Sei sulla pagina 1di 136

TIROCINIO 3

1
Sommario
ACCETTAZIONE E PRESA IN CARICO DELLA PERSONA AD ALTA COMPLESSITA’
ASSISTENZIALE 3
GESTIONE DEL PAZIENTE CON NUTRIZIONE ENTERALE, SNG, PEG 9
ASSISTENZA E GESTIONE DEL PAZIENTE POLITRAUMATIZZATO 16
ASSISTENZA E GESTIONE DEL PAZIENTE CON INSUFFICIENZA RESPIRATORIA 22
ASSISTENZA AL PAZIENTE IN TRATTAMENTO DIALITICO 27
USO E CONOSCENZA DEL DEFIBRILLATORE AUTOMATICO, SEMIAUTOMATICO E
MANUALE 31
ASSISTENZA AL PAZIENTE CON PATOLOGIA NEUROLOGICA 37
GESTIONE E RILEVAZIONE DELLE PRESSIONI ENDOVASCOLARI INVASIVE (PA,
PVC, PAP…) 46
ESECUZIONE DELLE CURE IGIENICHE TOTALI IN PAZIENTE AD ALTA
COMPLESSITA’ ASSISTENZIALE 51
GESTIONE, MEDICAZIONE E ASPIRAZIONE DELLE VIEE AEREE DALLA CANNULA
TRACHEOSTOMICA O DAL TUBO ENDOTRACHEALE 55
ASSISTENZA AL PAZIENTE SOTTOPOSTO A PROCEDURE O ACERTAMENTI
DIAGNOSTICI 59
ASSISTENZA AL PAZIENTE CARDIOLOGICO COMPLESSO 68
ASSISTENZA AL PAZIENTE PORTATORE DI PACEMAKER O CONTRO PULSATORE E
MONITORAGGIO DELLE COMPLICANZE 74
ASSISTENZA AL PAZIENTE CON SUPPORTO VENTILATORIO O CPAP 78
ASSISTENZA AL PAZIENTE CON NUTRIZIONE ENTERALE TOTALE O PARZIALE 90
ASSISTENZA AL PAZIENTE CON ALTERAZIONE DELLA MINZIONE/DIURESI,
CATETERISMO VESCICALE 93
GESTIONE DEL PAZIENTE ONCOEMATOLOGICO 99
ESECUZIONE, VALUTAZIONE, DOCUMENTAZIONE EGA 102
GESTIONE DELLA TERAPIA FARMACOLOGICA 106
GESTIONE E MEDICAZIONE DISPOSITIVI INTRAVASCOLARI (CVC, PORTH, PICC,
MID LINE..) 108
ASSISTENZA AL PAZIENTE SOTTOPOSTO A TERAPIA ANTINEOPLASTICA 116
ASSISITENZA AL PAZIENTE DONATORE DI ORGANI, ITER DELLA CERTIFICAZIONE
DI MORTE 122
GESTIONE DELLE PROCEDURE RELATIVE ALL’EMOTRASFUSIONE 126
ASSISTENZA INFERMIERISTICA DI PRONTO SOCCORSO, SALA ROSSA, TRIAGE 131

2
ACCETTAZIONE E PRESA IN CARICO DELLA PERSONA AD ALTA COMPLESSITA’
ASSISTENZIALE
L’accoglienza assume un valore determinante sia per l’importanza in sé sia per la complessità del rapporto
relazionale ed empatico che l’infermiere instaura con la persona assistita. La percezione che l’utente ha del
momento in cui è accolto in ospedale non può essere, infatti, riconducibile ad una mera procedura
burocratico-amministrativa, che cerca di surrogare un momento così determinante con termini quali
ricovero, ammissione, accettazione, ma ogni persona deve essere accolta nell’organizzazione sanitaria
modulando gli interventi a seconda dei bisogni e delle caratteristiche diverse. L’accoglienza viene
identificata come uno dei fattori di qualità nel momento di presa in carico del paziente da parte della
struttura e degli operatori che in essa operano. Accogliere una persona malata vuol dire, innanzitutto,
riconoscerla come persona “in situazione di bisogno”. L’accoglienza si configura come il primo momento
della presa in carico e come l’atto con cui si avvia la relazione d’aiuto, tramite la valutazione generale di
organi e apparati, il grado di dipendenza, che permette di stabilire le strategie assistenziali e terapeutiche. Se,
nel caso del paziente a bassa complessità, l’accoglienza viene effettuata all’arrivo nel reparto,
per il paziente ad alta complessità in area critica, questo momento viene posticipato. L’assistito
viene accolto e stabilizzato e, dopo questa fase, l’infermiere si occupa di stabilire una relazione di
fiducia con i caregivers. L’accoglienza in area critica è, spesso, un momento di forte impatto per le famiglie.

Scopi e indicazioni - Lo scopo dell’accoglienza è permettere al paziente di instaurare un rapporto positivo con
il personale e con l’ambiente, al fine di migliorare la permanenza nella struttura e la guarigione.

Unità di degenza – L’unità di degenza rappresenta l’insieme dei presidi che vanno a corredare il posto letto
del paziente.

A seconda della complessità assistenziale del paziente e della specificità del reparto, è possibile trovarvi
presidi diversi:

Letto articolato: Rappresenta la componente primaria dell’unità di degenza. Ha lo scopo di favorire il riposo,
il sonno e la corretta mobilizzazione del malato. E’ costituito da: testata superiore ed inferiore, quattro ruote
con sistema di bloccaggio, struttura con telaio articolato, spondine, materasso. Il letto articolato permette di
sollevare la testa o le gambe grazie a un sistema manuale o elettrico; è dotato di materasso ad aria, diviso in
più sezioni ed è utilizzato per prevenire le lesioni da pressione (la pressione all’interno delle sezioni aumenta
e diminuisce in maniera alternata tramite l’utilizzo di una pompa a motore che rileva i cambiamenti della
forza esercitata sul materasso); solitamente si utilizza per la stessa ragione un solo lenzuolo di base (e
qualora la temperatura ambientale lo richieda anche un lenzuolo per coprire il paziente) con, eventualmente,
l’aggiunta di una traversa (per gli spostamenti o per preservare da un punto di vista igienico il lenzuolo
stesso in caso di ferita, stomie o condizioni che potrebbero incidere su questo aspetto). Nelle aree intensive il
cuscino poggiatesta generalmente non viene utilizzato, ma viene sostituito da un paio di lenzuola ripiegate
poste al di sotto delle spalle del paziente in modo tale da garantire un leggero rialzo evitando l’iperflessione
del collo.

Comodino: Non tutti i reparti di terapia intensiva ne sono provvisti in quanto il paziente è generalmente
sedato ed i suoi effetti personali vengono tenuti in una busta personale.

Fonte di luce: Può essere utilizzata sia dal paziente che dall’infermiere per lo svolgimento delle manovre
assistenziali.

Tendaggi: Gli ambienti delle terapie intensive sono molto ampi poiché accolgono più posti letto in un’unica
stanza (oltre a possedere anche delle singole stanze da destinare a soggetti in isolamento), devono quindi
3
essere attrezzati per garantire la privacy del singolo paziente e della sua famiglia (nel momento in
cui è possibile fargli visita), mediante l’utilizzo di adeguati sistemi mobili di separazione degli spazi.

Carrello: Nelle terapie intensive, ogni unità di degenza possiede un carrello infermieristico, dove all’interno,
nei vari scomparti, è possibile trovare: uno dedicato interamente alla terapia farmacologica del paziente; uno
dedicato ai presidi per l’emergenza; uno dedicato ai presidi come garze, deflussori, raccordi, medicazioni,
guanti, aghi e cannule, uno dedicato interamente alle siringhe di ogni calibro. Il carrello è di solito
trasportabile e deve essere sempre sanificato, soprattutto prima della preparazione della terapia.

Impianto per aspirazione –ossigeno – aria compressa: Ogni posto letto deve essere corredato di una o più
fonti per collegarvi il circuito per l’aspirazione (GIALLO). Il circuito è costituito da: sacca di raccolta,
sistema per regolare la pressione di aspirazione, manopola di accensione e spegnimento, raccordo per
collegare il circuito e la fonte, tubo per l’aspirazione, sondini di vario calibro. Il circuito dell’aspirazione
trova varie indicazioni come l’aspirazione endotracheale in caso di ostruzione del tubo, aspirazione delle vie
aeree per la raccolta di campioni, aspirazione del contenuto gastrico, bronco lavaggio alveolare, sistema
di aspirazione con valvola di sicurezza per drenaggi toracici. Per quanto riguarda la fonte per
l’ossigeno (BIANCA), al flussimetro di tale gas deve essere sempre raccordata l’unità respiratoria più idonea
per l’assistito, costituita da pallone auto-espandibile, valvola unidirezionale per stabilire il flusso di O2,
maschera o catetere mount in caso di paziente intubato; inoltre da tale fonte l’ossigeno può
essere somministrato singolarmente o miscelato in un presidio specifico (“blender”) con aria compressa, a
seconda della modalità ventilatoria richiesta. Barra alimentazione I macchinari al letto del paziente
funzionano principalmente tramite energia elettrica. Per garantire la funzionalità costante degli strumenti
salvavita, essi sono collegati ad una barra di alimentazione. Un generatore indipendente le fornisce
elettricità senza interruzioni anche in caso di black-out improvvisi. La parete deve avere predisposte
diverse prese per inserire quindi: spine del letto elettrico, eventuale materasso antidecubito, pompe
infusionali, ed eventuali altri presidi medico/sanitari.

Monitor multiparametrico: Per ogni posto letto è presente un monitor per il rilevamento dei parametri vitali
e la sua interfaccia è personalizzabile con il dati del paziente; anche i parametri vitali da visualizzare
possono essere scelti tra: Pressione Arteriosa (PA) cruenta e incruenta, Frequenza Cardiaca (FC), Pressione
Venosa Centrale (PVC), Temperatura centrale (T1) e periferica (T2), Saturazione di O2 (SpO2), Pressione
Intracranica (PIC), CO2 di fine espirazione (EtCO2), Frequenza Respiratoria (FR), livello di sedazione (BIS)
e attendibilità del suddetto valore (SQI); inoltre, attraverso l’esecuzione di determinati passaggi, è
possibile rilevare i parametri volumetrici e gli indici di riempimento a livello toracico(sistema PICCO).
Spesso nelle terapie intensive sono collegati ad un unico monitor centrale per poter osservare i parametri di
tutti i pazienti ricoverati. È possibile trovare in alcun casi un monitor accessorio per la rilevazione della
saturazione cerebrale e/o renale (NIRS). Presidi per la rilevazione del PV Bracciali di diversa grandezza
per la misurazione della PA incruenta, elettrodi adesivi per la FC e FR, saturimetro adesivo o “a pinza” per
la SpO2, termometri rettali e ascellari (ogni presidio deve essere scelto in base alle caratteristiche
dell’assistito); vi sono inoltre anche elettrodi specifici per la rilevazione del BIS e SQI e sensori
transcutanei per la rilevazione della saturazione cerebrale (NIRS): entrambi i presidi si applicano sulla fronte
del paziente. Per la rilevazione della PA cruenta e della PVC è richiesto un accesso vascolare dedicato,
in cui si infonde in modo continuo soluzione fisiologica; quest’ultima si trova all’interno di una sacca
che regola la pressione di infusione per garantire la pervietà della via in relazione al peso del paziente.
Questo sistema di rilevazione si serve di un trasduttore (da posizionare sul letto allineandolo all’altezza degli
atri) tarato alla pressione della stanza che converte l’onda pressoria registrata sul monitor in un
valore che varia costantemente: questo metodo consente di avere una rilevazione in modo continuativo.
4
Contenitore per lo smaltimento rifiuti: Molto spesso in Terapia Intensiva, per consentire la cura, è
necessario rimuovere o entrare in contatto con liquidi biologici. Data la particolarità di queste sostanze ed il
rischio della trasmissione di infezioni, non è possibili smaltirli come normali rifiuti, ma è necessario un
sistema dedicato esclusivamente alle sostanze biologiche. Per questa ragione ogni unità paziente in Terapia
Intensiva è provvista di particolari contenitori monouso, in modo che i rifiuti biologici vengano tenuti
separati da tutti gli altri.

Pompe infusionali: In base alla fascia d’età, al peso del paziente e in base al tipo di farmaco da infondere,
un’unità di terapia intensiva deve predisporre diversi tipi di pompe (minimo 4 per posto letto), sia per la
somministrazione di terapia per EV sia per l’infusione dell’alimentazione enterale. Si tratta di
pompe computerizzate in grado di somministrare automaticamente il volume di soluzione
desiderato alla velocità stabilita, di misurare la quantità di soluzione infusa e di avvertire gli operatori
con allarmi sonori in caso di ostruzione del flusso o fine dell’infusione. Possono essere corredate della loro
barra di alimentazione oppure collegate a prese elettriche semplici.

In terapia intensiva, il posto letto è corredato anche da altri presidi come macchinari per emodialisi,
ventilatore meccanico, materiale per intubazione..

Esame obiettivo infermieristico

La prima fase del processo di assistenza infermieristica, chiamata accertamento, è la raccolta di dati per scopi
infermieristici. Le informazioni sono raccolte usando abilità quali l’osservazione, l’intervista, l’esame fisico,
l’intuizione e da molte altre fonti, inclusigli assistiti, i loro familiari o altre persone significative, le
documentazioni sanitarie, altri componenti dell’equipe sanitaria e la revisione della letteratura. L’esame
obiettivo infermieristico è un metodo di raccolta dati sistematico, che usa i sensi della vista, dell’udito,
dell’olfatto e del tatto per indagare i problemi di salute. Sono usate 4 tecniche:

Ispezione: E’ l’esame visivo del paziente, eseguito in modo metodico. Inizia al primo contatto dell’infermiere
con il paziente, e si conduce intenzionalmente e continuamente, per non omettere dati importanti.
L’ispezione non è casuale né passiva; è il primo passo importante nel percorso dell’esame fisico.
Durante l’ispezione vengono considerate le strutture anatomiche del paziente e identificata
qualsiasi anomalia. Vengono notati fattori come il colore, la forma, la simmetria, il movimento e la
carnagione delle parti del corpo considerate

Palpazione: E’ l’uso specializzato del tatto per raccogliere dati in più rispetto all’ispezione. Attraverso la
punta delle dita e il palmo della mano, l’infermiere può determinare le dimensioni, la forma e la
configurazione delle strutture corporee sottostanti. Sono indagate le pulsazioni dei vasi sanguigni, i contorni
di organi come tiroide, milza o fegato, le dimensioni, la forma e la mobilità di masse, la temperatura della
pelle, la vibrazione o il movimento del sangue nei vasi venosi, la tensione o la sensibilità di una parte del
corpo

Percussione: E’ una tecnica in cui una o entrambe le mani sono usate per dare colpi su una superficie
corporea e produrre un suono chiamato nota di percussione. Le strutture corporee sottostanti hanno una
risonanza caratteristica alla percussione, che indica la loro densità o cavità. La percussione è usata per
scoprire la localizzazione e il livello degli organi (fegato, cuore, diaframma), la consistenza di strutture
corporee (piene di liquidi, piene d’aria, solide), la presenza di aree doloranti (nella zona renale o vicino alla
colonna vertebrale) e l’identificazione di masse o tumori.

5
Auscultazione: E’ la tecnica di ascoltare i suoni del corpo con un fonendoscopio per amplificare i suoni
normali e anomali. Offre informazioni sul movimento di aria o liquidi all’interno del corpo. La padronanza
dell’auscultazione si fonda sull’interpretazione dei risultati. Un infermiere novizio può consultarsi con
uno più esperto per verificare i risultati dell’auscultazione, spesso per controllare e confermare la
presenza di suoni anomali. Attraverso l’auscultazione sono udibili i suoni intestinali, respiratori, cardiaci e
quelli del sangue che passa attraverso vasi sanguigni ristretti o deformati (conosciuti anche come soffi).

Monitorizzazione: Il monitoraggio è probabilmente l’attività che impegna maggiormente l’infermiere


qualunque sia l’area intensiva in cui opera. Il monitoraggio non serve per curare, ma fornisce informazioni
che permettono o favoriscono la decisione assistenziale, clinica e diagnostico-terapeutica. Rilevando
continuamente i dati si riducono i possibili rischi o complicanze cliniche. Il monitoraggio intensivo, è
spesso condotto con strumenti sofisticati, è una guida formidabile per gli infermieri ed i medici nella cura dei
loro malati.

Ci sono 2 tipi di monitoraggio in base ai presidi utilizzati e in base all’invasività del metodo:

1. Non Invasivo o Incruento: sono le procedure classiche di rilevazione e monitoraggio dei PV.
2. Invasivo o Cruento: prevedono l’incannulazione di uno o più vasi.

I sistemi di monitoraggio frequentemente utilizzati in terapia intensiva sono:

- Il monitoraggio ECG continuo


- Pressione arteriosa cruenta
- Pressione venosa centrale
- Pressione intracranica
- PICCO
- Capnografia o etCO2
- Temperatura centrale e periferica
- BIS
- NIRS

Valutazione organi e apparati

Nel corso dell’esame obiettivo l’infermiere andrà a valutare le alterazioni presenti e riconducibili a
ciascun apparato, dando la priorità di valutazione ai sistemi cardiocircolatorio, respiratorio e
neurologico, poiché maggiormente responsabili di un potenziale scompenso ed aumento della necessità
di intervento.

Apparato cardiocircolatorio = I segni rilevabili e riconducibili ad un’alterazione di tale sistema sono:


cianosi della cute e delle mucose (labbra e lingua), dovuta al fatto che il sangue che arriva agli organi ed
ai tessuti attraverso le arterie non è sufficientemente ossigenato; cute fredda, pallida(vasocostrizione);
alterazione della frequenza cardiaca (tachicardia o bradicardia, in relazione ai parametri adeguati all’età
e alla condizione clinica di base); alterazione della pressione arteriosa (ipotensione o ipertensione, in
relazione ai parametri adeguati all’età e alla condizione clinica di base); refill capillare > 3 secondi;
clubbing o ippocratismo digitale: rigonfiamento delle falangi terminali delle dita delle mani e dei piedi

6
(detto anche “dita a bacchette di tamburo”) associato ad unghie più convesse del normale per cianosi o
indicative, in alcuni casi, di una condizione di endocardite; edema periferico, per l'aumento della
pressione venosa e la ritenzione dei liquidi; confusione, sopore, irritabilità: segni precoci di ipossia e di
compromissione della circolazione cerebrale, causati da diminuzione della gittata cardiaca.

Apparato respiratorio = Dispnea associata ad una sudorazione eccessiva; cianosi; rientramenti


diaframmatici, intercostali, giugulari; alitamento delle pinne nasali; alterazione della frequenza
respiratoria (tachipnea o bradipnea, in relazione ai parametri adeguati all’età e alla condizione clinica di
base); respirazione profonda (presente in uno stato di acidosi come meccanismo di compenso);
espansione asimmetrica della gabbia toracica; alterazioni del ritmo come il respiro di Biot (tachipnea
seguita da periodi irregolari di apnea di circa 10secondi) tipico dell’ipertensione endocranica,
respiro di Kussmaul (ispirazione profonda con un’inversione dei tempi ispirazione/espirazione)
caratteristico della chetoacidosi diabetica, respiro di Chenye-Stokes (lunghe apnee, fino a 60
secondi, alternate a fasi di tachipnea e bradipnea) in fase terminale; suoni inspiratori o/e
espiratori rispettivamente indicativi di problematiche a livello delle alte o/e basse vie aeree.

Funzionalità neurologica = Pupille anisocoriche o/e anisocicliche, non reagenti agli stimoli luminosi
(trauma cranico severo); tremori, confusione, sincope, stato soporoso o stuporoso, coma (per
danno neurologico primario o squilibrio metabolico); alterazioni della sensibilità(iperestesia,
ipoestesia, anestesia); alterazioni del tono muscolare (ipotono o ipertono); alterazioni del controllo
motorio: mioclonie(brevi e involontarie contrazioni della muscolatura), tetraplegia (disturbo del
controllo del tronco e dei quattro arti), emiplegia(disturbo del controllo di un emilato corporeo),
paraplegia (disturbo del controllo dei due arti inferiori).

Apparato locomotore = La valutazione di tale sistema assume minor rilievo, in quanto un paziente ad
alta complessità assistenziale è un paziente allettato con una giustificata riduzione del movimento;
inoltre i segni rilevabili nell’attività motoria del paziente in area critica sono conseguenti ad
un’alterazione della funzionalità neurologica.

Sistemi di eliminazione = A livello addominale è possibile riscontrare alterazioni del sistema


di eliminazione dell’organismo quali addome globoso e distensione addominale (es. occlusione
intestinale); se il paziente all’accoglienza indossa il pannolino si valuta l’aspetto delle urine(se presenti):
colore scuro, se concentrate o con pigmenti biliari; ematuria; cattivo odore per infezione; oliguria per
disidratazione o scompenso. Globo vescicale per ritenzione; edemi agli arti; arrossamento dell’area
genitale.

Apparato tegumentario = La valutazione di tale apparato consente di riscontrare manifestazioni cutanee


indicative dell’attività di altri organi. Una cute pallida, cianotica o marezzata è riconducibile a
problematiche cardiocircolatorie e respiratorie; vi posso essere inoltre secchezza cutanea (per uno stato
di disidratazione), l’ittero (disfunzione epatica), cute arrossata e calda (segni di flogosi), edema, cute
fredda e pallida (vasocostrizione), unghie convesse (vedi clubbing nelle alterazioni dell’apparato
cardiocircolatorio), rush cutanei (condizione allergica), lesioni da pressione se paziente allettato,
petecchie (infezione o disordini della coagulazione).

Procedura: Presa in carico del paziente in area critica

7
- Effettuare l’identificazione del nuovo paziente (solitamente il paziente giunge in terapia
intensiva in seguito a un trasferimento da un altro reparto, dal pronto soccorso o da un’altra
struttura, per un peggioramento delle condizioni di salute, in assenza del caregiver ma
accompagnato sulla barella da un medico e uno/due infermieri; all’arrivo, dunque, ci sarà una prima
identificazione tramite i dati registrati nel foglio di trasferimento o tramite il foglio di accesso al
pronto soccorso ed il bracciale identificativo);
- Trasferire il paziente dalla barella al letto (con l’aiuto di più operatori se necessario), accertandosi di
aver frenato le ruote della barella;
- Rilevare i primi dati percettivi tramite l’osservazione, così da poter individuare segni di disagio o
dolore da annotare e se necessario intervenire secondo le necessità;
- Rimuovere gli indumenti personali del paziente e riporli in una busta all’interno del comodino;
- Applicare i vari presidi per la rilevazione dei PV (se presenti e necessarie, collegare il paziente alle
apparecchiature per il sostegno delle funzioni vitali);
- Far indossare il pannolino (sia in caso di paziente incontinente che continente);
- Registrare i dati in cartella, segnalando anche l’orario di arrivo del paziente;
- Se presente un accesso venoso, valutarne la pervietà; in caso di assenza o ostruzione procedere al
posizionamento di un nuovo accesso;
- Preparare e somministrare la terapia;
- Procedere con l’accertamento infermieristico tramite la rilevazione dei dati oggettivi per la
valutazione e pianificazione dell’assistenza;
- Quando i parametri vitali si stabilizzano: sollevare le spondine del letto e far accomodare i
caregivers nella sala per il colloquio con medici e infermier: 1) ci si presenterà con nome, cognome e
qualifica professionale spiegando le proprie responsabilità e competenze (per chiarire a chi rivolgersi
per le varie necessità e per promuovere una migliore comunicazione), tranquillizzando i caregivers
rispondendo alle loro domande o dubbi, 2) chiedere conferma dell’identità del paziente e altri dati
per la compilazione della scheda di accoglienza relativa ai bisogni; conoscendo le alterazioni dei
bisogni del paziente si è in grado di pianificare gli adeguati interventi assistenziali con criterio di
priorità, attraverso una corretta modalità di svolgimento del colloquio in modo da avere dati
attendibili e trasmettere fiducia e sicurezza, 3) informarsi su eventuali farmaci che il paziente deve
assumere regolarmente o su eventuali allergie alimentari, farmacologiche e inalanti, 4) fornire
opuscolo informativo riguardo le modalità organizzative del reparto e comunicare gli orari delle
visite, i numeri di telefono del reparto (spiegargli come possono ricevere informazioni relative allo
stato di salute del paziente), servizi forniti, divieto di fumo, ecc.
- Preparare il paziente ed assisterlo durante l’esame obiettivo medico in cui si identificano le risorse
ed i deficit nelle funzionalità d’organo;
- Garantire la privacy attraverso l’uso delle tende mobili;
- Eseguire esami prescritti dal medico (es. esami ematochimici, elettrocardiogramma),
compilare le richieste per gli accertamenti previsti, applicare le etichette, dopo averle
controllate, sui moduli e sulle provette.

Riordino

- Inserire i dati del paziente sul registro nosografico e compilare con i dati anagrafici le varie schede
all’interno della cartella
- Registrare tutti i dati raccolti su apposita scheda e formulare una prima pianificazione assistenziale.

8
Diagnosi infermieristiche

1) MODELLO DI RESPIRAZIONE INEFFICACE correlato ad alterazione della funzionalità


cardiocircolatoria, che si manifesta con tachipnea, rientramenti intercostali e giugulari, cianosi,
alitamento delle pinne nasali.

INTERVENTI : Osservare e valutare il paziente (colorito e aspetto della cute, turgore dei vasi giugulari,
presenza dei polsi periferici); monitorare dei PV (FC, FR, PA, SpO2, EtCO2); mantenere il paziente in
posizione ortopnoica; assicurare la pervietà delle vie aeree; sostenere l’attività respiratoria con i presidi
adeguati per la modalità ventilatoria impostata; preparare il paziente per l’esecuzione di esami diagnostici
(es. rx); eseguire EGA o altri esami ematici.

2) ANSIA del caregiver correlata a mancata conoscenza della patologia del paziente e della sua gestione,
che si manifesta con insicurezza, irritabilità, incapacità di apprendere informazioni.

INTERVENTI: Adottare un atteggiamento empatico nei confronti del caregiver; utilizzare un linguaggio
semplice, diretto e chiaro per fornire al caregiver tutte le informazioni necessarie; ascoltare dubbi e
domande; accertarsi che l’interlocutore abbia compreso il messaggio trasmesso; se necessario richiedere
interventi di counseling.

GESTIONE DEL PAZIENTE CON NUTRIZIONE ENTERALE, SNG, PEG

La Nutrizione Artificiale (NA) presenta due varianti: la Nutrizione Parenterale Parziale o Totale (NPP o
NPT) e la Nutrizione Enterale (NE). La NE permette la somministrazione di miscele nutritive direttamente
nel tratto digerente a vari livelli, tramite sonde.
La NA permette di soddisfare il fabbisogno nutrizionale di alcune tipologie di pazienti non in grado di
alimentarsi.
L’obiettivo della NE è quello di contrastare lo stato di malnutrizione attraverso una somministrazione più
fisiologica che riduce il rischio di presentare squilibri metabolici consentendo così un ritorno più facile e
veloce alla normale alimentazione.
La nutrizione artificiale viene ritenuta non indicata quando:
 La durata prevista è inferiore a 5 giorni
 In un paziente ovviamente ben nutrito e normocalorico
 Il periodo di inadeguato apporto calorico è inferiore a 10 giorni.
La scelta dell’accesso per la nutrizione enterale (NE) deve essere fatta considerando la situazione anatomica
dello stomaco, le capacità di svuotamento gastrico e il rischio di ab-ingestis.

La Nutrizione Enterale (NE) viene somministrata tramite vie di accesso, le quali possono essere di due tipi:
 sonde (intubazione naso-enterica), tra le quali distinguiamo: sondino naso-gastrico, sondino
naso-duodenale, sondino naso-digiunale;
 stomie, ovvero faringostomia (PCP), esofagostomia, gastrostomia (PEG), digiunostomia
(PEJ).
La sonda nasale è la via di accesso più semplice e più usata, scelta quando si prevede che il paziente possa
riprendere ad alimentarsi per via orale dopo un breve periodo di trattamento nutrizionale.

9
Le enterostomie trovano indicazione nelle terapie enterali a lungo termine, dove il sondino nasogastrico è
scarsamente tollerato.
La miscela nutrizionale, quindi, viene somministrata all’interno dello stomaco o dell’intestino.

I vantaggi della NE rispetto alla NPT sono:


 Mantenimento dell’integrità anatomo-funzionale della mucosa intestinale
 Migliorare l’utilizzo dei substrati nutritivi
 Facilità e sicurezza di somministrazione
 Diminuzione del rischio infettivo
 Costi minori.
Le condizioni cliniche controindicate alla NE sono:
 Occlusioni o subocclusioni intestinali di origine meccanica
 Fistole digiunali o ileali
 Grave alterazione della funzionalità intestinale (enteropatie o riduzione della superficie
assorbente).
Esistono casi in cui è necessario integrare la NE con la NP. Questo può verificarsi per pazienti settici,
traumatizzati, sottoposti a resezione intestinale massive o con patologie a carico del sistema intestinale
(Malattia di chron, fistole o ileo paralitico).
Le complicanze che si verificano con maggiore frequenza nei pazienti sottoposti a NA sono di tipo:
 Metabolico (squilibri glicemici, idroelettrolitici e acido base)
 Nutrizionale (carenze o iperapporti di micro/macro nutrienti)
 Gastrointestinali e meccaniche (polmonite ab-ingestis, diarrea, reflusso gastroesofageo)
 Infettive legate all’accesso venoso centrale.
Infatti, nelle fasi iniziali di trattamento in NA bisogna monitorare: glicemia, elettroliti e trigliceridi.

 Somministrazione dell’alimentazione e dei farmaci con SNG

Dalla letteratura si evince che l’ambito infermieristico di pertinenza per quanto riguarda il sondino
nasogastrico si articola nelle seguenti attività:
 attuare la terapia nutrizionale prescritta secondo protocolli validati;
 gestione delle linee di somministrazione in merito all'utilizzo delle pompe, sostituzione delle
sacche e dei deflussori, regolazione delle velocità d'infusione;
 valutazione del corretto posizionamento della sonda nasogastrica, applicazione d'un
programma di sostituzione periodico, valutazione del ristagno gastrico;
 valutazione e monitoraggio della canalizzazione;
 mantenimento di attività intestinale, con applicazione di protocolli di stimolazione, laddove
necessario;
 contenimento di effetti collaterali, attraverso la modulazione dei flussi d'erogazione,
sostituzione di nutrienti, applicazione d'interventi di sorveglianza infettiva (colture, terapie
mirate);
 interventi di educazione sanitaria rivolti al paziente e ai familiari.

Il sondino nasogastrico (SNG) è una sonda in silicone o poliuretano, morbida, flessibile e di diametro
compreso tra 8 e 12 Fr; alcuni sono radio-opachi, con singolo lume e dotato di mandrino.

10
 Sondino di Levin: in gomma o plastica, singolo lume utilizzato generalmente per la NE di
breve durata
 Sondino di Salem: è una sonda a doppio lume, utilizzato per somministrare liquidi, alimenti
o rimozione del contenuto gastrico.
Esistono 3 modalità di somministrazione di alimentazione enterale:
 BOLO (gavage): attraverso l'infusione di una grande quantità di miscela in modo rapido ad
intervalli temporali ampi
 INTERMITTENTE: attraverso l'infusione di una miscela nutritiva ad intervalli regolari più
volte nelle 24 ore
 CONTINUA: attraverso l'infusione di una miscela nutritiva in maniera continuativa e
costante nelle 24 ore mediante nutripompa.

PROCEDURA:
Materiale per la somministrazione di alimentazione enterale:
 Guanti
 Siringa da 20 a 50 ml
 Contenitore reniforme
 Sacca per alimentazione o set per alimentazione con sonda
 Miscela nutrizionale
 Pompa infusionale per sondino con alimentazione
 Acqua da somministrare dopo l’alimentazione.
Materiale per la somministrazione di farmaci:
 Farmaco da somministrare
 Siringa 60 ml
 Acqua per lavare il sondino
 Guanti
 Scheda della terapia
Procedura:
 Identificare il paziente, informarlo sul tipo di manovra alla quale verrà sottoposto, quali
sono i benefici che ne potrà ricevere, quali sono le complicanze
 Invitare/aiutare il paziente ad assumere la posizione Fowler alta
 Effettuare il lavaggio delle mani ed indossare i guanti
 Accertarsi del corretto posizionamento del SNG prendendo in riferimento il punto di repere
sullo stesso
 Prima della somministrazione dell’alimentazione enterale, controllare il residuo
gastrico (RG). Accordare la siringa all’accesso del lume, aspirare il contenuto gastrico e
determinare la quantità.

La valutazione del ristagno indica la corretta posizione del sondino e informa sullo svuotamento gastrico. La
valutazione permette di valutare l’assorbimento intestinale e la capacità digestiva del paziente. Nel paziente
critico e nel periodo di induzione della NE si raccomanda di misurare il residuo ogni volta che il paziente
viene alimentato: se il residuo supera i 150-200 mL, la somministrazione va ritardata di almeno un’ora.
L’entità del residuo gastrico non deve superare per 2 volte successive i 200ml. Nelle prime fasi il controllo va
eseguito ogni 4-5 ore, mentre nei pazienti critici il primo controllo va eseguito dopo 2 ore.

11
Ad oggi non esistono univoche indicazioni sulla gestione del materiale gastrico in funzione della decisione
di interrompere o ridurre la somministrazione della NE; in letteratura si evidenziano pareri discordanti.
Prima di interrompere la NE sarebbe opportuno variare la velocità di infusione, la concentrazione,
l’osmolarità, la quantità di miscela nutritiva e ricercare altre cause che potrebbero sostenere e favorire
l’intolleranza, correggendole.
Dalla letteratura si evince che la reintroduzione del ristagno può facilitare l’ostruzione del sondino e favorire
la contaminazione del sistema. D’altra parte sarebbe invece importante reintrodurre il ristagno per evitare
squilibri elettrolitici soprattutto se la sua misurazione viene eseguita più volte al giorno.
Il ristagno non va reintrodotto se ematico o biliare. Se non è possibile aspirare a causa di resistenze si
consiglia di iniettare 50ml di aria nel SNG per rimuovere i residui.
Bisognerebbe tenere conto che se una NE scende a 20 ml/h dopo 4h in assenza di peristalsi o peristalsi molto
torpida, dovrebbe stazionare nello stomaco anche la secrezione gastrica che, di norma, è di 30-40 ml/h, per
un ipotetico ristagno di circa 200 ml/h.
Le possibilità di intervenire in caso di ristagno superiore a 200 ml (riscontrato per 2 volte consecutive) si
possono così sintetizzare:
 dimezzare la velocità di infusione;
 pausa per due ore;
 somministrare procinetico (ad es. metoclopramide).

 Somministrazione NE in bolo:
Dopo aver eseguire le fasi sopra indicate, togliere lo stantuffo dal cilindro della siringa e accordare la stessa
al sondino.
Riempire la siringa con la miscela nutrizionale.
Lasciare che la miscela sia infusa lentamente, continuando ad aggiungere la miscela fino a somministrazione
da scheda di terapia.
Quando la somministrazione della miscela è quasi completata aggiungere 30-40 ml di acqua per lavare il
sondino, in modo tale da contribuire alla pervietà del sondino.
Rimuovere la siringa e rimettere il tappo alla posta del sondino.

 Somministrazione NE intermittente:
Dopo aver eseguito le fasi sopra indicate, appendere la sacca su un’asta da fleboclisi in modo che sia di 45 cm
al di sopra della testa del paziente.
Riempire la sacca con la miscela nutrizionale prescritta. Rimuovere l’aria dal deflussore.
Raccordare l’estremità distale al sondino e regolare la pompa d’infusione.
Quando la sacca si svuota, aggiungere 30-60 ml di acqua per lavare il sondino. Successivamente chiudere il
morsetto.
Rimuovere il deflussore dalla porta del sondino e mettere un tappino.
Cambiare le sacche ogni 24 ore.

 Somministrazione NE continua:
Dopo aver eseguito le fasi iniziali e si verifica il corretto posizionamento del paziente.
Controllare la corretta posizione del SNG e residuo gastrico ogni 4-6 ore.
Appendere la sacca di nutrizione all’asta. Far passare il deflussore attraverso la pompa di alimentazione e
raccordare l’estremità distale al sondino.
Impostare e controllare periodicamente la velocità d’infusione.

12
Lavare il tubo ogni 4 ore o secondo specifica prescrizione.
Sostituire la sacca di nutrizione monouso ogni 24 ore.

Somministrazione di farmaci con SNG:


La terapia va praticata sospendendo il flusso del prodotto, dopodiché occorre lavare con acqua la sonda,
somministrare il farmaco, rilavare la sonda e ripristinare la somministrazione di NE.
È consigliabile non associare contemporaneamente più farmaci per il rischio di interazioni cliniche e
farmacologiche.
Per una corretta gestione occorre:
 determinare l’elenco dei farmaci che possono essere sostituiti in forma liquida (VEDI IN
SEGUITO);
 irrigare il sondino prima e dopo la somministrazione del farmaco con 10 – 20 ml di acqua;
 somministrare un farmaco alla volta;
 non aggiungere farmaci alla NE;
 verificare l’assenza di residui di farmaco nella siringa dopo la somministrazione;
 somministrare i farmaci subito dopo la sostituzione della sonda.

Le Complicanze della NE
Gastrointestinali:
 diarrea
 nausea/vomito
 gas/gonfiore/crampi
 stipsi
Meccaniche:
 polmonite ab-ingestis
 spostamento del SNG
 occlusione del sondino
 irritazione del nasofaringe
Metaboliche:
 iperglicemia
 disidratazione e iperazotemia.

La polmonite da ab-ingestis è la complicanza più temibile nei soggetti portatori di SNG. I soggetti più a
rischio sono quelli in stato di incoscienza o con deficit neurologici. Il rischio di aspirazione aumenta quando
respiro e nutrizione sono simultaneamente garantiti da sonde.
Esiste inoltre una significativa correlazione tra la permanenza dei set di somministrazione e l’incidenza di
contaminazione batterica: il 23.8% dei set di somministrazione può considerarsi contaminato dopo le prime
24 ore, percentuale che aumenta fino al 42.9% dopo 48 ore. Pertanto non va utilizzato lo stesso set per un
tempo superiore alle 24 ore.

Gastrostomia endoscopica percutanea (PEG)

13
La Gastrostomia Endoscopica Percutanea (PEG) consiste in un’apertura chirurgica compresa di una sonda,
la quale collega lo stomaco all'esterno. Il posizionamento della PEG avviene attraverso l’esecuzione di
una EGDS.
La PEG viene applicata a pazienti la cui situazione clinica presenta la necessità di ricevere un'alimentazione
enterale a lungo termine (per un periodo di tempo superiore ad un mese) o in caso di apporto nutrizionale
inadeguato sia quantitativamente che qualitativamente.
Le indicazioni più frequenti sono:
 patologie locali dell'orofaringe, dell'esofago e del mediastino, che si distinguono in
estrinseche (localizzazioni neoplastiche del mediastino) o intrinseche (stenosi peptiche,
neoplasie, diverticoli, lesioni da caustici;
 patologie a carico del Sistema Nervoso Centrale o Periferico come, ad esempio: morbo di
Parkinson, Sclerosi Multipla, Vasculopatie cerebrali, S.L.A, rabbia, botulismo, morbo di
Alzheimer, Sindrome pseudo-bulbare.
Al fine di facilitare la scelta fra NE e NP viene utilizzato l'algoritmo decisionale ASPEN (American Society of
Parenteral and Enteral Nutrition). La scelta della via di somministrazione viene fatta in base alla funzionalità
del tratto gastrointestinale (adeguato o insufficiente) e alla durata prevista del trattamento.

LA CURA DELLA GASTROSTOMIA


La cute peristomale va controllata quotidianamente, verificando l’assenza di segni di infezione, così come è
necessario controllare che la posizione e la distanza della flangia cutanea sulla sonda corrisponda a quella
registrata sulla documentazione clinica. La medicazione va cambiata giornalmente per la prima settimana, a
giorni alterni per i successivi 8/10 giorni. In seguito andranno effettuate medicazioni settimanali.
La medicazione viene eseguita nei primi giorni con clorexidina in soluzione acquosa (o comunque soluzioni
non corrosive) per rimuovere eventuali incrostazioni sotto la flangia con l’ausilio di una garza, effettuando
movimenti circolari dal centro verso l’esterno.
Per completare la medicazione della stomia basta applicare una garza parzialmente tagliata intorno alla
sonda e coprire con una seconda garza intera fissando la medicazione con cerotto anallergico avendo cura di
non angolare la sonda. Evitare di creare spessore tra la cute e la flangia.
Dopo 10 giorni circa la stomia non necessita più di medicazione e basta lavare quotidianamente la cute
peristomale con acqua e sapone liquido, asciugando e tamponando delicatamente.
Prestare sempre particolare attenzione all’eventuale fuoriuscita di succhi gastrici, i quali potrebbero portare
ad erosione dei tessuti circostanti. In questo caso la medicazione va cambiata ogni qualvolta si renda
necessario. Può risultare utile l'applicazione di pomate o paste protettive. Per prevenire irritazioni o ulcere
ruotare inoltre quotidianamente la posizione della flangia.

I pazienti con PEG dovrebbero continuare l’igiene orale: pulizia dei denti, delle gengive, del palato e della
lingua preferibilmente con uno spazzolino a setole morbide. E’ importante ammorbidire frequentemente le
labbra con burro di cacao o creme lubrificanti.

 Somministrazione NE tramite PEG:


Si può iniziare con solo idratazione già dopo 12 ore dal confezionamento della PEG. La nutrizione vera e
propria deve iniziare dopo 24 ore dall'intervento.
La tecnica di somministrazione dipende dalla funzionalità dell’intestino e dalle condizioni cliniche del
paziente. La miscela nutritiva può essere somministrata:
 attraverso un bolo unico (circa 200-400cc)

14
 in infusione intermittente
 in continuo.
Prima di somministrare la miscela nutrizionale controllare il corretto posizionamento, la pervietà della sonda
ed il ristagno gastrico.
Per tutta la durata dell’infusione e almeno per un’ora al termine della stessa il paziente viene posto in
posizione semi-seduta o con la testa ed il tronco sollevati a 30-40°.
Sostituire il deflussore ogni 24h, sia questo per caduta che per nutripompa.
Lavare sempre il sondino con acqua possibilmente tiepida e non contaminata ogni volta che si sospende o si
riprende la somministrazione. Lavaggio delle mani prima di ogni manovra.

 Somministrazione dei farmaci tramite PEG:


È possibile somministrare farmaci attraverso la PEG seguendo alcuni accorgimenti, ovvero:
Prima di somministrare il farmaco occorre sospendere momentaneamente la nutrizione per evitare il rischio
di precipitazione degli alimenti o dei farmaci, valutare sempre il RG e seguire il protocollo o scheda della
terapia se RG > 100 ml.
Se possibile preferire forme farmaceutiche liquide. La sospensione o la soluzione da somministrare può
essere preparata con 10-15 ml di acqua.
E’ consigliabile somministrare un farmaco alla volta, irrigando la sonda dopo ogni somministrazione.
Sciacquare il materiale utilizzato con la stessa soluzione per poter disperdere la minor quantità di farmaco
possibile.

FORME FARMACEUTICHE
Quando si somministrano farmaci attraverso SNG e PEG bisogna evitare di frantumare farmaci a rilascio
prolungato, la cui manipolazione può alterare la normale farmacocinetica, riducendo l’effetto terapeutico.
 Compresse: frantumarle e scioglierle in acqua
 Compresse sublinguali o orali: somministrarle secondo prescrizione
 Capsule di gelatina riempite di liquido: aprire la capsula e far fuoriuscire il liquido
 Compresso gastroresistenti: NON frantumarle; se necessario cambiare il preparato
 Compresso a rilascio lento: NON frantumare le compresse perché possono rilasciare più
farmaco del necessario (overdose); se possibile cambiare forma farmaceutica.

Nelle preparazioni gastroresistenti, la rimozione della parte esterna può provocare l’inattivazione del
farmaco da parte degli acidi gastrici.

Le complicanze della PEG


Complicanze precoci
 emorragia;
 segni di flogosi;
 cellulite necrotizzante;
 peritonite;
 pneumoperitoneo.
Complicanze tardive
 infezioni peristomali;
 erosione cutanea da fuoriuscita di succo gastrico;
 crescita di mucosa gastrica al di fuori dalla fistola gastro-cutanea;

15
 migrazione della sonda;
 Buried Bumper (parziale o completa crescita di mucosa gastrica nel sistema di bloccaggio
interno della sonda e ostruzione della stessa.

ASSISTENZA E GESTIONE DEL PAZIENTE POLITRAUMATIZZATO


 Trauma: “Lesione dell’organismo causata dall’azione dannosa e improvvisa di agenti esterni, incidenti
stradali, maxi-emergenza (circa 6.500 morti e 300 feriti) ai quali si aggiungono infortuni sul lavoro, domestici
o violenze”; E’ la terza causa di morte in tutti i gruppo di età, e la PRIMA nella popolazione al di sotto di 40
anni.

 Politrauma: “Ferito che presenta lesioni associate a carico di 2 o più distretti corporei (cranio, rachide,
addome, bacino, arti) con possibili compromissioni delle funzioni RESPIRATORIE e CIRCOLATORIE”
(Come: ferite, emorragie, fratture, distorsioni e lussazioni; O traumi cranici e facciali, vertebrali, toracici e
addominali).
E’ caratteristica della “Mortalità da trauma” la DISTRIBUZIONE TRIMODALE:
1. Circa il 50% dei decessi avviene DIRETTAMENTE sul luogo dell’evento e/o entro la 1 ORA. (Es. Gravi
lesioni cranio midollare o cardiache o di grossi vasi).
2. Circa il 30% ENTRO 4-6 ORE (durante la Golden Hour);
3. Circa il 20% nei giorni o settimane succeva;

La quantità delle prime cure prestate IMMEDIATAMENTE sul luogo dell’evento e l’intervallo tra Evento e
Cure Ospedaliere costituiscono fattori determinanti per il condizionamento della prognosi e per gli esiti a
distanza (negli eventi di natura traumatica).

 MORTI PRECOCI, TARDIVE e DISABILITA’, possono essere ridotte attraverso:


1. Definizione di un “Sistema di soccorso finalizzato” (Trauma Sistem) per garantire una buona qualità delle
prime cure sul luogo dell’evento;
2. La “Centralizzazione in tempi relativamente brevi dei traumi più gravi” (Trauma Center) presso strutture
idonee in grado di erogare prestazioni specialistiche.

TRAUMA SISTEM: è accertato che una buona organizzazione del Soccorso Territoriale è in grado di ridurre
significativamente la mortalità pre-ospedaliera, i tempi di degenza media e le sequele invalidanti.

Requisiti:
1. Attivazione di un numero unico di accesso al sistema di emergenza (118-112) per gestire la chiamata di
soccorso;
2. Personale qualificato e addestramento alla ricezione della chiamata e alle operazioni di filtro (DISPATCH);
3. Ottimale distribuzione dei mezzi “BLS” (con soccorritori, infermieri o laici e tempi di risposta

“I primi 60’ rappresentano l’intervallo prezioso in cui la qualità delle prime cure è in grado di influenzare in
modo decisivo la prognosi del pz”
Inizia nel momento in cui si verifica l’evento traumatico (prima della richiesta di soccorso); Tutte le fasie
dell’operazioni di soccorso devno essere dimezzate in tempi brevi;

16
La stabilizzazione sul campo deve essere rapida, efficace ed essenziale; “Golden Ten” o “Platinum 10’” ->
“Rappresenta il tempo Massimo (10 ‘) per stabilizzare il pz sul campo con capacità di BLS/BLSD” FASI DEL
SOCCORSO PRE OSPEDALIERO

1. ANTICIPAZIONE: L’ANTICIPAZIONE E’ QUELLA FASE DEL SOCCORSO CHE PRECEDE L’ARRIVO


IN POSTO. INIZIA AL MOMENTO DELL’ENTRATA INSERVIZIO DELL’EQUIPE, E TERMINA AL
MOMENTO DELL’ARRIVO SUL LUOGO DELL’EVENTO. -L’EQUIPE DEVE DEFINIRE A PRIORI, AL
MOMENTO DELL’ENTRATA IN SERVIZIO I RUOLI DI CIASCUN MEMBRO, GLI INCARICHI ED
ILIMITI DI CIASCUNO: INPARTICOLARE DEVE ESSERE INDIVIDUATO UN CAPO EQUIPAGGIO O IL
TEAM LEADER,CHE SARA’ COLUI ILQUALE DEFINIRA’ SUCCESSIVAMENTE I RUOLI E LE
COMPETENZE -TUTTO IL PERSONALE DELL’EQUIPAGGIO DEVE CONOSCERE ALLA PERFEZIONE I
MATERIALI E LE PROCEDURE DI INTERVENTO.

2. VALUTAZIONE DELLA SCENA E AUTOPROTEZIONE: LA VALUTAZIONE DELLA SCENA


DURANTE LE FASI DI AVVICINAMENTO AL TRAUMATIZZATO DEVE ESSERE ATTENTA, RAPIDA
ECOMPLETA AL FINE DI:
1. GARANTIRE LA SICUREZZA (DEL SOCCORRITORE DELL’INFORTUNATO DEGLI ASTANTI)
2. VALUTARE L’ACCESSIBILITA’ AI FERITI (FABBISOGNO DI SUPPORTO TECNICO, ECC)
3. IDENTIFICARE IL NUMERO E LE CONDIZIONI DEI FERITI (TRIAGE, FABBISOGNO DI
MEZZI DI SUPPORTO,
4. RILEVARE LA DINAMICA DELL’INCIDENTE (MECCANISMO DI LESIONE, INDICE DI
SOSPETTO, LESION I ATTESE)

L’AUTOPROTEZIONE COSTITUISCE UN PRESUPPOSTO IRRINUNCIABILE E DERIVA DA UNA SERIE


DI FATTORI QUALI:
 -FORMAZIONE SPECIFICA
 -BUON SISTEMA DI COMUNICAZIONI
 -UN ABBIGLIAMENTO IDONEO
 -COLLABORAZIONE CON ALTRE FIGURE COINVOLTE NEL SOCCORSO (ES VIGILI DEL
FUOCO,ECC)
 -RISPETTO DELLE COMPETENZE

LA PRIMA RICOGNIZIONE EFFETTUATA E’ DIRETTA ALL’EVIDENZIAZIONE DEI FATTORI


AMBIENTALI CHE POSSONO CONFIGURAREUNA SITUAZIONE A RISCHIO PER IL PERSONALE DI
SOCCORSO E PER LA VITTIMA.

