Sei sulla pagina 1di 13

METODOLOGIA 3 22 – 03 – 2021

GESTIONE DELL’AERAZIONE IN TERAPIA INTENSIVA:


LE TERAPIE INTENSIVE “A BOX CHIUSI”

La parola chiave è ambiente sicuro: prima di approcciarsi con


il paziente, è fondamentale capire come muoversi e se si è
nelle condizioni idonee di farlo. Le terapie intensive prima del
Covid erano open space, con l’aggiunta di alcuni box per
l’isolamento. Il covid ha permesso di mettere in evidenza che
l’uso prolungato dei DPI rende molto faticoso il lavoro.
Obiettivamente, ci poteva essere un contesto architettonico che faceva in modo
da non tenere sempre tutti i DPI: La ripartizione degli spazi assistenziali è stata
quindi appositamente equilibrata tra box singoli. Si è visto che se si fossero
creati tanti mini box, ci sarebbero state le condizioni per evitare la vestizione
continua nei luoghi comuni (il luogo comune risulta essere la stanza con tutti i
sistemi di monitoraggio e di controllo). Inoltre svestendosi ed entrando nei
luoghi comuni svestiti, gli operatori sanitari avrebbero alzato la soglia di difesa
portando fuori tutto quello presente nei box (prima del Covid, infatti, veniva
spontaneo portare il tutto con sé dopo la svestizione e il lavaggio delle mani). E’
impensabile, in un momento storico del genere dovuto alla pandemia, svestirsi e rimanere solamente in
mascherina in un reparto Covid. Se si creassero tanti box, potrebbero venirsi a creare tante zone filtro in cui
poter effettuare la vestizione, per poi entrare nel luogo comune: l’unica zona colpita sarebbe quella della zona
filtro. Essendo invece in aspirazione negativa, tutta l’aria presente nella stanza verrebbe aspirata e filtrata:
anche l’apertura della porta in questo caso inficia poco perché l’aria non tende ad uscire come se ci fosse una
pressione positiva (nella seconda immagine, invece, l’aria tende ad andare verso fuori). Dunque:

- Instaurando una pressione positiva, aprendo la porta, l’aria presenta all’interno (sicuramente
contaminata) andrebbe verso fuori.
- Instaurando una pressione negativa, aprendo la porta, l’aria presente all’interno viene filtrata
perché viene dirottata in maniera negativa verso la canalizzazione dei filtri.

Esiste anche una pressione positiva, solitamente presente nelle sale operatorie. Il problema dell’aerazione è un
problema degli operatori sanitari: quest’ultimi non gestiscono tecnicamente l’impianto di aspirazione, ma
metodologicamente decidono se fare una pressione piuttosto che un’altra. Anche questo fa parte dei dispositivi
di protezione in quanto consente di proteggersi. La pandemia da COVID-19 ha fatto emergere con forza
problematiche preesistenti, ma che per consuetudine non portavano a riflettere. L’ambiente, soprattutto in
terapia intensiva, deve avere una logica. L’isolamento mediante i box in terapia intensiva non è totale poiché le
terapie intensive “a box chiusi” prevedono dei locali separati: alcuni locali per alloggiare i pazienti infetti e gli
operatori che li assistono e altri locali per il personale di supporto che non assiste direttamente i malati o
utilizzati nel momento in cui questi ultimi non assistono i malati. Ciononostante, esistono degli svantaggi:
l’intervento nei confronti dell’ammalato è sempre meno veloce in confronto all’open space.

DISPOSITIVI DI PROTEZIONE INDIVIDUALE

Spesso i DPI vengono utilizzati senza chiedersi perché vengono indossati, se è utile farlo, se i vantaggi sono
superiori agli svantaggi etc. Qualunque azione fatta per difendere, monitorare e attenzionare il paziente
dovrebbe nascere da una reale convinzione che quell’azione ha un vantaggio. Qualora ciò non dovesse esser
fatto, si verificherebbe:

1. Un aumento dei tempi di gestione del paziente;


2. L’uso di determinati interventi, che potrebbe allontanare l’operatore sanitario dal focus principale,
determinandone la diminuzione dell’efficienza e dell’efficacia.
METODOLOGIA 3 22 – 03 – 2021

SURGICAL CAP

Esistono numerose tipologie di mascherine con filtraggio, tra cui:

La mascherina chirurgica;


La FFP2;
La FFP3 (con e senza filtro).

QUANDO INDOSSARE LA MASCHERINA CHIRURGICA

La mascherina chirurgica (è l’unica mascherina medica). Le mascherine


chirurgiche sono considerate un dispositivo medico (DM), indossate
storicamente da medici e operatori sanitari. Pensiamo al chirurgo
durante un intervento o ad un dentista durante un’estrazione di un
dente: chi indossa una mascherina chirurgica non solo non contamina
l’ambiente operatorio ma protegge anche se stesso da eventuali schizzi
di fluidi che possono venire a contatto con la propria bocca. E’ possibile
distinguere un filtraggio esterno e un filtraggio interno: la mascherina chirurgica presenta un filtraggio dettato
dall’aria espirata dall’operatore e un filtraggio dettato dall’aria inspirata. La sua capacità filtrante verso chi la
indossa è bassa (stimata intorno al 20%), mentre verso l’esterno è estremamente elevata e nel caso dei batteri
può superare il 95%: dunque, durate l’espirazione è abbastanza filtrata mentre durante l’inspirazione non lo è
(motivo per cui protegge chi ci sta davanti e non noi stessi). È chiaro che se tutti utilizzassero la mascherina
chirurgica ci sarebbe un buon grado di protezione. Nei reparti no – Covid, quindi, si consigliava di indossare la
mascherina chirurgica, ovvero l’unica mascherina medica.

