Il metodo di Fowler permette di calcolare l’entità dello spazio anatomico, sia in laboratorio che in vivo nel
paziente. Il paziente respira in un circuito chiuso tramite una valvola ed il contenuto del tubo viene campionato per
analizzare un gas come l’azoto (N2); dopo una singola inspirazione di ossigeno al 100%, durante l’espirazione le
concentrazioni di N2 vanno aumentando piano piano che i gas dello spazio morto vengono lavati dal gas alveolare,
terminando infine con una concentrazione di gas costante, che rappresenta il puro gas alveolare (plateau), anche se
tale fase non é completamente piatta, ma tende lentamente ad aumentare. Lo spazio morto è analizzainducibile se
si plottano le concentrazioni di N2 in un grafico e si disegna una linea verticale (come in figura) che porta ad
individuare un’area A che sia uguale all’area B (si identifica nella curva il « punto di flesso »).
Similmente si può misurare in vivo tramite analisi della curva etCO2, il cui comportamento appare del tutto
analogo al metodo di Fowler eseguito in laboratorio. In questo caso si deve utilizzare anche la misurazione della
PaCO2 come valore massimo cui fare riferimento per intersecare la linea verticale che si trova lungo il punto di
flesso. Si determinano delle aree specifiche (in particolare nell’esempio sottostante le aree Y e Z) che
rappresentano rispettivamente lo spazio morto alveolare e lo spazio morto delle vie aeree. Si veda la differenza fra
il punto caso (normale) ed il secondo caso dove si ha un paziente con BPCO in cui aumenta sia lo spazio morto
anatomico alveolare che delle vie di conduzione.

SPAZIO MORTO FISIOLOGICO:


Un’altra metodologia per misurare lo spazio morto é tramite il metodo di Bohr; la figura qui sotto mostra come
tutta la CO2 espirata deriva dagli alveoli e niente dallo spazio morto. Pertanto il TV * FR é pari alla Va * Fa. Dato
che Va = Ve - Vsm, si può dire che TV * FR = (Ve - Vsm) * Fa, da cui si deriva equazione di Bohr:
Vsm/TV = (PaCO2 - PECO2)/PaCO2

Dove Va é la ventilazione alveolare, Fa é la frequenza di respirazione alveolare, PaCO2 é la tensione parziale di
CO2 presente nel sangue e PECO2 é l’etCO2. In altre parole, similmente al metodo di Fowler, un aumento della
differenza fra la CO2 ritenuta nel sangue e quella che viene eliminata nei polmoni é indice di un aumento del
rapporto fra lo spazio morto ed il tidal volume.

UTILITA CLINICA:
Lo spazio morto fisiologico è il determinante primario della differenza fra la PaCO2 e l’etCO2 nei pazienti con un
sistema cardiovascolare normale. Pazienti con alterazioni nel rapporto V/Q (come in caso di BPCO avanzate o
embolie polmonari) mostrano alterazioni nello spazio morto tali da alterare la differenza di CO2 fra i due sistemi
(chiamato dCO2). Un dCO2 oltre 5 mmHg é indice di un alterato rapporto fra Vsm/TV.

Ventilare regioni con poco o niente sangue, porta ad un incremento della ventilazione dello spazio morto; nei
pazienti con ostruzione delle vie aeree, la disomogeneità della ventilazione é responsabile dell’aumento di tale
spazio morto. Lo spazio morto alveolare é aumentato in caso di stati di shock, ipotensione polmonare e/o sistemica,
ostruzione vascolare polmonare, ecc… pertanto in stati di shock l’uso di ammine ed il loro dosaggio può alterare
l’emodinamica e lo spazio morto anatomico alveolare. L’uso di PEEP può reclutare alveoli collassati, riducendo lo
spazio morto anatomico alveolare, ma oltre l’upper limit point (sarà oggetto di discussione nel capitolo dedicato
alla PEEP) l’overdistensione alveolare può essere responsabile di un aumento dello spazio morto anatomico
alveolare.

Il gruppo di Nuckton ha dimostrato che un’incapacità di eliminare


la CO2 dovuta ad un aumento dello spazio morto fisiologico sia
un fattore indipendente di rischio associato a morte di un
paziente con insufficienza respiratoria acuta.

NON SOLO IPOVENTILAZIONE:


L’importanza della ritenzione di CO2 é andata incrementando
negli ultimi 20 anni ed attualmente é ben chiaro che un incremento
della pCO2 é un segno prognostico negativo in ICU; la confusione
attuale - assolutamente da evitare - é lo sviluppo di un riflesso per
cui ogni aumento della pCO2 é da attribuirsi sempre e solo alla
ipoventilazione o alla ipoventilazione alveolare. Storicamente questo concetto é stato enormemente diffuso, ma la
realtà clinica appare decisamente più complessa.

