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2016-2017

CLINICA III

Medicina Interna Chirurgia Durgenza Medicina Durgenza


Anestesia e Rianimazione | Nico Loizzo
La rete dell'emergenza-urgenza
(Prof. Bellotti)

A seguito dellemanazione del DPR 27 marzo 1992, lEmergenza sanitaria sul territorio si trasformata da
servizio che prevedeva il semplice invio dellambulanza sul luogo dellevento ed il successivo trasporto del
paziente al Pronto Soccorso pi vicino, ad un vero e proprio sistema di soccorso, che consiste
nellintegrazione delle fasi di soccorso con linvio del mezzo meglio attrezzato per il cos detto trattamento
extraospedaliero Stay and Play (rimani e lavora), cos da incidere sullintervallo di tempo in cui la
vittima rimane senza adeguata terapia (Therapy Free Interval) prima del trasporto allospedale pi idoneo.

In applicazione alla normativa nazionale, la fase dellemergenza extraospedaliera del soccorso registra,
dagli anni novanta ad oggi, una progressiva implementazione organizzativa.

Il modello organizzativo del sistema dellEmergenza sanitaria risulta articolato come segue:

Sistema di allarme sanitario, dotato di numero telefonico di accesso breve ed universale 118, in
collegamento con le Centrali Operative alle quali fanno capo tutte le richieste telefoniche di
emergenza sanitaria. La Centrale Operativa garantisce il coordinamento di tutti gli interventi
nellambito territoriale di riferimento ed attiva la risposta ospedaliera 24 ore su 24.
Sistema territoriale di soccorso, costituito dai mezzi di soccorso distribuiti sul territorio: mezzi di
soccorso di base (con soccorritori), mezzi di soccorso avanzati (professionisti medici e/o infermieri),
eliambulanze.
Rete di servizi e presidi: rappresentata dai punti di primo intervento, Pronto Soccorso Ospedaliero e
Dipartimenti di Emergenza-Urgenza Accettazione (DEA).

NeI Punti di primo intervento, fissi o mobili, organizzati per esigenze stagionali in localit turistiche ed in
occasioni di manifestazioni di massa, sportive, religiose, culturali possibile effettuare il primo intervento
medico in caso di problemi minori, stabilizzare il paziente in fase critica e, infine, attivare il trasporto
protetto presso lospedale pi idoneo.

I Pronto Soccorso Ospedalieri svolgono:

attivit di accettazione per i casi elettivi e programmati;


attivit di accettazione per i casi che si presentano spontaneamente e non rivestono carattere di
emergenza- urgenza;
attivit di accettazione di soggetti in condizioni di urgenza differibile;
attivit di accettazione di soggetti in condizioni di urgenza indifferibile;
attivit di accettazione di soggetti in condizioni di emergenza.
Dopo laccettazione, nei PS ospedalieri sono assicurati gli accertamenti diagnostici e gli eventuali interventi
necessari per la soluzione del problema clinico presentato. Nei casi pi complessi sono garantiti gli
interventi necessari alla stabilizzazione del paziente e l'eventuale trasporto ad un ospedale in grado di
fornire prestazioni specializzate, sotto il coordinamento della Centrale operativa.
In sintesi, il PS ha il solo compito di gestire i pazienti senza una importante criticit e, invece, stabilizzare il
paziente che ha una criticit e per poterlo trasferire il pi rapidamente possibile in strutture pi adeguate
per lo specifico trattamento.

Il Dipartimento di Emergenza Urgenza e Accettazione (DEA) rappresenta unaggregazione funzionale di


unit operative che mantengono la propria autonomia e responsabilit clinico-assistenziale, ma che
riconoscono la propria interdipendenza adottando un comune codice di comportamento assistenziale, al
fine di assicurare, in collegamento con le strutture operanti sul territorio, una risposta rapida e completa.
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I DEA afferiscono a due livelli di complessit, in base alle Unit operative che li compongono:
Ospedale sede di D. E. A. di I Iivello: Garantisce oltre alle prestazioni fornite dagli ospedali sede di
Pronto Soccorso anche le funzioni di osservazione e breve degenza, di rianimazione e,
contemporaneamente, deve assicurare interventi diagnostico-terapeutici di medicina generale,
chirurgia generale, ortopedia e traumatologia, cardiologia con UTIC (Unit di Terapia Intensiva
Cardiologia). Sono inoltre assicurate le prestazioni di laboratorio di analisi chimico-cliniche e
microbiologiche, di diagnostica per immagini, e trasfusionali.
Ospedale sede di D. E. A. di II Iivello: Assicura, oltre alle prestazioni fornite dal DEA I livello, le
funzioni di pi alta qualificazione legate allemergenza, tra cui la cardiochirurgia, la neurochirurgia,
la terapia intensiva neonatale, la chirurgia vascolare, la chirurgia toracica. Altre componenti di
particolare qualificazione, quali le unit per grandi ustionati, le unit spinali ove rientranti nella
programmazione regionale, sono collocati nei DEA di II livello, garantendone in tal modo una
equilibrata distribuzione sul territorio nazionale ed una stretta interrelazione con le centrali
operative delle regioni.

Negli ospedali in cui mancano i DEA, si opera il trasferimento del paziente presso un altro ospedale
provvisto dei reparti necessari alla gestione del paziente.

Gestione del paziente critico dal punto del chirurgo

La gestione di un paziente critico ben diversa da quella di un paziente in elezione; inoltre, nellambito
della criticit si soliti distinguere:

Emergenza : condizione clinica che pone il paziente in imminente pericolo di vita per cui la
soluzione deve essere immediata;
Urgenza:condizione clinica in cui non vi un imminente pericolo di vita ma la cui soluzione deve
avvenire entro le 24/48 ore poich oltre questa tempistica diventa una condizione critica (es.
appendicite acuta che evolve in peritonite, occlusione intestinale che evolve in perforazione).

Nel paziente critico, la rianimazione e la stabilizzazione rappresentano una tappa prioritaria rispetto a una
diagnosi immediata e corretta. Quindi, la gestione del paziente critico inizia con una (1) valutazione del
rischio di vita imminente. La rete dellemergenza-urgenza prevede che questa valutazione venga effettuata
dallequipe del 118, nel caso in cui il paziente venga trasportato in ambulanza, o dallinfermiere del triage,
quando il paziente giunge spontaneamente in pronto soccorso.
I primi minuti della valutazione devono essere indirizzati agli eventi potenzialmente letali che coinvolgono
le vie aeree e i sistemi respiratorio e cardiocircolatorio. Solo successivamente andranno valutati gli altri
apparati. Lutilizzo di un approccio sistemico riduce il rischio di diagnosi perse e suggerisce un comune
schema di assistenza e trattamento. Per lapproccio immediato si usa il sistema ABCDE, validato in molti
protocolli di trattamento demergenza (vedi dopo).
Successivamente si esegue una (2) valutazione della possibilit di un rapido instaurarsi di gravi
complicanze tali da mettere a rischio la vita del paziente. Per quest obiettivo, occorre iniziare un iter
diagnostico in urgenza per definire la causa; liter deve essere condotto in funzione delle disponibilit di
mezzi a disposizione. Si devono preferire delle procedure che forniscono rapidamente la diagnosi ed evitare
quelle che rendono impossibile lassistenza al malato per un tempo eccessivo. Infine, occorre (3) valutare
le possibili complicanze che provochino danni irreversibili ad organi o apparati. Per prevenire queste
ultime due complicanze occorre impostare un corretto iter terapeutico in base alla condizione patologica.

Per essere rapidi in una condizione durgenza e avere un dialogo condiviso e comprensibile con gli altri
colleghi che gestiscono unurgenza, esistono algoritmi terapeutici condivisi a livello internazionale per poter
gestire al meglio le diverse condizioni cliniche (es. ATLS utilizzato nel paziente politraumatizzato) .

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ABCDE
La valutazione ABCDE di qualsiasi paziente critico principalmente clinica e segue il semplice schema di
Guardare, Ascoltare e Sentire. Questo approccio permette di identificare rapidamente le priorit di
intervento.

La valutazione dell Airways (vie aeree), ovvero la valutazione della perviet e la protezione delle vie aeree
sono fondamentali per una funzione respiratoria normale e devono essere sempre garantite in condizioni di
urgenza-emergenza. Le cause pi comuni di ostruzione delle vie aeree sono la caduta allindietro della base
della lingua, la presenza di corpi estranei, linalazione di sangue o materiale gastrico o altro, il
laringospasmo, ledema sovraglottico o glottico, le stenosi periglottiche o tracheali oppure altre
complicanze post-intubazione e, infine, il broncospasmo.
Non esistono strumenti in grado di misurare direttamente la perviet delle vie aeree, ma sono
fondamentali la ricerca di fattori di rischio e la valutazione clinica del paziente. Tuttavia, unostruzione delle
vie aeree che influisce sulla funzione respiratoria pu essere rilevata da un monitoraggio degli scambi
respiratori.
La prevenzione e il trattamento di unostruzione delle vie aeree non possono prescindere
dallindividuazione e dalla risoluzione della causa. Nel frattempo, occorre comunque mettere in atto alcune
misure perch unostruzione completa delle vie aeree pu essere letale nellarco di alcuni minuti. In ordine
di invasivit e di esecuzione, le manovre di assistenza respiratorie comprendono:

1. Somministrazione supplementare di O2: aiuta a guadagnare tempo nel caso lostruzione non sia
completa e vi sia una ventilazione residua.
2. Aspirazione di cavo orale e faringe: spesso allevia lostruzione e pu facilitare eventuali manovre
invasive successive.
3. Manovre manuali: liperestensione del capo (da non eseguire in pazienti con trauma cervicale,
diagnosticato o sospetto), il sollevamento del mento e la sublussazione della mandibola e
lestrazione di corpi estranei visibili spesso risolvono lostruzione in pazienti con stato di coscienza
alterato.
4. Cannule oro- o nasofaringee: permettono di creare un passaggio daria posteriormente alla base
della lingua e di mantenere pervia la faringe; la cannula orofaringea poco tollerata da parte di
pazienti coscienti e in questi casi indicata la cannula nasofaringea.
5. Intubazione tracheale: pu rendersi necessaria per il fallimento di tutte le manovre precedenti, per
proteggere la via aerea dal rischio di inalazione di sangue, materiale gastrico o altro, oppure
quando sia prevista la necessit di ventilazione artificiale prolungata. Richiede tuttavia una grande
competenza affinch venga eseguita con efficienza e senza lesioni.
6. Cricotiroidotomia o tracheotomia: utilizzate quando lintubazione tracheale indicata, ma
impossibile da eseguire;

7. Maschera laringea: fatta anatomicamente in maniera


speculare rispetto allo spazio glottico per cui ci si poggia
sopra, la copre e in questo modo ho una comunicazione
diretta tra lo spazio glottico e lesterno. Posizionata in
faringe, davanti alladitus laringeo, permettono la
ventilazione spontanea o artificiale. Consiste in un tubo
che termina con una membrana fatta a losanga, che viene
inserita sgonfia e una volta posizionata in fondo alla cavit
orale viene gonfiata. Non richiede un controllo visivo per il
posizionamento ma solo che venga scelta la misura adatta
Figura 1. Maschera laringea posizionata

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a seconda dellet e del sesso del paziente. Molto utilizzata per il paziente traumatizzato.

Anche per la valutazione del Breathing (funzione respiratoria), lesame obiettivo spesso il miglior
monitoraggio della funzione respiratoria disponibile. I segnali clinici di allarme per una compromissione
della funzione respiratoria sono:

Paziente in coma o in arresto respiratorio o concomitante instabilit emodinamica;


Segni o sintomi di ostruzione delle vie aeree;
Alterazioni della frequenza respiratoria: la tachipnea un segno poco specifico, ma fondamentale,
di distress respiratorio e pu essere dovuta a ipossiemia, ipercapnia o acidosi. Una bradipnea
spinta, invece, pu essere dovuta a esaurimento muscolare in corso di insufficienza respiratoria, a
una patologia neuromuscolare o pu far sospettare una patologia neurologica centrale. La FR si pu
calcolare semplicemente contando gli atti respiratori percepiti palpando od osservando il torace del
paziente.
Alterazioni della frequenza cardiaca: una tachicardia pu essere un iniziale compenso di
unipossiemia. Quando invece lipossia persiste o diventa pi grave, la frequenza cardiaca
diminuisce fino allasistolia. La tachicardia tuttavia un segno piuttosto aspecifico.
Meccanica respiratoria alterata: quando il diaframma non in grado di fornire un flusso di aria
sufficiente alle richieste del paziente, diventano evidenti luso della muscolatura accessoria e/o un
respiro paradosso. importante ricercare la presenza di respiro superficiale, quadri respiratori
irregolari e retrazioni toraciche respiratorie.
Incapacit a terminare le frasi.
Alterato stato di coscienza: pu derivare tra laltro da uninsufficienza respiratoria.
Cianosi: un segno di ipossiemia che si presenta quando lHb ridotta supera 5 g/dl. Pu essere un
segno tardivo rispetto al monitoraggio strumentale ed di difficile rilevazione in alcuni casi. Anche
il pallore pu essere un segno di ipossiemia, soprattutto nei bambini.
Auscultazione toracica.

Esistono tuttavia numerosi strumenti per monitorare la funziona respiratoria. Lemogasanalisi arteriosa
considerata il gold standard per la valutazione e il monitoraggio degli scambi gassosi.
Il pulsossimetro ( o saturimetro) utilizza radiazioni luminose, le quali attraversano un letto vascolare e
raggiungono un rilevatore. In questo modo lemoglobina ossidata viene misurata in maniera non invasiva
ed espressa come percentuale dellemoglobina totale (SpO2). Inoltre, vengono rilevate la frequenza e
lampiezza delle pulsazione che perfondono il letto vascolare, cosicch con lo stesso strumento possono
essere monitorate anche la frequenza e la perfusione periferica.
Dal punto di vista strumentale, il monitoraggio della meccanica respiratoria in urgenza-emergenza
eseguibile in pazienti sottoposti a ventilazione invasiva, attraverso cio un tubo endotracheale o una
tracheo- o cricoidotomia.
Infine, la diagnostica per immagini svolge un ruolo importante nella definizione della causa di una funzione
respiratoria compromessa. La radiografia del torace, che in condizioni di urgenza spesso possibile
eseguire anche solo in proiezione anteroposteriore, permettono di identificare danni a livello del
parenchima polmonare, versamenti pleurici, lesioni traumatiche. Lecografia del torace, rispetto alla
radiografia, permette la valutazione dinamica del torace ed facilmente e velocemente ripetibile senza
costi biologici per il paziente. Pertanto rappresenta lo strumento migliore per il monitoraggio dellefficacia
della ventilazione. Inoltre, sotto guida ecografica, possibile eseguire manovre terapeutiche quali
toracentesi e posizionamento di drenaggi toracici.

Le manovre di assistenza della funzione respiratoria sono:

Somministrazione O2 supplementare: per tutti i pazienti ipossici, indipendentemente dalla causa.

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Ventilazione meccanica: non esistono valori di PaCO2 che costituiscano indicazione assoluta alla
ventilazione meccanica, ma vanno tenuti in considerazione soprattutto il valore di pH e il suo trend
temporale: unacidosi respiratoria con pH < 7.3 o una PaCO2 in costante aumento accompagnata da
un pH in diminuzione pu spingere a intervenire indipendentemente dai valori assoluti. Altri
elementi che devono guidare la decisione di ventilare un paziente sono la stabilit cardiovascolare,
lo stato neurologico, eventuali comorbilit e la risposta a eventuali terapie.

La valutazione della Circulation (sistema cardiovascolare) inizia gi dallapproccio al paziente critico e con
lispezione del suo aspetto generale. Condizioni di elevata gittata cardiaca sono associate a cute calda,
mentre i pazienti in bassa gittata si presentano ipotermici e con estremit vasocostrette.
Tuttavia, per una migliore definizione del corretto funzionamento del sistema cardiovascolare, vengono
comunemente utilizzate alcune variabili fisiologiche che variano dai comuni segni vitali alle variabili
emodinamiche invasive e di trasporto specialistico. Questi parametri vitali comprendono la frequenza
cardiaca, la pressione arteriosa, la temperatura corporea e la frequenza respiratoria. Accanto a questi,
rivestono particolare importanza nel paziente critico il monitoraggio della pressione venosa centrale (PVC)
e dei parametri di perfusione (diuresi, ScvO2 e lattati) e alcuni aspetti del monitoraggio funzionale
(responsivit al carico volemico). Nel complesso questi parametri vitali definiscono il grado di stabilit
emodinamica del paziente critico fondamentale per stabilire il rischio di vita del paziente. Secondo il
professor Bellotti, la stabilit emodinamica si definisce invece quando un paziente non risponde alle nostre
manovre rianimatorie di terapia intensiva: es. un paziente svenuto non un paziente con instabilit
emodinamica finch non si valuta la mancata risposta alle nostre manovre rianimatorie.
Quindi, se un paziente instabile, il primo obiettivo quello di stabilizzarlo per garantire unadeguata
perfusione tissutale. I differenti tipi di schock e i loro trattamenti saranno presentati singolarmente in altre
sezioni del testo. Tuttavia, generiche misura di gestione/monitoraggio e terapia sono comuni e si articolano
in successivi livelli operativi, qui riassunti:

1. Controllo/correzione del problema primario;


2. Ottimizzazione dellossigenazione: mediante somministrazione di O2, per mantenere una PaO2 di
almeno 80-100 mmHg, oppure con la ventilazione a pressione positiva non invasiva o invasiva se
necessario.
3. Monitoraggio emodinamico: il livello di monitoraggio deve tenere conto della gravit e
dellevolutivit del quadro clinico;
4. Rianimazione volemica;
5. Ottimizzazione della gittata cardiaca e della pressione di perfusione: mediante linfusione di
inotropi e/o vasopressori che richiede almeno il monitoraggio della pressione arteriosa invasiva e
della SvcO2.
6. Riduzione del consumo di O2.
7. Correzione dello squilibrio acido-base: lacidosi metabolica come risultato dello shock tende a
risolversi generalmente con il ripristino di unadeguata pressione di perfusione e ossigenazione.
Limpiego di bicarbonato va considerato unicamente se il pH rimane < 7,2 nonostante un ottimale
supporto cardiopolmonare.

La Disability (monitoraggio neurologico) sta ad indicare la necessit di una valutazione dello stato di
coscienza che uno dei parametri vitali che necessario monitorare in ogni paziente, in condizioni critiche
o meno. Al primo incontro, il suo livello di coscienza il primo elemento che possibile valutare ma nella
gerarchia ABCDE viene al quarto posto dopo ABC per due ragioni: la prima che in condizioni di emergenza
indispensabile stabilizzare un paziente dal punto di vista cardiorespiratorio per avere il tempo di
procedere a una valutazione neurologica; la seconda che lo stato di coscienza di un paziente critico
molto spesso alterato non per patologie neurologiche, ma proprio a causa di uninsufficienza respiratoria o
cardiocircolatoria.
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In Pronto Soccorso non sono disponibili molti strumenti per il monitoraggio continuo e ripetuto dello stato
neurologico e ancora una volta la clinica ha unimportanza prominente nella valutazione del paziente
critico.
I segnali di allarme che bisogna cogliere per valutare la compromissione neurologica sono:

Coscienza: esistono scale che permettono unavalutazione rapida e ripetibile dello stato di
coscienza. La Glasgow Coma Scale ormai la scala pi usata.
Risposta motoria: lattivit motoria, spontanea o provocata, sicuramente la componente pi
importante della GCS, come di qualunque esame neurologico eseguito in emergenza.
Pupille: importante osservare il diametro pupillare e la loro simmetria, nonch la presenza del
riflesso fotomotore diretto e consensuale.
Movimenti oculari: i movimenti normali dipendono dallintegrit della connessione bulbo-ponto-
mesencefalica. Per un esame pi completo bisogna valutare la posizione a riposo dello sguardo, la
presenza di nistagmo e la risposta a stimoli come la rotazione del capo o la stimolazione calorica
della membrana timpanica.

Lesecuzione ripetuta (ogni 6,12 o 24 ore) di una TC pu essere utile per monitorare landamento di un
danno cerebrale traumatico o emorragico.
Se le funzioni delle vie aeree e dei sistemi respiratorio e cardiocircolatorio possono spesso essere vicariate
o sostenute dalle manovre rianimatorie, lo stesso non vale per il sistema nervoso centrale. In urgenza,
lobiettivo del medico per un paziente con un danno neurologico acuto deve essere quello di limitare
levoluzione del danno primario o limitare linsorgenza di danni secondari ed eventuali complicanze. Il
trattamento della patologia neurologica di qualunque genere secondario alla stabilizzazione delle
condizioni cardiorespiratorie.

Infine, lExposure (esposizione del paziente) si pone a completamento della valutazione primaria. Non si
tratta di un esame obiettivo completo ma piuttosto di unesposizione completa con rapida osservazione e
protezione del paziente.
Una rapida esposizione di tutto il paziente permette di individuare lesioni, ferite, fonti di sanguinamento
non immediatamente evidenti, segni di fratture ossee, alterazioni del colorito cutaneo, petecchie e altri
segni che possono aiutare a guidare la scelta del monitoraggio e del trattamento. A seguito dellesposizione
il paziente va esaminato anteriormente e posteriormente; losservazione del paziente va ripetuta per poter
valutare uneventuale evoluzione o la risposta alle terapie.

Chirurgia durgenza
Nel paziente critico, lindicazione ad eseguire un intervento chirurgico molto diversa da quella di un
paziente chirurgico in elezione. In questultimo, lindicazione allintervento chirurgico passa attraverso
unattenta valutazione clinica (anamnesi, esame obiettivo, esami strumentali) per la completa definizione
della diagnosi, attraverso la valutazione del rischio dellintervento e delle sequele e complicanze.
Tutto questo in emergenza sparisce, anzi se voi state attenti a queste cose potreste essere chiamati in
causa a rispondere della vostra condotta: in urgenza NON dobbiamo fare un percorso diagnostico completo
ed esaustivo perch potremmo rischiare di perdere il paziente, non dobbiamo nemmeno tenere presente il
rischio operatorio, tanto che gli interventi chirurgici di urgenza si fanno quasi senza diagnosi nelle classiche
laparatomie esplorative. In urgenza quando usiamo delle procedure diagnostiche dovremmo cercare di
usare dei sistemi che ci facilitano la diagnosi, ci danno una rapida valutazione delle condizioni generali e del
tipo di situazione di emergenza e dovremo cercare di indirizzare lurgenza verso tipi di procedure il meno
invasive possibili. Infatti, la chirurgia tende, oggi, ad essere sempre meno invasiva e sempre pi
conservativa. Laddove possibile, si effettua quindi una osservazione del paziente critico prima di decidere

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se il paziente deve essere operato 1; inoltre, oggi sono disponibili procedure molto meno invasive alle quali
si dovrebbe ricorrere soprattutto in condizioni di urgenza.

Consenso informato
Ogni prestazione sanitaria riconosce un suo fondamento di legittimit, poich indirizzata a una funzione
del tutto positiva, quantomeno il linea teorica. La Costituzione italiana racchiude i salienti principi di tutela
della salute dei cittadini allarticolo 32, ove la stessa definita fondamentale diritto dellindividuo e
interesse della collettivit. Nel suo seguito larticolo stesso fa espresso riferimento al principio essenziale
della volontariet dei trattamenti sanitari.
Quindi nello stesso articolo viene citato il diritto personale alla salute e lesclusione di trattamenti sanitari
che prescindano dalla volont del cittadino, ovvero dalla sua livera scelta di sottoporsi a essi.
Questi aspetti possono non riconoscere la propria essenzialit in tutti i settori dellazione sanitaria e anche
nel novero delle prestazioni di urgenza e di emergenza, ove si realizzano condizioni assai complesse e
delicate a questo proposito. Non difficile capire come lazione sanitaria, con grande frequenza, implichi la
necessit di una violazione oggettiva di diritti individuali altrimenti intangibili. Ma larticolo 50 del codice
penale, chiarisce nel proprio ambito di sussistenza che non punibile chi lede o pone in pericolo un diritto
col consenso della persona che pu validamente disporne.
Al di l del valore generale che questa norma possiede, essa definisce, tra laltro, un ben preciso limite delle
prestazioni sanitaria ordinaria che deve, di necessit, violare diritti individuali sempre tutelati: il consenso
della persona. Il consenso prestato sul diritto salute da includersi certamente nelle manifestazioni di
volont valide in quanto prestato, anzitutto, su un bene disponibile. La stessa Costituzione, come detto, ne
enuncia la disponibilit individuale.
Quindi, nellattivit sanitaria il suolo dellinformazione che il medico o lesercente una professone sanitaria
devono svolgere nei confronti del paziente riveste importanza essenziale e richiede, di necessit,
preparazione, competenza e aggiornamento. Molto spesso si utilizza il termine consenso informato per
sottolineare come la consapevolezza delloggetto del consenso sia un elemento fondante e che ci pu
derivare solo dallo sforzo di rendere edotto con completezza e accuratezza il paziente per un progetto
inerente la sua salute.

Il trattamento chirurgico e medico durgenza implica condizioni che, spesso, sono del tutto peculiari. Non
raro il caso che, in questi settori di azione clinica, sia in concreto improspettabile lacquisizione di un valido
consenspo da parte del paziente, pure essendo egli in possesso di una idoneit giuridica, a causa delle sue
condizioni cliniche e dellimpossibilit di procrastinare interventi. A questo proposito la dottrina giuridica ha
fatto registrare nel tempo diverse impostazioni del problema, non sempre univoche e, molto spesso, di
assai complessa elaborazione. Lo stesso impianto giuridico del sistema include situazioni che possono
fondatamente essere invocate come principi ispirativi della condotta sanitaria in casi del genere. Larticolo
54 del codice penale intitolato allo Stato di necessit e recita: non punibile chi ha commesso il fatto
per esservi stato costretto dalla necessit di salvare s od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla
persona, pericolo da lui non volontariamente causato n altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia
proporzionato al pericolo. Questa disposizione si fonda, dunque, sullaffermazione della non punibilit,
ovvero di una forma di giustificazione giuridica, per un fatto (azione od omissione) che, pur avendo le
caratteristiche di reato, e quindi di fatto illecito e punibile, in presenza di determinate condizioni si
riconosce non possa essere passibile di pena. Le condizioni che determinano tale circostanza sono previste
con chiarezza: deve sussistere un pericolo attuale e, quindi, concretamente in essere nel momento
dellintervento; deve essere inerente un danno grave alla persona, cio prospettabile nellimminenza; deve
sussistere una proporzionalit tra quanto si attua per scongiurare il pericolo e il pericolo stesso. Quindi si

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Trenta anni fa un bambino con unappendicite si operava subito, oggi lo standard di trattamento dellappendicite
losservazione, lavalutazione clinica e se la condizione clinica dovesse peggiorare si passa allintervento chirurgico.
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ammette che lintervento indirizzato a fronteggiare lo stato di necessit nei termini richiamati, nellattivit
sanitaria durgenza, rappresenti una via di superamento delle difficolt implicite o inevitabili alla
realizzazione di un rapporto con il paziente che possa procedere attraverso le normali attivit di
informazione e manifestazione di volont sulla disposizione del diritto salute.
Questi principi denotano come i problemi siano numerosi e delicati in questa materia; essi sono sia di
origine giuridico sia di origine medico-legale, ovvero inerenti lapplicazione concreta dei principi di legge,
ovvero inerenti lapplicazione concreta dei principi di legge. Comunque, nelle prestazioni connotate da
urgenza o emergenza necessario porre estrema attenzione al rapporto con il paziente in riferimento al
tema del consenso. Essere preparati a ogni circostanza anche in tale ambito costituisce un contenuto
culturale non rinunciabile. Linsistenza su questi temi sia in sede giuridica sia in sede medico-legale
testimonia il rilevo di una solida preparazione finalizzata a informare le proprie modalit di azione,
allinterno di un gruppo, in armonia e coordinamento con tutte le componenti e nel rispetto dei principi che
regolano lindispensabile, ma complessa, relazione tra un sanitario e chi a lui ricorre o a lui affidato per
conservare e tutelare il bene della propria salute.

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BLS-D
(prof.ssa Wappner)
Il supporto essenziale di base delle funzioni vitali consiste in un insieme di procedure standardizzate di
rianimazione atte a sostenere le funzioni vitali del paziente qualora queste possano essere compromesse a
causa dellinsorgenza di perdita di coscienza, arresto respiratorio, arresto cardiocircolatorio o per
ostruzione delle vie aeree da corpo estraneo. Le linee guida del BLS vengono aggiornate ogni 5 anni
dallILCOR (International Liaison Committee on Resuscitation); le ultime risalgono al 2015.
Il BLS di per s non richiede lutilizzo di alcun equipaggiamento; quando per si ha a disposizione un
defibrillatore lalgoritmo del BLS ne prevede lutilizzo e in questo caso si parla di BLS-D. Per il BLS lobiettivo
quello di mantenere la perfusione dei tessuti nobili (cuore e cervello) mentre lobiettivo della
defibrillazione quello di risolvere unaritmia letale.

Il BLS-D fa parte della cosiddetta catena di sopravvivenza di un paziente in arresto cardio-respiratorio, che
prevede 5 anelli:

1. Riconoscimento immediato dellarresto e allarme immediato


2. Rianimazione cardio polmonare
3. Defibrillazione precoce in caso di ritmo defibrillabile;
4. ALS (supporto avanzato delle funzioni vitali);
5. Trattamento integrato dopo la risoluzione dellarresto cardiaco.

La sequenza delle procedure del BLS-D sono le seguenti:

1. Valutazione della sicurezza nel soccorso


Prima di procedere a qualsiasi valutazione sullinfortunato, il soccorritore deve sempre provvedere a
controllare la sicurezza della scena ed, eventualmente, indossare i dispositivi di sicurezza. Va garantita,
prima di intervenire in soccorso del paziente, la propria sicurezza nei confronti di potenziali pericolo
immediati quali: pericolo di investimento, pericolo di incendio/esplosione, pericolo di crollo, pericolo di
inalazione di sostanze tossiche o di elettrocuzione.
Se la scena non sicura il soccorritore non deve entrare in azione ma deve allertare il 112 per idoneo
supporto.
Garantita la sicurezza della scena, qualora siano presenti astanti, occorre presentarsi con fermezza e garbo,
allontanare a cerchio tutte le persone dal paziente e chiedere (molto velocemente) eventuali notizie in
merito allevento e alle sue dinamiche, con particolare riferimento alla possibile presenza di un trauma del
rachide; infatti, in un paziente certamente non traumatizzato occorre mettere in pratica la sequenza del
BLS mentre per un paziente eventualmente o certamente traumatizzato occorre mettere in atto una serie
di accortezze che verranno descritte in seguito.

2. Valutazione dello stato di coscienza


In presenza di una persona apparentemente priva di vita di primaria importanza accertarsi, con estrema
rapidit (max 5 secondi), se cosciente o meno. Per questo occorre chiamare il paziente a voce alta
(signore come va?, Riesce a muoversi? Pu aprire gli occhi?), appoggiare fermamente la mano su una
spalla del paziente, scuotendola appena (stimolazione tattile) e successivamente stringendo il trapezio tra
le dita (stimolazione dolorifica).
Il paziente incosciente, e quindi candidabile al BLS, quando non risponde affatto o pronuncia poche parole
sconnesse, non risponde a nessun comando, non apre gli occhi spontaneamente o dopo richiamo verbale.

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3. Allertamento
Il riscontro di uno stato di incoscienza del paziente impone da parte del soccorritore limmediato
allertamento del 112 (numero unico demergenza europeo) e la richiesta immediata di un defibrillatore
semiautomatico ad uno degli astanti.

4. Posizionamento corretto del paziente


Se linfortunato giace in posizione prona deve essere disposto in posizione supina prima di iniziare qualsiasi
manovra (manovra di supinazione). Nel sospetto invece di un trauma questa manovra deve essere eseguita
mantenendo capo, collo e torace costantemente in asse (procedura di log-roll) per evitare linsorgenza di
lesioni midollari provocate da uneventuale instabilit del rachide cervicale.
Il paziente, dopo essere stato adagiato in posizione supina, deve essere posizionato su un piano rigido o a
terra, altrimenti la forza usata per comprimere il torace qualora si renda necessario effettuare un
massaggio cardiaco esterno, si disperder, in quanto il piano dappoggio portato a cadere ad ogni
compressione, vanificando completamente lefficacia emodinamica delle compressioni. Per questo esistono
anche delle barelle di pronto soccorso appositamente rigide.
Posizionato su un piano rigido, il paziente deve essere allineato, avendo cura di assicurare il mantenimento
in asse di capo, collo, tronco.
Dopo la manovra di allineamento, il collo deve essere rapidamente liberato da ogni oggetto che possa in
qualche modo ostacolarne la respirazione (es. colletto della camicia, cravatta) mentre il torace deve essere
scoperto per le valutazioni successive.

4. ABC
La valutazione ABC nel paziente incosciente una valutazione principalmente clinica poich segue il
semplice schema di Guardare, Ascoltare e Sentire. Questo approccio permette di identificare rapidamente
le priorit di intervento per il paziente.

La valutazione dell Airways (vie aeree), ovvero la valutazione della perviet e la protezione delle vie aeree
sono fondamentali per una funzione respiratoria normale e devono essere sempre garantite in condizioni di
urgenza-emergenza. Le cause pi comune di ostruzione delle vie aeree nel paziente che ha perso coscienza
la caduta allindietro della base della lingua; infati, in conseguenza alla riduzione del normale tono
muscolare, la base della lingua scivola posteriormente, si adagia in corrispondenza della parete posteriore
della faringe e determina, in modo combinato, un inginocchiamento dellepiglottide, ostruendo morfo-
funzionalmente le prime vie aeree. Altre cause di alterata perviet delle vie aeree sono la presenza di corpi
estranei, linalazione di sangue o materiale gastrico o altro, il laringospasmo, ledema sovraglottico o
glottico, le stenosi periglottiche o tracheali e altre complicanze post-intubazione e, infine, il broncospasmo.

Non esistono strumenti in grado di misurare direttamente la perviet delle vie aeree. sufficiente aprire la
bocca del paziente per valutare la posizione della lingua nonch per valutare la presenza di eventuali corpi
estranei (es. protesi dentarie). Tuttavia, unostruzione delle vie aeree che influisca sulla funzione
respiratoria pu essere rilevata da un monitoraggio degli scambi respiratori.
Questa valutazione non deve durare pi di 5 secondi.
Per ottenere la perviet delle vie aeree superiori, il soccorritore sanitario pu ricorrere alla manovra di
iperestensione del capo con sollevamento del mento. Questa una manovra fondamentale da attuare in
questi pazienti; infatti, liperestensione del capo ed il contemporaneo sollevamento del mento
determinano uno spostamento della mandibola in avanti ed in alto. Poich la sede di inserzione dei fasci
muscolari della lingua situata presso la mandibola, lo spostamento in avanti ed in alto della mandibola
permette alla base della lingua di sollevarsi, allontanandosi dalla parete posteriore della faringe e
liberando, di fato le vie aeree superiori.

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La manovra di iperestensione del capo assolutamente controindicata
in tutti i sospetti traumatizzati cranici e/o spinali. Potrebbe infatti
aggravare le loro eventuali lesioni in modo irreparabile. In questi casi si
esegue invece la manovra di sublussazione della mandibola: occorre
disporsi posteriromente rispetto al capo della vittima e si posizionano i
polpastrelli dellindice, medio ed anulare in corrispondenza degli angoli
della mandibola per spingere, sequenzialmente in basso, in avanti e
quindi in alto. La corretta esecuzione della manovra prevede che
larcata dentaria inferiore del paziente venga a trovarsi anteriormente
rispetto a quella superiore. I due pollici del soccorritore provvedono,
quindi, ad aprire la bocca del paziente.

Invece, i dispositivi ausiliari per il controllo delle vie aeree durante il BLS sono:

1. Somministrazione supplementare di O2: aiuta a guadagnare tempo nel caso lostruzione non sia
completa e vi sia una ventilazione residua.

2. Aspirazione di cavo orale e faringe: spesso allevia lostruzione e pu facilitare eventuali manovre
pi invasive descritte in seguito.

3. Cannula orofaringea ( o cannula di Guadel o di Mayo) : la pi utilizzata in emergenza. Permette di


creare un passaggio daria posteriormente alla base della lingua e di mantenere pervia la faringe; la
cannula orofaringea molto funzionale perch solleva la lingua e permette di non iperestendere la
testa, soprattutto nella persona anziana con artrosi
cervicale.
Qualora siano presenti i riflessi glosso-faringei, lo stimolo
meccanico determinato dalla presenza della cannula pu
provocare vomito, tosse e laringospasmo del paziente,
con conseguente possibilit di aggravamento
dellostruzione delle vie aeree. Se quindi il soggetto
reagisce al tentativo di inserimento, particolarmente con
colpi di tosse e/o conati di vomito, opportuno non insistere.

4. Intubazione tracheale: pu rendersi necessaria per il fallimento di tutte le manovre precedenti, per
proteggere la via aerea dal rischio di inalazione di sangue, materiale gastrico o altro, oppure
quando sia prevista la necessit di ventilazione artificiale prolungata (vedi dopo).

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5. Cricotiroidotomia o tracheotomia: utilizzate quando lintubazione tracheale indicata, ma
impossibile da eseguire;

6. Via aeree extraglottiche: posizionati in faringe, davanti


alladitus laringeo, permettono la ventilazione spontanea e
artificiale. Non possedendo una cuffia che sigilli
dallinterno la trachea, non possono garantire una
protezione allinalazione di materiale allinterno delle vie
aeree. La pi utilizzata attualmente la maschera laringea.

Il ripristino della perviet delle vie aeree un aspetto fondamentale in un paziente incosciente; infatti, pu,
talvolta, consentire al paziente di riprendere una respirazione adeguata senza che il soccorritore debba
compiere altre manovre.

Per la valutazione del Breathing (funzione respiratoria), lesame obiettivo del torace per valutare i
movimenti respiratori e spesso il miglior monitoraggio della funzione respiratoria disponibile. La
valutazione della presenza dellattivit respiratoria prevede di:

1. Guardare: il torace e laddome per valutarne i movimenti respiratori;


2. Ascoltare: i soffi respiratori;
3. Sentire: con la guancia vicino alla bocca e al naso del paziente si deve sentire la fuoriuscita di aria
dal naso e dalla bocca.

Questa valutazione non deve durare pi di 10 secondi.


Attenzione a non confondere il respiro agonico (o gasping) con la presenza di attivit ventilatoria efficace.
Il gasping si caratterizza per la contrazione a scatti, appena visibile, dei muscoli respiratori accessori che pu
essere presente nelle prime fasi di un arresto cardiaco primitivo; inoltre, caratteristico il fatto che non si
produce alcuna visibile, netta, ritmica espansione del torace. Questo respiro totalmente inefficace ai fini
della funzione di ventilazione/ossigenazione del sangue. Il gasping il risultato di un riflesso agonico del
cervello, indica quindi la presenza di arresto cardiaco e la necessit di procedere immediatamente al
massaggio cardiaco.
I quadri clinici di allarme per una compromissione della funzione respiratoria sono:

Paziente in coma o in arresto respiratorio o concomitante instabilit emodinamica;


Segni o sintomi di ostruzione delle vie aeree;
Alterazioni della frequenza respiratoria: la tachipnea un segno poco specifico, ma fondamentale,
di distress respiratorio e pu essere dovuta a ipossiemia, ipercapnia o acidosi. Una bradipnea
spinta, invece, pu essere dovuta a esaurimento muscolare in corso di insufficienza respiratoria, a
una patologia neuromuscolare o pu far sospettare una patologia neurologica centrale. La FR si pu
calcolare semplicemente contando gli atti respiratori percepiti palpando od osservando il torace del
paziente.
Alterazioni della frequenza cardiaca: una tachicardia pu essere un iniziale compenso di
unipossiemia. Quando invece lipossia persiste o diventa pi grave, la frequenza cardiaca
diminuisce fino allasistolia. La tachicardia tuttavia un segno piuttosto aspecifico.
Meccanica respiratoria alterata: quando il diaframma non in grado di fornire un flusso di aria
sufficiente alle richieste del paziente, diventano evidenti luso della muscolatura accessoria e/o un
respiro paradosso. importante ricercare la presenza di respiro superficiale, quadri respiratori
irregolari e retrazioni toraciche respiratorie.
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Incapacit a terminare le frasi.
Alterato stato di coscienza: pu derivare tra laltro da uninsufficienza respiratoria.
Cianosi: un segno di ipossiemia che si presenta quando lHb ridotta supera 5 g/dl. Pu essere un
segno tardivo rispetto al monitoraggio strumentale ed di difficile rilevazione in alcuni casi. Anche
il pallore pu essere un segno di ipossiemia, soprattutto nei bambini.

Se al termine della valutazione del respiro risulta che il paziente incosciente ma respira autonomamente,
va disposto in posizione laterale di sicurezza e vanno rivalutate, continuamente, le sue funzioni vitali.
Se il paziente incosciente non respira di parla di arresto respiratorio, condizione clinica in cui non si realizza
alcuno scambio gassoso a livello della membrana alveolo capillare polmonare, e di conseguenza alcuna
ossigenazione del sangue, per cui necessario iniziare immediatamente la ventilazione artificiale che, in
caso di concomitante arresto cardiopolmonare, dovr essere alternata al massaggio cardiaco esterno con le
modalit descritte in seguito nella RCP.
Attenzione per perch esistono anche indicazioni alla ventilazione artificiale di un paziente che respira
autonomamente: si tratta dei pazienti bradipnoici, con lintento di aumentare la frequenza respiratoria,
oppure in pazienti tachipnoici, in cui lintensit degli atti inspiratori insufficiente a garantire la corretta
ossigenazione per cui si integra la sua respirazione dandogli un atto ventilatorio artificiale ma valido (max
10 al min).

Le tecniche di respirazione artificiale fanno parte della rianimazione polmonare; possono utilizzare
strumenti aggiuntivi ma possono essere eseguite anche senza strumenti aggiuntivi.
La respirazione artificiale bocca a bocca la metodica di ventilazione senza strumenti aggiuntivi pi
utilizzata: mantenendo il paziente nella posizione ottimale di iperestensione del capo, si chiudono le narici
utilizzando a pinza il pollice e lindice della mano sulla fronte utilizzata per tenere la testa in iperestensione;
quindi, si inspira profondamente, si apre poco la bocca del paziente, mantenendo il mento sollevato, e si
appoggia la propria bocca ben aperta su quella del paziente in modo che ci sia una stretta aderenza.
Durante linsufflazione occorre guardare contemporaneamente con la coda dellocchio se il torace si
espande, infatti linsufflazione deve essere considerata efficace non appena produca un sollevamento
visibile del torace. In casi contrari, possibile che si stia insufflando aria nello stomaco. Si effettuano due
insufflazione consecutive della durata non superiore ad 1 secondo. Dopo ogni insufflazione si stacca la
bocca da quella del paziente in modo da dargli la possibilit di espirare passivamente attraverso la bocca
aperta. Si aspetta che il torace sia completamente abbassato durante lespirazione prima di eseguire
unaltra insufflazione. Quindi, in caso di segni di circolo assenti, si fanno seguire alle due insufflazioni 30
compressioni del torace (vedi dopo).
Quando si ventila un paziente in arresto respiratorio con questa modalit, si deve considerare che laria
espirata dal soccorritore contiene una percentuale di ossigeno (16% contro il 21% dellaria ambiente)
certamente inferiore rispetto a quanto necessario per far fronte, in modo adeguato, alle esigenze
metaboliche presentate dal paziente in quel momento (100%). Tale percentuale comunque sufficiente a
garantire parametri minimali di ossigenazione in grado di proteggere, quanto pi possibile, le cellule pi
sensibili al danno anossico cerebrale irreversibile.

La ventilazione bocca-maschera una metodica di ventilazione che si esegue utilizzando una pocket mask
(maschera tascabile). La maschera facciale ha una forma vagamente triangolare. Lapice va posizionato in
alto, sullapice della piramide nasale, mentre la base della maschera va disposta in basso, in corrispondenza
del solco mento-labiale. Il corretto posizionamento della maschera prevede che lindice e il pollice di
entrambe le mani si dispongano a C attorno alla maschera; quindi si esercita una pressione decisa con
entrambe le mani sul volto per garantire laderenza del bordo superiore della maschera alla fronte del
paziente. Contemporaneamente il dito medio, lanulare e il mignolo disposti ad E, afferrano inferiormente
la mandibola per permettere la contemporanea iperestensione del capo che libera le vie aeree superiori.
La pocket mask provvista di una valvola monodirezionale che consente di far pervenire al paziente laria
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espirata evitando, al contempo, al soccorritore il contatto con laria espirata dal paziente.
Questa tecnica pu essere eseguita da un singolo operatore ma talvolta necessita di due operatori, in
particolare nei casi in cui la ventilazione rientri nelle manovre di rianimazione cardiopolmonare o quando
necessaria la sublussazione della mandibola nel paziente traumatizzato (mentre uno sublussa laltro
ventila).
I problemi relativi allutilizzo delle maschere riguardano i pazienti con fracasso facciale in cui non si pu
utilizzare, nel paziente anziano cachettico in cui le guance scavate impediscono alla maschera di aderire
completamente, e nel paziente con una barba folta.

La ventilazione maschera-pallone utilizza un pallone autoespandibile (pallone Ambu) con una capacit di
riempimento daria regolabile a seconda dellet del paziente, dotato di una valvola unidirezionale che
impedisce allaria espirata dalla vittima di essere reinspirata, da una maschera facciale sagomata ed adatta
al viso del paziente e da un reservoir per ossigeno. Dopo aver posizionato la maschera con una sola mano e
con la modalit precedentemente descritta, si comprime il pallone con laltra mano, in modo da insufflare
un quantitativo di aria tale da causare un evidente sollevamento del torace del paziente. Il funzionamento
del pallone non richiede lutilizzo di fonti di gas e se il paziente viene intubato lo si collega direttamente al
tubo endotracheale. Il solo pallone fornisce una concentrazione di ossigeno paria quella dellaria ambiente
ma pu essere aumentata qualora si colleghi ad una bombola di ossigeno.
La maschera pu anche essere collegata al pallone va-e-vieni in cui presente un pallone che funge da
reservoir per ossigeno; quindi ha necessit di essere collegato ad una fonte di ossigeno e ha il vantaggio di
somministrare il 100% di ossigeno durante le insufflazioni.
La ventilazione pallone maschera rispetto alle tecniche precedenti ha il vantaggio di consentire una
ventilazione pi efficace e lerogazione di concentrazioni di ossigeno pi elevate.
Infine, la ventilazione artificiale pu anche essere eseguita mediante dispositivi sottoglottici, ovvero
mediante il tubo endotracheale che permette di risolvere uneventuale ostruzione delle vie aeree. Il
vantaggio del paziente intubato che, in caso di arresto cardio circolatorio, si pu massaggiare mentre si
sta ventilando. Inoltre il tubo impedisce che si perda aria durante linsufflazione. Anche quando il paziente
intubato bisogna mantenere una frequenza di insufflazioni di 1 ogni 10 secondi (max 6/minuto).

La valutazione della Circulation (sistema cardiovascolare) inizia gi dallapproccio al paziente critico e con
lispezione del suo aspetto generale. Condizioni di elevata gittata cardiaca sono associate a cute calda,
mentre i pazienti in bassa gittata si presentano generalmente ipotermici e con estremit vasocostrette.
Tuttavia, per una migliore definizione del corretto funzionamento del sistema cardiovascolare, vengono
comunemente valutati i segni di circolo diretti; in particolare, con due mani si palpa il polso arterioso
centrale, preferenzialmente il polso carotideo, in quanto esso valutabile anche nelle condizioni
caratterizzate dalla presenza di bassa gittata cardiaca e spiccata ipotensione arteriosa ( con valori di
sistolica < 70 mmHg), condizioni nelle quali tutti i polsi arteriosi periferici, quale il radiale, non sono pi
palpabili. In alternativa, pu essere considerata la palpazione del polso femorale.
La valutazione della presenza dellattivit cardio-circolatoria non deve durare pi di 10 secondi.
Se sono presenti segni di circolo in un paziente privo di coscienza e di respirazione autonoma, si parla solo
di arresto respiratorio ma non cardiaco per cui indicato continuare la ventilazione artificiale, con
uninsufflazione ogni 5 secondi (12 al minuto), controllando ogni 2 minuti la presenza dei segni di circolo.
Se il paziente incosciente, non respira e non presenta segni di circolo si parla di arresto cardio-respiratorio
per cui necessario mettere in pratica la rianimazione cardiopolmonare (RCP).

5. Rianimazione Cardio Polmonare


La rianimazione cardio polmonare si esegue al paziente che, al termine delle precedenti valutazioni, sia
privo di coscienza, che non respiri e che non abbia segni di circolo.
Senza rianimazione cardio-polmonare le percentuali di sopravvivenza dei pazienti andati incontro ad
arresto cardiaco improvviso in ambito extraospedaliero si riducono, per ogni minuto che passa, tra la
perdita di coscienza del paziente e la defibrillazione, del 7-10%. La RCP ha invece dimostrato di essere in
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grado di raddoppiare o anche di triplicare le percentuali di sopravvivenza nei pazienti andati incontro ad
arresto cardiaco testimoniato in ambito extraospedaliero, a qualunque intervallo temporale dalla
defibrillazione.

Il principio della RCP quello di far circolare il sangue mediante lapplicazione di compressioni esterne del
torace. Il flusso del sangue viene generato sia per mezzo di una spremitura del cuore tra sterno e colonna
vertebrale (teoria della pompa cardiaca) che per un aumento globale intermittente della pressione
esistente allinterno del torace (teoria della pompa toracica). Nelle fasi iniziali della RCP il flusso di sangue
generato prevalentemente in virt del meccanismo della pompa cardiaca, mentre nelle fasi successive,
particolarmente quando la durata dellarresto cardiaco e degli sforzi rianimatori siano prolungate, prevale il
meccanismo della pompa toracica, in conseguenza della progressiva riduzione della distensibilit dei tessuti
del cuore.

Il raggiungimento dei parametri adeguati di pressione di perfusione (90 mmHg) coronarica e cerebrale
richiede, quindi, necessariamente che le compressioni vengano eseguite in modo efficace e rispettando le
seguenti fasi operative:

1. Determinazione del punto di compressione: ci si posizione in ginocchio a fianco del paziente, dopo
averlo disteso per terra. Il punto di compressione quello alla met inferiore dello sterno. Tale
punto corrisponde generalmente al centro della linea inetrmammillare.
2. Posizionamento delle mani: la base del palmo della mano posta sulla linea mediana e si
sovrappone al dorso della mano appoggiata sullo sterno il palmo dellaltra mano. Le dita delle mani
vanno sempre tenute sollevate dal torace e rigide. Si irrigidiscono le braccia, tenendole tese, in
posizione verticale, estendendo i gomiti, senza mai piegarli sia in fase di compressione che di
rilasciamento. Le spalle sono perpendicolari sul torace. In questa posizione il fulcro del movimento
diventa il bacino e i muscoli impegnati non sono quelli delle braccia che sono pi affaticabili.
3. Tecnica di compressione: bisogna comprimere lo sterno verso il basso, in direzione della colonna
vertebrale, in modo da abbassarlo di 4-5 cm. Al termine di ogni compressione bisogna rilasciare
completamente la pressione sullo sterno, senza per piegare i gomiti o sollevare le mani. La fase di
rilasciamento dovr avere la stessa durata di quella della compressione, con rapporto 1:1. La fase
del rilasciamento del torace, durante il massaggio cardiaco, altrettanto importante, sul piano
metodologico, della fase di compressione poich favorisce, laddove eseguita correttamente, il
raggiungimento di aumentati livelli di pressione di perfusione. La frequenza ottimale delle
compressioni di circa 100 al minuto.
4. Abbinamento della respirazione artificiale: per definizione un paziente in arresto cardiocircolatorio
anche in arresto respiratorio (ma non sempre vero il contrario), quindi la ventilazione artificiale
ed il massaggio cardiaco esterno sono manovre che si devono integrare reciprocamente. La
dinamica configurata secondo le linee guida prevede, sia nella sequenza ad un soccorritore che a
due soccorritori, che si alternino 30 compressioni toraciche a 2 insufflazioni. In presenza di due
soccorritori, uno si occupa delle compressioni e laltro delle insufflazioni. Le 30 compressioni
devono essere contate a voce alta.
Quando le vie aeree vengono assicurate e protette da un tubo endotracheale cuffiato, le
compressioni toraciche, ad una frequenza di 100 al minuto e le ventilazioni ad una frequenza di 6 al
minuto possono essere eseguite contemporaneamente, senza alcuna necessit di interrompere le
compressioni per insufflare.

Si eseguono 5 cicli (30 compressioni + 2 insufflazioni) al termine dei quali indicata rivalutare lABC.
Se il paziente continua a non avere polso si ripete una sequenza con altri 5 cicli.
Se il paziente ha polso ma non ha respiro occorre insufflare ogni 6 secondi.
Se il paziente respira si mette in posizione lateraledi sicurezza e si rivaluta ogni 2 minuti; la ripresa

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dellattivit ventilatoria spontanea testimoniata dallacronimo MO.TO.RE. ovvero movimento del torace,
tosse e respiro.
In presenza di 2 soccorritori abili nella RCP, bisogna cambiarsi di ruolo tra chi ventila e chi massaggia ogni
qual volta il massaggiatore esausto; il cambio di ruolo deve avvenire nel modo pi rapido e fluido
possibile, senza ostacolarsi luno dallaltro.

Il soccorritore sanitario deve proseguire la RCP sino a quando compaiano segni di circolo diretti o indiretti
(MOTORE), quando arriva un defibrillatore (per lanalisi del ritmo e leventuale defibrillazione) o quando
giunga sul posto il 118. Se i medici del 118 valutano unasistolia documentata da ECG per almeno 20 min
allora si interrompe la RCP e il paziente viene dichiarato deceduto. In presenza di qualsiasi attivit elettrica
cardiaca rilevata dallelettrocardiogramma bisogna continuare il BLS-D perch vi sempre una possibilit di
ripresa dellattivit cardiaca spontanea.

La rianimazione cardio polmonare NON va effettuata solo in una delle seguenti condizioni:

1. Stato di decomposizione
2. Macchie ipostatiche
3. Decapitazione
4. Carbonizzazione

In tutti gli altri casi la RCP deve sempre essere eseguita anche non sapendo da quanto tempo il paziente in
arresto cardiaco!!! Lo stato di gravidanza non una limitazione al BLS-D.

Le principali complicanze della RCP, riscontrabili anche in presenza di unesecuzione ineccepibile delle
compressioni toraciche sono: fratture costali e/o sternali, lesioni pleuriche e/o polmonari, lesioni del fegato
e/o della milza. Per questo di fondamentale importanza utilizzare la tecnica raccomandata in quanto
specificatamente studiata per ridurre al minimo gli eventuali danni del paziente.

6. Defibrillazione
Nel 80% dei casi larresto cardiaco improvviso viene provocato dallinsorgenza di alcune gravi anomalie del
ritmo cardiaco (aritmie ipercinetiche ventricolari definite letali in quanto non regrediscono mai
spontaneamente esitando con certezza, senza intervento terapeutico immediato, nel decesso del paziente)
quali Fibrillazione ventricolare e Tachicardia ventricolare senza polso. La corrente elettrica erogata da un
defibrillatore rappresenta in questi casi lunica arma terapeutica realmente efficace, perch in grado,
depolarizzando simultaneamente il muscolo cardiaco, di azzerare i circuiti elettrici anomali attraverso cui si
sviluppano e si automantengono le aritmie letali, consentendo il ripristino della normale attivit pacemaker
del cuore e quindi di una circolazione spontanea adeguata.

Per questo durante la fase di allarme fondamentale richiedere di reperire un defibrillatore; questi sono
collocati in aree strategiche del territorio, a partire da quella a pi elevata densit di popolazione, quali gli
stadi, gli impianti sportivi, uffici e centri commerciali, aeroporti e stazioni, alcune scuole e altri luoghi di
associazione nonch in condomini ad elevata densit abitativa. Il posizionamento strategico ideale dei
defibrillatori sul territorio deve essere scrupolosamente pianificato in modo che non si debbano impiegare
pi di 1.5 minuti correndo velocemente a piedi per recuperarne uno, affinch quindi il tempo complessivo
impiegato per andare a prendere un defibrillatore e per raggiungere il paziente non sia mai superiore a 3
minuti.

La procedura della defibrillazione terapeutica consiste nellerogare sulla superficie toracica esterna del
paziente una quantit adeguata di corrente elettrica che, attraversando in un intervallo di tempo
estremamente breve (4-10 millisecondi) una porzione sufficiente del cuore spesso in grado di
interrompere immediatamente gravi anomalie del ritmo cardiaco. I defibrillatori semiautomatici

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attualmente in uso utilizzano unonda bifasica (DAE a corrente alternata), nella quale la corrente elettrica
va da un elettrodo allaltro e poi torna indietro. Si ritiene che lutilizzo dellonda bifasica riduca, rispetto
allutilizzo di un DAE con onda monofasica, in cui la corrente elettrica va da un elettrodo allaltro senza
tornare indietro, la possibilit che il cuore possa riportare dei danni in conseguenza del rapido
attraversamento delle sue pareti da parte della scarica elettrica. Londa bifasica consente di defibrillare con
scariche di soli 150 Joule.

I ritmi cardiaci in corso di arresto circolatorio si possono dividere in 2 classi dipendentemente dalla terapia
indicata: Ritmi Defibrillabili e Ritmi Non Defibrillabili.
I ritmi defibrillabili sono caratterizzati da alterazioni del ritmo che si traducono nella assenza della attivit di
pompa del cuore, per i quali lunico trattamento efficace la defibrillazione elettrica:
1. La Fibrillazione Ventricolare (FV) un ritmo nel quale aree multiple del ventricolo
presentano notevoli variazioni di depolarizzazione e ripolarizzazione in modo
disomogeneo, asincrono e caotico.

2. La Tachicardia Ventricolare (TV) caratterizzata da battiti di origine ventricolare in successione ad


una frequenza superiore a 100/minuto. Non sono presenti normali complessi QRS, ma onde a
morfologia bizzarra con
incisure.

I ritmi non defibrillabili per i quali il DAE non indicher opportuna la defibrillazione sono:

1. Asistolia ventricolare (Cardiac Standstill) rappresenta la totale assenza di attivit elettrica


ventricolare a cui corrisponde assenza di contrazione dei ventricoli.

2. LAttivit Elettrica Senza Polso (Pulseless Electrical Activity-PEA) definisce un insieme eterogeneo di
ritmi che include la Dissociazione Elettro-meccanica (DEM), i ritmi idioventricolari, i ritmi di
scappamento ventricolari, i ritmi idioventricolari post-defibrillazione ed i ritmi bradiasistolici. Sono
tutte aritmie caratterizzate dallassenza di polso palpabile e dalla presenza di una
qualche attivit elettrica.

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Tra i ritmi non defibrillabili vi anche il ritmo sinusale, considerato non defibrillabile in quanto non
gioverebbe di alcun vantaggio da una scarica elettrica:

importante saper riconoscere i tracciati ECG di queste aritmie in quanto alcuni defibrillatori
(generalmente quelli ospedalieri) non hanno la funzione semiautomatica di analisi del ritmo per cui
compito del medico, valutando il tracciato mostrato dal defibrillatore, decidere se erogare o meno la
scarica.
Invece, i dispositivi utilizzati generalmente per la defibrillazione in ambiente extraospedaliero sono
chiamati defibrillatori semiautomatici esterni (DAE) perch sono in grado di:

1. Riconoscere automaticamente, con estrema accuratezza, le aritmie ipercinetiche ventricolare


maligne grazie alla possibilit delle piastre di defibrillazione di poter analizzare il ritmo come un
ECG;
2. Suggerire alloperatore con duplice messaggio visivo e vocale, la possibilit di procedere
allerogazione della scarica elettrica, qualora abbia riscontrato in quel momento la presenza di un
ritmo defibrillabile; qualora riscontri la presenza di un ritmo non defibrillabile suggerisce di non
procedere allerogazione della scarica elettrica.
3. Erogare la scarica elettrica, su preciso comando delloperatore, cui compete la responsabilit della
procedura di defibrillazione.

La sequenza operativa della defibrillazione semiautomatica in corso di BLS prevede, in presenza di un solo
soccorritore, di sospendere la manovra di compressione-ventilazione e di accendere il DAE.
Si collega il DAE ai cavi e questi agli elettrodi autodesivi ma alcuni modelli di cavi e di elettrodi sono gi
collegati al DAE.
Quindi si attaccano i due elettrodi autoadesivi al torace nudo del paziente; la posizione corretta dei due
elettrodi una a livello della posizione sottocostale destra e laltra a livello dellascellare media sul lato
sinistro, ma di fatto i due elettrodi sono intercambiabili. Qualora il torace del paziente sia particolarmente
peloso, il posizionamento degli elettrodi pu essere difficoltoso provocando lattivazione di un segnale
vocale di allarme da parte del DAE che chieder al soccorritore di controllare gli elettrodi; in alcuni DEA
sono presenti dei kit costituiti da forbici e rasoi per poter tagliare i peli del paziente prima di posizionare gli
elettrodi. Inoltre, qualora il torace del paziente sia bagnato o particolarmente sudato, occorre asciugare il
torace con un panno ed applicare, quindi, gli elettrodi.
Dopo aver correttamente posizionato gli elettrodi, ci si stacca completamente del paziente e ci si assicura
che nessuno tocchi il paziente per permettere al DAE lanalisi del ritmo cardiaco presentato dal paziente; in
alcuni modelli di DAE occorre schiacciare il pulsante analisi per dare inizio alla procedura di analisi del
ritmo, mentre altri modelli provvedono automaticamente ad avviare lanalisi non appena gli elettrodi
vengano collegati al torace. La procedura di analisi del ritmo richiede dai 5 ai 15 secondi a seconda del DAE.

Se il DAE riscontra un ritmo non defibrillabile, informa il soccorritore circa il fatto che NON deve essere
erogata la scarica elettrica con apposito messaggio visivo e vocale. Infatti, nei ritmi non defibrillabili la
Defibrillazione Elettrica non solo non indicata, ma attualmente ritenuta dannosa. In questi casi occorre
quindi cercare i segni di circolo indiretti (MO.TO.RE.). Se questi sono assenti (segni di asistolia oppure PEA)
occorre continuare la RCP per 2 minuti (circa 5 cicli di una sequenza 30+2) in attesa che il DAE provveda
nuovamente ad effettuare lanalisi del ritmo per valutare la presenza di un ritmo defibrillabile. Se invece
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allavviso di scarica non indicata si riscontrino segni di circolo indiretti ( segno di un ritmo sinusale), occorre
valutare se il paziente respira: se non respira occorre eseguire la rianimazione polmonare mentre se respira
occorre disporre il paziente in posizione laterale di sicurezza in attesa del 118 senza staccare gli elettrodi
per permettere al DAE di procedere con lanalisi del ritmo ogni 2 min.

Se il DAE riscontra un ritmo defibrillabile vuol dire che il DAE ha riscontrato unaritmia letale costituita,
come gi accennato dalla fibrillazione o dalla tachicardia ventricolare senza polso che pu essere
immediatamente risolta dallerogazione della scarica. La maggior parte degli apparecchi si carica
automaticamente non appena il DAE individui un ritmo defibrillabile. La comparsa di un suono e/o di una
voce e/o di una spia luminosa indicano, a riguardo, che la carica in corso. In corso di carica il soccorritore
deve allontanare ad alta voce tutti i presenti pronunciando un messaggio: Via Io, Via voi, Via Tutti. Questo
aspetto importante affinch lintera scarica elettrica erogata dal defibrillatore venga assunta dal paziente
e non tanto per il rischio di rimanere folgorati. Inoltre, se questa manovra si esegue in ambiente
ospedaliero e se sia presente una fonte di ossigeno fondamentale dire anche via ossigeno che dovr
essere portato ad una distanza di sicurezza di almeno 1 metro. Inoltre indicato allontanare anche
eventuali apparecchi radio ( non i cellulari ma i radiotrasmettitori) perch possono interferire con lanalisi
del ritmo del defibrillatore.
Quindi, controllando visivamente che nessuno tocchi il paziente, il soccorritore deve premere il pulsante di
scarica. Lerogazione della scarica elettrica provocher limmediata contrazione della muscolatura del
paziente.
Indipendentemente dallesito della scarica, le linee guida indicano di provvedere ad effettuare,
immediatamente, la rianimazione cardiopolmonare, alternando sempre 30 compressioni a 2 ventilazioni,
per circa 2 min. Dopo questi minuti, il DAE avviser il soccorritore, con messaggio vocale e visivo, circa
lautomatica ripresa del processo di analisi del ritmo. Se il DAE riscontrer un ritmo defibrillabile, dovr
essere ripetuta la sequenza illustrata. Se il DAE riscontrer un ritmo non defibrillabile, occorrer seguire le
istruzioni indicate a proposito dei ritmi non defibrillabili.
In presenza di due soccorritori, il primo soccorritore incomincia subito il BLS disponendosi alla destra del
paziente; constatata la presenza di arresto respiratorio effettua le due insufflazioni.
Il secondo soccorritore, si dispone a sinistra, predispone il DAE e, quando il primo soccorritore non abbia
riscontrato la presenza dei segni di circolo, incomincia la sequenza della defibrillazione accendendo il DAE e
disponendo gli elettrodi. A seconda del risultato dellanalisi del ritmo si proceder come precedentemente
descritto; durante la RCP un soccorritore si occupa dellinsufflazioni mentre laltro

19
si occupa delle compressioni.

Nel caso in cui il DAE si immediatamente disponibile, dopo lABC occorre procedere prima allanalisi del
ritmo e successivamente procedere al RCP.

BLS-D nel bambino


Lalgoritmo del BLS-D in un bambino di et compresa tra 1 anno e la pubert presenta (idealmente) come
primo punto la prevenzione delle condizioni che possono portare allarresto cardiaco. Per un bambino, a
meno che non sia un paziente cardiopatico noto, occorre evitare quelle condizioni a rischio per un arresto
cardiaco.
Nel caso in cui si renda necessaria la rianimazione cardio polmonare il bambino va subito ventilato, per
ridurre il danno anossico cerebrale, e bisogna cominciare subito le compressione per almeno 2 minuti; la
somministrazione di ossigeno talvolta sufficiente a far ripartire il cuore. Nel bambino la manovra delle
compressione viene eseguita con una sola delle due mani per evitare di fratturare completamente lo sterno
e di indurre gravi lesioni agli organi interni. Inoltre, per le insufflazioni non necessaria liperestensione del
capo ma solo lestensione e, nel caso in cui si esegua una ventilazione polmonare artificiale bocca-bocca,
non bisogna insufflare tutta laria perch il volume polmonare del bambino molto minore: ci si ferma
quando la parte superiore del torace si alza. Se si ha a disposizione il pallone ambu occorre ridurne il
volume
Solo dopo i primi minuti di RCP indicato chiamare i soccorsi. In attesa dei soccorsi si procede a seconda
dei risultati delle valutazioni ABC.

BLS nel neonato


Lalgoritmo del BLS in un neonato di et compresa tra 0 e 12 mesi e/o con un peso di max 10 kg e/o con
unaltezza max di 75 cm diversa rispetto alle precedenti in quanto innanzitutto non esiste il defibrillatore
per il lattante. Quindi il BLS prevede solo il massaggio cardiaco e le compressioni.
In presenza di un solo soccorritore la sequenza della RCP prevede come nelladulto 30 compressioni e 2
insufflazioni. Per le compressioni toraciche, il singolo soccorritore deve utilizzare due dita di una sola mano
e la frequenza maggiore rispetto a quella delladulto; ovviamente anche la profondit delle compressioni
minore, generalmente infatti sono sufficienti 3-4 cm. La ventilazione artificiale senza strumenti una
ventilazione bocca-bocca naso perch con la nostra bocca dobbiamo contornare sia la bocca che il naso del
bambino.
In presenza di due soccorritori, un soccorritore si occupa delle compressioni, mettendo entrambe le mani
intorno al torace e utilizzando i pollici per massaggiare lo sterno. Laltro soccorritore si occupa delle
ventilazioni. LRCP del neonato in presenza di due soccorritori prevede 15 compressioni e 2 ventilazioni, per
privilegiare la ventilazione.

Considerazioni generali
Il retraining del corso consigliato ogni 24 mesi e un refreshing consigliato ogni 6 mesi soprattutto in chi
durante i 6 mesi non abbia mai avuto una pratica della manovra.

21
22
Ostruzione delle vie aeree da corpo estraneo
(prof.ssa Wappner)
Un corpo estraneo che vada ad occludere le vie aeree provocandone unostruzione parziale o totale
rappresenta sempre una situazione di emergenza in quanto lipossia che si viene a creare pu condurre in
pochi minuti ad arresto respiratorio e cardiocircolatorio.
Lostruzione improvvisa delle vie aeree da corpo estraneo si verifica nella maggior parte dei casi durante i
pasti e, al riguardo, la carne risulta essere la causa pi comune di ostruzione. A particolare rischio di
ostruzione sono inoltre i pazienti anziani affetti da disfagia o comunque portatori di protesi dentaria.

La presenza di unostruzione delle vie aeree da corpo estraneo deve essere immediatamente sospettata
quando una persona sviluppi allimprovviso difficolt respiratoria importante oppure quando nel corso
della sequenza del BLS il soccorritore constati linefficacia degli atti ventilatori effettuati da un paziente in
arresto respiratorio nonostante le manovre di perviet delle vie aeree siano state eseguite correttamente
(per questo le manovre di disostruzione sono comprese nelle linee guida del BLS).

Da un punto di vista patologico e clinico, lostruzione delle vie aeree pu essere cos distinta:

Classificazione patologica Aspetti clinici

1. Il paziente tossisce con forza


2. Pu parlare con voce normale o appena
Ostruzione Parziale modificata
3. Tra un colpo di tosse e laltro possono
comparire isolati sibili espiratori

1. Il paziente porta le mani alla gola (segno


universale di soffocamento) e, rimanendo
lucido, mostra uno sguardo atterrito
Ostruzione Totale 2. Non riesce a tossire
3. Non riesce ad emettere un filo di voce
4. Diventa rapidamente cianotico
5. Manifesta immediata difficolt respiratoria
La clinica consente quindi di classificare, ai fini di una condotta efficace di primo soccorso, nonch in ambito
prognostico, lostruzione delle vie aeree da corpo estranei.

Primo soccorso di unostruzione parziale


Nel caso di unostruzione parziale, quando il riflesso della tossa ancora valido ed efficiente, il primo
soccorso consiste nellincoraggiare la vittima a tossire ripetutamente, sino alla risoluzione del quadro

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clinico, e poi a respirare con calma. Il paziente deve essere assistito e tenuto sotto controllo. Qualora le
condizioni clinica, improvvisamente peggiorino, va allertato il 118 e deve essere messa in pratica, senza
alcuna perdita di tempo, le manovre di soccorso di unostruzione totale.

Pronto soccorso di unostruzione totale


Nellostruzione totale, poich il soggetto non para pi e non riesce a respirare, fintanto che il paziente
cosciente bisogna eseguire la manovra di Heimlich.
Secondo le linee guida 2015, la manovra di Heimlich prevede solo le compressioni addominali (le pacche
inteerscapolari sono state eliminate per linefficienza in un paziente adulto).
La manovra di Heimlich prevede i seguenti passaggi:

1. Posizionarsi alle spalle del paziente facendo attenzione a non mettere la propria testa dietro a
quella del paziente per il rischio di venire colpiti da uniperestensione del capo;
2. Una propria gamba si posizione in mezzo a quelle del paziente perch se la manovra dovesse
risultare inefficace, per cui il soggetto perda coscienza, lo si far scivolare sulla gamba a terra.
3. Si passano le proprie braccia sotte le ascelle del paziente e, dopo aver circondato il torace, si
posiziona la mano dominante nella zona dellepigastro, identificabile mediante la palpazione dello
sterno con il pollice dallalto verso il basso. Quando si giunge ad una zona di minore resistenza, il
pollice rimane fermo in quel punto mentre il mignolo della stessa mano raggiunge lombelico. A
questo punto laltra mano si chiude a pugno e il pollice della mano dominante si posizione
allinterno del putno in modo da formare una C
4. Con entrambe le mani si esercita una brusca compressione, a scatto, allinterno e verso lalto, cos
da comprimere la parte superiore delladdome e spingere verso lalto il diaframma. Si eseguono 5
compressioni perch le prime 2-3 sono di assestamento (come e quanto premere) mentre quelle
realmente efficaci sono le ultime 2-3.

Questa manovra determina un improvviso e marcato aumento della pressione esistente allinterno della
colonna aerea laringo-tracheale in grado, spesso, di mobilizzare verso lalto il corpo estraneo, facilitandone
lespulsione spontanea o, comunque, lo spostamento desiderato che possa favorire il ripristino immediato
di parametri minimali adeguati di scambio gassoso a livello alveolo-capillare.

5. Dopo le prime 5 spinte si ispeziona rapidamente il cavo orale per vedere se affiora qualcosa: nel
caso in cui si veda affiorare qualcosa lo si estrae. Negli altri casi bisogna procedere con le manovre
di disostruzione finch il paziente cosciente.

Questa manovra controindicata nelle persone obese e nelle donne in gravidanza; in questi casi la
compressione va eseguita un po pi in alto, sullo sterno.

24
Nel momento in cui il paziente dovesse perdere coscienza durante la manovra, si fa scivolare il paziente
sulla propria gamba fino a terra su una superficie rigida in posizione supina. Si procede quindi con lABC e il
BLS. Se durante lispezione del cavo orale non si vede niente non bisogna introdurre alcun dito alla cieca nel
cavo orale del paziente. Solo se si vede nitidamente il corpo estraneo, si pu tentare di dislocare
velocemente il corpo estraneo con il solo indice o con movimento a pinza dellindice e medio.
Se il paziente continua a non respirare si inizia la RCP. Se durante la ventilazione si riscontri una pressione
elevata si conferma unostruzione delle vie aeree. In questi casi sono comunque indicate le insufflazioni
perch il corpo estraneo potrebbe essere spinto fino al bronco destro permettendo al polmone
controlaterale di funzionare.

Disostruzione nel lattante


Lostruzione delle vie aeree una delle principali cause di arresto cardiaco nel lattante (0-1 anno). Anche in
questo caso, se lostruzione parziale, il lattante dovrebbe fare la tosse.
Quindi si posiziona il lattante (max 10 kg e max 75 cm) sul nostro braccio sinistro con laddome a contatto
con la regione volare dellavambraccio. Con il pollice e lindice di sinistra afferriamo i condili della
mandibola. La gamba destra si afferra sotto la nostra ascella, cosi non sfugge, e ci si siede o ci si piega in
modo che la gamba sinistra sia piegata a 90. Anche in questo caso, se il bambino riesce a tossire per la
presenza di unostruzione parziale dobbiamo
esortarlo a tossire.
Quando lostruzione totale il lattante smette di
tossire e diventa cianotico. Il pronto soccorso prevede
di dargli subito 5 pacche interscapolari con via di fuga
laterale: le pacche non sono state eliminate dalle linee
guida del lattante a differenza di quelle delladulto
perch il lattante ha una gabbia toracica pi elastica,
quindi riusciamo pi facilmente ad aumentare la
pressione intratoracica e a permettere la fuoriuscita
del corpo estraneo. La manovra di Heimlich non si
deve fare nel lattante perch alta la probabilit di
provocare lesioni agli ortani interni. Sotto i 4 mesi si
comunque deciso di non dare le 5 pacche perch i
danni sono maggiori dei vantaggi.
Attenzione: un bambino con una dieta che preveda
esclusivamente latte raro che possa ostruirsi. Generalmente si tratta di un laringospasmo indotto
dallinalazione di latte, transitorio ma sufficiente a indurre cianosi da ipossia. I genitori si allarmano molto in
questi casi ma bisogna sempre valutare questa condizione ed evitare manovre di disostruzione inutili che
sono a rischio di indurre lesioni nel lattante.

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Supporto delle funzioni vitali al paziente politraumatizzato (TLS)
(prof. Corsino)

I dati pi recenti riportano che il trauma responsabile del 7% della mortalit globale nel mondo. Il trauma,
a livello planetario, costituisce la prima causa di morte per le persone di et inferiore ai 40 anni. I giovani
sono quindi i soggetti pi colpiti dagli eventi di natura traumatica e questo, naturalmente, comporta gravi
problemi e profonde ripercussioni, dal punto di vista etico, sociale e anche economico. I traumi, infatti,
quando non conducono a morte, lasciano spesso esiti invalidanti pi o meno gravi, che possono
compromettere le capacit lavorative del soggetto.
Se la prevenzione primaria e secondaria rivestono un ruolo di valore assoluto nel ridurre lincidenza di tali
eventi, ormai internazionalmente riconosciuto che un approccio sanitario gestionale adeguato di questi
pazienti (prevenzione terziaria), a partire dalle primissime fasi che fanno seguito allevento traumatico, sia
in grado di determinare una riduzione notevole dei parametri di mortalit e di invalidit permanente.
Questo principio racchiuso nel concetto della gestione ottimale della prima ora che fa seguito al trauma,
la cosiddetta GOLDEN HOUR in cui la fase si supporto e stabilizzazione delle funzioni vitali (TLS) solo una
parte di quelle che poi potranno essere gli interventi medici e chirurgici necessari al paziente (es. un
intervento chirurgico). Per questo in ambiente extraospedaliero occorre agire precocemente ma con
adeguatezza metodologica.

Definizioni
Per trauma si intende un insieme di alterazioni anatomiche e funzionali indotte nel nostro organismo
dallapplicazione di unenergia esterna sullorganismo.
Per politrauma si indica invece un evento traumatico caratterizzato da lesioni contemporanee a carico di
due o pi distretti corporei. La condizione di politrauma deve essere considerata una condizione di
emergenza per due motivi: in primis, il fatto che vengano coinvolti almeno due distretti anatomici deve far
pensare che ci possa essere una elevata probabilit di una compromissione immediata delle funzioni vitali e
quindi un rischio immediato o potenziale per la sopravvivenza del paziente; in secondo luogo, un trauma ad
energia tale deve far sempre sospettare che ci siano lesioni non immediatamente evidenti ma molto
rischiose, le quali potrebbero risultare evidenti in una analisi pi attenta.

Le sedi che possono essere interessate da un trauma sono:

Testa (cranio + massiccio facciale)


Torace
Addome
Bacino
Colonna vertebrale
Arti

Le principali cause di morte di un paziente traumatizzato sono:

1. Shock emorragico: costituisce unimportante causa di morte nei primi minuti a seguito di un trauma ed
dovuta prevalentemente alla rottura del cuore o dei grossi vasi o ad unemorragia esterna;
2. Danno del sistema nervoso centrale: importante causa di morte nei primi minuti a seguito di un trauma
ed dovuto principalmente a gravi lesioni traumatiche del tronco encefalico.
3. Insufficienza respiratoria: costituisce unimportante causa di morte del paziente traumatizzato nella
prima ora successiva al trauma. La causa pi importante lo pneumotorace iperteso.

Fasi dellassistenza preospedaliera al paziente traumatizzato


Le fasi essenziali dellassistenza preospedaliera al trauma comprendono:
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1. Valutazione della sicurezza dellambiente: Nella valutazione dellambiente, un acronimo da ricordare
quello delle tre S: io per valutare lambiente devo valutare la situazione, lo scenario e la sicurezza. La
situazione il contesto in cui sono stato portato a intervenire e viene verificata nel momento in cui voi
arrivate, valutando quella che effettivamente la scena che voi trovate. Lo scenario nello specifico la
dinamica in cui levento traumatico si verificato (incidente stradale, caduta da pi di 5 metri). Infine,
in questi contesti fondamentale la valutazione della sicurezza dellambiente perch prima di tutto
occorre proteggere se stessi per non aumentare la gravit dellemergenza.

2. Triage sul campo: il triage il processo di valutazione attraverso il quale vengono stabilite le priorit di
soccorso e le priorit di trasporto allorquando ci si trovi in una scena con pi pazienti da soccorrere. Ha
lo scopo di ottimizzare le attivit di soccorso e di salvare il maggior numero possibile di feriti. A livello
internazionale viene assegnato un codice colore:
Codice rosso: soggetto con almeno una delle funzioni vitali compromessa, che si trova
in immediato pericolo di vita.
Codice giallo: paziente presenta una parziale compromissione delle funzioni
dell'apparato circolatorio o respiratorio, lamenta dolori intensi; non c' un immediato
pericolo di vita, ma necessita quanto prima di un controllo da parte del medico.
Codice verde: paziente che riporta delle lesioni (traumi minori, fratture, ecc) o lamenta
dei sintomi che per non interessano le funzioni vitali, ma ha necessit di ricevere delle
cure.
Codice bianco: il paziente non in pericolo e non ha bisogno dellintervento del pronto
soccorso e pu rivolgersi al proprio medico.
Codice nero: paziente deceduto.

Al momento attuale non si dispone di un metodo unico di valutazione per tutte le situazioni. Uno
dei metodi maggiormente utilizzati si basa sulla valutazione dei parametri vitali del paziente che ci
d gi linquadramento base su quella che la situazione del paziente. Nella seguente tabella sono
indicati i parametri vitali, con i valori normali e quelli che devono far considerare una condizione di
allarme:

Parametro Valori normali Valori di allarme

PAS 130 PAS < 90 o >220


Pressione arteriosa
PAD 80 PAD > 130

Frequenza cardiaca 60-100 <40 o >140


Frequenza respiratoria 10-16 < 10 o > 28
Temperatura corporea 36-37 < 32 o >39.5
Saturazione arteriosa 98-100% < 90%
Stato di coscienza
15 < 15
(Glasgow Coma Scale)

Questi sono parametri che devono essere valutati in tutti i pazienti che richiedono soccorso. Nel
paziente traumatizzato, alcuni di questi parametri possono non essere importantissimi in prima
battuta mentre lo sono in un secondo momento, come ad esempio la temperatura corporea.

Il Glagow Coma Scale deve essere conosciuto con precisione perch un linguaggio internazionale
che pu essere comunicato con facilit alla centrale operativa ma anche perch indica eventuali

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priorit di intervento. Si tratta di una valutazione numerica basata sui pi importanti parametri che
determinano il livello di coscienza. I parametri presi in considerazione sono:
1. Apertura degli occhi:
Aperti spontaneamente (punteggio 4)
Aperti allo stimolo verbale: il paziente apre gli occhi quando lo si chiama
(punteggio 3)
Aperti allo stimolo doloroso: il paziente apre gli occhi quando si schiaccia il
nervo sovraorbitario (punteggio 2)
Nessuna risposta (punteggio 1)
2. Migliore risposta motoria: valuta la capacit del paziente di eseguire degli ordini (da
semplici a pi complessi); se non li esegue allo stimolo verbale si valuta come li esegue
allo stimolo doloroso ( pressione del nervo sovraorbitario o a livello del capezzolo):
Obbedisce agli ordini (punteggio 6)
Localizza il dolore: se gli si pizzica il capezzolo, il paziente localizza lo stimolo
doloroso e sposta la mano (punteggio 5); rappresenta un meccanismo
automatico di difesa che pu persistere anche in un paziente in coma;
Flessione afinalistica: il paziente non riesce a localizzare e ad allontanare la
mano, ma avvicina la sua mano al punto doloroso con successiva retrazione
(punteggio 4);
Flessione in modo stereotipato: la sua risposta non in relazione ad avvicinarsi
allo stimolo doloroso; dal punto di vista neurologico considerato uno stato di
decorticazione (punteggio 3);
Estensione: a seguito dello stimolo doloroso il paziente estende le braccia;
questo segno indica uno stato di decerebrazione in cui funziona solo il tronco
encefalico e alcuni nuclei della base (punteggio 2);
Nessuna risposta (punteggio 1);
3. Migliore risposta verbale: si interroga il paziente con domande riguardo la sua identit,
riguardo il luogo e il tempo; in base alle risposte che fornisce si assegna un punteggio:
Risposta orientata (punteggio 5)
Risposta confusa (punteggio 4)
Parole sconnesse (punteggio 3)
Suoni incomprensibili (punteggio 2)
Nessuna risposta (punteggio 1)

Il punteggio normale 15; un valore uguale o inferiore a 8 indica un trauma grave, un valore tra 9 e
12 indica un trauma moderato mentre un valore tra 13 e 15 indica un trauma minore. Il GCS ci
fornisce anche indicazioni di priorit di trattamento: un paziente con un punteggio inferiore ad 8 al
GCS indice un paziente che ha difficolt a proteggere le proprie vie aeree per cui un paziente da
intubare per evitare il soffocamento.

Unaltra scala meno diffusa per molto conosciuta la Revised Trauma Score (RTS) che si basa sul
calcolo del punteggio ottenuto prendendo in considerazione tre variabili fisiologiche:

Valore Punteggio RTS


Frequenza respiratoria 10-29 4
(atti al minuto) > 29 3
6-9 2
1-5 1
0 0
Pressione sistolica > 89 4
76-89 3

28
50-57 2
1-50 1
0 0
Glasgow Coma Scale 13-15 4
6-12 3
6-8 2
4-5 1
3 0
Il punteggio RTS dato dalla somma dei punteggi parziali assegnati per ogni variabile. Un punteggio
finale < 11 indica la presenza di un trauma grave.

Il professore di che queste sono le linee guida ma lesperienza guida la condotta: generalmente non
necessario passare a giro e prendere i parametri vitali a tutti, ma generalmente sufficiente una
valutazione rapida ma attenta per avere idea di quelli che possono essere i parametri del paziente.
Es. Un paziente che si lamenta, parla, cammina, seppur sanguinante o con una grave alterazione
anatomica, un paziente con un RTS e un GCS molto alto, al contrario di un paziente privo di lesioni
evidenti che tuttavia giace ad occhi chiusi e che non risponde a nessuno richiamo.

3. Stabilizzazione: la stabilizzazione la fase in cui si presta supporto alle funzioni vitali compromesse. Per
questo la stabilizzazione richiede:
Rapida valutazione del paziente dello stato di coscienza e delle criticit immediatamente evidenti:
nella valutazione rapida molto spesso emergono quelle che sono le criticit pi importanti del
paziente (un paziente che non risponde pi grave di un paziente con una frattura). A tal
proposito, lo stato di coscienza un forte indicatore della criticit del paziente (come verr
spiegato in seguito, in un paziente in uno shock incipiente le funzioni neurologiche insieme ad
alcune caratteristiche cutanee sono le prime a modificarsi): sono sufficienti poche domande o
comandi semplici per capire lo stato di coscienza del paziente.
Estrinsecazione: con lestrinsecazione il paziente si rende disponibile alle cure successive.
Lestrinsecazione consiste nel liberare il paziente eventualmente intrappolato (es. auto
incidentata). Per questo esistono alcuni dispositivi idonei ad estrarre pazienti da macerie o auto
incidentate. Il KED unimbracatura utilizzata per estrarre i pazienti dalle auto incidentate:
permette la stabilit del rachide cervicale e del resto della colonna vertebrale. In alternativa
esistono tecniche di estrinsecazione rapida da attuare quando non si hanno a disposizione questi
presidi mantenendo per le caratteristiche di sicurezza.
Posizionamento: per una gestione pi idonea del paziente traumatizzato o potenzialmente tale,
indispensabile garantire che il paziente possa essere disposto in posizione adeguata, la quale su
un piano rigido, supina ed allineata. Ogni qualvolta il paziente non si trovi, spontaneamente, in
questa posizione, evento assai frequente, questo deve essere premilinarmente portato in posizione
supina con la manovra specifica finalizzata a garantire che durante tutto il movimento, il corpo del
paziente possa ruotare mantenento testa-collo-torace costantemente allineati sullo stesso asse di
rotazione; questa manovra nota come manovra di long-roll.
Dopo il corretto posizionamento in asse occorre rimuovere un eventuale casco e gli indumenti
ingombranti (exposure) mediante apposite forbici. A proposito della rimozione del casco, questo va
sempre rimosso con laiuto di un altro soccorritore per cui uno tiene ferma la testa e laltro tira via
il casco. La rimozione del casco fondamentale per avere una valutazione dello stato di coscienza
del paziente. Lunica condizione in cui il casco non deve essere rimosso qualora ci sia un oggetto
penetrato attraverso il casco nel cranio e il paziente vivo1. La rimozione degli indumenti
ingombrante fondamentale per le valutazioni successive.

1
Secondo le linee guida, tutti i corpi penetrati non vanno mai rimossi in ambiente extraospedaliero.
29
Trattamento sul posto: lobiettivo terapeutico fondamentale in emergenza quello di garantire al
paziente, il pi precocemente possibile, la pi efficace perfusione tissutale degli organi vitali con
sangue ben ossigenato. A tal fine, si devono sequenzialmente valutare, ed eventualmente,
recuperare e sostenere, le funzioni fondamentali di vita seguendo i passaggi precedentemente
descritti nella sequenza ABCD:
1. Airway: la prima fase sempre quella dellAirway. Lobiettivo quello di disostruire le vie
aerre e di proteggere il rachide cervicale (questa una importante differenza rispetto
allairway del BLS). La valutazione della perviet delle vie aeree pu essere effettuata
primariamente valutando la risposta verbale del paziente (se risponde alle domande le vie
aeree sono pervie) oppure ricercando segni e sintomi di ostruzione delle alte vie aeree
(stridore laringeo, respiro stertoroso, difficolt alla fonazione, alitamento delle pinne
nasali, cianosi e apnea) o, infine, valutando il cavo orale e il collo del paziente.
Le fasi di ispezione e di disostruzione delle vie aeree superiori devono essere
preliminarmente assicurate mediante le manovre di apertura ed esplorazione del cavo
orale prima di rimuovere con la manovra ad uncino un corpo estraneo.
Quindi, pe garantire la perviet delle vie aeree superiori pu eseguirsi una delle seguenti
mmanovre, dalla meno invasiva alla pi invasiva a seconda del grado di difficolt
respiratoria del paziente: (1) sollevamento del mento o manovra di sublussazione della
mandibola (va in ogni caso evitata la manovra di iperestensione del capo di un paziente
traumatizzato per il rischio di lesionare il midollo spinale); essendoci una certa plasticit dei
tessuti, la manovra di sublussazione porta il paziente a mantenere spontaneamente per
qualche minuto quella posizione e quindi la perviet delle vie aeree; (2) cannula
nasofaringea, indicata nei pazienti con depressione dello stato di coscienza (GCS= 8-10) ma
non tale da tollerare la cannula di Guadel, (3) cannula orofaringea ( o di Guedel) che
consente di mantenere la perviet delle vie aeree superiori impedendo lo scivolamento
posteriore della lingua, (4) intubazione tracheale per via orotracheale o nasotrachele,
fondamentale nei pazienti con GCS < 8, pz in arresto respiratorio o cardio-respiratorio, (5)
maschera laringea, si utilizza quando siano falliti tre tentativi di intubazione e sia
comunque possibile ventilare efficacemente il paziente con lunit pallone-maschera
autoespandibile, (6) cricotomia con ago o con minitrach, si ricorre quando siano falliti tre
tentativi di intubazione e non sia possibile ventilare efficacemente il paziente con lunit
pallone-maschera autoespandibile o quando sia presente una frattura della colonna
cervicale che non renda possibile muovere il collo e risulti al contempo difficoltosa
lintubazione nasotracheale.
Nella fase dellairway, un aspetto altrettanto importante il posizionamento di un collare.
Ogni traumatizzato va considerato come portatore di un trauma del rachide sino a quando
non si dimostri il contrario. necessario posizionare al pi presto un collare cervicale in
quanto il traumatizzato, particolarmente se incosciente o in cui si evidenzino meccanismi
traumatici al disopra del piano clavicolare, deve essere considerato sempre come
potenziale portatore di una lesione midollare sino a quando non venga dimostrato il
contrario. Il collare deve essere posizionato in due, mantenendo il rachide in posizione
neutra, allineata, senza effettuare trazione. Il posizionamento di un collare, di adatta
misura, ha anche il vantaggio di contribuire di per s, grazie al concomitante spostamento
in avanti della mandibola, ad una migliore perviet delle vie aeree superiori. Tuttavia, le
manovre di ispezione e di apertura delle vie aeree superiori hanno la priorit sul
posizionamento del collare cervicale. Durante le manovre di perviet delle vie aeree
superiori, quali la sublussazione della mandibola o il sollevamento del mento, nonch le
varie manovre di ventilazione meccanica, in attesa di posizionare il collare cervicale di

30
adatta misura, deve essere comunque garantita da uno dei due soccorritori
limmobilizzazione del rachide cervicale con le mani (tecnica definita di immobilizzazione
bimanuale).
2. Breathing: posto che il paziente abbia le vie aeree pervie, si deve verificare e garantire
unossigenazione/ventilazione adeguata. Questa valutazione pu essere fatta valutando
alcune caratteristiche semeiologiche: carattere del respiro, frequenza respiratoria ed
eventuali relative alterazioni, simmetria dellespansione del torace, presenza di soluzioni di
continuo con lesterno a livello del torace, presenza di suono chiaro polmonare alla
percussione, presenza di murmure vescicolare; infine, uno strumento molto utile per
valutare il breathing di un paziente il saturimetro, presente anche in ambulanza:
opportuno mantenere una saturazione di ossigeno superiore al 95%. La valutazione ha il
compito soprattutto di identificare, per poi trattare, patologie acute conseguenti allevento
traumatico in grado di mettere il paziente in immediato pericolo di vita, quali lo
pneumotorace iperteso e lemotorace.
Il primo fondamentale presidio terapeutico, nel politraumatizzato, la somministrazione di
ossigeno, alla massima concentrazione di 15 L/min (precauzionalmente si fa su tutti i pz
traumatizzati allo scopo di prevenire una desaturazione). Se il paziente in respiro
spontaneo, sufficiente lutilizzo di una maschera, possibilmente con reservoir per
lossigeno; se il paziente non respira o presenta evidente disfunzione respiratoria
necessario provvedere ad una respirazione assistita con sistemi maschera-pallone-reservoir
collegati a fonti di O2 o mediante una ventilazione meccanica invasiva. Ossigenazioen e
ventilazione devono essere sempre garantite durante ogni fase del soccorso
extraospedaliero.
Nelle azioni della fase di Breathing, rientrano anche i trattamenti di condizioni patologiche
con carattere di urgenza che possono portare a rapida morte il paziente: (1) lo
pneumotorace iperteso si diagnostica clinicamente quando il paziente desatura e
lemitorace interessato non si espande, vi assenza di murmure vescicolare, vi
ipotensione e/o sbandieramento del mediastino testimoniato dal turgore delle giugulari; il
trattamento demergenza del PNX iperteso consiste nellinserimento di una grossa
agocannula a livello del secondo spazio intercostale a livello dellemiclaveare: si entra in
aspirazione e normalmente la risoluzione del PNX testimoniata dalla fuoriuscita di aria
attraverso la cannula (per essere pi sicuri quello di entrare con una siringa senza
stantuffo piena di acqua e vedo gorgogliare lacqua). (2) Lemotorace si diagnostica
clinicamente quando il paziente desatura, ipoteso, non ha murmure ma non ha
sbandieramento del mediastino quindi tipicamente NON ha le giugulari gonfie; lazione
terapeutica uguale a quella dello pneumotorace iperteso.
3. Circulation: gli obiettivi della stabilizzazione del circolo sono quelli di garantire unadeguata
perfusione tissutale e garantire, per quanto possibile, unadeguata emostasi di emergenza
a carico delle principali emorragie esterne. indispensabile quindi riconoscere
immediatamente uno stato di shock, diagnosticabile con il riscontro clinico di
ipoperfusione inizialmente (la cute e il cervello sono organi spia in questo senso) e, quindi,
pi tardivamente, di ipotensione arteriosa. Lipovolemia da emorragia la condizione pi
frequente di shock nel trauma. Tuttavia, nel paziente traumatizzato occorrerebbe valutare
anche il ritorno venoso poich un altro tipo possibile di shock che potrebbe incorrere
sarebbe quello di tipo ostruttivo conseguente ad uno pneumotorace iperteso o un
tamponamento cardiaco; quindi escluso tampontamento cardiaco e pnx, il paziente
politraumatizzato in shock un paziente con unemorragia in atto.
Quindi si valuta il polso carotideo del paziente: se si riscontra lassenza di attivit cardiaca

31
si esegue la rianimazione cardiopolmonare. Se il paziente ha circolo, ma ha chiari segni di
ipotensione necessaria la stabilizzazione del circolo mediante il controllo delle perdite
ematiche (dopo aver escluso altre cause di shock). In presenza di emorragie esterne va
effettuato limmediato tamponamento delle sedi emorragiche, a partire dalle sedi
anatomiche da cui provengono le perdite ematiche con carattere arterioso (colore rosso
vivo, fuoriuscita a getto, sincrona con londa sfigmica). Ci sono anche dei presidi: lo
sfigmomanometro che posiziono a pressione 200 a monte del sanguinamento arterioso;
oppure posso utilizzare dei lacci emostatici specifici. Le emorragie venose comportano un
minor rischio per il pz e generalmente basta una emostasi a pi bassa pressione, anche
tamponando con delle garze. Non bisogna mettere lacci emostatici perch
controproducente. Nel frattempo, occorre disporre di accessi venosi per la fluidoterapia.
Pi problematico invece il controllo delle emorragie interne per le quali si deve effettuare
rapidamente un adeguato compenso delle perdite. Innanzitutto occorre disporre di un
accesso vascolare, da preferirsi le vene periferiche delle braccia. La fluidoterapia prevede
infusioni da eseguire mediante la tecnica di boli successivi di cristalloidi (o plasma
expanders) di 1.5-2 L ciascuno per un totale variabile a seconda della stima delle perdite
che pu essere fatta sulla base delle condizioni cliniche del paziente (spiegata nella parte
dello shock emorragico). Nella fase pre-ospedaliera e durante la fase diagnostica di PS,
opportuno effetutare i boli infusionali con la finalit di raggiungere una pressione sistolica
limitata a 90 mmHg o 110 mmHg, nel trauma chiuso, rispettivamente in assenza o presenza
di trauma cranico, per prevenire la ripresa di unemorragia tamponatasi spontaneamente.
4. Disability: conclusa la valutazione delle problematiche in grado di mettere repentinamente
in pericolo la vita del paziente, si devono attuare alcune azioni finalizzate ad evitare
invalidit permanenti per il paziente. Per questo necessario innanzitutto valutare se lo
spostamento del paziente pu avvenire in sicurezza. Lazione in questa fase consiste invece
nellimmobilizzazione del paziente utilizzando specifici ausili. Lasse spinale una tavola
rigida in materiale plastico e dotata di fenestrature laterali aventi il fine di consentire sia il
fissaggio delle cinghie che la presa dei soccorritori; permette il trasporto facilitato del
paziente e la possibilit di trasportare direttamente il paziente nel pronto soccorso
radiologico, in quanto la tavola radiotrasparente. Altri presidi sono la baralla a cucciaio,
che una barella metallica che si apre in due e dopo averla posizionata al di sotto del pz si
richiude con il vantaggio di prendere pz che sono in posizioni molto scomode, e il
materassino a decompressione, un materassino gonfio su cui viene poggiato il pz,
dopodich si sgonfia e si modella sulla sua conformazione.
Nella fase D, occorre procede allallineamento e immobilizzazione delle fratture; la
necessit della stabilizzazione sta nel fatto che se le fratture continuano ad avere un
movimento durante il trasporto possono determinare delle lesioni vascolari o nervose
oppure possono peggiorare il sanguinamento intramuscolare o perilesionale.
Lallineamento e il fissaggio devono avvenire previa adeguata analgesia del paziente; larto
deve essere completamente esposto e deve essere allineato mediante una leggera
trazione; a seguito dellallineamento, necessario immobilizzare le articolazioni a monte e
a valle della zona fratturata mediante lutilizzo di presidi rigidi.
Altri interventi particolari da attuare nel paziente traumatizzato dipendono dalle situazioni
particolari:
a. Paziente eviscerato: le anse intestinali e i visceri non vanno riposizionati dentro, ma
vanno coperti e bagnati. Quindi la cosa migliore poggiare un lenzuolo e irrigarlo
con fisiologica. Questo perch sono a rischio di disidratazione.

32
b. Paziente con lesione soffiante del torace: per evitare un PNX a valvola, si possono
utilizzare le medicazioni a flutter, che consistono in membrane di plastica applicate
sulla lesione soffiante che tendono ad attaccarsi alla parete toracica durante
lespirazione (per evitare linsufflazione di aria attraverso la ferita) e si scostano
durante lespirazione (per far uscire laria dal torace);
c. Paziente con amputazione: i pezzi amputati devono essere raccolti ed irrigati
allinterno di un contenitore freddo (ma non ghiacciato), e devono essere
trasportati in ospedale per valutare uneventuale ricostruzione;
d. Paziente ustionato: importante per questi pazienti stabilire la quota di superficie
corporea ustionata mediante la regola del 9, perch il grado di ustione differenza la
gravit e la prognosi del paziente;
e. Paziente precipitato: bisogna porre attenzione durante il posizionamento sulla
barella affinch tutti gli operatori eseguano un movimento sincrono durante lo
spostamento; importante inoltre valutare la presenza di shock, molto frequente in
questi pazienti;
f. Paziente incastrato: ogni trattamento deve essere preceduto dallestrinsecazione .

[Questo quanto stato detto dal prof. Corsino a lezione a proposito della fase di
valutazione della Disability; su altri libri quanto descritto dal professore corrisponde invece
alla fase dellExposure and Enviromental Protection. A proposito della fase D altri libri
indicano che si deve eseguire un rapido esame neurologico che tenga conto del livello di
coscienza, dellesame delle pupille, della presenza o assenza di motilit spontanea o al
compando, della presenza di sensibilit. La GCS rappresenta un indice di valutazione molto
utile in questo senso. Un aspetto importante riguarda la valutazione delle pupille: la
presenza di unanisocoria > 1 mm va considerata come segno di compressione da parte
delluncus cerebellare sul tronco encefalico. ]

4. Trasporto: il trasporto del paziente traumatizzato deve essere rapido ma non tumultuoso.
Limplementazione di O2 durante il trasporto non mai dannosa anzi spesso di vitale importanza.
Durante il trasporto occorre assicurare la protesione termica (per mezzo di teli termici, coperte,
metallina), in quanto il politraumatizzato tende ad andare rapidamente incontro ad una pericolosissima
condizione di ipotermia, laddove le condizioni ambientali sfavorevoli possono aggravare
consistentemente il problema. Durante il trasporto in ospedale occorre rivalutare sistematicamente le
condizioni cliniche del paziente mediante un controllo seriato e periodicamente ripetuto, della
sequenza dellABC assonciandone lazione dove necessario. Occorre scegliere la struttura ospedaliera
pi appropriata alla situazione del paziente, anticipando il proprio arrivo per garantire un rapido
accesso.
5. Consegne: una volta giunti in ospedale occorre comunicare i dati anagrafici del paziente (se noti) e
descrivere la situazione e lo scenario di partenza. Si consegna quindi il paziente con il foglio del 118 in
cui sono riferiti i parametri vitali allarrivo sul posto ed i successivi rilevamenti. Se possibile bisogna
comunicare anche lRTS. Infine, bisogna comunicare dati anamnestici raccolti da eventuali testimoni;
per memorizzare la sequenza delle notizie anamnestici utili, si usa solitamente la formula AMPLE:
A=allergie, M=medicine assunte, P=patologie pregresse, L=last food perch lo stomaco pieno pu
vincolare manovre di rianimazione e respirazione, E=evento ovvero le informazioni sullincidente.

33
Shock
(prof. Corsino)

Lo shock una sindrome clinica dovuta a meccanismi eziopatogenetici diversi e caratterizzata da una
perfusione tissutale inadeguata alle esigenze bioenergetiche cellulari con conseguente incapacit dei
tessuti ad utilizzare efficacemente O2 e substrati energetici ed a liberarsi dei propri cataboliti.

Gli obiettivi nel paziente shockato sono:

1. Diagnosi precoce: meglio dare lallarme su uno stato potenzialmente in shock del pz, piuttosto
che non dire nulla per paura di sbagliare, poich il pz ignorato potrebbe morire con altissima
probabilit davanti a voi.
2. Individuazione della causa: ci permette di instaurare il trattamento pi specifico e il pi
precocemente possibile e vi assicuro che fondamentale perch questa sindrome causa morte
molto velocemente;
3. Trattamento precoce

Fisiopatologia
Schematicamente le cause dello shock possono essere distinte in tre grandi gruppi:

1. Deficit della pompa cardiaca: quando la funzione di pompa cardiaca viene meno, a seguito di un
danno improvviso, si verifica uninadeguata perfusione tissutale periferica. Le cause di questo
deficit sono le alterazioni intrinseche del miocardio (es. infarto del miocardio) e delle strutture
cardiache (es. rottura delle corte tendinee, aritmie ventricolari) oppure a meccanismi estrinseci
compressivi (es. pneumotorace iperteso, tamponamento cardiaco) od ostruttivi (es. embolia
polmonare). In caso di alterazioni intrinseche si parla di Shock cardiogeno mentre in caso di
alterazioni estrinseche si parla di shock extracardiaco ostruttivo.
2. Alterazioni del volume ematico: comportano shock per la riduzione della massa circolante che pu
verificardi per unemorragia (es. per un trauma o per una perdita gastroenterica) o per un
sequestro e deplezione di liquidi (es. disidratazione estrema, diarrea profusa, ustione o per
ridistribuzione del terzo spazio 1). In questo caso di parla di Shock ipovolemico emorragico o non
emorragico.
3. Alterazioni della portata: si verifica per unalterazione del microcircolo causata da vasodilatazione
arteriolare e venulare e da una parziale ostruzione capillare. Normalmente nel letto vascolare l
80% delle arteriole pre-capillari sono chiuse perch il flusso sanguigno razionalizzato in base alle
nostre esigenze. I meccanismi di regolazione saltano in caso di danno tissutale o in presenza di un
noxa patogena che agisce da falso segnale. Tale situazione, caratteristica delle sindromi da
attivazione sistemica della risposta infiammatoria su base infettiva (sepsi e shock settico) o non
infettiva (SIRS), determinata dallazione di sostanze vasoattive che causano una riduzione del
tono vascolare e unaggregazione intravascolare di cellule del sangue, con una parziale occupazione
del lume capillare. Rientrano in questa categoria anche i quadri avanzati di shock da trauma
maggiore e lo shock anafilattico, in quanto in ambedue i casi si assiste a una marcata attivazione di
sostanze vasoattive con i conseguenti danni del microcircolo, nonch lo shock neurogeno, causato
da perdita del tono simpatico a cui consegue una vasodilatazione. Questo gruppo
complessivamente definito shock distributivo distinguendo a seconda della causa specifica lo shock

1
La ridistribuzione del terzo spazio uno dei meccanismi riverberanti dello shock perch i capillari perdono la capacit
di tenuta mandando altro liquido nellinterstizio.
34
settico, lo shock anafilattico, lo shock neurogeno e lo shock indotto dallipertermia o dalle
endocrinopatie.

Shock cardiogeno

Deficit di pompa
Shock cardiogeno
ostruttivo

Shock ipovolemico
emorragico
Shock
Alterazioni del volume
ematico
Shock ipovolemico non
emorragico

Shock settico

Shock anafilattico
Alterazioni della portata
(Shock distributivo)
Shock neurogeno

Altri (ipertermia,
endocrinopatie)

Da un punto di fisiopatologico, lo shock pu essere anche distinto in:

Shock a bassa gittata: la gittata cardiaca primitivamente ridotta. A questo gruppo


appartengono lo shock cardiogeno, lo shock ipovolemico e lo shock extracardiaco ostruttivo.
Shock a gittata normale o aumentata: la gittata cardiaca primitivamente maldistribuita tra i
vari organi e, in fase iniziale, pu essere anche aumentata rispetto alla norma. A questo gruppo
appartiene lo shock distributivo.

Il nostro organismo possiede una serie di meccanismi protettivi tipici dei mammiferi per sopravvivere agli
insulti dellambiente esterno e interno e, in questo modo, superare la selezione naturale; lo shock consiste
in un eccesso di gestione dellinsulto ed tipico delluomo.
1
La conseguenza fisiopatologica di uno shock, indipendentemente dalla causa, lipossia a livello cellulare
che induce la glicolisi anaerobia, a causa della quale il piruvato, non pi utilizzato nel ciclo di Krebs, viene
convertito in lattato che si accumula nel ciclo di Krebs, viene convertito in lattato che si accumula nel citosol
e quindi nel sangue con progressiva acidosi. Nella pratica clinica, il grado di ipossia cellulare e il livello di
debito di O2 raggiunti sono inefficacemente indicati dai valori circolanti di acido lattico o dallaumento del
rapporto lattato/piruvato. Questultimo dato consente di differenziare le iper-lattacidemie da
ipermetabolismo. Le conseguenze della diminuzione del pH dovuta alla lattacidemia nelle fasi avanzate di
shock sono rappresentate da:

Minor sensibilit dei recettori catecolaminergici, con riduzione dellinotropismo cardiaco,


bradicardia e vasodilatazione;

1
Quanto segue sulla fisiopatologia non stato spiegato dal professore.
35
Spostamento verso destra della curva di dissociazione dellemoglobina, con diminuita affinit
per lossigeno che viene pi facilmente liberato ai tessuti;
Attivazione della produzione di numerosi mediatori responsabili di una reazione infiammatoria
sistemica in grado di amplificare con un meccanismo a cascata il danno dorgano.

Alla diminuzione della perfusione conseguono adattamenti neuroendocrini mediati dallincrezione di


ormoni dello stress quali catecolamine, vasopressina, angiotensina e aldosterone, la cui azione
finalizzata al recupero della volemia e al mantenimento del flusso nei distretti pi sensibili allipossia.
Inoltre, le catecolemine determinano un effetto cronotropo e inotropo positivo, favorendo insieme alla
vasopressina ipofisaria una marcata vasocostrizione del distretto muscolo-cutaneo. Laumento della
contrattilit e della frequenza cardiaca contrasta in parte lincremento del postcarico indotto dalla
vasocostrizione, provocando tuttavia un maggior lavoro e consumo di O2 del cuore. Langiotensina II
determina una vosocotrizione prevalentemente splancnica, risparmiando i vasi renali 1. Il flusso risulta
quindi centralizzato preferenzialmente verso il circolo cerebrale, coronarico e renale. La centralizzazione
del circolo comporta ipossia e anaerobiosi precoci nei distretti in cui si verifica la vasocostrizione indotta
dagli ormoni dello stress, quali muscolo, cute, fegato, intestino. A livello gastroenterico, la caduta del
consumo di O2 causa sofferenza della mucosa e alterazione delle capacit di barriera nei confronti del
contenuto endoluminale. Tale fenomeno stato considerato alla base della traslocazione batterica, definita
come il passaggio di microrganismi vivi e tossine nel lume intestinale verso i linfatici e il sangue portale, con
possibile innesco od amplificazione della reazione infiammatoria sistemica.
In questa condizione numerosi mediatori sono responsabili dellamplificazione del danno tissutale
attraverso unalterazione del microcircolo periferico che pu esitare in quadri clinici di progressivo
deterioramento della funzione dei vari organi e apparati, definiti come MODS e MOF. I mediatori
dellinfiammazione pi comunemente coinvolti nei quadri di shock sono i fattori del complemento, gli
eicosanoidi, le citochine, lossido nitrico e lendotossine batteriche.

Clinica
Le manifestazioni cliniche dello shock sono importanti in quanto permette di agire tempestivamente dal
punto di vista terapeutico. Ci son due organi spia che ci aiutano a capire in modo rapido se il caso di
sospettare uno shock, perch li possiamo vedere in modo diretto, senza bisogno di indagini approfondite.
Questi due organi sono la cute e il cervello. La cute appare fredda e subcianotica tipicamente marezzata2 e
sudata distalmante. L'altro organo importante che vediamo (nel senso che ne vediamo le dirette
manifestazioni) il cervello: si pu osservare tutto lo spettro delle alterazioni neuropsichiche:
dallagitazione psicomotoria, a condizioni sempre pi gravi fino al sopore intenso e al coma. Le prime
manifestazioni sono sfumate, il pz si comporta o dice cose strane 3.
In linea di massima quando mi trovo di fronte ad un paziente marezzato che vaneggia devo
immediatamente sospettare un quadro di shock. Per quanto riguarda lobiettivit clinica, non esiste
un'unica obiettivit clinica: quando sospettiamo che il pz sia in stato di shock dobbiamo visitarlo con una
certa accuratezza e allo stesso tempo con rapidit.
Normalmente quando si pensa al paziente in shock si pensa automaticamente alla pressione. Nella maggior
parte dei casi la pressione arteriosa sar bassa. Questa tuttavia non una relazione sempre vera per questo

1
Nonostante la perfusione renale sia mantenuta, in corso di emorragia si osserva una riduzione della diuresi in quanto
il flusso renale finalizzato principalmente allossigenazione della zona midollare per permettere il riassorbimento
attivo dei liquidi e del sodio filtrati a livello del tubulo distale, fondamentali per il recupero della volemia.
2
La cute alterna aree di pallore ed aree di ipervascolarizzazione lineare e rosata con un tipico aspetto reticolato;
questo aspetto il risultato di un tentativo della cute di far risparmiare ossigeno, per cui si ha vasocostrizione in alcuni
distretti, mentre in altri distretti si hanno fenomeni di vasodilatazione.
3
Ho visto giovani con milza rotta e parametri vitali normalissimi stranamente ansiosi o che si rapportavano in modo
inadeguato con lambiente.
36
il dato della pressione il prof lo considera per ultimo. Le situazioni in cui un paziente con normale PA pu
essere in una situazione di bassa perfusione tissutale sono: (1) pazienti con precedenti valori di
ipertensione, (2) pazienti giovani con un buon compenso in fase iniziale.

Le altre manifestazioni cliniche dello shock dipendono dalla condizione patologica sottostante.

Iter diagnostico
Si tende generalmente a distinguere i pazienti pieni dai pazienti vuoti. Nello shock da volume e da
portata il paziente vuoto, mentre in caso di shock da alterazioni della pompa il paziente pieno.
Se il paziente pieno il suo problema di poca perfusione in circolo dovuto solo al fatto che la pompa non
efficace, ma il volume circolante sufficiente. Nello shock da volume il pz vuoto vero, manca
effettivamente volume ematico. In quello da portata vuoto relativo, nel senso che c solo un problema
di dilatazione eccessiva dei vasi, anche se il volume presente. Concettualmente in entrambi i casi (shock
da volume e da portata) il paziente va considerato vuoto, gli manca liquido nel sistema. Capire queste
differenze permettono di adottare un approccio terapeutico specifico per la situazione.
Gli elementi che possono permetterci di distinguere un paziente pieno da uno vuoto sono:

1. Segni di congestione a monte: nel caso di un paziente pieno (quindi sono di fronte ad un
problema di pompa) si possono osservare segni di congestione del sistema vascolare posto a
monte della pompa cardiaca; questi segni sono il turgore giugulare (nel caso di uninsufficienza
destra) e/o rumori umidi polmonari (nel caso di uninsufficienza sinistra). Non detto che i
rumori umidi polmonari siano dovuti alla stasi del cuore sinistro, magari il paziente aveva gi
una polmonite, o un ARDS, per tale reperto sicuramente un dato da considerare.
2. Ecografia Fast: in questo caso non si usa l'ecografo per fare un esame completo, ma per
acquisire informazioni base che ti permettono di inquadrare il paziente con valutazioni mirate a
questa condizione; si valuta quindi il diametro della vena cava inferiore ( una sua dilatazione
indicativa di una congestione venosa), il collasso della vena cava inferiore ( se non collassa in
fase diastolica indica di una congestione venosa), presenza delle linee Z ( la presenza delle
strie Z a livello del parenchima polmonare il corrispettivo ecografico dei crepitii auscultatori.
Lecografia permette inoltre di valutare il funzionamento della pompa cardiaca, eventuali cause
extracardiache ostruttive di shock ( tamponamento cardiaco, la TEP, uno PNX, che sono tutti
reperti abbastanza semplici da individuare). Un ulteriore vantaggio dellEco-fast che si pu
fare al letto del paziente.
3. Fluid Challenge test: test molto semplice e allo stesso tempo ha unazione terapeutica nel
paziente vuoto. Si infondono 500 cc di soluzione cristalloide che si distribuisce in base alla
percentuale di distribuzione dei liquidi riproducendo la divisione in liquidi intracellulari e
extracellulari ( 100 cc in circolo, il resto si distribuisce tra interstizio e compartimento
intracellulare). Se il pz realmente vuoto (problema di Volume) o relativamente vuoto
(problema di Portata) anche 100 cc di liquidi migliorano notevolmente la sua emodinamica e
quindi noteremo una risposta positiva; se il pz ha un problema di pompa non cambier molto.

A questo punto bisogna indagare la causa specifica dello shock considerando:

1. Anamnesi: bisogna sempre farsi guidare dallosservazione e dal buon senso. (es. per un
paziente allettato e con la febbre penso allo shock settico).
2. Quadri clinici specifici: alcune cause di shock hanno manifestazioni cliniche specifiche:
a. PNX: assenza di rumori polmonari dal lato interessato associati ad un recente trauma
toracico;
b. Tamponamento cardiaco: deve essere sospettato in un paziente con versamento
pericardico visibile allecografia;
37
c. Embolia polmonare;
d. Anafilassi: presenza di dispnea conseguente allo spasmo della muscolatura bronchiale e
allangioedema della glottide.
3. Esami laboratoristici:
a. Emocromo: fondamentale per poter individuare pazienti con uno shock emorragico o con
uno shock settico;
b. Esami ematochimici ( elettroliti, indici di citolisi e funzionalit d'organo): nei pazienti
scioccati possono insorgere danni d'organo che possono portare il pz a condizioni di MOF
e poi a morte. Le sofferenze d'organo vengono analizzate tramite gli enzimi di citolisi.
c. Coagulazione (PT, PTT, fibrinogeno, D-dimero, AT-III): concettualmente uno degli organi
che pi pu essere coinvolto shock con la comparsa della CID con coinvolgimento
multiorgano: il D-dimero aumenta, si allungano i tempi della coagulazione, il fibrinogeno
diminuisce.
d. Emogasanalisi: un esame fondamentale perch permette di ottenere rapidamente
alcuni parametri di base che un laboratorio ci darebbe in 20 minuti o unora (Hb, globuli
rossi, elettroliti nel sangue); inoltre fornisce informazioni riguardo gli scambi respiratori.
infine, ci d informazioni riguardo lequilibrio acido-base, fondamentale per inquadrare il
paziente.
e. Esami microbiologici: diretti e colturali, utili prevalentemente in pz con sospetto shock
settico. vero che la risposta di questi esami richiede una settimana; ma dopo una
settimana in cui ho cercato di fare il possibile per tenere in vita il paziente, quando arriva
la risposta dellesame colturale, che mi dice chi era il responsabile, posso finalmente
impostare una terapia adeguata e mettere in salvo definitivamente il paziente.
f. Biomarkers specifico: la procalcitonina aumenta in condizioni di sepsi tanto pi quando lo
shock settico.
4. Esami strumentali:
a. Ecografia, ECO-fast e Ecocardiografia: sono strumenti semplici e devono sempre essere
utilizzati in prima istanza quando utili.
b. Rx toracico: fornisce informazioni riguardo il polmone, il cuore e lo spazio pleurico;
c. Tc: un esame di approfondimento in caso di dubbi diagnostici; non pu essere eseguita
prima di aver stabilizzato il paziente in quanto comunque un esame che richiede 20
minuti di tempo in cui, se il paziente non stabile, rischia la morte.

Trattamento

Il trattamento dello shock deve essere il pi precoce ed aggressivo possibile al fine di intervenire nella fase
reversibile delle modificazioni fisiopatologiche che lo shock comporta, prima quindi che queste diventino
irreversibili. Il percorso terapeutico e quello diagnostico devono procedere contestualmente poich si
rischia di riuscire a fare una diagnosi corretta e non essere in tempo per salvare la vita del paziente. Il
trattamento si basa su due grandi principi: (1) sostegno vitale del paziente indipendentemente dalle cause,
(2) riduzione della causa specifica.
A seconda del tipo di shock possono intervenire in modo diverso, per questo importante capire il tipo di
shock:

1. Shock cardiogeno: terapia con inotropi; questi farmaci reclutano le miofibrille cardiache
sfruttando al massimo l'inotropismo del cuore shockato. Sono farmaci molto utili nella fase
iniziale per stabilizzare il paziente e tranquillizzarlo, ma devono costituire solo un bridge al
trattamento vero (es. pz con infarto: la terapia inotropa positiva importante per evitare lo shock
ma pensare poi a rivascolarizzare il miocardio);

38
2. Shock ipovolemico: infondo liquidi (colloidi, cristalloidi, plasma, sangue)
3. Shock distributivo: somministro anche a lui i liquidi, ma lui in realt maldistribuito quindi
occorre somministrare contemporaneamente farmaci vasocostrittori.

In ogni caso indicato un trattamento di supporto e di correzione: correggo gli elettroliti se necessario,
abbasso o alzo la temperatura ecc.
Dopodich devo trattare la causa specifica dello shock:

Shock emorragico: fermo il sanguinamento;


Pnx e tamponamento pericardico: faccio un drenaggio;
SCA: intervengo con una rivascolarizzazione;
TEP: faccio una trombolisi;
Shock anafilattico: somministro antistaminici, corticosteroidi
Shock settico: devo fare la rimozione del focolaio infettivo. Se avete un ascesso sottoepatico,
potete inventarvi quello che vi pare, ma se non rimuovete il pus, il paziente muore, solo
questione di tempo.
Shock cardiogeno meccanico, come nel caso di una insufficienza mitralica acuta da rottura di un
muscolo papillare: se si riesce a far sopravvivere il paziente lo invio ad un intervento
cardiochirurgico urgente.

Conclusioni
In qualsiasi specializzazione prima o poi ci si trova a dover fronteggiare questa situazione. Ci che conta di
pi saper riconoscere ma soprattutto prevenirla individuando quelle situazioni che stanno precipitando
verso lo shock cardiocircolatorio. Quando si innescano i meccanismi fisiopatologici dello shock i danni
diventano riverberanti, entrando in un vortice difficile da interrompere tanto che lo shock
cardiocircolatorio una delle cause fondamentali di morte ed una complicanza che pu verificarsi in
qualsiasi paziente.

Caso clinico 1
Entra in PS un pz di 40 anni in shock cardiocircolatorio che, dopo essersi fatto in casa una puntura di
antibiotico, presenta confusione, disorientato, marezzato, misuriamo la pressione ed bassa. Come ci
orientiamo? Shock anafilattico. Do adrenalina, antistaminico e cortisone. Il pz sta peggio di prima. A quel
punto ecografo alla mano e vedo che c liquido nelladdome. Ricominciamo dallanamnesi: da 4 giorni aveva
febbre e dolore in ipocondrio dx motivo per cui si era fatto la puntura di antibiotico. Risultato: il pz aveva un
empiema della colecisti che si era aperto.

Caso clinico 2
Pz entra in PS in shock, apparentemente si presenta come una pz piena. Sembra uno shock cardiogeno e
lo trattiamo da tale ma la pz non migliora. La cosa particolare che allauscultazione aveva uno strano
murmure in aia cardiaca. Poggio la sonda scopro che si era fatta una stenosi acuta valvolare che sappiamo
clinicamente non esiste, si forma lentamente, ma in questo caso era una condizione acuta: la valvola si era
trombizzata perch la pz non aveva preso anticoagulanti e da qui lo shock ostruttivo. La pz stata portata
in sala operatoria dove i cardiochirurghi hanno sostituito la valvola.

39
Ipoperfusione
(prof. De Blasi)

Una parte importante dellapproccio al paziente critico la valutazione della perfusione sistemica: senza
una buona perfusione la funzionalit degli organi decade perch fondamentale alla produzione di energia.
Le due funzioni che devono essere controllate da tutti gli organi per poter svolgere le loro funzioni
specifiche sono:

1. Temperatura: abbassare la temperatura vuol dire ridurre i processi metabolici di un organo;


2. Compartimentazione: la capacit di mantenere la concentrazione degli elettroliti costante sia
allinterno che allesterno delle cellule formando dei gradienti che vengono sfruttati per le funzioni
cellulari.

Quindi, per poter mantenere la propria funzione ogni organo deve creare energia che possa mantenere un
gradiente costante degli elettroliti e la temperatura.