NUMEROSI E DIFFERENZIATI SONO GLI ELEMENTI CHE POSSONO CONFIGURARE UNA


SITUAZIONE A RISCHIO, QUALI ADESEMPIO:
 FUOCO, FUMI LIBERAZIONE DI SOSTANZE TOSSICHE
 FILI ELETTRICI
 VEICOLI O MATERIALI PERICOLANTI
 ALTA DENSITA’ DI TRAFFICO INCONTROLLATO
 FRAMMENTI DI MATERIALI SPARSI
 COMPORTAMENTI IRRESPONSABILI DI “SPETTATORI” IN UN CONTESTO SPECIFICO (ES I
FUMATORI)

17
 PROBLEMI SANITARI:HIV, EPATITE, ECC 3. MECCANISMO DI LESIONE (ELABORAZIONE DI
UN INDICE DI SOSPETTO):

IL TRAUMA PUO’ ESSERE DEFINITO COME UNA INTERAZIONE TRA UNA VITTIMA E UNA FONTE
DI ENERGIA IN UNO SPECIFICOAMBIENTE.
-IL TRASFERIMENTO DI ENERGIA AL CORPO DELLA VITTIMA COSTITUISCE IL PRINCIPALE
DETERMINANTE DELLA LESIONEPRODOTTA (MECCANISMO DI LESIONE);
-LA CONOSCENZA E LA VALUTAZIONE DEL MECCANISMO DI LESIONE PERMETTONO DI
ELABORARE UN ALTO INDICE DI SOSPETTONELLA RICERCA DELLE LESIONI CON LA
POSSIBILITA’ DI INDIVIDUARE E TRATTARE TEMPESTIVAMENTE EVENTUALI LESIONI PRIMACHE
SI MANIFESTINO; SI DEFINISCE CINEMATICA IL PROCESSO DI VALUTAZIONE DELLA SCENA
COMPIUTO AI FINI DI DETERMINARE L A DINAMICADELL’EVENTO BASANDOSI SULLE FORZE
COINVOLTE. SI BASA SU PRINCIPI FONDAMENTALI DELLA FISICA. -“UN CORPO FERMO O IN
MOVIMENTO TENDE A MANTENERE IL PROPRIO STATO FINO A QUANDO NON VIENE
APPLICATA UNAFORZA (1 LEGGE DEL MOTO LEGGE DI NEWTON) -NULLA SI CREA NULLA SI
DISTRUGGE TUTTO SI TRASFORMA (2 LEGGE DEL MOTO legge della conservazione dell’energia) -
L’ENERGIA MECCANICA O CINETICA (LEGATA AL MOVIMENTO) E’ LA CAUSA PIU’ FREQUENTE
DI LESIONE NELL’INCIDENTE DAVEICOLI, DA CADUTA, DA AGENTE PENETRANTE, DA SCOPPIO;

LA CAVITAZIONE: Un oggetto in movimento colpisce il corpo umano ( o il corpo umano in moto colpisce
un ostacolo) ed i tessutidel corpo vengono allontanati dalla loro posizione naturale (trasferimento di energia)
creando una Cavitazione.
- Cavità temporanea : i tessuti colpiti tornano nella posizione precedente (dipende dall’elasticità dei
tessuti colpiti).Difficileidentificazione (traumi chiusi);
- Cavità permanente : i tessuti rimangono lacerati e compressi.
- Possibile identificazione(trauma penetrante);

TEORIA DEL TRIPLICE IMPATTO: LO SCAMBIO DI ENERGIA SI PUO’ VERIFICARE


1. TRA UN OGGETTO IN MOVIMENTO E I TESSUTI DELLA VITTIMA( I IMPATTO)
2. TRA LA VITTIMA IN MOVIMENTO ED UN OGGETTO FERMO (II IMPATTO)
3. TRA GLI ORGANI INTERNI E LE STRUTTURE RIGIDE DEL CORPO DELLA VITTIMA (III
IMPATTO)

VALUTAZIONE PRIMARIA: A,B,C,D -Si basa sulla ricerca di segni e sintomi di lesione
 -È finalizzata all’identificazione di situazioni cliniche immediatamente pericolose per la
sopravvivenza che, se possibile devono essere tempestivamente trattate (stay and play) o situazioni
load and go

 -Deve essere attuata in modo sistematico e metodologico schematizzato dall’acronimo AcBCD E

 -Deve essere effettuata secondo un percorso VALUTA E TRATTA

 -Coinvolge l’intera equipe del soccorso che di norma è di 3 persone (un team leader)

18
 -Deve essere rapida Le azioni devono mirare alla prevenzione DELL’IPOSSIA E
DELL’IPOTENSIONE.

-La valutazione primaria inizia con il “colpo d’occhio” nel momento in cui il soccorritore entra in contatto
con l’infortunato.
-Inizialmente la valutazione sarà di tipo qualitativo ( attraverso l’osservazione, lapalpazione ecc.) e
successivamente di tipo quantitativo ( attraverso le rilevazioni strumentali);

LA VALUTAZIONE QUALITATIVA
 -Si avvale degli organi disenso del soccorritore;
 -Non prevede l’attribuzione di valori numerici specifici ai parametri rilevati;
 -Prevede atti e procedure che non richiedono l’impiego di strumenti di misurazione; -
 Deve essere conosciuta da ogni soccorritore;

LA VALUTAZIONE QUANTITATIVA:
 -Si avvale di strumenti di misurazione;
 -Prevede la misurazione dei principali parametri vitali (FC, FR, ecc) e l’elaborazione di indici
derivati (GCS, TS, RTS. ecc).
 -Immobilizzazione manuale del rachide da parte del leader di manovra
- Valutazione dello stato di coscienza AVPU (Alert, Verbal, Pain e Unresponsible)

A -Trattamento delle vie aeree e stabilizzazione del rachide cervicale:


 -Il “ leader di manovra ” immobilizza il rachide;
 -Stato di coscienza (A.V.P.U.);
 -GAS (guardo, ascolto,sento);
 -Pervietà delle vie aeree;
 -Sub lussazione della mandibola (jow thrust) o sollevamento del mento chin-lift;
 -Aspirazione di secrezioni con aspiratore manuale, ad aspirazione meccanica o “log roll” del
paziente;
 -Rimozione di corpi solidi con “dita ad uncino” solo se visibili;
 -Posizionare cannula di Majo, cannula nasale tubo OT/NT;
 -Ventilazione con O2 supplementare o ventilazione assistita;

Cause di ostruzione delle vie aeree:


 -Caduta della lingua da ridotto livello di coscienza (40% di morti evitabili) da trauma cranico,
ipossia cerebrale, intossicazioniacute da alcool e farmaci;
 -Corpi estranei;
 -Ustioni;
 -Trauma locale diretto;
 -Il paziente cosciente ha difficoltà respiratoria associata a rumori: gorgoglio per liquidi, sibili da
corpi estranei o stenosi e russìoda caduta della lingua;
 -Nel paziente incosciente solo nel momento della ventilazione ci si accorge di elevate resistenze o
dell’impossibilità di eseguire la ventilazione stessa;

Ostruzioni totali delle vie aeree:

19
- Posizionamento mini trach
- Cricotirotomia con ago e jet ventilation

L’impossibilità a mantenere pervie le vie aeree:


- ostruzione totale,
- parziale impossibilità all’intubazione o all’utilizzo di altri presidi,
- le importanti emorragie del cavo orale , trachea, ecc,
è un indice che richiede il caricamento e l’immediato trasporto del paziente.

B- Respirazione e ventilazione:
 -Scoprire il torace
 -Effettuare la manovra del GAS
 -Se il paziente respira valutare il tipo di respirazione effettuando OPACS: O sservo il tipo di respiro
P alpo il torace A usculto il torace C onto gli atti respiratori S aturazione appena possibile;
 -Deviazione della trachea;
 -Distensione delle giugulari;
 -Enfisema sottocutaneo;
 -Valutare lo stato di agitazione del paziente;
 -Nel caso di ferita soffiante applicare medicazione chiusa su tre lati;
 -Detendere pneumotorace (pnx) iperteso;

C- Circulation: -Valutazione e controllo dell’attività circolatoria


 -Ricercare la presenza di polsi arteriosi (radiale, femorale, carotideo)
 -Valutarne la frequenza l’ampiezza e il ritmo
 –Polso radiale presente = PA superiore a 90 mmHg
 -Polso femorale o carotideo presenti = PA tra 50 e 80 mmHg
 -Valutare se cute pallida, sudata, tempo di riempimento capillare (inf 2 sec)
 -Valutare se presente importante emorragia
o •Se emorragia arteriosa: Applicare pressione diretta con garze sterili; Elevare l’estremità;
Comprimere l’arteria prossimale a quella lesa; Come ultima risorsa utilizzare il tourniquets
o lacci emostatici (orario di legatura);
o •Se il paziente non ha evidenti emorragie ma è in stato di shock sospettare: - Shock
cardiogeno o ipovolemico; - Tamponamento cardiaco; - PNX Iperteso; - Sospettare
emorragia addominale o frattura di bacino.
 -Incanulare due vene periferiche di grosso calibro;
 -Somministrare liquidi o farmaci a seconda della situazione e delle 4 classi dello shock ipovolemico;
 -Monitorizzare il pz e rivalutarlo frequentemente;
 -Si passa alla fase successiva solo nel momento in cui il pz è stabilizzato dal punto di vista
circolatorio.
 -Se non è possibile la stabilizzazione, trasporto immediato in ospedale pre allertando l’ente in modo
che venga preparato sangue universale ed eventuale camera operatoria.

D - Disabiliy: valutazione dello stato neurologico


 -In questa fase viene effettuato il GCS, la valutazione del diametro pupillare e si ricercano segni di
lato;

20
 -Stato di coscienza alterato = riduzione dell’ossigenazione cerebrale (ipossia, ipoperfusione),
ipotermia, lesione del SNC, sovradosaggio di droghe alcool o squilibrio metabolico (diabete,
ammonio, ecc);
 -Il GCS è uno strumento usato per determinare il livello di coscienza e si suddivide in 3 sezioni:
apertura occhi/rispostamotoria/risposta verbale ; ;
 -Si considera la risposta migliore dal lato migliore
 -Suddividere il punteggio per categoria
 -Valutazione del diametro pupillare: miosi, midriasi, anisocoria.
 -Valutare la sensibilità ai vari distretti corporei.
 -Se le condizioni del paziente non richiedono una immediata ospedalizzazione si procede con la
valutazione secondaria

5. VALUTAZIONE SECONDARIA: “E” -Scopo principale : identificare condizioni cliniche potenzialmente


associate a patologie gravi ed evolutive;
 E - Esposizione/protezione ambiente; -La svestizione del paziente è fondamentale per localizzare
tutte le lesioni;
 -Evidenziare , palpare tutte le parti del corpo, anche quella posteriore;
 -Si esaminano i distretti corporei effettuando l’esame “testa piedi”;

6. MOBILIZZAZIONE ATRAUMATICA -Al termine dell’esame “testa piedi” si copre il paziente e si procede
alla sua immobilizzazione per il trasporto in ospedale - In base alle indicazione che i soccorritori forniranno
alla CO questa deciderà la migliore ubicazione del pz.

7. MONITORAGGIO, RIVALUTAZIONE E PROTEZIONE DAGLI AGENTI ATMOSFERICI:


• Ipotermia:
 scoprire il pz quanto basta per effettuare una valutazione completa
 -Ridurre il più possibile il tempo d’esposizione del paziente
 -Coprirlo con i suoi stessi vestiti
 -Proteggerlo dal vento
 -Rimuovere gli indumenti bagnati
 -Se necessario trattare l’ipotermia.
• Ipertermia:
 eliminare o ridurre fonti di calore
 -idratare -aerare i locali ove staziona il paziente
 -proteggere dal sole.

Raccolta dei dati anamnestici: Effettuare secondo AMPIE:


 -A allergie:
 -M medicamenti;
 -P precedenti malattie;
 -I ultima ingestione;
 -E eventi correlati;

INDICI DI GRAVITA’: L’impiego di appositi punteggi (score) permette di avere una guida diagnostica
comune per tutti gli operatori, fornendo una classificazione precisa e univoca.

21
-TRAUMA SCORE: E’ un sistema funzionale basato sull’entità di alcune alterazioni fisiologiche in rapporto
al trauma. Il T.S. utilizzale variabili del GCS la frequenza e lo sforzo respiratorio, la pressione arteriosa e il
tempo di riempimento capillare. Il punteggio va da 1 a 16. Con 16 punti si ha una sopravvivenza del 100%,
con meno di 5 punti la sopravvivenza scende al 10%.

-TRATTAMENTO DEL DOLORE NEL TRAUMA: Indicazioni di massima:


1. Dolori intensi: estricazioni lunghe, ustioni estese, fratture complesse;
2. Intubazione;
3. Stati di grave agitazione psicomotoria;
4. Messa in sicurezza di pz critici per il trasporto;

8. TRASPORTO TRAUMATIZZATO: DOPO AVER CORRETTAMENTE IMMOBILIZZATO IL PAZ SUI


PRESIDI IDONEI (COLLARECERVICALE, TAVOLA SPINALE, KED FERMACAPO, ECC) E’
INDISPENSABILE DURANTE IL TRASPORTO:
 -MONITORIZZARE PARAMETRI VITALI
 -RIVALUTARE ABC
 -CONTROLLARE TERAPIE IN CORSO
 -RICONTROLLARE FISSAGGIO TUBO OT E ACCESSI VENOSI
E’ DIMOSTRATO CHE I PZ CRITICI SE NON SOTTOPOSTI AD ATTENTE CURE SUBISCONO
FREQUENTEMENTE ULTERIORI DANNI DURANTE IL TRASPORTO!!

ASSISTENZA E GESTIONE DEL PAZIENTE CON INSUFFICIENZA RESPIRATORIA


Per insufficienza respiratoria s’intende l’incapacità del sistema respiratorio di assicurare un’adeguata
ossigenazione del sangue e/o di assicurare un efficiente eliminazione dell’anidride carbonica (CO2)
nell’ambiente esterno.

Si distinguono forme di insufficienza respiratoria acuta (cioè a insorgenza rapida e improvvisa)


e cronica (cioè che si manifesta progressivamente per stabilizzarsi o evolvere nel tempo). Queste ultime
possono improvvisamente riacutizzarsi per un evento intercorrente (es. un’infezione delle vie aeree).

I sintomi dell’insufficienza respiratoria variano a seconda della causa che ha provocato la malattia. Comuni a
tutte le condizioni sono:

 dispnea
 tachipnea (cioè un aumento del numero degli atti respiratori: >30/minuto)
 cianosi (colorazione bluastra della cute, labbra, unghie)
 tachicardia (accelerazione del battito cardiaco) e aritmie
 stato confusionale, ridotto livello di risposta agli stimoli (iporeattività), sonnolenza fino alla
letargia o allo stato di incoscienza

La funzione principale dell’apparato respiratorio è la conduzione dell’ossigeno ai polmoni e l’eliminazione


dell’anidride carbonica.

Tutte le funzioni corporee che implicano movimenti muscolari richiedono una certa quantità di lavoro: in
una persona sana la respirazione avviene praticamente senza sforzo; infatti, la respirazione diventa
percepibile solo durante lo sforzo fisico intenso. Normalmente, infatti, il tessuto polmonare è elastico e le vie
aeree sono pervie permettendo il passaggio di aria.
22
In presenza di un’alterazione della funzione respiratoria, il lavoro respiratorio aumenta, perché aumenta il
fabbisogno di ossigeno dei muscoli respiratori.

Le due principali cause di un aumento del lavoro respiratorio sono: la riduzione della mobilità polmonare
(1) e l’ostruzione delle vie aeree (2).

(1) Alcune malattie, infatti, possono provocare la riduzione dell’elasticità dei polmoni o limitare
l’espansione toracica. I polmoni ipoelastici tendono a collassare insieme agli alveoli. In questa
condizione detta atelettasia, la superficie disponibile per gli scambi gassosi diminuisce.
Inoltre, alcune malattie provocano l’edema e l’ispessimento del tessuto polmonare: la parete
alveolare ispessita viene attraversata dall’ossigeno con maggiore difficoltà. Poiché l’espansione dei
polmoni ipoelastici richiede una maggiore quantità di lavoro, il fabbisogno di ossigeno dei muscoli
respiratori aumenta in misura sproporzionata. In questi casi la quantità di ossigeno nel sangue a
disposizione per gli altri tessuti diminuisce.

La riduzione dell’elasticità dei tessuti polmonari può derivare da problemi polmonari acuti o cronici:
alcune patologie che possono rendere il tessuto polmonare edematoso e inspessito sono l’inalazione
di fumo, la fibrosi polmonare, la sindrome da distress respiratorio acuto e le infezioni, come la
polmonite.

(2) Tutti i fenomeni che provocano l’ostruzione del lume delle vie aeree superiori o inferiori provocano
l’aumento delle resistenze delle vie aeree; respirare, quindi, comporta un lavoro maggiore perché
l’aria deve passare attraverso condotti più stretti.
Le vie aeree possono essere costruite per varie cause: la presenza di un corpo estraneo, di secrezioni
oppure la crescita di un tessuto anomalo.
Le persone disidratate o che soffrono di bronchite cronica, fibrosi cistica o asma possono avere
un’ostruzione delle vie aeree causata dall’eccessiva produzione di secrezioni. Le persone con il
cancro polmonare possono avere difficoltà di respirazione quando la neoplasia ostruisce i bronchi
principali.
La resistenza delle vie aeree aumenta anche in seguito all’infiammazione provocata da agenti
irritanti chimici o fisici. Il processo infiammatorio rende le vie aeree edematose e con l’ispessimento
della parete il lume si riduce.
Inoltre, l’ostruzione delle vie aeree può essere provocata anche da una variazione del tono della
muscolatura liscia bronchiale che normalmente mantiene la pervietà delle piccole vie aeree, i
bronchioli. Le allergie o i traumi possono rendere la muscolatura liscia iper-reattiva agli stimoli
provocando l’aumento del tono muscolare; la conseguente riduzione del lume delle vie aeree rende
difficile la respirazione. L’iper-reattività delle vie aeree e il conseguente broncospasmo sono
problemi frequenti nelle persone con asma.

La tosse è un riflesso provocato dall’irritazione delle vie aeree; bisogna accertare se è un sintomo abituale e
in quale momento della giornata solitamente compare. Il fumo, per esempio, è un agente irritante e tossire la
risposta naturale al fumo.

Anche la produzione di espettorato come la tosse può essere una conseguenza naturale di un processo
irritativo ma non è mai un meccanismo completamente fisiologico. La produzione di espettorato, infatti, è un
altro meccanismo di difesa delle vie aeree: in condizioni normali le secrezioni vengono prodotte in quantità
ridotte e la tosse di una persona sana non è produttiva.
23
L’aumento della quantità di muco associato alla tosse profonda indica che i polmoni cercano di allontanare
una sostanza irritante, pertanto è necessario stabilire se l’assistito espelle le secrezioni con una reale tosse
profonda o con starnuti per liberare le vie nasali. Bisogna inoltre accertare la quantità approssimativa di
espettorato che la persona assistita produce giornalmente.

Quando la tosse è produttiva, è importante stabilire l’origine delle secrezioni e valutarne il colore, il volume
la consistenza e ogni altra caratteristica.

Particolarmente allarmante è la tosse accompagnata da sangue detta emottisi. L’espettorato ematico che
origina nei polmoni può indicare una patologia molto grave come la tubercolosi o il cancro.

Una respirazione non adeguata a soddisfare il fabbisogno metabolico di ossigeno dell’organismo è associata
al sintomo della mancanza di respiro. Questa sensazione soggettiva di difficoltà a respirare e la mancanza di
respiro è detta dispnea. Ci sono diversi gradi di gravità della dispnea, a partire dal primo grado in cui la
persona riesce a percorrere anche lunghe distanze prima di avvertire la dispnea, arrivando all’ultimo stadio
in cui l’assistito avverte dispnea anche a riposo e ortopnea (dispnea in posizione supina) con necessità di
assumere la posizione seduta o eretta per riuscire a respirare.

Accertamento infermieristico

Benché sia essenziale raccogliere i dati direttamente dall’assistito mediante intervista e l’esame fisico, a volte
l’infermiere constata che la persona con una grave dispnea non è in grado di rispondere alle domande in
modo esauriente per la mancanza di fiato o che l’assistito ipossico può rispondere in modo confuso.

Valutazione complessiva del paziente:

 Caratteristiche del respiro: modello respiratorio, frequenza, ritmo e profondità del respiro, sforzo
respiratorio, forma del torace, pulsossimetria, espansione degli emitoraci, suoni respiratori.
 Esami e indagini diagnostiche: coltura dell’espettorato, emogasanalisi arteriosa, radiografia del
torace, prove di funzionalità respiratoria, broncoscopia.
 Accertamento delle abitudini respiratorie, e dei rischi: esposizione a sostanze tossiche, malattie
pregresse, stato di immunodepressione, precedenti familiari di malattie respiratorie.

Le tecniche principali per l’accertamento fisico sono l’ispezione, la palpazione, la percussione


l’auscultazione. L’espettorato viene esaminato visivamente.

 Ispezione: si rileva la frequenza respiratoria e si osserva il modello respiratorio. La riduzione della


frequenza respiratoria (bradipnea) può causare ipossiemia (ridotto livello ematico di ossigeno) e
ipercapnia (aumento del livello ematico di anidride carbonica). D’altra parte, un aumento della
frequenza respiratoria (tachipnea) causa un’eccessiva eliminazione di anidride carbonica
provocando capogiri e possibile alcalosi respiratoria. Oltre a descrivere il modello respiratorio, si
osserva il colorito della cute e delle mucose dell’assistito; infatti, la cianosi attorno alle labbra e sotto
la lingua indica una grave ipossiemia. La cianosi è il colorito bluastro della cute e delle mucose
causato dalla diminuzione della quantità di ossigeno nel sangue.
 Palpazione: la palpazione viene utilizzata per rilevare anomalie quali tumefazioni e dolore, per
determinare il grado il tipo di espansione toracica e per identificare la posizione della trachea. Con la
palpazione è anche possibile individuare le vibrazioni anomale della parete toracica trasmesse
attraverso i tessuti polmonari infiammati o edematosi.
 Percussione: si utilizza per individuare aree polmonari in cui è presente liquido.
24
 Auscultazione: auscultare i suoni respiratori con un fonendoscopio fornisce informazioni essenziali
per la valutazione dell’apparato respiratorio; lo scopo principale dell’auscultazione toracica è quello
di determinare se l’aria attraversa tutti i segmenti polmonari. In qualunque campo polmonare
l’assenza di suoni o la presenza di suoni ovattati e lontani può indicare l’ostruzione delle vie aeree o
l’accumulo di liquido o di aria nello spazio pleurico.
I crepitii sono suoni discontinui avvertiti durante l’inspirazione e indicano la presenza di liquido nei
polmoni. Questi suoni sono spesso rilevabili negli assistiti con malattie ostruttive o con la polmonite.
Mentre i sibili sono suoni continui provocati dal passaggio dell’aria attraverso le vie aeree dal
volume ridotto.

Le principali diagnosi infermieristiche relative all’insufficienza respiratoria sono: (1) inefficace modello di
respirazione, (2) liberazione delle vie aeree inefficace, (3) scambi gassosi compromessi.

(1) Inspirazione e/o espirazione che non garantiscono una ventilazione adeguata, correlati a
iperventilazione, ipoventilazione, obesità, disfunzioni neurologiche, dolore, compromissione
muscolo-scheletrica, compromissione cognitiva e percettiva, diminuzione della forza, affaticamento
della muscolatura respiratoria.
Tale condizione si manifesta con tachipnea, respiro superficiale e dispnea.
Obiettivi infermieristici: pervietà delle vie aeree, ventilazione, parametri vitali nella norma.
Interventi infermieristici: mantenimento della pervietà delle vie aeree, aspirazione delle secrezioni,
riduzione dell’ansia, sorveglianza, assistenza ventilatoria, monitoraggio respiratorio e dei parametri
vitali.
(2) Incapacità di rimuovere le secrezioni o le ostruzioni del tratto respiratorio al fine di mantenere la
pervietà delle vie aeree correlate a fumo, broncospasmo, ritenzione di secrezioni respiratorie,
presenza di un corpo estraneo nelle vie aeree, eccesso di muco o di secrezioni nei bronchi, bronco-
pneumopatia cronico ostruttiva, asma, allergie respiratorie.
Tale condizione si manifesta con presenza di secrezioni respiratorie dense, sibili respiratori,
saturazione di ossigeno inferiore a 90%.
Obiettivi infermieristici: prevenzione dell’aspirazione, valutazione dello stato respiratorio, pervietà
delle vie aeree, ventilazione adeguata, scambi gassosi efficaci.
Interventi infermieristici: mantenimento della pervietà delle vie aeree, stimolazione della tosse per
rimuovere l’espettorato, monitoraggio respiratorio e dei parametri vitali.
(3) Eccesso o deficit di ossigenazione e/o di eliminazione dell’anidride carbonica correlati allo squilibrio
del rapporto ventilazione/perfusione e alle modificazioni a livello della membrana alveolo-capillare.
Tale condizione si manifesta con saturazione di ossigeno al di sotto a 90%, sibili inspiratori ed
espiratori, frequenza respiratoria di 40 atti al minuto.
Obiettivi infermieristici: garantire scambi gassosi efficaci, ventilazione e modello respiratorio
adeguati.
Interventi infermieristici: mantenimento della pervietà delle vie aeree, ossigenoterapia,
monitoraggio respiratorio e dei parametri vitali, monitoraggio degli scambi gassosi tramite
l’emogasanalisi arteriosa.

Il trattamento dell’insufficienza respiratoria dipende dalla condizione che ne ha determinato l’origine. In


generale, gli obiettivi della terapia sono l’aumento dell’ossigenazione e la diminuzione dell’anidride
carbonica nel sangue attraverso il miglioramento dello scambio dei gas a livello degli alveoli polmonari.

Aerosolterapia

25
L’aerosolterapia e la sospensione di microscopiche gocce di liquido nell’aria o nell’ossigeno. Può essere
prescritta per:

 aumentare l’umidificazione delle vie aeree durante l’ossigenoterapia;


 idratare un espettorato denso ed evitare la formazione di tappi di muco;
 somministrare farmaci per via inalatoria.
Il nebulizzatore pneumatico o quello a ultrasuoni somministrano in continuo un velo di umidità nelle vie
aeree cosicché lo strato mucoso si ammorbidisce e questo ne facilita la mobilizzazione e l’espettorazione. Il
vapore acqueo inoltre allevia la sensazione di bruciore quando le vie aeree sono infiammate.

Diversi farmaci possono essere somministrati per mezzo dell’aerosol: i broncodilatatori, ad esempio, sono i
più efficaci nel trattamento del broncospasmo se somministrati direttamente nelle vie aeree; inoltre, la
somministrazione diretta di corticosteroidi contribuisce a trattare le infiammazioni della mucosa aerea.

Ossigenoterapia

L’ossigenoterapia viene utilizzata perlopiù per trattare l’ipossiemia e favorisce il raggiungimento di tre
risultati:

 Migliorare l’ossigenazione dei tessuti;


 Ridurre il lavoro respiratorio nella persona dispnoica;
 Ridurre il lavoro cardiaco nella persona cardiopatica;

L’ossigeno viene prescritto in termini di flusso o di concentrazione, in funzione delle necessità dell’assistito e
delle caratteristiche del presidio utilizzato per somministrarlo.

Il flusso di ossigeno viene espresso in litri al minuto mentre la concentrazione viene espressa come
percentuale o come frazione di ossigeno inspirato (FiO2).

Durante la somministrazione dell’ossigenoterapia, si deve controllare regolarmente la risposta dell’assistito


per valutarne la necessità di continuare o modificare la terapia.

Infatti, l’ossigenoterapia somministrata in modo scorretto può avere gravi conseguenze per la salute come la
tossicità a lungo termine per i tessuti polmonari.

Esistono vari presidi per somministrare l’ossigeno: se l’assistito necessita di una quantità ridotta di ossigeno,
si possono utilizzare le cannule nasali o la maschera facciale semplice, per una concentrazione intermedia la
maschera di Venturi, mentre per un’elevata concentrazione, è necessario ricorrere alla maschera facciale con
reservoir.

Ventilazione meccanica

La ventilazione meccanica è una forma di terapia strumentale che, attraverso un ventilatore meccanico,
supporta il paziente con insufficienza respiratoria grave, permettendogli di ventilare adeguatamente e
mantenendo scambi gassosi nella norma fra polmoni e ambiente.

La ventilazione inizia nel momento in cui il paziente è nella fase critica, in cui le funzioni vitali sono
compromesse. Superata la fase critica del paziente, l’obiettivo è quello di “svezzare” il paziente, ovvero
passare da una fase in cui il ventilatore si sostituisce totalmente al paziente, ad una fase in cui il paziente
torna ad essere autonomo.

26
La ventilazione è controllata, quando il ventilatore lavora in maniera indipendente dall’attività respiratoria
del paziente; il paziente non fa sforzi respiratori e il ventilatore si sostituisce completamente erogando gli atti
respiratori secondo una frequenza al minuto prestabilita. È una modalità di ventilazione utilizzata ad
esempio in un paziente in coma profondo per lesioni cerebrali, o nel caso di paralisi dei muscoli respiratori
(anche secondario all’utilizzo di curaro).

La ventilazione è assistita quando il ventilatore si adegua in maniera sincrona alla ventilazione autonoma del
paziente. La scelta dipende ovviamente dalle condizioni del paziente, dal grado di sedazione e dalla fase
della malattia.

ASSISTENZA AL PAZIENTE IN TRATTAMENTO DIALITICO


L’Emodialisi è un metodo dialitico che non risolve la malattia renale cronica ma è in grado di compensare
alcune funzioni renali necessarie per la vita del paziente.
L’obiettivo dell’emodialisi non è sostituire tutte le funzioni del rene, ma depurare l’organismo dalle sostanze
tossiche che si accumulano nel sangue a seguito della perdita della funzione escretoria, ripristinare
l’equilibrio idro-elettrolitico e ripristinare l’equilibrio acido-base.

L’Emodialisi consiste in un procedimento depurativo basandosi su processi di diffusione, osmosi e


ultrafiltrazione deviando il sangue per mezzo di una pompa al dializzatore.
La diffusione consiste in un passaggio di molecole da un ambiente a maggiore concentrazione (il sangue) a
uno a minore concentrazione (il dialisato).
Il dialisato è una soluzione presente nel dializzatore contenente elettroliti a concentrazione ideale basato
sulle condizioni cliniche del paziente. Modificando la composizione del dialisato è possibile ristabilire
l’equilibrio elettrolitico del sangue.
L’eccesso di liquidi è rimosso dal sangue per osmosi, permettendo il passaggio di acqua da un ambiente a
minore concentrazione di soluti (il sangue) a uno a maggiore concentrazione di soluti (il dialisato).
Con l’ultrafiltrazione avviene il passaggio dell’acqua da un ambiente ad alta pressione verso uno a bassa
pressione. L’ultrafiltrazione è più efficiente rispetto all’osmosi ed è effettuata con l’applicazione di una
pressione negativa (aspirazione) su una membrana dialitica. Poiché, di solito, nei soggetti nefropatici
l’escrezione di acqua è compromessa, è necessario ricorrere all’ultrafiltrazione per ripristinare il bilancio
idrico attraverso la rimozione dei liquidi.
Il sistema tampone dell’organismo è mantenuto con l’impiego di un dialisato contenente bicarbonato.
L’aggiunta di eparina evita la coagulazione del sangue nel circuito extracorporeo.
Il sangue ripulito è reintrodotto nel paziente e a dialisi conclusa molte sostanze di rifiuto sono state eliminate
dal sangue, l’equilibrio idro-elettrolitico e il sistema tampone ripristinato.
Il dializzatore è un dispositivo di membrana semipermeabile contente fibre cave nelle quali vi sono migliaia
di sottili capillari attraverso i quali fluisce il sangue. La membrana è semipermeabile che permette il
passaggio di tossine, liquidi ed elettroliti ma impedisce il passaggio di grosse molecole come proteine. Il
flusso costante della soluzione mantiene un gradiente di concentrazione che facilita lo scambio di prodotti di
scarto dal sangue al dialisato attraverso la membrana semipermeabile. Dopo lo scambio il dialisato è rimosso
e smaltito.

ACCESSO VASCOLARE
L’accesso vascolare è necessario per permettere al sangue di essere rimosso dal circolo, filtrato e reintrodotto
nel paziente al flusso prescritto (circa 300 ml/min).
27
 Fistola arterovenosa, FAV: è un accesso permanente creato chirurgicamente
formanto da anastomosi tra un’arteria e una vena con sutura latero-terminale o latero-
laterale. Un attento esame obiettivo preoperatorio che comprende la valutazione del polso
arterioso, delle vene superficiali dell’avambraccio e del braccio. La prima scelta è sempre la sede
più distale ovvero l’anastomosi radio-cefalica. La principale complicazione di questo accesso è la
trombosi seguita da infezioni, aneurismi, stenosi, sanguinamento e di solito è influenzata da
fattori quali l'età del paziente, il diabete mellito e la presenza di malattie cardio-vascolari. Dopo
il confezionamento, la FAV richiede 2-3 mesi per maturare e dilatarsi per facilitare l’inserimento
di due aghi di calibro 15-16 gauge.
Nel caso in cui non sia possibile creare l’anastomosi di vasi nativi, come seconda scelta, si può inserire una
protesi biologica, semibiologica o sintetica.

 Cateteri venosi centrali, CVC. I cateteri tunnellizzati (in silicone) cuffiati a due
lumi sono inseriti in vena succlavia chirurgicamente. La cuffia sottocutanea riduce il rischio di
infezione e di dislocazione. Questi accessi sono sicuri per l’utilizzo a lungo termine, ma rimane
comunque alto il rischio d’infezione. Per un’emodialisi acuta può essere necessario l’inserimento
di un CVC (in poliuretano) sono a breve termine), non tunnellizzato e non cuffiato a due o più
lumi in vena succlavia, in giugulare interna o vena femorale. Questo accesso è esposto a alto
rischio d’infezione e a rischio quali pneumotorace, ematoma e trombosi. Il catetere sarà rimosso
quando non è più necessario, per esempio quando le condizioni cliniche del paziente sono
migliorate oppure è stato confezionato un altro tipo di accesso vascolare.

La persona è esposta ad una serie di problemi e complicanze intra dialitiche:


 Ipotensione arteriosa
 Episodi di dispnea fra una seduta e l’altra a causa per l’accumulo di liquidi
 Dolore muscolare
 Emorragia, come possibile conseguenza della disconnessione del circuito o dello
spostamento accidentale degli aghi
 Coagulazione del circuito extracorporeo
 Ipotermia
 Aritmie, come possibili conseguenze della variazione dei livelli di elettroliti e del pH o della
filtrazione dei farmaci antiaritmici durante la dialisi
 Embolia gassosa, evento raro ma possibile per l’entrata di aria nel sistema vascolare
 Dolore toracico.

FASE DI PREPARAZIONE
 Prende visione della prescrizione dialitica, che ovviamente è di competenza medica, sulla
quale viene indicata la metodica utilizzata, la composizione del liquido di dialisi chiamato anche
“bagno di dialisi”, tipologia e superficie del filtro, durata della seduta dialitica, peso ideale del
paziente (poiché nel periodo interdialitico, a causa della perdita della diuresi, il paziente
accumula liquidi in eccesso che vanno rimossi), tipo di accesso vascolare (Fistola Artero-venosa
o CVC), tipo di anticoagulazione del circuito ematico, terapia farmacologica intradialitica;
 predispone la documentazione sulla quale registrare i parametri del trattamento in corso;
 prepara il materiale necessario sulla base della prescrizione e sulla tipologia del monitor
utilizzato;

28
 prepara l’apparecchiatura di dialisi: l’infermiere deve accertarsi che all’accensione del
monitor ogni test venga superato e che l’apparecchiatura non presenti anomalie o allarmi e che
sia stata eseguita correttamente la procedura di lavaggio e disinfezione. Effettuati i controlli si
può procedere al montaggio delle linee ematiche e alla connessione delle soluzioni concentrate
al monitor, affinché quest’ultimo prepari automaticamente la soluzione dializzante e proceda al
riempimento delle linee ematiche con liquido di lavaggio e il sistema sia così completamente
privo di aria.

FASE INTRA-DIALITICA
 l’infermiere accoglie il paziente, lo fa accomodare sul letto-bilancia, esegue l’accertamento
infermieristico sullo stato di salute nel periodo interdialitico, rileva il peso corporeo e i parametri
vitali e li registra sulla cartella di dialisi;
 indossa i Dispositivi di Protezione Individuali (occhiali protettivi, visiere, mascherine);
 gestisce l’accesso vascolare: sia che si tratti della puntura della Fistola Artero-Venosa che del
CVC, la procedura deve essere effettuata con tecnica asettica;
 esegue eventuali prelievi ematici di controllo prescritti;
 connette il paziente al circuito extracorporeo e avvia il trattamento dialitico, posizionando
correttamente le linee ematiche per evitare il rischio di disconnessioni accidentali, che possono
causare la perdita massiva di sangue;
 rileva ad intervalli regolari tutti i parametri vitali del paziente (pressione arteriosa, frequenza
cardiaca, calo del peso corporeo) al fine di prevenire l’insorgenza di eventuali complicanze;
 controlla i valori riportati dal monitor per quanto concerne il buon funzionamento
dell’accesso vascolare e lo stato di efficacia del trattamento;
 durante il trattamento l’infermiere non deve allontanarsi dalla sala di dialisi per valutare lo
stato di coscienza del paziente poiché si possono presentare complicanze improvvise e
imprevedibili.

FASE CONCLUSIVA E POST-DIALITICA


 terminato il trattamento l’infermiere indossa i Dispositivi di Protezione Individuale e inizia
la procedura di restituzione del sangue extracorporeo;
 gestisce l’accesso vascolare: per la Fistola Artero-Venosa rimuove gli aghi fistola e procede al
tamponamento; per il CVC esegue il lavaggio e la chiusura del catetere come previsto dai
protocolli in uso;
 prima di dimettere il paziente, l’infermiere valuta le sue condizioni: stato di coscienza,
parametri vitali, stato dell’accesso vascolare;
 procede allo smontaggio delle linee ematiche e alla loro rimozione;
 valuta la corretta sanificazione delle parti esterne dell’apparecchiatura di dialisi e del letto-
bilancia;
 esegue le procedure di lavaggio e disinfezione del circuito interno del monitor per dialisi
seguendo le indicazioni dell’apparecchiatura stessa. L’infermiere deve garantire e controllare
che il ciclo di lavaggio e disinfezione vada a buon fine e che non ci siano allarmi.

DIALISI PERITONEALE
La Dialisi Peritoneale è un metodo dialitico in caso dell’insufficienza renale cronica terminale alternativo
all’emodialisi con caratteristiche estremamente diverse.

29
Per effettuare questa modalità di trattamento dialitico è necessario il posizionamento di un catetere specifico
(catetere di Tenckhoff) introdotto all’interno della cavità peritoneale.
Il sistema dialitico peritoneale è dunque costituito da:
 cavità addominale
 membrana peritoneale
 catetere peritoneale
 liquido dializzante.
Il Peritoneo è una membrana continua di grandi dimensioni, che riveste l’intera parete della cavità
peritoneale (peritoneo parietale) e i visceri addominali (peritoneo viscerale).
Il peritoneo, grazie alla sua capacità semipermeabile, permette gli scambi depurativi tra i due compartimenti:
sangue dei capillari peritoneali/liquido dializzante con rimozione delle tossine uremiche e sottrazione di
liquidi in eccesso.

Si tratta di una terapia sostitutiva prettamente domiciliare dove il team specialistico valuterà l’idoneità
psicofisica della persona, dell’eventuale partner e degli ambienti. L’infermiere detiene un ruolo
fondamentale nella relazione, nella formazione e valutazione delle ottemperanze della persona in dialisi
peritoneale e ha inoltre il compito importante di controllo e monitoraggio periodico dell’andamento della
terapia dialitica domiciliare.
Il catetere peritoneale, se mal gestito porta anche complicanze gravi, quali la peritonite con perdita della
funzione depurativa del peritoneo e passaggio del paziente in emodialisi.
Il paziente che esegue in autonomia le manovre di attacco e di stacco al “circuito” deve avere una
comprensione totale delle operazioni che sta effettuando ed il personale infermieristico deve eseguire
continui addestramenti al fine di rafforzare le informazioni.

Procedura
Oltre a mettere a punto gli strumenti per la dialisi, l’infermiere deve consultare la terapia inerente alla
concentrazione del dialisato e dei farmaci da somministrare.
E’ possibile prescrivere l’uso di eparina per prevenire la formazione di fibrina e la conseguente chiusura del
catetere peritoneale, nonché cloruro di potassio per correggere l’ipopotassiemia. Nel caso di soggetti
diabetici si aggiunge l’insulina perché il dialisato comprende un’alta concentrazione di destrosio. La
rimozione dell’acqua in eccesso durante la dialisi peritoneale avviene grazie all’utilizzo di un dialisato
ipertonico e ad alta concentrazione di destrosio, in modo da creare un gradiente osmotico.
Inoltre, il mantenimento della sterilità della soluzione, oltre alle manovre durante la terapia, è importante:
infatti l’infermiere deve insegnare ed accertarsi che il paziente abbia compreso le manovre di asepsi e le
esegua in maniera adeguata.
Prima dell’aggiunta dei farmaci, il composto deve essere portato a temperatura corporea per evitare disagi al
paziente, dolori addominali, favorire la dilatazione dei vasi sanguigni e aumentare la clearance. Per il
riscaldamento si raccomanda un riscaldamento a secco.

La DIALISI PERITONEALE implica una serie di scambi o cicli. Si definisce scambio la sequenza di carico,
sosta e scarico del dialisato. La dialisi consiste in una ripetizione di questo ciclo.
Il dialisato è infuso in cavità per gravità, di solito sono necessari 5-10 minuti di 2-3 L di liquido. Il tempo di
sosta del liquido in cavità consente il raggiungimento dell’equilibrio grazie alla diffusione e all’osmosi. Alla
fine di questo periodo ha inizio la fase di scarico, si apre il tubo di drenaggio e la soluzione esce per gravità
attraverso un sistema chiuso, impiegando un tempo generico di 10-20 minuti.

30
Se il liquido non drena adeguatamente, l’infermiere può facilitare il drenaggio mobilizzando a letto il
paziente da un lato all’altro o alzando la testiera del letto. Il catetere non deve essere mai spinto più in
profondità.
Il liquido di drenaggio è incolore o leggermente giallastro, non deve essere torbido né presentare tracce di
sangue. La perdita di sangue è normale nei primi giorni dopo il posizionamento del catetere peritoneale.
Il numero di scambi o cicli, e la loro frequenza sono prescritti in base agli esami di laboratorio effettuati con
scadenza mensile e alla presenza di sintomi uremici.

USO E CONOSCENZA DEL DEFIBRILLATORE AUTOMATICO, SEMIAUTOMATICO E MANUALE


Il defibrillatore è un dispositivo salvavita che riconosce le alterazioni del ritmo della frequenza cardiaca e di
erogare - se necessario e possibile - una scarica elettrica al cuore, azzerandone il battito e, successivamente,
ristabilendone il ritmo. Un defibrillatore, generalmente, è composto da due elettrodi che devono essere
posizionati sul torace del paziente (uno a destra e uno a sinistra del cuore) e da una parte centrale dedicata
all’analisi dei dati da essi trasmessi. Sono quattro le principali tipologie: defibrillatore manuale, defibrillatore
semiautomatico esterno (DAE), defibrillatore automatico esterno e interno. Lo scopo della defibrillazione è
quella di terminare le rapide e ricorrenti onde di eccitazione attraverso la depolarizzazione simultanea di
gran parte delle cellule del miocardio con una forte corrente elettrica. I pacemaker naturali del miocardio
hanno così l’opportunità di ritrovare una normale attività.

Ogni anno, in Italia, sono circa 57.000 le persone colpite da arresto cardiaco e l’utilizzo del defibrillatore in
tempo rapido riduce notevolmente la mortalità a breve e a lungo termine. L’importanza del fattore tempo ce
lo rivelano i numeri; infatti, per ogni minuto che passa, dopo un arresto cardiaco, la possibilità di
sopravvivenza si riduce del 10 % se l’aritmia “maligna” non viene trattata con defibrillazione.

Ci sono defibrillatori monofasici e bifasici, ma vengono preferiti quelli bifasici. L’energia bifasica è
caratterizzata da corrente bidirezionale che si adatta all’impedenza trans-toracica del paziente; a differenza
di quella monofasica si può ottenere più energia a Joule più bassi, riducendo i danni miocardici e cerebrali.

Il tipo di onda bifasica genera un flusso di corrente bidirezionale in due fasi:

- La prima fase, in cui la corrente percorre l’asse anodo-catodo

- La seconda fase in cui la corrente inverte la direzione percorrendo il percorso inverso.

Le indicazioni sono:

assolute: tachicardia ventricolare, flutter o fibrillazione ventricolare.

relative: fallimento di una cardioversione farmacologica nella fibrillazione o nel flutter atriale.

Durante la scarica elettrica (elettroshock) il sistema di conduzione del cuore viene ripolarizzato in toto, così
che si produce all'ECG una fase di plateau refrattaria.

La depolarizzazione avverrà quindi a livello del pacemaker fisiologico, il nodo senoatriale, che restaurerà il
ritmo naturale.

La scarica viene somministrata dall'apparecchio in maniera sincrona (cardioversione), questo significa 0,02
secondi dopo l'onda R, per evitare che avvenga durante la fase vulnerabile dell'onda T (braccio ascendente).

La dose d'energia necessaria è legata a dei protocolli internazionali. Di solito più è alta l'energia (il massimo è
di 360 Joule) più è efficace la scarica di defibrillazione, anche se ciò che rende efficace una defibrillazione non
31
è tanto la quantità di energia scaricata sul paziente ma la corrente di attraversamento medio del miocardio.
Le due grandezze sono intimamente legate attraverso l'impedenza elettrica del paziente (e delle piastre da
defibrillazione): grossomodo si può affermare che a parità di energia, all'aumentare dell'impedenza del
paziente diminuisce la corrente di attraversamento medio del miocardio. Pertanto l'efficacia della
defibrillazione è legata al tipo di forma d'onda di scarica che può essere più o meno efficiente a seconda che
sappia o meno compensare in modo attivo l'impedenza del paziente. Nei bimbi al di sotto degli 8 anni o 35
kg di peso si usano delle piastre a limitazione energetica, affinché la scarica stessa non lesioni il cuore.

Prima di trattare una fibrillazione atriale risalente a più di 48h, bisogna sottoporre il paziente a una terapia
anticoagulante almeno 4 settimane prima, da continuare anche successivamente all'elettroshock, per evitare
una tromboembolia arteriosa sistemica e in particolar modo cerebrale.

Alcuni fattori possono ridurre la probabilità di successo del trattamento come: elevata impedenza toracica,
acidosi, ipotermia, ipossia, ecc.

Oggi vengono utilizzati essenzialmente due tipi di defibrillatori: manuale e semiautomatico (DAE)

Defibrillatore manuale

Il defibrillatore manuale è un dispositivo in grado di effettuare la defibrillazione delle pareti muscolari del
cuore, utilizzabile negli ospedali e nelle ambulanze di soccorso avanzato da un medico o da un infermiere, o,
negli stati che prevedono questa figura, da un paramedico adeguatamente formato. Il defibrillatore
manuale è il dispositivo più complesso da utilizzare poiché ogni valutazione delle condizioni cardiache
viene completamente delegata al suo utilizzatore, così come la calibrazione e la modulazione della scarica
elettrica da erogare al cuore del paziente. Il principio dell'apparecchio consiste nello stabilire una condizione
cardiaca stazionaria nel paziente (in caso di minaccia di morte imminente a causa di arresto cardiaco o di
fibrillazione ventricolare) attraverso l'applicazione di una scarica di corrente elettrica.

Il defibrillatore manuale è coniugato a uno strumento per l'elettrocardiogramma (elettrocardiografo) e


funziona esclusivamente sotto la guida di un operatore medico. Dal punto di vista funzionale, la
coniugazione del defibrillatore manuale a uno strumento per l'elettrocardiogramma è fondamentale. Infatti,
è in base al tracciato elettrocardiografico risultante, che l'operatore decide quale scarica elettrica trasmettere
al paziente. L'utilizzo corretto del defibrillatore manuale richiede una preparazione specifica sia su come
funziona lo strumento per la defibrillazione, sia su come funziona un elettrocardiografo (lettura dei tracciati,
saper riconoscere un'aritmia ecc).

È necessario esaminare le forme d'onda ECG, decidere se è opportuno eseguire la defibrillazione o la


cardioversione, selezionare l'impostazione appropriata per l'energia, caricare l'apparecchiatura ed erogare la
scarica. I messaggi di testo visualizzati sullo schermo forniscono informazioni utili per l'esecuzione della
defibrillazione.