QUANDO INDOSSARE LA FFP2

La concentrazione (ovvero quanto il virus potesse essere concentrato in un cm 3) e, soprattutto, e la filtrazione


(ovvero il passaggio del filtrato dalla mascherina) risultano essere dei concetti sconosciuti ancora oggi. All’inizio
della pandemia bisognava, dunque, trovare un dispositivo che assicurasse una filtrazione e una concentrazione
molto alte. Le mascherine FFP2 monouso, sono dispositivi di protezione individuale che proteggono le vie
respiratorie da particelle come polvere industriale ultrasottile: si tratta, infatti, si mascherine prevalentemente
utilizzate in area industriale. Dunque, la mascherina FFP2 ha un grado molto più alto della mascherina chirurgica
di filtraggio dall’esterno, ma più basso della mascherina FFP3: si parla, quindi, di una protezione non più sociale
(come nel caso della mascherina chirurgica) ma individuale. Ci si espone individualmente ad un problema
quando un pericolo è vicino: quindi, per l'assistenza diretta a pazienti affetti da Covid-19 viene consigliato
l'utilizzo non delle mascherine chirurgiche, ma di quelle FFP2 in contesti assistenziali dove vengono concentrati
numerosi pazienti positivi (ovvero in un reparto Covid). Si passa, così, dall’utilizzo della mascherina chirurgica
all’utilizzo della FFP2.

QUANDO INDOSSARE LA FFP3

Andando ad esercitare alcune skills come l’aspirazione bronchiale, l’intubazione o ancora la gestione generale
delle vie aeree (che risulta essere il metodo principale di contagio), si consiglia l’utilizzo della mascherina FFP3.
In un reparto COVID-19 ci sono numerosi pazienti, quindi molti punti di emissione di goccioline infette: il virus
ha un tempo di sopravvivenza. Tali goccioline tendono a depositarsi, infatti, su qualsiasi superficie. Il contatto
mani – mucose con superfici contaminate fa, infatti, da vettore per la trasmissione del virus. Tra le
raccomandazioni prevale quella, quindi, di evitare di toccarsi il viso con le mani non ancora lavate, in modo da
tenere al sicuro naso, bocca e occhi e da evitare una percentuale di contagio a livello delle vie aeree.
METODOLOGIA 3 22 – 03 – 2021

PERCHE’ INDOSSARE I DPI?

Proprio per questo motivo si decide che gli operatori sanitari dovessero essere bardati con tute protettive, per
evitare di fare da vettore per la trasmissione del virus al di fuori dei reparti e mettendo in atto procedure di
vestizione e svestizione per gli operatori in ambienti a rischio di trasmissione di Covid-19. Per ridurre il rischio di
trasmissione del virus si ritenne, infatti, necessario assicurare dei percorsi sporco/pulito. Doveva, quindi, essere
garantita sempre la zona pulita dedicata alla vestizione e la zona sporca dedicata alla zona di svestizione. E’
stato dimostrato che indossando la tuta e le scarpe, la percentuale di contagio da Coronavirus risultava essere
molto bassa. In caso di Ebola è differente: il virus Ebola si trasmette alle persone attraverso lo stretto contatto
con sangue, secrezioni, tessuti, organi o fluidi corporei di persone infette. Tutta la superficie corporea non deve
avere contatti con i liquidi biologici della persona infetta. Proprio per questo motivo, infatti, è fondamentale
utilizzare le tute protettive: quest’ultime rappresentano, infatti, il massimo della protezione.

FFP2 E FFP3 CON FILTRO

Esistono anche altri due tipi di mascherine. Si ha


una protezione interna e una protezione esterna.
Una mascherina FFP2 con filtraggio non ha una
buona protezione dall’esterno verso l’interno:
Chi la indossa ha il 18% di possibilità di
contagiarsi ma l'80% di infettare gli altri se
positivo al virus. Dunque, le mascherine FFP2 e
FFP3 con filtro mantengono lo stesso tipo di
filtraggio dall’esterno verso l’interno, ma
annullano del tutto quello dall’interno verso
l’esterno.

SCAFANDRO CON APPARECCHIO DI FILTRAGGIO

Esistono, inoltre, degli scafandri con apparecchio


di filtraggio che
consentono appunto di
filtrare l’aria: quest’ultima entra all’interno dello scafandro e l’operatore riesce a respirare
normalmente attraverso questo “casco”. Il vantaggio è quello di un minore
appannamento e, soprattutto, la risoluzione dell’annoso problema delle lesioni da
pressione da uso prolungato di DPI. A causa del prolungato utilizzo di DPI, soprattutto se
quest’ultimi sono posti in zone a contatto con l’osso (vedi naso o orecchie), si ha un
maggiore rischio di andare incontro allo sviluppo di lesioni da pressione (la zona nasale è
infatti la più colpita). Il fatto che l’adesione della mascherina alla rima buccale mediante l’anima interna dovesse
essere ottima (proprio per questo motivo tagliare la barba aiuta a limitare il rischio di contagio da coronavirus
perché consente il giusto fissaggio del dispositivo alla rima buccale; sui foglietti allegati alle mascherine FFP2 si
legge: non usare con barba, basette o baffi che potrebbero impedire una buona tenuta del respiratore sul
volto”; È ben noto infatti che la barba può rappresentare un veicolo di trasmissione di batteri e virus e può
trattenere le famigerate droplets, le goccioline di saliva nebulizzata che possono essere veicolo di contagio del
Covid 19), causò lo sviluppo di numerose lesioni da pressione. Per ovviare a tale problematica si ritenne
opportuno utilizzare gli idrocolloidi: le medicazioni raccomandate che hanno dimostrato maggior efficacia sono
medicazioni di protezione tipo idrocolloide da posizionare al di sotto dei dispositivi medici, nelle zone di
maggiore pressione. Ciononostante, ciò non costituì una buona soluzione in quanto rallentava e diminuiva
l’adesione della maschera, con la formazione di spiragli e comunicazione tra l’interno e l’esterno.
METODOLOGIA 3 22 – 03 – 2021