Il substrato fondamentale per ottenere energia lossigeno; quindi mantenere una buona perfusione
dorgano significa assicurarsi che giunga ossigeno sufficiente.
In condizioni di normalit, la disponibilit di
ossigeno maggiore rispetto al consumo
sistemico. Nel momento in cui il
metabolismo dei vari organi aumenta (per
uno stimolo ormonale o per un
innalzamento febbrile), si ha un
parallelamente un aumento della
disponibilit di ossigeno per aumento della
perfusione permettendo allorgano di
svolgere le sue funzioni.
In condizioni patologiche di ipoperfusione,
la richiesta di ossigeno supera la
disponibilit a causa della ridotta
perfusione; si giunge quindi ad un punto critico in cui la cellula non ha il substrato energetico necessario
per produrre lenergia necessaria a mantenere la temperatura, a compartimentare gli elettroliti e a
svolgere le altre funzioni specifiche, per cui si ha un danno dorgano. Al danno dorgano corrisponde una
progressiva riduzione del suo consumo conseguente alla riduzione della disponibilit. Il consumo e la
disponibilit dei vari organi dipende dal tipo di organo, dalla sua funzionalit ma anche dal grado di
metabolismo che noi induciamo attraverso alcuni farmaci sedativi. A tal proposito, alcuni farmaci riducono
la richiesta di energia dellorgano e quindi a parit di perfusione la perfusione sar pi efficace. Questo il
motivo per cui in uno stato settico o in shock settico, in cui si riduce la capacit metabolica dellindividuo
perch la disponibilit viene meno, riduciamo la necessit dossigeno tramite la sedazione. Ad esempio il
consumo di ossigeno del diaframma del 3% e pu arrivare al 30% se abbiamo una difficolt respiratoria
per un aumento del suo funzionamento. Per evitare questo, un soggetto che ha poca disponibilit di
ossigeno verr attaccato alla ventilazione meccanica, riducendo cos di quel 30% le sue necessit
metaboliche.

40
Determinanti dellossigenazione tissutale
L'ossigeno viene trasportato nel sangue dal polmone ai diversi tessuti dell'organismo. I determinanti
dellossigenazione tissutale sono due: la concentrazione di ossigeno nel sangue e il flusso di sangue (volume
di sangue trasportato nell'unit di tempo) generato dalla gittata cardiaca.

1. Concentrazione di ossigeno nel sangue


A partire dal luogo di approvvigionamento (l'aria ambiente) fino alla sede di utilizzazione (i mitocondri)
l'ossigeno si sposta in cascata seguendo i gradienti di pressione.

Figura 2. Cascata dell'ossigeno

Sulla sinistra di questa immagine indicata la cascata della pressione parziale dell'ossigeno nei vari
distretti: si nota come la PO2 scenda dalla massima tensione parziale presente nell'aria ambiente fino al
livello esistente nei mitocondri, sede di utilizzazione dell'ossigeno.
Al livello pi alto vi una PO2 di circa 160 mmHg che corrisponde al valore inspirato da un individuo se si
considera una pressione atmosferica di 760 mmHg e una tensione parziale di ossigeno del 21%. La PO2 si
riduce quando laria inspirata pi umida (es. in bagno turco).
A livello alveolare, la PO2 si riduce a 90 mmHg per la presenza di una componente pressoria data dalla
tensione di vapor saturo (47 mmHg ma pu anche aumentare in caso di innalzamento della temperatura
basale riducendo ulteriormente il valore di PO2 alveolare) e per la presenza di PCO2 risultante dagli scambi
gassosi alveolo-capillari (46 mmHg).
A livello del sangue arterioso, la tensione parziale di ossigeno1 (PaO2) ha valori compresi tra 102-97 mmHg e
rappresenta il valore che otteniamo dallEGA di un paziente. La tensione parziale dellossigeno nel sangue
arterioso incide in parte sulla concentrazione di ossigeno nel sangue arterioso.
La concentrazione di O2 in 100 ml di sangue arterioso (CaO2) data dalla seguente formula:
2
2 = ( 1.36) + (2 0.0031)
100

1
La pressione parziale di un gas in una miscela (es. sangue) indica la pressione che esso eserciterebbe qualora fosse
presente da solo nel recipiente che lo contiene. importante che la Pressione pariale non venga confusa con il
concetto di concentrazione di un gas in una miscela.
41
In questa formula si pu notare come incida maggiormente la concentrazione di emoglobina espressa in
grammi(Hb): un soggetto adulto normale ha in media 15 g di emoglobina ogni 100 mL di sangue e ogni
grammo di emoglobina pu trasportare 1.36 mL di O2. Quindi mediamente lemoglobina contenuta in 100
mL di sangue, quando il suo grado di saturazione del 100 % (SaO2), pu legare circa 20 mL di O 2.
Tuttavia, la concentrazione di ossigeno presente nel sangue arterioso data anche dalla quantit disciolta
nel plasma. Quindi per ottenere il valore totale di concentrazione totale, al valore di concentrazione di
ossigeno legato allemoglobina bisogna sommare il valore di ossigeno disciolto nel sangue. Questo valore
espresso nella seconda parte della formula (PaO2 x 0.0031); si pu notare per che seppur sia vero che la
tensione parziale di ossigeno nel sangue ( v.n. 102-97 mm Hg) incida sul valore di O2 disciolto nel sangue, la
quantit di ossigeno disciolto quasi ininfluente sul valore di CaO2 (0.3 ml/100 ml di sangue con una PaO2 di
98 mmHg) . Questa quantit di ossigeno, seppur disponibile a livello cellulare, insufficiente a garantire i
bisogni dell'organismo.
Questo discorso ha una grande valenza dal punto di vista terapeutico: in caso di aumentate richieste di
ossigeno per aumentare la concentrazione di ossigeno nel sangue arterioso non ha molto senso aumentare
la tensione parziale di O2 nel nostro sangue perch seppur triplicassimo la pressione dellaria a 3 ATM
otterremmo una mera variazione della concentrazione di ossigeno disciolto nel sangue (da 20.15 a 26 ml).
Al contrario pi utile mantenere un valore fisiologico di concentrazione di emoglobina nel sangue che
anche in caso di bassa PaO2 (fino a 80 mmHg) possibile che abbia una buona saturazione.
Quindi potremmo concludere dicendo che la perfusione assimilabile con il valore di Hb espresso in
grammi poich indica la componente che trasporta la maggiore quota di ossigeno in circolo.

2. Gittata cardiaca
La perfusione degli organi garantita dalla gittata cardiaca. La perfusione espressa dal rapporto tra il
volume di sangue che giunge al tessuto nellunit di tempo (ml o L / min). Questo parametro difficile da
ottenere in ambulatorio o in sala operatoria; per questo si stima la perfusione sistemica valutando la
pressione arteriosa media. La pressione arteriosa media la pressione media che si registra nell'intervallo
di tempo di un ciclo cardiaco (sistole e diastole). il miglior indice di perfusione degli organi perch la
pressione diastolica e sistolica a livello del microcircolo si equalizza formando una pressione continua con
cui il flusso raggiunge le cellule (relazione pressione/perfusione).
La relazione esistente tra questi due fattori dipende innanzitutto dal fatto che la pressione necessaria alla
creazione di quel gradiente di pressione che muove il sangue nel sistema circolatorio. Questi gradienti di
pressione sono:

1. Pressione negativa degli atri: tanto minore la pressione in atrio tanto maggiore sar il ritorno
venoso ma fino al valore negativo in cui si ha il collabimento delle vene cave che a quel punto
ostacola il ritorno venoso.
2. PVC: corrisponde alla pressione leggermente positiva presente a livello delle venule post-capillari.
Secondo il professore dobbiamo considerare come valore pressorio a monte, la pressione presente
a livello delle venule post-capillari e non quella delle arteriole poich questultima risente del tono
della muscolatura vascolare (come dimostrato dallesperimento di Barton negli anni 60 che
osserv come a seguito di unocclusione arteriosa la pressione delle arteriole non perfuse era
costante a 40 mmHg e questo valore indicava il tono dato dalla muscolatura delle arteriole).

A proposito della pressione delle venule post-capillari, occorre premettere che l80% del sangue circolante
distribuito nelle vene; il 70% di questo sangue distribuito nelle venule post-capillari (o small-veins) cos
ripartito:

42
Unstressed volume: il volume di sangue presente nelle venule post-capillari a pressione
transmurale pari a 0. Questo volume costituisce il 70% del volume presente nelle venule e, poich
non genera pressione, non contribuisce al ritorno venoso, quindi emodinamicamente inattivo.
Stressed volume: il restante 30% del volume presente nelle venule e genera una pressione
transmurale che facilita il ritorno venoso, quindi emodinamicamente attivo e significativo nel
generare il gradiente di pressione.

In una condizione di normovolemia, lo stressed volume genera una pressione positiva di circa 4-5 mmHg.
Questa anche definita pressione circolatoria media di riempimento (o mean circulatory filling pressure),
definita per la prima volta dal dottor Guyton. Per misurare la pressione generata dallo stressed volume ci si
basa su un artificio: si aumentano le pressioni nelle vie aeree del soggetto, questo comporta un aumento
della pressione transmurale e una progressiva riduzione della GC fino a 0; a quel punto si calcola la
pressione di riempimento venulare che sar pari alla pressione media di riempimento poich non vi
attivit cardiaca.

Molte patologie agiscono alterando questi volumi e quindi la pressione media di riempimento.
In una condizione di ipovolemia, vi una riduzione sia dello stressed che dellunstressed volume; si ha
quindi un abbassamento della pressione circolatoria media di riempimento; il risultato una riduzione del
ritorno venoso a livello dellatrio destro. Questo quello che avviene in corso di emorragia ma anche in un
paziente pre-operatorio in cui si operi uneccessiva restrizione idrica.
In condizione di sepsi, lunstressed volume aumenta perch si riduce lazione delle catecolamine sulla
muscolatura delle venule a discapito dello stressed volume; quindi si riduce il ritorno venoso.
Terapeuticamente in una condizione di sepsi possiamo fornire catecolamine al soggetto in modo tale da
indurre la contrazione della muscolatura venulare, ridurre lunstressed volume, aumentare lo stressed
volume e aumentare il ritorno venoso a livello cardiaco; in questo modo recupereremmo da una condizione
di ipovolemia.
Similmente alla sepsi, i farmaci sedativi (es. benzodiazepine) che riducono lazione delle catecolamine e
quindi il tono delle venule post-capillari, portano alla riduzione dello stressed volume con il risultato che il
sistema collassa per la riduzione del ritorno venoso.
In una condizione di ipovolemia con venocostrizione (esogena o endogena), le catecolamine riducono
lunstressed volume mediante la contrazione della muscolatura venulare, aumenta il volume dello stressed
volume; questo comporta un aumento della pressione media di riempimento quindi abbiamo anche un
ritorno maggiore di sangue al cuore.

Quello che se ne deduce, utile dal punto di vista clinico, che bisogna fare attenzione ai riempimenti
volemici finalizzati ad aumentare la GC, sfruttando la legge di Frank-Starling.
Nel 1914 Starling ha eseguito un esperimento da cui ha dedotto la sua legge mediante un preparato cuore-
polmoni di cane. Il cuore era denervato e isolato dalla cassa toracica 1; laorta, che da esso originava, veniva
incannulata e il sangue veniva fatto passare attraverso una circolazione artificiale, che costituisce il modello
di circolazione periferica. Questo sistema presenta due elementi fondamentali: un elemento di resistenza,
che prende il nome di resistore di Starling che simula la resistenza opposta dalla circolazione periferica allo
scorrere del sangue, e un serbatoio venoso con il quale, regolandone il riempimento, si poteva
concettualmente regolare la pressione del ritorno venoso (PVC). Il serbatoio venoso era messo allo stesso
livello del cuore e questo vuol dire che il ritorno venoso governato dalla pinza sullaorta (che rappresenta
le resistenze periferiche) e non dalla forza di gravit agente sul serbatoio (che rappresenta la PVC).

1
Il fatto che il cuore sia isolato dalla cassa toracica molto importante perch quando noi abbiamo un aumento di
pressione in una cavit (es. torace), si ottengono due fenomeni: lo strent (capacit di espandere la cavit da parte
della pressione) e la capacit della pressione di creare movimento. Laumento di pressione dipende per dalla
pressione esogena, o pressione transmurale, esercitata dalle strutture circostanti. Isolando il cuore dalla cavit
toracica si elimina la pressione transmurale.
43
Dallesperimento di Starling se ne dedusse la legge; linterpretazione pi diffusa della legge di Frank-Starling
che quanto maggiore sia la pressione di stiramento delle cellule muscolari cardiache atriali, dovuto al
ritorno venoso, tanto maggiore la forza che viene sviluppata.
Secondo il professore De Blasi questo concetto sbagliato perch nellesperimento il serbatoio venoso
messo alla stessa altezza del cuore quindi ci che varia lo stiramento cardiaco sono le resistenze
periferiche. Dunque, la relazione tra la tensione atriale e la GC in relazione alle resistenze periferiche e
non alla PVC.
Lerronea interpretazione ha avuto anche un correlato terapeutico: aumentando il riempimento volemico si
spera di ottenere un miglioramento della GC. Secondo il professore questa una credenza molto diffusa
ma erronea sebbene rappresenti anche unindicazione del trattamento della sepsi e dello shock settico
presente nelle linee guida internazionali.
Quindi secondo il professore, se noi riempiamo un paziente con liquidi, nellipotesi di aumentare la gittata
cardiaca e la perfusione dorgano, otteniamo esattamente lopposto perch ad un certo punto il cuore
sovraccaricato non ce la fa pi ad eliminare il sangue che arriva. Quindi nella fase terapeutica di una
condizione di ipoperfusione bisogna somministrare solo la quantit di liquidi che si persa perch, oltre al
rischio di sovraccaricare il cuore, vi il rischio di danneggiare gli organi.
Il motivo di questo danno che i vari organi hanno diversi sistemi di filtraggio dei liquidi per mezzo delle
fenestrature capillari. Queste fenestrature sono molto diverse a seconda degli organi: classico lesempio
delle ampie fenestrature del glomerulo capillare. Aumentando eccessivamente la volemia si induce uno
squilibrio nelle pressioni che regolano il riassorbimento e la filtrazione a livello capillare, come definito
dalla legge di Starling; si ha infatti laumento della pressione idrostatica che aumenta la filtrazione a
discapito del riassorbimento. La legge di Starling della filtrazione capillare stata recentemente sottoposta
a revisione in quanto stato riscontrato un altro fattore responsabile della regolazione del processo di
filtrazione e riassorbimento: il glicocalice endoteliale. Si tratta di un tappeto di glicoproteine distribuite a
livello endoteliale con delle proteine che hanno due funzioni: regolare la capacit filtrante delle cellule
endoteliale e regolare lo shear stress, ovvero la pressione tangenziale che agisce sulle pareti del vaso. Lo
shear stress molto importante perch rappresenta lo stimolo che giunge alle cellule endoteliali e ne
regola il diametro, quindi il flusso ematico. Dunque lo shear stress che mette in correlazione il flusso con
le pressioni. Lo shear stress direttamente proporzionale a due fattori: la viscosit, che in relazione con
lematocrito e la temperatura, e la distanza tra la parete dellendotelio e il flusso dei globuli rossi.
Durante uno stato infiammatorio, le proteine del glicocalice vengono digerite dalle proteasi
dellinfiammazione; questo comporta il fatto che, a parit di pressione, si verifica un aumento del fluid
leakage. Questo liquido ad un certo punto non viene pi riassorbito dal sistema linfatico con laccumulo di
essudato nellorgano; inoltre, questo accumulo di liquidi comporta una riduzione della disponibilit di
ossigeno a livello mitocondriale aggravando ulteriormente lo stato di sofferenza.
Questo discorso della regolazione della volemia in relazione alla gittata cardiaca e alla perfusione
particolarmente vera negli organi capsulati come il rene; recentemente si visto che la causa
dellinsufficienza renale nei pazienti critici proprio laumento della pressione nella capsula di Bowman che
riduce la pressione glomerulare con conseguente oliguria e danno cellulare. Dunque si deve cambiare
latteggiamento che si attuato fino a poco tempo fa per il quale il soggetto in shock settico che non urina
viene riempito di liquidi affinch urini perch in questo modo si aggrava il danno renale.

Relazione tra GC e perfusione dei singoli organi


Non esiste alcuna relazione tra la gittata cardiaca e la perfusione dei singoli organi perch la perfusione di
ciascun organo funzionale allorgano stesso quindi sarebbe strano che un aumento della GC avvenga per
la necessit dellorgano. vero tuttavia che la GC venga settata in base alla sommatoria dei flussi
distrettuali; questultimi dipendono dalle necessit metaboliche dellorgano. Infatti, il metabolismo
cellulare rilascia una serie di sostanze (es. ADP) che causa vasodilatazione delle arteriole pi distali e quindi
questo modifica i flussi ematici del distretto. Tuttavia, come stato spiegato, il flusso distrettuale dipende
44
anche dallo shear stress che regola il calibro delle cellule endoteliali. Dunque si pu concludere che la
vasodilatazione distrettuale e lo shear stress regolano la gittata cardiaca.

45
Shock ipovolemico

Lo shock ipovolemico una condizione di inadeguata perfusione e ossigenazione tissutale, dovuta a una
perdita acuta o subacuta del sangue intero, per cui si parla di shock emorragico, oppure per una perdita di
liquidi o plasma, come avviene a seguito di una grave ustione, o per un sequestro di liquidi nel terzo spazio.
In ogni caso, le alterazioni emodinamiche sono proporzionali, generalmente, allentit delle perdite del
volume ematico presente nella circolazione, condizione che pu assumere criticit per quanto riguarda il
trasporto di ossigeno verso organi di importanza vitale.
La sopravvivenza dei pazienti con emorragia acuta dipende dal rapido intervento terapeutico, a seguito
della precoce diagnosi e della possibilit di valutare lentit dellemorragia e quindi il pericolo di evoluzione
verso uno stato di shock.

Eziologia
Lo shock emorragico la causa pi frequente di shock ipovolemico. Lemorragia pi frequentemente
dovuta a lacerazioni spleniche, epatiche, renali, polmonari e a frattura di bacino o di femore; anche le
fratture di ossa lunghe come tibia, perone od omero possono causarlo. Le frattura di bacino possono
causare una perdita ematica superiore ai 5 L; quella di femore, una perdita fino a 1.5 L mentre le fratture di
tibia o perone e quelle delle ossa piccole rispettivamente fino a 0.5 L e 0.25 L.
Possono inoltre essere presenti emorragie interne conseguenti alla rottura di un aneurisma, traumi chiusi,
fratture esposte o emorragie intestinali.
Per quanto riguarda invece gli shock ipovolemici causati dal sequestro di liquidi, questi si verificano a
seguito di ascite abbondante, versamento pleurici massivi, in caso di pancreatite acuta.

Fisiopatologia
Come stato detto, i determinanti dellossigenazione tissutale sono la perfusione degli organi e la
concentrazione emoglobinica arteriosa. La riduzione della massa ematica circolante, che si verifica in corso
di shock ipovolemico, determina una riduzione della pressione di riempimento cardiaco e una conseguente
riduzione della gittata cardiaca. Il conseguente ridotto trasporto di ossigeno e della perfusione tissutale
determina ipossia cellulare, danno dorgano e morte. Il volume ematico di un uomo adulto di 70 ml/kg e
lipotensione diventa manifesta dopo una perdita ematica (interna o esterna) di 1500 ml.
La portata cardiaca mantenuta da un aumento della frequenza cardiaca. Infatti allo scopo di preservare la
perfusione di organi vitali, quali cuore e cervello, attivata una serie di meccanismi compensatori. Si
osserva unintensa risposta neuroendocrina a carico del sistema simpatico con conseguente rilascio di
catecolamine. Queste causano: aumento del cronotropismo e dellinotropismo cardiaco, vasocostrizione
periferica con tentativo di innalzamento della pressione arteriosa, centralizzazione del circolo e aumento
del ritorno venoso e del precarico. La centralizzazione del circolo avviene a discapito del flusso ematico nei
distretti cutaneo, muscolare, splancnico e renale. Si determina anche lattivazione del sistema renina-
angiotensina-aldosterone, al fine di aumentare il riassorbimento di acqua a livello renale e quindi
ripristinare la volemia; langiotensina II esplica, inoltre, un effetto vasocostrittore arteriolare diretto.
Inoltre, si determina un richiamo di liquidi dallinterstizio verso linterno dei capillari che, a seguito
dellipotensione e della vasocostrizione, presentano una pressione idrostatica minore.
I tessuti, per mantenere un adeguato consumo di ossigeno, ne aumentano lestrazione periferica,
determinando un aumento della differenza artero-venosa di ossigeno.
Una riduzione del volume circolante effettivo fino ad un valore del 25% viene generalmente compensata
dai sistemi di autoregolazione dellorganismo ed in particolare dal sistema neurovegetativo. Se la perdita
ematica superiore al 25% del volume intravascolare totale, i meccanismi compensatori non sono pi
sufficienti a mantenere il circolo con conseguente ipotensione, ipoperfusione, ipossia tissutale e acidosi
lattica. I disturbi della microcircolazione e le alterazioni cellulari a carico delle aree ipoperfuse portano ad
unaumentata permeabilit capillare, la possibile ostruzione del microcircolo e la conseguente liberazione
46
di mediatori che tendono ad alterare lomeostasi del paziente; tale condizione determina un trasferimento
di liquidi da un compartimento allaltro in relazione alla carenza dei meccanismi di regolazione con
conseguente comparsa di edema e grave sofferenza tissutale. Durante lo stato ischemico, nelle cellule
sofferenti si accumulano ipoxantine e xantine ossidasi in grado, nel corso della rivascolarizzazione, di
interagire con lossigeno generando radicali liberi tossici. Questi andranno in circolo e sono responsabili di
danno cellulare e di attivazione di una risposta infiammatoria sistemica che pu condurre a insufficienza
multiorgano e morte.
Lo stato di ipoperfusione conseguente alla vasocostrizione catecolaminica compensatoria interessa
maggiormente i visceri splancnici; lalterazione del microcircolo in larghe aree intestinali e la presenza nella
mucosa della suddetta struttura di una rete del sistema immunitario causa una sintesi di mediatori
dellinfiammazione con conseguente sviluppo di SIRS in grado di determinare un ulteriore aggravamento
della miocardio depressione e la conseguente apoptosi delle cellule in un contesto di insufficienza multipla
dorgano.

Quadro clinico
Il quadro clinico del paziente differente a seconda della gravit della perdita ematica. Vi sono quattro
classi emodinamiche di shock emorragico:

Stadio I Stadio II Stadio III Stadio IV


( compensato ) ( lieve ) ( moderato ) ( grave )

Perdita ematica ml < 750 750-1500 1500-2000 > 2000


(%) (< 15%) (15-30%) (30-40%) (> 40%)


Pressione arteriosa Normale Normale
(< 90 mmHg) (< 70 mmHg)

Riempimento
Normale /
capillare

Frequenza cardiaca < 100 100-200 120-140 > 140

Diuresi > 30 20-30 5-20 Assente

Stato mentale Normale Agitato Confuso Letargico

Il paziente completamente asintomatico per perdite fino al 15%. I segni clinici iniziali dello shock derivano
dalla risposta neuroendocrina allipovolemia: il paziente pallido e sudato per la vasocostrizione e
tachicardico, con il polso piccolo e di pi difficile percezione per la riduzione della pressione differenziale.
Nelle classi pi avanzate si riduce al di sotto di 90 mmHg, sino a non essere pi apprezzabile se non con
tecniche invasive di monitoraggio. In classe IV spesso possibile avvertire solo il polso carotideo e la
perfusione cerebrale non pi sufficiente per mantenere lo stato di coscienza.

Diagnosi
Il primo approccio diagnostico ad un paziente con shock ipovolemico si basa sulla valutazione di alcuni
parametri emodinamici facilmente valutabili: ipotensione, tachicardia, tachipnea e alterazioni della
coscienza. Quindi si deve misurare la pressione arteriosa, il polso e la frequenza cardiaca e respiratorio e
individuare fonti di emorragia. In caso di un trauma penetrante o di emorragia incontrollabile, richiesto
47
un trattamento chirurgico durgenza.
Gli esami di laboratori non sono inizialmente utili per la diagnosi: in corso di emorragia la concentrazione di
emoglobina e lematocrito non si modificano subito in quanto la loro riduzione della componente
corpuscolata e liquida del sangue avviene contemporaneamente lasciando inalterati i valori percentuali e di
concentrazione. La loro riduzione avviene solo in un secondo tempo con linstaurarsi dei meccanismi
fisiologici di recupero della volemia e con la terapia infusionale che comportano una diluizione del sangue.

necessario invece eseguire gli esami strumentali utili allindividuazione di emorragie interne come la
radiografia del torace (la presenza di opacit possono indirizzare verso la presenza di emotorace o segni di
slargamento del mediastino con dislocazione del bronco e trachea sono invece indicativi di rottura dellarco
dellaorta), a volte si dovr ricorrere allangiografia o esame TAC, nel sospetto di rottura dellaorta. La TC
pu inoltre individuare la frattura delle grandi ossa. Lecografia delladdome pu evidenziare rapidamente
la rottura di visceri addominali. Nel caso di emorragie gastrointestinali si deve seguire liter diagnostico
descritto nel capitolo specifico.

La diagnosi differenziale deve essere posta dalle altre possibili cause di ipotensione e shock. Per far ci
importante conoscere levento meccanico, valutare i segni clinici, soprattutto la presenza di tachicardia ed
evidenziare i segni di emorragia. In caso di evento traumatico, va anche differenziato da una ipotensione da
shock neurogeno, accompagnato, di solito, da bradicardia.

Trattamento
Lapproccio al paziente con shock emodinamico si basa su un intervento terapeutico tempestivo volto al
controllo dellemorragia e sul mantenimento di unemodinamica efficace alla fisiologica perfusione
tissutale.
Anzitutto occorre valutare la perviet delle vie aeree, il respiro e il circolo. Se necessario occorre cominciare
le manovre rianimatorie seguendo le regole del BLSD.
Lincannulamento di almeno 2 grosse vie venose periferiche rappresenta un intervento prioritario.
La stabilizzazione dei pazienti nei traumi chiusi sembra lapproccio migliore. Nei traumi penetranti, al
contrario, la stabilizzazione sembra non favorire vantaggi rispetto allimmediato trasporto del paziente in
ospedale, in particolare qualora si renda necessario un intervento chirurgico demergenza.

Quindi si procede al ristabilimento di una normale pressione ematica. Nelle prime fasi dellintervento
terapeutico, prima del controllo del sanguinamento, si accetta unipotensione permissiva in quanto una
normale pressione arteriosa potrebbe causare la ripresa del sanguinamento con conseguente
emodiluizione, riduzione di piastrine e fattori della coagulazione.
Per questo obiettivo si ricorre al fluido terapia. Come spiegato nella lezione di De Blasi, linfusione di liquidi
deve ristabilire la quota persa per ripristinare il trasporto di ossigeno agli organi vitali e non deve in alcun
modo scatenare reazioni avverse o di danno dorgano. Per evitare uno scompenso cardiaco da sovraccarico
volemico si deve tener conto della PVC (pressione venosa centrale) e della PCWP (pressione di
incuneamento polmonare) non devono superare rispettivamente i 13-15 cmH2O e i 15-18 mmH2O. Inoltre,
uneccessiva emodiluizione potrebbe aggravare il trasporto di ossigeno.
Nella fluido terapia, la disputa tra lutilizzo di colloidi o cristalloidi nelle manovre di intervento non ancora
risolta. I cristalloidi hanno dimostrato un vantaggio nei pazienti cono shock. Comunemente vengono
somministrati in boli successivi di 1 litro che, per le modificazioni della membrana endoteliale e della
matrice interstiziale che si verificano in corso di shock, diffondono per 2/3 o 3/4 nellinterstizio (quindi
bisogna infondere almeno 3 volte il volume che si stima perduto). I cristalloidi utilizzati sono la soluzione
fisiologica allo 0.9% NaCl o il Ringer Lattato. Non sono indicate le soluzioni glucosate in quanto non adatte
al rimpiazzo volemico.
Le soluzioni colloidali rimangono pi a lungo a livello intravascolare poich sono costituite da sostanze ad
elevato peso molecolare che esercita una pressione oncotica in grado di mantenere o innalzare la pressione
48
osmotica ematica, determinando il mantenimento o il richiamo di liquido nel compartimento
intravascolare. Il volume di colloidali da infondere uguale solo a quello perso. Tuttavia, queste soluzioni
possono determinare reazioni anafilattiche e possono interferire con i processi coagulativi in corso. Le
sostanze colloidali pi utilizzate sono lEmagel (pressione colloido-osmotica 27 mmHg) o le Gelofusione
(pressione colloido osmotica 34 mmHg).

Nei casi di shok ipovolemico moderato-grave si pu ricorrere anche allinfusione di sacche di sangue. Il
ricorso al sangue e agli emoderivati, dipende dalla quantit di perdita ematica e dagli esami di laboratorio.
La soglia di Hb per trasfondere non fissa ma occorre considerare le comorbilit del paziente.
Lottenimento di valori superiori o uguali a 10 g/dl di Hb rappresenta un obiettivo ragionevole (attenzione
allemodiluizione post-emorragica). stato osservato che i pazienti sottoposti alla strategia di trasfusione
restrittiva, quindi cercare di andare a trasfondere solo quando realmente ne avevano bisogno a parte le
comorbidit, aveva degli outcome migliori rispetto a quelli che venivano trasfusi anche con emoglobine pi
alte. E questo perch le sacche di sangue sono comunque dei tessuti estranei allorganismo nonostante la
compatibilit ABO possono comunque far peggiorare il paziente, quindi la trasfusione deve essere oculata
Il plasma fresco congelato va somministrato in caso di una trasfusione massiva (uguale al volume ematico
totale del paziente in 24 h); per i concentrati piastrinici la trasfusione si esegue quando la conta scende
sotto i 50 000 mm3.

Il controllo del focolaio emorragico riveste un ruolo prioritario ancor prima dellincannulamento venoso e
dellinizio della fluidoterapia. Occorre eseguire manovre compressive, soprattutto per lesioni agli arti. Se
presente personale medico possono essere eseguite anche manovre pi complesse, laddove necessarie,
quali il posizionamento di un drenaggio toracico, in caso di sospetto emotorace, o una laparotomia
addominale in caso di traumi addominali al fine di eseguire manovre compressive con garze. Queste
manovre vanno eseguite con opportuna sedazione e analgesia del paziente (Ketamina 0.2 mg/Kg e.v.).
Se necessario indicato luso di farmaci vasopressori come la dopamina e noradrenalina o la vasopressina.
Nei pazienti con coagulopatia bisogna correggere la patologia, anche se bisogna stare attenti perche in un
paziente con infarto recente correggere la coagulopatia puo essere sfavorevole che non mantenerlo nel
range terapeutico per unemorragia.

49
Shock anafilattico
(prof.ssa Del porto)

Lo shock anafilattico una reazione anafilattica-anafilattoide dal carattere sistemico provocata da una
reazione allergica imponente che tende a verificarsi, nella maggior parte dei casi, entro pochi secondi o
minuti, assai raramente oltre 60 minuti, dallesposizione dellorganismo ad un agente scatenante. La crisi
anafilattica sempre potenzialmente letale e necessita di un intervento tempestivo. Si caratterizza per la
presenza di dispnea insieme allipotensione sistemica.

Fisiopatologia
Lipersensibilit alla base della risposta dello shock anafilattico: lipersensibilit una risposta
immunitaria che arreca un danno tissutale. Esistono 4 tipi di reazioni di ipersensibilit:

Reazioni di tipo I (anafilattico);


Reazioni di tipo II (citotossico): Gli anticorpi interagiscono con gli antigeni presenti sulla superficie
cellulare, cio vanno a danneggiare direttamente le cellule rendendole suscettibili alla fagocitosi;
Reazioni di tipo III (mediata da immunocomplessi): Il legame antigene-anticorpo forma un
complesso che attiva il sistema del complemento;
Reazioni di tipo IV (cellulo-mediata): Il danno tissutale prodotto dall'attivazione di cellule del
sistema immunitario (linfociti T), tipica della reazione di Mantoux.

Le reazioni di ipersensibilit di tipo 1 rappresentano la causa specifica di uno shock anafilattico.


Lipersensibilit di tipo 1 geneticamente determinata: sono state riconosciute modifiche dellespressione
dei geni responsabili dellinterlucina 4 mediatore degli helper2, modifiche del recettore dellinterluchina 4 ,
varianti dellMHC di classe due, aumento del riconoscimento del T cell receptor e la variazione della
produzione dei leucotrieni.
Questa reazione coinvolge schematicamente tre componenti: un allergene (o antigene scatenante),
anticorpi IgE specifici per lantigene e, infine, la sintesi e la liberazione di mediatori chimici da parte delle
cellule effettrici (mastociti e basofili). Un primo contatto (fase di sensibilizzazione) con lallergene in grado
di stimolare la sintesi di IgE, che quindi si legano sulla superficie di mastociti e basofili. Successivamente a
questo primo contatto e a una nuova esposizione con lo stesso antigene (indipendentemente dalla dose
dellantigene), si ha un legame tra lallargene e le IgE, che si trovano a questo punto gi legate a mastociti e
basofili. Questo legame comporta la degranulazione dei mastociti e la liberazione sistemica di mediatori
della reazione anafilattica.
A seconda del tipo di mediatore e dei recettori sui quali agiscono si hanno azioni diverse. I mediatori
primari si distinguono in preformati, cio gi presenti allinterno dei granuli (es. istamina, ECF-A, fattori
chemiotattici dei neutrofili), e di nuova sintesi, ovvero quelli sintetizzati a partire dallacido arachidonico
(leucotrieni SRS, prostaglandine, leucotrieni. Fattore di attivazione delle piastrine). I mediatori cosiddetti
secondari perpetuano invece la risposta cellulare attraverso altri meccanismi patogenetici, come
lattivazione del complemento e della cascata coagulativa, la chemiotassi su neutrofili e piastrine e la
vasodilatazione. istamina, prostaglandine, interleuchine e del fattore di attivazione delle piastrine.
Queste sostanze comportano unintensa vasodilatazione a livello sistemico con estravasazione dei liquidi;
questa di per s produce sensibile riduzione del ritorno venoso e della gittata cardiaca con notevole
sequestrazione ematica a livello del macrocircolo splancnico. quindi una forma di shock distributivo in cui
si assiste a una riduzione del flusso ematico e della disponibilit di ossigeno alla muscolatura scheletrica.
Il consumo persistente di energia e la deplezione dei substrati per mezzo della glicolisi anerobia portano
verso uno scompenso nella produzione di energia cellulare, responsabile di disfunzioni dorgano rapide con
possibile esito fatale.

50
Unaltra conseguenza fisiopatologica della reazione anafilattica la broncocostrizione che comporta la
comparsa di dispnea.

Nelle reazioni anafilattoidi non vi ipersensibilit e i mediatori vengono rilasciati per degranulazione dei
mastociti con modalit non immunologica, senza cio limpegno di anticorpi IgE: non si tratta quindi di
reazioni immunomediate. Nelle reazioni anafilattoidi, le conseguenze fisiopatologiche a livello sistemico e
sistemiche sono simili alle reazioni anafilattiche.

Il quadro fisiopatologico pu rapidamente rispondere al trattamento terapeutico che viene attuato oppure,
nei casi caratterizzati da maggiore gravit, pu durare un intervallo temporale variabile, che oscilla da
diverse ore a diversi giorni. In alcuni casi, dopo una risposta favorevole al trattamento, il quadro
fisiopatologico pu ripresentarsi, con analogo o peggiore parametro di gravit, mediamente a 6-12 ore di
distanza dallepisodio iniziale. Tale ricomparsa della reazione anafilattica, denominata anafilassi ritardata,
consegue alla migrazione delle mastcellula, dei basofili e dei PMN nelle aree corrispondenti alla sede di
introduzione dellantigene, in conseguenza alla quale si verifica una nuova ondata di rilascio sistemico dei
mediatori vasoattivi.

Gli allergeni principalmente causa di reazioni anafilattiche IgE dipendenti sono:

Farmaci: i farmaci che pi frequentemente causano shock sono la penicillina, i beta lattamici,
lACTH naturale o sintetico, Vitamina B, insulina, mdc iodati, vaccini tossoidi o virali, anestetici
locali.
Alimenti: pesci, frutti di mare, crostacei, uova, arachidi, nocciole, cereali, fagioli, cioccolato;
Pollini
Funghi
Elminti
Veleno di imenotteri o di serpenti
Lattice
Anafilassi idiopatica
Anafilassi da esercizio fisico: alcuni pz che hanno una predisposizione genetica ad esempio
uniperproduzione di leucotrieni, pz con sindrome ipereosinofila ecc, possibile che abbiano
unanafilassi da sforzo fisico.

Le principali cause di reazioni anafilattoidi nelluomo sono costituite invece da:

Agenti degranulanti direttamente gli effettori cellulari: mdc, oppiacei, curari, neomicina;
Sostanze che alterano il metabolismo dellacido arachidonico: aspirina, FANS;
Cause idiopatiche: freddo, luce, sforzo fisico, dermatografismo;
Reazioni mediate dal complemento: angioedema ereditario, angioedema acquisito, reazioni
trasfusionali, vasculiti necrotizzanti, malattia da siero.

Gli organi che vengono colpiti maggiormente dallo shock anafilattico comprendono: strutture polmonari
con la comparsa di edema, vie aeree superiori (con edema della glottide e della laringe) lalbero vascolare,
SNC, alterazioni del microcircolo.

Oltre che dello shock, le reazioni di ipersensibilit di tipo I sono responsabili di manifestazioni meno gravi,
che possono manifestarsi singolarmente o in associazione ad una reazione anafilattica: si tratta delloculo-
rinite e dellasma bronchiale. Lanafilassi la manifestazione pi grave, solitamente determinata dalla
puntura di imenotteri, farmaci o da alimenti.

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Quadro clinico
I segni e i sintomi della crisi anafilattica possono comparire indipendentemente o contemporaneamente in
ciascun organo o sistema interessato. Esistono dei sintomi prodromici che sono rappresentati da: astenia
profonda, malessere generale , pu essere presente uno stato di ansia, agitazione psico-motoria e
sudorazione.
Le principali configurazioni cliniche a potenziale o imminente pericolo di vita, che devono essere
prontamente riconosciute ed adeguatamente affrontate dal medico di emergenza sono:

Segni di compromissione acuta delle vie aeree superiori: raucedine, cambiamento della tonalit
della voce, incapacit di parlare, disfagia, sensazione progressiva di nodo alla gola, incapacit di
tossire. LAsma bronchiale la reazione allergica per eccellenza; una condizione infiammatoria
delle vie aeree per cui si ha una bronco-costrizione ed un rilascio locale di sostanze vasoattive che
porta poi ad una ipersensibilit di questi bronchi. Un elemento caratteristico dellasma che ci
permette di fare DDF chiedere al paziente se presenta tosse durante il sonno: di sera c un
ipertono vagale con aumento del broncospasmo per cui alcuni pazienti che risultano asintomatici
durante il giorno possono presentare una caratteristica tosse stizzosa durante le ore serali e
notturne.
Segni di compromissione acuta delle vie aeree inferiori: broncospasmo acuto, dispnea intensa,
tachipnea marcata, rantoli polmonari diffusi.
Segni di uno stato di shock distributivo con eventuale concomitante sindrome da insufficienza
cardiaca acuta: ipotensione arteriosa severa ( < 90/40 mmHg), aumento della pressione arteriosa
differenziale, tachicardia, cute calda e sudata ma non pallida, compromissione evidente del
sensorio (secondo il profilo di decorso clinico ansia-confusione-coma), rantoli polmonari bilaterali,
oliguria fino allanuria.
Sindrome coronarica acuta: la comparsa di una sindrome coronarica acuta nel contesto di una crisi
anafilattica stata descritta in corso di anafilassi scatenata dallesercizio fisico e viene considerata
patogeneticamente mediata da vasospasmo coronarico, in assenza di ostruzione arteriosa a livello
coronarico.
Sincope, ad esordio improvviso, in paziente con ipotensione: in presenza di sincope ad esordio
clinico improvviso ed in assenza di qualsiasi altra ipotesi patogenetica plausibile, la diagnosi
differenziale deve prendere in considerazione la possibilit che si tratti di una crisi anafilattica.

A tali quadri a potenziale imminente pericolo di vita possono, in misura variabile, con frequenza variabile,
accompagnarsi i seguenti quadri clinici, peculiari per una crisi anafilattica:

Manifestazioni cutanee: eritema diffuso, prurito generalizzato, angioedema;


Oculo-rinite: si verifica per aumento della secrezione mucosa con infiammazione delle prime vie
respiratorie e della mucosa congiuntivale. molto importante soprattutto nel bambino per
distinguere le reazioni allergiche anche localizzate dalle forme influenzali infettive.
Manifestazioni gastrointestinali: nausea, vomito, dolori addominali crampiformi, diarrea.
Generalmente si manifestano nei pazienti con allergie alimentari.

Levoluzione variabile, la prognosi tanto pi grave quanto pi breve lintervallo di tempo tra
lesposizione della sostanza e la comparsa del quadro clinico.

Diagnosi
importante fare unottimale anamnesi, ispezionare per bene la cute per poter identificare la presenza di
possibili punture dinsetto, chiedere informazioni riguardo la circostanza in cui i sintomi si sono manifestati
ecc. Il rapido manifestarsi e progredire della sintomatologia tipica deve far pensare da subito a una
reazione anafilattica.
Gli esami di laboratorio di routine non sono in genere diagnostici. Al fine diagnostico differenziale devono
52
essere richiesti, quanto prima, i dosaggi della serotonina, delle catecolamine sieriche, degli enzimi cardiaci e
dellNT e proBNP.
La valutazione diagnostico-differenziale deve essere posta con le seguenti patologie acute: shock di
qualunque altra natura, reazione vasovagale, asma bronchiale, sindrome da cardinoide, edema polmonare
acuto, embolia polmonare, sindrome coronarica acuta, angioedema ereditario, mastocitosi sistemica,
infezioni virali o batteriche delle vie aeree superiori, overdose da farmaci, intolleranza farmacologica,
reazione idiosincrasica ad un farmaco, shock insulinico.
molto importante riconoscere lo shock e differenziarlo ad esempio dalle altre forme di shock, soprattutto
dal punto di vista terapeutico (nello shock settico lutilizzo di cortisone risulterebbe inefficace).

53
FOCUS
Sovradosaggio farmacologico: si ha quando un paziente ha effetti tossici in relazione
allassunzione di un farmaco poich ne ha assunto pi del dosaggio indicato; sono effetti che si
verificano in ogni paziente ogniqualvolta il farmaco venga sovra dosato.
Intolleranza farmacologica: spesso il pz giunge dal medico riferendo una reazione al farmaco
assunto, spesso di natura gastro-intestinale o un mal di testa. Lintolleranza si definisce come
una reazione indesiderata che si presenta alla prima assunzione del farmaco. Non compare mai
uno shock anafilattico alla prima assunzione del farmaco perch bisogna avere una precedente
sensibilizzazione. Lintolleranza si pu manifestare come una reazione tossica oppure con un
effetto collaterale esagerato.
Idiosincrasia: condizione nella quale la reazione indesiderata del tutto inattesa e singolare alla
prima assunzione del farmaco. Questo tipo di reazione probabilmente legata ad un tipo di
deficit personale del paziente ad esempio di natura enzimatica geneticamente determinato,
lesempio pi eclatante il favismo.
Reazione anafilattoide: reazione tossica idiosincrasica dovuta a farmaci (es. mdc, pentamidina)
che hanno unazione di rilascio distamina. Si possono presentare come una reazione
orticarioide o come una reazione anafilattoide. Lanemia emolitica un altro tipo di reazione ed
legata ad un deficit enzimatico oppure pu essere secondaria allassunzione di alcune
sostanze tipo penicillina che un farmaco che d reazione allergica per eccellenza e che pu
dare unanemia emolitica immuno-mediata.
Febbre da farmaci: pu essere di origine allergica o tossica. Ad esempio caratteristica la
febbre legata allassunzione di antibiotici, il paziente presenta febbre viene trattato con
Antibiotici la febbre non passa e recede solo alla sospensione della terapia antibiotica.
Reazione trasfusionale: dipende dagli antigeni ABO e dal fattore RH, ogni individuo a seconda
del gruppo sanguigno presenta delle agglutinine ovvero degli anticorpi contro gli altri Ag
differenti dai propri. Il fattore RH pu dare reazioni trasfusionali viceversa la compatibilit ABO
e RH non importa per la trasfusione di piastrine, sempre meglio avere un compatibilit se
possibile , ma le piastrine non danno reazioni. Tra gli antigeni dellRH il pi importante lAg D
che indica la positivit Rh. In presenza di un paziente che deve subire una trasfusione bisogna
verificare la compatibilit ABO e Rh.
importante sottolineare che la reazione trasfusionale pi frequente nel paziente che
presenta febbre, per cui in reparto si valuta la temperatura che deve essere inferiore a 38, se il
paziente febbrile bisogna fargli prima lantipiretico perch la febbre prevede il rilascio di
citochine pro infiammatorie come IL1 per cui il paziente pi soggetto ad avere una reazione
trasfusionale. Altra cosa importante che il paziente che politrasfuso a prescindere dalla
compatibilit ABO-Rh pi soggetto ad avere reazione trasfusionali, questo giustifica il fatto che
alcune trasfusioni siano pre-medicate

Terapia

Lalgoritmo per la gestione dello shock anafilattico prevede:

Tutti i pazienti con shock devono essere posti in posizione di Trendelenburg su un supporto solido e
assicurare un accesso venoso il prima possibile. Occorre inoltre bloccare immediatamente
lulteriore esposizione allantigene; qualora lo stimolo antigenico sia localizzato ad unestremit (es.
pungiglione di imenotteri, farmaco somministrato per via sottocutaneo o intramuscolare), ocorre
applicare un laccio emostatico venoso allestremit interessata, prossimalmente al sito di
esposizione allantigene, al fine di ostacolare la circolazione linfatica e venosa dellallergene. Se
54
invece la reazione secondaria alla somministrazione di un farmaco per via endovenosa occorre
sospendere immediatamente linfusione del farmaco e sostituire completamente tutti i tubi del
sistema di infusione.
Instaurare la perviet delle vie aeree: la presenza di un vistoso angioedema delle labbra, della
lingua, dellugola e/o del palato molle rappresenta un reperto semeiologico che deve preoccupare
ed allertare circa una potenziale ingravescente compromissione delle vie aeree superiori. In caso di
sevoro distress respiratorio occorre provvedere immediatamente allintubazione orotracheale del
paziente e, conseguentemente, alla sua ventilazione meccanica. La critotirotomia pu essere
necessaria qualora la gravit dellangioedema impedisca la procedura di intubazione orotracheale.
Ossigenoterapia: con maschera facciale a 15 L/min.
Adrenalina: la somministrazione di adrenalina deve essere contemporanea ai provvedimenti gi
indicati. La sua potente azione alfa- e beta-adrenergica antagonizza langioedema, la
broncocostrizione, la vasodilatazione e gli altri effetti dei mediatori dellanafilassi. Essa, inoltre,
inivisce lulteriore liberazione di mediatori dai mastociti e dai basofili. In caso di lieve edema iniziale
delle vie aeree, lieve broncospasmo o di reazioni anafilattiche cutanee isolate, occorre
somministrare intramuscolo 0.3-0.5 mg di una soluzione 1:1000 ( pari a 0.3-0.5 ml) ogni 10-15 min.
in caso di edema laringeo, broncospasmo severo, stato conclamato di shock, indicata la
somministrazione per via endovenosa di adrenalina; in questo caso devono essere strettamente
monitorizzati lECG, la pressione arteriosa con metodica non invasiva e il rischio di ischemia critica
degli arti inferiori per vasocostrizione.
Somministrare liquidi: il paziente in stato di shock anafilattico sempre marcatamente
ipovolemico, in conseguenza dellimponente stravaso generalizzato di fluidi dal distretto vascolare
negli interstizi. Occorre pertanto somministrare rapidamente 1 L di cristalloidi ogni 20-30 min,
secondo necessit.
Somministrare antistaminici: la Ranitidina 50 mg ev ogni 6 ore ha azione antagonista nei confronti
dei recettori istaminici H2 contrastando laumento della frequenza cardiaca, le aritmie, i ritardi
della conduzione atrioventricolare e la vasocostrizione coronarica mediati dalla stimolazione
recettoriale H2 a livello miocardico.
Somministrare corticosteroidi: appropriati in ogni reazione anafilattica, particolarmente in presenza
di edema delle vie aeree, broncospasmo severo, collasso cardiovascolare con ipotensione arteriosa.
Sono particolarmente utili nel limitare la durata e/o lintensit delle reazioni prolungate e talora
anche a prevenire la reazione anafilattica ritardata, anche in virt della loro capacit di inibire la
sintesi di istamina nonch aumentare la responsivit tissutale di farmaci beta 1 agonisti
somministrati. Nonostante la tempestiva somministrazione, questi farmaci almeno nel 20% dei casi
non sono in grado di impedire la comparsa della seconda ondata a distanza di circa 8-12 ore. I
corticosteroidi che vengono somministrati sono:
a. Metilprednisolone: 125 mg ev, da ripetere ogni 6-8 ore secondo necessit;
b. Idrocortisone: 250 mg ev, da ripetere ogni 6-8 ore, secondo necessit.

A seconda delle necessit, si possono somministrare inoltre:

Beta-agonisti (albuterolo 2,5-5 mg per aerosol ogni 20 min) per il trattamento del broncospasmo;
Dopamina (5-20 mg/kg/min) in caso di ipotensione refrattaria.

utile infine nei soggetti a rischio attuare manovre di prevenzione: evitare la riesposizione, impostare
uneventuale desensibilizzazione a lungo termine, tenere sempre a portata di mano il kit di emergenza
contenente i farmaci per il trattamento dello shock anafilattico.

55
56
Sepsi e shock settico
(prof.ssa De Rosa)

La sepsi una disfunzione dorgano potenzialmente fatale causata da una sregolata risposta dellospite ad
uninfezione (definizione JAMA 2016).
Le manifestazioni cliniche e fisiologiche della sepsi sono il prodotto delle complesse interazioni che si
instaurano tra il microrganismo e la risposta immunitaria, infiammatoria e coagulativa dellospite.
La sepsi ha un carattere progressivo verso lo Shock settico fino alla Multi Organ Failure (MOF) che pu
portare il paziente a morte; questa progressione viene determinata sia dal corredo patogenetico del
microrganismo (superantigeni, fattori di virulenza, resistenza allopsonizzazione e/o agli antibiotici) che
dalla inadeguata risposta dellospite (squilibrio del network citochinico e disregolazione immunitaria).
Questultimo concetto importante perch incide anche sul trattamento: nel giovane, linadeguata risposta
consiste in una reazione iperergica del sistema immunitario mentre nel paziente anziano o
immunodepresso si ha uno squilibrio in senso immunodepressivo che favorisce le potenzialit dannose del
patogeno. Quindi non esiste un trattamento univoco della sepsi poich occorre valutare ogni caso per
decidere se sopprimere il disordine infiammatorio o per potenziare le funzioni immunitarie.

Evoluzione della definizione di sepsi


Il concetto di sepsi ha subito negli anni una serie di modifiche a seguito delle scoperte che venivano
riconosciute nella patogenesi di questa malattia. Alcune di queste definizioni sono ancora utilizzate nella
pratica medica per cui importante conoscerle.

Fino agli anni 90, i termini di sepsi, batteriemie e setticemia venivano utilizzati quasi come sinonimi:

Infezione: evento legato allingresso e alla colonizzazione da parte di micro organismi di sedi
dellospite normalmente sterili. La risposta infiammatoria che ne consegue realizza una condizione
di malattia localizzata o sistemica con danno cellulare o tissutale;
Batteriemia: batteri presenti nel sangue, evidenziati dallemocoltura;
Setticemia: presenza di microrganismi o delle loro tossine nel sangue. Spesso utilizzato come
sinonimo di batteriemia, spesso utilizzato per indicare condizioni clinicamente pi gravi.

Queste definizioni non sono pi state utilizzate in modo cos aspecifico dal momento che risultato noto il
fatto che allincirca 1/3 dei pazienti affetti da sepsi evidenzia emocolture sterili, assenza di isolamenti
microbiologici e impossibilit di identificare un sito di infezione definito.

Nel 1991 lAmerican College of Chest Physichians e Society of Critical Care Medicine (ACCP/SCCM) defin
diversi quadri clinici in cui poteva riconoscersi una risposta infiammatoria sistemica e i criteri diagnostici
associati:

Definizioni Caratteristiche Criteri diagnostici


Sindrome da risposta Risposta infiammatoria Presenza di 2 o pi delle seguenti
infiammatoria sistemica sistemica ad insulti clinici non condizioni:
(SIRS) infettivi (es. pancreatite, 1. Temperatura > 38 o <36 C
ustione, trauma) 2. Frequenza cardiaca > 90 bpm
3. Frequenza respiratoria > 20
atti/min o PaCO2 < 32 mmHg
4. Globuli bianchi > 12000/ml o <
4000 /ml o forme immature di
neutrofili > 10%

57
Sepsi Risposta infiammatoria Presenza di 2 o pi delle seguenti
sistemica ad una probabile o condizioni:
documentata infezione con 1. Temperatura > 38 o <36 C
manifestazioni sistemiche 2. Frequenza cardiaca > 90 bpm
dellinfezione stessa 3. Frequenza respiratoria > 20
atti/min o PaCO2 < 32 mmHg
4. Globuli bianchi > 12000/ml o <
4000 /ml o forme immature di
neutrofili > 10%
Sepsi severa SIRS o Sepsi associate a segni di Criteri della SIRS (o sepsi) + almeno 1
disfunzione dorgano od dei seguenti criteri indicativi di una
ipoperfusione disfunzione dorgano:

1. Cardiovascolare: PA < di
90mmHg che duri almeno
30min;
2. Respiratorio: riduzione del
rapporto tra ossigeno
somministrato e saturazione in
un pz con ventilazione
meccanica minore di 250
mmHg;
3. Neurologico: alterazione stato
mentale con un Glasgow coma
scale minore di 13 senza
sedazione;
4. Renale: diuresi minore di 0,5
ml/kg/h o creatinina maggiore
di 170 mol/L;
5. Epatica: bilirubina > di 50
mol/L o livelli di protrombina
maggiori del 50%
6. Ematologico : piastrine < di
50.000/l

Shock settico Sepsi con ipotensione arteriosa Criteri della Sepsi + uno tra:
( PA < 90 mmHg o riduzione di 1. Segni di ipoperfusione:
40 mmHg rispetto al valore Acidosi lattica (lattati >
basale) non responsiva alla 1 mmol/L)
fluido terapia (almeno 500ml in Riduzione del
2h) insieme a segni di riempimento capillare
disfunzione dorgano, 2. Segni di ipotensione: pressione
ipoperfusione ed ipotensione. arteriosa media > 100 mmHg,
La possibilit di correggere
lipotensione
farmacologicamente (sostanze
inotrope o vasopressorie) non
esclude la diagnosi di shock
settico
Sindrome da disfunzione Presenza di alterata funzionalit
dorgano multipla (MODS) dorgano in un paziente acuto la
58
cui omeostasi non pu essere
mantenuta senza intervento
terapeutico.

A questo primo tentativo di dare delle definizioni universalmente riconosciuto il merito di aver creato una
consapevoleza in ambito clinico, cercando inoltre una maggiore uniformit della letteratura scientifica.
Tuttavia negli anni sono state mosse diverse critiche in ambito scientifico, soprattutto per quanto riguarda
laspecificit della SIRS: infatti, i criteri della SIRS sono presenti in circa il 70 % dei pazienti che giungono in
pronto soccorso senza che effettivamente questi pazienti presentino una risposta infiammatoria sistemica.
Una revisione del 2001 ha aggiunto quindi alcuni criteri clinici per la definizione della SIRS ovvero: brividi,
alterazioni dello stato mentale, piastrinopenia, segni di ridotta perfusione periferica, iperglicemia,
petecchie/porpora.

Nel 2003 venne invece definito il concetto di shock criptico, come quella condizioni in cui si ha
unipoperfusione tisutale documentata da livelli di lattati superiori a 4 mMol/L o una riduzione del 70%
della saturazione venosa dellossigeno1, e lo shock settico refrattario, ovvero lo shock settico che persiste
da almeno unora e che non risponde alla somministrazione di liquidi e vasopressori.
Infine, la MOF o MODS (Multi Organ Failure o Multi Oran Disfunction Syndrome) stata ridefinita come
lalterata funzione di due o pi organi in un paziente critico la cui omeostasi non pu essere mantenuta
senza intervento terapeutico.

Nel 2016, il Journal of the American Medical Association (JAMA) ha dato lultima definizione di sepsi
(descritta allinizio) e di shock settico grazie alla collaborazione di internisti, intensivisti e rianimatori
europei e americani.
La nuova definizione di sepsi nata dal riconoscimento di alcuni limiti della precedente definizione; infatti
le precedenti definizioni non tenevano conto dellimportanza dei fattori endogeni (et, sesso, razza,
comorbilit, determinanti genetici) ed esogeni (caratteristiche del patogeno) nella risposta immunitaria
sistemica in corso di sepsi. Inoltre, il vecchio concetto di sepsi era molto affine a quello di SIRS: si scoperto
invece che 1/8 dei pazienti in sepsi non hanno una sindrome da risposta infiammatoria sistemica
(cosiddette sepsi occulte) e che aspetti fisiopatologici della risposta sistemica in corso di sepsi possono
essere riscontrati anche negli insulti non infettivi. Infine, la necessit di una nuova definizione nata dal
riconoscimento che i pazienti affetti da sepsi mostrano eterogeneit clinica e biologica non ben definita
dalle definizioni precedenti.
Quindi, lattenzione passa dal riconoscimento dellinfiammazione, su cui si concentravano i criteri della SIRS
(febbre, temperatura corporea, frequenza cardiaca) alla disfunzione dorgano. Questo perch, secondo gli
Autori, mentre linfiammazione evidenziata dalla SIRS aspecifica e potrebbe addirittura rappresentare una
risposta adeguata dellorganismo allinfezione, la comparsa di uninsufficienza dorgano conseguenza
invece di un processo abnorme dellospite, che arriva a danneggiare i suoi stessi tessuti.
Inoltre, la nuova definizione ha abolito il concetto di SIRS e sepsi severa, precedentemente definiti, poich
ha voluto evidenziare il fatto che la sepsi di per s una condizione severa e ha enfatizzato il concetto che
la sepsi una risposta non omeostatica (risposta sregolata), diversa quindi da quella che si verifica in
corso di uninfezione.
Per quanto riguarda lo shock settico, la task force 2016 volle ampliare la visione rispetto al passato concetto
di Circulatory failure del 2001 per differenziarlo dagli altri tipi di shock.
Infine, il JAMA ha definito anche i nuovi criteri diagnostici della sepsi e dello shock settico.

1
Una riduzione della saturazione venosa dellossigeno inferiore al 70% indicativa del fatto che lapporto di O 2
minore del consumo.
59
Il dibattito tuttavia ancora aperto in quanto numerose sono state le critiche avanzate a queste nuove
definizioni.

Definizione 1991 Definizione 2016


Presenza di 2 o pi delle ---
SIRS seguenti condizioni:
5. Temperatura > 38 o
<36 C
6. Frequenza cardiaca >
90 bpm
7. Frequenza respiratoria
> 20 atti/min o PaCO2 <
32 mmHg
8. Globuli bianchi >
12000/ml o < 4000 /ml
o forme immature di
neutrofili > 10%

Sepsi SIRS + Infezione Infezione + SOFA 2


Sepsi grave Sepsi + Insufficienza dorgano, ---
ipoperfusione o ipotensione.
Shock indotto da sepsi Sepsi associata a necessit di
Shock settico nonostante adeguato impiego di vasopressori per
riempimento volemico mantenere MAP 65 mmHg e
associate alla presenza di Lattato sierico 2 mMol/L
alterazioni della perfusione che
possono includere acidosi
lattica, alterazioni dello stato di
coscienza e oliguria.

Definizione e criteri diagnostici della sepsi (JAMA 2016)


La sepsi una disfunzione dorgano potenzialmente fatale causata da una sregolata risposta dellospite ad
uninfezione. I criteri per la diagnosi sono (1) infezione sospetta o accertata + (2) evidenza di una
disfunzione dorgano causata dalla sregolata risposta dellospite.
La disfunzione dorgano si definisce attraverso il SOFA (Sepsi- Related Organ Failure Assessment ) score che
valuta la compromissione delle seguenti funzioni vitali e dorgano:

Parametro da valutare SOFA score


Funzione Respiratoria PaO2/FiO2 (mmHg) <400 mmHg 1
<300 mmHg 2
< 200 mmHg 3
<100mmHg 4
Funzione coagulativa Piastrinemia 103/l <150 103/l 1
<100 103/l 2
<50 103/l 3
<20 103/l 4
Funzionalit epatica Bilirubinemia (mg/dl) 1.2-1.9 mg/dl 1
2.0-5.9 mg/dl 2
6.0-11.9 mg/dl 3
>12 mg/dl 4
60
Creatinina 1.2-1.9 1
2.0-3.4 2
3.5-4.9 3
>5 4
Funzionalit renale Diuresi < 500 ml/die 3
< 200 ml/die 4

MAP < 70 mm/Hg 1

Sistema cardiovascolare Somministrazione di < 5 g/Kg/min 2


vasopressori (dopamina) >5 g/Kg/min 3
richiesta >15 g/Kg/min 4
Sistema nervoso centrale Glasgow Coma Scale 13-14 1
10-12 2
6-9 3
<6 4

La disfunzione dorgano pu essere definita dal cambiamento acuto 2 punti rispetto al basale del SOFA
score (SOFA>2 = mortalit 10%).

In medicina durgenza il SOFA SCORE non molto comodo perch richiede dei tempi dattesa per la
valutazione dei parametri di laboratorio. Per questo stato sviluppato e adottato il quick SOFA (qSOFA)
che utilizza tre parametri clinici per definire una disfunzione dorgano:

Parametro qSOFA score


PAS < 100 mmHg 1
FR > 22 atti respiratori/min 1
GCS < 15 1

La presenza di 2 punti devono far sospettare la presenza di una disfunzione dorgano in corso di infezione;
ovviamente, questo valore deve essere confrontato con il SOFA completo per poter avere una definizione
pi completa.

Definizione e criteri diagnostici dello shock settico (JAMA 2016)


Lo shock settico un sottotipo di sepsi in cui le alterazioni del metabolismo cellulare e circolatorie sono tali
da aumentarne la mortalit. Il criterio per poter fare diagnosi di Shock settico sono (1) presenza di sepsi, (2)
pressione arteriosa media (PAM) < 65 mmHg, che richieda (3) terapia vasopressoria per mantenere la PAM
> 65 mmHg, e (4) acidosi lattica (> 2 mMol/L). La concomitante presenza di queste ultime tre condizioni
comporta un rischio di mortalit del 42-50% per il paziente che abbia sviluppato una sepsi.
Questa nuova definizione si focalizza su due aspetti fisiopatologici dello shock molto importanti:
linsufficienza circolatoria, che si manifesta con lipotensione, e lalterazione del metabolismo cellulare, che
si esprime con lincremento della concentrazione sierica di lattati. Gli Autori prevedono come potenziale
alternativa al dosaggio dellacido lattico, laddove non sia disponibile, limpiego del capillary refill time

Una variante dello shock settico lo shock criptico che si verifica in corso di sepsi quando si associa solo
acidosi lattica; in questo caso la mortalit del 6.8-18%.
61
Epidemiologia
Secondo il Lancet, i casi di sepsi sono 19 milioni di casi allanno in tutto il mondo.
La sepsi costituisce il 10% di tutti i ricoveri in terapia intensiva. Nel 2013, prima delle nuove definizioni, la
sepsi grave incideva sul 2% dei soggetti che si ricoveravano negli USA; questi nel 50% dei casi venivano
ricoverati in terapia intensiva. I dati erano molto simili a quelli europei anche se ad oggi si sta osservando
un progressivo aumento dellincidenza della sepsi.
Tuttavia, grazie alla prontezza diagnostica e alle nuove possibilit terapeutiche, si sta riducendo il tasso di
mortalit. La mortalit complessiva legata alla sepsi del 47% ma questa presenta unampia variabilit di
incidenza a seconda dellet del soggetto. nei soggetti anziani il tasso di mortalit superiore all80%
mentre nei pazienti di et inferiore ai 20 anni il tasso di mortalit inferiore al 20%. Il tasso di morte
molto elevata nel primo anno successivo alla dimissione per i pazienti che abbiano sviluppato una sepsi
grave. Altri fattori prognostici sfavorevoli sono let avanzata, le comorbilit, la presenza di isolati nel
sangue, la comparsa di shock settico, neutropenia e la tempestivit diagnostica e terapeutica.

Tale sindrome riguarda principalmente i pazienti anziani, con et superiore ai 65 anni e con co-morbilit. Vi
sono anche dei fattori predisponenti lo sviluppo di sepsi: et estreme, tipo di infezione e sito di infezione,
comorbilit (diabete, tumori, insufficienza renale ed epatica, trapianto dorgano, malnutrizione), sesso
maschile, immunodeficienza, fattori genetici e polimorfismi dei geni che regolano limmunit.

Eziologia
La sepsi causata da batteri aerobi e anaerobi, gram positivi e gram negativi. In passato i patogeni pi
frequenti erano i gram negativi, associati a prognosi peggiore, ed in particolare Escherichia Coli, Klebsiella e
Pseudomonas aeuruginosa. Altri microrganismi responsabili di sepsi sono: micobatteri, funghi, virus
protozoi. Oggi la frequenza di sepsi da gram negativi diminuita e rappresenta il 25-30%; quella da gram
positivi aumentata al 30-50% poich questi batteri colonizzano i device, i CVC ecc. La sepsi polimicrobica
rappresenta invece il 25%; virus e parassiti sono identificati nel 2-4% dei casi. Sepsi da ceppi batterici
resistenti e da funghi rappresenta circa il 25%.
Nel 30% dei casi tuttavia le colture risultano negative nel 30% dei casi, principalmente nei pazienti con sepsi
acquisite in comunit e trattati con antibiotici prima del ricovero.

Nel 66% dei casi si tratta di sepsi mediche a partenza da una polmonite o da unaltra infezione medica; il
restante 34% costituito dalle sepsi chirurgiche ovvero quelle legate a procedure chirurgiche o malattie
che richiedono una procedura chirurgica per la risoluzione.

Patogenesi1
Lorganismo, a seguito dellinvasione o a un danno, risponde con una serie di meccanismi che hanno il
compito di preservarlo dallinsulto e ristabilire lomeostasi. Tali meccanismi comportano lattivazione del
sistema immunitario e delle cellule endoteliali e tutto quel complesso di manifestazioni che fanno parte
della reazione infiammatoria sistemica (SIRS); questa pu progredire o meno in una sindrome da risposta
anti-infiammatoria compensatoria (anche detta CARS) o in una sindrome da risposta antinfiammatoria
compensatoria mista (anche detta MARS). Quindi in corso di sepsi vi uninterazione tra mediatori pro- ed
anti-infiammatori. Inizialmente questi mediatori interagiscono nel microambiente e se si bilanciano
lomeostasi viene ristabilita.
Se per il bilanciamento non si stabilisce pu seguire la liberazione in circolo di tali agenti pro- ed anti-
infiammatori e quindi una massiva reazione pro-infiammatoria (SIRS) che, assieme ad altri fattori
bioumorali, determina una grave compromissione del sistema cardiovascolare, alterazione dellomeostasi,
disfunzione dorgano, aggravata dalla depressione immunitaria, cui segue lapoptosi cellulare.

1
La patogenesi non stata spiegata a lezione ma stata presa da un libro precedente allaggiornamento JAMA 2016.
Lho messa per completezza nel caso in cui qualcuno la chiedesse.
62
Lendotossina dei gram-negativi, cos come le esotossine e altri insulti di natura non infettiva, sono in grado
di attivare i macrofagi e i leucociti, agendo su particolari recettori. Ci determina la produzione di citochine
e lattivazione della risposta infiammatoria sistemica e di tutti quei processi che conducono, come effetto
finale, a insufficienza multiorganica.
Le prime citochine coinvolte nel processo infiammatorio sono il Tumor Necrosis Factor- e linterleuchina 1;
successivamente linterleuchina 6 e 8 e tutte le altre citochine: fattori attivanti del complemento,
prostaglandine, fattore aggregante piastrinico, interleuchine antinfiammatorie (IL-4 e IL-10).
Il fattore di necrosi tumorale determina linnalzamento della temperatura corporea, produzione di proteine
di fase acuta da parte degli epatociti, induzione dellespressione di molecole di adesione da parte di varie
cellule bersaglio, incremento del metabolismo dellacido arachidonico. Svolte inoltre unazione diretta sulla
contrattilit cardiaca, sulla pressione sanguigna e sulla regolazione della coagulazione. LIL-1 stimola al
gluconeogenesi epatica e la sintesi di proteine della fase acuta; determina anche proteolisi, aumento della
temperatura corporea e stimolazione, a livello del midollo osseo, della produzione di PMN. Inoltre,
interagisce sinergicamente con il TNF- sulle cellule endoteliali, aumentando la permeabilit vasale ed
esaltando lattivit procoagulante. LIL-6 altamente pleiotropica, ha attivit antinfiammatoria, ma anche
proinfiammatoria. Infatti riduce la sintesi di TNF-, stimola la sintesi delle proteine di fase acute, stimola la
sintesi di fosfolipasi A2 e di PCR e quindi la formazione di eicosanoidi e lattivazione del complemento.
La concentrazione di citochine infiammatorie contribuisce alla determinazione a carico del danno vascolare
e degli organi bersaglio. I leucociti attivati migrano verso i tessuti sede dinfiammazione e aderiscono alla
parete dei vasi e grazie alla loro capacit di agglutinarsi, causano unalterazione della circolazione periferica
e riduzione della perfusione; inoltre rilasciano anche enzimi ossidativi e proteasi che determinano un
danneggiamento endoteliale, con aumento della permeabilit vascolare e conseguente edema.
Tutte le stimolazioni di natura infiammatoria determinano delle modificazioni a carico dellendotelio e in
particolare, le citochine IL-1 e TNF-, ne determinano lespressione di fattore tissutale e linnesco di
processi di coagulazione. Quindi si ha una perdita della funzione endoteliale di prevenzione della
coagulazione e trasformazione in superficie procoagulante, con attivazione del sistema del contatto delle
piastrine. A seguito della formazione di microtrombi periferici, si aggrava ancora di pi lipoperfusione
tissutale.
Infine, contribuisce allipossia e al danno anossico linsufficienza cardiovascolare che si verifica in questa
condizione. I meccanismi responsabili del danno anossico da insufficienza cardiovascolare includono la
diminuzione del precarico, la disfunzione vasoregolatoria, la depressione miocardica, laumento dei
fabbisogni metabolici e lalterazione dellutilizzo di ossigeno da parte dei tessuti, tutti responsabili della
disfunzione del microcircolo e dellipossia citopatica. Tuttavia, nelle prime fasi dello shock i pazienti
potrebbero non presentare uno stato iperdinamico a causa di un diminuito precarico per una disfunzione
ventricolare sinistra o per ipovolemia. Solo dopo un adeguato carico di liquidi volto a normalizzare le
pressioni di riempimento la comparsa di meccanismi di compenso, quali dilatazione ventricolare e
tachicardia, permette di passare a uno stato iperdinamico ad alta gittata cardiaca, ma questa condizione di
alta gittata pu accompagnarsi ad anomalie di perfusione dovute alla perdita del controllo vasomotorio
responsabile della distribuzione del flusso. In ogni caso, la depressione miocardica che caratterizza lo stato
ipodinamico presente nel 15% dei pazienti con sepsi severa o shock settico. Laumento delle richieste
metaboliche, con aumentato consumo di ossigeno a livello splancnico, documentato dallanalisi della
saturazione venosa centrale e dei lattati, talvolta in presenza di segni vitali stabili.
Tutti questi fattori esercitano un profondo effetto sul sistema cardiovascolare, rene, polmone, fegato,
sistema nervoso centrale e sulla cascata della coagulazione, con sviluppo di insufficienza multi-organo e
morte.

Quadro clinico
Le manifestazioni cliniche sono viarie e sfumate vista la complessit della sindrome ed il coinvolgimento, in
un secondo momento, di pi apparati e sistemi. Il paziente pu apparire con segni di alterazione
63
neurologica (agitazione, confusione, sopore fino al coma) oppure pu presentare ipo- o ipertermia,
tachicardia, tachipnea e dispnea, leucocitosi, leucopenia, cute calda e ben perfusa. Precocemente o
successivamente si potr sviluppare uno stato di insufficienza cardiovascolare con ipotensione,
ipoperfusione e acidosi lattica. La situazione clinica pu evolvere verso uninsufficienza multiorganica,
caratterizzata da segni clinici specifici. Levoluzione molto varia, di conseguenza la diagnosi risulta difficile.
Bisogna comunque sempre tener conto dei parametri diagnostici precedentemente indicati per inquadrare
il paziente.

Diagnosi
Le nuove definizioni di sepsi e shock settico hanno avuto implicazioni dirette sulla pratica clinica. Infatti, i
nuovi criteri clinici hanno permesso di definire un iter diagnostico finalizzato al rapido riconoscimento di
questi pazienti e il rapido trattamento che migliora notevolmente loutcome di questi pazienti.

La definizione della diagnosi nasce innanzitutto dal riconoscimento di un paziente con una sospetta
infezione; a tal fine sono utili il dosaggio degli indici infiammatori (PCR e procalcitonina), Rx o Tc del torace
per identificare uninfezione polmonare, valutazione dei vecchi criteri SIRS.

Riconosciuto il paziente infetto si valuta quindi la presenza di una disfunzione dorgano mediante
lapplicazione del quick SOFA; nel caso in cui il punteggio sia < 2 il paziente si monitorizza e si rivaluta
periodicamente. Se invece il qSOFA score > 2 o nei casi in cui persista il sospetto di una sepsi si procede ad
una valutazione pi accurata della funzionalit dorgano con i parametri di laboratorio che permettono di
definire il SOFA completo.
Se anche il SOFA completo > 2 si conferma la diagnosi di sepsi poich vengono in questo modo soddisfatti i
criteri 2016 JAMA.
Il paziente deve a questo punto essere costantemente monitorato in un reparto di terapia intensiva
valutando la possibilit che la sepsi possa evolvere in uno shock settico: vi valuta quindi costantemente la
Pressione arteriosa media e i livelli sierici dei lattati. Quando la PAM < 65 per cui necessita di una terapia
vasopressiva e quando i valori sierici dei lattati sono > 2 mMol/L si conferma la diagnosi di shock settico e si
agisce terapeuticamente in questo senso.

64
Focus Biomarkers Infiammatori
I biomarkers infiammatori possono essere utili in corso di infezione per valutare levoluzione in sepsi.
La VES ha un ruolo marginale rispetto alla PCR e alla Procalcitonina.

La procalcitonina in particolare il precursore della calcitonina. Questa citochina sierica ha una grande
sensibilit e specificit, maggiore rispetto alla PCR e ai lattati. Aumenta infatti nei soggetti in corso di
sepsi e paragonando i livelli di procalcitonina ai parametri del SOFA score si notata una
corrispondenza molto maggiore rispetto a quella della proteina C reattiva, che pu essere aumentata
da tutta una serie di condizioni infiammatorie. La procalcitonina inoltre utile nel monitoraggio del
paziente; in corso di risoluzione si assiste infatti alla progressiva riduzione dei suoi valori in circolo
permettendo di ridurre progressivamente la somministrazione antibiotica. Si sta inoltre studiando la
possibilit di utilizzare la procalcitonina come marker cruciale della sospensione: sembra infatti che una
riduzione di oltre il 90% del suo valore iniziale sia indicativa della possibilit di sospendere la terapia
antibiotica al fine di evitare la comparsa di resistenze.

La PCR molto spesso dosata insieme alla procalcitonina per il basso costo e la diffusa disponibilit; i
limiti sono per quelli della bassa specificit, della lenta comparsa in circolo e la non correlazione con la
severit

In alcune linee guida indicato il dosaggio delle citochine nellidentificazione di uninfezione/sepsi. I


vantaggi di queste molecole sono lalta sensibilit e la rapida comparsa in circolo. Le condizioni che ne
limitano fortemente lutilizzo nella pratica clinica sono lalto costo, la scarsa disponibilit negli ospedali
e i tempi lunghi pe ottenere i risultati.

Il limite dei biomarkers infiammatori che non permettono da soli di poter distinguere la natura
dellinfezione n il sito infiammatorio di origine.

Algoritmo di gestione dei pazienti con sepsi e shock settico


Non appena diagnosticata una condizione di sepsi si deve iniziare il monitoraggio continuo dei parametri
vitali (PVC, PAM, ScvO2) al fine di valutare uneventuale progressione verso lo shock settico.

Nel caso in cui la sepsi evolva in una condizione di shock settico, si deve iniziare da subito un pacchetto di
interventi (o sepsis bundle) in cui vengono incluse tutta una serie di azioni orientate al controllo e alla
gestione della patologia. Porre in atto tutti questi interventi con la tempistica giusta produce un effetto
sinergico che migliora loutcome di questi soggetti in maniera maggiore rispetto alla somma dei singoli
interventi separatamente .
Questo algoritmo prevede innanzitutto una serie di terapie di supporto per lottimizzazione emodinamica e
la risoluzione dellipossia tissutale da attuare entro 1 ora dalla presentazione della sepsi (Sepsis
Resuscitation Bundles):

1. Emogasanalisi per la definizione in particolare del valore dei lattati sierici; sono considerati
anormali valori > 4 mmol/L. Ottenere il valore dei lattati sierici essenziale per identificare
precocemente lipoperfusione tissutale in pazienti che non sono ancora ipotesi ma che sono a
rischio di sviluppare uno shock.
2. Supporto di ossigeno pi eventuale intubazione orotracheale e ventilazione meccanica al fine di
assicurare un adeguato apporto di ossigeno ai tessuti;
3. Sedazione ed eventuale curarizzazione se il paziente ventilato, al fine di diminuire il consumo di
ossigeno, utilizzando basse pressioni di ventilazione per evitare il danno alveolare.
4. Somministrare un carico di fluidi per trattare lipotensione e/o unelevata concentrazione di lattati
(> 4 ml/kg). Possono essere utilizzati colloidi o cristalloidi. Bisogna per fare attenzione ai pazienti
cardiopatici con ridotta frazione di eiezione in quanto leccessiva terapia infusionale di liquidi pu
65
causare uno scompenso cardiaco o provocarne una riacutizzazione. Il carico di fluidi dovrebbe
essere fatto con 500-1000 ml di cristalloidi o 300-500 ml di colloidi nellarco di 30 minuti e di volta
in volta si dovrebbe valutare la risposta del paziente in termini di aumento della pressione arteriosa
e del volume urinario.
5. Somministrazione di farmaci vasopressori (Dilatatori e costrittori) per il raggiungimento di una PAM
compresa tra 65 e 90 mmHg.
6. Se la ScvO2 < 70% e lematocrito < 30%, bisogna ricorrere a trasfusioni di emazie concentrate fino
al raggiungimento di un valore di ematocrito > 30. Se nonostante tale valore raggiunto, la SvcO2
dovesse essere ancora < 70, occorre somministrare farmaci inotropi in dosi crescenti fino al
raggiungimento di un valore di ScvO2 > 70.
7. Ottenere un valore urinario 0.5 ml/kg/h.

Entro la prima ora, essenziale raccogliere tutti i prelievi bio-umorali ed eseguire tutti gli esami strumentali
utili nella ricerca e successivo controllo del focolaio infettivo. Per questo indicata lesecuzione di un
esame urinario, almeno 2 emoculture1, Rx o Tc torace, esame dellespettorato o eventuale bronco lavaggio,
prelievo del liquor (per una sospetta meningite), con i rispettivi antibiogrammi. Oltre ai classici esami
colturali, da poco abbiamo a disposizione anche altri strumenti per la diagnosi precoce di alcune infezioni
fungine (es. candida o aspergillo) mediante il dosaggio del -glucano e del galatto-mannano. Questi dosaggi
sono pi sensibili ma meno specifici e questo rende ragione anche dei molto falsi positivi. Invece, i test
immunoenzimatici, come lELISA, ci permettono di identificare la presenza di frammenti proteici ascrivibili
allo pneumococco e al meningococco abbreviando notevolmente i tempi di attesa rispetto a quelli di un
prelievo colturale.
indicato quindi iniziare entro 3 ore una terapia antimicrobica ad ampio spettro al fine di debellare i
patogeni responsabili. La scelta della terapia antibiotica empirica deve tener conto della clinica, sulla
presenza di devices, cateteri, stato di immunocompromissione, lorigine di una polmonite comunitaria o
nosocomiale, infezioni chirurgiche, le ustioni sovrainfettate, il piede diabetico con sovrainfezione. La
terapia antibiotica deve essere endovena e deve essere modificata con i risultati degli esami colturali e
dellantibiogramma e deve essere sospesa se la causa non di natura infettiva. importanti infatti agire in
modo da limitare i casi di superinfezione o di resistenza agli antibiotici, soprattutto ad ampio spettro;
tuttavia, nei pazienti con sepsi severa o shock settico giustificato luso di antibiotici ad ampio spettro fino
al momento in cui non sia stato definito il patogeno responsabile.
Contemporaneamente alla terapia antibiotica importante lidentificazione e il controllo della fonte
infettiva e lattuazione di misure volte ad eradicarla: drenaggio di raccolte infette, rimozione di protesi e di
presidi infatti, rimozione di tessuti devitalizzati.

Superata la prima ora, il Sepsis Bundle prevede una serie di azioni da attuare entro le prime 3 ore; laddove
necessario bisogna trasferire il paziente in un reparto di terapia intensiva.
Nelle prime 3 ore occorre continuare con la fluidoterapia seguendo le indicazioni precedentemente
descritte. Occorre inoltre continuare con la terapia antibiotica monitorando il valore della procalcitonina
per valutarne lefficacia.

Entro le 6 ore , se nonostante una fluidoterapia aggressiva il paziente continua a mantenere segni di
ipotensione (PAM < 65 mmHg) ed ipoperfusione, si dovr ricorrere allutilizzo di agenti vasopressori. I
vasopressori sono somministrati per assicurare unadeguata pressione di perfusione. Gli agenti di prima
scelta per trattare lipotensione nello shock settico sono la noradrenalina (2-20 g/min) e la dopamina (5-
20 g/kg/min). La dopamina aumenta la pressione arteriosa e la gittata cardiaca, agendo primariamente

1
Nel caso in cui siano presenti sia un accesso centrale che periferico, i prelievi per le emoculture devono essere fatti
da entrambe le vie per escludere la presenza di eventuali contaminazioni che possono deviare la diagnosi.
66
sulla gittata sistolica e sulla frequenza cardiaca; la noradrenalina ha effetto vasocostrittorio, con scarse
interferenze sul cronotropismo cardiaco.
Nei pazienti con ipotensione refrattaria nonostante limpiego di noradrenalina e dopamina, possibile
ricorrere alla vasopressina, un agente vasopressivo endogeno privo per degli effetti cronotropi e inotropi.
Da ultimo, si pu ricorrere alladrenalina che aumenta la gittata cardiaca e la pressione, monitorando
attentamente la perfusione splancica e la produzione di lattati.
In presenza di una bassa portata, nonostante gli interventi di cui sopra, si deve ricorrere ad agenti inotropi e
la prima scelta ricade sulla dobutamina (2.5-15 g/kg/min) che potr essere associata agli agenti
vasopressori.
Una volta risolta lipoperfusione tissutale e lacidosi lattica, il paziente deve essere trasfuso con emazie se
lemoglobina < 7 mg/dl e fino al raggiungimento di valori di emoglobina compresi tra 7 e 9 mg/dl. La
trasfusione di globuli rossi aumenta la disponibilit di ossigeno senza di solito aumentarne il consumo.
Mantenendo valori di emoglobina in questo range rispetto a range superiori si diminuiscono la mortalit a
30 giorni, la mortalit intrasopedaliera e lincidenza di MOF e di complicanze cardiache.

La gestione successiva alle prime 6 ore e fino alle 24 ore (Sepsis Managment Bundles) prevede, oltre al
monitoraggio continuativo del paziente, lottimizzazione del controllo glicemico, un eventuale terapia con
corticosteroidi, leventuale somministrazione di Proteina C attiva e il mantenimento di una pressione di
plateau < 30 cmH2O nei pazienti in ventilazione meccanica.
Per quanto riguarda il primo aspetto, liperglicemia e la resistenza allinsulina sono molto comuni nei
pazienti critici, anche in quelli con omeostasi glucidica precedentemente normale. Le alterazioni della
regolazione glucidica sembrano essere imputabili a un aumento della gluconeogenesi. Un controllo a valori
< 110 con infusione continua di insulina riduce morbilit e mortalit. Questa terapia riduce inoltre la
prevalenzadi batteriemia, linfiammazione sistemica, linsufficienza renale. Si raccomanda quindi limpiego
di insulina ev con raggiungimento di valori di glicemia < 150 mg/dl e il monitoraggio della glicemia ogni 1-2
ore.
La proteina C attivata ha un effetto antitrombotico attraverso lattivazione dei fattori Va e VIIIa, limitando la
generazione di trombina. Di conseguenza, se i livelli di trombina si abbassano, la risposta infiammatoria
procoagulante e antifibrinolitica indotta dalla trombina si riduce. Inoltre, inibisce la produzione di itochine
proinfiammatorie da parte dei monociti e indirettamente favorisce la risposta fibrinolitica inibendo il PAI-1.
Infine, in modelli sperimentali stata utilizzata insieme allantitrombina per ridurre linsulto da ischemia-
perfusione e i disordini settici. indicata la somministrazione in pazienti ad alto rischio di morte, in
presenza di MOF e shock settico e in pazienti senza controindicazioni assoluta correlate al rischio di
sanguinamento.
Luso di corticosteroidi invece controverso. In termini assoluti il cortisone da sconsigliare in quanto
agente proinfettivo. Attualmente indicata una breve terapia cortisonica (max 24-48 h) solo per i pazienti
scarsamente rispondenti ad unadeguata fluidoterapia ed a vasopressori. In ogni caso consigliato usare
dosi di corticosteroidi < 300 mg/die di idrocortisone per proteggere il rene da un danno da ipoperfusione.

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Urgenze in psichiatra
(prof. Del Casale)

Per urgenza psichiatrica si intende una sofferenza psichiatrica acuta grave espressa con sintomi
psicopatologici tali da richiedere un intervento rapido, contenitivo, diagnostico e terapeutico nel minor
tempo possibile. La frequenza degli accetti in pronto soccorso per disturbi psichiatrici elevata.
I disturbi psichiatrici che possono manifestarsi in acuzie sono:

Gravi crisi di ansia/attacchi di panico


Episodio depressivo grave
Episodio maniacale grave
Episodio misto grave
Crisi di aggressivit eterodiretta (violenza e/o crisi pantoclastiche) o autodiretta (tentativi di
suicidio)
Disturbi dissociativi
Disturbi stress correlati
Disturbi dello spettro schizofrenico
Stati catatonici
Effetti collaterali o tossici dei farmaci psicotropi
Suicidio e rischio di suicidio

La sofferenza psichica acuta deve essere innanzitutto accolta e contenuta per permettere una diagnosi e
programmare una terapia. Questo significa fornire una presa in carico da parte di un SPDC (Servizio
Psichiatrico di Diagnosi e Cura); qui, verranno anzitutto esclude eventuali malattie internistiche o
neurologiche attraverso anamnesi, esame obiettivo fisico e neurologico e, quando necessario, a esami
strumentali o di laboratorio. Nel caso dei disturbi del comportamento particolarmente importante che la
raccolta anamnestica coinvolta anche familiari e accompagnatori e che sia particolarmente attenta alle
modalit di esordio della sintomatologia attuale e agli eventuali disturbi psichiatrici precedenti.
Infine, per quanto riguarda il trattamento si deve cercare una linea guida di terapia immediata che risponda
ai criteri di efficacia, rapidit di azione e ridotti effetti collaterali.
Vengono ora analizzati i principali quadri clinici.

Attacchi di panico
Le crisi dansia o gli attacchi di panico rappresentano la causa pi frequente di accesso in pronto soccorso o
dal medico di base. Questi possono rappresentare acuti inquadrati nel contesto di un disturbo dansia o nel
contesto di un disturbo da sintomi somatici, somatiformi o dei disturbi dellumore (depressivo o bipolare)
Gli attacchi di panico rappresentano un periodo limitato nel tempo dove si verifica limprovvisa comparsa di
unintensa paura o di terrore associata a vissuti di minaccia imminente. Durante questi attacchi sono
presenti sintomi caratteristici che possono essere distinti in:

Manifestazioni soggettive: si esplicano con la paura di morire, di svenire, di impazzire o di perdere il


controllo;
Manifestazioni somatiche: derivano dal diretto coinvolgimento del sistema neurovegetativo,
provocando alterazioni dellapparato cardiorespiratorio (tachicardia, palpitazioni, dolore
precordiale), dellapparato gastrointestinale (nausea, dolori addominali, diarrea) e dellapparato
urinario (pollachiuria, bisogno impellente di urinare).
Manifestazioni comportamentali: racchiudono comportamenti che possono essere messi in atto dal
soggetto nel momento in cui insorge il panico, quali interruzione dellattivit, fuga, o gesti
incontrollati, raramente pericolosi.
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Allesaurimento della fase critica segue invariabilmente una fase di grande spossatezza, sensazione di testa
confusa, sbandamento e vertigini. Tale esperienza ansiosa raggiunge la massima intensit nel giro di pochi
minuti e si esauriscono solitamente nellarco della mezzora; il paziente tuttavia riferir di una durata molto
maggiore. Il 70% delle prime crisi avvengono anche durante il sonno in cui il paziente si ritrova seduto sul
letto con una sensazione di soffocamento.
Dal punto di vista della diagnosi, bisogna escludere una serie di disturbi organici che possono simulare
lattacco di panico prima di porre diagnosi; vanno esclusi: i disturbi cardiovascolari, le disfunzioni vestibolari
periferiche, i disturbi endocrini, lipoglicemia acuta, lepilessia temporale, lastinenza da benzodiazepine,
lassunzione di sostanze quali lalcool, anfetamina ecc.
Il trattamento acuto di un attacco consiste nella somministrazione di benzodiazepine , generalmente
Lorazepam 25-30 mcg/kg mediante iniezione intramuscolare o endovena lenta.

Disturbi acuti dellumore


Un episodio depressivo grave, un episodio maniacale grave e un episodio misto grave rappresentano quadri
clinici acuti di alterazione dellumore che possono presentarsi in pronto soccorso e che rappresentano
unindicazione al ricovero nel reparto di psichiatria SPDC.

Lepisodio maniacale che richiede un ricovero ospedalieri rientra nella definizione del disturbo bipolare di
tipo I. Lepisodio maniacale definito come un periodo definito di umore anormalmente e
persistentemente elevato, espansivo o irritabile, della durata di almeno una settimana (o di qualsiasi durata
se necessaria lospedalizzazione). Durante il periodo di alterazione maniacale dellumore, il paziente
presenta alcuni dei seguenti disturbi:
1. autostima ipertrofica o grandiosit
2. diminuito bisogno di sonno (per es., si sente riposato dopo solo 3 ore di sonno) talvolta insonnia
totale
3. maggiore loquacit del solito, oppure spinta continua a parlare
4. fuga delle idee o esperienza soggettiva che i pensieri si succedano rapidamente
5. distraibilit (cio, lattenzione troppo facilmente deviata da stimoli esterni non importanti o non
pertinenti)
6. Agitazione psicomotoria che pu manifestarsi con comportamenti aggressivi rivolti sia verso s
stesso che verso altri
7. Eccessivo coinvolgimento in attivit ludiche che hanno un alto potenziale di conseguenze dannose
(per es., eccessi nel comprare, comportamento sessuale sconveniente, investimenti in affari
avventati).
Per controllare i sintomi maniacali acuti spesso necessario ricorrere ad un farmaco antipsicotico. Gli
stabilizzatori dellumore come il litio, la carbamazepina e il valpronato necessitano di diverse settimane per
normalizzare lumore quindi hanno prevalentemente unefficacia preventiva.

Invece, un episodio depressivo richiede il ricovero presso il reparto di psichiatria quando considerato
grave. Un episodio grave si caratterizza per una marcata compromissione funzionale in ambito socio-
lavorativo e del funzionamento familiare e affettivo nonch dalla presenza di eccessive manifestazioni
psicotiche o di tipo melanconico (sentimento di colpa eccessivi o inappropriati con caratteristiche
deliranti1), rischio di suicidio, stato confusionale (pz smarrito, angosciato, con un linguaggio frammentario e
incoerente e con un comportamento che pu oscillare tra il blocco psicomotorio ed episodi di agitazione
violenta) e abuso di sostanze. Nei pazienti anziani, la possibilit che si tratti di una pseudodemenza
depressiva o di uno stato confusionale nellambito di una patologia internistica deve essere sempre presa in
considerazione.
Il trattamento di un paziente gravemente depresso prevede lospedalizzazione nei soggetti con alto rischio
di suicidio, in stato di agitazione o di confusione, in arresto psicomotorio, in condizioni somatiche decadute

1
I deliri caratteristici della depressione sono: delirio di rovina, delirio di colpa, delirio ipocondriaco e di indegnit.
70
o quando concomiti una grave patologia organica. Il ricovero pu rendersi necessario anche quando il
paziente non grave ma non ha un adeguato supporto familiare. Il trattamento farmacologico dellepisodio
depressivo in emergenza prevede a somministrazione di farmaci antidepressivi.

Nellepisodio misto sono presenti manifestazioni cliniche sia dellepisodio maniacale che dellepisodio
depressivo maggiore. La manifestazione acuta di un episodio misto comporta unalterazione dellumore
talmente grave che il paziente manifesta anche scompensi comportamentali gravi. Spesso si presenta in
concomitanza con lassunzione di elevate quantit di alcolici o sostanze stupefacenti, si associa ad un
aumentato rischio di suicidio e aggressivit verso altri e un aumentato rischio di dissociazione delle funzioni
psichiche. Il trattamento uguale a quello dellepisodio maniacale.

Crisi di aggressivit eterodiretta e autoindotte e crisi pantoclastiche


Quando si parla di aggressivit si intendono i comportamenti caratterizzati da minacce verbali o fisiche
rivolte verso s stessi, verso altre persone o verso gli oggetti.
Le crisi di aggressivit possono essere talvolta inquadrate nel contesto di un disturbo ma possono essere
anche svincolate da un disturbo mentale (es. paziente aggredito in pronto soccorso pu presentarsi in uno
stato molto agitato con discontrollo degli impulsi oppure soggetti non malati mentalmente ma che
rappresentano lespressione di sottoculture che si ispirano a ideali di violenza). Se consideriamo
globalmente la popolazione delle persone che presentano disturbi psichiatrici, la frequenza di
comportamenti violenti non si discosta molto da quella della popolazione generale, anche se la percezione
pubblica di questo problema pu essere molto sovrastimata contribuendo allo stigma sui pazienti
psichiatrici.

Per quanto riguarda le crisi di aggressivit eterodiretta, uno stato di agitazione, di grave distorsione del
giudizio di realt o di alterazione dello stato di coscienza pu essere foriero di gesti aggressivi nei riguardi di
persone o cose. L80% delle aggressioni fisiche riguarda gli operatori non medici, in particolare quelli di
sesso femminile e con pi scarsa formazione psichiatrica specifica. Uno dei momenti di maggiore rischio il
periodo di ricovero di questi pazienti; ma alcuni pazienti attuano comportamenti violenti durante le visite
ambulatoriali. Questi comportamenti sono espressione di diversi quadri psicopatologici:

Demenza: i pazienti con demenza possono manifestare uno stato di agitazione secondario a deliri
paranoidi che produce reazioni catastrofiche (ad es. resistenza violenta al personale curante) o
secondario a una complicanza di tipo organico che causa delirium.
Intossicazione da sostanze: un paziente senza controllo e nel suo stato confusionale mostra
aggressivit nei confronti di cose e persone, tra cui il medico di cui disconosce ogni autorit e tenta
di aggredirlo. Con particolare frequenza tale intossicazione indotta dallassunzione MDMA,
anfetamine e cocaina. Nelle intossicazioni alcoliche, in particolare nei casi di ubriachezza violenta,
gli episodi di aggressivit violenza non sono rari.
Crisi di astinenza: laggressivit si manifesta dopo cessazione o riduzione di unabbondante e
prolungata assunzione di alcolici e ancora pi nellevenienza, nei casi peggiori, di un delirium
tremens.
Schizofrenia e altri disturbi psicotici: la violenza in genere legata a deliri persecutori; la violenza
pu essere una forma di vendetta, ma pi spesso ha un carattere difensivo nel paziente che si sente
minacciato. In altri casi pu verificarsi nei pazienti che si sentono sotto controllo esterno, o che
agiscono spinti dallesterno (deliri di influenzamento). Pi raramente, sono presenti allucinazioni
imperative che spingono il paziente ad aggredire gli altri. Nelle forme disorganizzate con agitazione,
la violenza pi impulsiva, meno pianificata e meno finalizzata.
Episodio maniacale e depressivo: lassenza di critica nei riguardi della malattia rende questi pazienti
diffidenti nei confronti degli operatori sanitari rendendo inoltre problematico linstaurarsi di una
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terapia farmacologica o di un ricovero. Il 20% dei pazienti in fase maniacale violento, ma anche i
pazienti con una depressione delirante possono compiere atti violenti, in genere contro se stessi,
pi raramente contro gli altri.
Disturbo borderline di personalit: i pazienti borderline presentano frequentemente rabbia, ostilit,
tendenza allacting out e comportamenti auto- ed eteroaggressivi. Il rischio di violenza maggiore
quando vi un concomitante abuso di sostanze, una storia di abusi nellinfanzia, una storia
personale e familiare di violenza.
Disturbo di personalit antisociale: questi pazienti possono diventare aggressivi quando la loro
immaginazione o la loro autostima vengano minacciate, o quando non riescono a ottenere ci che
vogliono.
Disturbi paranoico: i pazienti paranoicali con deliri lucidi sistematizzati di tipo persecutorio,
querulomane o di gelosia, possono commettere atti violenti anche molto tempo dopo linizio del
disturbo.
Altri disturbi: psicosi post-partum, epilessia psicomotoria, ritardo mentale.

Quindi, pur nelleterogeneit delle condizioni psicopatologiche, pur nella variet delle sintomatologie,
diverse entit diagnostiche possono convergere verso una via finale comune di lotta e fuga contro una
realt che i soggetti sentono minaccio contro s stessi per cui reagiscono in modo violento.
Un corretto approccio del sanitario pu permettere di gestire adeguatamente il rapporto con un paziente in
stato di agitazione psicomotoria, potenzialmente violento e non collaborante.
Gli obiettivi che il medico deve porsi nel trattamento di questi pazienti sono:

1. Ridurre il rischio che il paziente pu costituire per s stesso e per gli altri;
2. Ricondurre il paziente a una situazione di maggiore tranquillit che consenta la ripresa di un
rapporto terapeutico in condizioni non di emergenza;
3. Coinvolgere il paziente nelle scelte mantenendo evidente il ruolo del medico come alleato in un
rapporto di aiuto/cura.

Unattenta valutazione del rischio di violenza a breve termine, raccogliendo tutti gli elementi rilevanti e
disponibili, ci pu mettere in condizione di avere gli elementi previsionali che devono guidare la condotta
terapeutica. Ogni decisione deve essere documentata in cartella: infatti, ai fini medico-legali, meno
rilevante una previsione errata che una raccolta incompleta dei dati disponibili, o un loro uso inadeguato
per la valutazione del rischio.
Lintervento principale la decisione sul ricovero, che necessario quando viene valutato che c un rischio
di violenza non controllabile con il trattamento farmacologico ambulatoriale e con il supporto di altre
persone allesterno. Il ricovero necessario per controllare il rischio acuto, approfondire la diagnosi, la
conoscenza della situazione personale e ambientale e avviare un trattamento adeguato.
Per quanto riguarda la gestione pi specifica e acuta dei comportamenti violenti, le possibili modalit di
intervento sono sostanzialmente di tre tipi: lintervento di contenimento verbale, lintervento medico-
farmacologico e le misura di contenzione.
La linea condivisa in psichiatria negli anni recenti quella di cercare quanto pi possibile di evitare i
trattamenti coercitivi, come luso di trattamenti farmacologici forzati o la contenzione poich minano
allalleanza terapeutica con il paziente. Per questo, bisogna tentare una de-scalation della violenza del
paziente mediante tecniche di tranquillizzazione verbale che prevede di:

1. Assumere un atteggiamento corporeo non di sfida


2. Non toccare il paziente, nemmeno sfiorarlo (soprattutto negli stati psicotici il paziente fortemente
irritato dal contatto)
3. Mantenere una certa distanza dal paziente
4. Parlare con un tono basso e pacato.

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utile che gli interventi di de-scalation siano attuati da pi di un operatore e lideale sarebbe quello di
avere a disposizione 4-6 persone con una formazione specifica. Quando esiste una figura familiare o di
supporto, che non abbia un rapporto conflittuale con il paziente, il suo coinvolgimento pu risultare utile
per ottenere informazioni e in alcuni casi collaborazione. Negli psicotici e nei quadri di acuzie indotti da
sostanze, opportuno tenere i pazienti lontano da i propri familiari in quanto spesso si riattivano
dinamiche familiari che portano ad unescalation dellagitazione psicomotoria. comunque importante
informare i familiari di quanto si intende fare, in particolare per dare notizia della possibilit di un
intervento contenitivo.

Quando queste tecniche non sono sufficienti si deve ricorrere ad un trattamento farmacologico. Laddove
sia possibile si deve sempre privilegiare la terapia farmacologica mediante lutilizzo di un farmaco sedativo.
Le tre classi pi utilizzate sono le benzodiazepine, gli antipsicotici tradizionali e gli antipsicotici atipici. Sulla
base di un criterio di rapporto/beneficio, le benzodiazepine vengono in genere indicate come farmaco di
prima scelta nei casi nei quali non chiara leziologia dello stato di agitazione o nei quali nota
unintossicazione da alcool o sostanze. Lobiettivo del trattamento quello di calmare il paziente senza
per indurre il sonno, in modo da creare le condizioni per approfondire la diagnosi, far partecipare il
paziente alla cura e allontanare il rischio di danni per il paziente e gli operatori.
Lassunzione per os del farmaco, concordato con il paziente, di prima scelta; laddove il paziente accetti il
farmaco un buon segno di uscita da una situazione di confronto e di aggressivit e unoccasione per
facilitare ulteriormente, grazie ai suoi effetti, gli aspetti relazionali della terapia. Se il paziente non
collaborativo necessario ricorrere alla via parenterale, nella maggior parte dei casi intramuscolare, pi
raramente endovenosa. La somministrazione di una terapia farmacologica contro la volont del paziente
non deve mai essere adottata come prima scelta in quanto rende pi difficile ogni successivo tentativo di
definire il medico come un alleato in un rapporto di aiuto.

Quando si decide di agire contro la volont del paziente ed eseguire la contenzione fisica importante che
la sua immobilizzazione venga fatta rapidamente, con modalit corrette e note a tutti gli operatori e con un
rapporto di forza (almeno 5 persone) tale da ridurre il minimo rischio per gli operatori stessi. Per essere
sicura, la contenzione va fatta ai quattro arti, in quanto evita che il paziente agitandosi possa farsi male.
Una volta contenuto il paziente deve essere tenuto sotto osservazione continua per evitare i rischi della
contenzione, la cui indicazione deve essere frequentemente rivalutata dal medico.

Una variante delle crisi violente la crisi pantoclastica che rappresenta un impulso morboso indirizzato a
rompere qualsiasi oggetto si trovi nell'ambiente circostante. Questa reazione estrema si pu verificare negli
stati di eccitamento maniacali o schizofrenici, come reazione isterica oppure indotta da sostanze. Il
trattamento simile a quanto descritto precedentemente.

Le crisi di aggressivit autoindotte rappresentano generalmente manifestazioni di una crisi psicotica o


tentativi di suicidio e vengono spiegate in seguito.

Disturbi dissociativi
Tra i disturbi dissociativi, lamnesia dissociativa acuta quella che pi frequentemente richiede un ricovero
in pronto soccorso.
Nellamnesia dissociativa la manifestazione principale consiste in uno o pi episodi di incapacit a ricordare
dati personali importanti a seguito di episodi di natura traumatica o stressogena, che risulta troppo estesa
per essere spiegata come banale tendenza a dimenticare. Di solito si presenta come una lacuna, o una serie
di lacune, riportate retrospettivamente, nella rievocazione di momenti della storia della vita di un individuo.
I sintomi causano disagio clinicamente significativo oppure menomazione nel funzionamento sociale,
lavorativo, o in altre aree importanti. La caratteristica dellamnesia dissociativa che non presenza una
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causa organica, principalmente lesioni a livello dellippocampo, ma lamnesia insorge a seguito di un
episodio traumatico per il paziente. Alcuni soggetti possono avere amnesia per episodi di auto-mutilazione,
esplosioni violente di ira, oppure tentativi di suicidio. Meno comunemente l'Amnesia Dissociativa si
presenta come un episodio florido con esordio improvviso. Questa forma acuta si manifesta pi facilmente
in tempo di guerra o come conseguenza di catastrofi naturali.
Alcuni episodi di amnesia dissociativa si risolvono rapidamente (ad esempio, quando la persona si allontana
dalla situazione stressante), mentre altri episodi persistono per lunghi periodi di tempo.
Il trattamento raccomandato la psicoterapia con lo scopo principale di ricondurre il paziente verso un
migliore funzionamento integrato.

Disturbi stress-correlato
I disturbi stress-correlato comprendono tutte quelle condizioni in cui lalterazione dello stato mentale sia
indotta o correlata ad un grave evento traumatico. Questi comprendono i disturbi dissociativi, gi descritti,
e il disturbo post-traumatico da stress.
Il disturbo post-traumatico da stress un quadro psicopatologico conseguente a un fattore traumatico
esterno, situazione a cui il soggetto non riesce ad adattarsi, e di durata superiore a 1 mese. Viene distinto in
acuto o cronico in base alla durata, inferiore o superiore a 3 mesi.
Il disturbo post traumatico da stress si classifica in disturbo acuto da stress in cui il trauma crea
unalterazione dello stato psichico su base iperacuta che dura meno di 6 mesi, quando il quadro dura pi di
6 mesi parliamo di disturbo post traumatico da stress persistente, che come se il disturbo si fosse
cronicizzato.
Questo disturbo si sviluppa esclusivamente a seguito di un evento estremamente traumatico che abbia
comportato la morte, il pericolo di morte, lesioni gravi e la minaccia alla prioria o allaltrui integrit fisica.
I principali aspetti clinici sono costituiti dal rivivere in modo persistente lesperienza dolorosa dellevento,
dalle condotte di evitamento, dalla ridotta reattivit emozionale e da un aumento della vigilanza. Levento
pu essere rivissuto attraverso ricordi vividi e intrusivi, sogni spaventosi, disturbi delle sensopercezioni o
episodi dissociativi di flashback in cui il paziente si comporta come se stesse rivivendo levento. Alterazioni
neurovegetative possono far assumere le caratteristiche di un vero e proprio attacco di panico. presente
inoltre ipervigilanza, caratterizzata da una risposta dallarme esagerata, disforia, difficolt alla
concentrazione, alterazioni del pattern ipnico e manifestazioni neurovegetative anche per stimoli
debolmente ansiogeni. Possono comparire, inoltre, sentimenti di colpa per essere sopravvissuti,
discontrollo degli impulsi, abuso di sostanze, depressione e comportamenti suicidari.
La terapia si fonda su interventi psicofarmacologici e psicoterapici. Il trattamento farmacologico consiste di
attenuare la sintomatologia depressiva e ansiosa mediante limpiego di SSRI, mentre un supporto
psicoterapeutico aiuta il soggetto ad affrontare ed elaborare levento traumatico.

Disturbi dello spettro schizofrenico


La schizofrenia pu manifestarsi con esacerbazioni acute o con recidive definite come crisi psicotiche. La
crisi psicotica acuta rappresenta un evento improvviso e drammatico che determina costantemente la
rottura di un equilibrio precario sia allinterno dellindividuo sia nelle sue relazioni con le persone e
lambiente circostante.
Solitamente la riacutizzazione della schizofrenia si ha nei pazienti in trattamento preventivo a seguito di
una sospensione autonoma della terapia farmacologica. La crisi psicotica come esordio della malattia si ha
di solito in soggetti giovani tra i 16 e 30 aa e in questo caso importante effettuare una valutazione del
quadro organico per escludere cause organiche che possano essere correlate agli stati deliranti.
Nelle fasi iniziali il paziente pu manifestare i primi sintomi dellimminente disgregazione del suo monto
interiore conservando per ancora un discreto rapporto con la realt; per questo pu rivolgersi ad un
familiare o al medico nel tentativo di ottenere una spiegazione alla propria condizione di profondo
malessere. In questa fase il paziente appare evidentemente preoccupato, spaventato, non si rende

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perfettamente conto di quanto sta accadendo, cerca spiegazioni razionali e accettabili, spesso si sente
profondamente in colpa. Lesito di questa crisi migliore quando le crisi vengono trattate in modo
tempestivo, per cui importante il rilievo dei segni e sintomi prodromici dellimminente crisi. Per questo, la
persona che soffre di schizofrenia, assieme ai familiari, agli operatori dei servizi psichiatrici e il medico di
famiglia, devono imparare a controllare periodicamente la presenza di segni precoci. Segni precoci a cui
bisogna fare attenzione sono:

Disturbi del sonno;


Irritabilit;
Irrequietezza;
Parlare di pi o di meno;
Cambiamenti nel modo di comportarsi;
Difficolt di concentrazione.

La crisi vera e propria si caratterizza per uno stato danimo angosciato, da sensazione di estraneamento e
freddezza nei riguardi di ci che era abituale e familiare. I sintomi positivi (allucinazioni, allentamento dei
nessi associativi, comportamento bizzarro e deliri) sono di solito prevalenti. Nelle forme di tipo catatonico
possono verificarsi episodi improvvisi di violenza clastica (crisi pantoclastiche) con distruzione di oggetti, e
aggressivit auto- ed eterodiretta.
Tale stato danimo a delirare esige un tempestivo intervento farmacologico volto a contrastare il
tumultuoso emergere di un mondo delirante, sconvolgente e drammatico.
Lintervento in situazioni demergenza presente notevoli difficolt:

1. Lincontro improvviso e spesso non preannunciato degli operatori pu in molti casi esasperare la
sospettosit e la persecutoriet del paziente, i suoi vissuti di minaccia e di controllo;
2. Il paziente pu assumere atteggiamenti di aperta ostilit e aggressivit, rifiuta il colloquio o tentare
la fuga;
3. Per il fatto stesso di aver risposta a una richiesta di un familiare o di un vicino, la posizione degli
operatori risulter agli occhi del paziente inevitabilmente sbilanciata. Per questi motivi,
importante che gli operatori chiariscano immediatamente il proprio ruolo e gli scopi
dellintervento.

Gli obbiettivi da perseguire in caso di un evento acuto sono quelli di (1) ridurre lintensit dei sintomi
comportamentali determinati dalla crisi psicotica (agitazione, aggressivit, sintomi negativi, sintomi
affettivi), (2) ridurre lintensit dei sintomi psicotici, (3) alleanza terapeutica col paziente e coi familiari
formulare e, infine, (4) piani di trattamento a breve e lunga scadenza.

Il primo atto dellintervento psichiatrico consiste nella gestione del rapporto con il paziente. A tale scopo
utile evitare inganni o sotterfugi circa il proprio ruolo e le finalit dellintervento, in quanto eventuali
ambiguit potrebbero essere percepite dal paziente, aumentandone la diffidenza e lincertezza circa il
proprio stato; bisogna inoltre trasmettere la disponibilit ad ascoltare e tranquillizzare le persone che pi si
sentono minacciate, spaventate o maggiormente in colpa. Bisogna quindi allontanare i presenti
maggiormente coinvolti sul piano emotivo, rimanendo eventualmente solo con il paziente. Infine, bisogna
creare unatmosfera di partecipazione empatica ai problemi del paziente e di rispetto per la sua condizione
di sofferenza, utilizzando un linguaggio semplice, chiaro, facilmente accessibile.
Di fronte ad un paziente particolarmente agitato o violento, importante adottare il comportamento della
descalation precedentemente descritto. Quando nonostante questo il paziente continua ad essere agitato,
lobiettivo immediato dovr essere quello di ricorrere alla sedazione farmacologica.

Una volta ridotta la tensione, necessario procedere a una prima definizione del problema attraverso la
valutazione delle condizioni psicopatologiche del paziente e la raccolta delle informazioni anamnestiche. La
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raccolta delle informazioni anamnestiche riveste unimportanza fondamentale non solo per la conferma
dellipotesi diagnostica formulata sulla base delle caratteristiche del quadro clinico, ma anche pe la
successiva impostazione dellintervento terapeutico. Nel corso dellindagine anamnestica particolare
attenzione dovr essere posta nel determinare:

Condizioni precedenti allinsorgenza della sintomatologia psicotica (pregressi episodi


psicopatologici, personalit premorbosa, adattamento sociale e lavorativo, sintomi prodromici);
Eventuali fattori stressanti;
Uso di farmaco o di droghe;
Concomitanza di patologie somatiche;
Modalit di esordio e levoluzione delle manifestazioni psicotiche;
Interventi terapeutici gi attuati;
Eventuale presenza di malattie psichiatriche o neurologiche tra i familiari.

Quindi, per quanto riguarda il trattamento, lalternativa che si pone quella tra un ricovero, volontario o
coatto, o la presa a carico del paziente in ambulatorio. La decisione deve essere presa valutando caso per
caso le condizioni del paziente, il contesto familiare e sociale.
la presenza di una condizione di arresto psicomotorio o di grave agitazione, soprattutto se accompagnata a
comportamenti eteroaggressivi o violenti.

Stati catatonici
Lo stupor ( o arresto psicomotorio) rappresenta il grado estremo di inibizione dellattivit motorio. Il
soggetto non reagisce ad alcuno stimolo, indifferente a quanto accade nellambiente, giace immobile,
conservando piena lucidit di coscienza. Circa il 30% dei reduci da stupor riporta esperienze simil-
allucinatorio o deliri frammentari: questo importante perch, quando il paziente esce dallo stato di
stupor, ti racconta che non ti rispondeva perch cerano le voci che gli dicevano che se ti avesse risposto tu
lo avresti, per esempio, ucciso, lo avresti messo in galera, non lo avresti pi fatto uscire dallospedale nel
quale i servizi segreti lo avevano rinchiuso.
La catatonia invece uno stato di arresto psicomotorio, in cui il paziente non appare cosciente;
caratterizzata da ipertono muscolare durevole che interessa per lo pi gli arti. Il soggetto pu presentare
posture catatoniche, cio pose inappropriate mantenute a lungo. Oppure, pu presentare flexibilitas cerea,
cio la possibilit di far assumere passivamente al paziente posture scomodo per lungo tempo. Il cuscino
psichico un vecchio elemento diagnostico, non molto frequente adesso, per cui il paziente alzando
leggermente il collo o il tronco, il paziente rimane cos, come se avesse un cuscino sotto alla testa che in
realt non ha; raro vederlo, ma assolutamente indimenticabile.
La catatonia si correla con stati di alterazione dellumore moto gravi, come nei pazienti affetti da disturbi
bipolari di tipo 1 o nei pazienti con depressione molto grave, ma anche nei pazienti affetti da schizofrenia
catatonica.
Questi stati necessitano diagnosi differenziale con il coma o con qualsiasi altra condizione organica che
alteri lo stato della vigilanza.
La terapia quella farmacologica per la patologia specifica.

Effetti collaterali o tossici dei farmaci psicotropi


Alcuni effetti collaterali o tossici dei farmaci psicotropi possono assumere carattere di urgenza.
Lapproccio in emergenza prevede innanzitutto la raccolta delle informazioni possibili dai familiari, amici o
astanti al fine di favorire lidentificazione della sostanza tossica. Allo stesso tempo occorre il monitoraggio
dei parametri vitali ed eventualmente la loro correzione. Infine, per ciascun effetto collaterale specifico
bisogna attuare il trattamento per ridurre lassorbimento in atto del farmaco o per mezzo del farmaco
antidoto specifico.

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La depressione dei centri respiratori un frequente effetto tossico da sovradosaggio o dosaggio iperacuto di
BDZ . Per questo motivo, un trattamento che richieda la somministrazione acuta di BDZ deve avvenire
comunque a lenta infusione e con una costante controllo del respiro del paziente.
Altre manifestazioni cliniche dellintossicazione da BDZ sono ipotonia muscolare ed atassia, iporeflessia
osteotendinea, miosi, letargia ed eloquio impastato e infine ipotermia. Questa sindrome si verifica molto
pi frequente nei pazienti anziani.
Nella gestione del paziente con intossicazione benzodiazepinica valgono tutte le misure standard di
assistenza delle vie aeree. Successivamente, occorre ridurre lassorbimento in atto della sostanza
farmacologiche. Poich la maggior parte delle intossicazioni acute avviene per ingestione di
benzodiazepine, la decontaminazione gastrointestinale viene effettuata nel tentativo di recuperare la
sostanza tossica, eseguendo una lavanda gastrica, oppure impedendo lassorbimento della sostanza
ingerita, con somministrazione di carbone attivo. Infine, occorre somministrare lantidoto specifico che per
lintossicazione da benzodiazepine prevede la somministrazione di flumazelin 0.2 mg/min (max 1-3 mg) fino
al recupero della funzione respiratoria.

La sindrome maligna da neurolettici un disturbo neurologico, pi spesso causato da una reazione avversa
per uningestione acuta o iperacuta di farmaci neurolettici o antipsicotici, che pu portare il paziente a
morte. Si verifica di solito a seguito della somministrazione di antispicotici tipici Butirrofenoni, come
lAloperidolo (Serenase), o le Fenotiazine, come la Clorpromazina o Promazina (Talofen). Per quanto
riguarda gli antipsicotici atipici che causano una sindrome maligna sono la Clozapina, Clotiapina e
Disperidone. Quindi, i soggetti pi a rischio sono i pazienti giovani non schizofrenici in terapia con questi
farmaci ( i pazienti schizofrenici di lunga durata sono meno sensibili agli effetti collaterali di questifaramci),
pazienti con danni cerebrali, pazienti alcolisti e pazienti che hanno fatto abuso di sostanze in passato o
recente, pazienti con condizioni generali scadute. In queste categorie di pazienti bisogna fare attenzione
allintroduzione di un antipsicotico o nello switch farmacologico.
Dal punto di vista fisiopatologico questa sindrome si verifica per il blocco dei recettori D2 postsinaptici da
parte di questi farmaci.
Le manifestazioni cliniche di questa sindrome pu verificarsi dopo qualche giorno dallassunzione dei
farmaci o in maniera acuta dopo una o due ore; la durata dalla sindrome di circa 5-10 giorni. I sintomi
comprendono:

Marcata rigidit muscolare;


Iperpiressia;
Alterazione dello stato di coscienza;
Tachicardia;
Labilit della pressione arteriosa;
Incontinenza urinaria, scialorrea, dispnea, discinesia

Si possono anche verificare difficolt alla deglutizione, diplopia, cefalea o emicrania, sudorazione. La fatalit
di questa sindrome legata alliperpiressia, agli squilibri idro-elettrolitici che possono comportare aritmie
cardiache gravi, insufficienza renale a seguito della rabdiomiolisi.
La diagnosi si pu fare per il riscontro agli esami di laboratorio dei seguenti valori:

Elevati livelli di CPK fino a 10.000 U/L (v.n. 1-250 U/L)


Leucocitosi > 10.000 / mm3
Alterata funzionalit epatica
Rabdomiolisi (> 55 ng/ml)
Iperpotassiemia o ipopotassiemia

Il trattamento comprende diverse possibilit:

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1. Sospensione del neurolettico: talvolta i sintomi e gli effetti collaterali possono risolversi alla
sospensione degli antipsicotici; non vanno somministrati antipsicotici per almeno 2-4 settimane
dopo la risoluzione completa del quadro.
2. Monitoraggio delle condizioni vitali (PAO, funzionalit respiratoria, funzionalit renale);
3. Idratazione e controllo del bilancio idroelettrico
4. Somministrazione di antidoti specifici: Dantrolene fino a 400 mg/die (inibitore Ca2+), Amantadina
200300 mg/die (dopaminoagonista) e Bromocriptina 5 mg/4h (dopaminoagonista). La
somministrazione di questi farmaci va evitata a meno di casi estremi perch un dopaminoagonista
ad un paziente affetto da una forma psicotica pu indurre agitazione psicomotoria.

La tossicit cardiaca un effetto collaterale abbastanza frequente ed associato alluso cronico dei farmaci
antipsicotici. I principali sono:
Miocarditi: frequente la miocardite eosinofila, che si verifica nel trattamento con Clozapina che
induce ipereosinofilia. Non nota la fisiopatologia, la causa o il meccanismo in base al quale si
verifica questa ipereosinofilia.
Miocardiopatie: si verificano a seguito dellaumento di peso, ipertrigliceridemia e
ipercolesterolemia i farmaci antipsicotici associati a queste alterazioni sono soprattutto gli atipici
come l'Olanzapina ma anche la Quietapina e il Risperidone; questi farmaci stimolano l'appetito, in
particolare verso dolci. Per il pz diabetico il rischio quindi aumenta.
Alterazioni della conduzione elettrica con modifiche dell'intervallo QT: degli antipsicotici atipi, questi
agiscono a livello cardiaco determinando lallungamento degli intervalli QT e RR, abbassamento
dellonda T e depressione del tratto ST. Il rischio di allungamento del QT particolarmente alto con
la quetiapina. Intervalli QT > 450 msec devono essere attentamente controllati, mentre valori > 500
msec richiedono limmediata sostituzione del farmaco per il rischio di torsione di punta. La torsione
di punta una tachicardia ventricolare maligna che pu indurre siccome e morte improvvisa e che
generalmente non risponde ai tradizionali antiaritmici. Il prolungamento dellintervallo QT un
segnale di allarme ma non la causa in s della torsione di punta. Particolare attenzione va posta in
caso di coesistenti squilibri elettrolitici come ipopotassiemia o ipomagnesemia o la contemporanea
somministrazione di altri farmaci capaci di allungare il QT o di interagire con i farmaci bloccanti D2
aumentandone i livelli plasmatici, attraverso linibizione degli enzimi coinvolti nel loro
metabolismo.

Tentato suicidio e rischio di suicidio


Le condizioni di tentato suicidio o di rischio di suicidio sono condizioni molto comuni in urgenza.

Nella valutazione di un paziente che ha compiuto un tentativo di suicidio, generalmente distinguiamo il


suicidio dimostrativo dal suicidio mancato.
Nel suicidio dimostrativo i mezzi utilizzati e gli atti compiuti non erano idonei a procurare la morte, il
paziente richiede aiuto o sapeva che sarebbe stato soccorso; in questo caso il gesto ha il significato di una
richiesta di attenzione o di vantaggi secondari (es. pazienti carcerati), oppure ha intenzioni rivendicative o
intenti punitivi verso altri.
Nel suicidio mancato, invece, i mezzi e gli atti erano idonei, il paziente non ha fatto richieste di aiuto, anzi
ha scelto modalit per evitare di essere fermato, cera una determinata volont di procurarsi la morte. Un
aspetto da tenere presente la severit delle condizioni mediche o chirurgiche dopo un tentativo di
suicidio: questi pazienti sono generalmente politraumatizzati o con sindromi post-asfittiche o in stato di
shock. La necessit di interventi medici o di ricovero indicano non soltanto la gravit del suicidio, ma sono
anche un fattore di rischio per successivi tentativi seri; per questo, dopo aver stabilizzato i parametri
vitali, il paziente passa alla valutazione psichiatrica e successivamente in SPDC.
I tentativi di suicidio, sia dimostrativi che mancati, sono molto frequenti nei pazienti che hanno un disturbo
psicotico ( la schizofrenia si associa ad un rischio di suicidio 7 vv superiore rispetto alla popolazione
generale) o che hanno un altro disturbo mentale (stato misto, disturbo bipolare 1 associato spesso ad
abuso di alcool o altre sostanze) ma possono manifestarsi anche in soggetti in situazioni di grande

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disperazione.

I comportamenti parasuicidari sono invece comportamenti a rischio di morte, spesso ripetuti, con
negazione dellideazione suicidaria. Pu trattarsi di ripetitive e non intenzionali overdose, incidenti stradali
poco chiari, attivit a rischio senza critica. Tra i parasuicidi il 50% ha assunto alcolici precedentemente o
durante latto. Quando giungono in pronto soccorso questi pazienti possono manifestare aggressivit
autoindotta o eteroindotta.
I comportamenti parasuicidari possono interessare pazienti con una patologia psicotica di base(es. pz
schizofrenici con allucinazioni uditive imperative) o con una patologia su base dispercettiva ma si
manifestano anche nei disturbi di personalit di cluster B ( Disturbo Istrionico di personalit, Disturbo
Narcisistico di personalit, Disturbo Antisociale di personalit, Disturbo Borderline di personalit1) e nei
disturbi dellumore (depressione grave o stato misto) e in caso di abuso di sostanze psicostimolanti o
allucinogene. Occorre porre particolare attenzione ad identificare quelle condizioni in cui deliberatamente
il paziente attua comportamenti parasuicidari come frutto di una simulazione al fine di ottenere un
vantaggio personale da questi atti (es. pazienti carcerati per ottenere rimborsi assicurativi o sconti di pena).
Tutti questi quadri possono manifestarsi anche con aggressivit eterodiretta per questo occorre procedere
come descritto precedentemente.