Il battito cardiaco, in condizioni fisiologiche, ha una frequenza tale da garantire l’immissione, nel circolo, di
una quantità di sangue sufficiente ad assicurare le funzioni vitali dell’organismo. In caso di fibrillazione
ventricolare (FV), invece, l’attività elettrica e la contrazione miocardica sono asincrone e caotiche, le onde
tipiche del tracciato E.C.G. non sono più identificabili e la gittata cardiaca risulta totalmente inadeguata.
L’ampiezza (voltaggio) delle onde elettriche rilevabili con l’elettrocardiogramma diminuisce
progressivamente entro pochi minuti, e la frequenza si attesta attorno 150 - 300 battiti/min. E' possibile che il
paziente cada rapidamente in stato di incoscienza, indicato dall'assenza di polso e di respiro. L'erogazione di
DC shock è, dunque, l'unica terapia in grado di arrestare tale forma irreversibile di aritmia, che in pochi

32
minuti porterebbe il paziente alla morte. Le scariche del defibrillatore sono in grado di depolarizzare
completamente il miocardio; esse ne annullano ogni attività elettrica per un breve intervallo di tempo,
permettendo così al nodo seno-atriale di riprendere il controllo del ritmo cardiaco e ripristinare un'attività
coordinata ed efficace. L' American Heart Association (A.H.A.) e l'European Resuscitation Council (E.R.C.)
indicano che, nella defibrillazione esterna di emergenza, il livello di energia appropriato per una prima
scarica è di 200 J; nel caso questa si riveli insufficiente, il protocollo suggerisce di erogare shock a 300-360 J.
Nei bambini, invece, si raccomandano 2 J per kg di peso per la prima scarica, per poi raddoppiare l'energia
in quelle successive.

Defibrillatore semiautomatici (DAE)

Sono in grado di riconoscere automaticamente il segnale elettrocardiografico e permettono l’erogazione della


scarica solo quando viene riconosciuto un ritmo defibrillabile.

Oggi sono disponibili defibrillatori semiautomatici che, una volta collegati opportunamente al paziente,
effettuano la diagnosi del ritmo cardiaco e si predispongono ad erogare la corrente di defibrillazione qualora
sia indicato; il compito dell’operatore consiste nel controllare che l’operazione avvenga in sicurezza per la
vittima, per gli operatori e per gli astanti e nell’erogare la scarica, se consigliata, attraverso il pulsante
apposito. Il DAE è dotato di piastre adesive e di una voce guida che aiuta in tutti i passaggi chi ne fa uso.
Molti sono dotati di una memory card in grado di memorizzare tutto l’evento e di captare e registrare le voci
di chi lo utilizza. I primi DAE usavano batterie ricaricabili, con il correlato bisogno di un’attenta
manutenzione. I nuovi modelli son progettati per superare tali inconvenienti con batterie al litio più
affidabili, compatte, potenti, di lunga durata (anche fino a 5 anni) e praticamente prive di manutenzione.

Protocollo operativo di defibrillazione precoce

Sono quattro i punti fondamentali che l’operatore deve osservare. In caso di team composto da due persone,
una deve farsi carico della BLS, mentre l’altra procede simultaneamente all’attivazione del DAE. Le manovre
devono tutte essere finalizzate all’analisi del ritmo e successivo shock.

Fasi dell'utilizzo del defibrillatore:

1. PRIMA FASE: preparazione dello strumento e collegamento dello stesso al paziente; l DAE viene
collocato alla sinistra del capo del paziente così da rendere più semplice la collocazione degli
elettrodi. Nel contempo l’altro soccorritore può continuare la RCP.

 premere l'interruttore ON/OFF per accendere il monitor;

 seguire le istruzioni fornite dai messaggi vocali e su schermo, nella sequenza indicata;

 rimuovere gli indumenti dal torace del paziente;

 accertarsi che il torace del paziente sia pulito e asciutto (tergere il sudore e radere i peli in eccesso);

 aprire la confezione ed estrarre le piastre;

 controllare che le piastre, il cavo e il connettore a loro collegato, non siano danneggiati

 rimuovere la pellicola protettiva dal retro delle piastre;

 controllare che il gel non sia secco;

33
 applicare fermamente le piastre sul torace del paziente seguendo lo schema stampato sul retro delle
stesse; La posizione delle piastre è estremamente importante perché la defibrillazione abbia esito
positivo. La posizione sterno-apicale è quella più indicata. La piastra sternale viene applicata alla
destra della porzione superiore dello sterno, sotto la clavicola, la piastra apicale viene applicata alla
sinistra del capezzolo, con il centro della stessa a livello della linea ascellare media. Tale schema è
riportato anche sulla superficie esterna delle piastre medesime.

 inserire il connettore delle piastre nell'apposita presa, individuabile dalla spia luminosa
lampeggiante.

 rilevato il collegamento delle piastre l’apparecchio inizia automaticamente l'analisi del ritmo
cardiaco del paziente mentre prescrive di “non toccare il paziente”;

al termine dell’analisi lo strumento può fornire due indicazioni: ”scarica consigliata” o “scarica non
consigliata”.

SCARICA CONSIGLIATA = l’apparecchio carica il proprio condensatore in preparazione all’erogazione


della scarica; emette messaggi vocali e su schermo che indicano all’operatore la necessità di erogare la
scarica; accertarsi che nessuno sia a contatto con il paziente.

SCARICA NON CONSIGLIATA = l’apparecchio fornisce messaggi vocali e su schermo che invitano
l’operatore a rivalutare i parametri del paziente: vie aeree, respiro e circolo; indica la eventuale necessità di
procedere con le manovre di RCP; esegue continuamente l’analisi del ritmo.

2. SECONDA FASE: analisi del ritmo;

Il processo di analisi del ritmo è effettuato dallo strumento secondo un algoritmo valutativo molto preciso,
che dura mediamente non più di 15 secondi, ma che può essere influenzato da condizioni particolari come:
movimenti grossolani del paziente (crisi convulsive, respirazioni agoniche, movimenti indotti dai
soccorritori o durante il trasporto su un mezzo di soccorso, ecc.);

imperfetta aderenza delle piastre adesive sulla cute (per presenza di sudorazione, ipertricosi, ecc.); l’uso in
vicinanza di strumentazioni elettroniche (radio, telefoni cellulari, ecc).

 Mentre l’apparecchio si sta caricando continua l’analisi del ritmo del paziente per evidenziare
eventuali variazioni non più trattabili da scarica elettrica.

 Bisogna evitare il trasporto e lo spostamento del paziente durante il periodo di analisi (rischio
diagnosi errata e non tempestiva).

 Se lo strumento consiglia la scarica evitare qualsiasi movimento del paziente per almeno 15 secondi
per consentire al DSAE di confermare l’analisi del ritmo.

 E’ comunque possibile disattivare la carica in qualsiasi momento premendo il pulsante ON/OFF. In


tal caso l’apparato si spegne e ritorna in modalità di attesa.

 Se durante la RCP lo strumento rileva un cambiamento del ritmo che coincide con un ritmo trattabile
da scarica elettrica, invita l’operatore a sospendere le manovre per effettuare l’analisi senza
interferenze esterne.

3. TERZA FASE: erogazione della scarica elettrica;


34
 Quando l’apparecchio è pronto a erogare la scarica informa l’operatore tramite un messaggio
vocale ed un segnale acustico continuo.
 Nel contempo è visualizzabile sullo schermo un messaggio che invita a premere il pulsante di
scarica ed accende la spia lampeggiante del pulsante di scarica.
 Per erogare la scarica elettrica è necessario premere il pulsante di scarica.
 Premuto il pulsante di scarica l’apparecchio emette un messaggio vocale che conferma
l’erogazione della scarica.
 Lo strumento riprende l’analisi del ritmo cardiaco del paziente per determinare se la scarica ha
avuto esito positivo.
 Nel caso in cui siano necessarie scariche aggiuntive l’apparecchio guida l’operatore
all’erogazione necessaria.

NOTA: se non si preme il pulsante di scarica entro 30 secondi dalla visualizzazione del messaggio su
schermo, lo strumento disattiva la carica e fornisce una pausa per RCP.

4. QUARTA FASE: pausa per le manovre di verifica delle funzioni vitali ed eventuale manovra di RCP;

 Dopo aver erogato, se necessario, 3 scariche consecutive, lo strumento consente, se indicato,


all’operatore di effettuare la RCP per un minuto.
 Durante la pausa sullo schermo viene visualizzata una barra che avanza gradualmente per
indicare il tempo ancora a disposizione per le manovre.

Va ricordato inoltre che lo scopo fondamentale del BLS (Basic Life Support) è quello di mantenere con il
massaggio e con la ventilazione bocca-bocca, bocca-naso (nel caso si incontrassero problemi nella bocca come
rottura della mandibola gravi ostruzioni ecc) o una respirazione tramite pallone dotato di mascherina, un
afflusso costante e sufficientemente buono di sangue al cervello. Dopo 4 minuti di assenza di ossigeno al
cervello si va incontro a danni cerebrali in molti casi reversibili; dai 6 minuti in poi i danni diventano
irreversibili e possono provocare deficit motori, lessici, o influire pesantemente sullo stato della coscienza
stessa della persona, le vittime in stato vegetativo ne sono un esempio.

Una defibrillazione non va mai effettuata se il paziente si trova in una situazione dove vi è acqua in
abbondanza, per esempio se si trova sopra una pozza, o se la vittima risulta bagnata. Un corpo bagnato
provoca una dispersione della carica in zone dove non serve attenuando di molto l'effetto sul cuore, in questi
casi si deve trasportare la vittima (sempre se il suo spostamento non generi un pericolo) in un luogo asciutto,
se necessario dobbiamo spogliare il malcapitato tentando di asciugarlo quanto meglio sia possibile.

Defibrillatore automatico esterno

Il defibrillatore automatico esterno (detto DAE anch’esso) è capace, autonomamente, di analizzare il ritmo
cardiaco del paziente, di stabilire se è necessario o meno erogare una scarica elettrica e di emetterla senza
alcuna digitazione di pulsanti da parte dell’utente soccorritore. In altre parole, chi usa un defibrillatore
automatico deve soltanto azionare lo strumento, posizionare le piastre metalliche sull’individuo che
necessita della defibrillazione e lasciare che il dispositivo faccia le sue operazioni.

CASI PARTICOLARI

ETÀ PEDIATRICA: L’arresto cardiaco in età pediatrica è raramente causato da FV. Si rimanda a tal riguardo
ai protocolli relativi alle procedure di valutazione e trattamento dell'arresto cardiaco in età pediatrica. Per
quanto riguarda l'utilizzo del defibrillatore, le linee guida dell’American Heart Association raccomandano di
non utilizzare i DSAE attualmente disponibili in commercio nel soccorso a pazienti con un peso corporeo
35
inferiore a 25 Kg o un'età inferiore agli 8 anni. La problematica è connessa al fatto che tali defibrillatori
semiautomatici non sono in grado di utilizzare le energie più basse richieste nella defibrillazione pediatrica.
Inoltre le piastre da impiegare per l’età pediatrica sono di dimensioni più ridotte rispetto a quelle dell’adulto
e l’algoritmo di analisi del ritmo cardiaco non è stato validato per l'età pediatrica. Per i bambini di età
superiore agli 8 anni e con un peso corporeo superiore a 25 kg valgono le procedure operative stabilite per
l’adulto.

IPOTERMIA: I pazienti in FV con temperatura corporea interna estremamente bassa (inferiore a 30°C)
solitamente non rispondono adeguatamente alla defibrillazione. Anche se spesso i primi soccorritori non
hanno l’equipaggiamento adatto per valutare la temperatura corporea interna, non si deve rinunciare alla
defibrillazione del paziente ipotermico in Fibrillazione Ventricolare. Pertanto, se non è ancora intervenuto il
personale qualificato in grado di applicare le procedure di tipo “ALS”, i soccorritori in possesso di
Defibrillatore Semiautomatico dovranno procedere all’applicazione del protocollo previsto per la eventuale
defibrillazione precoce. La sequenza va limitata solo ai primi 3 shock, poi proseguire con manovre di RCP, in
attesa che giunga in posto il personale medico specialistico in grado di procedere alle manovre ACLS.
Diversamente è necessario seguire le indicazioni della Centrale Operativa 118.

ARRESTO CARDIACO ASSOCIATO A TRAUMA: Il paziente in cui l’arresto cardiaco sopravviene come
risultato diretto di un trauma maggiore raramente viene rinvenuto in fibrillazione ventricolare. Vi è tuttavia
la possibilità di riscontrare una FV anche in una persona vittima di evento traumatico, in tali casi il più delle
volte l'insorgenza dell'aritmia è precedente all’evento traumatico stesso. Anche nel soggetto traumatizzato in
arresto cardiaco vi è indicazione all’applicazione del defibrillatore semiautomatico ed all’attivazione della
procedura della defibrillazione precoce nel caso sia riconosciuta una Fibrillazione Ventricolare. Si sottolinea
che le manovre di RCP nel traumatizzato in cui Centrale Operativa 118 Como Manuale Defibrillazione
Precoce 10 l’indice di sospetto sia significativo per una lesione a carico della colonna cervicale, è
controindicata l’iperestensione del capo mentre è indicata l’immobilizzazione del capo in posizione neutra e
l’apertura delle vie aeree mediante sublussazione (o protrusione) della mandibola.

PAZIENTE IN ACQUA: Il paziente in arresto cardiocircolatorio, rinvenuto in un ambiente in cui è a contatto


con acqua (annegamento, malore in vasca da bagno, in caso di pioggia, ecc.) va rapidamente posizionato su
una superficie asciutta. Devono essere rimossi gli indumenti bagnati del tronco, il suo torace va asciugato e
deterso prima di applicare le piastre per la defibrillazione. Come sempre bisogna accuratamente verificare
che non vi siano possibilità di contatto tra il Paziente ed i soccorritori o le persone presenti sulla scena nel
momento in cui dovesse essere erogata la scarica elettrica.

DONNA IN GRAVIDANZA: Il protocollo della defibrillazione precoce mediante apparecchio


semiautomatico nel trattamento della paziente gravida in arresto cardiocircolatorio non differisce da quello
ordinario. Le manovre di RCP vanno eseguite mantenendo possibilmente la paziente ruotata di 20 gradi
circa sul lato sinistro per ridurre la compressione dell’utero sulla vena cava e garantire un maggiore ritorno
venoso al cuore.

PAZIENTE PORTATORE DI PACE-MAKER: Alcuni pazienti affetti da particolari cardiopatie, possono


essere portatori di un’apparecchiatura elettromedicale (il pace-maker) impiantata in zona sottocutanea di
regola in corrispondenza della regione toracica anteriore – superiore di sinistra. In tali casi è rilevabile, in
sede d’impianto, un piccolo rigonfiamento di consistenza dura e la conferma potrebbe derivare anche dalla
eventuale testimonianza di persone che conoscono il paziente (di regola i familiari) se presenti sulla scena.
Nei portatori di pace-maker bisogna evitare di porre le placche adesive sulla superficie cutanea soprastante
tale apparecchio. Infatti una scarica elettrica erogata dal defibrillatore che raggiunga il muscolo cardiaco
36
attraversando direttamente un pace-maker potrebbe provocare un malfunzionamento del pace-maker stesso
e ridurre l’efficacia della defibrillazione. La presenza del pace-maker non controindica comunque
l’attivazione del protocollo della defibrillazione precoce nel paziente in arresto cardiaco.

ASSISTENZA AL PAZIENTE CON PATOLOGIA NEUROLOGICA


Le patologie possono interessare il sistema nervoso centrale o quello periferico e possono essere di natura:
infiammatoria, degenerativa, infettiva, neoplasica, traumatica…
Un disturbo neurologico può spesso mostrarsi con un alterato stato di coscienza, per questo motivo l’incipit
della valutazione del paziente neurologico è sicuramente il suo stato di coscienza. Un alterato stato di
coscienza non è di per sé una malattia, ma una funzione e un sintomo di fenomeni fisiopatologici multipli; la
causa può essere neurologica, tossicologica, metabolica. Il livello di coscienza viene misurato tramite la Scala
di Glasgow (GCS) che prevede:
 Valutazione dell’apertura degli occhi:
 Spontanea: 4
 Al comando verbale: 3
 Allo stimolo doloroso: 2
 Nessuna risposta: 1
 Miglior risposta verbale:
o Orientata: 5
o Conversazione confusa: 4
o Parole sconnesse: 3
o Suoni incomprensibili: 2
o Nessuna risposta: 1
 Miglior risposta verbale:
 Ubbidisce ai comandi: 6
 Localizza lo stimolo doloroso: 5
 Si retrae: 4
 Flessione: 3
 Estensione: 2
Le potenziali complicanze legate all’alterazione dello stato di coscienza includono l’insufficienza
respiratoria, la polmonite, le ulcere da pressione e l’inalazione. L’insufficienza respiratoria si può sviluppare
rapidamente dopo che la persona ha perso conoscenza. Se il paziente non può mantenere un’efficace attività
respiratoria, va iniziata un’assistenza di supporto per ottenere un’adeguata ventilazione. La polmonite,
invece, è frequente nei pazienti ventilati meccanicamente o nei quali non si possano mantenere pulite le vie
aeree.

ACCERTAMENTO INFERMIERISTICO
I clinici sono del parere di iniziare la valutazione dalla risposta verbale:
 Determinare l’orientamento nel tempo, nello spazio e circa persone e l’eloquio permette di accertare
la risposta verbale. Alla persona è chiesto di indicare la data, l’ora o la stagione dell’anno di
identificare dove si trova, oppure di riconoscere il sanitario, il familiare o il visitatore presente;
 Lo stato di veglia è valutato attraverso la capacità della persona di aprire gli occhi spontaneamente
o con stimolazioni. I soggetti con gravi alterazioni neurologiche non sono in grado di farlo;

37
 La risposta motoria include movimenti spontanei e finalizzati (es. la persona sveglia può muovere
tutti e quattro gli arti con uguale forza), movimenti solo in risposta a stimoli nocivi (es.
pressione/dolore) o posture anomale.

Se la persona non risponde a questi comandi, la risposta motoria è testata applicando stimoli dolorosi alle
narici o pizzicando un muscolo. Se la persona tenta di respingere o si isola, la risposta è registrata come
finalizzata o appropriata:
 Finalizzata se la persona può girarsi da un lato all’altro del corpo in risposta a stimoli nocivi.
 Una risposta non appropriata o non finalizzata è quella casuale e senza scopo. La posizione può
essere da decorticazione o da decerebrazione
 La risposta non può essere valutata se alla persona sono stati somministrati degli agenti
farmacologici paralizzanti
L’infermiere deve monitorare i parametri come lo stato respiratorio, i segni degli occhi e i riflessi su base
continua. Le funzioni corporee (circolazione, respirazione, eliminazione, equilibrio di liquidi ed elettroliti)
sono esaminate in modo sistematico e continuo.

DIAGNOSI INFERMIERISTICHE
 Liberazione inefficace delle vie aeree dovuta all’alterazioni del livello di coscienza che si
manifesta con una SPO2 ≤ 90%;
 Rischio di lesione da decubito correlato al diminuito livello di coscienza che si manifesta con
arrossamento delle zone della cute a contatto con il materasso;
 Insufficiente volume di liquidi dovuto all’incapacità di deglutizione che si manifesta con
lingua secca e cute disidratata;
 Compromissione dell’integrità tissutale della cornea correlata a diminuzione o assenza del
riflesso corneale che si manifesta con secchezza della cornea e della sclera;
 Incontinenza fecale correlata ad alterazione del sensorio neurologico e del suo controllo che
si manifesta con macerazione della cute perineale

OBIETTIVI INFERMIERISTICI
Gli obiettivi dell’assistenza alla persona con LOC possono includere: il mantenimento di vie aeree libere, la
protezione dalle lesioni, il raggiungimento di un equilibrio nel volume dei liquidi, la conservazione
dell’integrità delle mucose del cavo orale, il mantenimento della normale integrità cutanea, l’assenza di
irritazione corneale, il raggiungimento di una termoregolazione efficace e un’efficace eliminazione urinaria.
Obiettivi aggiuntivi includono la continenza intestinale, l’accurata percezione degli stimoli ambientali, il
mantenimento di un sistema familiare o di supporto intatto e l’assenza di complicanze. A causa dello stato
d’incoscienza i riflessi protettivi della persona sono alterati, la qualità dell’assistenza infermieristica può
letteralmente significare la differenza fra la vita e la morte. L’infermiere deve assumersi la responsabilità
dell’assistito fino a che ricompaiano i riflessi di base (tosse, ammiccamento e deglutizione) ed egli ritorna a
essere cosciente e orientato. Per tale ragione, il principale obiettivo di assistenza infermieristica è di
compensare l’assenza di questi riflessi protettivi.

INTERVENTI INFERMIERISTICI
 Mantenere la pervietà delle vie aeree
 Provvedere all’igiene orale

38
 Proteggere l’assistito
 Mantenere l’integrità cutanea
 Mantenere l’integrità corneale
 Ripristinare la termoregolazione
 Soddisfare i bisogni della famiglia
 Conservare l’equilibrio idrico e soddisfare il fabbisogno nutrizionale
 Promuovere la stimolazione sensoriale
 Prevenire la ritenzione urinaria
 Monitoraggio e trattamento delle potenziali complicanze

VALUTAZIONE/RISULTATI ATTESI
I risultati attesi per l’assistito sono:
1) Mantiene la pervietà delle vie aeree e dimostra suoni respiratori appropriati;
2) Non presenta lesioni;
3) Raggiunge/mantiene un’adeguata idratazione;
4) Raggiunge/mantiene l’integrità delle mucose orali;
5) Mantiene la normale integrità epidermica;
6) Non presenta irritazioni corneali;
7) Raggiunge e mantiene la termoregolazione;
8) Non presenta ritenzione urinaria, stipsi o diarrea;
9) Riceve un’appropriata stimolazione sensoriale;
10) I familiari sanno affrontare la crisi;
11) Non presenta complicanze;

PIANO ASSISTENZIALE PAZIENTE CON ICTUS


Nel mondo, l’ictus è il più diffuso tra i disordini cerebrovascolari. Nonostante gli sforzi compiuti a livello di
prevenzione, per ridurne l’incidenza, nel corso degli anni, rimane ancora la terza causa di morte. L’ictus
o STOKE, è un’improvvisa perdita della funzione cerebrale provocata dall’interruzione del flusso ematico a
una parte del cervello. Questo evento è, di solito, l’esito finale di un’affezione cerebrovascolare di vecchia
data. Un trattamento precoce permette una riduzione dei sintomi e del danno funzionale, infatti, solo l’8 %
degli ictus ischemici esita in morte nei 30 giorni successivi all’evento.

L’ictus può essere diviso in 2 categorie principali:


 ISCHEMICO (85 %), in cui si verifica l’occlusione vascolare e una significativa ipoperfusione.
Le possibili cause sono: trombosi di una grande arteria, trombosi di una piccola arteria
profonda, embolia cardiogenica, causa sconosciuta, altro;
 EMORRAGICO in cui si ha uno stravaso di sangue nel cervello e le possibili cause
sono: Emorragia intracerebrale, emorragia subaracnoidea, aneurisma cerebrale, malformazione
arterovenosa (MAV).

Un ictus provoca una grande varietà di deficit neurologici, secondo la localizzazione della lesione,
l’ampiezza della zona che è stata perfusa in misura inadeguata e la quantità di flusso sanguigno collaterale.
Il paziente può presentare: formicolio o debolezza al volto, braccio o gamba specie da un lato del
corpo, confusione o cambiamenti dello stato mentale, difficoltà nel parlare o nel comprendere le
parole, disturbi visivi, difficoltà nel camminare, vertigini e perdita di equilibrio o

39
coordinazione, improvvise e severe cefalee. Possono essere danneggiate la funzione motoria, sensitiva,
cognitiva, dei nervi cranici e altre. Le persone colpite mostrano comportamenti diversi a seconda dell’area
colpita.

ACCERTAMENTO
Durante la fase acuta, va tenuto un diario dell’andamento neurologico del paziente in relazione a:
 ogni cambiamento nel livello di coscienza o di risposta rivelato da movimenti, da resistenza
ai cambiamenti di posizione, da risposte agli stimoli;
 orientamento nello spazio – tempo e alle persone;
 la presenza o l’assenza di movimenti volontari o involontari delle estremità; il tono
muscolare; la postura del corpo; la posizione della testa;
 la rigidità o flaccidità del collo;
 l’apertura degli occhi, il diametro comparato delle pupille e le reazioni pupillari alla luce, la
posizione oculare
Accertamento:
 Il colore del volto e delle stremità, la temperatura e l’umidità della pelle:
 La qualità ed il ritmo delle pulsazioni e della respirazione; l’EGA, la temperatura corporea e
la pressione arteriosa;
 La capacità di parlare
 Il volume dei liquidi ingeriti o somministrati e il volume delle urine emesse nelle 24h
(bilancio idrico)
 La presenza di emorragie
 L’infermiere valuta lo stato mentale (memoria, attenzione, percezione, orientamento,
affettività, discorso/linguaggio), sensazioni/percezioni, controllo motorio e capacità di
deglutizione
 Il colore, la presenza di indici infiammatori e di infezioni presso il sito di inserzione del
catetere venoso centrale
 Valuta lo stato nutrizionale del paziente, la sua idratazione e l’igiene orale
 Si accerta sulla presenza di contenzioni e valuta la presenza o meno di lesioni da decubito,
attivando l’apposita scheda all’interno della cartella infermieristica
 Valuta la capacità di deglutizione
 Valuta la funzione intestinale e vescicale

DIAGNOSI INFERMIERISTICHE
 Diagnosi infermieristiche reali:
 Compromissione della mobilità correlata all’ictus di recente insorgenza che si manifesta con plegia o
paresi
 Deficit della cura di sé (igiene personale) correlato ai postumi dell’ictus
 Compromissione della deglutizione dovuta ad ischemia cerebrale che si manifesta con la mancata
assunzione del pasto
 Compromissione del linguaggio e quindi della comunicazione verbale
 Alterazione dello stato nutrizionale

40
 Secchezza della mucosa orale dovuta all’impossibilità di assumere liquidi per via orale a causa
dell’incapacità di deglutizione, se presente
 Diagnosi infermieristiche potenziali:
 Rischio di lesioni da decubito a seguito dell’immobilità e della possibile presenza di contenzioni
 Rischio di infezione del sito di inserzione del CVC, se presente, a causa di una cattiva gestione di
quest’ultimo
 Rischio di concrezioni orali a causa della secchezza della mucosa
 Deficit respiratori a causa di una probabile ab ingestis, dovuta all’ictus
 Rischio di infezioni delle vie urinarie e lesioni per cattiva gestione del catetere vescicale
 Depressione a causa della ridotta capacità comunicativa

PIANIFICAZIONE ED OBIETTIVI
 Mantenimento di vie aeree libere
 Protezione dalle lesioni
 Raggiungimento di un equilibrio nel volume dei liquidi
 La conservazione dell’integrità delle mucose del cavo orale
 Il mantenimento della normale integrità cutanea
 Accurata percezione degli stimoli ambientali
 Compensare l’assenza dei riflessi protettivi di base: ammiccamento, ritardo della tosse e
deglutizione
 Miglioramento della mobilità
 Recupero della privazione sensoriale e percettiva
 Prevenzione dell’aspirazione
 Recupero della possibilità di qualche forma di comunicazione
 Corretta gestione del CVC, se presente
 Corretta gestione del sondino nasogastrico, se presente
 Corretta gestione del catetere vescicale
 Assenza di complicazioni

INTERVENTI INFERMIERISTICI
 Posizionamento della mano e delle dita dell’arto plegico: le dita devono essere posizionate
in maniera da essere appena flesse. La mano è posta in posizione lievemente supina, che è la
posizione più funzionale, per fare ciò può essere utilizzato un rullo manuale. Si deve fare ogni sforzo
per ridurre l’edema della mano o quanto meno prevenirne un peggioramento.
 Cambiamenti di posizione: la posizione del paziente deve essere cambiata ogni 2 ore. Per
posizionarlo in posizione laterale, sarà necessario porre un cuscino tra le gambe prima di girare il
paziente. Il paziente deve essere girato da una parte e dall’altra, ma deve giacere per periodi di
tempo più brevi sul lato danneggiato.
 Gestione delle difficoltà sensoriali-percettive: se il paziente presenta emianopsia laterale
omonima, dovrebbe essere avvicinato dal lato in cui la percezione visiva è intatta e tutti gli stimoli
visivi dovrebbero essere collocati da questo lato. Bisogna mantenere il contatto visivo con il paziente
ed attrarre la sua attenzione verso il lato malato incoraggiandolo a muovere la testa. Potrebbe essere
utile anche collocarsi in una posizione all’interno della stanza che invogli il paziente a muoversi o a
girarsi per verificare che sia presente nella stanza. È importante ricordare costantemente al paziente
dell’altra estremità del corpo e che mantenga un corretto allineamento corporeo.

41
 Trattare la disfagia: il paziente viene valutato da logopedisti che lo seguiranno nel percorso
di riabilitazione. Il medico deciderà se prescrivere una nutrizione parenterale oppure enterale, dopo
posizionamento di sondino nasogastrico, o di combinare la nutrizione enterale a quella parenterale
 Trattamento dell’emiplegia o dell’emiparesi: se il paziente presenta
emiplegia, bisognerebbe insegnare all’assistito esercizi di recupero e aumentare la forza del lato non
colpito. (EMIPARESI: Debolezza nel viso, nelle braccia e nelle gambe dello stesso lato, dovuta ad una
lesione dell’emisfero opposto. EMIPLEGIA: Paralisi della faccia, delle braccia, e delle gambe dello
stesso lato, dovuta ad una lesione dell’emisfero opposto).
 Trattamento disartria e afasia: fornire all’assistito metodi alternativi di comunicazione e
concedere tempo sufficiente per rispondere alle richieste verbali, questo al fine di renderlo partecipe
e sopperire il suo senso di incapacità e frustrazione. (Afasia espressiva: il paziente è incapace di
strutturare parole comprensibili. Afasia ricettiva: il paziente è incapace di comprendere le parole
dette; è capace di parlare ma non di dare un senso alle parole. Afasia globale: combinazione di
entrambi i tipi di afasia. Usare gesti o disegni quando si è in grado).
 Mantenere l’integrità cutanea: il paziente a causa dell’ictus è incapace di reagire alla
pressione, quindi per la prevenzione dei danni ai tessuti e all’epidermide occorre dedicare
un’assidua attenzione all’aspetto e alla cura della cute, con particolare riguardo alle prominenze
ossee e alle parti declivi del corpo. Inoltre, deve essere seguito un regolare programma di rotazioni e
di posizionamento per ridurre al minimo gli effetti della compressione localizzata ed impedire il
danno cutaneo. La cute del paziente deve essere pulita ed asciutta e si deve garantire un’adeguata
nutrizione ed idratazione
 Mantenere la pervietà delle vie aeree: il paziente potrebbe presentare riflesso della tosse
ritardato, per cui non riesce ad eliminare le secrezioni con l’espettorazione e in particolare è indicata
l’aspirazione orotracheale o nasotracheale se: le secrezioni sono visibili nelle vie respiratorie,
all’auscultazione toracica si sentono gorgoglii e ronchi oppure c’è un incremento apparente del
lavoro respiratorio.
 Provvedere all’igiene orale: il paziente presenta una compromissione dell’autonomia
funzionale, per cui sarà necessario effettuare l’igiene del cavo orale al fine di prevenire micosi,
formazione di concrezioni, soprattutto se sottoposto a somministrazione di ossigeno, ma anche per il
soddisfacimento del bisogno stesso. La procedura prevede:
 Effettuare il lavaggio antisettico delle mani, indossare i guanti monouso
 Rivolgersi al letto del paziente, assicurare la sua privacy e spiegargli la procedura
per ottenere una maggiore compliance
 Preparare il materiale: Guanti monouso, garze, collutorio, acqua tiepida, pomata
lubrificante, pinza clampante, bacinelle reniformi, abbassalingua monouso, lampadina
tascabile, carta per asciugare, telo.
 Porre un telo intorno al collo del pz
 Prendere un tampone di garza con la pinza e bagnarlo con il collutorio
 Pulire il cavo orale, aiutandosi con l’abbassalingua
 Cambiare di frequente la garza
 Far risciacquare la bocca la pz mettendolo in posizione laterale oppure aspirando
 Asciugare ed applicare la pomata lubrificante
 Riposizione il paziente in posizione congrua alla sua situazione
 Riordinare e rifornire il materiale utilizzato, documentare la procedura in cartella
infermieristica

42
 Gestione del catetere venoso centrale
 Preparazione per la deambulazione: In genere, quando l’emiplegia è il risultato di una
trombosi si può dare inizio a un attivo programma di riabilitazione nel momento in cui il paziente
riconquista coscienza; se, invece, il paziente è stato colpito da un’emorragia cerebrale non può
partecipare attivamente sino a che non sia scomparso ogni segno di emorragia. Al paziente si
insegna prima a mantenersi in equilibrio da seduto e successivamente a stare in equilibrio in
posizione eretta;
 Promuovere l’autocura: Non appena il paziente è in grado di star seduto, viene incoraggiato
a curare da solo la propria igiene personale. Lo stato d’animo del paziente migliorerà
notevolmente se può svolgere le attività quotidiane completamente vestito

VALUTAZIONE DEI RISULTATI ATTESI


I risultati attesi per l’assistito sono:
 Mantiene la pervietà delle vie aeree e dimostra suoni respiratori appropriati
 Non presenta lesioni
 Raggiunge/mantiene un’adeguata idratazione
 Raggiunge/mantiene l’integrità delle mucose orali
 Mantiene la normale integrità epidermica
 Riceve un’appropriata stimolazione sensoriale
 Non presenta complicanze
A seguito di un’emorragia endocerebrale tutti i pazienti devono essere monitorati.

ANEURISMA
In caso di aneurisma è necessario mettere in atto delle precauzioni:
 Il paziente viene posto in immediato e assoluto riposo in un ambiente tranquillo e senza
stress, in quanto attività, dolore e ansia aumentano la pressione e quindi il rischio di emorragie.
Le visite, eccetto per i familiari, sono limitate.
 Devono essere vietate alcune attività, tra cui gli sforzi, lo starnutire violentemente, il mettersi
a sedere sul letto;
 Tutta la cura personale è effettuata dall’infermiere. Il paziente è nutrito e lavato per evitare
qualsiasi sforzo che potrebbe aumentare la p.a.

SCLEROSI MULTIPLA
La sclerosi multipla è una patologia immunomediata che porta alla progressiva demielinizzazione del
SNC. La sclerosi multipla colpisce soprattutto giovani donne, dai 20 ai 40 anni, con una prevalenza delle
donne rispetto agli uomini. I sintomi più comuni sono fatigue, debolezza, intorpidimento, difficoltà nella
coordinazione, perdita di equilibrio e dolore; i disturbi visivi dovuti a lesioni del nervo ottico e delle sue
connessioni possono includere visione sfocata, diplopia, aree di cecità o cecità totale; la depressione può
essere correlata alla fisiopatologia o può subentrare come reazione alla diagnosi.

ACCERTAMENTO
Rilevazione delle disfunzioni in atto e potenziali, associate alla patologia, come quelle neurologiche, le
complicanze secondarie, e l’impatto della patologia sul paziente e sulla famiglia. Si osservano i movimenti e
l’andatura del paziente per determinare se il suo equilibrio è precario. Si esamina il paziente per debolezza,
spasticità, indebolimento visivo, incontinenza e per difficoltà a deglutire e parlare.

43
DIAGNOSI INFERMIERISTICHE
 Compromissione della mobilità correlata a debolezza, paresi muscolare, spasticità che si
manifesta con deambulazione autonoma per max 10 passi;
 Rischio di lesione correlato a compromissione sensoriale e visiva, che si manifesta con
frequenti cadute (3 nelle ultime 2 settimane) riferite in anamnesi;
 Compromessa eliminazione urinaria e intestinale correlata a disfunzioni del sistema nervoso
che si manifesta con ritenzione urinaria e fecale;

OBIETTIVI ASSISTENZIALI
 Entro 4 giorni dalla rilevazione il paziente percorrerà l’intero corridoio con l’aiuto
dell’infermiere e del deambulatore
 Durante tutto il ricovero il paziente non presenterà cadute ricorrendo agli spostamenti al
personale infermieristico
 Entro 1 ora dalla rilevazione il paziente avrà misurato la quantità di urina presente in vescica
con utilizzo di Bladderscan
 Entro 30 minuti dalla rilevazione il paziente avrà posizionato il CV se urina in vescica ≥ a 200
CC

SINDROME GUILLAN BARRE’


La sindrome di Guillan – Barrè è un attacco autoimmunitario che colpisce la mielina dei nervi
periferici. Produce debolezza crescente con DISCINESIA (incapacità di eseguire i movimenti volontari) e
PARESTESIA (intorpidimento). La sindrome di Guillan – Barrè inizia con una debolezza muscolare e la
diminuzione dei riflessi negli arti inferiori. L’iporiflessia e la progressiva debolezza possono esitare in
tetraplegia. La demielinizzazione dei nervi che innervano il diaframma e i muscoli intercostali provocano
difficoltà respiratorie. Il 25 % dei pazienti richiede la ventilazione meccanica entro 18 giorni dall’insorgenza
dei sintomi. I sintomi sensoriali comprendono parestesie alle mani e ai piedi e dolore correlato alla
demielinizzazione delle fibre sensoriali. La demielinizzazione del nervo vago provoca una disfunzione
autonomica, che si manifesta con instabilità del sistema cardiovascolare, ne può derivare bradicardia,
ipertensione o ortostatismo. La sindrome di Guillan – Barrè non colpisce le funzioni cognitive o il livello di
coscienza.

PROCESSO INFERMIERISTICO

ACCERTAMENTO
La valutazione continua per la progressione della malattia è critica.
 Il paziente è monitorato per le complicazioni che pongono in pericolo la vita (Insufficienza
respiratoria acuta, aritmia cardiaca, trombosi venosa profonda)
 Data la minaccia immediata per il paziente, l’infermiere deve accertare le modalità di
autocontrollo del paziente e dei familiari e il loro uso di strategie appropriate di coping.

DIAGNOSI INFERMIERISTICHE
1. Modello di respirazione inefficace e scambi gassosi inadeguati correlato a crescente
debolezza e imminente insufficienza respiratoria che si manifesta con dispnea e fame d’aria

44
2. Compromissione della mobilità correlata a paralisi che si manifesta con postura supina
obbligata
3. Nutrizione inferiore al fabbisogno, correlata a incapacità di deglutizione che si manifesta con
disfagia per liquidi
4. Rischio di LDD correlata alla posizione obbligata nel letto che si manifesta con arrossamento
della zona dei calcagni e del sacro

OBIETTIVI ASSISTENZIALI
 Entro 5 minuti dalla rilevazione al paziente sarà valutata la SPO2 o EGA
 Ogni 2 ore il paziente verrà mobilizzato nel letto con l’aiuto dell’infermiere alternando il
decubito
 Al prossimo pasto al paziente sarà somministrata una dieta frullata con addensanti;
 Entro 36 ore dalla rilevazione la zona sacrale e dei calcagni del paziente non sarà più
eritematosa

INTERVENTI INFERMIERISTICI
 Mantenere la funzionalità respiratoria
 Ridurre gli effetti dell’immobilita
 Fornire una nutrizione adeguata
 Ridurre l’ansia del paziente e della famiglia
 Insegnare l’autocura

MORBO DI PARKINSON
Il morbo di Parkinson è una malattia neurologica cronica, lenta e progressiva dovuta alla degenerazione
della sostanza nera dei nuclei della base. Le manifestazioni cliniche sono: tremor a riposo, rigidità (segno
della Troclea dentata), bradicinesia (anormale lentezza dei movimenti), instabilità posturale, andatura
festinante, amimicità del volto, scialorrea, ipotensione ortostatica, ritenzione gastrica e urinaria, disturbi
della sessualità.

ACCERTAMENTO
Durante l’accertamento si osserva la persona per qualità del linguaggio, perdita di espressione facciale,
deficit alla deglutizione, tremori, movimenti rallentati, debolezza, postura in avanti, rigidità, evidente
lentezza mentale, confusione. I sintomi parkinsoniani, come gli effetti collaterali dei farmaci, rendono queste
persone ad alto rischio di cadute; per questo motivo deve essere incluso l’accertamento per il rischio di
cadute.

DIAGNOSI INFERMIERISTICHE
1. Compromissione della mobilità correlata a rigidità e debolezza muscolare che si manifesta
con stanchezza dopo 10 passi dall’inizio del movimento;
2. Deficit nella cura di sé correlato al tremore e ai disturbi motori che si manifesta con unghie
dei piedi e delle mani lunghe e sporche;
3. Stipsi correlata ai farmaci e alla riduzione delle attività che si manifesta con evacuazioni a
distanza di 7 giorni una dall’altra;
4. Nutrizione inferiore al fabbisogno correlata al tremore, alla lentezza, alla difficoltà nella
masticazione e nella deglutizione che si manifesta con assunzione del 50% del pasto;

45
INTERVENTI INFERMIERISTICI
 Migliorare la mobilità;
 migliorare le attività di cura di sé
 migliorare l’eliminazione intestinale
 migliorare la nutrizione
 insegnare l’autocura

GESTIONE E RILEVAZIONE DELLE PRESSIONI ENDOVASCOLARI INVASIVE (PA, PVC, PAP…)


Il monitoraggio della pressione arteriosa cruenta è un sistema invasivo per tracciare e misurare in maniera
diretta la pressione arteriosa. Il gold standard è rappresentato dalla cateterizzazione intra-arteriosa, che
permette - attraverso il collegamento di una cannula arteriosa con un set a circuito chiuso e un sistema di
trasduzione connesso a sua volta con un monitor - di visualizzare l'onda pressoria e il suo valore numerico.
Pressione arteriosa cruenta: La procedura per il monitoraggio invasivo
La pressione arteriosa (PA) può essere misurata sia con metodica non invasiva sia con metodica invasiva. Il
sistema non invasivo implica l’uso di un bracciale pneumatico, mentre il monitoraggio invasivo - o cruento -
prevede l’incannulamento di un’arteria tramite una cannula arteriosa collegata ad un set a circuito chiuso e
ad un sistema di trasduzione, che comunica a sua volta con un monitor. Sul monitor verrà visualizzata sia
l’onda pressoria sia il suo valore numerico.
Indicazione al monitoraggio cruento
La cateterizzazione intra-arteriosa rappresenta il gold standard per la misurazione diretta della pressione
arteriosa.
La registrazione diretta della pressione cruenta è raccomandata a tutti i pazienti di Terapia Intensiva per i
quali sia necessario un attento monitoraggio della PA.
Il monitoraggio invasivo della PA trova indicazione quando:
 il paziente presenta un’emodinamica instabile, stati ipotensivi severi o potenziale
instabilità improvvisa (ad esempio negli stati di shock o nei traumi maggiori)
 bisogna valutare l’effetto di un farmaco (esempio un antipertensivo o un vasoattivo)
al fine di indirizzare diagnosi e/o scelte terapeutiche
 si riscontra necessità di valutare i valori emogasanalitici di frequente, come ad
esempio nei pazienti con insufficienza respiratoria supportati da ventilazione meccanica
 non è possibile utilizzare la metodica non invasiva per lesioni diffuse di carattere
cutaneo o articolare.
Nei pazienti ricoverati in un reparto di Terapia Intensiva viene di norma utilizzato un accesso arterioso con
un sistema a risparmio di sangue. Tale metodica permette di:
 ottenere il monitoraggio della pressione arteriosa;
 ridurre il numero delle punture di arteria per l’emogasanalisi;
 ridurre il numero delle punture venose per esami di laboratorio
E, di conseguenza:
 ridurre il consumo di sangue utilizzato per il prelievo;
 ridurre il disagio del paziente;
 ridurre il rischio di lesioni arteriose indotte.
La cateterizzazione arteriosa

46
Le arterie più comunemente utilizzate per il monitoraggio della pressione cruenta sono l’arteria
radiale come prima scelta, ma anche l’arteria femorale nei pazienti che necessitano di un monitoraggio
emodinamico completo di tipo invasivo (mediante il sistema PICCO o EV1000, ad esempio) e la pedidia,
utilizzata soprattutto in area pediatrica. Utilizzate meno di frequente la omerale o la ascellare.
Le metodiche per l’incannulamento arterioso sono due:
 il metodo percutaneo (metodo di Seldinger), che prevede l’uso di una guida
– Seldinger, appunto - sulla quale viene fatto scivolare il catetere stesso per poi fissarlo con
punti di sutura o, meglio ancora, con sistemi di fissaggio suturless alla cute
 il metodo chirurgico, invece, è usato molto raramente e solo nei casi in cui non sia
possibile l’accesso percutaneo.
Visualizzazione continua della pressione cruenta
Dopo la cateterizzazione e la connessione al circuito con trasduttore, sul monitor verrà rilevata l’onda di
polso che sta ad indicare l’incannulamento arterioso.
L’onda pressoria è il risultato della contrazione meccanica del cuore conseguente all’attivazione elettrica,
correlata a fattori fisici (come volume ematico e compliance del sistema) e fattori fisiologici come gittata
cardiaca (Cardiac Output-CO) e resistenza al flusso (tono vascolare).
L’alterazione dell’onda pressoria riproduce un’alterazione del sistema cardio-vascolare. L’onda pulsatile
viene accompagnata da valori numerici, che corrispondono:
 alla pressione sistolica - Systolic Blood Pressure, SBP
 alla pressione diastolica - Dyastolic Blood Pressure, DBP
 alla pressione media - Mean arterial Pressure, MAP.
Quest’ultima deriva da un algoritmo in cui sono presenti più variabili, determinate in maniera automatica
dal sistema ed è il dato più attendibile riguardante la pressione di perfusione dei tessuti non cardiaci.
L’azzeramento
È importante, al fine di ottenere dati attendibili, identificare lo zero. L’azzeramento non è altro che
l’identificazione di un punto di riferimento tra la pressione atmosferica (valore fisso) e la pressione arteriosa
(valore variabile).
I punti di repere dello zero
I punti di repere per determinare lo zero sono stati identificati come asse flebostatico e livello flebostatico:
 come asse flebostatico è inteso il punto d'incrocio tra la linea immaginaria che parte
dal quarto spazio intercostale sulla marginosternale e si prolunga fino all'ascella e la linea
intermedia fra superficie anteriore e posteriore del torace;
 il livello flebostatico viene definito dalla linea immaginaria orizzontale che
attraversa l'asse flebostatico. Quest'ultimo cambia ovviamente con il mutare della posizione
del paziente.
Per ottenere misurazioni accurate, l’interfaccia aria-liquido del rubinetto del trasduttore o lo zero sulla scala
del manometro devono essere allo stesso livello dell’asse flebostatico.
Procedura per effettuare l’azzeramento
Per effettuare l’azzeramento è necessario:
 porre il trasduttore sull’asse flebostatico (l’ideale sarebbe fissarlo nella parte alta del
braccio, all’altezza del bicipite per intenderci)
 aprire il rubinetto del trasduttore mettendolo in collegamento con l’aria ambiente
 far refluire un po’ di fisiologica dal circuito a pressione
 premere il tasto “zero” sul monitor
 attendere il messaggio acustico di avvenuto azzeramento

47
 richiudere il rubinetto e visualizzare la curva pressoria e i valori ad essa connessi.

Il test dell’Onda quadra


Al fine di valutare il corretto funzionamento del sistema di monitoraggio arterioso e testare la validità
dell’onda, si può effettuare il test dell’Onda quadra.
Esso consiste semplicemente nell’eseguire un lavaggio rapido del circuito e osservare la morfologia
dell’onda: dovrà apparire smorzata (si osserverà quindi una caduta repentina verticale) e riportare la
presenza di una o due oscillazioni.
Le complicanze del monitoraggio della pressione arteriosa cruenta
Il monitoraggio della pressione arteriosa cruenta è una procedura invasiva che implica complicanze anche
severe. Complicanze legate sia al momento dell’inserzione che al mantenimento in sede del device.
Tra le principali complicanze ritroviamo:
 ematomi o emorragie da lesione della parete durante il posizionamento o da
dislocamento accidentale o, ancora, da scarsa compressione durante la manovra di
rimozione;
 sanguinamento iatrogeno data da un’apertura accidentale del sistema;
 emorragia retroperitoneale o perforazione intestinale nel caso di tentativo
di incannulamento dell’arteria femorale;
 danno nervoso diretto per trauma da incannulazione o per sindrome
compartimentale da ematoma;
 vasospasmo;
 trombosi o embolia
 dolore
 somministrazione involontaria intrarteriosa di farmaci.
Valutazioni continue della PA cruenta
Il monitoraggio della pressione cruenta implica da parte dell’infermiere un’attenta valutazione della
perfusione dell’arto incannulato. Questo può essere fatto monitorando la presenza dei polsi distali, il colore
della cute (esempio presenza di marezzatura o segni di necrosi), la temperatura dell’arto, il refill capillare.
È importante anche osservare e valutare il sito di inserzione del catetere e degli eventuali punti di sutura
(sono da preferire i sistemi di fissaggio suturless) per rilevare la presenza, ad esempio, di segni di
infiammazione o infezione.
Un’attenzione particolare va data anche al controllo del circuito: ricordarsi sempre che prima di essere
collegato il circuito va riempito (mediante soluzione fisiologica posta in una sacca a pressione) fino alla
fuoriuscita completa di tutte le bolle d’aria che potrebbero causare gravi danni.
Inoltre è fondamentale accertarsi che non ci siano nodi o inginocchiamenti, coaguli o altri ostacoli al corretto
funzionamento del sistema di lavaggio.
CATETERE DI SWAN GANZ
Il monitoraggio emodinamico consiste nella rilevazione seriata dei diversi parametri pressori, dati che,
opportunamente elaborati, consentono un’approfondita analisi della funzione cardiocircolatoria, finalizzata
ad un esatto programma diagnostico e terapeutico. Il catetere di SWAN GANZ è lo strumento più
utilizzato per tale monitoraggio.
Il catetere di Swan-Ganz, noto anche come catetere arterioso polmonare (PAC), è un dispositivo di
monitoraggio emodinamico invasivo utilizzato in anestesia e soprattutto in terapia intensiva.