 Surgical cap: tuta;


 Goggles: occhiali di protezione:
 Face shield: visiera;
 N95/Respirator mask: La certificazione per la capacità della mascherina facciale
di filtrare le particelle sospese nell’aria compete vari enti, che emettono
classificazioni differenti:
 L’Unione Europea (norma EN 149:2001) classifica le mascherine facciali
filtranti in FFP 1,2,3.
 Il National Institute for Occupational Safety and Health (NIOSH)
statunitense ricorre alle sigle N 95,99,100.
 La Cina (standard GB2626-2006) utilizza le diciture KN 90,95,100.
 Medical protecting coverall:
 Double disposable gloves: doppi guanti;
 Leg covers waterproof boots: calzari.

Dunque:

 Prima di entrare nel box va fatta un’auto – check


dei DPI da indossare (ovvero quelli fondamentali
per il trattamento della patologia del paziente in
cura).
 Indossare camice verde monouso sopra la divisa o il camice/tuta impermeabile per ogni paziente,
e rimuoverlo e smaltirlo correttamente prima dell’uscita al box. La differenza consiste nel fatto che
il camice verde monouso serve per evitare le infezioni correlate all’assistenza da crossing.
Solitamente le zone a maggiore contatto con il paziente in terapia intensiva risultano essere le mani
(quindi il tutto avviene attraverso il contatto). Tutti i camici nuovi sono completamente asettici ed
una volta terminato di utilizzarli devono essere sostituiti poiché sono entrati in contatto con un
ambiente esterno potenzialmente contagioso pregiudicando così la loro funzione protettiva. I
camici con polsini sono lo strumento di protezione individuale necessario per difendere il busto,
braccia e la parte alta delle gambe. Oltre ad effettuare sempre il lavaggio antisettico prima di
qualsiasi procedura, il camice è utile al fine di evitare il passaggio dei batteri da un paziente all’altro.
Un’altra zona a maggiore contatto con il paziente in terapia intensiva risulta essere il corpo: in
terapia intensiva capita spesso di avere contatti con il corpo del paziente (soprattutto durante
l’igiene). E’ fondamentale, dunque, lavarsi le mani prima del contatto con un paziente e quello con il
paziente successivo. E’ necessario utilizzare, quindi, un camice nuovo per ogni paziente.
 Indossare un paio di guanti monouso per l’assistenza al paziente. E’ fondamentale cambiare i
guanti in caso di rottura, sporcizia oppure necessità di passare da un’attività “sporca” ad una
“pulita” (es. dopo l’igiene, prima di eseguire medicazioni);
 Prima di indossare un nuovo paio di guanti passare il gel alcoolico sui guanti che stanno sotto in
quanto vengono indossati due paia di guanti. Si usa il gel per cercare ottimizzare le operazioni il più
METODOLOGIA 3 22 – 03 – 2021

possibile ottimizzando i tempi. Uno studio ha dimostrato quanto tempo si impiegasse per il
semplice lavaggio delle mani. Risulta essere più funzionale (in termini di costo e tempi) il lavaggio
con la soluzione idroalcolica. Uno studio ha dimostrato il risultato ottenuto lavando le mani con il
lavaggio sociale e successivamente appoggiando le dita su un terreno di coltura (le piastre rosse),
per poi effettuare lo stesso procedimento mediante il lavaggio con soluzione idroalcolica. La
differenza tra i risultati ottenuti dai due procedimenti non era molta, ma era molta la differenza tra
le mani lavate e quelle non lavate. Purtroppo, diversi studi mostrano che molte persone non si
lavano le mani in modo adeguato. Lavarsi le mani è un modo per fermare la diffusione di agenti
patogeni e malattie infettive. Farlo bene dunque, è importante.
 Check attivazione pressione negativa o positiva dell’areazione della stanza del paziente in base alle
necessità cliniche

La setting – safety rappresenta una fase in cui si è


ancora in “ambiente sicuro”. E’ necessario
verificare la presenza di tutto l’occorrente che
serve per l’assistenza del paziente. A tal proposito,
si è soliti ricorrere all’utilizzo di check, affinché
tutto venga controllato adeguatamente. La
checklist consente, inoltre di ottimizzare i tempi di
controllo, rendendolo quindi più veloce.