In pronto soccorso cos come in altri ambulatori importante riconosce i pazienti a rischio di suicidio: non
riconoscere un rischio aumentato di suicidio equivale ad uninsolvenza da parte del medico. Il problema
quello di identificare se c un disturbo sottostante e, soprattutto, quanto sia grave il rischio di suicidio
distinguendo tra il rischio di suicidio a breve termine e a lungo termine.
Confrontarsi con pazienti a rischio di suicidio pu generare avversione, paura o ansia; quando ci si rende
conto di non poter gestire un paziente del genere indicato richiedere una consulenza psichiatrica
specializzata.
I fattori di rischio di suicidio individuali, demografici e sociali non sono predittori precisi; nessun fattore o
combinazione di fattori di rischio ha dimostrato una specificit e sensibilit significativa nel discriminare i
pazienti che effettueranno o meno un tentativo di suicidio. fondamentale la capacit di farsi unidea
articolata di ogni singolo caso, mettendo insieme tutti gli elementi di rischio individuati e cercando di capire
i pensieri e i sentimenti del paziente dal suo punto di vista. I casi in cui necesaria una valutazione per il
rischio di suicidio sono:

1. Pazienti con disturbi psichiatrici maggiori;


2. Pazienti con disturbi psichiatrici organici;
3. Pazienti con intossicazione o astinenza da sostanze o alcool;
4. Pazienti sopravvissuti a un tentativo di suicidio;
5. Pazienti che riferiscono idee, impulsi o progetti suicidari;
6. Pazienti che negano propositi suicidari ma si comportano in modo da poter essere suicidi
potenziali;
7. Pazienti con comportamenti parasuicidari;
8. Malati con patologie mediche con depressione secondari;
9. Pazienti a cui viene comunicata una diagnosi vissuta come grave;
10. Malati terminali;
11. Malati con dolore cronico.

I segnali premonitori (signs of things to come) di un atto suicidario comprendono:

1
Nel disturbo borderline di personalit il pz riferisce che in preda ad una crisi di angoscia, una separazione, un trauma,
un lutto, un qualsiasi evento psicologicamente stressante o anche apparentemente in risposta a nulla, ha provato un
senso di vuoto e quindi si procurato tagli.
79
Segnali dallarme diretti: la persona pu dire mi voglio suicidare, non ce la faccio pi, la faccio finita;
mai sottovalutare queste comunicazioni perch spesso la persona che lo dice spesso lo fa: le comunicazioni
suicidarie sono importantissime.
Segnali dallarme indiretti: il paziente pu dire non ce la faccio, pi mollo tutto, a che serve vivere;
alcune volte sono dei segnali criptati che possono essere decodificati solo da chi conosce bene il soggetto, a
livello familiare o un amico;
Segnali comportamentali diretti: questa persona pu maneggiare rasoi, corde, pillole, lamette, farmaci;
sono segnali inequivocabili.
Segnali comportamentali indiretti: queste persone mettono a posto i loro affari, fanno testamento,
intestano la casa, vanno a salutare i parenti, danno via cose care.

LAmerican Association of Suicidology ha coniato invece lacronimo IS PATH WARM? (letteralmente Il


sentiero caldo? per veicolare efficacemente i segnali di allarme per il suicidio:
I Ideation (ideazione suicidaria, minaccianta o comunicata)
S Substance Abuse (abuso di sostanze aumentato o eccessivo)
P Purposeless (mancanza di un fine nessuna ragione per vivere, anedonia)
A Anxiety, Agitation/Insomnia (ansia, agitazioneinsonnia)
T Trapped (sentirsi in trappola, nessuna via di uscita, sentirsi di peso per se e gli altri
H Hopelessness (disperazione)
W Withdrawal (ritiro, dagli amici, dalla famiglia, dagli altri)
A Anger (rabbia, aggressivit, cercare vendetta)
R Recklessness (comportamenti ad altro rischio, non curarsi di se)
M Mood changes (rapidi cambiamenti dellumore)

Quando si individua un soggetto a rischio per il suicido, alcune domande utili da porre sono Ti senti triste?
Senti che nessuno si prende cura di te? Pensi che non valga la pena di vivere? Pensi che vorresti
suicidarti?. Qualora si abbia riscontro occorre indagare su una possibile pianificazione del suicidio ( Ti
capitato di fare piani per porre fine alla tua vita? Hai un idea di come farlo?), su possibili metodi di suicidio
in possesso al paziente (Possiedi farmaci, armi da fuoco o altri mezzi per commettere il suicidio? Sono
facilmente accessibili e disponibili?) e sul preciso lasso di tempo in cui il paziente avrebbe intenzione di
suicidarsi ( Hai deciso quando vuoi porre fine alla tua vita? Quando hai intenzione di farlo?).
Ci sono delle semplici regole che importante seguire nel comunicare con gli individui a rischio di suicidio:
Ascoltare attentamente, con calma
Comprendere i sentimenti dellaltro con empatia
Esprimere rispetto per le opinioni e i valori della persona in crisi
Parlare onestamente e con semplicit
Esprimere la propria preoccupazione, accudimento e solidariet
Concentrarsi sui sentimenti della persona in crisi

Talvolta, i pazienti possono misconoscere il significato del nostro intervento terapeutico a causa del
marasma di emozioni con cui convivono. In questa situazione diventa facile che il paziente metta in atto un
meccanismo di difesa che si chiama di proiezione che consiste nel proiettare su un altro qualcosa che per il
pz molto spiacevole. E una sorta di trappola perch se il terapeuta casca in questa trappola rischia di
reagire personalmente quando invece si tratta di un meccanismo di difesa del paziente che il terapeuta
deve saper gestire. Questo non sempre facile; per questo esistono psichiatri specilizzati nel trattamento
di queste persone per cui un atto onesto quello di indirizzare questi pazienti verso i centri specializzati.

Prima di decidere quale intervento adottare bisogna valutare attentamente, oltre al grado di rischio, il
grado di motivazione a commettere il suicidio, e se vi sono per il paziente ragioni per vivere. Infine, va
indagara la possibilit che il rischio suicidario aumenti nei giorni successivi, per avvenimenti imminenti.
80
Gli interventi possibili vanno dallinviare il paziente a casa con una terapia ambulatoriale, con un adeguato
supporto, programmando controlli ambulatoriali o in day hospital a breve scadenza, con eventuale
disponibilit a rivedere il paziente in urgenza, fino al ricovero in ospedale generale, o al ricovero in reparto
psichiatrico, volontario o obbligatorio.

TSO (trattamento sanitario obbligatorio)


Il TSO rappresenta una delle poche eccezioni, consentite dalla legge e dalla deontologia, in cui possibile
eseguire un trattamento senza il consenso al trattamento da parte del paziente.
noto infatti che molti modelli giuridici prevedono uninviolabilit del corpo, a partire dallarticolo 32 della
costituzione:
Nessuno pu essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di
legge. La legge non pu in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.
Tuttavia, il primo comma dello stesso articolo afferma che:
La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della
collettivit.
Quindi con trattamento sanitario obbligatorio (T.S.O.), in Italia si intendono procedure sanitarie normate e
con specifiche tutele di legge, che possono essere applicate in caso di motivata necessit e urgenza clinica
anche conseguenti al rifiuto al trattamento del soggetto, a tutela della sua salute e sicurezza e/o della
salute pubblica. Il trattamento sanitario obbligatorio, istituito dalla legge Basaglia (n. 180 del 1978) e
attualmente regolamentato dalla legge n. 833, non pu comunque in alcun modo violare i limiti imposti
dal rispetto della persona umana. Il TSO viene generalmente richiesto per patologie infettive o per
patologie mentali.
Le condizioni fondamentali perch uno psichiatra prescriva il TSO sono:
1. Presenza di alterazioni psichiche tali da richiedere urgente intervento terapeutico non differibile: la
locuzione "alterazioni psichiche non fa riferimento a nessun quadro diagnostico psichiatrico.
Questo implica un margine di soggettivit nella valutazione di tali alterazioni psichiche molto
ampia; Nelle asl di Roma, ad esempio, non si fanno TSO a persone che hanno intossicazione acuta
da sostanze seppure comportino alterazioni psichiche. Questa non una verit assoluta, una
decisione accordata all'interno del Lazio.
2. Rifiuto di tali interventi terapeutici proposti;
3. Assenza delle condizioni o le circostanze che consentono di adottare tempestive ed idonee misure
sanitarie extra-ospedaliere: non sono mai state ben definite queste misure sanitarie extra-
ospedaliere e questo un problema enorme, perch di fatto il terzo punto all'atto pratico non
viene quasi mai considerato. In teoria indica l'impossibilit di fare il TSO in ambiente extra-
ospedaliero, cosa che non fa nessuno.

I principali motivi di ricovero sono:


Sintomi psicotici (delirio, allucinazioni nel 50% dei casi);
Agitazione (40%);
Sintomi dello spettro bipolare (mania ed eccitamento, soprattutto nelle donne, 25% dei casi);
Comportamento violento (< 10 %);
Problematiche di aderenza alle cure (<15%);
Tendenza suicidiaria (< 10%);
Sintomi depressivi (<10%);
Disturbi di personalit.

81
Il TSO pu essere proposto da qualsiasi medico abilitato alla professione medica. Il TSO non solo una
possibilit ma anche un obbligo del medico, nel senso che lomissione di un TSO per un paziente che
evidentemente ne abbia necessit, diventa un atto di omissione. Nella proposta di TSO importante
sottolineare la presenza di uno scompenso psichico acuto perch una condizione cronica non urgente.
Inoltre, bisogna indicare la gravit e gli elementi che giustificano la necessit di un intervento coercitivo
urgente; sarebbe bene anche esplicitare quello che si provato a fare di non coercitivo precedentemente
alla necessit di richiedere un trattamento obbligatorio.
Successivamente, la proposta del primo medico deve essere convalidata da un secondo medico. Anche il
secondo medico pu essere un qualsiasi medico abilitato alla professione ma limportante che lavori
presso una struttura pubblica; tuttavia, quasi sempre i TSO per una malattia mentale sono proposti e
soprattutto convalidati dagli psichiatri. La necessit di una proposta ma anche di una convalida una
garanzia, affinch non si attui un trattamento obbligatorio e coercitivo ad un paziente che non ne ha
bisogno.
Se viene convalidata la proposta il paziente viene ricoverato negli SPDC (Servizio Psichiatrico di Diagnosi e
Cura) degli ospedali civili. Tuttavia, la convalida deve essere trasmessa allufficio del sindaco del comune
dove viene effettuato il TSO. Il sindaco, che rappresenta la massima autorit sanitaria, colui che in realt
ordina il TSO. Il termine massimo per lordinanza del sindaco di massimo 48 ore a seguito della convalida
del secondo medico. Nel lasso di tempo tra la convalida del secondo medico e l'ordinanza del giudice si
invoca lo stato di necessit regolato dallarticolo 54 del codice penale.
Unaltra figura importante quella del giudice tutelare che garantisce ulteriormente la corretta attuazione
legale del TSO. Lui riceve dallufficio del sindaco tutti i documenti ed eventualmente pu non convalidare il
TSO. Se il provvedimento per persona apolide o straniera, va data comunicazione al Ministero
dellInterno e al consolato del Paese di provenienza del paziente.

Nell'attuazione del TSO la polizia municipale tenuta a collaborare, vista la difficolt di tali pazienti che
sono spesso psicotici e agitati, e a garantire la corretta attuazione dello stesso.
La legge Basaglia ha inoltre disposto la territorialit del trattamento sanitario obbligatorio per malattie
mentali: il ricovero per un TSO si esegue nella sede di competenza territoriale dove il paziente residente.
Se c una condizione di emergenza un TSO pu iniziare in una qualsiasi struttura ma subito si chiede il
trasferimento. Questo aspetto va contro il diritto del malato di scelta del luogo di cura.

Durante il trattamento, molto spesso si ricorre alla contenzione sebbene il TSO di per s non autorizzi la sua
esecuzione, anzi rappresenta lestrema ratio utilizzata solo per salvaguardare lincolumit di un paziente.
Per quanto riguarda la contenzione, non esiste nessuna norma di legge che giustifichi o autorizzi la
contenzione. La contenzione si basa sul principio del Rapporto di causalit che afferma che non impedire
un evento, che si ha lobbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo. La contenzione va evitato per
quanto possibile perch procedere alla contenzione vuol dire esporre ad un rischio per lincolumit sia degli
operatori che fisicamente effettuano la contenzione, sia del paziente stesso. Non deve essere censurata in
assoluto perch pu risolvere delle situazioni critiche facendo correre al paziente meno rischi di un
intervento farmacologico massiccio.
Strategie per evitare la contenzione fisica sono:
1. Prevenzione delle crisi attraverso lidentificazione dei sintomi prodromici;
2. Ascolto e la rassicurazione del paziente tramite lutilizzo di tecniche di deescalation finalizzata a
rimuovere tutti gli stimoli ambientali;
3. Attiva ricerca della collaborazione dei familiari del paziente;
4. Proporre al paziente una terapia per os, presentandogli con cautela i sintomi che manifesta, cosa
che spesso induce il paziente a riconoscere i propri sintomi e ad accettare la terapia che si basa
sullutilizzo di benzodiazepine nei pazienti con un disturbo psicotico si associano alle
benzodiazepine un antipsicotico.

Il T.S.O. ha una durata massima di sette giorni, ma pu essere eventualmente rinnovato su richiesta di uno
psichiatra nel caso in cui persistessero i requisiti richiesti per l'attuazione, quindi, prolungato ( la durata in

82
media di 8 giorni). Durante il TSO comunque si lavora proprio sulla capacit di prestare consenso da parte
del paziente, anche solo in termini di consapevolezza di malattia, per cui spesso un TSO prosegue
spontaneamente come trattamento volontario.

Chiunque, compreso il paziente, pu opporsi al TSO senza necessit di un avvocato: basta appellarsi al
sindaco o al giudice tutelare che possono nominare un tecnico di ufficio che visita il paziente e valuta
leffettiva necessit ad eseguire un TSO.

La frequenza di TSO circa 3/10.000, la percentuale di ricoveri di 31,8. L'et media di 45 anni per le
donne e 39 per gli uomini. La durata media 8.4 giorni per gli uomini contro gli 8.1 delle donne. La maggior
parte dei TSO fatti a Roma sono per italiani.

83
Fibrillazione atriale
(prof. Trappolini)
Epidemiologia
La FA il pi frequente disturbo del ritmo cardiaco negli esseri umani. Bench di questa malattia soffrano
prevalentemente persone anziane, pu verificarsi anche in soggetti giovani. Il rischio di avere una
fibrillazione atriale nei pazienti di et superiore ai 40 anni del 25% e tale percentuale rimane stabile anche
negli anni successivi. Sono a maggior rischio di FA persone con:

et > 65 anni;
ipertensione arteriosa;
obesit;
diabete che richieda un trattamento farmacologico;
ipertrofia ventricolare sinistra o la dilatazione dellatrio sinistro;
insufficienza cardiaca;
cardiopatia congenita valvolare o ischemica;
disfunzione tiroidea (soprattutto tireotossicosi);
apnee notturne (OSAS);
BPCO;
insufficienza renale cronica;
abuso di alcool (etilismo cronico o acuto) o assunzione di cocaina

Classificazione e definizioni
Esistono numerose classificazioni della FA, alcune basate sulle caratteristiche elettrocardiografiche ed
elettrofisiologiche, altre sulle caratteristiche cliniche. La classificazione qui proposta ha uno scopo
essenzialmente pratico e si pone come obiettivo principale quello di supportare in qualche modo le scelte
terapeutiche. La classificazione prevede le seguenti forme di FA:

FA di nuova insorgenza: comprende le forme di FA che sono documentate per la prima volta,
indipendentemente dalla presenza di sintomi, dalleventuale riconversione spontanea a ritmo
sinusale, dalla durata dellepisodio o da eventuali precedenti episodi non documentati;
FA ricorrente: comprende qualsiasi forma di recidiva di FA;
FA parossistica: comprende le forme di FA che terminano spontaneamente entro 48h o che sono
interrotte con cardioversione (farmacologica o elettrica) entro questo periodo;
FA persistente: comprende le forme di FA che persistono oltre 48h (fino a 1 anno) e/o che sono
interrotte con cardioversione (elettrica o farmacologica) dopo questo periodo.
FA persistente di lunga durata: comprende le forme di FA che durano ininterrottamente da pi di 1
anno.
FA permanente: comprende le forme di FA nelle quali non sono stati effettuati tentativi di
cardioversione o, se effettuati, non hanno avuto successo per mancato ripristino del ritmo sinusale
o per recidive precoci dellaritmia che sconsigliano ulteriori tentativi di cardioversione. La FA
permanente , in sostanza, quella accettata dal medico e dal paziente;
FA secondaria: comprende le forme di FA in cui possibile individuare la causa dellaritmia, una
condizione favorente o una concomitante patologia cardiovascolare associata;
FA primitiva o isolata: comprende le forme di FA che colpiscono principalmente individui di giovane
et o, comunque, di et <60 anni che non presentano segni clinici o ecocardiografici di
concomitante patologia cardiopolmonare, n ipertensione arteriosa n qualsiasi altro fattore noto
e identificabile di FA.

Unaltra classificazione della FA riguarda il momento eziopatogenetico che la determina:


84
FA valvolare: secondaria alla stenosi mitralica, alla malattia reumatica;
FA non valvolare: secondarie ad una patologia cardiaca non di natura valvolare;
FA atriali isolate o sine causa: pazienti con una fibrillazione atriale insorta senza una specifica causa
organica (arrabbiamento, RGE, colica biliare, cocainomani).

Clinica
In circa il 30% dei casi la FA rimane asintomatica e non diagnosticata. Nel restante 70% il sintomo
dominante il cardiopalmo tachiaritmico, descritto dal paziente come una sensazione di battito accelerato
e irregolare. Un altro sintomo molto frequente la dispnea. Pur essendo ben tollerata sotto il profilo
emodinamico, il corteo di sintomi strettamente legato alla frequenza cardiaca (risposta ventricolare
media che dipende dalla quota di impulsi atriali che raggiunge i ventricoli superando il filtro del nodo
atrio-ventricolare) e alla presenza concomitanti cardiopatie strutturali: soggetti che presentino una elevata
risposta media ventricolare o una disfunzione ventricolare sinistra pregressa possono esordire clinicamente
con scompenso cardiaco ( vertigini, lipotimia, sudorazione, dispnea, dolori precordiali, spossatezza, ecc).

Diagnosi
Data lalta percentuale di pazienti nei quali la FA rimane asintomatica, le linee guida europee
raccomandano lo screening opportunistico con la palpazione del polso nelle persone di et > 65 anni.
La diagnosi certa di FA solo elettrocardiografica. La diagnosi elettrocardiografica si basa su due elementi
caratteristici: (1) la presenza di intervalli RR del tutto irregolari e (2) lassenza di onde P chiaramente
identificabili. Nel caso in cui sia identificabile una attivit elettrica atriale discreta (pi frequentemente sulle
derivazione V1), le onde di depolarizzazione atriale sono generalmente irregolari ed hanno frequenza > 300
bpm.
Talvolta, i pazienti si recano in PS lamentando la tipica sintomatologia ma lECG risulta negativo se la FA si
gi risolta. Se lECG risulta negativo ma si sospetta comunque una FA per sintomi a essa imputabili
(cardiopalmo, vertigini, lipotimia, sudorazione), utile un monitoraggio elettrocardiografico prolungato
(Holter ECG).

Complicanze
Le due principali complicanze della fibrillazione atriale sono la tromboembolia e lo scompenso cardiaco.
Per quanto riguarda il primo aspetto, la FA comporta un aumentato rischio tromboembolico,
indipendentemente dal fatto che sia parossistica, persistente o permanente. In corso di FA si verifica una
severa riduzione della velocit del flusso ematico a livello atriale che predispone alla formazione di trombi
(particolarmente a livello dellauricola dellatrio sinistro). Durante laritmia, ma ancor pi segnatamente alla
ripresa del ritmo sinusale, tali formazioni trombotiche possono embolizzare a livello cerebrale, con
conseguente stroke1, a livello addominale e a livello degli arti inferiori.

Gestione del rischio cardioembolico


Il trattamento cronico della FA prevede unaccurata gestione del rischio trombo-embolico, che pu
aumentare considerevolmente in funzione di specifici fattori di rischio.
Le linee guida indicano la necessit di utilizzare il CHA 2DS2VASc come sistema di stratificazione del rischio
tromboembolico: questo sistema, attribuendo un punteggio ad alcune specifici fattori di rischio, in grado
di stimare il rischio cardioembolico globale e guidare nella scelta del regime di antiaggrergazione o
anticoagulazione

Fattori di rischio Punti

1
Lo stroke cardioembolico rappresenta infatti una delle prime cause di ischemia cerebrale.

85
C Scompenso cardiaco/disfunzione ventricolo sn 1

H (Hipertension) ipertensione arteriosa 1

A Et 75 aa 2

D Diabete mellito 1

S Stroke/AIT/embolia sistemica 2

V Malattia vascolare (pregresso IM, AOCP, placca aortica) 1

A Et 65-74 1

Sc Sesso femminile 1

Le linee guida pi recenti (agosto 2016) dicono nei pazienti con CHA2DS2-VASc score = 0 non sia necessaria
nessuna terapia antitrombotica (rischio annuo di eventi tromboembolici 0%). Nell'ambito di questa
indicazione a nessuna terapia o prevenzione rientrano anche quelli che hanno avuto una fibrillazione atriale
isolata seppure questi pazienti siano maggiormente a rischio di sviluppare nel tempo una cardiopatia
ischemica1. Tuttavia, il professor Trappolini sostiene che, sebbene le linee guida siano abbastanza chiare
nellescludere i pazienti a rischio zero dalla terapia anticoagulante, occorre valutare caso per caso ogni
paziente bilanciando il rischio tromboembolico al rischio emorragico; afferma inoltre che a suo parere
sottoporre un paziente che si trova in questa classe a terapia anticoagulante a vita sembra effettivamente
un eccesso di zelo.

Il rischio di ictus dei pazienti con CHA2DS2-VASc score = 1 1.3%/anno. un rischio non trascurabile, ma
lindicazione alla terapia anticoagulante dovrebbe essere valutata caso per caso in base al singolo fattore di
rischio presentato dal paziente e al concomitante rischio emorragico, valutando il beneficio clinico netto.
Nei pazienti con CHA2DS2-VASc score 2 viene raccomandata la terapia anticoagulante orale.

I farmaci pi utilizzati nel controllo del rischio trombotico vi sono i TAO 2, antagonisti della vitamina K per i
quali indicato mantenere lINR tra 2-3 (finestra terapeutica in cui si stimato che il rischio di
sanguinamento intracranico e il rischio tromboembolico sono ai valori minimi).
In considerazione della scarsa maneggevolezza del warfarin, negli ultimi anni sono stati studiati nei pazienti
con FA i nuovi farmaci anticoagulanti orali (NAO), quali il dabigatran (inibitore diretto orale della trombina),
il rivaroxaban, lapixaban e ledoxaban (inibitori diretti orali del fattore X attivato), che non necessitano di
monitoraggio dellINR. Nei pazienti warfarin-nave i nuovi anticoagulanti orali sono da preferire al warfarin
in presenza di:

1. difficolt logistiche nelleffettuare il monitoraggio della TAO,


2. pregresso ictus ischemico,
3. pregressa emorragia intracranica,

1
Alcuni anni uno studio di Wolff disse che buona parte dei pazienti che a quarant'anni manifestano una fibrillazione
atriale isolata, ovvero sine causa, andranno incontro a cardiopatia ischemica. Quindi quando compare una fibrillazione
atriale isolata apparentemente sine causa in un soggetto adulto, ancor pi in un soggetto adulto anziano, ipotizziamo
sempre che questo soggetto sia potenzialmente a rischio di cardiopatia ischemica. Tuttavia, questi pazienti non
rientrando nei criteri di rischio del CHA2DS2-VASc possono astenersi dalla terapia anticoagulante e antiaggregante.
2
principalmente Warfarina, nome commerciale Coumadin, e Acenocumarolo, nome commerciale Sintrom.
86
4. giovane et,
5. paziente candidato a cardioversione elettrica.

Nei pazienti warfarin-experienced proponibile lo switch ai nuovi anticoagulanti orali in caso di:

1. difficolt logistiche nelleffettuare il monitoraggio della TAO,


2. labilit dellINR,
3. impiego giornaliero di basse dosi di warfarin (8-10 mg/settimana),
4. pregressa emorragia maggiore (escluse le emorragie gastrointestinali)
5. qualit subottimale della TAO (tempo trascorso allinterno del range terapeutico < 60%)
6. impiego a lungo termine di farmaci interferenti con il warfarin e non interferenti con i nuovi
anticoagulanti orali,
7. pregressa emorragia cerebrale in corso di terapia con warfarin con INR in range terapeutico,
8. pregresso ictus/TIA in corso di terapia con warfarin con INR in range terapeutico.

Per lintroduzione sicura dei nuovi farmaci anticoagulanti orali nella pratica clinica quotidiana sono
necessari controlli periodici (ogni 3-4 mesi) per verificare tolleranza e compliance e per la registrazione
degli eventi emorragici anche minori e controlli periodici della funzionalit renale.
In caso dinsufficienza renale moderata (VFG calcolato < 50 ml/min) opportuno ridurne il dosaggio. Se ne
sconsiglia luso in caso di grave insufficienza renale (VFG < 30) e, come per gli AVK, in caso di grave
insufficienza epatica.

In considerazione dellaumento di rischio emorragico secondario allimpiego della terapia anticoagulante,


prima di scoagulare un paziente affetto da FA, opportuna anche una stima individuale del rischio di
sanguinamento, in ragione del fatto che i pazienti arruolati nei trial clinici non rispecchiano interamente il
mondo reale.. Attualmente per la stima del rischio emorragico viene utilizzato lHAS-BLED, sistema a
punteggio, che considera quali fattori correlati ad un aumento del rischio di sanguinamento: lipertensione,
alterazioni della funzionalit renale o epatica, un precedente ictus, un precedente evento emorragico, la
difficolt di mantenere lINR nel range terapeutico (2.0-3.0), let avanzata (>65 anni) e lutilizzo a lungo
termine di farmaci che presentano interazioni farmacologiche con il warfarin o labuso di alcool. Un
punteggio HAS-BLED 3 configura una situazione in cui il rischio emorragico elevato. Un HAS-BLED 3 non
deve essere usato per rinunciare alla terapia anticoagulante, ma indica controlli pi stretti e suggerisce la
correzione dei fattori di rischio emorragico potenzialmente reversibili (ad esempio, PA elevata o uso di
FANS). Nei pazienti con un rischio intermedio (CHA2 DS2 -VASc = 1), per i quali in caso di HAS-BLED 3
potrebbe essere ragionevole un rinvio della TAO con AVK o luso di NAO. Nei pazienti ad alto rischio
emorragico per la terapia anticoagulante, vi la possibilit di eseguire la chiusura percutanea dellauricola
sinistra in modo da evitare che un trombo in auricola possa andare in circolo.

Per la profilassi antitrombotica di un paziente che manifesta una FA dopo stenting coronarico (esempio del
caso clinico) per il quale viene attualmente raccomandato un periodo di duplice antiaggregazione
piastrinica di almeno 6 mesi, attualmente la combinazione di TAO e duplice antiaggregazione piastrinica
costituisce la strategia pi razionale.1 La triplice terapia, tuttavia, gravata da un rischio elevato di
complicanze emorragiche (incidenza media compresa tra 0% e 21% nelle varie casistiche). A seguito del
periodo di 6 mesi in cui raccomandata la duplice antiaggregazione piastrinica per linterventodi stenting

1
Perch questa triplice terapia (antiaggregante + anticoagulante)? Perch la manifestazione trombotica che pu
complicare unarteriopatia coronorica ha un meccanismo completamente diverso di formazione della manifestazione
trombotica che si verifica in un paziente con fibrillazione atriale o con cardiomiopatia dilatativa o con aneurisma
dellapice polmonare. infatti un errore di molti medici quello di sospendere laspirina o il clopidogrel (antiaggreganti)
con il Clexane (anticoagulante) ignari di quanto suddetto. Questa cosa bisogna saperla in quanto medici di medicina
generale!!!
87
coronarico, il trattamento antitrombotico a lungo termine da raccomandare per la FA rappresentato
dallassociazione di un TAO (INR 2.0-3.0) e cardioaspirina o clopidogrel 75 mg/die.

Gestione perioperatoria della terapia anticoagulante orale


Nei pazienti affetti da FA ad elevato rischio tromboembolico (CHA2DS2-VASc score 2), in caso di interventi
chirurgici a rischio emorragico medio/alto (ch. Ortopedica, cardiaca, vascolare, urologica, neurochirurgica),
si rende necessaria la sospensione temporanea della TAO con linstaurazione di una terapia antitrombotica
bridge eparina a basso peso molecolare. La tempistica del bridging la seguente:

5 gg prima dellintervento: Stop Warfarin ;


3 gg prima se in terapia con warfarin e 4 gg prima se in terapia con acenocumarolo: sostituzione
con eparina ad basso peso molecolare (70 U/Kg x 2 /die);
24 h prima dellintervento: ultima somministrazione di eparina a basso peso molecolare;
Giorno dellintervento: valutare lINR; posticipare lintervento se INR > 1.5.
1 giornata post-operatoria: riassumere TAO;
2 giornata post-operatoria: riassumere eparina a basso peso molecolare in caso di adeguata
emostasi;
6 giornata post-operatoria: controllo dellINR e sospensione delleparina se lINR ai valori
terapeutici.

Questo comportamento corretto? Nell'agosto dell'anno scorso uscito un lavoro molto interessante che
ha confrontato due gruppi di pazienti sottoposti ad intervento chirurgico e che facevano terapia con
anticoagulante : un gruppo di pazienti stato trattato con lo schema precedentemente esposto (
sospensione della terapia anticoagulante orale e la vitamina K 5 giorni di distanza dall'intervento e
sostituzione con eparina a basso peso molecolare) mentre nel secondo gruppo hanno rimosso solo gli
anticoagulanti orali con completo Wash out farmacologico. Il risultato stato non vi nessuna differenza
significativa di incidenza di eventi tromboembolici tra le due categorie mentre le manifestazioni
emorragiche pi importanti si sono verificate maggiormente nella prima categoria di pazienti. Quindi gli
autori concludono dicendo che la sospensione del Warfarin per pazienti che devono sottoporsi ad
intervento chirurgico in elezione una condizione che non si associa, qualora venga sostituito il warfarin
con l'eparina a basso peso molecolare, con un significativo e maggior incremento di manifestazioni
emorragiche, a fronte di un rischio tromboembolico pressoch identico, a quello che hanno i pazienti che
non assumono eparina a basso peso molecolare.

Per gli interventi a basso rischio (Interventi sulla cute, estrazioni dentarie o chirurgia oculare) non
richiesta la sospensione della TAO.

Con lingresso nella pratica clinica dei nuovi anticoagulanti orali, la gestione della terapia anticoagulante in
occasione di interventi chirurgici o manovre invasive molto pi semplice, in quanto sufficiente la
sospensione del farmaco da 24 a 48h prima della procedura in base al rischio emorragico, senza necessit di
embricazione con eparina.

Terapia in acuto
In un soggetto con FA di nuova insorgenza ad elevata risposta media ventricolare (> 100 bpm), il primo
obiettivo terapeutico il controllo della frequenza cardiaca e successivamente il ripristino del ritmo
sinusale.
Il controllo della frequenza cardiaca pu essere ottenuto mediante la somministrazione endovenosa di uno
dei seguenti farmaci:

-bloccanti + Ca2+ antagonisti : in assenza di malattie cardiovascolari e ipertensione;


-bloccanti + Digossina: in pazienti con disfunzione ventricolare sinistra;
88
-bloccanti cardioselettivi + Ca2+ antagonisti: pazienti con BPCO.

Il ripristino del ritmo sinusale pu essere tentato con un approccio farmacologico o con un approccio
elettrico.
Nei pazienti in cui laritmia sia insorta da meno di 48 h, il ripristino farmacologico pu essere tentato con
farmaci antiaritmici di classe IC (ad es. Flecainide o Propafenone), con Amiodarone o Vernakalant1. Nei
pazienti con FA insorta da meno di 48 h ma con una cardiopatia strutturale indicata la terapia con
Amiodarone (Cordarone), per il rischio pro-aritmico che i farmaci IC presentano in questa particolare
categoria di pazienti.
Nel caso in cui la fibrillazione atriale sia responsabile di un grave deterioramento emodinamico, il
trattamento di scelta la cardioversione elettrica esterna immediata.
Qualora laritmia sia insorta da oltre 48 ore, e in tutti i casi in cui linsorgenza non sia definibile con
certezza, necessario instaurare una terapia antitrombotica con la profilassi degli eventi tromboembolici
cerebrali e sistemici; per questi pazienti la scelta prevede lutilizzo dei nuovi anticoagulanti orali oppure dei
TAO (Cumadin o Sintrom). Nei soggetti in cui si utilizzano gli inibitori della vitamina K, si inizia una terapia
con eparina a basso peso molecolare o eparina sodica (Clexane) embricata dopo qualche giorno dal TAO 2. il
tentativo di cardioversione elettrica o farmacologica pu essere eseguito dopo un periodo adeguato
(generalmente 4 settimane) di terapia anticoagulante con INR nel range terapeutico. Nei pazienti in cui si
opta per i NAO, si pu iniziare la terapia del solo NAO e dopo 3-4 settimane si procede alla cardioversione.

Terapia in cronico e profilassi delle recidive


La profilassi farmacologica delle recidive di FA pu contemplare lutilizzo di farmaci antiaritmici di classe Ic
(Flecainide o Propafenone), classe III ( Sotalolo) o di antiaritmici con meccanismo dazione misto, come
lAmiodarone e il Dronedarone. Tali farmaci vengono nella maggior parte dei casi associati a calcio-
antagonisti non idropiridinici, -bloccanti, e/o digossina allo scopo di controllare la risposta media
ventricolare in caso di recidiva dellaritmia.
Lunica alternativa non farmacologica per il trattamento della FA consiste nellablazione trans-catetere del
circuito aritmogeno. Lobiettivo generale della terapia ablativa della FA la disconnessione elettrica delle
vene polmonari dallatrio sinistro creando lesioni che circondano lo sbocco delle vene polmonari in atrio
sinistro.

1
Il vernakalant un nuovo antiaritmico relativamente atrio-selettivo che blocca molteplici correnti del potassio (IKur,
IKACh, Ito e IKr) e del sodio (INa), causando un prolungamento del periodo refrattario effettivo atriale.
2
Gli inibitori della vitamina K hanno un effetto paradosso: se vengono somministrati da soli senza l'azione del Clexane,
potenzialmente hanno un effetto trombogeno perch ostacolano la sintesi delle proteine C ed S della coagulazione
per almeno 48 ore.
89
Embolia Polmonare
(prof.ssa Del porto)

Lembolia polmonare (EP) l'ostruzione acuta (completa o parziale) di uno o pi rami dell'arteria
polmonare, da parte di materiale trombotico proveniente dalla circolazione venosa sistemica. Infatti,
lembolia polmonare rappresenta generalmente la prima manifestazione clinica di una trombosi venosa
profonda (79% dei casi). Una delle complicanze dellembolia polmonare linfarto polmonare, causato dalla
persistente ostruzione al deflusso di sangue al tessuto polmonare.
Lembolia polmonare rappresenta inoltre unemergenza cardiovascolare poich pu indurre grave
scompenso acuto del ventricolo destro anche se potenzialmente reversibile.
La diagnosi difficile da formulare e pu essere misconosciuta a causa di una presentazione clinica atipica.
Tuttavia, la tempestivit della diagnosi fondamentale, giacch limmediato trattamento si dimostra
estremamente efficace.

Epidemiologia
Lembolia una patologia molto frequente (Incidenza 1/1000) e ha unevoluzione molto grave con
mortalit a 3 mesi dalla diagnosi di circa il 15% perch viene spesso misconosciuta in quanto la diagnosi non
di facile formulazione in relazione alla variabilit del quadro clinico alla presentazione. Quando trattata la
mortalit relativa allEmbolia polmonare del 2% in pazienti senza evidenza di insufficienza ventricolare
destra.

Fattori di rischio
Sebbene lEP possa svilupparsi in assenza di precisi fattori predisponenti (la percentuale di pazienti con EP
idiopatica o non associata a fattori di rischio era del 20%), generalmente alcuni di essi sono identificabili (EP
secondaria). Le cause predisponenti, correlate al paziente e pertanto permanenti, sono tutti ascrivibili alla
triade di Virchow e possono essere congenite o acquisite:

Disfunzione endoteliale: trauma vasale, danno tossico da chemioterapia, etc.; Questa una causa
pi rara per la formazione di un trombo a livello dei vasi profondi degli arti inferiori.
Iper-coagulabilit:
o Fattori acquisiti: contraccettivi orali, neoplasie, gravidanze (stasi ematica e ipercoaguabilit
parafisiologica), puerperio, sindrome da Ab anti-fosfolipidi;
o Fattori congeniti: fattore V di Leiden, antitrombina III, trombofilia, iperomocisteinemia ecc.
Il 40% delle mutazioni trombofiliche sono rappresentate dal fattore V di Leiden e la
mutazione del fattore II. L'iperomocisteinemia invece pu essere congenita o acquisita, o
mista; nel quadro misto rientra l'iperomocisteina da deficit genetici del MTHFR (le
mutazioni sono numerose) associata ad altre alterazioni del metabolismo dellomocisteina
per cause acquisite (es. in caso di insufficienza renale).
Alterazione del flusso ematico: allettamento (causa principale di embolia polmonare), anziani,
traumatizzati maggiori, neoplasie (spesso rappresenta la prima presentazione clinica), gravidanza
(per compressione sulla vena cava), obesi, tutti fattori che predispongono alla stasi.

Queste condizioni predispongono alla TVP che poi successivamente porta alla formazione dellembolo che
causa locclusione acuta dellarteria polmonare.
Quindi, considerando la triade di Vircow, i pazienti per i quali dobbiamo sospettare sempre la presenza di
TVP, e quindi di EP, sono:
Pazienti con immobilit: pazienti anziani allettati;
Pazienti sottoposti ad interventi chirurgici ortopedici e sulla pelvi;
Pazienti in gravidanza o post-puerperiche;
90
Pazienti affetti da coagulopatie congenite;
Pazienti affetti da coagulopatie acquisite;
Pazienti in terapia con farmaci trombofilici (es. Decapeptyl nei pazienti con carcinoma della
prostata).

Storia naturale
In virt del fatto che nella maggior parte dei casi lEP causata dalla TVP, la storia naturale del TEV deve
essere considerata nel suo insieme piuttosto che attraverso unanalisi separata della TVP e dellEP.
LEP si sviluppa 3-7 giorni dopo linsorgenza di TVP; le trombosi venose profonde che non danno emboli
entro questa tempistica pi raramente possono causare embolia polmonare poich progressivamente i
trombi tendono a organizzarsi, riepitelizzarsi con maggiore tendenza ad occludere cronicamente il vaso,
mentre mai/quasi mai comportano unembolia polmonare ( ma in clinica tutto possibile).

Nel 10% dei casi pu essere lembolia polmonare fatale entro 1h dallinizio della sintomatologia laddove
la diagnosi non viene sospettata clinicamente. Nel 5-10% dei pazienti lEP accompagnata da shock o
ipotensione, e sino al 50% dei casi si manifesta senza shock ma con segni di disfunzione ventricolare destra
o danno miocardico agli esami di laboratorio, che depongono per una prognosi sfavorevole.
In corso di EP, nei due terzi dei pazienti si assiste alla completa risoluzione dei difetti di perfusione. La
maggior parte dei casi fatali (>90%) si verifica nei pazienti non sottoposti a trattamento per la mancata
formulazione del sospetto diagnostico, mentre meno del 10% di tutti i decessi si riscontra nei pazienti
trattati. La presenza di ipertensione polmonare tromboembolica cronica (CTEPH) stata documentata nello
0.5-5% dei pazienti con EP trattata.
I pazienti a rischio di mortalit precoce (mortalit entro 30 gg dallevento tromboembolico) sono quelli che
a seguito dellevento acuto manifestino shock, disfunzione ventricolare destra o segni di danno miocardico
(vedi dopo). Il rischio di mortalit diventa < 1% nei pazienti con EP senza nessuna compromissione cardiaca.

La frequenza delle recidive tromboemboliche indipendente dalla manifestazione clinica iniziale del TEV
(TVP o EP) ma tuttavia superiore nei pazienti con TEV di natura idiopatica.
n assenza di trattamento anticoagulante, circa il 50% dei pazienti affetti da EP o TVP prossimale sintomatica
va incontro a recidive tromboemboliche entro 3 mesi.

Fisiopatologia
Lembolia si manifesta a livello clinico quando viene ostruito un grosso vaso arterioso, o per la presenza di
molti microemboli (quando la percentuale del letto vascolare coinvolto >30-50%).
Dal trombo venoso profondo si distacca un embolo che chiude un vaso con calibro minore del suo, con
conseguente rilascio di molti mediatori a livello polmonare; le conseguenze di questa ostruzione si possono
ripercuotere non solo a livello polmonare ma anche a livello cardiaco. La successione di eventi che si
possono osservare sono:
1. Aumento delle resistenze vascolari polmonari: la porzione del letto vascolare polmonare
che esclusa dalla circolazione subisce un quadro di ipossia; la conseguenza il rilascio di
mediatori endoteliali che inducono vasocostrizione neurormonale; inoltre, lipoperfusione
comporta lattivazione dei barocettori polmonari i quali, dopo aver percepito la presenza di
di alveoli iperventilati ma non perfusi, aumentano ulteriormente il grado di vasocostrizione;
2. Alterazione degli scambi gassosi: a causa del ridotto scambio gassoso e per laumento dello
spazio morto, insorge un quadro di ipossiemia e ipercapnia.
3. Aumento delle resistenze aeree: lipossia comporta anche bronco costrizione al fine di
ventilare solo gli alveoli perfusi.
4. Riduzione della compliance polmonare: a causa del collasso degli alveoli non ventilati, il
pomone perde la sua compliance polmonare ma, per garantire unadeguata quantit di
ossigeno, aumenta gli atti respiratori. Questo comporta laumento degli atti respiratori ma si
continua ad avere una bassa pO2 con una riduzione della pCO2.

91
A livello cardiaco, locclusione acuta determina un repentino aumento delle resistenze polmonari.
Limprovviso aumento del postcarico determina un aumento della tensione parietale del ventricolo destro
con conseguente dilatazione acuta del ventricolo e spostamento verso sinistra del setto inteventricolare, cui
ne pu seguire, a causa dellinterdipendenza ventricolare, una disfunzione diastolica sinistra che riduce
anche la portata del cuore sinistro (disfunzione sistolica sinistra per riduzione del precarico). Alla riduzione
della gittata sistolica segue una tachicardia compensatoria inefficiente; inoltre, si ha ipoperfusione delle
arterie coronarie che in breve tempo genera unischemia generalizzata a livello cardiaco con conseguente
aumento del pro-BNP e troponina. Inoltre, le arterie del microcircolo cardiaco presenti nella porzione di
sinistra risentiranno fortemente delleffetto milking causato dallaumento della tensione di parete e
andranno pi facilmente incontro ad ostruzione e quindi ischemia.
Nei pazienti che sopravvivono, vengono attivati meccanismi di compenso (meccanismo di Frank-Starling e
attivazione del sistema simpatico) con conseguente aumento della pressione polmonare che ripristina il
flusso polmonare ed il precarico del ventricolo sinistro, stabilizzando, grazie anche alla vasocostrizione
periferica, la pressione arteriosa sistemica.
In alcuni pazienti, lo scompenso del ventricolo dx pu condurre direttamente a morte improvvisa per
dissociazione elettromeccanica o shock da insufficienza cardiaca.

Quadro clinico
La sintomatologia varia a seconda dell'entit dell'EP, quando infatti vengono interessati i piccoli vasi
periferici il paziente rimane asintomatico mentre la sintomatologia risulta pi eclatante quando ad essere
interessato un grosso vaso. Proprio per questa variabilit di presentazione clinica lEP considerata una
patologia molto infida e di difficile diagnosi. Inoltre, poich molti segni e sintomi sono comuni ad altre
patologie necessario porre diagnosi differenziale1.

I principali sintomi sono:


Dispnea acuta: a differenza del paziente con edema polmonare, essendo lembolia polmonare una
condizione di bassa gittata, il paziente sar freddo ;
Astenia;
Tosse ed emottisi: lemottisi insorge quando si ha infarto polmonare che causa rottura dei capillari
polmonari;
Dolore toracico di tipo puntorio che aumenta con gli atti nel respiro;
Sincope da sforzo: un sintomo che molto frequentemente si manifesta in pazienti allettati che, a
seguito di uno sforzo sugli arti inferiori, perdono coscienza; infatti, il movimento degli arti inferiori
responsabile in questi pazienti della formazione dellembolo.
Invece, i segni di un paziente con embolia polmonare sono:
Tachicardia (>100 bpm);
Tachipnea (>20 atti/min);
Cianosi;
Rantoli polmonari: per stravaso di acqua (BRUNO: i rantoli sono crepitanti, non sono bolle che
invece si riscontrano nelle patologie polmonari).
Ipofonesi: in caso di infarto polmonare, rappresenta un valido mezzo per fare diagnosi e agire
immediatamente terapeuticamente, perch non c altro tempo (detto da BRUNO).
Segni di TVP: valutare le differenze di temperatura e il trofismo muscolare negli arti inferiori;
Polso: pu essere normale o ridotto a seconda della compromissione emodinamica causata
dallembolia polmonare.
Arresto cardiaco: per dissociazione elettromeccanica.

1
un paziente che cade a terra e fa morte
improvvisa a voi cosa viene in mente come prima diagnosi ? Unaritmia, oppure un infarto, oppure laorta
che si rotta. Attenzione perch pu essere unEP massiva.
92
Diagnosi
La diagnosi in emergenza di embolia polmonare presenta non poche difficolt. Come stato detto, il
quadro clinico decisamente aspecifico e simula altre patologie cardiorespiratorie, per cui lEP non pu
essere diagnosticata in base ai soli criteri clinici. Inoltre, le indagini diagnostiche di primo livello
comunemente eseguite sono spesso scarsamente indicative ai fini della formulazione di una diagnosi
corretta in considerazione della bassa specificit e sensibilit. Altre metodiche diagnostiche pi complesse,
di secondo livello, come la TC spirale o multistrato, la scintigrafia polmonare di perfusione e langiografia,
non sempre sono disponibili in tutti i centri. pertanto necessario disporre di un protocollo diagnostico
ragionato basato sullevidenza e facilmente utilizzabile in tutte le situazioni, anche a letto del paziente.
Infine, occorre premettere che la diagnosi precoce fondamentale perch incide positivamente sulla
prognosi del paziente, potendo agire terapeuticamente immediatamente.

Il riconoscimento dellEP richiede un procedimento diagnostico che inizia sempre con il tempestivo
sospetto clinico. Il sospetto clinico del medico demergenza deve immediatamente nascere da una attenta
analisi dei fattori di rischio, della sintomatologia riferita e da uno scrupoloso esame obiettivo.
Per semplificare la valutazione clinica, sono state elaborate carte di rischio che attribuiscono un punteggio a
ciascuna variabile clinica; il pi diffuso lo score di Wells et al. :

Dalla combinazione dei vari criteri si


ottengono dei valori che ci permettono di
stratificare il paziente a seconda della
probabilit che presenti embolia
polmonare. Il paziente viene considerato a
basso rischio di EP (o EP imrobabile) se lo
score di Wells 0-1; il paziente a rischio
intermedio se lo score 2-6; il paziente
ad alto rischio se lo score 7.

Uno score alternativo nella stratificazione del paziente riguardo al rischio di EP il Geneva Score.

93
Il Geneve Score rispetto allo Wells introduce il
concetto di et. Per praticit di utilizzo, la
professoressa consiglia lo score di Wells.

La valutazione clinica, sia che si avvale del giudizio clinico empirico o dei criteri predittivi convalidati negli
score, consente di classificare i pazienti in categorie di probabilit alle quali corrisponde un aumento della
prevalenza di EP. A seconda della probabilit clinica liter diagnostico dei pazienti cambia (LG Europee
2017):

Alta probabilit di embolia polmonare (Wells score 7 o pz. con shock, ipotensione) Angio-TC
del torace se immediatamente disponibile. Se la TC non immediatamente disponibile
Ecocardiografia per valutare il sovraccarico destro.
Media probabilit di embolia polmonare (Wells score 2-6) dosaggio D-dimero. Se positivo
Angio-TC del torace.
Bassa probabilit di embolia polmonare (Wells score 0-1 e in assenza di shock/ipotensione)
Esclusione diagnosi (perch la probabilit che un paziente con questo punteggio abbia embolia
polmonare molto bassa) o PERC (vedi dopo).

Figura 3. Flow chart diagnosi e terapia EP (Linee guida ESC)

Come si pu notare, il dosaggio del D-dimero, per il quale prima l'indicazione era sempre raccomandata
esaltando il suo potere predittivo negativo, ad oggi stato molto ridotto perch si osservato che molti
94
pazienti con EP hanno un D-dimero negativo. Ad oggi il D-dimero trova indicazione solo in quei pazienti che
definiremo a rischio intermedio, cio che non sappiamo se possono avere l'embolia, e in ogni caso in cui
persista il dubbio.
Per i pazienti a basso rischio pretest, stato sviluppato uno score, noto come PERC (Pulmonary Embolism
Rule-Out Criteria), per aiutare il clinico ad identificare i pazienti a basso rischio nei quali ci sia comunque
indicazione ad eseguire il D-dimero per la persistenza del sospetto diagnostico.

I pazienti che soddisfano tutti questi criteri non devono procedere con il dosaggio del D-dimero e la
diagnosi pu essere esclusa con certezza. I pazienti che soddisfano una parte dei criteri devono comunque
procedere con il dosaggio. I pazienti che non soddisfano nessun criterio devono procedere con il dosaggio.

Ruolo della scintigrafia ventilo-perfusoria: nei centri con immediata disponibilit, la scintigrafia ventilo-
perfusoria continua a rappresentare una valida opzione nei pazienti con elevati livelli di D-dimero e
controindicazioni alla TC, quali allergia al mezzo di contrasto o insufficienza renale. La scintigrafia
polmonare ventilo-perfusoria (sia ad alta che normale probabilit) consente di porre diagnosi di EP in circa
il 30-50% dei pazienti che giungono in Pronto Soccorso con sospetta EP.

Ruolo dellecocardiografia: lecocardiografia non riveste un ruolo rilevante nellidentificare una sospetta EP
a rischio non elevato, in quanto caratterizzata da una scarsa sensibilit (circa 60-70%) e un esame
negativo non permette di escludere la presenza di EP. Ha una specificit di circa il 90% e nei pazienti con
probabilit clinica alta o intermedia il riscontro di segni di disfunzione ventricolare destra pu in teoria
generare una probabilit post-test sufficientemente elevata da poter confermare la diagnosi di embolia
polmonare.

Ruolo della TC. Langio-TC la metodica gold standard per porre diagnosi di embolia polmonare.
interessante sapere che l'uso della TC ha migliorato la sensibilit della diagnosi di EP nei piccoli vasi che
generalmente si associa ad una condizione di paucisintomaticit, ma non ha avuto impatto sulla mortalit
correlata ad EP massiva.
Riassumendo, langio-TC ha indicazioni e tempistiche di esecuzione diverse a seconda situazione clinica con
cui il paziente con EP si presenta:
TC immediata: per pazienti emodinamicamente instabili con sospetta EP 1 o pz con alto valore ai
pre-test.

1
Anche il paziente instabile, con un alto sospetto di EP, deve andare in TC, perch voi dovete fare la diagnosi prima di
iniziare la terapia.
95
TC differita fino ad un risultato positivo del D-Dimero: per pazienti con probabilit intermedia ai
pretest o con bassa probabilit ai pre-test ma PERC > 0.
Non eseguire TC: pazienti con basso pretest e PERC = 0.

Ruolo dellecodoppler venoso degli arti inferiori. Per i pazienti emodinamicamente stabili e con
sintomatologia vagamente sospetta per EP, leco degli arti inferiori lesame di prima scelta: il
riconoscimento di una trombosi delle vene profonde degli arti inferiori pu far supporre la presenza di
unEP. L'esecuzione dell'ecocolordoppler venoso degli arti inferiori pu essere utile anche nel paziente a
rischio intermedio mentre aspettiamo il D-dimero per aumentare il nostro sospetto diagnostico laddove si
riscontrino segni di TVP; indicata talvolta anche nei pazienti emodinamicamente instabili con
evidenza di edema dell'arto.

Bisogna per specificare che il doppler dell'arto inferiore nella diagnosi di TVP molto importante ma non
riusciamo a valutare la pelvi che pu essere una sede di TVP e la radice delle iliache. In questi casi langio-TC
addomino-pelvica ha una valenza diagnostica maggiore.

Mortalit precoce
La mortalit precoce si definisce quando la mortalit insorge entro 30 giorni dallevento tromboembolico. I
pazienti a rischio di moltalit precoce sono quelli che in corso di EP manifestano:

Ipotensione e shock (rischio di mortalit del 15%).


Disfunzione ventricolare desta (rischio di mortalit 3-15%): almeno il 25% dei pazienti con EP
presenta disfunzione ventricolare destra allesame ecocardiografico. Una metanalisi ha evidenziato
un rischio raddoppiato di mortalit correlata allEP nei pazienti con segni ecocardiografici di
disfunzione ventricolare destra. Non essendoci una definizione universale di disfunzione
ventricolare destra allecocardiogramma, unEP pu essere definita a basso rischio di mortalit
precoce solo nel caso di risultati assolutamente nella norma.
Danno miocardico: Studi autoptici su pazienti deceduti per EP massiva hanno documentato un
infarto transmurale del VD in condizioni di normale perviet delle arterie coronarie. Alcuni studi
osservazionali hanno riportato elevati livelli di troponina cardiaca in presenza di EP che, seppur
non imputabili esclusivamente a disfunzione del VD, sono risultati spesso associati ad una prognosi
peggiore nei pazienti con EP. Quindi, al fine di definire il rischio di mortalit precoce dei pazienti
con EP, la valutazione dei livelli di troponina I sempre consigliata in pazienti con EP.

Indice di Severit dellEmbolia Polmonare (PESI)


Nelle attuali linee guida europee per il trattamento dellEP, le indicazioni terapeutiche si basano sul livello
di rischio di mortalit precoce. Le linee guida ESC 2014 consigliano di utilizzare a tal fine lindice di Severita
dellEmbolia Polmonare (PESI), in quanto sembra essere lo score piu attendibile. Questo da un punteggio ad
11 parametri per generare un punteggio finale che permette di suddividere i pazienti in cinque classi di
rischio di mortalit per tutte le cause a 30 giorni.

96
Categorie di rischio: classe I, punteggio 125 (24.4%); classe II, punteggio 66-85 (1%); classe III, punteggio 86-
105 (3.1 %); classe IV, punteggio 106-125 (10.4%); classe V, punteggio > 125 (24.4%).

Trattamento
La stratificazione dei pazienti con EP in classi di rischio fondamentale ai fini del processo decisionale
terapeutico.

I pazienti che manifestano shock o ipotensione in corso di EP, hanno una mortalit attesa cos elevata che
debbano essere classificati nella categoria di EP a rischio elevato.
In attesa della diagnosi specifica, oltre al supporto emodinamico e respiratorio, laddove i segni clinici e i
fattori di rischio suggeriscano che si tratti di unembolia polmonare (es. gamba gonfia, dispnea intensa),
deve essere leparina non frazionata somministrata per via endovenosa come trattamento anticoagulante
di prima scelta. Dopo aver definito la diagnosi o appena possibile, lulteriore terapia da somministrare in
questi pazienti e la trombolisi sistemica con uno dei seguenti farmaci:

1. Streptochinasi (250.000 UI in 30 minuti, seguite da 100.000 UI/h per 12-24 ore):


2. Urochinasi (4.400 UI/Kg in 10 minuti, seguite da 4.400 UI/Kg/h per 12-24 ore oppure secondo il
protocollo accelerato di 3 milioni di UI in due ore);
3. Attivatore tissutale ricombinante del Plasminogeno (rtPA) (100 mg da somministrare: o in infusione
continua per 2 ore oppure facendo un bolo iniziale di 0,6 mg/kg in 15 minuti, per un massimo di 50
mg, seguiti dallinfusione dei rimanenti mg nelle due ore successive).

In quei pazienti in cui vi siano controindicazioni assolute alla trombolisi o nei quali non si assista ad un
miglioramento emodinamico mediante terapia trombolitica, il trattamento di scelta costituito
dallembolectomia chirurgica. Qualora questa non fosse immediatamente disponibile, possono essere prese
in considerazione lembolectomia o la frammentazione del trombo con catetere, anche se lefficacia e la
sicurezza di queste procedure non sono state documentate in maniera adeguata.

Per coloro nei quali il PESI ha fatto emergere un rischio intermedio (PESI III o IV), e richiesta unintegrazione
diagnostica ecografica al fine di valutare la funzione ventricolare destra e il dosaggio della troponina I per la
valutazione del danno miocardico.
I pazienti con EP acuta, a rischio intermedio secondo il PESI, in cui lecocardiogramma sia indicativo di
disfunzione ventricolare destra o con evidenza di incremento della troponina, vengono classificati come a
rischio intermedio-alto; per questi pazienti e opportuno un monitoraggio dei parametri emodinamici e
valutare la possibilit di effettuare la trombolisi sistemica al fine di prevenire lo scompenso emodinamico
(oppure una terapia con Eparina non frazionata endovena con embricatura con Anticoagulanti orali).
I pazienti con PESI III o IV negativi per disfunzione ventricolare destra, vengono classificati come a rischio
intermedio-basso. Nella classe intermedio-bassa rientrano anche i pazienti PESI I e II con evidenza di
compromissione ventricolare ma con troponina I negativa. In questi pazienti e sempre indicata

97
lospedalizzazione e la terapia anticoagulante con eparina a basso peso molecolare sottocute. Alleparina
devono essere associati con lembricatura gli antagonisti della vitamina K (warfarin o acenocumarolo), la cui
somministrazione deve essere iniziata il prima possibile, preferibilmente lo stesso giorno delleparina,
mantenendo valori di INR tra 2.0 e 3.0 per i primi 5-10 giorni; successivamente, si deve sospendere
leparina e continuare con la sola somministrazione degli anticoagulanti orali con le tempistiche descritte
successivamente.
Per i pazienti a rischio intermedio che abbiano cominciato leparina ma che ad un certo punto modifichino i
propri valori emodinamici e diventino instabili, ci pu essere lindicazione ad iniziare il trattamento con
Trombolitici a basse dosi (es. rtPA) perch si visto che cos facendo si riducono il rischio di mortalit il
numero di recidive e il rischio di insorgenza di ipertensione polmonare secondaria.
A partire dalle linee guida 2014, in alternativa allassociazione anticoagulanti parenterali + antagonisti della
vitamina K, possono essere utilizzati per il trattamento dellEP anche i nuovi farmaci anticoagulanti orali
(NAO) considerando per ogni paziente la funzionalit renale e il rischio di sanguinamento (lieve, moderato o
severo1).
I NAO approvati per il trattamento (e la prevenzione) dellembolia polmonare sono:

Rivaroxaban (Xarelto): 15 mg x 2 vv/die per 21 giorni (poi 20 mg /die);


Apixaban (Eliquis) : 10 mg x 2 vv/die per 7 giorni (poi 5 mg due volte al giorno);
Questi due farmaci devono essere iniziati immediatamente, senza associarli agli anticoagulanti
parenterali;
Dabigatran (Pradaxa): 150 mg x 2 vv/die volte al giorno previa anticoagulazione parenterale in fase
acuta.

Nel caso in cui sia gi stata eseguita una terapia con eparina e si voglia passare alla terapia con i NAO, lo
switch pu essere eseguito subito prima della dose successiva di eparina, secondo le linee guida; la
professoressa comunque consiglia un breve periodo di embricazione con Eparina sottocute a dosaggio 8000
x 2 prima di passare alla sola terapia con i NAO.

Nei pazienti a basso rischio (PESI I II) pu essere considerata la dimissione precoce ed il trattamento
domiciliare preventivo dellembolia polmonare, se la compliance del paziente e lo status sociale lo
consentono. Tuttavia, la professoressa consiglia lospedalizzazione per impostare al meglio la terapia con
soli anticoagulanti.

1
Per sanguinamento maggiore si intende quello in cui si abbia la perdita di almeno 2 gr di emoglobina o necessita di
pi di 2 sacche di trasfusione di emazie.
98
Terapia anticoagulante a lungo termine e profilassi secondaria
Nei pazienti che abbiano sviluppato una EP e con qualsiasi rischio, la terapia anticoagulante a lungo termine
ha lo scopo di prevenire le recidive e le complicanze fatali e non fatali del TEV.
Nella maggioranza dei casi vengono utilizzati gli AVK a dosi atte a mantenere un range dellINR tra 2.0-3.0
che deve essere periodicamente monitorato.
Nei pazienti di et superiore ai 18 anni, la terapia preventiva con EP pu anche essere eseguita con i NAO e
con i dosaggi descritti precedentemente. Le controindicazioni alla terapia con i NAO sono:

Pazienti che hanno indicazione a terapia trombolitica


Elevato rischio di sanguinamento
Insufficienza renale (Clearence della creatinina < 30)
Insufficienza epatica clinicamente evidente
Aspettativa di vita inferiore ai 3-6 mesi
ASA > 100 mg/die
Ipertensione arteriosa non controllata
Gravidanza/allattamento (abortivit:dabigatran e rivaroxaban)

La durata del trattamento anticoagulante per la prevenzione delle recidive e di almeno tre mesi.
In caso di secondo episodio di EP da cause non determinate, la terapia con anticoagulanti orali deve essere
protratta indefinitamente. Per i pazienti in cui e previsto un prolungamento della anticoagulazione possono
essere considerati i NAO in alternativa agli antagonisti della vitamina K.
Per i pazienti neoplastici con embolia polmonare il trattamento preventivo deve essere eseguito con
leparina piuttosto che con gli anticoagulanti orali, per lelevato rischio di questi pazienti; la terapia
dovrebbe essere prolungata indefinitamente o fino a quando non si e ottenuta la guarigione dalla
neoplasia.
Per i pazienti con S. da anticorpi anti-fosfolipidi la terapia preventiva si fa con i Dicumarolici. Infine, i NAO
possono essere usati anche nei soggetti con Trombofilia congenita che sviluppano unembolia polmonare.

Nei pazienti warfarin-experienced proponibile lo switch ai nuovi anticoagulanti orali in caso di:
difficolt logistiche nelleffettuare il monitoraggio della TAO,
labilit dellINR,
impiego giornaliero di basse dosi di warfarin (8-10 mg/settimana),
pregressa emorragia maggiore (escluse le emorragie gastrointestinali)
qualit subottimale della TAO (tempo trascorso allinterno del range terapeutico < 60%)
impiego a lungo termine di farmaci interferenti con il warfarin e non interferenti con i nuovi
anticoagulanti orali,
pregressa emorragia cerebrale in corso di terapia con warfarin con INR in range terapeutico,
pregresso ictus/TIA in corso di terapia con warfarin con INR in range terapeutico.

Recidiva e complicanze dellembolia polmonare


Il paziente che abbia avuto unembolia polmonare senza fattori di rischio presenta un rischio di recidiva
dellembolia aumentato di circa 2 o 3 volte rispetto a quelli con fattori di rischio noti. Gli uomini sono a
maggior rischio rispetto alle donne mentre sembra che let non influisca sul rischio di recidive.
Lindicazione ad eseguire lo screening trombofilico e tumorale valida in tutti i pazienti con EP senza cause
note ed in tutti i casi di ipertensione polmonare secondaria a EP ricorrente.

Tra le complicanze dellembolia polmonare vi lipertensione polmonare cronica trombo-embolica: questa


rappresenta una forma di di ipertensione polmonare caratterizzata dalla ostruzione trombo-embolica delle
arterie polmonari da parte di tessuto trombotico fibroso organizzato e associato alla presenza di
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unarteriopatia dei piccoli vasi che d luogo ad un incremento delle resistenze vascolari polmonari per il
rilascio di ET-1 da parte delle cellule endoteliali polmonari. La fase iniziale della malattia generalmente
asintomatica, con sviluppo successivo di progressiva dispnea ed ipossiemia Lincremento delle resistenze
vascolari polmonari determina una insufficienza cardiaca destra progressiva che causa dispnea e pu
evolvere in scompenso cardiaco e morte.
Il rischio del 4% a 2 anni nei pazienti che presentino allesordio segni di sovraccarico del ventricolo
destro; tale rischio non aumenta dopo i 2 anni.
La diagnosi si bassa dalla combinazione dei seguenti parametri clinici:

1. Ipertensione polmonare precapillare (P arteria polmonare > 25 mmHg con pressione di


incuneamento capillare polmonare < 15 mmHg);
2. Difetti di perfusione non associati a difetti di ventilazione visibili alla scintigrafia polmonare;
3. Segni di tromboembolia allangio-TC.

La tromboendarterectomia (endarterectomia) polmonare stata introdotta per la prima volta nel 1957 e si
evoluta a tal punto da divenire un trattamento relativamente comune per lipertensione polmonare
cronica. La rimozione chirurgica dei trombi occlusivi richiede una vera e propria endarterectomia piuttosto
che una semplice embolectomia e, di conseguenza, si rende necessario il bypass cardiopolmonare che viene
eseguito in ipotermia profonda ed arresto cardiocircolatorio completo al fine di garantire unadeguata
visibilit. La tecnica chirurgica consiste in una incisione delle arterie polmonari principali fino alla
definizione di un piano di clivaggio nello spessore della parete vasale. Successivamente, il piano viene
esteso alle diramazioni segmentarie e talvolta subsegmentarie di ciascuna arteria lobare, procedura questa
che viene eseguita con lausilio di speciali dissettori-aspiratori. Lendarterectomia polmonare fornisce
risultati eccellenti, mostrando talvolta una completa restitutio ad integrum del tessuto polmonare.
La terapia medica ha invece lo scopo di trattare linsufficienza cardiaca destra e di ridurre le resistenze
arteriolari polmonari. Dati preliminari hanno riportato un miglioramento emodinamico e/o funzionale in
seguito allutilizzo di analoghi della prostaciclina, antagonisti recettoriali dellendotelina ed inibitori della
fosfodiesterasi-5. I potenziali candidati a terapia medica cronica nella CTEPH sono i pazienti non operabili o
quelli nei quali lintervento chirurgico non riuscito a normalizzare lo stato emodinamico.

LEP inoltre una causa potenzialmente reversibile di shock e arresto cardiaco; lincremento acuto della
pressione ventricolare destra dovuta allocclusione delle arterie polmonari e la liberazione di mediatori
vasoattivi causano shock cardiogeno e collasso cardiovascolare. Meno del 5% dei pazienti con EP acuta
evolve in arresto cardiaco. Questo quadro associato ad una mortalit del 65-90% Tra il 5-13% degli arresti
cardiaci non spiegati dovuto a EP fulminante. La diagnosi di arresto cardiaco da embolia polmonare di
difficile esecuzione anche per lassenza di marcatori di laboratorio specifici; alcune caratteristiche dirimenti
per questa diagnosi sono la presenza di fattori di rischio per lembolia polmonare, la comparsa di dispnea e
distress respiratorio precedente e la comparsa di una dissociazione elettromeccanica. La terapia deve
essere tempestiva con le manovre dellABLS e con la somministrazione endovena di Eparina.
Infine, unaltra possibile complicanza dei pazienti con episodi di EP la Sindrome post-flebitica che si
verifica quando il trombo a livello dellarto pu riorganizzarsi causando dolenzia e discromie cutanee.

FOCUS Azione degli anticoagulanti e antidoti


Sulla base della cascata coagulativa, sappiamo che lEparina agisce sul II e sul X, i Dicumarolici sui fattori Vit
K dipendenti (II, VII, IX e X), mentre i NAO agiscono sostanzialmente sul fattore Xa. Gli antiaggreganti
agiscono invece, sui recettori di superficie delle piastrine. NAO hanno la stessa maneggevolezza ed emivita
(12 ore) dellEparina sottocute
Lazione di questi farmaci pu essere monitorata con alcuni indici di laboratorio:

100
PTT: indica il tempo medio di coagulazione del campione rispetto ad un campione di riferimento. Esplora la
via intrinseca della coagulazione. Un aPTT lungo si ha in corso di terapia con eparina endovena; per questo
il PTT deve essere monitorizzato ogni 6 ore in corso di terapia con eparina endovena.
PT: si definisce come il tempo necessario (9-10 sec) affinch il plasma coaguli in seguito allaggiunta di un
estratto tissutale di origine umana o animale (tromboplastina) e ioni calcio a 37 C. Esplora la via estrinseca.
Un aPT lungo si ha in corso di terapia con dicumarolici.
INR: una particolare metodica di misurazione del tempo di protrombina minimizzano le differenze legate
alla diversa sensibilit dei reagenti commerciali utilizzati. LINR si modifica in corso di terapia con
Dicumarolici.
LAC (Lupus Anti Coagulant): tutte le terapie anticoagulanti modificano il LAC che deve essere sempre
positivo durante queste terapie).
I NAO non modificano i valori della coagulazione per questo sono considerati pi vantaggiosi.
Nel caso di un eccessivo sanguinamento in corso di terapia con Eparina possiamo utilizzare lantagonista
che il Solfato di Protamina mentre nel paziente in sovradosaggio da Dicumarolici possiamo somministrare
Vit K.Per i NAO non esistono inibitori specifici da poter utilizzare in caso di sovradosaggio che comunque
rimane una condizione molto rara. I NAO hanno dimostrato essere gravati da un minor rischio di
sanguinamento rispetto agli anticoagulanti orali tradizionali, tuttavia non sono disponibili dati per terapie
superiori ai 3 anni. Nel caso in cui il sanguinamento stesso si verifichi durante la terapia anticoagulante,
occorre decidere se sospenderla o se continuarla (questultima nel caso in cui il rischio di EP sia troppo
elevato).

101
Sindromi coronariche acute
(prof. Trappolini)
Definizioni e classificazioni
La cardiopatia ischemica la malattia cardiaca che ha maggiore incidenza e prevalenza nei paesi
industrializzati. Essa include diversi quadri clinici che in linea di massima vengono definite come sindromi;
queste sono langina stabile, langina instabile e linfarto del miocardio. Attualmente si tende a distinguere
langina stabile dalle sindromi coronariche acute (IMA e angina stabile). Le differenze tra queste due classi
consiste nel diverso substrato eziopatogenetico: nellangina stabile lischemia si verifica a seguito di
unaumentata domanda di ossigeno allorch vi unimpossibilit di incrementare adeguatamente il flusso
coronarico per la presenza di stenosi aterosclerotiche coronariche acute; la condizione ischemica
transitoria e non evolve mai in necrosi del tessuto micoardico.
Le sindromi coronariche acute si verificano, anche in condizioni di normale fabbisogno di O2, nel momento
in cui si ha una riduzione improvvisa dellapporto di ossigeno per unostruzione improvvisa, completa o
subocclusione, di un vaso coronarico (es. formazione di un trombo o spasmo vascolare). Nellambito delle
SCA, la differenza principale tra langina instabile e linfarto riguarda il fatto che nellangina instabile
locclusione si risolve spontaneamente con una ricanalizzazione dellarteria colpevole comportando
esclusivamente una condizione di ischemia; nellinfarto locclusione improvvisa porta alla necrosi di unarea
pi o meno estesa di tessuto miocardico conseguente ad unischemia grave e prolungata.
La definizione universale di IMA quella di aumento e successiva diminuzione dei marcatori biochimici
cardiaci ( preferibilmente delle troponine ) con almeno un valore al di sopra del 99 percentile del limite
superiore di riferimento unitamente ad evidenza di ischemia miocardica con almeno uno dei seguenti:

1. sintomi di ischemia;
2. variazioni ecografiche suggestive di nuova ischemia (nuove anomalie ST-T o nuovo blocco di branca
sinistra);
3. comparsa di onde Q patologiche allECG;
4. riscontro con tecniche di imaging di una nuova perdita di miocardio vitale o di nuove alterazioni
della cinesi parietale regionale

Infine, nellambito dell IMA si soliti distinguere linfarto STE dallinfarto NSTE: nellinfarto senza
sopraslivellamento persistente del tratto ST si verifica una subocclusione del vaso, con necrosi degli strati
subendocardici pi sensibili allischemia; nellinfarto con soprallivemento persistente del tratto ST
fisiopatologicamente si verifica unocclusione completa del vaso e necrosi a tutto spessore.

Le diverse condizioni fisiopatologiche determinano, nellambito delle sindromi della cardiopatia ischemica,
diversi aspetti elettrocardiografici, diversi quadri clinici, diverso approccio terapeutico e un diverso
outcome clinico.

Clinica
La naturale storia delle Sindromi procede in distinti stadi. Il primo stadio rappresentato da un periodo
asintomatico durante il quale si forma, all'interno delle arterie coronariche, una placca aterosclerotica.

L'Angina da sforzo definita dalla World Health Organization come transitori episodi di dolore toracico
scatenati da esercizio fisico o da altre situazioni che determinano un aumento della richiesta di ossigeno da
parte del miocardio). Il dolore di solito recede con il riposo o dopo la somministrazione di farmaci quali la
nitroglicerina, che riducono il consumo di ossigeno da parte del cuore.
Il dolore toracico di tipo oppressivo o costrittivo e non si modifica con gli atti del respiro. A seconda delle
condizioni che causano incremento del consumo miocardico di ossigeno, possiamo distinguere diverse
forme di angina: langina da stress quella che insorge in particolari stati emozionali, langina da freddo

102
compare a seguito dellesposizione ad una temperatura rigida, langina post-prandiale compare a seguito
di pasi abbondanti, mentre langina da decubito compare con lassunzione della posizione clinostatica.
La localizzazione del dolore retrosternale con irradiazione verso il collo e il lato ulnare dellarto superiore
sinistro o a entrambe le braccia (Importante per Trappolini: i sintomi dellischemia cardiaca sono anche
detti equivalenti ischemici). La durata del dolore caratteristica per definire questa sindrome: pu variare
da pochi minuti fino ad un massimo di 15-20 minuti.
Lesame obiettivo cardiaco di un paziente con unangina stabile solitamente negativo. Durante langina
tuttavia allauscultazione si pu apprezzare un III e/o IV tono indicativi di una significativa alterazione della
funzione ventricolare, rispettivamente sistolica e diastolica, indotta dallischemia.
Gli esami ematochimici non sono rilevanti per la diagnosi di angina stabile.

Langina istabile si caratterizza per una clinica molto simile a quella dellangina da sforzo (episodi di dolore
anginoso in genere di breve durata). Lesame obiettivo quasi sempre normale; la comparsa di segni di
scompenso cardiaco durante il dolore (dispnea, III tono cardiaco, rumori umidi alle basi polmonari,
aumento della pressione diastolica) suggeriscono un territorio ischemico esteso. Numerosi studi
dimostrano infatti che lischemia si associa a modifiche emodinamiche del ventricolo sinistro: in particolare
si evidenzia incremento nel ventricolo sinistro e nellarteria polmonare della pressione telediastolica e
riduzione della frazione di eiezione del ventricolo.

LIMA si manifesta con dolore nell'85% dei casi; causato dalla persistente ischemia di miocardio vitale a
rischio. E' caratterizzato da senso di peso oppressivo retrosternale (irradiato spesso al giugulo, alla gola,
talora alla mandibola, alla schiena in sede interscapolare, sul versante ulnare dell'arto superiore sinistro, al
braccio destro) o epigastrico, di durata superiore ai 20 minuti ed insensibile ai nitroderivati perlinguali, pu
essere accompagnato da sudorazione, astenia, nausea (equivalenti ischemici), senso di morte imminente.
In caso di infarto sufficientemente ampio, pu manifestarsi un quadro di scompenso ventricolare sinistro
acuto (dispnea da subedema/edema polmonare) o, pi raramente, una sincome, unipotensione o la
comparsa di aritmie. Nel 10% dei casi pu manifestarsi con dispnea ed intensa astenia ma non dolore. Nel
restante 5% dei casi, linfarto mostra unassenza di sintomi, generalmente pazienti anziani e diabetici.
Un infarto del ventricolo destro, che pu verificarsi in pazienti con IMA inferiore, solo raramente assume
una rilevanza clinica significativa; esso si manifesta con ipotensione e segni di scompenso cardiaco destro
(congestione giugulare ed epatica).

Esami diagnostici
Liter diagnostico che dovrebbe essere seguito nel paziente con sospetta angina dopo lanamnesi e lesame
obiettivo il seguente:

ECG: a riposo lECG standard spesso del tutto normale. Quando si esegue durante un attacco di
angina lECG mostra in genere un sottoslivellamento del tratto ST > 1 mm e/o alterazioni dellonda
T (negativizzazione), indicativo di una ischemia subendocardica.
Esami ematochimici: sono indicati per escludere linfarto ma non sono rilevanti per la diagnosi in
quanto risultano negativi in un paziente con angina.
ECG da sforzo: costituisce il test non invasivo di riferimento per la diagnosi di angina stabile, e di
cardiopatia ischemica in generale. LECG da sforzo considerato positivo per ischemia miocardica
quando induce un sottoslivellamento del tratto ST orizzontale o discendente 1 mm in una o pi
derivazioni. In rari casi esso pu verificarsi un sopraslivellamento del tratto ST, indicativo di una
ischemia transmurale. Talvolta il sotoslivellamento pu manifestarsi nella fase di recupero.
Stress test scintigrafici: sono test alternativi allECG da sforzo. Nei pazienti che non sono in grado di
eseguire uno sforzo, si possono utilizzare come stress test dei farmaci in grado di indurre ischemia
(dipiridamolo e adenosina) fino a portare all85% la frequenza cardiaca.

103
Holter ECG: il monitoraggio continuo di 24-48 indicato in tutti i casi in cui gli esami precedenti non
abbiano evidenziato alterazioni significative ma persiste il sospetto diagnostico.
Angiografia coronoarica: una procedura di alta sensibilit, ma invasiva, ad alto rischio per il
paziente e non eseguibile in tutti gli ospedali.

La diagnosi dell'infarto miocardico, parte dalla sintomatologia sospetta, ma necessita di altri reperti. In un
paziente con IM indicato:

1. ECG: fondamentale per la diagnosi e la localizzazione dellinfarto. In accordo con la definizione,


nello STEMI lECG mostra in fase acuta uno sopralivellamento del tratto ST persistente associato
spesso alla comparsa di iniziali onde Q, nelle derivazioni che esplorano la regione miocardica
interessata dallinfarto. Nei pazienti che hanno gi avuto un infarto e nei quali sia presenta unonda
T invertita, una possibile manifestazione elettrocardiografica dellinfarto ST la
pseudonormalizzazione dellonda T. Dopo alcuni giorni o dopo alcune settimane il quadro tende a
cambiare per la progressiva riduzione dei segni di lesione ischemica (slivellamento ST) e si ha la
progressiva comparsa dei segni di necrosi (onde T negative e approfondimento e slargamento delle
onde Q). Con il passare del tempo i segni di necrosi si fanno pi evidenti e quelli di ischemia
tendono a regredire. In alcuni casi, dopo settimane o mesi, si assiste alla progressiva
normalizzazione dellonda T, per cui lunico segno dellevento rimane londa Q patologica di
necrosi. La diagnosi della sede colpita da infarto possibile osservando in quali derivazioni
elettrocardiografiche, che esplorano differenti zone del miocardio, i segni caratteristici compaiano
ed evolvano. L'elettrocardiogramma essenziale inoltre per l'accertamento di alcune complicanze
acute dell'infarto quali i blocchi e le aritmie. Nel 10% dei casi lECG identifica riscontro falsi negativi
per linfarto.
Nellinfarto NSTE lECG mostra alterazioni, pi o meno marcate, analoghe a quelle dellangina
instabile, ma pi prolungate o persistenti per diverse ore, o anche, in modo meno marcato, giorni.
Generalmente in questo tipo di infarto non si riscontra la presenza di onde Q.
2. Esami ematochimici: reperti aspecifici di un infarto del miocardio sono lelevazione della VES e/o
della proteina C reattiva, la leucocitosi neutrofila1 e liperglicemia secondaria alla stimolazione del
sistema adrenergico.
3. Markers cardiaci: le troponine cardiospecifiche T e I sono le pi sensibili e pi specifiche per la
diagnosi di danno miocardico. Le loro concentrazioni ematiche cominciano ad aumentare dopo 4
ore dallesordio deisintomi e raggiungono il picco a 24 ore. La troponina ad alta sensibilit (Hs-
cTN)sono dosabili a concentrazioni molto basse e quindi in tempi pi precoci.
Un aumento dellisoenzima CK-MB pu essere considerato suggicienemtene specifico di danno
miocardico; i valori di CK iniziano ad aumentare dopo circa 6 ore dallesordio dei sintomi, raggiunge
il picco intorno a 12-24 ore e ritorna a vlori normali entro 72 ore.
4. Ecocardiogramma: indicato nei casi in cui la diagnosi non sia del tutto certa per definire meglio la
sede e lestensione dellinfarto e per valutare la funzione contrattile globale e regionale del
ventricolo sinistro. Larea infartuata appare come unarea acinetica, ipocinetica o discinetica
rispetto alle altre regioni miocardiche.

In tutti i casi in cui la sintomatologia sospetta ma gli esami diagnostici non siano dirimenti indicato
tenere in osservazione il paziente, monitorizzare lelettrocardiogramma e ripetere dopo qualche ora la
curva enzimatica.

1
Prof. Trappolini: Quando non erano disponibili gli enzimi cardiaci io facevo la diagnosi di infarto miocardico acuto con
lemocromo, se avevi dolore toracico e globuli bianchi aumentati quello caveva un infarto.
104
Diagnosi differenziale
Le patologie con cui necessario porre diagnosi differenziale con le sindromi coronariche ischemiche sono:

dissezione aortica: dolore trafittivo e mobile, lungo la colonna vertebrale, irradiato posteriormente.
La condizione clinica del paziente peggiora con il passare del tempo, ed il carattere di urgenza pu
anche non manifestarsi immediatamente; pu associarsi ad infarto del miocardio quando la
dissezione coinvolge anche le coronarie.
pericardite: spesso il sospetto diagnostico nasce dallECG e viene confermato dallecocardiografia; il
paziente tende ad assumere delle posizioni antalgiche (torace spostato in avanti), favorevoli se la
pericardite di tipo essudativo.
esofagite o spasmo esofageo protratto: spesso lo spasmo regredisce anche con lutilizzo di
nitroderivati, entre lesofagite permane e si presenta comunque come un dolore irradiato al centro
del torace ma spiegato dal paziente come un bruciore, a volte come un dolore; spesso accompagna
il pasto, maggiormente se ricco di grassi.
miocardite: pu associarsi ad un infarto, ma con lesecuzione di una ecocardiografia viene
abbastanza facilmente identificata; meritevole dello stesso iter diagnostico dellIMA.
polmonite: assenza di elevazione degli enzimi di miocardio citonecrosi e negativit dellECG.
Embolia polmonare: in questo caso spesso presente dispnea intensa, cianosi e stato di shock.
colecistite: solo in fase anamnestica entra in diagnosi differenziale; viene confermata dalla
negativit dellECG e degli enzimi e dallesecuzione di una ecografia della colecisti.
pancreatite e/o acutizzazione di unulcera: molto raro che determinino una sintomatologia che
mimi un infarto del miocardio, ma lo screening laboratoristico e strumentale determinano una
facile diagnosi differenziale.
LINFOMA: importante per BRUNO, il dolore dellinfarto necessita diagnosi differenziale con il
linfoma.

Terapia angina stabile


La terapia dellattacc di angina stabile costituita dallassunzione di un nitrato ad azione rapida
(nitroglicerina) da assumere per via sublinguale o come spray buccale.
Il trattamento preventivo cronico si basa sulluso dei -bloccanti (1 scelta): agiscono prevalentemente
riducendo il consumo miocardico di ossigeno mediante la riduzione della frequenza cardiaca, della
pressione arteriosa o dellinotropismo cardiaco. I calcio antagonisti non diidropiridinici (diltiazem,
verapamil (sono indicati in caso di intolleranza o controindicazioni ai beta-bloccanti. I nitrati a lunga durata
dazione raramente sono molto efficaci in cronico ma sono pi utili in associazione con i beta-bloccanti e/o
calcio antagonisti. Queste tre classi di farmaci possono infatti essere variamente combinate tra loro in
doppia o tripla terepia per sfruttare al meglio i loro diversi meccanismi dazione.
Tutti i pazienti con cardiopatia ischemica devono poi ricevere una terapia antiaggregante piastrinica con
aspirina alla dose di 75-160 mg/die, in quanto migliora la prognosi. In caso di intolleranza o
controindicazioni alluso dellaspirina si dovrebbe prescrivere come antiaggregante il clopidogrel.
Infine necessario mettere in atto una prevenzione secondaria ottimale: appropriato stile di vita,
astensione dal fumo, manteniomento del peso corporeo ideale, regolare moderata attivit fisica e una
dieta ricca di frutta e verdura.

Nei casi in cui si verifichi una insufficienza della terapia medica nonch nei pazienti in cui sia insorta una
disfunzione del ventricolo sn indicata la rivascolarizzazione miocardica ottenuta per via percutanea o
mediante intervento chirurgico di by-pass aorto-coronarico.

Terapia sindromi coronariche NSTE


La terapia delle sindromi coronariche NSTE mirata a facilitare la risoluzione del trombo ed evitare
levoluzione verso un trombo occlusivo, oltre che al controllo del quadro ischemico-anginoso.
105
Il paziente con angina refrattaria, instabilit emodinamica o instabilit elettrica necessita di intervento
precoce, e pertanto deve essere sottoposto entro 2 ore a coronarografia per la valutazione dellalbero
cardiaco e conseguente rivascolarizzazione percutanea o chirurgica, a seconda dellestensione della
malattia coronarica. Il paziente con basso score di rischio e con una situazione stabile pu essere effettuato
un test non invasivo prima di procedere ad una eventuale coronarogragia.

Laspirina il farmaco cardine per il trattamento di questi pazienti. Un ulteriore miglioramento del quadro
clinico pu essere ottenuto con laggiunta di un antiaggregante (clopidogrel) in quanto il trombo di una
sindrome NSTE ricco di piastrine.
I nitrati sublinguali rimangono il trattamento di scelta nellattacco acuto di angina e la loro
somministrazione endovena pu contribuire a stabilizzare il paziente, soprattutto in condizioni di
ipertensione o insufficienza ventricolare sinistra che rendono pi utile limpiego.
Tutti questi pazienti dovrebbero inoltre ricevere un beta-bloccante che migliora i sintomi e la prognosi dei
pazienti a pi alto rischio, mentre un calcio antagonista non diidropidinico pu costituire unalternativa per
il controllo dellangina in caso di controindicazione al beta bloccante.

Terapia infarto STE


Lobiettivo terapeutico primario nei pazienti con STEMi la ricanalizzazione del vaso coronarico occluso il
pi precocemente possibile. Il ripristino del flusso coronarico, infatti, consente di salvare dalla necrosi una
quota pi o meno rilevante del miocardio ischemico. La ricanalizzazione coronarica deve essere eseguita
entro 12 ore dalla comparsa dei sintomi. La ricanalizzazione pu essere ottenuta con due tipi di
trattamento, uno farmacologico (fibrinolisi) ed uno meccanico (angioplastica primaria).
Langioplastica primaria (con impianto di stent) il trattamento di scelta per la riperfusione coronarica
perch molto pi efficace della trombolisi. Se si prevede che il ritardo causato dallesecuzione
dellangioplastica primaria possa essere superiore a 2 ore, preferibile ricorrere alla trombolisi che pu
essere eseguita in qualsiasi struttura. Negli altri casi il trattamento di elezione langioplastica primaria
purch eseguita entro 12 ore dallesordio dei sintomi. Se la fibrinolisi non risulta efficace, ossia se dopo 90
minuti non si osserva una riduzione del sopraslivellamento ST del 50% e la scomparsa del dolore, il paziente
andr inviato presso il centro di riferimento per essere sottoposto ad angioplastica definitiva, in questo
caso di rescue entro 24 ore.

Tutti i pazienti con STEMI dovrebbero ricevere, a meno di controindicazioni, aspirina. Laggiunta di
clopidogrel consente un ulteriore miglioramento del decorso clinico, soprattutto in pazienti sottoposti ad
angioplastica (doppia antiaggregazione).
Tutti i pazienti dovrebbero ricevere, inoltre, un beta-bloccante per ridurre la frequenza cardiaca e
migliorare il flusso coronarico; mentre un ACE inibitore ( o un sartano) deve essere aggiunto ai pazienti con
ridotta funzione ventricolare sinistra per ridurre il rimodellamento ventricolare.
le indicazioni alluso dei nitrati sono analoghe a quelle descritte nelle NSTEMI, mentre i calcio-antagonisti
vengono considerati non indicati in questi casi.

Nei pazienti con infarto ventricolare destro bisogna limitare luso di nitrati, vasodilatatori e diuretici,
mentre pu essere utile la somministrazione di liquidi per aumentare il ritorno venoso.

Per quanto riguarda la prevenzione secondaria valgono le stesse raccomandazioni riportate per i pazienti
con angina stabile.

Complicanze acute dellIMA


Le complicanze acute sono:

106
Complicanze aritmiche: sono le complicanze pi frequenti di un infarto. Le aritmie pi frequenti in
questi casi sono le extrasistoli ventricolari (isolate, in coppia o in brevi episodi di tachicardia
ventricolare non sostenuta). Laritmia pi grave la tachicardia/fibrillazione ventricolare poich
richiedono un intervento tempestivo per ripristinare il normale ritmo cardiaco. I blocchi AV si
verificano invece in caso di IMA anteriori. Le bradiaritmie sono invece relativamente frequenti in
caso di IMA inferiore.
Complicanze emodinamiche: lo scompenso cardiaco acuto e lo shock cardiogeno sono le
complicanze emodinamiche pi frequenti dellIMA e sono gravati da unelevata mortalit. Altre
complicanze sono la rottura del setto interventricolare, la rottura o malfunzionamento del muscolo
papillare e la rottura della parete libera del ventricolo sinistro.
Complicanze ischemiche: sono costituite dal reinfarto miocardico e dallangina postinfartuale.

Altre complicanze di un infarto sono la sindrome di Dressler (pericardite post-infartuale, generalmente


dopo 1-2 settimane per una reazione autoimmune del tessuto pericardico peri-infartuale), embolia
polmonare ed embolia sistemica (complicanze oggi eccezionali per la terapia antitrombotica multipla a cui
vengono sottoposti questi pazienti).

107
Sincope
La sincope rappresenta una perdita improvvisa e temporanea della coscienza associata a caduta del tono
posturale determinata da ipoperfusione cerebrale globale transitoria. Il recupero tipicamente spontaneo,
completo ed abitualmente rapido.

Eziologia
La complessit nellinquadrare questa sindrome deriva dallampia eziologia ad essa associata:

1. Sincopi neuromediate:
a. Sincope vasovagale
b. Seno-carotidea
c. Situazionale
2. Sincopi ortostatiche:
a. Da insufficienza primaria autonomica;
b. Da insufficienza secondaria autonomica (diabete, amiloidosi, uremia)
c. Farmaco indotta (alcool, vasodilatatori, diuretici)
d. Da deplezione di volume ematico (emorragia, diarrea, morbo di Addison)
3. Sincopi da causa aritmica primitiva:
a. Disfunzione del nodo del seno (blocchi seno-atriali, malattia del nodo del seno o sindrome
bradicardia/tachicardia);
b. Disturbi della conduzione atrio-ventricolare;
c. Tachicardie parossistiche sopraventricolari;
d. Tachicardie ventricolari,
e. Sindromi aritmiche ereditarie
f. Malfunzionamento di dispositivi impiantabili;
g. Proaritmia da farmaci;
4. Sincopi secondarie a patologia strutturale cardiaca o cardiopolmonare:
a. Cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva;
b. Cardiomiopatia valvolare;
c. Infarto miocardico acuto,
d. Cardiomiopatia dilatativa;
e. Embolia polmonare
f. Tamponamento cardiaco;
5. Sincopi cerebrovascolari:
a. Sindromi da furto della succlavia..

La causa pi comune di sincope rappresentata dallipotensione neuromediata vasovagale; poi in ordine di


frequenza abbiamo la sincope cardiaca e le altre cause neurologiche. Leziologia della sincope resta
indeterminata nel 18-30% dei casi.

Fisiopatologia
La sincope determinata da una riduzione transitoria del flusso ematico cerebrale al di sotto dei limiti di
autoregolazione dei vasi cererbali. Un arresto improvviso del flusso ematico per 6-8 secondi o una caduta
pressoria sistemica al di sotto di 60 mmHg o una riduzione del 20% dellapporto di ossigeno cerebrale sono
tuti in grado di causare una perdita della coscienza per la particolare sensibilit dei neuroni della
formazione reticolare del tronco alla carenza di ossigeno. Le suddette cause comportano in modo diverso
questa ipoperfusione cerebrale.
Una brusca caduta pressoria, con conseguente ipoperfusione cerebrale, la causa delle sincopi da causa
cardiaca primitiva e secondarie a patologia strutturale cardiaca.
108
Lipotensione acuta pu essere indotta anche da una riduzione delle resistenze periferice per abonorme
stimolazione di meccanocettori, nocicettori, barocettori, centri corticali e sottocorticali, cos come si verifica
nella sincope neuromediata. La sincope vasovagale attivata da paura, dolore intenso, stress emozionali; p
verosimile che in questi casi si verifichino in individui predisposti unabnorme stimolazione dei
meccanocettori del ventricolo sinistro per una repentina distensione ventricolare o per una rapida
contrazione sistolica che determinano lattivazione di fibre amieliniche di tipo C. Questi stimoli raggiungono
i centri vasomotori midollari che inducono riduzione del tono simpatico ed ipertono vagale.
La sincope situazionale scatenata da minzione, defecazione, tosse o eruttazioni; in questi casi lattivazione
del riflesso inibitore simpatico e/o attivatore vagale determina in successione caduta delle resistenze
periferiche, vasodilatazione, riduzione del ritorno venoso centrale, caduta della gittata cardiaca non
compensata dalla tachicardia riflessa.
Nella sincope ortostatica, il passaggio dalla posizione distesa o seduta alla posizione eretta in presenza di
meccanismi neurovegetativi di compenso deficitari, comportano la caduta del tono simpatico e/o
iperattivazione del tono parasimpatico.
alterazioni dei meccanismi compensatori sono frequentemente alterati nei soggetti anziani e nei pazienti
diabetici; nei pazienti anziani il flusso pu essere gi ridotto a causa dellateromasia diffusa dei vasi.

Quadro clinico
La perdita di coscienza insorge allimprovviso ed di breve durata. La sincope pu essere preceduta in
alcuni casi da sintomi premonitori quali nausea, sudorazione, debolezza e turbe della visione che in alcuni
casi possono suggerire al paziente a trovare un appoggio ed in questo modo evitare la perdita di coscienza (
si parla quindi di presincope).

Questo quadro clinico importante perch pu permetterci di fare diagnosi differenziale con altre cause di
perdita anche apparente della coscienza (episodi non sincopali); si tratta dei disrodini che simulano la
sincope con deterioramento o perdita di coscienza (es. epilessia, intossicazioni, TIA vertebro basilare,
disordini metabolici) e i disturbi con coscienza conservata (es. catalessia, drop attack, sincope psicogena,
TIA carotideo).

Iter diagnostico
Dopo aver stabilizzato il paziente con la sequenza delle procedure di BLS, lapproccio diagnostico in
emergenza teso a distinguere la sincope vera dagli attacchi non sincopali, definire le cause responsabili
della sincope ed individuare rapidamente i pazienti con prognosi peggiore.
Per questo, come esami di primo livello devono essere eseguiti:

1. Anamnesi: importante perch in grado di individuare nel 50% dei casi la causa della sincope.
Lanamnesi raccolta dal paziente o da testimoni dovrebbe riguardare principalmente le circostanze
precedenti lattacco, le modalit di esordio ed il successivo decorso; si indaga in particolare la
posizione assunta al momento dellattacco, eventuale attivit svolta, fattori predisponenti
ambientali, durata della perdita di coscienza, sintomi successivi alla crisi, eventuale morsicatura
della lingua. Importante infine lanamnesi patologica prossima tesa ad indagare eventuali patologie
note che siano state la causa della sincope.
2. Esame obiettivo: bisogna valutare il colorito, lidratazione e la temperatura del paziente, pressione
arteriosa, esame obiettivo cardiaco e polmonare, stato delle pupille, segni di traumatismi,
incontinenza degli sfinteri.

A questo punto avremo gi distinto se si tratti di una sincope vera o di un episodio non sincopale e
potremmo aver gi identificato la causa della sincope. Occorre tuttavia sempre procedere con i seguenti
esami:

109
3. Esami di laboratorio: importanti nel sospetto di una causa metabolica o in presenza di segni di
ipovolemia. Si valuta lemocromo, la glicamia, gli alettroliti, lEGA, gli enzimi cardiaci;
4. ECG: permette di identificare alterazioni del ritmo che siano indicative di una sincope cardiaca
primitiva.

In questo modo avremmo dovuto aver riconosciuto la causa della sincope che tuttavia rimane sconosciuta
nel 30-45 % dei casi.

Trattamento
In un paziente che manifesta un episodio sincopale occorre attivare immediata mente la sequenza delle
procedure di BLS. In questi pazienti generalmente il polso presente, potendo essere ridotto, la
respirazione valida ma il paziente non risponde. Quindi dal punto di vista terapeutico le azioni successive
sono diverse a seconda delleziologia:

1. Sincope neuromediata: sollevare le gambe per favorire il ritorno venoso, somministrare atropina in
caso di bradicardia; eventualmente somministrare soluzioni fisiologiche o iposaline in caso di
ipootensione.
2. Sincope seno-carotideo: sollevare le gambe e ricoverare il paziente.
3. Sincope ortostatica: sollevere le gambe e ricoverare il paziente per un controllo della terapia o per
uneducazione nei passaggi posturali;
4. Sincope da cause cardiovascoalri: in caso di ischemia cardiaca bisogna valuatare la
rivascolarizzazione; in caso di sincope aritmica dopo la risoluzione del quadro acuto, dovendo
talvolta ricorre al defibrillatore o allinfusione di farmaci antiaritmici, bisogna successivamente
valutare limpianto di un pacemaker; in caso di una sincope meccanica bisogna valutare una terapia
cardiochirurgica dopo leventuale superamento del quadro acuto.

Necessitano di ricovero i seguenti pazienti:

Per approfondire la diagnosi: Anomalie ECG che suggeriscono unaritmia, Sincope durante sforzo
fisico, Sincope a riposo, Sincope che ha causato fratture o traumi severi, Anamnesi familiare per
morte improvvisa, Comparsa improvvisa di palpitazioni e sincope, Sincope recidivante.
Per impostare una terapia mirata: in caso di aritmie, ischemia cardiaca, sincope secondaria a
patologia strutturale cardiaca o cardiopolmonare, in caso di stroke o patologie neurologiche focali,
sincope cardioinibitoria neuromediata.

Durante il ricovero a scopo diagnostico, gli esami che generalmente vengono eseguiti nel sospetto di una
sincope di natura cardiaca da causa non ancora definita sono:

Esami di II livello: ECG holter, ecocardiogbramma, ECG da sforzo;


Esami di III livello: studio elettrofisiologico endocavitario o coronarografia;

Nel sospetto di una sincope neuromediata si esegue invece il Tilt test: il test ortostatico al tavolo inclinato
che valuta le modificazioni della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa in un paziente disteso su un
tavolo inclinato progressivamente da 0 a 60 in 20 minuti; la sensibilit e specificit del test pu essere
aumentata dopo somministrazione di nitrati per via sublinguale. La positivi del test data dalla comparsa
di ipotensione o bradicardia quando il paziente raggiunge l inclinazione di 60.
Gli esami diagnostici utili nel sospetto di una sincope cerebrovascolari sono: EEG, TC cerebrale, Ecodoppler
vasi epiaoritici.

110
Scompenso cardiaco acuto
(prof. Travaglino)

Lo scompenso cardiaco una condizione fisiopatologica in cui il cuore non in grado di pompare una
quantit di sangue adeguata alle richieste metaboliche dell'organismo o pu essere in grado di farlo solo a
discapito di pressioni di riempimento ventricolare. Il risultato unalterazione del metabolismo dei vari
organi e tessuti.
Questa condizione patologica comporta la comparsa di una serie di sintomi (dispnea e astenia) e segni
(edema e rantoli) che portano il paziente a frequenti ospedalizzazioni, una bassa qualit della vita e una
riduzione dellaspettativa di vita.

Classificazione
Linsufficienza cardiaca pu essere definita come cronica, con riferimento a pazienti con storia di IC in fase
di stabilit clinica, cronica decompensata, con riferimento a fasi di peggioramento e di instabilit del
quadro clinico, e acuta,per eventi clinici pi rilevanti che usualmente richiedono il ricovero in pronto
soccorso.

Unaltra classificazione della insufficienza cardiaca acuta si basa sulle caratteristiche del quadro clinico; si
distingue quindi:

Insufficienza cardiaca latente: corrisponde di fatto allIC cronica, in cui la terapia farmacologia
permette di mantenere un compenso fisiologico e la malattia non si manifesta clinicamente,
oppure alla fase iniziale di una Insufficienza cardiaca, quando i meccanismi di compenso
fisiologici riescono a compensare il deficit funzionale di questorgano.
Insufficienza cardiaca manifesta: quella in cui il pz abbia i sintomi caratteristici di questa
condizione patologica, generalmente come riacutizzazione di una forma di insufficienza cronica
o come primo episodio che porter a fare diagnosi di scompenso cardiaco.

Unaltra importante distinzione si basa sul tipo di disfunzione ventricolare; si distinguono:

Insufficienza cardiaca da disfunzione sistolica: in questi casi si osserva unalterazione della


contrattilit del miocardio ventricolare, talvolta a causa di una dilatazione ventricolare, che
porta ad una riduzione della frazione di eiezione rispetto ai valori fisiologici.

Insufficienza cardiaca da disfunzione diastolica: caratterizzata da una funzione ventricolare


conservata; la frzione di eiezione nella norma poich il ventricolo ha intatta la sua capacit di
contrarsi; tutavia si osserva una riduzione della distensibilit delle pareti ventricolari per cui il
cuore pi rigido della norma. Secondo alcuni questa forma di scompenso rappresenta in
realt una forma di compenso di unaltra condizione patologica che interessa il cuore (es.
ipertrofia, ipertensione arteriosa). Generalmente linsufficienza cardiaca a FE conservata
evolver in una disfunzione sistolica.

Unaltra distinzione scolastica dellIC quella che distingue linsufficienza cardiaca in insufficienza cardiaca
sinistra e destra. Nellinsufficienza cardiaca sinistra la disfunzione a carico prevalentemente delle sezioni
sinistre con coinvolgimento prevalentemente epatico (da congestione ad edema); al contrario
linsufficienza cardiaca destra vi invece liniziale coinvolgimento del circolo sistemico, manifestando i
segni e i sintomi di una congestione degli organi addominali. Questa distinzione ha una valenza molto
relativa in quanto, trattandosi di un sistema circuitale chiuso, lo scompenso cardiaco sinistro o destro
evolve sempre in uno scompenso generale. Tuttavia, possibile operare questa distinzione soprattutto
nelle fasi iniziali della malattia.
111
Eziologia
Qualsiasi condizione che porta ad una alterazione strutturale e funzionale del ventricolo sinistr pu
predisporre il paziente allo sviluppo dellinsufficienza cardiaca.
Le principali cause di insufficienza cardiaca acuta sono rappresentate da:

1. Scompenso acuto di una preesistente insufficienza cardiaca cronica: presentano invece cause
un po diverse ma che devono essere ricercate:
Ridotta complicance alla terapia: aumento di peso, abuso di sostanze, insufficiente
dosaggio della terapia;
Evento infiammatorio-infettivo acuto: bronchite, polmonite, cistite;
Riacutizzazione di processi infettivi risolti o comunque latenti;
Comparsa di unaritmia: in primis la fibrillazione atriale che pu essere di nuova insorgenza
oppure essere cronica con un aumento della risposta ventricolare media.
2. Sindromi coronariche acute
3. Malattie del pericardio: tamponamento cardiaco
4. Aritmie cardiache acute ventricolari: tachicardia ventricolare, fibrillazione ventricolare
5. Aritmie cardiache acute sopraventricolari in paziente con FE ridotta
6. Embolia polmonare massiva
7. Cardiomiopatie primitive
8. Miocarditi acute severe
9. Patologie valvolari: stenosi aortica severe, insufficienza aortica e mitralica acuta;
10. Crisi ipertensive
11. Stati di scompenso ad alta portata: anemia, fistole arterovenose, tireotossicosi;
12. Fattori precipitanti non cardiovascolari: scarsa compliance alla terapia medica, sovraccarico di
volume, infezioni, insulto cerebrale severo, ridotta funzione renale, asma, abuso di farmaci e di
alcool.

Nei paesi industrializzati, le sindromi cononariche acute sono diventate la causa predominante negli uomini
e nelle donne e infatti sono responsabili del 60-75% dei casi di insufficienza cardiaca.
La cadiopatia ischemica, le aritmie cardiache, il sovraccarico cronico di pressione da ipertensione arteriosa
o patologie valvolari ostruttive, le cardiomiopatie dilatative, le miocarditi virali o da farmaci sono le
principali cause di una disfunzione sistolica. Per quanto riguarda lo scompenso cardiaco diastolico le cause
principali sono la cardiomiopatia ipertrofica, lamiloidosi, la sarcoidosi e lemocromatosi.
La causa pi frequente di scompenso cardiaco destro acuto lembolia polmonare, mentre della forma
cronica lipertensione polmonare e la stenosi mitralica (Domanda desame di trappolini).

I fattori di rischio sono strettamente correlati con leziologia ed occorre conoscerli perch, laddove
possibile, occorre correggerli per rallentare il progredire dalla malattia:
Et: superiore a 55 e 65 rispettivamente nei maschi e nelle femmine;
Sesso maschile: perch non hanno l ombrello estrogenico della donna, che offre loro maggior
protezione da patologie CV in et fertile.
Ipertensione arteriosa: i meccanismi patogenetici sono riconducibili alla rapida progressione della
malattia aterosclerotica, allo sviluppo di ipertrofia ventricolare sinistra e alla compromissione della
funzione renale.
Ipertrofia ventricolare sinistra;
Aritmie cardiache: soprattutto la fibrillazione atriale.
Familiarit per le malattie cardiovascolari in parenti di primo grado.

112
Fisiopatologia
Per quanto riguarda i meccanismi fisiopatologici, fondamentale la distinzione tra linsufficienza cardiaca
diastolica, anche detta a frazione deiezione conservata (che viene descritta a parte in seguito) e
linsufficienza cardiaca sistolica, con frazione deiezione significativamente ridotta.
Linsufficienza cardiaca con frazione deiezione ridotta una
malattia che, seppur acuta, ha unevoluzione progressiva
caratteristicha; pu insorgere a seguito di un evento significativo
che pu causare un danno a livello del muscolo cardiaco, con
conseguente perdita funzionale dei cardiomiociti, o in
alternativa pu causare unalterazione della capacit del
miocardio di generare forza, impedendo al cuore di contrarsi
normalmente. Nella fase iniziale e nella maggior parte dei casi, i
pazienti possono risultare asintomatici o paucisintomatici
perch si attivano una serie di meccanismi di compenso come
conseguenza della presenza di un danno cardiaco e/o della
disfunzione ventricolare sinistra consentendo al cuore di
sostenere e modulare la funzione del ventricolo sinistro per un
periodo di mesi o anni. I meccanismi di compenso che sono stati
descritti finora sono il sistema renina-angiotensina-aldosterone
(RAA) e i sistemi nervosi adrenergici; questi sono responsabili
del mantenimento della portata cardiaca attraverso una
maggiore ritenzione di acqua e sale (causata
dalliperaldosteronismo secondario) e mediante un aumento
della contrattilit miocardica ( mediante il meccanismo di Frank-
Starling). Inoltre, vi l'attivazione di una serie di molecole con
azione vasodilatatoria, tra cui i peptidi natriuretici atriale e cerebrale (ANP e BNP), prostaglandine (PGE2 e
PGI 2), e ossido nitrico (NO), che compensa l'eccessiva vasocostrizione vascolare periferica. Il passaggio
della fase asintomatica alla fase sintomatica dello scompenso cardiaco non mostra un esatto meccanismo
dazione ma si osservato che accompagnata da valori crescenti di sostanze neurormonali, adrenergiche
e citochine che portano al rimodellamento del ventricolo sinistro che causa una progressiva perdita
funzionale. La presenza di queste disfunzione poi responsabile della comparsa dei sintomi e dei segni
clinici che possono indirizzarci nella diagnosi.

La funzione diastolica, cio la fase di rilasciamento isovolumetrico e di riempimento del cuore, influenzato
non solo dalle condizioni di carico, ma anche dalle propriet elastiche del miocardio. La perdita di elasticit
si accompagna ad un aumento della rigidit e quindi ad una riduzione della distensibilit. Nel cuore
insufficiente, la distensibilit e minore e per uno stesso volume di riempimento la pressioen diastolica sar
significativamente maggiore. In altri termini, la pressione diastolica necessarie per riempire il ventriolo allo
stesso volume sar maggiore.
La relazione tra laumento del volume cardiaco e un determinato aumento di pressione, cio il rapporto tra
lentit delle modificazioni della pressione e del volume, viene definita come compliance. La perdita
patologica della compliance comporta una aumento della rigidit muscolare e quindi delle camere
cardiache. La compliance del cuore influenza sia la curva di Starling come pure la velocit iniziale del
riempimento cardiaco. Un cuore pi rigido avr una maggiore difficolt a mantenere una buona
performance cardiaca allaumentare del volume telediastolico; inoltre sar necessaria una pressione pi
elevata pi elevata nellatrio. Anche in questo caso si attivano inizialmente i suddetti meccanismi di
compenso che quando diventano insufficienti portano al quadro clinico dello scompenso cardiaco.

Quadro clinico
Il quadro lcinico varia notevolmente in rapporto alla severit del deficit funzionale, ai meccanismi
fisiopatologici coinvolti ed ai fattori eziologici responsabili. Lanalisi clinica dovrebbe pertanto procedere sia

113
attraverso il riconoscimento del quadro clinico generale dellinsufficienza cardiaca acuta nei suoi vari
aspetti e sia attraverso la ricerca attenta di elementi che possano orientare il clinico verso una probabile
diagnosi eziologica.

In caso di insufficienza cardiaca acuta con prevalente deficit sistolico il profilo clinico caratterizzato da
congestione polmonare associata ad ipoperfusione periferica da deficit della funzione sistolica ventricolare
sinistra. Lo spettro sindromi varia in rapporto al grado dellinsufficienza sistolica, alleventuale
interessamento contemporaneo delle camere cardiache di destra e di una cardiopatoa cronica
preesistente. I sintomi generalmente presenti in una insufficienza cardiaca acuta sistolica sono:

1. Dispnea: sintomo pi comune e precoce. Pu essere presente a riposo oppure insorgere per sforzi
fisici minimi. Nei casi di maggiore severit la dispnea ingravescente a riposo, oppure si manifesta
come asma cardiaco e dispnea parossistica notturna. La classe funzionale NYHA utilizzata per
definire la soglia della dispnea.
2. Tosse: prima secca poi produttiva con emissione di espettorato schiumoso, roseo o ematico.
3. Astenia.
4. Cardiopalmo

I segni clinici caratteristici sono rappresentati invece da :

1. Alterazioni del sensorio: da ansia- agitazione-confusione fino al coma.


2. Decubito ortopnoico
3. Cute cianotica
4. Tachipnea, respiro di Cheyne-Stokes, respiro addominale
5. Ottusit a livello delle basi polmonari: entrambi i campi polmonari, partendo dalle regioni basali dei
polmoni e interessando progressivamente le regioni pi apicali, come risultato della progressione
del grado di scompenso cardiaco.
6. Possibile pulsazione sistolica anomala;
7. Possibile rigurgito mitralico
8. Polso alternante, piccolo
9. Ipotensioen arteriosa: in presenza di bassa portata PAS < 120 mmHg; in presenza di shock
cardiogeno PAS < 90 mmHg;
10. Contrazione della diuresi per IRA pre-renale.

In caso di insufficienza cardiaca diastolica, il profilo clinico caratterizzato da segni e sintomi di bassa
portata cardiaca associata a congestione venosa polmonare e/o sistemica da ostacolo al riempimento
ventricolare. La funzione sistolica pu essere anche normale, tuttavia i sintomi e segni clinici sono
indistinguibili da quelli dellinsufficienza sistolica.

Lintensit di questi sintomi dipende dal grado di compromissione della funzione cardiaca; possibile
classificare questi pazienti sulla base della sintomatologia clinica con la classificazione NYHA (New York
Heart Association) in quattro classi:
Classe I: nessuna riduzione dellattivit ordinaria.
Classe II: leggera limitazione dellattivit giornaliera (es. pu svolgere le normali attivit quotidiane,
ma ha laffanno salendo due piani di scale o camminando in salita).
Classe III: il paziente limitato nelle sue attivit quotidiane, che riesce a svolgere ma con la
comparsa di affanno.
Classe IV: il paziente presenta affanno anche a riposo, con prognosi a breve tempo molto severa.

Infine, bisogna considerare che i pazienti con uninsufficienza cardiaca cronica decompensata possono
presentare abitualmente alcuni di questi sintomi , in entit variabile al grado di compromissione della

114
funzione cardiaca. La riacutizzazione si riconosce per un peggioramento importante di questi sintomi
rispetto alla condizione clinica abituale, passando repentinamente ad una classe NYHA superiore.

Iter diagnostico
A tutt'oggi non esistono valori di riferimento della disfunzione cardiaca o ventricolare. La diagnosi di
scompenso cardiaco quindi clinica e avvalorata da indagini diagnostiche.
La parte clinica si avvale sia di un'attenta anamnesi che di un accurato esame obiettivo alla ricerca delle
caratteristiche descritte precedentemente.
Successivamente opportuno sottoporre questi pazienti ad esami completi del sangue valutando gli
elettroliti, lurea, la creatinina serica e gli enzimi di necrosi epatica. I livelli circolanti dei peptidi natriuretici
sono importanti nella definizione della diagnosi del paziente con insufficienza cardiaca. importante il
dosaggio sia del BNP che del pro-BNP, che sono rilasciati in corso di insufficienza cardiaca e rappresentano
dei markers relativamente sensibili della presenza di insufficienza cardiaca con frazione deiezione ridotta.
Altri biomarkers, come la troponina T e I potrebbero essere elevati in caso di insufficienza cardiaca
soprattutto laddove la causa sia ischemica.
LECG un esame altrettanto importante perch permette una valutazione della funzionalit cardiaca
elettrica; i reperti da ricercare sono soprattutto quelli di aritmie di compenso (come una tachicardia
sinusale, o patologiche, tipo una fibrillazione atriale), reperti di unischemia o infarto e infine ipertrofie
delle camere.
LRx del torace permette di ottenere maggiori informazioni riguardo le dimensioni dellaia cardiaca, cos
come dello stato della circolazione polmonare, ed importante che venga effettuata per identificare cause
non cardiache del quadro in cui si mostra il paziente.
Lecocardiogramma consente invece una visualizzazione della cinetica cardiaca, una stima delle dimensioni
delle camere ed il loro spessore, della capacita contrattile globale e segmentaria, difetti valvolari
(linsufficienza mitralica pu giocare un ruolo particolarmente importante nellinstaurarsi dello scompenso).
La coronarografia, soprattutto nei pazienti diabetici, in cui si hanno dei segnali di sofferenza ischemica un
esame fondamentale. Permette, infatti, di valutare lo stato dei vasi cardiaci, anche se non risulta efficace
nello studio del microcircolo. Qualora allecocardiogramma si evidenzino delle alterazioni segmentarie della
cinesi associate ad elementi anamnestici che facciano pensare ad una sindrome coronarica acuta, allora la
coronagrofia diventa importantissima. Durante questesame inoltre possibile dilatare delle eventuali
stenosi, permettendo quindi sia la riperfusione dei distretti a valle, ma anche la riduzione delle resistenze a
monte.

Terapia
Il paziente con IC acuta deve essere immediatamente sottoposto a trattamento ed ospedalizzato. Le
principali azioni terapeutiche che devono essere intraprese sono:

1. Monitoraggio dei parametri vitali: livello di coscienza, frequenza cardiaca, frequenza respiratoria,
temperatura corporea, pressione arteriosa, ECG, saturazione;
2. Somministrare Ossigeno: con occhialini o con caannula nasale nei casi meno gravi, oppure con
sistemi ad alto flusso nei casi gravi;
3. Intubare il paziente in caso di marcata alterazione dello stato di coscienza, segni di distress
respiratorio, rischio di polmonite ab ingestis, segni e sintomi di grave ipoperfusione;
4. Assicurare un accesso vascolare venoso;

Le azioni terapeutiche successive dipendono dal quadro clinico che manifesta il paziente:

Paziente aritmico: cardioversione elettrica in presenza di tachiaritmie sopraventricolari o


ventricolari con instabilit emodinamica; in caso di insuccesso, si somministra amiodarone o
eventualmente si ripete la cardioversione;
Paziente bradiaritmico: somministrare atropina;
Paziente con edema pomonare acuto: descritta in seguito;

115
Paziente con dolore intenso: somministrare un farmaco analgesico;
Paziente con marcato broncospasmo: somministrare aminofillina solo in assenza di aritmie
ipercinetiche.
Paziente con shock cardiogeno: inotropi positivi (es. Noradrenalina, Dopamina)
Paziente con insufficienza distolica: si somministrano diuretici e nitroglicemia in presenza di
normo-ipertensione arteriosa. In presenza di ipotensione, la somministrazione di dobutamina pu
essere indicata per leffetto agonista -adrenergico che determina un positivo effetto lusitropico e
migliore rilassamento ventricolare;
Paziente con insufficienza cardiaca riacutizzata: non necessario limpiego di farmaci inotropi;
importante individuare e scorregge eventuali fattori precipitanti; in presenza di normo-
ipertensione si somministra furosemide e nitroglicerina per via endovena.

Altre azioni terapeutiche dipendono dalla causa specifica dellinsufficienza cardiaca (es. trombolisi in caso di
IMA).

Edema polmonare acuto cardiogeno


Si definisce edema polmonare acuto il quadro clinico caratterizzato dalla trasudazione improvvisa e
progressiva di liquido siero-ematico e soluti a livello degli alveroli polmonari, con secondaria insorgenza di
insufficienza respiratoria acuta. Linsufficienza cardiaca acuta o cronica riacutizzata rappresenta la causa
della comparsa di questo trasudato.

Una distinzione fondamentale viene fatta dal punto di vista fisiopatologico e clinico, tra edema polmonare
acuto cardiogeno ed edema polmonare acuto non cardiogeno.
Ledema polmonare acuto cardiogeno dovuto allaumento della pressione idrostatica a livello della
circolazione polmonare e rappresenta il quadro clinico pi drammatico dellinsufficienza ventricolare
sinistra. Infatti, in conseguenza del cedimento della funzione ventricolare sinistra, si determina, a monte del
ventricolo sinistro, un aumento della pressione venosa polmonare che si traduce in uniniziale congestione
polmonare. Ledema polmonare compare quando la pressione nei capillari polmonare aumenta al di sopra
dei 25 mmHg, per cui lequilibrio tra pressione idsostatica e pressione oncotica a sfavore di questultima e
questa condizione favorisce la trasudazione di liquido nellinsterstizio (edema polmonare interstiziale) e
successivamente anche negli alveoli (edema polmonare alveolare). Nella fase di edema interstiziale non si
ha il broncospasmo ma questo si ha quando ledema alveolare e interessa anche i bronchioli terminali,
insomma quando ledema diventa importante. Ne consegue uningravescente compromissione della
funzione polmonare con insorgenza di insufficienza respiratoria acuta per insufficienza dello scambio
gassoso e per insufficienza della meccanica ventilatoria. (BRUNO: L'edema polmonare acuto non
ASSOLUTAMENTE dato da un aumento della pressione venosa. Non una diminuita gittata sistolica che pu
dare un edema polmonare acuto, bens una disfunzione del ventricolo SN. La miocardite PIU' FREQUENTE
che ti d un edema polmonare acuto la MIOCARDITE RESTRITTIVA.).
Ledema polmonare acuto non cardiogeno lARDS.

Le cause di un edema polmonare acuto cardiogeno sono le stesse di uninsufficienza cardiaca acuta sinistra,
in primis le sindromi coronariche acute.

Il quadro clinico dellEPA cardiogeno caratterizzata da diverse fasi a seconda dellevoluzione del quadro
edematoso polmonare:

1. Edema interstiziale: in questa fase il pz avr un dispnea da sforzo con una tosse secca;
obiettivamente sentiremo dei fini crepitii inspiratori alle basi ; lemogas di solito, a meno che il pz
nons sia anziano o abbia qualche comorbilit respiratorie, normale.

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2. Edema alveolare: la dispnea pi intensa con sforzi lievi. Dal punto di visto obiettivo sentiremo dei
rantoli a piccole bolle sempre inspiratori di solito alle basi. Lemogasanalisi qui evidenzia
uneventuale riduzione della P parziale di ossigeno, cio pu essere coinvolto lo scambio gassoso.
3. Edema polmonare conclamato: avremo una dispnea a riposo ma tipica di questa fase la dispnea
parossistica notturna; osserveremo anche tachipnea. Il paziente assume un decubito obblicato in
posizione seduta. Si auscultano rantoli a bolle medie e cominciano a sentirsi sibili respiratori a
causa del broncospasmo secondario allimpegno umido dei bronchioli terminali. Nelle fasi avanzate
insorge linsufficienza respiratoria acuta ipossiemica (poich altareta la membrana alveolo
capillare ma il paziente iperventila e quindi riduce la CO2) dimostrata dai segni clinici e
laboratoristici di questa sindrome. Il sintomo caratteristico dellEPA cardiogeno la dispnea; pu
manifestarsi come dispnea da sforzo, ortopnea, dispnea parossistica notturna o come asma
cardiaco.
4. Edema polmonare conclamato grave: il paziente in condizioni cliniche gravi; in questa fase si parla
di periarresto per cui importante agire prontamente al fine di impedire la comparsa di un arresto
cardiaco. Il paziente mostrer tachipnea, respiro superficiale ed inefficace; evidente a questo
punto la marea montante (rantoli da piccole a grandi bolle, dalla base dei polmoni verso gli apici
con il progredire dello scompenso). Aumentano i sibili per aumento della reattivit bronchiale e
insorge una IRA ipossiemica e ipercapnica.

Si fa diagnosi con l' auscultazione del torace e la si conferma con la radiografia del torace che mostra i
segni di congestione polmonare; questi segni vanno dalla ridistribuzione del circolo venoso nei campi
polmonari superiori alle opacit confluenti ad " ali di farfalla " periilari. I segni radiografici possono
precedere di 12 ore lesordio clinico della sindrome e possono scomparire dopo 4 giorni dal miglioramento
clinico del paziente.

Per quanto riguarda la terapia, lEPA in fase 3 e 4 difficilmente risponde alla terapia farmacologica isolata
per questo richiedono una NIV per risolvere il quadro dellinsufficienza respiratoria acuta. Per le fasi 1 e 2,
la terapia prevede:

1. Monitoraggio dei parametri vitali;


2. Ossigenoterapia al 100% con maschera;
3. Terapia farmacologica: in un paziente ipoteso, la terapia farmacologica prevede la
somministrazione di dopamina o dobutamina per sostenere la funzione inotropa del cuore. Nel
paziente normo-iperteso, si somministra furosemide, morfina solfato, nitroglicerina per os. Nel
paziente normo-iperteso, la Digitale rappresenta un farmaco da somministrare in caso di
fibrillazione atriale ad elevata frequenza di risposta ventricolare.
4. Valutazione di broncospasmmo: in caso di broncospasmo severo si somministra Aminofillina.

Le altre azioni terapeutiche sono quelle descritte a proposito dellIC acuta.