La sola ipoventilazione alveolare é una causa relativamente rara di ipercapnia, ma tecnicamente é la prima che deve
essere analizzata (si veda il capitolo precedente); in queste condizioni teoriche, il polmone appare intrinsecamente
normale, ma una riduzione dell’output ventilatorio comporta una ritenzione di pCO2 secondo i meccanismi spiegati
precedentemente, le cui cause sono da ricercare nella depressione dei centri respiratori (stroke, farmaci, paralisi,
ecc…), nella meccanica respiratoria (muscolo-scheletrica) o in problematiche meccaniche intrinseche al polmone
(tappi di muco, riduzione della compliance della cassa toracica, ecc…). Questo meccanismo é vero e reale, ma
nella realtà clinica lo scenario é decisamente più complesso; l’esempio tipico viene dal fatto che con l’incremento
della ventilazione alveolare si assiste ad un abbassamento della pCO2, ma questo non avviene in maniera lineare,
come ci si dovrebbe aspettare, ma con un andamento iperbolico, dato che l’inequalità ventilo-perfusoria in ciascun
segmento polmonare é il principale determinante del wash-out vascolare in merito alla pCO2.
In un modello test come quello in figura, dove tutti i parametri vengono mantenuti costanti, si può osservare come
al cambiare del rapporto ventilo/perfusorio si assista ad una riduzione dell’ossigenazione, ma anche della capnia,
che viene pertanto modificata dalle modifiche ventilo-perfusorie; nell’esempio, quando l’uptake di ossigeno é
ridotto del 45% rispetto alle condizioni basali, la pCO2 si riduce del 55% rispetto alle condizioni originali. Da
notare che i valori in figura sono logaritmici.
Nella figura qui sopra si vede come, in un modello reale, all’aumentare
dell’alterazione del rapporto ventilo/perfusorio, si assiste ad un
peggioramento dell’ipossiemia associato ad un incremento progressivo dei
valori di ipercapnia, proprio a riconferma che esiste un rapporto diretto fra
l’alterazione del rapporto ventilo-perfusorio e l’eliminazione di pCO2.
Questo é spiegabile con il fatto che le strutture vascolari e polmonari che
abbiamo in mente, spesso sono estremamente schematiche, mentre nella
realtà clinica i rapporti vascolari ed alveolari sono molto più complessi (si
vedano in figura alcuni esempi, come gli alveoli “parassiti” o gli alveoli
“paralleli”). Le analisi sui modelli polmonari che contengono le strutture
polmonari “parassitiche” mostrano che l’eliminazione di CO2 appare più
complessa che nei modelli senza tali strutture. È da ricordare che alcune
alterazioni fisiopatologiche (come in caso di BPCO) portano ad un
rimaneggiamento delle strutture polmonari, per cui queste strutture
“parassitiche” possono essere acquisite.
Un altro elemento chiave é la solubilità di un gas; sappiamo che ogni gas ha una costante di solubilità (per la
pCO2 é 20 volte maggiore che l’ossigeno per quello che riguarda la barriera alveolo-capillare) che é una
caratteristica intrinseca del gas. Tale solubilità però dipende da
ulteriori variabili indipendenti, fra cui il rapporto
ventilo/perfusorio: si veda in figura l’esempio. Nell’asse delle
ascisse sono indicate le diverse solubilità dei diversi gas, mentre
nell’asse delle ordinate si vede il passaggio del gas nella
barriera alveolo-capillare (in valori percentuali). Le tre curve
mostrano le modifiche del rapporto ventilo/perfusorio di grado
lieve, moderato e severo. Si noti come in caso di alterazioni
severe del rapporto ventilo/perfusorio, anche la solubilità della
pCO2, nonostante sia decisamente maggiore rispetto alla pO2,
sia gravemente ridotta, fino al 60% rispetto alla norma. Pertanto
anche la DIFFUSIONE della pCO2 viene ad essere alterata
quando si altera il rapporto ventilo/perfusorio.
Ecco pertanto che la sola ipoventilazione non é in grado di spiegare tutti i meccanismi di ritenzione della pCO2, ma
sono da ricercare anche: a) un’alterazione della diffusione (secondario ad un’alterazione del rapporto
ventilo/perfusorio) e b) due ulteriori meccanismi collegati all’alterazione del rapporto V/Q: il primo dovuto ad
un’ostruzione all’efflusso di aria (broncospasmo) ed il secondo collegato direttamente ad una riduzione della
perfusione vascolare a livello alveolare (esempio: embolia polmonare). Nei prossimi due capitoli andremo a
trattare nello specifico tali condizioni fisiopatologiche.

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