1. In primis occorre fare una check sulla


presenza di pallone auto – espandibile o
pallone va e vieni. Qual è la differenza tra
il pallone auto espansibile e quello va e
vieni? L’ambu è il nome commerciale del
pallone auto-espansibile. Il pallone va e vieni
consiste, invece, in un sacco di gomma non auto-
espandibile che necessita, per il suo utilizzo, di
essere collegato ad una fonte di ossigeno: il
pallone va e vieni non è quindi “autosufficiente”,
per cui si trova collegato a un circuito che
consente di dare un volume. Tutti questi presidi
sono fondamentali per la gestione delle vie aeree
(A nel modello ABCDE): a tal proposito, l’ambu collegato all’ossigeno permette al
paziente di essere ventilato manualmente (vale lo stesso per il pallone va e vieni).
Tali dispositivi servono nel caso il ventilatore non funzioni, per cui occorre
provvedere immediatamente a ventilare il paziente a mano con il pallone.
2. Check della presenza del flussimetro ossigeno con ugello per attacco prolunga del
va e vieni e del supplemento di ossigeno al pallone auto espandibile. Bisogna
controllare se il flussimetro è in postazione: la sua mancanza in fase di emergenza
può sprecare del tempo utile. La mancanza dei dispositivi in urgenza comporta,
quindi, dei problemi al paziente e all’assistenza.
3. Check funzionamento aspirazione: è fondamentale controllare l’aspirazione. Se un paziente deve
essere aspirato a causa di un problema di ostruzione delle vie aeree dettata da un’abnorme
quantità di muco, rappresenta un problema serio non avere la possibilità di aspirarlo. Oltre a
vedere la presenza dell’aspiratore, occorre soprattutto verificarne il funzionamento, che abbia la
METODOLOGIA 3 22 – 03 – 2021

giusta pressione di aspirazione e che l’aspirazione vada a muro 1 e non nel contenitore resevoire che
si trova al di sotto, il quale non serve a contenere ciò che aspiriamo poiché si riempirebbe molto
velocemente e si otturerebbe.
4. Check cassetti gestione delle viee aeree tra cui si hanno i filtri anti-microbici, filtri HME,
catetermount, lubrificante idrosolubile, cannule di Guedel di misure, maschere facciali per
ventilazione di misure. I filtri anti-microbici si usano dopo il corrugato. I filtri HME, oltre a filtrare,
hanno una funzione di umidificazione. Tale umidificazione è passiva in quanto si umidifica con lo
stesso atto respiratorio dettato dal ventilatore.
5. Check presenza di filtro HEPA, alla fine della branca espiratoria del circuito del ventilatore
automatico con data del giorno corrente (sostituzione obbligatoria ogni 24 ore). Nell’ambito dei
filtri HEPA si considera l’aria che esce dal paziente. Tale filtro è stato usato come filtraggio dell’aria
espirata dei pazienti Covid (che, altrimenti, andrebbero ad inquinare l’aria). Il filtro HME si presenta
generalmente con il colore verde, ma ne esiste un altro con un anello intorno di colore giallo. Esso
si posiziona alla fine della branca espiratoria, cercando di fare un filtraggio verso l’esterno (verso
l’aria). Considerando che la funzione di filtraggio dura 24 ore, occorre scriverlo per ricordarsi di
sostituirlo dopo tale periodo. I device devono essere sostituiti 2 dopo un certo periodo di tempo.
6. Check di sondini di aspirazione di diverse misure. Ogni
calibro, ogni misura e ogni pressione negativa (fino a
300 in quello al muro) risulta essere
differente: creando una pressione
negativa attraverso un sondino, per
quanto riguarda il tubo endotracheale,
più grosso è il sondino e maggiore sarà
la parte interna occupata del tubo
endotracheale. Quindi, un grande tubo
ostruisce la parte di ingresso nel tubo
endotracheale. Esercitando una
pressione, quest’ultima sarà maggiore
in quanto si crea il sottovuoto. Minore
è il tubo e minore sarà la pressione
(sottovuoto) che si esercita. Il colore
ottimale di tale tubo endotracheale è
rappresentato dal verde (anche l’arancione, mentre per i bambini quello bianco/nero, avente un
calibro più piccolo). Dunque, maggiore è il calibro e maggiore sarà la pressione negativa che si crea
all’interno dei polmoni: si avrà una pressione negativa maggiore negli alveoli. Un alveolo con una
certa difficoltà a dilatarsi tenderà a creare una pressione negativa in maniera tale da aumentare la
parte dell’alveolo che fa parete. Alcuni pazienti con determinate patologie (come quelle ostruttive
che li portano inevitabilmente ad essere ventilati), a causa della perdita del surfactante dovuta
all’età o a processi infiammatori (si tratta di una sostanza che consente la lubrificazione a livello
alveolare; il surfactante impedisce il collasso degli alveoli più piccoli, l'eccessiva espansione di quelli
più grandi e aumenta la compliance polmonare), vanno più facilmente incontro alla perdita
dell’elasticità dell’alveolo. Impiegando molto tempo, attraverso la ventilazione, ad aumentare il
reclutamento alveolare (e quindi il rigonfiamento polmonare), non è possibile fare un’aspirazione in
distress respiratorio. Ogni azione comporta dunque una reazione: anche l’aspirazione, per quanto
riguarda la gestione delle problematiche respiratorie, risulta essere molto importante.
Check allarmi del ventilatore automatico:
1
L’aspiratore a muro è rappresentato nell’ultima immagine a destra.
2
Ad esempio le mascherine si devono sostituire secondo le norme della casa produttrice ma noi stessi dobbiamo capire quando
perde il suo valore (come nel caso in cui siano sporche o la parte interna sia entrata in contatto con le mani).
METODOLOGIA 3 22 – 03 – 2021

 Volume/Minuto minimo e massimo;


 Volume Tidal massimo;
 Pressione Inspiratoria Massima;
 Frequenza Respiratoria Minima e Massima
 Tempo di apnea (il massimo è rappresentato da 15 secondi).