117
Dissecazione aortica acuta
(dott. Negro)

La dissecazione aortica acuta unentit nosologica caratterizzata da importante morbilit e mortalit. Si


tratta di una condizione una lacerazione dellintima porta il sangue ad accumularsi negli strati pi profondi
della parete dellarteria con successivo scollamento delle pareti creando quindi un falso lume. Lestensione
del falso lume pu essere variabile lungo il decorso dellarteria e pu, nei casi pi favorevoli, nel vero lume
attraverso una seconda comunicazione. La diagnosi e il trattamento terapeutico, medico e/o chirurgico,
devono essere assolutamente tempestivi poich la prognosi dipende in modo determinante sia dalla
velocit ed accuratezza della diagnosi che dalla rapidit con cui il malato arriva in sala operatoria allo scopo
soprattutto di prevenire complicanze maggiori come la completa rottura del vaso, il tamponamento
cardiaco o linsufficienza aortica acuta.

Aspetti classificativi
Le dissezioni originano dovunque lungo larteria, soprattutto a livello di placche aterosclerotiche ulcerate,
ma le due sedi pi comuni sono a livello dellaorta ascendente prossimale entro 5 cm dalla valvola ortica e a
livello dellaorta discendente in una porzione situata appena sotto lorigine dellarteria succlavia sinistra.
La dissezione viene quindi tipicamente classificata sulla base dellestensione anatomica del falso lume:

Classificazione di Stanford:
TIPO A dissecazione dellaorta ascendente e discendente.
TIPO B dissecazione dellaorta discendente

Classificazione di De Bakey
TIPO I estesa allaorta discendente
TIPO II localizzata allaorta ascendente
TIPO III origina dopo la. succlavia sx
TIPO IV fino al diaframma
TIPO IV bis fino alle aa. bisiliache

La dissecazione aortica pi comune e pericolosa quella TIPO A secondo Stanford.

Epidemiologia e fattori di rischio


La dissezione dellaorta, la pi comune emergenza aortica, presenta unincidenza compresa tra 0.5 e
2.95/100000/anno. LItalia uno dei paesi a maggiore incidenza soprattutto nella fascia di et compresa tra
40 e 70 anni. Il rapporto maschi/femmine di 2-5:1.

Leziologia della dissezione dellaorta deve ricondursi a tutti quei fattori che determinano indebolimento
della parete, particolarmente della lamina media e stress parietale:

Ipertensione arteriosa
Ipercolesterolemia
Eventi traumatici:
o Chirurgia aortica e toracica
o Cateterismo cardiaco
o Shock elettrico
o Manovre di rianimazione cardio polmonare
o Incidenti stradali
Tossici:
o Amfetamine
o Cocaina
118
o Fumo di sigaretta
Malattie ereditarie degenerative
o Sindrome di Marfan
o Sindrome di Ehler-Danlos
o Dissezione aortica familiare
o Malattia arteriosclerotica (causa pi frequente)
Malattie infiammatorie:
o Arterite di Takayasu
o Arterite a cellule giganti
o Sindrome di Bechet
o Aortite
Difetti valvolari aortici congeniti
o Valvola aortica bicuspide
Gravidanza (raramente)

Altri potenziali fattori di rischio non modificabili sono il sesso maschile e let compresa tra i 60-70 anni.
Lipertensione arteriosa rappresenta il principale fattore di rischio poich determina stress parietale,
sclerosi della parete e dilatazione aneurismatica. Tuttavia, i difetti valvolari, le malattie ereditarie del
tessuto connettivo, la gravidanza e luso di cocaina aumentano significativamente il rischio nelle classi di
et pi giovani.

Quadro clinico
I quadi clinici desordio pi frequenti comprendono:

Dolore toracico acuto (95 %): ha un carattere brusco, spesso lacerante (definito dal paziente
come un colpo di pugnale al petto), improvviso, ingravescente, insopportabile, che non
risponde ai sedativi. Il dolore molto intenso allinizio e non cresce di intensit come per altre
patologie che producono dolore nella parte centro-superiore del tronco. La sede iniziale, tipica
degli aneurismi di tipo A, abitualmente situata nella regione toracica anteriore, con carattere
violento, lacerante, che non d tregua. Il dolore tende tipicamente ad aumentare nei minuti e
nelle ore successive ed assume sede posteriore, tipicamente nella regione infrascapolare nel
70% dei casi circa. Nella dissecazione dellaorta toracica, invece, il dolore origina nella
infrascapolare. Pi raramente pu insorgere anche in altre sedi quali il collo, la mandibola, la
regione epigastrica, la regione lombare, la regione pelvica e le gambe.
Altamente significativa poi la migrazione del dolore, dalla sede di origine lungo laorta o la
colonna vertebrale, man mano che la dissezione si estende. Il dolore toracico pu essere isolato
o associato a sincope o segni di scompenso cardiaco congestizio o accidenti cerebrovascolari.
Sincope: rappresenta levento neurologico pi frequente ma compare come manifestazione
desordio in meno del 10% dei pazienti; rappresenta un segno particolarmente infausto.
Tamponamento cardiaco: anche in questo caso il sintomo principale rappresentato dalla
sincope che precede la morte improvvisa
Ictus ischemico (5%): con possibile comparsa di emiplegia, paraparesi o paraplegia.
Ischemia arteriosa acuta degli arti inferiori o di un solo arto: si manifesta con plegia o paresi
dellarto interessato;
Infarto miocardico acuto
Questi ultimi tre quadri clinici si manifestano in quanto la dissecazione comporta lostruzione
dei rami arteriosi che si dipartono dallaorta (arterie coronarie, tronco comune, carotide
comune, succlavia).

119
In alcuni casi la dissecazione si presenta con sudorazione algida, ematemesi per perforazione in esofago o
con emottisi da emorragia nellalbero tracheobronchiale.

La presentazione clinica pi classica in PS della dissecazione aortica quella di un uomo di circa 60 anni,
affetto da ipertensione, che presenta un forte dolore al petto o al dorso a insorgenza improvvisa.

Iter diagnostico
Anamnesi ed esame obiettivo sono fondamentali per sospettare una dissecazione, ma non possono essere
considerati da soli sufficienti ad escluderla, soprattutto in considerazione dellelevata mortalit associata ad
un ritardo diagnostico.

Una rapida anamnesi deve innanzitutto raccogliere i dati relativi ai fattori di rischio per una dissecazione
aortica e per le condizioni pi gravi in diagnosi differenziale; quindi si devono indagare i sintomi di
presentazione: lassenza di dolore non deve fare escludere una dissecazione sebbene ne renda la diagnosi
meno probabile.

Lesame obiettivo pu offrire dati importanti circa la presenza e la sede di origine della dissezione.
La diminuzione o la scomparsa dei polsi arteriosi periferici (poplitea e pedidea principalmente)
documentabile nella maggior parte dei casi. Generalmente i polsi bilaterali non sono isosfigmici tra di loro.
La pressione arteriosa abitualmente elevata, soprattutto nei casi di dissezione distale. Lipotensione o un
quadro di shock sono abitualmente indicativi di una sindrome da bassa gittata da deficit miocardico o da
perdita ematica da rottura della parete aortica e rappresentano pertanto indici prognostici negativi. La
misurazione della pressione arteriosa che rilevi valori diversi di PAS e PAD fortemente indicativo di una
dissecazione aortica.
Un soffio diastolico a livello dellarea aortica (16-20% dei casi) indicativo di insufficienza valvolare aortica
acuta causata dalla dilatazione dellanulus o dalla rottura di un lembo; inoltre i toni cardiaci possono essere
ovattati.
La fuoriuscita di sangue dalla dissezione allinterno della cavit pericardica pu causare, allimprovviso,
tamponamento cardiaco ed arresto cardiaco da dissociazione elettromeccanica.
Le manifestazioni neurologiche sono pi frequenti nelle dissezioni prossimali e comprendono, oltre alla
sincope, alterazioni dello stato mentale, emiparesi, paraparesi o paraplegia, questultima secondaria ad
ischemia del midollo.

In presenza di un simile quadro clinico, liter diagnostico deve procedere con esami di laboratorio e
strumentali.
Alle indagini di laboratorio, pu essere rilevata una lieve-moderata leucocitosi. I valori di ematocrito e di
emoglobina possono essere normali o evidenziare lieve o grave anemia. Sono necessarie determinazioni
seriate dellematocrito. Non esistono marcatori specifici; in un 25% dei casi si riscontra un aumento delle
troponine indice di un danno ischemico ma non pu assolutamente essere considerata come marcatore
specifico della dissecazione.

Lesame ECG risulta particolarmente utile allo scopo di formulare una diagnosi differenziale tra infarto
miocardico acuto e dissezione aortica. Deve essere tuttavia segnalato che entrambe queste patologie
possono coesistere a causa dellocclusione di unarteria coronarica (pi frequentemente la destra) da parte
dellematoma. Per questo sono necessarie altre indagini diagnostiche.

LRX del torace, da eseguirsi in due proiezioni, antero-posteriore e laterale, pu fornire solo qualche
elemento di sospetto sulla presenza di una dissezione aortica. I reperti suggestivi per una dissecazione
aortica sono:

Slargamento mediastinico
Sporgenza del contorno dellaorta
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Segni di versamento pleurico
Deviazione della trachea

In presenza di questi segni radiologici e in tutti i casi in cui il paziente sia instabile, per cui i precedenti
accertamenti potrebbero ritardare una diagnosi pi rapida e accurata, indicato eseguire una TC con
mezzo di contrasto: la sensibilit di questa metodica di circa il 90% e la specificit intorno all85%. La
membrana intimale si rileva nel 70% dei casi. Tale metodica risulta utile nella definizione dellestensione e
della localizzazione della dissezione ed inoltre offre preziose informazioni circa eventuali emergenze come
la rottura e la diffusione dellemorragia.

La angio-RM probabilmente la migliore delle metodiche diagnostiche in termini di sensibilit e specificit.


Il limite principale di questa metodica costituita dal tempo necessario per lesecuzione dellindagine.

Lecografia transesofagea estremamente sensibile e specifica ed attualmente deve essere considerata la


metodica di riferimento in tutte le emergenze con sospetto di patologia aortica acuta. Tale metodologia
notevolmente diffusa, a basso costo, rapida e scarsamente invasiva. Grazie alla notevole vicinanza del
trasduttore alla struttura cardiaca e allaorta consente di utilizzare ultrasuoni a brevissima lunghezza
donda e quindi capaci di elevatissima definizione spaziale.

Complicanze
Le principali complicanze che possono insorgere improvvisamente in un paziente con una dissecazione
aortica sono:

Morte per rottura della parete aortica esterna con conseguente emorragia interna;
Morte per ictus cerebrale massivo
Morte per tamponamento cardiaco da emopericardio: in questi casi la pericardiocentesi potrebbe
essere dannosa poich riduce la pressione intrapericardica e pu causare, pertanto,
sanguinamento ricorrente;
Infarto renale: per occlusione delle arterie renale;
Insufficienza aortica per un suo danneggiamento.

Approccio terapeutico in emergenza


In attesa dellesecuzione delle metodiche diagnostiche di imaging indicato per questi pazienti:

1. Controllo del dolore morfina ;


2. Controllo della frequenza cardiaca se elevata con -bloccanti, se < 70 bpm con agenti cronotropi;
3. Controllo della pressione arteriosa (Target PAS < 110, PAD < 70) Nitroprussiato di sodio
4. Monitorare i parametri vitali: in presenza di marcata instabilit emodinamica il paziente dovrebbe
essere intubato e ventilato.

Dopo aver confermato la diagnosi, i successivi provvedimenti terapeutici saranno diversi in rapporto
allentit della dissecazione:

Dissecazione aortica di tipo A terapia chirurgica vascolare in emergenza per limpianto di un graft
in aorta ascendente allo scopo di prevenire la rottura aortica e il tamponamento pericardio e di
limitare il rigurgito aortico;
Dissecazione aortica di tipo B Terapia medica o chirurgica. Per questi pazienti, i risultati della
terapia medica ipotensivante sono simili a quelli ottenibili con lintervento chirurgico (mortalit 20-
40%). Si preferisce, pertanto, stabilizzare il paziente con la terapia medica (-bloccanti +
Nitroprussiato di sodio), riservando lintervento chirurgico durgenza in caso di dolore intrattabile,
progressiva espansione del falso lume, ischemia viscerale o degli arti, rottura imminente.

121
Nei pazienti che riescono a risolvere il quadro acuto, il trattamento a lungo termine richiede un accurato
follow-up per le complicanze tardive di cui le pi importanti sono la recidiva della dissezione, la formazione
di un aneurisma localizzato nellaorta indebolita e linsufficienza valvolare aortica progressiva. La
sopravvivenza dei pazienti trattati e sopravvissuti alla fase acuta di circa il 60% a 5 anni e del 40 a 10% a
10 anni.

122
Pneumomediastino
(dott. Negro)

Lo pneumomediastino o enfisema mediastinico si intende una infiltrazione gassosa dei tessuti cellulari
mediotoracici conseguente alla penetrazione di aria nello spazio mediastinico.

Classificazione fisiopatologica
La classificazione in base ai meccanismi fisiopatologici prevede diverse possibilit per ognuna delle quali
possono essere innumerevoli le cause.

Il meccanismo diretto il pi semplice ed immediato. Il passaggio di aria pu avvenire per comunicazione


diretta tra ambiente esterno e mediastino. Questo si verifica ad esempio per:

Rottura patologica o traumatica esofagea: pu verificarsi durante unendoscopia o nella sindrome


di Boerhave che interessa i pazienti bulimici o anoressici quando attuano pratiche evasive del
contenuto gastrico che porta ad una lacerazione dellesofago;
Rottura patologica o traumatica dellalbero tracheo-bronchiale: si verifica pi frequentemente
come lesione da decelerazione dopo un incidente stradale che causi un trauma contusivo del
torace contro lairbag.
Ferita penetrante.

Il meccanismo di Hamman-Macklin il meccanismo chiamato in causa in moltissime forme di


pneumomediastino. Questa ipotesi fu formulata da Hamman e confermata da Macklin e sostiene che in
tutti i casi di pneumomedistino spontaneo, primitivo o secondario, il primum movens sarebbe
rappresentato da una rottura spontanea degli alveoli marginali, posti a contatto dei vasi polmonari, del
tessuto interstiziale, dei piccoli bronchi, dei bronchioli e quindi sottoposti a maggior stress pressorio. La
rottura sarebbe dovuta ad unalterazione del gradiente pressorio esistente tra vaso sanguigno ed alveolo
per improvviso aumento della pressione intravalvolare. Questultima condizione si verifica a seguito di una
crisi asmatica, manovra di Valsalva e manovra di Heimlich, vomito, tosse persistente, respirazione
profonda, respirazione assistita, esercizio fisico intenso o per una brusca riduzione del flusso arterioso
polmonare (embolia polmonare, riduzione del ritorno venoso del cuore destro), immersioni subacquee.
Una volta determinatasi la rottura dellalveolo, laria penetra nellinterstizio determinando enfisema
interstiziale; di qui, attraverso la via di fuga lungo le guaine perivasali ed i piani fasciali peribronchiali, laria
giunge fino allilo polmonare determinando pneumomediastino con un percorso cosiddetto anterogrado.

Lo pneumomediastino che si forma per via sottofasciale si verifica come evento secondario di traumi
complicati da fratture costali e/o sternali con pneumotorace, oppure a procedimenti diagnostici e
terapeutici invasivi, come la toracentesi, la pleuroscopia, la biopsia polmonare trans-toracica e il
posizionamento di drenaggi toracici, che possono determinare lo scollamento delle fasce toraciche con
messa in comunicazione tra le vie aeree, il cavo pleurico ed i tessuti interstiziali della parete toracica. In
questi casi l'aria, dal tessuto sottocutaneo, dove penetra a seguito delle cause sopra riportate, si pu
distribuire attraverso i piani fasciali profondi. Se si espande verso l'alto pu arrivare, lungo le regioni
toraciche, fino al collo ed al volto, determinando un errfisema sottocutaneo in queste sedi, per poi
raggiungere il mediastino, seguendo un percorso inverso, cos da provocare anche un errfisema
mediastinico con un meccanismo cosiddetto "retrogrado".

Lo pneumomediastino che si forma per via sottosierosa pu avere unorigine ascendente o discendente.
Nella forma discendente l'aria passa sotto laponeurosi cervicale mediana del collo, come pu avvenire, per
esempio, in caso di tracheotomia, interventi chirurgi ci sul collo, estrazioni dentarie, tonsillectomia, traumi
della bocca, manovra di Politzer, ecc.
123
Nella forma sottosierosa ascendente l'aria, a partenza sotto- diaframmatica addominale o retro-peritoneale
risale attraverso gli orifizi diaframmatici, come accade per esempio per perforazione patologica o
traumatica di un viscere addominale cavo, per esempio in corso di ERCP. Tuttavia, lo pneumomediastino
sicuramente meno frequente dello pneumotorace e ancora non chiaro perch alcuni soggetti tendano a
fare pneumotorace e altri lo pneumomediastino.

La formazione dello pneumomediastino per via pleurica mediastinica si ha quando laria raggiunge il
mediastino per filtrazione, sotto tensione, attraverso la pleura parietale mediastinica; questo pu accadere
in particolare in corso di pneumotorace ipertensivo, oppure nel corso di bolle enfisematose o caverne
iuxtamediastiniche.

Infine, la formazione dello pneumomediastino si pu verificare secondariamente ad infezione da germi


aerogeni. Questa eventualit pu verificarsi in caso di formazione di ascesso mediastinico o di mediastinite,
causata da germi aerogeni (Klebsiella, Enterobacter, Clostridii, etc.) nel decorso post-operatorio
cardiotoracico.

Quadro clinico
I casi di pneumomediastino ad evoluzione benigna sono molto pi numerosi rispetto a quelli che si
presentano in maniera drammatica, come sindrome mediastinica acuta ad evoluzione infausta.
In molti casi di pneumomediastino il quadro clinico obiettivo non eclatante, ma lo pneumomediastino
pu essere sospettato in tutti i casi di dispnea accompagnata da dolore toracico , prevalentemente
retrosternale con irradiazione al collo, specie se affiancato da una sintomatologia simulante disturbi
esofagei ( odinofagia e disfagia); in rari casi esso si pu presentare con una alterazione del tono della voce
(rinolalia o voce nasale) a causa della penetrazione dell'l aria nello spazio retro faringeo, come pure si pu
manifestare in modo drammatico con le caratteristiche del tamponamento cardiaco. In alcuni casi pu
essere presente anche dolore mascellare.

Allesame obiettivo, il quadro pu essere fortemente suggestivo quando associato ai sintomi suddetti se
l'aria raggiunge i piani cutanei per cui si apprezzer facilmente il rigonfiamento della cute, anche fino
all'estreme periferie ove l'aria pu giungere in caso di tensioni elevate; essa pu arrivare a rigonfiare le
palpebre, impedendo anche la visione. Questa modificazione fisica pu simulare una ''pseudo-faccia a luna
piena" da cortisonici o gli orecchioni della parotite, ovviamente ipotizzabili solo fino a quando non si
palpa la cute.
Infatti con la semplice palpazione si pu apprezzare facilmente il caratteristico segno del "crepitio dell'aria
sottocutanea che fa porre con sicurezza la diagnosi. In particolare una piccola zona "crepitante" pu essere
apprezzata in corrispondenza del tubo di drenaggio o della ferita post - plemoscopia o toracentesi, per cui
si pu porre diagnosi di enfisema sottocutaneo, a cui pu seguire o meno un enfisema mediastinico, che va
sempre ricercato clinicamente e radiologicamente.
Alla auscultazione, verranno riscontrati altri crepitii ma caratteristico il segno di Hamman: fini crepitazioni
secche auscultabili nel paziente in decubito laterale sinistro in sede precordiale, sincrone con lattivit
cardiaca e associate a riduzione di intensit dei toni cardiaci. Tale segno per, ritenuto patognomonico,
viene descritto come incostante e fugace.

Segni radiologici
Molto importanti ai fini diagnostici sono i segni radiologici.
Nel radiogramma in posizione postero-anteriore alcuni reperti sono fondamentali per fare diagnosi:

Strie di aria in zona sottoclaveare;


Stria di aria che dislocano la pleura parietale da quella che dovrebbe essere laerea del pericardio;

124
Presenza di diaframma continuo: in condizioni normali a livello radiografico il cuore continua nel
diaframma invece in questo caso tra i due organi si interpone una sottile stria di aria che permette
di identificarne bene i contorni;
Segno della V di Naclerio: rappresenta un segno che non mai facilmente individuabile; consiste in
una falce daria che si forma nellintersezione tra aorta discendente e diaframma sinistro;
Segno dellanello intorno allarteria: nelle Rx del torace in proiezione laterale si osserva questo
segno radiologico dovuto sempre allaria che si infiltra attraverso la polmonare.

Generalmente un RX del torace sufficiente per poter diagnosticare uno pneumomediastino. Quindi si
deve continuare liter diagnostico con lidentificazione dellorigine di questo accumulo di aria. La TC del
torace in tal senso utile: si possono rilevare piccole aree intorno ai vasi polmonari (air lucensies) nel caso
di uno pneumomediastino formatosi per effetto di Macklin. Lesofagogramma con mdc utile nel sospetto
di una lesione esofagea.

Diagnosi
La diagnosi clinica si basa su una triade caratteristica:

1. Insorgenza dolorosa
2. Crepitazione mediastinica, auscultabile come fine crepitio durante la sistole (segno di Hamman)
3. Comparsa radiologica di un doppio profilo cardiaco

Quasi sempre, a questa triade, si associa enfisema sottocutaneo.


Data la natura del dolore, sempre indicato eseguire un ECG per escluderne una natura cardiologica.

Terapia
Per quanto riguarda la terapia, essa varia in base alla eziologia.
Nel caso di pneumomediastino spontaneo primitivo o idiopatico essa si basa su:

1. Riposo ed osservazione vigile del paziente


2. Terapia delle patologie associate
3. Eventuale terapia antidolorifica con FANS
4. Ossigenoterapia con FiO2 100%

La somministrazione di ossigeno al 100% utile nei casi in cui laria, incarcerata nel mediastino, determini
un insufficiente riempimento del cuore in diastole. L'ossigeno ha l'effetto di allontanare e l'azoto
dall'organismo e aumentando, cos, il gradiente di pressione dell'azoto tra lo pneumomediastino ed i
tessuti, si consente un pi rapido riassorbimento dellaria intrappolata.
Nelle forme secondarie ad altre patologie, invece, il trattamento rivolto naturalmente alla lesione
primitiva sia essa traumatica o non.
In caso di persistenza inspiegabile dello pneumomediastino, senza una causa appratente, opportuno
praticare indagini endoscopiche per escludere lesioni tracheo bronchiali o esofagee, che necessitano,
ovviamente, di un approccio chirurgico.
Nelle forme pi gravi indicata levacuazione dell'aria mediante infissione di aghi nel sottocute.

Prognosi
Lo pneumomediastino una patologia relativamente rara, ma forse pi frequente di quanto si creda, in
quanto molti casi passano inosservati. Il motivo prevalente della mancata diagnosi da attribuirsi al fatto
che, spesso, esso si presenta in forma lieve, visibile solo radiologicamente e con una attenta osservazione
dei radiogrammi, sui quali si manifestano segni sfumati, che non vengono messi in evidenza n ricercati.
Levoluzione quasi sempre benigna: il riassorbimento dellaria si verifica nel giro di pochi giorni o una

125
settimana, per cui si pu concludere che lenfisema mediastinico una patologia reversibile, nella quale la
benignit la regola e la gravit leccezione.

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Complicanze acute del Diabete
(prof. Conti)
Le complicanze acute fanno parte del quadro clinico sia del DM1 che del DM2. Le complicanze
acute si distinguono in iperglicemiche, per un difettoso controllo del quadro metabolico, e
ipoglicemiche, come effetto collaterale della terapia. Si distinguono sostanzialmente le seguenti
sindromi: la chetoacidosi diabetica (DKA), la sindrome iperosmolare (HHS), la lattico-acidosi e la
sindrome ipoglicemica.

Sindrome ipoglicemica
Si parla di ipoglicemia quando la glicemia sotto i 45 mg/dl e sono presenti i sintomi associati (compaiono
generalmente per valori di glicemia inferiori a 70-80 mg/dl). Laspetto critico di questa sindrome che,
trattandosi di pazienti diabetici, spesso questi sintomi non vengono avvertiti dal paziente a causa della
neuropatia autonomica e per questo pu andare incontra a morte.

Si distinguono due grandi tipi di sindromi ipoglicemiche:

Ipoglicemia a digiuno ( o organica): spesso causata da malattie organiche o da trattamenti


farmacologici. Si manifestano senza una correlazione specifica con il pasto. Tra le malattie
organiche che sono responsabili di una ipoglicemia a digiuno, importante l'insulinoma a causa
dell'eccesso di ma anche i tumori extrapanceratici che producono varie sostanze ipoglicemizzanti.
Importante infine la ipoglicemia factizia causata dal trattamento con insulina e ipoglicemizzanti
orali. Altre cause di ipoglicemia a digiuno sono le sindromi da difetto degli ormoni contro-insulari,
ossia lipoglicemia a digiuno scatenata dall'Addison. Esiste anche una ipoglicemia organica
secondaria alla presenza di Ab anti-insulina che causano ipoglicemia a digiuno per il sequestro
dellimmunoglobulina da parte degli anticorpi: questa forma era molto pi diffuso fino a 30 anni fa
quando si utilizzavano le insuline estrattive che a lungo andare inducevano la produzione di ab anti
insulina nel paziente.
Ipoglicemia post-prandiale ( o funzionale): deriva da una serie di disturbi funzionali che scatenano
una sindrome ipoglicemica a seguito dellassunzione di un pasto. Generalmente si associa a
condizioni di prediabete in cui liniziale condizione di insufficienza insulinemica, che comporta ua
iperglicemia post-prandiale, verr compensata successivamente con una iperincrezione
compensatoria di insulina nel tentativo di compensare liperglicemia precedente. Altre condizioni
che possono portare ad una ipoglicemia funzionale sono gli interventi chirurgici di Billroth III e le
chirurgie bariatriche, ossia tutte quelle situazioni in cui c' un'accelerazione del transito intestinale.
Infine si riconoscono forme reattive idiopatiche detta anche disregolatoria o da ipersensibilit
insulinica, dovuta a vivace secrezione insulinica eccessivamente stimolata da pasti ricchi di
zuccheri raffinati in persone con aumentata sensibilit insulinica.
In base alla gravit del quadro clinico distinguiamo:
Ipoglicemia asintomatica: Include lipoglicemia anawareness, senza sintomi dallarme tipica del
diabetico;
Sintomatica lieve-moderata: condizione nella quale il paziente capace di riconoscerla ed
autotrattarla;
Sintomatica grave: temporaneamente disabilitante, richiede assistenza da parte di terzi.

I segni e i sintomi dellipoglicemia sono sostanzialmente di tre tipi:

Aspecifici: nausea, cefalea, malessere;

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Segni della reazione allipoglicemia: sono legati fondamentalmente allattivazione del sistema
nervoso autonomo, prevalentemente adrenergico, che si attiva quando il livello di glicemia si
abbassa rapidamente. I sintomi adrenergici caratteristici comprendono ansiet, palpitazioni,
tachicardia, tremori, sudorazione, senso di fame, pallore;
Segni legati allipoglicemia: sono anche detti sintomi neuroglicopenici,poich causati dalla carenza
di glucosio a livello del sistema nervoso centrale. Questi sono: obnubilamento del sensorio, visione
sfocata, letargia, difficolt nel linguaggio, convulsioni fino al coma. Sono i segni pi gravi perch
quando compaiono indicano lincipienza di un coma ipoglicemico.

I criteri indispensabili per la diagnosi di ipoglicemia sono descritti dalla triade di Whipple:
Segni e sintomi caratteristici dell'ipoglicemia;
Diminuzione della glicemia tale da determinare tali sintomi: glicemia effettivamente ridotta sotto i
45mg/dl;
Regressione della sintomatologia dopo somministrazione di glucosio

Per fare diagnosi differenziale sulla causa dellipoglicemia dobbiamo sempre innanzitutto accertare la
presenza o meno di diabete, in quanto il paziente diabetico pu presentare ipoglicemia dovuta al
trattamento (insulina e secretagoghi perch tutti gli altri farmaci, comprese le incretine, non danno
ipoglicemia). Nel paziente diabetico, lipoglicemia pu avere quadri clinici aggiuntivi rispetto a quelli
descritti precedentemente.
Lipoglicemia asintomatica si ha con valori di glicemia < 70 mg/dl ma senza i tipici sintomi di ipoglicemia;
questa porta ad un elevato rischio di coma, sequele neurologiche anche estremamente gravi, se non
proprio di morte in quanto il paziente non riconoscendo i sintomi di allarme che lo avvertono in merito
allinsorgenza dellipoglicemia non viene portato ad alimentarsi interromendo la progressione dellepisodio.
la pseudo-glicemia il quadro clinico in cui la persona con diabete riferisce i sintomi tipici e li interpreta
come indicativi di ipoglicemia, sebbene questa sia ad un valore di superiore 70 mg/dl. Il motivo della
pseugoglicemia che lorganismo essendo abituato ad elevati valori di glucosio nel sangue, quando questo
si riduce a valori inferiori a 100 mg/dl genera disturbi metabolici profondi. Quindi importante nel paziente
diabetico valutare sempre la glicemia per capire il quadro clinico in cui si trova.

Quando si esclude il diabete come causa di ipoglicemia si pu procedere con la diagnosi differenziale
valutando leventuale assunzione di carboidrati prima dellinsorgenza del quadro ipoglicemico; in questo
modo potremo distinguere tra unipoglicemia a digiuno da unipoglicemia post-prandiale.
Laddove si tratti di unipoglicemia a digiuno occorre eseguire un prelievo per valutare l'insulinemia e dosare
il peptide C; i risultati ottenuti da questi dosaggi potranno essere:
Aumento inappropriato del peptide C e dellinsulinemia: si pu trattare di un insulinoma ma anche
di un'ipoglicemia factizia da sulfaniluree. Pertanto in questi pazienti indicato come esame di
secondo livello la determinazione delle sulfaniluree o della repaglinide nel siero o nelle urine per
evitare errate diagnosi di insulinomi con conseguenti inutili indagini di localizzazione morfologica.
Tali dosaggi tuttavia non sono facilmente disponibili nei laboratori.
Aumento esclusivo dell'insulinemia e peptide C normale: potremmo sospettare un'ipoglicemia
factizia da sovradosaggio di insulina esogena che riduce la secrezione endogena e quindi riduce i
livelli di peptide C.
Riduzione dellinsulinemia e del peptide C: in questi casi bisogna pensare ad una ipoglicemia
indotta da tumori extrapancreatici che non secernono insulina ma che ugualmente riducono la
glicemia; unaltra causa pu essere linsufficienza renale o epatica perch il rene e il fegato sono i
principali organi gluconeogenetici.

La diagnosi delle forme reattive post-prandiali presenta come metodo pi affidabile lanamnesi degli eventi
precedenti la sindrome e il controllo della glicemia nel momento in cui il paziente accusa la sintomatologia
caratteristica.
128
Le principali complicanze di una sindrome ipoglicemica sono:
1. Cerebrali: ictus ishemico o emorragico;
2. Cardiache: aritmie, infarto acuto del miocardio;
3. Oculari. Emorragie vitreali;
4. Altre: ipotermia, incidenti sul lavoro o automobilistici a seguito della perdita di coscienza.

Il trattamento diverso a seconda della compromissione della coscienza del paziente.


Se il paziente cosciente (ipoglicemia lieve-moderata) la prima cosa da fare assumere zucchero con la
regola del 15 (3 bustine di zucchero disciolte in mezzo bicchiere dacqua che corrispondono a 15 gr di
glucosio) e solo dopo il pz pu assumere altri carboidrati pi complessi (2-3 fette biscottate o un panino):
con lassunzione immediata di glucosio si risolve il quadro acuto mentre i carboidrati e a pi lento
assorbimento evitano le ricadute.
Se il paziente incosciente, occorre reperire un accesso venoso e infondere Glucosata al 33% (33 g in 100
ml) in bolo da 50 o 100 ml. Successivamente si infonde la Glucosata al 10% (50-100 ml/h) o al 20% (20ml/h)
fino alla ripresa della coscienza. Nellinfusione lenta preferibile utilizzare queste formulazioni anzich le
comuni Glucosate al 5% perch queste per ottenere lo stesso effetto delle glucosate da 10 o 20
sovraccaricherebbero troppo il circolo e causerebbero eccessiva emodiluizione.
Qualora si abbiano problemi a reperire un accesso vascolare, pu essere somministrato glucagone (1 mg
im); il glucagone non efficace nellepatopatico o nel malnutrito o nei pazienti con ipoglicemia da abuso di
alcool.
Bisogna controllare la glicemia ogni 15-30 cercando di raggiungere valori di glicemia > 100 mg/dl.
Alla ripresa di coscienza e deglutizione si pu far assumere bevande zuccherate se glicemia <100 mg/dl o
uno spuntino se glicemia >100 mg/dl.

Sindrome iperglicemiche
Le due complicanze iperglicemiche principali sono la cheto acidosi diabetica (DKA) e la sindrome
iperosmolare.

La mortalit, un tempo molto elevata per queste complicanze iperglicemiche si andata progressivamente
riducendo; tuttavia rimane ancora molto alta e per queste necessita di essere conosciuta in tutti i suoi
meccanismi fisiopatologici. Le crisi iperglicemiche, sia la chetoacidosi che la sindrome iperosmolare, sono
evenienze abbastanza frequenti sia nei soggetti affetti da diabete di tipo 1 che di tipo 2.

Linsorgenza di queste sindromi riconosce alcuni fattori precipitanti diversi a seconda della sindrome. Per la
cheto acidosi diabetica, i fattori precipitanti che portano alla sua insorgenza sono generalmente legati ad
una scarsa aderenza dei pazienti diabetici al trattamento ipoglicemizzante ma pu insorgere anche a
seguito di eventi esterni, come infezioni prevalentemente respiratorie o urinarie, che aumentano in modo
importante il fabbisogno insulinico. In oltre il 20% dei casi, la cheto acidosi rappresenta la manifestazione
di esordio tipica del diabete tipo 1; tale percentuale ancora pi elevata in et pediatrica.
I fattori precipitanti per la sindrome iperosmolare sono pi complessi. La sindrome iperosmolare tipica
del diabete di tipo 2 quindi si tratta generalmente di soggetti adulti, soprattutto anziani. Vista la tipologia di
paziente affetto, oltre alle infezioni, giocano un ruolo importante come fattori precipitanti una serie di
patologie sistemiche a carattere acuto, ad iniziare dagli eventi cardiovascolari acuti. Possono essere fattori
precipitanti anche una serie di trattamenti concomitanti ma in ogni caso rimane importante una scarsa
aderenza al trattamento come fattore scatenante. Si ricordi inoltre la sindrome cosiddetta dalliperglicemia
ospedaliera come causa responsabile di una sindrome iperglicemica; si tratta di un quadro clinico che
insorge quando un paziente, non noto come diabetico o noto come diabetico ma non adeguatamente
trattato, viene ricoverato in ospedale, inteso in generale come luogo in cui il paziente viene portato per un
evento acuto.

129
In entrambi i casi, indipendentemente dalla forma di diabete e dal fattore scatenante, levento
fisiopatologico che porta allinsorgenza di una sindrome iperglicemica uno squilibrio importante tra i livelli
di insulina e i livelli degli ormoni contro-insulari .Tale squilibrio dovuto ai fattori precepitanti
precedentemente descritti che sbilanciano in maniera variabile lequilibrio esistente tra la secrezione di
insulina e quello degli ormoni contro-insulari; infatti noto che tutti gli eventi acuti (chirurgici, medici,
infettivi etc) causano un aumento degli ormoni dello stress, come il cortisone ed adrenalina, che di fatto
sono ormoni controinsulari.
In seguito a suddetto squilibrio, si ha un aumento della lipolisi a livello del tessuto adiposo, con un aumento
dellapporto di acidi grassi non-esterificati al fegato, e un aumento del catabolismo proteico, che comporta
a sua volta il fatto che ci siano degli amminoacidi disponibili per la gluconeogenesi. Queste condizioni
hanno come effetto finale un aumento della glicemia.

La differenza fisiopatologica tra la chetocidosi e la sindrome iperosmolare sta nel fatto che nella cheto
acidosi, espressione tipica del DM1, lassenza assoluta di insulina comporta la trasformazione di una parte
degli acidi grassi che arrivano al fegato in corpi chetonici, attraverso la chetogenesi. Quindi questi soggetti
hanno una iperglicemia tutto sommato non clamorosa, intorno a 400-500 mg/dl al massimo, ma il vero
problema lo squilibrio acido-base che viene a crearsi a seguito dellaumento in circolo di corpi chetonici.
Nella sindrome iperosmolare, espressione del DM2, la presenza di insulina seppur a livelli bassi sufficiente
ad inibire la chetogenesi epatica, che per questo risulter assente o minima; quindi tutti gli acidi grassi che
giungono a livello epatico verranno convertiti in glucosio per cui avremo il riscontro di una iperglicemia
molto marcata (fino a 1000 mg/dl), tale da modificare in maniera significativa l'osmolarit plasmatica, ma
lequilibrio acido-base sar normale. In questo caso quindi il problema uno squilibrio osmolare.

Le conseguenze fisiopatologiche sono diverse a seconda della sindrome.


Nella chetoacidosi, laspetto pi importante la chetonemia conseguente alla chetogenesi epatica che
comporta una riduzione della riserva alcalina e unacidosi metabolica con aumento del gap anionico.
Ovviamente l'iperglicemia, anche se in entit minore rispetto alla sindrome iperosmolare, comporta anche
glicosuria, diuresi osmotica, disidratazione intra-ed extra-cellulare con perdita di elettroliti. Questa
situazione pu complicare lacidosi metabolica con linsorgenza di un quadro molto importante di
insufficienza pre-renale secondaria alla disidratazione. In pi, le infezioni respiratorie, oltre a poter essere la
causa scatenante di questa condizione, possono complicare la cheto acidosi inducendo uno squilibrio acido-
base di natura respiratoria.
I corpi chetonici sono sostanzialmente tre: -idrossibutirrato, aceto-acetato e acetone. La caratteristica
che i primi due non sono volatili mentre lacetone volatile e come tale viene eliminato per via respiratoria;
lacetone la causa dellalito acetonico, segno patognomonico di questi pazienti.
Il -idrossibutirrato invece viene convertito in aceto-acetato attraverso un processo che richiede ossigeno;
in una condizione di chetoacidosi, in cui c una importante ipossia tissutale conseguente alla
disidratazione, vi sar un accumulo di -idrossibutirrato per mancata ossidazione ad aceto-acetato. Gli stick
che si utilizzano in PS per dosare i chetoni, nel sangue e nelle urine, rilevano solo laceto-acetato e
lacetone; questo comporta il fatto che nelle forme di chetoacidosi molto avanzate potremmo avere una
sottostima importante del grado di chetonemia perch il grosso dei corpi chetonici sar rappresentato dal
-idrossibutirrato, il quale per non viene identificato dai suddetti metodi di dosaggio. Per questo man
mano che noi trattiamo il paziente, migliorando la circolazione periferica e quindi lossigenazione dei
tessuti, potremmo avere un paradossale incremento della chetonemia misurata da questi stick, perch a
questo punto quelle grandi quantit di -idrossibutirrato cominceranno ad essere convertite pi
rapidamente in aceto-acetato e quindi diverranno rilevabili con gli stick. Per questi motivi, al dosaggio dei
chetoni quello che ci deve guidare nella definizione della diagnosi lemogasanalisi dove dovremo valutare
oltre al pH, la CO2 e i bicarbonati.
I meccanismi di tamponamento della chetoacidosi comprendono immediatamente la riduzione della riserva
alcalina, che si riduce perch i bicarbonati vanno a tamponare i chetoni; questo comporter un aumento
del gap anionico (che la differenza degli anioni al bicarbonato) fino ad un valore superiore a 14. Il
successivo meccanismo di compenso quello respiratorio che, oltre ad eliminare i corpi chetonici volatili,

130
aumenta la respirazione per ridurre la CO2 e favorire la riduzione del pH dalla dissociazione del bicarbonato.
Lultimo meccanismo di compenso quello renale che comporta da un lato lescrezione di acidi e dallaltro
il recupero e la produzione di bicarbonati.
Un altro aspetto importante la perdita degli elettroliti con le urine che; il rapporto tra gli elettroliti e
lacqua pu variare in un senso o nellaltro a seconda che si perdano pi elettroliti di quanta sia lacqua e
viceversa. Generalmente la sodiemia tende ad abbassarsi mentre la potassiemia tende ad alzarsi.
Laumento della potassiemia correlato inoltre allo scambio tra il pool intra- ed extra-cellulare di questi
elettroliti per la correzione dellacidosi.

Per quanto riguarda la fisiopatologia della sindrome iperosmolare, come si detto il difetto fondamentale
quello dell'iperosmolarit. Non essendoci produzione di corpi chetonici, tutto il glucosio in eccesso arriva a
una soglia tale da modificare in maniera significativa l'osmolarit plasmatica. L'osmolarit nel sangue data
da diverse sostanze, ma quelle che contano in maniera quantitativa molto pi delle altre sono il sodio e la
glicemia. L'osmolarit crea un gradiente di concentrazione ( oltre che elettrico nel caso del sodio)
attraverso le membrana plasmatiche che comporta ampi movimenti di liquidi attraverso le membrane con
riduzione dei liquidi intracellulari per compensare liperosmolarit plasmatica causando una progressiva
disidratazione cellulare. Questultima condizione produce i suoi effetti negativi soprattutto sulle cellule
nervose, che sono quelle pi sensibili sia alla riduzione del pH (come avviene nella chetoacidosi) che alla
riduzione del volume intracellulare. A livello renale, nella sindrome iperosmolare il quadro clinico pi
marcato perch la glicemia molto pi alta quindi la quantit di glucosio che giunger a livello renale sar
maggiore; quindi la quota di diuresi osmotica sar parallelamente maggiore. In questo caso la perdita di
elettroliti importante, si riduce anche qui il pool di elettroliti ma la sodiemia falsamente bassa perch
c' una redistribuzione del pool di sodio che dipende appunto dalla glicemia.

Il quadro clinico di una sindrome iperglicemica comprende poliuria associata a glicosuria e polidipsia che
comporta progressivamente disidratazione. Inoltre, con modalit diverse (disidratazione nella sindrome
iperglicemica e acidosi metabolica nella chetoacidosi), sono presenti sintomi neurologici caratteristici:
questi vanno dalle alterazioni del sensorio fino al coma; laddove insorga il coma, a seconda della sindrome
distingueremo un coma chetoacidosico e un coma iperosmlare.
Nella chetoacidosi a questo quadro clinico si somma quello dello stato iperchetonico con la comparsa del
respiro di Kussmaul e alito acetonico. Ci pu essere anche un ileo paralitico, nausea vomito e dolore
addominale. Nella sindrome iperosmolare prevale lo stato di disidratazione per quanto detto
precedentemente.

La diagnosi differenziale tra le due sindromi si basa su quelle che sono le alterazioni fondamentali:

Valore della glicemia: questa un po' pi bassa nella chetoacidosi rispetto alla sindrome
iperosmolare;
Equilibrio acidobase: questo alterato in maniera pesante nella chetoacidosi mentre non lo , o lo
minimamente, nella sindrome iperosmolare . Nella chetoacidosi per vedere lalterazione
dellequilibrio acido-base bisogna fare un'emogasanalisi che ci dar il pH, che sar pi o meno
ridotto, e i bicarbonati, che saranno pi o meno ridotti. Si calcola quindi il gap anionico che sar
aumentato e si calcolano i chetoni che sono positivi sia nelle urine che nel siero in maniera pi o
meno marcata.
Osmolarit sierica: nella sindrome iperosmolare losmolarit superiore a 320.
Differenze cliniche: respiro di Kussmaul e alito acetonico nella chetoacidosi.

Importante per ricordare che molto spesso queste sindromi sono concomitanti; in questi casi necessario
riconoscere quale delle due sia insorta prima per poter agire terapeuticamente di conseguenza.

131
Dopo aver riconosciuto una sindrome iperglicemica necessario fare diagnosi differenziale tra quelli che
sono i fattori precipitanti; nella diagnosi utile ricordare le Cinque I (pi altre tre):
1. Infezioni
2. Ischemia
3. Infarto
4. Infanzia (ovvero esordio di diabete I nel bambino)
5. Intossicazioni (da sostanze stupefacenti es. cocaina)
6. Insulin Lack
7. Iatrogena (interazione tra farmaci descritti)
8. Idiopatica

Oltre alle situazioni che abbiamo gi descritto, dobbiamo fare diagnosi differenziali con altre condizioni che
possono presentare gli stessi segni e sintomi: ad esempio quando abbiamo un'iperglicemia importante
dobbiamo escludere l'iperglicemia da stress, condizione che si pu verificare frequentemente in ospedale e
regredisce rapidamente. Nel caso dei chetosi dobbiamo fare diagnosi differenziale tra la chetoacidosi
alcolica e quella da digiuno o un ipoglicemia chetonica. Nel caso dellacidosi dobbiamo escludere il fatto che
si tratti non di una chetoacidosi ma di una lattico acidosi. Dobbiamo anche escludere che una sindrome
iperosmolare e una chetoacidosi siano complicate da una lattico acidosi; in sostanza non detto che la
presenza di acidosi in un paziente con una sindrome iperglicemica, che farebbe pensare a una sindrome
iperosmolare, significa che abbia una chetoacidosi, perch potrebbe avere una acidosi lattica sovrapposta.
Cos come non detto che il motivo per cui il soggetto in acidosi tutto legato alla presenza di corpi
chetonici e non ci sia anche una componente di acido lattico.

Le complicanze di una sindrome iperglicemica sono:


Acidosi-lattica;
Complicanze vascolari;
Edema cerebrale: sostanzialmente complicanza del trattamento;
Infezioni: infezionetipica della chetoacidosi la mucormicosi,micosi molto grave distruttiva che si
pu verificare in questi casi;
ARDS;
Insufficienza renale: ovviamente pi frequente nella sindrome iperosmolare primo perch la
funzione renale di partenza pi compromessa in questi soggetti, secondo perch la perdita di
liquidi pi importante.
La prognosi generalmente legata al grado di disidratazione, alle condizioni preesistenti e al grado di
coscienza. La mortalit generalmente alta in pazienti anziani che manifestano una sindrome iperosmolare
mentre molto ridotta nella chetoacidosi.

Il trattamento differenziale a seconda della sindrome iperosmolare.


Per la chetoacidosi diabetica, gli obiettivi terapeutici sono rappresentati dalla reintegrazione del volume
plasmatico, dalla correzione delle alterazioni metaboliche legate alla carenza insulinica, la correzione dello
squilibrio idroelettrolitico, il trattamento delle cause precipitanti e la prevenzione delle complicanze.
Lordine delle priorit terapeutiche il seguente:
1. Reidratazione: fondamentale che venga intrapreso per primo in quanto ristabilisce il volume
intravascolare, migliora la perfusione degli organi vitali, aumenta il filtrato glomerulare, diminuisce i
livelli di glicemia e chetonemia. La terapia prevede la somministrazione di Soluzione fisiologica. Il
deficit medio di un adulto calcolabile in circa 100 ml/kg (generalmente 5-10 L). I primi due litri
sono somministrati rapidamente nelle prime 2 ore, i successivi 2 L vengono infusi tra la 2 e la 6
ora; infine gli ultimi 2 nelle successive 6-12 ore.
2. Correzione delliperglicemia: la modalit pi sicura ed efficace di somministrazioen di insulina per
infusione continua di piccole dosi di insulina ad azione rapida; ci determina una diminuzione
lineare dei livelli glicemici e chetonemici ed una ridotta possibilit di insorgenza di complicanze
metaboliche (tra cui lipoglicemia, ipopotassiemia, ipofosfatemia). La dose inziale 0,1 U/Kg/h,
132
preceduta da un eventuale bolo ev di 0,1 U/Kg. La somministrazione per via sottocutanea od
intramuscolare deve essere evitata a causa dellassorbimento irregolare e non prevedibile.
Lincidenza di non responders al trattamento 1-2 %; linfezione la prima causa di mancata
risposta alla terapia. In caso di mancata risposta alla terapia con basse dosi ed adeguata idratazione
dopo la prima ora indicato un bolo ev 0.2-0.4 U/Kg. In ogni caso, linfusione di insulina deve
essere protratta per almeno 12 ore o fino alla scomparsa dellacidosi metabolica. Lazione
dellinsulina e lespansione del volume plasmatico dovrebbe far abbassare in genere la glicamia di
circa 100 mg/dl/h. Quando la glicemia raggiunge i valori di 250mg% linsulina deve essere aggiunta
ad una soluzione glucosata al 5 %.
3. Correzione del deficit di elettroliti: deve essere iniziata contestualmente alla terapia insulinica la
somministrazione di potassio fosfato (10 mEq/h) da proseguire fino ad un valore di K+ > 5.5 mEq/L.
4. Correzione acidosi: lacidosi metabolica e quindi la produzione di idrogenioni si corregge di solito
con la terapia insulinica per il blocco della chetogenesi e con lo smaltimento dei corpi chetonici per
via renale a seguito delladeguata riperfusione ed idratazione. In presenza di grave acidosi (pH <
7.1) indicato luso di bicarbonato fino al raggiungimento di un pH 7.2.

Linsorgenza di eventuali complicanze deve essere trattata come previsto per ognuna di queste.

Il trattamento della sindrome iperosmolare iperglicamica ha invece come obiettivi la correzione


dellipovolemia, la terapia dei fattori precipitanti, la correzione delle alterazioni elettrolitiche e la
correzione della iperglicemia. Lordine delle priorit terapeutiche il seguente:
1. Idratazione: la quantit di liquidi infusa nelle prime 24 h non deve superare il 10% del peso
corporeo, il deficit dei liquidi verr corretto nelle 48-72 ore successive. La sola reidratazione pu
ridurre i valori glicemici del 20% pertanto va iniziata senza attendere i risultati di laboratorio
utilizzando soluzioni isotoniche (Fisiologica al 0.9% di NaCl). Poich i pazienti sono frequentemente
anziani e cardiopatici si consiglia una velocit di infusione di 500 ml/h con un totale di volume
infuso nelle prime ore di 1000 ml. Se dopo la seconda ora sono ancora presenti ipotensione o gravi
alterazioni dello stato di coscienza si prosegue fino alla terza ora con 500 ml/h.
2. Terapia insulinica: contemporaneamente allinfusione di liquidi ed auspicabilmente subito dopo
aver verificato il livello di squilibrio elettrolitico esistnte, con particolare riferimento ai valori
riscontrati, al momento dellammissione del paziente, della Kaliemia, necessario iniziare
uninfusione di insulina ad azione rapida per ottenere una riduzione della glicemia di circa il 10%
allora fino a valori di glicemia < 300 mg/dl.
3. Reintegrazione del potassio: in conseguenza della terapia reidratante e contestualmente
allinfusione insulinica deve essere attuata la reintegrazione di potassio, in particolare quando i
valori sono normali o bassi. Se i valori sono gi elevati la reintegrazione inizier dopo almeno 2-4
ore. Il potassio deve essere somministrato solo in seguito ad adeguato ripristino della diuresi, al
fine di evitare linsorgenza di una iperkaliemia potenzialmente mortale.

La seconda fase del trattamento inizia quando la glicemia inferiore a 300 mg/dl e prevede il trattamento
con soluzione glucosata al 5% e infusione di insulina con lo scopo principale di evitare un brusco calo
dellosmolarit . Mentre la velocit infusionale della glucosata rimane costante la velocit infusionale della
insulina varia con lo scopo di mantenere i livelli glicemici tra 200-500 mg%. Laterapia infusionale si pu
sospendere se la glicemia compresa tra i valori di 250-300mg%, la osmolarit <310mOsm/L e il paziente
si alimenta.
Linsorgenza di eventuali complicanze deve essere trattata come previsto per ognuna di queste.

La prevenzione di queste due sindromi fondamentale per evitare le complicanze gravi di questa malattia;
la prevenzione deve essere attuata con:

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1. Adeguata informazione del pz (deve sapere che se gli viene un mal di denti, una polmonite,
uninfluenza, verosimilmente deve adeguare la sua terapia ipoglicemizzante e se non lo fa deve
rivolgersi al suo medico o al suo centro diabetologico)
2. Dettagliata istruzione per quanto riguarda la cura del paziente
3. Educazione del care giver (casa di cura)

Acidosi lattica
L'acidosi lattica una situazione in cui si ha un accumulo di acido lattico a causa di uneccessiva
introduzione o di unalterata eliminazione. Non rappresenta una condizione clinica esclusiva di una
complicanza acuta del diabete ma insorge quando si introduce troppo acido lattico oppure si elimina
troppo poco acido lattico. La produzione di acido lattico incrementata quando aumentata la glicolisi
anaerobia rispetto a quella aerobia, ossia in tutte le situazioni di ipossia, che possono essere dovute a
emorragia, anemia, avvelenamento da monossido di carbonio, scompenso, insufficienza respiratoria e
lesercizio fisico estremo. Laumento della glicolisi anaerobia pu essere dovuto anche a delle sostanze
come le guanidi (classe di farmaci di cui fa parte la metformina) che favoriscono lo shift verso il
metabolismo anaerobio rispetto a quello aerobio.
La ridotta eliminazione si ha nell'alcolismo e soprattutto nell'insufficienza renale o epatica perch a quel
livello il lattato viene eliminato o riconvertito.
Il quadro dell'acidosi lattica pura, non associata a iperglicemia, sostanzialmente quello di un'acidosi senza
disidratazione. In questo caso, quindi, il trattamento il bicarbonato o il di-cloro acetato, oppure la dialisi,
oltre alla terapia con ossigeno.
Lacidosi lattica che insorge nelle sindromi iperglicemiche, invece associata a disidratazione e comporter
anche ipossia tissutale: si pu avere uno stimolo al metabolismo del glucosio per via anaerobia in un
paziente che ha una chetoacidosi o una sindrome iperosmolare proprio perch disidratato e quindi ha
un'ipossia tissutale. In sostanza la lattico acidosi pu complicare una di queste due condizioni. Se ci
avviene la terapia dovr mirare a correggere ambedue le situazioni, quindi conster di reidratazione,
terapia insulinica ed eventualmente trattamento dellacidosi lattica.

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Emergenze oculistiche
(prof.ssa R. DAngelo)

I casi di reale urgenza in oftalmologia sono relativamente pochi, tuttavia molte sono le patologie di
interesse minore e prognosi assolutamente benigna, soprattutto infiammatorie, che possono portare il
paziente ad affollare i servizi di PS a causa di una sintomatologia imponente e fastidiosa. Per questo le
patologie oculistiche che possono richedere un intervento durgenza possono essere distinte in:

Patologie Differibili: non necessitano di un trattamento n di una diagnosi tempestiva;


Patologie non differibili (o urgenze oftalmologiche) necessitano di un trattamento e di una diagnosi
tempestiva e si distinguono in traumatiche e non traumatiche;
Patologie neuroftalmologiche: sono una branca delle patologie oculistiche correlate a malattie
sistemiche per cui un neurologo pu richiedere una consulenza oculistica .

Lobiettivo di questa distinzione quella di tutelare i pazienti di maggiore gravit , che necessitano di un
intervento precoce ( traumi perforanti, patologie vascolari e retiniche, glaucomi acuti) soprattutto nei DEA
dove non garantita la presenza di un oftalmologo h24.

Patologie differibili
Locchio rosso la prima patologia oftalmlogica per frequenza di accesso in pronto soccorso.
Le cause possono essere:

1. Congiuntiviti: acute (congiuntiviti batteriche, quindi con abbondante essudato, o virali, con
abbondante edema di solito da adenovirus) oppure croniche ( allergie, tossiche da abuso di collirio,
secche da videoterminalista o da aria condizionata). Si tratta di malattie molto contogiose per cui si
consiglia il riposo in casa e lastensione dal lavoro.

2. Blaferiti: sono le infiammazioni delle palpebre e possono manifestarsi con occhio rosso quando
evolvono in blaferocongiuntiviti. Possono essere date da un difetto di rifrazione oppure da un
eccesso di sebo ( seborrea ) rientrando cos tra le forme da alterazione del film lacrimale. Infine
possono essere dovute a cause allergiche e da farmaci.

3. Emorragia congiuntivale (causa pi frequente): pu essere causata da una vasculopatia o da una


emopatia. Bisogna quindi indagare a livello sistemico non sottovalutando lanamnesi farmacologica
(anticoagulanti) e lesame obiettivo; in particolar modo necessario porre attenzione alla pressione
arteriosa ed eventualmente decidere di eseguire un Holter pressorio.

4. Dacriocistiti: si tratta di uninfiammazione del sacco congiuntivale. Sono di solito ricorrenti e


vengono diagnosticate tramite un lavaggio delle vie lacrimali.

5. Scleriti ed episcleriti: sono un importante campanello dallarme perch sono tipica espressone di
patologie a carattere autoimmune (95-99% dei casi). Proprio per questa ragione rispondono bene
al cortisone, ma non si pu prescindere dallinviare il paziente dallimmunologo che provveder ad
indagare meglio la natura della malattia con esami di laboratorio appropriati.

6. Glaucoma cronico: pu associarsi a periodica infiammazione che si manifesta appunto con occhio
rosso;

7. Iperemia congiuntivale: causata dalluso di farmaci prostaglandino simili.

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Pu essere molto utile al fine di diagnosticare la causa di un occhio rosso chiedere al paziente cosa abbia
messo nellocchio: molto spesso si tratta di reazioni a farmaci o a lacrime sintetiche per le quali sufficiente
la loro sospensione per risolvere il quadro clinico.

Ledema palpebrale si manifesta con accumulo di liquidi, congestione e iperemia delle palpebre, superiori
e/o inferiori. Ledema palpebrale pu essere:

1. Edema monolaterale: Possono essere date da un difetto di rifrazione oppure da un eccesso di sebo
( seborrea ) rientrando cos tra le forme da alterazione del film lacrimale. Infine possono essere
dovute a cause allergiche e da farmaci. In alcuni casi pu essere causadto da una infiammazione
della ghiandola lagrimale principale o del sacco lacrimale, che conseguentemente allinfiammazione
si pu chiudere a tal punto che la lacrima ristagna e si forma una sacca di pus la quale va drenata e
trattata con una terapia antibiotica sistemica.

2. Edema bilaterale: le cause possono essere : allergia, oftalmopatia tiroidea che determina un edema
palpebrale e un occhio particolarmente sporgente. Bisogna inoltre indagare la presenza di
patologie patologie tiroidee gi note altrimenti si richiedono gli esami ematici ( FT3, FT4, TSH ):
lipertiroidismo infatti frequente causa di questa affezione. Anche le nefropatie e le cardiopatie
possono dare edemi da ristagno.

Urgenze oftalmologiche traumatiche


Il dolore acuto dellocchio un quadro clinico che non pu essere mai differito in quanto le patologie
responsabili di questa sintomatologia richiedono un trattamento immediato. Le cause traumatiche pi
frequenti di un dolore acuto sono:

1. Corpo estraneo corneale o congiuntivale: si tratta spesso di schegge contratte durante le attivit
lavorative o in attivit in ambiente aperto. Queste possono posizionarsi sulla cornea o nella
congiuntiva sottopalpebrale. Il corpo estraneo va opportunamente rimosso per lelevato rischio che
questo generi successivamente lesioni corneali.

2. Abrasione corneale: pu essere conseguente alla presenza di un corpo estraneo non rimosso
prontamente nello spazio sottocongiuntivale o corneale, ma pu essere anche causata da trichiasi
(entropion della palpebra). In questi casi si asporta il corpo estraneo o le ciglia responsabili delle
abrasioni e si prescrive una terapia antibiotica locale per evitare una sovrainfezione batterica.

3. Causticazioni corneo-congiuntivali da agenti chimici: frequente infortunio sul lavoro di lavoratori


che a causa del lavoro sono esposti continuamente ad agenti chimici quali acidi e basi che possono
talvolta ledere la cornea o la congiuntiva oculare manifestandosi quindi con dolore acuto. Le lesioni
causate da sostanze basiche sono pi lesive poich si approfondano nella camera anteriore
dellocchio determinando sequele importanti.

4. Ustioni corneo-congiuntivali da agenti fisici: sono causate generalmente dallesposizione della


cornea e della congiuntiva ai raggi UV o al calore. Unustione particolare quella che interessa i
lavoratori a contatto con saldatrici durante tutto il giorno; questi pazienti generalmente durante la
notte lamentano un dolore acuto laddove durante il giorno non abbiano utilizzato le giuste
precauzioni. Il trattamento consiste in una terapia antibiotica topica e con un bendaggio oculare.

Urgenze oftalmologiche non traumatiche


Il dolore acuto pu avere anche unorigine non traumatica; le principali patologie responsabili di questa
manifestazione clinica sono:

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1. Erosioni recidivanti corneali: queste si manifestano con dolore acuto al mattino poich dopo la
notte, non essendoci produzione e secrezione di lacrime, la palpebra aderisce allepitelio corneale e
allapertura dellocchio si avr dolore a causa dellabrasione della palpebra contro lesioni corneali
pregresse anche di molti anni. La diagnosi pu essere posta indagando la caratteristica mattutina e
indagando pregresse lesioni corneali.

2. Nevralgia del V n.c.: la causa principale di questa nevralgia linfezione da Herpes Zooster in corso
di prima infezione o a seguito di una riacutizzazione che porti ad interessamento di questo nervo.
LHerpes zooster con coinvolgimento del V n.c. si manifesta con dolore urente intra-oculare e
perioculare e, nei casi acuti tipiche vescicole erpetiche mentre in quelli cronici si osserva la tipica
cicatrizzazione post-erpetica. Generalmente necessario somministrare gresse dosi di Lyrica per
lungo tempo al fine di evitare lesioni invalidanti.
La nevralgia del V pu aversi anche durante le riacutizzazioni o come prima manifestazione della
Sclerosi Multipla e talvolta si associa anche ad alterazioni del visus e diplopia.
La nevralgia essenziale del trigemino unaltra causa di dolore oculare; predilige il sesso femminile
e in genere compare nella mezza et. Si osserver dolore oculare ad esordio improvviso, fulmineo,
lancinante, della durata di pochi secondi che scompare nel giro di pochi minuti. Si ha assenza di
iperemia congiuntivale, dolore alla digitopressione sui trigger point del nervo. Di solito
monolaterale.
Infine, la nevralgia del trigemino una manifestazione possibile di una meningite.

3. Ulcere corneali (cheratoipopion): forma di cheratite purulenta caratterizzata da ulcera settica della
cornea e successiva formazione di pus (ipopion) che, addensandosi, si stratifica nella zona declive
della camera anteriore dellocchio. spesso causato da eventi infettivi di natura virale (HS) o
batterica (tipica dei pazienti che fanno uso di lenti a contatto).

4. Uveiti: Infiammazione delluvea: se limitata alla coroide detta coroidite; se coinvolge iride e
corpo ciliare iridociclite. Le uveiti possono essere di natura infettiva o tossica ma nella stragrande
maggioranza dei casi ha una natura autoimmune per questo deve sempre essere indagata
attentamente (psoriasi, artriti ecc.). Al dolore acuto, si associa fotofobia ed iperemia congiuntivale.
Un altro segno classico la presenza di precipitati nella camera anteriore dellocchio e
sullendotelio, visibili ad occhio nudo. Nelluveite batterica questi possono essere talmente
abbondanti da essere descritti come a grasso di montone osservandosi addossati allendotelio in
quanto lumor acqueo ne rende possibile la precipitazione. Quando linfiammazione coinvolge
anche il corpo ciliare, si potr osservare miosi e valutare la presenza di un ipertono oculare a causa
dellostruzione al deflusso di umor acqueo attraverso langolo iridocorneo.

5. Attacco di glaucoma acuto: Durante questi attacchi la pressione intraoculare pu raggiungere valori
di 50-60 mmHg, il paziente ha un fortissimo dolore all'occhio, in zona sovraorvitaria e frontale; si
associano nausea e vomito, occhio molto rosso, pupilla in mediamidriasi, torbidit della cornea e
visus ridotto. Al ricovero di questi pazienti in pronto soccorso, un attacco acuto di glaucoma viene
spesso misconosciuto con una fistola del seno cavernoso o unemorragia cerebrale per una cui
vengono sottoposti ad una serie di indagini inutili e non dirimenti per la diagnosi di glaucoma.
Inoltre, il glaucoma acuto va in diagnosi differenziale con lipertensione endocranica. Per fare
diagnosi di certezza necessario eseguire una tonometria che mostri valori elevati di pressione
intraoculare. Con la lampada a fessura possibile vedere che liride completamente addossata
alla cornea. L'attacco acuto di glaucoma un'emergenza oculistica per cui necessario intervenire
prontamente pena esiti infausti per il visus che possono durare per tutta la vita. Si tenta in primo

137
intenzione una terapia farmacologica con mannitolo (diuretico osmotico) per cercare di ridurre
farmacologicamente la pressione e ridurre ledema. Se il mannitolo non agisce efficacemente,
indicata la terapia chirurgica, ovvero uniridotomia laser che, seppur aggravata da complicanze
maggiori (es. erniazione delliride), rappresenta lunica opzione terapeutica per questi pazienti.
Lintervento consiste nel creare una comunicazione tra la camera anteriore e posteriore dellocchio
mediante lutilizzo di un laser (generalmente Argon) per permettere il ricircolo del liquor. Spesso
necessario ripetere pi volte lintervento in quando lesecuzione dellintervento durante lattacco
acuto resa complicata dalledema della cornea che rende spesso inefficiente lazione del laser.

6. Neurite ottica retrobulbare: un processo infiammatorio che colpisce il nervo ottico nella posizione
posteriore. La condizione interessa generalmente un solo occhio, raramente bilaterale. Si
presenta, oltre che con dolore retrobulbare, con riduzione del visus, scotoma centrale, alterata
percezione dei colori, riduzione della sensibilit al contrasto. Osservando il fondo oculare negativo
per riscontri patologici. La NORB una tipica manifestazione desordio o di riacutizzazione della
Sclerosi multipla. La terapia consiste in un ciclo di Solumedrol e.v. 1 mg x 5 gg che generalmente
sufficiente a far regredire la sintomatologia dolorosa e permettere un recupero del visus.
Successivamente il paziente deve essere rimandato ad una visita neurologica presso il centro di SM
dovr intraprendere una terapia preventiva onde evitare deficit irreversibili della acuit visiva.

7. Cause non oftalmologiche: la celluite orbitaria, le neoplasie e gli pesudotumor possono manifestarsi
con dolore intra e perioculare, proptosi, paralisi oculare e alterazioni del fundus.
Le sinusiti possono talvolta causare dolore oculare quando interessano le terminazioni del
trigenmino. Tuttavia, lesame dellocchio mostrer negativit di reperti patologici in questi pazienti;
la diagnosi differenziale si esegue stimolando i trigger point del nervo sovraorbitario e infraorbitario
che evocheranno nei pazienti vivo dolore. La sinusite causa di un dolore sordo e pulsante,
modificato dalle variazioni del capo. AllRX si vede il tipico essudato.

La cefalea pu in alcuni casi avere origine da patologie oculari ma necessita di unattenta indagine per
definirne lorigine. Le cause di cefalea sono infatti:

1. Cause oculari: ametropie, eteroforie (disturbi della motilit oculare), glaucoma


2. Cause extraoculari: vascolari (ipertensione, diabete), nasosinusite, cerebrali (papilledema: si
associano deficit motori, disturbi del visus, midriasi, alterazioni del campo visivo).

Il ruolo delloftalmologo quello di indagare i reperti che possano ricondurre a cause oculari della cefalea
indagando soprattutto lo stato vascolare del paziente e uneventuale ipertensione endocranica.

I disturbi visivi sono frequenti manifestazioni acute che possono avere tuttavia caratteristiche diverse. Pu
trattarsi infatti di annebbiamenti transitori per cui sar necessario indagare le cause vascolari (spasmo
dellarteria centrale, stenosi carotidea, emicrania oftalmica, arterite di Horton), un attacco acuto di
glaucoma, un edema della pupilla o altre cause funzionali (sindrome da conversione).
In altri casi pu trattarsi di miodesopsie descritte dai pazienti come mosche volanti nel campo visivo; in
questi casi pu trattarsi di un addensamento vitrale, distacco posteriore di vitreo, rotture retiniche,
emorragie e/o essudati cotonosi di origine vasculopatica. Va sempre fatto un esame dellocchio mediante
lampada a fessura per valutare una condizione parafisiologica conseguente a disidratazione del vitreo che
nei casi severi pu portare a distacco retinico; nel primo caso si prescriver alla paziente una terapia
reidratante mentre il distacco retinico, se intercettata subito, pu essere trattata con il laser in modo da
evitare il distacco totale con ottimi risultati.
Infine, i disturbi visivi possono consistere in allucinazioni o discromatopsie; in questi casi bisogner indagare

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leventuale assunzione di farmaci o droghe ma anche la possibile presenza di unaura con o senza
emicranica, una crisi epilettica o patologie psichiatriche o neuropsichiatriche.

Lamaurosi la perdita totale della vista pi frequentemente monolaterale ma potendosi manifestare


anche in senso bilaterale. La diagnosi della causa di amaurosi molto complessa essendo numerose le
patologie che possono portare a questa condizione patologica che spaventa molto il paziente che
immediatamente si reca in pronto soccorso. Le possibili cause sono molto gravi e sono:

1. Occlusione arteriosa retinica: una cecit monoculare transitoria o permanente ( pi spesso transitoria,
chiamata Amaurosi Fugace), eventualmente seguita da uno stroke, si verifica in caso di unembolizzazione da
placca aterosclerotica della carotide interna a localizzazione prossimale rispetto allorigine della arteria
oftalmica. In caso di occlusione dellarteria centrale si osserver la retina bianca e la macula rosso ciliegia. Si
tratta con una terapia antiaggregante.

2. Occlusione venosa retinica: pu interessare la vena centrale o una sua branca; andr eseguito un
trattamento immediato per rimuovere il trombo.

3. Emorragia vitreale: si verifica per la rottura di una arteria retinica periferica o centrale. Deve essere
trattata dal punto di vista oculistico finch non si risolve lemorragia ma, essendo talvolta associata
ad una vascolo- emopatia a cui bisogna pensare in caso di emorragie bilaterali, deve essere
rimandata ad na visita immunologica o cardiologica per indagare la causa pi profonda..

4. Distacco di retina: si sospetta quando il paziente manifesta lamaurosi in modo progressivo


generalmente dallalto fino al basso e fino a completa amaurosi.

5. Neurite ottica: in caso di Sclerosi multipla al dolore retrobulbare si pu associare anche amaurosi.
La neurite pu avere anche una causa infettiva o tossica.

6. Lesioni delle vie ottiche: possono essere complete e in tal caso si ha cecit completa omolaterale al
sito della lesione associata a midriasi pupillare e scomparsa del riflesso fotomotore.

7. Crisi epilettiche: raramente possono manifestarsi con crisi visive inibitorie.

8. Interventi di anestesia generale: lamaurosi pu conseguire ad una anemia acuta, a lesioni tossiche
o ad interventi di cataratta.

9. Attacco acuto di glaucoma

10.Intossicazioni acute: lintossicazione da arsenico, tallio, piombo o mercurio possono causare anche
amaurosi.

Lesoftalmo, o protrusione del bulbo oculare, un frequente causa di accesso al pronto soccorso.
Nellesoftalmo osserviamo una protrusione assile dellocchio contrariamente alla proptosi in cui la
protrusione del bulbo pu Lesoftalmo si differenza dalla propsotsi che pu aversi in varie direzioni a
seconda della patologia sottostante. Le cause di esoftalmo sono numerosi e sono cos distinte:

1. Cause vascolari: la fistola carotido-cavernosa causa generalmente esoftalmo a causa dellaumento


della pressione retrobulbare. La caratteristica di questa condizione la presenza di un esoftalmo
pulsante.
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2. Cause infettive: sono la cellulite orbitaria , per alterazione dei muscoli oculari, e il frenulo
dellorbita. La cellulite orbitaria linfiammazione acuta del tessuto adiposo endorbitario causata
da infezione a partenza dei seni paranasali o dai denti, per diffusione metastatica di focolai infettivi
a distanza (batteriemia) o a seguito di un trauma orbitario che porta allingresso di batteri. I batteri
pi frequentemente coinvolti sono lHaemophilus influenzae tipo B e lo Streptococcus pneumoniae.
La cellulite orbitaria frequente nei bambini ma pu colpire qualunque et. diagnosi radiologica
mediante TC o risonanza magnetica che mostra uninfiammazione a livello del massiccio facciale. Si
procede con una terapia antibiotica endovena a largo spettro fino allantibiogramma e un
intervento chirurgico di asportazione se linfezione non risponde al trattamento antibiotico. I
bambini necessitano sempre di una ospedalizzazione e di un trattamento tempestivo. Le possibili
complicanze di una cellulite sono una neurite ottica, una tromboflebite delle vene orbitarie, una
trombosi del seno cavernoso, una panoftalmite e una meningite.

3. Processi espansivi orbitari: meningiomi, rabdomiosarcoma, linfomi; questi causano pi proptosi che
esoftalmo e non sno in genere evenienze che si verificano in acuto a causa della lenta crescita
tumorale ma il paziente pu accorgersene allimprovviso e recarsi in pronto soccorso.
4. Trami cranio facciali: in caso di fratture del pavimentodellorbita in cui i frammenti risalgono nella
cavit orbitaria si pu avere uno spostamento del bulbo oculare in avanti. Si pu avere un
esoftalmo anche per fratture del basicranio-meningoencefalocele.

5. Cause endocrine: sono responsabili generalmente di esoftalmo cronico. La pi nota la


oftalmopatia tiroidea in corso di Morbo di Basedow a causa della presenza di macrofagi retrorbitari
con recettori TSH che vengono coinvolti nel processo infiammatorio. SI osservano inoltre
cheratopatia, strabismo, glaucoma, neuropatia ottica.

Ledema palpebrale acuto rappresenta unemergenza oftalmologica quando, generalmente monolaterale,


causata da una puntura dinsetto o da una cellulite orbitaria. In questultimo caso si accompagna a
febbre, leucocitosi ed esoftalmo. ; la diagnosi radiologica mediante TC o risonanza magnetica che mostra
uninfiammazione a livello del massiccio facciale. Si procede con una terapia antibiotica a largo spettro fino
allantibiogramma e un intervento chirurgico di asportazione se linfezione non risponde al trattamento
antibiotico.

Urgenze oftalmologiche traumatiche


I traumi del bulbo possono essere distinti in traumi diretti e in traumi indiretti. I traumi del bulbo diretti
possono essere a bulbo chiuso (si parla di contusioni bulbari) o a bulbo aperto (ferite).
Le Contusioni bulbari possono essere cos distinte:

1. Sindrome traumatica del segmento anteriore : abrasione corneale, irite traumatica, ipoema,
iridodialisi,stupore pupillare, cataratta traumatica;
2. Sindrome traumatica del segmento posteriore : distacco di vitreo, emovitreo,edema retinico di
Berlin, edemi retinici settoriali;
3. Rottura o scoppio del bulbo: rotture sclerali dopo interventi chirurgici (estrazione di cataratta,
cheratoplastica, cheratotomia radiale)
Si riconoscono poi delle contusioni bulbari particolari:
3. Retinopatia di Purtscher: essudati cotonosi retinici per traumi toracici, dovuti apparentemente ad
emboli di tessuto adiposo costale che si localizzano a livello retinico;
4. Sindrome di Terson: emovitreo in concomitanza ad emorragia sub aracnoidea;
5. Retinopatia di Valsalva: emorragie retiniche in seguito a manovra di Vlasalva, specialmente in
ambito radiologico;
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6. Sindrome del bambino maltrattato: emorragie maculari, indice dello scuotimento del bambino.

Le ferite bulbari possono essere classificate in penetranti, con solo foro dentrata, e perforanti, con foro
dentrata e duscita, entrambe con o senza ritenzione di corpo estraneo endobulbare. Sulla base della sede
si distinguono in congiuntivali, congiuntivo-sclerali (impegno uvea), corneali (prolasso irideo). Il trattamento
parte dalla ricerca di eventuale corpo estraneo che deve essere asportato mediante Rx o ecografia rapida,
rapida chiusura della breccia per ridurre il rischio di fenomeni settici (endoftalmite).

I traumi del bulbo indiretti sono conseguenti a traumi cranio facciali. LOspedale SantAndrea e un DEA di
secondo livello, quindi i traumi facciali sono allordine del giorno. Dal punto di vista epidemiologico, i traumi
cranio facciali causano lesioni neurologiche (57%), fratture facciali (77%) o lesioni oculari associate (33%).
medici di PS che eseguono la prima osservazione e noi veniamo chiamati solo quando le condizioni del
paziente lo permettono, in caso contrario il nostro intervento viene differito.
Il 50% dei traumi cario facciali sono fratture del complesso zigomatico (COMZ), il 32% fratture della regione
nasoetmoidale (NOE), ed il 28% fratture della regione frontale.
Nella dinamica del trauma la prima causa lincidente stradale (80%), seguita dalle aggressioni (15%) e da
incidenti sportivi (4%).
La valutazione del trauma orbitario prevede :
1. Acuita Visiva: la riduzione dellacuita visiva a seguito di un trauma pu verificarsi per
Edema ed ecchimosi periorbitaria e
congiuntivale
Lacerazioni o corpi estranei sclero-congiuntivali
Abrasione e/o edema corneale
Ipoema traumatico
Midriasi traumatica
Iridodialisi (disinserzione delliride)
Cataratta traumatica
Lussazione del cristallino o IOL (pazienti che subiscono cadute dopo lintervento di
sostituzione del cristallino)
Emorragia vitreale
Occlusione post-traumatica dei vasi
Edema e/o emorragie retiniche rotture corio-retiniche
Distacco di retina
Rotture del bulbo
Lussazione del bulbo
Corpi estranei endobulbari

2. Riflessi pupillari: esiste una patologia importante nei casi di traumi cranio facciali che e la neuropatia
ottica traumatica, in cui il paziente presenta amaurosi, midriasi, con danno del nervo ottico; le cause
possono essere:
Ematoma intraorbitario (23%)
Avulsione del nervo ottico (15%)
Frammenti endorbitari (15%)
Frattura intracanalare (15%)
Edema o emorragie delle guaine
Si parla invece di sindrome dellapice orbitario in cui alla midriasi e allamaurosi, si accompagna
anche la diplopia a causa della lesione di altri nervi cranici; sono patologie di competenza anche
neurochirurgica, per cui e necessario un tempestivo planning terapeutico mediante lausilio di TC,
esami funzionali (PEV) e valutazione oftalmologica, ed un successivo intervento chirurgico di
decompressione.

3. Posizione del bulbo oculare: si pu osservare proptosi o esoftalmo le cui cause possono essere
ematoma orbitario, fratture blow-in orbitarie (i frammenti di frattura si localizzano allinterno della
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cavita orbitaria aumentandone il volume e determinando cosi lesoftalmo), fratture del basicranio,
meningoencefalocele; lenoftalmo invece e causato da fratture orbitarie blow-out; lipoglobo causato
da fratture del complesso orbito-zigomatico (COMZ), in cui il bulbo si depiazza verso linterno e verso il
basso.

4. Motilita oculare - Diplopia: un trauma orbitario, una frattura del pavimento orbitario associato a
diplopia e un trauma che ha indicazione allintervento chirurgico di riduzione e contenzione; si avra in
questi casi uno slivellamento della linea bipupillare ed un incarceramento del muscolo retto inferiore
(trapdoor). Potrebbe verificarsi in questi casi anche una lacerazione muscolare.

5. Esame palpebrale: potrebbero verificarsi lacerazioni palpebrali, presenza di corpi estranei, ptosi per
lacerazione del muscolo, pseudo ptosi a causa delledema palpebrale, enfisema (presenza di aria
nellorbita, in seguito alla frattura), interruzione delle vie lacrimali. Il gold standard diagnostico e
rappresentato dalla TC eseguita in proiezione assiale, coronale (da cui e ben apprezzabile un eventuale
incarceramento del muscolo retto inferiore), laterale (che permette di valutare un eventuale
emoseno), e con ricostruzione tridimensionale.

Il gold standard diagnostico rimane per la TC eseguita in proiezione assiale, coronale (da cui e ben
apprezzabile un eventuale incarceramento del muscolo retto inferiore), laterale (che permette di valutare
un eventuale emoseno), e con ricostruzione tridimensionale.

I traumi dellorbita rientrano tra le emergenze oftalmologiche traumatiche. Le fratture possono essere
fratture isolate (fratture con scoppio: con blow-out o blow-in dellocchio), e fratture complesse (fratture
senza scoppio: fronto-orbitarie, naso-etmoido-orbitarie, zigomatico-orbitarie, orbito-maxillo-malari, Le Fort
II e III):
Fratture fronto-orbitarie : si accompagnano a sintomi prettamente orbitari, oftalmoplegia, deficit
degli elevatori, anestesia del V paio di nervi cranici, fino alla comparsa di altri sintomi come
pneumoencefalo, ipertensione endocranica, rinoliquorrea, meningiti ed anosmia.
Fratture naso-etmoido-orbitarie: hanno come caratteristica lepicanto (si recidono i legamenti
cantali interni), lepifora, il telecanto traumatico.
Fratture Blow-Out: quella del pavimento orbitario caratterizzata da ecchimosi congiuntivale,
anestesia della II branca del V paio di nervi cranici, diplopia, enoftalmo, pseudo ptosi, prova della
duzione forzata positiva (per testare lincarceramento del muscolo), enfisema palpebrale. Quella
della parete mediale caratterizzata da enfisema della palpebra superiore, ecchimosi periorbitaria,
enoftalmo, deficit di mobilit, telecanto traumatico. La sindrome trapdoor importante perch
caratterizzata da grave deficit della mobilit per intrappolamento del muscolo retto inferiore, da
disturbi vagali come sincope, nausea e vomito in quanto viene compromesso il Nervo Vago; la
peculiarit di questa sindrome proprio lintrappolamento del muscolo, come se uno sportello
osseo si aprisse e si richiudesse intrappolando il muscolo, determinandone una forte sofferenza.
Fratture orbito-zigomatiche : caratterizzate da ecchimosi palpebrale, ipoglobo, diplopia, parestesie
a casico della II branca del V paio di nervi cranici, appiattimento del pomello zigomatico.
Fratture orbito-maxillo-malari : interessano anche la mandibola, per cui a tutti i disturbi tipici di una
frattura orbitaria si associa anche mal occlusione.

Il ruolo delloftalmologo nei traumi orbitari quello di identificare le lesioni oculari, dare indicazioni per il
trattamento chirurgico e ricostruire i tessuti lesi; spesso quindi si istituisce una vera e propria equipe
traumatologica per gestire questi casi.

Urgenze neuroftalmologiche
Le urgenze neuroftalmologiche si configurano come manifestazioni oculari secondarie a patologie nervose;
si riconoscono in quanto la sintomatologia oculistica si associa a segni quali cefalea, diplopia, nausea e
vomito. In questi casi il ruolo delloftalmologo quello di eseguire una valutazione oftalmologica per

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ricercare ledema della papilla (il nervo ottico unestroflessione dellencefalo quindi, qualsiasi lesione a
carico della papilla indicativa di interessamento centrale); importante eseguire una diagnosi
differenziale tra edema della papilla causato da ipertensione endocranica, oppure da papillite o neurite
ottica.
In questi casi si esegue unosservazione del fondo oculare di entrambi gli occhi, potendo osservare:

Edema della papilla: la causa di formazione di un edema papillare lipertensione endocranica. I


segni clinici suggestivi di ipertensione endocranica sono la cefalea, la causa, la bradicardia, la
diplopia e la midriasi (per paralisi dei nervi cranici), disturbi visivi irrilevanti. Ledema pu essere
bilaterale (quando lipertensione causata da neoformazioni cererbali, pseudotumor cerebri,
traumi cranici, vasculopatie) o bilaterali (per occlusione della vena centrale, neoformazione del
nervo ottico o ipotono oculare).
Ci sono quattro stadi nella formazione delledema della papilla:
1. Stadio I: abbiamo solo una papilla che solo lievemente iperemica, con margini sfumati le
vene un po tortuose e dilatate.
2. Stadio II: la papilla diventa rilevata, tre diottrie equivalgono a un millimetro, nessun
disturbo visus.
3. Stadio III: papilla molto rilevata, emorragie essudati peripapillari, nel campo visivo
allargamento macchia cieca e un restringimento dellisoptere periferiche.
4. Stadio IV: papilla atrofica a causa dellossigenazione e c una grave riduzione visiva.
Papillite: una infiammazione del nervo ottico nel suo segmento intrabulbare e per questo detta
Neurite Ottica Intrabulbare; Alla valutazione del fondo oculare osserveremo edema che si estende
in sona peripapillare (neuroretinite, uveopapillite), disturbi rilevanti del visus, scotoma centrale o
centro cecali. La papillite generalmente bilaterale potendo per riscontrarsi in forma
monolaterale in alcune malattie demielinizzanti (rara manifestazione di SM), nella flobosi orbitaria,
cererbali e sistemiche, in caso di intossicazione da medicinali o alcool, come manifestazione
dellAIDS o della sindrome di Bechet o per malattie vascolari (pseudopapillite).
Neurite ottica retrobulbare: una infiammazione del nervo ottico nel suo tratto extraorbitario,
generalmente retroorbitario. Si manifesta con vari gradi di riduzione del visus ma caratteristico lo
scotoma centrale. La NORB pu essere monolaterale (50% dei casi SM) o bilaterale (cause vascolari
o ischemiche). Losservazione del fondo oculare mostra unassenza di lesioni.

Unaltra emergenza neuroftalmologica la diplopia in assenza di trauma. In et pediatrica, generalmente


si tratta di un compenso di strabismo oppure di uninfezione da virus; talvolta la causa pu essere
unipertensione endocranica o la miastenia gravis.
Nelladulto ci possono essere cause centrali ma le cause pi frequenti sono di tipo metabolico: si tratta
generalmente di un paziente diabetico che abbia sviluppato una polineuropatia con coinvolgimento dei
nervi oculomotori oppure di un paziente iperteso. In alcuni casi la diplopia pu essere manifestazione di di
botulismo oppure oftalmopatia tiroidea, quando associata ad esoftalmo. Non si pu per evitare di
sottoporre il paziente ad un TC cerebrale per escludere cause organiche a livello centrale.

Le paralisi dellaccomodazione hanno uneziologia neurologica e non neurologica molto ampia. In caso di
midriasi bilaterale opportuno indacare leventuale utilizzo di colliri midriatici o vasocostrittori, utilizzati
dal paziente di propria iniziativa; tuttavia, la midriasi bilaterale pu essere causata anche da traumi
indiretti (colpo di frusta), cause infettive (difterite o botulismo), intossicazione da organofosforici), lesioni
cerebrali, diabete e miastenia.
La midriasi monolaterale (anisocoria) pu essere causata dallinstillazione di colliri cicloplegici o
vasocostrittori, da medicinali a base di atropa belladonna, cerotti contro il mal dauto (la scopolamina
presente in questi cerotti pu dare anisocoria), trauma diretto oculare (stupore irideo), glaucmoa acuto,

143
lesioni delle vie ottiche o paralisi del III.
La miosi invece causata generalmente dallinstillazione di colliri miotici, dall0iridociclite o dalla S. di
Horner.

Unaltra caratteristica manifestazione neuroftalmologica la ptosi palpebrale che ha sempre una natura
neurologica. In caso di ptosi monolaterale le cause possibili sono la miastenia gravis, un aneurisma
cerebrale, il diabete, la stenosi cerotidea, la SM, lesioni cerebrali e orbitarie. La ptosi bilaterale si manifesta
in caso di botulismo o per un aneurisma cerabrale.
La ptosi palpebrale vera deve essere distinta dalla pseudoptosi, ovvero la ptosi palpebrale causata da un
edema palpebrale a seguito di un processo infiammatorio o allergico o seguito di un enoftalmo post-
traumatico.

Manifestazioni oculari di malattie sistemiche


Molte malattie provocano manifestazioni cliniche oculari o alterazioni evidenziabili con un esame oculistico.
In alcuni casi i segni oftalmologici sono i primi che consentono di identificare una malattia sistemica, in altri
casi l'esame oculistico valuta il grado di avanzamento della malattia sistemica. In questi casi il ruolo
delloftalmologo fare diagnosi o valutare levoluzione della malattia sistemica.
Le patologie che possono dare manifestazioni oculari sono:

Patologie vascolari: ipertensione vascolare, arterosclerosi, diabete


Dismetaboliche: displipidemie;
Ematiche: talassemie, leucemie, coagulopatie;
Endocrine: adenoma ipofisario, ipertiroidismo;
Renali: insufficienza renale.

La retinopatia diabetica la prima causa di cecit nella popolazione mondiale a causa di un ritardo nella
diagnosi e terapia. Nella retinopatia diabetica possono distinguersi i seguenti stadi:

1. Stadio I (background): alla valutazione del fondo oculare potremo osservare una dilatazione
venosa e alterazioni del calibro dei vasi con microaneurismi perimaculari;
2. Stadio II (emorragico essudativo): si osservano emorragie del polo posteriore e essudati duri;
3. Stadio III: si osserva la progressione delle lesioni periferiche con ciuffi ci capillari neoformati
epipapillari.

In questa classificazione non incluso ledema maculare diabetico; questa condizione pu presentarsi in
associazione sia alla retinopatia diabetica non proliferante che a quella proliferante. Le sight threatening
lesions (lesioni che compromettono la vista) sono la retinopatia non proliferante grave, la retinopatia
diabetica proliferante e ledema maculare (associato o meno alla presenza di neovascolarizzazione). Le
emorragie sono una frequente complicanza della retinopatia diabetica proliferante, a causa dellelevata
fragilit dei neo vasi, e allo stesso modo possono essere responsabili della perdita della vista temporanea o
permanente. Le emorragie possono essere pre-retiniche o vitreali; la conseguenza delle emorragie la
formazione di tessuto fibroso il quale si ancora alla retina in uno o pi punto e in seguito contraendosi, d
luogo al distacco retinico con perdita permanente della vista; negli stati pi avanzati possibile la rottura
retinica che causa una perdita permanente della vista.
Il Gold standard per la diagnosi di retinopatia loftalmoscopia di routine.

La retinopatia ipertensiva una improtante complicanze oculare dellipertensione sistemica. Allesame del
fondo oculare potremmo osservare reperti diversi a seconda dello stadio di avanzamento della retinopaia
descritto dalla classificazione di Keith-Wagener:

1. Stadio I: sclerosi arteriolare con ispessimento, irregolarit e tortuosit vasale, aumento del riflesso
arteriolare, schiazziamento della vena agli incroci A-V;
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2. Stadio II: riduzione di calibro arteriolare focale e generalizzata; cambiamenti del decorso venoso
dopo incrocio A-V;
3. Stadio III: arterie a filo di rame, dilatazione venosa distale e spruzzo emorragico agli incroci A-V,
schiacciamento della vena agli incroci A-V, emorragie a fiamma, essudati duri e cotonosi;
4. Stadio IV: riflesso arteriolare a filo dargento, papilledema.

Recentemente hanno fatto uno studio che dimostra che lesame del fondo oculare importante nei
pazienti con crisi ipertensiva in pronto soccorso, in emergenza. In emergenza necessario fare la diagnosi
differenziale fra urgenza ipertensiva e emergenza ipertensiva. Naturalmente lurgenza ipertensiva solo un
rialzo pressorio e il paziente non va ricoverato mentre nellemergenza il paziente va ricoverato e c un
unevidente rischio di rischio per la sua vita, c unencefalopatia e c un danno dorgano. Abbiamo visto
che il protocollo per il danno dorgano mette in prima battuta lesame del fondo dellocchio poich
attraverso questo esame, attraverso una goccia che noi mettiamo possiamo indagare sulle condizioni
circolatorie del paziente. Poi c lelettrocardiogramma, gli enzimi cardiaci, la creatinina, lesame delle
urine, la radiografia e alla fine la tac. Le conclusioni sono state queste: che mentre nel primo e nel secondo
stadio parliamo di emergenza, i disturbi sono irrilevanti rispetto alla condizione del paziente e quindi non ci
danno molto conforto per poter affrontare un terapia, invece quando troviamo un a situazione di terzo e
quarto stadio il paziente a rischio, in emergenza ipertensiva. Perch il nervo ottico unestroflessione
dellencefalo quindi quando noi troviamo una condizione di edema retinico e papillare noi sappiamo che
abbiamo unencefalopatia ipertensiva con un con un edema della papilla e quindi in condizioni di
ipertensione endocranica. Lesame del fondo oculare considerato un ottimo strumento diagnostico per
lencefalopatia ipertensiva, non solo, necessario in tutte le crisi ipertensive quindi in emergenza, da
attuare perch pu aiutarci nella scelta del trattamento pi idoneo e nella strategia terapeutica pi adatta
al paziente proprio in emergenza. E considerato quindi proprio a livello internazionale il primo esame da
fare per stabilire il danno dorgano, prima degli enzimi cardiaci e degli altri. Diceva anche Bruce che lesame
del fondo dellocchio necessario in tutte le forme acute mediche e neurologiche perch il nervo ottico
lestroflessione dellencefalo.

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Casi clinici
(prof. Trappolini)
Caso clinico 1 - Interazioni tra succo di pompelmo e farmaci cardiovascolari

Anamnesi fisiologica: Donna di 83 in lieve sovrappeso


Patologica Remota: Un infarto nel 1998, alcuni episodi di fibrillazione atriale mai documentati
dallECG (ogni volta corsa in ospedale ma ogni volta il medico ha trovato sempre un ritmo
sinusale, ma lei a casa lo avvertiva e lo descriveva in modo abbastanza caratteristico).
TH attuale: Lasix (1 cp x 2/die), Bisoprololo 1,25mg (1 cp/die), cardioaspirina e Ciclopidina.
Patologica prossima: Dopo un pasto veramente abbondante e dopo aver bevuto
abbondantemente, manifesta una condizione di sincope per cui viene ricoverata. La sincope aveva
avuto come prodromo una palpitazione importante. I suoi parenti chiamano il 118 e la portano in
ospedale. In ospedale asintomatica e i parametri vitali sono tornati nella norma.
Esami ematochimici in PS: Troponina T, C e I negative, emocultura nella norma, funzionalit renale,
potassiemia 3,8 (v.n. 3,5-5 mEq/L), Magnesiemia 2 (v.n. 1.5 - 2 mEq/L).
ECG: assenza di onde P chiaramente identificabili indicative di una FA in atto.

Discussione: La FA un epifenomeno del quale dobbiamo identificare la causa. Possiamo dire sul piano
teorico che la fibrillazione atriale insorta nel momento in cui sono insorte le palpitazioni, quindi pensiamo
che linsorgenza risale a 2 o 3 ore prima.
La sincope pu essere insorta per le seguenti cause:

1. Sincope neuromediata nel passaggio da un ritmo sinusale ad ritmo irregolare instauratosi per una
elevata risposta ventricolare in una paziente con FA. possibile che la signora abbia avuto delle
fasi di fibrillazione atriale misconosciute e lultima lha sentita, c stata una pausa lunghissima si
ripristinato il ritmo sinusale ed scomparsa la fibrillazione atriale, quindi c qualcosa che ci fa
sospettare che questa sincope neuromediata sia dovuta al passaggio da una fase sinusale alla FA,
un ipotesi.
2. Aritmia ventricolare in una paziente cardiopatica ischemica.
3. Leccessiva distensione dello stomaco a seguito del pasto abbondante potrebbe aver indotto una
forte stimolazione vagale a livello cardiaco che, come meccanismo reattivo di compenso, ha
portato ad un aumento compensatorio della frequenza cardiaca da cui poi insorta la FA.
4. FA a 190 e quindi unipoperfusione cerebrale che ha dato la sincope.

Queste sono 4 ipotesi che sono tutte plausibili. Viene ritenuto pi probabile la diagnosi di sincope
neuromediata nel passaggio tra ritmo sinusale e FA. A questo punto le possibilit terapeutiche sono:

1. Cardioversione elettrica dopo ecotransesofageo per escludere la presenza di un trombo a livello


dellauricola: non indicato perch la FA insorta da 2 o 3 ore; inoltre, non essendo una
condizione di instabilit cardiocircolatoria abbiamo la possibilit di indagare la causa pi profonda
della comparsa della fibrillazione.
2. Cardioversione farmacologica;
3. Controllo della frequenza dopo aver scoagulato la paziente;
4. Osservazione.

La scelta migliore quella di scoagulare la paziente, controllare il ritmo cardiaco e decidere


successivamente se cardiovertire la FA a ritmo sinusale con una cardioversione farmacologica.
Viene scelto il Cordarone (Amiodarone)5 mg/kg infusa in 15 min per la cardioversione; quindi si continua
linfusione nelle 24 ore successive fino ad massimo di 1,5 g nelle 24 ore.

146
Durante linfusione di Cordarone la paziente manifesta un nuovo episodio di perdita di coscienza associato
ad nuovo episodio di FA nonostante si stia infondendo lantiaritmico consigliato nei pazienti cardiopatici.
Le possibili cause di questo nuovo evento sono:

1. Bradicardia marcata
2. Il Cordarone ha inibito tutta lattivit elettrica dellatrio e del NSA; questa azione depressiva sulla
conduzione elettrica del nodo del seno ha determinato una pausa di 3-4-5 sec da determinare
larresto.
3. Aritmia ventricolare maligna favorita da un allungamento del QT secondario allinfusione di
Cordarone: tutti i farmaci anti aritmici hanno un effetto pro aritmico, anche se il Cordarone tra tutti
quello che lo da meno.

LECG eseguito in urgenza mostra un extrasistole ventricolare precoce, la ricomparsa di un ritmo sinusale
poi una nuova extrasistole ancora pi precoce di quella precedente e ancora unextrasistole ancora pi
precoce ma di morfologia diversa: in v5 presente una polarit maggiore prima verso il basso e poi verso
lalto, classico reperto elettrocardiografico di una torsione di punta dovuto ad una instabilit elettrica
conseguente allallungamento del QT indotto dal Cordarone.

possibile che questa alterazione del ritmo (torsione di punta) sia stata la causa del primo episodio
sincopatico. Generalmente la torsione di punta autolimitante ( durata di 10-20-30 sec durante i quali la
paziente perde coscienza); qualora non sia autolimitante, la torsione di punta che pu degenerare in
Fibrillazione ventricolare con exitus.

Occorre a questo punto indagare la causa della comparsa della torsione di punta in pronto soccorso.
importante sapere che quando si somministrano farmaci, qualunque essi siano, possiamo determinare
una alterazione del rapporto tra il potassio intra ed extracellulare. Queste alterazioni sono importanti sulla
funzionalit delle cellule elettriche cardiache.
La signora aveva un potassio di 3,8 normale; ma quello che pi importante non tanto il potassio
extracellulare ma il rapporto tra lintra e lextra per cui puoi avere anche un extra normale ma il calo del
potassio intracellulare non fa che determinare una differenza di potenziale tra linterno della cellula
miocardica e lesterno ma questo un fatto specialistico.
A me interessa vi ricordiate che alcuni farmaci potenzialmente a rischio di tare torsioni di punta per
allungamento del QT:

147
Sono farmaci che usiamo quotidianamente quindi bisogna porre grande attenzione al loro utilizzo nei
pazienti a rischio.

Alla paziente stato prontamente sospeso lAmiodarone ma la paziente ha continuato ad avere numerosi
episodi di tachicardia ventricolare non sostenuta (cio di durata inferiore ai 30 sec) e un altro episodio di
torsione di punta per cui stata cardiovertita immediatamente.
Quale terapia avreste fatto in questa paziente che nonostante la sospensione del farmaco continua ad
avere questo episodio:

1. mg solfato
2. isoprotenerolo perch ha unazione di stimolazione simpatica
3. la lidocaina che ha unemivita breve
4. stimolazione con pacemaker

Alla paziente stata somministrata con successo la Lidocaina con progressiva riduzione di episodi aritmici e
normalizzazione del QT nelle 24 ore successive. Quindi in 4 giornata la paziente stata dimessa con ritmo
sinusale e QT normale.

Quindi, in PS linfusione di Cordarone ha determinato lallungamento del QT che poi stata la causa della
comparsa della torsione di punta. Ma quando stava a casa quale stata la causa?
La paziente faceva una terapia cronica con Lasix, che un potassio disperdente, per cui il QT di base era gi
lungo.
Ma cosa a scatenato lulteriore allungamento che stato la causa scatenante della torsione di punta? in
particolare sospetta la comparsa a seguito di un pranzo abbondante. Si indaga quindi sugli alimenti che
possano aver interagito con il Lasix scatenando la torsione di punta. Il pranzo della paziente era consistito in
dosi abbondanti di: acqua sulfurea, succo di pompelmo, vino bianco e grappa.
La signora in particolare aveva bevuto 1,5 L di pompelmo. noto che Il succo di pompelmo pu alterare la
farmacocinetica di diversi farmaci mediante differenti meccanismi. Numerosi farmaci cardiovascolari
possono interagire con il succo di pompelmo. Il succo di pompelmo pu favorire la tossicit dei farmaci
antiaritmici, come Amiodarone, Chinidina, Disopiramide o Propafenone, e del farmaco antiscompenso
Carvedilolo.
L'interazione con gli inibitori dell'HMG CoA-reduttasi ( statine ), quali l'Atorvastatina, la Lovastatina e la
Simvastatina pu aumentare il rischio di rabdomiolisi.
Il succo di pompelmo pu provocare vasodilatazione eccessiva nei pazienti ipertesi trattati con un
calcioantagonista diidropiridinico, quale la Felodipina, la Nicardipina, la Nifedipina, la Nisoldipina, la
Nitrendipina.

148
L'effetto terapeutico del Losartan, un antagonista del recettore dell'angiotensina II di tipo 1, pu essere
ridotta dal succo di pompelmo.
Il succo di pompelmo interagendo con il farmaco anti-diabete Repaglinide pu causare ipoglicemia, mentre
l'interazione con la Sibutramina, un farmaco anti-obesit, pu produrre un'elevazione della pressione
sanguigna e della frequenza cardiaca.
Nell'angina pectoris, la somministrazione del succo di pompelmo assieme al calcioantagonista Verapamil
pu causare disturbi della conduzione atrioventricolare, oppure il succo di pompelmo pu attenuare
l'attivit antiaggregante piastrinica del Clopidogrel.
Questo caso stato pubblicato sullAmerica Journal of Emergency Medicine riguardante gli effetti dannosi
del succo di pompelmo.

Caso clinico 2 Effetti collaterali cardiaci del Citalopram e della Levosulpiride


Anamnesi fisiologica: Donna di 89
Patologica Remota: Ipertensione. Sindrome depressiva in trattamento con CItalopram 40 mg/die.
Non precedenti cardiologici di rilievo
TH attuale: CItalopram 40 mg/die
Patologica prossima: giunge in PS per un episodio di arresto cardiocircolatorio da taachicardia
ventricolare polimorfa per cui stata cardiovertita dai medici del 118. Quando giunge in PS
asintomatica, i parametri vitali sono nella norma.
Esami ematochimici in PS: creatinina normale, sodiemia 137 (v.n. 135-145 mEq/L) potassiemia 3,9
(v.n. 3.5-5 mEq/L), troponine negative, magnesiemia nella norma .
ECG in PS: ritmo sinusale con delle alterazioni diffuse nella fase della ripolarizzazione con delle onde
T asimmetriche di scarso significato ischemico in numerose derivazioni; QT 650 ms (v.n. 300-450
msec). Numerosi episodi di tachicardia ventricolare non sostenuta tipo torsioni di punta generati da
fenomeni R su T.
Ecocardiogramma in PS: rilievi compatibili con let della paziente.

A questo punto quale terapia instaurare alla paziente:

1. Mg solfato
2. isoprotenerolo perch ha unazione di stimolazione simpatica
3. la lidocaina che ha unemivita breve
4. stimolazione con pacemaker

Per questa paziente stata scelta una terapia con magnesio solfato.
Da ulteriore anamnesi emerge che la paziente ha iniziato ad assumere da circa 5 gg Levosulpiride
(levopride) che agisce bene anche sul cardias e su pazienti con malattia da reflusso. Usando questo
farmaco assunto 3 vv al d aveva iniziato ad accusare palpitazioni che si autolimitavano ed erano
associate a sensazioni di venir meno, cio episodi pre sincopali, la signora si doveva sedere si
doveva sdraiare se no perdeva conoscenza.resistenti ha una buona efficacia. Quindi si sospetta un
effetto collaterale dovuto dallassociazione tra CItalopram e Sulpiride che abbia comportato un
allungamento del QT con la comparsa successivamente di torsioni di punto. Per questo la paziente viene
immediatamente sottoposta ad un wash out farmacologico. In 4 giorni il QT ritorna normale
a 0,45 sec.
A distanza di poche settimane si deciso insieme ai neurologi di riassumere lescitalopram a dosi
crescenti fino a un massimo di 10 mg al giorno.

Gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) rappresenta un gruppo di farmaci
antidepressivi che associa a unefficacia paragonabile ai triciclici una maggiore sicurezza e tollerabilit (per
questo detti antidepressivi atipici), oltre a un ampio spettro di attivit terapeutiche. Il meccanismo dazione
149
consiste in uninibizione selettiva della ricaptazione della serotonina, con un potenzialmento specifico della
trasmissione serotoninergica. La caratteristica peculiare la diversa affinit per il trasportatore della
serotonina, la diversa potenza con cui bloccano la ricaptazione della 5-HT e, soprattutto, la diversa
selettivit che influisce per lo pi sulla tipologia degli effetti indesiderati. Il citalopram e lescitalopram sono
i pi selettivi, non interagiscono con altri trasportatori; inoltre, il citalopram possiede solo una devole
affinit per i recettori H1, responsabili delleffetto sedativo. Gli antidepressivi della classe degli SSRI sono i
farmaci di prima scelta nel trattamento della Depressione e dei Disturbi DAnsia.
Tra gli effetti collaterali di questa classe farmacologica, oltre ai disturbi della sfera sessuale e ai disturbi
gastrointestinali, vi sono anche effetti cardiologici.
Il citalopram uno dei farmaci pi sicuri da questo punto di vista. Tuttavia agisce sul potenziale dazione
agendo prevalentemente sui canali del K determinando un allungamento del QT. Alcune condizioni
patologiche concomitanti (es. insufficienza renale) possono contribuire a determinare linstabilit elettrica
responsabile della comparsa di torsioni di punta.

La levosulpiride, che il farmaco che stato aggiunto, non descritto come un farmaco che allunga il QT;
tuttavia, ha una struttura chimica molto simile a quella del Cisaprine, un farmaco che agisce sui recettori
5hT4 utilizzato in passato e poi ritirato dal commercio per il suo effetto sul proaritmico. Quindi non sono
riportati casi da disturbo dellallungamento del qt da levosulpiride tuttavia la sua blanda
attivit anche sui recettori serotoninergici cardiaci e la parziale analogia con il cisapride , con
effetto antiaritmico come i farmaci della classe antiaritmica 3, posso pensare che lassociazione
con il citalopram che di per se ne capace, possa sinergizzarsi e determinare lallungamento del
qt. Questa segnalazione stata pubblicata sullamerican journal of emergency medicine e quindi stato
fatto aggiungere sul foglietto illustrativo del farmaco che unassociazione con questa sostanza pu
determinare lallungamento.

Caso clinico 3 - sindrome di Smith

Premessa
Quello che questo caso clinico deve insegnare non tanto liter diagnostico e terapeutico della malattia la
cui diagnosi verr definita in seguito quanto piuttosto limportanza di non soffermarsi mai sulla diagnosi e
terapia di una manifestazione clinica senza ulteriormente approfondire la causa scatenante.
Un altro esempio il caso clinico che molto spesso il professore chiede agli esami quello del paziente
giunge in pronto soccorso con una TVP: si tratta con eparina e si dimette. Questo un atteggiamento
terapeutico ormai superato; infatti, dopo aver superato la fase acuta bisogna sempre indagare la causa
della TVP che, in assenza di altre diagnosi plausibili, deve far sospettare una manifestazione
paraneoplastica che quindi necessita accertamenti radiologici total body.
Inoltre, il professore tiene a precisare che non ci si deve accontentare di diagnosi approssimative finch non
si sia trovata una causa plausibile. Un paziente, seguito da tempo dal professore, diabetico, con
insufficienza renale cronica, cardiopatico e con insufficienza renale ha scoperto a seguito di una polmonite
una anemia normocromica, normocitica e con profilo marziale normale. In un primo momento si era
esclusa una anemia sideropenica nonostante una ricerca del sangue occulto nelle feci avesse mostrato un
valore positivo. Una gastroscopia eseguita in urgenza a seguito del peggioramento acuto dei parametri
vitali del paziente ha permesso di diagnosticare la presenza di un tumore localizzato a livello del fondo dello
stomaco che aveva causato la anemia da stillicidio ematico. Quindi attenzione: i pazienti che incontriamo
negli ambulatori non sono i pazienti che descrivono i libri.

Anamnesi patologica prossima: una paziente di 28 anni giunge in pronto soccorso lamentando
nausea, dolore toracico e febbre a 38 da alcuni giorni. Il dolore toracico accentuato in intensit al
150
mattino, localizzato nella regione precordiale e sottomammaria sinistra, ha carattere oppressivo
continuo, non si modifica con il decubito, con la tosse e con gli atti del respiro.

Anamnesi patologica remota: riferisce irregolarit mestruali e una modestra iper-PRL. Affetta da
Tiroidite di Hashimoto.

Anamnesi familiare: riferisce familiarit per malattie tiroide e per malattie autoimmuni (Lupus).

Esame obiettivo: nulla di rilevante, si conferma il rialzo termico a 38.

ECG: ritmo sinusale con depolarizzazione aspecifica della ripolarizzazione ventricolare (compatibile
con il rialzo termico).

A questo punto, lesame diagnostico indicato per questo caso di una paziente febbrile per la quale lecito
sospettare una natura settica della febbre un emocromo. Lemocromo mosta una: leucociti 12.6000 con
formula conservata. Si conferma la natura settica ma il fatto che la formula sia confermata non lascia
supporre il tipo di agente batterico.
Vengono prescritti quindi ulteriori esami ematochimici di routine da cui emerge:
Creatininemia: 3.34, si calcola la clearence (75 ml/min) che mostra una modesta insufficienza
renale.
Sodiemia: 131 mEq/L (v.n. 136-145 mEq/L)
Potassiemia: 5.1 mEq/L (v.n. 3.5-5 mEq/L)
Questi risultati alterati vengono interpretati come non significativi alla luce del fatto che la paziente
sudando abbia alterato gli equlibri idroelettrolici.
Fibrinogeno: alterato, probabilmente a causa del processo infettivo in atto.
D-Dimero: nella norma.
Emogas: nella norma.

A questo punto, tenuto conto della sintomatologia toracica, viene prescritta una RX del torace che mostra
assenza di lesioni pleuropolmonari in atto; si esclude la presenza di un processo infettivo a livello toracico.
Il medico di pronto soccorso prescrive ed esegue un ecocardiogramma transtoracico che mostra la
presenza di uno spazio ecoprivo pericardico posteriore, di lieve entit: si fa quindi diagnosi di pericardite.
Sebbene questo esame si sia rivelato fondamentale ai fini della diagnosi di pericardite, il professore
sottolinea che lui non avrebbe prescritto lecocardio perch non ve ne era chiara indicazione sulla base
della sintomatologia; il medico di pronto soccorso ha tuttavia sospettato che potesse trattarsi di una
pericardite in quanto molto frequente nei pazienti giovani. Inoltre, afferma che il riscontro di uno spazio
ecoprivo nella cavit pericardica di un paziente giovane un reperto molto frequente e non sempre
significativo di un processo infiammatorio del pericardio, potendosi infatti riscontrare anche a seguito di
una banale influenza.

Si ricovera la paziente e le vengono quindi somministrati:


Paracetamolo e Aspirina 500 mg: per ridurre la febbre e il processo infiammatorio;
Soluzione di NaCl 1000 cc: per correggere la diselettrolitemia.

151
La paziente viene rivalutata il giorno successivo in cui si osserva benessere clinico con normalizzazione della
temperatura corporea (il paracetamolo e laspirina ha fatto effetto!!). Ripete per lecocardiogramma che
mostra un aumento dello scollamento dei foglietti pericardici rispetto al controllo precedente, indicativo
di un aumento del versamento pericardico, e un impegno del versamento sulle pareti del ventricolo destro,
ma privo di effetto emodinamico.
Nonostante il benessere clinico, si decide giustamente di monitorizzare costantemente la ragazza e si
decide di infondere rapidamente altri 1000 cc di soluzione fisiologica per favorire sovraccaricare il circolo ed
impedire il tamponamento.

Dopo due ore la situazione precipita: la paziente manifesta ipotensione arteriosa con PA 80/40 mmHg, FC
130 bpm, allECG si osserva tachicardia sinusale con complessi QRS ridotti di voltaggio e alterazioni
aspecifiche di ripolarizzazione ventricolare. Si ripete lecocardiogramma che mostra spessore aumentato
del versamento e prolasso diastolico della parete libera del ventricolo dx, chiari segni di iniziale
tamponamento cardiaco. Linfusione di 1000 cc, contrariamente alle attese, ha accelerato la trasudazione
di liquidi portando alla rapida comparsa del tamponamento cardiaco.
Si richiede una consulenza cardiochirurgica; mediante la pericardiocentesi si riesce a ridurre leffetto
emodinamico del versamento, con risoluzione immediata del quadro emodinamico e miglioramento del
quadro clinico della paziente.

Dopo liniziale miglioramento del quadro clinico, la paziente manifesta unimprovvisa ed intensa dispnea da
insufficienza respiratoria acuta. Si decide di intubare la paziente per sostenere la funzione respiratoria
meccanicamente. Un RX del torace eseguita in urgenza mostra estesi addensamenti a livello del
parenchima polmonare, pi evidenti a destra; questi segni sono indicativi di un edema polmonare in atto.
Segue anche una TC polmonare che mette in evidenza un addensamento pleurico bilaterale di notevole
intensit.
Il quadro evolve favorevolmente in modo spontaneo e la paziente dopo 36 ore viene estubata.

Sopraggiunge lesame colturale e biochimico del liquido pericardico che mostra una negativit per la
componente anticorpale virale nonch autoimmune. Lo screening anticorpale sistemico conferma questi
dati eccetto che per la presenza di anticorpi anti-TPO (ma non sono significativi perch la paziente aveva gi
una diagnosi di Tiroidite di Hashimoto).

Quale allora la diagnosi di dimissione? Pericardite acuta ndd in paziente con tiroidite autoimmune ed
edema polmonare.
Tuttavia, per la premessa suddetta, questo ragionamento non deve accontentarci.
Secondo il professore la diagnosi pi probabile di Pericardite autoimmune per la rapidit con cui
si sviluppata, per la coesistenza di una patologia autoimmune, per lassenza di una componente
virale. In diagnosi differenziale potrebbe considerarsi anche una Pericardite paraneoplastica (ma
non si tratta di questo caso).

Allora al PS, alla dimissione, sebbene questa non sia una diagnosi definitiva, viene consigliato un
trattamento steroideo associato a terapia ormonale sostitutiva con 50mg di levosina per un TSH elevato.
La signora va a casa e sta bene ma ad un certo punto, a distanza di un mese, si cominciato a scalare il
cortisone ed costretta a tornare in PS per rilievo in una visita ambulatoriale di controllo, perch ha di
nuovo ipotensione con iposodiemia di 120 e lieve iperkaliemia a 5,6.
In PS ripete i prelievi, viene visitata ed allecocardiogramma non c versamento e viene confermata
liposodiemia che anzi risulta leggermente peggiorata.
152
Cosa pensare? Quando si valuta il paziente bisogna capire.
Quali sono gli effetti collaterali di unassunzione cronica di corticosteroidei? Il cortisone non da iposodiemia
e qui c. Allinizio aveva 131 di Na e 5 di K.
A questo punto fa:
-una cortisolemia che rileva che il cortisolo basale soppresso
- si vede che anche laldosterone soppresso
-lACTH elevato
-gli anticorpi anti surrene sono positivi
-lemoglobina glicosilata e la glicemia sono aumentate
-gli anticorpi anti insulina sono negativi
Quindi c un iper ACTH e unipocortisolemia. Potrebbe essere un Addison autoimmune che ha dato
insufficienza surrenalica? Si giusto anche perch ci sono gli anticorpi anti 21 idrossilasi positivi.
Quindi c uninsufficienza surrenalica primitiva e la diagnosi quella di una sindrome polighiandolare
autoimmune ovvero la sindrome di Smith.
Per io devo cercare di capire perch c liposodiemia, che addirittura peggiora nonostante il cortisone,
sicuramente successo qualcosa di acuto per cui si slatentizzata.
Quindi si prevede il trattamento ormonale sostitutivo con cortone acetato e fluidocortisone.
La sindrome di Smith una sindrome rara per voi dovete capire che la malattia pu essere espressione di
qualcosa che non vediamo.
Questa sindrome compare nelle giovani donne, pu essere associata a ipotiroidismo, a diabete mellito e
iposurrenalismo. E una malattia realmente autoimmune e la paziente aveva se vi ricordate un
ipotiroidismo che poi si era slatentizzato.
Le difficolt che abbiamo trovato sono lassenza di segni chiari di una sindrome addisoniana infatti la
pressione normale ma c uniposodiemia che andava non trascurata e monitorizzata.
Peraltro la situazione esordita con una pericardite tamponante, perch il quadro clinico evoluto in 36
ore.
Il corretto inquadramento eziopatogenetico della pericardite risultato particolarmente complesso,
inizialmente stata interpretata come una pericardite autoimmune. Anche dopo aver intrapreso il corretto
trattamento della malattia di Addison la paziente ha presentato una recidiva del dolore toracico e la
diminuzione delle recidive si ottenuta solo con la colchicina.
Se vi ricordate aveva fatto un ecocardiogramma di controllo senza versamento ma una cosa che ho omesso
nella diagnosi che continuava ad avere un dolore che era receduto dopo la somministrazione di aspirina
allinizio e poi paracetamolo e poi controllando con il cortisone le cose erano andate abbastanza bene sia
sul piano della sintomatologia soggettiva che sul piano della soluzione del versamento pericardico.
La signora ha fatto subito un trattamento con colchicina perch sappiate che questo il farmaco di prima
scelta per tutte le situazioni infiammatorie pericardiche e il cortisone, tranne per le forme autoimmuni,
un farmaco di ultima scelta per la facilit con cui determina recidiva. Al contrario un FANS associato alla
colchicina e la colchicina data per lungo tempo anche in assenza di un FANS lunica terapia risolutiva della
pericardite virale.
Quindi probabilmente ha avuto la pericardite per qualche virus che lha determinato e poi tutto questo ha
slatentizzato una situazione sottostante.
Ma la signora si fatta anche un edema polmonare perch hanno sovraccaricato di liquidi in poco tempo.
Probabilmente, essendo in uno stato di shock, le sono stati somministrati farmaci simpatico mimetici che
vasocostringono aumentando il post carico. Quindi nel momento in cui hanno tolto il versamento tutto il
precarico si scaricato nel ventricolo destro che lo ha riportato a livello polmonare e da li a livello del
ventricolo sinistro (che era normale). Il ventricolo sinistro si trovato ad avere un sovraccarico di volume,
ma non quella la causa che qui non viene detta ovvero stata somministrata dopamina che ha dato
aumento del post carico, liperafflusso da precarico e quindi ledema polmonare acuto.
Quindi mai dare un simpatico mimetico quando il cuore non si riempie.

153
Addome acuto
(prof. Bellotti)

Laddome acuto un quadro clinico ad eziologia molto varia caratterizzato dalla presenza di dolore
addominale. Data lampia variet eziologica, laddome acuto necessita di un iter diagnostico preciso per
fare diagnosi differenziale. Unultima caratteristica che le condizioni patologiche responsabili del quadro
clinico trovano generalmente una soluzione in una procedura chirurgica durgenza; questo rappresenta un
ulteriore elemento di difficolt, ovvero riconoscere la condizione in cui necessario agire chirurgicamente
in regime durgenza.

Quadro clinico
Le cause che possono provocare dolore nella cavit addominali sono diverse: distruzione
dei parenchimi, infiltrazione da parte di alcune masse neoplastiche, ischemia, flogosi (processo che c
quasi sempre in relazione alle diverse cause), stiramento e compressione. Tuttavia difficile determinare
la fonte del dolore.

I motivi di questa difficolt sono che:

1. Gli organi addominali nascono embriologicamente medialmente da una struttura tubulare accolta
allinterno della cavit celomatica e, fin dallinizio, possiedono uninnervazione bilaterale. Nello
sviluppo embrionale tali organi migrano progressivamente per raggiungere la loro posizione
definitiva1 mantenendo tuttavia la loro innervazione originaria. Questo comporta che un dolore
relativo di un organo possa essere riferito ad una regione molto diversa dalla sua localizzazione
effettiva.
2. A livello degli organi splancnici, le fibre deputate alla nocicezione sono poco rappresentate a livello
degli organi veri e propri (tranne che per lintestino), mentre sono ben innervate le capsule che
rivestono alcuni organi addominali (es. fegato e colecisti). Inoltre le fibre nocicettive sono fibre con
velocit di conduzione diversa a seconda che siano fibra di tipo A, B o C. Quindi c una diversit
importante nellintensit dello stimolo dolorifico in base alla costituzione e alla quantit delle fibre
nervose depositate negli organi.
Il peritoneo parietale ha uninnervazione completamente diversa: la sua efferenza si serve dei nervi
spinali, al contrario del peritoneo viscerale che si serve dei nervi splancinici.
3. La percezione del dolore del tutto soggettiva: quando il paziente il pz riferisce lentit del dolore
che ci dovrebbe guidare verso una certa diagnosi differenziale per lo meno sulla gravit del fatto
acuto, in realt noi abbiamo delle risposte diverse da soggetto a soggetto in base a quella che la
percezione personale del dolore.

A seconda dellorigine, questo dolore pu avere caratteristiche diverse; si tendono a distinguere quindi le
seguenti tipologie di dolore:
Dolore viscerale: il dolore che nasce dai visceri addominali, ovvero dalle terminazioni nervose
contenute nella mucosa muscolare di un viscere oppure nella sierosa viscerale del peritoneo.
Questo un dolore a lenta insorgenza, riferito alla regione cutanea innervata dallo stesso
metamero a cui afferiscono le terminazioni dolorifiche dellorgano colpito. Le fibre viscerali sono
veicolate al midollo spinale dai nervi splancnici, attraversando i gangli del simpatico e del
parasimpatico;
Dolore somatico: un dolore pi importante dal punto di vista clinico perch linnervazione
maggiore ( e non sempre perch lentit del danno maggiore); nel quadro delladdome acuto, il

1
Il colon ruota e va a sbattere contro la parete posteriore delladdome, anche lesofago ruota, il fegato nasce
medialmente e poi si sposta a destra, i testicoli dalla regione retroaddominale vanno a localizzarsi nella borsa scrotale.
154
dolore somatico quello che insorge per irritazione chimica delle fibre parietali che innervano il
peritoneo parietale e che giungono al midollo attraverso i nervi spinali. Inoltre, il dolore parietale
un dolore che fa riferimento a una localizzazione pi precisa rispetto a quello viscerale, tanto che il
pz riesce a indicare con il dito dove fa male; il dolore viscerale un dolore diffuso a livello
addominale (generalmente riferito alla linea mediana). Infine, i nervi spinali portano gli stimoli che
fanno contrarre i muscoli addominali, quindi come risposta ad uno stimolo nocicettivo ci sar uno
stimolo motorio e questo sta alla base della intrattabilit della parete addominale non presente nei
pazienti con dolore viscerale.
Dolore riferito: rientra nella tipologia del dolore viscerale e si definisce come il dolore che viene
proiettato a distanza rispetto al viscere in cui origina lo stimolo nocivo. Questo il classico esempio
del dolore della colecistite o della colica biliare che si irradia alla spalla1. Un altro dolore riferito
quello che legato alle mestruazioni dovuto allo stiramento per leccessiva contrazione delle pareti
dellutero e viene riferito come a fascia posteriore, perch labbozzo uterino nasce da sopra. Un
altro esempio la colica renale in cui il dolore irradiato allo scroto ipsilaterale per lo stesso
motivo.

