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Il Soccorritore di

Livello Avanzato
edizione 06/2016

Settore Sanitario
Gruppo Formazione
P.A. Humanitas Firenze ONLUS - Il Soccorritore di Livello Avanzato

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P.A. Humanitas Firenze ONLUS - Il Soccorritore di Livello Avanzato

SOMMARIO

AUTOPROTEZIONE 4
DISPOSITIVI DI PROTEZIONE INDIVIDUALE (D.P.I.) 5
CENNI DI ANATOMIA 8
B.L.S. (BASIC LIFE SUPPORT) 12
OSTRUZIONE DELLE VIE AEREE NEI PAZIENTI ADULTI 36
P.B.L.S. (PEDIATRIC BASIC LIFE SUPPORT) 40
OSTRUZIONE DELLE VIE AEREE NEI PAZIENTI PEDIATRICI 53
S.V.T. (SUPPORTO VITALE AL TRAUMA) – TEORIA 56
S.V.T. (SUPPORTO VITALE AL TRAUMA) – PROTOCOLLO 76
S.V.T. (SUPPORTO VITALE AL TRAUMA) – MANOVRE 87
SUPPORTO ALL’A.L.S. (ADVANCED LIFE SUPPORT) 123
ELETTROMEDICALI 129
COMPORTAMENTO SUL SERVIZIO E APPROCCIO AL PAZIENTE 147
PARAMETRI VITALI E PATOLOGIE 151
ELISOCCORSO 164
TRIAGE SANITARIO 165
P.M.A. 168
LA RESPONSABILITÀ GIURIDICA DEL SOCCORRITORE 173

Attenzione: il presente manuale si basa su quanto riportato da ANPAS / IRC / ERC / ILCOR / Legge Regione Toscana 25/2001 e ss.
mm. ed è da intendersi a uso limitato ed esclusivo per il Corso di Soccorritore di Livello Avanzato tenuto dal Gruppo Formazione
della Pubblica Assistenza Humanitas Firenze ONLUS. Qualsiasi altro suo utilizzo o impiego come riferimento scientifico, normativo,
regolamentare, bibliografico è da intendersi escluso.

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AUTOPROTEZIONE

L’autoprotezione è un concetto che deve essere applicato ai più svariati aspetti del servizio in ambulanza e
comprende tutti quei comportamenti che permettono di ridurre al minimo il rischio per la salute del
Soccorritore. L'assunto fondamentale è che durante l'espletamento del soccorso sanitario il Volontario non
è tenuto e non deve in nessun modo mettere a rischio la propria salute né quella degli altri Soccorritori che
partecipano al servizio: non è tenuto a farlo nel senso che giuridicamente non è obbligato a mettere a
repentaglio la propria incolumità per prestare soccorso a terzi; non deve farlo, poiché in caso di incidente
il Soccorritore si troverebbe a dover essere a sua volta soccorso, non riuscendo a portare a termine il
servizio e distogliendo quindi da altre emergenze ulteriori mezzi di soccorso o comunque impegnando la
struttura sanitaria a seguito di un comportamento evitabile ed errato. Mettere a rischio la propria salute
non vuol dire solo non prestare attenzione o andare incontro deliberatamente a situazioni in cui il
Soccorritore può trovarsi in pericolo di vita, ma anche (e soprattutto per quanto riguarda i Soccorritori di
Livello Base) mettere in atto comportamenti che possono esporre il Volontario a malattie o più in generale
a danni anche di più lieve entità.

Tutto ciò in pratica si traduce in un'attenzione in tutte le fasi del servizio:


- all'arrivo sul posto il Soccorritore dovrà, prima di scendere dall'ambulanza, aspettare il “via libera”
dell'autista che ha una visione globale della posizione del mezzo sulla strada e del traffico intorno
ad esso;
- nel momento in cui si approccia alla scena, il Soccorritore dovrà individuare i fattori di rischio che
possano rendere necessario l'intervento di altri mezzi di soccorso o delle forze dell'ordine: in questo
caso dovrà allertare solo ed esclusivamente il 118 e, attraverso di esso, richiedere l'intervento
appropriato, aspettando ad intervenire fino a quando la sicurezza sia stata ristabilita;
- quando entra in contatto con il paziente, il Soccorritore dovrà disporre di tutti i dispositivi di
protezione individuale (D.P.I.) richiesti dal caso, in modo da tutelare la propria salute e quella del
paziente;
- qualora sia necessario movimentare il paziente con l'ausilio dei presidi presenti sull'ambulanza
(barella, cucchiaio, coltrino, sedia-barella), il Soccorritore dovrà assicurarsi che le forze a
disposizione siano pienamente sufficienti per la movimentazione (in caso contrario chiederà
l'intervento di ulteriori Soccorritori) e che il percorso sia privo di ostacoli che possano mettere a
rischio, durante il trasporto, sia la squadra di Soccorritori che il paziente. Inoltre dovrà effettuare le
manovre nel modo corretto per tutelarsi da accidenti muscolo-scheletrici (strappi, stiramenti, etc.)
che possano mettere a rischio, oltre che la propria, anche l'incolumità del paziente.

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DISPOSITIVI DI PROTEZIONE INDIVIDUALE (D.P.I.)

GUANTI

I guanti monouso, forse i più comuni tra i D.P.I., devono essere


indossati su qualsiasi servizio dall’inizio (prima del contatto con il
paziente) alla fine (al momento che l’ambulanza e gli oggetti che sono
stati usati sono già stati puliti). Esistono tre taglie di guanti tra le quali
poter scegliere e la preferenza andrà sulla taglia che risulterà avere
una maggiore aderenza senza limitare i movimenti. Prima di partire
dalla sede per un servizio i volontari dovranno accertarsi di avere a
disposizione sul mezzo una buona scorta di guanti di tutte le misure. Durante il servizio i guanti si dovranno
cambiare se si rompono, se sono molto sporchi e soprattutto dopo che sono venuti a contatto con sostanze
contaminanti (sangue, vomito, etc.). È buona norma portarne sempre qualche paio di scorta nella divisa. I
guanti usati sono considerati alla stregua di rifiuti speciali contaminati e come tali devono essere smaltiti
con apposite procedure, vanno quindi gettati sempre nel contenitore dei rifiuti sanitari presente in
ambulanza o negli ospedali.

MASCHERINE

Questi D.P.I. possono essere di tre tipi:

- Modello sala operatoria


- Modello antipolvere
- Modello con visiera

Il tipo di mascherina utilizzata è indifferente al fine del lavoro che noi svolgiamo. Le situazioni in cui è
necessario indossare questi D.P.I. sono quelle in cui si trasporti un paziente con patologie respiratorie, si
incontrino pazienti agitati unitamente a emorragie o vomito e qualora il Volontario ne ravveda la necessità.
Queste devono essere a disposizione sull’ambulanza.

OCCHIALI PROTETTIVI

Gli occhiali protettivi proteggono gli occhi dal contatto delle mucose con
eventuali liquidi biologici contaminati che dovessero essere presenti
durante la gestione del paziente.

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DIVISA AD ALTA VISIBILITA’

Si richiede, anche per regolamento interno alla nostra Associazione, che il Volontario indossi almeno un
indumento di alta visibilità che deve essere indossato per tutto il servizio. Di questa tipologia di indumenti
esiste una vasta scelta:
- Pettorina arancio
- Giaccone arancio
- Divisa completa rossa

L’indumento più idoneo del Soccorritore Volontario, obbligatorio per legge e per la sua sicurezza, è la divisa
completa rossa più scarponi antiinfortunistici forniti dall’Associazione dietro il versamento di una cauzione.
In sede sono sempre presenti anche dei giacconi impermeabili, sempre ad alta visibilità, da utilizzare in caso
di condizioni meteo avverse.

ELEMETTI DA CANTIERE

Gli elmetti da cantiere sono presenti in ambulanza solo in casi d’impieghi speciali
nei quali è richiesto l’intervento in aree di cantiere o dove sia comunque
presente un rischio operativo simile.

Esiste in ogni modo una regola generale per tutto quello che riguarda l’autoprotezione: comportatevi in modo
coscienzioso senza andare oltre le vostre competenze e per qualunque dubbio sul servizio, contattare la sede
o al limite la centrale che vi ha passato il servizio (Esculapio o 118).

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LA CENTRALE OPERATIVA 118


Sotto il nome di “Centrale Operativa 118” (C.O.) si identifica l’insieme di persone e strumenti che accoglie,
smista e gestisce, tutte le richieste di soccorso sanitario che provengono dal proprio territorio di
competenza. 118 è il numero telefonico gratuito che deve essere contattato in caso di necessità sanitaria
urgente. L’operatore, che risponde alla chiamata di soccorso, porrà a chi chiama una serie specifica e
predefinita di domande. Tali domande servono alla centrale per individuare il tipo di squadra più adatta a
effettuare il soccorso. Il servizio di soccorso verrà infatti classificato per gravità e tipologia grazie ad un
codice numero - colore.
Il numero, da uno a dieci, identifica la patologia :

1. traumatica 11. oculistica


2. cardiocircolatoria 12. otorinolaringoiatrica
3. respiratoria 13. dermatologica
4. neurologica 14. ginecologica
5. psicologica 15. infettiva
6. neoplastica 19. altra patologia
7. tossicologica 20. patologia non identificata
8. metabolica
9. gastroenterologica
10. urologica

il colore invece identifica la gravità, e può essere :


rosso – servizio urgente, probabile pericolo di vita imminente
giallo – servizio di emergenza, probabile pericolo di vita a breve
verde – servizio indifferibile, pericolo di vita improbabile ma possibile
bianco – servizio differibile, nessun pericolo di vita
Classificato il servizio verrà smistato alle squadre più opportune per gravità o per vicinanza.
La quasi totalità delle squadre presenti a Firenze e provincia è composta da soli Volontari di Livello Avanzato
(Ambulanze “Delta”). Ad esse si affiancano, soprattutto in ambito extraurbano, squadre composte da
Volontari e un Medico (Ambulanze “Alfa”) e squadre composte da Volontari e un Infermiere (Ambulanze
“India”) entrambi su ambulanze attrezzate. In ambito urbano sono presenti anche squadre composte da
un Medico e un Infermiere, la cosiddetta Automedica “Mike” che viene affiancata solitamente ad
Ambulanze “Delta”. Attivando correttamente una o più di queste risorse, la centrale cerca di dare una
risposta ad una richiesta di soccorso, nel più breve tempo possibile e con il miglior livello di assistenza
necessario. Il 118 può avvalersi delle squadre di Trasporto Sanitario delle associazioni, per espletare quei
servizi a codice bianco che si trovano ad evadere. Quest’ultima opportunità è comunque relativamente
rara, se si guarda alla totalità dei servizi gestiti dalla centrale.

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CENNI DI ANATOMIA

Questa sezione riporta cenni di anatomia e di fisiologia del sistema respiratorio, cardiovascolare e
cerebrovascolare, a puro titolo illustrativo. Le nozioni riportate non vogliono essere complete ed esaustive,
hanno puro scopo informativo per cultura generale. Non compromettono né influiscono sulla buona
applicazione del protocollo di seguito descritto e devono considerarsi di supporto, ad una più completa
comprensione, di quanto trattato in seguito.

IL SISTEMA RESPIRATORIO
Il sistema respiratorio è costituito da quattro parti:
1) le vie aeree, che portano l’aria dall’esterno all’interno del corpo;
2) gli alveoli, piccoli sacchi d’aria nei polmoni dove si verifica lo scambio dei gas;
3) la componente neuro-muscolare;
4) le arterie, i capillari e le vene stesse.
Le vie aeree sono divise in superiori e inferiori. Le vie aeree superiori comprendono il naso e la bocca, la
faringe (dietro la lingua) e la laringe. Le vie aeree inferiori comprendono la trachea, i bronchi principali (un
bronco al polmone destro e uno a quello sinistro). La componente neuromuscolare del sistema respiratorio
è composta dal centro respiratorio nell’encefalo, i nervi da e per i muscoli respiratori e i muscoli respiratori
stessi. La gabbia toracica è composta dalle coste, che sono attaccate posteriormente alla colonna
vertebrale e anteriormente allo sterno.

I principali muscoli della respirazione sono:


1) il diaframma, che è attaccato ai
margini delle coste inferiori, si
estende in senso anteroposteriore a
separare la cavità toracica da quella
addominale;
2) i muscoli tra le costole (intercostali);
3) lo sternocleidomastoideo;
4) i piccoli pettorali;
5) i muscoli delle pareti addominali;
Gli alveoli sono piccoli sacchetti che
ricevono l’aria appena inspirata
(contenente il 21% d’ossigeno – o più, se si
utilizza ossigeno supplementare) dalle vie aeree e anidride carbonica dal sangue. Gli alveoli confinano con
un sottile strato di cellule. Sull’altro lato di questo strato vi è una delicata rete di capillari. Gli alveoli e i
capillari ad essi associati sono l’unità base dei polmoni. Le arterie polmonari portano sangue a basso
contenuto d’ossigeno dal cuore destro ai capillari circostanti gli alveoli tramite il circolo polmonare. I
capillari portano sangue agli alveoli per prendere l’ossigeno ed eliminare l’anidride carbonica. Le vene
polmonari riportano sangue ad alto contenuto d’ossigeno dai polmoni al cuore sinistro.
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La funzione del sistema respiratorio è di portare ossigeno dall’aria nel sangue e di eliminare l’anidride
carbonica dall’organismo. Tutte le cellule del corpo necessitano di un apporto continuo d’ossigeno per
funzionare. Con l’attività metabolica si produce anidride carbonica che deve essere eliminata. Se l’apporto
d’ossigeno alle cellule è insufficiente o se si riduce l’eliminazione d’anidride carbonica, si sviluppa acidosi.
La funzione del sistema cardiovascolare è di trasportare sangue ossigenato dai polmoni alle cellule del
corpo e di trasportare sangue contenente anidride carbonica dalle cellule del corpo ai polmoni. Se
l’ossigenazione del sangue nei polmoni è ridotta a causa di un’insufficienza respiratoria o se l’apporto di
sangue (portata cardiaca) è ridotto per alterata funzionalità cardiovascolare, l’apporto d’ossigeno alle
cellule si riduce (ipossia tissutale). A questo punto le cellule devono passare dalle vie metaboliche aerobie
(che necessitano d’ossigeno) a quelle anaerobie, che producono acido lattico e altri acidi, perciò il paziente
sviluppa acidosi metabolica. Se la funzione respiratoria è alterata, l’eliminazione di anidride carbonica può
essere ridotta, con conseguente ipercapnia (elevato livello di anidride carbonica nel sangue). Se l’ipercapnia
è acuta, genera un’acidosi respiratoria. Se è cronica (che dura più di 24-48 ore), il complesso renale può
trattenere bicarbonato per tamponare l’acidosi, correggendo parzialmente l’acidosi. Nella maggior parte
della popolazione sana i livelli di ossigeno e anidride carbonica rimangono relativamente costanti. Lo
stimolo alla respirazione viene dal centro respiratorio cerebrale, e lo stimolo principale per la variazione
della profondità e della frequenza del respiro è costituito dal livello di anidride carbonica nel sangue
arterioso in prossimità di questa regione cerebrale. Quando il livello di anidride carbonica si eleva, il centro
respiratorio del cervello invia un numero crescente di impulsi nervosi ai muscoli respiratori. La frequenza e
la profondità della respirazione aumentano fino a che il livello di anidride carbonica non si abbassa. Quando
si verifica questo abbassamento i segnali inviati dal centro respiratorio si riducono e la frequenza
respiratoria diminuisce. Un sistema a feed-back determina di norma una relazione costante (lineare) tra il
livello di anidride carbonica e la frequenza e profondità del respiro. In questo modo il livello ematico di
anidride carbonica viene mantenuto in un intervallo limitato. L’aria ambiente contiene circa il 21% di
ossigeno e il 79% di azoto. Poiché solo un quarto dell’ossigeno presente nell’aria inspirata passa nel sangue
a livello dei polmoni durante la respirazione, l’aria espirata contiene ancora una concentrazione significativa
di ossigeno (circa il 16%) così come una piccola quantità di anidride carbonica (5%) e di vapore acqueo.
Nella ventilazione d’emergenza l’aria espirata dal Soccorritore e fornita alla vittima contiene una quantità
sufficiente di ossigeno a sostenere l’ossigenazione del paziente. L’ispirazione è un processo attivo. Il
diaframma è il principale muscolo responsabile dell’inspirazione. Contraendosi si abbassa verso la cavità
addominale aumentando il volume all’interno del torace (intratoracico). Al contempo i muscoli intercostali
si contraggono e sollevano la gabbia toracica, aumentando ulteriormente il volume intratoracico. Quando
questo volume aumenta la pressione intratoracica e quella intrapolmonare cadono al disotto di quella
atmosferica. La differenza di pressione tra l’atmosfera e i polmoni spinge l’aria nei polmoni. L’espirazione
è in genere un processo passivo. Con il rilasciamento muscolare le coste discendono e si solleva il
diaframma, riducendo il volume della cavità toracica. Il polmone, che è elastico, si riduce passivamente di
dimensioni e l’aria presente al suo interno esce. Con arresto respiratorio si indica la mancanza di respiro.
L’insufficienza respiratoria implica che benché vi possa essere attività respiratoria, questa è inadeguata a
mantenere i livelli normali di ossigeno e anidride carbonica nel sangue. I pazienti in arresto respiratorio
necessitano di ventilazione a pressione positiva con tecnica bocca-bocca, bocca maschera o pallone-
maschera. I pazienti in insufficienza respiratoria possono necessitare di ventilazione a pressione positiva o
di ossigeno supplementare per assicurare un’adeguata ossigenazione dei tessuti.

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IL SISTEMA CARDIOVASCOLARE
Il sistema cardiovascolare
comprende il cuore, le
arterie, i capillari e le vene.
Il cuore di un adulto non è
molto più grande di un
pugno. Giace al centro del
torace, dietro lo sterno,
davanti alla colonna
vertebrale (tratto toracico)
e sopra il diaframma.
Eccetto che per la porzione
posta davanti alla colonna e
per una striscia sottile al centro della faccia anteriore, il cuore è circondato dal polmone. Il cuore è un
organo cavo le cui camere sono tappezzate dal sottile e tenace endocardio. La robusta parete muscolare
del cuore si chiama miocardio. Il cuore è circondato da un involucro a sacco, il pericardio. Il cuore è diviso
in quattro sezioni, composte da due camere superiori (gli atri) e da due inferiori (i ventricoli). La camera
superiore (atrio) e quella inferiore (ventricolo) del lato destro ricevono sangue proveniente dall’organismo.
Il ventricolo destro pompa questo sangue nell’arteria polmonare perché arrivi ai polmoni. Il ventricolo
sinistro pompa questo sangue ossigenato nell’aorta, fornendolo all’organismo. Delle valvole poste tra gli
atri e i ventricoli e le due maggiori arterie (arteria polmonare e aorta) portano via il sangue dal cuore.
Queste valvole aiutano a mantenere il flusso anterogrado dal sangue attraverso le camere cardiache e
nell’arteria polmonare e nell’aorta. Il cuore ha un suo proprio sistema di approvvigionamento di sangue. Le
arterie coronariche sono i primi rami a distaccarsi dall’aorta e forniscono sangue ossigenato a miocardio ed
endocardio. Le due arterie principali, la coronaria destra e la sinistra, si ramificano in una complessa rete
di arterie che approvvigionano tutte le aree del cuore.
La funzione del cuore è di pompare
sangue ai polmoni e all’organismo. Le
arterie e le vene portano il sangue dal
cuore ai tessuti e viceversa. Nei tessuti
avviene lo scambio di ossigeno e di
anidride carbonica tra sangue e cellule.
Questo processo avviene nei polmoni, nel
resto dell’organismo e nello stesso
muscolo cardiaco. Tutte le cellule del
corpo necessitano di un continuo apporto
di ossigeno per svolgere le loro normali
funzioni. Inoltre, l’anidride carbonica, il prodotto di scarto del metabolismo, deve essere eliminato
dall’organismo tramite i polmoni. Il cuore è, di fatto, una doppia pompa. Una pompa (il cuore destro) riceve
sangue che ritorna dall’organismo dopo avervi rilasciato l’ossigeno ai tessuti. Il cuore pompa questo sangue
scuro, rosso bluastro ai polmoni dove esso si libera dall’anidride carbonica e raccoglie l’ossigeno apportato
diventando così rosso vivo. La seconda pompa (il cuore sinistro) riceve il sangue ossigenato dai polmoni e
lo spinge tramite il vaso principale (aorta) nelle arterie più piccole, che lo distribuiscono a tutte le parti del
corpo. Il cuore dell’adulto, a riposo, batte da 60 a 100 volte al minuto. A ogni battito espelle circa 70 millilitri
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di sangue. A riposo il cuore pompa circa 5 litri di sangue al minuto. Sotto sforzo il cuore può pompare sino
a 35 litri al minuto. Il volume di sangue circolante totale di una persona che pesa 75 chili è di circa 6 litri.
Ogni contrazione del cuore, o battito cardiaco, è indotta da uno stimolo elettrico che insorge nel segnapassi
fisiologico del cuore ed è trasmesso al muscolo cardiaco tramite un sistema di conduzione speciale. Il
muscolo cardiaco si contrae dopo che viene stimolato da questo impulso elettrico. La contrazione è seguita
da un periodo nel quale il sistema di conduzione e il muscolo cardiaco vengono ricaricati per essere pronti
per il battito successivo. Il cuore ha il suo proprio pacemaker elettrico. La frequenza cardiaca può tuttavia
essere alterata da impulsi nervosi provenienti dal cervello o da varie sostanze presenti nel sangue che
influenzano il pacemaker e il sistema di conduzione.