Check sul ventilatore della funzione “Ventilazione di back – up” o “Apnea Ventilata”: deve essere su “on”
se i pazienti sono in Pressure Support Ventilation3.

Nel controllare la checklist bisogna essere molto veloci.

Check monitor multiparametrico:


 Allarmi saturazione periferica
dell'ossigeno (giallo 92%, rosso 90%, di
default o personalizzati a seconda del
paziente): una saturazione pari a 90 in
un paziente ricoverato in terapia
intensiva deve essere indice
patognomonico.
 Allarmi Frequenza Cardiaca minima e
massima;
 Allarmi Pressione Arteriosa minima e
massima Allarmi Frequenza
Respiratoria (personalizzati): non
rappresentano valori standard, ma
vengono decisi in virtù delle necessità
del paziente;
 Allarmi End Tidal CO2 minimo e massimo (personalizzati);
 Allarmi Pressione Intracranica Massima (20 mmHg di default);
 Allarmi Pressione di Perfusione Cerebrale minima (50 mmHg);
 Check di tutta l'alimentazione degli elettromedicali che deve essere a rete: la workstation racchiude
tutte le pompe per essere alimentate. Essa può essere a 6, a 12 etc. in base alla capacità di
alimentare le pompe volumetriche e le pompe siringa. Essa risulta avere una capacità di
alimentazione delle pompe ridotta: se la pompa non è carica, si spegne. A tal proposito bisogna
sempre attenzionare il fatto che la workstation sia collegata ad un’energia elettrica di rete o che le
pompe siano collegate e non usino la batteria interna.
 Check corrispondenza della terapia infusiva prescritta (farmaci e dosaggi) con quella in corso
all'interno del box;
 Check connessioni tubi e filtri del ventilatore (devono essere ben saldi);
 Check connessioni linee infusive (devono essere ben salde ma non strinte eccessivamente): non
devono essere strette eccessivamente perché, altrimenti, si ha difficoltà a staccarle.
 Check circuiti extracorporei (CRRT, ECMO): controllo assenza di kinking o schiacciamento dei tubi e
messa in sicurezza delle connessioni con in cateteri: la terapia extracorporea CRRT risulta proprio
essere la dialisi.
 Check letto paziente: sponde alzate, letto frenato. Se la sponda laterale rimane abbassata, il
paziente potrebbe cadere. Ciò rappresenta un rischio maggiore per il paziente in terapia intensiva
rispetto a quando ciò accade in reparto. Tra la azioni per la gestione del paziente a rischio di caduta
3
DOMANDE DEI COLLEGHI: Anche i box stessi sono dotati di sistema di filtraggio EPA, così come le barelle di biocontenimento? No. I
box hanno i filtraggi dei filtri. Questi risultano essere dei sistemi di filtraggio molto più avanzati. Esistono due tipi di controllo
all’interno della sorveglianza: uno è quello ventilatorio e l’altro è quello dettato dalle piastre.
METODOLOGIA 3 22 – 03 – 2021

viene annoverato l’inserimento di una targhetta per segnalare il paziente. La scala di valutazione
del rischio di caduta del paziente risulta proprio essere la scala di Conley.
 Prima di uscire dal box paziente effettuare controllo delle infusioni che stanno terminando e
anticiparne in cambio su quelle imminenti per minimizzare il reingresso nel box (cosiddetto "zero
delle pompe"). Non esistono farmaci che potrebbero maggiormente creare problemi
nell’ottimizzare il cambio della pompa o nella sostituzione della stessa. Quando la pompa di
infusione sta per terminare, avverte di essere prossima alla sostituzione mediante un sistema di
allarme.

QUICK LOOK PAZIENTE

Nell’immagine a destra viene mostrato un tipico paziente in terapia intensiva. La prima cosa da fare è la
VALUTAZIONE DEL QUICK LOOK, ovvero un controllo
veloce testa – piede del paziente: si tratta del cosiddetto
“colpo d’occhio”.

Il primo step consiste nella:

Valutazione stato di coscienza (Glasgow Corna Scale);


Valutazione stato della sedazione (Richmond Agitation
Sedation Scale);
Check vie aeree naturali;
 Pervietà vie aeree naturali conservate: la prima
cosa da valutare risulta proprio essere la
pervietà delle vie aeree naturali conservate. Che
le vie aeree naturali siano conservate sta ad indicare che il paziente è in grado di respirare
autonomamente, per cui non è intubato. A tal proposito le check vie aree artificiali consistono nel
tubo endotracheale e nel tubo tracheostomico.
Check vie aeree artificiali – Tubo endotracheale. Del
tubo endotracheale bisogna controllare:
 Pervietà;
 Posizione (rima buccale centrale, destra,
sinistra: numero di cm dalla rima buccale): il
tubo può essere messo al centro, a destra o a
sinistra. Non vi è una postazione migliore ma è
consigliata l’alternanza, in maniera tale da
evitare la compressione sempre nello stesso
punto (e, quindi, evitare le lesioni). Se il tubo è
ben posizionato (e, soprattutto, è del giusto
calibro) non determina lesioni. La quantità di
tuo introdotto dipende ovviamente dalle
misure antropometriche del soggetto intubato (in base a quanto è alto).
 Corretto fissaggio del tubo;
 Gonfiaggio cuffia tra 25 e 30 cm H 2O (andrebbe controllata almeno 2 volte per turno, prima
dell’igiene del cavo orale e al bisogno). Un misuratore consente di misurare, appunto, il gonfiaggio:
ciò viene fatto mediante dei numeri e dei colori (verde, rosso e giallo). Il gonfiaggio della cuffia
compreso tra 25 e 30 cm H 2O sarà colorato in verde. Il tutto va fatto prima dell’igiene del cavo orale
in quanto, se non è gonfiato a sufficienza, il tutto potrebbe finire nei polmoni. Essendoci un tubo,
non c’è una difesa: se il tubo è poco aderente alla parete tracheale, il contenuto del tubo potrebbe
METODOLOGIA 3 22 – 03 – 2021