Il dolore addominale pu anche essere distinto a seconda dellandamento:


Dolore colico: il dolore che interessa gli organi cavi dotati di movimenti di peristalsi. Si tratta di
una sensazione dolorosa che nasce e cresce raggiungendo unacme per poi riscendere piano piano
e ricominciare. Questo dolore insorge quando la peristalsi, procedendo dallalto verso il basso,
giungono in un segmento infiammato per un processo patologico e innescano il dolore per via della
compressione del segmento intestinale. Progressivamente il dolore tende a dissiparsi perch le
contrazioni peristaltiche tendono ad esaurirsi perch (1) a un certo punto si crea un terzo spazio: i
liquidi che dovrebbero stare al di fuori dellintestino vengono richiamati allinterno. Ci porta a una
disidratazione che porta a perdita di elettroliti: mancando gli elettroliti si ha blocco della pompa del
Na+ e del Ca2++ che servono per la contrazione; (2) dopo una contrazione continua lACh si esaurisce
e la peristalsi non c pi (per questo lileo meccanico si trasforma in ileo paralitico); (3) Un terzo
meccanismo in relazione allischemia della parete dellorgano, ma non tutte le occlusioni
terminano in ischemia.
Non tutti i dolori di tipo colico hanno questo andamento: questo dolore che abbiamo descritto
prettamente classico della colica ureterale e della colica intestinale. La colica epatica ad esempio
non cos intermittente, pi legata allassunzione dei pasti ed dovuta alla distensione della
capsula della colecisti.
Dolore neuropatico: un dolore definito urente, sordo e continuo. Origina a livello dei nervi, delle
radici spinali, dai gangli nervosi, dovuto a meccanismi di compressione o irritazione del segmento
intestinale. Il classico esempio di dolore neuropatico quello della pancreatite: il dolore della
pancreatite ha unirradiazione a fascia posteriore legato alla irritazione nervosa dovuta
allaggressione delle lipasi del pancreas. Il pancreas un organo retro-peritoneale; per la stessa
localizzazione, un dolore simile si ha nella rottura dellaneurisma dellaorta che si rompe nel retro-
peritoneo: prima di dare il dolore a pugnalata, il dolore a fascia perch il sangue irrita le
terminazioni posteriori delle radici spinali comportando un dolore con unirradiazione a fascia. Altre
cause di dolore neuropatico sono lulcera peptica e lMRGE.
Dolore trafittivo: generalmente legato alla rottura di un organo per lesione della membrana
sierosa che lo riveste. Tale ad esempio il dolore che si ha nella rottura di un aneurisma aortico

1
La colecisti un organo splancnico che si trova nellipocondrio destro, quindi senzaltro il dolore principale
lo si riferisce alla sua localizzazione di appartenenza; per emette anche delle terminazioni nervose che
vanno a un ganglio splancnico particolare che si chiama ganglio del plesso safeno. Questo ganglio riceve
per anche delle terminazioni nervose che derivano dal diaframma e il diaframma
innervato dal nervo frenico che nasce dal plesso cervicale C3-C4-C5. Il plesso cervicale deputato
allinnervazione del trapezio e dei muscoli della spalla ed per questo che il dolore della colecisti risulta
irradiato alla spina della scapola.
155
quando si rompe la sierosa (peritoneo posteriore) adeso allaneurisma. La rottura dellaneurisma
aortico rappresenta la condizione pi urgente di addome acuto. Il dolore trafittivo si verifica anche
in unulcera perforata.
Il dolore addominale deve quindi essere distinto in base alla localizzazione:

Fianco e Fianco e
Ipocondrio Ipocondrio Fossa Fossa Dolore
Epigastrio Mesogastrio Ipogastrio
Destro Sinistro Iliaca Iliaca diffuso
Destra Sinistra

Colecistite, Perforazione Infarto Infarto Appendicite Diverticolite Occlusione


Cistite
Colangite gastrica splenico intestinale acuta del Sigma intestinale

Perforazione Patologia Patologia


della ginecologica ginecologica Patologia
Ascesso Dissecazione Peritonite
Pancreatite flessura annessiale annessiale utero
subfrenico dell'aorta diffusa
splenica del dx ed sn ed annessiale
colon urologica urologica

Perforazione Polmonite
Infarto Malattie
della basale o Appendicite
posteriore Ileite Colica mediche
flessura infarto in fase
del terminale renale (porfiria,
epatica del polmonare iniziale
miocardio diabete)
colon sn

Appendicite Appendicite
Calcolosi
(appendice (appendice
ureterale sn
sottoepatica) pelvica)

Iter diagnostico
Il dolore rappresenta un sintomo importante ma la complessit della sua genesi e la variet delle sue
manifestazioni lo rendono inaffidabile ai fini di una diagnosi di certezza. Deve comunque essere sempre
attentamente indagato dal punto di vista anamnestico e clinico perch per alcune malattie le sue
caratteristiche possono risultare patognomoniche:

1. Localizzazione del dolore;


2. Modalit di insorgenza: il dolore pu comparire all'improvviso, con carattere brutale, raggiungendo
rapidamente l'acme, come accade nel corso di una perforazione intestinale (il paziente spesso lo
riferisce come un colpo di pugnale') o di un infarto intestinale, altre volte pu avere carattere
meno intenso e una evoluzione pi graduale come nel caso di una infiammazione appendicolare.
3. Durata del dolore: dobbiamo cercare di avere una tempistica precisa del dolore: quando
cominciato e quando terminato;
4. Precedenti patologici: es. diverticolite, calcolosi della colecisti, patologie epatiche, pregressi
interventi chirurgici;

Secondo il professor Bellotti, altre caratteristiche descrittive riguardo il dolore non sono affidabili ma
devono essere comunque indagate per indirizzare la diagnosi.

156
Esame obiettivo
Qualsiasi reperto riscontrato allesame obiettivo deve essere indicato utilizzando come riferimento spaziale
i 9 quadranti addominali (ipocondrio dx, fianco dx e fossa iliaca dx; epigastrio, mesogastrio ed ipogastrio;
ipocondrio sx, fianco sx e fossa iliaca sx). In acuto lesame fisico deve comprendere:

1. Ispezione del paziente: consente di valutarne il colorito, l'aspetto, il decubito, il grado di sofferenza.
In corso di una colica biliare o renale il paziente si mostrer irrequieto e agitato, se in peritonite
mostrer un viso molto sofferente, la "facies peritonitica" e la posizione caratteristica in decubito
laterale con le cosce flesse sul bacino1.
2. Ispezione delladdome: dovremo identificare:
a. Conformazione addominale:
b. Cicatrici di pregressi interventi chirurgici;
c. Movimenti delladdome con gli atti del respiro: un addome piatto, a tavola, immobile con
gli atti del respiro tipico dei pazienti con interessamenti peritoneale perch il paziente
limita la profondit del respiro per evitare di evocare il dolore;
3. Percussione delladdome: si possono evidenziare aree di 'ottusit' dovute a versamenti di liquido o
di 'timpanismo' per presenza di aria, liberi in cavit o sequestrati in grande quantit nelle anse
intestinali dilatate per fenomeni occlusivi.
4. Auscultazione delladdome: utile a determinare la presenza e l'entit della peristalsi intestinale e di
eventuali rumori idro-aerei.
5. Palpazione delladdome: un momento diagnostico che necessita di un tatticismo molto efficiente.
Con la palpazione si raggiunge il massimo del rapporto medico-paziente e dovete imparare a farlo
nel modo pi professionale ed efficiente possibile per conquistare la fiducia del pz e al tempo
stesso rilevare importanti dati diagnostici. Con la palpazione dobbiamo valutare in particolare la
presenza di un interessamento peritoneale (evenienza che si verifica nel 99,9% dei casi di addome
acuto). Segni palpatori di irritazione del peritoneo parietale sono:
a. Segno dellileo-psoas (positivo in caso di appendicite retrocecale, diverticolite): evidenziato
da dolore vivo alla flessione della coscia ad arto iperesteso;
b. Segno dellotturatorio (in caso di pelviperitonite) ove il dolore vivo evocato dalla
rotazione interna della coscia flessa sul bacino;
c. Segno di Blumberg: si manifesta dolore al rilasciamento dopo compressione (dolorabilit da
rimbalza) nellarea del dolore riferito dal paziente; talvolta anche facendo questa manovra
lontano dalla sede elettiva si pu esacerbare il dolore alla sua origine. La dolenzia da
rimbalzo deriva dal fatto che la distensione del peritoneo parietale provoca naturalmente
un aumento di dolore poich le fibre, gi infiammate e stimolate dal processo
infiammatorio, vengono ulteriormente stimolate dalla distensione provocata dalla
palpazione.
Una palpazione attenta pu, laddove non vi sia una contrattura difensiva della parete addominale,
mettere in evidenza masse addominali.

1
Lestensione delle gambe comporta dolore, mentre se ritira le gambe sulladdome si allenta la tensione
addominale e si limita cos la nocicezione.
157
Peritoniti
(prof. Bellotti)

La peritonite uninfiammazione della cavit peritoneale in risposta a lesioni della sierosa da parte di un
noxa-patogena. Rappresenta un evento molto grave perch, al contrario dellinfiammazione delle altre
sierose (pleurite o pericardite), la peritonite difficilmente trattabile mediante lutilizzo di soli antibiotici e
inoltre, essendo la sierosa pi estesa del nostro organismo (circa 1.5-2 m2) ha maggiori complicanze che
possono portare il paziente a morte.

Classificazione
Le peritoniti possono essere classificate in base alleziopatogenesi, allestensione e allevoluzione clinica.

In base alleziopatogenesi, le peritoniti si distinguono in:

Peritonite primitiva: infiammazione del peritoneo non attribuibile ad un focolaio infettivo a


partenza da un organo addominale n ad una contaminazione dallesterno. La diffusione di
agenti patogeni pu invece avvenire per via ematogena o genitale. Colpisce generalmente i
soggetti immunodepressi o i bambini con sindrome nefrosica o lupus.
Peritonite secondaria: infiammazione dovuta ad uninvasione batterica o ad un insulto chimico
del peritoneo a partenza da un focolaio del tubo gastroenterico, del sistema epato-bilo-
pancreatico, dellapparato urogenitale; oppure conseguenza di una necrosi di unansa
intestinale o della perforazione di un viscere addominale o di una deiscenza anastomotica;
oppure conseguenza di una ferita penetrante o di un trauma contusivo. In questi casi
linfiammazione pu essere di natura batterica o di natura chimica/asettica.

In base allestensione, le peritoniti si distinguono in:

Peritonite generalizzate: interessano la maggior parte della cavit addominale. Ci si determina


o per alterazioni dei meccanismi di difesa o per una contaminazione massiva come da
lacerazione traumatica;
Peritonite locale: detta anche ascesso peritoneale, si ha quando il processo flogistico si limita a
particolari quadranti addominali.

La classificazione clinica delle peritoniti distingue invece:

Peritonite diffusa;
Peritonite circoscritta (o ascesso intraperitoneale)
Peritonite terziaria/cronica: conseguenza delle primitive o secondarie. Sono rare e determinate
o dalla forma tubercolare o dalla pancreatite cronica.

Peritonite acuta circoscritta (o ascesso intraperitoneale)


La peritonite acuta circoscritta rappresenta una raccolta circoscritta di pus separata dalla cavit peritoneale
da aderenze infiammatorie che si formano tra le pareti addominali, le anse intestinali, i mesi e lomento;
per questo definita come ascesso intraperitoneale o piastrone.

Sebbene sia ormai diffusa la dizione di ascesso intraperitoneale per descrivere una peritonite circoscritta,
improprio parlare di ascesso in quanto mentre lascesso vero e proprio delimitato da una membrana
piogenica e da tessuto di granulazione, nellascesso intraperitoneale la parete rappresentata dalle
strutture anatomiche che circoscrivono linfezione.
Tuttavia, possibile osservare nella porzione pi esterna dellascesso intraperitoneale un conglutinato di

158
fibrina; questo per si forma secondariamente allirritazione del peritoneo.

Le cause pi frequenti della formazione di un ascesso intraperitonale sono lappendicite, la perforazione


gastroduodenale, la diverticolite, la colecistite acuta, la necrosi intestinale, gli ascessi epatici e le deiscenze
anastomotiche.

Le sedi di localizzazione di un ascesso sono determinate dalla sede del focolaio settico primitivo e dalla
diffusione dellinfezione intraperitoneale che a sua volta dipende dalle condizioni anatomiche (pliche
mesenteriche o recessi peritoneali), dalla forza di gravit ( le raccolte pi facilmente interessano i punti pi
declivi della cavit peritoneale) e dal gradiente pressorio intraperitoneale ( il diaframma per riflesso
motorio allo stimolo infiammatorio si rialza e crea una pressione negativa che permette un movimento del
liquido verso lalto e laccumulo nelle logge circostanti). Ne deriva che si possono distinguere
topograficamente i seguenti ascessi:

Ascessi sovramesocolici: le raccolte saccate si possono formare nella retrocavit degli epiplon,
nello spazio sottofrenico destro o sinistro, nello spazio sottoepatico sinistro o nella regione
perepatica sinistra. La Tasca del Morrison uno spazio compreso tra il duodeno e lo spazio
sovraepatico destro in cui in un primo momento si raccoglie il liquido che poi former un ascesso
sopramesocolico in quanto in posizione supina rappresenta il punto pi declive della cavit
peritoneale; un punto ecografico che viene sempre ispezionato in corso di peritonite quando si
cercano eventuali raccolte sieroematiche.
Ascessi sottomesocolici: sono gli ascessi che si formano tra le docce parietocoliche;
Ascessi mesoceliaci: si formano nei quadranti centrali delladdome;
Ascessi pelvici: si formano nel cavo del Douglas.

Lascesso intraperitoneale pericoloso in quanto dotato di una grande carica batterica violenta che se
riesce a raggiungere lo spazio aperto peritoneale pu comportare una peritonite generalizzata.

Peritonite acuta generalizzata


La peritonite acuta generalizzata rappresenta la flogosi del peritoneo estesa a tutta la sierosa peritoneale.
Le cause di uninfiammazione peritoneale diffusa sono molteplici:

1. Propagazione di un processo infiammatorio da un organo addominale: appendicite, colecistite,


diverticolite, pancreatite o ileite acuta; anche lo polmoniti basali possono irritare il peritoneo.
2. Perforazione di un organo addominale: deiscenza anastomotica, perforazione di unulcera
peptica, lesioni post-traumatiche, rottura di milza. Nel caso della fuoriuscita nel cavo
peritoneale di liquidi a bassa carica batterica (es. bile, urina, sangue o secrezioni gastriche), si
verifica una peritonite chimica ad opera delle sostanze fortemente irritanti contenute
allinterno di questi liquidi biologici.
3. Ferite penetranti;
4. Infarto intestinale: causa migrazione batterica attraverso la parete necrotica intestinale;
5. Rottura di cisti o raccolte purulente formatesi negli organi addominali: cisti da echinococco o
cisti post-pancreatite acuta.
6. Diffusione ematogena in corso di sepsi: molto rara; interessa pi frequentemente il bambino
(diffusione da una tonsillite, faringite, polmonite), la giovane donna (infezione ovarica), il
paziente dializzato o il paziente cirrotico.

Laggressione al peritoneo, qualunque sia lagente eziologico, determina lattivazione di macrofagi, presenti
sulla sierosa peritoneale, con conseguente liberazione di sostanze vasoattive (istamina, citochine,
linfochine). Queste citochine comportano iperemia e congestione vascolare a livello della superficie
peritoneale che inducono la formazione di trasudato e successivamente di grandi quantit di essudato che
159
pu avere diverse caratteristiche macroscopiche (sieroso, torbido, purulento). Questo liquido si raccoglie
nelle parti declivi e nei recessi del cavo peritoneale dove si possono costituire raccolte saccate, a causa
della fibrina, spesso con tendenza allevoluzione ascessuale.

Pur essendo la peritonite uninfiammazione circoscritta al peritoneo, la sua gravit dipende proprio dalle
ripercussioni che questa infiammazione ha a livello sistemico. Infatti, le modificazioni che si verificano a
livello della sierosa peritoneale determinano progressivamente linstaurarsi di un quadro sistemico di
ipovolemia o sepsi, con risultato finale di uno shock (ipovolemico o settivo).
Lipovolemia secondaria alla peritonite dovuta alla grande perdita idro-elettrolitica nel lume intestinale
con corrispettivo quadro clinico di ileo paralitico.
La sepsi invece si verifica in quanto dopo alcune ore dallinizio del processo infiammatorio, la sierosa a
causa dellintensa iperemia, perde il suo colorito e la sua lucentezza, si presenta arrossata diventando
permeabile al passaggio di liquidi, macromolecole e batteri. Limmissione in circolo di sostanze tossiche pu
determinare inoltre altri due effetti sistemici principali: (1) permeabilizzazione capillare generalizzata o
limitata ad alcuni organi con formazione di essudato (sequestro di liquidi nel terzo spazio, ascite o
versamento pleurico); con laggravarsi dellipovolemia fino allo shock ed allacidosi metabolica; (2)
riduzione del metabolismo ossidativo e conseguente danno diretto sulle cellule peritoneali da parte delle
tossine e dei batteri circolanti, con possibile evoluzione disfunzionale cellulare a livello multiorgano-
multisistemico.
Nelle fasi avanzate si creano quindi una serie di modificazioni sistemiche non pi trattabili con gli antibiotici
per cui il paziente muore.

Un altro aspetto importante della patogenesi che nelle peritoniti secondarie il processo infiammatorio di
un organo addominale comporta sempre, o quasi sempre, linteressamento del peritoneo viscerale.
Tuttavia, fin quando gli eventi si limitano alla componente viscerale del peritoneo possiamo intervenire con
una strategia di attesa o con una terapia medica; quando per linfiammazione diffonde a livello del
peritoneo parietale il processo assume delle caratteristiche di maggiore gravit in quanto si sono superate
alcune barriere anatomiche di difesa dellorganismo (peritoneo viscerale) che in un primo momento
bloccano e circoscrivono il processo infiammatorio.
Quindi per noi fondamentale riconoscere una peritonite viscerale e, precocemente, una peritonite
parietale perch questo ci permette di intervenire prima che il processo si estenda a una peritonite diffusa.

Clinica
Per quanto riguarda la peritonite acuta circoscritta, il quadro clinico sistemico quello caratteristico di una
ascesso con febbre regolare nelle ore pomeridiane e apiressia al mattino che si protrae fintanto che la
raccolta di pus non venga evacuata. A livello locale, la sintomatologia molto variabile a seconda della
localizzazione dellascesso. Per la localizzazione sovramesocolica, non c ileo paralitico non essendo
interessate anse intestinali per cui lalvo aperto a feci e gas. Invece, caratteristica lirritazione del nervo
frenico che pu portare alla comparsa di singhiozzo. La localizzazione nella retrocavit degli epiplon crea
invece uno stimolo di compressione e irritazione sullo stomaco rallentandone lo svuotamento. Negli
ascessi mesocolici invece pi frequente lileo paralitico. La sintomatologia di un ascesso pelvico
conseguente invece allirritazione degli organi vicini per cui si avr caratteristicamente tenesmo rettale o
vescicale, sensazione di incompleto svuotamento, pollachiuria e stranguria ed ileo paralitico segmentario
(per irritazione esclusiva di un segmento colico); alla palpazione vaginale o rettale, la manovra evoca forte
dolore nelle pazienti per irritazione dello scavo del Douglas.

Il quadro clinico di una peritonite generalizzata quello tipico delladdome acuto. Il paziente presenta una
facies peritonitica (o ippocratica), dispnoico e tende a rimanere immobile per lesacerbarsi del dolore
addominale al movimento.
Il dolore adddominale, acuto, violento, spontaneo, dapprima localizzato e poi diffuso, compare
precocemente ed esacerbato dalla palpazione e del movimento.
160
La contrattura della parete addominale spontanea in quanto correlata al grado di irritazione peritoneale;
questa inizialmente discreta e limitata allarea di origine del processo infiammatorio, poi nel corso di ore
diventa pi intensa e diffusa fino al quadro delladdome a tavola.
La febbre, intermittente o fortemente intermittente, generalmente presente a seguito della diffusione
ematica dei batteri e delle sostanze batteriche; nelle peritoniti chimiche assente o pi tardiva.
Lileo adinamico o paralitico una caratteristica clinica di una fase avanzata. Lalvo risulta chiuso a feci e
gas, associato a vomito riflesso di tipo biliare e fecaloide. Il diminuito riassorbimento dei liquidi a livello
intestinale aggrava inoltre la disidratazione e lo squilibrio idro-elettrolitico, con alterato assetto ormonale
sindromico.
I sintomi di uninsufficienza viscerale secondaria allinteressamento sistemico sono invece la dispnea e la
tachipnea, lipotensione arteriosa che pu evolvere fino allo stato di shock, oliguria e petecchie
emorragiche per insufficienza del sistema coagulativo.

In entrambe le forme di peritonite, sono presenti i sintomi clinici rivelatori della diversa eziologia:

Appendicite acuta: intenso dolore in fossa iliaca dx o periombelicale che diviene epicritico fino alla
contrattura;
Perforazione di un organo cavo: dolore a pugnalata che insorge nella zona di proiezione
dellorgano;
Pancreatite acuta: dolore a barra;
Empiema della colecisti: improvviso e violento dolore nel quadrante superiore destro;
Occlusione intestinale: dolore crampiforme diffuso associato a vomito di tipo enterico o fecaloide.

Importante dal punto di vista diagnostico chiedere al paziente la prima localizzazione del dolore e la sua
irradiazione perch questa fortemente indicativa della possibile eziologia:

QUADRANTE SUPERIORE DESTRO QUADRANTE SUPERIORE SINISTRO

Colecistite o empiema della colecisti Pancreatite acuta


Distensione acuta della capsula glissoniana Perforazione ulcera peptica
Ascesso epatico Diverticolite della flessura colica sinistra
Appendicite acuta retrocecale
Rottura di milza
Perforazione ulcera peptica

QUADRANTE INFERIORE DESTRO QUADRANTE INFERIORE SINISTRO

Appendicite acuta
Gravidanza ectopica
Morbo di Chron Ileale
Gravidanza ectopica Salpingite acuta
Salpingite acuta
Diverticolite
Adenomesenterite

La divisione cos schematica delle patologie in base ai punti dolorosi di guida alla diagnosi ma va
comunque integrata con altre informazioni laboratoristiche e strumentali.

Diagnosi
Gli esami di laboratorio ci permettono di svelare le alterazioni ematochimiche secondarie ad insufficienze
viscerali (insufficienza renale, insufficienza epatica) che si vengono ad instaurare nel paziente con sindrome
peritonitica. Il paziente si presenter inoltre con marcata leucocitosi in quanto la sepsi determina
limmissione in circolo delle riserve leucocitarie midollari e spleniche. Nel caso del paziente anziano,

161
cachettico o immunodepresso o nelle fasi tardive, la leucocitosi pu anche mancare.

Dopo aver definito la gravit del quadro patologico, occorre porre diagnosi differenziale tra le diverse cause
di peritonismo. Unaccurata raccolta dei dati anamnestici fondamentale per orientare la diagnosi. Le
manifestazioni cliniche prodromiche alla comparsa del quadro conclamato sono devono essere sempre
indagate perch, come stato gi detto, in alcuni casi sono dirimenti. Inoltre, alcune patologie hanno dei
prodromi o episodi trascorsi di notevole importanza: un ascesso epatico generalmente si verifica in un
paziente gi defedato, la perforazione di unulcera si manifesta in un paziente con pregresso dolore
epigastrico o con una terapia farmacologica gastrolesiva, la diverticolite una condizione molto frequente
nel paziente anziano, lempiema della colecisti si manifesta in un paziente con una storia di calcolosi biliare
ecc.
Nelle donne in et fertile importante indagare la data dellultima mestruazione ed eseguire un dosaggio
della -HCG.
Lesame obiettivo deve ricercare invece i segni clinici specifici delle diverse patologie: contrattura
addominale, segno di Blumberg, Segno di Mc Burney, timpanismo, ittero, attivit peristaltica intestinale. La
negativit di uno di questi segni non deve far escludere con certezza la presenza di un processo flogistico
peritoneale

Gli esami radiologici di ausilio nella diagnosi sono:

Rx diretta addominale: pu mettere in evidenza (1) un ileo paralitico generalizzato, mediante la


distensione diffusa delle anse intestinali e livelli idroaerei, (2) alterata disposizione delle anse
paretiche in regione centro addominale che appaiono distanziate le une dalle altre, in caso di un
cospicuo versamento peritoneale, (3) aria libera nel cavo con immagine di falce daria sotto-
diaframmatica secondaria a perforazione di un viscere cavo o a sovra infezione batterica ( batteri
prduttori di gas possono generare questa falce daria sottodiaframmatica), (2) peritonite
circoscritta, per la presenza di modesti livelli idroaerei nella sede della raccolta;
Rx torace: permette di evidenziare nella maggior parte dei casi una reazione pleurica o un processo
pneumonico consensuale;
Ecografia addominale: pu essere dausilio per identificare lorgano da cui origina la flogosi e per
evidenziare la presenza di raccolte o di ascessi.
TC addominale: dovrebbe essere eseguita sempre anche in urgenza perch consente di individuare
la causa della peritonite, la sede ed il volume della presunta raccolta endoperitoneale. In alcuni casi
ci pu dare anche indicazioni sulla natura della raccolta.

Trattamento
Prima di procedere al trattamento chirurgico della sindrome peritoneale, necessario stabilizzare le
condizioni cliniche del paziente mediante:

1. Valutazione e correzione dello stato di disidratazione del paziente che si attua con linfusione di
liquidi, il controllo della diuresi e dei parametri emodinamici;
2. Terapia dello shock ipovolemico
3. Correzione dei deficit funzionali dorgano che si sono istaurati;
4. Infusione di antibiotici ad ampio spettro.

Lo scopo dellintervento chirurgico delle peritoniti la rimozione della noxa patogena e la toilette del cavo
peritoneale. Sia nella peritonite acuta diffusa che circoscritta, lincisione laparotomica ottimale quella
mediana, che permette unampia e completa visione di tutto il cavo peritoneale.
In caso di peritonite acuta diffusa, il trattamento prevede la rimozione del focolaio settico; la mancata o
incompleta rimozione del focolaio peritonitico la causa dellinsuccesso dellintervento. Segue la toilette
162
peritoneale, fondamentale per rimuovere lessudato, il materiale infetto, il sangue e le membrane
fibrinose, le quali sono causa di aderenze viscerali. Il lavaggio peritoneale con soluzione fisiologica deve
essere effettuato fino al recupero di soluzioni di lavaggio limpida; la quantit di soluzione da utilizzare nella
detersione in rapporto al grado di contaminazione.
Alla fine dellintervento importante posizionare correttamente almeno 4 tubi di drenaggi; il drenaggio
infatti rappresenta il nostro feedback della buona riuscita dellintervento in quanto ci d la possibilit di
controllare il materiale drenato valutando la risoluzione del processo infiammatorio. Spesso nei casi di
peritonite generalizzata si rende indispensabile eseguire lavaggi peritoneali post-operatori attraverso i tubi
di drenaggio.

In caso di ascessi intraperitoneali, ci si pu anche limitare al drenaggio dellascesso per via percutanea
mediante un controllo eco o TC guidato negli ascessi pi superficiali (es. ascesso pelvico per via rettale o
vaginale). La controindicazione al drenaggio percutaneo per gli ascessi voluminosi, per gli ascessi multipli
o in presenza di una fistola e nei pazienti molto defedati; in questi casi necessario ricorrere alla
laparotomia mediana.
La detersione deve essere limitata al focolaio flogistico per evitare lo spandimento del materiale infetto. In
corso di laparotomia per limitare il capo di detersione opportuno circoscriverlo con dei telini che vadano a
separare la zona contaminata dal resto della cavit peritoneale.
Anche in questo caso importante posizionare dei tubi di drenaggio per valutare la riuscita dellintervento
chirurgico.

FOCUS Appendicite acuta


Lappendicite un frequente quadro clinico causato da un processo infiammatorio a carico dellappendice
vermiforme. Rappresenta la pi frequente emergenza chirurgica.

Lappendice vermiforme un sottile diverticolo di lunghezza variabile tra i 2 e i 22 cm (mediamente 9 cm).


La base di impianto localizzata sulla faccia mediale o postero-mediale del ceco 2-3 cm al di sotto della
giunzione ileo-cecale nel punto di confluenza delle tre tenie coliche.
Lappendice ha una componente prevalentemente linfatica che tuttavia varia con let; nel neonato poco
rappresentata, con lume appendicolare relativamente largo, nel bambino presente uniperplasia del
tessuto linfoide per cui il lume risulta ridotto, mentre nelladulto la componente linfatica quasi assente e
lappendice pu presentarsi come un cordone fibroso. Questa diversit giustifica la maggiore prevalenza
dellinfiammazione acuta durante il periodo adolescenziale quando lorgano molto attivo
immunologicamente (1/5 degli individui di et inferiore ai 20 aa e solo 1/10 con et > 20 aa).
La posizione pi comune a livello del punto di McBurney1, in fossa iliaca destra. Altre disposizioni sono
riscontrabili in numerosi individui (pelvica, retrociecale, sottoepatica, iliaca sinistra). L'estrema variabilit
della posizione dell'appendice dovuta in genere a malposizioni del cieco risalenti allo sviluppo embrionale.

Lezioapatogenesi dellappendicite non del tutto nota. Si ipotizza che liperplasia linfoide insieme alla
presenza di feci consolidate o corpi estranei comporti lostruzione del lume appendicolare con conseguente
sovracrescita batterica di aerobi e anaerobi e accumulo delle secrezioni mucose.
Progressivamente si ha una distensione del lume appendicolare con aumento della pressione
endoluminale. Questo comporta in primis un ostacolato drenaggio linfatico (appendicite catarrale) e
successivamente lostruzione e la trombosi venosa (appendicite flemmonosa).
La stasi ematica porta lorgano in ischemia e successivamente a necrosi della parete appendicolare
(appendicite gangrenosa).
La conseguente perforazione determina lo spandimento del contenuto appendicolare nella cavit

1
Il punto di McBurney un punto di repere situato a livello del primo terzo della linea che idealmente congiunge la
spina iliaca anteriore superiore destra e l'ombelico.
163
peritoneale; se questo spandimento si verifica velocemente si ha una peritonite acuta generalizzata mentre
se avviene lentamente le secrezioni vengono progressivamente contenute dallomento generando una
peritonite acuta localizzata (ascesso appendicolare o piastrone appendicolare1).
Queste tre fasi non hanno tempi di evoluzione certi e non raro vedere che un'appendicite acuta esordisce
direttamente con un quadro perforativo (appendicite acuta fulminante).

Ad ogni quadro anatomopatologico corrisponde unevoluzione del quadro clinico.


Il quadro classico di appendicite acuta rappresentato dal dolore addominale che spesso inizia a carico
della regione periombelicale e poi si sposta verso la fossa iliaca destra, vomito da reazione neurovegetativa
del peritoneo, alvo chiuso a feci e a gas a causa dellileo paralitico da peritonite, a volte alvo diarroico,
febbre (38-38.5). Occorre tuttavia considerare che alcune varianti anatomiche presentano una
sintomatologia pi subdola; un quadro clinico inizialmente subdolo si realizza nel caso di una localizzazione
retrocecale.
Nelle fasi pi avanzate, quando lappendicite va incontro a rottura, il dolore diviene pi intenso e diffuso, lo
spasmo muscolare aumenta, aumenta la FC e la temperatura corporea (39-40C), si ha diminuzione dei
rumori intestinali e il paziente si presenta molto sofferente. A questi sintomi clinici si sommeranno i segni
clinici obiettivi specifici dellappendicite acuta gangrenosa:

Segno di Blumberg: dolenzia da rimbalzo


Segno di Rosving positivo: palpazione profonda ai quadranti di sx evoca dolore in fossa iliaca dx e
dimostra irritazione peritoneale in tale sede
Segno di McBurney: la pressione in corrispondenza del punto di McBurney dolorosa in caso di
appendicite acuta; Bisogna per in questi casi considerare le varianti di posizione anatomica
dellappendice.
Segno dellotturatore: il paziente giace supino con lanca destra flessa a 90 gradi. Lesaminatore
tiene la caviglia destra del paziente nella mano destra. Con la mano sinistra, lesaminatore ruota
lanca tirando il ginocchio destro ed allontanamento corpo del paziente. Lappendice pu entrare in
contatto con il muscolo otturatore interno che sar allungato da questa manovra. Questo provoca
dolore ed una prova a sostegno di una appendice infiammata.

1
Il "piastrone appendicolare" ha una funzione estremamente utile: nel caso infatti di perforazione dell'appendice il
contenuto settico fuoruscito rimarr circoscritto all'interno di questa sacca (con conseguente peritonite locale) senza
venire a contatto con la cavit addominale libera ove provocherebbe una ben pi grave peritonite generalizzata.
164
Segno dello psoas: quando la dolorabilit in posizione supine non eccessiva ma persiste il
sospetto di unappendicite retrocecale, il paziente viene fatto posizionato in decubito laterale
sinistro, lesaminatore fa flettere la coscia sulladdome e si ripete la palpazione; la manovra sposta
unappendice retrocecale poich lileopsoas va a sbattere contro il piastrone e la dolorabilit
aumenta in caso di appendicite retrocecale in cui ridotta o assente la contrattura di difesa dei
muscoli della parete addominale.

Un quadro clinico ingannatore pu essere presente nel corso di unappendicite pelvica in cui possono
essere modelsti il dolore e la difesa in fossa iliaca destra: fondamentali sono lesplorazione rettale e quella
vaginale per lintensa dolorabilit provocata dalla pressione verso lo sfondato del Douglas, oltre che i
disturbi disurici e il tenesmo rettale.

Gli esami di laboratorio sono indicativi di unappendicite acuta per la presenza di una marcata leucocitori
neutrofila e unalterazione dellequilibrio idroelettrolitico.
LRx diretta delladdome pu invece evidenziare un contrasto gassoso periappendicolare o una dislocazione
del cieco o la scomparsa dellombra dello psoas di destra. Lecografia ugualmente utile in quanto
evidenzia una falda di versamento periappendicolare con ispessimento delle pareti del cieco e dellultima
ansa ileale.
Nonostante queste caratteristiche cliniche, laboratoristiche e strumentali, la diagnosi differenziale risulta
molto spesso difficoltosa con le seguenti patologie: annessite, GEU, cisti ovariche, salpingiti, dolori
mestruali, corpo luteo emorragico, morbo di Chron, adenomesenterite, colica ureterale destra, diverticolo
di Meckel o diverticolite. interessante a tal proposito che solo il 50% delle diagnosi cliniche di appendicite
acuta confermata allintervento chirurgico e allesame istologico.

La terapia dell'appendicite acuta esclusivamente chirurgica e l'orientamento attuale quello di


intervenire precocemente. Nella fase diagnostica e poi in quella preparatoria all'intervento il paziente pu
essere trattato con digiuno e terapia infusionale reidratativa, eventualmente posizionando un sondino
naso-gastrico, terapia antibiotica e una terapia di ripristino dellequilibrio elettrolitico. Il ricorso agli
antinfiammatori e soprattutto agli antidolorifici assolutamente controindicato per il rischio che
mascherino la sintomatologia.

Caso clinico: appendicite trattata in elezione.


Questo caso il riassunto un po di quello che abbiamo detto fino adesso, allora il caso clinico che vi
presentiamo il caso di una signora di 72 anni, una donna, in anamnesi patologica remota ha ipertensione
arteriosa e aritmia, quindi qualcosa che ci riguarda parzialmente, diverticolosi del colon, nel 2002 ha
effettuato una tiroidectomia totale, nel 2006 una colecistectomia laparoscopica, nel 2014, quindi
lintervento chirurgico pi recente unannessiectomia con asportazione di un polipo, formazione uterina.
Quindi stata operata a livello addominale. Per quanto riguarda lanamnesi patologica prossima.
(Il Prof. interrompe la specializzanda e continua). Qui mi chiamano in consulenza, io sono di guardia e mi
chiamano al pronto soccorso, ed io vado a vedere la paziente. Dopo vi dir un fatto, ma comunque, in
genere quando arriva un paziente al pronto soccorso, il paziente fa un certo iter diagnostico, e poi se il
collega capisce, percepisce che c un interessamento chirurgico durgenza chiama il chirurgo durgenza.
Quindi Bellotti viene chiamato e va a vedere la paziente, a questo punto, dopo faremo un passo indietro,
vado a vedere il paziente, e gli faccio delle domande. Adesso tu (indicando uno studente) sei Bellotti ed io
sono la paziente, e mi fai delle domande, che domande mi fai?
Studente: signora che tipo di dolore ha? Da quando cominciato? Ha preso farmaci prima di venire qui?
Prof: eh dott, stavo a casa, so du mesi che ci un po de dolore, me fa male la pancia per prima andavo
de corpo mo faccio qualche puzza, che me lo passa
Studente: lultima volta che andata di corpo?
Prof: e di corpo, di corpo so andata 3 giorni fa, mo per faccio un po daria, un po me se passa
Studente: Ha nausea?
165
Prof: un po si
Studente: ha Vomitato?
Prof: no quello no
Studente: Ha avuto febbre?
Prof: No
Studente: Prende farmaci?
Prof: la terapia cardiologica e basta
Studente: ha preso farmaci per il dolore?
Prof: si, un toradol
Studente: migliorato?
Prof: beh si dopo che ho preso questo migliorato, per poi ritornato, e non lho pi ripreso. Alla fine so
andato dal medico di base e il medico mi ha detto che devo fa la colonscopia. E quindi so andata a fa la
colonscopia. Quando stamattina sono andata a fare la colonscopia, un macello, non channo capito niente e
mhanno mandato al pronto soccorso.
Specializzanda: infatti andata cos, la paziente accusava un dolore addominale associato a nausea,
anoressia, inappetenza, stipsi, un alvo gi con tendenza alla stitichezza, quindi peggiorato. Tutto ci negli
ultimi 20 giorni. Per cui va dal medico di base e le prescrive la pancolonscopia.
Prof: Fa la pancolonscopia, ma non riescono a farla, non perch trovano una stenosi ma perch non
riescono a fare le manovre di conversione per superare la flessura splenica per cui lesame non
diagnostico per il colon, per certo qui c un dato che ci interessa qualcuno si fatto prendere la briga di
farle fare una colonscopia, cio un esame di una certa invasivit. Quindi qualcuno ha pensato che ci fosse
un tumore, mo va a capire perch ci ha pensato ma ha pensato che ci potesse essere un tumore del colon,
per non riescono a vedere nulla. Allora la mandano al pronto soccorso. Al pronto soccorso, questo ve lo
dico prima di leggere lesame obiettivo, in realt Bellotti viene chiamato quando in realt la paziente aveva
gi fatto la tac addome, e invece di andare prima dal paziente, Bellotti va a vedere prima la tac come
normalmente si fa, ma sbagliato perch questo ti toglie la tua visione, non che ti devia perch la
diagnosi radiologica, strumentale nella stragrande maggioranza dei casi giusta, mai avere la presunzione
di dire: il mio esame obiettivo pi figo della tac. No, assolutamente no, molta umilt. Ma importante
avere una propria prima percezione, che poi si mette in dubbio, siamo pronti a metterla in dubbio, per la
vostra prima idea con cui avere a che fare fatevela. Cio un percorso diagnostico fatto da un buon esame
obiettivo e da una buona anamnesi fondamentale affinch voi facciate la vostra ipotesi diagnostica. Poi
fate lesame strumentale, ma la tua percezione deve esserci. Invece Bellotti va a vedere la tac, e gli dicono:
Specializzanda: la paziente si presentava con addome globoso, abbastanza abbondante, dolente alla
palpazione profonda.
Prof: no no no, fagli vedere la tac?
(viene mostrata la tac, una massa molto grande in fossa iliaca dx)
Prof: che ha secondo voi la paziente? subocclusa? Non subocclusa, oltretutto la subocclusione un
entit nosologica che non esiste, il paziente o occluso o non lo . Si dice subocclusione perch quello fa le
puzze e non fa la cacca. Cio o occluso o no, se passa laria, quello canalizzato, pu aver mangiato di
meno e non fa la cacca non occluso. La paziente non occlusa, e non sub occlusa, perch aveva fatto
laria fino a qualche ora prima. Per qualcosa c. Tanto vero che qualcuno gli ha fatto fare una
colonscopia, ed infatti lha fatta, e da l arriva al pronto soccorso dove le fanno la tac, e hanno messo in
evidenza:
In fossa iliaca dx, si apprezza una formazione patologica solida, di 11x8x11 cm, indissociabile dalle pareti
del cieco ascendente, che sconfina nei tessuti molli della parete addominale anteriore, dove presente un
ulteriore corpo solido patologico, la massa non determina attualmente effetti stenosanti, senza estensioni
patologiche, ne livelli idroaerei nelle anse a monte. Presenti linfonodi mesenteriali, tuttavia non conglobati
e con asse inferiore al cm anche in sede lombo-aortica sx. Non versamenti liberi addomino-pelvici.
Prof. morta! A meno che non sia un linfoma, questa paziente ha un tumore bestiale, certo ha 72 anni,
per qualche anno in pi se lo meriterebbe, invece con una cosa del genere difficile, tanto vero che
prima ancora di andare a vedere la paziente, il radiologo mi dice guarda, questa, bisogna trasferirla
rapidamente in oncologia perch cos li facciamo una tac stadiante e cerchiamo di farle una biopsia della

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massa, quindi se tu scrivi che non c urgenza chirurgica perch non c urgenza chirurgica? Perch non
hanno messo in evidenza nulla di quello che si pensava n un occlusione intestinale n un addome acuto,
hanno messo in evidenza una massa che probabilmente se cresce dar occlusione intestinale, ma in questo
momento non da occlusione intestinale e Bellotti va a fare lesame obiettivo.
Scrivendo. Allesame obiettivo addome globoso, trattabile, scarsamente dolente, dolorabile alla palpazione
in fossa iliaca dx, dove si apprezza una tumefazione a calotta, che occupa fossa iliaca dx e parte del fianco
dx, ricoperta da cute normale di consistenza duro-parenchimatosa a superficie grossolanamente regolare,
non dolorabile, libera sui piani superficiali, di cui non si pu apprezzare il limite profondo. TEC aumentato,
peristalsi presente, alvo aperto ai gas.
Prof: che cosa c di sbagliato in questo esame obiettivo? Potrebbe anche non esserci nulla di sbagliato.
Studente: cera peristalsi?
Prof: Certo, daltra parte la paziente aveva detto che aveva fatto laria qualche ora prima, era una
peristalsi
torpida, non vivace, non normale, un po rallentata, ma cera. Manca qualcosa in questo esame obiettivo?
Studente: il Bloomberg?
Prof: nono, quando si scrive un esame obiettivo si scrive solo quello che si mette in evidenza, non quello
che non c.
Studente: Perch il Bloomberg negativo non si scrive?
Prof: perch chi te lha chiesto. Allora dico non c il tatuaggio rosa. Si scrive solo quello che metti in
evidenza, no quello che non metti in evidenza. Perch come dire non c il Bloomberg quindi la paziente,
pensavi che fosse peritonite? Non peritonite. una presunzione dire non c. Tu metti in evidenza quello
che c, scrivi quello che vedi. Qui c tutto, c dolorabilit, la trattabilit ecc. manca una cosa che non
stato fatto?
1) Non c la descrizione della cicatrice degli interventi precedenti
2) Non c lesplorazione rettale. Va sempre fatta in pronto soccorso quando c un sospetto di
occlusione o come vi piace a voi di subocclusione.
Studente: per aveva fatto la colon?
Prof: diverso, con lesplorazione rettale vedi come reagisce lo sfintere, il tono, se ci sono emorroidi, se
sanguina, se ci sono masse nel retto, se soprattutto con un paziente con addome acuto, si fa per vedere se
il Douglas, o il recesso retto vaginale pieno di liquido, cio ci potrebbe essere una raccolta ascessuale.
Quando tu fai unesplorazione rettale e senti il Douglas quello salta.
La cosa importante in questo esame obiettivo, che giusto, non sbagliato. Qui tutto giusto. Ma fatto
con una, forse anche incosciente acquisizione della tac, il paziente ha un tumore, qui stato descritto,
magari anche molto bene, la presenza di un tumore. Quindi una fotocopia descrittiva di una tac gi vista.
Questo lerrore.
Studente: posso fare una domanda, come possibile distinguere che il paziente dolorabile in fossa iliaca
dx, e poi c scritto che la massa non dolorabile?
Prof: Certo, questo possibile con lesperienza. Un conto che tu palpi la parete, nellandare a palpare la
massa non che questa affiorante. Se tu ti approfondi ti rendi conto dalla tua esperienza che si acquisisce
con anni e anni di esami obiettivi, ti fa capire se quello che tu palpi evoca dolore o non. Un conto una
regione, un conto un punto preciso. Anche se in questo caso la massa occupava pi di una regione. Per
ci capisce se il peritoneo o la massa.
Specializzanda: Per cui la paziente viene trasferita nel reparto di oncologia per eseguire eventualmente
unaltra colonscopia e una tac stadiativa. Paziente che nel giorno 11 febbraio presentava una stabilit,
laddome lavete visto, apiretica, lalvo chiuso, la paziente non fa neanche pi gas. Con questi esami
ematochimici, differenti da quelli in pronto soccorso. Emoglobina 13, globuli bianchi 16000 con neutrofilia
dell81%.
Prof: e qua c un altro errore, cio la scarsa notazione di un aumento dei globuli bianchi. Va bene vero
mi sono sbagliato, ma mi sono sbagliato o meglio non mi sono sbagliato questo un difetto che ho sempre
avuto, cio a me dei bianchi me ne frega poco. Perch io nella mia vita ho visto tanti quadri con bianchi
molto alti e con pochissimo interessamento peritoneale e molti quadri con peritonite molto importante con
pochi bianchi. Per cui io ho scarsissima fiducia nella conta dei bianchi. un mio difetto probabilmente per

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purtroppo cos. Tanto vero che andiamo avanti
Specializzanda: viene richiamato un consulente, viene fatto un rx addome alla paziente per controllare il
quadro addominale questo l11, siamo a 2 giorni.
Prof: Attenzione a questo punto la paziente viene mandata in un reparto di oncologia, ed il suo
trattamento
ho preso una strada ben precisa, cio si deve stadiare, si deve ottenere un esame istologico o citologico
della lesione, si deve tipizzare la lesione per fare una terapia o chirurgica, si deve porre unindicazione
chirurgica, che a questo punto unindicazione di elezione, il paziente non diventa pi un paziente
durgenza, il paziente si trasforma in un paziente di elezione, il paziente deve essere ben studiato,
dobbiamo arrivare alla diagnosi precisa, dobbiamo capire che cos quella massa, se possiamo operarlo, se
dobbiamo operarlo, se deve fare una terapia oncologica, se deve fare una radioterapia o se deve morire. Va
bene? Quindi sfugge alla nostra attenzione e va in mano agli oncologi. I quali per osservano il paziente e
vedono che dal punto di vista clinico, la paziente non che si aggrava tantissimo, per qualche disturbo
inizia ad averlo. Attenzione quando i pazienti chirurgici vanno a finire in un reparto di medicina, tutto ci
che chirurgico assume una potenza improvvisa e questo un altro elemento di difficolt, nel senso che se
il paziente non va a bagno dopo due ore, occluso! Se il paziente fa un po di sangue, emorragico! Se il
paziente non urina, cancro del rene! Naturalmente sto esagerando, per sicuramente la nostra visione di
compliance nei confronti dellemergenza, urgenza diversa da quella dei medici. Tanto vero che i medici
si mettono in imbarazzo perch vedono che la paziente non va di corpo bene, e gli fanno una radiografia
delladdome.
Una diretta addome che mette in evidenza la presenza di qualche livelletto idroaereo, b ma che ti aspetti?
Una paziente che ha una massa del genere che sicuramente un certo disturbo di canalizzazione lo d, non
che sta l e la cacchetta passa come se fosse normale, ci mette un po. Quindi un certo grado di occlusione,
di difficolt di transito lo d. Tanto vero che questo il risultato, non ci sono in ortostatica dei grossi livelli
idroaerei in modo tale che c un occlusione intestinale franca, ci sono dei livelli come se ci fosse una scala
a pioli, quindi piccoli livelli. linizio, la manifestazione radiologica di una difficolt di transito. B ma che
ti aspetti ha una massa del genere, compatibile con il quadro clinico. un paziente in urgenza secondo
voi? Voi lo operereste per superare questo problema? NO. Rimaniamo ancora nellambito di un paziente
che sta in elezione. Per i colleghi delloncologia sono un po agitati, questa non va di corpo, si occlude, si
blocca tutto, ci tocca correre, chiamiamo il chirurgo durgenza di notte. Il chirurgo durgenza la va a vedere
e fa questo esame obiettivo:
Laddome disteso, meteorico, non dolente alla palpazione superficiale n in quella profonda, il TEC
rimane aumentato, la peristalsi ancora presente, il Bloomberg negativo perch aveva escluso che ci sia
peritonismo. La paziente non ha nausea, non vomita e lultima evacuazione di feci liquide risale al giorno
prima, in data 10 febbraio. Il chirurgo di guardia la vede tra questo Rx addome e una nuova tac che viene
richiesta dai radiologi stessi, scrive che non c indicazione chirurgica in atto, la paziente fa unaltra tac
questa volta con contrasto. Che questa:
Conferma la lesione neoformata in fianco dx che occupa fossa iliaca e la regione ileocecale con aspetto
infiltrante sulle anse ileali distali e sul colon ascendente, sul ventre muscolare obliquo e retto delladdome
sinistro ed estrinsecazione solida che raggiunge il tessuto adiposo sottocutaneo del fianco dx. La lesione
mostra vascolarizzazione disomogenea con ampie aree necrotiche, infiltra il grasso omentale con
verosimile impianto nel tessuto omentale allinterno di una vistosa ernia ombelicale. Rispetto al precedente
esame, evoluzione peggiorativa del restante quadro addominale attualmente diffusa sofferenza edematosa
delle anse digiunali ed ileali pluristratificazione delle pareti delle anse nel tratto infiltrato. Si associa
congestione venosa con versamento nel mesentere interno.
Prof: sono passati due giorni dalla prima osservazione, a questo punto Bellotti se ne era andato a casa il
giorno prima e la cosa andata cos, il paziente andato in oncologia. Ma Bellotti dopo due giorni rimonta
di guardia e la prima cosa che gli dice il collega che ha fatto la notte : stanotte ho visto la paziente che sta
un po cosi, non occlusa, stanno pensando di fargli una biopsia tac guidata, ha un tumoraccio ecc. per a
me non sembrava occlusa se ti richiamano valla a vedere. Voi che dite? tutto giusto? Avreste fatto
qualcosa di diverso? Avreste preso una decisione diversa? Fate unipotesi. Secondo voi la paziente non va
trattata durgenza?

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Studente: il versamento nella pelvi non va trattato?
Prof: certo, per c il sospetto oncologico, c una grossa massa, quindi le anse intestinali sicuramente
soffrono perch la massa blocca un po tutto, una grossa massa, quindi ci possiamo aspettare che ci sia
una sofferenza delle anse, che ci sia un po di livello idroaereo, che ci siano le anse un po edematose. Ma
paziente da portare al tavolo operatorio? Attenzione stiamo parlando di una paziente di 72 anni che ha alla
tac una massa quasi mortale, prima di operarla durgenza per unocclusione intestinale questa deve avere
un quadro grave, importante perch un intervento chirurgico, un intervento chirurgico che va a finire
non con la rimozione della massa ma gli facciamo unileostomia, e lileostomia una cosa che ad una
paziente di 72 anni con una massa del genere riduce la sua qualit di vita. Quei pochi mesi di vita che le
restano, se questa ha un tumore, sono distrutti, rovinati dalla presenza di unileostomia. In pi un
intervento chirurgico, quindi non che non si fa. Si fa, ma ci devi pensare su. Tu devi essere costretto da
una condizione di estrema urgenza per portare una paziente del genere a fare lileostomia.
Ma, la collega oncologa mi dice: senti Bellotti, ma questa prima o poi si occlude, mo domenica che ci
metti a fare unileostomia? Facciamola comunque tanto se non oggi, domani e si occlude. Dopo di che
chiss per farla quanto tempo ci vuole, sta male, ecc. Certo penso io, facciamo lileostomia, in fondo
domenica, non cerano grossi impegni in sala operatoria, va bene pi tardi in sala operatoria facciamo
lileostomia. Accetto quindi di fare questa ileostomia. Questo un intervento durgenza? No un
intervento di elezione. Per io mi faccio un altro scrupolo, ci ripenso. Io vado ad operare di elezione una
paziente in urgenza e qui scattano dei motivi medico legali, perch tu operi una paziente dicendo che
urgente ma in realt non perch in realt canalizzata. Va bene lileostomia, perch lintervento giusto
per il tipo di situazione che si sta prospettando no? Una massa tumorale importante che sta per occludere
in maniera seria il paziente che potrebbe poi precipitare. Poi in fondo io che ci metto a fare un ileostomia?
tutto giusto?
Non vero, non vero che ci metti a fare unileostomia, perch questa paziente ha una massa a dx,
lileostomia si fa sullultima ansa, perch cos la perdita di liquidi che si ottiene con unileostomia inferiore
rispetto ad una ileostomia pi a monte. Quindi si va pi a valle possibile e si fa normalmente vicino al cieco,
quindi si fa in fossa iliaca dx, potevo andare a dx? cera la massa, quindi attenzione io non posso fare
unileostomia scappa e fuggi, devo comunque andare mediano, vedere quale il punto pi giusto, perch li
ti immagini che ci sia una massa che ingloba. Quindi non ero convintissimo, tanto vero che ho aspettato,
sono andato su, ho rivisto la paziente, le ho fatto le stesse domande. Mi aveva addirittura confermato che
aveva fatto dellaltro gas e che non aveva pi dolore, la visito, e laddome era completamente negativo,
non aveva dolore, era trattabile. A questo punto Bellotti si convince a fare lileostomia, e andiamo ad
operare la paziente.
Incisione mediana sopra e sotto ombelicale, alla rottura del peritoneo fuoriesce abbondante quantit di
liquido siero corpuscolato, lesplorazione della fossa iliaca dx, non mette in evidenza alcuna formazione di
consistenza aumentata bens si palpa un piastrone reattivo costituito dalle ultime anse del tenue, del cieco
ed epiploon per tanto si decide di ampliare la laparatomia per esplorare ampiamente tutto il cavo
peritoneale. Questo risulta occupato da abbondante quantit di liquido siero-corpuscolato maleodorante
ed in alcuni recessi francamente purulento. Gli organi pelvici sono ricoperti da uno spesso strato di fibrina
reattiva che si trova anche sparsa alle anse intestinali. Tutti i mesi sono inspessiti ed edematosi e
contengono numerosi linfonodi aumentati di volume di probabile natura reattiva. Si fa un ampia viscerolisi,
liberando il cieco dal piastrone reattivo esponendo la sua faccia posteriore e mettendo in evidenza
lappendice cecale la cui parete in un punto sembra perforata. Tutta lultima ansa intestinale ed una buona
parte del colon discendente sono edematosi ed in alcuni punti assottigliati e con aree di sofferenza
ischemica.
Che cosa avreste fatto adesso?
Studente: appendicectomia
Prof: un ipotesi, ne avete altre? Che intervento avreste fatto? Come si fa lappendicectomia?
Si toglie lappendice, rimane un buco e dobbiamo chiuderlo. Ma qui il cieco era diventato una sorta di
lembo tutto tumefatto, edematoso, ischemico in alcune parti. Cio ci fidiamo di fare una sutura, anche il
doppio strato in un tessuto del genere? No, infatti abbiamo fatto un emicolectomia dx, asportando un buon
tratto di intestino tenue fino ad un punto di buon trofismo tessutale e irrorazione vascolare, si costituisce la

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continuit intestinale con unanastomosi latero-laterale meccanica con suturartici meccanica e si protegge
la sutura con ileostomia temporanea in fossa iliaca dx, si fa lavaggio della cavit peritoneale e chiusura della
parete a strati, lasciando tre tubi di drenaggio a caduta.
Il cancro non c pi. Naturalmente non ha mai avuto un tumore. Tutta la massa era il piastrone che si era
creato. I globuli bianchi scendono, la paziente sta bene, apiretica, la stomia da subito risultata
funzionante, in VIII giornata post-operatoria si rimuove il sondino naso gastrico, la paziente riprende a
mangiare, si rimuove prima i due tubi di drenaggio in addome, e solo in X giornata il terzo tubo che quello
perianastomotico. La paziente viene vista il primo marzo. Questo il suo esame istologico:
Segmento di piccolo intestino di 20cm in continuit con il grosso intestino, quindi il cieco e il colon destro.
A livello dellappendice unarea con sierosite brunastra e opacata che appendicite acuta flemmonosa on
estensione dellascesso al tessuto pericolico e sierosite acuta. I linfonodi erano puliti.
Prof: C qualcosa che non vi torna in questo quadro? A parte la gestione, perch questa paziente stata
operata non di urgenza ma di elezione, io quando ho detto gli faccio lileostomia non andavo a fare un
intervento di urgenza ma di elezione, ma prima di fare questo intervento io sono andato a rivedere il
paziente e vi ho fatto leggere lesame obiettivo ed era completamente negativo, da un punto di vista di
quello che abbiamo studiato prima, non cera grossa dolorabilit, non cera occlusione intestinale, non cera
ileo dinamico, non cera contrattura di parete, in una peritonite purulenta diffusa in tutto laddome il pus
era nella loggia sottosplenica, sottodiaframmatica, sopra la milza, aveva pus dappertutto e non aveva
contrattura, probabilmente per lo stesso meccanismo per cui finisce la contrattura alla peristalsi, cio si
erano consumate le risorse energetiche o enzimatiche per potersi contrarre.
Qui magari abbiamo un pochino esagerato con la gestione, per magari se avessimo fatto la tac dopo
lesame obiettivo le cose sarebbero andate probabilmente alla stessa maniera, per rimango dellidea che
andare a vedere il paziente dopo aver fatto lesame strumentale un errore, e vi esorto a non farlo.
Secondo dubitate sempre, non dovete avere certezze, lesame delladdome acuto qualche cosa che non vi
d certezze, rimanete sempre con un piccolo dubbio che le cose non siano come i libri dicono. Guardate la
clinica, lesame obiettivo, perch a volte gli esami strumentali possono essere fuorvianti, per carit, nel 99%
dei casi giusto quello che dicono per voi dovete comunque mantenere un minimo dubbio che le cose
non siano cos. Qui siamo stati fortunati perch ho pensato facciamo una stomia, lerrore qui non aver
operato durgenza, aver trattato in elezione unurgenza perch aveva un enorme ascesso appendicolare.
Studente: lappendice era perforata abbiamo detto, perch allRx diretta addome, non cera la falce
sottodiaframmatica?
Prof: non cera, che sola. questo il problema tu non devi pensare che c sempre. Se il piastrone ha
bloccato il processo, blocca tutto, anche il gas che non riesce a diffondere. Non puoi dire non c falce, non
perforato, il fatto che tu vedi qualche cosa vuol dire che quel reperto altamente specifico ma potrebbe
essere scarsamente sensibile. Non detto che non ci sia. Quando noi mettiamo in evidenza qualche cosa
possiamo pensare che possa esserci ma no che sicuramente c o non c.

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Emorragie digestive acute
(prof. Valabrega)

Per emorragia digestiva si intende la perdita di volume ematico dallapparato gastroenterico. Le emorragie
digestive rappresentano insieme al dolore addominale ed alla subocclusione una delle maggiori cause di
ricovero in chirurgia dei pazienti che giungono in PS. Nella valutazione delle emorragie digestive le variabili
di considerare sono lentit della perdita ematica, il tempo in cui si instaurata e la sede nel tratto
gastroenterico della lesione che lha provocata.

Quadro clinico
A seconda che la lesione responsabile dellemorragia si trovi a monte o a valle dellangolo di Treitz1, le
emorragie digestive si dividono convenzionalmente in superiori o inferiori.
Il quadro clinico delle emorragie digestive caratterizzato dallemissione alvina o con il vomito di sangue
pi o meno trasformato; a seconda delle modalit con cui il sangue viene espulso dallapparato
gastroenterico si distinguono le seguenti manifestazioni cliniche:

Ematemesi: emissione di sangue rosso vivo o parzialmente digerito con i conati di vomito; la
presenza dei conati permette di distinguere lematemesi dallemoftoe. Lematemesi si verifica in
caso di emorragia digestiva superiore e nei casi in cui la perdita ematica tale da non essere
smaltita dalla peristalsi gastrica.
Se lemorragia, di scarsa entit, si instaura in un tempo lungo tale da consentire la digestione del
sangue da parte dei succhi gastrici, si ha vomito caffeano di colorito nerastro. Unemorragia di
maggiori entit irrita rapidamente le pareti dello stomaco stimolando il riflesso del vomito e
impedendo la digestione del sangue; il colorito sar rutilante in caso di sanguinamento arterioso o
pi scuro in caso di rottura delle varici esofagee.

Melena: emissione di feci picee e maleodoranti per la presenza di sangue trasformato dai succhi
digestivi e dalla flora batterica. La melena non sempre indice di emorragia digestiva superiore,
sebbene sia pi frequentemente associata a questi casi; nei casi in cui si abbia una perdita di
sangue a livello del lume intestinale inferiore e questa sia di piccola entit e per lungo tempo, il
sangue pu essere metabolizzato a livello intestinale per cui anche in questi casi la manifestazione
sar quella di una melena. Poich il sangue nel lume intestinale aumenta la peristalsi, unemorragia
di una certa entit accelera il tempo di transito associandosi a diarrea.

Rettorragia: emissione di sangue rosso vivo pi o meno coagulato dallano. Il riscontro di


ematochezia, in presenza di un aspirato nasogatrico negativo, suggestiva dellorigine bassa del
sanguinamento. Pi raramente si pu avere ematochezia in conseguenza di unorigine alta del
sanguinamento (ulcera peptica o fistola aorto-enterica), quando esso sia stato massivo (almeno 1 L
) ed il transito intestinale accelerato. La vecchia distinzione che si era fatta negli anni precedenti e
che distingueva vari quadri clinici della rettorragia (proctorragia, enterorragia, ematochezia) ad oggi
non ha pi alcuna valenza in quanto in ogni caso lapproccio diagnostico in caso di emissione di
sangue dallano sempre lesplorazione rettale.

Nei sanguinamenti di grande entit il quadro clinico delle emorragie digestive dominato dalla
sintomatologia dellipovolemia.

1
Legamento del Treitz: sospende langolo duodeno-digiunale sulla parete addominale posteriore ; il punto in cui
questo legamento si ancora allintestino a livello della giunzione duodeno-digiunale.
171
Iter diagnostico
La raccolta dellanamnesi e lesame obiettivo devono andare parallelamente alla valutazione della
situazione emodinamica e del trattamento delleventuale situazione emodinamica.
La rianimazione precoce e la terapia di supporto sono la chiave per ridurre la morbidit e mortalit delle
emorragie digestive. La Rianimazione viene fatta dal medico di pronto soccorso trattando quei parametri
che sono lematocrito, lemoglobina, il riempimento vascolare, e la coagulazione (spiegata nel capitolo dello
shock ipovolemico).

Le caratteristiche anamnestiche che occorre indagare sono riassunte nella seguente tabella:
Sintomi di ipovolemia/anemia Storia di malattie correlate ad ED Farmaci predisponenti
Vertigini Epatopatia, cirrosi epatica Aspirina
Astenia Gastrite, ulcera FANS
Dispnea IBD Cortisonici
Sincope Aneurisma dellaorta addominale Anticoagulanti
Angina Coagulopatie Pregressa irradiazione
delladdome
Poliposi familiare
Collagenopatie

Allesame obiettivo, necessario valutare:

1. Parametri vitali: fondamentale individuare immediatamente leventuale stato di shock da bassa


gittata;
2. Segni cutanei: tipicamente associati a sindromi che si accompagnano ad emorragia digestiva
(epatopatia o disturbi della coagulazione) oppure i segni caratteristici di una condizione di
ipovolemia (cute marezzata, test del refilling ungueale).
3. Segni a livello delladdome: epato-splenomegalia o versamento ascitico (indicativi di una
epatopatia), dolorabilit epigastrica (indicativa di ulcera peptica) o la presenza di una massa
addominale (neoplasia del tratto gastroenterico o patologia aneurismatica dellaorta).
4. Esplorazione rettale: permette di valutare meglio le caratteristiche del sangue nelle feci nonch la
presenza di masse nellampolla rettale o nel Douglas. La presenza di sangue fresco o di melena
fresca e liquida indica unemorragia in atto o molto recente, mentre una melena secca e solida
indica un sanguinamento non recente.

Deve essere sempre richiesto un emocromo urgente al fine di tipizzare il sangue (per uneventuale
trasfusione) ed eseguire un emocromo completo. Si ricorda per che la valutazione dellematocrito a breve
distanza di tempo dallinsorgenza di unemorragia massiva non consente di ottenere informazioni
attendibili sulla reale perdita ematica, in quanto questa si verifica contemporaneamente a carico della
componente corpuscolata e plasmatica con il valore percentuale che potrebbe risultare nella norma. Solo
nelle 72 ore successive si assiste ad un calo progressivo dellematocrito, quando si verifica il riempimento
capillare da parte dei fluidi interstiziali.
A questo punto, alcune informazioni ottenute possono indirizzare verso una diagnosi di emorragia digestiva
superiore rispetto allinferiore, ovvero et < 50 aa, melena, Ratio BUN/creatinina > 30 1.

1
Perch lemoglobina che viene persa al livello dello stomaco viene riassorbita al livello intestinale e alza il BUN che
lurea che deriva dalle proteine.
172
Dopo aver stabilizzato il paziente, liter diagnostico prevede il posizionamento di un sondino naso-gastrico,
a prescindere dal fatto che le manifestazioni cliniche facciano pensare ad unemorragia superiore o
inferiore perch con il posizionamento del sondino si ha conferma del sanguinamento digestivo. Dopo aver
irrigato lo stomaco con 50 ml di acqua e aver aspirato, la presenza di sangue indica nel 90% lorigine alta del
sanguinamento. Le caratteristiche del sangue aspirato permettono di dirigere la diagnosi e lapproccio
terapeutico successivo:

Sangue fresco emorragia in atto o molto recente endoscopia urgente


Sangue digerito sanguinamento recente che cessato endoscopia

Se laspirato appare chiaro o biliare non vuol dire che non ci sia unemorragia digestiva in quanto nel 15-
20% dei pazienti con emorragia superiore si pu ottenere un aspirato negativo.
Il sondino consente inoltre di effettuare un lavaggio dello stomaco, con soluzione salina a temperatura
ambiente, in preparazione ad un eventuale esofagogastroduodenoscopia.

Se si sospetta quindi unemorragia digestiva superiore, necessaria una EGDS demergenza (entro 24 h ma
in pazienti critici entro 6 h) poich ha valore diagnostico, terapeutico e permette di stratificare il rischio.
Prima di eseguire lesame endoscopico indicato (ma poco diffuso) lesecuzione di una terapia con PPI
(bolo di 80 ml e poi 8 mg/h fino allendoscopia) al fine di ridurre lacidit gastriche che, in caso di
unemorragia gastrica o duodenale, dissolve il coagulo neoformato. Bisogna considerare infatti che l80%
dei sanguinamenti non varicosi si risolve spontaneamente grazie alla formazione del coagulo. Quindi la
terapia con PPI pre-endoscopica riduce il numero di pazienti con lesioni ad alto rischio di mortalit.
La EGDS ha valore terapeutico in caso di varici esofagee, gastropatia congestizia e ulcera peptica (vedi
dopo).

Per le sospette emorragie digestive inferiori non esiste un approccio diagnostico standardizzato.
Lo step successivo a quello del posizionamento del SNG dibattuto tra:
TC con mezzo di contrasto: tale esame ci fornisce indicazioni sulla localizzazione del sanguinamento
nel 40-85% dei casi ma con alcune limitazioni: utilizzo del mezzo di contrasto, necessit che il
sanguinamento sia in atto e di un volume adeguato, assenza di alcuna utilit terapeutica.
Nonostante queste limitazioni, la TC fondamentale perch consente di evidenziare la sede e la
probabile causa del sanguinamento e inoltre attiva la fase terapeutica successiva (angiografia
selettiva). La TC indicata nei pazienti con sanguinamento attivo ma emodinamicamente stabili.
Angiografia mesenterica selettiva: i principali vantaggi risiedono nella possibilit di controllare in
modo efficace il sanguinamento attraverso linfusione di vasopressina o di sostanze embolizzanti
nonch nella possibilit di identificare, durante lintervento, la lesione sanguinante. Langiografia
molto utile, ma pu dare delle complicanze anche molto severe (infarto intestinale, IR, ematomi,
trombosi, dissezioni); raccomandata soprattutto in quei pazienti con sanguinamento massivo che
non possono essere stabilizzati o preparati per la colonscopia, o per quei pazienti in che hanno
eseguito colonscopia senza localizzazione o trattamento della fonte del sanguinamento.
Colonoscopia urgente: laccuratezza diagnostica della colonoscopia del 90%; inoltre ha anche una
valenza terapeutica. Secondo le linee guida, per il carattere urgente, la colonoscopia andrebbe
eseguita entro 6-12 h dallaccesso in PS dopo una rapida preparazione intestinale; questa prevede
la somministrazione per os di 5-6 L di PoliEtilenGlicole e successivamente 1 L ogni 30-45 min. La
colonoscopia andrebbe eseguita quindi entro unora dalla scomparsa di sangue e coaguli con le feci
emesse dal paziente. Vista la necessit di tale preparazione e il bisogno di sedazione durante
lesecuzione della colonscopia, nei pazienti instabili non pu essere eseguita. La necessit di una
preparazione di cos lunga durata comporta il rischio che il paziente possa andare incontro a shock
laddove persista il sanguinamento.
Uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine nel 2000 ha analizzato due gruppi
consecutivi di pazienti: in un gruppo veniva eseguita la colonoscopia urgente solo diagnostica
mentre nel secondo gruppo veniva eseguita una colonoscopia urgente, sia diagnostica che
terapeutica. Questo studio ha concluso che la possibilit di eseguire una colonscopia urgente sia
173
diagnostica che terapeutica d dei vantaggi al paziente in termini di recupero e di giornate di
ricovero in quanto dopo il trattamento il paziente potrebbe essere immediatamente dimesso.
Rapportando tale studio ad un ospedale italiano qualsiasi, sono frequenti i casi in cui nella struttura
non sia presente un endoscopio, che non sia disponibile un endoscopista o che non sia in grado di
eseguire una procedura simile; bisogna sempre quindi rapportarsi con la realt a prescindere dalle
linee guida. Questo tipo di approccio probabilmente sar messo in pratica tra 10-15 anni, in cui ci
sar un servizio di endoscopia durgenza con una suite dedicata sempre attiva.
Che differenza c tra un sanguinamento del colon sinistro ed un sanguinamento del colon destro
dal punto di vista endoscopico? Un conto entrare con lo strumento per 30 cm, un altro farlo per
1,40 m; tecnicamente si tratta di due cose completamente diverse, perch per 30 cm nonostante
scarsa pulizia, la durata dellesame di 10 minuti. In un paziente instabile, con lintestino pieno di
sangue in cui devi arrivare a vedere il colon destro, si incontrano tutta una serie di tortuosit, quella
del sigma, langolo colico sinistro e destro, quindi bisogna essere in grado di farla.
Scintigrafia con emazie marcate: lesame, caratterizzato dalla non invasivit e dallassenza di
morbilit, in grado di identificare sanguinamenti molto piccoli (fino a 0.1 ml/min). Il
sanguinamento tuttavia deve essere attivo; in questi casi lesame presenta unaccuratezza
diagnostica compresa tra il 55 e il 92% dei casi. Tale metodica di indagine indicata,
prevalentemente, nei pazienti con emorragia intermittente. Il limite che non ha una valenza
terapeutica.

Dopo aver identificato la causa del sanguinamento si procede dal punto di vista terapeutico.

Stratificazione del rischio


Raramente i pazienti muoiono per lemorragia ma in genere per altre cause. Uno studio in cui sono stati
seguiti pi di 10.000 casi di pazienti con ulcera sanguinante con un tasso di mortalit del 6,2% ha
dimostrato che l80% dei decessi non era causato dal sanguinamento: Il 34% dei decessi era dovuto a
neoplasia, il 24% a MOF, il 24% per cause polmonari e il 14% per cause cardiache. Questi dati ci dicono che
prima di indirizzare il paziente alle indagini diagnostiche utili ad identificare lorigine del sanguinamento,
occorre stabilizzare il paziente poich questo permette un migliore out come clinico. Quindi una
rianimazione intensiva precoce e misure di supporto riducono la mortalit delle emorragie digestive.
Alcuni score internazionali sono fondamentali nella stratificazione del rischio del paziente per poter
identificare i pazienti che devono essere monitorati pi attentamente, per valutare se il paziente debba
essere dimesso e per determinare il timing dellendoscopia. I tre score pi diffusi (anche se poco utilizzati)
sono :
Rockall Scoring System: per predire la mortalit di un paziente con emorragia digestiva superiore;
ha una parte clinica e una parte endoscopica.

174
AIMS65: per calcolare la mortalit in ospedale e la durata del ricovero.

Blatchford Score: calcola la probabilit che il paziente debba o meno fare un endoscopia
terapeutica basandosi su dati clinici e di laboratorio allammissione in ospedale.

Esiste anche un Blatchford score ridotto,il Fast Track Blatchford, che pi rapido nellidentificare i
pazienti che necessitano di un trattamento immediato

Clinicamente, per classificare le emorragie digestive superiori come severe esistono una serie di
parametri che vengono valutati:
HR>100
SBP<115
Sincope
Addome non dolente allEO
Sanguinamento durante le prime 4h di osservazione
175
Uso di aspirina
> 2 comorbidit attive
Con pi di tre fattori di rischio la mortalit pu arrivare all80% (0 fattori: 6%; 1-3 fattori: 40%, >3 fattori:
80%). Altri fattori di rischio importanti di mortalit sono let e lischemia intestinale; da ricordare il
sanguinamento secondario, cio un paziente ricoverato per qualsiasi altro motivo che per sviluppa
una rettorragia. Questo un indice prognostico particolarmente favorevole perche alla situazione clinica
per cui il paziente ricoverato si aggiunge anche lemorragia.

Emorragie digestive superiori


Le cause di emorragia digestiva superiori sono diverse:

Ulcera gastrica o duodenale


Varici esofagee
Esofagite/gastrite/duodenite
Fistola aortoenterica

Il tasso di mortalit conseguente al sanguinamento digestivo superiore del 6-10% e, nonostante i notevoli
progressi terapeutici, non migliorata a causa dellinvecchiamento della popolazione generale a cui
corrisposto un aumento della incidenza delle emorragie.

Le ulcere peptiche sono la principale causa di tutti i sanguinamenti del digerente superiore (32-76%). Oltre
ai FANS, un importante fattore di rischio per il sanguinamento da ulcera peptica rappresentato
dallinfezione da Helicobacter Pylori. Un impiego pi oculato dei FANS, la diffusione di terapie mirate pi
efficaci e la terapia antibiotica eradicante per lHP ha indotto una riduzione delle ulcere peptiche in toto e
degli interventi chirurgici per le loro complicanze.
Lesame endoscopico generalmente sufficiente a identificare unulcera peptica. In corso di endoscopia
necessaria la classificazione della gravit dellulcera secondo la classificazione di Forrest poich predittiva
della prognosi di questi pazienti. La classificazione prende in considerazione gli aspetti morfologici del
sanguinamento e dellulcera.

CLASSE ASPETTO DELLA LESIONE RISANGUINAMENTO MORTALIT

Ia Sanguinamento a getto 55% 13%

Ib Sanguinamento a nappo 55% 11%


Vaso visibile sul fondo
IIa 43% 11
dellulcera

Coagulo adeso sul fondo


IIb 22% 7%
dellulcera

IIc Ematina sul fondo dellulcera 10% 3%

III Ulcera con fondo fibrinoso 5% 2%

Questa classificazione importante anche per il trattamento da eseguire.


Per la classe I e IIa di Forrest la terapia lemostasi endoscopica. Le modalit di emostasi endoscopica pu
sono tre: terapia iniettiva, applicazione di calore e dispositivi meccanici.
La terapia iniettiva si effettua con liniezione sottomucosa di adrenalina diluita in soluzione fisiologica. La
quantit di liquido consigliata al massimo 30 mL, suddivisa in 4 dosi da iniettare circonferenzialmente alla
176
lesione sanguinante. Lemostasi conseguente allobliterazione del vaso sanguinante indotta dalledema
dei tessuti circostanti e solo marginalmente alleffetto vasocostrittore del farmaco. La terapia iniettiva si
accompagna di solito in associazione alla coagulazione.
La coagulazione pu essere da contatto mediante applicazione di calore prodotta da coagulatori mono- o
bipolari oppure mediante fotocoagulazione con laser di Argon. In entrambi i casi si induce una lesione
tissutale superficiale con trombosi dei vasi.
I dispositivi meccanici comprendono le clip metalliche e la legatura con elastici. Rispetto alle due metodiche
precedenti hanno il vantaggio di non indurre danno dei tessuti circostanti al vaso sanguinante. La loro
applicazione pu essere difficoltosa allungando i tempi per ottenere unemostasi completa. Sono
particolarmente utili in caso di fonte di sanguinamento unica e ben visibile e nei pazienti con deficit della
coagulazione, piastrinopenia o con possibili problemi di cicatrizzazione.
Per la classe IIb di Forrest, il trattamento dibattuto a causa della presenza del coagulo gi formato.
Lorientamento generale quello di togliere il coagulo, valutare la lesione sottostante e quindi decidere
riguardo al trattamento. Il coagulo si elimina mediante un getto dacqua ad alta pressione che viene
iniettata attraverso il canale operatore dellendoscopio.
Le lesioni di tipo III secondo Forrest non necessitano di alcun trattamento a causa del bassissimo rischio di
risanguinamento; il paziente pu essere rimandato a casa con la terapia medica.
In corso di endoscopia, occorre eseguire dei prelievi perilesionali al fine di valutare la presenza di
uninfezione da Hp.

Nei casi in cui si eseguita la terapia endoscopica, viene nuovamente inserito il SNG e si imposta una
terapia medica. Lemostasi endoscopica nel caso di ulcere sanguinanti ha un successo in pi del 95% dei
casi ma nel 10-20% dei casi lemorragia recidiva entro 72 ore a causa dellacidit dello stomaco. Il pH
gastrico a valori > 6 quindi parte fondamentale della terapia delle ulcere sanguinanti; per raggiungere
questo obiettivo necessario inibire completamente la secrezione acida. Per i pazienti di classe I e II si
esegue una terapia endovena con PPI per almeno 72 ore con una dose di attacco di 40 mg seguita da
infusione continua di 8 mg/ora. I pazienti con basso rischio (Forrest III) possono essere nutriti per os e
possono prendere la terapia con PPI per os.
Nei pazienti con unulcera peptica di natura batterica necessario impostare la terapia antibiotica specifica.
I pazienti che assumevano cardioaspirina devono riprendere la terapia, insieme alla terapia con inibitori di
pompa, immediatamente al fine di ridurre il rischio di reinfarto.

Le varici esofagee rappresentano una causa molto grave di emorragia digestiva superiore: 1/3 dei pazienti
con cirrosi avranno le varici, 1/3 dei sanguinamenti da varici sono fatali, 1/3 dei pazienti che sopravvivano
risanguinano entro 6 settimane e, dei pazienti che sopravvivano, solo 1/3 sopravvivr un anno
dallepisodio. Gli indici predittori di un elevato rischio sono:

1. Severit della patologia epatica


2. Piastrinopenia (PLT < 88.000)
3. Splenomegalia

In acuzie, il posizionamento della sonda di Blakemore pu avere successo nellarrestare lemorragia nel 90%
dei casi ma la recidiva di emorragia dopo rimozione si verifica in pi della met dei pazienti. Quindi deve
essere considerata solo come una manovra temporanea in attesa della terapia definitiva.
Il sondino di Sengstaken-Blakemore un sondino a tre vie con due palloncini: uno distale, che si fissa sul
fondo gastrico e messo in trazione per tamponare le varici del fondo gastrico (che sono quelle che pi
frequentemente sanguinano), e un grande palloncino esofageo, che viene gonfiato con 20-30 cm di acqua.
Il sondino non pu essere mantenuto in sede per pi di 8 ore per il rischio di lesioni da decubito sulle pareti
dellesofago. Questo sondino molto efficace per il controllo temporaneo ed immediato ma provoca un
alto tasso di complicanze quali: aspirazione, migrazione, necrosi e perforazione dellesofago. altamente
177
raccomandata la protezione delle vie aeree con intubazione quando viene utilizzato.
La terapia definitiva delle varici esofagee invece descritta dallacronimo VARICEAL Bleed:
V (Vasocostrittori): quelli utilizzati sono gli analoghi o simili della somatostatina poich si tratta
di vasocostrittori splancnici. La riduzione del flusso ematico a livello del circolo splancnico
riduce la quantit di volume presente nel circolo portale, quindi nelle varici. Lunico agente che
ha dato migliore outcome la Terlipressina che per non si trova quasi mai negli ospedali.
LOctreotide (bolo di 50 mg + 50 mg/h per max 5 gg) quello che viene pi utilizzato anche se
in realt ha unefficacia controversa.
A (Antibiotici): 2/3 dei pazienti con sanguinamento delle varici esofagee si infetta a causa della
traslocazione batterica dallintestino al circolo portale di endotossine batteriche. Linfezione
sistemica a peggiora notevolmente la prognosi di questi pazienti per questo necessaria una
terapia antibiotica profilattica con Ceftriaxone oppure Norfloxacina.
R (Rianimazione): la rianimazione di questi pazienti necessita di una particolare attenzione; la
somministrazione esogena di liquidi (soluzioni colloidi o trasfusioni ematiche) deve essere
molto oculata perch i liquidi infusi tendono ad accumularsi nelle vene alimentando il
sanguinamento. Inoltre, i liquidi possono accumularsi nei tessuti per trasudazione dalle vene
formando cos un terzo spazio; la formazione di unascite molto frequente in questi pazienti
che gi hanno unepatopatia grave. Lobbiettivo della rianimazione quello di mantenere la
stabilit emodinamica portando il valore di lHb a valori compresi tra 7-8 g/dl mentre la
pressione venosa centrale a valori compresi tra 4-8 mmHg.
E (Endoscopia): deve essere eseguita entro 12 h, dopo aver stabilizzato i parametri vitali del
paziente. Spesso necessaria lintubazione del paziente per proteggere le vie aeree e
scongiurare cos il rischio di una polmonite ab-ingestis. La metodica endoscopica migliore per il
trattamento delle varici esofagee la legatura elastica della base delle varici 1. Unalternativa
la scleroterapia che consiste nelliniezione di sostanze trombizzanti allinterno delle vene per
evitare il sanguinamento. Queste due metodiche hanno dimostrato percentuali di successo pari
all80-90% .
AL (terapia di salvataggio alternativa): nei pazienti che non rispondono alla terapia endoscopica,
lo shunt transgiugulare porto sistemico intraepatico (TIPS) impiegato come manovra di
salvataggio. Lintervento consiste nel giungere a livello della vena sovraepatica per via
transiugulare; a livello epatico si buca il parenchima epatico finch il filo guida non raggiunge la
vena porta; a questo punto sul filo guida si apre uno stent e si viene a creare uno shunt diretto
tra il circolo portale e il circolo cavale. Tale metodica ha aumentato di molto la sopravvivenza di
questi pazienti ed inoltre il trattamento di scelta in caso di varici gastriche, dove difficile la
legatura per mezzo di elastici. Questa procedura tuttavia ha un tasso di mortalit a 6 settimane
molto elevata (27-55%) che riflette la compromissione dei pazienti sottoposti a questa manovra
di seconda scelta. Complicanze frequenti sono lencefalopatia porto-sistemica e locclusione
dello shunt.
Unaltra tecnica alternativa, ma ancora da validare, lutilizzo di stent endoscopici metallici
autoespandibili; hanno lo stesso principio dazione della sonda ma non hanno il rischio di
decubito sulle pareti dellesofago.
B (-bloccanti): lutilizzo di beta-bloccanti non selettivi, come il Nadololo, indicato a seguito
dalla stabilizzazione emodinamica del paziente; questi farmaci riducono lafflusso a livello delle
varici esofagee inducendo vasocostrizione splancnica.

La fistola aorto-enterica una causa rara ma molto grave di emorragia delle vie digestive. Il problema
relativo a questa condizione che spesso misconosciuta in pronto soccorso portando il pazienet a morte
in poco tempo in quanto il sanguinamento massivo.
La fistola aorto-enterica rappresenta una comunicazione anomala tra laorta addominale e unansa

1
In alcune forme di epatopatia molto gravi si esegue la legatura profilattica delle varici esofagee.
178
intestinale (duodeno o esofago) generalmente per la presenza di un aneurisma addominale o a seguito di
interventi di chirurgia vascolare a livello dellaorta.
La fistola deve essere sempre sospettata come causa di unemorragia digestiva dopo aver escluso le altre
condizioni pi frequenti di sanguinamento. La TC con mdc permette di riconoscerla rapidamente.

Emorragie digestive inferiori


Le cause di emorragia digestiva inferiore sono:

Diverticolosi;
Angioectasie;
Emorroidi;
Coliti;
Neoplasie;
Sanguinamento post-polipectomia;
Lesione di Deiulafoy.

La causa pi frequente (42-55%) di emorragia inferiore rappresentata dalla rottura dei vasi intramurali
presenti nei diverticoli colici, causata da stimolimeccanici o infiammatori. In sanguinamento si manifesta nel
3-5% dei pazienti con diverticolosi, che sono circa il 60% dei pazienti ultrasessantenni. Sanguinano pi
frequentemente i diverticoli del colon sinistro, ma quelli localizzati a destra sono responsabili di emorragie
pi gravi. Nell80% dei casi il sanguinamento si arresta spontaneamente, ma si ripresenta nel 40% dei
pazienti. Lendoscopia operativa tramite iniezione sottomucosa di adrenalina diluita, lapplicazione di clip o
la coagulazione mediante ansa dielettrica trova indicazione in una bassa percentuale di casi (10-20%).
Nella maggior parte dei casi si deve ricorrere ad un intervento chirurgico.

Le neoplasie del colon e i polipi sono causa rispettivamente del 2-26% e del 5-11% di tutte le proctorragie.
Anche lasportazione endoscopica considerata una manovra a rischio per sanguinamenti che possono
verificarsi fino a due settimane dopo lintervento. La terapia delle neoplasie specifica a seconda della
localizzazione e dello stadio. Per i polipi occorre ripetere lendoscopia per cauterizzare i vasi del peduncolo.

Le angiodisplasie sono responsabili del 3-12% delle emorragie inferiori. Si riscontrano in et avanzata e in
pi della met dei casi si localizzano nel colon destro. La lesione di Deiulafoy unaberrazione vascolare per
cui un vaso sanguigno ectasico, che puo raggiungere i 5 mm di diametro (quindi 10 volte maggiore rispetto
ai normali capillari della mucosa), localizzato nella sottomucosa del lume intestinale ed a rischio di
sanguinamento.
Allendoscopia appaiono come lesioni del diametro di 2-10 mm di colorito rosso, piatte, a volte con vaso
afferente visibile o con alone chiaro. Durante lesame endoscopico deve essere evitata linfusione di
meperidina, che riduce il flusso di sangue alla mucosa. Tutte le malformazioni artero-venose devono essere
trattate endoscopicamente con coagulazione con laser ad Argon o mediante resezione chirurgica, vista la
probabilit di sanguinamenti multipli. Lembolizzazione dopo localizzazione angiografica gravata da
unalta percentuale di ischemie intestinali e deve essere riservata ai pazienti con sanguinamento
importante e concomitanti patologie che rendono proibitivo il rischio operatorio.

La colite ischemica tipica del paziente ansiano e si manifesta con dolore addominale sproporzionato al
quadro radiologico e in assenza di modificazioni rilevanti degli esami ematochimici. La proctorargia si
presenta diverse ore pi tardi, quando avviene lulcerazione della mucosa ischemica. Sedi frequenti sono la
flessura colica sinistra e la giunzione retto-sigma, zone dove la vascolarizzazione pu essere priva di
collaterali. Pu far seguito ad episodi di disidratazione o a situazioni di bassa portata di origine cardiogena.
La diagnosi endoscopica e la terapia conservativa, ad eccezione di un 20% di casi in cui indicato
lintervento chirurgico.
179
Cause poco frequenti di sanguinamenti rilevante sono le emorroidi (2-9%), che spesso danno emorragie
ripetute dopo evacuazione. Spesso i pazienti con emorroidi riferiscono di aver perso grossissime quantit di
sangue con le feci, ma spesso tale quantitativo non cos importante come riferito. Patologie concomitanti
come lipertensione portale o difetti della coagulazione possono indurre sanguinamenti prolungati.

Negli ultimi anni la diffusione della radioterapia pelvica in caso di tumori della vescica, dellapparato
genitale femminile e maschile (prostata) o del retto ha causato un incremento delle proctiti e delle enteriti
attiniche. Le proctiti che seguono sono molto difficili da trattare; generalmente vengono curate nello stesso
modo della Rettocolite Ulcerosa.

In caso di unemorragia digestiva inferiore, la chirurgia riservata a pazienti con sanguinamenti


potenzialmente letali dove hanno fallito le altre opzioni precedentemente descritte. Importante
soprattutto la localizzazione preoperatoria del sanguinamento. Le indicazioni generali al trattamento
chirurgico sono:

Ipotensione/shock nonostante la rianimazione


Pi di 6 U di sacche di sangue trasfuse

180
Ischemia e infarto intestinale
(prof. Bellotti)

Lischemia acuta mesenterica una riduzione improvvisa del flusso sanguigno diretto allintestino con
conseguente danno cellulare da insufficiente apporto di ossigeno e nutrienti. Linfarto intestinale
rappresenta la drammatica ed irreversibile conseguenza dellischemia mesenterica acuta evoluta verso la
necrosi della parete intestinale.
Nonostante i progressi dei presidi medico-chirurgici, il tasso di mortalit che caratterizza tale affezione
risulta ancora elevato e ci dovuto, in particolare, al ritardo con cui spesso si giunge alla diagnosi.
Il successo invece legato alla precoce individuazione della fase di ischemia acuta, quando non si ancora
instaurata una condizione di danno irreversibile.

Eziologia
In base alleziologia, lischemia mesenterica pu essere classificata in quattro categorie:

1. Ischemia acuta mesenterica da embolia arteriosa: responsabile della met circa dei casi di
ischemia mestenterica acuta. Lembolo solitamente proviene dal cuore per stasi sanguigna
secondaria a fibrillazione atriale oppure per distacco di un trombo murale, formatosi dopo un
infarto miocardico acuto. Pi raramente lembolia origina da lesioni delle valvole cardiache, da
dilatazioni aneurismatiche o per cause iatrogene. La magggior parte degli emboli penetra
nellarteria mesenterica superiore poich la sua origine obliqua dallaorta ne favorisce lingresso.
2. Ischemia acuta mesenterica da trombosi arteriosa: responsabile di circa 1/3 dei casi. La quasi
totalit dei casi insorge in pazienti con aterosclerosi diffusa dei vasi mesenterici e lostruzione
interesa solitamenet lorigine della mesenterica superiore.
3. Ischemia acuta mesenterica da trombosi venosa: dovuta a infezioni addominali, cirrosi epatica con
ipertensione portale, tromboflebite da altre cause.
4. Ischemia acuta mesenterica funzionale: si genera a seguito dellipoafflusso ematico nel territorio
mesenterico, secondario a stati di shock cardiogeno, settico, ipovolemico. Una causa iatrogena
stata individuata nelluso di farmaci digitalici, che provocano vasocostrizione sia del territorio
arterioso sia di quello venoso splancnico.

Alcune patologie proprie del peritoneo e delle anse intestinali possono avere meccanismi patogenetici misti
tra i quattro sopra descritti; queste sono i volvoli, le invaginazioni, le briglie aderenziali e le ernie.

Fisiopatologia
Le conseguenze dellocclusione vascolare dipendono dal vaso coinvolto: unostruzione di una branca
periferica dellarteria mesenterica superiore pu essere facilmente compensata dai circoli collaterali; al
contrario unocclusione della medesima arteria allorigine pu causare unischemia massiva intestinale per
limpossibilit che si instaurino circoli collaterali. La lesione dei tessuti intestinali deriva non solo dal danno
ischemico ma anche da quello riperfusivo. Il danno ischemico provoca inizialmente la necrosi della mucosa
intestinale, che pu progredire rapidamente fino a coinvolgere la parete intestinale in 4-6 ore. Levoluzione
naturale la perforazione dellintestino con conseguente peritonite settica e morte. Il danno da
riperfusione si ha quando lintestino ischemico riacquista il suo apporto ematico per cui avviene una
liberazione di sostanze tossiche che aggravano il pregresso danno ischemico.

Quadro clinico
Generalmente i pazienti con ostruzione embolica acuta dellarteria mesenterica superiore si presentano
con un quadro sintomatologico drammatico, che insorge improvvisamente. Levoluzione clinica della
malattia riconosce tre stadi:

181
Stadio spastico: ha una durata di circa 1-3 ore; ha esordio iprovviso con dolore addominale
violento, vomito e diarrea, addome trattabile e peristalsi ancora presente;
Stadio paralitico: il dolore addominale diventa sempre pi diffuso, l'addome diventa sempre pi
dolorabile al tatto, e la motilit intestinale diminuisce. Ne consegue sensazione di gonfiore
addominale, cessazione dell'emissione di feci sanguinolente, mentre i borborigmi intestinali
(rumori intestinali) non sono pi rilevabili all'auscultazione addominale.
Stadio peritonitico: insorge il quadro delladdome acuto con difesa addominale diffusa, assenza di
peristalsi e compromissione dello stato generale. Pu insorgere oliguria e anuria fino allo shok.

I pazienti con una occlusione arteriosa su base trombotica presentano frequentemente sintomi prodromici
di dolore cronico post-prandiale, dovuto a ischemia cronica intestinale (claudicatio abdominis). La
trombosi venosa mesenterica generalmente responsabile di un quadro sintomatologico subacuto,
caratterizzato da dolore addominale diffuso, associato ad anoressia e diarrea ematica.

Iter diagnostico
La diagnosi precoce fondamentale per instaurare unadeguata terapia e impedire la progressione verso il
danno ischemico irrebersibile.
Gli esami di laboratorio mostreranno leucocitosi, acidosi metabolica con persistente deficit di basi,
aumento dellematocrito per emoconcentrazione, ipoalbuminemia, aumento dei fosfati sierici. In alcuni
pazienti si pu verificare un aumento di amilasi, LDH, CPK e fosfatasi alcalina.

Lesame dellRX diretta addome soprattutto quella di escludere la presenza di occlusione intestinale o di
perforazione intestinale. I segni radiologici specifici per unischemia acuta mesenterica sono:

Addome povero di gas;


Scarsit di gas colico e distensione gassosa del tenue;
Edema della mucosa nel contesto di anse distese da gas;
Ispessimento delle pliche e delle pareti intestinali;
Fissit delle anse

La Tc spirale ottiene i migliori risultati in termini di specificit pur mantenendo una sensibilit bassa; alla TC
si osserver occlusione dei vasi splancnici, dilatazione intestinale ,pneumatosi intestinale e ispessimento
della parete intestinale.

Trattamento
Una terapia rapida e aggressiva il fattore cruciale per la prognosi. Linfusione di soluzioni elettrolitiche
deve essere precoce e aggressiva per contrastare lipovolemia. Quindi si dovr intervenire durgenza la
rivascolarizzazione mediante tromboendoarteriectomia o mediante embolectomia con catatere di fogarty;
inoltre necessario un intervento laparoscopico per la resezione del tratto ischemico con confezionamento
di unanastomosi tra i monconi residui; necessario un second look a 24 h per valutare lefficienza della
vascolarizzazione.

182
Sindromi perforative
(prof. Bellotti)

La perforazione gastrointestinale un quadro clinico acuto causato dalla presenza di una lesione di
continuo nella parete di uno dei visceri cavi addominali che si forma come complicanza di alcune malattie
dell'apparato digerente; a seguito di una perforazione, l'interno del lume in piena comunicazione con la
cavit addominale o con un altro organo.
Questa sindrome a seconda del sito di rottura ha uneziologia diversa, quadri clinici diversi e un approccio
terapeutico che in alcune forme pu essere anche di vigile attesa.

I segmenti gastrointestinali coinvolti sono: stomaco (14%), duodeno (5%), intestino tenue (66%), intestino
colon-retto (9%).

Eziologia
Le cause di una perforazione gastrointestinale possono essere:

1. Infiammazione: questa come causa di perforazione la pi frequente e mostra una ampia


distribuzione di localizzazione. Linfiammazione generalmente conseguente ad uninfezione
insorta per una dismicrobiosi intestinale ma non sono rare le perforazioni conseguenti ad un insulto
chimico delle anse intestinali e allinfiammazione cronica sostenuta dalle IBD.
La modalit con uninfezione intestinale porta ad una perforazione gastrointestinale per mezzo
dellattivit necrotizzante sulla parete intestinale di alcune specie batteriche coinvolte
nellinfezione: quando la loro attivit viene esaltata a discapito delle altre specie batteriche
erodono fortemente la parete intestinale fino alla perforazione. Inoltre, tutte le infezioni possono
provocare focolai ischemici a livello della parete che possono esaltare ulteriormente la
dismicrobioisi intestinale fino a questo esito infausto.
Per quanto riguarda gli agenti chimici, quelli che pi frequentemente sono coinvolti nelle
perforazioni intestinali sono il succo gastrico ( per azione diretta sulla parete gastrica e duodenale)
e il succo pancreatico e biliare (per azione diretta sulle anse digiuno-ileali o, in corso di pancreatite
acuta sullalbero biliare).
Infine, la perforazione una nota complicanza del morbo di Chron ma ben pi rara di altre sue
complicanze (ascessi, occlusioni e subocclusioni).

2. Traumi: quelli responsabili di una perforazione intestinale possono essere diretti (da ferite
penetranti delladdome causati da armi bianche e armi da fuoco), indiretti (scoppiamento di un
ansa intestinale in caso di improvvisa decelerazione) oppure iatrogeni (a seguito di interventi
chirurgici o esami diagnostici strumentali).
Tra le forme iatrogene, la deiscenza di una perforazione anastomotica sicuramente la causa pi
frequente di una perforazione gastrointestinale; al fine di evitare questa complicanza, occorre
rispettare i canoni di una buona chirurgia (capi intestinali ben affrontati a avvicinati tra di loro,
preparazione pre-operatoria per correzione di una ipoproteinemia e denutrizione) ma anche
valutare le condizioni dei tessuti anastomizzati poich tessuti infiammati o ischemici rendono le
anastomosi molto complicate. Durante gli interventi di anastomosi la perforazione pu rendersi
immediatamente evidente per cui facile intervenire immediatamente; quando invece si sviluppa
pi tardivamente, la rivelazione della mancata saldatura ci viene fornita dai drenaggi che vengono
mantenuti in sede che mostreranno la presenza di materiale fecale nelle sacche esterne di raccolta.
Le perforazioni iatrogene in corso di esami strumentali si verificano invece in caso di endoscopie
digestive complicate dalla presenza di varianti anatomopatologiche che possono ingannare
lendoscopisca; le perforazioni possono aversi anche a seguito di prelievi bioptici dei polipi
183
intestinali oppure durante le procedure di accesso nella cavit addominale per un intervento in
laparoscopia e, infine, durante unarteriografia superselettiva a scopo emostatico che comporti la
necrosi di un segmento intestinale.

3. Corpo estraneo: la gravit delle perforazioni da corpo estraneo si rif a due caratteristiche
fondamentali del corpo estraneo ovvero la forma delloggetto (prevalenti le lesioni causate da corpi
estranei molto appuntite) e dal tratto della perforazione (i segmenti intestinali che hanno una
buona attivit peristaltica hanno maggiori probabilit di perforazione).

4. Ischemia: lischemia e poi la necrosi di un segmento intestinale comportano ovviamente la perdita


di tessuto e una soluzione di continuo nella parete intestinale.

5. Occlusioni: generalmente unocclusione non porta sempre ad una perforazione. Questa infatti si
verifica in caso di occlusioni di grandi entit che provocano la sovradistensione delle anse intestinali
fino al punto in cui si rompono (si parla di perforazione da diastasi). La perforazione da occlusione
intestinale ad appannaggio quasi esclusivo del colon poich questo ha una breve estensione tra
due strutture valvolari che ne impediscono la distensione; inoltre il colon ha una carica batterica
molto abbondante che genera una grande quantit di gas che facilita la rottura.
Per i segmenti pi alti, le occlusioni sono raramente causa di perforazioni perch in caso di
accumulo di materiale alimentare si genera il riflesso del vomito che le libera.

6. Tumori: raramente un tumore pu rendersi responsabile di una perforazione essendo pi


caratteristico il suo comportamento infiltrativo sugli organi circostanti.

Presentazione clinica generale


Per gli organi intraperitoneali, le manifestazioni cliniche di una perforazione intestinale dipendono dal
segmento interessato e dal grado di coinvolgimento del peritoneo:

Perforazione in cavit libera: rappresenta la forma, in genere acuta, della complicazione. Il


contenuto enterico si versa direttamente nella cavit peritoneale determinando una peritonite
associata alla presenza di aria libera nelladdome (pneumoperitoneo 1).
Perforazione coperta: costituisce la forma, per cos dire cronica, della complicazione. Avviene
quando il processo patologico a carico del viscere ha dato il tempo perch si formassero delle
aderenze infiammatorie tra il segmento malato e gli organi vicini che limitano la propagazione del
materiale alimentare ed aereo rilasciato dal segmento perforato.

Nelle perforazioni retroperitoneali, avremo quasi sempre retropneumoperitoneo che, al contrario dello
pneumoperitoneo, un sicuro indice di perforazione. La presenza di aria nel retroperitoneo si ha anche in
caso di perforazioni del retto, duodeno e colon ascendente e discendente quando laria viene ad infilarsi
nello spazio compreso tra il rivolgimento del foglietto viscerale e parietale di questi organi che fa poi
accumulare laria nel retroperitoneo.
Eccetto che per queste caratteristiche generali, gli altri segni e sintomi di una perforazione dipendono dalla
localizzazione della perforazione stessa.

1 La presenza di aria libera in addome non patognomonico di una sindrome perforativa potendosi riscontrare anche
a segiudo di un intervento chirurgico laparoscopico (quando andiamo a richiudere laddome una quota di aria rimane
dentro) o in corso di infezione (es. E.coli produce indolo e scatolo che sono gas) oppure per estensione di aria dal
tratto genitale femminile (a seguito di procedure diagnostiche o post partum), per estensione di aria dal
retroperitoneo, per estensione di aria dal torace (pneumomediastino via retroperitoneo e mesentere, pneumotorace
attraverso forami del diaframma) .
184
Perforazione dellesofago
La rottura dellesofago pericolosa in quanto, nella stragrande maggioranza dei casi, la rottura dellesofago
si verifica nel segmento toracico aumentando il rischio che possa insorgere una contaminazione del
mediastino con conseguente mediastinite che ha conseguenze cardiocircolatorie e respiratorie anche gravi.
Inoltre, la perforazione dellesofago si complica sempre a causa della cospicua produzione di saliva e muco
anche con in corso di nutrizione parenterale; la saliva ha unazione corrosiva, grazie al suo contenuto di
ptialina, rallentando la risoluzione spontanea e la guarigione a seguito di un intervento chirurgico.

Le cause pi frequenti di una perforazione dellesofago sono le lesioni della parete esofagea in corso di
procedure endoscopiche (43 % dei casi). Qualsiasi strumento medico utilizzato per procedure diagnostiche
o terapeutiche in grado potenzialmente di perforare l'esofago. meno probabile che strumenti moderni e
flessibili producano questo tipo di danno rispetto ad apparecchiature meno avanzate. Il rischio di
perforazione nel corso delle procedure bassissima. La esofagogastroduodenoscopia, la causa pi comune
di questo inconveniente, presenta un rischio pari ad appena lo 0,03%.
Altre cause meno frequenti sono i traumi ficisi o le lesioni del collo (19% dei casi), le rotture sponeanee
(16%), le complicanze di interventi chirurgici sullesofago (8%), la presenza di corpi estranei in esofago (7%),
i tumori dellesofago (4%), le ulcere esofagee da MRGE e le lesioni da caustici.
La perforazione dellesofago si manifesta con una triade sintomatologica caratteristica: dolore toracico,
vomito, enfisema sottocutano cervicale. Questa triade presente solo nel 50% dei casi. Altri sintomi
aspecifici che possono manifestarsi sono la febbre (51%), la dispnea (24%) e il crepitio allauscultazione e
alla palpazione(22%).
possibile inoltre evidenziare la prevalenza di alcuni sintomi a seconda del segmento esofageo interessato:

Perforazione cervicale: dolore e rigidit cervicale (caratteristico di questa forma), disfagia ed


odinofagia, crepitii, febbre, versamento pleurico (solitamente destro che insorge dopo 24 ore dalla
perforazione);
Perforazione toracica: dolore retrosternale o toracico, enfisema mediastinico, versamento pleurico,
pneumotorace (quando la perforazione laterale), enfisema sottocutaneo cervicale, mediastinite,
febbre e sepsi, MOF e shock settico;
Perforazione del giunto gastroesofageo: dolore trafittivo epigstrico intrattabile (perforazione
anteriore), dolore sordo epigastrico con irradiazione posteriore (perforazione posteriore,
moltorara), peritonite, febbre, tachicardia, tachipnea, sepsi e shock settico. In questo caso, occorre
fare diagnosi differenziale con una perforazione conseguente alla presenza di unulcera peptica
gastrica o duodenale perch in questi casi si ha peritonite per interessamento del peritoneo;
tutavia, il dolore trafittivo di unulcera pi lateralizzato a destra mentre quello esofageo indicato
come retrosternale, quasi epigastrico.

Questi segni devono essere interpretati alla luce dellanamnesi, dellesame obiettivo e degli esami
radiologici che, in caso di perforazione gastrointestinale, sono:

Pneumomediastino (40%)

Slargamento mediastinico da edema (segno tardivo)

Pneumotorace(77%), a dx 70% o a sx 20%: pi frequente a destra per la disposizione destrorsa


dellesofago nei segmenti cervicali e toracici.

Enfisema sottocutaneo

Pneumoperitoneo

185
Versamento pleurico (segno tardivo)

Per le considerazioni fatte precedentemente, si comprende come il trattamento di una perforazione


esofagea sia molto complicata. Le opzioni di trattamento sono:

1. Management non-operativo ( con o senza drenaggio peri-esofageo): il trattamento conservativo ha


un buon successo nei casi di perforazioni cervicali, nelle forme conseguenti a deiscenza
anastomotica o da corpo estraneo; occorre per monitorare sempre il quadro polmonare e il
quadro mediastinico. Negli altri casi (perforazione toracica con mediastinite), il management non
operativo richiede un drenaggio periesofageo in attesa della guarigione per seconda intenzioni.
2. Riparazione primaria: in caso di lesioni di maggiore entit e a rischio di contaminazione batterica;
3. Resezione esofagea con o senza ricostruzione (1 o 2 tempi) o Esclusione e diversione esofagea:
generalmente nelle perforazioni dei tratti distali dellesofago.
Gli interventi chirurgici devono sempre seguire lattenuazione di un eventuale quadro mediastinico
infettivo che possano inficiare sul processo di riparazione.

Perforazione gastrica o duodenale (ulcera peptica)


Le perforazioni da ulcera peptica possono formarsi sulla parete anteriore dello stomaco, sulla parete
posteriore dello stomaco o sulla parete anteriore del duodeno.

Ne consegue una perforazione coperta o una libera. La perforazione coperta data in genere da ulcere
peptiche della parete posteriore dello stomaco: in questo caso le sostanze alimentari e finiscono per ledere
il corpo del pancreas (si parla di (ulcera perforante del corpo del pancreas) per cui si rende difficile un
trattamento con la sola terapia medica. La perforazione coperta seppur non mostri chiari segni di una
perforazione libera molto dolorosa per il coinvolgimento delle strutture nervose peripancreatiche. La
diagnosi resta difficile tranne nei casi in cui si formi un piastrone e un ascesso retroperitoneale per cui
clinicamente il paziente manifestar una sensazione di tumefazione a livello epigastrico/mesogastrico e
reazione dolorosa alla palpazione addominale.

La perforazione libera si verifica a seguito di una lesione della parete anteriore dellantro dello stomaco o
del duodeno. La perforazione libera riconosce tre stadi evolutivi patologici e clinici:
1. Stadio I (Irritazione peritoneale): in questa fase si ha irritazione chimica del peritoneo viscerale; dal
punto di vista clinico avremo intenso dolore epigastrico trafittivo, talvolta irradiato alle spalle per
interessamento del nervo frenico, pallore, sudore, tachipnea.
2. Stadio II (Reazione peritoneale): dopo 2-6 ore dalla rottura dellulcera, lirritazione interessa anche
il peritoneo parietale. Dal punto di vista clinico avremo la riduzione del dolore spontaneo, dolore
alla pressione addominale, riduzione della peristalsi, scomparsa dellaia di ottusit epatica per
laccumulo di aria libera, dolore allesplorazione rettale/vaginale, talvolta febbre. In queste prime
fasi lirritazione peritoneale esclusivamente chimica in quanto il contenuto acido dello stomaco
sterile.
3. Stadio III (Peritonite batterica): dopo 12 linfiammazione peritoneale favorisce la crescita batterica
per cui si sviluppa una peritonite batterica; dal punto di vista clinico avremo dolore meno intenso,
frequente vomito, ileo dinamico conclamato, febbre elevata, disidratazione ecc.

Un errore frequente quello di pensare che una perforazione da ulcera peptica si associ sempre ad
unemorragia gastrica con conseguente ematemesi. Questo non sempre vero perch in realt una
perforazione gastroduodenale conseguente ad unulcera peptica ha unevoluzione molto lenta per
lerosione progressiva della parete (finch poi non viene raggiunto lo strato pi esterno e lulcera esplode
clinicamente). In questa progressione lenta i capillari sanguigni della parete gastrica vengono chiusi per
cicatrizzazione; potrebbe esserci una piccola emorragia ma non tale da portare ad ematemesi. Lunico caso

186
in cui la perforazione d ematemesi importante in alcuni casi di perforazione duodenale con
interessamento diretto dallarteria gastroduodenale o pilorica.
AllRX diretta addome la perforazione dello stomaco e del duodeno si sospetta per una falce d'aria
sottodiaframmatica; in una fase precedente alla rottura conclamata dellulcera, alcuni radiologi osservano
la presenza di piccole bolle daria extraluminali che si dispongono attorno allulcera in rottura. Lo studio
della parte alta del tratto gastrointestinale con mezzo di contrasto mostrerebbe uno stravaso rivela la
presenza di perforazione ma sconsigliato per leffetto irritativo dello bario sul peritoneo. Alla TC pu
osservarsi anche linterruzione della parete.
Gli esami di laboratorio mostrano leucocitosi neutrofila, aumento delle proteine della fase acuta
(fibrinogeno, etc.) e in alcuni casi anche iperamilasemia.

Se si perfora lo stomaco esclusa la terapia dattesa perch in questi casi la perforazione d origine ab
inizio ad un quadro peritonitico che se non si interrompe chirurgicamente, poi porta a una peritonite
diffusa e a uno shock difficilmente recuperabile. Bisogna intervenire precocemente, escludendo quindi
terapia dattesa e drenaggio. Tuttavia, la terapia chirurgica durgenza di questi casi si deve limitare al
trattamento della perforazione e non alla terapia dellulcera. Lintervento, laparoscopico o laparotomico,
prevede la sutura della lesione di continuo della parete, lavaggi ripetuti della cavit addominale e il
posizionamento di drenaggi; questo trattamento di solito sufficiente in caso di ulcere molto piccole (max
1.5 cm di diametro). Nei casi in cui lulcera di grandi dimensioni e il tessuto della parete circostante alla
perforazione molto infiammato quasi dobbligo procedere con una gastroresezione, anche durgenza.

Perforazione delle vie biliari


Le cause di perforazione delle vie biliari sono le complicanze di interventi chirurgici o diagnostici che
interessano la via biliare o la colecisti, le perforazione conseguente ad una colecistite e i traumi diretti e
indiretti delle vie biliari. In questi casi si manifesta il cosiddetto coleperitoneo ovvero una peritonite chimica
conseguente allirritazione peritoneale di origine biliare. I sintomi sono quelli di un dolore sordo localizzato
in ipocondrio destro che progressivamente diventa pi violento irradiandosi alla scapola omolaterale,
nausea e vomito. Dopo alcune ore si osserva la presenza di febbre, tachicardia, grave disidratazione, ittero
o subittero (se presente ostruzione). LEO quello tipico di un addome acuto. Gli esami di laboratorio
mostrano leucocitosi, emoconcentrazione, aumento della biliribina e della fosfatasi alcalina, urine
concentrate. La diagnostica per immagini mostra i segni di radiologici tipici di un ileo paralitico.

Le vie biliari lese sono molto difficili da riparare; consigliato inserire un drenaggio biliare percutaneo e di
inviare il paziente in un centro terziario con chirurghi esperti nella ricostruzione delle vie biliari. Qui verr
operata una sutura diretta o verr applicato uno stent a copertura della lesione; nei casi pi gravi si ricorre
a una epaticodigiunostomia a monte del tratto perforato.
Lepaticodigiunostomia espone il paziente, per, a dei rischi di colangite ascendente, perch non esiste pi
la valvola di Vater.
Una metodica molto indaginosa ma che in mani esperte ha dei buonissimi risultati il cosidetto stenting
rendez-vous: mediante una guida radiologica si incannula la via biliare in senso ascendente dal duodeno e
in senso discendente per via transepatica; queste guide quando giungono nel sito di perforazione
permettono di inserire due stent luno nellaltro per permettere alla parete della via biliare di ricostruirsi; in
un secondo intervento si rimuovono gli stent per lasciare la parete neoformata.

Perforazione dellintestino tenue


La perforazione dellintestino tenue una complicanza legata generalmente alle seguenti condizioni
patologiche:

1. Traumi chiusi o aperti

187
2. Ingestione da corpi estranei: interessa in particolare i segmenti intestinali fissi, di calibro minore e
dotati di intensa attivit peristaltica sono pi spesso interessati (duodeno, segmenti prossimali e
distali del tenue;
3. Morbo di Chron:
4. Ischemia/infarto intestinale: linfarto intestinale a livello del tenue molto frequente per la
ricorrenza di due condizioni patologiche:
a. Trombosi: pu essere di natura venosa, per trombosi di una delle vene drananti a livello del
sistema portale, o di natura arteriosa; la trombosi arteriosa pu verificarsi nella forma pi
grave per trombosi del segmento di Renier che rappresenta il primo tratto dellarteria
mesenterica superiore da cui nascono tutti i vasi arteriosi limitando quindi la possibilit che
si formino circoli collaterali.
b. Strangolamento: le cause di strangolamento del tenue sono il volvolo del tenue,
lintussuscezione, linvaginazione, linvaginazione nella valvola di Bauino, lernia strozzata,
la briglia aderenziale. Queste condizioni causano un infarto venoso con la seguente
modalit: la pressione arteriosa riesce, in un primo momento, a vincere la pressione
esterna generata dallo strozzamento ma lo stesso non si verifica per il versante venoso a
pi bassa pressione per cui progressivamente la pressione aumenta a monte fino alla
completa stasi ematica. Lintestino tenue pi di tutti va incontro a queste lesioni perch ha
un meso molto ampio che permette grandi movimenti delle anse intestinali, al contrario
degli altri segmenti; inoltre lintestino tenue ha movimenti peristaltici molto vivaci per cui
pu infilarsi facilmente nei recessi delle briglie aderenziali.
c. Insufficienza cardiaca acuta
d. Effetto collaterale di farmaci o droghe

Il quadro clinico dominato dalla presenza di dolore trafittivo a localizzazione periombelicale e tachicardia.
AllEO sono presenti i segni di un addome acuto peritonitico.
Gli esami di laboratorio mostrano leucocitosi, squilibrio elettrolitico, deplezione volemica, ed
iperamilasemia in caso di infarto intestinale. La diagnostica per immagini mostra reperti simili a quelli
descritti per la perforazione da ulcera peptica.

Il trattamento di una perforazione intestinale dibattuto. Il professore sostiene la condotta terapeutica


della resezione del tratto interessato e successivo drenaggio. Nellinfarto intestinale si adopera la strategia
del doppio intervento: un primo intervento chirurgico prevede la resezione di tutti i tratti necrotici e la
ricanalizzazione; un second look a 24-36 h dallintervento permette di valutare la buona riuscita
dellintervento e di valutare la presenza di altri segmenti necrotici da ricanalizzare. In caso di trombosi
occorre rimuovere il trombo formatosi.

Perforazione del colon


Le cause di perforazione del colon sono:

1. Colite ischemica: generalmente il risultato di un processo di tipo tromboembolico ma pu


verificarsi come complicanza di un AAO, quando lorigine dellaneurisma superiore a quello
dellarteria mesenterica, oppure come complicanza di un intervento chirurgico resettivo del colon;
infine pu verificarsi a seguito di uno scompenso cardiaco acuto.
2. Traumi: vedi sopra
3. Rottura diastasica: si verifica per aumento della pressione intraluminale in corso di occlusione o di
procedura endoscopica.
4. Diverticolite: una complicanza poco frequente ma molto importane; si manifesta con positivit al
Bloomberg in fossa iliaca sinistra per linteressamento peritoneale locoregionale. In caso di
perforazione, una RX diretta addome mostrer una falce sottodiaframmatica. La classificazione di

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Hinchey definisce la gravit delle peritoniti che insorgono a seguito della perforazione di un
diverticolo intestinale:
a. I STAGE : ascesso paracolico
b. II STAGE : ascesso pelvico
c. III STAGE : peritonite purulenta
d. IV STAGE : peritonite stercoracea

Lincidenza di questa condizione in aumento per motivi di carattere sociale (invecchiamento della
popolazione).

5. Tumori fistolizzanti
6. Deiescenza anastomotica: al termine di interventi chirurgici sul colon che prevedano il
confezionamento di unanastomosi, compito del chirurgo quello di valutare la necessit di
operare una ileostomia protettiva a monte nei casi in cui si sospetti la presenza di una grossa carica
batterica che possa generare una peritonite batterica con conseguente rallentamento della
guarigione dellanastomosi. La deiesenza anastomotica facilmente diagnosticabile oltre che per il
quadro clinico peritonitico per la presenza di feci nei drenaggi posizionati a livello addominale.
Qualora questa incorra come complicanza talvolta sufficiente il drenaggio ed un eventuale terapia
medica per risolvere la fase acuta; nei casi pi gravi occorre il riconfezionamento dellanastomosi
con una accurata toilette della cavit addominale e drenaggio post-operatorio.
7. Appendicite: la perforazione una rara complicanza di unappendicite in fase molto avanzata.
8. Iatrogena: pu verificarsi la perforazione di un diverticolo durante la fase di insufflazione daria
prima di una procedura endoscopica, per introduzione dellendoscopio o per lesione della parete
colica durante la rimozione di un polipo.

Il quadro clinico sovrapponibile a quello descritto a proposito della perforazione dellintestino tenue
potentosi in aggiunta verificare una perforazione coperta.

In caso di modesto dolore addominale localizzato ed in assenza di segni di peritonismo, instabilit


emodinamica o febbre, pu essere instaurato un trattamento di tipo conservativo. Tale trattamento
consiste nella somministrazione di liquidi ed antibiotici ev, digiuno, nonch stretto follow-up
clinico/laboratoristico e radiologico (Rx). Se la sintomatologia migliora nelle prime 24 ore, solitamente si ha
completa risoluzione del quadro clinico nei 3 giorni successivi. Questo si verifica solitamente nel caso di
perforazioni di piccole dimensioni, solitamente coperte, in pazienti che hanno eseguito una ottima
preparazione intestinale (basso rischio di contaminazione fecale del peritoneo). Nelle prime 96 ore
tuttavia importante monitorizzare costantemente il paziente e non differire l'intervento chirurgico nel caso
in cui compaiano segni di peritonismo diffuso o sepsi.
Il trattamento endoscopico di un perforazione iatrogena del colon pu essere considerata una valida
strategia terapeutica nel caso in cui si documenti nel corso dell'esame endoscopico un danno di parete di
dimensioni inferiori ai 2 cm. Le tecniche endoscopiche pi studiate che si sono dimostrate efficaci nel
trattamento endoscopico di perforazioni del colon si basano sul posizionamento di clip.
La chirurgia da considerarsi l'unica opzione terapeutica nel caso di perforazioni non trattabili
endoscopicamente o nei casi non diagnosticati in corso di colonscopia non passibili di un trattamento
conservativo. L'intervento chirurgico inoltre mandatorio in presenza di ampie perforazioni (> 2 cm), segni
di peritonismo diffuso, sepsi o peggioramento delle condizioni cliniche del paziente dopo un iniziale
trattamento endoscopico. La scelta della strategia chirurgica si basa non solo sull'esperienza dell'operatore,
ma anche sulle condizioni cliniche del paziente e sul tipo di perforazione. In perforazioni di dimensioni
contenute, specialmente se associate ad un'adeguata pulizia intestinale, una sutura diretta pu essere
considerata un trattamento sicuro ed efficace a condizione che la perforazione sia avvenuta su mucosa
sana e non vi sia una patologia oncologica od infiammatoria sottostante per cui indicato un intervento di

189
tipo resettivo. Al contrario nei casi di ampie perforazioni con abbondante contaminazione fecale
peritoneale, multiple comorbidit o instabilit emodinamica, la resezione con confezionamento di una
colostomia temporanea l'intervento di scelta. Solitamente i casi che richiedono questo tipo di
trattamento sono quelli diagnosticati oltre le 24 ore (aumentato rischio di contaminazione peritoneale) o
associati ad un meccanismo perforativo di tipo meccanico/da trazione (perforazione di maggiori
dimensioni). Se le condizioni cliniche del paziente sono stabili e non sono presenti gravi comorbidit o una
contaminazione massiva del peritoneo, possibile eseguire in ununica seduta la resezione colica e
l'anastomosi.

Il trattamento di una perforazione conseguente ad una peritonite prevede invece interventi diversi a
seconda dello stadio della perforazione. I casi di perforazione con Hinchey I e II, richiedono
lospedalizzazione; il trattamento per questi casi prevede:
1. Digiuno;
2. Infusione ev di liquidi: si devono infondere non pi di 2 L di liquidi per non aumentare
eccessivamente il precarico; i liquidi che possono infondersi sono:
a. Cristalloidi: sono soluzioni elettrolitiche a basso peso osmolare;
b. Colloidi: sono macromolecole che trattengono il volume allinterno del circolo ematico;
c. Parentele: in caso di digiuno superiore ai 7 gg, indicata la nutrizione con soluzione parenterale
che assicura unalimentazione completa.
3. Terapia antibiotica:
a. METRONIDAZOLO (copre anaerobi e gram -, 500mg x 3/die) mai da solo, ma quasi
sempre associato con FLUOROCHINOLONI solitamente il CIPROXIN 400mg x 2/die, ottimo
per le patologie addominali e urinarie) oppure
b. METRONIDAZOLO associato a -LATTAMICI quali PENICILLINE Es. UNASYN
(AMINOPENICILLINA + SULBACTAM, da 1,5g x3 a 3g x 3) oppure CEFALOSPORINE:
CEFAZOLINA=CEFAMEZIN (II generazione), CEFTRIAXONE=ROCEFIN (IIIgenerazione).
4. Terapia gastroprotettiva: consigliata ma non obbligatoria; indicato il PAntorc 20-40 mg/die.
5. Terapia antinfiammatoria/antidolorifica: PERFALGAN (paracetamolo) 1g ev, a orario o al bisogno;

Per le perforazioni stage III e IV di Hinchey sempre indicato lintervento chirurgico che nella maggior parte
dei casi consiste in un intervento di resezione secondo Hartmann: lintervento prevede la resezione del
tratto di colon interessato dalla perforazione e il confezionamento di una colostomia temporanea sullansa
sigmoidea; infatti, la peritonite impedisce il confezionamento di una anastomosi colon-rettale; quindi
lintento della stomia quello di superare levento acuto per poter procedere successivamente (2-3 mesi)
ad una nuova colica e rimozione della colostomia.

Perforazione del retto


Le perforazioni del retto sono subdole in quanto possono essere considerate come perforazioni coperte.
Attualmente queste perforazioni sono in aumento poich generalmente rappresentano una conseguenza
grave dellintervento di Longo previsto come intervento conservativo nei casi di prolasso emorroidario:
questo intervento per mezzo di una cucitrice meccanica prevede lasportazione di un anello di tessuto
rettale sano superiormente al sito di formazione delle emorroidi. Questo porta da una parte ad un lifting
del retto per cui le emorroidi non prolassano dallorifizio anale e al contempo lasportazione dei vasi
sanguigni con lanello di tessuto sano riduce lapporto ematico a livello delle emorroidi: il risultato una
riduzione delle recidive molto elevata. Il rischio tuttavia di questo intervento innovativo la perforazione
del retto che si manifesta con febbre septica. La sintomatologia dolorosa invece scarsa essendo tuttavia
presente pneumomediastino ed enfisema sottocutaneo per la migrazione di gas attraverso i foglietti
peritoneali.
In questo caso la terapia di attesa mediante una nutrizione parenterale totale (dovrebbe essere fatta una
ileostomia protettiva ma non si fa mai); quando poi la perforazione si chiude generalmente si crea una

190
stenosi conseguente ai processi fibrotici riparativi che verr trattata successivamente con dilatazione
endoscopica.