48
Lo Swan Ganz viene inserito attraverso la vena succlavia o la vena giugulare interna e per facilitarne
l’introduzione viene usato un catetere introduttore di grosso calibro. Subito prima dell’inserzione, il lume
distale del catetere deve essere connesso al trasduttore di pressione e quindi al monitor, durante
l’avanzamento del catetere, le tracce di pressione devono essere continuamente monitorizzate. Quando
l’estremità del catetere entra all’interno del lume vascolare, la traccia di pressione mostra delle oscillazioni
trasmesse dall’apertura distale del catetere.
 Nel momento in cui compare la traccia delle prime oscillazioni, il palloncino deve essere
completamente gonfiato con 1,5 ml di aria
 Il catetere deve essere quindi fatto avanzare a palloncino gonfio
 Le tracce di pressione registrate durante l’avanzamento del catetere attraverso il lato destro
del cuore fino in arteria polmonare verranno mostrate sul monitor.
PRIMA FASE /inserimento del catetere:
 L’ingresso in vena cava superiore è identificato con la comparsa di oscillazioni sulla traccia
di pressione
 La pressione registrata all’interno della vena cava rimane immutata quando l’estremità del
catetere viene avanzata all’interno dell’atrio destro.
 Il normale valore di pressione all’interno della vena cava superiore è compreso tra 1 mmHg
e 6 mmHg
SECONDA FASE – Ventricolo destro:
 L’estremità del catetere viene fatta avanzare attraverso la valvola tricuspide
 Entra all’interno del ventricolo destro
 Compare una pressione pulsatile il cui valore sistolico è compreso tra 15 mmHg e 30
mmHg. Il valore diastolico è uguale alla pressione dell’atrio destro
TERZA FASE – Valvola Polmonare:
 Il catetere attraversa la valvola polmonare ed entra in arteria polmonare
 La pressione Diastolica aumenta improvvisamente
 La pressione Sistolica rimane invariata
 Il valore normale della pressione diastolica in arteria polmonare è compreso tra 6 mmHg e
12 mmHg
QUARTA FASE – Arteria Polmonare:
 Con l’avanzare del catetere lungo l’arteria l’onda improvvisamente scompare
 La pressione che resta è conosciuta come PRESSIONE CAPILLARE DI INCUNEAMENTO o
pressione di WEDGE (PCWP), il suo intervallo di normalità è abitualmente analogo a quello
della pressione diastolica in arteria polmonare. Il valore della PCWP è compreso tra 6 mmHg e
12 mmHg
FASE FINALE
 Compare la traccia della PCWP
 Sospendere immediatamente l’avanzamento del catetere
 Sgonfiare il palloncino
 Controllare che sul monitor sia apparsa la normale pressione arteriosa polmonare pulsatile.
Il catetere di Swan Ganz è un catetere a più lumi, costituito da materiale polivinilcloruro (PVC) p
poliuretano (PU), è lungo 110 cm ed è dotato di discreta morbidezza e flessibilità. Nella sua lunghezza sono
stampate le tacche di misura per riconoscere la sua posizione, sia in fase di introduzione che in fase di
permanenza in sito. Il numero di vie dello Swan Ganz è variabile da 2 a 5, lo standard spesso consta di 4
lumi. Ha un diametro esterno di 2.3 mm (7 french).

49
Caratteristiche dei lumi:
 Lume distale:
di colore giallo, percorre l’intera lunghezza del catetere per andare ad aprirsi alla sua estremità (apertura
distale). Connesso ad un trasduttore di pressione, permette il monitoraggio in ARTERIA POLMONARE
(PAP) la rilevazione della PRESSIONE CAPILLARE (WEDGE PRESSURE) e il prelievo di campioni di
sangue venoso misto per la determinazione della sua saturazione (SvO2)
 Il palloncino

L’estremità del catetere è provvista di un palloncino della capacità di 1.5 ml. Il palloncino completamente
gonfiato crea una protezione per l’estremità del catetere, prevenendo la possibilità di perforare le strutture
vascolari durante l’avanzamento del catetere stesso.

 Lume connesso al palloncino:


di colore rosso, la via è fornita di siringa da 2 ml dotata di valvola di chiusura che serve a riempire il
palloncino stesso. L’insufflazione di una quantità di aria pari a 0.8 – 1.5 ml permette l’occlusione di un ramo
dell’arteria polmonare e la determinazione della PRESSIONE D’INCUNEAMENTO CAPILLARE
POLMONARE (PAWP=WEDGE)
 Lume prossimale
Di colore blu, più corto, termina in un’apertura situata a 30 cm dall’estremità del catetere (apertura
prossimale) a livello dell’ATRIO DESTRO. Permette il monitoraggio della PRESSIONE ATRIALE DESTRA
(PVC) e l’introduzione della soluzione per la determinazione della PORTATA CARDIACA (PO) secondo il
metodo della termodiluizione;
 Lume per le connessioni elettroniche:
Di colore bianco, Il termistore situato a 4 cm dall’estremità, fa da trasduttore sensibile ai cambiamenti di
temperatura. Il termistore può misurare il flusso di un liquido freddo che venga iniettato attraverso il lume
prossimale del catetere, consentendo così di rilevare la gittata cardiaca
 Lume aggiuntivo
Per permettere l’infusione di farmaci e soluzioni, i lumi eventualmente aggiuntivi sono facilmente
distinguibili, sia perché la loro funzione è stampata in prossimità dei coni di raccordo, sia per la presenza di
un codice colore.
 Accessori addizionali

 Un canale addizionale che si apre a 14 cm dall’estremità del catetere che può essere
utilizzato come
o canale infusivo
o Passaggio temporaneo dei fili del pacemaker all’interno del ventricolo destro
 Un sistema di fibre ottiche che consente il monitoraggio continuo della saturazione
dell’emoglobina nel sangue venoso misto
 Un filamento termico che genera onde di calore a bassa energia, consentendo la misurazione
continua, con metodo della termodiluizione, della gittata cardiaca.
 La stimolazione bipolare
 Un lume per angiografia polmonare
 Un lume per il calcolo della frazione d’eiezione del cuore destro
 Cateteri per l’uso pediatrico

50
Le complicanze della procedura sono legate all’invasività del monitoraggio, sia per quanto riguarda il
posizionamento del catetere, che per la gestione dello stesso:
 Perforazione dell’arteria polmonare
 Infarto polmonare
 Aritmie cardiache
 Sepsi e infezioni
 Blocco completo e/o arresto cardiocircolatorio
 Danni anatomici (es a livello valvolare)
 Pneumotorace
 Trombosi
Più lungo è il tempo di permanenza del catetere in situ maggiore è il rischio di complicanze soprattutto:
 Infezioni (se il catetere rimane in sede per più di 72 ore)
o Aumentano esponenzialmente in base all’utilizzo del catetere
o Aumentano con l’infusione di farmaci
o Aumentano con prelievi di sangue
o Aumentano con lavaggi manuali.
 Complicanze tromboemboliche
Il tempo massimo di posizionamento è di 5 giorni
 Non è raccomandata la sostituzione routinaria della medicazione ma
o Quando è bagnata, sporca o si stacca.
o Quando è necessaria l’ispezione del sito in assenza di medicazione
trasparente

ESECUZIONE DELLE CURE IGIENICHE TOTALI IN PAZIENTE AD ALTA COMPLESSITA’


ASSISTENZIALE
L’igiene fornisce benessere e rilassamento, migliora l’immagine di sé, promuove la pulizia e la salute della
cute. L’igiene dell’assistito rientra nella sfera della sicurezza del paziente in quanto l’igiene personale lo
protegge contro le malattie.

La prima linea di difesa del corpo, ossia la cute e le membrane mucose, sono tenute in salute attraverso
l’igiene personale.

Gli infermieri sono responsabili del soddisfacimento dei bisogni igienici dell’assistito; la cura fornita dipende
dai bisogni, dalla capacità e dalle pratiche igieniche dell’assistito.

L’infermiere assume un ruolo importante nel soddisfare il bisogno di cure igieniche negli assistiti che non
sono in grado di portarlo a termine autonomamente, in particolare in pazienti ad alta complessità
assistenziale che si trovano in una condizione di allettamento a seguito dello stato di malattia, intervento
chirurgico, deficit neurologici, coma.

La corretta igiene del paziente totalmente dipendente è sinonimo di benessere psicofisico per la persona che
non riesce più ad essere autosufficiente e deve essere assicurata al mattino e ogni volta che si rende
necessario durante la giornata.

L’igiene del paziente viene considerata un’attività “di base” ma nelle terapie intensive può diventare
complessa, ed anche critica, a causa delle condizioni dei pazienti. Infatti, l’instabilità emodinamica e
respiratoria del paziente critico può rendere anche l’igiene un momento estremamente delicato.

51
Accertamento

 Valutare la capacità del paziente di collaborare alla pratica dell’igiene.


 Valutare il livello di comfort del paziente durante la procedura; ciò è utile per determinare se il
paziente è a disagio, teso, nervoso per il fatto di essere lavato da un’altra persona.
 Valutare il paziente: controllare se la cute presenta lesioni e provvedere alla stadiazione. Un paziente
ad alta complessità assistenziale, inoltre, potrebbe presentare medicazioni, flebo, tubi di drenaggio
inseriti, nutrizione enterale o parenterale, catetere venoso centrale e periferico, catetere arterioso,
presidi per l’erogazione dell’ossigenoterapia, elettrodi per il monitoraggio elettrocardiografico,
bracciale per il rilevamento della pressione arteriosa non cruenta, sensore per il rilevamento della
saturazione di ossigeno tubo endotracheale, sondino nasogastrico; quindi è necessario porre
particolare attenzione nella sua mobilizzazione durante l’igiene.

La procedura può essere delegata al personale di supporto se il paziente non è in condizioni critiche e non è
portatore di drenaggi o trazioni e non ha prescrizione ad essere immobilizzato.

Procedura per cure igieniche totali

Predisporre il materiale: paravento, carrello, guanti monouso, catini con acqua tiepida, manopole saponate,
detergente neutro, padella, biancheria pulita, contenitore per rifiuti, teli assorbenti.

Prima di iniziare, eseguire l’igiene delle mani con sapone antisettico o frizione idroalcolica e posizionare il
paziente ad un’altezza confortevole.

Preparare la persona e l’ambiente:

 Informare la persona sulla procedura, se è cosciente e orientata, e coinvolgerla nell’attività di


igiene;
 Mantenere la persona costantemente coperta per ridurre l’imbarazzo e per non esporla a correnti
d’aria;
 Provvedere alla riservatezza con ausili a disposizione (paravento o tenda)
 Valutare l’autonomia, la tolleranza allo sforzo, le capacità cognitive e le capacità residue della
persona;

Esecuzione dell’attività:

 Scoprire il paziente fino alla vita


 Insaponare, sciacquare, asciugare il viso;
 Insaponare, sciacquare, asciugare il collo (fare attenzione alle pieghe);
 Porre attenzione alla regione sottomammaria e sotto ascellare del torace;
 Girare il paziente di fianco e detergere la zona dorsale e lombo-sacrale, asciugare bene;
 Ricoprire il paziente facendogli indossare la maglietta (per evitare di raffreddarsi)
 Scoprire l’addome e procedere al lavaggio: lavare l’addome anteriormente, poi far girare il paziente
per lavarlo posteriormente
 Fare attenzione all’ombelico dove vi è produzione di sebo; il sebo è un buon terreno di coltura per
microrganismi patogeni;
 Asciugare bene tamponando per non irritare la cute;

52
 Ricoprire il paziente con il lenzuolo e scoprire una gamba alla volta procedendo dalla coscia alla
gamba, fino al piede
 Porre particolare attenzione alla pulizia dei piedi soprattutto negli spazi interdigitali;
 La pulizia dei genitali si esegue dalla zona pubica verso la zona anale: bisogna
porre più attenzione ai genitali della donna che a quelli dell’uomo, perché quelli della donna sono
formati da una plica cutanea più complessa.

 Dopo aver bagnato la zona (o aver fatto scorrere l’acqua, servendoci di una padella), con la mano
non dominante bisogna allargare le grandi labbra in modo tale che l’acqua scorra anche sulle
piccole labbra e sul meato urinario e sulla vagina;
 Con la manopola insaponare tutta la zona: il movimento deve essere dal pube all’ano.
 Asciugare bene tamponando per non irritare la cute;
 Per l’igiene dei genitali dell’uomo, invece, bisogna prestare particolare attenzione al prepuzio che
forma una plica cutanea in cui si può accumulare lo smegma, liquido secreto dal glande, terreno di
coltura per molti microrganismi patogeni. Quindi la mano non dominante deve abbassare
completamente il prepuzio e poi si può procedere al lavaggio. A differenza dei genitali femminili, il
glande è molto sensibile a causa delle tante terminazioni nervose di cui è formato: per questo
motivo lo si deve maneggiare con tanta delicatezza. Anche in questo caso bisogna asciugarlo
tamponando.
 Far ruotare il paziente su un fianco e procedere alla pulizia del dorso, dei glutei e dell’ano.
Asciugare bene il solco intergluteo per evitare la macerazione della cute.
 Infine, far immergere le mani dell’assistito in una bacinella con dell’acqua tiepida, lavandole
normalmente. Attenzione a lavare e asciugare bene gli spazi interdigitali.

Igiene del cavo orale

L’igiene del cavo orale è un aspetto importante dell’assistenza infermieristica per le persone ricoverate in
ospedale, particolarmente nei pazienti ricoverati in terapia intensiva e quindi spesso intubati e in quelli non
autonomi. Infatti, la somministrazione di ossigeno, l’aspirazione endotracheale, la nutrizione enterale o
parenterale, comportano un’alterazione dei meccanismi fisiologici (idratazione, masticazione, salivazione,
movimenti della lingua) necessari a mantenere il cavo orale integro. La mucosa del cavo orale si deteriora
velocemente, infatti, dopo circa quattro ore di somministrazione dell’ossigeno le labbra iniziano a formarsi
delle lesioni negli angoli della bocca, si formano delle vescicole biancastre sulla lingua e si riduce la
produzione di saliva. L’igiene del cavo orale è una procedura fondamentale per mantenerlo in buono stato
per la prevenzione delle infezioni, in quanto in un paziente intubato ventilato artificialmente la
colonizzazione dell’oro faringe diventa una condizione favorente per lo sviluppo di polmonite associata alla
ventilazione meccanica.

Materiale occorrente:

 Guanti monouso
 Bacinella reniforme
 Spazzolino da denti a setole morbide
 Catino con acqua tiepida
 Garze o batuffoli di cotone
 Asciugamano
 Traversa assorbente
53
 Dentifricio
 Catetere per aspirazione con apparato di suzione
 Siringa

Preparazione del paziente e dell’ambiente:

 Prima di effettuare la procedura, se il paziente è cosciente, presentarsi e verificarne l’identità


secondo il protocollo della struttura. Spiegare al paziente e ai familiari che cosa si sta facendo, perché
e come possono collaborare.
 Lavare le mani e osservare le procedure per il controllo delle infezioni (es., indossare guanti
monouso).
 Provvedere alla riservatezza del paziente tirando le tende intorno al letto, posizionando i paraventi o
chiudendo la porta della stanza.
 Posizionare il paziente incosciente in una posizione laterale, con la testa del letto abbassata. In questa
posizione, infatti, la saliva fuoriesce automaticamente per gravità, piuttosto che essere aspirata nei
polmoni, ed è possibile effettuare la suzione, se necessario.
Questa posizione è quella da scegliere nell’erogazione delle cure orali al paziente incosciente. Se la
testa del paziente non si può abbassare, girarla di lato in modo che la saliva scorra verso il lato della
bocca, dove può essere aspirata.

Esecuzione dell’attività:

 Mettere l’asciugamano sotto il mento del paziente.


 Mettere la bacinella reniforme contro il mento del paziente e abbassare la guancia per raccogliere i
liquidi dalla bocca.
 Indossare i guanti.
 Se il paziente ha denti naturali, spazzolare i denti dolcemente e attentamente per evitare di lacerare
le gengive.
 Sciacquare la bocca del paziente mettendo circa 10 ml di acqua o colluttorio privo di alcool nella
siringa e iniettandoli dolcemente in ogni lato della bocca.
 Controllare attentamente che tutta la soluzione di risciacquo sia fuoriuscita completamente dalla
bocca. In caso contrario, aspirare la soluzione dalla bocca.
 Se le mucose appaiano asciutte o sporche, pulirle con garze o batuffoli di cotone e soluzioni di
pulizia
 Rimuovere la bacinella reniforme e asciugare la bocca del paziente con l’asciugamano. Sostituire le
dentiere artificiali, se è indicato.
 Togliere e gettare i guanti.
 Effettuare il lavaggio antisettico delle mani
 Documentare tutte le informazioni utili sulla valutazione di denti, lingua, gengive e mucosa orale.
Includere ogni problema infermieristico riscontrato, come dolore, infiammazione o tumefazione
delle gengive.

54
GESTIONE, MEDICAZIONE E ASPIRAZIONE DELLE VIEE AEREE DALLA CANNULA
TRACHEOSTOMICA O DAL TUBO ENDOTRACHEALE
CURA DELLA TRACHEOSTOMIA
La tracheostomia indica la creazione per via chirurgica di un’apertura a livello del 2° - 3° anello cartilagineo
della trachea all’interno della quale viene inserita una cannula che crea una comunicazione diretta tra aria
ambiente e vie aeree inferiori, riduce lo spazio morto anatomico e migliora la ventilazione polmonare.
Gli obiettivi infermieristici relativi a questa procedura sono: la corretta gestione della tracheostomia;
garantire un efficace supporto psicologico al paziente, che dopo l’intervento chirurgico avrà serie difficoltà
nella comunicazione ed infine un’adeguata educazione del paziente stesso o dei suoi caregivers alla gestione
quotidiana del tracheostoma.
La tracheostomia è indicata principalmente in caso di: insufficienza respiratoria, blocco delle vie aeree
superiori o in caso di accumulo di fluido all’interno delle vie aeree inferiori dei polmoni.
Esecuzione della cura della tracheostomia:
 Preparazione ambientale:
garantire un ambiente tranquillo, confortevole e con una temperatura adeguata. Assicurarsi la presenza di
erogatore dell’ossigeno ed aspiratore.
 Preparazione del materiale:
kit di pulizia per la tracheostomia sterile monouso o contenitori sterili, spazzola di nylon sterile e/o scovolini,
applicatori sterili; panno per proteggere la biancheria del letto; kit con catetere di aspirazione sterile,
soluzione fisiologica sterile, 2 paia di guanti sterili, guanti monouso, busta per rifiuti impermeabile,
medicazione sterile preconfezionata per tracheostomia oppure garze 10x10 sterili, nastri orlati e forbici
pulite.
 Preparazione del paziente:
Prima di effettuare la procedura presentarsi e verificare l’identità del paziente, spiegargli cosa si sta facendo,
perché e come può collaborare. Inoltre, sarà utile ed opportuno individuare un metodo di comunicazione
come fare l’occhiolino o alzare un dito per esprimere dolore o fastidio.
Provvedere alla riservatezza del paziente.
Far assumere al paziente la posizione semiseduta o seduta per favorire l’espansione polmonare.
 Preparazione dell’operatore:
Lavare le mani e mettere in atto tutte le procedure per il controllo delle infezioni.
 Esecuzione:
a. Sottoporre ad aspirazione la cannula tracheostomica, se necessario. Se è necessaria
l’aspirazione, consentire al paziente di riposarsi e di ripristinare l’ossigenazione.
b. Aprire il materiale per la cura della tracheostomia e le bacinelle sterili. Preparare il campo
sterile, aprire gli altri strumenti sterili necessari, inclusi gli applicatori, il materiale per l’aspirazione e
la medicazione della tracheostomia.
c. Versare la soluzione di immersione e la soluzione fisiologica sterile in bacinelle separate.
d. Indossare i guanti monouso
e. Rimuovere l’erogatore dell’ossigeno
f. Sbloccare la cannula interna, se presente, rimuoverla delicatamente verso l’esterno, in linea
con la sua curvatura. Posizionare la cannula nella soluzione di immersione.
g. Sostituire la medicazione tracheostomica sporca, afferrandola e sfilando il guanto da dentro
a fuori in modo da coprirla.
h. Togliere e gettare i guanti e la medicazione. Lavare le mani.
i. Indossare i guanti sterili e mantenere sterile la mano dominante durante la procedura.

55
j. Rimuovere la cannula interna dalla soluzione di immersione, pulire il lume e l’intera cannula
interna a fondo, utilizzando la spazzola di nylon oppure lo scovolino bagnato con la soluzione
fisiologica. Ispezionare la cannula per garantirne l’estrema pulizia. Sciacquare attentamente la
cannula interna con soluzione fisiologica, successivamente battere delicatamente la cannula contro il
bordo interno del contenitore con la soluzione fisiologica. Asciugare l’interno della cannula con uno
scovolino piegato a metà.
k. Riposizionare e fissare la cannula interna in posizione: inserire la cannula interna
afferrandola per la flangia e seguendo il decorso della curvatura, attivare il sistema di bloccaggio del
sistema di dispositivo interno con quello esterno.
l. Pulire il sito dell’incisione utilizzando garze sterili inumidite con soluzione fisiologica,
impiegando ogni applicatore sterile per una sola volta e poi gettarlo. Può essere utilizzata l’acqua
ossigenata con soluzione fisiologica, usando un contenitore sterile separato, per rimuovere le
secrezioni incrostate intorno al sito della tracheostomia. Non utilizzare l’acqua ossigenata
direttamente sul sito tracheostomico.
m. Pulire la flangia della cannula con la stessa procedura, asciugare la flangia con garze
asciutte.
n. Applicare una medicazione sterile: usare una medicazione per tracheostomia
preconfezionata oppure aprire e ripiegare una garza 10x10 cm in una forma a V, posizionare la
medicazione sotto la flangia della tracheostomia, stabilizzando la cannula tracheostomica mentre si
applica la medicazione.
o. Cambiare i nastri:
 Metodo a due strisce: tagliare due strisce di benda orlata non di uguale lunghezza, 25 cm e
50 cm, creare una fessura della lunghezza di 1 cm a circa 2,5 cm dall’estremità di ogni nastro.
Infilare il capo della fessura attraverso l’occhiello della flangia, lasciando il vecchio nastro in
posizione. Infilare poi, la parte lunga del nastro nella fessura tirando fino a che risulta essere
fissata ed aderente alla flangia. Ripetere la procedura per il secondo nastro. Se si dovessero
riscontrare difficoltà, sarebbe bene chiedere aiuto ad un altro operatore. Chiedere al paziente di
flettere il collo e far scivolare il nastro più lungo sotto il collo del paziente, posizionare un dito tra
nastro e collo e legare i nastri insieme sul lato del collo. Legare la parte finale dei nastri con dei
nodi piani e tagliare la parte in eccesso lasciandone 1-2 cm. A questo punto togliere i nastri
vecchi e gettarli.
 Metodo a una striscia: tagliare un nastro per la lunghezza di 2,5 volte superiore a quella
necessaria e falla girare intorno al collo del paziente da una flangia all’altra. Infilare un’estremità
del nastro nella fessura su un lato della flangia, portare a contatto gli estremi del nastro e farli
girare intorno al collo del paziente attraverso la fessura da dietro in avanti. Far flettere il collo al
paziente e legare gli estremi liberi con un nodo piano sul lato del collo, ponendo un dito sotto i
nastri. Tagliare la parte lunga in eccesso.
p. Applicare una garza 10x10 cm piegata sotto il nodo e coprirla con un cerotto.
q. Controllare frequentemente la chiusura dei capi e la posizione della cannula tracheostomica.
r. Togliere e gettare i guanti. Lavare le mani.
 Riordino:
Riordinare l’ambiente, smaltire il materiale correttamente il materiale usato, rifornire il materiale.
 Registrare:

56
Documentare sulla cartella infermieristica del paziente tutte le informazioni utili, registrare le aspirazioni
effettuate, la cura della tracheostomia, il cambio della medicazione e tutte le procedure utilizzate durante
l’assistenza.

Nel caso il paziente sia un neonato o un bambino, un altro operatore deve sempre essere presente durante la
procedura appena esplicata. Inoltre, è bene sempre tenere una cannula tracheostomica in confezione sterile
accanto al letto del bambino, nel caso in cui la cannula venga dislocata dal sito d’inserzione. Nel caso, invece,
si tratti di un anziano, è necessario tener conto che la cute è più fragile e predisposta a lesioni, per cui
un’accurata gestione della tracheostomia è fondamentale.
Nella cura della tracheotomia, sarà fondamentale da parte dell’infermiere instaurare strategie e modalità
comunicative, in quanto il paziente sarà limitato nell’espressione verbale. Il più delle volte la tracheostomia è
utilizzata come soluzione permanente, per cui importante è il ruolo dell’infermiere nell’accompagnare il
paziente ad accettare la sua nuova condizione.
La cura della tracheostomia una procedura che prevede conoscenze scientifiche e l’esecuzione di tecniche
sterili di competenza infermieristica, non può essere delegata al personale di supporto.
L’infermiere è responsabile anche dell’educazione del paziente e/o del caregiver alla cura della
tracheostomia. L’infermiere dovrà sottolineare l’importanza del lavaggio delle mani, insegnare
ai caregiver la procedura per la cura della tracheostomia, osservare una dimostrazione di ritorno e rivalutare
periodicamente le conoscenze dell’operatore e la sua capacità di eseguire la tecnica di cura della
tracheostomia. Inoltre, insegnerà al caregiver a riconoscere segni e sintomi che possono indicare un’infezione
del sito peristomeale o delle vie aeree inferiori; a domicilio la cannula tracheostomica potrà essere sciacquata
direttamente con acqua di rubinetto. È bene anche indicare nomi e numeri telefonici del personale di
assistenza da contattare in caso di emergenza o per consigli. Nel caso si tratti di tracheostomia permanente si
forniranno informazioni su gruppi di supporto disponibili.
ASPIRAZIONE DELLE SECREZIONI DA CANNULA TRACHEOSTOMICA
A causa dell’intubazione endotracheale o tracheostomica, la trachea e i tessuti respiratori circostanti si
infiammano e reagiscono producendo secrezioni in eccesso. L’aspirazione sterile è necessaria per rimuovere
queste secrezioni dalla trachea e dai bronchi, in modo da preservare la pervietà delle vie aeree.
L’aspirazione delle secrezioni da cannula tracheostomica è indicata quando il paziente non riesce a eliminare
le secrezioni con l’espettorazione e in particolare se: le secrezioni sono visibili nelle vie respiratorie,
all’auscultazione toracica si sentono gorgoglii e ronchi, c’è un incremento apparente del lavoro respiratorio,
c’è una variazione dei valori dell’emogasanalisi quali ipossiemia ed ipercapnia.
Tutto questo potrà essere risolto valutando attentamente il respiro del paziente ed ascoltando quelli che sono
i suoi bisogni, in fine informandolo adeguatamente sulla procedura e coinvolgendolo.
Descrizione della procedura:
 Preparazione ambientale:
assicurare un ambiente confortevole, tranquillo ed una temperatura adeguata. Assicurarsi della presenza di
erogatore dell’ossigeno ed aspiratore.
 Preparazione del materiale:
telo sterile, aspiratore portatile o a parete con tubi, sacche di raccolta e manometro di aspirazione, contenitori
sterili monouso per liquidi, acqua sterile, occhiali e mascherina (se necessario), sacco di raccolta per rifiuti,
guanti sterili, pallone per rianimazione (Ambu) collegato all’ossigeno 100%.
 Preparazione del paziente:
Determinare se il paziente è stato precedentemente sottoposto ad aspirazione.

57
Prima di effettuare la procedura, presentarsi e verificare l’identità del paziente e spiegargli cosa si sta
facendo, perché e come può collaborare. Informare il paziente che l’aspirazione di solito stimola il riflesso
della tosse e che ciò facilita la rimozione delle secrezioni.
Aiutare il paziente ad assumere una posizione di semi-fowler per facilitare la respirazione profonda, la
massima espansione polmonare e la tosse produttiva.
Provvedere alla privacy del paziente.
 Preparazione dell’operatore:
L’infermiere deve effettuare il lavaggio antisettico delle mani ed indossare gli occhiali, la mascherina e il
camice, se necessario.
 Esecuzione:
a. Aprire il materiale sterile (catetere di aspirazione, bacinella/contenitore sterile), versare
l’acqua sterile nella bacinella sterile. Mettere il telo sterile sopra il torace del paziente e sotto la
tracheostomia. Accendere l’aspirazione e regolare la pressione; per un’unità a parete, la pressione è
regolata normalmente tra 80 e 120 mmHg per gli adulti e tra 60 e 100 mmHg per i bambini.
b. Indossare i guanti sterili. Alcune strutture raccomandano l’uso del guanto sterile sulla mano
dominante ed uno non sterile su quella non dominante, mantenendo il catetere con la mano
dominante e il connettore con l’altra, collegare il catetere al tubo di aspirazione.
c. Sciacquare e lubrificare il catetere: mettere la punta del catetere nell’acqua sterile, usando la
mano dominante; usando il pollice della mano non dominante, chiudere il foro di controllo
dell’aspirazione e aspirare una piccola quantità di acqua sterile attraverso il catetere.
d. Se il paziente non presenta grosse quantità di secrezioni, occorre iperventilare i polmoni con
un pallone di rianimazione prima di aspirare: chiedere aiuto ad un altro infermiere, se disponibile.
Aprire l’ossigeno a 12-15 L/min usando la mano non dominante, se il paziente riceve
ossigeno, successivamente si potrà scollegare il tubo di erogazione con la mano non dominante.
Collegare il sistema di rianimazione al tubo tracheostomico o endotracheale. Comprimere il pallone
Ambu da 3 a 5 volte mentre il paziente inspira, meglio se possa occuparsene un altro infermiere.
Osservare i movimenti del torace del paziente per valutare l’adeguatezza di ogni ventilazione,
rimuovere l’apparecchiatura di rianimazione e posizionarla sul letto o sul torace del paziente con il
connettore rivolto verso l’alto.
Se, invece, il paziente è collegato a un ventilatore, usarlo per iperventilare e iperossigenare. I modelli più
recenti hanno una funzione che fornisce ossigeno al 100% per due minuti, per poi ritornare alla modalità
programmata in precedenza.
e. Se il paziente presenta grosse quantità di secrezione, non iperventilare con Ambu, ma si
mantiene collegato l’erogatore di ossigeno e si incrementano i litri di flusso o regolare la PO2 al 100%
per diversi respiri prima dell’aspirazione.
f. Inserire velocemente ma delicatamente il catetere nella trachea attraverso il
tubo tracheostomico, spostando il pollice della mano dal foro di aspirazione. Inserire il catetere per
circa 12.5 cm negli adulti, meno nei bambini, oppure finchè il paziente inizia a tossire. Se si avverte
resistenza ritirare il catetere per circa 1-2 cm prima di aspirare.
g. Praticare l’aspirazione per 5-10 secondi ostruendo il foro del catetere con il pollice della
mano non dominante. Ruotare il catetere tra il pollice e l’indice mentre lo si estrae lentamente.
Ritirare il catetere completamente e sciacquare il circuito, iperventilare il paziente ed aspirare
nuovamente se necessario.
h. Osservare la respirazione del paziente e il colorito della cute, se necessario, controllare il
polso del paziente usando la mano non dominante o se il paziente è monitorizzato, valutare la

58
frequenza e il ritmo cardiaco. Incoraggiare il paziente a respirare profondamente e a tossire
nell’intervallo tra un’aspirazione e l’altra. Aspettare 2-3 minuti tra un’aspirazione e l’altra. Sciacquare
il catetere e ripetere l’aspirazione finchè la via aerea è pulita e la respirazione è tranquilla e senza
sforzo.
i. Assicurarsi che le impostazioni sul ventilatore e sull’erogatore di ossigeno siano tornate ai
valori precedenti all’aspirazione.
j. Provvedere al comfort e alla sicurezza del paziente: far assumere al paziente una posizione
comoda e sicura che favorisca la respirazione. Se il paziente è cosciente la posizione raccomandata è
una semi-fowler alta, se invece il paziente è incosciente, la posizione di Sims facilita il drenaggio
delle secrezioni dalla bocca.
 Riordino:
Riordinare il materiale e assicurarsi della disponibilità dello stesso per l’aspirazione successiva: sciacquare il
catetere e il tubo di aspirazione, spegnere l’aspiratore e scollegare il catetere dal tubo di aspirazione.
Avvolgere il catetere intorno alla mano che indossa il guanto sterile e sfilare il guanto in modo da rivoltarlo
sul catetere, rimuovere l’altro guanto. Eliminare i guanti e il catetere negli appositi contenitori.
Lavare le mani.
 Registrazione:
Documentare tutte le informazioni utili sulla cartella infermieristica del paziente. Trascrivere le procedure
eseguite per l’aspirazione, inclusa la registrazione delle quantità e delle caratteristiche delle secrezioni, il
grado di tolleranza del paziente alla procedura e tutte le altre valutazioni rilevanti.
L’aspirazione di un tubo tracheale o endotracheale rappresenta una tecnica sterile e invasiva che richiede
conoscenze scientifiche, per cui non può essere delegata dall’infermiere al personale di supporto o ai
familiari.
Sarà compito dell’infermiere, inoltre, educare il paziente per migliorare la sua qualità di vita. Dovrà
incoraggiare il paziente a liberare le vie aeree con la tosse, quando possibile; spiegare al paziente come
aspirare le secrezioni se non può tossire efficacemente; istruire i familiari a valutare il bisogno di aspirazione
e a eseguire correttamente la procedura per evitare potenziali complicazioni e ricordare l’importanza di
un’adeguata idratazione, che aiuta la fluidificazione delle secrezioni, facilitandone la rimozione.

ASSISTENZA AL PAZIENTE SOTTOPOSTO A PROCEDURE O ACERTAMENTI DIAGNOSTICI


L’infermiere deve sapere come preparare il paziente e/o la famiglia, come assisterlo prima, durante e dopo la
procedura, come e cosa deve essere documentato. Prendere visione delle linee guida relative alla procedura
Verificare la presenza del consenso informato

Accertamento:

 Verificare che il paziente conosca la procedura e sia in grado di comprendere in cosa consiste (porre
attenzione ad eventuali deficit cognitivi)
 Verificare se il paziente è già stato sottoposto all’esame/intervento in questione, e in caso se vi siano
state complicanze
 Verificare che il paziente sia in grado di assumere la posizione necessaria all’esecuzione
dell’intervento/esame
 Verificare la presenza di eventuali allergie a farmaci o anestetici
 Se necessario verificare che il paziente sia digiuno
 Chiedere al paziente de assume farmaci regolarmente o è in corso di terapia

59
 Valutazione dei parametri vitali prima dell’esame
 Verificare quale sia la diagnosi medica
 Valutare la presenza di patologie concomitanti che possono creare problemi al momento dell’esame
(diabete, problemi coagulazione… altro)

Pianificazione:

L’infermiere deve conoscere ogni fase della procedura. Questo gli permette di pianificare le azioni più
idonee da mettere in atto insieme e per il paziente, al fine della corretta esecuzione della procedura stessa e
del mantenimento della sicurezza dell’assistito.

Attuazione:

 Preparazione della sala e del materiale


 Preparazione del paziente
 Posizionamento del paziente
 Assistenza durante la procedura
 Prestare attenzione a segni o sintomi che potrebbero indicare l’insorgenza di complicanze
 Monitoraggio parametri vitali, confronto con dati precedenti
 Riferire al medico eventuali problemi

Tutte le attività assistenziali devono essere documentate nella cartella infermieristica.

- Comunicazione efficace tra i vari operatori


- continuità assistenziale migliora il percorso terapeutico del paziente

Toracentesi

Accertamento:

- Rx torace
- Consenso informato e conoscenza della procedura
- Verifica eventuali allergie (anestetico locale)
- Valutazione funzione respiratoria: simmetria del torace durante l’inspirazione e l’espirazione,
dispnea, tosse ed escreato

Pianificazione- Risultati attesi dopo la procedura

- Il paziente tollera bene la procedura


- Le condizioni respiratorie migliorano
- Il paziente può mobilizzarsi senza disagio
- Respiro non faticoso, migliora l’espansione polmonare e quindi lo scambio gassoso

Attuazione:

- informare il paziente delle modalità e finalità della toracentesi

Prima della procedura informare il paziente di rimanere immobile, della sensazione di pressione che
avvertirà durante e del disagio anche se minimo che potrebbe avvertire al termine

Durante la procedura sostenere il paziente nella posizione necessaria e rassicurarlo

- Invitare il paziente a trattenersi dal tossire

60
Dopo la procedura Avvisare il paziente che deve rimanere a letto e che verrà effettuata una radiografia del
torace

- Registrare la quantità di liquido drenato e documentarne la qualità (inviare lab se richiesto)

Monitoraggio parametri vitali

- Tachipnea
- asimmetria dell’escursione toracica durante la respirazione,
- debolezza
- vertigini, dispnea,
- tosse incontrollabile, espettorato con sangue e schiumoso, tachicardia
- segni di ipossiemia

Complicanze

 Pneumotorace e PNX iperteso: a causa della rottura del parenchima polmonare o di una parte del
torace, si nota l’aumento della pressione contenuta nello spazio pleurico, causato dalla sola entrata
dell’aria che non trovando un'uscita comporta il collasso del polmone colpito, prima si osserva uno
schiacciamento degli altri organi poi si arriva all’arresto respiratorio.
 Enfisema sottocutaneo: presenza di aria nel sottocute (crepitio)
 Infezione da pirogeni
 Distress cardiaco ed edema polmonare: in caso si drena una grande quantità di liquido per
spostamento

Paracentesi

ACCERTAMENTO

 verificare che il paziente abbia compreso modalità e scopi della procedura e che abbia firmato il
consenso informato
 Verificare se sia presente coagulopatia
 Verificare la presenza di occlusione intestinale
 Chiedere al paziente se abbia subito precedenti interventi chirurgici sull’addome
 Verificare la presenza di Ipertensione portale con circolo collaterale
 Chiedere al paziente di svuotare la vescica
 Verificare la presenza di eventuali allergie a farmaci (anestetico locale)
 Valutare il peso del paziente e la sua circonferenza addominale
 valutazione respiratoria con escursione del diaframma e il movimento della parete toracica

PIANIFICAZIONE (risultati attesi dopo la procedura)

 Il paziente si mobilizza senza difficoltà


 Il liquido prelevato è limpido o lievemente tinto di sangue
 Si osserva una rid. della circonferenza addominale
 Il paziente si sente meglio
 Le condizioni respiratorie migliorano
 Tollera bene la proced.

ATTUAZIONE

61
PRIMA DELLA PROCEDURA

- Verificare che il paziente abbia un accesso venoso funzionante.


- Aiutare il paziente ad assumere la posizione supina se è necessario evacuare un’ampia quantità di
liquido, o in decubito laterale se la quantità è minima.
- Se il paziente è allettato è preferibile la posizione di Fowler (semiseduto) La quantità di liquido viene
stabilita attraverso la palpazione e la percussione dell’addome.

Durante la procedura

- Rassicurare il paziente sulla procedura per ridurre l’ansia


- Garantire il comfort al paziente e valutare le possibili complicanze per aiutare il paziente a
sopportare la procedura e consentire di valutare se sospendere
- Valutare ogni 15’ i PV per individuare le possibili complicanze come lo shock (pallore, sudorazione
profusa, tachicardia, ipotensione)

Dopo la procedura: controllo PV

- Controllo diuresi 24h (L’ematuria può essere traumatica)


- Misurare peso e circonferenza addominale (Stabilisce le modifiche avvenute)
- Esaminare caratteristiche del liquido (limpido o lievemente tinto)
- Osservare il paziente se manifesta disagio (Eventuale Dolore o disagio può indicare puntura degli
organi sottostanti)

Al termine della paracentesi il punto di incisione va coperto con una medicazione sterile occlusiva per
evitare la fuoriuscita di liquido. Non ci sono indicazioni specifiche sul posizionamento del paziente dopo la
paracentesi; può essere utile però sollevare leggermente la testata del letto per facilitare la respirazione.

Complicanze:

 Ipotensione e shock ipovolemico (La paracentesi evacuativa può determinare un richiamo del
liquido "ex vacuo" dal torrente circolatorio al cavo peritoneale, a ciò ne consegue un’ipovolemia e
un’ipotensione (danno renale))
 sanguinamento Legato alla manovra(ematoma)
 Perforazione di un viscere o della vescica (minimizzabile se sicuri che il paziente abbia la vescica
vuota guida ecografica in caso di dubbio sulla localizzazione del versamento ascitico)
 Infezione (peritonite)

Rachicentesi:

Accertamento

- verificare che il paziente abbia compreso modalità e scopi della procedura e che abbia firmato il
consenso informato
- verificare che il paziente sappia assumere e mantenere la posizione richiesta per la procedura
- valutare la presenza di patologie che rappresentano controindicazioni (ipertensione endocranica,
patologie deg delle articolazioni)
- Accertare le condizioni neurologiche del paziente
- Rilevazione dei parametri vitali
- Verificare la presenza di eventuali allergie a farmaci (anestetico locale)

62
PIANIFICAZIONE (risultati attesi dopo la proc)

- Nella zona della puntura sia presente una minima quantità di drenaggio limpido o rosso
- Il paziente non accusa cefalea o abbia complicanze in seguito all’esame

PRIMA DELLA PROCEDURA

- Far svuotare vescica e intestino al paziente (Evita disagi durante la Procedura)


- Sistemare il paziente nella posizione adatta (Il pz deve stare fermo per evitare che si verifichino
movimenti dell’ago spinale)
- Avvertirlo che non deve tossire ma deve respirare profondamente (La tosse o le modificazioni del
respiro alterano la press del liquor)
- Spiegare le fasi che possono causare disagio (Il paziente preparato al disagio ha meno sorprese)

DURANTE LA PROCEDURA

- L’inf indossa i guanti e aiuta il medico a riempire le provette già etichettate (limita il rischio di
trasmissione infezioni)
- Aiuta il paziente a mantenere la posizione richiesta (laterale o seduta)
- Controllare livello di coscienza del pz (Se intervengono segni di intorpidimento o dolore irradiato
lungo le gambe, le alterazioni del diametro pupillare, dei segni vitali sono indice di ipertensione
endocranica)
- Condizioni respiratorie (Possono derivare da irritazione dei nervi spinali)

DOPO LA PROCEDURA

- Controllare livello di coscienza del paziente


- Condizioni respiratorie
- Se intervengono segni di intorpidimento o dolore irradiato lungo le gambe.
- Verificare che il paziente abbia assunto la posizione supina in cui deve rimanere di solito per 8-12
0re sollevando meno possibile la testa
- Registrare la procedura eseguita
- Le caratteristiche del liquor
- Quantità di drenaggio sulla medicazione
- Registrare i parametri e le modifiche dei segni vitali

Pericardiocentesi

Accertamento

- Verificare che il paziente abbia compreso modalità e scopi della procedura e che abbia firmato il
consenso informato
- Ottenere un’anamnesi accurata per informazioni utili all’esame
o Verificare la presenza di eventuali allergie a farmaci
o Verificare patologie che potrebbero rappresentare controindicazione alla procedura

PRIMA DELLA PROCEDURA

- Informa il paziente sulla preparazione della procedura;


- Monitorizza il paziente (E.C.G., parametri vitali, SO2);
- Controlla la pervietà di accessi venosi periferici e/o centrali

63
- Procede alla rimozione d’indumenti ed esegue la tricotomia della zona interessata;
- Prepara il carrello con il materiale

DURANTE LA PROCEDURA
- Prepara l’ambiente per l’esecuzione della procedura allontanando dall’unità paziente tutto
quello che potrebbe essere d’intralcio in eventuali manovre di emergenza (comodini,sedie, etc);
- Avvicina il carrello dell’Emergenza/Urgenza
- Fornisce un adeguata fonte luminosa;
- Fa assumere al paziente una posizione semiseduta con il letto sollevato di circa 60°;
- Controlla la corretta monitorizzazione dei parametri vitali del paziente (pressione
venosa,frequenza cardiaca e saturazione)

AL TERMINE DELLA PROCEDURA


- Mantiene il paziente in posizione semiseduta (letto sollevato 60°);
- Procede al riordino del materiale ed al corretto smaltimento dei rifiuti;
- Verifica l’esecuzione del torace di controllo;
- Segnala l’insorgenza di eventuali complicanze;
- Compila la richiesta ed invia i campioni del liquido pericardico al laboratorio centrale (esame
citologico,batteriologico,chimico,fisico);
- Compila la scheda infermieristica

Complicanze
 Reazione vaso-vagale: Ipotensione, bradicardia e nausea. E’ controllabile somministrando
liquidi ed atropina ed eventualmente sollevando le gambe rispetto al tronco;
 Emopericardio: Accumulo di sangue nel cavo pericardico come conseguenza della puntura di
un vaso o di una camera cardiaca. Si tratta posizionando un drenaggio pericardico percutaneo.
Può richiedere l’esplorazione chirurgica nei casi più gravi;
 Pneumotorace: Più raro per puntura accidentale del polmone;
 Perforazione ventricolare;
 Lesione coronarica;
 Puntura dell’aorta

Broncoscopia

Accertamento:

- Verificare che il paziente abbia compreso modalità e scopi della procedura e che abbia firmato il
consenso informato
- Ottenere un’anamnesi accurata per informazioni utili all’esame, in particolare:
o assunzione di farmaci anticoagulanti e antiaggreganti,
o Presenza di coagulopatie (se fbs ambulatoriale, informare il medico)
o presenza di deviazioni del setto nasale e/o fratture;
o accertata allergia agli anestetici locali;
o presenza di asma, cardiopatia e diabete, gravidanza;

64
o in presenza di intervento effettuato in Ch. Toracica, identificare il tipo di strumento da
utilizzare (in pazienti operati di pneumonectomia)
- Motivare il paziente a togliere eventuali protesi dentarie o ponti mobili, rimuovere gli occhiali,
togliere lo smalto dalle unghie che impedisce l’osservazione del letto ungueale e difficoltosa la
lettura del saturimetro.
- Controllare che il paziente sia a digiuno da almeno quattro ore (ab-ingestis).

ASSISTENZA AL PAZIENTE DURANTE LA BRONCOSCOPIA

• Collaborare con il medico durante l’introduzione dello strumento.


• Assistere il paziente prima e dopo l’introduzione del broncoscopio, tranquillizzandolo.
• Far eseguire respiri leggeri e frequenti, sino alla risoluzione della sensazione d’apnea o tosse.
• Porre il paziente in posizione supina a circa 30° in caso di FBS con strumento flessibile; in caso di
broncoscopia con strumento rigido: supina con un cuscino sotto le spalle in modo da mantenere
iperesteso il capo e facilitare l’introduzione dello strumento (nel nostro ambulatorio c’è la presenza
di un poggiatesta collegato ad un dispositivo che consente di aumentare o diminuire l’iperestensione
capo). Se broncoscopia per via orale, mantenere in sede il boccaglio ( per evitare morsicature dello
strumento).
• Osservare il paziente ed informare il medico in presenza di:
o - variazione dello stato di coscienza,
o - presenza di agitazione motoria,
o - insorgenza improvvisa di cianosi,
o - in presenza di monitorizzazione, verifica dei parametri vitali.
• Somministrare farmaci su indicazione medica
• Collaborare con il medico nell’esecuzione di manovre operative e nella raccolta del prelievo bioptico,
nel brushing, broncolavaggi e rimozione di corpi estranei.

ASSISTENZA AL PAZIENTE POST BRONCOSCOPIA

• Alzare la testata del lettino Informare il paziente che le difficoltà respiratorie e la tosse, sono
transitori causati dall’esame e dall’anestetico come l’eventuale presenza di sangue nell’escreato e del
possibile rialzo termico nelle ore successive all’esame.
• Informare il paziente di osservare il digiuno dopo l’esame per circa un’ora e comunque fino alla
ricomparsa del riflesso della deglutizione.
• Osservare il paziente per rilevare eventuali variazioni del respiro e dello stato di coscienza.
Comunicare al medico eventuali problemi insorti. Il paziente è tenuto sotto osservazione per circa
30’, in caso si verificassero problemi durante l’esame viene inviato in reparto per prolungare il
periodo di osservazione.
• Areare il locale endoscopico per 20 ‘ dopo esecuzione di fibrobroncoscopia a persona con sospetta o
accertata T.B.C.
• In caso di utilizzo di pinze bioptiche, applicare tagliando di avvenuta sterilizzazione sul referto
(sterilizzate come da indicazioni interne all’azienda)

Fase finale:

1. controllo e codifica del materiale prelevato;


2. pulizia e disinfezione degli strumenti e degli accessori usati;
3. riordino e pulizia del carrello endoscopico.

65
COMPLICANZE

- legate alla pre-medicazione o per l’anestesia locale usata sia prima sia durante l’endoscopia (aritmie,
ipotensione, bradicardia, depressione respiratoria);
- emorragia spontanea o provocata da manovre bioptiche;
- epistassi (provocata dal passaggio dello strumento per via rinotracheale);
- Ipossia, perché il fibroscopio occupa spazio nelle vie aeree e aumenta le resistenze respiratorie, da
ciò l’indicazione alla somministrazione di O2 supplementare.
- alterazioni emodinamiche come ipertensione arteriosa e tchicardia, che se insorgono in pazienti con
funzioni cardiovascolari normali sono ben tollerate, ma per contro nei pazienti con funzionalità
cardiovascolare compromessa possono causare problemi come aritmie, arresto cardiocircolatorio o
infarto miocardico;
- laringospasmo o broncospasmo, soprattutto nei pazienti con aumentata reattività delle vie aeree;
- infettive, soprattutto nei pazienti critici;
- pneumotorace.