finire in esofago o nei bronchi. Questo succede alimentando il paziente: il gonfiaggio e fissaggio del
palloncino risultano essere fondamentali.
Check vie aeree artificiali — tubo tracheostomico. Del tubo tracheostomico bisogna controllare:
 Individuazione del tipo di cannula tracheostomica (fenestratalnon fenestrata);
 Pervietà: controllo e detersione controcannula;
 Corretto fissaggio del tubo tracheostomico;
 Controllo stato dello stoma tracheale e medicazione;
 Se la cannula è cuffiata: gonfiaggio cuffia tra 25 e 30 cmH2O (almeno 2 volte per turno, prima
dell'igiene del cavo orale e al bisogno).
Check aspirazione sottoglottica (nei pazienti con via aerea artificiale con lume dedicato): in terapia
intensiva non viene utilizzato frequentemente. Il bundle per la prevenzione delle VAP (ovvero la polmonite
causata da ventilatore meccanico) prevedono l’aspirazione sottoglottica. Quest’ultima è prevista:
 - 25 mmHg in aspirazione continua;
 -100/ -150 mmHg in aspirazione intermittente.

Il tubo presenta un aspiratore che esercita una pressione


negativa di - 25 mmHg, per cui la regione sovraglottica
viene aspirata continuamente (a). Avendo, invece,
un’aspirazione intermittente, si va da -100 a -150 mmHg
(b). Il terzo suggerisce la pressione negativa esercitata in
quel momento dall’aspirazione (c).

MONITORAGGIO END TIDAL CO2

L’End Tidal CO2 consiste nella misurazione


dell’anidride carbonica. Quest’ultima è
fondamentale per capire la presenza o meno di
attività respiratoria: non essendoci anidride
carbonica, non avvengono gli scambi. Nel paziente
monitorato, soprattutto quando è in arresto
cardiocircolatorio, uno dei segnali che fa capire che
il paziente sta riprendendo la sua attività ventilatoria è la presenza di CO 2. Nella curva capnografica a sinistra è
indicato uno zero: quest’ultimo sta ad indicare l’assenza della CO 2, il quale tende poi a risalire in fase inspiratoria
(linea di base inspiratoria). La CO2 non è presente nella linea di base inspiratoria in quanto il rilevatore non
riesce a captarlo (in quanto è appunto, una fase inspiratoria; nella fase espiratoria, ovvero quando l’aria tende
ad uscire, il rilevatore riesce a captare la CO 2 presente). Nella fase inspiratoria è rappresentata nel grafico da
una salita, la quale rimane costante (plateau inspiratorio) durante il periodo dell’espirazione (il rilevatore
registra quanta CO2 è presente durante la fase di espirazione). Quando la fase espiratoria finisce, inizia quella
inspiratoria: si verifica una caduta immediata in quanto il rilevatore non riesce nuovamente a captare la CO 2
presente, per cui ci si ritrova nuovamente allo zero iniziale. A ciò segue una salita nella fase espiratoria, la
registrazione durante questa fase, una caduta e, infine, in ritorno alla fase inspiratoria in cui il rilevatore non
riesce a captare la CO2 presente. Nella fase inspiratoria si ha normalmente una pressione positiva in quanto si
tende ad esercitare una pressione positiva per superare lo 0 e fare uscire l’aria.

Monitoraggio End Tidal CO2: il valore


dipenderà da quanto il rilevatore
riuscirà a captaria. Se è poco sarà
basso: più alto è, più ne registra. Il
monitoraggio dell’End Tidal CO2 è:
METODOLOGIA 3 22 – 03 – 2021

 Obbligatorio in tutti i pazienti con tubo endotracheale;