191
Occlusione intestinale
(prof. Valabrega)

Per occlusione intestinale (o ileo) si intende larresto della progressione del contenuto intestinale (solido,
liquido e gassoso) e la sindrome clinica che ne consegue. Locclusione intestinale pu essere completa (ai
solidi e ai gas) o incompleta (solo ai solidi) ed in questo caso si parla di subocclusione intestinale. Inoltre,
pu essere semplice o con strozzamento quando compromessa la vascolarizzazione del viscere.

Epidemiologia
Locclusione intestinale conosciuta da molto tempo. Alla fine dell 800 solo pochi pazienti sopravvivevano
ad unocclusione. Diversi autori hanno sottolineato come progressivamente la mortalit globale per
occlusione intestinale sia andata progressivamente diminuendo nel corso di questo secolo e diversi studi
dimostrano che la mortalit per ostruzione intestinale ha raggiunto il 6-8 %. Questa riduzione la diretta
conseguenza dei progressi ottenuti nel corso del secolo in diversi campi, quali la migliore comprensione dei
meccanismi fisopatologici, il perefezionamento dellanestesia con conseguente riduzione del vomito e delle
polmoniti da inalazione (polmonite ad ingestis), lintroduzione delle tecniche di decompressione intestinale,
lantibiotico-terapia ed il supporto intensivologico.
Tuttavia, locclusione intestinale rappresenta ancora uno dei pi frequenti quadi clinici delle urgenze
chirurgiche e costituisce fino al 20% degli ingressi in un reparto di chirurgia.

Fisiopatologia
Lileo patologico in rapporto alla causa pu essere distinto in ileo funzionale (quando lileo segue una
condizione di paralisi della muscolatura dellintestino con blocco della peristalsi) ed in questi casi si parla di
ileo paralitico o dinamico, oppure laddove sia presente una causa meccanica, in conseguenza cio di un
ostacolo fisico al transito intestinale, si parla di ileo meccanico.

Lileo meccanico pu essere dovuto a :

Ostruzione: presenza di un ostacolo endoluminale (tumori vegetanti, corpi estranei, calcoli biliari,
fecalomi);
Stenosi: presenza di un processo infiltrante parietale (tumori, morbo di Crohn);
Compressione: presenza di una patologia extraluminale (tumori retroperitoneali, renali).
Angolatura: Formazione di angoli acuti lungo il decorso intestinale (aderenze viscero-viscerali e
viscero-parietali).
Strangolamento: Grave compromissione vascolare del tratto occluso (invaginazione, volvolo,
strozzamento da cingolo)

Lileo dinamico pu essere dovuto invece a:

Infiammazione del peritoneo: peritonite di qualsiasi origine;


Traumi delladdome: anche senza lesioni dirette dei visceri;
Interventi chirurgici: per effetto dei farmaci sedativi;
Farmaci: oppiacei, neuroplegici, miorilassanti;
Disionemie: ipopotassiemia, ipomagnesemia, iponatriemia.
Ileo meccanico avanzato

Locclusione intestinale assume diverse a seconda della sede e del livello anatomico del viscere. Si definisce
pertanto alta, locclusione situata prossimalmente al Treitz, intermedia, se riguarda il tenue (70%), bassa,
se interessa lintestino crasso (30%).

192
Nella occlusione intestinale, il contenuto intestinale bloccato stimola le onde peristaltiche, che sono
responsabili della comparsa del dolore addominale in quando la progressione ostruita; ma si generano
anche onde antiperistaltiche che conducono il cibo in direzione retrograda sino allo stomaco dove viene
espulso con il vomito. Questo meccanismo tanto pi efficace quanto pi alta locclusione, portando il
paziente ad una grave e precoce disidratazione con perdita di cloro, potassio e alcalosi metabolica; la
disidratazione aggravata dal sequestro di liquidi nel lume intestinale, sebbene la distensione delle anse sia
meno evidente per leffetto detentivo del vomito. Nellocclusione intestinale distale prevale invece la sola
disidratazione, mentre gli squilibri sono tardivi. In entrambi i casi tuttavia la distensione delle anse
causata dai gas prodotti dalla fermentazione della flora intestinale che aumenta notebolmente in seguito al
ristagno del liquido intestinale. Laumento della pressione idrostatica nel lume intestinale porta ad edema
della parete, apertura di shunt artero-venosi con riduzione della perfusione del viscere. La diminuzione
della perfusione della mucosa dovuta allipoperfusione unita alla pressone idrostatica stessa favoriscono la
traslocazione dei batteri nei vasi venosi e linfatici. La pressione idrostatica aumentata anche dalle
compressioni dovute alle ondate peristaltiche, che si succedono ad intervalli ravvicinati dipendenti dalla
sede dellocclusione.

A livello del colo, essendo questo segmento intestinale caratterizzato da un minore contenuto di liquidi e
da un abbondante contenuto gassoso, locclusione del colon non accompagnata da disturbi elettrolitici
precoci bens da importnte distensione addominale. Questo avviene perch il colon pu virtualmente
considerarsi un settore chiuso tra la valvola ileocecale a monte e il sito di occlusione (si parla di occlusione
ad ansa chiusa). Se invece la valvola diventa incompetente e si apre sotto la pressione dei gas (occlusione
ad ansa aperta). Locclusione ad ansa chiusa la pi frequente e pu portare alla rottura diastasica del
colon. Ci avviene in genere nel cieco per la legge di Laplace ed causata dal danno ischemico della mucosa
data dallelevata pressione endoluminale, che interessa progressivamente la sierosa, la muscolare e
successivamente tutti gli strati della parete del viscere. La perforazione diastasica completa una
complicanza gravissima di cui si gi discusso nel capitolo precedente.

Quadro clinico
Il quadro clinico di unocclusione intestinale dominato dalle seguenti caratteristiche:

Dolore addominale: il dolore addominale di un ileo meccanico semplice definito colico in quanto
si alteranano attacchi pi o meno ravvicinati di dolore associati a momenti di benessere clinico;
come noto questo dolore legato alla peristalsi. Quando la peristalsi cessa definitivamente,
arrendendosi allostacolato transito, il paziente si sente meglio, ma dal punto di vista clinico
questo indicativo del fatto che il quadro si e aggravato. Nellileo meccanico con strangolamento, a
causa della sofferenza vascolare, il dolore continuo con recrudescenze legate alla peristalsi.
Nellileo paralitico il dolore poco intenso e mal localizzabile; generalmente non colico essendo
causato dalla sola distensione delle anse intestinali e non allattivit peristaltica del viscere.
Chiusura dellalvo: descritto come un segno patognomonico, presente in tutte le occlusioni. La
chiusura pu essere totale (feci e gas) nel caso di un ileo paralitico, mentre pu essere anche
parziale nellileo meccanico. Puo essere essere presente una pseudo canalizzazione per
svuotamento del contenuto e dei secreti della porzione di intestino a valle dellostruzione.
Vomito: pu assumere caratteristiche diverse a seconda della localizzazione dellostruzione. Nelle
occlusioni alte, il vomito pi frequente e precoce e ha le caratteristiche di un vomito gastrico-
biliare. Nelle occlusioni basse pi raro e molto tardivo e assume le caratteristice di un vomito
fecaloide. N.B.: il vomito e tanto pi precoce quanto pi alta e la sede dellocclusione
Squilibrio idro-elettrolitico: come gi detto, limpedito transito e latonia parietale non permettono
al contenuto liquido normalmente secreto nel lume intestinale di venire fisiologicamente assorbito.
Liponatremia si manifesta con la cute secca, la lingua asciutta, ipotensione, oliguria e iperazotemia.
Lipokaliemia riduce ulteriormente la contrattilit muscolare intestinale e riduce la conduzione
193
nervosa; si manifesta con astenia, ottundimento, letargia, deficit di conduzione e contrattilit
cardiaca. Lipocloremia, tipica delle occlusioni alte associate a vomito gastrico, portano ad alcalosi
metabolica, ipocalcemia e infine tetania.
Distensione addominale: meno evidente nellocclusine del piccolo intestino, nellocclusione colica
pi evidente ed interessa i quadranti esterni delladdome; caratterizzata da iperfonesi plessica ed
in alcuni casi dispnea per compressione diaframmatica.

Iter diagnostico
Per un corretto orientamento diagnostico fondamentale lanamnesi, volta alla ricerca di interventi
chirurgici pregressi, lassunzione di farmaci, le patologie dismetaboliche e/o neurologich, pregresse
patologie dellapparato gastroenterico, neoplasie, traumi, difetti di fissazione e rotazione dellintestino. Si
procede quindi allesame obiettivo delladdome:

1. Ispezione: potremo osservare generalmente un addome disteso diffusamente (nellileo dinamico e


nelle fasi avanzate dellileo meccanico) o settorialmente (nelle prime fasi dellileo meccanico, in
relazione alla porzione dellintestino sovradisteso).
2. Palpazione: valuteremo la presenza di un addome teso, elastico e avremo la percezione tattile della
peristalsi, se ancora presente.
3. Percussione: sar netto il suono timpanico.
4. Auscultazione: si sentiranno intensi borborigmi e tibro metallico, nelle fasi precoci dellocclusione,
o silenzio addominale, nellileo dinamico e nelle fasi avanzata dellileo meccanico.

fondamentale procedere allesplorazione rettale per riscontrare la presenza di eventuali fecalomi,


frequente causa di occlusione intestinale nel paziente geriatrico allettato; lesplorazione negativa nelle
ostruzioni alte.

Gli esami di laboratorio evidenzieranno, in caso di occlusione del piccolo intestino (con vomito e sequestro
di liquidi intra-viscerali) aumento dellematocrito, aumento del peso specifico delle urine (disidratazione),
ipopotassiemia, ipocloremia e alcalosi metabolica nelle forme tardive. In caso di strangolamento dellansa si
ha leucocitosi (con febbre e tachicardia) e aumento degli indici di necrosi e infiammazione.

Nellocclusione intestinale, una grande valenza ha la diagnostica per immagini che ha il compito di
riconoscere la natura meccanica o paralitica dellileo, individuare la sede delleventuale ostruzione e la sua
causa; infine, limaginng ha un ruolo importante nellidentificare eventuali complicanze, come la presenza
di strangolamento del viscere coinvolto. Le principali metodiche diagnostiche sono lesame radiografico
diretto delladdome, lecografia e la Tc.
LRx diretta delladdome, eseguita in duplice proiezione postero-anteriore in ortostatismo ed antero-
posteriore in clinostatismo, mostra quadri differenti a seconda del tipo di ileo:

Ileo meccanico: distensione limitata alla porzione di intestino a monte dellostacolo e presenza di
livelli idro-aerei dovuti al ristagno del liquido sovrastato dal gas; a valle dellostacolo si osserva una
progressiva riduzione del contenuto di feci e gas in radiografie distanziate.
Ileo dinamico: distensione diffusa delle anse intestinali e assenza di livelli idroaerei.

Qualora le condizioni cliniche del paziente lo permettano, si procede con una diagnosi strumentale di
localizzazione, particolarmente utile al chirurgo.
Il ruolo della Tc con mezzo di contrasto quello di discriminare, al fine di un corretto inquadramento
terapeutico, un ileo meccanico semplice da unocclusione ad ansa chiusa, che risulta essere una condizione
di urgenza reale. Quando poi questultima complicata da ischemia intestinale con strangolamento
dellansa coinvolta, il valore aggiunto della TC rappresentato dalla capacit di tale metodica di valtuare la
compromissione ischemica del complesso ansa-meso. La TC in grado di definire il tipo di ileo attraverso

194
lidentificazione di una zona di transizione, intesa come la sede dellocclusione, con dilatazione delle anse a
monte e collabimento di quelle a valle, propria dellocclusione meccanica. Spesso la TC risulta preziosa nel
definire la causa dellostruzione. Laspetto a C o a U delle anse dilatate o la distribuzione radiale delle anse
dilatate verso il sito dellostruzione. Lispessimento sottomucoso con aspetto a bersaglio e la progressiva
riduzione dellenhancement contrasto grafico parietale delle anse coinvolte fino alla presa di pneumatosi
intramurale e la congestione delle strutture mesenteriali sono tutti elementi semeiologici a sostegno
dellevoluzione ischemica ed impongono al chirurgo una laparotomia durgenza.

Lecografia, oltre a poter chiarire definitivamente se si tratti di un ileo meccanico o paralitico, dimostrando
la presenza o meno della peristalsi intestinale, mostra la presenza di una cospicua quota di fluido tra le anse
inspessite e dilatate nei siti a monte in cui si formata unostruzione meccanica. Il ruolo dellecografia
stato fortemente ridimensionato per la dipendenza rispetto alla bravura delloperatore e per la cospicua
presenza di gas intestinale in caso di ostruzione.

In molti casi la diagnosi eziologica possibile solo al campo operatorio o talvolta possibile solo una
diagnosi di presunzione. Esulano da questo discorso i casi di ernia strozzata o di occlusione secondaria
allingestione di un corpo estraneo in cui la diagnosi risulta spesso evidente.
Let pu essere un fattore utile alla diagnosi eziologica. Nel neonato occluso andremo ad escludere
malformazioni congenite e lileo da meconio. Nellinfanzia porremo lattenzione allingestione di un corpo
estraneo, appendiciti acute e i diverticoli di Meckel o la stenosi pilorica. Nellet giovanile e adulta si deve
valutare la presenza di ernie e pregressi interventi chirurgici. Nellanziano aumenta il rischio di trovarsi
davanti alla presenza di una neoplasia occludente o di un fecaloma che talora pu raggiungere volumi
considerevoli e di consistenza calcifica.

Terapia
Lapproccio di un paziente con una sospetta occlusione acuta prevede, contemporaneamente alle
valutazioni diagnostiche precedentemente descritte, un monitoraggio coastante dei parametri di pressione
arteriosa, ECG, emocromo e diuresi oraria.

Si procede quindi ad una terapia di supporto che prevede:

1. Digiuno assoluto
2. Posizionamento di un sondino nasogastrico: importante per detendere lo stomaco lintestino; il
sondino permette inoltre di definire il tipo di occlusione perch se si trovano feci nello stomaco
indicativo di unocclusione bassa molto avanzata.
3. Apporto idroelettrolitico: si basa fondamentalmente sullinfusione di liquidi e cristallodi. Il
monitoraggio delle condizioni emodinamiche della diuresi sono di grande ausilio per definire il
grado di apporto.

Al completamento del primo approccio diagnostico-terapeutico si richieder la consulenza del chirurgo per
leventuale presa in carico del paziente e il proseguo delliter terapeutico.

Le aderenze rappresentano il 60% delle cause di ileo meccanico del piccolo intestino; le aderenze sono
tralci di tessuto fibrotico che si formano tra le anse e ne possono ostacolare il passaggio del materiale o, se
strangolano lansa, determinare sia ostacolo al passaggio, sia una compressione dei vasi e quindi ischemia.

195
Possono essere estese o singole. Si formano quando il
peritoneo viene maneggiato con un intervento o a seguito di
eventi infettivi-infiammatori, come le peritoniti. Nel
congresso del 2010 a Bologna delle societ internazionali di
chirurgia durgenza che sono state stilate linee guida delle
ostruzioni da aderenza che sono state poi rivisitate nel 2013.
Quando laderenza non causa di una sofferenza vascolare il
paziente pu essere sottoposto al ricovero in ambiente
chirurgico e al suddetto trattamento conservativo medico; in
alcuni casi si pu somministrare Gastrofin che agendo da
stimolo irritativo allinterno dellintestino pu facilitare la
progressione delle feci causa di ostruizione. La
somministrazione di gastrofin ci permette inoltre di valutare
la risoluzione del quadro clinico mediante lesecuzione di Rx dirette delladdome seriate. Luso del
Gastrografin sicuro e riduce il tempo di risoluzione di un episodio che non necessita di terapia chirurgica,
con livello di evidenza e grado di raccomandazione molto elevato. Il trattamento pu essere prolungato
fino a 72h, oltre le quali, in presenza di un output del sondino nasogastrico superiore a 500ml al giorno,
raccomandato lintervento chirurgico di disostruzione.
Nei casi in cui laderenza si rende responsabile di una sofferenza vascolare o nei casi in cui il trattamento
conservativo non sia stato sufficiente, si procede ad un intervento chirurgico. Negli anni scorsi, veniva
controindicata la via perch si pensava che le anse si gonfiassero in maniera eccessiva, ma attualmente si
sta cambiando idea. Ogni volta che si interviene chirurgicamente per le aderenze, il rimaneggiamento del
peritoneo crea le condizioni per cui queste si possano riformare. Quindi si pu risolvere il quadro acuto ma
ma non una sindrome aderenziale che si pu ripresentare nel tempo.
Le ernie strozzate rappresentano circa il 20% delle cause di occlusione intestinale e richiedono un
intervento chirurgico durgenza. Le ernie inguinali, femorali o crurali, si strozzano pi facilmente perch
hanno un colletto molto rigido. Nel laparocele, si unisce sia la possibilit di ernia che di briglia perch per
avere un laparocele deve esserci un pregresso intervento. Le ernie possono essere anche interne alla cavit
addominale. In questi casi si deve intervenire durgenza per risolvere lostruzione allargando o recidendo il
colletto dellernia. Questo intervento chirurgico gravato da un elevato tasso di fallimento per questo si
pone grande importanza alla prevenzione di questa complicanza.
Le neoplasie del tenue sono cause rarissime di occlusione intestinale; in questi casi si procede con un
intervento chirurgico di asportazione del tumore con conseguente risoluzione immediata dallocclusione. Al
contrario pi frequente la sindrome da carcinomatosi peritoneale come causa di ileo meccanico.
Il morbo di Crohn nella sua variante fibro-stenosante responsabile del 5% dei casi di occlusione
dellintestino tenue; pi frequente nel giovane adulto. In questi casi si procede ad un intervento chirurgico
durgenza per lasportazione del segmento intestinale occluso con confezionamento di unanastomosi.
Infine una causa di occlusione intestinale acuta del piccolo intestino lembolia mesenterica che causa
generalmente un ileo dinamico; una condizione molto grave che se non trattata precocemente pu
portare a perforazione intestianle.

A livello dellintestino colon-rettale, una causa importante di occlusione intestinale il cancro del colon.
Nel 57% dei casi questo si localizza a livello del retto. Nel 23% dei casi si localizza a livello del cieco
ascendente o a livello del cieco. Nel 25% dei casi occorre intervenire per una asportazione demergenza del
tumore a causa dellocclusione; questo intervento gravato da una mortalit post-operatoria del 20% e da
una sopravvivenza a 5 anni del solo 25%. In alcuni casi si pu tentare di convertire lurgenza in elezione
stabilizzando il paziente e correggendo lo squilibrio idroelettrolitico, riducendo la sovraelevazione
diagrammatica per un miglioramento della funzione respiratorio, trattando le comorbilit, operando un
accurato staging preoperatorio; lintervento di asportazione di un tumore del colon in elezione ha una
196
percentuale di mortalit di solo 5% e un tasso di sopravvivenza del 50% a 5 anni.
Nei pazienti con malattia avanzata o con gravi comorbilit (5%) non possibile eseguire un intervento di
chirurgia maggiore per risolvere il quadro occlusivo. In questi casi si ricorre ad un trattamento palliativo che
prevede lintroduzione di stent colon rettali mediante colonoscopia. In alcuni casi questo trattamento pu
rappresentare anche un bridge to surgey, in attesa quindi di un intervento di asportazione definitivo.

Il volvolo del colon rappresenta il 10-20% di tutte le occlusioni coliche. Si tratta di unostruzione causata
dalla torsione dellintestino oltre i 180 attorno al proprio asse mesenterico con conseguente ileo dinamico.
Questa condizione, pi frequente in India e Africa, riconosce come fattori di rischio la stipsi cronica,
problematiche psichiatriche, una dieta ricca di scorie e il prolungato allettamento. Il trattamento prevede
una decompressione endoscopica con Proctosigmoidoscopio rigido o flessibile inserito per via rettale. La
fuoriuscita di aria e feci indicativo di unefficacia delle decompressione. Il trattamento precoce riduce il
rischio di necrosi intestinale, ischemia colica, perforazione. Il rischio di recidiva pari al 60% per questo pu
eseguirsi in elezione, ma durante lo stesso ricovero, un intervento di resezione del segmento esposto alla
rotazione. Lintervento dipende dalla vitalit intestinale potendosi scegliere tra Resezione ed anastomosi o
intervento di Hartmann.
Infine, nel 10 % dei casi locclusione del colon causata da una diverticolite del sigma; in questi casi, dopo
la stabilizzazione della paziente, si procede alla asportazione del segmento colico interessato.

Per concludere, la valutazione del timing chirurgico anche in relazione alla grande esperienza che il
chirurgo durgenza deve aver maturato nel settore specialistico.

FOCUS -- Pseudoocclusione del colon (S. di Ogilvie)


La s. di Ogilvie si associa nel 50% dei casi ad altra malattia sistemica e nellaltro 50% dei casi a trauma,
assunzione di alcool o antidepressivi triciclici, o pregressi interventi chirurgici della pelvici. Leziologia da
ricercare in una compromissione temporanea dellinnervazione simpatica del plesso sacrale, prevalenza
dellinnervazione simpatica con conseguente ipomotilit ed atonia del viscere. Essa quindi assimilabile
alle occlusioni di tipo paralitico e come tale vanno trattate in assenza di complicanze. I pazienti affetti da
tale sindrome presentano addome disteso e sintomatologia dolorosa peristaltica, ma per lo pi trattabile, a
meno che non si sia sovrapposta una perforazione diastatica. Lalvo sempre chiuso alle feci, talvolta
canalizzato ai gas. Sintomatologia frequente data da nausea e vomito.
Se il diametro ciecale non supera i 10 cm il trattamento sar conservativo: infusione di liquidi, sng, sonda
rettale, trattamento delle patologie associate. La remissione si ha in genere in 3-6 giorni. Il paziente durante

197
tale periodo andr monitorizzato clinicamente e radiologicamente (Rx diretta addome ogni 12-24 ore); se il
diametro del cieco supera i 12 cm o si hanno segni di peritonismo si impone lintervento chirurgico,
consistente in una ciecostomia. Recentemente si diffusa la pratica della detensione endoscopica che pu
essere contemporaneamente diagnostica e terapeutica.

198
Traumi addominali
(prof. Valabrega)

Il trauma addominale una causa frequente di morbidit e mortalit rappresentando laddome la terza
regione pi frequentemente coinvolta da patologie traumatiche. La frequenza di lesioni che richiedono un
trattamento chirurgico si aggira attorno al 20%. Il paziente politraumatizzato spesso presenta lesioni
addominali associate ad altre quali quelle toraciche, scheletriche e/o craniche che ne aggravano la prognosi
e ne rendono pi difficile la diagnosi e la terapia.

Classificazione
I traumi addominali possono essere:

Aperti: quando abbiamo una ferita che attraversa tutti o solo alcuni degli strati della parete
addominale e che pu mette in comunicazione la cavit addominale con lesterno.
Chiusi o traumi contusivi: possono essere legati alla stessa cintura di sicurezza o allairbag o a lesioni
da contraccolpo.

I traumi addominali aperti possono essere inoltre distinti in:

Penetranti, quando attraversano tutti gli strati della parete addominale (cute, sottocute, piano
muscolo-aponeurotico, composto sia dalla parte fibrosa che non sanguina, sia dalla parte
muscolare che pu sanguinare, il rivestimento peritoneo parietale, che sanguina anche esso).
Parietali, quando non oltrepassano la parete addominale1.

I traumi addominali chiusi possono essere invece:

Parietali: rientrano in questo gruppo gli ematomi della parete addominale conseguenti a lesione dei
vasi epigastrici. E diventata una patologia molto frequente al pronto soccorso in quanto spesso
giungono pazienti anziani, scoagulati, per cui un qualsiasi trauma pu provocare un ematoma del
m.retto con lesione dei vasi epigastrici che sono meno. Si manifestano come tumefazioni pulsanti
sulla parete addominali che alla TC con mdc non mostrano potenziamento dopo somministrazione
del contrasto. In questi casi si cerca di avere un atteggiamento conservativo e attendista per la
naturale risoluzione dellematoma fino al momento in cui non si deve ricorrere alla chirurgia.
Viscerali: interessano i parenchimi (milza, fegato, reni, pancreas, mesi, utero, surreni, annessi) e/o
le strutture vascolari e/o gli organi cavi (gastroenterico, vie biliari esterne, vie urinarie, dotto
toracico).

Il meccanismo patogenetico alla base delle lesioni conseguenti ad un trauma chiuso la repentina
accelerazione o decelerazione che subiscono gli organi interni non solidali con le strutture rigide del corpo,
generalmente a seguito di incidenti stradali e sul lavoro. Non sono infrequenti le lesioni viscerali da trauma
chiuso iatrogeno, ovvero quelle che insorgono in corso di laparoscopia a causa di errori nel maneggiamento
degli strumenti operatori. Come conseguenza di questo trauma, gli organi parenchimatosi e vascolari
subiscono gravi lesioni che portano ad unemorragia retroperitoneale o emoperitoneo. Quando invece
vengono ad essere interessati solo gli organi cavi, la conseguenza una peritonite o un ematoma
retroperitoneale.

1
Dal punto di vista medico-legale, qualsiasi trauma in cui c una lesione da taglio, parietale o penetrante, bisogna
cerca di vedere se c o meno una connessione con linterno. Molto spesso i piani si sfalsano dopo che la lama o
loggetto penetrato e ci non permette di poter dire con certezza se il trauma sia penetrante o meno. Per poter
accertare questa differenza talvolta necessario eseguire una laparotomia o una laparoscopia esplorativa.
199
Penetranti
Traumi aperti
(Ferite)
Parietali

Traumi
addominali Parietali Ematomi della parete

Traumi chiusi
(Contusioni) Parenchimi e strutture vascolari
Viscerali
Organi cavi

Le due principali conseguenze di un trauma addominale sono la sindrome emorragica (o shock emorragico)
e la sindrome perforativa, di cui si parlato gi in precedenza. Bisogna per ricordare a tal proposito che un
trauma addominale con conseguente sindrome emorragica pu talvolta avere una sintomatologia modesta
e/o sfumata in caso di emorragie tardive. La sintomatologia molto legata allet e allo stato di salute del
paziente. Le lesioni prevalentemente emorragiche sono quelle degli organi parenchimatosi o delle strutture
portanti (raramente grossi vasi retroperitoneali o vasi parietali di organi cavi). Lemorragia deve essere
distinta in base allentit, alla sede e alle condizioni predisponenti ed aggravanti che possono incidere sulla
scelta terapeutica.
Si ricorda invece a proposito della sindrome perforativa che la causa della perforazione generalmente un
cedimento di aree ischemiche formatesi a seguito del trauma; inoltre, la sindrome perforativa conseguente
ad un trauma addominale pu dopo 12-24 ore portare aduna peritonite con shock settico che pu portarli
rapidamente allexitus.

Iter diagnostico
Prima di affrontare qualsiasi azione diagnostica, occorre sempre prima stabilizzare il paziente.
Successivamente occorre impostare un iter diagnostico finalizzato ad identificare gli organi lesionati a
seguito del trauma. La diagnosi talvolta pu essere agevole in presenza di sintomatologia eclatante che
porta rapidamente il paziente sul tavolo operatorio.
In altri casi bisogna ricorre a:

1. Ecografia: metodica di prima scelta per i noti vantaggi. Lecografia permette di diagnosticare
agevolmente una rottura di milza, di fegato, di rene; permette di individuare versamenti liberi
endoperitoneali di discreta entit potendone anche definire la natura. Lecografia si mostra utile
inoltre per il monitoraggio del paziente;
2. TC con mdc: questa tecnica mediante lutilizzo di mdc permette agevolamente di identificare una
lesione attiva, ovvero sanguinante per poter indirizzare medico radiologo sul sito in cui agire per
cercare e arrestare i sanguinamenti di minore entit. La TC permette inoltre di diagnosticare lesioni
parenchimatose, le raccolte liquide endoperitoneali, gli ematomi perirenali.
3. RX diretta addome e torace: ormai superata dalla TC, tuttavia ancora utile per identificare livelli
idroaerei, pneumoperitoneo, erniazione in torace di visceri addominali, le fratture vertebrali, costali
e di bacino.

Alcune metodiche hanno inoltre una funzione diagnostica e terapeutica:

200
4. Arteriografia: utile in caso di lesioni vascolari per la possibilit di eseguire embolizzazioni
emostatizzanti. Deve essere sempre preceduta da una TC che identifichi la localizzazione primitiva
del versamento;
5. Laparoscopia: le controindicazioni sono le pregresse laparotomie, le peritoniti, cardiopatie,
sospetto di ernia diaframmatica;
6. Laparotomia esplorativa: Quasi sempre curativa, talvolta pu essere anche diagnostica; utile in
quanto evita le sindromi in 2 tempi permettendo una completa esplorazione di tutte le strutture
addominali (spesso lesioni multiple). La laparotomia esplorativa deve essere ampia e completa.

Alcuni traumatismi necessitano di una particolare attenzione.

Traumi della milza


Il trauma splenico costituisce la lesione addominale pi frequente con conseguenze significative sul sistema
immunitario soprattutto in et pediatrica e adolescenziale.
I traumi della milza sono conseguente generalmente a traumi diretti dellemitorace inferiore sinistro o
dellipocondrio sinistro, spesso associati a fratture delle ultime coste che possono essere responsabili di
lacerazioni del viscere per mezzo dei monconi. Una rottura splenica pu essere anche iatrogena, ad
esempio a seguito di una toracentesi evacuativa eseguita erroneamente sul margine inferiore della costa (
si fa sul margine inferiore). La splenomegalia conseguente a leucemia, fibroconcestione, malaria,
mononucleosi, rappresenta una condizione predisponente o aggravante di queste lesioni.

I traumi della milza possono portare a lesioni diverse ognuna associata ad un livello di gravit espresso dal
grado, importante per le scelte terapeutiche:

Ematoma: si caratterizza per la disposizione sottocapsulare e/o intraparenchimale della


raccolta ematica; a seconda delle dimensioni dellematoma, si distinguono diversi gradi:
o Grado I: sottocapsulare e < 10% della superficie dellorgano
o Grado II: sottocapsulare (10-50% della superficie dellorgano) o intraparenchimale (< 5
cm di diametro);
o Grado III : sottocapsulare (> 50 % della superficie o in espansione) o intraparenchimale
(> 5 cm o in espansione) o rottura subcapsulare o ematoma parenchimale.

Lacerazione: si definisce come tale quando la lesione si approfonda nelle porzioni profonde del
parenchima; anche in questo caso si distinguono diversi gradi di lacerazione:
o Grado I: lesione della capsula splenica con profondit < 1 cm;
o Grado II: lesione capsulare con profondit della lesione compresa tra 1-3 cm che non
coinvolge i vasi trabecolari;
o Grado III: lesione capsulare di profondit > 3 cm o che coinvolge i vasi trabecolari;
o Grado IV: lesione che coinvolge i vasi segmentali o lari con conseguente
devascolarizzazione di una porzione di milza > 25%.

Lacerazione vascolare: si osserva completa distruzione della milza per devascolarizzazione


dellorgano a seguito della lesione dei vasi ilari. sempre una lesione di Grado V.

Caratteristica la rottura in 2 tempi della milza che si verifica quando, a seguido della formazione di un
ematoma parenchimale, questo si accresce progressivamente fino a determinare una distensione e
lacerazione capsulare. Questa si manifesta con una immediata precipitazione dello stato emodinamico del
paziente che in un primo momento era stabile per la ripresa dellemorragia.

201
La clinica pu presentare segni specifici, come la localizzazione del dolore allipocondrio sinistro irradiato
alla scapola sinistra.
A questo punto la definizione della diagnosi dipende dallemodinamica del paziente:

1. Paziente emodinamicamente stabile: si procede con le indagini diagnostiche ovvero ecografia FAST,
laparoscopia e TC. Queste tecniche ci permetteranno di definire il grado della lesione e decide
lattegiamento terapeutico:
a. Lesione splenica di grado 1-2: terapia conservativa1
b. Lesione splenica di grado 3-4-5: intervento chirurgico durgenza.

2. Paziente emodinamicamente instabile: si esegue un lavaggio peritoneale; se positivo si procede


allintervento chirurgico durgenza non essendoci spazio per un atteggiamento attendista; se
negativo si esegue unRX del bacino per valutare leventuale presenza di una frattura delle ossa del
bacino (notoriamente molto sanguinanti).

Il trattamento medico conservativo in caso di una lesione splenica prevede un monitoraggio clinico
intensivo, laboratoristico e strumentale. SI pu somministrare vitamina K per sostenere la produzione di
fattori della coagulazione ma solo in casi di carenza.
La terapia chirurgica di una lesione splenica (grado 3-4-5 o pz emodinamiamente instabile) prevede diverse
opzioni :

Splenorrafia: consiste nel posizionamento di punti di sutura sui punti in cui la milza lesionata.
Il parenchima splenico molto lasso quindi il posizionamento molto difficile.
Applicazione topica di agenti emostatici o colla di fibrina: molto pi efficace rispetto
allintervento precedente. Si utilizza Tachosil (Fibrinogeno + Trombina ) o TIssucol.
Splenectomia parziale
Splenectomia totale.
Protesi emostatiche: si applicano nei siti di rottura per favorire la cicatrizzazione.
Packing: consiste nel posizionare 3-4 garze attorno alla milza al fine di creare una compressione
sullorgano ed favorendo i processi emostatici.

Le complicanze di questi interventi sono un aumentato rischio infetti, un rischio tromboembolico, un


ematoma o pseudocisti splenica, la formazione di un ascesso perisplenico, la rottura in due tempi con
nuova emorragia.

Traumi del fegato


I traumi del fegato rappresentano la lesione pi complessa per gravit e decisione terapeutica, perch sono
responsabili di gravi emorragie.
Il trauma diretto del fegato si verifica quando si ha la compressione dellorgano tra le ultime coste e la
colonna, ma anche con lazione prodotta ad eventuali monconi costali. La decelarazione provoca la
lacerazione parenchimale tra la trazione sulla glissoniana dei legamenti sospensori e, nei casi in cui
coinvolto il distretto sovra-epatico cavale, si determinano lesioni a maggiore incidenza di mortalit.
Generalmente viene ad essere interessato lemifegato destro. Le condizioni predisponenti ai traumatismi
del fegato sono le epatomegalie in genere quindi epatiti e cirrosi.

Le lesioni che possono realizzarsi a seguito di questi traumi sono:

1
Criteri aggiuntivi per la terapia conservativa in caso di trauma splenico accertato: assenza di sanguinamento
intrasplenico, assenza di altre lesioni intraddominali necessitanti di intervento chirurgico, necessit di un numero di
trasfusioni < 2.
202
Contusione sottocapsulare: comporta generalmente la formazione di un ematoma
sottoglissoniano;
Contusione capsulo-parenchimale: comporta generalmente emoperitoneo.
Contusione parenchimale: comporta la genesi di aree necrotico-emorragiche nel punto di
contusione con associata o meno emobilia.

Anche le lesioni epatiche possono essere distinte in gradi diversi a seconda della gravit ma questa ha una
minore importanza ai fini del trattamento medico chirurgico:

La diagnosi clinica pu essere facilitata dalla presenza di segni parietali di trauma diretto con crepitio
costale associati a contrattura dei quadranti di destra con irradiazione alla scapola destra. Si osservano
inoltre i sintomi di una sindrome emorragica (da discreta a gravissima), i sintomi di un emo-coleperitoneo e
quelli di un emobilia traumatica (da asintomatica a grave anemia).
LEco-Fast permette il riconoscimento di versamenti nel Morrison e pariepatici con una visualizzazione
parziale dei segmenti laterali dove possono essere presenti aree di disomogeneit ecostrutturale rispetto al
parenchima circostante sano, caratterizzate da una maggiore componente iperecogena determinata dalla
precoce azione coagulativa. La TC con mdc ottiene una migliore visualizzazione in fase venosa con un
mappaggio delle lesioni, come aree di ridotto enhancement, a cui si pu associare il blush, come segno di
sanguinamento attivo.

In condizioni di stabilit emodinamica, anche per lesioni maggiori, possibile attuare una terapia medico
conservativa. Il monitoraggio clinico del paziente deve avvenire in ununit di terapia intensiva al fine di
poter intervenire immediatamente con un supporto emodinamico laddove le condizioni cliniche del
paziente dovessero precipitare. necessario monitorare con esami strumentali e laboratoristici seriati il
paziente per valutarne landamento.
Linstabilit emodinamica richiede invece un controllo immediato dellemorragia con un intervento
chirurgico. I criteri che rendono necessario il ricorso alla chirurgia sono PA < 100 mmHg, tachicardia > 120
bpm, PVC < 10 mmH2O. Gli interventi chirurgici che possono essere attuati in questi casi sono:
203
Packing periepatico: peremtte il controllo immediato dellemorragia. Pu essere eseguita con le
modalit dette a proposito della milza ma in questo caso pu essere preceduta dallocclusione
dellilo epatico con la manovra di Pringle per favorire larresto dellemorragia e linizio della
cicatrizzazione. Tuttavia la occlusione dellilo deve essere tenuta per massimo 10 minuti per evitare
necrosi epatica. Dopo aver controllato lemorragia e recuperata la riserva fisiologica del paziente si
procede alla chirurgia definitiva con una delle seguenti modalit.
Sutura emostatica: si applicano punti di sutura a U.
Resezioni epatiche: appare come scelta di necessit in caso di tessuto devitalizzato ma rispettando
attentamente le caratteristiche di drenaggio e perfusione dei territori epatici. . In presenza di un
coinvolgimento della via biliare occorre ricostruirla e drenarla allesterno con lausilio di un
drenaggio percutaneo.

Ogni tipo di trattamento ha un indicazione specifica a seconda della lesione ma la scelta definitiva posta
in base alle capacit e allesperienza dellequipe chirurgica che interviene.
Le complicanze di questi interventi sono le recidive emorragiche, lematoma sottocapsulare, lo pseudo
aneurisma della arteria epatica, una fistola arterovenosa, un bilioma, una fistola biliare, un coleperitoneo,
lemobilia, la necrosi epatocellulare e lascesso epatico.

Traumi del rene


I traumi renali si verificano di solito per lo schiacciamento dellorgano contro il piano rigido formato dalla
colonna vertebrale e le ultime coste ma anche per forze di stiramento, flessione e scoppio esercitate
sullorgano.
Le condizioni predisponenti nei confronti di questi traumi sono lidronefrosi, la pionefrosi, le cisti e/o
pseudocisti e la litiasi urinaria.
Le lesioni renali che possono conseguire ad un trauma sono (classificazione di Selli):

Ematomi sottocapsulari: si manifesta con incostante ematuria ma senza coaguli.


Lacerazione Parenchimale: ematuria senza coaguli;
Lacerazione parenchima e rottura capsula: ematoma perirenale ed ematuria senza coaguli
Lacerazione parenchima e cavit renali: ematuria con coaguli
Lacerazione parenchima, capsula e cavit renali: ematoma perirenale, ematuria con coaguli
Strappamento renale: ematoma perirenale, anemia gravissima

In un paziente traumatizzato Importante inserire un catetere vescicale per capire se c o meno ematuria,
perch questo richiede un immediato intervento chirurgico. In presenza di urina chiara necessario
esequire uno stick colorimetrico per valutare la presenza di sangue.
Allesame obiettivo possibile valutare la sede del dolore addominale, la presenza di ematoma lombare 1 o
la presenza di soluzioni di continuit.
Lecografia FAST pu visualizzare entrambi i reni e valutarne laumento di volume e la grossolana
modificazione strutturale di corticale e midollare.
La TC con mdc permette di osservare nelle diverse fasi, oltre che il parenchima renale, lanatomia della via
urinaria e della vescica, ricercando segni di blush e di spandimento di mdc extraluminale.

Nei pazienti stabili, la valutazione TC consente nella maggior parte dei casi di programmare con sicurezza
un trattamento medico conservativo che preveda un monitoraggio clinico e laboratoristico costante, o in
alcuni casi a rischio un monitoraggio in terapia intensiva. In alcuni casi necessario il posizionamento di un
catetere ureterale doppio J per evitare il ristagno di urina nel rene.
Il trattamento chirurgico nel paziente instabile prevede la possibilit di eseguire un tamponamento delle

1
Unemorragia conseguente ad un trauma renale sempre retroperitoneale ( a meno che non si lesioni larteria o la
vena renale); per questo lematoma si rende immediatamente evidente a livello lombare.
204
docce parietocoliche per determinare una compressione del rene contro il retroperitoneo. La nefrectomia
parziale o totale durgenza viene effettuata solo in caso di lesioni non controllabili per la loro gravit e per
uneccessiva perdita emorragica.

Traumi del pancreas


I traumi delladdome sono una condizione clinica a bassa incidenza (3-5% dei pz traumatizzati) ma molto
complessa per la comparsa tardiva di obiettivit e per lelevata incidenza di morbilit.
La contusione diretta delladdome superiore a elevata energia determina uno schiacciamento del
parenchima sulla colonna provocando, a seconda dellentit del trauma, gradi diversi di lesione fino alla
transezione parenchimale. Le lesioni pancreatiche hanno due peculiarit; la prima che la tensione
retroviscerale conseguente al trauma comporta la stimolazione del plesso celiaco con la possibile comparsa
di uno shock neurogeno. Inoltre, lo spandimento del succo pancreati e del sangue nello spazio
retroperitoneale comporta unimportante azione lesiva di queste sostanze per attivazione del tripsinogeno
e digestione dei tessuti.
In caso di trauma il corpo pancreatico ad essere principalmente interessato dalle lesioni. Si distinguono
diversi tipi di lesione a seguito di un trauma (Classificazione secondo Kinnard):

Contusione parenchimale: si associa alla presenza di edema intraparenchimale;


Lacerazione capsulo-parenchimale: si associa ad emorragia intraparenchimale ed
extraparenchimale;
Sezione completa: oltre allemorragia e allo spandimento dei succhi pancreatici pu determinare la
rottura dei vasi splenici.

La diagnosi precoce costituisce la miglire prevenzione delle complicanze, per cui lattenzione anche a segni
clinici minori, come ecchimosi in epi- e mesogastrio, pu essere di grande utilit. La rivalutazione clinica
dellobiettivit e il monitoraggio degli enzimi (amilasi e lipasi) possono costituire un ulteriore indizio,
seppure di ridotta specificit. LE indagini di primo livello sono poco significative, mentre la TC con mdc
costituisce lesame pi sensibile nella definizione dellenhancement paranchimale, la cui modificazione pu
essere sottostimata nela fase precoce o evidenziarsi tardivamente.
Il sospetto coinvolgimento delle vie escretrici richiede una CPRE o Colangio- RM, mentre nel paziente
stabilizzato la RMN pu consentire una buona valutazione sia del danno paranchimale che dei dotti.

Nel paziente instabile, un intervento chirurgico durgenza pu essere eseguito con intento conservativo,
ovvero emostatizzando eventuali vasi sanguinanti e rimuovendo i tessuti necrotici, oppure eseguendo una
pancreasectomia sinistra (corpocaudale) associata eventualmente a splenectomia
Nel paziente stabile possibile attuare un trattamento medico conservativo che prevede il riequilibrio
idroelettrolitico ed acido-base, un antibiotico terapia, una terapia specifica per la pressione arteriosa e
drenaggi percutanei. Il trattamento conservativo viene sempre privilegiato finch possibile in quanto la
chirurgia pancreatica non molto agevole.

Le complicanze dei traumi pancreatici possono essere precoci, come la pancreatite acuta, la fistola
pancreatica e gli ascessi pancreatici, o tardive, come le pseudocisti pancreatiche.

205
Emoperitoneo
(prof. Bellotti)

Per emoperitoneo si intende la presenza di sangue libero in peritoneo espressione di una emorragia interna
a partire da lesioni interessati i visceri contenuti nel cavo addominali. Lemoperitoneo rappresenta una
condizione di urgenza clinica poich necessita un immediato approccio diagnostico e terapeutico.

Classificazione
L'emoperitoneo si pu distinguere, a seconda delle cause che lo promuovono, in:

Emoperitoneo post traumatico: una frequente complicanza dei traumi addominali chiusi (70-80%
dei traumi addominali); come stato descritto nel capitolo precedente, gli organi maggiormente
interessati a seguito di un trauma addominale sono la milza, il fegato, il rene e le vie urinarie, il
mesentere (per traumi molto violenti) e lintestino tenue. Si tratta quindi di organi altamente
vascolarizzati che, a seguito del trauma, possono generare unabbondante raccolta di sangue nella
cavit peritoneale. Il peritoneo, essendo un organi retroperitoneale, comporta generamente un
accumulo di sangue nello spazio retroperitonale; la raccolta intraperitoneale si verifica nei casi in
cui venga ad essere lesionato il peduncolo vascolare o quando si rompe la capsula renale.
Emoperitoneo post chirurgico: dovuto generalmente a lesioni vascolari misconosciute che
insorgono durante un intervento chirurgico. Bisogna considerare che lemoperitoneo post-
chirurgico aggravato dallo stato scoagulativo in cui si trovano i pazienti a seguito di un intervento
chirurgico poich interferisce in modo importante con la possibilit che si formi unemostasi
efficace e istantanea. Qualunque siano le modalit con cui si genera, lemoperitoneo post
chirurgico aggrava in modo importante il decorso post-operatorio dei pazienti chirurgici.
Emoperitoneo iatrogeno: si intende un emoperitoneo che viene prodotto durante una procedura
invasiva che pu essere diagnostica o terapeutica ad esempio una biopsia eco/tac guidata sul
fegato o altri organi parenchimatosi.
Emoperitoneo spontaneo: le cause di emoperitoneo spontaneo si distinguono in ginecologiche e
non ginecologiche, essendo quelle ginecologiche le pi frequenti di emoperitoneo spontaneo; le
cause gravidiche possono essere ulteriormente distinte in:
o Emoperitoneo da cause gravidiche (76%): si tratta generalmente di una gravidanza
ectopica o della rottura dellutero;
o Emoperitoneo da cause non gravidiche: comprendono la rottura delle cisti ovariche,
rottura di neoplasie utero-ovariche, endometriosi, deiescenze follicolari (es. corpo lutueo
emorragico).
Le patologie non ginecologiche resonsabili di un emoperitoneo sono la rottura di un AAA, la rottura
delle arterie viscerali e lemoperitoneo spontaneo da difetti della coagulazione.

Iter diagnostico
Liter diagnostico in questo caso indirizzato innanzitutto a fare diagnosi di emoperitoneo e
successivamente indagare la causa dellemoperitoneo.

L'anamnesi non sempre facile perch il paziente pu essere agitato o addirittura incosciente; laddove
possibile, bisogna indagare la sintomatologia precedente alla comparsa dellemoperitoneo essendo alcuni
sintomi particolarmente suggestivi della causa dellemoperitoneo (Es. dolore trafittivo nella rottura di un
aneurisma dellaorta).

L'esame obiettivo varia in relazione al momento in cui ci si approccia al paziente; non ci sono reperti

206
obiettivi patognomonici dell'emoperitoneo. Se non si ancora sviluppata una peritonite importante, il
paziente avr generalmente un decubito indifferente ma apparir comunque agitato per il trauma
addominale subito (responsabile dellemoperitoneo) o per la comparsa improvvisa di una sensazione di
malessere generale. Tuttavia, poich il sangue ha un effetto fortemente irritativo sul periotoneo, si genera
molto rapidamente e in modo molto aggressivo una infiammazione del peritoneo; in questa fase laddome
appare disteso ed, inoltre, si potr valutare la presenza di un ileo dinamico conseguente alla peritonite, che
interessa una buona parte dell'intestino e si manifesta con una peristalsi torbida o addirittura assente
allauscultazione. Alla distensione addominale si accompagna una contrattura diffusa di difesa involontaria
alla palpazione superficiale e ancor pi profonda (segno di Blumberg positivo) a causa dellinfiammazione
delle terminazioni nervose del peritoneo parietale; questo reperto ci aiuta a distinguere un paziente con
emoperitoneo da un paziente occluso, in quanto nell'occlusione manca questa contrattura di difesa. Sono
importanti poi l'esplorazione rettale, e vaginale nelle donne, perch permettono di valutare il Douglas e i
fornici vaginali; laddove si dovesse valutare la presenza di un vivo dolore alla palpazione del cavo del
Douglas, questo sarebbe un segno indiretto indicativo di un emoperitoneo molto abbondante che ha
portato alla raccolta ematica di sangue in questa cavit declivi che si verifica solo per emorragie interne
importanti. Infatti, al contrario di quanto si potrebbe pensare, essendo questo il punto pi declive, non
detto che qualsiasi emorragia interna si raccolga nel cavo del Douglas; lo abbiamo visto negli ascessi e nelle
raccolte peritoneali, dove i liquidi in cavit peritoneale tendono ad essere aspirati verso lalto per lazione
contrattile del muscolo diaframmatico. Per cui quando il sangue si raccoglie nel Douglas vuol dire che se n'
accumulato tanto, perch queste sono le ultime parti che si riempiono.
Questo il quadro obiettivo che generalmente si riscontra in un paziente con emoperitoneo ma non
sempre clinicamente si possono valutare tutti questi reperti.

Gli esami strumentali di cui ci si pu avvalere per fare diagnosi di emoperitoneo sono:
1. RX diretta addome: non sicuramente l'esame pi indicativo in caso di emoperitoneo per pu
mettere in evidenza alcune lesioni di organi radiopachi che secondariamente possano aver
comportato emoperitoneo (es. si osserva beneuna frattura costale che ci pu far sospettare la
rottura di milza o di fegato)
2. Ecografia FAST e TC: viene privilegiata una o laltra a seconda della disponibilit della struttura
ospedaliera; sono mezzi diagnostici molto validi in quanto mettono in evidenza le rotture
parenchimatose e le raccolte di sangue, potendo stabilire la quantit del versamento emorragico.
L'ecografia-FAST un esame che pu essere di pertinenza anche dei medici di pronto soccorso, non
soltanto dei radiologi; in questi casi si valutano i punti della cavit peritoneale dove il sangue si
raccoglie nel caso in cui ci sia un'emorragia endoperitoneale ovvero lo spazio di Morrison (spazio
epatorenale),il seno costofrenico sinistro, il cavo di Douglas; si valuta anche il peritoneo per
valutare se uneventuale raccolta ematica pericardica possa tamponare il cuore. Se il sangue fosse
solo perisplenico o periepatico si potrebbe stimare un sanguinamento intorno ai 500 ml, se fosse in
tutte e due o tra le anse intestinali saremmo intorno ai 500 ml/ 1 L di sangue, mentre quando
presente nel Douglas allora il paziente sta perdendo pi di 1 L di sangue.
3. Arteriografia: ci consente di bloccare il sanguinamento con un'embolizzazione, quindi questo uno
degli esami pi qui si basa il trattamento conservativo. Necessita tuttavia di una TC per poter
indirizzare il radiologo interventista sul sito in cui cercare il sanguinamento.
4. Lavaggio Peritoneale Diagnostico: rappresenta unopzione diagnostica di secondo livello; le
indicazioni per eseguirla sono nel sospetto di un emoperitoneo in paziente con dolore addominale
inspiegabile e non definito dagli esami precedenti, ipotensione inspiegabile, fratture delle ultime
coste, paraplegia/tetraplegia, alterazioni dello stato di coscienza. qualora non si riesca a definire
con gli esami precedenti la natura del peritonismo. Le controindicazioni sono la gravidanza, la
presenza di cicatrici da pregressi interventi chirurgici, lobesit e la cirrosi avanzata. . Consiste di
fatto in una paracentesi esplorativa in fossa iliaca dx finalizzata a valutare le caratteristiche del
liquido peritoneale drenato; quando emorragico si fa diagnosi di emoperitoneo ma numerosi sono i
falsi negativi. Alcune caratteristiche del liquido peritoneale possono indirizzare la diagnosi

207
eziologica di questa emorragia interna. Non tutte le strutture ospedaliere permettono di eseguire
un lavaggio peritoneale diagnostico.
5. Laparoscopia/laparotomia esplorativa: uno strumento diagnostico ma soprattutto terapeutico,
permettendo una visione diretta dell'entit del sanguinamento per poter agire terapeuticamente
con una emostasi chirurgica.

Nella scelta dellesame diagnostico da eseguire in un paziente con un sospetto emoperitoneo, bisogna
sempre per tenere conto delle condizioni del paziente e delle disponibilit strumentali della struttura
ospedaliera. Nel paziente instabile le procedure pi rapide per fare una valutazione immediata sono
lecografia FAST e il lavaggio peritoneale diagnostico; talvolta dopo leco-FAST si ricorre direttamente alla
laparoscopia/laparotomia esplorativa.

Trattamento
La gestione di un paziente con emoperitoneo prevede:

1. Fase 1: riconoscimento dello shock ed individuazione della causa dellemorragia;


2. Fase 2: arresto dellemorragia
3. Fase 3: trattamento specifico.

Per quanto riguarda la 3 fase, non sempre lintervento chirurgico la scelta migliore in questi pazienti. Si
tratta infatti di pazienti ipotesi e instabili che potrebbero mal tollerare un intervento chirurgico in anestesia
totale. Nel paziente emodinamicamente stabile o quando non c un peritonismo importante o quando
abbiamo una buona qualit/attendibilit delle immagini TC o quando abbiamo la possibilit di monitorare il
paziente possibilmente in terepia intensiva e di portarlo eventualmente in sala durgenza e/o in assenza di
altre lesioni addominali che non richiedano un intervento chirurgico, si pu optare per un trattamento
conservativo intensivo in attesa di una risoluzione spontanea dellemorragia.

208
Patologie acute della colecisti e delle vie biliari
(prof. Valabrega)

Le patologie acute della colecisti e delle vie biliari rientrano nel gruppo delle patologie che pi
frequentemente sono causa di addome acuto, insieme allappendicite e alla diverticolite. Sono patologie
che necessitano di unattenta diagnosi e terapia in quanto le complicanze, seppur molto rare, rendono
grande incertezza sul trattamento successivo di questi pazienti.

Il 90% della patologia delle vie biliari rappresentato dalla calcolosi della colecisti che porta con se
colecistiti acute, colangiti e calcolosi colecisto-coledocica.

Colelitiasi
La patogenesi della calcolosi biliare multifattoriale. I calcoli si formano nella colecisti a partire da nuclei di
accrescimento a loro volta originati dalla precipitazione in abbondanza di cristalli di colesterolo monoidrato
nella bile colecistica; questo si verifica per la concomitanza di tre eventi:

1. Eccessiva saturazione in colesterolo della bile allinterno della colecisti: questa condizione si verifica
a sua volta per la secrezione di bile da parte del fegato con eccessiva saturazione del colesterolo
(eccesso di colesterolo o riduzione della secrezione di acidi biliari) nonch per il ridotto
riassorbimento del colesterolo da parte dellepitelio colecistico;
2. Eccessiva concentrazione di mucina nella bile colecistica;
3. Ridotta concentrazione di proteine inibenti la precipitazione dei cristalli di colesterolo (IgA, ApoAI);
4. Ridotta contrattilita colecistica: si verifica per eccessivo accumulo di colesterolo nelle cellule
muscolari della parete.

[Di per s la formazione dei calcoli asintomatica; la condizione di sintomaticit avviene per lirritazione
della parete della colecisti o per lostruzione delle vie biliari (vedi dopo). Tuttavia, ci che la patogenesi
evidenzia che il momento patologico della colecistite o della coledocolitiasi precedente alla
manifestazione acuta, ovvero rappresentato dalleccessiva saturazione in colesterolo o dalla ridotta
concentrazione di proteine inibenti ecc.; questi sono i momenti in cui ha maggiore valenza una strategia
terapeutica.]

In questo modo si formano diversi tipi di calcoli per caratteristiche di composizione e caratteristiche
ecografiche:

Calcoli puri di colesterolo: hanno un contenuto di colesterolo, in peso secco, maggiore del 75 %;
sono sempre radiotrasparenti e si formano quasi sempre nella colecisti.
Calcoli misti di colesterolo: hanno un contenuto di colesterolo, in peso secco, compreso tra il 25 %
ed il 75 %; contengono colesterolo, bilirubina e calcio, sono quasi sempre radiotrasparenti e si
formano quasi sempre nella colecisti.
Calcoli pigmentari neri: hanno un contenuto di colesterolo, in peso secco, inferiore al 10 %, mentre
sono costituiti principalmente di bilirubinato, carbonato e fosfato di calcio; possono essere sia
radiotrasparenti (40 %) che radioopachi (60 %) e si formano quasi sempre nella colecisti.
Calcoli pigmentari marroni: hanno un contenuto di colesterolo, in peso secco, inferiore al 25 %,
mentre sono costituiti principalmente di bilirubinato e palmitato di calcio; sono generalmente
radiotrasparenti e si formano generalmente nelle vie biliari al di fuori della colecisti.

La maggior parte (75 %) dei calcoli biliari , nei paesi occidentali, del tipo colesterolo misto. Una minoranza
sono pigmentari (15 %) e di colesterolo puro (10 %).
La sabbia biliare, invece, costituita da Sali di calcio, cristalli di colesterolo e mucina; pu rappresentare

209
uno stadio precoce della formazione dei calcoli che nel 18% dei casi scompare, nel 14% dei casi esita in
calcoli e nel 19% dei casi provoca una colecistite alitiasica. Allesame ecografico viene rappresentata come
echi di bassa ampiezza senza attenuazione posteriore e stratificati per gravit nella porzione pi declive
della colecisti.

Dal punto di vista epidemiologico, la prevalenza della calcolosi aumenta progressivamente con let e,
nellinsieme, in Italia il 10% degli uomini ed il 20% delle donne ha i calcoli o gi stato colecistectomizzato.
Ogni anno in Italia 4 - 6 persone ogni 1000 formano i calcoli e circa 2 ogni 1000 sono sottoposte a
colecistectomia.
I fattori di rischio associati alla colelitiasi sono:

Eta
Sesso femminile (in particolare in eta premenopausale)
Familiarita
Numero di gravidanze,
Obesita (BMI>28)
Contraccettivi orali
Dieta prettamente animale
Ipertrigliceridemia (fattore di rischio incerto)
Ipocolesterolemia (basse HDL)
Diabete
Alcuni farmaci ipocolesterolemizzanti (fibrati)
Diete dimagranti, basso contenuto di fibre, alto consumo di carboidrati.
Fattori iatrogeni: interventi sul compartimento sovravesocolico o alcune terapie (es.
somatostatina) possono ridurre la capacit contrattile della colecisti.

Talvolta si tende a riassumere i fattori di rischio della colelitiasi con le 5 F: female fatty fertility funny
familiarity.

La maggior parte dei soggetti con colelitiasi (7590%) sono asintomatici cio non hanno mai avuto sintomi
specifici della colelitiasi. La storia naturale della colelitiasi mostra come ogni anno il 2,9% dei soggetti con
calcoli della colecisti inizialmente asintomatici sviluppino una colica biliare che rappresenta lunica
manifestazione davvero specifica della colelitiasi. La dispepsia, la flatulenza, le eruttazioni, il gonfiore, la
nausea e il vomito non sono segni specifici di questa condizione, ma devono far sospettare la colelitiasi solo
quando si siano escluse le altre cause.
La probabilit che lo stesso soggetto asintomatico sviluppi una complicanza (colecistite, pancreatite, etc)
dello 0.3 % allanno. I soggetti gi sintomatici hanno una probabilit di sviluppare una complicanza dell1%
allanno. Infine, lincidenza annua di cancro della colecisti , nei calcolotici, dello 0,015 - 0,02%. In Italia ogni
anno muoiono per cancro della colecisti circa 500 persone.

La colica biliare, causata dalla presenza di calcoli nel dotto cistico che ostacolano il passaggio della bile, si
manifesta con forte dolore di intensit rapidamente crescente (una volta raggiunto rapidamente il massimo
dolore rimane stabile) in ipocondrio destro o epigastrio, con irradiazione posteriore o alla spalla destra.
La colica pu essere accompagnata da nausea e vomito; dura pi di mezzora e fino a 3-6 ore.
Generalmente non si accompagna a febbre n agli altri segni di infezione (leucocitosi, innalzamento PCR e
neutrofila, importante per la ddf con la colecistite). I sintomi sono in genere ricorrenti con intervalli anche
di anni tra un episodio e laltro ma assolutamente non sempre.

210
Nella calcolosi della colecisti lesame diagnostico di primo livello lecografia addominale che, in caso di
calcoli radiopachi, ha un grande potenziale diagnostico. Tra gli esami diagnostici di secondo livello abbiamo:

Colecistografia: ormai in disuso. In passato si poteva fare in due modi: con le uova marcate con
isotopi radioattivi e si guardava, durante la scintigrafia, il sistema di scarico della colecisti, o con
sistemi contrastografici, attraverso lassorbimento del mezzo di contrasto nel circolo entero-
epatico, lo scarico in colecisti e leventuale sua contrazione ed immissione di nuovo nel tubo
digerente.
Colangio-RM: ha un unico limite, ovvero calcoli del coledoco impattati in papilla hanno un 5% di
possibilit di non essere riconosciuti (per voi a quel punto vedete il pi delle volte una dilatazione
della via biliare e i pazienti passeranno a CPRE). Ha il vantaggio di mostrare lanatomia del dotto
cistico.

Gli esami di terzo livello sono la CPRE (ha una valenza per lo pi terapeutica), la colangiografia
transepatica1 e lecoendoscopia2. In urgenza (colica biliare), la TC lesame delezione perch permette di
valutare il grado di infiammazione della colecisti.

Per quanto riguarda la terapia della colelitiasi, i MMG prescrivono generalmente una terapia medica con
Acido ursodesossicolico (13-15 mg/Kg/die per almeno 6 mesi, nome commerciale Deursil o Ursilon ) in
pazienti asintomatici. Lacido urosdesossicolico possiede parziali propriet solventi nei confronti dei calcoli
biliari di colesterolo. Secondo alcuni studi il successo della terapia medica del 50%, ma secondo il
professore non serve a niente. Il tasso di recidiva del 10 %. In un paziente asintomatico, una terapia
conservativa prevede sicuramente modifiche della dieta e una dieta priva di uova e derivati delle uova che
fanno contrarre la colecisti e aumentano il rischio di coledocolitiasi.
La terapia chirurgica si fa solo nei pazienti sintomatici. Le indicazioni alla colecistectomia nei pazienti con
colelitiasi asintomatiche sono molto dibattute; infatti il rischio per questi pazienti di sviluppare una
complicanza nellordine del 2-3 %, quindi operare preventivamente il 100% dei pazienti asintomatici per
evitare un rischio molto basso contraddice le caratteristiche di un intervento preventivo; bisogna inoltre
considerare le possibili complicanze di questo intervento. Attualmente le indicazioni accettate per eseguire
un intervento di colecistectomia asintomatica sono (il professore non daccordo ad eseguire lintervento
in alcune delle seguenti indicate con asterisco):

Cistifellea calcifica (a porcellana)


Residenza in unarea geografica ad alta prevalenza di tumore della cistifellea associata a calcolosi
biliare*
Presenza di calcoli di dimensioni superiori a 3 cm*
Colelitiasi asontimatica associata a coledocolitiasi
Condizioni emolitiche croniche
Pazienti con un pregresso trapianto di cuore (il professore pienamente daccordo con questa
indicazione in quanto la colecisti pu rappresentare unimportante fonte di infezione per questi
pazienti).

Indicazioni relative allintervento chirurgico sono:

Difetti di svuotamento
Aspettativa di vita maggiore di 30 aa

1
La colangiografia transepatica trova indicazione quando impossibile incannulare la via biliare ad esempio per
anatomia alterata (es diverticolo duodenale) o nei gastroresecati (B-II e Roux en Y).
2
Lecoendoscopia molto poco diffusa nel territorio e ha il limite di una grossa curva di apprendimento.
211
Colecistectomia incidentale: in quei pazienti in cui si esegue un intervento per unaltra causa e
hanno gi un calcolo in colecisti indicato asportare la colecisti per eliminare di avere una colica
biliare nel post-operatorio e per evitare di sottoporre il paziente ad un altro intervento.
Pazienti trapiantati di pancreas o rene.

Anche la colica, manifestazione sintomatica di una colelitiasi, di per s non unindicazione al trattamento
chirurgico n al ricovero in ambiente chirurgico; tuttavia un campanello dallarme in quanto multipli
episodi di colica biliare possono mascherare una colecistite acuta vera e propria oppure indicare una
condizione dinfiammazione subclinica che, nel tempo, pu determinare delle trasformazioni neoplastiche
della colecisti. Quindi in caso di una colica biliare, se il paziente compliante, si tende ad attuare un
trattamento conservativo che consiste in una dieta priva di uova e derivati. Nei pazienti che manifestano
una colica biliare e che sono a rischio, sia per condizione clinica che per scarsa compliance, bisogna stare
pi attenti perch pu evolvere in colecistite acuta, quindi si agisce dal punto di vista chirurgico. La terapia
chirurgica consiste nella colecistectomia che pu attuarsi per via laparotomica o laparoscopica.
Lo standard terapeutico per la colecistectomia lapproccio laparoscopico ma la colecistectomia
tradizionale laparotomica mantiene ancora indicazioni particolari, per esempio in caso di grave peritonite
che abbia creato aderenze peritoneali o di estesa neoplasia della colecisti. Qualora insorgano difficolt
tecniche o condizioni di scarsa sicurezza per il paziente, si pu passare dall'intervento laparoscopico a
quello tradizionale mediante conversione (5 25 % dei casi). Una ragione comune per la conversione
linabilit di riconoscere chiaramente lanatomia biliare. I dati dimostrano unimportante riduzione del tasso
di mortalit nei pazienti che si sottopongono allintervento di colecistectomia laparoscopica rispetto ai
pazienti che si sottopongono alla chirurgia open (8.6-16 per la laparoscopia contro 66-76 per la laparotomia
ogni 10000) ma li stessi dati hanno dimostrato un tasso di rischio maggiore di lesione iatrogena della via
biliare comune. Tale rischio talmente frequente che si tende a sostenere tra i chirurghi che il maggiore
goal della colecistectomia laparoscopica non quello di rimuovere la colecisti bens quello di evitare lesioni
della via biliare.
Il razionale biologico della colecistectomia che la colecisti non solo lorgano in cui si raccolgono i calcoli
ma anche lorgano in cui questi si formano perch lorgano malato, quindi il metodo migliore di
prevenzione delle recidive quello di eliminare lorigine di questa patologia.
Secondo le linee guida, il timing dellintervento di colecistectomia immediatamente successivo a quello di
asportazione del calcolo che ostruisce la via biliare. Il trattamento della calcolosi della via biliare si pu
eseguire mediante una CPRE, una colangioscopia percutanea (nei pazienti in cui non si riesce ad affrontare
la via biliare per via retrograda) o una litrotrissia extracorporea (solo in caso di rottura del cestello di
Dormia durante CPRE per far s che il calcolo si rompa ed esca insieme al cestello).
In caso di coledocolitiasi associata, possibile applicare una tecnica chirurgica che consiste nelleffettuare,
nella medesima seduta operatoria, la colecistectomia laparoscopica, colangiografia intra-operatoria,
colangio-pancreatografia retrograda endoscopica (CRPE), eventuale papillosfinterotomia endoscopica e
bonifica della via biliare principale; questa tecnica prende il nome di rendez-vous endoscopico e ha ridotto a
tre giorni il periodo di degenza ospedaliera per questo intervento.

Le complicanze della colelitiasi sono:

Colecistite acuta
Perforazione della colecisti: un esito della gangrena della colecisti quando non ascessualizza nel
fegato ma si rompe la colecisti nel versante opposto rispetto a letto epatico. Si ha il coleperitoneo
che unindicazione assoluta alla laparotomia esplorativa e al lavaggio, drenaggio e colecistectomia
Pancreatite acuta: per migrazione di calcoli e/o cristalli di colesterolo nella via biliare principale
Colestasi extraepatica:
o Migrazione di calcoli nella via biliare principale (coledocolitiasi)

212
o Sindrome di Mirizzi: una sindrome che simula la stasi biliare. Si verifica per compressione
ab estrinseco della via biliare dovuta al decubito di un calcolo infundibolare sul coledoco.
Non facile da diagnosticare nemmeno con la colangio-RM perch si creano immagini di
sovrapposizione. una sindrome molto difficile da trattare chirurgicamente per la difficolt
di distinguere il dotto cistico dilatato dalla via biliare con il rischio di importanti lesioni alla
via biliare.

Colecistite acuta
Linfiammazione della colecisti si verifica quando un calcolo incuneato nel dotto cistico (presente in pi del
96 % dei casi) determina una riduzione dellassorbimento dei liquidi endoluminali ed un danno ischemico
per la compressione dei vasi arteriosi. La mucosa della colecisti libera quindi fosfolipasi che trasforma la
lecitina in lisolecitina. La lisolecitina e larricchimento della bile in acidi biliari deidrossilati (pi lipofili)
danneggiano la mucosa. Infine, la stasi biliare favorisce la proliferazione dei batteri (Escherichia coli,
Klebsiella, Streptococchi,) normalmente presenti nella bile che, a loro volta, producono fosfolipasi, formano
lisolecitina e danneggiano la mucosa.

Dal punto di vista clinico, la colecistite acuta si manifesta con i seguenti sintomii e segni:

Dolore localizzato in ipocondrio destro e/o epigastrio spesso trasmesso posteriormente verso la
spalla destra. In genere il dolore pi prolungato e severo rispetto alla semplice colica biliare e pu
riflettersi anche a livello della spalla destra. Il dolore raggiunge il picco dopo un tempo variabile da
un quarto dora ad unora per poi mantenersi costante
Nausea
Difesa addominale
Massa palpabile in ipocondrio destro
Manovra di Murphy positiva: interruzione antalgica di una inspirazione profonda quando si
comprime a livello del punto cistico (ipocondrio destro). un segno indiretto di irritazione del
peritoneo parietale anteriore per infiammazione della colecisti.
Febbre (importante per la ddf. con una semplice colica biliare).
Vomito
Le indagini biochimiche in corso di colecistite acuta mostrano leucocitosi neutrofila, modesto aumento
degli indici di citolisi epatica1 (transaminasi) e di colestasi (gamma-GT Fosfatasi alcalina), aumento della VES
e della PCR. Lecografia della colecisti e delle vie biliari mostra un aumento delle dimensioni della cistifellea,
lispessimento delle pareti (segno di edema infiammatorio della parete dellorgano), la presenza di gas nelle
pareti della colecisti (segno di infezione da anaerobi), la presenza di calcoli nel lume, spesso incarcerati a
livello del dotto cistico, e/o la coesistenza di materiale corpuscolato nel lume della colecisti.

Le evoluzioni possibili della colecistite possono essere la regressione dellinfiammazione e della


sintomatologia o il perdurare dellinfiammazione e della sintomatologia. Un avanzamento
dellinfiammazione pu comportare uninfiammazione pericolecistica oppure lidrope della colecisti
evidente con una distensione delle pareti. Dopo lidrope levoluzione possibile nellempiema della
colecisti che si verifica quando la bile si infetta. Levoluzione finale di questo quadro la gangrena della
colecisti, che una condizione che pu portare alla sepsi (il passaggio della batteriemia dalla colecisti al
fegato, peraltro, quasi immediato) fino allexitus. Altre possibili complicanze di una colecistite acuta sono
la colecistite colecisto-coledocica, la pancreatite acuta, la perforazione della colecisti oppure lileo
meccanico (sindrome di Bouveret o ileo biliare).
Il trattamento della colecistite acuta la colecistectomia. Il timing della colecistectomia in un paziente con
colecistite acuta molto dibattuto. In particolare, ci su cui si discute molto il timing in cui un chirurgo

1
La citolisi , il pi delle volte, una ripercussione dello stato infiammatorio sul fegato che, quindi, libera gli enzimi
presenti negli epatociti per distruzione flogistica del tessuto epatico pericolecistico.
213
deve intervenire in caso di colecistite acuta. La colecistite acuta sebbene rappresenti una condizione
durgenza pu trarre vantaggio di una terapia medica nel tentativo di risolvere o ridurre di gravit del
quadro clinico, permettendo cos al paziente di operarsi in una condizione di quiescenza. Da qui nasce la
diatriba tra il trattamento precoce e il trattamento differito della colecistite acuta.
Si definisce precoce quando, in caso di colecistite acuta, lintervento chirurgico viene eseguito tra le 72 ore
e 7 gg dalla comparsa dei sintomi. Si definisce differito il trattamento attuato entro 6 settimane dalla
comparsa dei sintomi.
Una metanalisi della Cochrane Library 1 riguardo il timing dellintervento chirurgico in corso di colecistite
acuta ha mostrato che trattando precocemente (quindi entro 7 gg ) il paziente non vi sono differenze
statisticamente significative in termini di mortalit e/o danno delle vie biliari e/o altre complicanze serie
(questo prendetelo con le pinze perch ci sono grossi problemi di bias) e/o qualit della vita (anche qui ci
sono grossi problemi di bias) e/o conversione e tempo operatorio (parametri presenti in quasi tutte le
casistiche chirurgiche) rispetto al trattamento differito. Lunica differenza che la Cochrane individuava come
differenza statisticamente significativa la degenza complessiva del paziente in ospedale: un paziente che
viene trattato precocemente viene dimesso generalmente in circa 30 ore perch generalmente non
sviluppa le sequele di una colecistite acuta. Inoltre, il paziente a cui viene fatta una colecistectomia differita
ha un costo molto maggiore ma i risultati da un punto di vista chirurgico corrispondono a quelli di un
intervento precoce. La scelta nel timing dellintervento affidata per la maggior parte al chirurgo; al
santAndrea alcune equipe eseguono un trattamento precoce altre un trattamento differito. Rimandare
lintervento di solito diventa necessario per i pazienti affetti da disturbi che lo rendono rischioso (ad
esempio se affetti da disturbi cardiaci, polmonari o renali). La tecnica chirurgica gold standard quella
laparoscopica.
In caso di un intervento differito, tuttavia necessario impostare una terapia medica che potr risolvere
lacuzie in circa la met dei pazienti, ponendoli a digiuno, posizionando un sondino
nasogastrico, somministrando liquidi, elettroliti, analgesici, antispastici ed antibiotici ad ampio spettro (es.
cefalosporine, ampicillina).

Coledocolitiasi
La coledocolitiasi causa una colestasi a causa di una ostruzione pi o meno completa a livello dei dotti biliari
extraepatici. Altre cause di colestasi extraepatica sono le parassitosi, le stenosi neoplastiche e le
compressioni ab estrinseco. Questa condizione comporta la ritenzione sistemica di tutti i soluti biliari e
laumento della bilirubina coniugata in circolo con la comparsa di ittero o subittero.

Non sempre la coledoco litiasi comporta la comparsa di colestasi; talvolta, i calcoli dalla via biliare principale
possono passare spontaneamente nel duodeno oppure possono rimanere silenti per lunghi periodi di
tempo nelle vie biliari potendo comportare la comparsa di colangite (da batteri gram negativi), pancreatite
acuta biliare o cirrosi biliare secondaria. Per il rischio di queste complicanze, i calcoli della via biliare
principale debbono essere sempre rimossi qualora vengano riscontrati a questo livello.

Il quadro clinico di una coledocolitiasi comprende i seguenti segni e sintomi:

Dolore epigastrico colico o continuo con dolorabilita alla palpazione superficiale

Prurito

Ittero a iperbilirubinemia diretta

Feci acoliche e urine ipercromiche

Puo coesistere Pancreatite

1
La Cochrane Library un consorzio che, da 10 anni o pi, raccoglie lavori scientifici delle diverse patologie ed esegue
una metanalisi delle diverse metanalisi, cio raccoglie tutti i lavori scientifici li mette a confronto e determina un
punto della situazione in letteratura.
214
Cirrosi Biliare Secondaria: se il quadro clinico perdura.

Nel sospetto di una coledocolitiasi, liter diagnostico prevede in primis unecografia addominale al fine di:
(1) confermare la presenza di unostruzione mediante ricercare della dilatazione delle vie biliari intra- o
extra-epatiche, (2) determinare il livello dellostruzione a livello dellalbero biliare, (3) ricercare la causa
specifica dellostruzione, (4) programmare esami complementari.
Lecografia pu essere eseguita anche direttamente al pronto soccorso1. In corso di ecografia addominale, il
riscontro di piccoli calcoli o sabbia biliare a livello della colecisti indirizza fortemente la diagnosi verso la
colelitiasi/coledocolitiasi quale causa dellittero, anche laddove non si riesca a osservare direttamente il
calcolo nelle vie biliari ; vi infatti la probabilit che il calcolo non sia visibile per il meteorismo intestinale
oppure che un calcolo, inizialmente responsabile dellostruzione, venga successivamente espulso in
duodeno tale da non risultare visibile al momento dellecografia. L'ecografia nel 90% dei casi permette di
fare diagnosi e di riconoscere il livello di occlusione della via biliare. Se lecografia non consente di
riconoscere la natura dellostacolo si pu procedere con una colangiopancroatografia a risonanza
magnetica non invasiva (MRCP), che risulta maggiormente sensibile per la visualizzazione di litiasi del
coledoco o di patologie pancreatiche. 2 Quando viene confermata la presenza di calcoli nella via biliare
principale, dovr essere eseguita una colangiopacreatografia retrograda per endoscopia (ERCP) o per via
percutanea transepatica (PTC) per la diagnosi definitiva ( e contestuale terapia). Lecoendoscopia utile
invece nella diagnosi differenziale con i carcinomi della via biliare per la possibilit di effettuare prelievi
citologici e biopsie. La colangiografia intraoperatoria rappresenta invece un tempo chirurgico fisso in corso
di colecistectomia per valutare lo stato delle vie biliari.

Per quanto riguarda il trattamento, la strategia terapeutica differente a seconda della presenza o meno
della colecisti in situ ( la sua assenza indicativa di un precedente intervento di colecistectomia). Nei
pazienti con litiasi colecisto-coledocica possibile rimuovere i calcoli dal coledoco ed eseguire un
papillosfinterotomia in corso di ERCP. Laddove indicato si esegue un intervento di colecistectomia per
ridurrei il rischio di recidiva. Nel caso in cui non sia possibile eseguire una CPRE o non sia fattibile (per
esempio per un pregresso intervento di derivazione), pu essere indicato un drenaggio transepatico (PTC) o
un intervento chirurgico laparotomico. Nel caso di un paziente gi colecistectomizzato, l'approccio
terapeutico immediatamente quello endoscopico per la rimozione del calcolo. Nel caso di un paziente
gastroresecato, la CPRE deve essere eseguita mediante una strumentazione adatta e da un chirurgo
esperto.

Colangite acuta
La colangite acuta levenienza pi grave legata alla stasi biliare in caso di colelitiasi. La gravit legata al
fatto che il circolo epatico essendo un circolo sinusoidale comporta subito la diffusione di bile infetta tra via
biliare, che extravascolare, e il circolo vascolare nei sinusoidi epatici. Ci comporta una condizione settica
gravissima che, quando sostenuta dai germi anaerobi, ha prognosi peggiore.
La gran parte dei pazienti che sviluppano una colangite acuta ha avuto sintomi premonitori. Nell 85 % dei
casi sono presenti calcoli della via biliare.

Clinicamente, il 70% dei casi di colangite acuta si manifestano con la cosiddetta triade di Charcot: colica
biliare + ittero + febbre. Quando a questa triade si associa lalterazione dello stato di coscienza e la
presenza di shock settico si parla della pentade di Reynold.

1
Alcuni centri preferiscono la TC alla ultrasonografia come prima metodica di immagine; tuttavia, sconsigliata anche
perch l'ecografia FAST permette rapidamente di vedere se c' una dilatazione della via biliare o se c' ascite o se c'
liquido nella tasca di Morrison (segni di cirrosi).
2
In varie altre strutture si fa subito la CPRE, se possibile anche la CPRE operativa, senza passare attraverso la RM,
perch non tutte le strutture sono dotate di RM.
215
Il trattamento definitivo per la colangite consiste nella soluzione dell'ostruzione biliare sottostante. In
attesa dellintervento chirurgico necessario impostare una terapia di supporto che prevede non solo
unappropriata terapia antibiotica ma anche un adeguato drenaggio biliare. Il drenaggio biliare percutaneo
consiste in un tubicino lungo circa 40 centimetri, che attraverso una piccola incisione nella cute viene
introdotto dal fianco fino ad arrivare al fegato e da qui nelle vie biliari. La raccolta della bile pu avvenire
esternamente in un sacchetto di raccolta appositamente predisposto perch il tubicino che viene utilizzato
per il drenaggio biliare dotato, nel tratto che viene inserito nelle vie biliari, di numerosi forellini che
consentono di raccogliere la bile e di scaricarla in un sacchetto di raccolta.

Neoplasie maligne della colecisti


Le neoplasie della colecisti rappresentano una delle possibili cause di colestasi che necessita di diagnosi
differenziale con le altre condizioni patologie per un appropriato trattamento.
Lincidenza di questi tumori di 2.5 casi/100.000 abitanti e comporta circa 6550 morti ogni anno.
Rappresentano il 3-4% di tutti i tumori maligni del tratto gastroenterico. prevalente nellanziano e pi
frequente nel sesso femminile. Il maggiore fattore di rischio la flogosi cronica per la presenza di calcoli,
colecisti a porcellana, colangite sclerosante primitiva e infezioni. Circa l80-90% dei pazienti affetti da
neoplasia maligna portatore di colelitiasi. Ladenocarcinoma rappresenta listotipo prevalente.

Dal punto di vista clinico, le neoplasie maligne della colecisti sono indistinguibili da quella della colelitiasi. A
volte presente una sintomatologia aspecifica che include neusea, dolore addominale, calo ponderale,
anoressia, prurito e febbre. Nell80% dei casi presente dolore in ipocondrio destro. Nelle fasi tardive
presente ittero, prurito e colestasi per ostruzione dei dotti biliari e/o per infiltrazione del tessuto epatico
circostante.

Lecografia rappresenta generalmente la procedura di I livello ma risulta poco utile per la stazione
intraparenchimale. indicato quindi eseguire un TC spirale, per una stadiazione della neolpasia, e una
colangio-RMN per la visualizzazione completa dellalbero biliare e del parenchima epatico.

La terapia delle neoplasie maligne variabile a seconda dello stadio:

Stadio I, il tumore limitato alla tonaca mucosa della colecisti. Nella maggior dei casi rappresenta
un rilievo occasionale allesame istologico della colecisti asportata per i calcoli. In questi casi la
semplice colecistectomia considerata un intervento curativo (non bisogna, quindi, rioperare il
paziente per eseguire un intervento pi radicale). Se la presenza della lesione nota prima
dell'intervento consigliabile eseguire anche l'asportazione dei linfonodi del peduncolo epatico. La
prognosi eccellente con una sopravvivenza a 5 anni del 90-100%, a seconda delle casistiche.
Stadio II, il tumore si estende alla muscolaris mucosae fino alla tonaca sierosa, senza infiltrazione
del parenchima epatico. La terapia consiste nella colecistectomia radicale, con resezione del letto
colecistico per un tratto di circa 2 cm di parenchima epatico circostante e linfoadenectomia estesa
del peduncolo epatico fino al tripode celiaco (lincidenza di metastasi a questi linfonodi di circa il
30-50%).
Se la diagnosi reperto occasionale dopo colecistectomia laparoscopica per calcoli, necessario
radicalizzare la procedura con un secondo intervento chirurgico. Anche in questi casi la prognosi
soddisfacente, con sopravvivenze a 5 anni che vanno dal 55% all80%.
Stadio III, il tumore si estende oltre la tonaca sierosa ed infiltra il parenchima epatico circostante
per un tratto inferiore ai 2 cm. In questi casi lintervento curativo consiste nella resezione del V
segmento del fegato, della porzione anteriore del IV (IVa secondo la classificazione giapponese)
segmento, e di parte del VI (VIa) segmento, associato all'asportazione estesa dei linfonodi del
peduncolo epatico fino al tripode celiaco. La sopravvivenza a 5 anni varia notevolmente a seconda
delle casistiche, dal 5% fino al 50% (a seconda dello stato dei linfonodi) dopo 5 anni dall'intervento.

216
Stadio IV, in questi casi il tumore infiltra il parenchima epatico per un tratto superiore ai 2 cm.
Lintervento radicale prevede unepatectomia maggiore, di solito unepatectomia destra allargata
alla porzione anteriore IV segmento (IVa). Per ridurre il rischio di insufficienza epatica
postoperatoria, opportuno effettuare lemobolizzazione preventiva del ramo destro della Porta al
fine di indurre lipertrofia compensatoria del lobo residuo.

Colangiocarcinoma
I tumori della via biliare rappresentano un gruppo eterogeneo di neoplasie maligne primitive che possono
emergere in qualsiasi tratto dell'albero biliare (intra- o extraepatico) a eccezione della colecisti e
dell'ampolla epato-pancreatica; vengono indicati generalmente con il termine di colangiocarcinoma.
Il colangiocarcinoma origina dall'epitelio di rivestimento e/o dalle ghiandole peribiliari dell'albero biliare
intra- ed extraepatico. La distinzione tra intraepatico ed estraepatico dipende dal punto di origine dei dotti
biliari di secondo ordine. Il colangiocarcinoma extraepatico sottoclassificato in perilare ( o tumore di
Klatskin) e distale; in questo caso, il punto di distinzione rappresentato dall'inserzione del dotto cistico nel
dotto biliare. Il tumore di Klatskin diviso in quattro tipi secondo la classificazione di Bismuth:

Questa classificazione associa ad ogni classe una diversa difficolt di gestione della neoplasia; infatti, pi
alto il tumore (classe III-IV di Bismuth) maggiore l'impegno e la difficolt di gestione sia chirurgica che
farmacologica.

Sulla base dei dati di incidenza, il colangiocarcinoma considerata una neoplasia rara; ha unincidenza di 1-
7:100.000/anno. I 2/3 dei colangiocarcinomi si diagnostica fra la V e la VII decade di vita con leggera
predominanza nel sesso maschile. Il tumore di Klatskin (periilare) costituisce il 60-80% di tutte le forme.

Per quanto riguarda i fattori di rischio per questo tumore, questi sono:
1. colangite sclerosante primitiva: il 30% dei pazienti con CSP ha colangiocarcinoma (autopsie)
2. Retto Colite ulcerosa
3. Nitrosammine introdotte con la dieta
4. Infestazione da Clonorchis sinensis
5. Cisti coledociche
6. Calcolosi intraepatica e coledocolitiasi
7. Fibrosi epatica congenita
8. Farmaci: estroprogetinici orali, isoniazide,metildopa

Per quanto riguarda la patogenesi, il colangiocarcinoma emerge in un contesto d'infiammazione cronica.

217
La presentazione clinica del colangiocarcinoma influenzata dalla sua localizzazione anatomica. In generale,
mentre la forma extraepatica si manifesta nel 74% dei casi con ittero indolente (o ittero nudo) talvolta
associato a perdita di peso e colangite, per la forma intraepatica solo il 28% dei pazienti presenta ittero
silente; il dolore all'ipocondrio destro/epigastrio e i sintomi sistemici (perdita di peso, faticabilit, vomito,
nausea, diarrea e malessere generale) sono i pi frequenti sintomi di esordio del colangiocarcinoma
intraepatico, anche se questo frequentemente diagnosticato incidentalmente in assenza di sintomi.
Il dato di laboratorio pi frequente rappresentato dall'iperbilirubinemia, prevalentemente diretta,
accompagnata all'aumento degli indici di colestasi (fosfatasi alcalina e -GT) che possono assumere
andamento rapidamente ingravescente. Gli esami di laboratorio talvolta possono mostrare un aumento
dell' amilasi e della lipasi, indicativi di una condizione di sofferenza pancreatica conseguente all'ostruzione
della via biliare. Un innalzamento dei bianchi invece indicativo di un quadro infettivo, probabilmente una
colangite.

Per quanto riguarda invece il colanciocarcinoma extraepatico, l'iter-diagnostico inizia in genere con il
sospetto clinico, biochimico e/o ecografico di ostruzione delle vie biliari. In questa situazione, l'esame da
eseguire la RMN addome con contrasto insieme alla colangiopancreatografia-RMN. L'accuratezza di
RMN+MRCP per la presenza e la sede della stenosi quasi assoluta, mentre l'accurateza minore per
discriminare la natura benigna o maligna della stenosi. La diagnosi definitiva si pu ottenere in corso di
ERCP mediante l'esecuzione di citologia biliare, brushing e/o biopsie endoscopiche. L'analisi delle anomalie
cromosomiche nella citologia o nel brushing, e in particolare, la polisomia, evidenziabile mediante metodica
FISH, ha dimostrato una pi alta resa diagnostica. La diagnosi definitiva quando la massa perilare
ipervascolare associata a stenosi biliare, coinvolgimento vascolare e ad atrofia del lobo epatico
interessato con ipertrofia di quello risparmiato.
Non esistono marcatori sierici o biliari accurati n per la diagnosi di colangiocarcinoma n per lo screenging
sulla popolazione; il pi usato recentemente il dosaggio del GICA nel siero ma, sensibilit e specificit
sono scarse, dato che questo marcatore aumenta anche in corso di colestasi e colangite da cause non
neoplastiche.
La PET ha un ruolo pi rilevante nella stadiazione che nella diagnostica del colangiocarcinoma; la
stadiazione fondamentale nella valutazione pre-chirurgica e si basa sulla valutazione dell'estensione
locale della malattia, del coinvolgimento vascolare e della presenza di metastasi linfonodali in altri organi.
La stadiazione riconosce uno stadio zero caratterizzato da carcinoma in situ e quattro stadi a prognosi
progressivamente ingravescente dal primo stadio ( con sopravvivenza media di circa 50 mesi) al quarto
stadio (sopravvivenza media di 13 mesi).

L'unico trattamento efficace la resezione chirurgica radicale che, tuttavia, applicabile solo in circa il 40%
dei pazienti. Infatti, nella maggior parte dei pazienti il colangiocarcinoma diagnosticato in uno stadio
avanzato di malattia, quando a causa dell'estensione locale e/o a distanza l'intervento curativo precluso.
Per i colangiocarcinomi perilari, la resezione locale destinata solo ai piccolo tumori localizzati nella parete
del dotto biliare e ai Bismuth tipo I a crescita intaduttale. Per le altre forse si procede con una resezione
epatica maggiore con lobectomia del caudato o approcci chirurgici ancora pi aggressivi. Nei pazienti con
colangiocarcinoma perilare non resecabile ma di dimensioni inferiori ai 3 cm si procede con un protocollo
terapeutico che prevede il trattamento combinato con radioterapia esterna, brachiterapia, chemioterapia e
alla fine una stadiazione laparotomica.
I pazienti che non sono candidati alla chirurgia radicale traggono beneficio, in termini di riduzione della
colestasi e di miglioramento della qualit di vita, dal trattamento palliativo delle stenosi biliari, attraverso il
posizionamento di stent biliari. Gli stent metallici auto-espandibili sono maggiormente utilizzati in quanto
permangono pervi pi a lungo. Un'alternativa recente proposta per il trattamento palliativo delle stenosi
biliari la terapia fotodinamica, nella quale un agente fotosensibile viene somministrato per via
endovenosa; in seguito si accumula nella massa tumorale e viene attivato localmente da una fotne
luminosa introdotta attraverso ERCP.

218
Ittero di competenza chirurgica
(prof. Valabrega)

Per ittero si intende lo sviluppo di una colorazione giallastra delle sclere e successivamente anche delle
mucose e della cute, causata dallaumento della concentrazione plasmatica di bilirubina 1. Quando littero
riconoscibile soltanto a livello delle sclere e della mucosa sottolinguale si parla di sub-ittero e generalmente
i livelli di bilirubina nel sangue sono compresi tra 1,5 e 2,5 mg/dl; quando i valori di bilirubinemia superano i
2,5 mg/dl, littero chiaramente evidente anche a livello della mucose e della cute, per cui si parla di ittero
franco.
Poich diverse sono le cause responsabili, littero pu essere espressione non solo di malattia epatica ma
anche di condizioni morbose extraepatiche che possono determinare un aumento della formazione di
bilirubina. La classificazione patogenetica dellittero comprende:

Ittero pre-epatico o emolitico: causato dallaumentata produzione di bilirubina indiretta per


emocateresi extramidollare come nel caso delle anemie emolitiche;
Ittero epatocellulare: causato da un danno tossico o infettivo degli epatociti, che provoca difetto di
captazione o di escrezione della bilirubina, come nelle epatiti infettive o tossiche;
Ittero ostruttivo: origina da un ostacolo al deflusso della bile lungo le vie biliari con un aumento
della pressione a monte e rigurgito nel sangue di bilirubina coniugata e di sali biliari in circolo.

Littero di interesse chirurgico quello ostruttivo mentre gli altri due tipi di ittero sono di interesse clinico
ed epatologico.

Ittero ostruttivo
Le cause di ostruzione biliare sono molteplici e comprendono diverse patologie che possono avere
unorigine intrinseca alla struttura biliare oppure una estrinseca ( compressione ab extrinseco). Per ognuna
di queste due categorie poi possibile poi distinguere una natura benigna o maligna della causa:

Cause benigne
o Coledocolitiasi (o litiasi della via biliare principale)
o Stenosi post-chirurgiche delle vie biliari: percentuale non irrilevante di cause di ittero ostruttivo,
possono verificarsi anche a seguito di una colecistectomia, sia aperta che laparoscopica.
o Pancreatite acuta e cronica: possono determinare, per compressione estrinseca, una ostruzione
parziale o relativa della via biliare.
o Colangite sclerosante primitiva: non frequente.
o Cirrosi biliare
o Sindrome di Mirizzi
o Infestazioni parassitarie delle vie biliari: ascaridiasi.
Cause maligne
o Cancro pancreatico
o Colangio-carcinoma (o cancro della via biliare)
o Ampulloma ( o cancro dell'ampolla di Vater)
o Cancro della parete duodenale: molto raro.
o Cancro gastrico: per infiltrazione diretta o per compressione estrinseca.
o Epatoma

1
La particolare affinit della bilirubina per lelastina, componente delle fibre elastiche largamente presenti nella sclera
ma anche nella cute, spiega la pi precoce impregnazione delle sclere rispetto alla cute.
219
o Metastasi epatiche: perch possono provocare, nel fegato, una compressione sui rami
principali.

La colelitiasi e il cancro della regione cefalo-pancreatica rappresentano complessivamente la causa di circa


il 40% dei casi di ittero ostruttivo.

Il quadro clinico dellittero comprende, oltre alla colorazione gialla pi o meno intensa della cute e delle
mucose, la presenza talvolta di lesioni da grattamento causate dal prurito intensa che questi pazienti
manifestano a causa dellaccumulo di agenti pruritogeni non meglio identificati a livello dei tessuti.

Dopo aver confermato la presenza di ittero ( bisogna guardare bocca, palmo delle mani e sclere alla luce
solare), lalgoritmo diagnostico delle iperbilirubinemie prevede innanzitutto di distinguere tra
iperbilirubinemia diretta o indiretta mediante il dosaggio della bilirubina frazionata; alcuni reperti
caratteristici che possono orientare la diagnosi in attesa dei risultati di laboratorio:

o Urine ipocromiche e feci acoliche sono suggestive di iperbilirubinemia indiretta;


o Urine ipercromiche e feci acoliche, associati talvolta a segni o sintomi di una sindrome colestatica,
sono suggestivi di una iperbilirubinemia diretta.

Se si conferma un aumento della bilirubinemia indiretta, littero di interesse medico internista; mentre il
paziente con una bilirubinemia diretta di interesse chirurgico.

Occorre a questo punto impostare un iter diagnostico che permetta di distinguere un ittero ostruttivo di
natura epatica o post-epatica mediante unaccurata anamnesi ed esame obiettivo e poi con lesecuzione di
test di laboratorio e strumentali.
Allanamnesi necessario indagare la presenza/assenza di sintomi e di fattori di rischio per patologie
apatiche, quali la potenziale esposizione ai virus dellepatite mediante comportamenti a rischio, pregresse
trasfusioni di emoderivati, labuso di alcol, lingestione di alimenti potenzialmente contaminati da
epatotossine (frutti di mare) nonch una diagnosi gi nota di cirrosi/epatopatia cronica; questi dati
orientano verso una causa epatica. La presenza di dolore addominale con o senza febbre, il dato di un
pregresso intervento chirurgico delle vie biliari e let avanzata devono invece indirizzare verso
unostruzione biliare. Un esordio lento e insidioso, magari associato a calo di peso, tipicamente senza
dolore (painless jaundice) pu indicare la presenza di una neoplasia pancreatica, mentre uninsorgenza
brusca, magari accompagnata da dolore, suggerisce la presenza di una litiasi biliare complicata o meno da
colangite. Una menzione particolare va riservata agli agenti iatrogeni, che devono sempre essere ricercati
nellanamnesi: numerosi farmaci, tra cui sedativi, chemioterapici e antibiotici, nonch gli ormoni sessuali
(estrogeni e testosterone), e anche prodotti di erboristeria possono determinare la comparsa di colestasi.
In genere la loro sospensione sufficiente a garantire un rapido miglioramento fino alla risoluzione della
patologia.
Allesame obiettivo, bisogna prestare attenzione ad alcuni elementi che possono indirizzare la diagnosi:
Febbre: pu indicare uninfezione/infiammazione delle vie biliari; febbre e dolore (conseguenza di
una colangite ascendente, che pu essere determinata dal reflusso di materiale enterico nella via
biliare) pu essere anche la conseguenza di una possibile ERCP con papillotomia endoscopica.
Dolore addominale: localizzato in ipocondrio dx/epigastrio, specie se irradiato dorsalmente e alla
scapola dx, associato a segno di Murphy positivo, suggerisce la presenza di colelitiasi; un dolore
addominale a sbarra irradiato posteriormente indirizza invece verso una patologia pancreatica;
Massa addominale: suggerisce la presenza di una neoplasia;
Triade di Charcot: la triade sintomatologica caratterizzata da ittero, febbre con brividi e segno di
Murphy positivo orientano la diagnosi verso una colangite acuta una colangite conseguente a
colelitiasi (ma che si osserva anche nella colangite sclerosante primitiva). Alla triade di Charcot
possono associarsi anche altri due sintomi, ossia una alterazione dello stato mentale e l'ipotensione
(pentade di Reynolds).

220
Fegato palpabile: un segno prognostico negativo in quanto indicativo del fatto che littero dura da
molto tempo per una stasi biliare e una fibrosi a livello biliare.
Cicatrici chirurgiche: indicative di pregressa chirurgia sulle vie biliari (se non riferita allanamnesi).
Spider naevi: indice di circoli venosi collaterali superficiali, compatibili con la presenza di cirrosi.
Segno di Courvoisier-Terrier: positivo quando la colecisti palpabile al di sotto del margine
epatico; indicativo del fatto che littero non dovuto alla presenza di calcoli. Nel 99% dei casi la
distensione tale distensione data da una formazione neoplastica della via biliare.

Il sospetto clinico che ne deriva guida poi la scelta delle indagini di laboratorio e strumentali pi adeguate
per meglio indirizzare lipotesi formulata.
Le indagini biochimiche comunemente richieste includono: esame emocromocitometico completo, indici di
colestasi (bilirubina, fosfatasi alcalina, -GT, acidi biliari), indici di funzionalit epatica (tempo di
protrombina, albuminemia), marker per la ricerca dei virus epatitici, marker specifici per patologie
colestatiche e autoimmuni (autoanticorpi non organo-specifici, come anti-nucleo e anti-mitocondrio
soprattutto), amilasemia:

- Se risultano alterate prevalentemente le transaminasi bisogna sospettare unepatite acuta o


cronica occorre diagnosticare la malattia mediante test specifici di competenza medica;
- Se risulta alterata prevalentemente la protidosintesi bisogna sospettare una cirrosi o
uninsufficienza epatica, e occorre procedere con test specifici di competenza medica;
- Se risulta alterata prevalentemente la fosfatasi alcalina e le -GT (indici di colestasi), il sospetto di
una colestasi che rappresenta una condizione patologica di prevalente competenza chirurgica.

Colestasi
La colestasi limpedimento allafflusso della bile nell'intestino. Le cause di ostruzione delle vie biliari
vengono distinte in base alla sede di ostruzione:

Ostruzione del terzo superiore: fegato policistico, malattia di Caroli (dilatazione cistica congenita
dell'albero biliare intraepatico ed extraepatico), carcinoma epato-cellulare, colangioepatite,
trombosi dell'arteria epatica (molto frequente dopo un trapianto di fegato o dopo chemioterapia),
emobolia dellarteria epatica, lesioni iatrogeniche della via biliare in corso di colecistectomia1,
tumore di Klatskin, colangite sclerosante, papilloma della via biliare.
Ostruzione del terzo medio: colangiocarcinoma, colangite sclerosante, papilloma del dotto biliare,
cancro della colecisti, cisti del coledoco (nella malattia di Caroli ci possono essere anche dilatazioni
cistiche del coledoco e formazioni tumorali delle vie biliari all'interno di queste cisti), parassiti intra-
biliari, sindrome di Mirizzi (calcolosi della colecisti che comprime secondariamente la via biliare),
extrinsic nodal compression (aumento di volume dei linfonodi dell'ilo epatico o per un qualsiasi
tumore, e.g. breast cancer or lymphoma, ecc), iatrogenic bile duct injuries (sia una lesione che
provoca una stenosi della via biliare sia una lesione che ne provoca l'apertura a seguito di una
colecistectomia), fibrosi cistica idiopatica, coledocolitiasi.
Ostruzione del terzo inferiore: colangiocarcinoma, colangite sclerosante, tumori pancreatici, tumori
ampollari, disfunzione dello sfintere di Oddi (esistenza controversa), diverticoli duodenali, ulcere
duodenali penetranti, adenopatie retroduodenali.

Le cause pi frequenti di ostruzione sono la calcolosi delle vie biliari, le neoplasie del pancreas e, infine, le
neoplasie delle vie biliari.

1
Negli ultimi anni, sono aumentati a dismisura i pazienti operati per una colecistectomia senza che fossero rispettati i
criteri di operabilit; lintervento laparoscopico, rispetto alla colecistectomia aperta, ha comportato laumento del
numero delle lesioni iatrogene della via biliare.
221
Quando la colestasi causa di ittero si manifesta clinicamente con ittero ostruttivo, feci acoliche e urine
color marsala. La mancanza di bilirubina nellapparato gastroenterico riduce inoltre lassorbimento delle
vitamine liposolubili quindi si aggiunge anche la steatorrea.
In alcuni casi l'occlusione pu essere intermittente; in passato si pensava che in caso di occlusione
(caratterizzata cio da decrescenza e successiva ripresa dell'ittero), littero fosse causato esclusivamente da
un ampulloma che desquamandosi permettesse il passaggio temporaneo di una certa quota di bile
risolvendo transitoriamente littero. Ad oggi si sa che littero transitorio pu anche essere causato da
coledocolitiasi per unocclusione transitoria da calcoli espulsi nellintestino e successiva riocclusione da
nuovi calcoli.
Allobiettivit, si riscontreranno generalmente forte dolore addominale, immobilit e ridotta escursione
addominale durante gli atti de respiro (espressione di una colangite in atto). Nelle forme neoplastiche
generalmente littero obiettivamente silente.
Dal punto di vista laboratoristico la colestasi comporta un aumento della concentrazione della bilirubina
diretta, della fosfatasi alcalina e delle -GT.

Liter diagnostico procede nel sospetto delle diverse malattie con le modalit descritte nel capitolo
precedente.

222
Tumori epatici
(prof. Valabrega)

Epidemiologia
Le neoplasie primitive del fegato costituiscono un importante problema sanitario nei Paesi sviluppati, nei
quali si conta pi dell80% dei casi mondiali totali. Lepatocarcinoma non una neoplasia diffusa in Europa.
I tassi di incidenza pi alti si registrano in Cina (55% del totale mondiale), Giappone, Sud-Est Asiatico e
Africa sub-Sahariana.
In Europa, lincidenza et-standardizzata europea di 7 casi per 100,000 individui allanno negli uomini e 2
per 100,000 nelle donne, pari a circa il 2% di tutti i tipi di tumore. Nel 2000 sono stati stimati circa 50,000
nuovi casi allanno.
In Italia, i tumori primitivi del fegato hanno unincidenza molto bassa sia nelluomo che nella donna
essendo prevalenti altri tipi di tumore.
Il 7% dei pazienti con tumore epatico ha unet superiore a 65 anni. Negli uomini, lincidenza cresce
rapidamente con laumentare dellet, passando da 3 per 100,000 nel gruppo con et inferiore a 45 anni, a
32 per 100,000 nei pazienti con et compresa tra 60 e 64 anni, per finire a 62 per 100,000 per >75 aa..
In Italia lincidenza dellepatocarcinoma ha mostrato un complessivo incremento nel periodo 1986-1997, sia
nelle donne sia negli uomini. Nello stesso periodo di riferimento si registrata una limitata diminuzione
della mortalit, statisticamente significativa nelle donne. Landamento dellincidenza influenzato in larga
misura dalla fascia det del paziente allinsorgere della neoplasia. Anche in Giappone, Stati Uniti e Francia
lincidenza aumentata nel corso degli ultimi due decenni ed ha interessato maggiormente pazienti pi
giovani.
In Italia questa neoplasia pi frequente al sud rispetto al Nord per una maggiore frequenza di infezioni da
HBV e HVC.

I pazienti con tumore epatico hanno una prognosi estremamente sfavorevole. La prognosi sfavorevole
dipende dal generale ritardo di diagnosi, dalla frequente multifocalit della malattia e dallesiguo numero di
pazienti effettivamente sottoposti ad una terapia efficace (trapianto di fegato).
In Italia, la sopravvivenza a 5 aa inferiore al 10%, pari quasi a quella del tumore del pancreas, mentre a 3
anni del 12.8%. La sopravvivenza a 5 anni risultata leggermente pi alta negli individui con et inferiore
a 45 anni (20%).

Eziologia e fattori di rischio


Lepatocarcinoma primitivo insorge frequentemente in associazione con infezioni epatiche croniche di tipo
virale. Linfezione da HBV , la causa predominante di tumore epatico, a cui sono riconducibili pi dell80%
dei casi. La presenza di infezione da HBV, occulta e persistente, incrementa ulteriormente la rilevanza
oncogenica di tale virus. I portatori di infezione cronica da HBV presentano un rischio relativo cento volte
maggiore di sviluppare un tumore epatico, rispetto ai soggetti non portatori, rischio che diminuisce nei casi
in cui linfezione sia contratta in et adulta. Linfezione da HBV il risultato di uninfezione acquisita, alla
nascita o durante linfanzia e interessa individui di 40 anni di et o pi giovani. Tale situazione pu essere
prevenuta attraverso la vaccinazione.
Nei Paesi sviluppati, in cui la vaccinazione anti-HBV stata estremamente efficace nel ridurre le infezioni da
questo virus, lepatocarcinoma colpisce generalmente individui anziani con cirrosi conseguente ad
uninfezione cronica da HCV. In assenza di un vaccino efficace contro questo virus, la prevenzione
dellinfezione da HCV affidata alla possibilit di prevenire la trasmissione attraverso la trasfusione di
prodotti ematici.
Il rischio di cirrosi e di carcinoma epatocellulare ulteriormente aumentato nei forti bevitori con
concomitante HBV e HCV cronico o diabete.
223
La cirrosi, indipendentemente dallorigine, comporta un rischio elevato di trasformazione neoplastica nei
pazienti affetti da questa malattia; lincidenza annua di tumore epatico nei pazienti cirrotici del 2-6.6%,
mentre per i pazienti non cirrotici la percentuale pari allo 0.4%
Per questi tre fattori di rischio sono state indicate inoltre associazioni di rischio aggiuntive con il fumo, le
aflatossine ed i contraccettivi orali. In particolare, lassunzione attraverso la dieta di aflatossine (prodotte
dallAspergillus flavus, che in condizione di calore e umidit contamina le scorte di grano) viene indicato
quale possibile causa dello sviluppo di un epatocarcinoma, potendo inoltre concorrere sinergicamente con
linfezione da HBV allinsorgenza del tumore.
Un altro fattore di rischio riconosciuto leccessivo accumulo di ferro, determinato da unematocromatosi
non trattata che pu provocare, in alcuni pazienti, un rischio di morte sino al 45% dei casi, da carcinoma
epatocellulare .

Un altro fattore di rischio attualmente in aumento la NASH, ovvero la steatoepatite.


Il carcinoma epatocellulare pu insorgere nel 37% dei pazienti con tirosinemia e, occasionalmente, in
pazienti sottoposti con successo a un trapianto di fegato. Altre condizioni predisponenti sono: deficit di
alfa-1-tripsina, ipercitrullinemia e glicogenosi. Tutte le suddette condizioni rappresentano cause non
comuni per lo sviluppo del carcinoma epatico, che giocano, pertanto, un ruolo epidemiologico marginale.
Il tabagismo stato implicato nelle variazioni della risposta immunitaria, che costituisce un co-fattore per lo
sviluppo dei tumori epatici. Leffetto del tabacco pu essere potenziato dai polimorfismi genetici del
citocromo P450 1A1, che modulano le biotrasformazioni degli idrocarburi policiclici aromatici derivati dal
tabacco in metaboliti carcinogenici .
Altri fattori prognostici minori del carcinoma epatocellulare sono luso di steroidi contraccettivi e di steroidi
androgeni anabolizzanti .

Anatomia patologica
I tumori del fegato si distinguono in benigni e maligni. In ognuna di queste categorie possibile identifiare
diverse varianti anatomiche:

Angioma
Tumori
Iperplasia nodulare focale
benigni
Adenomi
Epatocarcinoma
Colangiocarcinoma
Carcinoma
Adenocarcinoma
Tumori Primitivi
Epatocolangiocarcinoma
maligni Altri (leiomiosarcoma, angiosarcoma,
epatoblastoma)

Secondari Metastasi di tumori primitivi (colon-retto)

Gli angiomi epatici sono tumori congeniti benigni del fegato rappresentano la seconda pi frequente
lesione focale epatica dopo le metastasi (5% della popolazione generale). Ha una prevalenza doppia nella
popolazione femminile. Nel 90% dei casi si tratta di lesioni di dimensioni inferiori ai 4 cm; quando di
dimensioni superiori ai 4 cm si definiscono cavernosi. La patogenesi sconosciuta, dubbio il ruolo degli
ormoni sessuali. Langioma quasi sempre asintomatico e viene di solito identificato casaulmente. Gli
angiomi sono clinicamente benigni e solo raramente hanno tendenza ad espandersi o a causare sintomi. I
sintomi che possono manifestare sono quelli di un dolore addominale, a seguito della trombosi
intratumorale allangioma, sensazione di peso addominale, disturbi digestivi (solo quando > 15cm). Nella
224
maggior parte dei casi langioma una lesione uniformemente iperecogena rispetto al fegato circostante, a
margini netti e ben distinti. Lecografia con mezzo di contrasto mostra ieprvascolarizzazione periferica
durante la fase contrastografica arteriosa, porto-venosa o tardiva, con progressivo riempimento centripeto.
In pochi pazienti langioma si modifica di volume. La rottura molto rara e avviene solo per angiomi grandi
in seguito ad eventi traumatici.
Dal punto di vista terapeutico, la resezione chirurgica indicata solo in caso di angiomi sintomatici e di
grandi dimensioni, dislocanti o che comprimono organi circostanti.

Liperplasia nodulare focale una malformazione epatica isolata che consiste in una lesione circoscritta ma
non incapsulata di consistenza dura, con cicatrice centrale formata da collagene e arterie di medio calibro.
Dopo langioma, il secondo tumore benigno per frequenza. Il rapporto femmine maschio tra 2:1 e 26:1 e
let media di insorgenza 35-50 anni. Nella patogenesi il ruolo degli estroprogestrinici controverso.
La maggior parte dei pazienti ha una singola lesione; una minoranza ha 2-5 noduli nel fegato che variano da
1 mm a 19 cm (mediana 3 cm). La INF in genere di riscontro casuale; una minoranza dei pazienti, tuttavia,
pu avere sintomi di massa addominale o epatomegalia. I marcatori tumorali AFP, CA19-9 e CEA sono nella
norma. Viene sdi solito identificata casualmente con una ultrasonografia dove appare come una lesione
solida ipo-isoecogena definita a ruota di carro in quanto mostra una vascolarizzazione periferica
importante e centralmente la cicatrice fibrotica; lecografia con m. d. c. epato specifico la metodica ideale
per vedere la ruota del carro e per fare diagnosi. Alla TC invece si evidenzia come una lesione ipo-
isodensa con la cicatrice scar centrale, enanchement arterioso. Alla RM la lesione iperintensa in T2, non
calcifica con scar centrale.
Lintervento chirurgico di resezione consigliato nei rari casi di emorragia, importante sintomatologia, e
incertezza diagnostica.

Ladenoma epatico una neoformazione benigna rara, frequentemente capsulata, caratterizzata da


proliferazione benigna degli epatociti. Pi frequentemente nelle giovani donne in et fertile e in
trattamento con estroprogestinici che possono favorire levoluzione e il rischio emorragico (per questo,
devono essere sospesi immediatamente). Si tratta per lo pi di una singola lesione ma nel 30% dei casi si
presenta con noduli multipli. La met dei casi di adenoma identificata per caso; nei casi rimanenti, la
lesione viene identificata per comparsa di dolore ( per focolai emorragici intratumorali) o riscontro di massa
addominale.
Gli esami di laboratorio non aiutano nella diagnosi. La biopsia epatica di scarsa utilit per la difficolt di
identificare gli elementi caratteristici di questa lesione in un piccolo frammento di tessuto epatico, ed
rischiosa in un nodulo riccamente vascolarizzato. Tuttavia, alcune caratteristiche ecografiche e radiologiche
possono permetterci di fare diagnosi differenziale con lINF. importante questa diagnosi differenziale per
le differenze di trattamento.
Il nodulo pu regredire spontaneamente dopo linterruzione di estroprogestinici (criterio diagnostico ex-
adjuvantibus). Il rischio di trasformazioen neoplastica incerta tuttavia, adenomi di dimensioni > 5 cm di
diametro vengono considerate a rischio di trasformazione e per questo il paziente va monitorato nel
tempo.
Per quanto riguarda il trattamento, nei pazienti in trattamento con estroprogestinici e riscontro casuale di
un adenoma < 4 cm, la strategia migliore quella di sospendere lassunzione di farmaci e monitorare di
frequente la lesione mediante US. I pazienti con voluminosi adenomi, sintomatici o non responsivi alla
sospensione degli estroprogestinici, vengono valutati per lintervento chirurgico o per lembolizzazione
selettiva.

Circa l80% di tutti I tumori epatici primitivi sono epatocarcinomi (tumore che origina da epatociti).
Questo tumore costituito da cellule che ricordano gli epatociti; possiede un circolo arterioso sviluppato.
Si riconoscono diversi tipi di modello di crescita dei carcinomi epatocellulari che sono stati associati a un
rischio variabile di diffusione intraepatica ed extraepatica . Numerosi sistemi di classificazione sono

225
contemplate in letteratura. La prima classificazione del carcinoma epatocellulare la classificazione di
Eggel (1901):

A. Tipo nodulare noduli tumorali disseminati allinterno del parenchima cirrotico


B. Tipo massivo noduli circoscritti che occupano la quasi totalit o la totalit del lobo epatico
C. Tipo diffuso innumerevoli piccoli noduli tumorali indistinti allinterno del fegato cirrotico.

Il Liver Cancer Study Group giapponese ha proposto di modificare il tipo nodulare in tre sotto-categorie
(LCSGJ 1997): Tipo nodulare singolo, tipo nodulare singolo con crescita tumorale perinodulare e il tipo
multinodulare confluente.

La classificazione della WHO individua cinque modelli istologici principali (Ishak 1994):

1. Trabecolare
2. Pseudoghiandolare (acinare)
3. Compatto
4. Scirroso
5. Fibrolamellare

La rilevanza di questultimo modello, pi che avere un valore diagnostico, indicativa della prognosi,
poich si tratta di un carcinoma che pu essere resecato chirugicamente con esiti favorevoli.

Dal punto di vista macroscopico, nellesigua percentuale di pazienti non affetti da cirrosi, la neoplasia
associata alla cosiddetta variante fibrolamellare. I carcinomi epatocellulari che originano in un fegato sano
tendono ad essere singoli tumori massivi, che a volte infiltrano entrambi i lobi.
Nei soggetti cirrotici i carcinomi epatocellulari sono piccoli, solitamente ben demarcati e circondati da una
capsula fibrosa. La neoplasia in stato avanzato si presenta come tumore multinodale esteso,
frequentemente accompagnato da metastasi intraepatiche.
La capsula una caratteristica importante poich associata a gradi nucleari pi bassi, ad una migliore
prognosi, ad un minor tasso di recidivit intraepatica e a una bassa incidenza di invasione venosa locale .
Altre caratteristiche macroscopiche importanti del carcinoma epatico sono la multicentricit e la crescita
intravascolare e intrabiliare. La multicentricit predittiva della recidivit intraepatica dopo il trattamento
chirurgico, che si nota in una percentuale di casi compresa tra il 16% e il 74% dei carcinomi epatocellulari
resecati. Lo sviluppo di multicentricit potrebbe essere metacrono rispetto alla carcinogenesi multicentrica
o rispetto alla diffusione di metastasi intraepatiche attraverso il sistema portale . Una trombosi importante
trombosi della vena porta associata a una prognosi sfavorevole poich la presenza di trombi neoplastici
causa di metastasi intraepatiche e i pazienti con un tale quadro clinico hanno una recidiva di malattia entro
un anno e vanno incontro a decesso entro i due anni successivi allintervento chirurgico. Linvasione
tumorale del dotto biliare o del dotto epatico relativamente rara, la prognosi pi sfavorevole.
Le vie di diffusione di questi tumori sono attraverso il sistema portale, attraverso le vene sovraepatiche,
attraverso il sistema linfatico. I principali siti di metastatizzazione sono il polmona, le ossa e lencefalo.

Lepatocarcinoma spesso asintomatico quindi la diagnosi spesso un reperto fortuito o viene


diagnosticato durante gli esami di screening ecografico dei pazienti a rischio. Raramente pu dare dolore
addominale ed ittero (per compressione delle vie biliare). Altri sintomi correlati sono lepatomegalia (nei
pazienti cirrotici), la rottura spontanea (con conseguente emoperitone), le emorragie digestive e la
trombosi portale (con incremento dellipertensione portale) e le sindromi paraneoplastiche.

Osservazioni recenti indicano che il DNA libero che origina dalle cellule tumorali rintracciabile nel plasma
dei pazienti affetti ca. tumore epatico in stadi precoci della malattia. La disponibilit di test genetici semplici
darebbe un importante contributo ai programmi di screening sulla popolazione generale. Attualmente i
226
programmi di screening sulla popolazione generale attraverso lesame ecografico, con o senza pre-
selezione sulla base dei livelli di alfafetoproteina (AFP), non si sono dimostrati efficaci per la riduzione della
mortalit.
I pazienti con malattia epatica cronica nota, invece, vengono tenuti sotto costante sorveglianza attraverso
lesame ecografico, il controllo dei livelli di AFP ed una visita epatologica ad intervalli tra 3 e 12 mesi a
seconda dellindicazione dellepatologo. Attenzione: per fare diagnosi di Epatocarcinoma, in presenza di
una lesione focale allesame ecografico, sufficiente riscontrare lelevazione dellAFP e della gamma-GT per
fare diagnosi di tumore epatico. Indagini ulteriore saranno poi necessarie per indagare il tipo di tumore.

Per la stadiazione dellepatocarcinoma, occorre sapere che il carcinoma epatocellulare composto da due
entit separate: la componente neoplastica e quella degenerativa, ovvero la cirrosi. Per questo, nella
stadiazione del tumore primitivo del fegato importante definire sia la dimensione del tumore1 che il grado
della cirrosi, oltre alla presenza o assenza di malattia metastatica nei linfonodi regionali. La stadiazione pi
utilizzata la BCLC (Barcelona Clinic Liver Cancer) in cui vengono considerati lo status funzionale
(performance status) del paziente, la funzione del fegato (classe Child-Pugh) e le dimensioni del tumore:

Questo sistema di stadiazione importante per stratificare i pazienti in relazione al trattamento da attuare.
Un altro sistema di stadiazione il CLIP che ci d informazioni anche della media di sopravvivenza del
paziente basandosi sul Child-Pugh scor, sulla morfologia del tumore, dei livelli di alfa-fetoproteina e
dellinvasione della vena porta.

La scelta del trattamento legata alla stadiazione della noeplasia:

Stadio 0: la resezione epatica del tumore la principale opzione terapeutica nei pazienti con fegato
sano e buona funzionalit epatica poich conferisce sopravvivenza a 5 anni del 50%.

1
Al momento della diagnosi, nel 60% dei carcinomi epatocellulari la neoplasia formata da noduli multipli, nel 30%
dei casi da una lesione singola e nei restanti casi il fegato appare diffusamente infiltrato.
227
Stadi 0 e A: il trapianto di fegato la migliore opzione per pazienti con tumore singolo < 5 cm di
diametro o con meno di 3 tumori ciascuno < 3 cm (Criteri di Milano per accedere al trapianto di
fegato) poich bilancia una buona sopravvivenza (75% a 5 aa) con un basso rischio di ricorrenza. Il
limite di 5 cm di diametro ragionevole vista la percentuale significativamente alta di invasione
vascolare nei tumori di maggiori dimensioni. Nei pazienti costretti ad attese superiori a 6 mesi, la
spettanza di vita guadagnata dal trapianto attentuata perci il 25 % dei pazienti esce dalla lista di
attesa. In questi casi si procede con la resezione epatica. La sopravvivenza a 5 anni dopo resezione
del 74 %. Un approccio complementare limpiego di terapie ablative locoregionali
(radiofrequenza ed embolizzazione arteriosa) applicate a ponte durante lattesa.
Nei pazienti con tumori di 2 cm non candidabili a resezione o trapianto, liniezione percutanea di
alcool e di radiofrequenza offrono sopravvivenza sovrapponibili, mentre nei tumori tra 2 e 4 cm la
radiofrequenza superiore alliniezione di alcool perch controlla meglio la ricorrenza
locoregionale.
Stadio B: La chemioembolizzazione arteriosa transcatetere un trattamento palliativo non radicale,
talvolta complementere alla radiofrequenza.
Stadio C: lunico trattamento efficace in questi pazienti il Sorafenib, inibitore delle tirisin-chinasi
che blocca le catene cellulari di segnale che conferiscono allepatocarcinoma invasivit tessutale.

228
Complicanze acute della cirrosi
(prof. Valabrega)
La cirrosi una condizione patologica caratterizzata dalla presenza di alterazioni anatomiche a livello del
fegato dovute allazione di fattori epatolesivi di diversa natura che, agendo cronicamente, causano
progressivamente necrosi degli epatociti, infiammazione, conseguente sviluppo di fibrosi e,
successivamente, sovvertimento strutturale e funzionale del fegato.
Leziologia della cirrosi molto ampia:
Virale:HCV, HBV, virus Delta
Alcool: consumo> 30 g/die nei maschi, > 20 g/die nelle femmine per almeno 10 anni.
M.autoimmuni: epatite cronica (ANA=antinucleo, SMA=anti muscolo liscio, LKM=contro mitocondri
di fegato e rene), cirrosi biliare primitiva (AMA=antimitocondrio), colangite sclerosante( si associa
soprattuto a malattia dellintestino: RCU)
Disordini metabolici: emocromatosi,m.di Wilson, deficit 1 antitripsina, fibrosi cistica, porfiria.
Iatrogene: metotrexate, amiodarone, meti-dopa, By-pass intestinale nella chirurgia dellobesit.
Cause vascolari(Cirrosi vascolari): scompenso cardiaco dx, pericardite costrittiva, m.di Budd-Chiari
(giovani donne che fanno uso di estroprogestinici, dovuta a occlusione delle vv sovraepatiche)
Cirrosi criptogenetica: molto probabilmente dovuta alla NASH.