Colonscopia

Accertamento

- Verificare che il paziente abbia compreso modalità e scopi della procedura e che abbia firmato il
consenso informato

- Ottenere un’anamnesi accurata per informazioni utili all’esame

- Accertarsi del digiuno e della corretta preparazione all’esame (La preparazione per la colonscopia
inizia almeno tre giorni prima dell’esame, poiché il paziente deve eliminare scorie come frutta e
verdura. Il giorno prima dell’indagine deve limitarsi all’assunzione di cibi liquidi e il giorno
dell’endoscopia mantenere il digiuno. Inoltre, affinché l’intestino sia pulito correttamente, la persona
deve assumere un lassativo iso – osmotico diluito in acqua)

- Qualora il paziente sia in trattamento con anticoagulanti o antiaggreganti è necessario accertarsi che
siano stati eventualmente sospesi come da indicazione del medico curante o del medico di reparto.

- Inoltre, l’infermiere si accerta che il paziente sia venuto ad eseguire l’esame accompagnato da un
famigliare o altra persona, soprattutto nel caso in cui sia necessario somministrare farmaci ansiolitici
o sedativi.

- Controllare la cartella clinica e dati anagrafici e l’eventuale presenza di esami

PRIMA DELLA PROCEDURA

- Preparare il materiale occorrente: colonscopio, siringhe e guanti monouso, lubrificante, garze,


traverse, contenitori per eventuali frammenti per biopsia, bacinelle reniformi.
- Preparare i farmaci, come da indicazione medica, per eventuale sedazione.
- Ricevere il paziente: informarlo riguardo all’esame e rassicurarlo. Avvisarlo del dolore o fastidio
provocato dall’esame e chiedere di essere avvisato in caso di dolore intenso
- Rilevare i parametri vitali
- Aiutare il paziente a svestirsi e ad indossare il camice con apertura posteriore

66
- Posizionare, se necessario, un accesso venoso periferico
- Fare assumere la corretta posizione in decubito laterale sinistro sul lettino dell’esame

DURANTE LA PROCEDURA

- collaborare con il medico


- mantenere un continuo contatto verbale e visivo con il paziente per rassicurarlo e tranquillizzarlo
- Se necessario, monitorizzare la persona e valutare costantemente i parametri vitali
- Se indicato dal medico, somministrare terapia analgesica o una lieve sedazione prima e/o durante
l’esame

AL TERMINE DELLA PROCEDURA

- valutare le condizioni del paziente


- controllare i parametri vitali, il dolore e l’eventuale stato d’ansia
- spiegare al paziente che potrebbe insorgere un piccolo sanguinamento secondario all’invasività
dell’esame
- Aiutare il paziente ad alzarsi e rivestirsi
- Raccomandare una dieta adeguata nei primi giorni dopo l’esame, in particolare consiglia di evitare
cibi grassi, alcol e caffeina e di bere molta acqua.

Gastroscopia

Accertamento:

- Verificare che il paziente abbia compreso modalità e scopi della procedura e che abbia firmato il
consenso informato
- assicurare il digiuno da almeno 8 ore
- assicurarsi che alla persona non vengano somministrati farmaci antiacidi e carbone vegetale
- accertare se ci sono della allergie agli anestetici (xilocaina) e farmaci (benzodiazepine)
- accertarsi che la persona abbia rimosso le protesi dentarie o altro

PRIMA DELLA PROCEDURA

- Assicurare un ambiente con la temperatura idonea.


- Accompagnare la persona nella sala endoscopica e rimuovere le eventuali protesi e oggetti metallici
- Far assumere alla personala posizione sdraiato sul lato sinistro
- In caso di difficoltà nel mantenere la posizione, aiutare la persona a mantenere tale posizione
- Eseguire il controllo di tutte le attrezzature necessarie per la procedura

DURANTE LA PROCEDURA

- Controllare durante tutta la procedura i parametri vitali e tranquillizzare la persona


- Se necessario collaborare con l’endoscopista durante la fase delle biopsie o altro

AL TERMINE DELLA PROCEDURA

- Alla fine della procedura il medico in collaborazione con l’infermiere esegue la prima pulizia del
canale operativo dello strumento
- l’infermiere esegue l’igiene della viso della persona per rimuovere residui di saliva
- Rimuovere i presidi per la misurazione dei parametri vitali ed accompagnare la persona nella sala
post esame
67
- Smaltire i rifiuti negli appositi contenitori e riordinare il materiale utilizzato
- Registrare la procedura Identificare eventuali campioni, etichettare le provette corrette in base alla
ricerca e inviare in laboratorio
- Rilevare e registrare lo stato di coscienza, la pressione arteriosa e saturimetria
- in collaborazione con l’operatore di supporto accompagnare la persona in reparto e dare le
indicazioni sull’alimentazione ed eventuale dolore

Complicanze

 Perforazione 1 su 10.000
 Emorragia 1 su 3.000
 Problemi cardio –circolatori 1 su 1000
 Rarissime infezioni strumento correlate

ASSISTENZA AL PAZIENTE CARDIOLOGICO COMPLESSO


L’insufficienza cardiaca (scompenso cardiaco) è una sindrome clinica caratterizzata dall’incapacità del cuore
di rifornire adeguatamente di ossigeno tutti i tessuti. La persona con scompenso cardiaco, quindi, si trova in
una condizione di alterazione - strutturale o funzionale - dell'effetto "pompa" del cuore.

Il ruolo dell’infermiere

Dopo aver acquisito i dati anagrafici necessari al ricovero del paziente, l’infermiere procede ad effettuare
l’accertamento infermieristico per delineare le condizioni dello stesso al momento dell’ingresso in reparto.

L’infermiere rileva i parametri vitali, quali:

1. pressione arteriosa;

2. saturazione;

3. frequenza cardiaca e caratteristiche del polso;

4. frequenza respiratoria e qualità del respiro;

5. temperatura corporea.

6. peso corporeo.

Con l’utilizzo di scale validate e contestualizzate e, ove possibile, con la collaborazione del paziente, valuta
la presenza di dolore, con relative caratteristiche, localizzazione e intensità, così come accerterà il livello di
ansia che affligge la persona.

In presenza di un paziente con scompenso cardiaco l’infermiere, inoltre:

 valuterà lo stato di coscienza del paziente (per ottenere indicazioni circa la circolazione sanguigna a
livello cerebrale);

 controllerà il colorito e il turgore cutaneo (per rilevare eventuale pallore o cianosi, stato di
idratazione);

 controllerà il polso periferico e il tempo di riempimento capillare (per valutare la condizione della
circolazione periferica);

68
 valuterà la presenza di edemi degli arti inferiori (misurandone la circonferenza);

 imposterà il monitoraggio del bilancio idrico e del peso corporeo quotidiano.

Responsabilità dell’infermiere è anche quella di accertare la presenza di:

1. eventuali patologie già in essere nel paziente;

2. terapie assunte a domicilio;

3. allergie o intolleranze alimentari;

4. l’eventuale presenza di lesioni, contusioni o arrossamenti della cute (Scala di Braden).

Piano assistenziale standard in scompenso cardiaco

Diagnosi infermieristiche:

1- Rischio elevato di eccesso di volume dei liquidi (edemi), correlato a diminuzione del flusso
ematico renale secondaria a scompenso cardiaco dx
2- Intolleranza all'attività, correlata a ossigenazione insufficiente per le attività di vita
quotidiana
3- Alterata perfusione tissutale periferica, correlata a congestione venosa secondaria a
scompenso cardiaco dx

Diagnosi approfondita:

Rischio elevato di eccesso di volume dei liquidi (edemi), correlato a diminuzione del flusso ematico renale
secondaria a scompenso cardiaco dx

Interventi assistenziali:

1- approntare una dieta bilanciata povera in sodio e adeguato apporto proteico, valutando al contempo
variazioni di peso e bilancio idrico: una dieta ad alto contenuto sodico ed al contempo povera in proteine,
potrebbe contribuire ad aggravare lo stato edematoso già presente. Il monitoraggio del peso del pz e del
bilancio idrico ci daranno informazioni importanti sulla capacità del pz di eliminare i liquidi in eccesso e la
risposta alla terapia farmacologica

2- somministrare regolarmente i farmaci diuretici prescritti: la somministrazione dei diuretici consente una
maggiore e più efficace eliminazione dei liquidi in eccesso

3- adottare misure idonee a proteggere da lesioni la cute edematosa (ispezionare la cute regolarmente,
cuscini per ridurre la pressione, prevenire secchezza usando poco sapone): la cute edematosa presenta molta
tesa per cui può facilmente andare incontro a lesioni

Obiettivo assistenziale:

Il pz riuscirà a seguire una dieta appropriata per la sua situazione, riducendo l'entità degli edemi e traendo
sollievo da ciò. Inoltre avrà imparato ad attuare piccoli accorgimenti di posizionamento per evitare la
formazione di lesioni della cute

Indicatori di risultato:

69
Il nostro compito sarà quello di monitorare la cute, gli edemi , il gonfiore degli arti, le variazioni di peso, il
bilancio idrico entrate/uscite, il tutto registrando attraverso un diario personalizzato, o cartella
infermieristica, e note di decorso della situazione del pz

Problemi collaborativi, complicanza potenziale di:

1- Ipossiemia
2- Shock cardiogeno
3- Trombosi venosa profonda

Complicanza approfondita: complicanza potenziale di Ipossiemia

Interventi assistenziali:

1- monitoraggio del polso e della frequenza respiratoria: segnali di polso aumentato e/o irregolare collegati
ad un aumento della frequenza respiratoria sono indice di risposta compensatoria ad uno stato di
aggravamento dello scompenso che sta concretizzando un insufficiente apporto di ossigeno ai tessuti
(ipossia), ciò ci permette di agire tempestivamente

2- monitorare per rilevare eventuali modificazioni dello stato mentale e/o agitazione: un aggravamento dello
stato di scompenso e pertanto di ipossiemia può portare anche ad una ipoperfusione cerebrale per cui i
primi segnali si evidenziano in una modificazione dello stato mentale (confusione, agitazione), che
dev'essere appunto monitorato costantemente

3- raccomandare al pz di risparmiare le forze, con particolare attenzione ad attuare dei riposi mirati prima e
dopo i pasti e prima e dopo altre attività che richiedano un dispendio energetico: un adeguato riposo riduce
il consumo di ossigeno e diminuisce il rischio di ipossia

Obiettivo assistenziale: l'infermiere gestirà e ridurrà al minimo gli episodi di Ipossiemia

Indicatori di risultato:

valutazione costante, in ricerca di un miglioramento, dei valori dell'ematocrito, degli elettroliti, della
funzionalità renale, emogasanalisi, emoglobina. Valutazione costante della SaO2 e degli altri parametri vitali
e della risposta del pz. ai trattamenti, oltre al suo stato mentale generale. Il tutto annotato su cartella clinica e
infermieristica

All'atto della dimissione, in un ambiente in cui sarà garantito il rispetto privacy, descriveremo alla pz XX ed
al caregiver il tipo di patologia che ha colpito la pz e quali modificazioni fisiopatologiche si sono venute a
creare.

Informiamo la pz di monitorare costantemente alcuni parametri come PA e se possibile la saturazione 02,


oltre alla situazione degli edemi agli arti e variazioni significative del peso (in eccesso= neoformazione di
edemi) e di comunicare tempestivamente eventuali variazioni in negativo di questi indicatori.

La terapia domiciliare prescritta, che dovrà essere assunta regolarmente e nelle dosi e modi indicate, sarà
comprendente di farmaci diuretici (lasix), digitale (digossina=appropriato inotropo positivo in caso di
scompenso perchè non richiede ulteriore consumo di O2; diremo dell'importanza di fare attenzione a
sintomi da intossicamento di questo farmaco), supplemento di K, vasodilatatori.

La dieta da seguire sarà una dieta povera in sali, con appropriato apporto di proteine, una restrizione dovrà
essere applicata all'assunzione dei liquidi.

70
Daremo raccomandazioni sulle attività che potrà svolgere e l'importanza di seguire dei momenti di riposo
prima e dopo l'attvità.

Infine daremo le indicazioni per trovare assistenza e risorse nella comunità, brochure e numeri utili da
contattare in caso di necessità e gli appuntamenti per i successivi controlli (follow-up).

Verifichiamo cosa e quanto hanno capito e se necessario rispieghiamo i passaggi persi (feedback).

Infermiere in Utic

In questo ambiente ad elevata complessità, sia dal punto di vista assistenziale che tecnologico, il
professionista infermiere deve rispondere ai bisogni di assistenza di pazienti instabili dal punto di vista
emodinamico.

È quindi indispensabile conoscere a fondo la patologia di base per poter pianificare al meglio l’assistenza, al
fine di prevenire le complicanze. Ciò implica anche una profonda conoscenza delle procedure
interventistiche cardiologiche alle quali il paziente è stato o sarà sottoposto con carattere di urgenza:
procedura di coronarografia ed angioplastica, pericardiocentesi, impianto di pacemaker
temporaneo, cardioversione elettrica o farmacologica.

Inoltre il professionista infermiere deve conoscere e gestire tutte le attrezzature elettromedicali che
circondano inevitabilmente un paziente di terapia intensiva: monitor, defibrillatori, pompe infusionali e a
siringa, ventilatori/C-PAP, circuiti Va e Vieni, PM temporanei, contropulsatori aortici e strumenti per
emodiafiltrazione (CVVHDF).

In riferimento alle apparecchiature elettromedicali, la responsabilità infermieristica è delineata anche dal


contratto del Comparto della Sanità, in particolare dal capo V, art. 28 comma 3L, dove si specifica che il
professionista deve aver cura dei beni strumentali a lui affidati per garantire la qualità del servizio erogato.

La formazione specifica e la conoscenza dei manuali d’uso e delle apparecchiature stesse è fondamentale per
il professionista per evitare un uso improprio e pericoloso della strumentazione.

L’infermiere che si approccia alla terapia intensiva cardiologica svolge un periodo di affiancamento a
personale esperto (di durata variabile a seconda delle diverse realtà aziendali).

Partecipa attivamente alle attività di formazione relative a: tecniche di monitoraggio emodinamico, tecniche
di rianimazione (corsi BLSD e ALS), tecniche di effettuazione di procedure diagnostiche ed interventistiche
(emodinamica ed elettrostimolazione).

Contemporaneamente alla formazione di tipo teorico c’è anche una formazione pratica, che prevede
l’apprendimento dell’utilizzo e della gestione della strumentazione elettromedicale, in particolare il PM
temporaneo, il contropulsatore e l’apparecchio per CVVHDF.

Queste particolari attrezzature sono quelle di più frequente utilizzo nel trattamento di pazienti
emodinamicamente instabili, ma soprattutto sono quelle che l’infermiere deve sapere gestire in completa
autonomia per garantire l’assistenza al paziente ricoverato in UTIC.

Per quanto riguarda il rapporto infermiere/paziente, non tutte le realtà sono uguali, ma il numero ideale
richiesto è di 1:4 nelle terapie intensive. Quello che può fare la differenza è la disponibilità di personale a
livello aziendale.

Infermiere di post-intensiva e reparto cardiologico

71
L’infermiere di cardiologia deve essere anche il punto di riferimento per percorsi educativi specifici per i
pazienti cardiopatici. Deve essere in grado di fare attività di counseling, di fornire corrette informazioni per
prevenire recidive di malattia (ove possibile) e a migliorare lo stile di vita.

Questo avviene grazie a percorsi di formazione specifici che possono essere attuati all’interno dell’azienda o
possono essere intrapresi in modo individuale dal professionista. In alcune realtà l’infermiere può svolgere i
turni lavorativi in entrambi i reparti di UTIC e post-intensiva.

IL RUOLO INFERMIERISTICO NELLA FASE ACUTA DI ANGINA

Si definisce angina pectoris il dolore, di tipo gravativo - costrittivo in sede retrosternale con irradiazione al
giugulo, alla mandibola, alle spalle, e alla regione interscapolo-vertebrale, quest’ultimo spesso coinvolgente
l’arto superiore di sinistra o entrambi gli arti superiori, in genere accompagnato da sudorazione algida e
dispnea.

Può insorgere sia a riposo sia sotto sforzo fisico. Per la classificazione del dolore toracico ci si avvale di
“tabelle di score “dove sono inseriti, in base alla localizzazione e alle caratteristiche del dolore, dei punteggi
dalla somma dei quali si classifica in dolore tipico o atipico inoltre un’altra tabella che, in base ad altre
caratteristiche (anamnesi, obiettività, ecg e markers cardiaci), ci indica l’alta, media e bassa probabilità che ci
si trova di fronte ad una sindrome coronarica acuta.

In questa fase si stabilisce il programma terapeutico che può essere conservativo medico oppure invasivo, ed
il tipo di rischio (basso, medio, alto) avvalendosi delle tabelle TIMI SCORE e GRACE SCORE. La diagnosi di
angina pectoris viene spesso formulata con la descrizione del tipo di dolore che il paziente riferisce e,
confermata dall’elettrocardiogramma e dall’ecocardiogramma.

Gli esami di laboratorio sono utili a stabilire se si è verificato un danno miocardico e se vi sono altre
patologie di base, o predisponesti; si effettua, inoltre, una RX del torace.

RUOLO INFERMIERISTICO

Identificazione paziente: all’arrivo in reparto al paziente viene assegnato il posto letto, che su disposizione
medica può essere in degenza o in UTIC viene accolto dall’infermiere di sala che lo invita a mettersi a letto
aiutato dall’OSS e, nel caso lo ritenga opportuno, se ne occupa personalmente.

Se viene ricoverato in UTIC, si effettua la tricotomia in corrispondenza dei punti di applicazione degli
elettrodi per il monitoraggio elettrocardiografìco continuo.

L’infermiere intervista il paziente circa i dati anagrafici, i disturbi avuti e quelli in atto.

Problema- dolore ed ansia: dopo aver reperito un accesso venoso e contestualmente eseguito un prelievo
ematico, compilata la cartella infermieristica, rilevati i parametri vitali, eseguito l’ECG, raccoglie, elabora e
mette in atto le azioni sia in relazione ai bisogni del paziente (in particolare il dolore toracico), sia in
relazione alle disposizioni mediche, non trascurando lo stato d’ansia che accompagna l’angor.

Obiettivo: è la scomparsa del dolore e dello stato ansioso-depressivo

Intervento infermieristico: l’infermiere, in questa fase deve mettere in atto quelle azioni che servano, al
paziente, ad attenuare lo stato di sofferenza sia in senso psicologico (empatia) e sia predisponendo e
mettendo in atto l’approccio farmacologico antidolorifico (cura della causa, cura del sintomo).

72
valutazione del risultato: se le azioni hanno avuto beneficio si noterà, per esempio, che il paziente inizierà a
relazionarsi piu’ tranquillamente e, se l’angor è regredito, a tratti inizierà a riposare.

Problema cardiaco, diagnosi infermieristica: il paziente si ricovera spesso, ancora, con dolore retrosternale,
con problemi anche emodinamici o di comorbilità, sudato ed in preda a stress da ansia.

Obiettivo: che ci prefiggiamo in “equipe integrata” (medico-infermieristica), è di dare al paziente un


immediato sollievo sia per la parte clinica sia per l’ansia.

Intervento infermieristico: al paziente si posiziona la maschera per ossigenoterapia, viene, quindi, eseguito
l’ECO, che viene contestualmente valutato dal medico, dietro la cui disposizione, l’infermiere somministra la
terapia avvalendosi, per alcuni farmaci di protocolli in uso nella U.O..

Si somministrano: antidolorifìci o sedativi (morfina o suoi derivati) tenendo conto che questi hanno effetti sul
SNC, antianginosi nitroderivati, tenendo conto che possono avere effetto ipotensivo monitorizzando la PA
inizialmente ogni due minuti, ed inoltre, eparina sodica ev (sono previste sul carrello di terapia alcune tiale
di solfato di portamina in modo, eventualmente da poter neutralizzare rapidamente l’effetto della stessa
eparina), o eparina a basso peso molecolare se, ossigenoterapia, antiaggreganti piastrinici (ASA), terapia
antitrombotica, contemporaneamente alla somministrazione dci farmaci, si tranquillizza il paziente
assicurandogli l’efficacia della cura.

Tutti gli interventi effettuati vengono registrati in cartella infermieristica avendo cura di segnare gli orari e le
valutazioni in relazione alle singole somministrazioni e reazioni del paziente.

valutazione del risultato: il dolore regredisce dopo la somministrazione di antidolorifici. al monitor si riduce
il sopraslivellamento del tratto ST (confermato dall’esecuzione di un tracciato ecografico), ad angor attenuato
il paziente appare meno angosciato e più collaborante, è rassicurato dalla presenza costante del personale di
sala. Nel caso in cui le terapie medico-farmacologiche non diano risultati precocemente accettabili o se il
paziente ad alto rischio, si dispone per le procedure di trattamento invasivo

COMPETENZE E RESPONSABILITA’INFERMIERISTICHE NELLA PREPARAZIONE DEL PAZIENTE


IN ELEZIONE ALLE PROCEDURE DIAGNOSTICO-INTERVENTISTICHE CORONARICHE

L’infermiere si preoccuperà innanzitutto dell’aspetto psicologico, cercando di rendere il soggiorno del


paziente in ospedale, il più possibile accogliente. L’infermiere sarà responsabile nel dare tutte le spiegazioni
necessarie riguardo la procedura che dovrà eseguire, i tempi di ripresa, cosa sarà in grado di fare
successivamente alla procedura e soprattutto dovrà garantire una collaborazione continua anche
successivamente alla sua dimissione.

Subito dopo l’infermiere si preoccuperà di svolgere tutte le pratiche burocratiche (cartella infermieristica), di
consegnare il modulo del consenso informato (che il medico successivamente discuterà), di controllare gli
esami ematici di laboratorio, la pressione arteriosa e l’elettrocardiogramma (nella nostra struttura tutto ciò
viene effettuato nella sala di accettazione, prima dell’ingresso in sala di degenza), evidenziando possibili
alterazioni nei referti (es. creatinina alta, emocromo alterato ecc.); all’atto della somministrazione della
terapia particolare attenzione sarà posta alla presenza di quella antiaggregante e di quella con statine che
risultano essenziali qualora alla coronarografia faccia seguito l’angioplastica. In serata saranno effettuati:
posizionamento catetere venoso periferico, tricotomia, ritiro del consenso informato firmato; il digiuno è
dalle h 24.00. Inoltre sarà compito dell’infermiere applicare alcuni protocolli predefiniti quando necessario e
disposti dal medico.

73
Ci si riferisce particolarmente a due protocolli: quello applicato nei pazienti allergici e quello applicato ai
pazienti con insufficienza renale anche lieve, particolarmente se diabetici.

La mattina della procedura sarà compito dell’infermiere, prima che il paziente venga accompagnato in sala
di emodinamica, verificare che al GIUSTO PAZIENTE, corrisponda la GIUSTA CARTELLA CLINICA,
completa di tutte le parti necessarie alla procedura o altrimenti comunicare al medico di degenza qualsiasi
mancanza.

In sala di emodinamica ci saranno altri infermieri ad accogliere e ad assistere il paziente. Qui il ruolo è anche
fortemente tecnico. E’ chiaro che, nonostante i protocolli interni dovrebbero già a quel punto evitare errori,
gli infermieri dell’emodinamica dovranno procedere all’identificazione del paziente, al riscontro della
presenza del consenso informato e all’evidenziazione di eventuali protocolli prescritti.

In realtà l’infermiere del laboratorio di emodinamica deve operare su più fronti:

o Prepara il cath-lab (e subito dopo la procedura lo ripristina)


o Assiste il paziente prima, durante e dopo l’esame
o Controlla costantemente i parametri vitali e il monitoraggio elettrocardiografico
o Spesso svolge una funzione di assistente strumentista
o E’ perfetto conoscitore di tutto il materiale che si utilizza nel corso delle procedure e quindi
porge al medico o al collega strumentista tutto il materiale richiesto

Nonostante l’estremo tecnicismo e l’attenzione tesa alla gestione di eventuali complicanze/emergenze


l’infermiere non deve mai trascurare di stabilire un rapporto umano con il paziente in modo diretto e
continuo e, all’occorrenza, dovrà fornire un adeguato supporto psicologico

Finita al procedura il paziente sarà riaccompagnato in sala di degenza e l’infermiere dovrà controllare
innanzitutto il foglio di fine studio, in cui ci sarà la descrizione di ciò che il paziente ha eseguito (es. studio
più eventuale procedura, esito positivo o negativo, vaso/i trattati, tipo di eventuali STENT utilizzati, ulteriori
farmaci da somministrare ed infine, se l’introduttore è stato rimosso, tipo di chiusura del vaso,
manuale/artificiale).

Quindi si porterà al letto del paziente controllando la sede di puntura, controllando sempre la pressione
arteriosa ed eseguendo l’elettrocardiogramma nel caso in cui sia stata eseguita procedura interventistica. A
meno che lo studio non è stato eseguito per via radiale, il paziente richiederà assistenza continua in quanto
dovrà restare immobile per il tempo richiesto dal tipo di chiusura effettuata.

L’infermiere vigilerà su eventuali complicanze quali: dolore anginoso, sanguinamento, ematoma. Se tutto è
nella norma l’indomani il paziente potrà essere dimesso; sarà compito dell’ infermiere fornire al paziente
tutti i chiarimenti che ancora vorrà e tutti i numeri di telefono della struttura per discutere ulteriori problemi
o dubbi che possano ancora sorgergli.

ASSISTENZA AL PAZIENTE PORTATORE DI PACEMAKER O CONTRO PULSATORE E


MONITORAGGIO DELLE COMPLICANZE
Cosa è un pacemaker?
Il pacemaker è un dispositivo di stimolazione elettro cardiaca costituito da un circuito elettronico, una
batteria e 1 o + elettro cateteri (sonde resistenti che permettono l’induzione dello stimolo elettrico dalla
camera al tessuto cardiaco). Esistono varie tipologie e varie funzioni e calibrazioni per un pacemaker
cardiaco: la scelta di un dispositivo piuttosto di un altro dipenderà essenzialmente dalla patologia eccito-
74
conduttiva presentata dal paziente, dalle linee guida nazionali e dalle scelte del medico
cardiologo/elettrofisiologo. In generale i pacemaker si dividono in:
• Monocamerale, PM collegato ad un singolo elettrocatetere predisposto a stimolare una sola camera
cardiaca (atrio o ventricolo destro).
• Bicamerale, PM collegato a due elettrocateteri che stimolano sia l’atrio che il ventricolo destro
(solitamente).
• Biventricolare, tre elettrocateteri in atrio dx, ventricolo dx e in prossimità della superficie esterna della
parete laterale del ventricolo sinistro.
I dispositivi, inoltre, non si limitano ad indurre soltanto lo stimolo elettrico, ma attraverso particolari
algoritmi programmabili da ingegneri e medici, registrano l’attività elettrica spontanea del cuore ed
intervengono soltanto per quanto programmato e necessario per il paziente.
Come viene posizionato un pacemaker?
Chirurgicamente, in un ambiente asettico. Attraverso una grossa vena (cefalica o succlavia) della regione alta
del torace, generalmente a sinistra. Utilizzando la guida di raggi x e mezzi di contrasti si raggiungono le
camere cardiache con le sonde del PM. In seguito, verrà confezionata una sacca sottocutanea in cui verrà
posizionato il dispositivo a lungo termine.
Assistenza Infermieristica pre-impianto pacemaker
Ricovero (1 o + giorni prima dell’impianto)
1. L’infermiere di reparto si presenta con nome, cognome e qualifica.
2. Accompagna il paziente nella stanza di degenza assegnata e mobilizzazione a letto.
3. Accettazione del paziente, compilazione della cartella clinica e infermieristica:
– si raccolgono i dati anagrafici;
– si raccolgono tutti i dati utili alla pianificazione dell’assistenza infermieristica;
– richiedere nominativo e numero di telefono di caregiver prossimi al pz per eventuali comunicazioni o
necessità;
– si elencano le norme che regolano la presenza dei familiari e di comportamento dei pazienti (come evitare
se non assolutamente indispensabile di allontanarsi dall’UO ed eventualmente di avvisare il personale di
reparto);
– si rilevano indicazioni particolari sulle diete e su esigenze di natura religiose e culturali del paziente.
4. Si informa il paziente sulla preparazione per la procedura di impianto pacemaker.
5. Rilevazione dei parametri vitali: TC°, PA, FC, FR, SpO2, Peso, ecc.
6. Esecuzione di ECG a 12 derivazioni ed applicazione se richiesto di monitoraggio ecg continuo (esempio
telemetria ecg).
7. Esecuzione dei prelievi ematici necessari e di routine (emocromo, coagulazione, funzione renale, elettroliti,
enzimi cardiaci, ecc..).
8. Controllo della presenza di un RX Torace recente, o di eventuale richiesta ed esecuzione in giornata dello
stesso.
9. Accertarsi della corretta registrazione burocratica del paziente (presenza di etichette e braccialetti
identificativi, registrazione in accettazione, ecc.).
10. Posizionare un catetere venoso periferico di 18G sul braccio controlaterale alla sede prevista d’impianto
(generalmente impiantato a sx, posizionare un cv a dx, verificate con il medico).
11. Verificare la presenza di appuntamento o programmazione dell’impianto.
12. Somministrazione di terapia e profilassi antibiotica come da prescrizione.
13. Informate il paziente di osservare il digiuno dalla mezzanotte del giorno prima dell’intervento.

75
14. Verificate la presa visione da parte del medico di tutti i dati rilevati e dell’eventuale firma del consenso
informato da parte del paziente, allegandolo correttamente in CC.
15. Documentare il tutto in diario o cartella infermieristica.
Il giorno dell’impianto
L’infermiere di reparto, il giorno di posizionamento di un impianto di pacemaker cardiaco:
1. compila e controlla che tutta la documentazione necessaria sia presente, compilata e correttamente allegata
in CC (consensi informati, check list, ecc..);
2. verifica la presenza di braccialetto identificativo;
3. verifica la pervietà del catetere venoso periferico;
4. verifica che il paziente abbia eseguito una corretta igiene cutanea e in caso contrario esegue igiene, che il
paziente abbia svuotato la vescica prima di scendere in sala pm;
5. rimuove accessori, monili e protesi del paziente e li conserva accuratamente;
6. sveste il paziente facendogli indossare i dpi monouso: camice, cuffia, calzari;
7. esegue se richiesto il prelievo ematico di controllo;
8. rileva i parametri vitali e li documenta in CC;
9. somministra la terapia come da prescrizione, verifica la presenza di ansia e verifica con il medico la
necessità di somministrare eventuali ansiolitici/sedativi;
10. esegue tricotomia del torace e della regione ascellare sulla sede prevista;
11. accompagna in sala operatoria il paziente in barella o predispone il trasferimento in sicurezza.

Assistenza Infermieristica post-impianto PM


Dopo l’intervento PM
1. Secondo protocollo aziendale il paziente che lascia la sala PM, potrà essere accompagnato in radiologia
per eseguire un Rx Torace di controllo (verifica il corretto posizionamento del pacemaker e l’esclusione di
complicanze come il pneumotorace) oppure se predisposto diversamente il paziente verrà riaccompagnato
in reparto e l’infermiere dovrà attivare l’esecuzione del Rx Torace a letto del paziente.
2. Informare il paziente di non eseguire movimenti con la spalla e il braccio in cui è stato impiantato il
pacemaker e di mantenere il riposo terapeutico per 24 ore.
3. Rileva più volte i parametri vitali ( TC°, PA, FC, FR, SpO2, Peso, ecc…).
4. Verifica costantemente l’assenza di sanguinamento dalla ferita chirurgica e che la medicazione sia in
ordine.
5. Applica se indicato diversamente, il ghiaccio in sede per almeno 6 ore.
6. Mantiene il paziente a dieta idrica fino alla sera dove potrà cenare con dieta leggera (es. minestrina e frutta
cotta/frullata).
7. Somministra la terapia come prescritta (ad esempio gli antibiotici).
8. Controlla le insorgenze di complicanze ed eventualmente le segnala al medico:
– Ematoma locale
– Emorragia (in seguito al danneggiamento dei vasi utilizzati per introdurre i cateteri)
– Versamento pericardico
– Infezione della tasca e della ferita chirurgica
– Pneumotorace
– Aritmie e arresti cardiaci
– Ictus
Alla dimissione dopo l’impianto di pacemaker
1. Superate senza problemi le 24h il paziente potrà mobilizzarsi ed alimentarsi con dieta leggera.

76
2. Mantenere la medicazione a piatto in sede di impianto ed informare il paziente di evitare di bagnarla.
3. Consegnare:
– foglio con appuntamento per l’avulsione dei punti di sutura, controllo della medicazione e della ferita, e
dei vari controlli in follow up;
– tesserino di portatore di pacemaker da allegare tra i propri documenti personali.
– tessera del pacemaker con tutte le informazioni che riguardano il dispositivo
– foglio di esenzione.
Educazione del paziente alla gestione domiciliare del pacemaker
1. Educare il paziente e consegnare foglio di raccomandazioni generali per i portatori pacemaker:
– Evitare per i primi giorni movimenti eccessivi di spalla e braccio al fine di favorire la cicatrizzazione della
ferita chirurgica.
– Contattare subito l’ambulatorio se si verificassero arrossamenti o gonfiori
della tasca del pacemaker.
– Portare con sé tutta la documentazione clinica e farmacologica ad ogni controllo.
– Evitare di superare i metal detector in aereoporto mostrando al personale di sicurezza il tesserino di
portatore di pacemaker.
– Elencare gli esami che non possono essere eseguiti: risonanza magnetica (non sempre perché con i nuovi
dispositivi MRI è possibile sottoporsi ad essa), radioterapia in sede di pacemaker, tens, magnetoterapia,
ionoforesi, radarterapia.
L’infermiere ha un ruolo importante nelle varie fasi dell’impianto, dalla corretta preparazione del paziente,
all’assistenza e monitoraggio fino alla medicazione finale. Durante il posizionamento dei cateteri,
l’infermiere si occupa di misurare il potenziale endocavitario attraverso l’uso dell’analizzatore e di calcolare
il valore “soglia”. Infine, si occupa di effettuare la medicazione compressiva e di fare counseling al paziente
per favorirne l’outcome clinico.
Programmazione effettuata dal pacemaker (APPROFONDIMENTO)
A livello internazionale esiste una nomenclatura basata su 4 lettere maiuscole che indica la tipologia di
programmazione effettuata dal pacemaker:
 Prima lettera: contraddistingue la sede di stimolazione del dispositivo e può essere A (atrio),
V (ventricolo) o D (Atrio e Ventricolo)
 Seconda lettera: indica la camera dove il pace-maker rileva il potenziale proveniente dalle
cellule miocardiche e anche in questo caso le lettere indicano Atrio, Ventricolo oppure entrambi
(D).
 Terza lettera: indica la risposta al sensing, ovvero se il dispositivo è in grado di inibire
o triggerare la stimolazione quando “sente” il potenziale provenire dalle cellule miocardiche; la
lettera è la I se inibisce, T se triggera o D se ha entrambe le funzioni.
 Quarta lettera (opzionale): indica se il pace-maker è in grado di riprogrammare la frequenza
cardiaca in funzione all’attività fisica svolta. La lettera che la contraddistingue è la R
(Responsive).
Gli elettrocateteri
Sono filamenti metallici ricoperti da una guaina isolante (silicone, poliuretano) che vengono posizionati
dall’elettrofisiologo nelle camere cardiache. I cateteri sono principalmente di 2 tipologie:
 Atriali: hanno una lunghezza di circa 52-53 cm e sono conformati con la porzione distale
“uncinata” per andare a stimolare la parete atriale.
 Ventricolari: hanno una lunghezza di circa 58-60 cm e sono lineari, poiché attraverso la vena
cava superiore giungono direttamente nella porzione apicale trabecolata del ventricolo destro.

77
Entrambe le tipologie di elettrocateteri possono essere fissate al tessuto miocardico attraverso due sistemi:
 Passivo: è il più utilizzato; nella porzione distale sono presenti delle “barbe” che si ancorano
nelle trabecole miocardiche.
 Attivo: è utilizzato in casi particolari; nella porzione distale è presente una “vite” a spirale
che viene fissata al muscolo miocardico.
DIAGNOSI INFERMIERISTICHE
Rischio di infezione associato all’inserimento;
Informazione insufficiente riguardo al programma di AUTOASSISTENZA;
PROBLEMI E COMPLICANZE
Riduzione della gittata cardiaca causata dal malfunzionamento dello stimolatore. Pur trattandosi di un
intervento semplice e relativamente poco impegnativo per il paziente (un classico “intervento di routine”),
durante e dopo una procedura di impianto di un pacemaker o di un defibrillatore possono verificarsi delle
complicanze. Nonostante le moderne conoscenze, le attuali tecnologie, l’esperienza e le competenze dei
medici operatori, queste complicanze sono tutt’altro che rare, potendo colpire fino al 10% dei pazienti (1
paziente su 10!). Fortunatamente nella maggior parte dei casi queste complicanze sono lievi e prive di
conseguenze, ma in rari casi possono essere molto gravi e cambiare profondamente la vita del paziente che le
subisce. Le complicanze che si possono verificare durante l’intervento (complicanze precoci) sono
abbastanza rare. Una di queste è lo pneumotorace che si verifica quando viene accidentalmente punto il
polmone con conseguente ingresso di aria all’interno dello spazio che circonda il polmone (spazio pleurico).
Il trattamento dello pneumotorace può richiedere l’inserimento di un tubicino (drenaggio) nel torace che
consente di espellere l’aria penetrata. Una complicanza grave, ma fortunatamente molto rara, è la
perforazione cardiaca che può richiedere un intervento chirurgico in urgenza. Più frequentemente le
complicanze si verificano settimane, mesi o addirittura anni dopo l’intervento (complicanze tardive). Vi può
essere una raccolta di sangue all’interno della tasca, che può provocare un gonfiore nella sede di impianto
del pacemaker (ematoma della tasca) e può richiedere un nuovo intervento per il suo svuotamento. Questa
complicanza è più frequente nei pazienti che assumono farmaci anticoagulanti o antiaggreganti. Vi può
essere un’infezione della tasca del pacemaker che può facilmente diffondersi agli elettrocateteri. L’infezione
degli elettrocateteri è una complicanza molto temuta perché può portare ad una grave infezione del cuore
chiamata endocardite batterica. Quando vi è un’infezione degli elettrocateteri, per curarla completamente il
paziente deve essere obbligatoriamente sottoposto all’espianto del pacemaker ed all’estrazione
degli elettrocateteri. L’estrazione degli elettrocateteri è una procedura molto complessa e rischiosa.
L’infezione della tasca e degli elettrocateteri è una complicanza più frequente nei pazienti con gravi malattie
cardiovascolari, con patologie croniche come il diabete e l’insufficienza renale e in quelli più anziani. Ci
possono poi essere complicanze legate agli elettrocateteri: gli elettrocateteri possono spostarsi dalla loro sede
di impianto e negli anni possono rompersi. In entrambi i casi il problema può essere risolto solo
sottoponendo il paziente ad un nuovo intervento chirurgico. Molto raramente può verificarsi un
malfunzionamento del dispositivo o il dispositivo può risultare difettoso. In questi casi può rendersi
necessario un nuovo intervento per sostituire il dispositivo malfunzionante con uno nuovo. Le
complicanze piú frequentemente legate alle manovre di impianto sono la formazione di un ematoma locale
in sede di impianto (che generalmente si riassorbe spontaneamente in alcuni giorni), un possibile danno dei
vasi venosi utilizzati per l’accesso (con conseguente trombosi ed eventuale flebite), eventuale pneumotorace
in caso di puntura della vena succlavia (passaggio di aria all’interno della cavitá pleurica, nella maggior
parte dei casi asintomatico ed raramente richiedente posizionamento di drenaggio temporaneo), eventuale
versamento pericardico secondario a perforazione della parete miocardica degli elettrocateteri (evenienza
molto rara, che in qualche caso può richiedere posizionamento di drenaggio temporaneo).

78
INTERVENTI INFERMIERISTICI
Prevenzione delle infezioni, promuovere l’assistenza domiciliare e insegnare al paziente l’autoassistenza.

ASSISTENZA AL PAZIENTE CON SUPPORTO VENTILATORIO O CPAP

Ventilazione meccanica e monitoraggio in Terapia Intensiva:

“La ventilazione meccanica è una forma di terapia strumentale che, attraverso un macchinario detto
“ventilatore meccanico” (VM), supporta il paziente con insufficienza respiratoria grave, permettendogli di
ventilare adeguatamente e mantenendo scambi gassosi nella norma fra polmoni e ambiente.”

- Obiettivi della ventilazione meccanica:

Ha il compito di assicurare un adeguato apporto di O2 e CO2, somministrando un’adeguata e controllata


quantità di O2 al paziente ed eliminando la CO2 prodotta. Ha inoltre l’obiettivo di ridurre lo sforzo
respiratorio di un paziente che ha esaurito, o sta esaurendo, le sue riserve energetiche a causa di un aumento
eccessivo del lavoro dei polmoni.La ventilazione meccanica può innanzitutto essere di due tipi:

 invasiva: Prevede necessariamente che il paziente abbia in sede un tubo oro tracheale, naso tracheale o una
cannula tracheostomica;

 non invasiva (NIV - non invasive ventilation): Viene effettuata tramite maschera facciale, boccaglio o casco.

La ventilazione meccanica può essere eseguita sia in ambito intensivo che al domicilio, con l’ausilio di
ventilatori portatili domiciliari. Può essere inoltre eseguita in maniera continua o in maniera intermittente.

- Indicazioni alla ventilazione meccanica:

La ventilazione meccanica è indicata, in anestesia, durante un intervento chirurgico nel quale è necessario
sedare il paziente, monitorando in maniera continua la sua ventilazione e i suoi scambi gassosi.È indicata, in
terapia intensiva, nelle gravi insufficienze respiratorie che rischiano di compromettere le funzioni vitali del
paziente; nelle prime fasi dopo l’arresto cardiaco, al fine di garantire un’adeguata ossigenazione polmonare e
tutte le volte che il paziente ha lesioni cerebralitali per cui il cervello non è in grado di garantire una
funzionalità respiratoria adeguata.

Inoltre può essere utilizzata al domicilio in tutti quei pazienti che non sono più in grado di respirare
autonomamente: ad esempio pazienti con patologie come la SLA in fase terminale, che necessitano di un
supporto ventilatorio costante e controllato tramite cannula tracheostomica.

Al domicilio è frequentemente utilizzata anche la NIV da pazienti che presentano ad esempio apnee
notturne, poiché assicura una corretta ossigenazione anche durante il sonno.

 Il ventilatore meccanico

79
Il ventilatore meccanico utilizzato in terapia intensiva è un’apparecchiatura che, attraverso un circuito, viene
connessa al tubo tracheale o alla cannula tracheostomica del paziente. Il circuito è comunemente composto
da due tubi: un tubo che porta i gas prodotti dal ventilatore al paziente attraverso una valvola inspiratoria, e
un tubo che ha il compito invece di trasportare i gas di scarto del paziente attraverso una valvola
espiratoria.Ogni ventilatore ha un monitor e dei comandi che permettono di scegliere la tipologia di
ventilazione più adatta, impostare i valori dei volumi, la frequenza respiratoria, la PEEP, ecc.

In linea generale è fondamentale innanzitutto ricordare che un atto ventilatorio meccanico comprende:

 la fase inspiratoria, in cui il ventilatore insuffla aria nelle vie aeree del paziente;
 il passaggio da fase inspiratoria a fase espiratoria;
 la fase espiratoria, in cui il ventilatore raccoglie i gas di scarto del paziente;
 il ritorno alla fase inspiratoria.

I ventilatori possono essere divisi in due grandi categorie:

 ventilatori a pressione negativa: funzionano applicando una pressione sub-atmosferica al torace di un


paziente che è racchiuso in una tuta a tenuta d’aria; il ventilatore crea un gradiente pressorio tale che fa
entrare passivamente l’aria nei polmoni. Il polmone d’acciaio, tanto utilizzato nei decenni scorsi, è un
esempio di ventilatore a pressione negativa. Ancora oggi esistono sistemi meno ingombranti e meno diffusi,
che utilizzano lo stesso meccanismo d’azione. Il vantaggio dei ventilatori a pressione negativa è che non
richiedono al paziente alcuna via aerea artificiale, mantenendo il paziente autonomo nel comunicare o
mangiare;

 ventilatori a pressione positiva: utilizzano una via aerea artificiale (Tubo oro–tracheale, tubo naso–
tracheale o cannula tracheostomica) per spingere aria nei polmoni. L’espirazione si verifica in maniera
passiva grazie al recupero elastico dei polmoni e della parete toracica.

Il monitoraggio del paziente:

Nel paziente ventilato è fondamentale un monitoraggio costante. Questo perché, soprattutto nei primi giorni
in cui viene sottoposto alla ventilazione meccanica, il paziente non è autonomo dal punto di vista
respiratorio e necessita di un intervento tempestivo al modificare delle condizioni e dei segni e sintomi.

Attraverso l’osservazione clinica del paziente e il monitoraggio dei gas (con l’emogasanalisi) e della
capnometria (CO2 espirata), è possibile intervenire tempestivamente se le condizioni si modificano o
peggiorano.

È fondamentale controllare frequentemente il corretto posizionamento del TOT, poiché dislocandosi può
non assicurare una ventilazione adeguata al paziente.

- Segni e sintomi:

Un paziente che sta respirando adeguatamente con il VM è solitamente tranquillo; la saturazione e la


frequenza respiratoria sono buone. La cute è rosea, non è sudato e non si sentono rumori provenienti dal
tubo.

80
Se il paziente si presenta agitato, sudato, o tachipnoico; se presenta tosse, se si modificano in maniera
importante i parametri vitali come la PA, la FC, la SO2, è necessario andare a vedere come ventila il paziente.

A questo, spesso, si associa il fatto che il ventilatore, nel quale sono impostati dei parametri “normali” e
fisiologici entro i quali il paziente si deve attenere, suona.Anche l’ingombro di secrezioni nell’albero
bronchiale comporta disagio al paziente, che si può presentare agitato e con un’alterazione dei parametri
ventilatori con conseguente allarme del ventilatore. È inoltre fondamentale ricordare come non sia fisiologica
la presenza del tubo oro o naso tracheale e che questo comporta spesso disagio o fastidio nel paziente
sveglio.

Si parla di disadattamento quando il paziente non riesce a ventilare in maniera sincrona con il VM,
situazione che comporta scambi non efficaci e una ventilazione inadeguata.

- Come intervenire:

È fondamentale capire cos’è cambiato nel paziente: il paziente si sta svegliando e quindi mal tollera la
ventilazione? Ha un ingombro di secrezioni? Il supporto che gli viene dato dal ventilatore è troppo o troppo
poco e il paziente presenta delle apnee o ha una frequenza respiratoria troppo alta?

Se non si è in grado di migliorare le condizioni da soli (talvolta è solo necessario broncoaspirare il paziente),
è fondamentale allertare il medico, che provvederà, ad esempio, a modificare i parametri del ventilatore.

Fondamentale ricordare come sia necessario, a seconda dello stato di sopore/veglia o lo stato di coma del
paziente, riadattare la modalità di ventilazione. Un paziente sveglio, infatti, avrà sicuramente necessità di un
supporto ventilatorio minore rispetto ad un paziente in stato di coma profondo.

- I rischi della Ventilazione Meccanica:

La VM, come tutte le procedure terapeutiche, può comportare dei rischi sul paziente. I più frequenti sono:

 barotrauma: si manifesta con PNX (pneumotorace), pneumomediastino o enfisema sottocutaneo. I


pazienti più soggetti a sviluppare questa complicanza sono le persone affette da BPCO, da ARDS
(sindrome da distress respiratorio acuto) e asma acuto;
 infezioni: si parla di VAP, ovvero ventilation associated pneumonia (polmonite associata a
ventilatore), evento direttamente proporzionale alla durata della ventilazione meccanica;
 alterazioni emodinamiche: all’inizio della ventilazione è possibile che si riduca la gittata cardiaca.
Questo comporta la riduzione del ritorno venoso, l’aumento delle resistenze vascolari polmonari e il
correlato peggioramento della funzionalità del ventricolo sinistro;

NIV

- Definizione:

La NIV è un sistema ventilatorio di natura meccanica a pressione positiva che si sostituisce all'utente nelle
varie fasi degli atti respiratori; può essere nasale, facciale, total-face o a scafandro, a seconda delle esigenze e
della tollerabilità.

81
Il ruolo dell’Infermiere nella gestione della Ventilazione Non Invasiva è fondamentale, soprattutto nella fase
del riconoscimento precoce di eventuali compromissioni degli scambi gassosi (per acuzie della patologia o
per malfunzionamento della macchina).

- Monitoraggio e indicazioni pratiche:

La Ventilazione Meccanica Non Invasiva (NIMV), altrimenti indicata come NIV (Non Invasive Ventilation) o
NPPV (Non Invasive Positive Pressure Ventilation) garantisce un supporto ventilatorio meccanico a
pressione positiva che si avvale di diverse strategie ventilatorie.Richiede un’interfaccia ventilatore-paziente
costituita da diversi tipi di device, che comprendono:

- maschera nasale;
- maschera facciale;
- maschera total-face;
- casco o scafandro.

L’efficacia della NIV dipende in gran parte dalle competenze del personale infermieristico ben addestrato
all’impiego di queste tecniche ventilatorie e con una salda esperienza in relazione a questo genere di pazienti
(se correttamente applicata, riduce l'intubazione oro tracheale e la necessità della tracheostomia.

Facilita anche lo svezzamento (weaning) dalla ventilazione meccanica invasiva).

Un altro importante vantaggio è rappresentato dalla possibilità di evitare al paziente il discomfort del tubo
endotracheale e i rischi ad esso connessi, come l'aumentata incidenza di polmonite ventilatore associata
(VAP), il prolungamento della permanenza in Terapia Intensiva e in ospedale o l'incremento della mortalità
intraospedaliera.