IL SISTEMA CEREBROVASCOLARE
Il sistema nervoso centrale si compone di encefalo e midollo
spinale. La parte più grande dell’encefalo è costituita dal cervello,
dove sono localizzati i centri nervosi che regolano tutte le attività
motorie e sensitive del corpo. Il cervello è diviso in metà destra e
sinistra, o emisferi, ognuno dei quali contiene un insieme completo
di centri motori e sensitivi. In genere l’emisfero destro controlla il
lato sinistro del corpo e l’emisfero sinistro il lato destro. Gli emisferi
cerebrali si suddividono poi in lobi, sezione con distinte funzioni
specifiche. La carenza di apporto di sangue ai tessuti cerebrali in
una specifica aerea può quindi determinare la perdita isolata della
funzione specifica controllata da quella particolare area cerebrale.
Il midollo allungato, cioè la parte inferiore dell’encefalo, è
costituito da fasci a tratti di nervi che percorrono il midollo spinale
partendo dal cervello. Il midollo allungato ha anche dei centri
nervosi specifici. I più importanti di questi controllano e regolano la funzione respiratoria e circolatoria.
L’encefalo necessita di un apporto costante di sangue ossigenato;
se l’afflusso di sangue si interrompe, ne può conseguire un danno
cerebrale o la morte. La maggior parte dall’apporto di sangue
all’encefalo (80%) è fornito dalle due grosse arterie (destra e
sinistra) poste davanti nel collo, chiamate arterie carotidi, il resto
del flusso ematico all’encefalo deriva dalle due arterie (destra e
sinistra) situate posteriormente nel collo, le arterie vertebrali, che
forniscono sangue al midollo allungato. Queste due arterie si
uniscono poi alla carotide a formare una rete che fornisce sangue
al resto dell’encefalo.

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B.L.S. (BASIC LIFE SUPPORT)

INTRODUZIONE
Il Supporto di base delle funzioni vitali (Basic Life Support o B.L.S.) consiste nelle procedure di rianimazione
cardiopolmonare (R.C.P.) necessarie per soccorrere una persona che:
- ha perso coscienza
- non respira
- non ha segni di circolo
L’obiettivo principale del B.L.S. è la prevenzione dei danni anossico celebrali; le procedure sono finalizzate:
- a prevenire l’evoluzione verso l’arresto cardiaco in caso di ostruzione respiratoria
- a provvedere alla respirazione e alla circolazione artificiale in caso di arresto del circolo
Le procedure di B.L.S. sono standardizzate e riconosciute valide da organismi internazionali autorevoli
(American Heart Association, European Resuscitation Council, Italian Resuscitation Council, componenti
ILCOR) che periodicamente provvedono ad una revisione critica e ad un aggiornamento in base
all’evoluzione delle conoscenze. Inoltre, le presenti procedure, sono state ufficialmente percepite dalla
Regione Toscana tramite apposita delibera e pubblicazione sul B.U.R.T. n°35 del 29/08/2007.

OBIETTIVI DEL B.L.S.


L’obiettivo principale del B.L.S. è quello di ridurre la mortalità e gli effetti invalidanti in un soggetto in cui
risultano compromesse le funzioni vitali ovvero che:
- non è cosciente
- non respira
- non ha circolo sanguigno
mediante:
- il pronto riconoscimento dell’evento
- l’attivazione precoce del sistema di emergenza
- il supporto precoce del respiro e del circolo

MORTE CARDIACA IMPROVVISA


Per morte cardiaca improvvisa si intende una morte naturale per cause cardiache preceduta da
un’improvvisa perdita di coscienza, solitamente entro un’ora dalla comparsa di una sintomatologia acuta.
Colpisce circa 3 persone su 2000 ogni anno. In Italia circa 57.000 evenienze annue: 156 al giorno – 1 ogni
circa 9 minuti (Congresso Mediterraneo di Cardiologia 05/2007). Dati impressionanti, che hanno portato
alla convinzione che sia necessario, per tutti, conoscere quei protocolli operativi grazie ai quali cercare di
limitare i danni provocati da questa piaga sociale. Il B.L.S. viene insegnato in molti ambienti di lavoro e nei
luoghi pubblici; a maggior ragione deve essere il punto fondamentale nella formazione di chi si accinge a
diventare un Soccorritore in ambulanza.
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UNA CORSA CONTRO IL TEMPO


Una persona che vede mancare le proprie funzioni vitali (respiro e circolo), vede ridursi l’apporto di
ossigeno ai propri tessuti e soprattutto al cervello. Questa evenienza porta rapidamente verso a lesioni
cerebrali e quindi verso la morte. La “corsa contro il tempo” dei Soccorritori (qualunque essi siano) è quella
che si corre nei confronti dei danni derivanti dalla mancanza di ossigeno, e non è certo una passeggiata.
Basti pensare che già dopo circa 5 minuti dall’avvento dell’arresto cardiaco inizia il danno neurologico e
che, dopo circa 10 minuti, esso diventa irreversibile. Se a questo aggiungiamo il fatto che sul territorio
fiorentino il tempo garantito di intervento da parte di un’ambulanza dovrebbe essere di circa 8 minuti si
capisce che chiamare un’ambulanza non basta, bisogna agire subito.

IL DANNO ANOSSICO CEREBRALE


La mancanza di apporto di ossigeno alle cellule celebrali (anossia celebrale) produce come abbiamo visto
lesioni che diventano irreversibili dopo circa 10 minuti di assenza di circolo. L'attuazione di procedure atte
a mantenere un’ossigenazione d'emergenza può interrompere la progressione verso una condizione di
irreversibilità dei danni tessutali. Qualora il circolo venga ripristinato ma il soccorso sia stato ritardato o
inadeguato, l'anossia cerebrale prolungata si manifesterà con esiti di entità variabile: stato di coma
persistente, deficit motori o sensoriali, alterazioni delle capacità cognitive o della sfera affettiva, etc. Le
possibilità di prevenire il danno anossico dipendono dalla rapidità e dall’efficacia delle procedure di
soccorso, ed in particolare dalla corretta applicazione della "catena della sopravvivenza".

SEGNI DI ALLARME DELL’ARRESTO CARDIACO


Quando una parte del muscolo cardiaco non riceve un adeguato flusso di sangue per un periodo prolungato
(circa 20-30 minuti) si manifesta una condizione clinica comunemente chiamata “attacco cardiaco”, che
può in alcuni casi portare all’infarto miocardio, cioè alla morte di un certo numero di cellule cardiache. Nel
caso di un attacco cardiaco è possibile che si verifichi la cessazione improvvisa dell’attività di pompa del
cuore (arresto cardiaco) dovuta in molti casi a fibrillazione ventricolare; in tale caso i presenti, se sono in
grado di farlo, devono tempestivamente mettere in atto le procedure del BLS e attivare il sistema di
emergenza. Tuttavia, è opportuno conoscere i segni premonitori che possono farci sospettare che un
arresto cardiaco sia imminente o possibile, così da poter mettere in atto un soccorso precoce; è opportuno
cioè conoscere i segni di allarme dell’attacco cardiaco:
- dolore o senso di oppressione al centro del torace o localizzato alle spalle, al collo, alla mandibola,
alla parte superiore dell’addome in corrispondenza dallo stomaco o al braccio sinistro;
- sudorazione, nausea, sensazione di “mancanza di respiro” e di debolezza;
- il dolore non viene necessariamente descritto come “acuto”; a volte può essere di entità modesta
ed essere presente solo difficoltà respiratoria;
- i sintomi possono comparire in qualsiasi luogo ed in qualsiasi momento, sia che il paziente stia
facendo uno sforzo, sia che si trovi a riposo.

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LA CATENA DELLA SOPRAVVIVENZA

La sopravvivenza dopo un arresto cardiaco avvenuto in sede preospedaliera dipende dalla corretta
realizzazione di una serie di interventi; la metafora della “catena” sta a significare che se una delle fasi del
soccorso è mancante, le possibilità di sopravvivenza sono ridottissime. Come illustrato in figura, i cinque
anelli della catena della sopravvivenza per il paziente adulto sono costituiti da:
1) Accesso precoce al sistema d’emergenza – 118
2) Inizio precoce delle manovre di rianimazione – B.L.S. (oggetto del presente capitolo)
3) Defibrillazione precoce – D.P.
4) Immediato supporto avanzato – A.C.L.S.
5) Assistenza intraospedaliera
La catena della sopravvivenza deve essere ben radicata nella popolazione ed ancor più negli operatori
sanitari per poter ottenere i migliori risultati in termini di percentuali di sopravvivenza in chi è colpito da
arresto cardiocircolatorio. La forza della catena della sopravvivenza è data dalla solidità di ciascuno degli
anelli e si interrompe dove c’è l’anello più debole.

LA SEQUENZA DEL B.L.S. PER PAZIENTI ADULTI


Ai fini del presente manuale e del corso che stiamo svolgendo, viene riportata la sequenza di B.L.S. per due
Soccorritori con appositi presidi. La sequenza B.L.S. ad un Soccorritore senza presidi dedicati non verrà
trattata. Questo protocollo deve intendersi esclusivamente per il soccorso e la rianimazione di pazienti
adulti che non hanno subito traumi (cadute, incidenti stradali o altro), anche presunti dalla valutazione
dello scenario in cui ci si trova. In questo caso prima dell’esecuzione del B.L.S. sarà necessario procedere
all’immobilizzazione del rachide cervicale come da protocollo S.V.T. (vedi capitoli seguenti).

LA RIPARTIZIONE DEI RUOLI


Viste le unità presenti sul territorio, nel caso di ambulanza con professionista a bordo (medico e/o
infermiere), il Team Leader è ovviamente il professionista. Nel caso invece di ambulanza di primo soccorso
con equipaggio di soli Volontari, di cui almeno 2 di Livello Avanzato, la ripartizione dei ruoli all’interno del
protocollo B.L.S. è la seguente:

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Primo Soccorritore (o Team Leader):


- Valutazione dello stato coscienza.
- Ispezione della bocca.
- Iperestensione della testa.
- G.A.S. e segni di circolo.
- Posizionamento alla testa, posizionamento della cannula di Guedel, esecuzione delle ventilazioni.
Secondo soccorritore:
- Telefonate al 118.
- Preparazione del materiale (ambu, maschere, ossigeno).
- Esecuzione delle compressioni toraciche.
LA SICUREZZA DELLO SCENARIO
In ogni sequenza di B.L.S., come in qualsiasi altro intervento, prima di avvicinarsi al paziente bisogna
assicurarsi che lo scenario sia sicuro, ovvero che l'ambiente in cui andremo a operare non presenti rischi
immediati o evolutivi per i Soccorritori. Nel caso che questi siano presenti NON INTERVENIRE e NON
AVVICINARSI ma richiedere tramite la C.O.118 l'invio del personale adeguato per mettere in sicurezza l’area
(p.e. CC., Polizia, VV.UU., VV.F.). MAI INTERVENIRE e MAI AVVICINARSI se non è garantita l'incolumità nostra
e della squadra.

FASE A (AIRWAYS)
Valutazione dello stato di coscienza: la prima cosa da fare davanti ad una persona che supponiamo necessiti
di un aiuto è valutarne lo stato di coscienza. Il Soccorritore si avvicinerà lateralmente al paziente lo chiamerà
a voce alta “Signore Signore mi sente?!” prendendolo per le spalle e scuotendolo progressivamente più
forte. Nel caso che il paziente non risponda, si dovrà contattare IMMEDIATAMENTE la Centrale Operativa
del 118. Alzando un braccio e guardando l'altro Soccorritore gli diremo: “il paziente è privo di coscienza,
chiama il 118”. Questo è fondamentale e irrinunciabile ai fini di un buon esito del soccorso. Alla Centrale
Operativa 118 dovremo comunicare:
- chi siamo (ad es.: Delta13)
- dove siamo (via, piazza, etc.)
- le condizioni (coscienza, traumi, etc.)
Posizionamento del paziente: il paziente incosciente dovrà essere posizionato:
- supino (pancia sopra)
- su un piano rigido possibilmente asciutto
- gli dovrà essere scoperto il torace (tagliando gli abiti con le apposite forbici, se è necessario)
- gli arti andranno allineati lungo il corpo per ridurre l'ingombro (raramente ci troveremo a lavorare
- in ambienti ampi)
Anche se ai familiari potrà apparire sgradevole, il paziente dovrà essere tolto dal letto e messo sul
pavimento; questo serve perché, quando dovremo eseguire determinate manovre di questo protocollo,
lavorare su un materasso annullerebbe l'effetto che noi tentiamo di produrre (ovvero il massaggio
cardiaco). N.B.: il materasso della barella è da considerarsi un piano rigido.
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Pervietà delle vie aeree: procederemo adesso alla valutazione della pervietà delle vie aeree che in inglese
si chiamano Airways e che danno il nome alla fase. Metteremo una mano sulla fronte del paziente e con
l'altra appoggeremo il dito medio sul pollice della stessa mano e inseriremo le dita in bocca al paziente, una
volta dentro, faremo scivolare il medio lateralmente sul pollice in modo da aprire la bocca. Fatto questo,
con l'indice formeremo un uncino con il quale andremo a togliere eventuali ingombri solidi (protesi,
dentiere, cibo, ...). Nel caso che nella cavità orale siano presenti liquidi (sangue, saliva, vomito, ...) potremo
aiutarci ruotando lateralmente la testa o pulendo con delle garze. È possibile utilizzare strumenti come
l’aspiratore, in casi di ostruzione “liquida”, o le Pinze di Magill, ma dobbiamo prestare particolare
attenzione a non perdere tempo inutile. E' fondamentale che si tolga solo ciò che si vede e che si può
raggiungere e che non si perda del tempo inutilmente in manovre strane. Da sottolineare altresì che
l'ispezione del cavo orale di un paziente incosciente può, in alcuni casi, risultare pericolosa a causa di spasmi
muscolari più o meno volontari. Prestare quindi tutta la cautela necessaria nell'esecuzione di questa
manovra.

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Nel caso di liquidi sarà sufficiente ruotare la testa di lato e farli defluire (vedi immagine precedente; da non
eseguire in caso di Trauma), o utilizzare l’aspiratore di secreti con apposito sondino nasogastrico avendo
cura di aspirare solo fino a dove possiamo vedere e non spingendoci più in profondità per il rischio di
stimolare i riflessi del paziente.

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Iperestensione della testa: lasciando la


mano aperta sulla fronte nella medesima
posizione, si mettono indice e medio
sotto il mento sulla parte ossea e si spinge
il capo all'indietro. Questa manovra si
chiama iperestensione della testa e
impedisce alla lingua di ricadere
all'indietro a ostruire sulle vie aeree.
Questo accade perché, al momento della
perdita di coscienza, se ne va anche il
tono muscolare ed essendo la lingua un
muscolo, in assenza di esso, per la forza di
gravità tende a cadere vanificando il
nostro lavoro.
La posizione di iperestensione della testa deve essere mantenuta durante tutte le manovre di rianimazione
cardio-polmonare. Inoltre, l’iperestensione deve intendersi esclusivamente per il soccorso e la
rianimazione di pazienti adulti che non hanno subito traumi (cadute, incidenti stradali o altro), anche
presunti dalla valutazione dello scenario in cui ci si trova. In questo caso la testa non dovrà in nessun caso
essere iperestesa e sarà invece necessario procedere all’immobilizzazione del rachide cervicale come da
protocollo S.V.T. (vedi capitoli seguenti).

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FASE B-C (BREATHING-CIRCULATION)


G.A.S.: procediamo adesso alla prima valutazione
dei parametri vitali: il G.A.S. Questa parola è un
acronimo che significa:
- Guardo
- Ascolto
- Sento
Infatti, Guarderemo il torace del paziente alla
ricerca di qualche segno di espansione, ci
avvicineremo con l'orecchio alla sua bocca in
modo da poter Ascoltare il rumore dell'eventuale
respiro e Sentire (tattilmente) il soffio della sua espirazione sulla nostra pelle. Questa valutazione andrà
fatta in modo molto accurato e per un tempo di 10 secondi. Il trascorrere dei dieci secondi, e per esteso
tutto ciò che facciamo durante tutte le valutazioni, deve essere scandito contando a voce alta per dare la
possibilità a chiunque assista di capire cosa stiamo facendo. Nella fase di osservazione, è importante inoltre
porre attenzione anche alla presenza di segni di circolo. Per “segni di circolo” si intendono tutti quei segnali
inequivocabili che ci possono far capire che al paziente batta effettivamente il cuore. Fra questi possiamo
elencare piccoli movimenti spontanei e ripetuti, colpi di tosse e ovviamente, una modalità di respiro che
visibilmente faccia espandere il torace. Da queste due valutazioni contemporanee prende il nome la fase
B-C ovvero: Breathing che significa respirazione e Circulation che significa circolazione.

Durante la valutazione del respiro all’interno del G.A.S. si deve porre attenzione a riconoscere il Gasping. Il
Gasping è un respiro agonico, un movimento muscolare involontario, un boccheggiamento caratterizzato
da una riduzione estrema della frequenza degli atti respiratori fino al loro totale arresto. Pur apparendo
come un movimento respiratorio il Gasping è un tipo di respirazione non efficace, lento, rumoroso e
innaturale. Il paziente deve quindi essere considerato in arresto e deve essere trattato secondo i consueti
protocolli rianimatori ovvero con ventilazioni artificiali e massaggio cardiaco esterno (R.C.P.).

IN CASO DI DUBBIO, SOPRATTUTTO RIGUARDO I SEGNI DI CIRCOLO, CI COMPORTEREMO COME SE NON CE


NE FOSSERO.

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Dopodiché:

- Se il paziente respira: si dovrà mantenere l'iperestensione della testa e somministrare ossigeno ad


alti flussi (ovvero al massimo consentito dalla bombola in dotazione); controlleremo costantemente
che il respiro ed i segni di circolo continuino ad essere presenti e al massimo ogni minuto si dovrà
rieseguire il G.A.S. per assicurarsene; nel caso ci fosse l'assoluta necessità di allontanarsi, allora,
dovremo porre il paziente in posizione laterale di sicurezza (PLS – vedi sotto).

- Se il paziente non respira ma ha segni di circolo: è questo il caso dell’arresto respiratorio; si dovrà
mantenere l'iperestensione della testa ed eseguire 10 insufflazioni in un minuto (1 ogni 6 secondi)
con ossigeno a alti flussi (ovvero al massimo consentito dalla bombola in dotazione); ogni minuto si
dovrà eseguire il controllo del G.A.S. e dei segni di circolo; un paziente in arresto respiratorio
potrebbe comunque andare dopo poco anche in arresto cardiaco, oppure potrebbe riprendere una
respirazione spontanea.

- Se il paziente non respira e non ha segni di circolo: nel caso che il paziente non abbia né attività
respiratoria né cardiaca si provvederà a chiamare immediatamente la C.O.118 confermando la
notizia dell'arresto cardiocircolatorio e poi si inizierà immediatamente il ciclo di rianimazione,
prediligendo e iniziando subito il massaggio cardiaco (anche a oltranza) nel caso in cui ancora i
presidi per le insufflazioni non fossero subito pronti.