 Obbligatorio in tutti i pazienti con monitoraggio della pressione intracranica (PIC): il maggiore
consumatore di ossigeno risulta essere il cervello.
 Obbligatorio in tutti i pazienti con problemi di omeostasi della CO 2;
 Consigliato in tutte le altre tipologie di pazienti.
Aspirazione tracheale;
 Circuito chiuso di aspirazione obbligatorio per tutti i pazienti: il sistema
chiuso è presente sotto l’End Tidal CO 2. E’ fissato con un tubo
endotracheale: da un lato deve per forza entrare l’aria con una certa
percentuale di ossigeno dal circuito del ventilatore (altrimenti non si
riesce a ventilare il paziente). Il sondino nella foto a destra è esterno
ma, facendolo scivolare all’interno, entrerà dentro. Schiacciando il
“thumb control for suction” si creerà una pressione negativa che uscirà
insieme al sondino per l’aspirazione. Il catetere si trova all’interno di
una sacca per conservare la sterilità del catetere stesso che non viene
a contatto con l’esterno. In questo modo di diminuisce la possibilità di
infezioni: mediante il tubo endotracheale, l’albero polmonare viene
messo in contatto con l’esterno, ma senza alcun tipo di filtraggio. L’uscita rappresentata dal tappo
rosso dà la possibilità di effettuare dei lavaggi: il tubo potrebbe ostruirsi a causa della produzione
densa di muco. Il modificatore a T dà la possibilità, alla fine dell’aspirazione attraverso il sondino, di
ventilare in tranquillità il paziente. Il resto viene attaccato al vacuum a muro.
 Solo al bisogno, mai di routine, preferibilmente su osservazione delle curve dei flussi in
espirazione;
L’igiene del cavo orale deve essere fatta una volta per turno:
 Spazzolino con sostanza detergente per tutti i pazienti, eccetto quelli con disturbi della
coagulazione o piastrinopenici: ciò viene fatto per diminuire il sanguinamento.
 Uso del tampone in schiuma nei pazienti con disturbi della coagulazione o piastrinopenici;
 Uso della clorexidina colluttorio riservato soltanto ai pazienti intubati cardiotoracici: è
stato dimostrato che la clorexidina come colluttorio è efficace solamente nei pazienti di
cardiochirurgia. In tutti gli altri pazienti rappresenta un intervento poco significativo: in alcune
situazioni si è, addirittura, dimostrata dannosa. La clorexidina ha fatto un buon effetto solamente
nei pazienti cardiochirurgici. Ma qual è la differenza tra un paziente cardiotoracico (ovvero un
paziente sottoposto ad un intervento cardiochirurgico) e qualsiasi altro paziente? La terapia
intensiva di cardiochirurgia dovrebbe essere molto più pulita rispetto alle altre. Bisogna considerare
alcuni fattor: il primo è il fattore tempo. Solitamente i pazienti cardiochirurgici devono essere
svezzati nel più breve tempo possibile. In qualsiasi altro paziente, invece, il tempo di intubazione è
maggiore. La clorexidina viene solitamente utilizzata per diminuire le VAP, ovvero le infezioni
correlate alla ventilazione meccanica. Nel cavo orale la carica batterica risulta essere estremamente
alta: essendo nulla la difesa nei pazienti cardiochirurgici (il tutto dipende anche da talune situazioni
peculiari del paziente e del suo grado di
sedazione, che può essere una blanda o una
sedazione importante con l’aggiunta di curari),
si agisce con la clorexidina4.
4
DOMANDE DEI COLLEGHI: cosa deve fare un infermiere in terapia intensiva quando un paziente cerca di estubarsi da solo? Ciò non
dovrebbe accadere. Si parla, infatti, di estubazioni non pianificate nei pazienti
in terapia intensiva. Si cerca di ventilare il paziente (mediante la cannula di Guedel presente nel primo cassetto) e l’infermiere
chiama immediatamente qualcuno che possa portare il carrello di emergenza: in quest’ultimo sono, infatti, presenti i dispositivi per
le intubazioni difficili. Si tratta di tutti questi device che aiutano a ventilare in maniera più efficace il paziente. Questi risultano
essere caratterizzati dalla maschera laringea, detta anche I – gel: è una maschera che si localizza nel laringe; è fatta di gel in maniera
tale da aderire adeguatamente. Tutta l’aria insufflata attraverso il pallone autoespandibile permette di ventilare il paziente. Essa ha
METODOLOGIA 3 22 – 03 – 2021

B - BREATHING

 Valutazione clinica respiratoria: E’ possibile distinguere una valutazione clinica respiratoria da una
valutazione strumentale respiratoria. Quello della frequenza respiratoria è un parametro
sottostimato. Frequenza respiratoria;
 Superficialità/profondità del respiro: E’ importante valutare anche la qualità della frequenza
respiratoria, ovvero se il respiro è superficiale o profondo. La profondità di un respiro denota il
livello di espansione toracica maggiore o inferiore. Più profondo è, più sarà espanso (per cui la
capacità di volume sarà superiore). La superficialità si abbina al valore dell’alta frequenza: aumenta
la frequenza, ma diminuisce il volume. Si tratta della compensazione: talvolta ciò determina solo
l’affaticamento e, quindi, l’aumento della frequenza cardiaca.
 Sincronia toraco – addominale: non c’è sincronia toraco – addominale quando l’atto inspiratorio
non è sincronizzato con l’atto espiratorio. In questo caso si suol dire che il paziente “respira di
pancia”: in questo caso il diaframma non riesce a compensare.
 Simmetria dell'espansione toracica: l’espansione toracica, fisiologicamente, risulta essere
simmetrica. Qualora non dovesse essere simmetrica, potrebbe essere indice patognomonico. Ciò
comporta la palpazione toracica.
 Palpazione toracica alla ricerca di alterazioni morfologiche ed enfisema sottocutaneo (auscultazione
degli emitoraci destro e sinistro superiormente ed inferiormente): l’auscultazione dà la certezza che
da un lato non si ha la ventilazione. La mancanza di murmure sta ad indicare la mancanza di
ventilazione da un lato del polmone. Clinicamente la trachea, per reclutare più aria, si sposta sul
polmone che funziona meglio.
 Osservazione del colorito cutaneo;
Valutazione strumentale respiratoria;
 Saturazione periferica dell’ossigeno (cambio sede almeno I volta al giorno): se presente catetere
arterioso, privilegiare il posizionamento del sensore su un dito a valle dell’arto con catetere per
contestuale valutazione della perfusione distale. Uno dei gold standard del posizionamento
dell’arteria è il Test di Allen: quest’ultimo delinea eventualmente un problema di vascolarizzazione.
Qualora quest’ultima dovesse essere assente, il pulsiossimetro non sarà capace di captare nulla. La
percentuale di ossigeno è determinata dal colore dell’emoglobina: un dito non perfuso darà una
saturazione bassa. Ciò può fungere da segnale in caso di problemi di perfusione.
 Emoglobina arteriosa – EGA (nel paziente critico almeno ogni due ore; al variare delle condizioni
cliniche: dopo almeno 30 minuti dalla variazione dei parametri respiratori del ventilatore; su
necessità di controllo dell’omeostasi elettrolitica, glicemica e
metabolica; su prescrizione medica).
Ossigenoterapia:
 Flussi;
 FiO2: è la frazione di azione dell’ossigeno.