- Potenziali svantaggi della NIV:

troviamo il disagio causato dall'interfaccia (alcune maschere mal posizionate o lasciate in sede troppo a
lungo possono creare lesioni) o la possibilità che il supporto ventilatorio non sia sufficiente a raggiungere un
risultato adeguato.

- Quando utilizzarla:

Requisiti essenziali per l’impiego della NIV possono essere: la possibilità di effettuare un monitoraggio
adeguato, la presenza di personale addestrato e motivato, la disponibilità del personale h24 e, infine, la
possibilità di un rapido ricorso all'intubazione e alla ventilazione invasiva.

L'infermiere responsabile deve sapere riconoscere i segni fondamentali di peggioramento di un’Insufficienza


Respiratoria Acuta (IRA), conoscere il funzionamento, l'utilizzo e i possibili inconvenienti dei dispositivi per
la NIV e avere la capacità di interpretare i dati rilevati dal monitoraggio oltre che essere in grado di agire in
modo adeguato in caso di fallimento. La stretta collaborazione medico-infermiere, l’identificazione precoce
di segni e sintomi e il riconoscimento dell'evoluzione dello stato clinico del paziente contribuiscono a
migliorare la qualità dell'assistenza erogata.

- Indicazioni all'impiego della NIV:


82
Le indicazioni alla NIV riportate in letteratura comprendono patologie come:

IRA secondaria a riacutizzazione di BPCO: nelle linee guida delle maggiori società di settore (ATS, ERS, BTS,

GOLD) la NIV è indicata come il gold-standard per il trattamento dell'IRA secondaria a riacutizzazione di

BPCO;

 IRA secondaria ad edema polmonare acuto cardiogeno (EPAc): alcuni studi hanno dimostratocome
l'utilizzo della pressione positiva continua (C-pap) sia in grado di ridurre la necessità di intubazione e,
quindi, la permanenza dell’assistito in Terapia Intensiva;

 IRA di tipo ipossiemico, non cardiogena: in questo caso la raccomandazione delle maggiori società di
settore è quella di utilizzare la NIV con approccio strettamente individualizzato e in contesto che consenta
un rapido passaggio alla ventilazione invasiva in caso di mancato miglioramento;

 altre indicazioni possono comprendere il paziente politraumatizzato, la sindrome da ipoventilazione


dell'obeso, l'insufficienza respiratoria in pazienti con patologie neuromuscolari.

-Controindicazioni all'impiego della NIV:

 -coma o stato neurologico gravemente compromesso;


 -paziente non collaborante, agitato e confuso;
 -necessità di proteggere le vie aeree, ostruzioni delle vie aeree superiori, secrezioni bronchiali
importanti,
 -impossibilità di eliminare le secrezioni;
 -PNX, se non drenato;-instabilità emodinamica e severe aritmie;
 -anormalità anatomiche facciali congenite o seguite a traumi, recente trauma cranio-facciale;
 -recente intervento chirurgico delle vie aeree superiori o del tratto gastrointestinale;
 -vomito;
 -epistassi;
 -comorbilità severe.

Negli anni la NIV è diventata un presidio terapeutico ampiamente accessibile ai reparti di degenza ordinaria
per assicurare sviluppi dal punto di vista della risposta ai bisogni della persona, ma diventa cruciale avere la
possibilità di identificare a priori gli individui nei quali la NIV ha elevate probabilità di fallire, in maniera
tale da decidere di gestire questi pazienti in reparti attrezzati (come le ICU), dove sia rapidamente e
facilmente disponibile la ventilazione meccanica invasiva.

- Fattori prognostici positivi all'utilizzo della NIV:

 PaCO2 elevata in presenza di ipossiemia moderata;


 pH 7,25-7,35;
 miglioramento di pH, PaO2/FiO2, PaCO2 e frequenza respiratoria in un’ora e sensorio conservato.

- Fattori prognostici negativi all’utilizzo della NIV:

83
 elevato score fisiologico (APACHE II, SAPS II);
 presenza di polmonite;
 secrezioni abbondanti;
 edentulia (respirazione nasale);
 stato nutrizionale scadente;
 sensorio compromesso;

Tra le modalità ventilatorie quelle che più di tutte si sono affermate per l'utilizzo non invasivo sono la
Pressione positiva Continua delle vie Aeree (C-PAP) e la Ventilazione a Supporto di Pressione (PSV)
eventualmente associata ad applicazione di una Pressione Positiva di fine Espirazione Esterna (PEEP).

La C-PAP consiste nell'erogazione di una pressione positiva costante durante il ciclo respiratorio, mentre la
PSV consiste nell'erogazione di una pressione superiore a quella di fine espirazione, che viene selezionata
dall'operatore al fine di supportare i muscoli del paziente durante l'inspirazione.

- Gestione infermieristica dei pazienti sottoposti a NIV:

La gestione infermieristica della NIV risulta molto complessa in quanto si assiste frequentemente ad una
marcata riduzione del grado di collaborazione del paziente conseguente proprio allo squilibrio dei gas nel
sangue (ad es. aumento della pCO2) per cui l'infermiere deve stare a stretto contatto con il paziente al fine di
garantire l'efficacia del trattamento.

L'infermiere dedicato alla gestione della NIV deve:

 controllare lo stato di coscienza e di agitazione del paziente, avvalendosi anche di scale di


valutazione;
 informare il paziente, spiegando la procedura;
 assicurarsi la collaborazione del paziente contribuendo a far accettare al meglio il presidio con la
spiegazione dei vantaggi e sulle alternative più invasive;
 valutare la necessità di inserire un SNG per evitare la distensione gastrica ed eventuali episodi di
vomito.
 Dopo aver preparato il materiale occorrente, assemblato il circuito, acceso il ventilatore e impostato i
parametri (in collaborazione con il medico), l’infermiere poggia inizialmente la maschera al viso del
paziente (giusta maschera e di giusta misura) per permettere al paziente stesso di adattarsi.
 È responsabilità infermieristica ricordarsi di utilizzare protezioni (ad esempio, idrocolloidi) sui punti
di maggior pressione (come naso e mento) per prevenire lesioni causate dalla camera pneumatica e,
dove possbilie, variare i tipi di maschera alternando i presidi.
 La corretta adesione della maschera al viso è condizione indispensabile per evitare dispersioni di
ossiegeno e, di conseguenza, per il buon risultato del trattamento. Per fare questo, l’infermiere fissa
la maschera con apposite cinghie adattando il tutto alla morfologia del viso di ogni singolo assistito,
con l'aiuto di spessori morbidi nei punti di maggior attrito. In questo frangente l’infermiere, in
collaborazione con il medico, valuta la somministrazione di una blanda sedazione che contribuirà
all'adattamento del paziente al sistema.
 Il monitoraggio deve essere continuo. L’EGA dovrebbe essere eseguita dopo 1-2 ore di NIV e dopo
4-6 ore se la prima mostra solo lievi miglioramenti. Qualora non si verificassero dei miglioramenti

84
significativi entro questo range temporale, si procederebbe a valutare la possibilità di una
ventilazione invasiva.

CPAP “Pressione positiva continua”

- Definizione: CPAP, acronimo di Continuous Positive Airway Pressure, rappresenta un trattamento di


supporto alla respirazione durante il sonno che rappresenta la terapia di riferimento per i pazienti affetti da
apnea notturna e OSAS (Sindrome delle apnee ostruttive del sonno).

Il trattamento si avvale dell’utilizzo di un dispositivo medico, detto appunto CPAP.

- Cos’è:

E’ una macchina che assicura la ventilazione durante il sonno mediante una maschera indossata dal paziente
durante la notte o eventuali momenti di riposo diurni.
Il suo obiettivo è quello di mantenere aperte le vie aeree del paziente grazie all’incremento della pressione
dell’aria in ingresso alle vie respiratorie.

Il supporto ventilatorio fornito dalla CPAP previene infatti episodi di collasso delle vie aeree responsabili del
blocco della respirazione nei pazienti con apnee ostruttive del sonno o altre patologie respiratorie.

Per i pazienti che soffrono di apnee spesso è necessario intraprendere un trattamento di ventilazione
assistita. L’utilizzo costante della CPAP aiuta a migliorare le sintomatologie notturna e diurna causate da un
sonno disturbato, migliorando significativamente la qualità della vita.

Una corretta ventilazione notturna elimina o riduce i frequenti risvegli caratterizzati da senso di
soffocamento ed elimina il russamento.

- I principali componenti della CPAP sono:

 un corpo centrale che contiene il ventilatore


 una maschera (nasale o facciale a seconda delle caratteristiche e delle preferenze del singolo
paziente) che consente il collegamento tra le vie aeree del paziente e il dispositivo
 un tubo (detto anche circuito) flessibile di collegamento tra corpo centrale e maschera un
umidificatore (può essere incorporato nel corpo macchina o separato) che umidifica l’aria inspirata
dal paziente, eliminando l’aria secca

- Benefici della CPAP:

La CPAP è un dispositivo sicuro e rappresenta un trattamento efficace per pazienti di tutte le età, compresi i
bambini, che soffrono di apnea notturna.

Il trattamento con CPAP aiuta a proteggere il paziente da:

1. Rischio di malattie cardiache quali: ipertensione, scompenso cardiaco, aritmie.

85
- Le pause respiratorie causate dalle apnee causano molteplici cambiamenti nella pressione
sanguigna e possono ridurre i livelli di ossigeno presenti nel sangue, compromettendo la
normale attività del cuore.
- Le persone che soffrono di apnee e non effettuano il trattamento hanno una probabilità di
morte maggiore rispetto a chi le tratta con costanza.
- -Tra i problemi cardiaci che beneficiano della terapia con CPAP ricordiamo anche
l’insufficienza cardiaca congenita e la disfunzione dell’arteria coronaria.

2. Ictus: l’utilizzo regolare riduce la probabilità di avere un ictus, una delle principali cause di morte e di
invalidità. L’ictus è una improvvisa perdita della funzione cerebrale e si verifica quando c’è un blocco o una
rottura nei vasi sanguigni che portano al cervello.

3. Diabete di tipo II: l’utilizzo migliora la sensibilità all’insulina. L’apnea notturna è correlata all’intolleranza
del glucosio e all’insulino-resistenza.

4. Incidenti: l’utilizzo diminuisce la sonnolenza diurna e aumenta la concentrazione. Di conseguenza, ha un


effetto positivo anche sulla reattività alla guida, prevenendo i colpi di sonno che sono una delle cause
principali di incidenti stradali e sul lavoro.

- Effetti collaterali

Il trattamento non presenta importanti effetti collaterali. Talvolta, alcuni soggetti predisposti potrebbero
riscontrare fastidi come:

 Segni delle fasce della maschera sul viso. In questo caso, basterà regolare la maschera evitando di
stringerla troppo o eventualmente cambiando il modello della stessa cercandone una più conforme al
proprio viso.

 Sensazione di naso secco e mal di gola. A questo inconveniente si può fare fronte facilmente collegando un
umidificatore al dispositivo.

 Congestione nasale, risolvibile utilizzando uno spray a base salina facilmente reperibile in farmacia.

Per abituarsi all’uso della Cpap si consiglia di iniziare ad usarla per poche ore e aumentare l’utilizzo
gradualmente fino ad arrivare a coprire tutta la notte.

Può essere prescritta solo dal medico specialista, che procederà alla scelta del modello più adatto e alla sua
taratura (titolazione) in base alle esigenze di ogni singolo paziente.

- Tipologie di Cpap esistenti:

L’apparecchiatura di base contiene il ventilatore ed è disponibile in quattro tipologie differenti, a seconda del
funzionamento. Tutti i dispositivi comprendono una maschera che viene fissata al viso grazie a delle fasce
morbide e collegata all’apparecchiatura tramite un tubo di connessione flessibile.

1. Cpap  La Cpap è un ventilatore medico che eroga un flusso d’aria continuo a pressione positiva costante:
è utilizzato per evitare le ostruzioni ed il collasso delle vie aeree superiori durante il sonno. Viene regolata
86
alla pressione minima necessaria per tenere aperte le vie respiratorie. Questo dispositivo viene impiegato per
contrastare la sindrome delle apnee notturne (Osas). La configurazione della macchina e l’identificazione
esatta della pressione d’aria verrà effettuata in base alle caratteristiche del paziente ed è a cura del medico
specialista che lo ha seguito dalla diagnosi fino alla terapia.

2. AutoCpap  L’Auto-Cpap è un modello particolare di Cpap (versione intelligente) che regola


automaticamente, attraverso un algoritmo, il livello d’aria da erogare al paziente in base alla presenza di
apnee/ipopnee e all’intensità del russamento.

Solitamente utilizzano l’Auto-Cpap quei pazienti che fanno fatica ad adattarsi alla Cpap normale.

L’AutoCpap viene anche adottata per contrastare episodi di apnee/ipopnee che si verificano solo in alcune
fasi del sonno.

Il medico specialista imposterà il dispositivo indicando un intervallo di pressioni – livello di pressione


minima e livello di pressione massima – (ad esempio da 6 a 12 cmH20) che la macchina regolerà
autonomamente durante il sonno del paziente in base al suo decorso.

Grazie ad un software interno le AutoCpap sono in grado di capire qual è la pressione minima necessaria
per tenere aperte le vie aeree del paziente.

3. Ventilatore Bilevel  Il ventilatore Bi-level è in grado di utilizzare due livelli pressori diversi sia per
l’inspirazione che per l’espirazione.

Questo dispositivo viene utilizzato per quei pazienti che non riescono a tollerare la Cpap o che soffrono di
patologie come la broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), oppure da pazienti obesi con
ipoventilazione o patologie da deficit motorio della gabbia toracica.

La ventilazione non è invasiva ed assiste la respirazione alveolare polmonare del paziente.

4. Ventilatore Servo-Assistito  Il ventilatore Servo-Assistito fa parte della famiglia dei ventilatori Bi-Level e
viene prescritto a quei pazienti complessi che:

1. presentano apnee centrali, miste e che hanno patologie che colpiscono il centro del respiro (Respiro di
Cheyne Stokes) o

2. hanno problemi correlati al sonno che causano insufficienza cardiaca. Questi pazienti presentano spesso
comorbilità cardiovascolari (presenza contemporaneamente di più patologie).

Gli apparecchi in uso si differenziano unicamente per design, rumorosità, peso e dimensioni. Solitamente i
pazienti scelgono l’apparecchio di comune accordo con lo specialista.Per il successo del trattamento è
fondamentale che l’apparecchio e la maschera prescelti siano assolutamente adatti al paziente e non
interferiscano con le sue abitudini del sonno.

Cpap maschere (Caratteristiche comuni):

87
 Le parti della maschera che entrano a contatto con la pelle sono in materiale anallergico per
rispettare anche le pelli più sensibili e delicate
 Tutte le maschere sono dotate di fasce elastiche che servono per tenerle bloccate sul viso e non
permettere fuoriuscite d’aria durante l’utilizzo del dispositivo. Grazie a tali fasce è possibile trovare
la giusta misura per ogni singolo paziente
 Tutte le maschere presentano anche dei buchi che consentono la fuoriuscita dell’anidride carbonica
espirata
 Alcune parti sono sostituibili, per assicurare una durata maggiore nel tempo è necessario effettuare
una pulizia regolare

Tipi di maschera esistenti:

 Maschere nasali (oronasali) – sono quelle più comuni perché si adattano bene ad ogni tipo di viso. Si
sistemano sul naso e si fissano con un laccio dietro la testa. Non sono però adatte se non si riesce a
respirare bene dal naso.
 Maschere facciali integrali – sono utili per chi respira solo dalla bocca o per chi alterna regolarmente
la respirazione tra naso e bocca.
 Maschere con olive nasali – sono maschere di dimensioni molto piccole che si inseriscono
direttamente nelle narici. Rappresentano una valida alternativa agli altri tipi di maschera, specie per
chi soffre di claustrofobia con una maschera facciale o per chi non riesce a trovare la maschera
adatta.

Oltre a questi tre tipi principali, esistono molte altre maschere di uso meno frequente.

Trovare la maschera giusta è il primo passo per seguire con successo la terapia con CPAP.E’ bene sapere che
tutte le maschere per CPAP si usurano con il normale utilizzo. Per garantire un corretto funzionamento della
terapia occorre cambiare la maschera con regolarità, almeno una volta ogni 6-12 mesi.

In alcuni casi è necessario ricorrere anche all’utilizzo di un umidificatore, integrato in alcune macchine. Il
ruolo dell’umidificatore è quello di rendere l’aria respirata più calda, prevenendo quindi la secchezza della
gola e del naso.

 Casco per ventilazione non invasiva:

“Il casco (o scafandro) è un particolare dispositivo utilizzato in ambito intensivo e semi-intensivo per la
somministrazione della CPAP (Continous Positive Airway Pressure). La sua praticità d’uso la rende una
delle attrezzature più utilizzate in questo ambito.”

Com’è fatto il casco per l’erogazione della CPAP:

Il casco per l’erogazione della CPAP è un dispositivo in PVC trasparente, la cui tenuta è garantita da un
collare estensibile che si adatta al collo del paziente e viene fatto indossare in modo da circondare l’intera
testa.
Il casco è fissato al paziente con due cinghie regolabili che vengono fatte passare sotto il cavo ascellare ed
ancorate all’anello rigido.

88
Oltre che per la CPAP, questo dispositivo può essere impiegato anche per la Non Invasive Ventilation (NIV).

Più nel dettaglio, il fissaggio del casco è necessario in quanto la pressurizzazione dello scafandro determina
una costante spinta verso l’alto del presidio. Per questo motivo si possono utilizzare tre accorgimenti:

1. Fasce ascellari: possono essere posizionate per un massimo di 2 ore (successivamente alle quali possono
insorgere decubiti) e qualora la PEEP sia di valori inferiori a 10, superati i quali la forza di spinta è maggiore
di 2 kg

2. Fettuccia di garza con ancoraggio al letto tramite cerotto: questa metodica, tuttavia, limita i movimenti del
paziente e di conseguenza ne diminuisce la collaborazione

3. Sistema a contrappeso: le cinghie non vengono fissate sotto le ascelle, ma vengono fatte passare sopra le
spalle del paziente, applicando per ogni lato del paziente pesi di 2 kg (ad esempio i pesi delle trazioni
transcheletriche)Erogazione del flusso di gas

Il flusso di gas può essere erogato all’interno dello scafandro attraverso l’utilizzo di due dispositivi che
permettono di conoscere con esattezza la FiO2 erogata: una scatola flussometrica con miscela di aria
compressa-ossigeno oppure un sistema Venturi con alimentazione ad ossigeno.

In riferimento alla valvola per l’erogazione della PEEP (Positive End-Expiratory Pressure), ne esistono di due
tipologie: meccanica, nella quale la PEEP viene generata da una resistenza applicata con una molla, oppure
ad acqua, dove la PEEP viene generata dall’immersione in acqua del tubo espiratorio.

Monitoraggio del paziente con casco per CPAP

I principali parametri che vanno costantemente monitorati sono:

 SpO2
 FC
 PA in continuo (invasiva o non invasiva)
 Ristagno gastrico: la pressurizzazione delle vie aeree ottenuta con la CPAP con il casco può
determinare una distensione gastrica da ingestione di gas medicaleTuttavia, il sondino nasogastrico
non va posizionato di default: lo sfintere esofageo inferiore si apre a pressioni > 30 cmH2O (non
raggiunte con la CPAP) e il sondino stesso determina l’inefficacia dello sfintere.

Uno degli elementi del discomfort del paziente durante la ventilazione con questo presidio è rappresentato
dal rumore dovuto alla turbolenza dei flussi d’aria nel circuito. Per questo motivo, al fine di ridurlo, possono
essere utilizzati alcuni accorgimenti quali l’utilizzo di tubi con superficie interna liscia, il posizionamento di
un filtro HME oppure l’applicazione di tappi per le orecchie al paziente.

Infine, quando si utilizza questo sistema, è necessario il posizionamento nel circuito inspiratorio di un
umidificatore attivo per pazienti che necessitano dell’applicazione dell’elmetto per lungo periodo.

Vantaggi e svantaggi del casco per CPAP:

Vantaggi
89
- Assenza di rischi di lesioni da pressione al volto;
- Permette l’alimentazione con SNG e l’apporto di liquidi con una cannuccia senza
interrompere la

 ventilazione;

- È ben tollerato anche dal paziente dispnoico;


- Permette elevati flussi di ossigeno;

Svantaggi

- Scarsa tollerabilità per claustrofobia;


- Impossibilità di alimentazione fisiologica;
- Difficoltà di comunicazione;

ASSISTENZA AL PAZIENTE CON NUTRIZIONE ENTERALE TOTALE O PARZIALE


La Nutrizione Parenterale si riferisce all’assunzione di sostanze nutritive tramite un accesso venoso centrale
o periferico. Esistono due tipi di nutrizione: la Nutrizione Parenterale Totale (NPT) e
la Nutrizione Parenterale Parziale (NPP). La NPP si somministra attraverso le vene periferiche e per questo
non può essere costituita da preparati come quelli delle linee centrali (al massimo destrosio al 10-12%), anche
se può contenere lipidi. La NPP è considerata una modalità di nutrizione più sicura e conveniente della NPT.
Non dà problemi metabolici associati alle soluzioni di destrosio altamente concentrate o complicazioni
settiche associate al CVC. Lo svantaggio principale è rappresentato dalla frequente incidenza
di flebite associata alla NPP. La NPP è somministrata a pazienti che necessitano di nutrizione endovenosa
per un breve periodo o in pazienti che necessitano di un supplemento a una normale dieta enterale o quando
il posizionamento di un CVC è controindicato. La nutrizione parenterale parziale è una terapia di solito
utilizzata per prevenire e non per correggere i deficit nutrizionali.
La NPT è l’infusione continua nelle 24H di sacche endovenose preparate allo scopo di sopperire al
fabbisogno energetico, lipidico, protidico, sali minerali e acqua del pz ed essa prevede la somministrazione
di acqua (da 30 a 40ml/kg/die), di energia (da 30 a 60kcal/kg/die) a seconda del dispendio energetico e di
aminoacidi (da 1 a 3g/kg/die) a seconda del grado del catabolismo. La quantità di insulina pronta da
somministrare (aggiunta direttamente alla soluzione della NPT) dipende dai valori della glicemia; se la
glicemia è normale (70-110mg/dl a digiuno) la dose iniziale è in genere di 5-10U di insulina pronta/l di NPT
con una concentrazione totale di glucosio pari al 25%. All'inizio la soluzione viene infusa lentamente, al 50%
delle necessità calcolate per il paziente, completando il bilancio dei liquidi con soluzioni glucosate al 5%. La
NPT, in quanto è riconosciuta come una procedura invasiva, dovrebbe essere presa in considerazione
quando la via enterale non è assolutamente praticabile o quando il paziente non è in grado di tollerare
l’alimentazione enterale. In particolar modo si ricorre alla NPT in caso di:
 Pazienti gravemente malnutriti che devono essere preparati per un intervento chirurgico,
per la radioterapia o per la chemioterapia per cancro, sono sottoposti a NPT prima e dopo
il trattamento, per migliorare e mantenere il loro stato nutrizionale.
 Negli interventi di chirurgia maggiore, nei casi di ustioni gravi e di fratture multiple,
specialmente in presenza di sepsi in quanto la NPT riduce la morbilità e la mortalità correlate,
promuove la riparazione tissutale e aumenta la risposta immunitaria.
 Gli stati di coma e di anoressia prolungati spesso richiedono una NPT dopo la
somministrazione di una nutrizione enterale intensiva nelle fasi precoci.
90
La Nutrizione Parenterale non è priva di rischi. Le complicanze possono essere classificate in 3 categorie:
meccaniche (1), metaboliche (2) e infettive (3).
1. Le complicanze meccaniche si riferiscono alla gestione dell’accesso venoso ed
includono pneumotorace (spesso correlato alla puntura della pleura durante l’inserimento del
CVC), versamento pleurico (dato dall’accumulo di liquido nella cavità pleurica che può
verificarsi se l’infusione della nutrizione parenterale è iniziata prima della conferma del buon
posizionamento del catetere, stabilito con l’aspirazione di sangue da questo o per successiva
dislocazione) ed emotorace. L’embolia, data da frustoli di materiale che possono provenire dallo
stesso catetere, è una complicanza che rimane tra le meno frequenti anche se altamente mortale.
2. Fluidi e squilibri idroelettrolitici, intolleranza al glucosio, deficit d’insulina, carenza di
micronutrienti…
3. Sono associate al catetere venoso, tuttavia l'infezione può derivare da traslocazione batterica
causata dalla manipolazione impropria della soluzione per nutrizione parenterale ma
anche dalla contaminazione da batteri presenti sulla cute o può essere dovuta ad altri batteri o
funghi, che in genere vengono introdotti nel sistema chiuso quando si utilizzano tecniche
asettiche inadeguate durante la cura. L’infezione si manifesta con febbre, malessere e
tachicardia, e richiede un trattamento immediato per evitare complicazioni critiche come
endocardite e metastasi settica.
Riconoscere le complicanze associate alla nutrizione parenterale è essenziale per la rapida identificazione e
per il trattamento delle complicanze potenzialmente pericolose per la vita. Il controllo delle infezioni è
della massima importanza. L’infermiere deve sempre osservare la tecnica asettica chirurgica quando cambia
le soluzioni, i deflussori, le medicazioni e i filtri. I pazienti sono inoltre a maggior rischio di squilibri di fluidi,
elettroliti e glucosio, per cui è necessaria una frequente valutazione e modificazione della miscela per NPT.
Una volta stabilito l'accesso vascolare, la gestione della nutrizione parenterale è di responsabilità
infermieristica. I compiti specifici comprendono:
 Attuare la terapia nutrizionale prescritta secondo protocolli validati
 Gestione delle linee di somministrazione in merito all'utilizzo delle pompe
infusionali, sostituzione delle sacche e dei deflussori, regolazione delle velocità di infusione
 Valutazione e monitoraggio della canalizzazione
 Mantenimento di attività intestinale, con applicazione di protocolli di stimolazione, là
dove necessario
 Monitoraggio del paziente per un possibile squilibrio idrico e per ulteriori complicanze e
contenimento di effetti collaterali attraverso la modulazione dei flussi d'erogazione,
 Sostituzione di nutrienti, applicazione di interventi di sorveglianza infettiva (colture, terapie
 mirate)
 Interventi di educazione sanitaria rivolti al paziente e ai familiari
L’infermiere inoltre può e deve partecipare alla scelta della via di accesso e del dispositivo venoso centrale
da impiantare (catetere monolume vs. lumi multipli; accesso a breve termine vs. a lungo termine;
catetere tunnellizzato vs. sistema totalmente impiantato tipo port).
Il personale opportunamente addestrato può aiutare con il monitoraggio della glicemia e può comunicare
all’infermiere il malfunzionamento della pompa di infusione e qualsiasi indicazione circa possibili
infiltrazioni o dislocazione del CVC. I pazienti e/o membri della famiglia dovrebbero ricevere una
formazione specifica se la nutrizione parenterale dovesse essere somministrata a domicilio.

91
Preparazione delle soluzioni NPT
La soluzione nutritiva deve essere preparata in locali idonei e specificamente adibiti, da personale qualificato
del servizio centralizzato di farmacia o del servizio di Nutrizione Clinica dell’ospedale, su prescrizione
medica ed in base alle specifiche esigenze del paziente. La tecnica di preparazione deve essere asettica e
mediante l’uso di cappa a flusso laminare di aria sterile per ridurre sostanzialmente la contaminazione dei
liquidi per la NPT. L’infermiere deve controllare prima dell’inizio dell’infusione della NP l’integrità della

92
sacca e deve anche provvedere alla conservazione adeguata delle sacche nutrizionali, secondo le modalità e
istruzioni del servizio di farmacia.
Somministrazione della soluzione
Il deflussore e la linea utilizzati per l’infusione della NPT vanno sostituiti entro 24 ore dall’inizio
dell’infusione. Il deflussore della sacca deve essere collegato al catetere del paziente, prestando la massima
attenzione ad usare una tecnica strettamente asettica; durante questa manovra può avvenire una
contaminazione del CVC ed il raccordo deve essere protetto con garza sterile. Le infusioni di preparati per la
NP contenenti lipidi e/o lipidi da soli devono essere terminate entro le 24 ore dall’inizio della
somministrazione. Ridurre al minimo le manipolazioni delle sacche nutrizionali e dei dispositivi medici al
fine di evitare possibili contaminazioni esogene.
L’infermiere deve registrare nella documentazione infermieristica tutti i dati riferiti alla gestione dell’accesso
e della nutrizione artificiale.
La sorveglianza microbiologica
• 38°C Coltura della cute adiacente il sito di inserzione del catetere quando si nota presenza di materiale
sieroso o purulento
• Coltura del liquido della sacca nutrizionale in caso di comparsa di ipertermia superiore a 38°C con brivido
• Emocoltura sia periferica che centrale (da ciascuna via, in caso di CVC multilume) in caso di iperpiressia
superiore a 38.5°

ASSISTENZA AL PAZIENTE CON ALTERAZIONE DELLA MINZIONE/DIURESI, CATETERISMO


VESCICALE
L’urina è il risultato dell’attività di filtrazione del rene. E’ scontato dire che l’analisi delle urine può indicarci
preziosi indizi patologici. Gli infermieri devono saper distinguere le varie alterazioni della minzione, per
poter intervenire nell’assistenza al paziente. Ogni giorno il rene filtra circa 200 litri di plasma e la quantità
media prodotta di urina da un uomo adulto è di circa 1,5 litri/dd. Una volta filtrata dal rene, l’urina arriva
all’interno della vescica passando attraverso un uretere, presente sia destro che sinistro in quanto abbinati
ognuno ad un rene. Quest’ultima ha la funzione di raccolta dell’urina fino a che, grazie all’uretra, essa non
raggiunge l’esterno del corpo e viene quindi espulsa attraverso la minzione.
Le principali alterazioni della minzione sono:
 Enuresi: Minzione involontaria e mancato controllo della stessa dovuta a lesioni midollari o
perdita di coscienza.
 Pollachiuria: Minzioni molto frequenti (causate ad esempio da processi infiammatori)
 Stranguria: Minzione a gocce (lenta ed intermittente).
 Disuria: Difficoltà nella minzione accompagnata a volte da dolore.
 Tenesmo: Stimolo impellente con mancata minzione.
 Ritenzione: Produzione normale di urina con mancata minzione e ristagno in vescica.
 Incontinenza: Minzione involontaria.
 Riguardo invece le alterazioni della diuresi, troviamo:
 Oliguria: Diuresi inferiore alle 400/500 ml/minzione
 Poliuria: Diuresi superiore alle 2000 ml/dd.
 Anuria: Assenza di produzione di urica dovuta a mancata filtrazione.
 Isostenuria: urine a bassa concentrazione.
 Nicturia: Aumento della produzione di urine nelle ore notturne.
 Ematuria: Presenza di sangue nelle urine.
 Emoglobinuria: Presenza di emoglobina nel sangue ed assenza di globuli rossi.

93
 Piuria: Presenza di pus nelle urine.
 Cilinduria: Coagulazione di proteine, emazie e leucociti.
 Proteinuria: Presenza di proteine nelle urine.
 Leucocituria: Presenza di globuli bianchi nelle urine.
 Glicosuria: Presenza di glucosio nelle urine. Può verificarsi in caso di paziente con diabete
superiore ai 180 mg/ml.
 Pneumaturia: Presenza di bolle d’aria nelle urine.
Ritenzione urinaria: La ritenzione urinaria è definita come l’incapacità a svuotare completamente la vescica a
causa di alterazioni a carico dello sfintere uretrale o del muscolo detrusore con la conseguente formazione
del cosiddetto globo vescicale per accumulo dell’urina normalmente prodotta dai reni fino a trattenere
volumi di urina molto elevati (>2000ml). Si parla di ritenzione urinaria acuta quando si presenta
improvvisamente ed è accompagnata da dolore e dalla incapacità di svuotare la vescica anche se piena,
mentre si parla di ritenzione urinaria cronica quando il fenomeno è quasi sempre indolore in presenza di
ristagno vescicale. La ritenzione urinaria è una complicanza che si verifica in diverse condizioni patologiche,
le quali sono comunemente classificate in:
 ostruttive
 infettive
 infiammatorie
 farmacologiche
 neurologiche
 complicanze post-operatorie
 gravidanza
 traumi
Indipendentemente dalla causa sottostante, la ritenzione urinaria si verifica quando il paziente non è in
grado di urinare e il ristagno vescicale supera i 400ml. In letteratura il volume del ristagno vescicale varia da
150 a 600ml. In questo caso è opportuno il cateterismo vescicale seguito dal trattamento della causa. Il
posizionamento del catetere vescicale è indicato per:
 monitoraggio della diuresi delle 24 ore
 interventi chirurgici complessi
 interventi chirurgici urologici
 ritenzione urinaria con ristagno >1000ml
Una volta posizionato, il catetere vescicale dovrebbe essere rimosso prima possibile, perché l’incidenza di
infezioni urinarie correlate al catetere è molto elevata e grava pesantemente sull’ospedalizzazione, sulla
qualità della vita della persona e sui costi sanitari.
Accertamento ed interventi infermieristici
 Accertare la quantità, la frequenza e l’aspetto delle urine
 Accertare il modello di eliminazione del soggetto, storia di precedenti problemi urinari
 Monitorare i parametri vitali e il bilancio idrico
 Verificare la presenza di edemi periferici
 Registrare gli intervalli tra le minzioni e misurare il volume urinario
 Eseguire la palpazione e la percussione della zona sovra pubica
 Chiedere al paziente se avverte dolore, senso di pienezza, difficoltà ad urinare
 Valutare attraverso l’ecografia pelvica il volume residuo di urina nella vescica ed eseguire il
cateterismo (se indicato) rispettando la tecnica asettica
 Decomprimere la vescica moderatamente

94
 Controllare il peso corporeo ogni giorno
 Se possibile far urinare il paziente in posizione eretta
 Garantire il più possibile la privacy
 Effettuare manovre che possono facilitare la minzione
 Educare il paziente a riconoscere segni e sintomi di distensione della vescica e riduzione
della diuresi
 Educare il paziente a riconoscere segni e sintomi di infezione del tratto urinario.
Incontinenza urinaria: L’incontinenza urinaria consiste nella perdita involontaria di urina, un disturbo che
può essere dovuto a diversi fattori: dalla perdita di controllo degli sfinteri ad infezioni del tratto urinario o
disturbi neurologici. L’incontinenza urinaria può essere classificata in base alla sintomatologia:
 Incontinenza urinaria da stress: perdita involontaria di urina a seguito di aumentata
pressione addominale che si verifica nello sforzo fisico, starnuti, tosse, attività sessuale.
 Incontinenza urinaria da urgenza: l’individuo sente un’improvvisa necessità di urinare e non
riesce a trattenere l’urina prima di raggiungere il bagno.
 Incontinenza urinaria mista: Si parla di Incontinenza mista quando sono presenti sia
l’incontinenza da stress che quella da urgenza.
 Incontinenza urinaria da rigurgito: Perdita involontaria di urine che si verifica quando viene
superata la capacità massima della vescica di contenere l’urina.
 Incontinenza urinaria riflessa: Perdita del controllo della vescica tipica dei disturbi
neurologici, comporta la disfunzione dei normali meccanismi di controllo neurologico del
muscolo detrusore e dello sfintere.
 Incontinenza urinaria totale: Continua, involontaria perdita di urina senza distensione
vescicale dovuta frequentemente a lesioni neurologiche centrali, traumi a carico dell’apparato
uro-genitale, malformazioni congenite.
Interventi infermieristici
 Valutare la durata, la frequenza e le caratteristiche dell’incontinenza
 Valutare storia di interventi di chirurgia pelvica
 Terapia farmacologica
 Valutare se l’incontinenza si verifica durante lo sforzo fisico. Eseguire il “test della tosse”
 Accertare gravidanze pregresse
 Accertare presenza di prolasso uterino
 Palpare l’addome per rilevare masse o globo vescicale
 Accertare la presenza di malattie neurologiche, ictus, malattie cronico-degenerative, diabete
mellito, obesità
 Valutare il grado di autonomia e lo stato cognitivo utilizzando scale di valutazione
scientificamente validate
 Chiedere al paziente di tenere un diario minzionale per valutare il modello urinario
 Incoraggiare il paziente ad assumere un adeguato volume di liquidi per la tendenza a
ridurre l’introito di liquidi e limitare gli episodi di incontinenza
 Ai pazienti obesi consigliare di perdere peso avvalendosi del supporto di un nutrizionista
 Favorire l’aderenza alla terapia farmacologica prescritta
 Insegnare al paziente gli esercizi di Kegel (contrazioni volontarie dei muscoli del pavimento
pelvico che sostengono utero, uretra, vescica e retto utili a migliorarne il tono muscolare) per
rafforzare i muscoli del pavimento pelvico

95
 Informare il paziente sui possibili presidi per l’incontinenza come pannolini assorbenti o slip
assorbenti progettati per assorbire l’urina
 Favorire l’accesso alla toilette e consigliare le minzioni programmate
 Educare il paziente a ridurre il consumo di caffeina e alcol
 Pianificare interventi educativi per la ginnastica vescicale e gli esercizi di Kegel
 Valutare la disponibilità di servizi igienici o presidi che possano facilitare la minzione
 Valutare il grado di autonomia del paziente nel raggiungere il bagno
 Accertare la disponibilità di servizi igienici al domicilio del paziente: distanza dalla camera
al bagno, ostacoli lungo il percorso, illuminazione adeguata, presenza di tappeti, presenza o
meno di presidi per disabili
 Valutare il bisogno del paziente di dispositivi di assistenza come deambulatori, sedie a
rotelle, comode, ecc.
 Consigliare l’uso di indumenti facili da rimuovere, larghi, con elastici piuttosto che bottoni
 Garantire la privacy
 Educare i familiari sull’importanza di rispondere alle richieste dell’assistito di urinare
 Negli uomini applicare il condom che consente al paziente di restare asciutto, soprattutto
nelle ore notturne
 Eseguire il cateterismo ad intervalli regolari
 Prevenire l’irritazione della cute ed eventuali lesioni correlate alla presenza di urina
 Pianificare interventi educativi per l’auto-cateterismo.
Cateterismo vescicale
Il catetere vescicale è un drenaggio in lattice o silicone che, attraverso l’uretra, viene introdotto in vescica per
favorire la fuoriuscita di urina e può essere utilizzato a scopo diagnostico, terapeutico o evacuativo. L’uso
del catetere, essendo associato ad un aumento del rischio di infezioni delle vie urinarie, deve essere limitato
ai casi in cui non sia praticabile nessuna alternativa (ad esempio nei casi di ostruzione delle vie urinarie o
ritenzione urinaria, disfunzioni neurologiche della vescica, interventi chirurgici, incontinenza urinaria,
ecc.). L’infermiere, come sancito dal Profilo Professionale, è responsabile dell’assistenza generale
infermieristica e può effettuare manovre invasive in autonomia, previa prescrizione medica, tra cui
l’inserimento di un catetere vescicale.
Procedura standard per l’inserimento
L’infermiere, seguendo le fasi del processo di assistenza, procede all’accertamento infermieristico e valuta:
 scopo e tipologia del cateterismo prescritto dal medico;
 l’eventuale condizione di distensione vescicale;
 eventuali segni e sintomi di infiammazione del meato urinario.
Posizionamento: Si assicura della presenza di tutto il materiale occorrente all’esecuzione della procedura:
 catetere vescicale del tipo e della misura giusta;
 sacca di raccolta urine graduata e a circuito chiuso;
 kit per cateterismo: telino sterile, telino sterile fenestrato, tamponi sterili, 2 paia di guanti
sterili, antisettico, lubrificante, siringa da 10 ml, 10 ml di soluzione fisiologica;
 effettua l’igiene delle mani, identifica e garantisce la privacy del paziente;
 spiega al paziente con parole adatte al suo livello di comprensione le fasi e l’utilità della
manovra che si sta per eseguire affinché egli comprenda pienamente ciò che verrà effettuato e
aumenti la sua collaborazione;
L’infermiere, durante la fase di esecuzione della manovra

96
 effettua l’igiene dei genitali e dell’area perineale del paziente per ridurre la flora microbica
transitoria;
 apre il kit per il cateterismo e indossa il primo paio di guanti sterili;
 prepara il campo sterile sul quale ripone tutto il materiale;
 bagna i batuffoli di cotone con l’antisettico;
Catetere vescicale nell’uomo:
 abbassa il prepuzio e con movimenti circolari decontamina la zona dal meato urinario fin
verso lo scroto;
 rimuove il primo paio di guanti sterili;
 apre le confezioni di catetere e sacco di raccolta e li ripone sul campo sterile;
 indossa il secondo paio di guanti sterili;
 collega il catetere alla sacca di raccolta;
 introduce alcuni ml di soluzione fisiologica nel catetere per verificare la funzionalità del
palloncino di ancoraggio;
 posiziona il telino sterile fenestrato intorno all’area genitale del paziente;
 lubrifica il catetere con una parte del lubrificante in dotazione;
 introduce in uretra il restante quantitativo di lubrificante mantenendo la sterilità della mano
dominante;
 introduce il catetere mantenendo il pene in posizione perpendicolare rispetto all’addome;
 appena percepisce una resistenza al passaggio del catetere, sposta il pene in posizione
orizzontale rispetto all’addome;
 verifica la fuoriuscita di urina nel sacco di raccolta a garanzia del corretto posizionamento in
vescica del catetere;
Catetere vescicale nella donna:
 decontamina il meato urinario partendo dall’alto verso il basso e dall’interno verso
l’esterno;
 rimuove il primo paio di guanti sterili;
 apre le confezioni di catetere e sacco di raccolta e li ripone sul campo sterile;
 indossa il secondo paio di guanti sterili;
 collega il catetere alla sacca di raccolta;
 introduce alcuni ml di soluzione fisiologica nel catetere per verificare la funzionalità del
palloncino di ancoraggio;
 posiziona il telino sterile fenestrato intorno all’area genitale della paziente;
 lubrifica il catetere e lo introduce nel meato urinario;
 verifica la fuoriuscita di urina nel sacco di raccolta a garanzia del corretto posizionamento in
vescica del catetere;
Cateterismo nell’uomo e nella donna: Introduce i 10 ml di soluzione fisiologica sterile nell’apposita via di
ancoraggio del palloncino; Fissa la sacca di raccolta dell’urina a valle rispetto al paziente, senza che essa
tocchi il terreno e controllando che il tubo passi sopra la gamba e non abbia inginocchiamenti.
L’infermiere, nella fase successiva all’esecuzione della manovra:
 riveste l’assistito;
 smaltisce i rifiuti;
 effettua l’igiene delle mani;
 registra la procedura effettuata, il tipo e il calibro del catetere posizionato, le caratteristiche
dell’urina;

97
 ripristina il materiale.
Insieme alle responsabilità appena esposte, l’infermiere agisce in autonomia anche competenze
discrezionali: sa scegliere, in base alle caratteristiche del singolo paziente e alla qualità delle sue urine, il
calibro del catetere adatto a ridurre al minimo le reazioni da corpo estraneo, ad evitare l’ostruzione del
catetere stesso e a garantire contemporaneamente un buon drenaggio; Conosce l’importanza e garantisce la
sterilità della procedura di inserimento del catetere vescicale, continuando a gestirlo previa igiene delle mani
e senza mai interrompere il circuito chiuso al fine di ridurre il rischio di infezione delle vie urinarie; Sa
riconoscere in maniera tempestiva i segni e sintomi di infezione delle vie urinarie.
Come è fatto il catetere vescicale?
Il catetere vescicale è una forma di drenaggio, il cui sistema è formato dal catetere stesso, un circuito di
drenaggio e una sacca di raccolta. In particolare, i parametri secondo i quali si distinguono i cateteri sono
quattro:
 calibro (o diametro esterno);
 numero delle vie;
 materiale e consistenza;
 caratteristiche dell’estremità prossimale.
A seconda dello scopo della manovra e a seconda delle caratteristiche del singolo assistito, la manovra di
cateterismo potrà essere:
 temporanea;
 intermittente;
 a permanenza.
Calibro dei cateteri vescicali
Con calibro si intende il diametro esterno del catetere, che viene misurato sulla scala di Charrière, secondo la
quale 1 Ch equivale a 1/3 mm. Più il calibro è piccolo e meno rischiamo di provocare lesioni uretrali; vero
anche che, però, più lenta sarà l’evacuazione delle urine. Indicativamente si scelgono cateteri di calibro:
 12-14 Ch in caso di urine chiare;
 16-18 Ch urine torbide;
 20-24 Ch piuria e macroematuria.
Queste sono indicazioni generali, nella pratica la scelta del calibro va effettuata tenendo conto, oltre alle
caratteristiche delle urine, della conformazione fisica del paziente, sempre nell’ottica di non creare traumi
che potrebbero degenerare in complicanze anche molto gravi e di ridurre il più possibile il disagio per
l’assistito. Il catetere vescicale può essere:
 a una via, utilizzato per il cateterismo temporaneo/intermittente;
 a due vie, dotato di una via per il deflusso delle urine e di una che, mediante apposita
valvola, permette la distensione di un palloncino per l’ancoraggio in vescica;
 a tre vie, dotato di una via per il drenaggio, una per l’ancoraggio e una terza per consentire
l’irrigazione vescicale.
Il materiale
È necessario che il materiale del catetere vescicale sia inerte, ovvero che non determini reazioni quali episodi
allergici o flogistici. Trattandosi sempre di un corpo estraneo, non esiste un materiale che sia tollerabile in
senso assoluto; la biocompatibilità (ovvero la compatibilità fra il materiale “estraneo” e il tessuto organico
che vengono posti a contatto) è variabile in base al materiale stesso e al tempo di permanenza in sede del
catetere. Possono essere:

98
 catetere in lattice: trattandosi di gomma purificata è la tipologia di materiale più morbida; è
indicato per i cateterismi a breve termine (massimo 7 giorni), poiché è un materiale che può dare
allergia e favorisce l’insorgere di incrostazioni;
 catetere in silicone: è un materiale morbido, inerte e ad elevata biocompatibilità, cosa che lo
rende l’ideale per il cateterismo a lungo termine (30 giorni);
 catetere in hydrogel: lattice con rivestimento polimerico idrofilo, delicato sulla mucosa
uretrale, abbassa sensibilmente il rischio di incrostazioni e colonizzazione batterica;
 catetere in PVC: materiale fisiologicamente innocuo, presenta un basso rischio di irritazione
della mucosa grazie al minor attrito che esercita. Indicato nel cateterismo intermittente, si
presenta anche in formati autolubrificanti.
La consistenza
Per quanto riguarda la consistenza, i cateteri vescicali si dividono tra:
 molli: costituiti da gomma, lattice o silicone, sono quelli che garantiscono maggiore confort
per il paziente e sono quelli più indicati per l’uso protratto nel tempo;
 semirigidi: costituiti da gomma o plastica, vengono utilizzati in casi particolari, quali ad
esempio: restringimento dell’uretra o ipertrofia prostatica nell’uomo, casi di ematuria
importante o di emorragia vescicale;
 rigidi: costituiti da materiale sintetico, si usano in casi molto rari e particolari, generalmente
come “dilatatori”.
Le estremità prossimali
In base alle caratteristiche dell’estremità prossimale del catetere vescicale si possono distinguere le seguenti
tipologie di presidi:
 Catetere Foley: molle e confortevole per il paziente, ha l’estremità dotata di un palloncino
gonfiabile (per mezzo di soluzione fisiologica sterile) che ne permette l’ancoraggio e due fori
contrapposti e simmetrici tra loro;
 Catetere Nelaton: utilizzato soprattutto nella donna, ha l’estremità prossimale arrotondata e
rettilinea, con uno o due fori di drenaggio tra loro contrapposti;
 Catetere Mercier: semirigido, presenta la punta arrotondata dotata di uno o due fori di
drenaggio e una curvatura di circa 30°-45° per facilitare l’inserimento del catetere nell’uomo con
uretra membranosa o prostatica;
 Catetere Couvelaire: semirigido con estremità a becco di flauto e dotata di due fori laterali, si
utilizza in caso di emorragia vescicale o dopo prostatectomia radicale;
 Catetere Tiemann: semirigido, con estremità di forma conica e dall’angolatura di 30°,
indicato nei casi di restringimento dell’uretra maschile;
 Catetere Dufour: semirigido e dotato di palloncino di ancoraggio, ha l’estremità prossimale a
becco di flauto, con curvatura di 30° e due fori laterali contrapposti; indicato in caso di
tamponamento vescicale e relativa ematuria.

GESTIONE DEL PAZIENTE ONCOEMATOLOGICO


L’ematopoiesi è la produzione di cellule ematiche specializzate a partire da cellule progenitrici staminali.
Quando il controllo omeostatico della produzione cellulare è alterato, la proliferazione può procedere fino a
costituire un pericolo assumendo le caratteristiche di una proliferazione di tipo neoplastico. E’ fondamentale
conoscere i processi fisiopatologici che sottendono allo sviluppo delle neoplasie ematologiche affinchè esse
possano essere valutate, controllate e trattate, inoltre fondamentale è anche l’educazione che deve essere
rivolta all’assistito e al suo caregiver.