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La cannula oro-faringea: nei casi in cui il paziente


non respiri è altamente consigliato l’uso della
cannula oro-faringea (o “cannula di Guedel” o
“cannula di Mayo”) che va posizionata
esclusivamente se non si presentano riflessi
spontanei di intolleranza. Infatti la cannula
potrebbe scatenare episodi di vomito che
comprometterebbero la pervietà stessa delle vie
aeree. Questa spesso risolve in modo
estremamente efficace la difficoltà ventilatoria
mantenendo comunque l’iperestensione della
testa. Essa deve essere posizionata con cautela e
delicatezza, scegliendo la misura adeguata mediante misurazione della stessa dalla rima buccale al lobo
dell’orecchio in modo che abbracci la lingua nella sua parte concava e contribuisca alla pervietà delle vie
aeree. L’iperestensione della testa deve comunque essere garantita durante le insufflazioni.

Ciclo di rianimazione (R.C.P.): per Rianimazione Cardio Polmonare si intende l’esecuzione di 30 compressioni
toraciche seguite da 2 insufflazioni; questa sequenza è denominata “ciclo”. Queste prime 2 insufflazioni,
saranno anche il nostro strumento per sospettare o meno di un'ostruzione delle vie aeree superiori, ciò
comporta che dovranno essere eseguite con il massimo della cura. Non interromperemo mai la
rianimazione cardiopolmonare a meno di:
- arrivo di un DAE;
- ripresa di attività di circolo e/o di respiro (movimenti, tosse);
- esaurimento fisico dei Soccorritori (svenimento);
- indicazione contraria di un professionista sanitario (riconoscibile come tale) arrivato in appoggio.

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Gli strumenti della R.C.P. – Il Massaggio Cardiaco Esterno


(M.C.E.): il massaggio cardiaco esterno è il nostro modo per
sostituirci all'effetto pompa del cuore quando questo viene a
mancare. Inginocchiati accanto al paziente, dovremo trovare il
punto dove dovremo mettere le mani per eseguire il
massaggio. Dovremo dividere lo sterno idealmente in tre
porzioni il più possibile uguali e le mani andranno poste al
centro del torace tra la seconda e la terza parte partendo a
contare dal lato della testa. In questo punto andrà posizionata
l'eminenza palmare di una mano, alla quale andrà sovrapposta
l'altra e le dita della seconda mano dovranno fasciare quelle
della prima tirandole verso l'alto. A questo punto, tenendo le
braccia ben stese, senza flettere i gomiti e perpendicolari a
terra, inizieremo a massaggiare sfruttando l'effetto fulcro del
bacino. Si dovrà porre attenzione a impiegare circa lo stesso
tempo per la compressione che per il rilascio.

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Dovremo quindi effettuare un minimo di 100 compressioni al minuto con una profondità pari a 4-5 cm.

DURANTE TUTTO IL B.L.S. LA PRIORITÀ PER TUTTI DEVE ESSERE QUELLA


DI NON RITARDARE MAI PER NESSUN MOTIVO IL MASSAGGIO
CARDIACO ESTERNO

Gli strumenti della R.C.P. – Le insufflazioni: le insufflazioni sono il nostro modo per sostituirci alla
respirazione spontanea quando questa viene a mancare. L'AMBU è un pallone in materiale plastico (di
silicone o simili) auto espandibile (ovvero che si riempie di aria da solo) con un attacco maschio per
l'ossigeno e un’interfaccia per attaccare delle mascherine di varie dimensioni e forme. Le mascherine sono
varie per meglio adattarsi al viso del paziente, la scelta della mascherina giusta è importante per garantire
una corretta ventilazione del paziente; una mascherina giusta, coprirà bocca e naso senza sbordare dal
mento e appoggiando sull'attaccatura tra naso e fronte. La mascherina, una volta attaccata all'AMBU, andrà
impugnata formando una “C” con il pollice e l'indice, andrà fatta aderire al volto del paziente e con le
restanti 3 dita dovremo agganciare l'arcata della mandibola per tenere la testa in iperestensione durante
le insufflazioni. Inoltre l’AMBU deve essere collegato alla bombola di ossigeno, aprendo l’erogatore al
massimo consentito dalla bombola (i così detti “altri flussi”), e deve essere altresì collegato al Reservoire
che garantisce un maggiore apporto percentuale di ossigeno al paziente. Il Reservoire è un sacchetto
morbido collegato all’AMBU attraverso una valvola unidirezionale che permette all'ossigeno di uscire ma
non all'aria espirata di entrarvi. La maschera è dotata dei classici fori per l'espirazione dell'aria ma in questo
caso sono dotati di due membrane in lattice che, mentre il paziente inspira, si chiudono obbligandolo ad
inspirare l'aria dal Reservoire (che è ossigeno puro al 100%). Quando il paziente espira la valvola
unidirezionale si chiude e le membrane in lattice si aprono permettendo all'aria di uscire mentre il
Reservoire torna a riempirsi con il flusso di ossigeno. Questo presidio permette di erogare ossigeno a
percentuali vicine all'80-90%.

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Le insufflazioni devono essere lente e profonde (circa 1,5 secondi) con uguale durata dell’inspirazione e
dell’espirazione (quantità 500/600 ML). Questo aspetto è molto importante perché insufflazioni troppo
brusche o violente saranno sicuramente inefficaci e provocheranno facilmente distensione gastrica, con
rischio di rigurgito. La quantità d’aria da insufflare non è standardizzabile perché dipende dalla corporatura
dei pazienti; pertanto, si devono eseguire insufflazioni sufficienti a far sollevare il torace. La mancanza del
sollevamento del torace (ventilazione non efficace), ci deve far pensare ad un nostro errore e quindi
dobbiamo riposizionare la testa e la maschera (della corretta misura) aderente al volto e riprovare due
nuove insufflazioni. Successivamente al termine della seconda sequenza, 30 compressioni toraciche. Se
anche questo secondo tentativo fallisce (soprattutto se percepiamo un pallone rigido, teso, senza “spifferi”
dalla maschera) dobbiamo sospettare un’ostruzione delle vie aeree e passare al protocollo per la loro
disostruzione, ricordarsi di riguardare in bocca dopo ogni ciclo di compressioni e prima delle nuove
insufflazioni.

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Il Cambio durante il B.L.S.: ogni 5 cicli di R.C.P. (circa 2 minuti) è necessario effettuare un cambio fra i due
operatori per evitare lo sfinimento di un Soccorritore che porterebbe a una riduzione della qualità della
rianimazione. Questa la sequenza da seguire:
Soccorritore A esegue il massaggio
Soccorritore B esegue le insufflazioni

A - “Alla prossima cambio”


B - “Ok”
A - Termina le 30 compressioni
B - Esegue 2 insufflazioni
A - Riprende il MCE
B - Si sposta dal lato opposto di A e si prepara a iniziare il massaggio
A - Arriva a 15 compressioni e toglie le mani
B - Riprende il massaggio da 15 fino a 30
A - Si porta alla testa e si prepara per le 2 insufflazioni di fine ciclo

N.B. nel caso che “A” ritardi a riposizionarsi per eseguire le insufflazioni, “B” non terminerà il massaggio ma
proseguirà fino a quando “A” non sarà pronto. Come infatti abbiamo precedentemente sottolineato la
precedenza di tutte le azioni va data sempre al massaggio cardiaco.

Posizione laterale di sicurezza (P.L.S.):


la posizione laterale di sicurezza si
attua su pazienti incoscienti, che però
conservano la respirazione. Serve ad
impedire che materiale vomitato o
comunque presente in bocca finisca
nelle vie aeree della vittima. Benché il
Soccorritore, una volta messa la
vittima in P.L.S., possa allontanarsi
per chiedere aiuto, deve comunque
provvedere ad un’attenta
sorveglianza e rivalutarne
continuamente tutti i parametri
previsti dal B.L.S. La posizione laterale
di sicurezza, per la mobilizzazione che richiede a carico della vittima, non può essere effettuata in caso di
trauma. Questa manovra è consigliata nel B.L.S. ad un Soccorritore, quando questo, accertatosi della
presenza di respiro spontaneo, deve allontanarsi dal paziente incosciente per chiamare soccorsi o per
soccorrere eventuali altre vittime. È invece sconsigliabile nel B.L.S. a due Soccorritori e in tutti i casi in cui
almeno un Soccorritore possa rimanere accanto al paziente; in questi casi, infatti, la posizione supina
permette una rivalutazione più efficace e veloce dei parametri vitali ed una repentina ripresa delle manovre
di R.C.P., laddove ce ne fosse bisogno. In caso di insorgenza di vomito, se il paziente è supino, il Soccorritore
dovrà girarlo su un fianco, per evitare l’inalazione del vomito stesso.

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BLS e donne in gravidanza: il BLS sulle donne in gravidanza va eseguito esattamente come il BLS su adulto,
unico accorgimento è il posizionamento di un cuneo (che sia tale o che ne abbia le sembianze e la
funzionalità – ad es. lenzuolo arrotolato) sotto il fianco destro in modo da rialzarlo di circa 15 cm (decubito
laterale sinistro). Il motivo della necessità di questo supporto è che l’utero gravido, quando la donna è in
posizione supina, tende a comprimere la vena cava inferiore potendo comportare il blocco del ritorno
sanguigno venoso verso il cuore (pericolo di shock ipovolemico).

Problemi e soluzioni: durante l’esecuzione delle manovre di ventilazione e massaggio cardiaco, azioni
inevitabilmente invasive e potenzialmente lesive possono verificarsi dei problemi che sono:
- Problemi connessi con la pervietà delle vie aeree: la manovra di iperestensione della testa è una
manovra che mobilizza le vertebre cervicali e, pertanto, è vietata in tutti i pazienti traumatizzati.

- Problemi connessi con la respirazione: sono legati ad una ventilazione inefficace (mancato
sollevamento del torace in corrispondenza delle ventilazioni). La ventilazione è una delle manovre
più difficili nella sequenza di BLS ed è quella che richiede più attenzione e più manualità possibile.
Se il torace, quando facciamo le insufflazioni, non si solleva dobbiamo pensare:
o ad un mal posizionamento della maschera facciale (agendo di conseguenza);
o ad un’insufficiente o errata iperestensione della testa;
o ad un’insufflazione troppo violenta o brusca (ATTENZIONE: possibile distensione gastrica e
vomito con danni al paziente);
o ad un’ostruzione delle vie aeree da corpo estraneo: di conseguenza metteremo in atto la
manovra di disostruzione delle vie aeree (che sarà trattata in seguito).

- Problemi connessi con il massaggio cardiaco esterno: le compressioni toraciche possono risultare:
o inefficaci: risultano inefficaci quando sono troppo superficiali, cioè tali da non abbassare il
torace di 4-5 cm. Tali compressioni non riescono a rimandare in circolo il sangue ed è come
se il cuore stesse fermo.
o lesive: possono essere lesive, quando la forza di compressione erogata è troppa rispetto alla
stazza del paziente o quando il punto di compressione è stato localizzato scorrettamente.
Se il punto è troppo basso si possono avere delle lesioni del fegato e dello stomaco. Se il
punto è stato rilevato troppo alto si possono avere lesioni polmonari ed esofagee. Se il punto
è troppo laterale si avranno fratture costali con facili lesioni polmonari, epatiche e della
milza da parte delle coste fratturate.
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CASI PARTICOLARI
In questa parte di capitolo tratteremo delle condizioni, in cui un soccorritore deve modificare l’approccio
nei confronti della vittima perché si trova in circostanze particolari. Queste condizioni, fra l’altro, sono causa
di gran parte degli arresti cardiaci in persone giovani senza patologie cardiorespiratorie di base.

IPOTERMIA
Si verifica ipotermia quando la temperatura corporea scende sotto i 35°C e può essere classificata in:
- Ipotermia lieve, quando la temperatura è compresa tra i 35°C e i 32°C;
- Ipotermia moderata, quando la temperatura è compresa tra i 32°C e i 30°C;
- Ipotermia grave, quando la temperatura scende sotto i 30°C;
L’ipotermia si può verificare in persone con una termoregolazione conservata esposte in ambienti freddi o
in condizioni di particolare ventosità o umidità, oppure per immersione in acqua fredda. Quando la
termoregolazione è compromessa, ad esempio in pazienti anziani, l’ipotermia può essere causata da un
raffreddamento anche lieve. Il rischio di ipotermia è aumentato dall’ingestione di alcol o farmaci, da
malattie sottostanti oppure da scarsa cura della persona.
L’ipotermia si può verificare in tutte le stagioni dell’anno, e la presentazione clinica dei pazienti non sembra
dipendere unicamente dalla temperatura dell’ambiente. Il sospetto di ipotermia nasce dalla storia clinica o
dall’esame obiettivo di un paziente collassato, ma è necessario un termometro (esofageo, rettale o
timpanico) per misurare la temperatura interna e, quindi, confermare la diagnosi.
Quando rianimare
L’ipotermia grave e la morte sono a volte difficilmente differenziabili. Bisogna prestare attenzione nel porre
diagnosi di morte in un paziente ipotermico, perché il freddo stesso può produrre un polso lento, filiforme
e irregolare oltre che una pressione arteriosa non apprezzabile. L’ipotermia può avere un effetto protettivo
sul cervello e sugli altri organi vitali, e le aritmie associate sono potenzialmente reversibili prima durante il
riscaldamento. Il cervello può tollerare un arresto circolatorio dieci volte superiore a 18 C° che non a 37C°.
Le pupille dilatate non possono essere considerate come segni di morte.
Una volta scoperto un paziente ipotermico in arresto cardiaco in ambiente freddo, la distinzione fra
ipotermia primaria o secondaria non è sempre facile. L’arresto cardiaco può essere causato dall’ipotermia,
oppure l’ipotermia può essere secondaria a un arresto cardiaco avvenuto in condizioni di normotermia (per
es. un arresto cardiaco causato da ischemia miocardia, in una persona che si trovi in un ambiente freddo).
La morte non può essere confermata fino a quando il paziente non sia stato riscaldato, oppure finché i
tentativi di aumentare la temperatura corporea interna siano tutti falliti; ciò significa che la rianimazione
deve essere prolungata. In ambiente preospedaliero la rianimazione non va effettuata solo se il paziente
presenta segni inequivocabili di morte o se il corpo è congelato al punto da rendere le manovre rianimative
pressoché impossibili.

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Rianimazione
Nel paziente ipotermico si applicano tutti i principi fondamentali della R.C.P. di base e avanzata:
- apertura, pulizia, e mantenimento della pervietà delle vie aeree e, in assenza di ventilazione
spontanea, ventilazione artificiale con ossigeno ad alta concentrazione. L’ossigeno deve essere
riscaldato (40°-46°) e umidificato;
- per valutare il polso centrale o per identificare qualsiasi segno di vita, dovremmo impegnare un
tempo maggiore (25-45 secondi).
La frequenza delle ventilazioni e delle compressioni toraciche, è la stessa che in condizioni di normotermia.
L’ipotermia può causare rigidità della parte toracica, tanto da rendere particolarmente difficoltose le
ventilazioni e le compressioni toraciche. L’obiettivo, in questo caso, consiste nel ventilare il paziente con
un volume che sia sufficiente a causare un’espansione toracica visibile, e nel comprimere il torace
mantenendo un’escursione sternale di circa 4-5 cm.
Riscaldamento
Misure di carattere generale, applicabile a tutti i pazienti ipotermici, includono la rimozione del paziente
stesso dall’ambiente freddo, la prevenzione di ulteriori perdite di calore e trasporto rapido in ospedale. Gli
abiti freddi o umidi devono essere rimossi quanto prima, a patto che l’ambiente esterno sia
sufficientemente caldo (25°C) e che non ci sia vento. La vittima deve essere asciugata e rivestita con
coperte. Il riscaldamento può essere esterno passivo, esterno attivo, interno attivo (riscaldamento
corporeo interno). Il riscaldamento passivo, ottenuto mediante coperte e la permanenza in una stanza
riscaldata, possono essere adatti in pazienti lievemente ipotermici senza compromissione della coscienza.
In caso di ipotermia grave o di arresto cardiaco, devono essere messi in atto provvedimenti di
riscaldamento attivo, ma tali provvedimenti non devono in alcun modo ritardare il trasporto in ospedale,
dove sarà possibile utilizzare tecniche di riscaldamento più efficaci. L’ipotermia degli anziani è associata
spesso a una patologia o a un evento traumatico sottostante.
Prognosi
E’ possibile ottenere una completa guarigione senza deficit neurologici, dopo un arresto cardiaco
prolungato avvenuto in ipotermia, visto che questa fornisce un certo grado di neuroprotezione. Tuttavia,
una temperatura di partenza estremamente bassa e la coesistenza di più patologie diverse in uno stesso
individuo sono indici prognostici negativi.

IMMERSIONE E SOMMERSIONE
L’immersione e la sommersione comunemente si verificano in acqua. Le vittime immerse hanno la testa al
di fuori dell’acqua, e le problematiche saranno legate all’ipotermia e all’instabilità cardiocircolatoria. Le
vittime sommerse hanno la testa sott’acqua e vanno incontro ad asfissia e ipossia. L’arresto cardiaco, in
genere, avviene secondariamente. L’annegamento è la sommersione una volta che il paziente sia stato
dichiarato morto entro 24 ore dall’evento.

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Quando rianimare
Rianimazioni effettuate con successo, con pieno recupero neurologico, sono state ottenute dopo un
periodo piuttosto lungo di sommersione in acqua fredda. La circolazione cerebrale, difatti, può essere
preservata per un certo lasso di tempo, soprattutto nei bambini. Le manovre di rianimazione, quindi,
devono essere avviate immediatamente, a meno che non ci siano segni certi di morte, putrefazione o rigor
mortis. La rianimazione cardiopolmonare di base e avanzata deve essere prolungata per un periodo più
lungo rispetto al solito. Il rischio di ipotermia da immersione o sommersione è elevato se la temperatura
dell’acqua è inferiore ai 25 C°. Può svilupparsi ipotermia primaria o secondaria in seguito a sommersione.
Salvataggio
I soccorritori dovranno innanzi tutto preoccuparsi della propria sicurezza, e cercare di ridurre al minimo il
rischio nell’atto di salvare una vittima. Per raggiungerla andrà utilizzata un’imbarcazione, una tavola da surf,
oppure galleggianti. I soccorritori dovranno avere sempre il sospetto di trovarsi davanti a vittime con danni
della colonna vertebrale dal momento che questi, assieme a quelli cranici, sono molto comuni degli sporti
acquatici. Spesso, pertanto, vi è necessità di immobilizzare la colonna vertebrale durante il soccorso. Ciò
può essere ottenuto facendo galleggiare la vittima, supina, sulla tavola spinale prima di rimuoverla
dall’acqua.
Rianimazione
L’immediata rianimazione sul luogo dell’incidente è essenziale per la sopravvivenza della vittima. La
sequenza BLS standard non deve essere modificata in alcun modo. Il trattamento è lo stesso per gli incidenti
verificatisi sia in acqua salata sia in acqua dolce:
- se si sospetta trauma della colonna vertebrale, le vie aeree devono essere sempre mantenute
pervie evitando assolutamente la manovra di estensione e/o iperestensione della testa; la colonna
vertebrale andrà immobilizzata con collare cervicale e tavola spinale, oppure presidi equivalenti;
- le ventilazioni sono pressoché impossibili da effettuare in acqua, senza un sostegno adeguato.
- dopo aver ispezionato il cavo orale, bisognerà rimuovere i corpi estranei manualmente o con
l’aspiratore; non vi è necessità alcuna di rimuovere l’acqua dalle vie aeree prima iniziare il BLS; porre
il paziente a testa in giù al fine di tentare di rimuovere l’acqua dai polmoni non serve e, anzi,
potrebbe provocare vomito; non bisogna praticare compressioni addominali nel tentativo di
rimuovere acqua dai polmoni e dallo stomaco;
- se compare il vomito è necessario ruotare la testa del paziente lateralmente e rimuovere
manualmente o con aspiratore il materiale fuoriuscito.
Se si sospetta un trauma della colonna vertebrale, tale rotazione andrà eseguita consensualmente con tutto
il corpo, meglio se con l’asse spinale. La somministrazione di ossigeno al 100% sarà necessaria in tutti i casi,
poiché è probabile che si verifichi ipossiemia; l’ipotermia si associa spesso ai danni da sommersione per
cui, per valutare la presenza di circolazione spontanea, andrà impiegato un tempo maggiore (1 minuto). Le
compressioni toraciche sono impossibili da praticare in acqua, ma devono essere iniziate quanto prima.