Dal punto di vista fisiopatologico, la condizione necessaria ed indispensabile per avere la cirrosi la necrosi
dellepatocita. Essa pu essere dovuta a lisi diretta da parte di un virus oppure ad un danno di tipo
vascolare per linsufficiente apporto di ossigenazione e flusso ematico. Il secondo passaggio quello della
fibrosi: le cellule stellate sotto lo stimolo di interleuchine e TNF si trasformano in Myofibroblast-like e
quindi inizia la sintesi del collagene. Il sovvertimento architetturale del fegato comporta la formazione di
noduli di rigenerazione che vengono intrappolati tra questo tessuto fibrotico, quindi gli epatociti
intrappolati nei tessuti fibrotici formano i cosiddetti noduli di rigenerazione. Questo ci permette di
distinguere la cirrosi in diversi quadri macroscopici:
Cirrosi micronodulare: noduli < 3 mm
Cirrosi macronodulare: noduli > 3 mm
Cirrosi mista.
La fibrosi epatica comporta la capillarizzazione dei sinusoidi che crea una resistenza vascolare, quindi
aumenta la resistenza al flusso nel fegato e abbiamo una condizione di ipertensione portale che una delle
condizioni che pu condizionare le successive complicanze maggiori della cirrosi epatica.

Dal punto di vista clinico, possiamo distinguere due momenti fondamentali del paziente cirrotico:
Cirrosi compensata: caratterizza la prima fase di un paziente cirrotico in cui il paziente
completamente privo di sintomi clinicamente rilevanti. Questa fase pu durare molti anni e la
diagnosi in questo caso pu scaturire da eventi casuali. Nella fase di compenso, i reperti obbiettivi
possono essere sovrapponibili a quelli di un epatite cronica (epatomegalia allesame obiettivo e
modesta alterazione dei test di citonecrosi); questa difficolt nella diagnosi differenziale pu
rendere necessaria lesecuzione di una biopsia epatica in cui gli elementi caratteristici della cirrosi
saranno il riscontrodella fibrosi e la presenza di noduli di rigenerazione.
Cirrosi scompensata: il paziente transita alla fase di cirrosi scompensata quando si verificano eventi
acuti; in particolare un versamento ascitivo, unemorragia digestiva per sanguinamento delle varici
esofagee oppure una encefalopatia epatica.

Nella diagnosi di cirrosi bisogna procedere mediante tre fasi: definire la causa delle malattia, stadiare la
gravit e accertare eventuali complicanze. Per quanto riguarda leziologia, importante indagare
sulleventuale presenza di abuso di alcol e conoscere il pattern sierologico per quanto riguarda i virus
dellepatite in quanto questi rappresentano le cause pi frequenti di cirrosi epatica nel nostro paese.
Ulteriori indagini saranno riservate ai pazienti nei quali siano state escluse leziologia alcolica e virale.

229
Per quanto riguarda la stadiazione, indicato eseguire esami di funzionalit epatica: alterazione indici di
necrosi (GOT, GPT), riduzione indici di sintesi epatica (albumina, prot.totali, colinesterasi, TAP, fibrinogeno,
aumento indici di colestasi (bil., FA e GT), anemia ipocromica macrocitica, leucopenia, piastrinopenia,
ipergammaglobulinemia policlonale, NH4. Successivamente opportuno valutare con mezzi strumentali il
fegato: in primis con lecografia, successivamente con TC e RM com mdc epatospecifici, poi valutare il grado
di fibrosi con il Fibroscan e infine eseguire una biopsia epatica: il preparato istologico verr valutato
secondo lo score di grading (infiammazione) e staging (fibrosi) descritto da Ishak.

La gravit della cirrosi deve essere definita in base alla stadiazione di Child-Pugh; questa si basa sui valori di
alcuni test di funzione epatica e sulleventuale presenza di ascite e/o encefalopatia stadiazione classifica i
pazienti cirrotici in 3 categorie a seconda del punteggio ottenuto: A (5-6), B (7-8) e C (>99.

Infine, per accertuare la presenza di eventuali complicanze, il paziente cirrotico di nuova diagnosi necessita
sempre di unendoscopia per la ricerca delle varici esofagee e per la valuzione del rischio di sanguinamento
e di unecografia delladdome per escludere lascite ed eventuali lesioni focali indicative di epatocarcinoma.
Poich la cirrosi tende a evolvere nel tempo, alcuni accertamenti dovranno essere ripetuti periodicamente
allo scopo di cogliere linsorgenza delle complicanze negli stadi iniziali. Per questo si consiglia lesecuzione
semestrale di unecografia.

Non esiste attualmente alcuna terapia che consenta di far regredire la fibrosi e il sovvertimento strutturale
del fegato. Quando la terapia causale non attuabile, il trattamento della cirrosi si fonda principalmente
sulla prevenzione degli episodi di scompenso e delle complicanze. Per questi pazienti assolutamente
sconsigliata lassunzione di alcol, anche nei cirrotici a eziologia virale. Inoltre dovr essere attentamente
valutato lutilizzo di farmaci liposolubili a metabolismo epatico, per evitare fenomeni di accumulo o di
danno epatocita rio.
Il trapianto orto topico di fegato una possibilit terapeutica di grande efficacia nei pazienti con
insufficienza epatica terminale. In considerazione della limitata disponibilit di organi donati, lopzione del
trapianto viene considerata in presenza di precise indicazioni in pazienti altrimenti intrattabili. In
particolare, per il pazienti in Child C il trapianto ha alti rischi, perch il paziente molto avanzato quindi la
mortalit relativa all'intervento chirurgico e al trapianto elevata. Quindi c' un limite per il quale si
propone il trapianto, di solito intorno al B7.

Ipertensione portale
Lipertensione portale una sindrome caratterizzata da un aumento patologico della pressione del sistema
venoso portale epatico e In generale si parla di ipertensione portale quando la pressione nella vena porta
maggiore di 10 mmHg. Nella maggior parte dei casi, rappresenta lespressione clinica pi significativa delle
modificazioni morfofunzionali cui va incontro il fegato durante la trasformazione cirrotica. Tuttavia esistono
infatti condizioni diverse dalla cirrosi in cui si pu avere ipertensione portale come la trombosi della vena
porta, la malattia policistica delladulto, la fibrosi epatica congenita, ipertensione portale idiopatica e il
danno tossico sinusoidale. Dal punto di vista eziologico distinguiamo quindi lipertensione in:

POST-EPATICA ostruzione a livello soprattutto della cava. Raggruppa cause di tipo vascolare (Budd-
Chiari, scompenso cardiaco destro, pericardite costrittiva)
INTRA-EPATICA: Cirrotica e Non cirrotica;

230
PRE-EPATICA: Trombosi portale o splenica per cause neoplastiche o rallentamento sangue
allinterno della vena porta che favorisce gli eventi trombotici, compressione, ipoplasia o stenosi
della vena porta;
ALTRE CAUSE: fistole artero-venose.

Linnalzamento del flusso ematico nel distretto epatico, conseguentemente a questa condizione, associata
alla progressiva rarefazione degli epatociti funzionanti in corso di cirrosi, comporta il fatto che alcuni
prodotti di derivazione batterica intestinale e infiammatoria provenienti dalla vena porta bypassano il filtro
epatico entrando direttamente nella circolazione sistemica. Questo determina la liberazione di grandi
quantit di mediatori infiammatori in risposta ai quali vengono rilasciate molecole vasoattive (come NO e
CO); queste mediano la vasodilatazione splancnica e periferica che comporta un sequestro ematico nel
reservoir splancnico. La vasodilatazione spalncnica da un lato sembra favorire il ritorno venoso e la gittata
cardiaca, ma cos massiccia che in realt la gittata cardiaca non riesce a compensarla e vengono attivati
tutta una serie di vasocostrittori ( NA, ADH e attivazione SRAA) con maggior richiamo di sodio e di acqua,
che favorisce linsorgere di ascite.
Unaltra conseguenza dellaumentata resistenza allefflusso di sangue attraverso il sistema portale che la
maggior parte del flusso portale viene deviata attraverso circoli collaterali la cui apertura volta a
diminuire la pressione portale. Tali circoli collaterali sono costituiti da piccoli vasi gi esistenti ma non
operanti (ipoperfusi o addirittura non perfusi in condizioni normali) o formatisi ex novo per
neoangiogenesi. Il flusso sanguigno allinterno di questi circoli collaterali si muove in senso epatofugo. Le
anastomosi porto sistemiche pi importanti sono costituite dalle:
Anastomosi esofagee e gastriche;
Anastomosi rettali;
Anastomosi della parete addominale anetriore (vene paraombelicali di Sappey) e vene porte
accessorie;
Anastomosi della parete addominale laterale e posteriore (sistema di Retzius);
Anastomosi tra vena splenica e vena renale.

I sintomi clinici caratteristici della ipertensione portale sono la splenomegalia, la presenza di circoli
collaterali sulla superficie delladdome, gavoccioli emorroidari, spider naevi, edema perimalleolare, ascite e
asterix.

La diagnosi strumentale che ci porta a diagnosticare una condizione di ipertensione portale conclamata
lecografia epato-renale. Questa mostra segni specifici e aspecifici:

SPECIFICI
o Circoli collaterali porto-sistemici: la visibilit ecografica non la stessa per tutti i circoli, ma
quelli che maggiormente riusciamo a visualizzare sono il circolo venoso paraombelicale,
quello renale e la gastrica sinistra e le gastroesofagee. Il sistema venoso paraombelicale,
ben documentabile ecograficamente, si identifica come una struttura canalare, anecogena,
ovvero che non riflette gli echi perch il sangue essendo fluido non riesce a riflettere gli
echi perch limmagine ecografica si forma dal fascio, dallultrasuono che va a colpire la
superficie e in base alla densit della superficie vengono riflesse le onde e quindi si crea
limmagine. Il sangue non ha questa capacit di riflessione e quindi rimane come una
struttura di tipo canalicolare, anecogena, con un flusso epatofugo, quindi che si allontana
dal fegato. Tutto ci che allecografia si allontana dal fegato, cio va nella direzione opposta
a quella che vogliamo misurare, di colore blu, quello in avvicinamento di colore rosso.
Lo shunt splenorenale ecograficamente va cercato tra il polo inferiore della milza e lilo
renale sinistro.
o Ectasia del sistema portale: diametro della vena porta superiore a 13 mm e/o diametro
della vena splenica maggiore a 10 mm.

231
o Diminuita elasticit delle vene splenica e mesenterica superiore (questi vasi normalmente
hanno delle pareti cos che sottili che si restringono alla compressione della sonda. Con
lipertensione portale questi vasi non sono pi collassabili)
o Trombosi portale: Evidenziabile allecografia. Riusciamo a distinguere, soprattutto con
laiuto del colordoppler, trombosi complete dalle trombosi parziali. Questo importante
per la clinica, perch nelle trombosi parziali possiamo tentare, con la terapia farmacologica,
quando queste formazioni trombotiche sono piccole, di disostruire il lume del sistema
portale. Con la sola ecografia m-mode (senza colordoppler) difficile distinguere il trombo
completamente occludente, perch materiale ecogeno simile al parenchima epatico.
Lecocolordoppler invece aiuta anche nellindividuare le trombosi di recente insorgenza,
perch in questo caso il lume pu rimanere anche completamente anecogeno, quindi scuro
come lo normalemte; solo che mettendo il colordoppler non visualizziamo il sangue che
passa, non si vede colore allinterno del vaso. Quando si ha una trombosi portale ostruente
cronica, quindi lostruzione non in acuto, i vasi hanno la possibilit nel tempo di
riorganizzarsi, quindi il calibro della porta si riduce progressivamente fino a non
distinguerlo pi, ma intorno si vengono a creare dei circoli porto-portali, che praticamente
fanno defluire il sangue allinterno del fegato (cavernomatosi portale).
ASPECIFICI
o Splenomegalia
o Ascite (anche neoplastica o per altre cause)
o Spessore aumentato

La terapia della ipertensione portale prevede diverse azioni terapeutiche:

1. Vasocostrittori arteriolari splancnici: si utilizzano beta-bloccanti non selettivi, vasopressina ed


analoghi, somatostatina ed analoghi.
2. Terapia endoscopica: riguarda la scleroterapia o la legatura delle varici esofagee
3. Terapia chirurgica: si ricorre alla terapia chirurgica quando la profilassi o i precedenti interventi non
siano sufficienti. La TIPS (trans jugular intra-hapatic porto-sistemic shunt) una procedura di
radiologia interventistica che consiste nella creazione di un canale artificiale all'interno del fegato
per stabilire una comunicazione tra la vena porta e la vena epatica. Lo shunt portosistemico
intraepatico transgiugulare in genere realizzato da un radiologo interventista sotto guida
fluoroscopica.[2] L'accesso al fegato si ottiene attraverso la vena giugulare interna nel collo. Una
volta che l'accesso alla vena giugulare realizzato, un filo guida e una guaina di introduzione sono
tipicamente utilizzate per consentire al radiologo interventista di accedere alla vena epatica del
paziente viaggiando dalla vena cava superiore e nella vena cava inferiore e infine nella vena
epatica. Una volta che il catetere in vena epatica, viene registrata una pressione di incuneamento
per calcolare il gradiente di pressione nel fegato. Successivamente, viene iniettata anidride
carbonica per individuare la vena porta. Quindi un ago speciale viene fatto avanzare attraverso il
parenchima epatico per collegare la vena epatica alla vena grande portale, vicino al centro del
fegato. Il canale per lo shunt viene creato successivamente gonfiando un palloncino per
angioplastica all'interno del fegato lungo il tratto creato dall'ago. Lo shunt completato inserendo
un tubo speciale, noto come stent o endoprotesi, per mantenere pervio il canale. Dopo la
procedura, alcune immagini fluoroscopiche vengono realizzate per mostrare il posizionamento. La
principale complicanza di questa terapia lencefalopatia epatica.

Le quattro complicanze maggiori, nonch principali cause di morte in questi pazienti, sono lemorragia
digestiva, lascite, lencefalopaia e la sindrome epato-renale. La presenza di queste complicanze identifica la
fase della cirrosi scompensata.

232
Emorragie digestive
Le emorragie digestive nel paziente cirrotico nel 60-70% dei casi sono dovute alla rottura delle varici
esofagee che si formano dallanastomosi tra il ciroclo portale e il circolo sistemico a causa dellincremento
della pressione nel circolo portale per valori superiori ai 12 mmHg. Le varici esofagee sono la causa pi
frequente ma non lunica; infatti, le varici conseguenti ad ipertensione portale si osservano anche nel fondo
dello stomaco dove si possono verificare frequentemente lesioni erosive o ulcerative della mucosa, dovute
alla gastropatia congestizia, che provoca pi spesso melena.
La rottura delle varici esofagee si manifesta generalmente con ematemesi e talvolta pi essere talmente
profusa da imporre un trattamento endoscopico durgenza.

La diagnosi di varici esofagee si esegue in corso di EGDS, che ha una valenza sia diagnostica che terapeutica.
LEGDS permette di classificare le esofagee al fine di intraprendere il comportamento terapeutico pi
corretto.
La classificazione delle varici d un punteggio alla forma ed alle dimensione delle varici, che vengono
distinte in F1, F2 ed F3 (F1: occupano meno di 1/3 del lume dell'esofago e sono rettilinee, F2: non superano
i 2/3 del raggio del lume ed hanno andamento tortuoso, F3: occupano met del lume, sono tortuose e
circonvolute). Importante il colore delle varici: possono essere bianche perch la loro parete spessa, di
colore roseo e non si distingue dalla mucosa circostante; oppure sono blu, quando la parete sottile e
lascia trasparire il sangue venoso. Pi importanti ancora sono i cos detti segni rossi: Red Wale Markings
(RWM): segni rossi lineari; Cherry Red Spot (CRS): ectasie venose puntiformi di circa 2 mm di diametro;
Hematocystic Spots (HCS): dilatazioni cistiche di colore rosso vivo con diametro maggiore di circa 4 mm.
Queste ultime lesioni indicano un rischio elevato di sanguinamento.

Le varici F1 non necessitano un trattamento specifico. Per le varici F2 ed F3 che non hanno mai sanguinato
dovrebbe essere intrapreso un trattamento con beta-bloccanti non selettivi, per ridurre la pressione
portale e come profilassi di un sanguinamento primario. Le varici F2 ed F3 che hanno sanguinato vengono
trattate con la scleroterapia o la legatura endoscopica. In caso di sanguinamento, laddove non si disponga
di un endoscopista e la terapia medica non sia sufficiente per arrestare il sanguinamento, pu essere
eseguito un tamponamento per mezzo della sonda di Sengstaken-Blackmore. Questultimo presidio,
tuttavia, solo temporaneo e deve essere rimoso dopo 12-24 ore per il rischio di lesioni da decubito sulla
parete dellesofago.
Il trattamento rescue per le varici esofagee sanguinanti non controllabili con la tecnica medica/endoscopica
lo shunt porto-sistemico con shunt intraepatico per via transgiugulare (TIPS) eseguibile in emergenza solo
in centri specializzati.

Ascite
Lascite, cio laccumulo di liquidi nella cavit peritoneale, rappresenta la complicanza pi frequente della
cirrosi (50% dei pazienti entro 10 anni dal momento della diagnosi di cirrosi) nonch dell'ipertensione
portale. Linsorgenza dellascite in un paziente cirrotico ha un significato prognostico negativo; infatti la
sopravvivenza a due anni dei pazienti con ascite intorno al 50%. Inoltre lascite pu favorire la comparsa
di ulteriori complicanze quali squilibri idroelettrolitici, insufficienza renale, compresa la sindrome
epatorenale e la peritonite batterica spontanea. Tuttavia, la formazione di un versamento peritoneale si
pu verificare in un ampio numero di condizioni morbose come nelle carcinomatosi peritoneale, nello
scompenso cardiaco, a seguito di uninfezione tubercolare, in casi di insufficienza renale (ascite
nefrogenica): per questo motivo si esegue sempre unRx del torace per identificare uninfezione polmonare
e un esame delle urine (perch spesso uninfezione urinaria pu essere causa dello scompenso della cirrosi
con comparsa di ascite).

Sono state formulate 3 teorie per spiegare lorigine dellascite a seguito di ipertensione portale:

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1. Teoria dellunderfill: la riduzione del volume ematico efficace, dovuta a tutti i meccanismi che si
mettono in atto in corso di cirrosi (apertura di shunt artero-venosi, vasodilatazione del letto
splancnico, ipoalbuminemia), la causa di alterazione della funzione renale (sindrome epato-
renale): si instaura uninappropriata ritenzione di sodio ed acqua per attivazione del sistema
renina-angiotensina-aldosterone, per sitnesi di ADH e per stimolo simpatico adrenergico con
conseguente vasocostrizione renale ed aumento dellinrezione di renina;
2. Teoria dellovervill: linappropriata ritenzione di sodio e acqua da parte del rene comporterebbe
unespansione del volume plasmatico, con conseguente aumento della pressione venosa a livello
dei sinusoidi e della vena porta. Questa ipotesi avvalorata dallosservazione che la ritenzione
idrosalina dovuta alla vasodilatazione arterovenosa sistemica che comporta ipotensione con
conseguente attivazione dei sistemi omeostatici di compenso.
3. Teoria della vasodilatazione arteriosa periferica: attualmente la teoria maggiormente accreditata;
lipetensione portale condiziona una vasodilatazione nel distretto arterioso splancnico con
conseguente attivazione del sistema RAA, del sistema nervoso autonomo e della secrezione di ADH
per mantenere la perfusione renale periferica. Nei pazienti con cirrosi scompensata il grado di
ipertensione potale e di vasodilatazione arteriosa splancnica moderato e la riduzione del volume
ematico efficace e compensata da un aumento del volume plasmatico e della gittata cardiaca.
Inoltre il sistema linfatico in grado di aumentare la sua portata cos da prevenire la filtrazione di
linfa nel cavo peritoneale. Soltanto la precipitazione di questa cascata di reazione di compenso,
dovuta allaggravarsi della malattia, comporta loverfill e la formazione di ascita.

Per fare diagnosi di ascite, imporante lanamnesi in cui il paziente potr riferire di aver osservato un
aumento del peso corporeo. Per quanto riguarda lesame obiettivo di un paziente con ascite, l'ispezione
addominale mostrer un addome disteso con appiattimento o estroflessione della cicatrice ombelicale. Alla
palpazione risulteranno positivi i segni del fiotto e del ghiacciolo mentre alla percussione potremo valutare
aree di ottusit per la presenza di liquido e aree timpaniche laddove sono presenti le anse intestinali
meteoriche; un aspetto particolare che queste aree cambiano sede in relazione dalla posizione assunta
dal paziente. Tuttavia questi aspetto obiettivi si manifestano quando il versamento peritoneale di entit
superiore ai 1500 ml. Quantit pi modeste di liquido ascitico sfuggono allesame fisico ma possono essere
confermata dallesame ecografico, il quale pu individuare quantit di liquido ascitico anche pari a 100mL (
versamento modesto). In tutte le situazioni di ascite alla prima comparsa e nei casi in cui la natura del
versamento sia dubbia, oppure nei casi in cui il paziente con ascite sia andato incontro ad un inspiegabile
deterioramento delle condizioni cliniche, indicata lesecuzione di una paracentesi esplorativa; questa
tecnica consiste nel prelievo del liquido ascitico mediante paracentesi. In seguito il liquido viene utilizzato
per valutarne le caratteristiche biochimiche; in particolare indicato il dosaggio dellalbumina e delle
proteine totali da cui si ottiene il gradiente siero-ascite dellalbumina (SAAG):

o SAAG > 1,1 gr/dl ipertensione portale.


o SAAG <1,1gr/dl altra eziologia (TBC, neoplasie).

Unimportante complicanza dell'ascite la peritonite batterica spontanea, ovvero linfezione del liquido
ascitico sostenuta dalla localizzazione di batteri generalmente Gram-negativi di origine intestinale
confermata dalla presenza di un numero di neutrofili > a 250/ml di liquido ascitico. Il motivo di questa
condizione la forte pressione nella circolazione entero-epatica e la perdita di funzionalit delle cellule
immunitarie epatiche che pu portare ad un aumento del rischio di infezioni anche del liquido ascitico.
La peritonite batterica spontanea una complicanza grave che richiede un trattamento d'urgenza. Per
questo indicato il trattamento antibiotico; la scelta dellantibiotico guidata da unaggiornata conoscenza
delle prevalenze relativo degli agenti eziologici delle infezioni in un particolare contesto
territoriale/ambientale.
Unaltra importante complicanza linsufficienza renale; circa un terzo dei pazienti affetti da peritonite
batterica sviluppa insufficienza renale acuta.

234
La terapia medica convenzionale dellascite non complicata prevede il riposo a letto (inibisce il sistema RAA
in ortostatismo), dieta iposodica, riduzione dellintroito di acqua a 1000 ml/die. In alcuni pazienti questo
regime terapeutico pu essere sufficiente a mobilizzare lascite. Se entro 4 gg non si raggiunta una
diminuzione del peso corporeo di almeno 1 Kg occorre aggiungere una terapia diuretica (spironolattone o
canrenoato di potassio + furosemide) controllando gli elettroliti sierici, la funzionalit renale e il peso
corporeo.
Lascite refrettaria si definisce quando resistente ad una settimana di terapia con la dose massimale di
Spironolattone (400 mg) e Furosemide (200 mg) o quando lascite non riesce a mobilizzarsi o quando non
pu essere trattata con la terapia medica convenzionale per la comparsa delle complicanze indotte dalla
terapia diuretica stessa. In questi casi si ricorre a paracentesi totali ripetute (max 2 al mese). La paracentesi
totale non va praticata in presenza di shock, grave e progressiva compromissione della funzione renale,
encefalopatia porto-sistemica severa o in caso di grave alterazione dellemostasi.

In caso di peritonite batterica spotanea, che pu essere anche una complicanza delle ripetute paracentesi
oltre che della stessa ascite, il trattamento di emergenza prevede linfusione di Cefotaxime 2 gr ev x 2
senza attendere il risultato dellesame colturale. Lefficacia della terapia va controllata ripetendo la
leucometria del liquido ascitico dopo 48 ore: se i PMN sono diminuiti del 25% si continua la terapia
altrimenti si modifica sulla base dellantibiogramma. A tale terapia si associa nei primi 3 giorni una terapia
infusionale con albumina 25% almeno 300 ml/due per prevenire linsufficienza renale e ridurre la mortalit.

Sindrome epato-renale
La sindrome epatorenale una condizione clinica caratterizzata da unalterazione progressiva di tipo
fulcronale del rene senza unevidenza causa organica. La sindrome epatorenale una risposta di difesa da
parte del rene alla marcata ipotensione conseguente alla vasodilatazione splancnica he si verifica per la
presenza in circolo dei fattori di vaso dilatazione non metabolizzati dal fegato cirrotico (circolazione
iperdinamica). Il rene per proteggersi risponde con unintensa vaso costrizione al livello dei nefroni della
corticale mediata dallattivazione del SRA. Perch si possa avere una sindrome epatorenale, la riduzione
degli epatociti deve essere massiva. Esistono delle condizioni che possono far precipitare e favorire la
comparsa di questa sindrome : in particolare le infezioni batteriche che nel cirrotico sono frequenti, le
emorragie gastrointestinali dovute proprio alla gastropatia congestizia alla formazione delle varici
gastroesofagee, paracentesi evacuative, soprattutto se ripetute e massive. Abbiamo due tipi di sindrome
epatorenale:
Tipo 1. Ha una rapida insorgenza, rapidamente ingravescente ed fatale per il paziente
Tipo 2. Meno grave, si viene a instaurare cronicamente e si ha nei pazienti che hanno una
riserva funzionale degli epatociti, quindi il fegato dal punto di vista necrotico non cos
compromesso.

I segni clinici della sindrome epatorenale sono: la contrazione della diuresi, la ritenzione di sodio,
iperazotemia, un obnubilamento del sensorio, astenia e alle emogasanalisi si pu avere un quadro di
acidosi con iperpotassiemia. Si ha inoltre unipotensione arteriosa e si pu arrivare fino al coma dovuto
allaumento dellammonio in circolo. Essendo alterata la funzione del rene aumenta anche lazoto ureico.

Per la diagnosi di sindrome epatorenale si hanno dei criteri diagnostici maggiori che devono essere
necessariamente presenti per fare diagnosi di questa malattia:
Epatopatia acuta o cronica
Sindrome iperdinamica circolatoria(possibili effetti pari a quelli della sindrome iperdinamica da dati
da cause esterne, farmacologiche: eccesso di diuretici)
Ridotta velocit di filtrazione glomerulare, con una creatinina >1,5 o una clearance della
creatinina<40.

Criteri minori per la diagnosi sono:


Volume urinario < 500 ml
235
Iposodiemia
Osmolarit urinaria maggiore di quella plasmatica.
Si devono escludere altre cause che possono portare ad un danno renale, quindi assenza di shock,
infezione, farmaci nefrotossici oppure perdita di liquidi.

La terapia consiste nella sospensione dei diuretici e la riespansione del volume plasmatico con soluzione
fisiologica 1500 cc per escludere IRA pre-renale. Si controlla il volume dellascite con una paracentesi
evacuativa con riespansione del volume plasmatico con albumina. Si somministrano quindi vasocostrittori e
albumina in dosi generose. La TIPS prolunga la sopravvivenza di questi pazienti ma sono disponibili pochi
dati dalla letteratura scientifica. Il trapianto di fegato il trattamento di scelta perch cura la malattia
epatica ripristinando la funzione renale. Purtroppo la maggioranza di pazienti con SER tipo 1 muore in
attesa di trapianto. In questottica, limpiego dei vasocostrittori+albumina, allungando la sopravvivenza,
pu permettere di giungere al trapianto.

Encefalopatia epatica
Lencefalopatia epatica una sindrome neuropsichiatrica caratterizzata da alterazioni dello stato di
coscienza, del comportamento della personalit e da anomalie neurologiche ed elettroencefalografiche che
conseguono ad una condizione di insufficienza epatica.
Lencefalopatia epatica si distingue in:
Tipo A: associata ad insufficienza epatica acuta;
Tipo B: associata alla formazione di shunt porto-sistemici senza la presenza di cirrosi;
Tipo C: associata alla formazione di shunt port-sistemici in presenza di cirrosi.

Lencefalopatia epatica rappresenta inoltre la complicanza pi temibile della TIPS; per un paziente cirrotico
con ipertensione portale, laddove questo abbia gi sviluppato una encefalopatia epatica non si pu riccoere
alla TIPS.

Lencefalopatia associata a cirrosi dovuta essenzialmente alle sostanze di natura azotata e a causa della
circolazione iperdinamica che si verifica in questi pazienti a causa delle alterazioni vascolari epatiche.
Lencefalopaia secondaria ad insufficienza epatica acuta si crea invece per uno squilibrio fra i
neurotrasmettitori a funzione eccitatoria (che aumento) e quelli a funzione inibitoria GABAergica (che si
riducono) e alcune sostanze possono modulare il complesso recettoriale che lega il GABA e far entrare Cl-
nel neurone, determinando uniperpolarizzazione con neuro-inibizione.
Alcuni fattori esterni possono influenzare linsorgenza dellencefalopatia. importantissimo che il paziente
cirrotico non sia stitico, per evitare il ristagno delle sostanze tossiche che a livello del retto vengono
riassorbite in circolo. Le emorragie digestive a livello soprattutto delle varici esofagee possono essere causa
di encefalopatia epatica. Altre cause di insorgenza sono le infezioni, una terapia diuretica eccessiva,
leccessivo introito alimentare di proteine e i farmaci, come le benzodiazepine.

A seconda dellandamento clinico dellencefalopatia epatica distinguiamo diverse forme:


- Clinicamente manifesta o subclinica, alterazioni neuropsichiche evidenziabili ai test psicometrici.
- Acuta episodica: rari episodi, fattori precipitanti,regrediscono con terapia adeguata.
- Cronica ricorrente: episodi frequenti, spontanei senza causa scatenante.
- Cronica permanente: alterazione neuropsichica costante, non risposta alla terapia medica.

Invece, a seconda della gravit delle manifestazioni cliniche si distinguono 4 gradi di encefalopatia epatica:
- Grado I: lieve confusione e disorientamento, disturbi della personalita, cambiamenti dell umore,
alterazione ritmo sonno-veglia.
- Grado II: accentuazione dei sintomi precedenti ( disartria, riflessi ipoeccitabili).
- Grado III: marcata alterazione dello stato di coscienza. Pz risvegliabile agli stimoli verbali e
sensoriali (riflessi ipereccitabili, segno di Babinski, rigidit muscolare).
- Grado IV: coma, decerebrazione.
236
In corso di encefalopatia di III e IV grado pu verificarsi un edema cerebrale per aumento di acqua
allinterno degli astrociti, rigonfiamento degli stessi con danno irreversibile, attraverso:
- meccanismo citotossico: mediato dalla pompa NA-K ATPasi dipendente.
- meccanismo vasogenico: per aumento della permeabilit della barriera ematoencealica.

La diagnosi si esegue in primis con lanamesi e lesame obiettivo. Una storia di epatopatia cronica in un
paziente con alterazioni dello stato di coscienza, fetor hepaticus, ittero, flapping trmor/asterix fortemente
suggestiva di unencefalopatia epatica. Dal punto di vista laboratoristico potremmo osservare invece
unalterazione degli indici di funzionalit epatica, renale, talvolta associata ad alterazioni elettrolitiche;
caratteristica invece liperammoniemia (normale nel 50% dei casi).
sempre indicato eseguire una TC cranica per escludere altre cause. Ledema causa un aumento della
pressione endocranica, a cui segue un insulto ischemico che provoca erniazione uncale e cerebellare,
condizione mortale. In questo caso il paziente sar agitato, disorientato, bradicardico fino alla depressione-
arresto respiratorio. Dobbiamo, per, differenziare con altre cause di ipertensione endocranica, come
tumori cerebrali (fare TC o RMN), infezioni cerebrali (fare coltura del liquor), encefalopatie tossiche (fare
esami di laboratorio).
Utili nelle forme minime lEEG , anche se non specifica, ed i test psicometrici.

In un paziente con encefalopatia epatica in stadio 3 e 4 necessario ricorrere ai seguenti trattamenti:

1. Clistere di pulizia
2. Infusione mediante sondino nasogastrico di lattulosio, Paromicina e Rifaximina per inibire la flora
ammoniogenetica sia aerobia che anaerobia;
3. Nutrizione parenterale;
4. Flumazenil (Anexate)
5. Mannitolo: non va utilizzato in presenza di segni di edema cerebrale.

In presenza di EPS cronica necessario invece ridurre i substrati ammoniogenetici con una dieta
ipoproteica e preferendo proteine vegetali e somministrare giornalmente lattulosio per favorire
evaquazioni giornaliere.

237
Gestione del paziente critico dal punto di vista del rianimatore
(prof. De Blasi)

Il paziente critico un pz che ha una problematica acuta potenzialmente reversibile. La condizione di


reversibilit fondamentale per poter differenziare un paziente critico da uno morente. La reversibilit di
condizione clinica indica che la funzione fisiologica di quellorgano soggetta ad essere temporaneamente
sostituita. Se quella funzione non sostituibile, temporaneamente o in assoluto, esce fuori dallarea critica
e ci si occupa di un altro settore che quello del fine vita.

Dal medico durgenza al rianimatore


In generae, il livello di monitoraggio/assistenza necessario per il paziente critico determinato dalla
patologia sottostante, da eventuali comorbilit, dalla risposta alla rianimazione precoce e dalle probabilit
di deterioramento. La maggior parte dei questi fattori viene valutata in corso di monitoraggio.
Fondamentale in questo passaggio il riconoscimento di un certo livello di criticit che richieda
linterventodel rianimatore ed eventualmente il ricovero in area critica.
Non esistono tuttoggi criteri definiti per lintervento del rianimatore n per il ricovero in Terapia Intensiva.
possibile tuttavia suggerire criteri di supporto delle varie funzioni dorgano che richiedano lattivazione
del rianimatore per iniziare un percorso di monitoraggio e supporto avanzato.

Lapproccio intensivistico al paziente critico diverso da quello clinico. Dal punto di vista clinico, se
agiamo su una condizione cronica di un pz, lapproccio alla storia del paziente infatti fondamentale,
primario, perch si agisce su quella storia. Nellambito della criticit, si inverte lordine: bisogna anzitutto
comprendere la condizione critica attuale e successivamente indagare dal punto di vista anamnestico.
In particolare, poich fisiopatologicamente criticit sinonimo di insufficienza dorgano, lapproccio al
paziente critico prevede di conoscere lorgano che temporaneamente insufficiente e agire, laddove
possibile1, con gli strumenti adatti per poter vicariare la sua funzione.

Per poter valutare il grado di insufficienza di un organo sono stati realizzati numerosi sistemi di valutazione;
uno di questi ad esempio il SOFA (Sequential ORgan Failure Assesment) o il LODS (Logistic Organ
Dysfunction Score); questi score valutano linsufficienza di 6 organi principali:

SNCvalutato tramite il grado di risposta neurologica ( Glasgow coma score)


Apparato Respiratoriovalutato nella funzione polmonare cio quella dello scambio di ossigeno
Apparato Cardiocircolatoriovalutato come capacit di sviluppare pressione , quindi come valori
pressori
Apparato escretore-renalevalutato con diuresi e aumento creatinina
Funzionalit Epaticavalutato con aumento della bilirubina, che un indicatore non molto
affidabile perch sappiamo che l aumento della bilirubina pu essere dato da altri fattori che non
configurano l insufficienza epatica)
Sistema ematologico che si riferisce alle piastrine numero piastrine

Questo sistema di valutazione schematico, semplice, adottato e ripreso nella definizione del 2015 dei
criteri si sepsi e shock. Pu servire per vedere levoluzione dell insufficienza, per poter inquadrare le
insufficienze dorgano nel pz critico e quindi stabilire anche cosa dover sostenere temporaneamente.
Questo aiuta poi per poter inquadrare lanamnesi e capire cosa ha predisposto alla criticit.

1
Questo un punto cruciale perch potremmo anche trovarci in un ospedale dove non abbiamo gli strumenti per
sostituire quella funzione e questo ci deve indirizzare a dover chiamare immediatamente la struttura che invece
attrezzata e prevedere quindi il trasporto del pz.
238
Insufficienza dorgano: MOF e MODS
Il concetto di MOF (Multi Organ Failure) stato esposto per la prima volta in un articolo pubblicato nel
1973; gli autori erano due chirurghi che studiarono i pazienti con pancreatite acuta che sviluppavano
multiple insufficienze dorgano. Questi chirurghi notarono che la sopravvivenza di questi pazienti era legata
al numero di organi che andavano incontro ad insufficienza.
La conclusione era quindi questa: pur partendo tutti da una singola patologia (pancreatite), si sviluppavano
alterazioni della funzione di alcuni organi, alcune potenzialmente reversibili, che combinandosi insieme
davano luogo a una impossibilit di sopravvivenza. Si stabiliva, quindi, una interrelazione tra i vari sistemi
come se un organo agisse procurando il danno di un altro organo, e questa interrelazione dava luogo infine
alla mortalit. Ad esempio il pancreas con gli enzimi dava un danno al cuore e il cuore poi per una
ipoperfusione procurava danno ad altro organo con risultato che questi pz morivano di pi.

Dalla fine degli anni 90 si visto che le cose non stano proprio cosi, e infatti la sigla MOF stata trasformata
in MODS ( Multiple Organ Dysfunction Syndrome ). La differenza sta nel riconoscimento del fattore
infiammazione come causa sistemica dellinsufficienza dorgano: uninfiammazione sistemica che altera il
microcircolo di tutti gli organi d luogo a unalterazione della funzione dorgano. Di conseguenza, le
insufficienze dorgano non per forza devono susseguirsi essendo una la causa dellaltra, ma possono essere
contemporanee, proprio perch linfiammazione agisce sistematicamente su tutti gli organi
contemporaneamente.

Errori diagnostici
Data la rapidit, richiesta nelle condizioni di urgenza/emergenza, nella definizione della diagnosi, sono
numerosi i casi di errata diagnosi. Chi si interessato dei processi che danno luogo agli errori diagnostici ha
classificato gli errori che possono insorgere in tre categorie:

1. Errori inevitabili dovuti a:


a. una presentazione inusuale della malattia.
b. un caso mascherato da un quadro clinico pi eclatante. 1
c. mistificazione del paziente.
2. Errori collegati al sistema:
a. errori tecnici, dovuti a degli aspetti diagnostici, strumentali, che possono essere rilevati in
maniera errata, cio dovuti a un errato monitoraggio del pz che d luogo a risultati errati.
b. errori dei flussi organizzativi.
3. Errori cognitivi che riguardano:
a. le conoscenze del medico;
b. ingresso dei dati che abbiamo
c. Difficolt nel fare una sintesi.

Chi si occupato degli errori diagnostici ha anche delineato due tipologie di approccio da cui scaturiscono
gli errori diagnostici; schematicamente questi approcci sono:

1. Approccio veloce intuitivo: un approccio che prevede uno stato non analitico, non analizzo tutti i
dati, vado di intuito, in maniera poco cosciente. basato sull esperienza e sui fatti gi sperimentati
per cui si pu approcciare cos il paziente. Pu essere definito un approccio olistico, cio che parte
da un presupposto gi conosciuto.

1
Recentemente ho fatto da reviser di un articolo che metteva in luce che nei soggetti anziani che vengono in PS
normalmente con BPCO in fase acuta, quindi con criticit, ci pu essere anche una meningite associata. Questa
meningite pu essere mascherata dalla condizione di BPCO riacutizzata, di polmonite ad esempio, e quindi larticolo
metteva in evidenza che bisogna pensare a diagnosi mascherate da un quadro pi eclatante.
239
2. Approccio analitico: un approccio pi cosciente che prende in esame una serie di fattori che
vengono collegati tra di loro, ma rispetto al precedente richiede pi tempo per giungere ad una
diagnosi.

Ovviamente tra questi due modi, estremi, ci sono molti modi intermedi di approccio.
Pensando che il primo approccio potesse costituire una fonte di errore maggiore, ci si impegnati a
potenziare la seconda modalit di approccio al paziente attraverso queste strategie forzate di conoscenza:
le check-list o le linee guida.

Uno studio olandese ha seguito i medici di PS a seguito dellintroduzione di una check-list governative
riguardo lEmbolia polmonare, con passibilit di denuncia nel caso in cui non lavessero seguita. Questo
studio dimostr come lerrore diagnostico per lembolia era pari a circa il 30%, quindi molto elevato. Il
motivo di questa elevata percentuale di errore era legata al fatto che i medici tra loro intendevano
diversamente il sintomo della dispnea. Questo studio ha quindi messo in evidenza che un problema
importante riguarda lomogeneit delle conoscenze dei medici di pronto soccorso.

240
Terapia del dolore
(prof. Arcioni)

Secondo la definizione della IASP (International Association for the Study of the Pain), il dolore
unesperienza emotiva e sensoriale non piacevole associata ad un danno tissutale, reale o potenziale, o
descritta in termini di tale danno.
Quindi, secondo questa definizione, il dolore non pu essere descritto solo come un fenomeno sensoriale,
bens deve essere visto come la composizione di (1) una parte percettiva (la nocicezione) che costituisce la
modalit sensoriale che permette la ricezione ed il trasporto al sistema nervoso centrale di stimoli
potenzialmente lesivi per lorganismo e (2) di una parte esperienziale (quindi del tutto privata, la vera e
propria esperienza del dolore) che lo stato psichico collegato alla percezione di una sensazione
spiacevole. Il dolore viene quindi esperito sia come una sensazione fisica, che comporta appunto il
coinvolgimento degli organi di senso e che quindi intesa come cosciente consapevolezza di uno stimolo
doloroso, sia come esperienza emozionale, percepita a livello cognitivo come intensa sensazione
spiacevole, sgradevole , di sconforto, che porta ad un comportamento reattivo.
Il dolore quindi da considerarsi globalmente come esperienza multidimensionale, strettamente correlata
alla dimensione affettiva e cognitiva e dipendente in parte anche dalle esperienze passate, dalla struttura
psichica e da fattori socio-culturali.
Negli ultimi anni sono aumentate le pubblicazioni di genetica riguardo il dolore; stato scoperto che gli
aplotipi di alcuni geni coinvolti nella percezione del dolore (es. COMT, OPRM1 e GCH1) sono correlati con
una maggiore percezione del dolore e soprattutto con la sua cronicizzazione. Quindi nella definizione del
dolore bisogna aggiungere anche la componente genetica che incide soprattutto sulla modalit di
percezione. La distribuzione di questi aplotipi nel nostro emisfero mostra una grande diffusione tra il Corno
dAfrica e lArabia Saudita mentre molto minore nei paesi Scandinavi. In Italia la diffusione di questi
aplotipi del 7-10%.
Uno studio su 202 volontari di sesso femminlie riguardo il dolore causato dai disturbi dellarticolazione
temporo-mandibolare ha dimostrato che una distribuzione della variabilit dellaplotipo COMT simile a
quella della distribuzione del dolore: i pazienti con una bassa percezione del dolore aveveno una minore
frequenza di questo aplotipo mentre al contrario i pazienti pazienti che avevano una maggiore percezione
del dolore avevano anche una maggiore frequenza dellaplotipo COMT.
Un altro studio su 168 soggetti post-operatorio di razza caucasica, ha mostrato che i pazienti con laplotipo
GCH1 avevano una minore incidenza della cronicizzazione del dolore acuto post-operatorio.

Classificazione del dolore


Una prima importante distinzione del dolore si basa sulla durata della percezione dolorosa:

Dolore acuto: causato da uno stimolo nocicettivo (dolore nocicettivo) dovuto ad un danno tissutale
in atto; in questa forma di dolore, la causa per lo pi identificabile quindi rappresenta sempre un
sintomo; inoltre, esiste buona localizzazione da parte del paziente, concomitano ansia ed attivit
adrenergica.
Dolore cronico: causato da un danno nervoso (dolore neuropatico); si definisce come tale il dolore
che persiste per pi di 3 mesi. A differenza del precedente mal definito e inoltre il dolore cronico
viene considerata come una malattia poich il dolore cronico compromette i fattori che
definiscono lo stato di salute (secondo lOMS): i pazienti con dolore cronico hanno infatti una
compromissione della vita di relazione, della sfera psichica e fisica.

Quindi Dolore Acuto e Dolore Cronico sono due entit patologiche ben distinte, non solo temporalmente,
ma anche dal punto di vista patogenetico, presentando differenze riguardo alla capacit o meno, da parte

241
dellorganismo, di riportare alla normalit afferenze sensoriali ed eventi abnormi scatenati nel SNC
(capacit o meno dellorganismo di recuperare una condizione fisiologica).

La classificazione del dolore dal punto di vista fisiopatologico distingue invece:

Dolore nocicettivo: un dolore somatico e viscerale che proviene dallattivazione dei nocicettori.
Questo dolore termina con la fine dello stimolo dolorifico.
Dolore neuropatico: un dolore che proviene da una struttura in cui c un danno della
componente nervosa.
Dolore misto: una tipologia molto frequente ed caratterizzato da entrambe le componenti.

Vie del dolore e aspetti farmacologici


Il dolore viene trasmesso attraverso diverse stazioni nocicettive; ad ogni livello il dolore pu subire una
modulazione in senso positivo o in senso negativo.
Il primo livello della percezione dolorifica a livello periferico rappresentato dai recettori periferici deputati
alla percezione di questi stimoli (o nocicettori); questi sono rappresentati da terminazioni nervose libere
localizzate delle diverse parti del corpo in grado di captare modificazioni chimiche, termiche e meccaniche
nei tessuti. La caratteristica dei nocicettori quella di rispondere a stimoli di alta intensit; ad esempio uno
stimolo pressorio viene recepito dai meccanocettori quando ha una bassa pressione e dai nocicettori
quando elevate con il risultato di percezioni diverse.
A questo livello periferico, in caso di un danno tissutale la rottura delle cellule determina la fuoriuscita delle
sostanze presenti allinterno delle cellule formando la cosiddetta minestra infiammatoria costituita da
purine, 5-HT, istamina, H, NGF, K, noradrenalina, prostaglandine, bradichinina, leucotrieni, citochine,
neuropeptidi. Queste sostanze, oltre a causare infiammazione della zona in cui c stato il trauma,
determinano quella che viene definita sensibilizzazione periferica dei recettori; esistono due forme di
sensibilizzazione periferica dei recettori causata dalla minestra infiammatoria:
Allodinia: si definisce come un dolore evocato da uno stimolo che normalmente non provoca
dolore;
Iperalgesia: condizione in cui uno stimolo lievemente doloroso evoca un dolore molto intenso.
La sensibilizzazione si verifica perch un nocicettore che scaricava, in condizioni di normalit, ad una
determinata pressione, pH o temperatura, in un tessuto infiammato abbassa la soglia di scarica poich
viene sensibilizzato dalla minestra infiammatoria.

I nocicettori sono le terminazioni delle fibre afferenti primarie che portano i segnali nocicettivi al midollo
spinale. Per gli stimoli dolorifici esistono due tipi di fibre afferenti primarie:

Fibre C: sono fibre di piccolo diametro e amieliniche e la loro velocit di conduzione bassa (0,5-2
m/s). Queste fibre sono attivate principalmente da una classe di recettori chiamati polimodali, in
quanto attivati da tre modalit (meccanica, termina e chimica). La risposta di queste fibre cresce
allaumentare dellintensit dello stimolo e il loro campo recettivo molto piccolo, nellordine di
pochi millimetri quadri.
Fibre A sono invece di medio diametro e mieliniche con una velocit di conduzione superiore
nettamente superiore (12-30 m/s). Esse sono associate a due tipi di nocicettori: tipo I e tipo II. Il
tipo I ha una soglia alta sia per gli stimoli meccanici sia per quelli termici, un lento adattamento e
2
campi recettivi piccoli (1-8 cm ). Il tipo II ha una soglia pi bassa, campi recettivi pi piccoli e si
adattano pi rapidamente.

Allinterno di un fascicolo le fibre del diametro maggiore si trovano nella parte centrale mentre quelle con
un diametro pi piccolo sono presenti alla periferia. Affinch un anestetico locale agisca il farmaco deve
entrare allinterno del nervo fino a bagnare tutte le fibre; questo spiega perch quando si inietta un
anestetico su un grosso nervo il paziente perde per prima la sensibilit termica e dolorifica e solo

242
successivamente insorge la paralisi motoria; infatti, le prime a ricevere il farmaco saranno quelle pi
periferiche (fibre C) mentre quelle pi grandi (fibre A e motorie) impiegheranno pi tempo.

Le fibre sensitive hanno il loro corpo cellulare a livello del ganglio dorsale (DRG); lassone di queste cellule
entra nel midollo spinale attraverso le radici posteriori e terminano sui neuroni delle corna dorsali.
I nuclei delle corna posteriori sono organizzati in diverse lamine e le fibre sensitive, in base al tipo di fibra e
al tipo di stimolo, terminano su lamine specifiche: le fibre A e C, che provengono dai nocicettori,
terminano su quelle pi periferiche, mentre le fibre che provengono dai recettori sensitivi terminano in
lamine diverse in quanto sono fibre che seguono vie differenti.
A livello delle corna posteriori si formano quindi sinapsi tra il primo e in secondo neurone. In questa sinapsi
esistono recettori presinaptici e postsinaptici che sono il bersaglio di alcuni farmaci analgesici. A livello
presinaptici sono presenti i recettori , , (recettori per gli oppioidi), recettori 2-adrenergici ( la
clonidina, un antipertensivo agendo a questo livello ha un effetto di modulazione anche sul dolore) e
recettori per la serotonina (il tramadolo oltre ad avere unazione sui recettori ha anche un effetto sui
regettoriper la serotonina). Sul versante postsinaptico sono presenti i recettori per il glutammato NMDA e
AMPA. Il recettore NMDA normalmente non attivo in quanto il canale bloccato dal Mg. Gli stimoli
postsinaptici sono veicolati invece dai recettori AMPA attivato dal glutammato rilasciato dalle fibre
sensitive; quando per gli impulsi sono continui e di forte intensit, il sodio che entra per mezzo dei canali
AMPA modifica la polarit allinterno del neurone postsinaptico e si ha la perdita del blocco del magnesio
con attivazione anche del canale NMDA. Questo quindi un recettore che si attiva molto lentamente ma
quando si attiva torna molto difficilmente nello stato di quiescenza; dunque il recettore NMDA coinvolto
nel dolore cronico. Lunico farmaco antagonista di questo recettore che abbiamo a disposizione la
chetamina.

Dal corno posteriore origina lassone che decorre, dopo decussazione immediata, nel cordone anteriore
controlaterale formando le vie ascendenti della via sensibilit dolorifica; queste sono il fascio neospino-
talamico e il fascio paleospino-talamico. A livello del talamo prendono contatto con i nuclei ventrali
posteriori e mediali. I nuclei ventrali posteriori proiettano allaria somatosensoriale dello stesso lato e
questa proiezione responsabile delle capacit discriminative del dolore quale la localizzazione, la durata e
lintensit. I nuclei ventrali medi del talamo proiettano alle strutture del sistema limbico e sono responsabili
della componente affettiva-emotiva del dolore.

Esistono poi dei sistemi discendenti di controllo del dolore, che partendo dalla corteccia, dallipotalamo, dal
ponte e dal mesencefalo, arrivano al corno posteriore del midollo spinale (modulazione), per cui il grado di
percezione del dolore in funzione dellinterazione tra tali sistemi, di trasmissione e di modulazione
antinocicettivo. La morfina attiva i recettori degli oppiodi presenti a livello della sostanza grigia
periacqueduttale da dove originano le fibre discendenti aumentandone leffetto antinocicettivo.

243
Analgesici
I farmaci analgesici che eliminano e attenuano la sensibilit al dolore senza leliminazione della coscienza. I
farmaci analgesici vengono suddivisi, a seconda della sede della loro attivit, in analgesici ad azione
centrale e analgesici ad azione periferica.

I farmaci analgesici ad azione centrale sono:

Paracetamolo: agisce inibendo lazione della ciclossigenasi (COX), enzima deputata alla sintesi delle
prostaglandine a livello del SNC mentre non inibisce la sintesi di prostagliandine nei tessuti
periferici. Linibizione della sintesi delle prostaglandine nel SNC, il meccanismo con cui il
paracetamolo esercita lazione antipiretica, mentre solo debolmente responsabile della sua
azione analgesica. Lazione analgesica svolta mediante altri meccanismi sempre a livello del SNC;
in particolare il paracetamolo interagisce con il sistema serotoninergico che presiede alla
modulazione del dolore, interagisce con il sistema dei cannabinoidi in particolare a livello dei
recettori CB1 e, infine, interagisce con il sistema oppioide endogeno a livello spinale e sovraspinale.
Grazie allelevato rapporto beneficio/rischio, il paracetamolo il farmaco di prima scelta nel
trattamento del dolore lieve-moderato. Il paracetamolo presente in diverse formulazioni:
o OS: la dose singola per via orale di 60-80 mg/kg/die da suddividere in 4-6
somministrazioni di 15 mg/kg in 6 ore 1000 mg ogni 6 ore la dose analgesica ottimale
nelladulto (classica Tachipirina 1000). Nel bambino la dose stard di 20 mg/kg poi 15
mg/kg ogni 6 ore (classica Tachipirina 500). Lintervallo tra due somministrazioni non deve
essere inferiore alle quattro ore.
o Via rettale: la dose quotidiana raccomandata approssimativamente di 20 mg/kg ogni 6
ore. Per la via rettale, una recente metanalisi ha dimostrato una pari efficacia alla
formulazione orale nel trattamento della piressia; non ci sono studi per il dolore;
o EV ( Perfalgan): molto utilizzato nei reparti. La dose massima di 15 mg/kg/6 h infusa in 15
min. In chirurgia pediatrica la dose endovena la stessa. Molto utilizzato nel trattamento
del dolore post-operatorio.
Alle dosi terapeutiche il paracetamolo un farmaco dotato di ottima tollerabilit e con un indice di
sicurezza superiore ai FANS in quanto non inibisce la sintesi di prostaglandine periferiche.
Oppioidi: sono analgesici centrali. A livello spinale, inducono lattenuazione degli impulsi sensoriali
dolorifici afferenti alle corna posteriori del midollo agendo sui recettori presinaptici , , ; a livello
sopraspinale, attivano le fibre inibitrici discendenti adrenergiche e serotoninergiche e reclutano gli
interneuroni spinali che hanno azione inibitoria sulle cellule del corno posteriore dove giungono gli
stimoli dolorosi. Infine, gli oppioidi inibiscono a livello spinale la liberazione di sostanza P dalle
terminazioni nocicettive afferenti con un meccanismo di inibizione presinaptica.
Questi farmaci sono classificati anche come
o LAO long acting opioid (rilascio prolungato per via orale o transdermica)
o IR immediate release (rilascio immediato per via orale)
o ROO rapid opioid onset (rilascio immediato per via transmucosale).
I principali oppioidi utilizzati sono cos classificati:
Codeina: un profarmaco che nel fegato viene metabolizzato dal Cyp2D6
e viene trasformato in morfina. Non provoca euforia. Esistono diverse
isoforme di questo Cyp che ne influenzano lefficacia di questo farmaco
(ridotta nei metabolizzatori lenti) e gli effetti collaterali (metabolizzatori
Oppioidi deboli ultrarapidi). La formulazione farmaceutica della codeina presente solo in
associazione con il paracetamolo (Codeina 30 mg + Paracetamolo 500 mg).

Tramadolo: ha unazione centrale, agendo sul recettore , e sopraspinale,


modulando le vie discendenti. Ha minore effetto sulla depressione
244
respiratoria e sulla stipsi. Lazione analgesica molto inferiore rispetto a
quella della morfina. Necessita di aggiustamenti della dose negli anziani di
et superiore ai 75 anni, nei pazienti con disfunzioni renali ed epatiche.

Buprenorfina: Oppioide semisintetico, agonista parziale recettori . Ha


una potenza analgesica 50- 60 volte superiore a morfina. Gli effetti
collaterali sono la depressione respiratoria, la nause, il vomito, le vertigini
e la stipsi.
Morfina: pi conosciuto e disponibile. Oltre alleffetto analgesico, la
morfina provoca un marcato senso di euforia e benessere, che deriva
anche dalla rimozione della componente emotiva del dolore. Esistono varie
formulazioni per via orale, a pronto e lento rilascio, e parenterale. Il tempo
di onset analgesica di 5-10 min nella infusione endovenosa. La durata
dazione di 3-4 ore. La dose totale giornaliere per il paziente adulto deve
essere calcolata in relazione allet del paziente.

Metadone: si caratterizza per un effetto aggiuntivo sul recettore NMDA.


Oppioidi forti
Fentanyl: 100 volte pi potente della morfina. Esiste una formulazione
endovenosa, transdermica e transmucosale.

Ossicodone: Oppioide semisintetico derivato della tebaina, agonista dei


recettori e k. Lossicodone mostra una migliore biodisponibilit orale
rispetto alla morfina per questo la dose necessaria dimezzata.
sperimentato anche per il dolore neuropatico. formulato in
combinazione con il paracetamolo in formulazione a lento rilascio.

Gli effetti indesiderati degli oppioidi sono:


1. Depressione respiratoria: inevitabile, legata alla stimolazione dei recettori 2 della stessa
classe di quelli che provocano analgesia. La depressione centrale, come spiega la perdita
della sensibilit alla CO2 ma non alla PO2, che uno stimolo periferico. In contrasto con gli
anestetici e gli altri depressori centrali, la depressione respiratoria non accompagnata
dalla depressione cardiovascolare. E comunque leffetto indesiderato pi pericoloso di
questi farmaci comunque dose-dipendente e modesta ai dosaggi terapeutici
2. Depressione del riflesso della tosse
3. Nausea e vomito: chemostimolante centrale della CTZ, la morfina provoca vomito in circa il
40% dei pazienti che la assumono.
4. Miosi: importantissimo effetto dal punto di vista della diagnosi rapida dellabuso da farmaci
simili alla morfina, legato alla stimolazione dei recettori e nel nucleo oculomotore.
5. Costipazione: per aumento del tono della muscolatura intestinale pu portare
allocclusione intestinale.
6. Allucinazioni e disforia: per azione sui recettori ;
7. Aumento dellassuzione di cibo: per azione sui recettori ;
8. Rilascio di istamina dai mastociti: effetto non collegato ai recettori specifici, pu produrre
orticaria ed edema nel sito di inoculo o effetti sistemici di broncocostrizione e ipotensione.

I farmaci analgesici ad azione periferica sono:

FANS: sono un gruppo eterogeneo di composti con attivit antinfiammatoria, antipiretica,


analgesica (e antiaggregante piastrinica).
I FANS inibiscono lattivit delle Ciclossigenasi (COX), gli enzimi deputati alla sintesi delle

245
prostaglandine (importanti mediatori del dolore nelle aree in cui si verifia una reazione
infiammatoria), delle prostacicline e dei trombossani a partire dallacido arachidonico. Questo
meccanismo avviene in tutti i tessuti e cellule in cui siano espresse le ciclossigenasi.
Le COX esistono in due isoforme:
o COX 1: anche detta costitutiva in quanto sempre attiva. Sintetizza le prostaglandine che
contribuiscono a funzioni omeostatiche nel tratto gastrointestinale (mantenimento
dellintegrit della mucosa gastrica) e nel rene;
o COX 2: detta inducibile in quanto attivata da un processo infiammatorio; sintetizza le
prostaglandine che mediano dolore, tumefazione, danno tissutale.

Quando si scoperto che la ciclossigenasi presente in due forme si pensato che inibendo
selettivamente la forma indotta nell'infiammazione (COX 2) si potessero azzerare gli effetti negativi
dei FANS di prima generazione che agivano su entrambe le isoforme. Solo pi tardi si evidenziato
che gli effetti sul rene dei farmaci COX-2 selettivi sono uguali a quelli dei FANS tradizionali e gli
effetti gastrici sono minori, ma non azzerati, poich la COX-2, in realt, presente anche
costitutivamente sia nello stomaco sia nel rene. Inoltre, gli inibitori selettivi della COX-2 sono
gravati da effetti negativi sul sistema cardiovascolare perch, non possedendo l'effetto
antiaggregante legato alla COX-1, espongono a rischio di eventi tromboembolici. I principali effetti
collaterali dei FANS sono:

o Lesioni gastrointestinali: ulcere peptiche, perforazione o emorragia gastrointestinale;


o Alterazioni della funzionalit renale;
o Edema, ipertensione, eventi trombotici e insufficienza cardiaca congestizia;
o Broncospasmo: i pazienti asmatici sono una categoria particolarmente a rischio per questo
effetto indesiderato.
I FANS differiscono tra loro per il profilo di tossicit gastrointestinale. Alcuni FANS sono infatti
associati ad una maggior rischio di tossicit gastrointestinale rispetto ad altri.
I FANS si classificano in base alla loro struttura chimica:

Acido Acetilsalicilico (Aspirina): il capostipite dei FANS.


Leffetto antingiammatorio e antidolorifico si esplica solo per
dosaggi superiori ai 350 mg. Viene somministrato per os. Il
tempo di emivita di 15 min; viene idrolizzato ad acido
salicilico dalle esterasi plasmatiche. Nel sangue portale, prima
di essere idrolizzato dalle esterasi plasmatiche, lacido
acetilsalicilico interagisce con le piastrine inibendo la COX-1
impedendo la formazione di trombassano, giustificando
leffetto antiaggregante di questo farmaco; una volta che
lASA ha bloccato le COX1 delle piastrine queste non avranno
Derivati degli acidi carbossilici
la possibilit di generare di nuove e pertanto necessario che
una nuova piastrina venga generata. Lesclusivo effetto
antiaggregante si esplica al dosaggio di 100mg
(cardioaspirina).

Acido salicilico: ha propriet antinfiammatorie e


antidolorifiche come lASA ma non ha funzione
antiaggregante. Lacido salicilico molto meno potente
dellASA per cui saranno necessarie dosi comprese tra 350 e
650 mg ogni 6 ore.
Ibuprofene: il dosaggio di 600 mg x 3/die. il FANS meno
Derivati dellacido propionico
gastrolesivo tra i FANS.
246
Ketoprofene: il dosaggio di 0.5-1 mg/kg 2-3 vv/die.

Naprossene: oltre che ad inibire le COX inibisce direttamente i


neutrofili.

Sono indicati nel trattamento del dolore cronico e acuto.


Diclofenac: un farmaco con potente azione
antinfiammatoria e indicato nel trattamento del dolore acuto
e cronico. Non come antipiretico. Attenzione allinterazione
farmacologica con il Warfarin poich entrambi sono
metabolizzati dal Cyp2C9.

Ketorolac

Derivati dellacido acetico Indometacina: farmaco antinfiammatorio molto potente,


utilizzato nelle malattie infiammatorie articolari. Non si
utilizza come antipiretico tranne che nella febbre in corso di
linfoma di Hodgkin.

Sulindac: antinfiammatorio con azione minore rispetto a


quella dellindometacina; utilizzato nelle malattie
infiammatorie articolari e nella dismenorrea. poco tossico
per il rene perch viene inattivato dalla FMO1.
Nimesulide: il FANS pi venduto. Rispetto ad altri
Sulfonamilidi componenti della stessa classe terapeutica la nimesulide
presenta il maggiore tasso di reazioni epatotossiche.

In linea generale nella terapia del dolore ci sono una serie di farmaci che possono essere utilizzati con
unazione analgesica diretta o azione indiretta detti adiuvanti. Alcuni di questi farmaci comprendono: BDZ,
ATC, SSRI, anticonvulsivanti (questi sono i pi utilizzati), corticosteroidi, antagonisti NMDA.

Secondo lOMS, la flowchart dellanalgesia la seguente:


1. Primo livello terapeutico: Paracetamolo o FANS
2. Secondo livello terapeutico: Oppiacei deboli od oppiacei forti a bassi dosaggi
3. Terzo livello terapeutico: Oppiacei forti

E molto importante scegliere il farmaco pi adeguato in base al tipo di dolore del paziente
(acuto/cronico/a pouss); se il dolore fosse constante basterebbe prescrivere un farmaco a rilascio
controllato, ma non sempre cos, ci sono infatti dei dolori di fondo che improvvisamente si acutizzano;
molto importante avere a disposizione un farmaco che pu essere somministrato immediatamente quando
c il picco del dolore.
Il dosaggio dei farmaci molto indicativo poich per ogni paziente bisogna prendere in considerazione
tutte le variabili fisiologiche e fisiopatologiche; lindicazione per il trattamento con questi farmaci di
eseguire la titolazione del farmaco fino al raggiungimento della dose ottimale che riduca gli effetti
collaterali e permetta di ottenere il beneficio terapeutico.
Talvolta le cause del mancato successo nel trattamento del dolore sono dovute o ad una formulazione
errata, tentativo del paziente di sopportare il dolore, cause farmacodinamiche legate al principio attivo,
forma farmaceutica, modalit di somministrazione.

247
Anestesiologia

Il termine di anestesia include lassociazione dellipnosi, dellanalgesia e del rilassamento muscolare,


necessari per consentire lo svolgimento ottimale di interventi chirurgici o di altre tecniche interventistiche.
Gli anestesisti sono anche responsabili del mantenimento dellomeostasi del paziente durante intervento
chirurgico mediante il monitoraggio ed il trattamento delle variazioni che possono verificarsi a livello delle
funzioni cardiovascolari, polmonari, renali o neurologiche per riportarle ai parametri fisiologici.

Lanestesia terapeutica utilizza farmaci che agiscono a livello periferico o centrale per controllare lo stimolo
dolorifico e sensitivo e il movimento.

Anestesia locale
Nellanestesia regionale bloccata solo la conduzione nervosa che porta allarea chirurgica interessata. Ci
si ottiene mediane luso di anestetici locali iniettati in prossimit del midollo spinale (anestesia regionale
neuroassiale) o dei tronchi/nervi periferici (blocchi nervosi). Questa tecnica raggiunge uneccellente
analgesia e permette il rilassamento muscolare dellarea chirurgica.

I farmaci utilizzati nellanestesia locale bloccano la generazione e la propagazione degli impulsi in maniera
prevedibile e reversibile a livello delle sinapsi periferiche dei nervi misti (sensitivi, motori e vegetativi). La
caratteristica di questi farmaci la selettivit dazione nella sede di somministrazione, al contrario dei
farmaci utilizzati nellanestesia generale.
Poich questi farmaci non sopprimono la coscienza non sarebbe appropriato il termine di anestesia;
tuttavia poich questi farmaci inducono anche una paralisi muscolare temporanea e reversibile e un blocco
dei riflessi somatici e viscerali, per cui parlare di analgesia sarebbe limitante.
Il meccanismo dazione dei farmaci anestetici locali il blocco rapido, prevedibile e reversibile della
conduttanza al sodio dei canali ionotropi del glutammato, AChR, 5-HT3 delle sinapsi sensitive, dolorifiche e
motorie. Anche se con affinit molto minore, gli anestetici locali si legano anche ai canali del potassio ma
con effetto non determinante ai fini delleffetto.
Il blocco dei canali del sodio postsinaptici impedisce alla corrente rapida di sodio di indurre la
depolarizzazione del neurone; si tratta quindi di un blocco non depolarizzante, per alcuni aspetti analogo
a quello realizzato dai curarici a livello della placca neuromuscolare. Gli effetti elettrofisiologici che
susseguono alla comparsa del blocco sono:

1. Progressiva riduzione dellampiezza dei potenziali dazione del nervo (non delle singole fibre,
dato che il PDA un fenomeno del tipo tutto o nulla); il PDA del nervo si riduce mano mano
che le singole fibre vengono bloccate in numero sempre maggiore;
2. Riduzione della Vmax di depolarizzazione;
3. Innalzamento dei potenziali di soglia
4. Prolungamento della durata del periodo refrattario (per rallentamento della Vmax di
ripolarizzazione dovuta allazione antagonista degli anestetici sui canali del K).

A seconda della struttura molecolare, gli anestetici locali hanno modalit diverse di bloccare il canale del
sodio:

Composti ionici: rappresentano la maggior parte degli anestetici locali e si caratterizzano per essere
basi deboli: le proporzioni di catione e di base sono determinate dalla pKa della sostanza e dal pH
dellambiente in cui essa stessa si trova. Pi acida la soluzione, pi grande la concentrazione di
catione e minore quella di anestetico indissociato. Lanestetico locale per poter agire deve entrare

248
allinterno della cellula nervosa in quanto il sito di binding di questa classe di farmaci si trova sul
versante assoplasmico del canale del Na +; per poter attraversare la membrana lanestetico deve
essere nella forma indissociata poich elettricamente neutra (ma inattiva dal punto di vista
terapeutico). Una volta entrati nella cellula nervosa, il pH intracellulare (inferiore a quello esterno)
dissocia lanestetico e lo converte nella forma ionizzata (attivata) che si posiziona nel sito dazione;
qui il farmaco restringe il lume del canale e impedisce al sodio di attraversarlo o respinge le
molecole di sodio per repulsione elettrica.
Il legame avviene preferenzialmente ai canali che si trovano nella configurazione aperta o inattivata
e non quando a riposo; questo comporta il fatto che la stimolazione ripetitiva della fibra
determini linattivazione di un numero sempre maggiore di canali (fenomeno della dipendenza
duso).
Composti che inibiscono la conduzione nervosa ed agiscono sul lato esterno di membrana: la
tetrodossina e i suoi analoghi inibiscono il flusso di sodio mimando il catione sodio. In condizioni
normali, il legame tra il catione ed il canale sodio viene risolto in un nanosecondo; con la
tetradossina il legame permane per 10 secondi, tempo evidentemente eccessivo per la conduzione
nervosa. Di conseguenza al sodio viene negata la possibilit di entrare nella cellula e indurre
depolarizzazione. Tuttavia, questi farmaci non hanno alcun uso terapeutico per la loro tossicit e
per la scarsa lipofilia.
Composti non ionici: questi anaestetici elettricamente neutri si interpongono nel contesto del
bilayer lipidico di membrana con espansione volumetrica della membrana stesa e compressione ab
estrinseco del lume del canale e impedimento alla transizione di fase. Questo meccanismo tipico
degli anestetici come gli alcooli alifatici, la benzocaina e lalcool benzilico.

La struttura chimica degli anestetici locali caratterizzata da un gruppo lipofilo aromatico ed un gruppo
idrofilo aminico uniti da una catena intermedia di lunghezza variabile comprendente un legame estereo o
amidico.

Anestetici locali con estere Anestetici locali con amide

Cocaina Lidocaina
Benzocaina Prilocaina
Procaina Mepivacaina
Tetracaina Etidocaina
Cloroprocaina Bupivacaina

Il polo lipofilo responsabile del legame al recettore sul versante interno della membrana plasmatica
mentre il polo idrofilo consente una pi facile penetrazione e diffusione locale del farmaco.

Le principali caratteristiche degli anestetici locali sono:

Potenza anestetica: determinata principalmente dalla lipofilia dellanestetico che, come stato
detto, incide sulla capacit dellanestetico di attraversare la membrana plasmatica.
Durata dazione: in relazione con la capacit dellanestetico di unirsi alle proteine. Gli anestetici
locali che hanno un forte legame con le proteine e una lenta liberazione da questa avranno una
durata maggiore.

249
Periodo di latenza: determinato dal valore del pKa di ogni farmaco. La proporzione di AL non
ionizzato quando si inetta in un tessuto con un pH di 7,4 inversamente proporzionale al valore del
pKa dellanestetico.
Blocco differenziale: alcuni anestetici hanno la capacit di provocare un blocco prevalentemente
sensitivo, con minor interessamento motorio, dovuta ad un alto pKa. In questo modo sono
disponibili poche molecole nella forma non ionizzata in grado di attraversare le spesse membrane
lipidiche delle fibre mieliniche per sono sufficienti per attraversare le membrane delle fibre
nervose amieliniche.

I diversi tipi di fibre nervose differiscono per la sensibilit al blocco dellanestetico locale:

1. Le piccole fibre B, C e A bloccate prima di grandi fibre A, A, A.


2. Nei nervi mielinizzati (A, A, A) necessario che i canali del sodio di pi di 2-3 nodi di Ranvier
consecutivi siano bloccati per impedire propagazione dellimpulso (maggiore e il calibro, piu
distanti sono i nodi per questo le piccole fibre mielinizzate si bloccano prima);
3. I nervi mielinizzati sono piu sensibili al blocco da anestetico rispetto a quelli non mielinizzati di
calibro simile (fibre B vs fibre C)

Questa diversa sensibilit spiega la gradualit della comparsa delleffetto anestetico:

1. Aumento della temperatura cutanea e vasodilatazione (per blocco delle fibre B)


2. Perdita della sensazione alla temperatura e sollievo del dolore (blocco delle fibre C e A)
3. Perdita del tono muscolare (fibre A);
4. Perdita della sensazione del tatto e pressione (fibre A);
5. Perdita della motricit (fibre A).

Il recupero del blocco anestetico avverr in ordine inverso alla sua instaurazione.
Il blocco anestetico quindi un fenomeno graduale per cui conviene iniziare dalla concentrazione minima
necessaria ad indurre il blocco del canale del sodio (Cm) e valutare dopo 10 se questa sia stata efficacia. I
valori di Cm ricavati in vitro su un preparato di fibra sono generalmente pi bassi di quelli riscontrabili in
vivo a causa della presenza di involucri protettivi, della dispersione farmacocinetica del farmaco e
dellinterferenza con alcuni fattori fisiologici, come ad esempio il pH dei tessuti; come si visto, per gli
anestetici ionici quanto pi il pH alcalino tanto maggiore la quota di anestetico indissociata disponibile
per favorire il passaggio dellanestetico a livello della la membrana assonica. Quindi con un pH basico
lanestetico pi rapidamente diffusibile dunque la quota di farmaco da infondere minore; discorso
opposto quando presente un ambiente acido (es. in corso di uninfiammazione locale necessario
aumentare la dose dellanestetico, talvolta completamente inefficiente).
Uninterferenza addizionale sulla concentrazione efficace del farmaco data dallattivit vasodilatatrice nel
sito dinoculo: tutti gli anestetici hanno un effetto bifasico di vasocostrizione a bassissime dosi e
vasodilatazione a quelle terapeutiche (eccetto la cocaina che sempre vasocostrittrice). La vasodilatazione

250
aumenta il wash out del farmaco e ne riduce la potenza, la durata e lonset time. Per questo le
formulazione degli anestetici locali prevedono laddizione di un vasocostrittore per ridurre il wash out dal
sito di inoculo e produce un aumento della potenza e della durata del blocco ma anche una riduzione della
tossicit sistemica. Altri potenziali vantaggi delladdizione di un vasocostrittore sono le propriet
analgesiche intrinseche degli agonisti e la riduzione del sanguinamento. Il vasocostrittore non deve essere
utilizzato in ostetricia (rischio di ipoperfusione uterina), in pazienti cardiopatici (angina, sritime,
ipertensione), in pazienti ipertiroidei, in caso di cintemporaneo trattamento con i-MAO e infiltrazione di
aree somatiche prive flusso collaterale (dita, pene, anca spalla).

Sebbene vengano definiti locali, gli anestetici hanno un assorbimento sistemico. Lassorbimento sistemico
dipende da vari fattori:

1. Sito di inoculo: in scala decrescente lentit dellassorbimento sistemico


intercostale>epidurale>SC>subaracnoideo; il blocco intercostale richiede infatti molteplici iniezioni
e il picco ematico raggiunto maggiore; il sottocute invece intrappola lanestetico nel tessuto
adipos o e lo rilascia lentamente; lo spazio subaracnoideo infine virtualmente avascolarizzato e il
farmaco deve diffondere attraverso la dura madre; per la via IM dipende dalla quota di adiposit
del sito anatomico (es. gluteo>deltoide)
2. Dose: relazione pressocch direttamente proporzionale alla dose inoculata;
3. Presenza di un vasocostrittore: la vasocostrizione riduce la distribuzione sistemica del farmaco.
4. Propriet intrinseche dellanestetico locale: maggiore la liposolubilit del farmaco e minore
lassorbimento sistemico per il sequestro nel sito di inoculo.

Passato in circolo, il farmaco si distribuisce soprattutto a livello degli organi ad alto flusso. Gli anestetici si
legano con bassa affinit allalbumina ed elevata affinit all1-glicoproteina; per cui sono importanti i livelli
di questultima, che aumenta nella reazione di fase acuta come dopo un intervento chirurgico e sono bassi
invece nella sindrome nefrosica e nel neonato. Lorgano che effettua il maggiore uptake in questa fase il
polmone, in virt dellalto flusso ed elevata affinit. In questo modo il piccolo circolo funge da fattore
protettivo in caso di iniezione endovenosa accidentale. Successivamente, si ha la distribuzione a livello degli
organi con basso indice di perfusione e lorgano con il maggiore accumulo il muscolo per un fattore di
massa complessiva.
Nella fase finale gli anestetici subiscono la metabolizzazione e lescrezione. Gli anestetici con legame
intermedio amidico vengono metabolizzati dal fegato (attenzione ai pazienti con danno epatico o ridotta
gittata cardiaca). Gli anestetici con legame intermedio esterico vengono invece rapidamente metabolizzati
dalla pseudocolina esterasi plasmatica producendo acido paramminobenzoico (PABA), metabolita
caratteristico di questo gruppo e responsabile delle possibili reazioni allergiche. I metaboliti cos ottenuti
vengono escreti per via urinaria. La cocaina costituisce leccezione di questo gruppo perch viene
metabolizzata nel fegato e non produce PABA.

Gli anestetici locali a pi largo impiego clinico sono:

Bupivacaina: induzione dellanalgesia durante il parto e nel periodo post-operatorio;

251
Dibucaina: uso topico per la cute e/o mucose (trattamento sintomatico di prurito anale e genitale,
dermatiti da contatto, dermatosi acute e croniche; talvolta associati anche con glucocorticoidi o
antistaminici;
Benzocaina: Uso topico direttamente su ferite o superfici ulcerate (anestetico poco solubili e, di
conseguenza, poco assorbito);
Proparacaina: uso topico in oftalmologia;
Lidocaina: anestetico paranterale in pazienti con sindromi dolorose neuropatiche. Si pu
somministrare anche in forma cronica.
Mexiletina: anestetico utilizzato per os in pazienti con sindromi dolorose neuropatiche.

In sintesi, gli anestetici locali tipo esteri si utilizzano in applicazioni topiche e/o per infiltrazioni di tessuti. Gli
anestetici locali tipo amidi si possono somministrare per infiltrazione, blocco subaracnoideo, blocco
epidurale, blocchi di plessi o di nervi periferici.

Gli effetti collaterali degli anestetici locali sono locali e sistemici. La tossicit locale deriva dalleffetto
neurotossico e miotossico di questi farmaci quando vengono utilizzati ad alte concentrazioni poich sono in
grado di produrre morte neuronale.
Gli effetti collaterali sistemici interessano il sistema nervoso centrale e lapparato cardiovascolare e sono
conseguenti alla distribuzione sistemica del farmaco; tra gli effetti sistemici rientrano anche le reazioni
anafilattiche. Gli effetti collaterali sistemici saranno tanto maggiori quanto maggiore la distribuzione
sistemica del farmaco.
Per quanto riguarda la tossicit cerebrale, la barriera ematoencefalica non costituisce un ostacolo valido al
passaggio dellanestetico perch discontinua in pi punti (plessi corioidei, epifisi, ipofisi ecc): la
concentrazione nel liquor del farmaco corrisponde al 60-65% di quella arteriosa.
Complessivamente gli anestetici hanno effetti neurologici fasici (depressione-eccitazione-depressione-
convulsioni) frutto di uninibizione prevalentemente delle vie inibitorie; obiettivamente si riscontra eloquio
impacciato (farfugliamento) ed euforia (amino-esteri), fascicolazioni, movimenti coreici nella fase di
eccitazione, mentre si ha sedazione nella fase di depressione. Le convulsioni (generalmente si tratta di crisi
tonico-cloniche generalizzate) rappresentano la complicanza pi grave; la soglia convulsivante legata alla
rapidit di ascesa della concentrazione plasmatica. Sul piano tossicologico quindi la velocit di
somministrazione pi importante della dose, infatti i valori soglia sono puramente indicativi. I fattori che
inducono la comparsa delle convulsioni sono:

Equilibrio acido-base: la concentrazione plasmatica soglia convulsivante in relazione inversa con


la PaCO2, sia perch la CO2 aumenta leccitabilit neuronale sia perch aumentando il flusso
cerebrale aumenta anche la distribuzione al cervello del farmaco. Per questo liperventilazione
rappresenta un valido presidio profilattico-terapeutico insieme allinfusione di benzodiazepine.
Temperatura corporea e ambientale: relazione inversa, comprovata per la cocaina
Sedativi, ansiolitici, anestetici volatili: aumentano la dose soglia
Oppiacei: riducono la dose soglia

Quindi la profilassi e la prevenzione delle convulsioni si basa su (1) individuazione della dose necessaria ad
ottenere leffetto anestetico, (2) premedicazione con Diazepam o Midazolam, (3) misura atte ad evitare vie
di somministrazione accidentali, come laspirazione prima dellinoculo e dopo i cambi di posizione dellago,
(4) iniezione lenta del farmaco anestetico, (5) monitoraggio cardiovascolare, (6) contatto verbale continuo
per riconoscere impacci delleloquio e interrompere linfusione del farmaco. Se dovessero insorgere le
convulsioni, i farmaci in grado di interrompere la crisi sono il tiopentone, il diazepam/midazolam ev;
qualora risulti impossibile mantenere unadeguata perviet delle vie aeree si procede alla curarizzazione e
allintubazione tracheale.
Per quanto riguarda invece la tossicit cardiovascolare, tutti gli anestetici causano in varia misura una
252
riduzione della contrattilit, eccitabilit, automatismo e conduzione nonch riduzione del tono vasale. Il
meccanismo dazione non diverso da quello neuronale, ovvero il blocco dei canali del sodio. La
bupivacaina lanestetico con il maggior effetto cardiodepressore; esso agisce anche da Ca-antagonista,
probabilmente per una compressione ab estrinseco del canale e ci comporta un aumento delleffetto
inotropo negativo degli anestetici. Inoltre, questo farmaco pu causare aritmie fatali ancor prima delle
convulsioni. La bupivacaina ha anche un importante effetto centrale (perdita dellinibizione tonica
GABAergica, effetto antagonizzabile con le benzodiazepine), nel determinismo degli effetti cardiaci. Ipossia,
acidosi, iperkaliemia, aggiunta di una vasocostrittore, trattamento cronico con digitale, gravidanza
accentuano la pericolosit della bupivacaina. Inoltre, a causa della lenta cinetica di displacement, larresto
cardiaco da bupivacaina refrattario inizialmente alle manovre di RCP.
A livello vasale, gli anestetici bloccano laccoppiamento eccitazione-contrazione per blocco dei canali del Ca
voltaggio-dipendenti. Lanestetico pi potente ancora la bupivacaina in virt della rapida cinetica di
legame e lenta di rimpiazzamento.
Le reazioni anafilattiche interessano principalmente gli anestetici locali tipo esteri; lallergene
rappresentato dal metabolita intermedio di questi farmaci, ovvero lacido paramminobenzoico prodotto
dalle pseudocolinesterasi plasmatiche.

A seconda del sito di inoculo degli anestetici locali, lanestesia locale pu essere distinta in anestesia
regionale neuroassiale o blocco nervoso periferico.

Lanestesia regionale neuroassiale si caratterizza per il fatto che lanestetico viene depositato in prossimit
del midollo spinale al quale vi arriva per diffusione (Figura 4).

Figura 4. Anatomia dell'anestesia neuroassiale

253
Possono distinguersi due tipi di anestesia neuroassiale:

Anestesia Spinale
( o rachidea o subaracnoidea)
Sito di inoculo Spazio subaracnoideo

Tecnica La puntura nella cute corrisponde allintersezione della linea che congiunge i
due bordi superiori delle creste iliache e la linea che collega i processi spinosi
delle vertebre L3-L4 (possono essere utilizzati anche gli spazi L2-L3 o L4-L5)
per il minor rischio di pungere accidentalmente il midollo.
La puntura pu essere eseguita con il paziente in decubito laterale o, se la
situazione clinica lo consente, in posizione seduta.
Dopo la disinfezione di unampia superficie cutanea, si procede alla puntura
spinale. Per fare questo, lago deve passare attraverso il legamento
interspinoso, legamento giallo, lo spazio epidurale, la dura madre e
laracnoide.
La risalita del liquor cefalorachidiano dallago conferma la corretta posizione,
consentendo lintroduzione della dose desiderata di anestetico locale.
Fattori che influenzano
il livello di anestesia Sebbene il sito di inoculo fisso (L3-L4), diverse caratteristiche degli anestetici
locali o determinate manovre consentono di raggiungere livelli pi elevati di
anestesia che sono necessari per indurre lanestesia nellarea chirurgica (es.
D8 per un intervento di chirurgia intraddominale bassa):
Baricit: si riferisce al peso specifico (PS) dellanestetico locale (al)
rispetto al liquidocefalorachidiano. Gli anestetici iperbarici (PS al > PS
lcr) una volta depositati nello spazio subaracnoideo per effetto della
gravit si dirigono verso le regioni declivi del canale spinale. Gli
anestetici isobarici (PS al = PS LCR) hanno una distribuzione
indipendente dalla posizione del paziente, anche se in realt gli
anestetici isobarici sono leggermente ipobarici. Gli anestetici ipobarici
(PS al < Ps lcr) sono diretti alle regioni superiori del canale midollare, a
seconda della posizione del paziente.
Quindi cambiano la posizione del paziente (Trendelemburg o
Trendelemburg inverso) determinano il livello finale dellanestesia.
Dose del farmaco: il livello di anestesia varia in modo direttamente
proporzionale alla dose di anestetico locale utilizzato.
Volume del farmaco: maggiore il volume di anestetico locale e
maggiore la diffusione nel liquor e quindi sono pi alti i livelli
raggiungibili dalleffetto anestetico.
Turbolenza del liquor: liniezione rapida di anestetico locale causer
una maggiore turbolenza nel liquor cerebrospinale che aumenter la
diffusione del farmaco ed il livello di anestesia raggiunto.
Oppiacei: lassociazione di anestetico locale con piccole dosi di
oppioidi ha un effetto sinergico aumentandone leffetto.
Aumento della pressione intraddominale: in quelle situazioni cliniche
in cui si produce un aumento della pressione intraddominale
(gravidanza, obesit, ascite) con una diminuzione dello spazio
subaracnoideo, e pertanto diminuisce anche il volume del liquor. Ci
permette una maggiore distribuzione dellanestetico locale che
raggiunge livelli pi elevati di anestesia.

Farmaci utilizzati Gli anestetici locali pi comunemente usati sono la bupivacaina,


levobupivacaina, ropivacaina.

254
Durata del blocco Dipende dal tipo di anestetico utilizzato. La combinazione con oppioidi o
anestetico vasocostrittori (noradrenalina o fenilefrina) prolunga la durata dellanestesia
spinale.
Complicanze associate Cefalea: di solito compare 24 ore dopo lanestesia. Consiste in una
cefalea occipitale o fronto-parietale molto intensa con irradiazione
posteriore nella regione cervicale. Pu essere associata ad altri
sintomi come nausea, vomito, diplopia, visione offuscata e tinnito. La
sua eziologia la perdita di liquor attraverso il foro della duramadre,
causando una diminuzione della pressione del LCR con una trazione
dei nervi e dei vasi meningei. Il trattamento consiste nella
somministrazione di liquidi (orale o intravenosa), corticoidi, caffeina,
antidolorifici e riposo a letto in posizione supina;
Blocco del simpatico: il blocco nei nuclei del simpatico presenti a
livello spinale (tra C8 e L2) determina una depressione dellattivit
simpatica facendo comparire i sintomi caratteristici di tale blocco
ovvero:
o Bradicardia: si tratta con la somministrazione endovenosa di
atropina;
o Ipotensione: si ha per perdita del tono vascolare; si tratta con
la somministrazione attenta di fluidi per via endovenosa e di
farmaci vasopressori (efedrina).
Ritenzione urinaria: si verifica per il blocco delle fibre parasimpatiche
del plesso sacrale con comparsa di ritenzione urinaria che richiede la
cateterizzazione di decompressione.
Nausea e vomito: sono secondari allipotensione o alla predominanza
del tono vagale. Il trattamento consiste nella somministrazione
endovenosa di atropina.
Puntura ematica: luscita di sangue o di una miscela di sangue e liquor
attraverso lago della puntura spinale pu essere causa di una puntura
della vena epidurale. Se il liquido non diventa chiaro in fretta, si deve
ritirare immediatamente lago e provare unaltra puntura.
Edema epidurale: la sua incidenza bassa ma rappresenta
unemergenza neurochirurgica. pi comune nei pazienti trattati con
farmaci antiaggreganti piastrinici e/o anticoagulanti. La sintomatologia
la comparsa di lombalgia acuta con gravi deficit neurologici dopo il
recupero del blocco centrale o mancanza di recupero totale di
anestesia spinale.
Parestesie: trauma diretto o puntura dei nervi spinali.
Dispnea: nelle anestesie spinali alte, si verifica a causa del blocco delle
fibre nervoso dei muscoli addominali ed intercostali. In genere non
compromette la ventilazione del paziente in quanto non influenza la
funzione del nervo frenico e quindi i movimenti del diaframma sono
conservati.
Dolore radicolare transitorio: si tratta di un tipo di dolore neuropatico
di distribuzione radicolare intenso che appare sono lesecuzione di
una anestesia spinale e la cui durata di solito pi o meno di una
settimana.
Infezioni: meningiti, aracnoidite ed ascessi epidurali possono
verificarsi ma hanno unincidenza molto bassa.

255
Anestesia epidurale

Sito di inoculo Spazio epidurale

Indicazioni Analgesia per il parto, analgesia post-operatoria, trattamento di alcuni tipi di


dolore cronico.
Tecnica Lanestesia epidurale consiste nel posizionare un catetere nello spazio
epidurale. Il sito di puntura pi utilizzato il lombare ma possono essere
posizionati cateteri epidurali a livello cervicale, dorsale e sacrale.
Utilizzando un ago epidurale si avanza lentamente attraverso le strutture
legamentose. Dopo aver raggiunto il legamento giallo, si percepisce un
aumento della resistenza, momento in cui lago viene rimosso e si posiziona
una siringa con soluzione salina o aria. Una pressione costante viene quindi
applicata allo stantuffo della siringa mentre lago viene inserito lentamente.
Inserendo il bisello nello spazio epidurale, si percepisce una marcata perdita di
forza che provoca il movimento dello stantuffo della siringa. In questo modo,
si rimuove la siringa e si introduce il catetere epidurale attraverso lago, il cui
bisello smusso si dirige in direzione cefalica. Il catetere viene fatto avanzare 3-
5 cm oltre la punta dellago.
Una volta che il catetere in sede, una dosa di prova (bolo di anestetico locale
con 10-20mg di epinefrina) viene somministrata per escludere il
posizionamento intravascolare o spinale del catatere. Se il catetere nello
spazio subaracnoideo, ci sar un breve blocco intramurale (5 min); se il
catetere in posizione intravascolare, causer un aumento della frequenza
cardiaca ed ipertensione secondaria per ladrenalina infusa. La dose test
considerata positiva se la FC aumenta oltre il 10 %.

Livello dellanestesia Lanestesia epidurale a differenza della spinale permette di raggiungere un


blocco neuronale selettivo dei segmenti dorsali, lombari o sacrali, a seconda
delle necessit dellanestesia.

Farmaci utilizzati Gli anestetici locali pi comunemente usati sono la bupivacaina,


levobupivacaina, ropivacaina. Piccole dosi di oppiacei o di epinefrina possono
essere aggiunte per ridurre la concentrazione di anestetico locale e per
infondere e/o prolungare la loro azione.

Durata del blocco Gli anestetici raggiungono le radici dei nervi spinali per diffusione attraverso la
anestetico dura madre dello spazio epidurale, dove sono stati infusi. Cos linizio pi
lento (20-30 min) che nellanestesia spinale.
La durata del blocco anestetico dipende dal tipo di anestetico utilizzato. La
combinazione con oppioidi o vasocostrittori (noradrenalina o fenilefrina)
prolunga la durata dellanestesia spinale.

Complicanze associate Cefalea: caratteristiche simili a quella spinale;


Anestesia epidurale alta;
Overdose sistemica di anestetico locale;
Trauma diretto del midollo spinale: per i cateteri posizionati sopra L2.
Ascesso epidurale
Ematoma epidurale
Blocco subaracnoideo

256
Il blocco nervoso periferico una modalit di anestesia locale che si basa sulla somministrazione di un
anestetico locale in prossimit dei plessi nervoso, tronchi nervosi o nervi isolati. In questo modo lanestesia
rimane limitata al territorio innervato dal plesso nervoso o nervo in particolare nellarea chirurgica,
evitando cos molte delle complicazioni associate allanestesia neuroassiale.

Sito di inoculo In prossimit dei plessi nervoso, tronchi nervosi o nervi isolati

Indicazioni Chirurgia delle estremit corporee per blocco del plesso brachiale, del nervo
ulnare, del nervo mediano, del nervo femorale, sciatico e ed altri.

Tecnica Lobiettivo la somministrazione peruneurale di una sufficiente quantit di


anestetico locale, che successivamente si diffonder ai nervi.
La localizzazione dei plessi e/o nervi pu essere eseguita da riferimenti
anatomici, per mezzo di un neurostimolatore o con laiuto degli ultrasuoni.

Farmaci utilizzati Gli anestetici locali pi utilizzati sono la lidocaina e mepivacaina e, se si


desidera una durata pi lunga del blocco, bupivacaina e ropivacaina.

Complicanze associate Tossacit da anestetico locale: lanestesia del nervo periferico evita i
rischi connessi con lanestesia generale o neuroassiale. Tuttavia, alte
dosi di anestetico locale necessario per il blocco del nervo potrebbero
causare tossicit sistemica o del sistema nervoso centrale in caso di
iniezione intravascolare accidentale.
Puntura del nervo
Puntura vascolare
Infezione

Anestesia generale
Lanestesia generale utilizza farmaci ad azione deprimente non selettiva sul SNC. Gli anestetici generali
sono in grado di produrre una parziale o totale perdita della sensibilit 1 e della coscienza associate a
rilassamento muscolare e amnesia. Dal momento che nessuna molecola possiede tutte queste
caratteristiche, la moderna pratica anestesiologica si basa sulluso di combinazioni di farmaci.

Gli anestetici generali appartengono alle pi disparate classe di sostanze chimiche: gas nobili, idrocarburi,
eteri, alcoli, idrocarburi clorurati, barbiturici, benzodiazepine, steroidi.
Sono tutti accomunati da unelevata lipofilia che ne consente una distribuzione ampia anche a carico del
SNC.
Il meccanismo dazione , nella maggior parte dei casi, aspecifico. Si osserva una variazione della
permeabilit cellulare o linterazione con recettori o, ancora, linibizione di processi enzimatici. Si pensa che
gli anestetici generali inserendosi nelle membrane ne producono lespansione e la fluidificazione,
compromettendo la funzione delle proteine transmembrana (canali, pompe, recettori).
Indipendentemente dal meccanismo dazione, gli anestetici hanno effetti sul SNC e a livello cardiovascolare.
A livello del sistema nervoso, gli anestetici generali aumentano la soglia di eccitazione delle cellule nervose
perch inibiscono la conduzione del potenziale dazione e la trasmissione sinaptica; tuttavia, per le dosi
utilizzate in chirurgia importante solo il secondo effetto poich la trasmissione assonica conservata.
Labolizione della trasmissione sinaptica potrebbe dipende dallinibizione della liberazione del
neurotrasmettitore, dallinibizione della sua azione post-sinaptica attraverso linibizione sistema
glutammatergico (es. chetamina) o dalla riduzione delleccitabilit postsinaptica. Un aumento dellattivit

1
Caratteristica degli anestetici generali rispetto agli anestetici locali che questi farmaci agiscono a monte del ganglio
spinale della via sensitiva.
257
delle sinapsi inibitorie si verifica invece solo con alcuni anestetici generali, come i barbiturici e le
benzodiazepine. Infine, linterazione con i recettori oppioidi accoppiati a proteine G che regolano
negativamente attivit di neuroni del locus coeruleus il meccanismo dazione specifico degli oppioidi.
I farmaci utilizzati per lanestesia generale possono essere somministrati per via inalatoria o per via
endovenosa; si distinguono quindi gli anestetici gassosi e volatili o per inalazione e gli anestetici
endovenosi.
Gli anestetici inalatori sono stati i primi anestetici ad essere stati introdotti nella pratica medica. Gli
anestetici inalatori non appartengono a una classe chimicamente riconoscibile di sostanze. Quindi la
struttura molecolare non sembra importante per lazione: il loro meccanismo di azione infatti aspecifico e
non necessita della presenza di recettori specifici. Sembrano al contrario importanti alcune propriet fisico-
chimiche. Le teorie sui meccanismi dazione degli anestetici inalatori proposte sono due:

1. Teoria lipidica: la teoria lipidica nasce dallo studio di Overton e Meyer che dimostr la
correlazione tra la potenza dellanestetico e la loro liposolubilit; la potenza veniva misurata
come linverso della MAC (concentrazione alveolare minima necessaria per eliminare i
movimenti del 50% dei pazienti per ottenere leffetto anestetico). Overton e Meyer non
avanzarono tuttavia ipotesi sul meccanismo con cui la liposolubilit determinava leffetto
anestetizzante. Le teorie formulate sul meccanismo dazione di questi farmaci sono quindi due:
a. Espansione del volume delle membrane: a sostegno di ci la cosiddetta reversibilit
pressoria dellanestesia. Lanestesia sembra subentrare quando il volume della fase
lipidica si espande oltre lo 0.4% per linserimento meccanico delle molecole
dellanestetico;
b. Aumento della fluidit delle membrane: per disorganizzazione delle code idrofobiche.
Si visto infatti che pressioni molto alte (che riduce la fluidit di membrana)
antagonizza lo stato anestetico.
In ogni caso, le alterazioni di membrana indotte dagli anestetici inalatori determinano variazioni
secondarie della funzione dei canali ionici che stanno alla base del loro meccanismo dazione.
2. Teoria proteica: la capacit di legarsi a proteine come Hb e mioglobina e vari enzimi
ampiamente documentata per gli anestetici ma nella maggior parte dei casi le concentrazioni
necessarie per influenzarne la funzione sono molto pi alte di quelle normalmente usate.
Questa teoria pu spiegare una peculiarit degli anestetici, cio il fenomeno di cut-off (perdita
dellattivit biologica oltre un certo grado di liposolubilit in una serie di composti omologhi);
pu darsi che gli anestetici si leghino a domini proteici saturabili e immobilizzanti, oltre che
disperdersi nella fase lipidica.

A seguito della somministrazione, la velocit con cui lanestetico induce lanestesia dipende da molti fattori
farmacocinetici che influenzano anche la velocit di recupero dallanestesia. In sintesi, linduzione dipende
dalla velocit con cui si raggiungono concentrazioni efficaci di anestetico nel SNC mentre il recupero
dipende dalla velocit con cui lanestetico abbandona il SNC.
Le principali variazioni dei tempi di induzione e recupero dipendono da:

1. Propriet dellanestetico: in particolare il coefficiente di ripartizione sangue-gas influenza


principalmente la velocit di induzione e di recupero; la solubilit invece il determinante
principale della potenza dellanestetico e del suo volume di distribuzione.
2. Fattori fisiologici: la ventilazione alveolare e gittata cardiaca incidono sugli effetti del farmaco;
Maggiore la ventilazione alveolare e pi rapido il recupero; invece, laumento della gittata
cardiaca ritarda laumento della concentrazione plasmatica arteriosa e cos linduzione ma
velocizza la fase pi tardiva dellequilibrazione.

258
La principale via di eliminazione degli anestetici inalati lespirazione ma in parte questa avviene tramite il
metabolismo a livello epatico e di altri tessuti.
Gli anestetici volatili vengono utilizzati soprattutto nella fase di mantenimento dellanestesia: vengono
somministrati al paziente per via inalatoria, attraverso il tubo orotracheale o la maschera laringea oppure
attraverso la maschera facciale. Vengono posti nei vaporizzatori dellapparecchio di anestesia in fase liquida
e vengono quindi trasformati in vapori. pi utilizzati sono:

Alotano: attualmente il pi usato tra gli anestetici inalatori. molto potente e pu dare
facilmente insufficienza cardio-respiratoria. Ha per una spiccata epato-tossicit, soprattutto per
somministrazioni ripetute. Il danno epatico sembra mediato da una risposta immune verso gli
enzimi fluoro-acetilati.
Protossido dazoto: agisce rapidamente e anche il recupero veloce. inoltre analgesico a
concentrazioni subanestetiche. Tuttavia, poco potente: perfino all80% della miscela inspirata
(oltre non si pu andare perch diminuisce la tensione di O2), non capace di indurre anestesia
chirurgica; per questo utilizzato soprattutto nella fase di induzione. Il protossido dazoto ha la
tendenza ad indurre nausea e vomito post-operatorio per espansione dello stomaco e dellorecchio
medio.

Molti anestetici sono stati abbandonati perch infiammabili, irritanti e/o tossici: es. cloroformio, dietiletere,
viniletere, ciclopropano.

Gli anestetici endovenosi sono molto utilizzati per la maggiore rapidit dazione rispetto gli anestetici
inalatori: gli effetti cerebrali si possono manifestare gi dopo 20 sec dallinfusione. Per questo motivo gli
anestetici endovenosi sono utilizzati principalmente nella fase di induzione dellanestesia ma possono
essere utilizzati anche nella fase di mantenimento. I principali farmaci anestetici endovenosi sono:

Tiopentale: appartiene alla classe dei barbiturici. Ottima potenza e rapidit dazione, liposolubile,
instabile (deve essere preparato poco prima delluso). In seguito alliniezione, provoca incoscienza
entro 20: essa dura 5-10. Il rapido declino della concentrazione plasmatica successivo alla
somministrazione dovuto a fenomeni di ridistribuzione nel grasso corporeo, la fase lenta della
discesa invece dipende dal metabolismo. Per cui gli effetti postumi sono molto duraturi,
soprattutto se sono state fatte ripetute somministrazioni. Il tiopentale legato per il 70%
allalbumina: stati ipoalbuminemici richiedono aggiustamento del dosaggio. Non analgesico bens
profondamente pneumodepressore (non va bene per mantenere lo stato anestetico). Inoltre pu
causare necrosi e gangrena da arteriospasmo qualora extravasi dalla vena.
Propofol: simile al tiopentale. Ha un rapido metabolismo. Pu essere utilizzato nel mantenimento
dellanestesia al dosaggio di 3-12 mg/Kg/h.
Chetamina: blocca il recettore eccitatorio glutammatergico tipo NMDA. Utilizzato come induttore
dellanestesia. Ha una latenza leggermente maggiore (2-5) e rispetto al tiopentale produce un
effetto diverso, noto come anestesia dissociativa, che consiste in analgesia, amnesia, paralisi
motoria ma senza perdita di coscienza. Stimola lattivit simpatica centrale inducendo incremento
della pressione e della GC. Durante linduzione e il recupero possono verificarsi movimenti
involontari e allucinazioni sensoriali (in effetti la ketamina affina alla fenciclidina, che una
droga di strada). Inoltre produce un aumento della pressione arteriosa e tachicardia mentre la
respirazione non influenzata. Gli effetti pro-allucinogeni e deliranti limitano lutilizzo allanestesia
pediatrica minore, perch i bambini sono meno sensibili a questi effetti.
Midazolam: una benzodiazepina a lenta azione. Spesso usato come ipnoinduttore nei pazienti
con compromissione della funzione cardiovascolare per la minor capacit di produrre ipotensione.
Produce ipnosi con tempi pi lunghi rispetto agli altri inpoinduttori. Altre benzodiazepine (es.
Diazepam e Lorazepam) vengono utilizzate in premedicazione come ansiolitici)
259
Oppiodi: vengono utilizzati come coadiuvanti dellinduzione. Per ridurre le reazioni
neurovegetative (aumento PA e FC) durante la manovra di intubazione. I pi utilizzati sono quelli a
breve emivita ovvero Fentanyl, Alfeentanil e Remifentanil. Producono riduzione della FC, FR fino
allapnea e possono produrre rigidit toracica.

Nello svolgimento di una anestesia generale possono distinguersi tre fasi: induzione, mantenimento e
risveglio.

Linduzione generalmente si realizza mediante alla somministrazione di farmaci per via endovenosa. In
certe situazioni, specialmente nei bambini, linduzione pu essere fatta attraverso anestetici inalatori,
approfittando in tal modo della perdita di coscienza del bambino per cateterizzare le vie periferiche.
I farmaci dellinduzione (o ipnoiduttori) pi comunemente utilizzati sono: Tiopentale (Pentotal) o Propofol
(Diprivan) o Midazolam (Ipnovel) o Ketamina (Ketanest). Insieme alla somministrazione dellipnotico
possono associarsi piccole dosi di oppiacei a breve durata dazione (oppiacei tipo fentanyl), specialmente in
quelle situazioni dove programmata lintubazione del paziente.
Durante la fase di induzione il controllo della perviet delle vie aeree copre un ruolo decisivo. La
diminuzione del livello di coscienza ha come conseguenza la perdita del controllo delle vie aeree e la
scomparsa, ad un grado, pi o meno accentuata, dei riflessi di protezione delle vie aeree stesse. Le vie
aeree dei pazienti anestetizzati possono essere gestite utilizzando una maschera facciale, una maschera
laringea o un tubo endotracheale. Se il posizionamento del tubo endotracheale lopzione di scelta, una
volta raggiunto un sufficiente livello di ipnosi, si deve verificare che il paziente possa essere ventilato
facilmente con la maschera facciale e prima di eseguire la laringoscopia, dovrebbe essere somministrata
una dose di miorilassante.
Con linduzione dellanestesia si susseguono una serie di eventi ed effetti fisiologici:

Stadio Eventi Effetti fisiologici


Dallinizio della somministrazione Depressione di centri corticali pi
alla perdita della coscienza. elevati e dei centri talamici cui
Il colore delle superfici normale fanno capo tutte le terminazioni
e tende ad arrossarsi. sensoriali
Il tono muscolare normale.
La respirazione rapida e
irregolare.
Analgesia
Il polso rapido e la pressione
ematica aumentata.
Tutti i riflessi (palpebrale,
corneale, cutanei, podale, della
glottide, della tosse) sono
presenti.

Il paziente privo di coscienza. Interessamento della corteccia


Il colore delle superfici motrice.
arrossato.
Si riscontra ipertono muscolare.
La respirazione molto
Eccitazione irregolare.
Il soggetto presenta aumento di
reattivit agli stimoli esterni.
I movimenti sono incoordinati.
Il polso frequente e la
pressione ematica elevata.
260
E possibile riscontrare
fibrillazione ventricolare (per
contrazioni incoordinate del
muscolo cardiaco).
Tutti i riflessi sono ancora
presenti.

Piano 1 Interessamento del mesencefalo


Il colore delle superfici tende a e del midollo spinale
tornare normale.
Si ha una riduzione del tono
muscolare.
La respirazione lenta e
regolare.
Il polso e la pressione ematica
sono normali.
Scompaiono i riflessi cutanei,
della glottide e podale.

Piano 2 Interessamento del midollo


Il colore delle superfici spinale
normale.
Ulteriore riduzione del tono
muscolare.
Respirazione ancora lenta e
regolare.
Polso e pressione ematica ancora
Anestesia chirurgica normali.
(si divide in 4 piani) Scompaiono tutti i riflessi.

Piano 3 Interessamento del midollo


Il colore delle superfici tende al spinale
pallido.
Ipotonia crescente.
La respirazione ritardata (di
tipo toracico ma soprattutto
addominale).
Il polso diventa rapido (caduta
pressoria).
I riflessi sono inesistenti.

Piano 4 Depressione totale del midollo


Il colore delle superfici pallido. spinale.
Aumento dellipotonia.
Respirazione addominale.
Polso rapido e debole, caduta
pressoria.
Riflessi ancora assenti.

lo stadio che non deve essere Paralisi bulbare e midollare


Paralisi midollare raggiunto perch la paralisi
bulbare comporta la depressione
261
dei centri vegetativi per paralisi
respiratoria e circolatoria.
Il colore delle superfici
cianotico.
Il tono muscolare scomparso,
cos come la respirazione
(apnea).
Il polso non pi percettibile.
Si arriva ad un livello di shock che
porta alla morte dellanimale.

Quando con linduzione si raggiunge lo stadio dellanestesia chirurgica si pu proseguire con lintervento
chirurgico.
A questo punto comincia la fase di mantenimento dellanestesia generale. Durante la fase di
mantenimento, si pu optare per luso di sostanze volatili od iptnotici endovena, che si associano con la
perfusione di oppiacei (anestesia mista o intravenosa, rispettivamente).
Luso dei miorilassanti, durante la fase di mantenimento, si riserva a quelle situazioni nelle quali
necessario un rilassamento muscolare completo per il corretto svolgersi dellatto chirurgico (ch.
Addominale, traumatologica) o in quegli interventi dove i movimenti involontari del paziente possono
essere pericolosi. La presenza di un tubo endotracheale non , per s stesso, unindicazione alluso
continuativo di miorilassanti durante lintervento essendo sufficiente unadeguata profondit anestetica
perch il paziente tolleri il tubo.
La ventilazione del paziente durante lanestesia generale pu essere spontanea o controllata (ventilazione
meccanica), in funzione principalmente della profondit dellipnosi necessaria per lo svolgimento
dellintervento.
La somministrazione di ossigeno deve essere personalizzata alle caratteristiche del paziente, optando per la
frazione minore di ossigeno inspirato che permetta unadeguata ossigenazione, monitorata mediante il
pulsossimetro considerando normali valori superiori al 95%.
la somministrazione di fluidi per via endovenosa (cristalloidi o colloidi) o pi precisamente, di emoderivati,
sono necessari per il mantenimento dellomeostasi del paziente. A tal proposito, deve essere evitata
lipotermia, somministrando detti fluidi preferibilmente caldi e attraverso luso di riscaldatori.

Durante la fase del risveglio, il paziente riacquista progressivamente la capacit di respirare


autonomamente e la coscienza. Si inizia con la diminuzione progressiva dellipnotico e degli oppiacei fino
alla loro sospensione. Il grado di rilassamento muscolare deve essere adeguato per permettere la
respirazione spontanea del paziente, potendo essere necessaria in alcuni casi linversione del blocco
neuromuscolare residuo mediante lutilizzo di farmaci.
In questa fase, si deve somministrare ossigeno ad alte concentrazioni, vicine al 100%, Di solito la ripresa
della respirazione spontanea pi veloce se si fatto uso di sostanze volatili, precedendo anche il recupero
del livello di coscienza. Invece, luso dellanestesia totale per via intravenosa, i pazienti solitamente
recupereranno inizialmente la coscienza e successivamente la respirazione spontanea ed il controllo delle
vie aeree.
La rimozione del tubo endotracheale costituisce un momento critico della fase del risveglio anestesiologico.
Una rimozione inadeguata pu creare situazioni gravi e pericolose in grado di compromettere la vita del
paziente (es. laringospasmo e broncospasmo). I pazienti con gravi squilibri emodinamici, insufficienza
respiratoria, ipotermia, via aeree compromesse o che siano stati sottoposti ad interventi chirurgici molto
prolungati possono rimanere intubati anche dopo lintervento, pianificando la rimozione del tubo quando le

262
condizioni saranno ottimali in un luogo sicuro come la terapia intensiva.
La rimozione del tubo pu quindi essere fatta:

Paziente sveglio: indicata nei pazienti con alto rischio di broncoaspirazione o pazienti con vie aeree
difficili. Il paziente deve essere sveglio, aver recuperato la respirazione spontanea con unadeguata
ossigenazione, aver recuperato i riflessi di protezione delle vie aeree e senza blocchi
neuromuscolari residui. Una volta rimosso il tubo si deve controllare la possibile comparsa di
complciazioni, fino a confermare la capacit del paziente di ventilare e proteggere le vie aeree.
Paziente addormentato: indicata nei bambini e negli asmatici con lobiettivo di evitare rischi di
stimolazione delle vie aeree per la presenza del tubo. Indicata anche in alcuni tipi di intervento in
cui linsorgenza di tosse o dispnee del paziente possono compromettere il risultato dellintervento.

Durante il risveglio deve essere garantita lanalgesia post-operatoria generalmente mediante linfusione di
Perfalgan.
Il paziente viene trasferito nella Sala Risveglio dove continua il monitoraggio dei parametri vitali e da dove
verr allontanato soltanto quando sar cosciente, con respiro valido e sufficiente e senza dolore

Gli effetti collaterali dellanestesia generale dipende dal fatto che, oltre che a livello cerebrale, alcuni
anestetici hanno effetti anche sul sistema cardiorespiratorio. Alcuni anestetici determinano ipotensione:
per contrastare lipotensione eccessiva indotta da alitano si utilizzano vasocostrittori ad azione diretta
come la fenilefedrina.
Gli anestetici alogenati causano aritmie cardiache (soprattutto extrasistoli ventricolari) per un motivo
sconosciuto che per presuppone una cooperazione positiva con le catecolamine. Infatti se la
concentrazione di noradrenalina aumentata, condizione frequente per lo stress dellintervento chirurgico,
c pericolo di indurre una fibrillazione ventricolare. Infine, con leccezione dellossido nitroso e della
chetamina, tutti gli anestetici provocano depressione respiratoria e ipercapnia motivo per cui necessaria
lintubazione orotracheale per controllare la funzione respiratoria.

Anestesia combinata
Questa tecnica consiste nellesecuzione di una anestesia generale insieme a qualsiasi tipo di anestesia
generale.

263
264
Insufficienza respiratoria
(prof.ssa Rocco)
La funzione della respirazione di fornire ai tessuti lossigeno necessario e di rimuovere ad questi ultimi
lanidride carbonica prodotta. Per assolvere a queste funzioni, i meccanismi fisiologici sono diversi:

1. Ventilazione polmonare: consiste nellimmissione daria dallatmosfera agli alveoli e nella sua
successiva emissione;
2. Diffusione dellossigeno e dellanidride carbonica tra laria contenuta negli alveoli e il sangue;
3. Perfusione polmonare;
4. Regolazione della ventilazione.

Lossigenazione del sangue e leliminazione dellanidride carbonica, sebbene basate su un meccanismo di


scambio secondo gradiente, riconoscono agenti diversi che rendono ragione anche delle diverse patologie
che possono compromettere queste funzioni (IR ipossiemica vs IR ipercapnica).
Lossigenazione si basa sulla presenza di un gradiente positivo sul versante alveolare rispetto a quello
ematico che permette allossigeno di attraversare la barriera ematoalveolare e rende ragione della
maggiore ossigenazione del sangue venoso polmonare rispetto a quello venoso. Il gradiente negativo sul
versante ematico si genera invece a livello tissutale periferico grazie al consumo di ossigeno da parte delle
cellule. Se inoltre si considera che gli scambi gassosi si basano sul continuo afflusso di questo sangue
deossigenato a livello polmonare, se ne desume che una corretta perfusione polmonare fondamentale
per lossigenazione. Affinch poi la diffusione dellossigeno avvenga agevolmente a livello alveolare
fondamentale lintegrit della barriera emato alveolare. Infine necessaria una sufficiente ventilazione
alveolare che continuamente li rifornisca di aria sufficientemente ossigenata per creare il gradiente di
positivo di scambio; questultima funzione tuttavia meno importante rispetto a quelle precedenti (es.
ossigenazione apnoica: si pu ossigenare il sangue senza ventilare il polmone semplicemente inserendo
ossigeno direttamente nelle basse vie respiratorie). I valori normali di pO2 sono compresi tra 100 e 80
mmHg.

Leliminazione di CO2 si basa su un gradiente positivo a livello del sangue capillare polmonare rispetto a
quello dellarea alveolare; la CO2 un gas altamente diffusibile per cui sono sufficienti piccoli gradienti per
permettere questo scambio anche con una bassa perfusione. Per leliminazione della CO2 fondamentale
invece la funzione ventilatoria perch in caso contrario questo gas si accumulerebbe a livello polmonare.
Dal punto di vista fisiopatologico lipercapnia quindi inversamente proporzionale alla ventilazione/
minuto. La ventilazione/minuto dipende a sua volta dal seguente rapporto:

= ( )
Se ne deduce che tanto pi aumenta il volume daria che viene mobilizzato durante un minuto di
respirazione tanto pi diminuisce la PaCO2. Lentit di volume corrente variabile a seconda del peso e
dellaltezza del soggetto; si tende per a semplificare il volume corrente ideale calcolandolo in relazione del
solo peso corporeo; per cui il volume corrente ideale dovrebbe essere di 8 mL/kg. Lattivit respiratoria
normale ha invece una frequenza di 12-18 atti/minuto.
Una vecchia dizione suole affermare che il polmone sia il dializzatore della CO 2 poich questo gas viene di
fatto dializzato a livello polmonare come succede per la creatinina a livello renale. In sintesi, la
concentrazione di CO2 in circolo inversamente proporzionale al rapporto ventilazione/minuto 1. I valori
normali ci pCO2 sono compresi tra 35-45 mmHg.

1
Test dellapnea: questo test utilizzato in medicina legale per constatare la morte cerebrale di un paziente si basa
sul dimostrare che nel paziente vi assenza di attivit ventilatoria autonoma misurando, dopo alcuni minuti di
265
Si definisce Insufficienza respiratoria qualsiasi evento patologico, acuto o cronico, che altera larmonico
ciclo di ventilazione, ossigenazione e respirazione cellulare. A seconda della funzione fisiologica che viene
primariamente alterata si generano forme diverse di Insufficienza respiratoria che per questo si distingue in
IR ipossiemica e IR ipercapnica1. Nella definizione anglosassone di insufficienza respiratoria si parla anche di
Pump Failure e di Lung Failure: gli ipercapnici hanno una Pump failure (uninsufficienza della pompa
polmonare che genera la ventilazione) mentre gli ipossiemici hanno una Lung Failure (perch lipossiemia
dipende da unalterazione del rapporto ventilazione/perusione). Questa distinzione fondamentale
perch, oltre ad alcune caratteristiche cliniche peculiari delle due forme, le terapie da intraprendere
saranno differenti.
Un altro modo per classificare queste patologie in base al decorso; si parla quindi di IR acuta e IR cronica.
Nel campo della medicina durgenza, quando parliamo di IR acuta ci riferiamo generalmente ad una forma
di IR ipossiemica; al contrario, le patologie ipercapniche hanno un decorso cronico con saltuarie
riacutizzazioni associate ad ipossiemia (es. paziente con BPCO). Sono eccezioni le forme di IR acuta
ipercapnica che insorgono a seguito di una reazione allergica acuta con ostruzione della glottide o per la
presenza di un corpo estraneo.
Infine, in anestesia si tende a considerare che una IR acuta (ovvero ipossiemica) derivi da un problema
relativo alla fase di inspirazione perch, come verr descritto in seguito, le patologie che causano una IR
acuta sono soprattutto quelle che alterano la compliance polmonare che direttamente proporzionale alla
funzione insipratoria. Al contrario, nella insufficienza respiratoria cronica (ipercapnica) il problema riguarda
quasi sempre lespirazione trattandosi di patologie ostruttive che portano allaccumulo di CO2 nel
parenchima polmonare.

Insufficienza respiratoria ipossiemica


Si parla di IR ipossiemica quando il valore di pO2 inferiore ai 60 mmHg. LIR ipossiemica generalmente
acuta per questo i due termini vengono spesso utilizzati come sinonimi in medicina
durgenza/rianimazione. In Anestesia lInsufficienza respiratoria importantissima, essendo la prima causa
di ricovero in Terapia Intensiva.
Nellinsufficienza respiratoria ipossiemica la funzione fisiologica che viene maggiormente compromessa
quella della diffusione alveolo capillare o, per meglio dire, viene alterato il rapporto ventilazione/perfusione
(in un soggetto normale complessivamente vi un rapporto 1:1) per questo gli inglesi parlano di Lung
Failure. Il valore di concentrazione della CO2 pu rimanere normale perch questo gas essendo dotato di
elevata diffusibilit riesce a compensare questa alterazione almeno finch il danno alveolare non
eccessivo o finch il paziente non diventa tachipnoico perch, cos facendo, ne aumenta leliminazione.
Quindi le principali patologie che portano ad IR ipossiemica sono per alterazione del rapporto
ventilazione/perfusione sono:

1. Embolia polmonare: in questo caso si riduce la perfusione polmonare di alcune aree del
parenchima polmonare; si forma il cosiddetto spazio morto polmonare perch non funzionale agli
scambi gassosi (rapporto V/Q > 1).
2. Patologie primitive del parenchima polmonare: al contrario dellembolia polmonare, la
caratteristica comune di queste patologie la formazione di un effetto shunt a livello polmonare,
ovvero alcune zone di polmone vengono perfuse ma non ventilate (rapporto V/Q < 1):
a. Contusione polmonare: responsabile di una IR ipossiemica nella misura in cui a seguito
della contusione si verifica la rottura della membrana alveolo capillare con conseguente
accumulo di sangue che genere il suddetto effetto shunt.

spospensione della respirazione artificiale, il valore di concentrazione della CO2 del sangue mediante EGA essendo
questa concentrazione fortemente influenzata da questa funzione fisiologica.
1
La vecchia dizione di IR tipo 1 e tipo 2 non accettata a livello internazionale quindi non deve essere citata.
266
b. Edema polmonare primitivo o secondario: un edema polmonare, conseguente ad
uninfezione polmonare o secondario ad uno scompenso cardiaco, alterano profondamente
la barriera ematoalveolare creando aree di shunt pi o meno diffuse.
c. ARDS: patologia polmonare che per eccellenza genera ipossia.

LARDS (Acute Respiratory Distress Syndrome) una sindrome clinica causata da un danno diffuso dei
capillari alveolari che determina una grave insufficienza respiratoria con ipossiemia arteriosa. Pu essere
causata da numerosi fattori scatenanti, quali una grave polmonite, un forte contusione polmonare, una
panniculite o una batteremia.
Il danno che si osserva nella ARDS quello di un edema polmonare non cardiogenico ricco di proteine
diffuso a tutto il polmone; questo edema fortemente proteico (ma vi sono anche interleuchine, macrofagi
e unabbondanza di cellule infiammatorie) per cui facile comprendere come si possa alterare lo spessore
della membrana alveolo capillare e compromettere la funzione respiratoria. Questo edema proteico si
forma quando lagente lesivo, a seguito di uno stato infiammatorio, altera profondamente la membrana
alveolo capillare con il conseguente accumulo di proteine a livello polmonare che impedisce la corretta
diffusione dellossigeno nei capillari polmonari. Possiamo dire quindi che in questo caso leffetto shunt
diffuso a tutto il polmone.
NellARDS il quadro fisiopatologico si complica perch questo edema proteico altera la compliance
polmonare. La compliance polmonare si calcola sulla base del rapporto tra la pressione negativa generata
allinterno delle vie aeree e il volume daria che viene ad essere insufflato di conseguenza. In questi
pazienti, a causa della ridotta compliance si verifica un aumento della pressione negativa necessaria per
inspirare volumi daria anche inferiori rispetto a quelli di un paziente normale. In altri termini, la riduzione
della compliance comporta un aumento del lavoro del diaframma che porta ben presto allinsorgenza della
fatica diaframmatica che aggrava ulteriormente lipossiemia.

Per poter diagnosticare lARDS necessario che vengano soddisfatti i seguenti criteri (Consensus
conference Berlino 2012):

1. Inizio entro una settimana dallinsulto clinico acuto o sintomi respiratori nuovi o in
peggioramento
2. Opacit bilaterali, non spiegabili completamente con versamento, atelettasia lobare/polmonare
o noduli

267
3. Insufficienza respiratoria non spiegabile completamente con insufficienza cardiaca o sovraccarico
di liquidi. richiesta una valutazione obiettiva (per es, ecocardiogramma) per escludere ledema
idrostatico, se non sono presenti fattori di rischio
4. Rapporto PaO2/FiO2 300 (v.n. 500-600)

Come si pu notare, nonostante stiamo parlando di una IR ipossiemica, per diagnosticare lARDS
necessario valutare il rapporto PaO2/FiO2 anzich la sola PaO2 perch questo rapporto ci permette di
definire la peculiare resistenza allossigeno-terapia (espressa dal parametro FiO2) di questa malattia. A
seconda del valore di questo rapporto lARDS pu essere distinta in:

Gravit dellARDS PaO2/FiO2 Mortalit


Mild 200-300 27%
Moderate 100-200 32%
Severe <100 45

Questa classificazione ha eliminato unentit patologica precedentemente conosciuta come ALI (Acute Lung
Injury) che precedeva la comparsa dellARDS e che si definiva quando la PaO2/FiO2 era compresa tra 200-
300.

Le strategie terapeutiche attuabili per la ARDS sono diverse e variamente attuabili. Poich, come si detto,
la conseguenza dellARDS una grave ipossiemia refrattaria allossigeno-terapia, la ventilazione meccanica
assistita non invasiva assume sicuramente un ruolo di rilievo nella terapia dellARDS. La ventilazione
meccanica deve essere tuttavia settata con attenzione perch in alcuni casi essa stessa pu essere la causa
di una ARDS o di un barotraua del polmone. Si preferisce una ventilazione meccanica con tecnica PEEP
(spiegata in seguito) al fine di ridurre il work breathing del diaframma in fase inspiratoria; tuttavia, quando
si adotta la PEEP la pressione intralveolare di fine espirazione non deve mai superare i 30 mm di H20
(generalmente si imposta un volume corrente di 4-6 ml/kg per non aumentare troppo la pressione di fine
inspirazione) perch si visto che in questo modo la mortalit di questi pazienti aumenta enormemente.
Lo studio Acurasys ha documento invece una riduzione della mortalit nei pazienti con ARDS sottoposti a
curarizzazione profonda in corso di NIV; sicuramente la curarizzazione riduce temporaneamente la fatica
diaframmatica ma questo farmaco deve essere utilizzato con estrema cautela.