Osservando l’immagine a destra, la trachea risulta essere simmetrica e


perpendicolare ai due polmoni. Qualora dovesse essere alterata la funzionalità di
uno dei due, la trachea si sposterà nel polmone con maggiore funzionalità al fine di
racimolare più aria possibile da veicolare verso l’entrata e verso l’uscita.

VENTILAZIONE MECCANICA NON INVASIVA

una capacità di ventilazione superiore, soprattutto con ossigeno. Altro presidio può essere dettato dal Combitube. Tali device
vengono solitamente utilizzati durante l’intervento in 118 in cui, se l’intubazione richiede molto tempo, si ricorre ai dispositivi per le
intubazioni difficili (nonostante l’intubazione orotracheale rappresenti sempre l’intubazione gold standard per quanto riguarda la
gestione delle vie aeree). Non è importante lo strumento utilizzato in questi casi, ma l’importante è non perdere tempo e ventilare
il paziente. E’ necessario che il tempo di non – ventilazione non superi quello della ventilazione.
METODOLOGIA 3 22 – 03 – 2021

Si parla di ventilazione meccanica non invasiva quando vengono utilizzati tutti i dispositivi, tranne il tubo per la
tracheo. La total face risulta essere una maschera utilizzata per la ventilazione meccanica non invasiva. Le
modalità di ventilazione possono essere CPAP, BiPAP, DuoPAP, BiVent, NIV etc. Il volume e le pressioni risultano
essere fondamentali. Nell’ambito della ventilazione non invasiva è possibile annoverare:

Frequenza respiratoria: La frequenza respiratoria è data dagli atti, ovvero quante volte noi
facciamo partire il Tidal: più volte accade, più volte l’atto respiratorio avviene per cui si ha un
volume espirato.
PEEP: è la pressione di fine espirazione;
Percentuale di FiO2.

QUAL E’ LA DIFFERENZA TRA UN TUBO E DUE TUBI?

In un tubo avviene la fase espiratoria. Somminstrando un


volume di aria con un volume di frazione di ossigeno,
essendo chiuso il respiro (perché c’è un tubo), l’aria non
trova possibilità di uscita. E’ fondamentale che ci siano
due tubi perché da un lato l’aria tende ad entrare e
dall’altro tende ad uscire. Quando l’aria rientra, i sensori
suggeriranno:

 Quando la percentuale di anidride carbonica è in


uscita;
 Quanto volume è ritornato fuori: mettendo un
volume di 500, se ritorna fuori un volume di 100
bisogna capire dove siano finiti gli altri 400.

VENTILAZIONE MECCANICA INVASIVA

Nell’ambito della ventilazione invasiva è possibile annoverare:

La motilità di ventilazione;
La frequenza respiratoria;
Il Tidal volume inspirato;
Le pressioni inspiratorie di picco e di plateau: non sono presenti nella ventilazione meccanica non
invasiva;
PEEP: è la pressione di fine espirazione;
Percentuale di FiO2.

Nel ventilatore l’espirazione e l’inspirazione non sono uguali a quella fisiologica. Dunque, se dovessimo misurare
la pressione inspiratoria, quest’ultima sarebbe negativa. Nel ventilatore sarà, invece, positiva: il ventilatore
butta aria dall’esterno all’interno, per cui la
pressione deve essere positiva. Al contrario, si
ha un ritorno e la pressione positiva si azzera.
Non è il ventilatore a determinare
l’inspirazione, ma è una situazione meccanica:
non avendo più una pressione, il diaframma
tenderà a rialzarsi. I muscoli accessori
METODOLOGIA 3 22 – 03 – 2021

tenderanno a ritornare, la gabbia toracica tenderà a stringersi e quindi l’aria fuoriesce. Tutti questi passaggi
vengono poi monitorati nel monitoraggio ventilatorio.

CIRCUITO DI VENTILAZIONE MECCANICA

In questo caso si ha una posizione della branca inspiratoria sopra quella espiratoria, a y del circuito mantenuto
più basso rispetto al catheter mount. Solitamente la branca inspiratoria e la branca espiratoria confluiscono nel
raccordo a y il quale, a sua volta, va a confluire nel catheter mount. Tale sostituzione deve avvenire di routine
ogni 15 giorni, tranne in caso di sostituzione per cambio di paziente, perdite, rotture o sporcizie visibili del
circuito.

Potrebbero piacerti anche