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GRAVIDANZA
Durante la gravidanza ci sono almeno due persone da rianimare, ma l’accento va posto sulla rianimazione
della madre, che è il modo migliore di ottimizzare la prognosi fetale. L’utero della donna gravida, ingrossato
per la presenza del bambino, comprime la vena cava inferiore riducendo il flusso sanguigno. Il conseguente
insufficiente ritorno di sangue venoso può provocare ipotensione e anche uno shock.
Per trattare una paziente gravida in difficoltà:
- posizionare la donna in decubito laterale sinistro;
- somministrare ossigeno al 100%.
L’arresto cardiaco della madre è spesso legato a fatti che avvengono nel periodo preparto. Le cause di
arresto cardiaco materno includono emorragia, embolia polmonare, embolia da liquido amniotico, rottura
della placenta, e intossicazione da farmaci. Fin dalle prime fasi della rianimazione è necessario coinvolgere
un’ostetrica e un neonatologo.
Rianimazione
Tutti i principi della rianimazione cardiopolmonare di base e avanzata sono applicabili alla donna gravida.
Dopo il primo trimestre lo svuotamento gastrico è ritardato e il rischio di aspirazione polmonare di
contenuto gastrico è quindi aumentato. Nelle fasi avanzate della gravidanza il diaframma viene dislocato in
verso l’alto dall’utero ingrossato, e per ventilare efficacemente la paziente sono necessarie pressioni più
elevate. Al fine di aumentare il ritorno venoso e la gittata cardiaca è fondamentale che la pressione sulla
vena cava inferiore e sull’aorta (compressione aorto-cavale) venga alleviata mediante:
- posizionamento di sacchetti di sabbia, cuscini o appositi cunei sotto il fianco e sotto la natica destra
della paziente (in decubito laterale sinistro);
- mettete un soccorritore in ginocchio in prossimità del lato destro della donna (in modo che giaccia
sul fianco sinistro;
- rotazione a sinistra, se la paziente è su un asse spinale.
Le compressioni toraciche vanno praticate come linee guida, ma la difficoltà può essere maggiore a causa
dell’ipertrofia delle mammelle e dall’innalzamento del diaframma.

ELETTROCUZIONE
L’elettrocuzione può essere causata sia da corrente domestica e industriale, sia da fulmini. La maggior parte
degli incidenti causati da corrente elettrica avviene sul luogo di lavoro. In ambiente domestico i più esposti
al rischio sono i bambini. I fattori che influenzano la gravità del danno da corrente elettrica comprendano:
- il tipo di corrente (alternata o continua),
- il voltaggio,
- l’energia erogata,
- la resistenza al flusso corrente,
- il percorso del corrente che attraversa il corpo del paziente,
- l’area e la durata del contatto,
- l’umidità (la resistenza della pelle è diminuita dall’umidità).

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Il contatto con la corrente alterna può causare contratture tetaniche dei muscoli scheletrici, e ciò rende
difficile staccarsi dalla fonte di energia elettrica, con rischio di arresto respiratorio. La corrente alternata
può causare arresto cardiaco se agisce sul miocardio durante periodo non refrattario. E’ anche possibile
avere uno spasmo coronarico e conseguente ischemia miocardia. Il tragitto transtoracico (da mano a mano)
è più rischioso di un tragitto verticale (da mano a piede) o triangolare (da piede a piede). I fulmini
producono un istantaneo, diretto e massivo di shock di corrente continua, che depolarizza l’intero
miocardio, e che può causare asistolia o fibrillazione ventricolare. La paralisi dei muscoli respiratori può
causare arresto respiratorio il quale, se non trattata rapidamente, può causare a sua volta un arresto
cardiaco.
Diagnosi
Non sempre è possibile ricostruire l’effettiva dinamica dell’incidente, quindi va prestata particolare
attenzione nel riconoscimento delle bruciature di entrata e di uscita della corrente.
Soccorso
Il soccorritore deve assicurarsi che tutte le sorgenti di energia elettrica siano disattivate, evitando di
avvicinarsi alla vittima finché l’ambiente non è sicuro. Bisogna inoltre ricordare che la corrente industriale
(non quella domestica) spesso può produrre archi voltaici che conducono energia in un raggio di alcuni
metri dalla vittima. Non è invece rischioso avvicinarsi alla vittima di un fulmine, benché sarebbe opportuno
spostarsi in ambiente più sicuro.
Rianimazione
La rianimazione cardiopolmonare di base e avanzata deve iniziata subito. Se ci sono bruciatura al volto o al
collo potrebbe essere difficile assicurare la pervietà delle vie aeree. Il trauma cranico e della colonna
vertebrale sono evenienza frequente nell’elettrocuzione. La colonna va immobilizzata fino a che non sia
eseguita una valutazione più approfondita. Specialmente in seguito a shock da corrente ad alto voltaggio
può insorgere una paralisi muscolare che può persistere anche per 30 minuti, durante i quali è necessario
garantire la ventilazione. Gli abiti e le scarpe eventualmente ancora in fase di combustione devono essere
rimossi per evitare ulteriori danni da colore.

L’ARRESTO CARDIACO NEL TRAUMA


La sopravvivenza, sul territorio, a un arresto cardiaco secondario a un trauma chiuso è uniformemente
bassa sia nei bambini sia negli adulti. La sopravvivenza a un arresto cardiaco conseguente a un trauma
penetrante è solo leggermente migliore; il trasporto rapido a un centro traumatologia si associa a un esito
migliore alla rianimazione sul campo. Le causa di arresto cardiaco nel paziente sottoposto a trauma
comprendono:
- trauma cranico grave;
- emorragia massiva;
- ipossia da arresto respiratorio;
- trauma degli organi vitali;
- problemi medici preesistenti;
- pneumotorace iperteso;
- tamponamento cardiaco.
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In questa situazione, il protocollo (intesto come sequenza) del B.L.S., rimane invariato, tranne per
l’applicazione dell’iperestensione della testa. Comunque, tutte le procedure relative a questa condizione,
sono ampiamente trattate e argomentate, nella sezione riguardante la gestione dei traumi (Protocollo
S.V.B.T.).

CIRCOSTANZE DI NON ESECUZIONE O DI INTERRUZIONE DEL B.L.S.


Le circostanze nelle quali il Soccorritore è esentato dall’iniziare il B.L.S. sono essenzialmente quattro:
- decapitazione della vittima
- Presenza di macchie ipostatiche
- presenza di avanzato stato di decomposizione
- presenza di rigor mortis
A queste situazioni, va aggiunta anche la condizione di causa forza maggiore (art. 45 C.P.) che impediscono
al Soccorritore di eseguire le manovre di soccorso. La forza maggiore, per essere tale, deve essere
“imprevedibile, inevitabile, irresistibile”. E’ soprattutto l’imprevedibilità e l’inevitabilità che devono essere
soddisfatte perché questa causa d’esclusione dalla colpevolezza possa essere sostenibile (es. obbligo sotto
la minaccia di armi). In tutti gli altri casi, sempre che non sia presente un medico che esegua un
accertamento della morte, che implica l’interruzione di ogni trattamento terapeutico, dobbiamo iniziare il
B.L.S.
Le circostanze che invece giustificano l’interruzione del B.L.S., sono due:
- esaurimento fisico dei Soccorritori (svenimento, non stanchezza!)
- accertamento della morte da parte di un medico (identificato con certezza)

In tutti gli altri casi diversi da quelli sopra esposti, si profila il reato d’omissione di soccorso (art. 593 C.P.)
valicato per tutti i cittadini. Per i Soccorritori inoltre può sussistere il più grave reato d’omissione di atti
d’ufficio (art. 328 C.P.). A tal proposito si rimanda al capitolo sulla responsabilità giuridica dei Soccorritori
più avanti nel presente manuale.

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OSTRUZIONE DELLE VIE AEREE NEI PAZIENTI ADULTI

INTRODUZIONE
Per ostruzione delle vie aeree si intendono tutte quelle situazioni ove un oggetto, oppure gli stessi fluidi del
paziente, vanno ad impedire il normale passaggio dell'aria dalle vie aeree. Le cause più frequenti sono il
cibo, vomito o sangue, soprattutto nel caso di incidenti traumi. Le ostruzioni possono essere divise in due
tipologie, ognuna delle quali prevede una manovra diversa. In tutti i casi è necessario comunicare con la
C.O. 118 riferendogli le condizioni e le manovre che si andranno a mettere in pratica richiedendo, nei casi
più gravi, l'intervento di personale adeguato.

OSTRUZIONE PARZIALE
Flusso respiratorio sufficiente: in questo caso il paziente sarà cosciente, tossirà e
riuscirà a articolare qualche parola. Per evitare di aggravare la situazione, non
dovremo eseguire nessuna manovra disostruttiva, ma solo invitare il paziente a
calmarsi e incoraggiarlo a tossire per facilitare l'espulsione dell'elemento ostruttivo.
Tenendo la mascherina vicino al viso del paziente (e non appoggiata per ridurre il
senso di oppressione), erogheremo ossigeno ad alti flussi. Eseguite queste manovre,
avvertiremo la C.O. Della condizione del paziente e se la situazione non si risolve
provvedere al trasporto del paziente ponendo la massima attenzione a ridurre
scossoni e movimenti bruschi.
Flusso respiratorio insufficiente: in questo caso il paziente sarà cosciente, tossirà
debolmente e inizierà ad essere cianotico (colorito bluastro della pelle). Potrà
emettere anche qualche suono, ma è chiaro che il suo respiro naturale non è
sufficiente ad ossigenarne l'organismo. Per trattare questo caso, useremo le stesse
tecniche dell'ostruzione completa in paziente cosciente.

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OSTRUZIONE TOTALE
Paziente cosciente: il paziente sarà cosciente e con le mani
intorno alla gola ma non tossirà e non riuscirà a parlare a
questo si aggiungerà rapidamente la comparsa di cianosi.
Dovremo avvertire immediatamente la C.O. e iniziare le
manovre di disostruzione alternando 5 compressioni
addominali sottodiaframmatiche a 5 pacche interscapolari
da ripetere continuamente fino all'espulsione o alla perdita
di coscienza del paziente.

Si definiscono “manovre di disostruzione” tutte quelle azioni volte ad aiutare meccanicamente la naturale
espulsione del corpo estraneo che produce l’ostruzione.

Pacche interscapolari:
- rimuovere qualsiasi materiale o protesi dentale visibile nella bocca;
- posizionarsi a lato leggermente dietro il paziente;
- sorreggere il torace del paziente con una mano, inclinarlo leggermente in avanti in modo tale che il
corpo estraneo presente possa uscire dalla bocca invece di penetrare più profondamente nelle vie
aeree,
- utilizzando l’eminenza palmare dell’altra mano colpire rapidamente la vittima per cinque volte tra
le scapole; ogni percussione ha il fine di rimuovere il corpo estraneo, pertanto potrebbe non essere
necessario eseguire tutte e cinque le percussioni dorsali.

Compressioni addominali (Manovra di Heimlich):


- posizionarsi in piedi dietro il paziente e, con le braccia, circondare la parte superiore dell’addome;
- assicurarsi che il paziente sia ben piegato in vanti, in modo che il corpo estraneo presente possa
essere espulso dalla bocca invece di penetrare più profondamente nelle vie aeree;
- posizionare la mano stretta a pugno tra l’ombelico e l'estremità inferiore dello sterno, mentre l’altra
mano la sovrapponiamo al pugno;
- comprimere decisamente dal basso verso l’alto per cinque volte in modo tale che il corpo estraneo
possa fuoriuscire dalla bocca.

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Paziente da cosciente a incosciente: questo caso presume che il Soccorritore sia presente durante la perdita
di coscienza oppure che la stessa sia chiaramente testimoniata dai presenti. In questo caso:
- adageremo il paziente su un piano rigido
- scopriremo il torace
- avviseremo la C.O. 118 della perdita di coscienza
- ispezioneremo e puliremo le vie aeree
- eseguiremo il G.A.S.
Se il G.A.S. è negativo, procedere alla normale R.C.P. (30 compressioni e 2 insufflazioni) con la differenza di
dover controllare ogni minuto, prima di eseguire le 2 insufflazioni, se nel cavo orale siano emersi oggetti o
quant'altro causava l'ostruzione. Proseguire comunque con questa manovra fino a evidente disostruzione
(espansione toracica spontanea) o arrivo di una medicalizzata.

Paziente trovato incosciente: in questo caso ovviamente non saremo a conoscenza della dinamica dei fatti
e quindi procederemo come da protocollo. Una volta eseguite le valutazioni arriveremo alle 30
compressioni e una volta fatte procederemo alle prime 2 insufflazioni. Se ci accorgiamo che non vanno (il
pallone non si sgonfia, non c'è espansione toracica e l'aria sfiata dai lati della mascherina), come prima cosa
sospetteremo di aver sbagliato qualcosa; lasceremo quindi l'iperestensione, controlleremo la misura della
maschera e la riposizioneremo sul volto del paziente per poi riprendere l'iperestensione e eseguire altre 2
insufflazioni con tutte le attenzioni possibili. Se queste passano procederemo con il normale protocollo
altrimenti, se anche queste 2 non vanno, dovremo considerare di avere un paziente ostruito. Di
conseguenza il ciclo di rianimazione su paziente ostruito dovrà essere composto da 30 compressioni,
dall’ispezione della bocca, e da 2 insufflazioni; il tutto fino a che non si vedranno evidenti segnali di ripresa
(espansione toracica spontanea) o fino all'arrivo di un soccorso avanzato.

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P.B.L.S. (PEDIATRIC BASIC LIFE SUPPORT)

INTRODUZIONE
Il P.B.L.S. (Pediatric Basic Life Support) consiste nelle procedure di rianimazione cardiopolmonare (R.C.P.)
necessarie per soccorrere un paziente pediatrico che:
- ha perso coscienza
- non respira
- non ha segni di circolo
L’obiettivo principale del P.B.L.S. è la prevenzione dei danni anossico celebrali; le procedure sono finalizzate
a:
- prevenire l’evoluzione verso l’arresto cardiaco in caso di ostruzione respiratoria
- provvedere alla respirazione e alla circolazione artificiale in caso di arresto del circolo
Le procedure di P.B.L.S. sono standardizzate e riconosciute valide da organismi internazionali autorevoli
(American Heart Association, European Resuscitation Council, Italian Resuscitation Council, componenti
ILCOR) che periodicamente provvedono ad una revisione critica e ad un aggiornamento in base
all’evoluzione delle conoscenze. Inoltre, le presenti procedure, sono state ufficialmente percepite dalla
Regione Toscana tramite apposita delibera e pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione Toscana
n°35 del 29/08/2007.

PARTICOLARITA’ ANATOMICHE E FISIOLOGICHE DEL SOGGETTO PEDIATRICO


Il bambino rispetto all'adulto presenta numerose differenze strutturali e funzionali:
- la lingua rispetto al cavo orale ha dimensioni maggiori che nell'adulto, questo facilita le ostruzioni
quando il bambino diventa incosciente;
- le vie aeree sono più strette e quindi si ostruiscono più facilmente in seguito all'aspirazione di corpi
estranei o in seguito a processi infiammatori (questi evolvono rapidamente in ostruzione delle vie
aeree, soprattutto al livello della laringe);
- la frequenza cardiaca è maggiore che nell'adulto; frequenze inferiori a 60 battiti al minuto non sono
sufficienti a una adeguata perfusione sanguigna dei tessuti.
Le differenze tra il bambino ed l'adulto sono massime nel primo anno di età, tendono poi a ridursi col
tempo, tanto che per un soggetto di età superiore ad 8 anni si usano le stesse tecniche rianimatorie
dell'adulto.
Le principali cause di A.C.R. in età pediatrica sono:
- ostruzione delle vie aeree da corpo estraneo
- traumi
- S.I.D.S. Sudden Infant Death Sindrome (morte in culla)
- malattie respiratorie (difterite, asma, laringiti ecc.)
- malattie neurologiche

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Nel soggetto pediatrico, contrariamente all'adulto, l'arresto cardiaco è molto spesso la conseguenza di un
arresto respiratorio.
I soggetti pediatrici possono essere suddivisi in due diverse fasce, che prevedono metodiche rianimatorie
diverse:
- LATTANTE: da 0 ad 1 anno
- BAMBINO: da 1 fino alla pubertà
Se l'età del paziente può grossolanamente e rapidamente permetterci di inquadrarlo in una di queste fasce,
tale inquadramento deve tenere conto anche delle dimensioni del soggetto: esistono soggetti pediatrici
che pure avendo una certa età, per dimensioni appartengono alla fascia superiore o a quella inferiore.
Normalmente:
- un lattante di 1 anno pesa circa l0 kg ed è lungo circa 75 cm;
- un bambino di 8 anni pesa circa 25 kg ed è lungo circa 125 cm.

LA CATENA DELLA SOPRAVVIVENZA PEDIATRICA

La sopravvivenza dopo un arresto cardiaco avvenuto in sede preospedaliera dipende dalla corretta
realizzazione di una serie di interventi; la metafora della “catena” sta a significare che se una delle fasi del
soccorso è mancante, le possibilità di sopravvivenza sono ridottissime. Come illustrato in figura, i cinque
anelli della catena della sopravvivenza per il paziente pediatrico sono costituiti da:
1) Prevenzione continua da parte dei genitori
2) Inizio precoce delle manovre di rianimazione – P.B.L.S. (oggetto del presente capitolo)
3) Accesso precoce al sistema d’emergenza – 118
4) Immediato supporto avanzato – A.C.L.S.
5) Assistenza intraospedaliera
La catena della sopravvivenza deve essere ben radicata nella popolazione ed ancor più negli operatori
sanitari per poter ottenere i migliori risultati in termini di percentuali di sopravvivenza in chi è colpito da
arresto cardiocircolatorio. La forza della catena della sopravvivenza è data dalla solidità di ciascuno degli
anelli e si interrompe dove c’è l’anello più debole.

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SEQUENZA DEL P.B.L.S.


Ai fini del presente manuale e del corso che stiamo svolgendo, viene riportata la sequenza di P.B.L.S. per
due Soccorritori con appositi presidi. La sequenza P.B.L.S. ad un Soccorritore, senza presidi dedicati, non
verrà trattata nel presente manuale. Questo protocollo deve intendersi esclusivamente per il soccorso e la
rianimazione di pazienti pediatrici che non hanno subito traumi (cadute, incidenti stradali o altro), anche
presunti dalla valutazione dello scenario in cui ci si trova. In questo caso prima dell’esecuzione del P.B.L.S.
sarà necessario procedere all’immobilizzazione del rachide cervicale come da protocollo S.V.T. (vedi capitoli
seguenti).

LA SICUREZZA DELLO SCENARIO


In ogni sequenza di P.B.L.S., come in qualsiasi altro intervento, prima di avvicinarsi al paziente bisogna
assicurarsi che lo scenario sia sicuro, ovvero che l'ambiente in cui andremo a operare non presenti rischi
immediati o evolutivi per i Soccorritori. Nel caso che questi siano presenti NON INTERVENIRE e NON
AVVICINARSI ma richiedere tramite la C.O.118 l'invio del personale adeguato per mettere in sicurezza l’area
(p.e. CC., Polizia, VV.UU., VV.F.). MAI INTERVENIRE e MAI AVVICINARSI se non è garantita l'incolumità nostra
e della squadra.
Nel caso del B.L.S. Pediatrico, inoltre, la sicurezza dello scenario è particolarmente a rischio durante tutto
il corso del protocollo. I soggetti coinvolti, soccorritori compresi, si trovano in una situazione di più alto
coinvolgimento emotivo che potrebbe portare a rendere non sicura la scena in qualsiasi momento. In
particolare si dovrà prestare particolare attenzione a gestire i familiari e chi è presente all’evento. I familiari
del paziente dovrebbero essere costantemente a contatto con il paziente, non vanno mai allontanati se
non nel caso in cui rendano impossibili le manovre del protocollo.

FASE A (AIRWAYS)
Valutazione dello stato di coscienza: La prima cosa da fare davanti ad un bambino o lattante che
supponiamo necessiti di un aiuto è valutarne lo stato di coscienza. Il soccorritore si avvicinerà lateralmente
al paziente lo chiamerà a voce alta cercando di attirare la sua attenzione, anche con l’aiuto di adeguati
stimoli fisici, come pizzicare il muscolo alla base del collo per provocare uno stimolo doloroso. Vista la
delicatezza dei soggetti ai quali ci troviamo di fronte, dobbiamo evitare di scuotere il paziente per le spalle
come si fa nell’adulto ed evitare manovre brusche o esageratamente energiche. Nel caso che il bambino
non sia cosciente, si dovrà contattare IMMEDIATAMENTE la Centrale Operativa 118. Alzando un braccio e
guardando l'altro soccorritore gli diremo: “il paziente è privo di coscienza, chiama il 118”. Questo è
fondamentale e irrinunciabile in quanto è il primo anello della catena del soccorso. Alla Centrale Operativa
118 dovremo comunicare:
- chi siamo (ad es.: Delta13)
- dove siamo (via, piazza etc.)
- le condizioni (coscienza, traumi etc.)