Sono state sottoposte a valutazione altre misure di supporto per il trattamento di malati con ARDS. Una di
queste girare il malato in posizione prona mentre viene ventilato. Questa azione terapeutica nasce dalla
definizione scoperta di John West delle cosiddette zone di West del polmone: poich la circolazione
polmonare soggetta allazione della forza di gravit non tutte le aree polmonare sono perfuse e ventilate
allo stesso modo. Infatti, quando siamo in piedi le zone polmonare maggiormente perfuse saranno quelle
basali al contrario di quelle maggiormente ventilate che saranno quelle apicali. In un paziente allettato, le
zone di West sono disposte in ragione della posizione assunta dal paziente, quindi le zone dorsali del
polmone saranno maggiormente perfuse di quelle ventrali.
Nei pazienti con ARDS si osserva che, pronando e supinando di volta in volta il paziente, la disposizione
delle aree di West, ovvero quelle maggiormente perfuse, nei punti pi declivi sar pi rapida di quella con
cui le raggiunge ledema proteico favorendo quindi per alcune ore un miglioramento netto del rapporto V/P
come dimostrato da numerosi trial clinici. La pronazione pu essere adottata come misura aggiuntiva alla
ventilazione meccanica quando questa insufficiente a risolvere il quadro clinico.

Quando la combinazione di queste azioni terapeutiche non soddisfacente a risolvere il quadro clinico si
ricorre alla ECMO (Ossigenazione Extracorporea Mediante Membrana). La tecnica dellossigenazione
extracorporea mediante membrana, adottata dalla cardiochirurgia ma ampiamente modificata in alcune
268
sue parti per permetterne lutilizzo intensivo e duraturo, consente di ottenere unossigenazione artificiale
completa del sangue e la temporanea rimozione dellanidride carbonica mettendo in questo modo a riposo
funzionale un polmone in attesa che ledema si risolva. Lesperienza tratta dalla pi recente epidemia di
influenza aviaria ha dimostrato lutilizzo con successo dellECMO nei pazienti con un ARDS severa o non
responsiba ad altri trattamenti. LECMO prevede il prelievo di sangue a livello giugulare, la riossigenazione a
livello del macchinario e la reimmissione in circolo a livello femorale. In questo modo il sangue viene
ossigenato, indipendentemente dallattivit polmonare che pu lentamente riprendere la sua funzione
senza causare gravi danni ischemici/ipossici al paziente.

Un altro ausilio terapeutico recentemente introdotto il dcapneizzatore (o DECAP); questo sistema, simile
alla dialisi, permette di rimuovere dalla circolazione la CO2. Si rende utile in questi pazienti quando sono
ventilati meccanicamente con volumi correnti dimezzati rispetto al normale (funzionali a non aumentare la
pressione intralveolare di fine espirazione) che di conseguenza vanno incontro a ipercapnia. Anche questo
sistema utilizza due accessi, uno femorale e uno giugulare (o entrambi femorali) per prelevare e
reimmettere in circolo il sangue privo di CO2.

Infine, nella terapia dellARDS ha trovato recentemente spazio anche il monossido dazoto. In corso di ARDS
si verificano ampi shunt polmonare a causa di una vasocostrizione ipossica. Lutilizzo di un potente
vasodilatatore come il NO risolve questa vasocostrizione funzionale migliorando il quadro. LNO deve
essere somministrato per os per permettere una vasodilatazione diffusa del parenchima polmonare.
Questo farmaco viene utilizzato prima di dover ricorrere allECMO per tentare di risolvere il quadro ed
evitare la circolazione extracorporea.

Attenzione per: la NIV e lECMO non curano lARDS!! Queste terapie permettono di non far morire il
paziente ma parallelamente a queste dobbiamo ricercare la causa di questa malattia e trattarla!!

Insufficienza respiratoria ipercapnica


Linsufficienza respiratoria ipercapnica deriva da condizioni patologiche diverse da quelle che causano
uninsufficienza respiratoria ipossica perch diverse sono le funzioni che vengono compromesse in caso di
269
IR ipercapnica. NellIR ipercapnica insorge una Pump Failure che interferisce con la ventilazione polmonare
che a sua vola dipende dal volume corrente, spazio morto e frequenza respiratoria. Queste patologie
agiscono con modalit diverse su queste due variabili sono:

Sito compromesso Patologia/condizione patologica


Farmaci Benzodiazepine, propofol,
barbiturici, anestetici, veleni ad
SNC azione centrale
Alterazioni metaboliche Iponatremia, ipocalcemia,
Depressione del Centro del alcalosi, iperglicemia, mixedema,
Respiro del tronco encefalico Causano edema cerebrale neoplasie

Infezioni Meningiti, encefaliti, ascessi
Pump Failure


Per aumento della pressione
Riduzione del volume corrente
intracranica
Apnee notturne
Ischemie del bulbo encefalico
Farmaci Curari, veleni
Traumi spinali (C1-C2)
Sistema neuromuscolare


Per la lesione dei nervi frenici
Pump Failure
Alterazioni metaboliche Ipokaliemia, ipofosfatemia;

Infezioni Tetano
Riduzione del volume corrente
Malattie del motoneurone Guillain-Barr, SLA, Sclerosi
multipla, distrofia muscolare
Adenoidi, tonsille, neoplasie
Ipertrofie tissutali maligne delle vie aeree superiori,
Vie aeree superiori polipi, gozzi

Infezioni Epiglottite (bambini)
Ostruzione
Paralisi delle corde vocali

Edema laringeo Allergie
Riduzione del volume corrente
Tracheomalacia
Corpi estranei
Via aeree inferiori Embolia polmonare
BPCO
Ostruzione/Distruzione Enfisema
Trauma toracico
Aumento dello spazio morto Cifoscoliosi

Non bisogna per dimenticare che quelle patologie che, per via di una grande alterazione della membrana
alveolocapillare, possono compromettere secondariamente anche lo scambio di CO2 (es. ARDS grave).

Un aspetto importante dellIR ipercapnica che la differenzia dallinsufficienza respiratoria ipossica sono gli
effetti sistemici di questa condizione.
Nellipercapnia leffetto sistemico pi eclatante leffetto sullequilibrio acido/base: in corso di ipercapnia
acuta il valore di pH arterioso viene spostato a valori inferiori a 7.3. Lanidride carbonica fa parte di uno dei
sistemi tampone del sangue poich nelle soluzioni acquose (come lambiente intracellulare) forma acido
carbonico (H2CO3) che dissociandosi spontaneamente forma ione HCO3- (bicarbonato) e ioni idrogeno. Lo

270
ione bicarbonato molto solubile in acqua e raggiunge il polmone dove la reazione si svolge in senso
contrario per eliminare lanidride carbonica; gli ioni idrogeno invece si accumulano prima all'interno delle
cellule e poi, se la causa dell'acidosi persiste, anche nei liquidi extracellulari causando una riduzione del
valore di pH.

2 + 2 2 3 3 + +

Lacidosi metabolica sommata agli elevati valori di CO2 in circolo agiscono deprimendo i centri nervosi e
comportando una progressiva riduzione dello stato di coscienza (sonnolenza, confusione mentale,
alterazioni dello stato di coscienza fino al coma). Quindi, mentre nel paziente ipossiemico il malato muore a
causa della carenza di ossigeno che non compensa lenergia richiesta per la fatica respiratoria, il paziente
ipercapnico muore perch si addormenta e progressivamente non respira pi.

A seconda della rapidit con cui si instaura il disturbo della respirazione che ha portato all'acidosi, si
distinguono linsufficienza respiratoria ipercapnica acuta dallinsufficienza ipercapnica cronica. Tale
distinzione importante ai fini dei meccanismi di compenso. Infatti, nelle forme acute il compenso
dovuto quasi esclusivamente ai sistemi tampone interni alle cellule che generalmente non sono sufficienti
ad equilibrare la quota di ioni idrogeno che viene generata in corso di uninsufficienza respiratoria acuta.
Laddove linsufficienza ipercapnica persista, dopo alcuni giorni subentrano dei meccanismi di compenso a
livello renale che portano ad un progressivo aumento del riassorbimento di bicarbonato e aumento
dell'escrezione di ioni idrogeno con le urine. Da ci consegue che mentre nell'acidosi respiratoria acuta e
nelle riacutizzazioni di uninsufficienza cronica, il pH del plasma sar inferiore al normale (acidosi
respiratoria), con pressione parziale di CO2 aumentata e bicarbonati normali o solo leggermente aumentati,
nellinsufficienza respiratoria cronica, grazie al compenso renale, la concentrazione plasmatica di
bicarbonati tender ad aumentare e il pH a tornare nell'intervallo di normalit pur mantenendo valori di
pCO2 superiori rispetto ai limiti della norma.

Clinica
Gli elementi clinici generali sono presenti in ogni tipo di insufficienza respiratoria; pertanto, essi sono
fondamentali nel guidare la diagnosi di insufficienza respiratoria che deve essere approfondita dagli esami
di laboratorio.
I segni e sintomi dellipossiemia sono:

1. Cianosi
2. Tachicardia
3. Ipertensione
4. Dispnea con tachipnea
5. Turbe neurologiche (attenzione, umore, incoordinazione motoria, agitazione psicomotoria,
insonnia): legate al fatto che la caranza di ossigeno altera i centri neurologici del controllo
comportamentale.

I segni e sintomi dellipercapnia sono attribuibili allencefalopatia ipercapnica, un quadro neurologico che si
instaura in corso di IR, causato dalla sofferenza dellencefalo a causa dellipossia, ma soprattutto
dallipercapnia. SI manifestano con :

1. Turbe della coscienza: attenzione, orientamento, comprensione, percezione, vigilanza;


2. Turbe motorie: tremori, asterixis, mioclono multifocale;
3. Stupor;
4. Coma.

Si possono inoltre manifestare elementi clinici specifici correlati a specifiche alterazioni in atto che
permettono di formulare una diagnosi causale dellIRA. La diagnosi eziopatogenetica estremamente
271
importante soprattutto in emergenza, perch indirizza in tempi rapidi verso un idoneo approccio
terapeutico.

Diagnosi
Sul sospetto clinico, la valutazione strumentale e laboratoristica consente di confermare la diagnosi di IRA e
di soppesare il grado di compromissione della funzione respiratoria. Per tale valutazione ci si avvale dei
seguenti presidi diagnostici:

1. Emogasanalisi arteriosa: fondamentale per la diagnosi di insufficienza respiratoria poich consente


contemporaneamente di determinare i valori di pH, PaO2 e PaCO2 presenti nel sangue arterioso. In
tal moto possibile monitorare lequilibrio acido-base e lo scambio gassoso, quantificando lentit
delle alterazioni in atto. Sotto il profilo clinico, generalmente si ritiene che possa delinearsi una
situazione a rischio quando PaO2 si riduce a valori inferiori a 60 mmHg (aria-ambiente) che
generalmente corrisponde ad una SaO2 pari al 90%. Questo un valore critico poich al di sotto di
60 mmHg inizia la parte pi ripida della curva di dissociazione dellossiemoglobina per cui modeste
variazioni della PaO2 possono determinare riduzioni sensibili della saturazione, del contenuto
arterioso di O2 e della quantit di ossigeno trasportata ai tessuti. Per interpretare correttamente il
valore della PaO2 necessario conoscere lesatta FiO2 inspirata.
2. Saturimetria Transcutanea: fornisce indicazioni sulla PaO2 con modalit incruente. Essa infatti
determina con metodiche allinfrarosso la percentuale di emoglobina satura, cio legata allO 2, che
a sua volta strettamente correlata a PaO2.
3. Capnometria: fornisce indicazioni indiretta sulla PaCO2 con modalit incruente ovvero mediante
appositi sensori posizionati nel tubo dei pazienti intubati. Essa misura infatti la percentuale di CO 2
presente nel gas espirato. Questa misura non corrisponder alla PaCO2 perch questa dipende
anche dal ciclo cardiaco, ma ci d una serie di info importanti e ci evita di fare in continuazioni EGA
per non dissanguare questi malati. Oggi esistono anche capnometri che funzionano senza intubare i
pazienti, come per tutte quelle sedazioni che si fanno fuori dalle sale operatorie (gastro, colon)
utilizza un sensore che raccoglie laria espirata dal naso e con una paletta anche quella espirata
dalla bocca e ti danno un valore di CO2. Cos si possono monitorare situazioni che vengono fatte
con nonchalance ma che in realt sono pi pericolose che in sala operatoria perch non c pieno
controllo delle vie aeree, perch il paziente non intubato.

272
Fatica Diaframmatica
(prof. Di Biasi)

Una importante premessa al discorso della fatica diaframmatica come causa di insufficienza respiratoria
riguarda la fisiopatologia della ventilazione (gi spiegata nel capitolo precedente).

La respirazione adempie a due compiti fondamentali, ovvero lossigenazione e leliminazione della CO2.
Queste due funzioni, sebbene basate su un meccanismo di scambio secondo gradiente, riconoscono agenti
diversi che rendono ragione anche di diverse strategie terapeutiche nei casi in cui sia necessario vicariarne
lazione.
Lossigenazione si basa sulla presenza di un gradiente positivo sul versante alveolare rispetto a quello
ematico che permette allossigeno di attraversare la barriera ematoalveolare e rende ragione della
maggiore ossigenazione del sangue venoso polmonare rispetto a quello venoso.Il gradiente negativo sul
versante ematico si genera invece a livello tissutale periferico grazie al consumo di ossigeno da parte delle
cellule. Se inoltre si considera che gli scambi gassosi si basano sul continuo afflusso di questo sangue
deossigenato a livello polmonare, se ne desume che una corretta perfusione polmonare fondamentale
per lossigenazione. Oltre alla corretta perfusione necessaria per una sufficiente ventilazione alveolare
che continuamente li rifornisca di aria sufficientemente ossigenata per creare il gradiente di positivo di
scambio. Il ruolo della ventilazione alveolare tuttavia relativo per lossigenazione se si considera che si
pu ottenere lo stesso gradiente somministrando una ossigeno direttamente nelle basse vie aeree anche in
assenza di ventilazione: quella che si definisce ossigenazione apnoica e giustifica la buona saturazione di
quei pazienti con una scarsa attivit ventilatoria.
Leliminazione di CO2 si basa su un gradiente positivo a livello del sangue capillare polmonare rispetto a
quello dellarea alveolare; la CO2 un gas altamente diffusibile per cui sono sufficienti piccoli gradienti per
permettere questo scambio anche con una bassa perfusione. Per leliminazione della CO2 fondamentale
invece la funzione ventilatoria perch in caso contrario questo gas si accumulerebbe a livello polmonare.

Fisiologia del muscolo diaframma


La fatica diafrramma unimportante causa di insufficienza ventilatoria che richiede spesso un supporto
meccanico alla ventilazione.
Il diaframma lorgano che permette la funzione ventilatoria delle respirazioni; grazie alla sua ritmica
contrazione crea quella pressione negativa che permette allaria di entrare mentre con il suo rilasciamento
passivo genera il gradiente positivo necessario nella fase espiratoria.
Il muscolo diaframma un muscolo semivolontario in quanto svolge una funzione involontaria basale di
contrazione ma anche un muscolo volontario nella misura in cui possiamo modificare volontariamente la
tensione, la forza, la frequenza di contrazione del diaframma. Il diaframma sotto il controllo del centro
bulbare del respiro: da qui originano gli assoni che, per mezzo dei nervi frenici, raggiungono le placche
neuromuscolari delle fibre muscolari e inducono la contrazione.

Il diaframma un muscolo striato con la classica struttura fatta di filamenti di actina e miosina che scorrono
gli uni sugli altri grazie al calcio. In questo muscolo si distinguono due tipi di fibre che, nel soggetto
normale, sono cos distribuite in questa percentuale:

55% fibre di tipo I: hanno la caratteristica di sviluppare poca forza, essere attivate con una
frequenza di stimolazione non particolarmente elevata, intorno ai 30 Hertz di stimolazione
centrale, hanno metabolismo ossidativo, sono altamente resistenti alla fatica; sono quelle fibre che
ci permettono di mantenere sempre attiva la respirazione.
45% fibre di tipo II: che si differenziano in IIa e IIb, sono fibre che vengono stimolate ad alta
frequenza, sviluppano maggiore forza, hanno un metabolismo che arriva fino alla glicolisi

273
anaerobia, sono suscettibili alla fatica, esauriscono in fretta la forza contrattile cio non riescono a
mantenere forza contrattile per tempi prolungati.

importante conoscere questa distribuzione perch nel paziente bronchitico cronico vanno incontra ad
inversione del loro rapporto.

I fattori che incidono sullo sviluppo della forza muscolare del muscolo diaframma sono:

1. Velocit di accorciamento: l'aumento della velocit (lo scatto muscolare) fa sviluppare pi forza;
2. Lunghezza inziale delle fibre: se le fibre muscolari si stirano, e quindi aumenta lo spazio tra actina e
miosina, diventa meno producente lo sviluppo della forza.
3. Frequenza di stimolazione: in un soggetto sano stimoliamo il nostro diaframma con una frequenza
compresa tra 10 e 30 Hertz, all' interno di questo range di stimolazione possiamo sviluppare dal
30% della forzamassima di contrazione diaframmatica fino all' 85%. Attenzione: quando
somministriamo a un pz dei sedativi, che possono essere benzodiazepine, farmaci ipnotici o
oppiacei, poich questi agiscono sulla frequenza di stimolazione possono ridurre la capacit di
sviluppare forza da parte del diaframma. La frequenza di stimolazione pu variare anche nelle
sindromi psichiatriche con riduzione del tono dell'umore, comporta lo sviluppo di meno forza
perch la frequenza di stimolazione cerebrale ridotta.

In definitiva, il lavoro del muscolo diaframma dipende, secondo la legge fisica che definisce il lavoro (L =
Forza x spostamento), dalla forza generata e dallo spostamento che si genera. Le forza generata dal
muscolo deve per considerare queste forze che possono opporglisi:

1. Forze elastiche: dipendono dalle caratteristiche del parenchima polmonare. Durante


linspirazione, lallungamento delle fibre elastiche contenute nel tessuto polmonare determina
una trazione elastica sule vie aeree che si oppone allattivit del muscolo diaframma. Durante
lespirazione, queste forze di retrazione diminuiscono perch i polmoni si riducono di volume
facilitando il lavoro del muscolo.
2. Forze resistive: sono le forze che si oppongono al passaggio dellaria allinterno delle vie aeree
(anche dette resistenze ohmiche). Queste forze agiscono in senso contrario al lavoro del
muscolo diaframma durante la fase inspiratoria poich aumentando la resistenza incontrata
dallaria durante linspirazione aumenta anche la forza che il diaframma deve generare per
superarla.

importante conoscere queste forze che determinano il lavoro muscolare poich in condizioni di
affaticamento muscolare necessario agire in senso terapeutico per ridurle o per supportare il lavoro del
diaframma. Abbiamo a disposizione una serie di misurazioni cliniche e strumentali atte a valutare le
resistenze alla respirazione e quindi allattivit del diaframma:

Auscultazione toracica: durante la fase espiratoria, possiamo valutare la presenza di rumori


polmonari, sibili o ronchi che testimoniano la turbolenza del flusso d'aria al passaggio attraverso le
vie aeree ostruite
Frequenza respiratoria: permette di definire la forza muscolare richiesta ogni minuto;
Espansione delladdome: se c' unaumentata pressione endoaddominale abbiamo unescursione
minore dell'addome.

Fatica respiratoria o diaframmatica


La fatica una condizione temporanea in cui vi una riduzione della capacit di sviluppare forza ad un dato
livello di stimolazione, con unattivit sotto carico che reversibile a riposo.
La fatica respiratoria lincapacit dei muscoli respiratori (in particolare del diaframma) di generare una

274
forza sufficiente a mantenere una corretta ventilazione alveolare con la conseguente comparsa di
insufficienza respiratoria. La velocit comparsa di questo esaurimento funzionale dipende da tre variabili:

1. Entit della forza richiesta al diaframma per il suo lavoro: questa dipende dalle forze resistive ed
elastiche che si oppongono al lavoro del diaframma.
2. Capacit massima del muscolo di sviluppare forza: se ridotta questa capacit lesaurimento si avr
pi precocemente;
3. Tempo di mantenimento della forza (o endurance): dipende dalla percentuale di distribuzione dei
diversi tipi di fibre muscolari nel diaframma.

Quando negli anni 70 si sono studiati i motivi fisiopatologici per cui insorge la fatica diaframmatica ci si
chiesto se questa fosse data dallincapacit delle fibre muscolari di sostenere il carico o dalla perdita della
capacit neuronale di generare lo stimolo. Per dare una risposta a questo quesito sono stati fatti una serie
di esperimenti tra cui uno era fondato sulla stimolazione esterna del nervo frenico: si osservato che
stimolando esternamente il muscolo questo aumentava la capacit di sviluppare forza. Se ne dedotto che
il meccanismo intrinseco alla fatica centrale di origine centrale: quando le forze che si oppongono al
lavoro del diaframma diventano eccessive e costanti, il SNC riduce l'output per preservare il danno cellulare
(fenomeno noto come Central Wisdom) perch' se continuasse a mantenere elevata la frequenza di
scarica a quel punto le cellule muscolari esaurirebbero le riserve di fosfocreatina, utilizzerebbero in
pochissimo tempo tutte le scorte di ATP, che nel muscolo sono poche, la cellula non potrebbe mantenere i
gradienti elettrolitici ed andrebbe incontro a rottura. Dal punto di vista pratico ci interessa tutto questo
perch' nel momento in cui noi abbiamo le indicazioni che il soggetto possa andare incontro a fatica non
aspettiamo che il diaframma riduca la capacit di sviluppare forza ma cominciamo subito a supportare una
parte di quel carico affinch, venendo meno il carico eccessivo, il muscolo non si esaurisca nelle sue riserve.

La fatica diaframmatica insorge attraverso tre fasi successive i quali richiedono diversi interventi
terapeutici:

Fase 1: in questa fase si assiste ad un rapido declino della capacit di sviluppare forza per
disaccoppiamento della fosforilazione; gli effetti obiettivabili di questo declino sono scarsi
perch si attivano meccanismi compensatori che ne comportano una minima riduzione;
Fase 2: insorgenza delle riserve funzionali per compensare il deficit; queste possono essere
clinicamente valutate, come l'aumento della frequenza respiratoria e tutto quello che serve
per mantenere la forza residua;
Fase 3: cedimento del sistema e totale incapacit di sviluppare forza diaframmatica che portano
all'arresto respiratorio ad alto rischio di morte. Questo insorge per un problema legato al
mancato re-uptake del calcio nel reticolo sarcoplasmatico che necessita di molto tempo per
essere ripristinato.

Dal punto di vista terapeutico, occorre agire in fase 2 per prevenire la comparsa di un arresto respiratorio.
In questa fase possiamo, mediante la ventilazione meccanica non invasiva, possiamo ridurre il lavoro del
muscolo per permettergli di recuperare energia. Oltre ad un supporto ventilatorio, importante anche un
supporto biochimico che consiste nel reintegrare le scorte di fosfato necessarie alla cellula muscolare per
produrre energia e che, in un muscolo affaticato, sono molto spesso esaurite. Se invece ci troviamo gi in
fase 3 non ci resta che intubare il pz, metterlo a riposo 24 h affinch si ristabiliscano le scorte energetiche e
cos il soggetto pu riprodurre forza, ma a questo punto possiamo usare solo una ventilazione invasiva.

Principali cause della fatica diaframmatica


Tutte le condizioni patologiche che incidono negativamente sulla forza muscolare generata dal muscolo
diaframma generano fatica. Il bronchitico cronico rappresenta il modello clinico del paziente con fatica
respiratoria: le resistenze al flusso sono aumentate, la capacita funzionale residua aumentata, il polmone
275
meno elastico e pi rigido. Queste sono le principali alterazioni fisiopatologiche che determinano la
comparsa di fatica diaframmatica in questi pazienti:

1. Inversione del rapporto percentuale delle fibre muscolari: Un pz bronchitico cronico va incontro
a inversione del rapporto di distribuzione dei due tipi di fibre. Il senso di questo cambiamento
quello di fornire una maggiore forza per superare le resistenze aumentate. In una prima fase
questo cambiamento efficiente ma la conseguenza un rapido affaticamento muscolare
poich le fibre di tipo II vanno incontro pi in fretta ad esaurimento della loro attivit
contrattile. Si genera quindi uno stato di insufficienza respiratoria cronica che viene per
compensata a livello renale con un maggiore recupero di bicarbonati mantenendo il pH nei
valori fisiologici.
2. Aumento della lunghezza iniziale delle fibre muscolari: nel paziente bronchitico cronico si
osserva espansione della gabbia toracica, l'ampliamento della capacit funzionale residua 1 e
quindi lo stiramento del diaframma, che quindi pone il muscolo diaframma in una condizione di
svantaggio per la creazione di forza.
3. Aumento delle forze resistive
4. Aumento delle forze elastiche

Altre condizioni patologiche che predispongono alla fatica diaframmatica sono latrofia del muscolo
diaframma a seguito di una ventilazione meccanica prolungata, limmaturit delle strutture muscolari e
nervose e le malattie neuromuscolari.

1
Il motivo dellaumento della capacit funzionale residua che. nel soggetto bronchitico cronico cos come
nel soggetto enfisematoso, aumenta la costante di tempo ovvero il tempo necessario per far uscire l'aria
dagli alveoli. In un bronchitico cronico riacutizzato questo tempo pu arrivare a 30 secondi, vuol dire che
per far uscire tutta l'aria dal polmone dovrebbe compiere 2 respiri al min, cosa inverosimile, per cui l'aria
ristagna nel polmone dal respiro precedente quando inizia l'ispirazione successiva.
276
Ventilazione meccanica
(prof.ssa Rocco)
Come stato detto, la ventilazione una delle funzioni polmonari fondamentali per poter eliminare volumi
di aria che permettono la riduzione della concentrazione di CO2. Quando si configura una condizione di
ipercapnia per un deficit della pompa diaframmatica, lunica possibilit quella di ventilare
meccanicamente il paziente. La ventilazione meccanica fornisce contemporaneamente una quantit di O2
sufficiente al fabbisogno dello stesso organismo. Lipercapnico deve essere ventilato per prevenire
unencefalopatia severa, per prevenire aritmie fatali e, per il paziente ipossico, per ridurre la fatica
muscolare respiratoria.

La ventilazione meccanica sostenuta da una pompa artificiale esterna che si sostituisce alla pompa
diaframmatica venendo connessa direttamente alle vie aeree del paziente. Il lavoro necessario per
assicurare la ventilazione non viene quindi pi eseguito dai muscoli respiratori, ma da questa pompa
artificiale che insuffla aria nelle vie aeree, creando allinterno di esse una pressione positiva. evidente che
la ventilazione artificiale sovverte completamente il regime pressorio vigente nelle vie aeree: infatti,
mentre durante una inspirazione spontanea si genera una pressione negativa nelle vie aeree, nella
ventilazione meccanica la pressione allinterno delle vie aeree risulter positiva (Macchine a pressione
positiva). La ventilazione rappresenta pertanto un evento non fisiologico, a cui possono essere ascritte
complicanze quali la riduzione del ritorno venoso, linsufficienza ventricolare destra e sinistra, riduzione
della gittata cardiaca e ipotensione da riventilazione, barotraumatismo polmonare.
L'espirazione permessa dal ritorno della pressione del ventilatore al livello della pressione atmosferica e
dal ritorno elastico dei polmoni e della gabbia toracica.
Unaltra differenza rispetto alla respirazione fisiologiche che, di regola, la pressione nelle vie aeree torna a
zero durante lespirazione. Con unapposita valvola inserita sulla parte espiratoria del circuito per
possibile mantenere una pressione positiva nelle vie aeree anche durante la fase espiratoria. Questa
pressione viene definita PEEP (positive and expiratory pressure) e possiede un preciso significato
terapeutico.
Esistono per anche ventilazioni a pressione negativa (es. polmone dacciaio) che non hanno questi effetti
artificiali ma sono di scarso utilizzo nelle condizioni di emergenza.

La pompa meccanica, o ventilatore, ha la capacit di insufflare una miscela gassosa di aria e ossigeno con
concentrazioni precise che possono essere selezionate; in sala operatoria si aggiunge alla miscela un
anestetico volatile per anestetizzare il paziente durante un intervento chirurgico.

Ventilazione invasiva e NIV


La ventilazione meccanica pu essere distinta in:
Ventilazione meccanica non invasiva (NIV): attraverso una maschera facciale
Ventilazione meccanica invasiva: il collegamento diretto alla sorgente di pressione positiva avviene
mediante l'inserimento di una cannula nella laringe attraverso il naso o la bocca, oppure attraverso
una tracheotomia.

Secondo la professoressa, la NIV per gli operatori e per il malato un processo indaginoso perch necessita
costantemente di valutare che la quota di aria inspirata abbia effettivamente le caratteristiche impostate,
che la PaO2 rientri nei valori di normalit e che non vi siano perdite attraverso la maschera.
Al contrario con una cannula laringea si abbastanza certi dellefficacia della ventilazione.

La NIV nata a seguito della comparsa dei primi casi di polmonite associata al ventilatore (VAP) che hanno
rappresentato una importante causa di morte tra i pazienti intubati. Cos sono stati avviati tutti una serie di
studi che hanno confermato che, qualora venisse utilizzata in modo corretto la NIV, la probabilit di un
rischio infettivo molto pi rare.
277
Tuttavia, importante capire che la NIV non pu essere fatta a tutti: se fatta male equivale a soffocare il
paziente. Generalmente si ricorre alla NIV nei seguenti casi:

1. Ipercapnia lieve: per prevenire lintubazione;


2. Ipercapnia cronica: nel paziente bronchitico cronico come alternativa allintubazione per prevenire
una riacutizzazione;
3. Ipercapnia in risoluzione: si pu utilizzare per estubarli precocemente per abbattere il rischio di
complicanze dellintubazione.
4. Post-estubazione: per prevenire la re intubazione di un paziente a rischio di recidiva precoce.
5. Paziente immunodepresso: a causa della depressione delle difese immunitarie, questi pazienti
hanno un elevato rischio di mortalit nei casi in cui dovesse insorgere una VAP. Si tratta tuttavia di
paziento con compliance alta e fatica respiratoria altrettanto alta per cui la NIV efficace a patto
che i pazienti vengano sedati.

Nel paziente acuto si ricorre alla ventilazione invasiva. Nei casi in cui si decida di ricorrere alla NIV per il pz
acuto, questo deve essere continuamente monitorato ma soprattutto bisogna darsi dei target (cos anche
nel paziente cronico): se non raggiungi il parametro di PaO2 auspicato in mezzora/unora si deve intubare.
Nei pz in coma si fa sempre la ventilazione invasiva. Nel paziente ipossiemico si pu utilizzare la NIV solo in
una fase iniziale.
La causa di fallimento pi frequente della NIV sono che l'interfaccia della NIV (la maschera facciale) non
sia adatta alla faccia della persona con conseguenti fughe d'aria. Per questo oltre alla maschera esiste il
casco per la ventilazione meccanica che riduce notevolmente queste perdite. Per il casco non si utilizza nei
pazienti ipercapnici perch il volume di spazio morto del casco talmente grande (circa 1 L) che la
ventilazione potrebbe risultare ugualmente non efficace.
Le complicanza pi frequente della NIV invece la lesione da decubito sulla radice del naso nel punto in cui
la maschera facciale vi poggia; Ad oggi esistono quindi delle maschere che hanno permesso di superare
questa complicanze nonch la causa di fallimento pi frequente della NIV.

Modalit di ventilazione a pressione positiva


Le modalit di ventilazione si classificano in base al controllo dell'atto respiratorio e tradizionalmente in
base al modo con il quale viene stabilito quando interrompere l'insufflazione di aria o la modalit di inizio
dellatto respiratorio.
La fine del supporto meccanico alla ventilazione meccanica pu essere impostata in funzione della
pressione o del volume insufflati:

Ventilazione a volume controllato: un predeterminato tidal volume (Vt), o volume corrente in


italiano, viene programmato ed erogato dal respiratore ad ogni atto. Il valore di pressione
necessaria per tale atto varia negli atti respiratori ed determinata dalla resistenza idraulica e
dalla compliance del circuito e delle vie aeree del paziente. Al raggiungimento di tale volume
d'aria, il ventilatore interromper l'insufflazione ed aprir la valvola per consentire la fuoriuscita
dell'aria (espirazione).
Ventilazione a pressione controllata: Una predeterminata pressione di picco inspiratorio, o peak
inspiratory pressure in inglese (PIP), viene programmata. Il ventilatore insuffler aria fino al
raggiungimento del valore di pressione impostato. In corrispondenza di tale limiti, il ventilatore
interromper l'insufflazione ed aprir la valvola per consentire la fuoriuscita dell'aria (espirazione).

In diversi modelli sono state combinate le caratteristiche di entrambe le modalit nel tentativo di
soddisfare la meglio le esigenze del paziente. Queste modalit sono a flusso variabile, volume
programmato, pressione regolata, a tempo limitato (per esempio, ventilazione a volume controllato con
pressione regolata - PRVC). Questo implica che invece di erogare un esatto volume corrente ad ogni atto

278
respiratorio, viene impostato un volume target ed il ventilatore varier il flusso inspiratorio ad ogni atto per
raggiungere il volume target alla pressione di picco pi bassa possibile.

L'altro modo di classificare la ventilazione artificiale meccanica basata sul modo di stabilire l'inizio
dell'insufflazione dell'aria (ognuna delle seguenti modalit di inizio dell'atto respiratorio pu essere
combinata con uno qualsiasi dei modi di interromperlo descritti precedentemente):

Continuous Mandatory Ventilation (CMV): o ventilazione meccanica controllata. In questa modalit


il paziente non presenta atti respiratori spontanei, come nei pazienti sottoposti a curarizzazione per
cui occorre impostare i parametri di inizio e di fine della respirazione nonch il volume e la
pressione da insufflare;
Assisted Control Ventilation (ACV): Con questa modalit il paziente in grado di attivare ogni atto
inspiratorio che viene, in un secondo tempo, supportato e portato a termine dal ventilatore,
potendo comunque impostare una frequenza di base tale che, in caso di apnea, intervenga il
ventilatore.
Ventilazione obbligatoria intermittente (IMV): In questo caso il ventilatore interviene solo se la
frequenza degli atti inspiratori del paziente diminuisce sotto una certa soglia. In questa modalit
occorre impostare un determinato volume corrente e una frequenza respiratoria di soglia (che
prende il nome di ventilazione intermittente obbligatoria IMT). A differenza della modalit
assistita/controllata in questa il paziente pu respirare spontaneamente, a meno che, ovviamente,
abbia una frequenza troppo bassa e subentri pertanto il ventilatore. La ventilazione sincronizzata
intermittente obbligatoria riduce il rischio di barotrauma dal momento che non possibile la
sovrapposizione tra l'atto inspiratorio spontaneo e quello erogato (come pu invece avvenire nella
ventilazione assistita/controllata). E' possibile associare questa modalit a una pressione di
supporto agli atti spontanei.
La IMV frequentemente utilizzata come modalit di ventilazione di passaggio da una totale
dipendenza dal ventilatore fino alla rimozione dell'assistenza ventilatoria ("weaning", o
svezzamento).
Pressure Support Ventilation (PSV): quando un paziente tenta di respirare spontaneamente tramite
un tubo endotracheale, il circuito fra ventilatore e trachea costituisce un elemento resistivo che
impegna la muscolatura respiratoria, e genera un lavoro muscolare supplementare. La modalit
PSV stata concepita per ridurre il lavoro dei muscoli respiratori. Dunque, gli atti respiratori
generati tramite PSV si interrompono quando il flusso inspiratorio raggiunge una determinata
percentuale di picco inspiratorio. Pi alta la pressione, pi dentro va il volume, non si deve mai
scendere sotto 10/12 cmH2O di pressure support, che quella pressione che serve a superare tutti
gli ostacoli. Se il paziente riesce a respirare bene con 12 cmH2O di PSV vuol dire che estubabile.
Invece, il paziente candidabile alla PSV se la MEEP (forza muscolare dei muscoli ispiratori)
sufficiente a garantire una negativizzazione della pressione nelle vie aeree.
La PSV lunica modalit utilizzabile con una NIV.

Una particolare modalit di ventilazione la Continous Positive Airaway Pressure (CPAP). I ventilatori C-PAP
mantengono all'interno delle vie aeree una pressione costante maggiore della pressione atmosferica
durante tutto il ciclo respiratorio al fine di favorire il reclutamento alveolare ed aumentare la capacit
funzionale residua (CFR). Il respiro affidato totalmente al paziente ( dunque impiegabile solo in pazienti
con una funzione dei muscoli respiratori conservata). Pu, inoltre, ridurre il lavoro inspiratorio in pazienti
con alti livelli di auto-PEEP. E' considerata utile in caso di polmonite, atelettasia, edema polmonare e
durante il sonno in pazienti con apnea notturna. Permette di riaprire alveoli collabiti a pressione
atmosferica con consegente aumento della CFR. Non ha indicazioni invece nelle patologie caratterizzate da
ipoventilazione (deficit di pompa). Livelli eccessivi di CPAP possono tuttavia provocare iperinsufflazione
dinamica o un carica eccessivo di lavoro per i muscoli respiratori. L'incremento delle pressioni
279
intratoraciche determina inoltre una riduzione della gittata cardiaca (in misura minore per dei ventilatori
con PEEP).

Parametri della ventilazione meccanica


Una volta scelta la modalit di ventilazione occorre impostare i parametri del ventilatore per le seguenti
caratteristiche:

1. Volume corrente: il volume di gas che viene insufflato per ogni atto respiratorio. Il valore corretto
del Vt per le ventilazioni invasive di circa 8-12 ml x Kg di peso corporeo, aumentato del 50% in
caso di ventilazioni non invasive con maschere (per compensare le perdite d'aria dalla maschera);
2. Frequenza respiratoria: Il valore ottimale dipende dal tipo di patologia.
3. Volume minuto: dato dal prodotto tra FR x Vt: se si vuole variare il volume minuto, incrementando
FR o Vt si ottengono risultati differenti. Un incremento della FR produce una variazione minore del
Volume Minuto rispetto a quella prodotta dalla variazione del Vt dal momento che parte della
ventilazione viene persa nello spazio morto. Un incremento eccessivo del Vt pu provocare
barotraumi.
4. Rapporto T inspirazione/T espirazione: Solitamente il rapporto viene regolato intorno ad un
rapporto del 33%, tuttavia pazienti ostruiti richiedono spesso TE maggiori. Uninversione del
rapporto Ti/Te per incremento del Ti caratterizza una modalit di ventilazione nota come IRV
(Inverted Ratio Ventilation): gli studi effettati su questa metodica hanno dato risultati diversi e ci
sono dubbi sulla reale efficacia.
5. FiO2: nei moderni ventilatori possibile regolare la concentrazione dell'O2 erogata.
6. PEEP: se viene impostata una PEEP, la Paw (pressure airway) non torna a livello della P atmosferica
alla fine della fase espiratoria. Occorre valutare le condizioni patologiche in cui aumentare la PEEP.
L'impostazione di una PEEP permette di "riaprire" zone malventilate ma ancora perfuse (alla base di
squilibri ventilo- perfusori non correggibili con la sola somministrazione di ossigeno, di riduzione
della compliance e delle capacit funzionale residua). Un altro vantaggio che riducendo il
gradiente pressorio tele-espiratorio tra alveoli e atmosfera si permette unattivazione meno
dispendiosa del trigger inspiratorio.
In altre condizioni, (ad es. ARDS) l'incremento dalla Paw in fase espiratoria non indicata in quanto
pu non essere in grado di riventilare zone compromesse e comportare solo una sovradistensione
di zone integre con conseguente barotrauma e incremento dello spazio morto. La PEEP comporta
effetti sfavorevoli a carico del sistema cardiocircolatorio dal momento che si determina un
incremento della pressione intratoracica (che rimane positiva anche durante tutto il ciclo
respiratorio) e di conseguenza una diminuzione del ritorno venoso. Il ridotto ritorno venoso
associato ad un incremento del postcarico del ventricolo destro contribuisce a determinare una
riduzione della gittata sistolica destra.

Se il pz ha una forma restrittiva bisogna ricorrere ad un aumento della PEEP finch non si ottiene una
saturazione adeguata, utilizzando bassi volumi ma con una frequenza respiratoria pi alta per permettere
di mantenere costante il volume minuto.
Se il paziente ha una forma ostruttiva, dopo aver utilizzato farmaci broncodilatatori, bisogna impostare una
ventilazione con frequenze molto basse ma volumi pi alti. Si pu importare una PEEP valutando prima la
sua auto-PEEP. Si tratta generalmente di un paziente (es. bronchitico cronico) nel quale non ha neanche
senso togliere tutta la CO2 perch vi gi il compenso sistemico a garantire una condizione di normalit.

Aldil dei parametri da impostare in una ventilazione, durante la ventilazione sapere se questa
sufficiente a sostenere unadeguata ossigenazione valutando costantemente il paziente mediante EGA o
saturazione.

280
Svezzamento dalla ventilazione meccanica
I pazienti sottoposti a ventilazione meccanica devono, una volta risolto il problema di base, riabituarsi a
respirare autonomamente. Il processo di svezzamento consiste proprio in questo. Nonostante i grandi
progressi compiuti nel campo della respirazione meccanica, si discute ancora su quale sia la metodologia
migliore per svezzare i pazienti. Non esiste omogeneit di criteri tra le diverse quipe n per iniziare n per
condurre lo svezzamento. Ad esempio non esistono criteri univoci per definire quando e quanto il paziente
deve rimanere in respiro spontaneo. Questa decisione spetta al clinico in base al tempo in cui il paziente ha
ricevuto la ventilazione meccanica e in base alla capacit di tollerare la ventilazione spontanea e di
proteggere le vie aeree.
Alcuni anestesisti estubano direttamente il paziente altri ricorrono alla PSV; tuttavia la letteratura medica
dimostra che la migliore metodica quella per la quale si pi esperti.

Generalmente lo svezzamento avviene mediante lutilizzo di una ventilazione meccanica PSV poich
consente di accelerare i tempi di svezzamento, con una percentuale di fallimenti notevolmente contenuta
rispetto agli altri metodi. Quando si arriva a 12 cmH2O di PSV si deve valutare la possibilit di estubare il
paziente.

Nei primi 15 minuti dal completo svezzamento, il parametro che deve essere attentamente monitorato la
frequenza cardiaca: se non vi un aumento della frequenza cardiaca (che generalmente il primo segno di
una fatica respiratoria ancor prima della tachipnea) il paziente ha una buona capacit di respirare
spontaneamente.

BPCO riacutizzata e principi di ventilazione meccanica non invasiva


La BPCO uno stato patologico caratterizzato dalla presenza di una limitazione al flusso aereo, dovuta a
bronchite cronica (85%) o ad enfisema (15%), accompagnata da iperreattivit delle vie aeree e pu essere
parzialmente reversibile. Per riacutizzazione di BPCO si intente il peggioramento di una condizione clinica
di stabilit, con variazioni giornaliere, che possono richiedere trattamenti terapeutici aggiuntivi alla terapia
cronica.La riacutizzazione della BPCO pi frequente negli stadi moderati-severi di tale malattia e nei casi
con aumentata espettorazione. La riacutizzazione deve essere prontamente trattata in quando una
frequente causa di morbilit e mortalit nei pazienti affetti da BPCO.

Le principali cause di riacutizzazione sono:

1. Infezioni batteriche o virali: una riacutizzazione associata ad espettorazioni purulente indicativa


di uninfezione batterica mentre lassociazione a raffreddore o a sintomi di interessamento delel vie
aeree superiori fa propendere lorigine verso uninfezione virale del fenomeno. I batteri pi
frequentemente isolati dalle colture sono: Haemofilus influenzae, Pseudomonas aeruginosa,
Streptococco pneumoniae, Morazella catarrhalis. Tra i virus il pi frequente il rhinovirus.
2. Inquinamento
3. Clima freddo
4. Interruzioni del trattamento cronico
5. Patologie concomitanti: pneumotorace, embolia, scompenso cardiaco, infezioni non polmonari.

Dal punto di vista fisiopatologico, liperreattivit delle mucosa delle vie aeree associata allesposizione al
fumo di sigarette genera uninfiammazione cronica remittente e recidivante; nel paziente cronico, la
mucosa diventa iperplastica e le cellule producono una maggiore quantit di muco a livello dei bronchi. Il
risultato un quadro ostruttivo associato alla BPCO, che rappresenta la pi frequente causa di una
sindrome ostruttiva respiratoria, e la presenza di un pabulum per la crescita batterica.
Un altro aspetto importante della BPCO cronica che con il progredire dello stato cronico si sviluppa una
condizione di iperinflazione dinamica: il paziente riesce a introdurre la giusta quantit daria ma con il
progredire del quadro ostruttivo questa uscir con maggiore difficolt per cui la maggior parte rimane
281
allinterno del polmone aumentanto il V telerespiratorio. Questa iperpressione rompe i vari setti e si
formano le bolle di enfisema, per cui il BPCO anche ipossico; dallaltra liperpressione parte crea quella
che una auto-PEEP ovvero si autoproduce un aumento della pressione interna e quindi crea un sacco di
problemi per riuscire a espirarla tutta e questo automantiene il suo problema.

Durante una riacutizzazione, la fisiopatologia delle BPCO la seguente:

1. Aumento delle resistenze delle vie aeree


2. Aumento delliperinsufflazione aumento della auto-PEEP
3. Aumento della fatica muscolare diminuita efficienza ventilatoria
4. Aumento dello spazio morto diminuita efficienza ventilatoria

Il risultato di questi quattro punti la comparsa di Insufficienza respiratoria ipercapnica.

Il paziente con riacutizzazione di BPCO presenta un quadro clinico caratterizzato da: condizioni generali
scandenti, dispnea, aumentate secrezioni, aumentato espettorato, soprattutto di tipo purulento; ritenzione
di liquidi con edema periferico, ipossiemia, ipercapnia, cianosi, acidosi respiratoria e alterato stato di
coscienza.

Nellapproccio al paziente con riacutizzazione di BPCO si devono eseguire, prima di tutto, i normali esami di
routine:

1. Emocromo aumento dellematocrito secondario allipossiemia cronica


2. EGA ipossiemia, ipercapnia, acidosi
3. Urea ed elettroliti per valutare una causa renale della riacutizzazione
4. ECG per valutare una causa cardiaca della riacutizzazione
5. Valutazione dei parametri vitali
6. RX del torace permette di identificare uno stato enfisematoso e lesclusione di altri quadri
patologici pi gravi.

I criteri clinici indicanti la necessit di ospedalizzazione nei pazienti con BPCo riacutizzata sono:

FR > 25 atti/min
FC > 110 bpm
PaO2 < 60 mmHg
Quadro radiologico con alterazioni patologiche
Patologie concomitanti gravi
Alterazioni della coscienza

282
Il rapido riconoscimenti dei segni di riacutizzazione di uno stato di BPCO e il tempestivo trattamento
migliorano loutcome di tali pazienti, riducendo e in tal caso evitando, lospedalizzazione. La riacutizzazione
di una BPCO di pertinenza del rianimatore1. La terapia del paziente con BPCO riacutizzata la seguente:

1. Broncodilatatori: prioritari rispetto a qualsiasi intervento di ventilazione meccanica. I 2-agonisti a


breve durata dazione sono i farmaci pi utilizzati; possono essere somministrati mediante
nebulizzazione, allarrivo e ripetuta, successivamente ogni 4-6 ore.il dosaggio del Salbutamolo di
2.5-5 mg per ogni somministrazione mentre per il Terbutalina 5-10 mg per somministrazione. Altri
farmaci che possono essere utilizzati come broncodilatatori sono i teofillinici (aminofillina); questi
sono molto utili ma anche molto pericolosi perch la dose tossica e la dose efficace hanno valori
molto simili. Un'altra classe farmacologica che pu essere utilizzata nella riacutizzazione delle BPCO
con effetto broncodilatatore sono gli anticolinergici (bromuro di ipratropio 0.25-0.5 mg).
2. Corticosteroidi: luso di corticosteroidi migliora la funzionalit respiratoria. Vengono usualmente
somministrati per via orale alla dose di 30 mg al giorno per una settimana. Hanno leffetto di
spegnere la risposta infiammatoria indotta dalla riacutizzazione permettendo quindi una
broncodilatazione pi tardiva (dopo 4 ore) rispetto ai broncodilatatori precedenti.
3. Ossigenoterapia: tramite maschera venturi con una FiO2 del 28% o tramite occhialini nasali a
2L/min. Attenzione per perch in questi pazienti che sono abituati ad una condizione cronica di
ipossia, un eccessivo aumento della PaO2 pu deprimere il centro del respiro e pu smettere di
respirare.
4. Antibioticoterapia: vengono utilizzati i macrolidi o i fluorochinolonici in quanto nelle riacutizzazioni
stata rilevata unelevata frequenza di infezioni sostenute da enterobatteriacee e Pseudomonas
Aeruginosa, sensibili a questi antibiotici.

Se non si osserva nessun miglioramento degli scambi gassosi allEGA bisogna ricorrere alla ventilazione non
invasiva soprattutto quando i valori di CO2 cominciano ad essere elevati. Gli obiettivi del trattamento
respiratorio nel paziente con BPCO acuta sono il riposo dei muscoli respiratori, il supporto ventilatori
durante il trattamento delle condizioni reversibili, correzione dellipossiemia e dellipercapnia.
Le caratteristiche della ventilazione meccanica di un paziente con BPCO riacutizzata sono:

1. NIV mediante maschere oronasali e, dopo 24 ore se il paziente mostra un migliramento, sostituirla
con un dispositivo nasale;
2. Volume corrente: Alto per compensare la bassa frequenza di ventilazione
3. Frequenza di ventilazione: 8-10/min per permettere al paziente di espirare pi aria possibile
4. Rapporto T inspirazione/T espirazione: 1:4-1:6 a seconda della gravit per permettere allaria di
uscire e di ridurre lauto-PEEP. Per mantenere questi rapporti necessario per ridurre la
frequenza;
5. Modalit di Pressure Support Ventilation
6. PEEP: bassa per facilitare lespirazione.

La ventilazione meccanica di un paziente con BPCO deve essere mantenuta per tante ore allinizio, ma dopo
che si riposato si pu staccare ed alternare fasi di respirazione spontanea a quella assistita.

Crisi asmatica e approccio in emergenza


Lasma rappresenta una patologia polmonare caratterizzata da ostruzione reversibile del flusso aereo,
infiammazione delle vie aeree ed aumentata reattivit delle vie aeree (iperreattivit bronchiale) ad una
molteplice serie di stimoli che non provocano alcun effetto negli individui normali. Lasma insieme alla
BPCO rappresenta la pi comune causa di ostruzione delle vie aeree. A differenza della precedente, pu

1
Gli Anestesisti/rianimatori si riferiscono ai pazienti con BPCO riacutizzata chiamandoli bronchitici cronici mentre gli
pneumologi li chiamano bronchitici cronici riacutizzati o insufficienze respiratorie acute.
283
interessare anche il paziente giovane per questo necessita di una particolare attenzione nel riconoscimento
e nel trattamento.

Sebbene lasma venga considerata principalmente come una patologia delle vie aeree, di fatto, durante una
fase di riacutizzazione, tutti gli aspetti della funzione polmonare risultano compromessi.
La limitazione della fase espiratoria provocata dallostruzione delle vie aeree nel paziente asmatico,
procude svuotamento polmonare incompleto e progressiva iperdistensione polmonare, dinamicamente
influenzata dalle fasi ventilatorie correlata allattivit espiratoria del paziente (iperinflazione dinamica).
A fine espirazione, lincompleto svuotamentodel gas a livello alveolare innalza la pressione ed il volume
alveolare al di sopra dei valori della pressione atmosferica, ovvero la pressione positiva intrinseca di fine
espirazione (auto-PEEP). La PEEP rappresenta inoltre la pressione soglia che deve essere superata per
inziare il flusso inspiratorio.
In corso di riesacerbazione asmatica con presentazione acuta del quadro clinico, la ridotta ventilazione di
distretti alveolari normalmente perfusi conduce, in fase iniziale, allinsorgenza di uno squilibrio
ventilazione/perfusione che, a sua volta, responsabile della comparsa di ipossiemia arteriosa.
La genesi dellipossiemia arteriosa, oltre ad essere attribuita, in modo prevalente, allo squilibrio del
rapporto ventilazione-perfusione, pu essere anche correlata, per quanto meno frequentemente, alla
presenza di effetto shunt destro-sinistro (sangue che giunge nel cuore sinistro non essendo stato
correttamente ossigenato).
In questi casi, leffetto shunt a sua volta dovuto alla presenza di atelectasie di aree polmonari distali
rispetto a bronchi completamente occlusi da tappi di muco o da aree di consoldamento polmonare
correlato alla concomitante presenza di polmonite.
Nelle fasi precoci di un attacco asmatico, il paziente di norma compensa iperventilando le aree polmonari
non ostruite e provocando, in tal modo, una riduzione della PaCO2 (IR ipossica).
Nella maggior parte degli asmatici sono rilevabili, infatti, in questa fase i parametri emogasanalitici di
ipocapnia e di alcalosi respiratoria, essenzialmente dovuti alla tachipnea compensatoria del paziente.
Con il progredire della crisi, la capacit di iperventilazione compensatoria viene sequenzialmente
compromessa dalla progressiva occlusione delle vie aeree a cui si aggiunge gradualmente laffaticamento
muscolare: lipossiemia peggiora mentre la PaCO2 comincia ora a salire determinando, man mano, la
comparsa di acidosi respiratoria ipercapnica (IR ipercapnica-ipossiemica). Quindi, il viraggio
emogasanalitico da una fase di ipocapnia (della fase della iperventilazione) ad una di normocapnica tende
ad esprimere concettualmente la presenza di livelli di ostruzione al flusso aereo complessivamente elevati e
di conseguente importante compromissione dello scambio gassoso.
Nella riacutizzazione asmatica grave intervengono talvolta delle complicanze cardiache, quali fattori
fisiopatologici associati responsabili, che possono portare anche a morte il paziente. Queste complicanze
sono:

1. Ipossiemia grave che induce inizialmente aritmie cardiache gravi e successivamente ischemia
miocardica acuta;
2. Compromissione della gittata cardiaca per riduzione del precarico ed aumento del post-carico
ventricolare destro secondario alliperinflazione dinamica del polmone che esercita azione
compressiva sulle strutture vascolari della fossa cardiaca e anche direttamente sul cuore e sulle
arterie coronarie con produzione di disfunzione diastolica, ostruzione al flusso ematico ed ischemia
miocardica acuta.
3. Arresto respiratorio per incapacit di produrre un seppur minimo volume corrente in seguito allo
svilupparsi di iperinflazione polmonare di grado estremo e alla compromissione del calibro delle vie
aeree a seguito della riesacerbazione del processo infiammatorio.

Le principali cause di esacerbazione di una crisi asmatica nel paziente asmatico sono:

284
Infezioni virali o batteriche del tratto respiratorio
Mancata compliance alla terapia
Presenza di fattori ambientali scatenanti, quali fumo di sigaretta, inquinamento, aria fredda,
esposizione professionale e forti odori.
Reazioni immunologiche a detriti epidermici, animali, pollini, acari, polvere;
Assunzione di farmaci: beta-bloccanti, salicilati ed altri FANS
Cause varie: reflusso, attivit fisica.

Dal punto di vista clinico, lasma si distinguono due quadri clinici nellasma:

Crisi asmatica: rappresenta la sindrome clinica caratterizzata dal progressivo pi o meno


improvviso, peggioramento dei sintomi classici dellasma, quali la dispnea, il respiro sibilante, la
tosse, cui tende ad associarsi sensazione di costrizione toracica;
Stato asmatico: rappresenta unesacerbazione grave dellasma, tendenzialmente refrattario alle
terapie convenzionali.

Il quadro clinico di una crisi asmatica dominato dalla presenza di una dispnea espiratoria molto intensa,
sibili, tosse insistente e senso di costrizione toracica. I segni di frequente riscontro sono i sibili, tachipnea,
tosse, sudorazione, tachicardia e decubito indifferente. La coesistenza di dolore toracico acuto va
attentamente indagata per la possibile natura ischemica o pleuritica.
La presenza di uno stato asmatico si caratterizza invece per la presenza o per lincipienza di un arresto
respiratorio; clinicamente si manifesta con: alterazione dello stato di coscienza, estremo affaticamento o
esaurimento del paziente, rapporto inspirazione-espirazione di 1:3, presenza di cianosi centrale e,
caratteristicamente, torace silente (se voi lo auscultate vi silenzio respiratorio, nessun broncospasmo,
zero rumore).

necessario per questi pazienti eseguire un emogasanalisi, indipendentemente dalla gravit: lipossiemia
quasi sempre presente mentre la misura della PaCO2 unimportante misura della gravit clinica. LECG
indicato particolarmente nel paziente con cardiopatia associata o con pi di 40 anni per riscontrare
eventuali segni di ischemia acuta, la presenza di aritmie, e uneventuale deviazione assiale destra dellasse
elettrico.

Lapproccio terapeutico di una crisi asmatica prevede:

1. Somministrare prontamente ossigeno con FiO2 al 100%


2. Somministrare un 2 agonista inalatorio a breve durata di azione per via inalatoria o nebulizzato;
3. Somministrare adrenalina: dovrebbe essere somministrato per via inalatoria ma pi
frequentemente viene somministrato in vena.
4. Somministrare corticosteroidi endovena: metilprednisolone 125 mg ev, eventualmente ripetibili.

Lo stato di male asmatico si caratterizza per la refrattariet a queste terapie quindi per evitare linsorgere
dellarresto respiratorio indicato ricorrere alla precoce intubazione del paziente e somministrare
comunque la suddetta terapia. Per questi pazienti per indicata la somministrazione di vapori anestetici
(es. Sevorane, Propofol, Ketamina) che agiscono come potenti broncodilatatori. Quando la situazione
molto grave e la PCO2 molto elevata indicata la decapneizzazione mediante i DECAP: si tratta di
macchinari simili a quelli utilizzati nella dialisi ma che utilizzano filtri in grado di rimuovere dal sangue CO2
diminuendone i valori in queste situazioni di urgenza.

285
Traumi cranici
(prof.ssa Rocco)

Il termine trauma cranico indica un spettro di quadri clinici che vanno da una minima concussione ad una
lesione grave che pu portare a morte il paziente, estremi di uno spettro continuo di gravit lesionale.

Il trauma cranico (ed il politrauma in genere) la pi frequente causa di morte tra i giovani al di sotto dei 45
anni, sebbene questo fenomeno sia andato riducendosi col tempo grazie alle norme pi stringenti in
materia di sicurezza stradale. Il trauma cranico un frequente risconto nei politraumatizzati ed associato
ad un elevato costo perch spesso responsabile di invalidit permeanente nei pazienti (riabilitazione e
impossibilit di svolgimento dellattivit lavorativa).

Loutcome del trauma cranico dipende essenzialmente da due variabili:


1. Danno primario
2. Danno cerebrale secondario.

Non potendo fare nulla di concreto sul danno primario in quanto gi avvenuto, i nostri sforzi devono
concentrarsi sul danno secondario la cui prevenzione e contenimento dipendono dalle azioni terapeutiche
che si intraprendono (se il danno primario non catastrofico).

Danno primario
Il danno primario insorge per:

Trauma diretto: conseguente al vettore di forza che agisce sulla teca cranica. Il trauma diretto
pu essere aperto (lesione di continuo della cute), chiuso (non c' soluzione di continuo della
cute ma possono esserci ad esempio ecchimosi pericoulari) e penetrante.
Trauma indiretto: dovuto alla cessione dellenergia cinetica assunta dal parenchima cerebrale a
seguito del trauma diretto. Questa energia conferisce al parenchima energia rotazionale ed
angolare (importante nei traumi cranici chiusi) che porta alla rottura di alcune strutture e dei
vasi sanguigni (soprattutto a livello dei lobi frontali, temporali e, per cause sconosciute, a livello
del corpo calloso); inoltre la sostanza grigia e la sostanza bianca assumono spostamenti diversi
in quanto dotate di diversa inerzia allurto; infine, il movimento asincrono tra parenchima
dell'encefalo e strutture ossee del cranio porta alla loro collisione.

Entrambi concorrono in egual misura alla genesi immediata di lesioni strutturali e funzionali dellencefalo;
le principali sono:

1. Deconnessione assonale: una lesione costante nei traumi cranici e si verifica per la diversa forza
di inerzia che esiste allinterfaccia tra la sostanza bianca e la sostanza grigia.
2. Emorragia di varia entit (intra- od extracerebrale): la presenza di sangue il primo elemento da
studiare;
3. Edema cerebrale: la reazione pi banale in qualsiasi trauma in qualsiasi distretto corporeo, ma
chiaramente problematico per la sede in cui realizza. Essendo il cervello un organo circondato da
una scatola cranica ossea non distensibile, una qualunque emorragia subdurale o
intraparenchimale, e soprattutto ledema che ne risulta, determina un aumento della pressione
intracranica. Un edema cerebrale importante, anche da solo, pu portare a morte una persona. Si
diagnostica infatti una morte cerebrale mediante lassenza di flusso (ledema importante
impedisce al flusso di salire, lo azzera). Ledema cerebrale, che leffetto diretto, se vogliamo, ma

286
secondario del trauma ed la lesione verso al quale viene diretta la maggiore attenzione
terapeutica.

Lentit di queste lesioni dipende da:

Fattori precipitanti (gravit del trauma, insorgenza di ischemia cerebrale, insorgenza di


ipoglicemia): questi fattori determinano la riduzione dellATP, lo stiramento assonale, danno alla
sostanza bianca ed edema vasogenico precoce.
Meccanismi molecolari: questi meccanismi determinano morte cellulare con il meccanismo
ipotizzato delle amine eccito-tossiche; secondo questa teoria, i neuroni circostanti ad unarea
ischemica rilasciano glutammato che ha una funzione eccitatoria su questi neuroni che porta con
meccanismi di eccitotossicit ad un danno cellulare dendro-somatico.

A cavallo tra il danno primario e il danno secondario bisogna considerare il danno ischemico a seguito di un
trauma cranico che, a differenza delle precedenti lesioni, riconosce una fisiopatologia pi complessa. A
seguito di un trauma lischemia cerebrale pu essere globale (transitoria o prolungata) oppure focale. Il
danno ischemico infatti conseguente allo stupor vascolare generato dal trauma, ad un aumentata
richiesta di substrato e una scarsa resistenza allipossia da parte delle cellule nervose.
In corso di ischemia, le cellule nervose perdono la capacit di mantenere lomeostasi del calcio, aumentano
la produzione di radicali liberi e vanno in acidosi metabolica, questultima determinante per laccentuazione
delle due alterazioni precedenti; inoltre, si osserva lattivazione di enzimi lipolitici, proteolitici, proteinkinasi
e proteinfosfokinasi con alterazione dellespressione genica. Invece, lazione di stimoli esterni alla cellula si
traduce in effetti modificanti la struttura meccanica e genica della sua struttura (dissoluzione del
citoscheletro, arresto del trasporto assonico ed aumento della permeabilit di membrana da
degenerazione vacuolare). Infine, la riperfusione delle aree di penombra ischemica genera a livello cellulare
numerosi radicali liberi.
Gli effetti di queste alterazioni cellulari sono:

1. Rapida e completa perdita di energia: inizia entro pochi secondi ed massima dopo 3 - 5 minuti. Si
ha il crollo dellATP cellulare con perdita dellequilibrio ionico (fuoriuscita di K, ingresso di Ca, Na,
Cl) e depolarizzazione della membrana plasmatica della glia e dei neuroni;
2. Rigonfiamento cellulare: da accumulo intracellulare di sodio e cloro;
3. Accumulo di acidi grassi: da lipoperossidazione, da aumento dellacido lattico e dellH+, da
riduzione del pH e da blocco della sintesi proteica;
4. Accumulo di prodotti di lipoperossidazione: che esita in un massivo aumento di achido
arachidonico, trombassani e leucotrieni;
5. Variazioni del pH: dipendenti dalla concentrazione di glucosio ematico: nei soggetti ipoglicemici
lacidosi intra- ed extra-cellulare meno pronunciata mentre nei soggetti iperglicemici tale acidosi
pu risultare di grado marcato.
6. Alterazione della sintesi proteica: in fase ischemica si ha il blocco della sintesi mentre a seguito
della ripresa della circolazione si ha la lenta ripresa e parziale della sintesi.
7. Vasodilatazione, perdita della autoregolazione1 ed aumentata permeabilit della barriera
ematoencefalica: questi effetti sono conseguenti alla produzione di radicali liberi e provocano
unaumentata tendenza edemigena (importante aspetto del danno secondario).

1
Lautoregolazione un meccanismo sistemico, presente quindi anche a livello cerebrale, che determina
lintercambiabilit tra pressione e volume (ovvero, in caso di riduzione del flusso ematico si ha una vasocostrizione
funzionale a mantenere una pressione di perfusione costante). La pressione di perfusione cerebrale sempre
prossima ai 60 mmHg.
287
Danno secondario
Il danno secondario costituito dallinsieme degli eventi fisiopatologici innescati dalla lesione primaria che,
nel volgere di minuti, ore o giorni, conducono ad ulteriore danno del tessuto nervoso, con un
peggioramento dell outcome. Concorrono allinsorgenza del danno secondario sia cause primitivamente
sistemiche sia cause intracraniche.
Le cause primitivamente sistemiche del danno secondario sono:

1. Ipossia: la SatO2 non deve essere inferiore a 60mmHg.


2. Ipotensione arteriosa: la PAS non deve scendere al di sotto dei 90 mmHg in quanto una
riduzione della pressione media di perfusione a fronte di un aumento della PIC causato
dalledema cerebrale (vedi dopo) pu aggravare il danno ischemico. Lipotensione interessa
circa il 35% dei traumi cranici gravi ed associata ad un raddoppio della mortalit e ad un
netto incremento della morbilit.
3. Anemia
4. Ipercapnia: causa di vasodilatazione1.
5. Ipertermia: causa di vasodilatazione. Laumento della temperatura non solo legato ad una
possibile infezione; il trauma ed il riassorbimento di sangue da grandi ematomi, soprattutto
intraventricolari, sono unimportante causa di ipertermia. Vari studi indicano che indurre una
situazione di ipotermia nel paziente riduce il metabolismo basale con possibile giovamento in
alcuni casi.
6. Iper/ipoglicemia: causa di alterazione nella stabilit della membrana cellulare.

Le cause intracraniche della genesi del danno secondario sono:


1. Ipertensione endocranica: si verifica molto frequentemente a seguito di un trauma cranico;
presenta uneziologia molto variabile ed responsabile della maggior parte dei sintomi e segni
che possono osservarsi in un paziente traumatizzato. Lipertensione endocranica si verifica in
quanto lencefalo contenuto in una scatola inestensibile, che funge da protezione. Il
contenuto cranico ha un volume fisso e la pressione presenta allinterno (pressione
intracranica, PIC) normalmente inferiore a 20 mmHg. Questa pressione dipende dalle sue tre
normali componenti ovvero il tessuto nervoso, il liquor cefalorachidiano e il sangue contenuto
nei laghi venosi. La PIC una variabile fisiologica importante in quando incide direttamente
sulla pressione di perfusione cerebrale: questa infatti dipende dalla pressione media di
perfusione, generata a livello cardiaco, meno la pressione intracranica. Normalmente la
pressione di perfusione di 70 mmHg.
Secondo la teoria di Monro-Kellie, quando uno dei tre componenti che determinano il valore
della PIC aumenta di volume, il volume degli altri due deve diminuire di conseguenza, pena un
aumento marcato di pressione. Succede solitamente che al primo aumento di volume
patologico si riduca il volume del sangue venoso e venga riassorbito pi liquor; cos pur essendo
presente una massa patologica la pressione endocranica non aumenta. Tuttavia, esauritisi
rapidamente i meccanismi di compenso, sono sufficienti piccoli aumenti di volume per
produrre importanti aumenti di pressione. La conseguenza pi immediata dellaumento della
PIC che, a parit di pressione arteriosa media di perfusione e talvolta anche per una sua
diminuzione, la perfusione cerebrale risulter proporzionalmente diminuita; per valori di
pressione dii perfusione cerebrale inferiori ai 70 mmHg, il cervello va in ischemia.
2. Ematoma intraparenchimale: una lesione molto frequente e molto deleteria in quanto,
sommandosi alle altre variabili, contribuisce ad aumentare la PIC.
3. Convulsioni: rappresentano delle manifestazioni molto dannose per il cervello in quanto
causano un enorme dispendio energetico e rappresentano una potenziale causa di uno stato

1
In passato si tendeva ad iperventilare tutti i malati ma anche lipocapnia pericolosa in quanto causa di
vasocostrizione ( riduzione di flusso riduzione delledema, ma aggravamento dellischemia). Si deve tendere alla
normocapnia
288
infiammatorio. Le convulsioni non sono necessariamente visibili, possono manifestarsi come
male epilettico non convulsivante. Il cervello, in seguito ad un insulto di qualunque tipo, pu
reagire con uno stato di male epilettico anche non visibile clinicamente, talora sono visibili solo
dei piccolissimi movimenti delle palpebre, lunico modo per diagnosticarlo un monitoraggio
EEG continuo che dovrebbe essere sempre disposto per questi pazienti1.
4. Vasospasmo: molto pericoloso sebbene non altrettanto frequente quanto ematoma e
convulsioni. Pu essere causato da emorragia intraventricolare e pu essere causa di edema
cerebrale e di aumento della pressione intracranica. Va monitorato con doppler transcranico.
5. Danno ischemico: di cui si gi detto.

Queste cause che si rendono responsabili del cosiddetto danno secondario spesso concomitano
aggravando in modo significativo il quadro clinico; per questo occorre monitorarle ed intervenire
tempestivamente ed adeguatamente per prevenirle.
Il danno secondario riconosce tre stadi:
1. Stadio I: si osserva la rapida caduta dei livelli di ATP, la perdita dellomeostasi ionica,
lalterazione della sintesi proteica, lalterazione della barriera ematoencefalica, alterazioni della
barriera ematoencefalica, edema e morte cellulare.
2. Stadio II: lattivazione dei mediatori dellinfiammazione e i neuromediatori comporta:
a. Perdita dellomeostasi del Ca++: genera un aumento incremento del calcio intracellulare;
questo calcio attiva una serie di enzimi tra cui le fosfolipasi (che inducono unalterazione
della permeabilit delle membrane), le proteasi (che determinano la distruzione delle
proteine di membrana e del citoscheletro) e le endonucleasi (responsabili del danno alla
cromatina nucleare). Linflusso di calcio aggravato dal fatto che le cellule danneggiate ed
ischemiche, private dunque della selettivit di membrana, liberano alcuni intermedi
glicolitici, glutammato e aspartato, con funzione di neurotrasmettitori, che interagendo con
i loro recettori NMDA e AMPA degli stessi neuroni da cui sono stati liberati provocano un
ulteriore accumulo di Ca2+ e Na+ intracellulare.
b. Aumentata produzione di radicali liberi: lischemia cellulare e la produzione di metaboliti
derivanti dallossidazione dellacido arachidonico comportano una aumentata produzione
di radicali liberi dellossigeno che a livello cellulare comportano lipoperossidazione,
ossidazione proteica ed alterazioni del DNA.
c. Acidosi cellulare: si verifica come conseguenza della ridottadisponibilit di ATP, per
laumento del metabolismo anaerobio e per accumulo degli acidi grassi liberi a seguito della
lipoperossidazione. Il risultato un aggravamento delledema cerebrale, laumento della
concentrazione di calcio intracellulare e un aumento della produzione dei radicali liberi.
3. Stadio III: in questa fase molto avanzata ledema cerebrale, la vasodilatazione dei vasi cerebrali
e la presenza di ematomi determinano lincremento della PIC e una riduzione della pressione di
perfusione cerebrale con progressiva ischemia cerebrale globale. Laumento della PIC comporta
inoltre alterazioni dellassetto delle strutture cerebrali con formazione di ernie e possibile
compressione dei centri neurologici vitali presenti a livello del tronco encefalico.

Quadro clinico
Il quadro clinico di un paziente con trauma cranico pu presentarsi con una molteplicit di segni e sintomi
ed unestrema variabilit, nellarco di pochi minuti e nelle ore successive. Questo legato allestrema
variabilit delle lesioni che un traumatizzato cranico pu presentare, in relazione alla dinamica del trauma,
al tipo di impatto, alla presenza e/o al tipo di fratture craniche, alla sede della lesione, allesistenza di
patologie preesistenti o di altre lesioni associate, a rischi ambientali ed altro. Le alterazioni della coscienza,

1
Ad oggi non si d pi un anticonvulsivante a tutti i pazienti con trauma cranico (come si faceva in passato) perch
nessuno si prender pi la responsabilit di sospenderlo. Il ragionamento adottato oggi diverso: alla prima crisi
epilettica, convulsiva o non, si somministra lanticonvulsivante.
289
talvolta assenti o lievi nei traumi minori, sempre presenti nei traumi di media ed alta gravit, possono
andare dal semplice stato di agitazione, alla sonnolenza, al torpore fino al coma.

Iter diagnostico
Un paziente con un trauma cranico deve essere sottoposto a monitorizzazione immediata e continua dei
parametri vitali.
Dopo averne constatato una stabilit, si procede alla valutazione della gravit del trauma mediante il
Glasgow Coma Scale, che valuta il grado di alterazione dello stato di coscienza, e mediante una TC cerebrale
senza mezzo di contrasto. Il GCS fornisce utili informazioni relativamente alle azioni terapeutiche da
intraprendere: un valore < ad 8 imponte lintubazione del paziente per il rischio che venga compromessa la
gestione delle vie aeree da parte del paziente; un GCS inferiore < 10/8 impone inoltre il monitoraggio della
PIC eseguito per via intraparenchimale o intraventricolare (laccesso intraventricolare rappresenta il
metodo migliore in quanto consente un contestuale drenaggio di liquor ove necessario).
La TC presenta indisvutibili vantaggi per la definizione del tipo di lesione e la sua localizzazione. Permette
una miglior definizione delle fratture infossate della volta cranica e quelle della base cranica. Consente
rapidamente di evidenziare raccolte ematiche, come ematomi extradurali (a lente biconcava), sottodurali (
a falce), subaracnoidee, emorragie intraparenchimali; evidenzia chiaramente la presenza di edema
cerebrale mediante alterazioni della densit di segnale, la mancata visualizzazione dei solchi e degli spazi
subaracnoidei e con lo shift della linea mediana. Il riscontro dello shift della linea mediana impone
lintubazione del paziente.

Trattamento
Un aspetto importante relativamente al trattamento demergenza dei pazienti con trauma cranico riguarda
lintubazione endotracheale. Il principale dilemma riguarda la decisione di intubare o meno pz. con trauma
cranico privi di coscienza poich nella maggior parte dei casi presentano potenziali lesioni cervicali. Tuttavia
sono indubbi i vantaggi di del ricorso allintubazione endotracheale nei pazienti con GCS < 8: prevenzione
dellipossiemia, che aumenta la PIC, e consente liperventilazione terapeutica, che riduce la PIC. In
conclusione, in tali pz. la strategia terapeutica dovrebbe mirare alla stabilizzazione esterna del collo (con
collare cervicale) e alla protezione delle vie aeree tramite intubazione. Al fine di rendere pi agevole
lintubazione possibile utilizzare miorilassanti con rapido onset ad alte dosi e non hanno effetti collaterali
cardiovascolari per cui sono ben tollerati anche in pz. con instabilit emodinamica

Giunti in ospedale, la maggior parte dei pazienti con trauma cranico (80%) non necessita di un intervento
neurochirurgico. Il 50% dei pazienti con trauma maggiore viene trattato in terapia intensiva.
La gestione di tali pz. dovrebbe essere mirata a:

1) Monitoraggio del parametri vitali


2) Controllo dell ipertensione
3) Mantenimento della circolazione cerebrale
4) Ossigenazione
5) Prevenzione di complicanze secondarie

I parametri vitali da controllare constantemente sono:

1) Pressione intracranica: mediante catatere ventricolare;

2) Pressione di perfusione cerebrale

2) Flusso ematico cerebrale: mediante numerose tecniche tra cui il doppler trancranico che non
invasivo; il flusso ematico cerebrale. risulta essere ridotto subito dopo il trauma e aumenta dopo
diversi giorni;

290
3) Autoregolazione cerebrale dinamica: mediante valutazione degli effetti cerebrovascolari immediati
dei cambiamenti di pressione di perfusione cerebrale indotti o spontanei tramite doppler
transcranico o flussimetria doppler laser: l alterazione della autoregolazione associata a
peggioramento delloutcome.

4) Tensione di O2 del tessuto cerebrale: mediante spettroscopia near-infrared, un metodo non


invasivo ma non molto diffuso.

5) Temperatura cerebrale: limportanza di questo parametro confermata dal fatto che sono in corso
studi per valutare leffetto dellipotermia come trattamento dei traumi severi.

6) SvO2 Giugulare

Le strategie terapeutiche che possono essere adottate per controllare la pressione intracranica sono:
1. Ventilazione controllata con mantenimento della PaCO2 a 32-35 mmHg. La riduzione della
pressione parziale dellanidride carbonica riduce la vasodilatazione cerebrale e
conseguentemente fa diminuire la pressione intracranica.
2. Se la pressione rimane elevata malgrado liperventilazione, si pu drenare il liquor attraverso
un catetere ventricolare;
3. La terapia diuretica che utilizza la gestione intermittente di mannitolo e di furosemide pu
essere usata se le manovre precedenti sono risultate poco efficaci nel controllare la PIC.
mannitolo utilissimo in acuto ma successivamente la risposta scompare. Somministrare tale
farmaco cronicamente come si suole fare non ha quindi senso, anche perch determina dei
danni renali importanti. Sicuramente sono preferibili delle infusioni di soluzioni ipertoniche
saline, ma sempre per non pi di 24/48 ore. Il cortisone invece, che ha una grande utilit
nelledema perilesionale da tumore, non deve essere mai somministrato delledema cerebrale
da traumi come dimostrato da svariate evidenze scientifiche. Al limite pu essere utile
lidrocortisone nei casi di importante iposodiemia associata a trauma.
4. La terapia barbiturica (con Midazolam o Diprivan ad alte dosi) pu essere presa in
considerazione se la pressione intracranica resistente ai trattamenti. Questi farmaci inducono
una burst suppression (o coma farmacologico) dellattivit cerebrale rendendo meno
suscettibili i neuroni al danno anossico.
5. Craniotomia decompressiva: stata sostenuta come mezzo di controllo della pressione
intracranica. La tecnica molto dicussa, alcuni la adottano come prima scelta. Ma pu essere
utile se effettuata precocemetne dopo un trauma severo.
Durante il ricovero importante che il paziente sia posizionato a 30 mediante rialzo della testata
del letto.

Per il controllo della pressione media di perfusione, laddove necessario per sostenere una buona
pressione di perfusione cerebrale pu essere somministrata Noradrenalina per aumentarla.

Pu rimanere per settimane post-trauma cranico uno stato ipermetabolico per cui essenziale
aumentare lapporto nutrizionale .

Tra le complicanze secondarie da prevenire grande importanza assume la terapia di prevenzione della TVP
in questi pazienti.

291
Damage control
(prof.ssa Rocco)

Con il termine di Damage control si indicano una serie di azioni terapeutiche che devono essere intraprese
nel paziente traumatizzato al fine di impedire conseguenze letali. Infatti, il paziente traumatizzato con
compromissione delle funzioni vitali non trattato correttamente muore per linstaurarsi della triade letale:
acidosi, coagulopatia ed ipotermia. Questi tre eventi patologici sono ampiamente interconnessi tra di loro
in quanto noto che una condizione di ipotermia e acidosi metabolica incide negativamente sulla
coagulazione che, laddove si renda necessaria ma risulti insufficiente, pu indurre ad ipotensione che
aggrava lacidosi metabolica; lacidosi metabolica insieme allipotermia incidono negativamente sulla
performance cardiaca aggravando ulteriormente il quadro generale.
Lipotensione arteriosa sebbene rappresenti un fattore aggravante importante in questa triade ha ricevuto
negli ultimi tempi unattenzione terapeutica diversa rispetto da quella che le veniva data in passato (come
verr detto in seguito); rimane comunque importante il ruolo della ipotensione nel danno che insorge nel
paziente traumatizzato.

Levoluzione naturale di queste quattro condizioni patologiche un debito di ossigeno degli organi vitali che
rapidamente possono andare incontro ad insufficienza funzionale. .

Gli esami di laboratorio sono suggestivi per poter riconoscere linstaurarsi di questa cascata dannosa; i
valori significativi sono:

1. Acidosi metabolica (pH < 7.35) con Eccesso di basi > 6


2. INR > 1.5
3. Temperatura corporea < 35 C.

Altri parametri importanti che bisogna monitorare per attivarsi nel Damage control sono i valori di
pressione arteriosa (PAS < 90) e i valori di emoglobina (Hb < 11 g/dl). Dal punto di vista clinico bisogna
porre attenzione ad alcune caratteristiche cliniche quali un polso radiale devole o assente, le alterazioni
dello stato mentale, una lesione traumatica grave.

Le azioni terapeutiche previste nei protocolli di Damage control rappresentano le azioni pi avanzate dal
punto di vista terapeutico nel trauma care; sono importanti per superare la fase acuta e per stabilizzare il
paziente ma successivamente bisogna intervenire con le cure definitive e specifiche.

1. Acidosi metabolica
Lacidosi metabolica il risultato dellipoperfusione periferica che si instaura a seguito del trauma nonch
della concomitanza degli altri tre fattori della triade letale. Inoltre, il paziente traumatizzato entra in uno

292
stato ipermetabolico che richiederebbe un maggiore apporto di ossigeno.
Tutto questo genera un debito di ossigeno dei tessuti periferici che operano uno switch del loro
metabolismo verso un metabolismo anaerobio con produzione di lattati e infine acidosi metabolica.
Uno studio ha dimostrato che il debito di
ossigeno e lacidosi metabolica che ne
consegue sono indici importanti della
severit di un trauma in quanto correlano
in modo direttamente proporzionale con la
mortalit post-traumatica. Il parametro
che esprime una condizione di acidosi
metabolica il valore di pH < 7.35 ma
quello che correla maggiormente con la
mortalit del paziente il valore
delleccesso di Basi. Un valore di Eccesso di
basi > 6 identifica i pazienti che richiedono
una rapida trasfusione per il controllo della
perfusione poich a rischio di MOF.
Lacidosi metabolica influisce negativamente pi sulla coagulazione che sullipotermia a causa delle
alterazioni elettrolitiche che si instaurano sui fattori della cascata coagulativa.

2. Ipotermia
La temperatura corporea di un paziente traumatizzato non deve raggiungere mai valori inferiori a 35C;
stato dimostrato infatti che una temperatura corporea inferiore ai 35 C associata con un incremento
della mortalit.
Lipotermia induce una forte vasocostrizione periferica che in un paziente traumatizzato pu interferire con
i meccanismi dellemostasi e della riparazione aggravando un eventuale quadro emorragico; inoltre, poich
la cascata della coagulazione una cascata che prevede lattivazione enzimatica di numerosi precursori,
lipotermia riduce la velocit di queste reazione con le suddette conseguente. Infine i tessuti periferici non
perfusi a causa della vasocostrizione periferica aggravano lacidosi metabolica.
Per questo importante che il paziente soggiorni in stanze calde (28C) e che venga coperto
opportunamente durante tutte le fasi degli interventi terapeutici. Bisogna inoltre rimuovere indumenti
bagnati che possano favorire levaporazione e il raffreddamento. Attenzione perch lipotermia pu anche
essere indotta dalle sacche di sangue intero fresco che vengono frequentemente utilizzate in questi
pazienti nella rianimazione emostatica (vedi dopo).

La necessit di mantenere una temperatura corporea alta stata in parte limitata dalle recenti scoperte
che mostrano come una condizione di ipotermia, indotta nel paziente con trauma cranico, possa ridurre il
danno ischemico cerebrale poich lencefalo viene messo funzionalmente a riposo e riduce le richieste
metaboliche in una condizione non favorevole. In Italia non esiste ancora una cultura medica in tal senso;
tuttavia, nei pazienti con trauma cranico il controllo della temperatura corporea diventa meno rigoroso
rispetto agli altri casi, al fine di indurre vasocostrizione e ridurre il danno cerebrale. Sicuramente lipotermia
non mai favorevole in un paziente emorragico.

3. Coagulopatia
Il valore di riferimento per il monitoraggio della funzione coagulativa lINR che non deve mai superare il
valore di 1.5 nel paziente traumatizzato; una corretta funzione coagulativa correla sempre con un buon
out-come del paziente, indipendentemente dal tipo di trauma. La coagulopatia insorge molto rapidamente
dopo il trauma.

293
Recentemente stato riconsiderata la significativit dellINR in quanto fornisce scarse indicazioni
relativamente alle cause dellalterazione di questo valore. Nell pi recenti linee guida si consiglia di
utilizzare i tromboelastogrammi: si tratta di strumenti di analisi in grado di poter valutare in poco tempo
quale fattore della cascata coagulativa abbia linnalzamento dellINR, valutando anche un eventuale deficit
di piastrine. In questo modo si evita di infondere un numero eccessivo di unit di sangue privilegiando
linfusione solo delle componenti mancanti.

Demage control: rianimazione ipotensiva e rianimazione emostatica


Il Demage control consiste quindi in strategie terapeutiche finalizzate al controllo della triade letale. Si gi
parlato a proposito della ipotermia e delle strategie terapeutiche per prevenirle.
Per quanto riguarda lacidosi metabolica e la coagulopatia, vi attualmente ununiformit di vedute a
sostegno di una rianimazione ipotensiva associata ad rianimazione emostatica nel paziente traumatizzato:
con questi termini si indica una combinazione di strategie che hanno come fine ridurre il
sanguinamento/coagulopatia e lipoperfusione da trauma al fine di migliorare loutcome.

Si parla di rianimazione ipotensiva da quando, con lesperienza, si visto come questa la perdita di volume
difficile da gestire con le soluzione fisiologica perch, se da un lato il si ottiene un miglioramento della
volemia, dallaltro si rischia di peggiorare la situazione a causa dellemodiluizione dei fattori della
cogulazione , dellHb e cos via. Inoltre, laumento della pressione arteriosa aggrava lemorragia
complicando ulteriormente le modalit di intervento.
Per questo nel paziente traumatizzato ed emorragico si ammette una condizione di ipotensione terapeutica
in cui sufficiente mantenere una PAS a valori compresi tra 90 e 100 mmHg al fine di evitare il debito di
ossigeno periferico ma al contempo prevenire un eccessivo sanguinamento. Per la rianimazione ipotensiva
per tantissimi anni si pensato di dare i cristalloidi (Emagel) ma poi si deciso che erano inutili per
leccessivo contenuto di acqua per cui si preferito passare alle soluzioni colloidali; tuttavia anche
linfusione di colloidi deve essere limitata a causa delleffetto deleterio che possono avere le sostanza ad
alto peso molecolare che sono presenti in queste soluzioni quando permeano le pareti capillari, potendo
generare un edema tissutale a livello dei vari organi. Le indicazioni sono queste ma non sempre facile
limitare linfusione di cristalloidi dinanzi ad un paziente con una pressione molto bassa e a rischio di morte.

La rianimazione emostatica consiste invece nella serie di azioni terapeutiche finalizzate ad un controllo
emostatico aggressivo di un sanguinamento in atto nel paziente politraumatizzato. Il controllo della
coagulopatia un importante successo perch pu bloccare la triade letale e migliorare lout-come del
paziente. La rianimazione emostatica prevede la somministrazione di emocomponenti, ovvero sangue
intero e plasma. Ultimamente una grande diatriba stata sollevata a proposito del rapporto, tra sangue
intero e plasma, con cui devono essere infusi questi durante la rianimazione emostatica. SI giunti alla
conclusione che il rapporto tra sangue intero e plasma deve essere il pi possibile pari a 1 perch questo
rapporto ha dimostrato un migliore outcome per questi pazienti; si tratta quindi di infondere il pi possibile
sangue intero ma questa indicazione deve spesso scontrarsi con la carenza di unit di sangue nei nostri
ospedali.
Quando si ha disposizione un tromboelastogramma linfusione di emocomponenti viene finalizzata alla sola
infusione di quei componenti che sono deficitari nel paziente (o solo fattori della coagulazione o solo
piastrine); generalmente per linfusione mirata di emocomponenti pu essere intrapresa in una fase gi
pi avanzata della rianimazione emostatica e non certo in una fase di emergenza.

Attenzione: lipertrasfusione non sempre favorevole poich si rischia una ARDS!!!!

294
Infezioni del paziente critico
(Prof.ssa Rocco)

Le principali infezioni di un paziente ricoverato in terapia intensiva sono le infezioni urinarie, le polmoniti
nosocomiali e quelle associate alluso di ventilatori, e le infezioni associate a dispositivi intravascolari.

Polmoniti nosocomiali
Le polmoniti nosocomiali si definiscono come le polmoniti acquisite in ambiente ospedaliero che si
manifestano clinicamente 48 ore o pi dopo il ricovero e che non erano in incubazione al tempo del
ricovero.
Le polmoniti nosocomiali sono molto pi difficili da eradicare ma sono molto pi facili da gestire; infatti, in
caso di polmonite nosocomiale occorre semplicemente stratificare il paziente, conoscere gli agenti
eziologici presenti nellambiente ospedaliero in cui era ricoverato il paziente e impostare la terapia.

Le polmoniti nosocomiali hanno una prevalenza di 5-10 casi / 1000 ammessi in ospedale con un incremento
di incidenza da 6 a 20 volte in pazienti in ventilazione meccanica. Si stima che le polmoniti associate a
ventilazione meccanica sono responsabili del 25% di tutte le infezioni in terapia intensiva. Il tasso di
mortalit varia dal 30 al 70% in base alla malattia sottostante piuttosto che alla polmonite di per s
Laumento del tasso di mortalit prevalentemente associato alla batteriemia da Pseudomonas aeruginosa
e Acinetobacter species perch sono batteri opportunisti che causano infezione in pazienti defedati.
I fattori di rischio delle polmoniti nosocomiali possono essere distinti in:

Fattori di rischio immodificabili:


o Sesso maschile
o Malattie polmonari pre-esistenti
o Insufficienza dorgano
Fattori di rischio modificabili:
o Igiene personale e della strumentazione
o Sorveglianza epidemiologica
o Rimozione rapida dei presidi invasivi
o Riduzione delluso degli antibiotici
o Intubazione e ventilazione meccanica: aumenta il rischio di polmonite dalle 6 alle 21 volte
quindi deve essere evitata quando possibile e preferita la ventilazione a pressione positiva
non invasiva. Preferire tubi orali-endotracheali e orogastrici piuttosto che naso-tracheali o
nasogastrici. Limitare luso di sedativi e di agenti che inibiscono la tosse. Occorre aspirare le
secrezioni sottoglottidee ed evitare la colonizzazione del sistema di ventilazione da parte
dei patogeni.
o Aspirazione: facilitata dalla posizione supina del paziente.
o Nutrizione enterale.
o Terapia insulinica.

A seconda dellesordio, le polmoniti nosocomiali possono essere distinte in:


Polmoniti ad esordio precoce: i sintomi si presentano entro i primi 4 giorni dal ricovero; hanno
prognosi migliore poich in genere sono sostenute da germi sensibili. I soggetti ospedalizzati o
trattati nei precedenti 90 giorni con antibiotici hanno invece una prognosi peggiore.
Polmoniti ad esordio tardivo: i sintomi si presentano dopo i primi 4 giorni dal ricovero; hanno
prognosi peggiore e in genere sono sostenute da germi resistenti.

I patogeni comuni che possono causare polmoniti nosocomiali sono:


295
Aerobi Gram - (P. aeruginosa, E.Coli, Klebsiella Pneumoniae, Acinetobacter species): su questi
batteri agiscono le Cefalosporine di III generazione e Carbapenemici.
Cocchi Gram+ (S. aureus MR): su questi batteri agiscono gli antibiotici beta-lattamici; queste
infezioni sono pi frequenti nei pazienti affetti da diabete mellito, trauma cranico e terapia
intensiva.
Commensali orofaringei (Streptococco viridans, Stafilococchi coagulasi negativi, Nesserie,
corinebatterium species): il riscontro di questi batteri di significato non univoco in quanto sono
presenti spesso nei pazienti molto defedati in caso di sepsi.

La Legionella pneumophila come causa di polmonite nosocomiale comune soprattutto negli


immunodepressi (HIV), nei pazienti con diabete mellito, malattie polmonari e insufficienza renale.
I funghi sono invece responsabili di polmoniti nosocomiali negli immunocompromessi, nei pazienti
trapiantati e nei neutropenici. Sono rari infatti nei pazienti immunocompetenti. Per questi pazienti occorre
instaurare una terapia precocemente perch il rischio di mortalit molto alto nei pazienti con candidemia.
Per la Candica species e per lAspergillus fumigatus necessario per fare diagnosi differenziale tra la
contaminazione delle vie aeree superiori e la polmonite: per questo occorre valutare il quadro clinico, il
quadro radiologico e gli indici di flogosi.
Le polmoniti nosocomiali di origine virale sono spesso stagionali: influenza parainfluenza (70%delle
polmoniti virali) adenovirus, morbillo, virus respiratorio sinciziale.
Il problema emergente riguarda per i germi multiresistenti: si tratta di Pseudomonas auruginosa,
Acinetobacter species e Stafilococco aureo MR. I fattori di rischio per le polmoniti da germi multiresistenti
sono:

Terapia antibiotica nei 90 giorni precedenti


Ospedalizzazione da pi di 5 giorni
Presenza in Ospedale di germi multiresistenti
Presenza di fattori di rischio per polmonite in ambienti sanitari:
o Ospedalizzazione per almeno 2 giorni nei 90 giorni precedenti
o Residenza in casa di riposo o in lungo-degenza
o Terapia infusionale domiciliare
o Dialisi
o Familiari con malattia infettiva da germe multiresistente
Immunodeficienza primaria o secondaria.

Per poter fare diagnosi di polmonite nosocomiale, occorre:

1. Riscontrare allRX toracico la presenza di un infiltrato polmonare nuovo o in progressione;


2. Riscontrare la presenza di leucocitosi;
3. Avere espettorato positivo;
4. Riscontrare emoculture positive;
5. Valutare un peggioramento dei parametri emogasanalitici e delle condizioni cliniche generali.

Quindi secondariamente bisogna identificare il germe responsabile dellinfezione mediante esami colturali
dellespettorato, dellaspirato endo-tracheale, BAL ed emocluture. La negativit delle colture da
espettorato, tracheoaspirato o BAL in pazienti che non siano stati trattati con antibiotici nelle precedenti 72
ore altamente significativa per escludere una polmonite.
Nelle prime ore la colorazione Gram permette di indirizzare immediatamente lapproccio terapeutico. La
positivit di questi esami non permette invece di discriminare un patogeno da uno colonizzante; per porre

296
una diagnosi differenziale innanzitutto importante la clinica (esame obiettivo, EGA, leucocitosi ecc) e
qualora persistano dei dubbi la concentrazione dei microorganismi nelle coltura dirimente1:

Aspirati endotracheali > 106 cfu/ml


BAL > 104 o 105 cfu/ml
Emocolture > 103 cfu/ml

In caso di versamento pleurico abbondante, sempre indicata lesecuzione di una toracentesi.

Le polmoniti nosocomiali si possono gestire in ambiente protetto o in terapia intensiva a seconda della
gravit dei sintomi. Per lammissione nella terapia intensiva devono essere soddisfatti i criteri
precedentemente esposti a proposito delle CAP.
La terapia antibiotica empirica di una polmonite nosocomiale con esordio tardivo (> 5 giorni) o in un
paziente con fattori di rischio per patogeni MDR prevede una terapia antibiotica a largo spettro per Gram +
resistenti e Gram resistenti e in pi la terapia antibiotica per Stafilococco aureus e/o terapia antifungina;
si somministra quindi:

PIPERACILLINA/TAZOBACTAM o Carbamenemico + Fluorochinolonico (che agisce sui batteri


resistenti) + Vancomicina o Teicoplanina (per S. aureus) + eventualmente un antifungino.

In caso di una polmonite ad esordio precoce o in assenza di fattori di rischio per patogeni MDR, la terapia
empirica prevede invece antibiotici a spettro limitato:

Ceftriaxone o Levofloxacina o AMPICILLINA/SULBACTAM o ERTAPENEM.

Luso recente di un antibiotico deve guidare la scelta verso una classe diversa. Inoltre, importante
scegliere lantibiotico anche sulla base della penetrazione dorgano (florchinoloni e linezolid hanno una
capacit di penetrazione polmonare superiore ai beta-lattamici), sulla capacit battericida (aminoglicosidi e
chinolonici sono dose dipendenti, vancocina battericida tempo-dipendente) e sulla capacit post-
antibiotica (fluorchinoloni ed aminoglicosidi, ma non beta lattamici ad eccezione dei carbapenemici, sono
batterici anche a dosaggi inferiori alla MIC contro Gram- quindi mantengono azione terapeutica anche dopo
lintervallo terapeutico : questo comporta una riduzione dellintervallo di somministrazione per i beta
lattamici, mentre gli aminoglicosidi sono potenzialmente somministrabili in singola dose).

La terapia mirata delle polmoniti nosocomiali, che pu essere impostata solo a seguito dei risultati
colturali, richiede spesso scelte diverse rispetto a quelle che si sarebbero fatte in caso di uninfezione
contratta in ambiente comunitario. La terapia mirata deve essere sempre di associazione e deve essere
sempre endovenosa.

Per la valutazione di risposta terapeutica necessario valutare i seguenti parametri:

Temperatura
Globuli bianchi: la riduzione dei globuli bianchi avviene in circa 7 gg;
Rx del torace: dopo 48 ore dallinizio della terapia empirica per una polmonite nosocomiale
indicato eseguire un RX del torace per valutare una stabilit del quadro patologico ( dopo 48 non
possibile aspettarsi una completa guarigione radiologica in quanto una polmonite radiologicamente
guarisce dopo almeno 20 gg). La radiografia ha unutilit relativa per la valutazione della risposta a
meno che non si valuti un potenziale peggioramento.
EGA: il miglioramento dellEGA avviene in circa 7 gg.
Miglioramento clinico
Espettorato

1
Il precedente uso di antibiotici riduce la soglia di concentrazione.
297
Funzione dorgano

In assenza di risposta clinica, se le colture sono positive modifichiamo la terapia secondo cultura; se invece
le colture risultano negative negative bisogna considera la possibilit un errore diagnostico (scompenso
cardiaco, atelettasia, embolia polmonare, reazione a farmaci, emorragia polmonare o ARDS).

Nei pazienti responsivi la terapia non dovrebbe durare pi di 7 giorni ad eccezione delle infezioni da
P.aeruginosa. Il prolungamento della terapia predispone allo selezione di germi resistenti. Il rischio di
multiresistenza peggiorato da un trattamento empirico iniziale inappropriato ( es. Fluconazolo 2
volte/die) o dalla scarsa sensibilit allantibiotico. importante comunque avere una controparte
epidemiologica intra-ospedaliera che indichi quali siano i germi multiresistenti maggiormente presenti in
quellospedale.

Polmoniti associate alluso di ventilatori (VAP)


La VAP una complicanza comune tra i pazienti che necessitano di ventilazione meccanica, con una
prevalenza stimata di 6-52 casi per 100 pazienti. I tre fattori importanti nella patogenesi della VAP sono la
colonizzazione dellorofaringe da parte di microrganismi patogeni, laspirazione di questi microrganismi nel
tratto respiratorio inferiore e la compromissione dei normali meccanismi di difesa dellospite.
Lorigine del contagio rappresentata dallambiente ospedaliero, dai medici e dal personale infermieristico,
dagli oggetti e dagli altri pazienti. Laspirazione oro-faringea e la contaminazione del tubo endotracheale
sono le vie pi comuni di infezione; controverso se stomaco e seni paranasali possano fare da riserva per
linfezione.
Landamento di queste polmoniti influenzato, non solo dallagente eziologico, ma anche dalla presenza di
malattie pre-esistenti, dalluso precedente di antibiotici e dalla terapia ventilatoria invasiva.

I batteri responsabili di queste polmoniti sono gli stessi delle polmoniti nosocomiali.

La diagnosi difficile. Lapplicazione dei criteri clinici comporta costantemente una sovradiagnosi di VAP.
Nei pazienti intubati la negativit dellesame colturale permette di escludere una polmonite, tranne da
virus o da legionella. In caso di positivit, per discriminare tra colonizzazione e vera infezione, lutilizzo
dellapproccio quantitativo-colturale mediante la determinazione della crescita batterica pu essere utile:
pi il campione diagnostico prelevato distalmente nellalbero respiratorio, pi specifici sono i risultati.

La terapia antibiotica empirica delle VAP la stessa di quella spiegata a proposito delle HAP. Una volta
identificato un patogeno, la terapia ad ampio spettro deve essere modificata in relazione
allantibiogramma. Il fallimentodel trattamento non insolito nella VAP, soprattutto quando sono coinvolti
patogeni MDR: MRSA e P. aeruginosa sono associati a elevati tassi di fallimento. Le complicanze della VAP
comprendono il prolungamentodella ventilazione meccanica, laumento della durata di permanenza presso
lUTI e linsorgenza di polmonite necrotizzante con emorragia polmonare o bronchiectasie.
La VAP si associa a un rischio di mortalit significativo.

Polmoniti da aspirazione
La polmonite ab ingestis il risultato di uninfezione polmonare dovuta alla penetrazione di germi nelle vie
respiratorie a seguito di aspirazione di materiale infetto. Le polmoniti da aspirazione sono causate
generalmente da:

Anaerobi orali:
Bacteroides (gram-)
Fusobatteri (gram-)
Peptostreptococchi (gram +)

298
Stafilococco aureo
K. Pneumoniae
Nocardia
Bacilli gram-

Sono molto frequenti nei pazienti ricoverati in UTI a causa della compromissione della deglutizione e della
masticazione. Tra i fattori di rischio abbiamo inoltre :

le manovre strumentali sulle vie aeree e sul rino ed orofaringe;


le alterazioni dello stato di coscienza, sia per patologie di varia natura, sia per anestesia generale in
chirurgia durgenza, sia per alcoolismo acuto o per overdose di stupefacenti;
le alterazioni gastroenteriche ed i disturbi della deglutizione.

La polmonite ab ingestis si esprime in modo simile a quella di pazienti affetti da altre polmoniti batteriche,
sempre tenendo presente che trattandosi di pazienti anziani la progressione della sintomatologia
insidiosa e pi lenta, e le manifestazioni cliniche abituali delle infezioni batteriche polmonari come la tosse,
la febbre e lespettorato purulento si manifestano in maniera pi attenuata.
Per contro, la compromissione dello stato generale appare decisamente pi marcata, e coinvolge non solo
la forza fisica, ma anche la capacit di nutrirsi, lo stato di idratazione e di sanguificazione, la continenza
sfinterica, il tono dellumore e le funzioni cognitive.
Assolutamente determinante per la diagnosi il quadro radiologico che dimostra la presenza di infiltrati
flogistici localizzati in sedi ben precise che sono le porzioni apicali dei lobi inferiori e le zone posteriori dei
lobi superiori quando lanziano posizionato in decubito supino, mentre quando laspirazione si verifica in
pazienti posto in posizione prona oppure semiseduta, le zone solitamente sedi dei focolai polmonari sono i
segmenti basali dei lobi inferiori

Lo schema terapeutico delle polmoniti da aspirazione :

Piperacillina/Tazobactam oppure Ceftriaxone + Metronidazolo.

Infezioni associate a dispositivi intravascolari


Le infezioni associata alla presenza di CVC, PIC o al catetere da dialisi sono molto frequenti in questi
pazienti perch rappresentano delle porte daccesso molto rapide e poco controllate dal sistema
immunitario per germi potendo diffondere rapidamente in circolo. Si tratta di dispositivi sottoposti a
numerosi rimaneggiamenti e questo aggrava ulteriormente il rischio di infezione.

Uninfezione associata a catetere si manifesta con febbre; caratteristica la presenza di un eritema locale e
pus nel sito di inoculo del catetere. La diagnosi di infezione associata a catetere si fa in presenza dei
sintomi suddetti, in assenza di altri siti evidenti di infezione, con crescita > 103 UFC/ml da un segmento del
catetere in presenza di unemocoltura negativa.
La sepsi associata a catetere si manifesta con i sintomi caratteristici per questa sindrome e con il riscontro
di > 103 UFC/ml da un segmento del catetere in presenza di unemocoltura positiva per lo stesso
microrganismo. In assenza di dati di laboratorio anche la scomparsa dei sintomi dopo la rimozione pu
essere considerata prova indiretta.

In caso di catetere infetto necessario impostare una terapia antibiotica specifica sui dati
dellantibiogramma eseguito sul catetere. Importante tuttavia la prevenzione di queste infezioni
mediante una scelta accurata della sede e del tipo di catetere a seconda del paziente; la vena succlavia
maggiormente indicata per incannulamenti protratti in assenza di controindicazioni. necesario inoltre
rimuovere i cateteri che non sono necessari e non sostituirli quando sia necessario un loro posizionamento
prolungato. Infine occorre limitare le manipolazioni di questi dispotivi intravascolari.

299
Infezioni urinarie associate a catetere
Le infezioni delle vie urinarie costituiscono le pi frequenti infezioni acquisite in ambito ospedaliero e nella
maggior parte dei casi sono associate al cateterismo vescicale. Le infezioni urinarie rappresentano inoltre
un indice di scarso igiene in un reparto di terapia intensiva.
In un paziente il rischio di acquisizione di una batteriuria aumenta con il tempo di permanenza del catetere,
passando da circa il 5% per giorno catetere durante la prima settimana a quasi il 100% dopo 4 settimane.
L1-4% dei pazienti con batteriuria svilupper infine un'infezione clinicamente significativa quale: cistite,
pielonefrite, setticemia. Pertanto, i cateteri urinari devono essere inseriti solo quando le indicazioni
mediche sono chiare, come per problemi di svuotamento della vescica o per il monitoraggio dellurina. I
cateteri vescicali devono essere rimossi al pi presto. In pazienti selezionati, dovrebbe essere considerato il
cateterismo intermittente pulito perch associato a un rischio inferiore dinfezione. L'incontinenza
urinaria non rappresenta un'indicazione per il cateterismo urinario; in questo caso, impiegare pannolini o
assorbenti.

LIVU in genere di origine endogena, causata da microrganismi dellintestino del paziente. Talvolta si
tratta di batteri resistenti agli antibiotici rendendo difficile il trattamento. I microrganismi resistenti
possono essere acquisiti per trasferimento da altri pazienti, pi frequentemente con le mani contaminate
del personale, ma a volte anche da sorgenti ambientali.
E. coli la causa pi frequente di IVU associate alle , tuttavia, queste infezioni sono pi frequentemente
causate da microrganismi Gram-negativi sempre pi resistenti, come Klebsiella e Pseudomonas. Allo stesso
modo, lEnterococcus faecalis sensibile ampicillina stato gradualmente sostituito da E. faecium resistente
a questo antibiotico.

In un paziente portatore di catetere concentrazioni batteriche >102 UFC/ml, sono suggestive per infezione
se il campione ottenuto asetticamente con agoaspirato dallapposito dispositivo di prelievo prossimale al
raccordo catetere/tubo di drenaggio. La presenza di pi microrganismi non indica necessariamente
contaminazione.

Numerose sono le strategie per prevenire le infezioni urinarie a partire dalla formazione del personale,
dalla scelta delle giuste dimensioni del catetere, alla corretta pulizia del meato e al periodico svuotamento
della sacca di drenaggio.
Laddove insorga una infezione urinaria necessario impostare inizialmente una terapia antibiotica ad
ampio spettro in attesa dellesame colturale che indicher la scelta antibiotica pi corretta.

Perch le sepsi evolvono pi frequentemente nel paziente critico?


(prof.ssa Di rosa).

La sepsi, nella sua progressione in shock settico ed insufficienza multiorgano, ha una sua evoluzione nei
quadri clinici suddetti a seconda non solo de lla carica virulenta del microrganismo presente in circolo
ma anche della risposta immunitaria dellospite. In passato si sosteneva che levoluzione verso lo
shock settico fosse esclusivamente causata da una risposta iperimmune; adesso invece si parla di
risposta disregolata.

Nel 2003, un lavoro pubblicato sul New England ha messo in evidenza i diverso profili della risposta
immunitaria disregolata di un paziente con sepsi; i profili sono i seguenti:
Soggetti iperergici: sono i soggetti giovani o immunocompetenti e per questo iperergici; questi
pazienti hanno una risposta precoce alla presenza del batterio evolvendo rapidamente in uno stato
iperimmune che, da una parte dipende dalla forte competenza del sistema immuniatrio di
rispondere agli stimoli dallaltra c la capacit del patogeno di sollecitarla. Questi soggetti
300
rappresentano circa il 20% dei soggetti critici che vediamo nelle prime 72 ore e per i quali, in realt,
possiamo far poco.
Soggetto classico: il paziente giovane adulto che, per altri problemi sistemici di natura immunitaria,
non riesce a montare una risposta iperergica cos importante come nei soggetti iperergici; quindi
insorge comunque uno stato iperimmune ma meno accentuato che in seguito vira verso uno stato
di ipoimmunit dal quale per tende a recuperare, e qui potremmo intervenire per aiutarlo con
terapie immunomodulanti. Questi pazienti non sono generalmente a rischio di vita-
Soggetto immunodepresso: colui che va incontro a morte tardiva perch la sua condizione di
immunodepressione fa progredire la sepsi in infezioni opportunistiche, infezioni secondarie,
nosocomiali. Pi del 70% dei decessi in questi soggetti li vediamo a distanza di settimane
dallevento sepsi per conseguenze tardive, come infezioni secondarie. Le evidenze cliniche di
questa evoluzione della sepsi nel paziente immunodepresso dimostrato da numerose evidenze
cliniche (es. l80% dei pazienti morti a seguito di una sepsi, mostrano allesame autoptico focolai
infettivi non sospettati durante il ricovero). Questi soggetti sono quelli che si fanno infezioni con
patogeni relativamente avirulenti, addirittura da Saccharomyces boulardii, che un costituente
degli integratori dei fermenti lattici che diamo per reintegrare la flora intestinale; quindi germi che
non dovrebbero essere patogeni ed invece lo sono.
Cosa succede a questi pazienti che hanno la sepsi ?
Numerosi studi hanno dimostrato che i pazienti con shock settico hanno una riduzione dei livelli
circolanti di Ig che talvolta causato da un difetto della capacit di produzione ma anche da un
aumento del loro consumo. Molto interessante anche la riduzione del fattore di crescita
stimolante i macrofagi e il repertorio dei TCR totali. Si pu concludere quindi che la riduzione di
tutti questi parametri fisiologici rende pi suscettibili alle infezioni opportunistiche.

Nel 2013, gli stessi autori del lavoro precedente, hanno ipotizzato la possibilit di oscillazioni importanti
nella risposta immunitaria del paziente giovane a seguito di una sepsi: il paziente va verso una risposta
iperimmune, poi tende a recuperare, ma in questa fase fa uninfezione secondaria, che gli riattiva la
risposta immunitaria, quindi ha un decorso fluttuante.

Quello che si voluto sottolineare con questi studi che se noi conoscessimo a pieno il pattern di risposta
del singolo soggetto nella sua interazione con il patogeno potremmo agire pi efficacemente. Quindi
questo ci pu spiegare, in parte, perch abbiamo tanti fallimenti terapeutici e non riusciamo ad incidere su
quelli che vanno incontro a morte. Quindi la tendenza della medicina ad avere sempre una precision
medicine deve per ora arrendersi in questo campo non essendo ancora possibile definire il tipo di paziente
e quindi agire terapeuticamente di conseguenza. I pi recenti progressi terapeutici nel trattamento della
sepsi hanno dimostrato che:

Andiamo a vedere quello che in parte ha funzionato nel trattamento della sepsi:
La proteina C e linibizione del TNF non hanno praticamente nessun tipo di risposta e sono stati
abbandonati.
Lanti-lipopolisaccaride (la polimixina) si riferisce ad un protocollo in pazienti in perfusione, quindi
una strategia peculiare.
I corticosteroidi: il corticosteroide serve nella sepsi? Ad alte dosi, sicuramente sembra di no; le
piccole dosi, c tutta una diatriba, ma comunque parliamo di risposte non molto ampie.
Le immunoglobuline endovena meritano di essere approfondite: il dosaggio delle immunoglobuline
pu essere sicuramente uno di quei parametri che pu aiutarci un po a fotografare come va il
paziente. Normalmente la terapia con immunoglobuline serve nelle immunodeficienze
come funzione sostitutiva: se noi andiamo a vedere le prescrivibilit delle Ig, possiamo
usarle nei pazienti che hanno HIV, infezioni opportunistiche e il mieloma, ma nella sepsi grave
non posso usarle neanche a scopo sostitutivo.

301
Di fatto comunque stiamo parlando di uninfezione, quindi il trattamento con le Ig in corso di una
sepsi potrebbe avere due valenze: quella sostitutiva, quindi andare a ripianare dei difetti o andare
a rinforzare la capacit di risposta; quella immunomodulante perch sappiamo come a livello di Fc,
le Ig modulano la risposta immune e regolano la cascata infiammatoria in senso non depressivo.

302
Rianimazione e Terapia Intensiva: il problema del limite
(prof.ssa Rocco)

Il medico rianimatore ha un ruolo molto complesso in quanto costantemente deve fare i conti con i principi
morali, etici, deontologici e giuridici relativamente alle pratiche rianimatorie in quanto questi ambiti
considerano in modo diverso la necessit e lobbligo di mantenere in vita un paziente critico.
La domanda che spesso ci si pone : siamo certi che il massimo impegno terapeutico che possiamo
esercitare equivalga sempre al miglior bene per il paziente?
Nella pratica clinica il 40-90% dei pazienti in Terapia Intensiva muore quando viene disposta una limitazione
delle terapie atte al sostegno delle funzioni vitali. Questo perch non sempre lecito fare tutto ci che
possibile fare se si avverte la necessit di porre limiti allintervento medico per salvaguardare la qualit
della vita del paziente. Per questo, il successo della terapia intensiva non va misurato solo con le statistiche
di sopravvivenza, come se ogni morte fosse un fallimento medico; al contrario questo deve essere misurato
dalla qualit della vita conservata o ripristinata, dalla qualit della morte di coloro per i quali preferibile
morire e dalla qualit delle relazioni umane coinvolte in ogni morte.

Il dovere etico di porre un limite alle cure in determinate condizioni cliniche stato sottolineato da
numerose Societ Scientifiche e Comitati Etici.
Il Consensus Panel 1990 ha affermato che Il medico ha la responsabilit clinica ed etica di porre un limite
alle cure in appropriate condizioni cliniche.
Larticolo 14 (Accanimento diagnostico-terapeutico) del Codice di Deontologia medica afferma invece che
Il medico deve astenersi dallostinazione in trattamenti da cui non si possa fondatamente attendere un
beneficio per la salute del malato o un miglioramento della qualit della vita. Larticolo 37 (Assistenza al
malato inguaribile) dice invece che In caso di malattie a prognosi sicuramente infausta e pervenute alla
fase terminale il medico deve limitare la sua opera allassistenza morale e alla terapia atta a risparmiare
inutili sofferenze, fornendo al malato i trattamenti appropriati a tutela, per quanto possibile, della qualit
della vita.
Anche La Congregazione per la Dottrina della Fede ha affermato che Nellimminenza di una morte
inevitabile nonostante i mezzi usati, lecito in coscienza prendere la decisione di rinunciare a trattamenti
che procurerebbero un prolungamento precario e penoso della vita, senza tuttavia interrompere le cure
normali dovute allammalato in simili casi.

La Legge Italiana non va di pari passo con queste considerazioni: Secondo la Legge Italiana tu, in quanto
medico, sei obbligato a fare tutto ci che in tuo potere per salvare la vita di una persona. E una
affermazione indiscrimina che non sempre pu essere attuata: se noi prendessimo alla lettera quello che
dice la Legge Italiana dovremmo sempre provare a rianimare tutti quelli che stanno morendo.

L'accanimento terapeutico consiste nell'insieme degli interventi medici non pi adeguati alla reale
situazione del malato, perch ormai sproporzionati ai risultati che si potrebbero sperare o anche perch
troppo gravosi per lui e per la sua famiglia. Lostinazione terapeutica invece l atteggiamento del medico o
dei parenti rivolto ad inseguire ogni minima possibilit terapeutica anche a costo di gravare il paziente di
oneri eccessivi a fronte della scarsit di benefici conseguibili. Lostinazione terapeutica sfocia spesso, anche
se inconsapevolmente, nellaccanimento terapeutico
Il Codice di deontologia medica, si occupa nellart. 16 dellaccanimento diagnostico-terapeutico in questi
termini: Il medico, anche tenendo conto delle volont del paziente laddove espresse, deve astenersi
dallostinazione in trattamenti diagnostici e terapeutici da cui non si possa fondatamente attendere un
beneficio per la salute del malato e/o un miglioramento della qualit della vita..

303
Cuore del dibattito indubbiamente la proporzionalit delle cure, ovvero il necessario accertamento della
idoneit delle terapie in relazione alla gravit delle condizioni del paziente.
Tra i criteri proposti per definire laccanimento terapeutico vi sono quindi:

o inutilit: inefficacia sotto il profilo terapeutico, preventivo, riabilitativo, antidolorifico.

o penosit: grave sofferenza inflitta al malato senza realistiche prospettive di miglioramento ( in


questo caso si parla anche di Trattamento Gravoso o di violenza terapeutica).

o sproporzionalit: delle tecniche adoperate in virt dei risultati prevedibili e delle sofferenze inflitte

Al contrario, un trattamento proporzionato quello che, dal punto di vista del paziente, ha almeno una
possibilit ragionevole di provvedere al paziente benefici sulla qualit e durata della vita.

Vengono considerate come cure normali la terapia del dolore, lidratazione e nutrizione e la prevenzione
delle piaghe da decubito e le terapie sintomatiche per la nausea, il vomito, il prurito e le infezioni. La
rianimazione cardio respiratoria, la ventilazione meccanica, linfusione di farmaci vasoattivi, le trasfusioni e
le tecniche dialitiche possono, al contrario, essere considerate, a seconda dei casi, come forme di
accanimento terapeutico. Latto di non iniziare o sospendere queste terapie da un punto di vista potrebbe
essere visto come unatto finalizzato ad evitare laccanimento terapeutico ma daltra parte potrebbe
rientrare nel concetto di eutanasia omissiva.

In molti casi la decisione di non iniziare o di sospendere una terapia resa difficile per:

Lincertezza della prognosi: rappresenta un problema relativamente alla difficolt di definire


sproporzionato o inutile un atto terapeutico. Gli attuali indici di gravit hanno sicuramente un
grande valore prognostico ma il loro problema deriva dal fatto che di solito sono stabiliti in
riferimento ad una popolazione di pazienti e al singolo caso. Inoltre, non sempre possibile
emettere una prognosi quando i tempi di intervento debbono essere ridotti al minimo (es. RCP) e
non si conosce la storia clinica del paziente. Il momento dellemergenza quello meno indicato per
esprimere un giudizio sulla proporzionalit delle cure

FOCUS - Rianimazione Cardio Respiratoria

Qual latteggiamento che il medico rianimatore deve tenere nei confronti del paziente in arresto
cardiaco senza cadere in errori di valutazione? Tutti i pazienti in arresto cardiaco debbono essere
rianimati?
Sicuramente in un paziente con un arresto cardiaco insorto in un periodo di benessere mandatorio
iniziare immediatamente la RCP in quanto in questo caso prioritario il rispetto del diritto alla vita
anche se pu esporci al rischio di adottare procedure inutili dal punto di vista terapeutico.
In alcuni pazienti lesecuzione della Rianimazione Cardio Respiratoria configura invece un atto
terapeutico sproporzionato. I medici possono dare disposizione di Do Not Resuscitate Order (DNR) al
fine di evitare terapie inutili e sproporzionate successivamente ad una eventuale riviviscenza.

Le speranze offerte dalle terapie innovative: il ricorso a tecniche diagnostiche e terapeutiche


innovative necessario solo in presenza di ragionevoli possibilit di evoluzione positiva del quadro
clinico e di miglioramento della qualit di vita. Questo atteggiamento rispetta comunque lo spirito

304
ippocratico e alla tradizione professionale di non lasciare nulla di intentato per i pazienti anche in
situazioni in cui la prognosi altamente incerta ma non del tutto sfavorevole.

Linsistenza dei familiari: La morte ritenuta, a torto, la complicanza finale di una patologia e non il
naturale termine della vita. Si cerca sempre di respingerla, con ogni mezzo, invece che porre le
condizioni affinch essa si realizzi nel modo pi degno possibile. La tendenza a considerare la morte
dei propri pazienti come espressione di insuccesso terapeutico costituisce una delle motivazioni
principali a ritardare, con tutti i mezzi possibili, il momento del decesso. Bisogna per spiegare ai
familiari che il rifiuto della morte quale inevitabile e naturale evoluzione della vita conduce ad un
accanimento terapeutico doloroso per il familiare in fin di vita. Rimane comunque un dovere quello
del medico di valutare il parere dei familiari prima di ricorrere a qualsiasi azione a proposito
dellaccanimento terapeutico.

La preoccupazione di conseguenze medico-legali

Lincapacit del paziente ad esprimere il consenso: il paziente lunico autorizzato a disporre del
proprio bene salute poich lart. 32 della Costituzione afferma che Nessuno pu essere obbligato a
un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. Il medico deve attenersi,
nel rispetto della dignit, della libert e dellindipendenza professionale, alla volont di curarsi,
liberamente espressa dalla persona. Tuttavia, allorch sussistano condizioni di urgenza e in caso di
pericolo per la vita di una persona, che non possa esprimere al momento volont contraria, il
medico deve prestare lassistenza e le cure indispensabili a mantenerlo in vita.
In Italia non esiste una legge che regolamenta le Dichiarazioni anticipate di Trattamento. Sebbene
infatti l'Italia abbia ratificato a Convenzione sui diritti umani e la biomedicina di Oviedo del 1997 ad
oggi non esiste ancora una legge in merito. Fino a quando non entrer in vigore una legge che
rendere giuridicamente valido un testamento biologico stilato da un cittadino, la giurisprudenza a
cui si fa riferimento alle norme previste nel Codice civile ed nel Codice penale italiano:

Art 5 Codice civile (Atti di disposizione del proprio corpo): Gli atti di disposizione del
proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente della integrit
fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all'ordine pubblico o al buon costume.

Art 579 Codice penale (Omicidio del consenziente): Chiunque cagiona la morte di un
uomo, col consenso di lui punito con la reclusione;

Art 580 Codice penale (Istigazione o aiuto al Suicidio): Chiunque determina altri al
suicidio o rafforza l'altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo
l'esecuzione, e' punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni. Se il
suicidio non avviene, e' punito con la reclusione da uno a cinque anni, sempre che dal
tentativo di suicidio derivi una lesione personale grave o gravissima.

Quindi le dichiarazioni anticipate non possono contenere indicazioni in contraddizione col diritto
positivo. Tuttavia, il codice deontologico afferma che I desideri precedentemente espressi a
proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dellintervento non in
grado di esprimere la sua volont, dovranno essere tenuti in considerazione e rimandati fintanto
che questi non si rendano necessari per salvaguardare la sua vita.

In quali casi si raccomanda di porre un limite alle terapie intensive?

Danni gravi estesi ed irreversibili del SNC.


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Fase terminale di patologie neoplastiche.

Fase terminale di patologie inguaribili non pi rispondenti alle terapie intensive.

Per concludere, la prosecuzione ostinata e senza scopo di un trattamento inutile priva di valore
terapeutico e, pertanto, non pu essere finalizzata al benessere del paziente. Il ricorso alle tecniche di
rianimazione e terapia intensiva deve essere guidato dal criterio della proporzionalit delle cure. Nessun
medico tenuto a praticare terapie sproporzionate per eccesso.
La rinuncia a mezzi straordinari o sproporzionati non equivale al suicidio o alleutanasia; esprime piuttosto
laccettazione della condizione umana di fronte alla morte (S.S. Giovanni Paolo II - Lettera Enciclica
Evangelium Vitae, 1995).

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