99
Le neoplasie ematologiche derivano dalla proliferazione e sopravvivenza di due principali citogenesi del
sangue: linee di cellule mieloidi e linfoidi.
Leucemia
Un aumento prolungato e progressivo del numero di leucociti (Leucocitosi) deve essere oggetto di
attenzione poiché potrebbe rappresentare la causa di una neoplasia ematologica come la Leucemia.
Le leucemie sono caratterizzate da una proliferazione incontrollata di leucociti nel midollo osseo e questa
proliferazione prevale su quella delle cellule normali. Le cause ad oggi non sono ancora del tutto note,
tuttavia sembra che il processo patogenetico implichi la presenza di fattori genetici e virali.
Ci sono 2 tipologie di leucemie: Linfoide e Mieloide.
Linfoide: una leucemia che riguarda le cellule staminali da cui derivano i linfociti.
Mieloide: una leucemia che riguarda le cellule staminali da cui derivano cellule non linfoidi (monociti,
granulociti, eritrociti, piastrine)
Le leucemie inoltre possono essere classificate come Acute, rappresentate da un esordio sintomatologico
improvviso con una rapida progressione e senza un trattamento aggressivo l’exitus può sopraggiungere
dopo poche settimane o mesi, o Croniche, dove la sintomatologia evolve nel corso di mesi o anni con una
lenta progressione e un decorso che può protrarsi per anni.
In relazione alla tipologia di cellule implicate e tempo di evoluzione e progressione si ha:
 Leucemia mieloide acuta (LMA) la quale colpisce tutti i tipi di cellule destinate a differenziarsi
nei vari tipi di cellule mieloidi, si presenta con febbre e infezioni dovute a Neutropenia
(riduzione dei neutrofili) e all’esame obiettivo presenza di petecchie o ecchimosi.
 Leucemia mieloide cronica (LMC) dove le cellule mieloidi normali continuano ad essere
prodotte ma vi è un aumento della produzione patologica di blasti. I quadri clinici possono
essere variabili, tuttavia sintomi e complicanze aumentano e si fanno più rilevanti con il
progredire delle tre fasi della malattia ovvero fase cronica (1), fase di trasformazione (2), fase
accelerata o crisi blastica (3).
 Leucemia linfoblastica acuta (LLA) dovuta a una proliferazione incontrollata dei linfoblasti
dove nel 75% dei casi la cellula originaria è il linfocita B mentre nel 25% il linfocita T. Essa è
molto frequente nei bambini e molto responsiva al trattamento.
 Leucemia linfatica cronica (LLC) deriva da un clone maligno di linfociti B, è molto comune tra
gli anziani.
Gestione del paziente con leucemia:
Nonostante il quadro clinico sia differente in relazione al tipo di leucemia e relativo trattamento è importante
effettuare un’accurata anamnesi (utile per la rilevazione di segni e sintomi specifici o aspecifici ma comuni
come debolezza e affaticamento). E’ inoltre importante valutare gli esiti degli esami di laboratorio quali
conta leucocitaria, ematocrito, livelli di piastrine, creatininemia, elettroliti e dati riguardo la funzionalità
epatica e coagulazione.
Durante l’assistenza bisogna sempre prendere in considerazione la probabilità d’insorgenza di eventuali
complicanze che possono derivare dalla negligenza dell’operatore (mancata osservanza delle norme
d’igiene, mancata asetticità del campo di lavoro..) o dall’evoluzione propria della malattia. Le complicanze
più frequenti sono sanguinamenti, infezioni e disfunzioni multiorgano. Gli obiettivi più importanti per
l’assistito sono l’assenza di complicanze e dolore, parametri vitali mantenuti nella norma, raggiungimento
e mantenimento di una nutrizione adeguata e apporto sufficiente di liquidi, abilità nella cura di sé, tolleranza
all’attività, capacità di affrontare la diagnosi e la prognosi e la comprensione del processo patologico e del
suo trattamento.

100
E’ importante, al fine di garantire una continuità assistenziale, insegnare all’assistito e al caregiver (se
presente) le norme riguardanti la cura di sé, trattamento domiciliare e possibili complicanze e come
prevenire quest’ultime! Ad esempio è importante fornire un’adeguata spiegazione riguardo la gestione
dell’accesso vascolare, la terapia farmacologica e i continui controlli.
La possibilità di fornire assistenza domiciliare e/o ambulatoriale ha rappresentato una nota positiva per gli
assistiti rappresentata da una minor ospedalizzazione. E’ bene però che l’assistito e i familiari comprendano
l’importanza del monitoraggio dei parametri vitali, quali parametri soprattutto prendere in considerazione,
quando rivolgersi al medico, capire l’evoluzione della malattia, prognosi, complicanze e
riacutizzazioni. E’ bene inoltre informare la famiglia che molto spesso il decesso per la persona affetta da
leucemia può avvenire a causa di infezioni o emorragie quindi è bene informarli quanto più possibile sulle
norme da adottare per scongiurare l’insorgenza di queste complicanze ma è anche bene definire le
alternative per assistere quanto possibile il familiare a casa come lo si farebbe in ospedale.
Linfoma
I linfomi maligni sono neoplasie delle cellule di origine linfoide che originano solitamente nei linfonodi ma
possono anche coinvolgere il tessuto linfoide della milza, del tratto gastrointestinale, del fegato o del midollo
osseo. Vengono classificati in 2 tipologie:
1. Linfoma di Hodgkin
2. Linfoma non Hodgkin
1. E’ una neoplasia maligna rara per la quale la % di cura è elevata. Presenta due picchi
d’incidenza: intorno ai 20 anni e dopo i 55 anni. Il linfoma di Hodgkin ricorre più spesso nei
soggetti cronici che ricevono la terapia immunosoppressiva.
Il linfoma di Hodgkin origina da un unico punto dal quale poi si diffonde per mezzo del sistema
linfatico. La cellula maligna caratteristica di questo linfoma è una cellula tumorale gigante
denominata cellula di Reed-Sternberg (nell’ambito della diagnosi la rilevazione di questa cellula
è essenziale, anche se la diagnosi certa può richiedere ripetute biopsie). Può avere varie cause anche
se alcuni frammenti del virus di Epstein-Barr sono stati rilevati nelle cellule di Reed-Sternberg e ciò
fa quindi pensare che la causa principale sia l’eziologia virale, tuttavia possono essere implicati
anche altri virus: HIV, Herpes virus 8… Il linfoma di Hodgkin può essere classificato
in 5 sottogruppi secondo criteri anatomo-patologici che riflettono il grado di malignità e hanno
valore prognostico. Il linfoma si manifesta con ingrossamento dei linfonodi di un lato del collo,
compatti ma non duri né dolenti. L’Rx del torace può rilevare la massa mediastinica che, se grossa,
può provocare dispnea. Poiché tutti gli organi sono suscettibili di invasione da parte delle cellule
tumorali i sintomi posso essere ricondotti agli organi colpiti: es. ittero nel caso di coinvolgimento
epatico, dolore osseo per coinvolgimento dello scheletro. Importante la rilevazione di
“sintomi B”(febbre senza brividi, sudorazione intensa soprattutto di notte, perdita di più del 10% del
peso corporeo) al fine di definire la prognosi. Le complicanze più frequenti sono le infezioni
(soprattutto virali).
2. Rappresenta un gruppo eterogeneo di neoplasie maligne del tessuto linfoide dove la
morfologia delle cellule è varia. La maggioranza di questi tumori riguarda i linfociti B. Nel caso
dei LNH i tessuti linfoidi coinvolti sono ampiamente infiltrati da cellule maligne, non si tratta
infatti di una patologia localizzata! L’incidenza è in aumento (3% di tutte le neoplasie in Italia). Il
linfoma si manifesta con linfoadenopatia nella maggioranza dei casi. Talvolta i sintomi
inizialmente possono essere assenti o aspecifici e la diagnosi viene resa nota solo al III o IV
stadio. In alcuni casi alcuni soggetti possono manifestare i sintomi o raramente alcuni possono
presentare la massa mediastinica rilevata per mezzo dell’Rx torace.

101
Assistenza infermieristica: nell’ambito dell’assistenza è importante informare l’assistito della patologia
presente, del fatto che presenta un’alta % di esito positivo (cura definitiva) ma anche nel pericolo di
sviluppare un secondo tumore maligno (in caso di recidiva). Importante l’educazione e l’osservanza di
norme che possano ridurre i fattori di rischio che rischiano di aumentare il pericolo di sviluppare la
malattia (fumo di sigaretta, esposizione a cancerogeni ambientali) e importanza delle strategie di cura di
sé e sottoporsi frequentemente ai test di screening. E’ comunque importante quando si assistono soggetti
con linfoma conoscere la tipologia di linfoma, lo stadio della malattia, la prognosi e i sintomi ad essa
associati, il trattamento d’elezione quale la chemioterapia e la radioterapia. In relazione a ciò quindi è
importante informare l’assistito riguardo i possibili effetti collaterali correlati al trattamento e al rischio
di sviluppare infezioni (mielosoppressione correlata al trattamento e compromissione del sistema
immunitario). Pertanto è importante educare l’assistito nel riconoscere i segni d’infezione e apprendere
le strategie per evitare il più possibile l’insorgenza di quest’ultime.
Le leucemie e i linfomi sono le neoplasie maligne maggiormente conosciute e studiate, tuttavia esistono altre
neoplasie quali:
 Sindromi mielodisplastiche (SMD) le quali sono patologie a livello delle cellule staminali
mieloidi che causano displasia di una o più linee cellulari.
 Neoplasie Mieloproliferative tra le quali annoveriamo la policitemia
vera, trombocitemia essenziale e mielofibrosi primitiva.
 Mieloma multiplo la quale è una neoplasia maligna delle forme più mature dei linfociti B, le
plasmacellule le quali producono immunoglobuline specifiche non funzionali in grande
quantità.

ESECUZIONE, VALUTAZIONE, DOCUMENTAZIONE EGA


L’emogasanalisi arteriosa (EGA) consiste in un prelievo di sangue arterioso, effettuato tramite una siringa
eparinata, in grado di fornire dettagli indispensabili per l’inquadramento della condizione clinica
dell’assistito.
Il sangue arterioso mostra caratteristiche qualitative differenti rispetto a quello venoso (ad esempio il sangue
venoso è più ricco di CO2) e pertanto i risultati di questo prelievo permettono di valutare:
 la ventilazione
 il metabolismo
 l’emoglobina
 gli elettroliti
Trattandosi di un’indagine invasiva e spesso altamente dolorosa, il professionista che la esegue deve essere
in grado di riconoscere eventuali complicanze.
I principali aspetti clinici che l’operatore deve tenere in considerazione sono:
1. Rischio di emorragia: l’importante flusso arterioso può spingere il sangue fuori dal sistema
vascolare creando pertanto un’emorragia.
2. Rischio di eventi trombotici.
3. Inoltre è una procedura che spesso viene vissuta con timore e sgradevolezza dal paziente in
quanto può risultare dolorosa.
Quando si esegue l’EGA è importante:
 Evitare stasi poiché potrebbe provocare emolisi e quindi alterare i risultati dell’esame.
 Evitare scambi di gas con l’esterno poiché possono alterare i valori delle pressioni parziali
dei gas: per tale motivo si impiegano sistemi “chiusi” di prelievo sottovuoto.

102
 Prevenire gli effetti del metabolismo del globulo rosso (produzione di lattato) che si
verificano se il campione non è analizzato immediatamente. Si utilizzano a tal fine provette
contenenti eparina che inibisce la glicolisi oltre ad evitare la coagulazione del sangue.
 Evitare bolle d’aria nella siringa: una bolla d’aria pari al 10% del volume di sangue provoca
una riduzione della PO2 pari al 15% soprattutto se la siringa viene agitata.
I vasi arteriosi utilizzati sono:
 Arteria radiale: è la sede più frequentemente utilizzata poiché facilmente accessibile a livello
del polso nel tratto in cui l’arteria diviene superficiale.
 Arteria brachiale (omerale): a causa della scarsità del circolo collaterale espone a seri
problemi ischemici a carico dell’arto superiore.
 Arteria femorale: rappresenta una scelta fondamentale nelle persone in scadenti condizioni
emodinamiche nelle quali sono difficilmente apprezzabili gli altri polsi. Ha un rischio maggiore di
infezione e sanguinamento.
L’infermiere può eseguire l’emogasanalisi soltanto dall’arteria radiale, mentre dall’arteria brachiale e
femorale può eseguirla solo se incannulate.
Prima di effettuare un prelievo per emogasanalisi dall’arteria radiale si deve sempre effettuare il test di
Allen per valutare che l’arteria ulnare garantisca un flusso di sangue sufficiente ad irrorare la mano e le dita
nel caso in cui si provochi un danno all’arteria radiale durante un prelievo.
Procedura dell’EGA dall’arteria radiale
Fase di preparazione
1. Igiene delle mani
2. Garantire la privacy del paziente
3. Identificazione del paziente e registrazione dei dati riguardanti il nome, cognome, sesso e
data di nascita
4. Spiegare al paziente le fasi e l’utilità della manovra affinché egli comprenda pienamente ciò
che verrà effettuato e aumenti la sua collaborazione
5. Accertare l’integrità cutanea nel sito di prelievo
6. Valutare se il paziente riceve ossigenoterapia e i relativi dosaggi
7. Valutare l’eventuale presenza di allergie del paziente
8. Valutare l’eventuale terapia in corso con anticoagulanti
9. Preparare il materiale occorrente:
- kit per EGA
- guanti monouso
- etichette identificative
- contenitore con ghiaccio
- tamponi sterili
- antisettico
- cerotto alto 5 cm
- telino pulito
- contenitore per rifiuti a rischio biologico
10. Rilevare la temperatura corporea e la FiO2 al momento dell’esecuzione dell’indagine.
Fase di esecuzione
1. Posizionare la persona seduta o stesa, con il braccio interessato in estensione e la mano
in dorsiflessione con l’aiuto di un telino arrotolato sotto al polso
2. Effettuare l’igiene delle mani ed indossare i guanti puliti

103
3. Eseguire il test di Allen
4. Praticare l’antisepsi del sito in senso centrifugo
5. Reperire il polso radiale con il dito indice e medio della mano non dominante leggermente
separati tra loro
6. Inserire l’ago con un’angolazione di circa 30° dirigendolo verso la pulsazione
7. Alla prima comparsa di sangue fermarsi e attendere il riempimento spontaneo della siringa
(circa 1 ml di sangue)
8. Estrarre l’ago senza separarlo dalla siringa
9. Immediatamente dopo l’estrazione dell’ago comprimere la sede di prelievo con il tampone
sterile per almeno 5 minuti e apporre il cerotto a fissaggio del tampone
10. Rimuovere i guanti ed effettuare l’igiene delle mani.

Successivamente è importante:
1. Preservare l’anaerobiosi del campione raccolto rimuovendo l’ago ed eventuali bolle d’aria e
avvitando l’apposito occlusore in dotazione
2. Miscelare il campione di sangue con l’eparina per evitare formazione di coaguli (capovolge
lentamente il campione per 5 volte e ruotarlo delicatamente per 20-30 secondi)
3. Procedere alla lettura del campione entro 15 minuti*, altrimenti conservarlo in apposito sacchetto
immerso in acqua e ghiaccio per un tempo massimo di un’ora
4. Smaltire i rifiuti e ripristinare il materiale utilizzato
5. Trasmettere al medico il risultato dell’analisi
6. Registrare nella documentazione infermieristica l’esecuzione dell’indagine e i relativi valori rilevati.
*È importante ricordare che ogni volta che si sviluppa il prelievo arterioso alla macchina, deve essere
indicato il valore della Fi02, che ci permetterà di valutare se i parametri ottenuti sono adeguati se rapportati
al valore di Fi02 somministrata.
La Fi02 (flusso inspiratorio di O2) indica la percentuale di 02 presente. In aria ambiente la Fi02 è al 21%. Ogni
litro/min di O2 aggiunge il 3-4% di Fi02 alla concentrazione di O2, per cui:
Quantità 02 Percentuale di Fi02
2 lt/min 24%
4 lt/min 28%
6 lt/min 31%
8 lt/min 35%
10 lt/min 40%
12 lt/min 50%

Test di Allen
- Comprimere contemporaneamente arteria radiale e arteria ulnare, invitando il paziente ad aprire e
chiudere la mano più volte fino a quando la mano diventa pallida
- Invitare il paziente a tenere la mano aperta e rilassata e allentare la pressione sull’arteria ulnare e osservare
in quanto tempo il palmo dell’assistito torna ad un colorito normale (entro i 6 secondi è la normalità, sopra i
14 secondi è anormale).

L’interpretazione dei valori dell’emogasanalisi


L’Ega ci fornisce i seguenti parametri:
104
Ossigenazione e scambi respiratori
 SpO2
 Pa02
 PaCO2
Equilibrio acido base
 pH
Stato metabolico
 HCO3
pO2/FiO2:
Rapporto tra
pO2: pCO2:
pH: pO2 e Frazione HCO3-:
Pressione parziale Pressione parziale
Concentrazione di inspirata di O2 Sistema tampone
di O2 disciolto nel di CO2 disciolta
acidi nel sangue È indice della bicarbonato
sangue nel sangue
respirazione
alveolare
35-45 mmHg 24-26 mEq/l
Alcalosi Acidosi
80-85 mmHg respiratoria: > 400 metabolica:
7,35–7,45
Valori Si riduce con pCO2 < 35 se < 200, si tratta HCO3- < 24
Acidosi: pH < 7,35
normali l’aumento dell’età. Acidosi di insufficienza Alcalosi
Alcalosi: pH > 7,45
respiratoria: respiratoria grave metabolica:
pCO2 > 45 HCO3- > 26

Acidosi respiratoria: Ipoventilazione (edema polmonare, BPCO, trauma cranico, ictus cerebrale, PNX, ARDS,
ab ingestis)
Alcalosi respiratoria: Iperventilazione (embolia polmonare, stati ansiosi, insufficienza cardiaca, polmonite)
Acidosi metabolica: (IRA, chetoacidosi diabetica o alcolica, sepsi, stati diarroici, traumi)
Alcalosi metabolica: (abbondante vomito o abbondante uso di diuretici)

Altri parametri che vengono misurati attraverso l’EGA sono:

105
BE: sono un parametro che valuta l’eccesso di basi. Il valore di riferimento si attesta tra -2 e +2 mmol/l.
Quando questo valore diventa negativo significa che c’è una carenza di basi e che il paziente si trova in una
condizione di acidosi metabolica.
Elettroliti: sono misurabili anche con un normale prelievo ematico venoso, ma l’Ega ha sicuramente il
vantaggio di essere più immediato e veloce. In particolare, misura:
 Sodio: il valore ottimale è 135-145 mEq/l
 Potassio: 3,5-5 mEq/l
 Calcio: 8,5-10,5 mEq/l
 Cloro: 95-105 mEq/l
I lattati, il cui valore normale è < 4 mEq/l. L'acido lattico è prodotto dal metabolismo cellulare; in condizioni
di ipossia le cellule possono utilizzare una produzione di energia meno efficiente causando una produzione
eccessiva o una scarsa eliminazione dei lattati.

Acidosi metabolica pH<7,35 e paC02<35


Acidosi respiratoria pH<7,35 e paCO2>45
Alcalosi respiratoria pH>7,45 e paCO2<35
Alcalosi metabolica pH>7,45 e paCO2>45

GESTIONE DELLA TERAPIA FARMACOLOGICA


I farmaci sono sostanze che possono essere utilizzate sull’uomo allo scopo di ripristinare, correggere o
modificare funzioni fisiologiche, esercitando un’azione farmacologica, immunologica o metabolica, oppure
per stabilire una diagnosi medica.
Il ruolo dell’infermiere nel processo di terapia è centrale, infatti egli non si limita alla
semplice somministrazione del farmaco, ma è considerato il garante della corretta applicazione delle
prescrizioni diagnostico-terapeutiche.
L’infermiere è responsabile della conservazione dei farmaci, della loro preparazione e somministrazione, è
responsabile dell’assistenza al paziente durante e dopo la somministrazione della terapia, al fine di
individuare e trattare eventuali effetti indesiderati.
Il processo di terapia è costituito da fasi:
 approvvigionamento
 stoccaggio
 prescrizione
 preparazione
 distribuzione
 somministrazione
 controllo
Ed è responsabilità infermieristica:
 la conservazione dei farmaci (armadio, frigorifero...)
 l’allestimento
 la preparazione
 la distribuzione
 la somministrazione
 l’assunzione della terapia

106
 il monitoraggio successivo
A tal proposito l’infermiere fa riferimento alla regola delle 7G:
 giusto farmaco
 giusto dosaggio e/o concentrazione
 giusto paziente
 giusta via di somministrazione
 giusto orario
 giusta registrazione
 giusto controllo
Essendo l’infermiere responsabile del processo di terapia, egli risponde professionalmente, civilmente e
penalmente ad eventuali errori di conservazione/preparazione/somministrazione e ai conseguenti danni
procurati al paziente.
Nel caso di delega dell’atto di somministrazione della terapia orale a figure di supporto (OSS) esiste un vero
e proprio “obbligo di controllo” che impone all’infermiere di appurare la correttezza dell’operato.
Le principali vie di somministrazione di un farmaco sono:
 Vie enterali (orale, sublinguale, rettale)
 Vie parenterali (intravascolare, intramuscolare, sottocutanea, intradermica)
 Via inalatoria
 Vie transcutanea
 Via congiuntivale
 Via linfatica

La scelta della via di somministrazione dipende principalmente dal bersaglio che si deve andare a colpire.
Inoltre bisogna considerare:
o la forma farmaceutica
o la rapidità dell’effetto
o la durata dell’effetto
o le condizioni del paziente
La via di somministrazione orale è la più comune, meno costosa e più comoda.
Gli svantaggi principali sono dati dal sapore sgradevole del farmaco, dall’irritazione della mucosa gastrica,
dall’assorbimento irregolare del tratto gastro-intestinale, dall’assorbimento lento e, in alcuni casi, dai danni
ai denti del paziente.
La somministrazione per via sottocutanea è utilizzata per piccole quantità di farmaci non assorbibili a livello
gastrointestinale con un’azione lenta, ma continua, come ad esempio insulina, anestetici o eparina a basso
peso molecolare.
Il sottocute è quella porzione adiposa compresa tra derma e muscolo. Ha uno spessore variabile di circa
2mm.
Le sedi utilizzate sono: la parte esterna superiore del braccio (sotto l’acromion o nel tricipite), zona
periombelicale dell’addome (verso i fianchi, 4 cm dall’ombelico), la parte anteriore della coscia (sotto il
grande trocantere).
La velocità di assorbimento di una iniezione sottocutanea varia in base alla sede: l’assorbimento più rapido
avviene nella zona addominale, un po’ meno rapidamente avviene nelle braccia, lentamente nelle cosce e,
ancor più lentamente, nei glutei.
Bisogna ricordarsi di sostituire l'ago dopo la preparazione.
Procedere all’antisepsi locale con movimenti decisi e circolari prima dell’iniezione.

107
Se necessario (paziente molto magro o ago lungo) pizzicare la cute afferrando una plica tra il pollice e
l’indice della mano non dominante.
Introdurre l'ago con la mano dominante tenendolo a 90° rispetto la cute con un colpo deciso. Se il paziente è
troppo magro o l’ago troppo lungo l’angolatura deve essere di 45°.
Una volta terminata la somministrazione del farmaco estrarre l'ago velocemente, rilasciare il tessuto ed
esercitare una leggera pressione (senza eseguire il massaggio post-iniezione).
L’iniezione intramuscolare o, più semplicemente, intramuscolo (IM) rappresenta uno dei più diffusi metodi
per la somministrazione dei farmaci. Attraverso questa procedura si introduce un farmaco nel muscolo per
un assorbimento più veloce rispetto alla somministrazione per via sottocutanea e quando non è possibile
utilizzare la via orale o essa è sconsigliata.
Le sedi di somministrazione sono 5: muscolo deltoide, sede dorsogluteale, sede rettofemorale (a metà tra la
cresta iliaca superiore e la rotula, nel medio anteriore della coscia), sede vastolaterale (tra il grande trocantere
del femore e il condilo femorale laterale del ginocchio, nel terzo medio della coscia), sede ventrogluteale.
Il metodo standard di iniezione intramuscolare prevede di eseguire un movimento rapido e deciso con la
mano dominante che introduce l'ago a 90° rispetto al sito scelto, dopo aver steso la cute tra le dita della mano
non dominante.
Tecnica Z: essa consiste nell'utilizzare la mano non dominante per tirare di circa 3-4 centimetri la cute e il
tessuto sottocutaneo da un lato rispetto al punto di inserzione. La mano dominante invece introduce l'ago
tenendolo a 90° rispetto la cute. Una volta terminata la somministrazione del farmaco, estrarre l'ago
velocemente rilasciare il tessuto ed esercitare una leggera pressione (senza eseguire il massaggio post-
iniezione). Questa tecnica permette di creare un percorso non rettilineo impedendo così al liquido di risalire
nei tessuti sottocutanei. Il movimento deciso anche in questo caso permette di minimizzare il dolore
Manovra di Lesser non è più veritiera.
L’infermiere, prima di somministrare il farmaco, deve:
 Conoscere l’azione del farmaco da somministrare, la classificazione, la sua modalità di
conservazione/preparazione/somministrazione, le controindicazioni, gli effetti collaterali e le
considerazioni infermieristiche da applicare per eventuali risultati attesi.
 Controllare attentamente la scheda della terapia per valutarne il dosaggio, la via di
somministrazione e altre informazioni rilevanti.
 Valutare le capacità del paziente di saper gestire autonomamente la terapia.
 Preparare il materiale corrente.
Procedura della somministrazione del farmaco:
 Identificazione del paziente.
 Informare il paziente sulla procedura e se egli non conosce il farmaco l’infermiere ne deve
spiegare le azioni principali e gli effetti collaterali o avversi.
 Somministrare il farmaco: regola 7G.
 Effettuare ulteriori interventi infermieristici se indicato: alcuni pazienti possono avere
bisogno di assistenza durante la somministrazione del farmaco.
 Registrare il farmaco somministrato: i dati registrati devono essere -nome del farmaco,
dosaggio, via di somministrazione, orario, firma dell’infermiere.
 Valutare la risposta del paziente al farmaco e assistere il paziente dopo la somministrazione,
se necessario.

108
GESTIONE E MEDICAZIONE DISPOSITIVI INTRAVASCOLARI (CVC, PORTH, PICC, MID LINE..)

VALUTAZIONE DEL PATRIMONIO VENOSO E SCELTA DELL’ACCESSO

Per ottenere risultati di qualità è necessario programmare il posizionamento di un accesso venoso


considerando sia le scelte disponibili sia la valutazione clinica del paziente e del suo patrimonio venoso; in
ogni caso non possono essere definiti criteri assoluti per la indicazione o la controindicazione e pertanto la
scelta va fatta per ogni singolo caso.

UnA prima valutazione del patrimonio venoso e della scelta di accesso venoso va fatta al ricovero del
paziente in base ai seguenti criteri:

1) Tipologia di terapia
2) Durata della terapia
3) Condizioni cliniche

Nella scelta della sede di inserzione è necessario tenere conto delle possibili complicanze meccaniche, della
sicurezza della sede e della situazione anatomica nel singolo paziente. Possono infatti sussistere fattori
specifici quali deformità o varianti anatomiche del sito di accesso, precedenti patologie venose (trombosi
precedente o in atto, chirurgia), linfatiche (radioterapia), arteriose (chirurgia), cutanee(chirurgia,
radioterapia), scheletriche (trauma, chirurgia).

Altre condizioni da valutare sono: obesità, magrezza, cachessia, patologia cardiaca (in particolare aritmie,
pace maker), patologie polmonari, stato infettivo sistemico, stati trombofilici.

Vi è una indicazione all’impianto di un catetere venoso centrale per:

1) 1 Somministrazione di soluzioni con pH< 5 o pH>9.


2. Somministrazione di farmaci con osmolarità >600 mOs m/L.
3. Nutrizione parenterale con osmolarità uguale o superiore al glucosio 10% o aminoacidi 5%.
4. Somministrazione di farmaci vescicanti o farmaci che si associano a un danno dell’intima vasale.
5. Somministrazione di elevati volumi di fluidi in pazienti critici, anche in situazioni di urgenza.
6. Trattamento emodialitico ed emaferesi.
7. Misura e monitoraggio della pressione venosa centrale (PVC)
8. Effettuazione di infusioni venose frequenti o protratte per giorni o settimane (nutrizione parenterale,
terapia antibiotica o citossica, emoderivati ecc) o frequenti prelievi ematici.
9. Esaurimento del patrimonio di vene periferiche adeguate per le infusioni endovenose.

La proposta di inserimento CVC o MIDLINE in un paziente ricoverato in degenza ordinaria o in DH


oncologico o cure palliative viene effettuata dal medico che ha in cura il paziente al medico/infermiere
impiantatore, alla proposta segue la valutazione da parte del medico o infermiere impiantatore. La
valutazione verrà effettuata presso l’ambulatorio dedicato o al letto del malato se in condizioni cliniche
compromesse o non trasportabile, per la valutazione è necessaria la documentazione clinica e gli ultimi
esami ematici del paziente. La valutazione dovrà tenere conto non solo delle condizioni cliniche e delle
indicazioni ma anche, la dove è possibile, della qualità di vita e delle scelte del paziente. Se l’impiantatore
conferma la necessità di CVC o midline e stabilisce la tipologia di accesso e catetere, il paziente viene inserito
in lista e il medico del reparto regolarizza la richiesta con sistema informatico

109
INFORMAZIONE E CONSENSO INFORMATO DEL PAZIENTE Il paziente va preventivamente informato dal
medico e dall’infermiere del reparto richiedente e dall’impiantatore, ognuno per le rispettive conoscenze e
competenze. Dovranno essere fornite adeguate informazioni e spiegazioni in merito a

 scelta del catetere, vantaggi e svantaggi e modalità di esecuzione.


 Quali operatori posizioneranno l’accesso venoso.
 QualI cure sono necessarie nella gestione del catetere.
 Dove rivolgersi in caso di necessità (quando andrà a domicilio)

GESTIONE DI UN ACCESSO CENTRALE

LA MEDICAZIONE

Ogni unità operativa deve avere procedure standardizzate ( vedi allegato N° 3 medicazioni) ma vanno
sempre rispettate le seguenti raccomandazioni:

 Frequenza appropriata della medicazione


 Utilizzare tecnica asettica
 Preferire antisepsi cutanea con clorexidina al 2% in soluzione alcoolica (IPA 70%)
 Preferire le medicazioni trasparenti semipermeabili ( quando è possibile)
 Utilizzare Feltrini a rilascio 24/7 di clorexidina al 2%
 Garantire una corretta stabilizzazione del catetere ( Fissaggio “sutureless”)
 Non utilizzare solventi
 Non utilizzare pomate antisettiche

ANTISEPSI CUTANEA

L’antisettico di prima scelta per tutti gli accessi venosi è la clorexidina al 2% in soluzione alcolica. In
alternativa o in caso di allergia alla clorexidina va utilizzato iodopovidone al 10%. In caso di utilizzo di
iodopovidone è necessario aspettare almeno 2 minuti per consentire l’azione del disinfettante. La
medicazione dei CVC va eseguita con tecnica sterile No touch o con utilizzo di pinza chirurgica.

STABILIZZAZIONE DEL CATETERE

Per ridurre le complicanze potenziali associate al fissaggio con cerotto o sutura e ridurre il rischio di
dislocazione del catetere venoso centrale o del midline, esistono in commercio diverse tipologie di
stabilizzatori per CVC:

 Dispositivo di ancoraggio sottocutaneo


 Dispositivi ad adesività cutanea tipo statlock®
 Sistemi di fissaggio integrati alla medicazione tipo Tegaderm®.

La scelta del sistema di ancoraggio è legata alle disponibilità ma anche a specifiche condizioni del paziente.
Ogni sistema ha vantaggi e svantaggi e costi differenti. I dispositivo di ancoraggio sottocutaneo hanno un
costo elevato ma una durata per tutto il periodo di vita del catetere. I sistemi ad adesività cutanea e i
sistemi integrati alla medicazione hanno una durata settimanale.

SCELTA DELLA COPERTURA

La scelta della medicazione dipende dal tipo di catetere e dalle condizioni del paziente. Per coprire il sito del
catetere si possono usare sia garze sterili e cerotto sia medicazioni semipermeabili trasparenti in

110
poliuretano. Qualsiasi medicazione venga utilizzata è buona prassi monitorare e registrare la frequenza del
cambio di medicazione, la tipologia e lo stato del sito di emergenza.

- Medicazione in garza e cerotto Da preferire in caso di sudorazione profusa o se il sito è sanguinante e


per la prima medicazione. La prima medicazione con garza va cambiata dopo 24 poi ogni 72 ore o
ogniqualvolta si presenta sporca o bagnata o staccata. Essa presenta alcuni svantaggi rispetto alle
medicazioni in poliuretano:

 più soggetta bagnarsi/sporcarsi/staccarsi


 non consente l'ispezione immediata del sito d'inserzione
 maggiori cambi.
 irritazione cutanea se cute patologica

- Medicazione trasparente semitraspaspirante in poliuretano  Nella scelta considerare indice di


permeabilità ( da preferire quelle a più altro indice di traspirabilità) e la durata. Permettono una ispezione
immediata e continua del sito di inserzione e una maggiore aderenza della medicazione al sito.. Possono
rimanere in situ più a lungo rispetto alle medicazioni in garza, solitamente 1 settimana. Il paziente con la
medicazione in poliuretano può fare la doccia purchè si abbia cura di proteggere il punto di ingresso del
catetere. I vantaggi delle medicazioni trasparenti semipermeabili possono essere cosi riassunti :

 Sono più tollerate dai pazienti


 mantengono un ambiente asciutto
 consentono la visione del sito d'emergenza
 essendo idrorepellenti consentono l'igiene personale
 verosimilmente riducono il rischio infettivo
 garantiscono una maggior adesività alla cute
 proteggono dalle secrezioni
 necessitano di minori sostituzioni

- Medicazione Port-a-Cath Necessaria solo fino alla rimozione dei punti di sutura. I punti possono essere
rimossi dopo circa 7-10 giorni.

- Medicazione Groshong Se presenti i punti questi possono essere rimossi dopo circa 7-10 giorni. Non è
necessario medicare il sito di inserimento del catetere venoso centrale tunnellizzato se è guarito .

ISPEZIONE DELLA MEDICAZIONE E DEL SITO DI INSERZIONE E/O DI EMERGENZA

Tutti i giorni o in concomitanza delle sedute di terapia, ambulatoriali o DH, l’infermiere che ha in carico il
malato, deve ispezionare visivamente la medicazione e palpare attraverso la stessa per rilevare la presenza
di dolore, se necessario procede al rinnovo. Durante la sostituzione o comunque se la medicazione è
trasparente ispezionare attentamente l'exit site per rilevare la presenza di arrossamento, sangue o
secrezioni. L’ utilizzo della medicazione trasparente agevola questa operazione e qualora la cute si presenti
integra andrà rispettata la programmazione per il rinnovo della medicazione; Se il paziente presenza
dolenzia nella sede di inserzione, febbre senza cause evidenti o altre manifestazioni che suggeriscono
infezione locale, la medicazione dovrebbe essere rimossa per consentire un esame completo del sito. Se la
cute si presenta arrossata è necessario procedere alla medicazione, se in presenza di flogosi si procede ad
effettuare tampone colturale sull’emergenza cutanea; se la cute è sanguinante va effettuata la nuova
medicazione con garza e cerotto e si valuta se utilizzare una garza emostatica. In tal caso la medicazione va
rinnovata quotidianamente.

111
TERAPIA

Nella gestione dei dispositivi infusionali sono valide le seguenti raccomandazioni:

 La somministrazione deve avvenire sempre attraverso sistemi needless connector preventivamente


disinfettati con clorexidina al 2%
 la sostituzione dei deflussori, rubinetti e prolunghe utilizzati nell’infusione continua deve avvenire
normalmente ogni 72 ore;
 In caso di somministrazione di sangue e derivati, la sostituzione del deflussore deve avvenire alla
fine dell’infusione;
 In caso di somministrazione di emulsioni lipidiche la sostituzione del deflussore deve avvenire ogni
12 ore.
 Evitare “cocktail” di farmaci - Utilizzare nutripompa per NPT

Tutti i cateteri centrali e periferici necessitano di un regolare lavaggio con Soluzione Fisiologica 0,9% per il
mantenimento della pervietà, da preferire la soluzione fisiologica in fiale monodose, il lavaggio deve essere
eseguito sempre dopo prelievo ematico, infusione di emoderivati, NTP, lipidi o farmaci e altre infusioni. La
tecnica pulsante (push/pause) favorisce la rimozione di ogni residuo di farmaco, lipidi o sangue dalle pareti
del catetere. Il lavaggio “per caduta” non è efficace, deve trattarsi di un lavaggio attivo, fatto con una o due
siringhe da 10 ml, utilizzando la tecnica cosiddetta push/pause/push ossia a scatti di 1-3 ml ciascuno. Dopo il
flush è bene chiudere ogni lume del sistema, con soluzione fisiologica (lock). Accanto al flush e al lock con
soluzione fisiologica, un altro aspetto importante per mantenere la pervietà è il corretto utilizzo dei cappucci
a valvola, chiamati NFC (needle free connector). E' dimostrato che il mantenimento della pervietà dei cateteri
venosi centrali e periferici si basa essenzialmente su un protocollo adeguato di lavaggio con soluzione
fisiologica. Per tutti gli accessi venosi a breve, medio e lungo termine sia periferici che centrali l'uso di lock
con soluzioni eparinate o altri anticoagulanti non ha sufficienti evidenze di efficacia. I rischi sembrano
superare i supposti benefici e quindi dovrebbe essere evitato. Fanno eccezione i cateteri usati per procedure
di scambio ematico (emodialisi, feresi, emodiafiltazione,ecc) e i cateteri port-a-cath a punta aperta per i quali
l'utilizzo di soluzioni di chiusura con sostanze anticoagulanti ha ancora un ruolo. Per evitare il ritorno
ematico all'interno del lume, si chiude il sistema a “pressione positiva”, cioè si clampa il catetere durante la
spinta della siringa che poi si stacca. Questa tecnica non va utilizzata con i cateteri provisti di valvola distale
( groshong). in quanto mantiene aperto l'hub del lume rischiandone la contaminazione; inoltre il clampaggio
del catetere finisce per rovinarne le porte di ingresso. Per prevenire il riflusso di sangue (back flow) che può
provocare l'occlusione del lume la soluzione ottimale è quella di usare NFC a pressione neutra che evitano le
deconnessioni del sistema ed eliminano la necessità del clampaggio. Nelle situazione nelle quali non è
possibile usarli (es. quando si rimuove un ago di Huber da un port a punta aperta), usare manovre che
lascino una pressione positiva all'interno del sistema.

Se il catetere non è in uso, il lavaggio deve essere eseguito almeno ogni 7 giorni.

GESTIONE DELLE COMPLICANZE CVC

Le complicanze CVC correlate possono essere Precoci o Tardive. Le complicanze precoci legate all’inserzione
della cannula venosa possono verificarsi in concomitanza della stessa inserzione e in questo caso parliamo di
complicanze Immediate oppure a distanza di 24-48 ore.

a) Complicanze Precoci: Fra le complicanze possibili troviamo Pneumotorace; Emotorace; Puntura


arteriosa; Ematoma; Embolia gassosa; Aritmie Cardiache; Danni neurologici ( per puntura di nervi );
Malposizionamento.
112
b) Complicanze tardive di tipo meccanico: Dislocazione; Migrazione della punta; Rottura della parte
esterna del catetere; Occlusione del catetere (parziale o completa); Pinch-off.
c) Complicanze tardive trombotiche
d) Complicanze tardive di tipo infettivo: locali o sistemiche.

OCCLUSIONE DEL LUME L'occlusione del lume può essere dovuta a diverse cause, le più frequenti delle
quali sono: coaguli (prelievi ematici o infusione di sangue ed emoderivati) aggregati lipidici (NPT con lipidi)
precipitati di farmaci (infusione ravvicinata o simultanea di farmaci tra loro incompatibili) mezzi di
contrasto utilizzati per esecuzione di esami TC o RM. L'occlusione può essere completa o parziale, un tipo
particolare di occlusione parziale è la PWO quando il catetere infonde ma non aspira.

 Deve essere sospettata una occlusione del lume del catetere in presenza di questi segni:
 Impossibilità di aspirare sangue o difficoltà al ritorno ematico.
 Difficoltà nella discesa delle infusioni.
 Impossibilità di infondere attraverso il catetere.
 Frequenti allarmi per occlusione da parte delle pompe da infusione.
 Infiltrazione/stravaso o rigonfiamento/perdite sul sito di emergenza del catetere.

La disostruzione del catetere può essere fatta con soluzione fisiologica o con particolari soluzioni
disostruenti il cui però utilizzo deve essere effettuato da personale addestrato è pertanto necessario
rivolgersi al centro che ha impiantato il catetere per valutare una corretta strategia.

I tentativi idraulici di disostruzione vanno attuati utilizzando siringhe da 10 ml, non più piccole, per evitare
eccesso di pressione nel sistema e conseguente rottura del dispositivo vascolare. Queste manovre devono
essere eseguite con tecnica asettica, ed indossando i DPI necessari, in particolare si raccomanda l'uso di
occhiali protettivi per proteggere gli occhi da eventuali schizzi. Se queste manovre di disostruzione idraulica
falliscono, bisogna chiudere il sistema e rivolgersi allo specialista di accessi vascolari, il quale valuterà
insieme al medico curante, ulteriori azioni da intraprendere: soluzione disostruente, sostituzione del
dispositivo, rimozione del dispositivo, ecc.

ROTTURA DEL CATETERE La rottura può interessare un tratto sottocutaneo o un punto esterno. Nel caso
di catetere totalmente impiantato di tipo port-a-cath, si noterà un rigonfiamento o edema nel corso
dell’infusione. In questo caso interrompere immediatamente l’infusione e allertare l’impiantatore per
l’eventuale rimozione o riparazione. In caso di rottura del tratto esterno si clampa a monte del punto di
rottura e si protegge il tratto con garza sterile e si contatta il centro che ha impiantato il catetere per la
valutazione ed eventuale riparazione con KIT se disponibile.

TIP MIGRATION ( dislocazione secondaria) Si tratta di un malposizionamento secondario del tratto


intravascolare del catetere con la punta che si posiziona in una sede impropria, spesso causata da crisi di
pianto o tosse. E’ valutabile radiologicamente e può richiedere la rimozione e il riposizionamento ( contattare
il centro che ha impiantato il catetere).

COMPLICANZE TARDIVE INFETTIVE E STRATEGIE DI PREVENZIONE

La maggioranza di infezioni gravi associate a catetere vascolare sono legate all'uso di catetere venoso
centrale a breve e media permanenza. Principali fonti di infezione e meccanismi di trasmissione delle
infezioni associate a catetere intravascolare sono:

 La colonizzazione del catetere


 Contaminazione intrinseca del catetere (alla produzione)
113
 Colonizzazione del sito di inserzione della cannula e risalita dei microrganismi per via ascendente
intraluminale: microflora cutanea, mani del personale, contaminazione dei disinfettanti.
 Colonizzazione del punto di connessione tra catetere e set di infusione e accesso diretto al sistema di
infusione.
 Colonizzazione della punta del catetere per via ematogena da sedi remote di infezione.
 La contaminazione di liquidi di infusione
 Al momento della somministrazione: manipolazioni del catetere, del flacone, della sacca,
somministrazioni di farmaci o soluzioni contaminate.

In sintesi le infezioni legate al posizionamento e alla manutenzione dei cateteri intravascolari nonché alle
pratiche EV derivano dalla colonizzazione della cute, dell’accesso venoso e da infusioni di soluzioni
contaminate. Durante l’impianto e l’assistenza al paziente portatore di catetere intravascolare centrale, va
garantita da parte di tutti gli operatori sanitari, l’adozione di misure comportamentali atte a ridurre il rischio
di infezione.

CRITERI DIAGNOSTICI DI INFEZIONE CATETERE CORRELATO

La maggior parte delle infezioni del catetere venoso, centrale o periferico, è secondaria alla contaminazione
da parte dei germi nel sito cutaneo di accesso e alla loro successiva proliferazione nel catetere stesso. Per
questa ragione, queste infezioni sono di difficile diagnosi, cosicché è estremamente difficile determinare se
l’infezione è limitata al solo sito cutaneo d’accesso o al connettivo sottocutaneo o estesa anche alla porzione
intravascolare del catetere. L’infezione ematica correlata al catetere (CRBSI Catheter Related BloodStream
Infection) dovrebbe essere sospettata clinicamente se il paziente presenta febbre, brividi, ipotensione o
instabilità emodinamica, stato mentale alterato, malfunzionamento del catetere con segni di infezione al sito
di inserzione o sulla cute del tragitto di tunnellizzazione del catetere.

In presenza o in assenza di segni clinici di sepsi, ogni essudato rilevabile al sito cutaneo del catetere deve
essere prelevato ed inviato all’esame colturale e, nei cateteri tunnellizzati, anche un campione prelevato per
via percutanea dal sottocutaneo in cui transita.

Prima di intraprendere una terapia antimicrobica empirica, occorre effettuare delle emocolture seriali
simultanee da sangue prelevato per via percutanea e dal catetere sospetto.

In ogni caso, la correlazione fra sepsi e catetere è basata sulla presenza di almeno due dei seguenti fattori:

 presenza di flogosi cutanea o pus nel sito d’inserimento del catetere o del tunnel sottocutaneo;
 assenza di altre possibili fonti di sepsi;
 presenza all’emocoltura periferica degli stessi germi ritrovati al sito cutaneo d’ingresso del catetere,
e che si trovano più frequentemente coinvolti nella sepsi del catetere (S. epidermidis, S. aureus, C.
parapsilosis, ecc.).

COMPLICANZE TROMBOTICHE

I cateteri venosi causano trauma endoteliale e infiammazione che può portare a fenomeni di trombosi
venosa. La maggior parte (70-80%) degli eventi trombotici che colpiscono le vene superficiali e profonde
dell’arto superiore sono dovuti alla presenza di un catetere. La restante percentuale è dovuta a compressione
meccanica da anomalie anatomiche (ad es. sindrome dello stretto toracico).

114
La trombosi che interessa le vene profonde (ad esempio succlavia, ascellare, brachiale) può causare embolia
polmonare e sequele a lungo termine nonostante una terapia adeguata. L’embolia polmonare è originata da
trombosi degli arti superiori nel 6% dei casi.

Nel caso dei PICC, l’incidenza di TVP appare simile a quella dei cateteri ad inserimento centrale. La TVP si
sviluppa prevalentemente entro i primi venti giorni dall’inserzione del PICC e in minima parte oltre il
quarantesimo giorno. L’incidenza varia in modo considerevole, in relazione ai numerosi fattori responsabili,
tra cui:

 precedenti episodi di TVP o sussistenza di condizioni pro trombogeniche congenite o acquisite


 la biocompatibilità del materiale e il metodo di inserzione
 il trauma della parete vasale provocato dall’inserzione del catetere
 l’abrasione dell’endotelio determinata dal movimento del catetere
 il malposizionamento del catetere e la durata della permanenza in sede
 l’infezione del catetere
 una concomitante terapia ormonale
 l’irritazione chimica da parte dei farmaci infusi, ad es. KCl, Diazepam, alcuni antibiotici come
Vancomicina e Oxacillina, chemioterapici, soluzioni ipo (< 250) o ipertoniche (>350 mOsm/Kg)
 l’occlusione venosa provocata da un calibro del catetere troppo grande rispetto a quello venoso.

PRESENTAZIONE CLINICA Riguardo ai sintomi e segni di questa complicanza, gli effetti locali sono
dovuti alla reazione infiammatoria provocata dal trombo che causa principalmente dolore e indolenzimento
lungo il corso della vena con rossore ed edema dell’arto, alterazione della sensibilità e della funzionalità,
possibile evidenza di circoli collaterali. Questi sintomi sono più evidenti quando viene colpita una vena
superficiale. L'ostruzione del flusso degli arti superiori può causare la congestione delle vene collaterali della
spalla e della parete toracica sul lato interessato. La trombosi delle vene profonde può essere asintomatica o
presentare sintomi lievi. Un alto indice di sospetto è necessario per fare la diagnosi, e alcuni casi non
vengono riconosciuti, specialmente in pazienti con una varietà di altri importanti problemi medici. Ciò può
spiegare parzialmente l'ampia variazione nell'incidenza riportata di questo disturbo e sottolinea la necessità
di un'attenta sorveglianza clinica dei pazienti con cateteri venosi centrali. I sintomi possono essere segnalati
direttamente dai pazienti o riscontrati in occasione delle medicazioni. In presenza di sintomi e segni di
trombosi va richiesta una consulenza specialistica con ecodoppler da parte di un chirurgo vascolare. La non
compressibilità della vena con o senza trombo intraluminale visibile è il criterio principale per la diagnosi di
trombosi.

TRATTAMENTO Qualora la diagnosi venga confermata, la rimozione di routine del catetere a


permanenza non è raccomandata. Nei pazienti che hanno necessità del catetere è ragionevole somministrare
la terapia anticoagulante senza rimozione del presidio a condizione che esso rimanga funzionante e ben
posizionato. La gestione iniziale della flebite superficiale correlata ai cateteri endovenosi periferici consiste
nella sospensione dell'infusione endovenosa e nella rimozione del catetere periferico. La cura sintomatica
comprende elevazione dell'estremità, impacchi caldi o freddi e agenti antinfiammatori non steroidei orali
(FANS). I FANS per uso topico possono anche essere efficaci nell'alleviare il bruciore locale associato a flebiti
superficiali. Nonostante la mancanza di prove dirette a dimostrazione della sicurezza e dell'efficacia della
terapia anticoagulante per la trombosi venosa profonda degli arti superiori, la terapia anticoagulante con
l'obiettivo di alleviare i sintomi acuti e di prevenire l'embolizzazione rimane fondamentale.

GESTIONE DEL CATETERE

115
Catetere funzionante. il mantenimento del catetere è giustificato se è indispensabile, funzionante,
posizionato correttamente e non infetto. Viene intrapresa la terapia anticoagulante e i sintomi clinici vengono
monitorati attentamente per segni di miglioramento. Il peggioramento dei sintomi in corso di terapia
anticoagulante indica la necessità di rimuovere il catetere e ripetere l'esame ecodoppler.