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Posizionamento del paziente: il bambino incosciente dovrà essere posizionato:


- supino (pancia sopra)
- su un piano rigido possibilmente asciutto
- gli dovrà essere scoperto il torace (tagliando gli abiti con le apposite forbici, se è necessario)
- gli arti andranno allineati lungo il corpo per ridurre l'ingombro (raramente ci troveremo a lavorare
in ambienti ampi)
In base all'età e alle dimensioni del bambino potremmo sfruttare come piano rigido anche un tavolo; questo
serve perché, quando dovremo eseguire determinate manovre di questo protocollo, lavorare su un
materasso annullerebbe l'effetto che noi tentiamo di produrre (ovvero il massaggio cardiaco). Inoltre, in
occasione di arresto cardiaco e a differenza del trauma, il paziente subirà meno danni quanto meno il suo
corpo sarà protetto dal freddo. N.B.: il materasso della barella è da considerarsi un piano rigido.
Pervietà delle vie aeree: procederemo adesso alla valutazione della pervietà delle vie aeree che in inglese
si chiamano Airways e che danno il nome alla fase. Metteremo una mano sulla fronte del pz. e con l'altra
accoppieremo il nostro dito indice con il pollice della stessa mano e appoggiandoli sulle labbra del paziente
e facendo scivolare l'indice lateralmente sul pollice in modo da aprire la bocca (manovra del borsellino).
Fatto questo, se vediamo un corpo estraneo facilmente accessibile, andremo a toglierlo. Nel caso che nella
cavità orale siano presenti liquidi (sangue, saliva, vomito...) potremo aiutarci ruotando lateralmente la testa
o pulendo con delle garze. Nel P.B.L.S. non si devono utilizzare strumenti come l’aspiratore o le Pinze di
Magill per evitare di provocare lesioni alla cavità orale molto fragile; questo è sicuramente vero nei lattanti
e diventa sempre meno vero con l’aumentare della corporatura del bambino quando le dimensioni e la
solidità delle prime vie aeree aumentano.
Posizionamento della testa nel Lattante: Lasciando la mano aperta sulla fronte nella
medesima posizione, si mette l'indice sotto il mento sulla parte ossea e si spinge il capo
all'indietro fino a portare il paziente in posizione neutra. La posizione neutra si ha quando
l'ideale asse dello sguardo del paziente è perpendicolare al suolo. E' importante non
iperestendere perché la trachea (ancora troppo morbida) verrebbe schiacciata
provocando un'ostruzione. È molto utile porre sotto le spalle del lattante uno spessore
per mantenere la posizione neutra automaticamente, come in figura.
Posizionamento della testa nel Bambino: Lasciando la mano aperta sulla fronte
nella medesima posizione, si mette l'indice sotto il mento sulla parte ossea e si
spinge il capo all'indietro fino a ottenere una lieve estensione del capo. E'
importante non iperestendere perché la trachea (ancora troppo morbida)
verrebbe schiacciata provocando un'ostruzione. La posizione di lieve
estensione della testa nel bambino deve essere mantenuta durante tutte le
manovre di rianimazione cardio-polmonare. Inoltre, la lieve estensione deve
intendersi esclusivamente per il soccorso e la rianimazione di bambini che non
hanno subito traumi (cadute, incidenti stradali o altro), anche presunti dalla valutazione dello scenario in
cui ci si trova. In questo caso la testa non dovrà in nessun caso essere estesa, neanche lievemente, e sarà
invece necessario procedere all’immobilizzazione del rachide cervicale come da protocollo S.V.T. (vedi
capitoli seguenti).

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FASE B (BREATHING)
G.A.S.: procediamo adesso alla prima valutazione dei parametri vitali: il G.A.S. Questa parola è un acronimo
che significa: Guardo Ascolto Sento. Infatti, Guarderemo il torace del paziente alla ricerca di qualche segno
di espansione, ci avvicineremo con l'orecchio alla sua bocca in modo da poter Ascoltare il rumore
dell'eventuale respiro e Sentire (tattilmente) il soffio della sua espirazione sulla nostra pelle. Questa
valutazione andrà fatta in modo molto accurato e per un tempo di 10 secondi. Il trascorrere dei dieci
secondi, e per esteso tutto ciò che facciamo durante tutte le valutazioni, deve essere scandito contando a
voce alta per dare la possibilità a chiunque assista di capire cosa stiamo facendo. Da questa valutazione
prende il nome la fase B ovvero: Breathing che significa respirazione.
Dopodiché:
- Se il paziente respira: si dovrà mantenere la posizione della testa (nel lattante è possibile aiutarsi
con un piccolo cuscino da mettere sotto le spalle) e somministrare ossigeno aprendo l’erogatore
sui 6/8 litri al minuto per i lattanti e aumentando via via fino al massimo consentito dalla bombola
(i così detti “alti flussi”) per i bambini nell’età della pubertà; porre attenzione al tipo di mascherina
da utilizzare, se pediatrica o adulta in base alla corporatura del paziente pediatrico; ogni minuto
controlleremo che il respiro ed continui ad essere presente; solo nel bambino, e solo nel caso ci
fosse l'assoluta necessità di allontanarsi, dovremo porre il paziente in posizione laterale di sicurezza
(PLS – vedi sotto).
- Se il paziente non respira: si dovrà mantenere la posizione della testa ed eseguire 5 insufflazioni
(dette “di supporto”) di cui almeno 2 dovranno andare a buon fine (nel caso che nessuna
insufflazione vada a buon fine, il paziente è da considerare ostruito – vedi capitolo seguente);
l’ossigeno dovrà essere erogato a 6/8 litri al minuto per i lattanti e aumentando via via fino al
massimo consentito dalla bombola (i così detti “alti flussi”) per i bambini nell’età della pubertà;
proseguire poi con la Fase C.
La cannula oro-faringea: nei casi di paziente pediatrico, al contrario dei casi di paziente adulto, l’utilizzo
della Cannula oro-faringea (o “cannula di Guedel” o “cannula di Mayo”) non è indicato in quanto i problemi
che potrebbero derivare dall’applicazione di tale presidio in un paziente pediatrico da parte di Soccorritori
Volontari potrebbero superare i benefici. In materia non vi è una legiferazione precisa e univoca, e vi sono
addirittura indicazioni contrastanti fra le direttive del 118 Firenze Soccorso, fra le linee guida IRC/ERC e
nella legislazione vigente; oltre a ciò nelle ambulanze di emergenza del nostro territorio le Cannule oro-
faringee pediatriche sono presenti e diffuse, ma questo non deve indurre a pensare che il loro utilizzo sia
obbligatorio. A scanso di equivoci, quindi, è sufficiente sapere che nei pazienti pediatrici la cannula oro-
faringea non deve essere applicata da noi Soccorritori Volontari di Livello Avanzato.

FASE C (CIRCULATION)
Ricerca dei Segni di Circolo: procediamo adesso alla seconda valutazione dei parametri vitali: i segni di
circolo. E' importante porre attenzione alla presenza di segni di circolo. Per “segni di circolo” si intendono
tutti quei segnali inequivocabili che ci possono far capire che al paziente batta effettivamente il cuore. Fra
questi possiamo elencare: piccoli movimenti spontanei e ripetuti, colpi di tosse, deglutizione o, ovviamente,
una modalità di respiro che visibilmente faccia espandere torace o addome. Questa valutazione andrà fatta
in modo molto accurato e per un tempo di 10 secondi. Il trascorrere dei dieci secondi, e per esteso tutto

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ciò che facciamo durante tutte le valutazioni, deve essere scandito contando a voce alta per dare la
possibilità a chiunque assista di capire cosa stiamo facendo. Da questa valutazioni prende il nome la fase C
ovvero: Circulation che significa circolazione.
IN CASO DI DUBBIO SULLA PRESENZA DEI SEGNI DI CIRCOLO CI COMPORTEREMO COME SE NON CE NE SIA
NESSUNO.

Dopodiché:
- Se il paziente ha segni di circolo: si eseguono 20 insufflazioni al minuto (1 ogni 3 sec.); ogni minuto
dovremo rieseguire il G.A.S. e rivalutare la presenza dei segni di circolo; in un qualsiasi momento se
i segni di circolo dovessero scomparire allora dovremo iniziare la R.P.C.
- Se il paziente non ha segni di circolo: dare immediatamente il via alla R.C.P. eseguendo 5 cicli
completi dopo i quali si dovrà rieseguire il G.A.S. e la ricerca dei Segni di Circolo per 10’’ e, se persiste
esito negativo, si dovrà dare conferma dell’A.C.R. alla Centrale Operativa 118.

Ciclo di rianimazione (R.C.P.): per Rianimazione Cardio Polmonare si intende l’esecuzione di 30 compressioni
toraciche seguite da 2 insufflazioni; questa sequenza è denominata “ciclo”. Non interromperemo mai la
rianimazione cardiopolmonare a meno di:
- arrivo di un DAE;
- ripresa di attività di circolo e/o di respiro (movimenti, tosse);
- esaurimento fisico dei Soccorritori (svenimento);
- indicazione contraria di un professionista sanitario (riconoscibile come tale) arrivato in appoggio.

Gli strumenti della R.C.P. – Il Massaggio Cardiaco Esterno (M.C.E.): il massaggio cardiaco esterno è il nostro
modo per sostituirci all'effetto pompa del cuore quando questo viene a mancare. Accanto al paziente,
dovremo trovare il punto dove dovremo mettere le mani per eseguire il M.C.E. risalendo l'arcata costale
con le dita fino a trovare il punto d'incontro con l'altra arcata, a questo punto porre un dito subito sopra lo
sterno e:
Lattante: porre medio e anulare perpendicolari sullo sterno subito accanto al primo dito.
Bambino: porre l'eminenza palmare della
mano libera accanto al primo dito e con un
braccio ben steso, senza flettere il gomito e
perpendicolare a terra. Inizieremo a
massaggiare sfruttando l'effetto fulcro del
bacino.

Si dovrà porre attenzione a impiegare circa lo stesso tempo per la compressione che per il rilascio. La
frequenza dovrà essere di circa 100 compressioni/min e la profondità pari a circa un terzo dello spessore
del torace.

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DURANTE TUTTO IL P.B.L.S. LA PRIORITÀ PER TUTTI DEVE ESSERE QUELLA DI NON RITARDARE MAI PER
NESSUN MOTIVO IL MASSAGGIO CARDIACO ESTERNO.

Gli strumenti della R.C.P. – Le insufflazioni (con ausilio dell'AMBU): le insufflazioni


sono il nostro modo per sostituirci alla respirazione spontanea quando questa
viene a mancare. L'AMBU è un pallone in materiale plastico (di silicone o simili)
auto espandibile (ovvero che si riempie di aria da solo) con un attacco maschio
per l'ossigeno e un’interfaccia per attaccare delle mascherine di varie
dimensioni e forme. Le mascherine sono varie per meglio adattarsi al viso del
paziente, la scelta della mascherina giusta è importante per garantire una
corretta ventilazione del paziente; una mascherina giusta, coprirà bocca e naso
senza sbordare dal mento e appoggiando sull'attaccatura tra naso e fronte. La
mascherina, una volta attaccata all'AMBU, andrà impugnata formando una “C”
con il pollice e l'indice, andrà fatta aderire al volto del paziente e con l'uso del
medio e dell'anulare dovremo agganciare l'arcata della mandibola per tenere la
testa in posizione durante le insufflazioni. Le prime 5 insufflazioni dovranno
sempre essere graduali e progressive in modo da trovare la posizione migliore per ottenere una
insufflazione efficace. Restano inoltre l’unico metodo di indagine per valutare se il paziente è ostruito
oppure no. Dobbiamo quindi sempre prestare molta attenzione in questa manovra. In qualsiasi situazione
ci si trovi, le insufflazioni dovranno durare circa 1,5 secondi (compressione + rilascio). Da evitare
accuratamente insufflazioni brusche, possono causare distensione gastrica con conseguente vomito ed
ostruzione delle vie aeree. Durante le insufflazioni, è importante verificare che il torace del paziente si
espanda. Inoltre l’ambu deve essere collegato alla bombola di ossigeno, aprendo l’erogatore sui 6/8 litri al
minuto per i lattanti e aumentando via via fino al massimo consentito dalla bombola (i così detti “alti flussi”)
per i bambini nell’età della pubertà; l’ambu deve essere altresì collegato al Reservoire che garantisce un
maggiore apporto percentuale di ossigeno al paziente.
Il Cambio durante il P.B.L.S.: ogni 5 cicli di R.C.P. (circa 2 minuti) è necessario effettuare un cambio fra i due
operatori per evitare lo sfinimento di un Soccorritore che porterebbe a una riduzione della qualità della
rianimazione. Questa la sequenza da seguire:
Soccorritore A esegue il massaggio
Soccorritore B esegue le insufflazioni

A - “Alla prossima cambio”


B - “Ok”
A - Termina le 30 compressioni
B - Esegue 2 insufflazioni
A - Riprende il MCE
B - Si sposta dal lato opposto di A e si prepara a iniziare il massaggio
A - Arriva a 15 compressioni e toglie le mani
B - Riprende il massaggio da 15 fino a 30
A - Si porta alla testa e si prepara per le 2 insufflazioni di fine ciclo

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N.B. nel caso che “A” ritardi a riposizionarsi per eseguire le insufflazioni, “B” non terminerà il massaggio ma
proseguirà fino a quando “A” non sarà pronto. Come infatti abbiamo precedentemente sottolineato la
precedenza di tutte le azioni va data sempre al massaggio cardiaco.

Posizione laterale di sicurezza (P.L.S.): la posizione laterale


di sicurezza si attua su pazienti incoscienti, che però
conservano respirazione e polso. Per ovvi motivi
morfologici non si attua sui lattanti. Serve ad impedire che
materiale vomitato o comunque presente in bocca finisca
nelle vie aeree della vittima. Benché il soccorritore, una
volta messa la vittima in P.L.S. (Posizione Laterale di
Sicurezza), possa allontanarsi per chiedere aiuto, deve
comunque provvedere ad un’attenta sorveglianza e
rivalutarne di tutti i parametri previsti dal P.B.L.S. La
posizione laterale di sicurezza, per la mobilizzazione che richiede a carico della vittima, non può essere
effettuata in caso di trauma. Questa manovra è consigliata nel P.B.L.S. ad un soccorritore, quando questo,
accertatosi della presenza di respiro e circolazione spontanei, deve allontanarsi dal paziente incosciente
per chiamare soccorsi (nel caso di lattante può portarlo con se) o per soccorrere eventuali altre vittime. È
invece sconsigliabile nel P.B.L.S. a due soccorritori e in tutti i casi in cui almeno un soccorritore possa
rimanere accanto al paziente; in questi casi, infatti, la posizione supina permette una rivalutazione più
efficace e veloce dei parametri vitali ed una repentina ripresa delle manovre di R.C.P., laddove ce ne fosse
bisogno. In caso di insorgenza di vomito, se il paziente è supino, il soccorritore dovrà girarlo su un fianco,
per evitare l’inalazione del vomito stesso.
Tecnica: si considera un paziente già posizionato secondo la fase A della sequenza P.B.L.S. La manovra
consiste nel far ruotar il paziente su un lato fino a posizionarlo su un fianco. Il soccorritore si pone in
ginocchio a fianco della vittima dal lato su cui si vuol farlo ruotare. Prendiamo per esempio il lato sinistro.
Si appoggia al suolo il braccio sinistro in modo che sia perpendicolare al tronco. Si pone la mano destra
della vittima a livello della spalla sinistra. Il soccorritore, senza lasciare il braccio destro libero di muoversi,
afferra la spalla destra con la mano più vicina alla testa della vittima. Con l’altra mano il soccorritore solleva
il ginocchio destro del paziente e, scorrendo la mano lungo la coscia, afferra l’anca. Con entrambe le mani
fa ruotare il paziente verso sé stesso. Alla fine della manovra il soccorritore dovrà assicurarsi che la testa
del paziente sia estesa e che il piede della gamba flessa sia ancorato sotto l’arto controlaterale. E’ sempre
buona regola controllare la stabilità della vittima.
Problemi e soluzioni: durante l’esecuzione delle manovre di ventilazione e massaggio cardiaco, azioni
inevitabilmente invasive e potenzialmente lesive possono verificarsi dei problemi che sono:
- Problemi connessi con la pervietà delle vie aeree: la manovra di lieve estensione della testa è una
manovra che mobilizza le vertebre cervicali e, pertanto, è vietata in tutti i pazienti traumatizzati.

- Problemi connessi con la respirazione: sono legati ad una ventilazione inefficace (mancato
sollevamento del torace in corrispondenza delle ventilazioni). La ventilazione è una delle manovre
più difficili nella sequenza di B.L.S. ed è quella che richiede più attenzione e più manualità possibile.
Se il torace, quando facciamo le insufflazioni, non si solleva dobbiamo pensare:

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o ad un mal posizionamento della maschera facciale (agendo di conseguenza);


o ad un’insufficiente o errata iperestensione della testa;
o ad un’insufflazione troppo violenta o brusca (ATTENZIONE: possibile distensione gastrica e
vomito con danni al paziente);
o ad un’ostruzione delle vie aeree da corpo estraneo: di conseguenza metteremo in atto la
manovra di disostruzione delle vie aeree (che sarà trattata in seguito).

- Problemi connessi con il massaggio cardiaco esterno: le compressioni toraciche possono risultare:
o inefficaci: risultano inefficaci quando sono troppo superficiali, cioè tali da non abbassare il
torace di circa un terzo. Tali compressioni non riescono a rimandare in circolo il sangue ed
è come se il cuore stesse fermo.
o lesive: possono essere lesive, quando la forza di compressione erogata è troppa rispetto alla
stazza del paziente o quando il punto di compressione è stato localizzato scorrettamente.
Se il punto è troppo basso si possono avere delle lesioni del fegato e dello stomaco. Se il
punto è stato rilevato troppo alto si possono avere lesioni polmonari ed esofagee. Se il punto
è troppo laterale si avranno fratture costali con facili lesioni polmonari, epatiche e della
milza da parte delle coste fratturate.

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COMPARAZIONE DELLE MANOVRE DEL B.L.S. PER FASCE DI ETA’

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ASPETTI PSICOLOGICI DEL P.B.L.S.


L’intervento su un bambino provoca un grande coinvolgimento emotivo anche nei soccorritori più esperti.
La gestione dello scenario è più difficile e si può arrivare anche a situazioni altamente drammatiche.
La nostra maggiore preoccupazione deve essere rivolta ai genitori e parenti del bambino che rappresentano
un fattore di difficile gestione. Studi hanno evidenziato come molti genitori abbiano ritenuto di conforto
l’esser stati accanto al loro bambino nel momento del suo decesso. E’ stato dimostrato che genitori di figli
morti in loro presenza, hanno sviluppato gradi minori di ansia, depressione e disturbi post traumatici da
stress rispetto a quelli che non hanno assistito il loro figlio in punto di morte. Perciò i soccorritori non
devono allontanare a tutti i costi i familiari ma, di fronte alla volontà dei parenti stretti di assistere alla
R.C.P., dovrebbero concedere questa possibilità.
L’équipe sanitaria deve mantenere un comportamento adeguato alla particolare fragilità psichica della
famiglia: sono da evitare gli atteggiamenti di sfida, di agitazione ed eccitazione (urla, imprecazioni ecc.).

CONCLUSIONI
Il P.B.L.S. rappresenta un insieme di manovre simili a quelle dell’adulto, che devono però tenere conto delle
differenze anatomiche, fisiologiche e di causa rispetto al B.L.S. adulto.
Il coinvolgimento emotivo di fronte ad un bambino in pericolo di vita richiede un eccezionale impegno per
gestire lo scenario d’intervento.
La bassa frequenza con cui siamo chiamati a mettere in pratica il P.B.L.S. ci espone al rischio di dimenticare
la sequenza e la manualità dell’algoritmo, ma anche di dover fronteggiare sia la mancanza che il
malfunzionamento del materiale per la rianimazione pediatrica. Appare, perciò, molto importante il
periodico ripasso delle manovre ed il controllo quotidiano della borsa di rianimazione pediatrica.

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OSTRUZIONE DELLE VIE AEREE NEI PAZIENTI PEDIATRICI

INTRODUZIONE
Per ostruzione delle vie aeree si intendono tutte quelle situazioni ove un oggetto, oppure gli stessi fluidi del
paziente, vanno ad impedire il normale passaggio dell'aria dalle vie aeree. Le cause più frequenti sono il
cibo, vomito o sangue, soprattutto nel caso di incidenti traumi. Le ostruzioni possono essere divise in due
tipologie, ognuna delle quali prevede una manovra diversa. In tutti i casi è necessario comunicare con la
C.O. 118 riferendogli le condizioni e le manovre che si andranno a mettere in pratica richiedendo, nei casi
più gravi, l'intervento di personale adeguato.

OSTRUZIONE PARZIALE
Flusso respiratorio sufficiente: in questo caso il paziente sarà cosciente, tossirà e
riuscirà a articolare qualche parola. Per evitare di aggravare la situazione, non
dovremo eseguire nessuna manovra disostruttiva, ma solo invitare il paziente a
calmarsi e incoraggiarlo a tossire per facilitare l'espulsione dell'elemento ostruttivo.
Tenendo la mascherina vicino al viso del paziente (e non appoggiata per ridurre il
senso di oppressione), erogheremo ossigeno ad alti flussi. Eseguite queste manovre,
avvertiremo la C.O. Della condizione del paziente e se la situazione non si risolve
provvedere al trasporto del paziente ponendo la massima attenzione a ridurre
scossoni e movimenti bruschi.
Flusso respiratorio insufficiente: in questo caso il paziente sarà cosciente, tossirà
debolmente e inizierà ad essere cianotico (colorito bluastro della pelle). Potrà
emettere anche qualche suono, ma è chiaro che il suo respiro naturale non è
sufficiente ad ossigenarne l'organismo. Per trattare questo caso, useremo le stesse
tecniche dell'ostruzione completa in paziente cosciente.

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OSTRUZIONE TOTALE
Paziente cosciente: il paziente sarà cosciente e con le mani intorno alla gola ma non tossirà e non riuscirà a
parlare a questo si aggiungerà rapidamente la comparsa di cianosi. Dovremo avvertire immediatamente la
C.O. e:
Lattante: dovremo dare 5 pacche interscapolari alternate a 5 compressioni toraciche eseguite con
la stessa tecnica del MCE (1 ogni 3 sec.); queste 2 manovre si susseguiranno fino alla disostruzione,
alla perdita di coscienza del paziente o all’arrivo di un medico.
Bambino: dovremo dare 5 pacche interscapolari alternate a 5 compressioni di Heimlich; queste 2
manovre si susseguiranno fino alla disostruzione, alla perdita di coscienza del paziente o all’arrivo
di un medico.
Paziente da cosciente a incosciente: questo caso presume che il Soccorritore sia presente durante la perdita
di coscienza oppure che la stessa sia chiaramente testimoniata dai presenti. In questo caso procederemo
col P.B.L.S., ovvero:
- adageremo il paziente su un piano rigido
- scopriremo il torace
- avviseremo la C.O. 118 della perdita di coscienza
- ispezioneremo e puliremo le vie aeree
- eseguiremo il G.A.S.
Se il G.A.S. è negativo, procederemo con le 5 insufflazioni dopo aver controllato i segni di circolo inizieremo
i cicli di R.C.P. (30 compressioni e 2 insufflazioni) con la differenza di dover controllare, prima di eseguire le
2 insufflazioni, se nel cavo orale siano emersi oggetti o quant'altro causava l'ostruzione. La sequenza
diventerà quindi 30 compressioni controllo in bocca 2 insufflazioni. Si proseguirà con questa manovra fino
a evidente disostruzione (espansione toracica spontanea o due insufflazioni a buon fine).
Paziente trovato incosciente: in questo caso ovviamente non saremo a conoscenza della dinamica dei fatti
e quindi procederemo come da protocollo P.B.L.S. Una volta eseguite la valutazione del G.A.S. arriveremo
alle 5 insufflazioni. Come spiegato nel capitolo sulle insufflazioni queste dovranno essere progressive e
graduali per trovare la migliore posizione possibile. Se non si riescono comunque ad ottenere almeno 2
ventilazioni efficaci (il pallone non si sgonfia, non c'è espansione toracica e l'aria sfiata dai lati della
mascherina), dovremo considerare subito di avere un paziente ostruito. Il motivo per cui non mi metto in
discussione e riprovo altre ventilazioni, come nel BLS per l’adulto, risiede nel fatto che ho già fatto 5
tentativi, provarne altri porterebbe inutile perdita di tempo. Di conseguenza, di fronte a tutti i pazienti
incoscienti ostruiti, i nostri cicli di R.C.P. saranno intervallati ogni ciclo, da un controllo delle vie aeree da
eseguire fra le 30 compressioni e le 2 insufflazioni. In entrambi i casi, una volta che il paziente risulta
disostruito, se non compariranno segni di circolo o di respiro, continuare ad eseguire la R.C.P. senza il
controllo delle vie aeree fra compressioni e insufflazioni.

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LE MANOVRE DI DISOSTRUZIONE NEL PAZIENTE PEDIATRICO


Si definiscono “manovre di disostruzione” tutte quelle azioni volte ad aiutare meccanicamente la naturale
espulsione del corpo estraneo che produce l’ostruzione.
Pacche interscapolari:
Lattante:
- posizionare il paziente prono sull’avambraccio, in modo da formare
un piano rigido;
- tenere la testa del paziente in leggera estensione e più bassa del
tronco;
- appoggiare l’avambraccio sulla coscia
- effettuare 5 vigorosi colpi in sede interscapolare con via di fuga
laterale per evitare di colpire il capo.
Bambino:
- rimuovere qualsiasi materiale o protesi dentale visibile nella bocca; ci
posizioniamo a lato leggermente dietro il paziente;
- sorreggere il torace del paziente con una mano, inclinarlo leggermente in
avanti in modo tale che il corpo estraneo presente possa uscire dalla bocca
invece di penetrare più profondamente nelle vie aeree, utilizzando
l’eminenza palmare dell’altra mano si colpisce rapidamente la vittima tra le
scapole; ogni percussione ha il fine di rimuovere il corpo estraneo.

Compressioni addominali:
Lattante, compressioni toraciche:
- posizionare il paziente supino sull’avambraccio, in modo da
formare un piano rigido;
- sorreggere con la mano la testa mantenendo la posizione neutra
del capo appoggiando l’avambraccio sulla coscia;
- effettuare 5 compressioni nello stesso punto del Massaggio
Cardiaco Esterno, una ogni tre secondi circa.
Bambino, compressioni addominali (manovra di Heimlich):
- posizionarsi inginocchiati dietro il paziente e circondare con le braccia la
parte superiore dell’addome;
- assicurarsi che il paziente sia ben piegato in vanti, in modo che il corpo
estraneo presente possa essere espulso dalla bocca invece di penetrare più
profondamente nelle vie aeree;
- posizionare la mano stretta a pugno tra l’ombelico e l'estremità inferiore
dello sterno e sovrapporre l’altra mano al pugno;
- comprimere decisamente dal basso verso l’alto per cinque volte in modo
tale che il corpo estraneo possa fuoriuscire dalla bocca.
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S.V.T. (SUPPORTO VITALE AL TRAUMA) – TEORIA

INTRODUZIONE
Si definisce trauma qualsiasi tipo di lesione provocata da una causa esterna (meccanica, chimica, elettrica,
termica ecc.) in grado di superare la resistenza dei tessuti che formano il corpo dell’individuo coinvolto.
Oltre agli incidenti stradali ed alle cadute di vario genere (da tutti intuitivamente riconosciuti come trauma),
la definizione comprende, quindi, anche folgorazioni, ustioni, annegamenti.
Nel momento del soccorso preospedaliero al trauma, i soccorritori volontari hanno l’importantissimo
compito di compiere, in continua comunicazione con la Centrale Operativa, le valutazioni dello stato del
paziente e le manovre di mobilizzazione e immobilizzazione, volte a trasportare un paziente clinicamente
stabile nella struttura sanitaria adeguata e nel minor tempo possibile. Ovviamente l’obbiettivo di
trasportare un paziente clinicamente stabile e quello di farlo nel minor tempo possibile possono trovarsi
spesso in contrasto, visto che svolgere un servizio di emergenza in fretta va quasi sempre a scapito
dell’accuratezza.
In particolare, nella gestione del trauma, è stato rilevato che i pazienti sottoposti al trattamento sanitario
adeguato entro la prima ora dall’evento traumatico (Golden Hour) hanno una percentuale di sopravvivenza
molto maggiore di quelli che ricevono la stessa terapia più tardi. Da questa considerazione risulta ovvia
l’importanza della velocità di esecuzione dell’intervento dei soccorritori.
D’altra parte è stato rilevato un alto numero di decessi evitabili in caso di trauma, considerando come
decessi evitabili ogni morte dovuta non alle condizioni gravi del paziente, ma all’inadeguatezza delle cure.
Queste riflessioni sul soccorso preospedaliero al trauma portano all’esigenza di individuare una sequenza
di valutazioni e azioni (valutazione primaria) simile a quella del B.L.S. e ad una serie di manovre standard
per muovere il paziente ed utilizzare i presidi sanitari, che permettano ai soccorritori volontari di portare a
termine una prima fase di soccorso al trauma, raccogliendo importanti informazioni per lo svolgimento
delle fasi successive del trattamento, preservando la salute del paziente (spesso già compromessa
dall’evento traumatico stesso) e consegnandolo nel minor tempo possibile a cure mediche adeguate
(ricovero nella struttura ospedaliera adeguata o intervento sul posto di ambulanza medicalizzata).
Il presente manuale non vuol essere esaustivo sull’argomento ma deve essere soltanto di ausilio ai corsi
teorico-pratici svolti all’interno dell’associazione. Per qualsiasi dubbio o chiarimento rivolgersi al Gruppo
Formazione.

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BASI ANATOMO-FISIOLOGICHE DEL TRAUMA


In questa sezione del manuale vengono trattate in modo semplice e generale le lesioni di ogni singolo
apparato che possono essere presenti nel paziente politraumatizzato e che rivestono particolare
importanza per la loro gravità e per la loro frequente necessità di trattamento sul campo. È importante
perciò che il soccorritore conosca tali lesioni per poter al meglio supportare il medico o l’infermiere
nell’esecuzione delle manovre atte a trattare queste lesioni in modo rapido ed efficace. Questa parte del
manuale rappresenta un utile strumento di approfondimento pur non essendo indispensabile per la
formazione di base di un Soccorritore.

STATO DI SHOCK
Il paziente traumatizzato è spesso in stato di shock: lo shock è una sindrome clinica legata ad una perdita
di ossigenazione ai tessuti.
Cause
- Emorragia: diminuzione del sangue circolante nei vasi
- Lesione midollare: aumento della capacità di vene ed arterie che determina una diminuzione della
pressione arteriosa
- Pneumotorace: scarso ritorno venoso al cuore con ipotensione
- Associazione di tutte le cause precedenti
Segni più comunemente riferibili a Shock:
- Estremità fredde e pallide
- Tachicardia con polso piccolo (ad eccezione dello shock spinale in cui può esserci bradicardia)
- Tachipnea
- Stato confusionale fino all’agitazione ed al coma
Classificazione dei vari tipi di Shock
- Shock emorragico: è dovuto ad una cospicua perdita di sangue. Si manifesta spesso con
abbassamento della pressione arteriosa.
- Shock spinale: è associato a lesioni spinali e produce una perdita del controllo vascolare al di sotto
del collo o della vita; produce una riduzione della pressione arteriosa.
- Shock neurogeno: definita anche sindrome vaso-vagale, si manifesta con bradicardia, svenimento e
perdita di coscienza; in questo caso il tono vascolare è prontamente ripristinato quando il paziente
è in posizione supina.
- Shock settico: si osserva in pazienti con infezioni gravi e diffuse (ad es. in seguito a ustioni estese).
- Shock anafilattico: non collegato direttamente al trauma, è una reazione allergica dell’organismo a
determinate sostanze.

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SHOCK EMORRAGICO
E’ lo shock causato da una perdita di sangue extravascolare importante e rapida che induce una riduzione
del volume ematico circolante. E’ definito clinicamente da una riduzione acuta e durevole della pressione
arteriosa sistolica a valori inferiori a 90 mmHg (o inferiori del 30% ai valori di PAS abituali del paziente) in
relazione proprio alla perdita rapida e importante di sangue.

SHOCK SPINALE
Lo shock spinale è un tipo particolare di shock che si può realizzare a seguito di un trauma midollare che
provoca una sezione dei nervi che controllano la vasocostrizione dei vasi sanguigni: di conseguenza vi è una
massiccia e brusca vasodilatazione del letto vascolare che rende inadeguato il volume di sangue in esso
contenuto realizzando una sorta di shock ipovolemico. A differenza dello shock emorragico dove è il sangue
ad essere diminuito, qui la quantità di sangue è normale ma è il contenitore, ovverosia i vasi, ad essere
aumentato. I sintomi dello shock spinale differiscono almeno in parte da quelli dello shock emorragico e
sono:

Dobbiamo ricordare che nel paziente politraumatizzato, questi due shock possono anche coesistere nel
caso che un paziente abbia anche una grave emorragia arteriosa: in questo caso, in genere i sintomi e i
segni dello shock emorragico prevalgono, ad eccezione di una mancata o più modesta tachicardia.

SHOCK NEUROGENO
E’ una forma di shock causato da una diminuzione del tono della muscolatura dei piccoli vasi (sia arteriosi
che venosi) causando una resistenza al passaggio del sangue con conseguente incapacità a sostenere la
pressione sanguigna necessaria alla perfusione degli organi. E’ collegato generalmente a problematiche di
natura cerebrale ed è dovuto a lesioni del sistema nervoso centrale e/o del midollo spinale.

SHOCK ANAFILATTICO
Non prettamente legato al trauma, rientra comunque nelle cause di shock. E’ una reazione allergica grave
e a rapida comparsa spesso legata a reazioni a punture di insetti o a ingestione di alimenti o farmaci.
Caratterizzato da un quadro clinico particolarmente complesso e variegato: brusco calo della pressione
arteriosa, tachicardia, forte prurito diffuso, disfonia, rinite acuta, angioedema delle vie superiori,
broncospasmo, problemi respiratori, vomito, cianosi, collasso circolatorio, svenimento e convulsioni. Se
non trattato con la massima urgenza lo shock anafilattico conduce al coma e alla morte.

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EMORRAGIE ESTERNE
Le emorragie esterne sono cospicue perdite ematiche con riversamento del sangue all’esterno del corpo e
dunque ben visibili. Di solito sono conseguenza di traumi penetranti, fratture ossee, lacerazioni della cute
o comunque tutti i casi in cui abbiamo una perdita di continuità della superficie del nostro corpo. Queste
perdite ematiche possono essere dovute a rottura di un’arteria o di una vena, per cui avremo:
- Emorragia esterna arteriosa
- Emorragia esterna venosa
La differenza sta nella diversa composizione del sangue di origine arteriosa e venosa, per cui l’emorragia
sarà riconoscibile in base alle caratteristiche evidenti del sangue fuoriuscito. In particolare:
- Sangue color rosso vivo, che esce non con continuità ma a fiotti indica un’emorragia ARTERIOSA.
- Sangue color rosso bruno, scuro, che esce con continuità e a velocità costante indica un’emorragia
VENOSA.
Il pronto riconoscimento di un’emorragia esterna è fondamentale per il buon esito dell’intervento, poiché
in questo caso il soccorritore può intervenire in modo determinante per la salute del paziente. Un mancato
trattamento di un’importante emorragia esterna porta, invece, alla perdita di grandi quantità di sangue in
poco tempo, con il conseguente instaurarsi dello stato di shock e la successiva perdita delle funzioni vitali;
in questo caso, se non si è praticato un tamponamento efficace e precoce (emostasi), le pratiche di B.L.S.
risulteranno inutili, vista la perdita cospicua di sangue.

Trattamento compressivo (trattamento standard)


Il trattamento standard delle emorragie esterne è detto compressivo in quanto deve essere eseguito con
l’utilizzo di garze tramite le quali si deve tamponare la ferita esercitando una modesta pressione. Una volta
che le garze applicate diventano troppo bagnate, aggiungerne altre senza mai togliere le prime, altrimenti
si impedisce la formazione del coagulo. Nel caso di una emorragia arteriosa la pressione da esercitare deve
essere maggiore della pressione arteriosa e quindi si tratta spesso di una pressione cospicua. Inoltre, le
emorragie arteriose non hanno alcuna possibilità di risolversi spontaneamente grazie alla coagulazione del
sangue, per cui la compressione deve essere mantenuta per tutto il tempo fino all’arrivo in ospedale.
Qualora la compressione diretta non riesca ad arrestare l’emorragia o non vi sia la possibilità di esercitarla
(ad esempio nel caso di amputazioni o di fratture esposte con lesione vascolare) dobbiamo ricorrere alla
compressione nei cosiddetti punti di compressione arteriosa che si trovano alle radici degli arti.

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Per le emorragie dell’arto superiore, la compressione è a carico


dell’arteria brachiale e si esegue sulla superficie interna del braccio:
dobbiamo comprimere l’arteria brachiale tra il nostro pugno e
l’omero.

Per l’arto inferiore il punto di compressione è l’arteria femorale che


decorre a livello dell’inguine per poi portarsi verso la coscia. Tale
punto di compressione è valido per tutte le emorragie arteriose
dell’arto inferiore

Trattamento con cinghia Tourniquet (trattamento alternativo)


In casi estremi, nei quali non risultasse
sufficiente il trattamento compressivo, si
può usare la cinghia Tourniquet quando
presente e disponibile. Il Tourniquet, a
differenza del trattamento compressivo,
blocca anche il flusso arterioso e può
ischemizzare l’arto. Per questo motivo è
fondamentale segnare l’ora di inizio del
suo utilizzo e ogni 15/20 min. va rimosso
e fatto circolare il sangue nell’arto per
almeno 5 minuti per evitare la necrosi dei
tessuti. Se necessario applicare di nuovo il laccio.

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L’applicazione richiede i seguenti passaggi:


- sganciare la clip dal morsetto
- allungare il nastro rosso
- passare il laccio attorno al braccio del
paziente
- chiudere nuovamente la clip
- tirare il laccio per l’estremità libera
fino a quando non si arresta
l’emorragia

EMORRAGIE INTERNE
Le emorragie interne sono cospicue perdite ematiche, di origine arteriosa o venosa, che non sgorgano
all’esterno del corpo, ma al contrario vengono riversate all’interno a seguito di gravi lesioni dei grossi vasi
sanguigni o degli organi interni. Sono pericolosissime proprio per la difficoltà nell’individuarle
precocemente e portano in pochissimo tempo il paziente alla morte se non si interviene chirurgicamente
per arrestarle. Un soccorritore in questo caso può fare ben poco, poiché l’unica soluzione è il tempestivo
trasporto in ospedale; bisogna per questo prestare la massima attenzione a determinati campanelli
d’allarme quali:
- Segni evidenti ed inspiegabili di shock
- Improvviso calo della pressione
- Improvvisa perdita di coscienza senza segni di ripresa
- Addome rigido e duro alla palpazione (come se fosse un pezzo di legno)
In tutti i casi in cui si sospetti anche una modesta emorragia interna occorre avvisare tempestivamente la
C.O. ed ospedalizzare il paziente nel minor tempo possibile.