Catetere occluso: i cateteri occlusi vengono spesso rimossi e sostituiti. Tuttavia, molti pazienti hanno siti di
accesso limitati e il salvataggio di un catetere con un'occlusione trombotica (cioè non meccanica) può essere
tentato con l'instillazione di agenti fibrinolitici. Si ribadisce che, in caso di complicanza, la gestione del
catetere andrebbe discussa e concordata con gli operatori del CUAV.

EDUCAZIONE AL SELF CARE L’educazione all’autocura al paziente portatore di catetere a media e


lunga permanenza e al care-giver rappresenta un aspetto molto importante per la prevenzione di
complicanze e garantire una maggiore durata del dispositivo. L’educazione e l’informazione va effettuata in
tutte le fasi del percorso ed è competenza di tutti gli operatori coinvolti. Per consentire la standardizzazione
del processo educativo al corretto uso del dispositivo, è previsto l’utilizzo di una broschure informativa ed
educativa da consegnare alla dimissione.

FOLLOW-UP E RIMOZIONE ACCESSO VASCOLARE Per i cateteri a media e lunga permanenza la


gestione del follow-up, dal momento della dimissione, segue tempi, ritmi e durata della terapia. Qualsiasi
problema rilevato sull’accesso venoso durante la terapia o la medicazione va segnalato al Centro che ha
impiantato il catetere. Le medicazioni vanno registrate nella scheda in possesso del paziente ( all’interno
dell’opuscolo). Le valutazioni da parte del centro di riferimento vanno effettuate ad 1, 3 e 6 mesi ed oltre per
tutta la vita del catetere. La rimozione del catetere andrà concordata e programmata al termine della terapia
ed effettuata dal centro di impianto.

ASSISTENZA AL PAZIENTE SOTTOPOSTO A TERAPIA ANTINEOPLASTICA

La parola chemioterapia letteralmente indica qualunque trattamento terapeutico a base di sostanze chimiche.
Più specificamente si riferisce a farmaci capaci di uccidere gli agenti responsabili delle malattie e comprende
quindi anche gli antivirali e gli antibiotici che eliminano i batteri (chemioterapia antimicrobica). Nel
linguaggio comune, però, il termine è utilizzato soprattutto in riferimento alle più comuni cure
farmacologiche rivolte contro il cancro (chemioterapia antineoplastica) (AIRC, 2017).

I farmaci chemioterapici antineoplastici utilizzati nel trattamento dei tumori, proprio in funzione della loro
azione antimitotica e citostatica, in grado di inibire lo sviluppo, la crescita e la proliferazione di elementi
cellulari neoplastici a fini terapeutici, risultano essere anche composti citotossici. Il processo di gestione della
TA di conseguenza include un insieme di azioni indicate per manipolare correttamente, prevenire gli errori
in terapia, rinforzare l’alleanza terapeutica strategica mediante l’informazione al paziente sulla TA incluse le
Reazioni Avverse a Farmaco (da qui ADR, dall’acronimo inglese Adverse Drug Reaction), gli obiettivi di
salute e i benefici attesi, le corrette modalità per lo smaltimento di escreti e secreti contaminati al fine di
garantire la qualità e la sicurezza dei processi assistenziali.

Durante la fase di somministrazione è necessario assicurare la presenza di personale medico e infermieristico


al fine di garantire le precauzioni necessarie in caso di ADR e/o di interazioni con altri farmaci preparati e
l’attivazione di percorsi di emergenza-urgenza in caso di paziente critico. La gestione della TA è un processo
che coinvolge vari operatori sanitari: il medico nella fase di prescrizione e convalida alla somministrazione e
nella gestione di eventuali emergenze-urgenze; gli operatori della Farmacia nell’approvvigionamento,
stoccaggio, trasporto e distribuzione; l’infermiere nelle fasi di ricezione, conservazione TA,
116
somministrazione TA previa esecuzione doppie verifiche preliminari. Nelle verifiche preliminari due
operatori sanitari (infermiere e/o medico) controllano la corretta integrità e confezionamento TA, la
conservazione, l’esatta corrispondenza TA e paziente, il giusto principio attivo, dose, diluente e via di
somministrazione prescritta (ALL.1 DI_MOD-SUTA); le figure di coordinamento nella sorveglianza e
controllo corretta adesione alla procedura.

In assenza di una vera e propria Unità Farmaci Antitumorali (UFA), l’allestimento della TA avviene tramite
un servizio esterno. In caso di esigenza urgente e non procrastinabile, la preparazione occasionale della TA
deve avvenire in un ambiente dedicato, indicato in UOC Trapianti CSE presso il locale di servizio nella
stanza 134, Torre 6, piano 0, modulo ovest.

Ogni operatore deve conoscere le fasi più rischiose della lavorazione e operare in modo da prevenire la
contaminazione adottando le seguenti azioni:

- INTERVENTI DI PREVENZIONE-PROTEZIONE DI TIPO COLLETTIVO sono ad esempio le cappe a


flusso laminare (propriamente Dispositivi di Protezione Collettiva - DPC), le siringhe con attacco Luer-Lock,
i dispositivi che consentono di effettuare la preparazione in condizioni di isopressione, i deflussori a circuito
chiuso a più vie con regolatori di flusso, le valvole unidirezionali antireflusso, etc.

- DISPOSITIVI DI PROTEZIONE INDIVIDUALE (DPI) sono per esempio i guanti, gli indumenti di
protezione con marcatura CE, i dispositivi di protezione delle vie respiratorie per la protezione del volto da
schizzi di liquidi e/o altro materiale similare. (ISPESL 2010).

Rischio da farmaci pericolosi: l’esposizione lavorativa ad alcuni farmaci pericolosi, come ad esempio i
chemioterapici e gli antiblastici, il cui assorbimento si realizza prevalentemente attraverso il contatto diretto
con cute e/o mucose o per inalazione, viene mantenuta entro i livelli più bassi possibili attraverso l’adozione
di misure quali ad es.: adeguate modalità di stoccaggio e trasporto; standardizzazione delle procedure di
manipolazione; corretta gestione delle contaminazioni e degli spandimenti accidentali; programmi di
informazione, formazione e addestramento che garantiscano competenze e conoscenze adeguate al
personale utilizzatore. La fase di costituzione dei chemioterapici avviene in un laboratorio esterno, tranne
nei casi di emergenza, per i quali è indicato l’utilizzo della cappa. Le procedure “SPP_IST-13” e “SPP_IST-
14” devono essere applicate rispettivamente in caso di spandimento accidentale e di contaminazione
dell’operatore.

RESPONSABILITA’

117
118
119
120
ASSISITENZA AL PAZIENTE DONATORE DI ORGANI, ITER DELLA CERTIFICAZIONE DI MORTE

Il processo della donazione di organi e tessuti a scopo di trapianto terapeutico si svolge seguendo un
percorso assistenziale che diviene esso stesso strumento di qualità.

La donazione è un’attività sanitaria specialistica ordinaria e trasversale, che possiede intrinseche


caratteristiche proprie del percorso assistenziale, finalizzata a fornire prestazioni erogate da soggetti diversi
con lo scopo di risolvere lo specifico problema di salute dei pazienti in lista d’attesa per trapianto La
elaborazione condivisa di percorsi assistenziali e linee guida favorisce la reciproca conoscenza e
valorizzazione dei professionisti delle diverse discipline, incrementando di conseguenza l’efficacia e
l’efficienza.

Il percorso assistenziale del soggetto potenziale donatore di organi rientra nel processo della continuità delle
cure, pertanto la sua tempestiva individuazione è inserita di fatto nel percorso assistenziale, essendo una
integrazione del percorso degli accidenti cerebrovascolari e del percorso del trauma cranico.

La procedura di attivazione del CIT/CLT è rappresentata nella flowchart. Il personale del CIT ha il compito
di monitorare la situazione clinica della LCA grave trasmettendo al CRT Lazio, tramite il sistema informatico
GEDON “Scheda Monitoraggio PS” l’evoluzione clinica del ricovero, interfacciandosi con i
curanti/consulenti, per definire le migliori strategie e percorsi da attuare.

121
In riferimento alla Flow-Chart, in linea con le Raccomandazioni fornite dal Programma Nazionale
Donazione di organi 2018-2020 e con le Linee Guida per le buone pratiche nel processo di donazione di
organi del CNT, che prevedono la creazione e l’introduzione di criteri di Allert e Sistemi di segnalazione dei
PDO, si rende obbligatorio attenersi alle seguenti disposizioni:

1. I Medici del Pronto Soccorso, che hanno in cura il paziente con lesione cerebrale, che presenta una
compromissione dello stato di coscienza (GCS < = 8), devono contattare l’Anestesista di Emergenza, in
qualità di consulente, per definire il miglior percorso assistenziale da attuare, anche quando al paziente,
valutato da altri specialisti (Neurochirurgo, Neurologo, Neuro-vascolare), viene data l’indicazione a nessun
trattamento terapeutico; ne consegue, che gli specialisti interpellati, in caso di nessun trattamento terapeutico

122
volto a migliorare le condizioni cliniche del paziente, si attengano alle seguenti disposizioni, al fine di
avviare il percorso di segnalazione della LCA grave come potenziale donatore di organi e tessuti;

2. L’Anestesista di Emergenza, espletando, in caso di assistenza rianimatoria alla LCA grave a prognosi
infausta, le funzioni di MEP segnala al personale del CIT/CLT (responsabili unici della governance del
processo donativo, Delibera D.G. n.564 del 26/06/2014) e al medico della T.I., la presenza di una LCA grave
per eventuale ricovero in ambiente intensivo per le opportune cure del caso e per il monitoraggio
dell’evoluzione clinica.

Accertamento di morte cerebrale in base al DM del 11.4.2008

In base all’ultimo decreto (decreto del 11.04.2008 pubblicato sulla GU) le condizioni che impongono al
medico di struttura sanitaria di dare immediata comunicazione alla direzione sanitaria dell’esistenza di un
caso di morte cerebrale per cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo:

Ulteriore novità è rappresentata dalla riformulazione del periodo di osservazione che deve essere non
inferiore alle 6 ore in tutti i casi, senza più classificazione in base all’età con l’esecuzione di 2 sedute di
valutazione clinico-strumentali, all’inizio ed alla fine del periodo di osservazione.

Definizione di morte cerebrale:

• assenza dello stato di vigilanza e di coscienza


• assenza dei riflessi del tronco encefalo (fotomotore,corneale, reazione da stimoli dolorifici nel
territorio del n.trigemino e del n.faciale, oculo-vestibolare, faringeo e carenale
• assenza del respiro spontaneo dopo distacco momentaneo della ventilazione artificiale(documentata
da pCO2 >= 60 mmHg e pH < 7,4
• silenzio elettrico cerebrale( documentato da registrazione EEG obbligatoria eseguita per 30’, con
apparecchi analogici o digitali, secondo parametri stabiliti da legge

Certezza eziopatonegenetica della lesione encefalica ed esclusione di:

• alterazioni dell’omeostasi termica, cardiocircolatoria, respiratoria ed endocrino-metabolica di grado


tale da interferire sul quadro clinico-strumentale

Dimostrazione dell’assenza del flusso ematico cerebrale in caso di:

• bambini di età
• presenza di farmaci depressori del SNC tali da interferire sul quadro clinico-strumentale
complessivo
• situazioni che non consentono una diagnosi eziopatogenetica certa o che impediscono l’esecuzione
dei riflessi del tronco e dell’EEG

Durata del periodo di osservazione:

• non inferiore a 6 ore note


• nel neonato l’accertamento di morte cerebrale può essere eseguito solo se la nascita è avvenuta dopo
la 38° settimana gestazionale e comunque dopo la prima settimana di vita extrauterina
• in caso di lesione encefalica da insulto atossico l’osservazione deve iniziare dopo le 24 ore , a meno
che non si verifichi l’assenza di flusso

Numero di osservazioni:

123
• 2, all’inizio ed alla fine del periodo di osservazione

Personale tecnico:

• Il monitoraggio EEG deve essere eseguito esclusivamente dai tecnici di NFP

124
GESTIONE DELLE PROCEDURE RELATIVE ALL’EMOTRASFUSIONE
Le trasfusioni consistono nel trasferimento di una certa quantità di sangue da un soggetto (donatore) a un
altro (ricevente), per via endovenosa.
Il sangue è un fluido costituito da:
 Parte liquida e giallastra: plasma;
 Parte corpuscolata: comprende diversi tipi di cellule, in particolare globuli rossi, globuli
bianchi e piastrine.
Con le trasfusioni è possibile somministrare il sangue intero, i singoli emocomponenti e/o gli emoderivati:
 Emocomponenti: sono ricavati dal frazionamento del sangue con mezzi fisici semplici o con
aferesi (tecnica che consente di prelevare selettivamente una sola componente cellulare). Gli
emocomponenti comprendono: emazie concentrate, concentrati piastrinici, concentrati
granulocitari, plasma fresco concentrato, crioprecipitati ecc.
 Emoderivati: si ottengono mediante frazionamento industriale del plasma; questi possono
essere utilizzati come farmaci plasmaderivati (cioè specialità medicinali estratte dal sangue)
utilizzati per il trattamento di patologie come l'emofilia di tipo A e di tipo B, immunodeficienze
primarie e malattie emorragiche.
Gli emoderivati possono comprendere: albumina (impiegata per pazienti affetti da gravi carenze
di proteine, ustionati o in stato di shock), immunoglobuline (per la ricerca di anticorpi specifici o
quando è in corso una malattia infettiva), concentrati dei fattori della coagulazione (per tutti i
malati che hanno carenze o per gli emofilici) ecc.
In linea generale, oggi si tende a limitare le trasfusioni di sangue intero ai soli casi in cui è indispensabile,
mentre si preferisce utilizzare singolarmente gli emocomponenti.
Le trasfusioni sono utilizzate, in particolare, per reintegrare il sangue perso in caso di emorragie post-
traumatiche o chirurgiche, oppure nel trattamento di alcune malattie che causano una grave anemia. Il
ricorso alle trasfusioni di sangue è indicato, inoltre, per correggere i disturbi della coagulazione e mantenere
a livelli adeguati la volemia (massa del sangue circolante) e lo scambio dei gas respiratori (ossigeno e
anidride carbonica).

125
Le trasfusioni di sangue sono procedure alle quali viene dedicata la massima attenzione, allo scopo di
garantire sempre condizioni di qualità e sicurezza.
Il sangue viene raccolto da donatori volontari presso un centro trasfusionale nazionale; le sacche vengono
testate, poi, con metodiche avanzate per verificarne la conformità.
Esiste anche la possibilità di pre-depositare il proprio sangue nelle settimane che precedono un intervento
programmato e non particolarmente impegnativo: in tal caso, si parla di autotrasfusione.
Il sangue viene raccolto in un contenitore in cui è presente un liquido che ne impedisce la coagulazione, per
essere conservato e reso disponibile in caso di necessità.
Le trasfusioni di sangue possono essere:
 Omologhe: se donatore e ricevente sono due persone diverse. In tal caso, è fondamentale
stabilire la compatibilità, definendo il gruppo sanguigno di chi dona e di chi riceve, per evitare
gravi conseguenze;
 Autologhe: se donatore e ricevente sono la stessa persona. In quest'ultimo caso, ovviamente
è necessario procedere alla raccolta di sacche di sangue prima del momento del bisogno (per
esempio, in preparazione a un intervento chirurgico programmato).
In ogni realtà ospedaliera sono presenti procedure specifiche che riguardano la richiesta, la corretta gestione
e somministrazione di emocomponenti, basate sulle capacità organizzative e strutturali del presidio
ospedaliero; tuttavia, vi sono alcune tappe comuni da seguire e rispettare in qualsiasi realtà.

Di regola il paziente va trasfuso con sangue appartenente al medesimo gruppo sanguigno. In urgenza
possono essere trasfusi globuli rossi (ma non sangue intero) di tipo 0 negativo. Inoltre, i soggetti Rh -
negativi devono ricevere sempre sangue Rh negativo, mentre quelli Rh - positivo possono riceverne di
entrambi i tipi.
In caso di trasfusione omologa, è fondamentale la compatibilità tra donatore e ricevente, per evitare gravi
reazioni di emolisi; per stabilirla, occorre definire il gruppo sanguigno di entrambi.
Sulla superficie dei globuli rossi sono presenti delle molecole chiamate antigeni: questi determinano il
gruppo sanguigno a cui si appartiene, quindi la compatibilità del sangue trasfuso. Gli antigeni sono definiti
dalle lettere A e B o dal numero 0.
Le possibili combinazioni sono:
 Gruppo A: sono presenti l'antigene A sui globuli rossi e gli anticorpi IgM anti-antigene B nel
plasma. Questi pazienti possono ricevere globuli rossi di gruppo A e 0.
 Gruppo B: queste persone hanno l'antigene B sui globuli rossi e gli anticorpi IgM anti-
antigene A nel plasma. Di conseguenza, possono ricevere globuli rossi di gruppo B e 0.
 Gruppo AB: sono presenti sia l'antigene A sia l'antigene B sui globuli rossi e nel plasma non
hanno alcun anticorpo. I soggetti di gruppo AB sono riceventi universali, in quanto possono
essere trasfusi con globuli rossi di gruppo A, B, AB e 0.

126
 Gruppo 0: i soggetti con gruppo sanguigno 0 non hanno alcun antigene sui globuli rossi e
nel plasma hanno gli anticorpi IgM anti antigene A e anti antigene B. I soggetti con gruppo 0
possono ricevere sangue solo di gruppo 0, mentre possono donare a tutti i gruppi (donatori
universali).
A questi si aggiunge il cosiddetto fattore Rh (Rhesus D) che può essere o meno presente sulla superficie dei
globuli rossi (Rh positivo o Rh negativo):
 I soggetti con fattore Rh negativo possono ricevere sangue solo da soggetti con fattore Rh
negativo, perché la trasfusione di sangue Rh positivo può indurre la produzione di anticorpi
anti-Rh;
 I soggetti con Rh positivo possono ricevere sangue Rh positivo e negativo.
In quanto prodotto biologico, il sangue non sarà mai completamente privo di rischi; per prevenire il maggior
numero di complicanze si seguono procedure specifiche di tipizzazione e screening anticorpale che
prevedono:
 Determinazione del gruppo sanguigno (A, B, 0, AB) e del tipo Rh (positivo o negativo) del
donatore e del ricevente;
 Test per rilevare eventuale presenza di malattie infettive;
 Ricerca degli anticorpi irregolari;
 Prove di compatibilità maggiore (cross-match).
Le trasfusioni di sangue possono essere utilizzate a scopo profilattico (es. prima di una terapia citotossica o
di un intervento chirurgico) o terapeutico (es. emorragie in atto).
La terapia trasfusionale è necessaria e rappresenta una procedura salvavita in caso di:
 Incidente con grande perdita di sangue;
 Interventi chirurgici maggiori, emorragie casuali o iatrogene in quelli minori;
 Fase acuta della coagulazione intravascolare disseminata;
 Emorragie di tipo organico (talassemia, leucemie, linfomi, neoplasie, emofilia, sanguinamenti
del tratto digerente ecc.);
 Avvelenamenti;
 Ustioni;
 Complicazioni ostetriche (es. placenta previa);
 Trapianti d'organo.
Il medico può prescrivere l'impiego delle trasfusioni di sangue in numerose altre occasioni, come:
 Nella gestione di patologie croniche, come, per esempio, la talassemia;
 Correggere i disturbi della coagulazione e/o stati emorragici;
 Sopperire a un deficit del sistema immunitario;
 Intervenire negli stati di anemia grave, per mantenere un corretto trasporto dei gas
respiratori (ossigeno e anidride carbonica);
 Ripristinare/mantenere la volemia, cioè la massa del sangue circolante, per evitare uno stato
di shock;
 Come antagonista degli anticoagulanti orali in presenza di manifestazioni emorragiche;
 Per il superamento di stati critici dovuti a malattie del sangue (come la leucemia) o degli
effetti dovuti alle chemioterapie che possono danneggiare le cellule del midollo osseo e
richiedono un sostegno alla sua ripopolazione.
In linea generale, le trasfusioni di sangue devono essere effettuate solo quando sussiste una precisa
indicazione e non siano sostituibili con trattamenti farmacologici. Inoltre, la terapia trasfusionale dev'essere
condotta il più possibile con gli emocomponenti e gli emoderivati specifici per i deficit da

127
correggere. L’emotrasfusione è considerata un trapianto di tessuto, necessita quindi in maniera
imprescindibile del consenso informato da parte del paziente, poiché è una manovra alla quale sono connessi
rischi importanti, in particolar modo secondari a reazioni avverse, e prevede fasi ben precise durante le quali
medico e infermiere operano in concertazione:
 Firma del paziente sul consenso informato;
 Prelievo del campione di sangue per l’esecuzione dei
test pretrasfusionali (l’infermiere responsabile del prelievo deve apporre, accanto a tutti i dati
del paziente e all’orario di avvenuto prelievo, la propria firma);
 Richiesta degli emocomponenti;
 Accettazione, registrazione, esecuzione dei test ed erogazione emocomponenti da
parte della struttura trasfusionale;
 Ricezione e doppio controllo (infermiere responsabile e medico) di corrispondenza
dati identificativi, compatibilità e integrità di ogni singola sacca di emocomponenti;
 Trasfusione al paziente.

ASSISTENZA INFERMIERISTICA DURANTE L’EMOTRASFUSIONE


Protocolli e procedure aziendali regolamentano nel dettaglio tutte le fasi del processo trasfusionale, ma per
quanto concerne l’assistenza al paziente sottoposto ad emotrasfusione, l’infermiere ha responsabilità
trasversali, fra le quali:
 Accertare la presenza della prescrizione medica per la trasfusione;
 Accertare la presenza della firma del paziente sul consenso informato;
 Consultare la documentazione clinica e quella infermieristica per controllare i valori
di laboratorio pertinenti e per verificare eventuali precedenti trasfusioni subite dal paziente
(in relazione all’eventualità di pregresse reazioni trasfusionali);
 Procedere all’identificazione del paziente (controllare il braccialetto identificativo e,
se possibile, porre simultaneamente la domanda diretta al paziente stesso) e accertare la
corrispondenza fra i dati reali del paziente, quelli indicati sull’etichetta della sacca da
trasfondere e quelli sul modulo di trasfusione;
 Accertare l’integrità della sacca da trasfondere, la data di scadenza e le caratteristiche
apprezzabili degli emocomponenti (per individuare eventuali coaguli, colori e/o torbidezza
anomali);
 Accertare che il materiale sia a temperatura ambiente al momento dell’effettiva
infusione;
 Spiegare all’assistito quali sono gli effetti collaterali possibili della manovra (brividi,
prurito, lombalgia, cefalea, nausea, vomito, tachicardia, tachipnea) e spiegare l’importanza di
riferirli in maniera tempestiva qualora si presentino;
 Controllare nuovamente, al letto del paziente e insieme al medico, la corrispondenza
fra i dati del paziente e quelli indicati sulla sacca da trasfondere, documentando la verifica
sul modulo di registrazione della trasfusione tramite firma di entrambi i professionisti;
 Misurare e tenere monitorati prima, durante e dopo la trasfusione, registrandoli
sulla documentazione infermieristica, i parametri vitali (pressione arteriosa, frequenza
cardiaca, frequenza respiratoria e caratteristiche del respiro, temperatura corporea);
 Allestire la via venosa e attendere la presenza del medico per avviare la trasfusione;
 Conoscere la velocità di somministrazione standard (15-20 gtt al minuto per i primi
10-15 minuti, poi fino a 40-60 gtt al minuto);

128
 Assicurare la presenza del medico per il monitoraggio del paziente almeno nei primi
dieci minuti dall’inizio dell’infusione.
In caso d’insorgenza di complicanze (reazioni trasfusionali acute), interrompere l’infusione di
emocomponenti, avviare quella di soluzione fisiologica e contattare tempestivamente il medico.
Una volta gestita l’urgenza, inviare al centro trasfusionale la sacca connessa al set d’infusione, un campione
di sangue prelevato da vena diversa da quella usata per la trasfusione e il modulo di denuncia di reazione
trasfusionale.
Nella maggior parte dei casi, le trasfusioni di sangue non determinano effetti negativi o complicanze.
Tuttavia, essendo un prodotto biologico di derivazione umana, il sangue non sarà mai completamente privo
di rischi.
Durante il trattamento trasfusionale, in particolare, si possono verificare più comunemente (nell'1-2% circa
dei casi):
 Reazioni allergiche: possono svilupparsi anche se il sangue del donatore è compatibile con
quello del ricevente. I sintomi associati a tale fenomeno comprendono: fatica a respirare, dolore
al petto, riduzione della pressione arteriosa e nausea. Quando si verificano tali disturbi occorre
avvertire immediatamente gli operatori sanitari. Ai primi segni di reazione allergica, infatti, la
trasfusione deve essere sospesa e, in funzione della gravità dei sintomi e della condizione, il
medico valuterà il trattamento più appropriato.
 Infezioni virali (epatite B o C, HIV): sono molto rare, in quanto la normativa attuale regola in
modo molto preciso e accurato la scelta dei donatori, valutati in base alla storia clinica e specifici
test preliminari. Inoltre, su ogni unità di sangue raccolta sono effettuate alcune analisi di
laboratorio per escludere la presenza di infezioni (AIDS, epatite B, epatite C, sifilide ecc.). Ciò
riduce notevolmente i rischi per le persone riceventi.
 Febbre: è la conseguenza più frequente delle trasfusioni; va trattata con un
comune antipiretico come nelle comuni manifestazioni febbrili, ma deve essere sempre valutata,
poiché potrebbe essere espressione di una reazione da incompatibilità.
Altre reazioni meno frequenti sono:
 Sovraccarico di liquidi;
 Danno polmonare;
 Reazioni emolitiche caratterizzate dalla distruzione degli eritrociti, dovute alla mancata
corrispondenza tra il gruppo sanguigno del donatore e del ricevente.
Alternative farmacologiche
Attualmente, non esiste un'alternativa alle trasfusioni. Tuttavia, è possibile cercare di sopperire le funzioni di
alcune componenti del sangue con farmaci specifici. In particolare, in presenza di certe problematiche renali
è possibile assumere l'eritropoietina, in grado di accelerare la produzione di globuli rossi.
per ridurre i rischi
I rischi associati alle trasfusioni di sangue possono essere limitati con le opportune attenzioni:
 Le trasfusioni di sangue omologo devono essere evitate in tutti quei casi (come per gli
interventi di chirurgia programmati e non in regime d'urgenza) in cui sia possibile attuare
procedure autotrasfusionali.
 Prima di prelevare e di trasfondere il sangue, il professionista sanitario deve identificare la
persona che deve ricevere la trasfusione, accertando specificatamente la sua identità.
 I moduli di richiesta di esami e/o emocomponenti, comprese le etichette delle provette per la
raccolta dei campioni del ricevente, devono essere compilati in modo chiaro e completo.

129
 I pazienti devono essere identificati con certezza sia nel momento in cui vengono eseguiti i
prelievi per le indagini pretrasfusionali, sia nel momento in cui si somministra il sangue.
 Prima della trasfusione, gli emocomponenti vanno conservati a una temperatura adeguata e
devono essere valutati con un'ispezione per evidenziarne eventuali anomalie.
 Al momento della trasfusione va controllata la corrispondenza dei dati riportati in cartella,
sui moduli che accompagnano l'emocomponente e sulle etichette apposte su di esso relativi
a: età anagrafica del paziente e compatibilità del gruppo sanguigno.
 L'andamento della trasfusione deve essere costantemente monitorato; prima e durante la
procedura devono essere rilevati e registrati i parametri vitali del ricevente.
 Il paziente deve essere istruito sui sintomi riconducibili ad una possibile reazione
trasfusionale, quindi è invitato a riferirli prontamente nel caso dovesse avvertirli.

A INFUSIONE TERMINATA:
 Infondere, se previsto dal protocollo aziendale, soluzione fisiologica (50 ml);
 Rilevare e registrare i parametri vitali post-trasfusione;
 Allegare alla documentazione infermieristica l’etichetta di assegnazione della sacca
trasfusa;
 Inviare al centro trasfusionale copia del modulo di avvenuta trasfusione;
 Smaltire sacca e deflussore nei rifiuti speciali.

ASSISTENZA INFERMIERISTICA DI PRONTO SOCCORSO, SALA ROSSA, TRIAGE


L'infermiere che svolge l'attività assistenziale in Pronto Soccorso si avvale di una vasta gamma di
competenze acquisite sul campo per poter garantire un adeguato ed appropriato intervento nell’ambito del
dipartimento di emergenza. La struttura di un Pronto Soccorso di un ospedale varia in base a molti fattori,
come ad esempio la grandezza del nosocomio, tuttavia esso è in genere dotato di:
 Una sala rossa per i casi più gravi;
 Una o più sale di emergenza;
 Una o più sale visita;
 Una o più sale per la breve osservazione (astanteria);
 Una o più sale di attesa per i pazienti non urgenti e per amici e parenti;
 Sportelli per l’accettazione.
La funzione di Triage, cioè di accettazione del paziente e definizione di un codice di "priorità" di accesso alle
cure, rappresenta un'attività assistenziale fondamentale in Pronto Soccorso. Le competenze previste per
svolgere il Triage devono essere di tipo tecnico/assistenziali da un lato, completate dalle competenze
emotive imprescindibili per questo ruolo.
La formazione dell'infermiere triagista permettere l’acquisizione delle competenze necessarie, il percorso per
arrivare alla postazione di triage perché non è immediato.
Le Linee di indirizzo nazionali sul triage intraospedaliero, pubblicate dal Ministero della Salute e recepite
dalla Conferenza Stato Regioni nel 2019, stabiliscono che per accedere alla formazione di triage siano
necessari due requisiti:
1. Possedere un’esperienza lavorativa in Pronto soccorso di almeno sei mesi (periodo di prova
escluso);
2. Avere un titolo certificato alle manovre di supporto vitale di base nell’adulto e nel bambino.

130
La formazione di accesso si concretizza con la partecipazione ad uno specifico corso teorico residenziale
della durata minima di 16 ore e ad un periodo di affiancamento di durata non inferiore a 36 ore con un tutor
esperto.
Trascorso un periodo di lavoro sul campo di massimo sei mesi deve essere realizzato un ulteriore momento
di verifica, al fine di dichiarare l’idoneità definitiva all’attività di triage. Una volta superato tutto ciò, si entra
nella fase della formazione permanente del triagista, la quale è necessaria affinché lo stesso mantenga
adeguate performance nello svolgimento di questa delicata attività.
In questo si rende necessario che ogni Pronto Soccorso adotti un piano delle attività formative specifiche per
il triage, stabilendo degli obiettivi formativi triennali.
Il Triage consiste in una rapida valutazione della condizione clinica dei pazienti e del loro rischio evolutivo
attraverso l'attribuzione di una scala di codici colore volta a definire la priorità di trattamento.
In Italia, nella storia dei servizi di emergenza, si sono realizzati sostanzialmente cinque modelli di triage:
 Sistema non infermieristico: prevede l'accoglienza del paziente da parte di figure professionali
diverse da quella infermieristica (es. operatori sociosanitari, volontari, altri). La valutazione è
minima, generalmente limitata alla valutazione del dolore ed al livello di percezione del non-
infermiere di quanto "stia male" il paziente (emergenza o non-urgenza). Questa scelta è basata sulla
osservazione, piuttosto che sull'utilizzo di standard o protocolli. La documentazione è minima o
assente. Questo sistema può essere utilizzato in un piccolo PS con un afflusso di pazienti ridotto e
con rapido accesso alla visita.
 Lo Spot-check triage, o triage a controllo casuale: è un sistema a "rapida occhiata", nel quale un
infermiere addetto alle sale visita si reca nel luogo di triage al momento dell'arrivo del malato. Vi è
una sommaria valutazione e attribuzione del codice di priorità e un rapido esame della
documentazione clinica del malato; l'infermiere ottiene informazioni sui pazienti rispetto alla
intensità del dolore e pochi altri dati soggettivi e oggettivi relativi al problema principale. L'uso di
protocolli o standard di riferimento per l'assegnazione dei codici di priorità e dei trattamenti
necessari dipende dalla persona presente al triage; la documentazione prodotta ed utilizzata (scheda
di accettazione, protocolli di valutazione) può essere varia e non sempre è presente. La rivalutazione
è solitamente eseguita a richiesta del paziente e non segue nessun criterio formale prestabilito.
 Triage di bancone: prevede un infermiere dedicato al triage che esegue una breve intervista ed
analisi del reperto visivo dell'operatore, senza procedere nella valutazione oggettiva di segni,
sintomi e dello stato clinico della persona. Spesso l'assegnazione del codice di priorità è fortemente
vincolata all'utilizzo di flow-chart che lasciano poca discrezionalità decisionale all'infermiere. Questo
sistema utilizza personale dedicato, livelli di categorizzazione definiti, strumenti di registrazione,
ma ha come unico strumento di valutazione l'intervista ed il reperto visivo di segni e sintomi.
Questo modello, elaborato in Italia all'inizio degli anni '90, si riferisce al sistema americano
"Emergency Medical Dispatch" che ha costituito la base, anche nel nostro paese, per i protocolli di
valutazione telefonica nelle centrali operative del sistema di emergenza territoriale ma mal si adatta
alle esigenze di triage in PS.
 Il Triage a doppio step: viene realizzato in alcune strutture ad elevato numero di prestazioni; anche
in questi casi tutti i pazienti devono essere accolti da un infermiere entro 2-3 minuti dal loro arrivo in
PS. Il sistema prevede due infermieri che svolgono ruoli differenti.
Nella prima fase il paziente è accolto da un Infermiere "esaminatore" che:
1. Accoglie il paziente;
2. Valuta velocemente l'ABCD (Airway, Breathing, Circulation, Disability);
3. Indaga sul problema di salute o sul motivo dell'accesso;

131
4. Decide se il paziente è in grado di aspettare per la valutazione e la registrazione amministrativa o
se deve essere immediatamente sottoposto al trattamento.
La seconda fase del processo è espletata dall'infermiere “valutatore”, il quale gestisce i pazienti
giudicati non-urgenti dall’ “esaminatore". I pazienti, nella seconda fase, possono essere valutati in
ordine di arrivo o a discrezione dell'infermiere, rispetto al problema segnalato dal collega. Il secondo
infermiere completa la raccolta dei dati oggettivi e soggettivi, assegna il livello di priorità ed inizia i
trattamenti. In qualunque momento del processo l'infermiere può decidere di portare il paziente
nell'area di trattamento qualora le condizioni di questo dovessero aggravarsi.
 Triage globale: è definito come il sistema di triage ospedaliero più avanzato; prevede che
l'infermiere, adeguatamente formato e dedicato al triage, sia collocato in un'area preposta del pronto
soccorso. Egli utilizza livelli di priorità codificati, mette in atto interventi assistenziali di primo
soccorso, valuta la documentazione di triage e le linee guida di riferimento, rivaluta i pazienti in
attesa, in una prospettiva di dinamicità del metodo. La valutazione e l’assegnazione delle priorità ai
pazienti è attuata da un infermiere preparato e con riconosciuta esperienza. Viene utilizzato un
sistema articolato di categorie per stimare la priorità dei pazienti; si seguono precisi standard per la
valutazione e la pianificazione degli interventi. Sono previsti protocolli per test diagnostici e
trattamenti terapeutici. La rivalutazione dei pazienti è resa possibile dalla presenza costante
dell’infermiere nella zona di triage ed è regolata da precise indicazioni. La documentazione è
sistematica e rende anche possibile la valutazione di qualità del sistema.
Le Linee di Indirizzo Nazionali sul Triage Intraopsedaliero fanno riferimento al modello del triage globale
fondato su un approccio olistico alla persona ed ai suoi familiari, che realizza la valutazione infermieristica
in base alla raccolta di dati soggettivi e oggettivi e degli elementi situazionali significativi e sulle risorse
disponibili. I processi decisionali secondari di triage comprendono la messa in atto di azioni e misure atte ad
accelerare e favorire le cure nelle diverse aree di emergenza. Per ogni codice di triage è previsto un tempo di
valutazione e di accesso alle aree di emergenza; cosicché, tutti i pazienti in sala d'attesa devono essere
periodicamente rivalutati. Questa seconda valutazione deve essere sempre riportata nella cartella
informatizzata del paziente.
I codici di priorità di accesso all’area del trattamento sono stati codificati nelle Linee di indirizzo nazionali sul
triage intraospedaliero (2019) e prevedono l’utilizzo di un sistema di codifica a 5 codici numerici di priorità, con
valori da 1 a 5. L'implementazione della codifica a 5 codici numerici di priorità e il conseguente superamento della
codifica con i codici colore dovrà avvenire progressivamente entro 18 mesi dalla pubblicazione del documento.
Nella legislazione italiana il Triage compare nel 1996, in particolare tramite l'attuazione del decreto n.76/1992, il
quale afferma come in ogni dipartimento di emergenza e accettazione debba essere prevista questa funzione come
primo momento di accoglienza e valutazione dei pazienti afferenti al Pronto soccorso. Tale funzione – recita il
decreto - è svolta “da personale infermieristico adeguatamente formato, che opera secondo protocolli prestabiliti
dal dirigente del servizio”.
È importante ricordare come lo stabilire la priorità di accesso all’area di trattamento non significhi porre una
diagnosi, ma individuare quali pazienti abbiano bisogno di cure immediate e quali possono differire la
valutazione medica. Questo procedimento richiede di soddisfare, in particolare, tre criteri:
 Rapidità: il tempo accesso-codifica di triage deve essere breve;
 Sensibilità elevata e specificità sufficiente: tutti i pazienti potenzialmente critici devono essere
identificati;
 Logica organizzativa: va perseguita una organizzazione che con un adeguato utilizzo delle
risorse produca il rispetto di tempi e standard gestionali.
Gli obiettivi principali che deve perseguire l’attività di Triage in Pronto Soccorso sono:

132
 Individuare i pazienti urgenti e inoltrarli immediatamente all’area di trattamento e/o all’avvio di
specifici percorsi diagnostico-terapeutici-assistenziali.
 Attribuire a tutti i pazienti un codice di priorità che regoli l’accesso alle cure in relazione alla
gravità delle condizioni e al potenziale rischio evolutivo.
Oltre a questi, il triage si pone anche una serie di obiettivi “accessori”, che contribuiscono a migliorare la
qualità del servizio prestato dal sistema:
 Determinare l’area più appropriata per il trattamento;
 Mantenere e migliorare l’efficacia complessiva della struttura di Pronto soccorso;
 Ridurre lo stato d’ansia delle persone che si rivolgono alla struttura;
 Valutare periodicamente le condizioni dei pazienti in attesa;
Il Triage nella pratica di tutti i giorni, da un punto di vista operativo, si sviluppa in tre principali fasi:
1. Valutazione del paziente “sulla porta”: si tratta di una valutazione pressoché visiva che si basa
su come si presenta il paziente prima ancora di averlo valutato e di aver individuato il motivo di
accesso. Questa fase permette di identificare sin dall’ingresso del paziente in Pronto Soccorso una
situazione di emergenza che richieda un trattamento tempestivo e immediato.
2. Valutazione soggettiva e oggettiva: una volta escluse situazioni di emergenza, si procede con la
fase della raccolta dati. La valutazione soggettiva prevede che, attraverso domande mirate,
l’infermiere indaghi il sintomo principale, l’evento presente, il dolore, i sintomi associati e la
storia medica passata. Una volta identificato il motivo di accesso, viene condotta dal triagista la
valutazione oggettiva, la quale si compone dell’esame fisico sul paziente integrato attraverso
l’osservazione (guardare come appare il paziente), la misurazione dei parametri vitali,
l’esecuzione dell’elettrocardiogramma o di emogasanalisi (se necessario), eventuale reperimento
di un accesso venoso e la ricerca specifica di informazioni che possono derivare da un esame
localizzato del distretto corporeo interessato dal sintomo principale.
3. Decisione di triage: si tratta di un processo molto complesso, in cui l’attribuzione del codice di
priorità rappresenta solamente il primo passaggio. In questa fase, difatti, il triagista decide il
percorso adeguato al paziente, attiva le risorse necessarie da introdurre per fronteggiare alle
situazioni che di volta in volta si presentano, eroga la prima assistenza e la pianifica per l’attesa
del paziente e attua tutte le attività necessarie a ridurre il rischio derivante dal prolungarsi
dell’attesa.
Come ultima, ma fondamentale fase di Triage è quella della rivalutazione continua del paziente
in attesa.

CODICI - COLORE
Il metodo del triage usa un codice colore per rendere universalmente identificabile l’urgenza del trattamento
per ogni singolo soggetto. Questo codice colore si compone, in ordine di gravità, di quattro classi principali:
bianco, verde, giallo e rosso. Il codice nero, considerato successivo al rosso, non identifica uno stato di
gravità, ma un soggetto deceduto e non viene quindi generalmente esposto in forma pubblica. I codici colore
possono cambiare da una nazione all’altra e all’interno di diversi protocolli di intervento. Quello che
attualmente viene usato in Italia, è il seguente:
1) Codice rosso o “emergenza”
È il codice più grave: il paziente ha accesso immediato all’intervento medico, poiché un ritardo di accesso
potrebbe determinare danni molto gravi o il suo decesso. Il paziente in codice rosso ha almeno una delle
funzioni vitali (coscienza, respirazione, battito cardiaco, stato di shock) compromessa ed è in potenziale
immediato pericolo di vita, quindi deve essere sottoposto ad una visita medica immediata. È in codice

133
rosso anche il paziente che, se non curato immediatamente, può avere conseguenze gravemente
invalidanti e/o irreversibili sulla salute o sull’autonomia come la perdita di un arto da amputazione o di
un organo. L’infermiere accompagna il paziente in una sala visita/box (sala REA). L’infermiere annota
unicamente l’identità del paziente (al bisogno etichette NN), il grado d’urgenza e il motivo d’entrata sul
foglio del triage.
2) Codice giallo o “urgenza”
È il secondo codice in ordine di gravità: il paziente ha accesso all’intervento medico entro 10-15 minuti
(mai oltre i 20 minuti). Il paziente in codice giallo presenta una compromissione parziale delle funzioni
dell’apparato circolatorio o respiratorio, oppure il paziente è molto sofferente; non c’è un apparente
pericolo di vita immediato, ma deve essere comunque visitato dal medico entro un lasso di tempo di
pochi minuti. L’infermiere fa una valutazione rapida, riempie il foglio di triage e accompagna il paziente
nella sala visita idonea allo stato di salute del paziente. L’infermiere d’accoglienza si occupa in modo
prioritario a liberare un posto all’interno del Pronto soccorso. Il paziente rimane sotto sorveglianza
dell’infermiere.
3) Codice verde o “urgenza differibile” o “urgenza minore”
È il terzo codice in ordine di gravità: il paziente ha accesso all’intervento medico in un tempo variabile e
solo dopo che i codici gialli e rossi sono stati gestiti. Il paziente in codice verde NON ha senza segni di
imminente pericolo di vita e riporta delle lesioni che non interessano le funzioni vitali, ma che vanno
comunque curate. Il codice verde descrive una situazione patologica dove il tempo non costituisce un
fattore critico. Lo stato del paziente al suo arrivo è giudicato stabile. L’infermiere riempie il foglio di
triage e dirige il paziente verso un posto disponibile o nella sala d’attesa dove verrà rivalutato
regolarmente. I tempi di attesa sono variabili (in genere non oltre i 120 minuti).
4) Codice bianco o “non urgenza”
È il codice meno grave in assoluto ed indica “nessuna urgenza”: il paziente non necessita del pronto
soccorso e può rivolgersi al proprio Medico di Medicina Generale (il “medico di famiglia”); in alcuni casi
il codice bianco viene fatto coincidere con accesso improprio e quindi sottoposto al pagamento del ticket,
questo per disincentivare l’accesso al Pronto soccorso per inezie, fatto che potrebbe affollarlo.
Codice azzurro
In alcuni casi, tra il codice giallo e quello verde, si pone il codice azzurro, cioè “urgenza differibile”, mentre il
codice verde è “urgenza minore”: la condizione del paziente in codice azzurro è stabile senza rischio
evolutivo con sofferenza e ricaduta sullo stato generale che solitamente richiede prestazioni complesse.
L’accesso avviene entro 60 minuti. In questo caso avremo quindi cinque livelli di gravità:
 codice rosso o “emergenza”: con accesso immediato all’intervento medico;
 codice giallo o “urgenza”: con accesso alle cure entro 10-15 minuti (mai oltre 20 minuti);
 codice azzurro o “urgenza differibile”: con accesso entro 60 minuti (1 ora);
 codice verde o “urgenza minore”: con accesso entro 120 minuti (2 ore);
 codice bianco o “non urgenza”: tempo di attesa oltre le 2 ore.
Nel caso si presentino bambini in codice verde o bianco, la priorità è loro rispetto ai pazienti adulti con codice
verde o bianco. In caso si presentino bambini in codice verde o bianco, la priorità è invece degli adulti in codice giallo o
rosso.
È fondamentale sapere che in alcuni Paesi, il codice giallo italiano viene chiamato “codice arancione” e pazienti in
codice verde italiano viene identificato “codice giallo” o “codice verde”.

TRIAGE RAPIDO

134
In caso di catastrofe, ad esempio un incidente aereo, un terremoto, un incendio o un maxitamponamento,
un triage preliminare viene effettuato direttamente dai primi soccorritori direttamente nel sito dell’evento.
Tale triage, detto triage rapido, viene poi rivisto dal personale medico/infermieristico all’arrivo al posto
medico avanzato. La segnalazione del codice di gravità, in tali situazioni, viene effettuata normalmente con
delle specifiche Triage Tag, dei braccialetti colorati e delle schede di accompagnamento che vengono
assegnate ai feriti in attesa di evacuazione sanitaria.

TRIAGE PSICOLOGICO
Esistono anche forme di triage psicologico, attuati all’interno dei protocolli di medicina delle catastrofi, che
sono finalizzati a una valutazione rapida dello stato di scompenso ideo-affettivo nelle vittime di situazioni di
crisi e calamità. La loro classificazione prevede l’uso della scala “Psi1-Psi2-Psi3”, come sotto specificazione
del codice-colore sanitario (ma solitamente si assegnano i codici Psi solo in caso di codice verde sanitario).

Tutto questo tipo di approccio si esplica in maniera appropriata quando, oltre a rispettare i protocolli previsti
e validati, essi sono messi in pratica con un substrato ben strutturato di competenza emotiva, quindi
empatica, tale da garantire la presa in carico adeguata. Ciò si comprende se si fa riferimento all'ormai
conosciutissimo aspetto del sovraffollamento dei locali dell’accettazione del Pronto Soccorso, dove la carica
emotiva di apprensione e preoccupazione del paziente si riversa con impatto notevole sull'infermiere
di Triage.

SALA ROSSA
Un altro ambito di assistenza in Pronto Soccorso è svolto nella Sala Rossa.
La sala rossa (a volte denominata “area rossa” o “shock room“) è un’area del DEA o del Pronto Soccorso,
dotata di apparecchiature tecnologicamente avanzate e dedicata al trattamento di pazienti in condizioni
particolarmente critiche, cioè quelli che in base alla valutazione del triage, sono “codici rosso”, i più gravi,
che devono essere non solo affrontati immediatamente, ma che sono spesso ad alto rischio di decesso. In
questo ambiente sono ospitati tutti i pazienti con significative alterazioni dei parametri vitali, come ad
esempio i politraumi, chi è colpito da infarto miocardico, ictus cerebrale, insufficienza respiratoria, arresto
cardiocircolatorio o grave emorragia interna. La funzione della Sala Rossa, quindi, è quella di gestire,
osservare e mantenere in vita i pazienti giunti al Pronto Soccorso in condizioni molto gravi, cioè dove giunge
direttamente il paziente con compromissione di una o più funzioni vitali, tale da prevedere un intervento
repentino in emergenza, garantendo anche una stretta osservazione continua fino al ripristino della funzione
compromessa, eseguendo interventi assistenziali di emergenza collaborando con altre figure professionali
quali il medico di Sala Rossa, l'anestesista, il chirurgo, ed i vari specialisti quali il neurologo di Stroke Unit
(per le trombolisi), l'emo-dinamista (prima e dopo l'intervento di angioplastica), il neurochirurgo (con la
terapia necessaria, la preparazione all' intervento del paziente, il cardiochirurgo (monitoraggio).
Altra assistenza infermieristica è svolta in Pronto Soccorso nelle sale visita (medica, chirurgica, ortopedica)
in collaborazione con il medico specialista; vi si eseguono tutti gli interventi assistenziali necessari (dalla
fleboclisi, il cateterismo vescicale, il reperimento di un accesso venoso, l’esecuzione di un
Elettrocardiogramma, un Emogasanalisi oppure nel posizionamento di una trazione transcheletrica in sala
gessi o ancora di un sondino nasogastrico, ecc.).
Ulteriore ambito di assistenza in Pronto Soccorso è rappresentato dalla cosiddetta OBI (osservazione breve
intensiva), in particolare per l'impegno di un numero di infermieri in rapporto al numero di paziente il più
delle volte sproporzionato.

135
In pratica l'OBI risulta essere una parte logisticamente vasta di Pronto Soccorso in cui più che essere
osservati per un periodo di tempo limitato, vi stazionano pazienti su barelle per più giorni.
L'assistenza infermieristica fornita è quella prevista per pazienti di tutte le specialistiche con la terapia e la
collaborazione nella visita medica. Appare evidente come gli ambiti in cui esplicare le competenze
infermieristiche sono molteplici e differenti.

La preparazione, la formazione e l'aggiornamento continuo sono imprescindibili per garantire un


appropriata assistenza in Pronto Soccorso, parallelamente ad un monitoraggio ed una sollecitazione
continua del management infermieristico, medico e di direzione strategica anche con la sollecitazione ed il
coinvolgimento del Risk Management per rendere la nostra attività assistenziale consona alle esigenze
dell'utente.

136

Potrebbero piacerti anche