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FRATTURE
Col termine frattura si intende la perdita di continuità di uno o più segmenti scheletrici: l’osso, in seguito
ad un trauma, si rompe e di conseguenza si ha un modesto allontanamento dei due monconi fratturati. A
seconda della dinamica del trauma e della posizione in cui i segmenti scheletrici vengono a trovarsi avremo
fratture composte e fratture scomposte; a seconda dell’integrità dei tessuti circostanti le fratture possono
essere chiuse o esposte.
COMPOSTA / SCOMPOSTA: in rapporto all'eventuale spostamento dei segmenti fratturati si distinguono
fratture composte (senza dislocazione dei frammenti), in cui i segmenti di frattura conservano la loro
posizione anatomica, e fratture scomposte (con dislocazione dei frammenti), in cui si verifica uno
spostamento dei frammenti.
CHIUSA / ESPOSTA: in base all'integrità o meno dei tessuti vi sono fratture chiuse, in cui la cute rimane
integra, e fratture esposte, in cui vi è lacerazione della cute (probabilmente anche dei tessuti muscolari e/o
peggio ancora dei vasi sanguigni) ed esposizione esterna dell'osso.
Mentre nel caso di fratture chiuse (composte o scomposte che siano, non è in questo caso possibile saperlo
né compito del Soccorritore capirlo) è sufficiente immobilizzare l’arto interessato con steccobende
classiche o a depressione, nel caso di fratture esposte la situazione si complica in quanto si presenta più
difficile da trattare ed il dolore accusato dal paziente limita di gran lunga le possibilità di intervento. Ecco
alcune regole fondamentali per evitare di provocare danni ulteriori:
- Bagnare con abbondante soluzione fisiologica il moncone.
- Coprire il moncone con garze sterili umidificate con soluzione fisiologica.
- Applicare la steccobenda per quanto possibile, avendo cura di non stringere in corrispondenza della
fuoriuscita del capo osseo spezzato.
- Tamponare l’eventuale emorragia.

AMPUTAZIONI
In caso di traumi piuttosto gravi può capitare di trovarsi di fronte ad arti amputati, cioè completamente
separati dal resto del corpo. L’unico modo per impedire al paziente di perdere definitivamente l’estremità
recisa è consegnare nel più breve tempo possibile moncone e paziente nelle mani di un’equipe chirurgica
specializzata prima che i tessuti vadano in necrosi. Oltre al normale approccio comune a tutti gli eventi
traumatici, il soccorritore dovrà prestare la massima attenzione per:
- Arrestare prontamente l’emorragia derivante dall’amputazione dell’estremità andata perduta
- Coprire il moncone con garze sterili ed abbondante soluzione fisiologica
- Cercare l’arto o l’estremità recisa, avvolgerla in garze sterili con abbondante soluzione fisiologica e
mettere il tutto in un sacchetto di plastica possibilmente sotto ghiaccio (è importantissimo evitare
il contatto diretto dell’estremità recisa col ghiaccio, che produrrebbe la necrosi dei tessuti e, quindi,
impedirebbe il reimpianto).

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LUSSAZIONI
Con il termine lussazione si indica la perdita di contiguità a livello delle articolazioni in seguito a trauma. In
sostanza uno dei capi articolari esce dalla sua sede con conseguente trauma a livello dei legamenti e
provoca dolore acuto. Il trattamento extra-ospedaliero in caso di lussazione si riduce essenzialmente a
queste semplici manovre:
- proteggere la cute con una garza, apporre del ghiaccio in modo da ridurre il dolore;
- cercare di immobilizzare il resto dell’arto senza obbligare il paziente a posizioni che aumentino il
dolore provocato dalla lussazione.
NON cercare in nessun caso di manipolare la lussazione rimettendo in sede il capo articolare fuoriuscito.

TRAUMA CRANICO
Il trauma cranico è la causa principale di morte per trauma. L’incidenza dei traumi cranici rimane elevata
perché la protezione della testa è limitata; pertanto una sintetica conoscenza dell’anatomia del cranio è
essenziale per capire meglio le cause e le conseguenze del trauma cranico, ma soprattutto per imparare a
riconoscerne i sintomi.
Innanzi tutto la scatola cranica è un insieme di ossa preposte al contenimento ed alla protezione di un
organo importantissimo ed imprescindibile: il Sistema Nervoso Centrale. Oltre a questa funzione dobbiamo
considerare che una parte della testa di una persona è formata anche dalla faccia.
Sebbene in eventi traumatici sia di frequente riscontro la compromissione almeno parziale di parti della
faccia, come ad esempio fratture del setto nasale, della mandibola, dello zigomo, etc. essa è rappresentata
da traumi minori, nel senso che non mettono quasi mai nell’immediato in discussione la sopravvivenza del
paziente. Per questo prenderemo in considerazione i traumi della scatola cranica evidenziando le lesioni
che da questa possono essere trasmesse al suo contenuto, cioè il cervello. E’ chiaro dunque quanta
attenzione si debba mettere nell’osservare da subito certi segni caratteristici ed eclatanti in tutti i casi in
cui sospettiamo che il soggetto abbia battuto la testa.

Meccanismo di lesione encefalica per urto frontale e


occipitale

Meccanismo di lesione encefalica da


contraccolpo dell’encefalo

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Il cervello è contenuto nel cranio, ma non


è a diretto contatto con la parte ossea
della testa, visto che è racchiuso da tre
diverse membrane dette meningi, le quali
lo avvolgono completamente. Fra le
meningi esistono delle piccole cavità
contenenti un liquido particolare detto
liquor, che in caso di emorragia possono
riempirsi di sangue (ematoma),
provocando gravi danni al cervello.

Nonostante un sistema così complesso teso a proteggere il più possibile la materia cerebrale, purtroppo a
seguito di traumi in questa regione possiamo avere un interessamento e quindi lesioni della parte ossea,
con le fratture craniche, e molto più spesso del Sistema Nervoso Centrale all’interno del cranio, evenienza
questa molto più grave e che si manifesta inaspettatamente ed anche a distanza di tempo dall’evento che
ha causato il trauma. E’ necessario dunque porre la massima attenzione nel valutare la situazione ed essere
preparati alle possibili conseguenze.
Quando la testa colpisce o è colpita da un oggetto,
il cranio nel punto di impatto si può deformare fino
a produrre una frattura cranica. L’80% di tutte le
fratture craniche non presenta deformazioni visibili
dall’esterno quindi non può essere individuato a
prima vista, ad occhio, ma soltanto con un’indagine
radiografica. Questo ovviamente rende ancor più
difficile il nostro compito di individuazione delle
lesioni riportate dal paziente e ci impone di porre la
massima attenzione nel caso in cui si individuino
dei segni clinici evidenti come ad esempio:
- la fuoriuscita di sangue e/o liquor dalle
orecchie (otorragia/otorrea) o dal naso
(epistassi/rinorrea);
- la presenza distinta di ecchimosi intorno agli occhi (segno degli occhi di procione);
- la presenza distinta di ecchimosi dietro agli orecchi, fin sulla nuca (segno di Battle).
Questi segni sono tutti riconducibili ad una frattura della base cranica; individuarli e riconoscerli in tempo
significa allertare prima possibile la C.O. e consentire tramite un trattamento adeguato la sopravvivenza
del paziente.

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Gli ematomi da trauma cranico si differenziano a seconda di quale spazio fra le meningi interessano, ma
per un corretto trattamento preospedaliero è sufficiente che i soccorritori sappiano riconoscere i sintomi
che possono farne sospettare l’insorgenza:
- perdita di coscienza seguita da brevi periodi di lucidità
- il paziente lamenta mal di testa e sonnolenza, confusione e disorientamento
- disturbi della vista
- nausea e vomito
- emiparesi, perdita di sensibilità, emiparalisi
- difficoltà nei movimenti e nel linguaggio
La gestione preospedaliera di qualsiasi paziente con sospetto di trauma cranico deve focalizzarsi sul
mantenimento dell’apporto di ossigeno al cervello e nell’assoluto mantenimento della testa in posizione
neutra tramite impiego di collare cervicale ed asse spinale. E’ necessario inoltre allertare la C.O.
descrivendo nei particolari la sintomatologia e tenendosi sempre in contatto in ogni caso di cambiamento
del quadro clinico.

TRAUMA VERTEBRALE
La colonna vertebrale è composta da 33 ossa chiamate vertebre, disposte una sull’altra. La parte più grande
di ogni vertebra si chiama corpo e serve a sostenere il peso della colonna vertebrale e del tronco che lo
sovrasta. Le due parti laterali curve chiamate archi sono fuse insieme a determinare un’area di forma
vagamente cilindrica piuttosto variabile denominata canale vertebrale, dove passa il midollo spinale che
garantisce la connessione tra Sistema Nervoso Centrale e tutto il resto del corpo.
Le principali cause di trauma vertebrale in pazienti adulti sono:
- Collisioni automobilistiche
- Incidenti per tuffi in acque basse
- Incidenti motociclistici
- Tutti gli altri traumi e le cadute
In pazienti pediatrici invece le cause sono diverse:
- Cadute dall’alto (generalmente 2-3 volte l’altezza del paziente)
- Cadute da biciclette o tricicli
- Investimento da parte di un veicolo
I segni e i sintomi che indicano la necessità di trattamento di un trauma vertebrale sono:
- Dolore a collo e/o schiena
- Dolore al movimento di collo e/o schiena
- Dolore alla palpazione della colonna ai vari livelli
- Qualsiasi deformità della colonna
- Rigidità di collo e/o schiena
- Paralisi, paresi, intorpidimento, perdita di sensibilità agli arti superiori o inferiori
- Priapismo (erezione del pene a seguito del trauma spinale)

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Il trattamento di un paziente con sospetta lesione della colonna vertebrale consiste nell’immobilizzarlo in
posizione supina su una tavola spinale rigida, mantenendo un allineamento neutrale che comprenda testa,
collo, tronco e bacino. In particolare bisogna prestare attenzione alle due principali regioni scheletriche chi
si articolano con la colonna: il cranio e il bacino. Movimenti limitati di braccia e gambe non determinano di
solito lesioni midollari, mentre un qualsiasi movimento della testa o del bacino del paziente determinano
un movimento delle vertebre che facilmente causano danni gravi. E’ sufficiente che un frammento di
vertebra vada a toccare parte del midollo spinale per determinare deficit permanenti. Perciò così come è
fondamentale immobilizzare la testa risulta evidente che anche le gambe (e quindi il bacino) debbano
essere mantenute il più possibile in posizione neutra ed allineate col resto del corpo. I Soccorritori si
dovranno sempre attenere scrupolosamente alle manovre di mobilizzazione e immobilizzazione illustrate
nei prossimi capitoli, per evitare il peggioramento delle condizioni del paziente causate da un eventuale
trauma spinale.
TRAUMA MIDOLLARE
L’importanza della colonna vertebrale non è da riferire solo al suo ruolo nel sostenere il nostro corpo, ma
soprattutto nel costituire un vero e proprio canale dentro al quale passa il midollo spinale. Esso rappresenta
la connessione nervosa fra il cervello ed i numerosi nervi che si distribuiscono ai distretti periferici quali gli
arti superiori ed inferiori, ma anche a torace e addome ed agli organi interni in essi contenuti. Questo
significa che lesioni della colonna vertebrale possono andare ad influire negativamente sul midollo spinale
causandone danni spesso irreparabili. Per fortuna solo una piccola percentuale delle fratture vertebrali si
associa alla ben più grave lesione midollare, che può essere già presente come lesione primaria all’arrivo
dei soccorsi oppure si può creare come lesione secondaria in conseguenza di una frattura vertebrale gestita
in modo scorretto, non mantenendo la posizione neutra e non immobilizzando il paziente con gli appositi
presidi. Questa eventualità è particolarmente drammatica sia per motivi etico-morali che medico-legali;
dobbiamo quindi sempre considerare il traumatizzato come portatore potenziale di frattura vertebrale e
quindi a rischio di lesione spinale. Nei casi in cui una lesione midollare si sia realizzata, e il paziente sia
cosciente e in parte collaborante, è possibile riconoscere alcuni segni e sintomi tipici della lesione. Essi
variano a seconda del livello a cui essa si è realizzata, in quanto tanto più alta è la lesione tanto più gravi
saranno i danni. Quindi una lesione cervicale in genere porta una tetraplegia (impossibilità di muovere i
quattro arti) o addirittura un arresto respiratorio per paralisi anche dei muscoli della respirazione, mentre
una lesione spinale toracica bassa o lombare può causare una paraplegia (paralisi degli arti inferiori) in
quanto a questo livello i nervi per i distretti superiori (arti superiori, torace) hanno già lasciato il midollo. I
segni e sintomi più comuni di lesione spinale sono:
- dolore alla schiena (per la frattura vertebrale)
- formicolii agli arti
- insensibilità agli arti
- riduzione della forza o paralisi degli arti
- shock spinale
Attenzione:
- circa il 30% dei pazienti con fratture vertebrali non presenta dolore
- il paziente incosciente non può riferire i sintomi né collaborare per evidenziare i segni
- le fratture vertebrali sono più frequenti di quanto non si pensi, spesso sono multiple e sono
massimamente probabili nei traumi cranici e toracici.

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TRAUMA FACCIALE
Il trauma faciale è tipico dei motociclisti, soprattutto per la diffusione di caschi non integrali (caschi jet) che
non danno alcuna protezione a questo distretto anatomico. I pericoli immediati di un trauma faciale sono:
- ostruzione delle vie aeree per sangue, denti avulsi, protesi fratturate
- trauma laringeo
- trauma rachide cervicale
- trauma cranico associato

Il trauma laringeo presenta alcune peculiarità: una frattura laringea può comportare un grosso problema
per la pervietà delle vie aeree in quanto la laringe è posta subito al di sopra della trachea e pertanto è
l’organo della fonazione (con le sue corde vocali) e regola il flusso d’aria verso i polmoni. Il paziente con
trauma laringeo, pertanto, presenterà alterazioni di queste due importanti funzioni:
- disfonia (voce rauca, flebile o alterata)
- enfisema sottocutaneo del collo (presenza di aria nei tessuti)
- stridore inspiratorio (tipo crisi d’asma)
- grave difficoltà respiratoria
Il suo trattamento è garantire una gestione in A.L.S. delle vie aeree mediante intubazione oro-tracheale o
cricotirotomia. Per i Soccorritori, invece, è di vitale importanza la somministrazione di O2 ad alti flussi, il
decubito semiseduto (sollevando l’asse spinale) e l’allertamento della C.O. per l’eventuale invio di una
squadra di A.L.S.

TRAUMA TORACICO
I traumi toracici sono classificabili in chiusi e penetranti e possono riguardare la gabbia toracica ma anche
gli organi in essa racchiusi (polmoni, cuore, trachea, esofago, grossi vasi). I traumi toracici causano circa il
25% delle morti per trauma. Alcuni pazienti mostrano i segni ed i sintomi del trauma toracico direttamente
sulla scena: altri solamente in ospedale. Per questo motivo è di grande importanza anche la conoscenza
della dinamica dell’evento in modo da supporre anche in assenza di danni visibili alla gabbia toracica il
rischio di lesioni agli organi interni. Le lesioni del torace possono essere dovute sia al trauma diretto (ad
esempio urto contro il volante dell’auto nel guidatore sprovvisto di cinture di sicurezza) o anche ad un
meccanismo di brusca accelerazione o decelerazione (ad esempio nella caduta dall’alto). Un trauma
toracico può causare alterazioni che se non riconosciute e trattate prontamente possono causare il decesso
del ferito sulla scena. Le più comuni e gravi sono:
- pneumotorace aperto
- pneumotorace iperteso
- lembo costale mobile (volet costale)
- ferite penetranti
I traumi del torace possono coinvolgere anche organi addominali per la possibilità che le ultime coste,
definite coste mobili perché non direttamente attaccate allo sterno (e quindi più fluttuanti), possano essere
spinte all’interno lesionando la milza (a sinistra) o il fegato (a destra) per poi tornare nella loro posizione
originale.

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Attenzione a:
- dispnea o tachipnea
- shock in assenza di emorragie esterne
- lesioni toraciche visibili (ferite soffianti, volet costale, ferite penetranti)
- asimmetria della parete toracica
- desaturazioni con SpO2 < 90% in O2 ad alti flussi o non rispondenti all’O2 terapia
- segni di contusione o ferite sulla parete toracica (es. segno delle cinture di sicurezza)

Pneumotorace aperto
Il pneumotorace aperto è dovuto ad una lesione della parete toracica
che metta in comunicazione con l’esterno la cavità polmonare. Il
polmone è inserito in un sacco detto pleura che lo protegge. Nel
pneumotorace aperto, si ha aria che entra e che esce in modo
sincrono con gli atti respiratori dalla cavità pleurica. Il polmone si
collassa parzialmente e si riespande ad ogni atto respiratorio. Con la
freccia doppia è evidenziata la lesione toracica che fa entrare e
riuscire l’aria mettendo in comunicazione la cavità pleurica con
l’esterno. L’impatto respiratorio di questa lesione è considerevole ma
raramente si ha il decesso del paziente sul campo a meno che non vi
siano altre lesioni associate. Il quadro clinico è caratterizzato da
dispnea, tachipnea, dolore, tachicardia e saturazione bassa che in
genere risponde in qualche misura alla ossigenoterapia.
Il trattamento sul campo è di natura conservativa in quanto
abbiamo il tempo per un trattamento ospedaliero. Quello che
possiamo fare è la cosiddetta medicazione della “ferita soffiante”
mediante medicazione su tre lati in modo da creare un
meccanismo a valvola inverso che permetta all’aria di uscire ma
non di rientrare, tramite l’applicazione di una medicazione
impermeabile (garze bagnate, involucro plastico delle garze sterili
con la parte interna verso la ferita) sigillata su tre lati con cerotto.
Restano imperative la somministrazione di ossigeno ad alti flussi
e il mantenimento del paziente con il tronco più alto delle gambe
per migliorare la dispnea (sollevando tutta l’asse spinale).

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Pneumotorace iperteso
Il pneumotorace iperteso è una condizione che mette a rischio immediato di vita il paziente. Si può formare
per una ferita penetrante o per un trauma chiuso del torace che provochi la rottura dell’albero
tracheobronchiale all’interno della pleura. In entrambi i casi si crea un meccanismo a valvola per il quale
l’aria entra nel cavo pleurico ma non riesce ad uscire ritmicamente con gli atti del respiro (come invece
avviene per il pneumotorace aperto). Questo provoca un accumulo di aria a pressione nella cavità pleurica
che respiro dopo respiro aumenta la pressione in questa cavità facendo collassare il polmone.

A causa dell’impatto emodinamico per l’ostacolo al ritorno venoso da parte soprattutto della Vena Cava
Inferiore che si inginocchia il pneumotorace iperteso deve essere immediatamente trattato dal medico del
territorio non potendo essere delegato al medico in ospedale. I sintomi del pneumotorace iperteso sono
drammatici e rapidamente evolutivi. Si possono dividere fondamentalmente in segni e sintomi respiratori
e segni e sintomi emodinamici. L’impatto emodinamico è spesso devastante ed è quello responsabile della
morte per pneumotorace iperteso. L’impatto respiratorio è in genere serio ma non tale da causare la morte
del paziente (a meno che non vi sia la coesistenza di pneumotorace iperteso bilaterale destro e sinistro).
Segni e sintomi respiratori:
- Dispnea grave
- Deviazione della trachea
- Tachipnea
- Desaturazione
Segni e sintomi cardiovascolari:
- Tachicardia
- Turgore delle Giugulari
- Ipotensione
- Arresto cardiaco
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In altre parole si viene a realizzare un ostacolo al ritorno del sangue dalla periferia verso l’atrio destro con
conseguente shock ipovolemico o, per meglio dire, maldistributivo in quanto la quantità di sangue è
normale ma è come sequestrato in periferia (un po’ come succede per la compressione aorto-cavale nella
donna in stato avanzato di gravidanza, supina) per cui non partecipa alla circolazione e provoca quindi
turgore delle giugulari che non riescono a scaricare il sangue in atrio destro. Contemporaneamente, la
pressione intratoracica rende anche più difficile per il ventricolo destro la spremitura del suo sangue verso
i polmoni tramite le arterie polmonari con conseguente Scompenso Cardiaco Destro e Shock Cardiogeno:
in pratica si ha la coesistenza di due tipi di Shock, ognuno dei quali di per sé sufficiente a provocare la morte.

Lembo costale mobile (Volet costale)


Il lembo costale mobile è il rientro di una parte della gabbia toracica
durante l’inspirazione (quando dovrebbe espandersi) spesso
associata alla sua protrusione durante l’espirazione. Esso è dovuto a
lesione di più coste ognuna in più punti in modo da formare un
lembo indipendente che si comporta, come già detto, in modo
paradosso: quando il paziente inspira e la gabbia toracica si espande
esso rientra, quando il paziente espira e la gabbia toracica ritorna
verso l’interno, il lembo fuoriesce. Il reperto di un volet costale sul
terreno è un segno di allarme assoluto in quanto per poter essere
creato, l’energia entrata in gioco è stata sicuramente grande. Inoltre
vi è sicuramente associata una contusione polmonare e,
frequentemente un pneumotorace. Per questo, il volet costale è una
situazione a rapida e potenzialmente fatale evoluzione, che deve
essere corretta chirurgicamente. Il paziente presenta segni di
distress respiratorio (dispnea, tachipnea, desaturazione) associati
variamente a quelli di impatto emodinamico (tachicardia, shock).
Il trattamento è quello di cercare di medicare con fasciatura aderente il lembo costale in modo da farlo
tornare il più possibile solidale con la gabbia toracica limitandone il suo movimento paradosso e,
ovviamente, somministrare ossigeno ad alti flussi.

Ferite penetranti del torace


Sono abbastanza comuni e possono essere dovute a proiettili o da corpi taglienti o appuntiti (coltelli, pali
ecc.). Come per tutte le ferite penetranti, in qualunque distretto, i corpi penetrati non devono essere
rimossi, anzi, se possibile stabilizzati con pacchi di garze, teli, cerotto in modo da cercare di non far muovere
l’estremità conficcata e non provocare ulteriori lesioni. L’estrazione dei corpi penetrati deve essere fatta
solo in ospedale perché è prevedibile che il corpo penetrato stia svolgendo un ruolo di emostasi e che, una
volta rimosso, inizi una emorragia più grave di quella precedente. Se il corpo penetrato è intrasportabile in
ambulanza (ad esempio un grosso macchinario o un palo di una inferriata) sarà necessario la sua riduzione
di dimensioni da parte dei Vigili del Fuoco in modo da rendere trasportabile il paziente senza liberarlo
dall’oggetto. Le ferite da taglio o da proiettile, se non riguardano zone poste al di sopra della clavicola, sono
gli unici traumi che possono essere trattati senza immobilizzazione del rachide cervicale in quanto non vi
sono presupposti perché vi possa essere una lesione vertebrale.

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TRAUMA ADDOMINALE
L’addome è la regione del corpo nella quale è più difficile eseguire una
corretta valutazione di lesioni traumatiche. Quando non viene
riconosciuta, la lesione addominale è una delle principali cause di morte
nei pazienti traumatizzati; inoltre è la seconda principale causa di morte
prevenibile per trauma. L’addome contiene i principali organi
dell’apparato digerente, quelli dell’apparato endocrino, urogenitale,
nonché i principali vasi del sistema circolatorio. La cavità addominale è
localizzata al di sotto del diaframma ed è limitata anteriormente dalla
parete addominale, posteriormente dalla regione lombare della colonna
vertebrale, in basso dalle ossa del bacino e sui lati dai fianchi. Gli organi
più frequentemente interessati da traumi addominali in genere sono la
milza, per quanto riguarda la porzione sinistra dell’addome, ed il fegato
per quanto riguarda quella destra. Seguono i reni, posti posteriormente
ed in corrispondenza dei lombi, il colon, l’intestino tenue, l’intestino
crasso, il retto e naturalmente i grossi vasi arteriosi (aorta) e venosi (vena
cava inferiore e circolo portale). Le lesioni addominali possono essere
causate da traumi chiusi o penetranti. Se il trauma è penetrante, come
nel caso di ferita da arma da fuoco o da taglio, la ferita è molto evidente e di semplice individuazione; a
seconda del punto di ingresso e della traiettoria dell’oggetto che ha provocato il trauma si ha un’idea degli
organi che possono essere danneggiati e si ha sanguinamento più o meno intenso ma ben visibile. Nel caso
invece di trauma chiuso, come una violenta compressione dovuta all’urto con superfici rigide, le forze in
gioco generano lesioni multiple a causa della compressione che si ha fra due corpi rigidi: il corpo su cui si
urta (davanti) e la colonna vertebrale (dietro).Possono quindi risultare lesi vari organi, esserci
sanguinamenti importanti a carico dei grossi vasi senza che vi sia alcuna evidente emorragia esterna; per
questo occorre prestare la massima attenzione nel caso in cui si sospetti un trauma addominale.
I segni e sintomi in questo caso sono piuttosto difficili da rilevare:
- Segni evidenti dell’avvenuto contatto (es. volante dell’auto piegato)
- Segni esterni di trauma (ad es. escoriazioni e/o abrasioni dell’addome)
- Shock di origine inspiegabile
- Shock di gravità superiore rispetto a quello che ci si aspetterebbe dalle altre lesioni presenti
- Presenza di rigidità addominale (l’addome risulta essere duro come legno)
Il trattamento di trauma addominale non presenta particolarità rispetto al protocollo standard per il
trattamento del trauma. Comunque sia, la rapidità di intervento da parte della squadra di soccorso è di
vitale importanza per la sopravvivenza del paziente, in quanto questo tipo di trauma è trattabile solo
chirurgicamente ed in un centro adeguato, per cui ogni minima perdita di tempo avvicina il paziente alla
morte.
A questo punto occorre prestare attenzione a tre condizioni particolari che riguardano il trauma
addominale.

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Ferite penetranti dell’addome


La rimozione di un oggetto conficcato nell’addome, al pari degli oggetti conficcati nel torace, in sede extra-
ospedaliera è considerata assolutamente controindicata poiché togliere un oggetto contundente rimasto
intrappolato nella parete muscolare può in primo luogo causare lesioni aggiuntive agli organi interni ed in
secondo luogo un peggioramento indiscusso dell’emorragia in atto. Spesso infatti gli oggetti rimasti
nell’addome funzionano un po’ come dei tappi ed impediscono una maggior fuoriuscita di sangue. In questo
caso il soccorritore deve sostenere l’oggetto conficcato per prevenire ulteriori movimenti e lesioni
all’interno, cercando di tenerlo immobile, anche manualmente. Se è presente una emorragia intorno
all’oggetto si può esercitare una pressione diretta sulla ferita col palmo della mano.

Eviscerazione
A volte può succedere che a causa di lacerazioni particolarmente estese e profonde dell’addome si abbia
la fuoriuscita dei visceri (cioè di parte dell’intestino) all’esterno. L’unica cosa che si può fare in questo caso
è proteggere i visceri usciti da ulteriori colpi o lesioni, avvolgendoli in garze sterili ed abbondante soluzione
fisiologica, mantenendo il tutto umido e più immobile possibile fino all’arrivo in ospedale, ma senza tentare
di rimetterli al proprio posto.

TRAUMA DEL BACINO


I traumi del bacino possono esitare in fratture delle ossa che lo
compongono e in lesioni degli organi contenuti nella cavità da
esso formata, ovvero la cavità pelvica. Gli organi in esso contenuti
sono la vescica, la prostata, l’utero, l’ultima parte dell’intestino
(retto) ed i genitali esterni maschili e femminili. Sia
nell’eventualità della lesione degli organi che, soprattutto, in
quella delle ossa del bacino (spesso abbiamo la coesistenza delle
due lesioni) il problema principale è quello del sanguinamento.
Una frattura multipla delle ossa del bacino può portare ad una
perdita ematica di circa 2000-2500 ml di sangue (circa il 50% del
nostro volume totale, considerando che un adulto di 70 Kg ha circa 5 litri di sangue) portando quindi uno
shock emorragico grave. Ultime ricerche scientifiche stanno mettendo sempre più in discussione
l’opportunità di verificare tramite la soccussione del bacino (applicazione di una forza di circa 20 Kg
bilateralmente sulle creste iliache) per valutare sulla scena del trauma l’eventuale anormale mobilità del
bacino stesso che suggerisce la presenza di fratture multiple delle sue ossa. Il motivo è che tale manovra
della valutazione secondaria può causare la ripresa di un sanguinamento osseo qualora questo si fosse
arrestato per la formazione di un trombo dovrebbe essere eliminata dalle procedure extra ospedaliere. Nel
caso di fratture multiple di bacino certe, può risultare utile il posizionamento del K.E.D. in modo opposto,
ovvero con la parte del corsetto cervicale verso i piedi e con quella più larga a fasciare il bacino in modo da
creare una sorta di compressione emostatica delle ossa fratturate (vedi capitolo dedicato alle manovre).

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TRAUMA IN GRAVIDANZA
La gravidanza causa nel corpo mutamenti anatomici e fisiologici che influenzano lo schema delle potenziali
lesioni. Questi cambiamenti fanno sì che l’utero ed il suo contenuto siano maggiormente esposti a lesioni,
compresi rottura, ferite penetranti, distacco placentare e rottura prematura delle membrane. Anche la
frequenza cardiaca è diversa dal normale: in gravidanza una donna presenta un aumento del battito
cardiaco tale che rende difficile il riconoscimento di una tachicardia in atto. La pressione è un po’ più bassa
del normale e quindi rende la madre più esposta allo shock. L’aumento di volume dell’utero, nonché il suo
aumentato afflusso sanguigno lo rendono particolarmente esposto sia ai traumi chiusi che a quelli aperti.
Gli obiettivi del trattamento sono essenzialmente gli stessi di quelli di un paziente in stato di shock, con
un’attenzione maggiore a fornire elevati livelli di ossigeno per far fronte alle necessità della madre e del
feto. Quando si sospettano lesioni spinali la donna in gravidanza deve essere immobilizzata e trasportata
supina, ma visto che il peso del bambino potrebbe andare ad occludere la vena cava inferiore, bisogna
tenere l’asse spinale ruotata di 10°-15° sul lato sinistro della paziente. Ove invece si possa escludere un
trauma spinale è sufficiente porre un cuscino sotto al fianco destro della paziente in modo che il peso del
feto ricada sul lato sinistro senza occludere la vena cava.

USTIONI
Le ustioni sono lesioni a carico del tessuto cutaneo, sottocutaneo e anche di altri organi e apparati causate
dal trasferimento di energia verso questi tessuti. L’agente ustionante può essere classicamente il calore
(fiamma, liquidi, vapori o corpi caldi) ma anche il freddo o agenti chimici caustici. Una particolare tipologia
di agenti ustionanti sono le radiazioni ionizzanti che però, vista la grande pericolosità delle stesse devono
essere trattate da equipe specializzate. La gravità dell’ustione si valuta considerando tre parametri:
- la superficie corporea ustionata
- il grado dell’ustione
- il coinvolgimento di particolari distretti corporei

Per quanto riguarda la valutazione della superficie ustionata,


è ormai adottata da tutti la cosiddetta regola del 9, che
assegna ad ogni distretto corporeo un valore percentuale
(9%, appunto) che permette di stimare l’estensione
dell’ustione. Il calcolo della superficie ustionata è diverso per
l’adulto e il bambino come mostra la figura.

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Per il grado dell’ustione dobbiamo suddividere la gravità in quattro (per alcuni tre) gradi.

Le ustioni di primo grado interessano solo l’epidermide; un esempio di ustione di primo grado sono le
scottature solari. La cute è dolente e arrossata e non vi è formazione di bolle o vescicole. Le ustioni di primo
grado guariscono senza lasciare cicatrici.
Le ustioni di secondo grado, coinvolgono l’epidermide e il derma. La cute dolente, a seconda della
profondità dell’ustione, può essere vescicolosa. Sono in genere dovute a liquidi bollenti, vapore o fiamme.
Nell’ustione di terzo grado (o a tutto spessore), la lesione giunge a coinvolgere il grasso sottocutaneo. La
cute è carbonizzata, pallida, non dolente in quanto sono distrutte anche le terminazioni nervose dolorifiche.
Questa ustione non guarisce da sola ma si rende sempre necessario l’intervento chirurgico.
Le ustioni di quarto grado (per alcuni assimilate a quelle di terzo) arrivano a coinvolgere il tessuto muscolare
e osseo. Sono lesioni devastanti e possono mettere in immediato pericolo di vita il paziente.

La prima regola del Soccorritore assume capitale importanza nel soccorso al paziente ustionato in quanto
il rischio di ustione può essere presente anche per i soccorritori. In particolare questo rischio può derivare
sia da uno scenario ancora non messo in sicurezza dai vigili del fuoco o dalle squadre antincendio che dalla
presenza nell’ambiente di sostanze caustiche potenzialmente dannose. Inoltre, anche semplicemente il
contatto con il paziente non precedentemente raffreddato, può rappresentare un pericolo. Per questa
ragione la prima manovra di soccorso al paziente ustionato prevede l’allontanamento dell’agente
ustionante ed il successivo raffreddamento con acqua o salina sterile. Gli indumenti dell’infortunato
devono essere rimossi, avendo cura di tagliarli attorno alle zone in cui siano adesi alla cute. In una fase
successiva, l’ustione va coperta con una medicazione umida con salina e con garze sterili.

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Durante il trasporto, il paziente ustionato può essere soggetto ad ipotermia e quindi dovrà essere ricoperto
con metalline. Qualora vi siano ustioni di 2° o 3° grado di una superficie corporea superiore al 20%, ustioni
di 4° grado superiori al 10%, oppure complicate da fratture o altri traumi, o ustioni in neonati e anziani,
dovrebbero essere trasferite rapidamente in centri specializzati (Centri Grandi Ustionati) al trattamento di
questa patologia. Tra le complicanze maggiori del paziente ustionato troviamo le infezioni che possono
facilmente insorgere in quanto la cute ustionata non è in grado di agire come barriera per l’ingresso di
germi dall’esterno. Per prevenire questo grave rischio, è di fondamentale importanza il corretto
trattamento delle zone ustionate fino dal momento del soccorso sulla scena. Le ustioni possono inoltre
interessare distretti particolari del corpo che indipendentemente dal grado e dalla superficie di cute
ustionata rappresentano di per sé dei segnali di allarme per i soccorritori: l’evidenza di sputo carbonaceo,
peli del naso, della barba e cute del volto ustionati ci devono far pensare che il paziente abbia respirato aria
calda e che quindi sia a grave rischio di insufficienza respiratoria acuta per ustione delle vie aeree
superficiali e profonde.
Questo in genere suggerisce la necessità di assicurare una via aerea definitiva mediante tubo orotracheale
per il rischio di edema delle vie aeree che renderebbe estremamente difficoltosa o addirittura impossibile
una adeguata ventilazione;
- in caso di incendio, il paziente può presentare immediatamente o a distanza di tempo problemi
respiratori legati, oltre che a quanto detto nel punto precedente, anche all’inspirazione di gas
tossici, prevalentemente monossido di carbonio e cianuri che richiedono ossigeno ad alti flussi
nell’immediato e possono comunque rendere necessaria anche l’ossigenoterapia iperbarica;
- nelle ustioni da elettricità il paziente può presentare gravi alterazioni del ritmo cardiaco che
possono portare anche all’arresto cardiaco e che fanno passare in secondo piano il problema
ustione; inoltre il passaggio della corrente elettrica può determinare contrazioni muscolari
involontarie che possono causare lesioni muscolo-scheletriche, sempre ricordare che l’ustionato è
un traumatizzato;
- nel caso di coinvolgimento degli occhi specialmente se dovuto a contatto con sostanze chimiche,
occorre rimuovere le eventuali lenti a contatto e lavare abbondantemente gli occhi con acqua o
meglio ancora con glucosio al 5%, per raffreddare la superficie oculare ed allontanare l’agente
caustico che ha causato il danno.

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S.V.T. (SUPPORTO VITALE AL TRAUMA) – PROTOCOLLO

INTRODUZIONE
L’attuazione completa dei protocolli risulta difficoltosa perché nell’ambito delle emergenze sul territorio
operano varie figure con caratteristiche professionali e tecniche non omogenee; esiste inoltre una
impossibilità cronica di standardizzare gli interventi di emergenza traumatologica adattandoli ad ogni
situazione. Ogni scenario in effetti presenta caratteristiche uniche con una serie di variabili che lo rendono
diverso da ogni altro e che rendono impossibile o comunque molto difficile l’applicazione stretta degli
algoritmi. Questo significa che le linee guida devono essere conosciute in modo perfetto per permettere al
soccorritore di potervisi discostare in modo cosciente ogniqualvolta lo scenario lo richieda. Molte sono le
variabili che devono essere considerate durante il soccorso ad un traumatizzato e tra esse possiamo citare:
- Luogo dell’intervento non agevole o pericoloso.
- Paziente non collaborante.
- Variabilità degli scenari (tipologia, gravità delle lesioni riportate e numero di persone coinvolte).
- Condizioni meteo (notte, nebbia, freddo etc.).
- Coinvolgimento emotivo sia dei soccorritori che degli astanti.
Ne consegue che l’unica garanzia per effettuare azioni corrette è quella di perseguire obbiettivi primari
conosciuti da tutti coloro che sono chiamati ad intervenire, ed acquisire, ognuno per le proprie
competenze, la manualità e le conoscenze nell’uso delle tecniche e dei presidi.

IL POLITRAUMA
Per trauma intendiamo qualsiasi evento causato da una forza fisica che agisca provocando un danno
all’organismo. Molto spesso assimiliamo il concetto di trauma a quello di incidente stradale. In realtà, anche
se questo è spesso vero, ogni agente fisico (calore, freddo, sostanze caustiche, armi da fuoco da taglio o da
punta, radiazioni ionizzanti) è capace di provocare traumi. Si definisce politraumatizzato un soggetto che
ha subito due o più lesioni a carico di organi od apparati diversi, almeno una delle quali talmente grave da
metterne in pericolo la vita. Il primo trattamento al politraumatizzato è una delle emergenze più complicate
da affrontare, perché la gravità delle lesioni riportate va a sommarsi ad eventuali patologie già presenti in
quel paziente. La regola principale è quella di compiere un’attenta valutazione dello scenario prima
d’intervenire ed intraprendere una qualunque manovra, per non esporre a rischi sia i soccorritori che gli
altri presenti (autoprotezione). Inoltre il desumere la dinamica dell’evento può orientare circa i possibili
traumi riportati dalla vittima. È molto importante che il soccorritore sia in grado di eseguire una corretta
valutazione, della gravità dei feriti, (triage, secondo anello della catena della sopravvivenza) in modo da
valutare l’adeguatezza numerica dei mezzi di soccorso rispetto al numero di persone infortunate.

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LA PREVENZIONE DEI DANNI SECONDARI


Nel traumatizzato si possono avere due tipi di danno. Il primo è il cosiddetto danno primario, ovvero quello
da imputare direttamente al trauma. L’energia che entra in gioco nel trauma (spesso energia cinetica, ma
anche termica, ionizzante ecc…) agisce in modo lesivo sulla cute e viene trasferita anche alle strutture
sottostanti (muscoli, vasi, ossa, organi cavi ed organi solidi) arrecandovi danni più o meno gravi in base alla
quantità di energia, al suo tempo di applicazione e alla resistenza del soggetto traumatizzato (ad esempio
un osso di un paziente anziano con osteoporosi sarà più facilmente fratturato da basse energie cinetiche
rispetto a quello di un soggetto giovane senza osteoporosi). Il danno primario è causa di tutte le morti
immediate per trauma, ovvero di circa il 50% dei casi; la restante parte delle morti sono dovute ai danni
secondari i quali possono e devono essere evitate dal personale sanitario, cominciando da quello che per
primo soccorre il paziente. Si definiscono danni secondari tutte quelle lesioni che il paziente riporta non a
causa del trauma ma per l’instaurarsi di condizioni che al trauma sono legate e che sono (o meglio
sarebbero state) correggibili o addirittura evitabili da un soccorso extra ospedaliero correttamente
eseguito. Tra i principali danni secondari, vi sono l’ipotermia, le lesioni spinali, l’ipotensione e l’ipossia. I
soccorritori (Medici, Paramedici, Volontari) possono ridurre queste morti riconoscendo e trattando i danni
primari (ad esempio una emorragia arteriosa o una ostruzione delle vie aeree), ma anche e soprattutto
evitando di provocare danni secondari con manovre eseguite scorrettamente o non eseguite affatto (ad
esempio non mantenere la posizione neutra, non somministrare ossigeno, ventilare o non intubare il
paziente, non ricoprire con metallina il traumatizzato). Il principale obiettivo dell’SVT è quello di prevenire i
danni secondari.

LA CATENA DELLA SOPRAVVIVENZA


Come nel supporto vitale di base (B.L.S.), anche nel trattamento del trauma si possono individuare una
serie di passi schematizzabile in una catena, visto che ognuno deve essere svolto in modo accurato e
completo prima di passare al successivo e che, se uno degli anelli si rompe (cioè se il rispettivo intervento
non viene svolto), il soccorso avrà con buone probabilità un esito negativo per il paziente.

Il primo anello della catena è rappresentato dall’allertamento del sistema di emergenza attraverso una
telefonata alla Centrale Operativa del 118 da parte delle persone testimoni o coinvolte nell’evento. La C.O.
provvede a raccogliere i dati necessari e ad inviare il mezzo di soccorso più idoneo.
Il secondo anello della catena consiste, una volta arrivati sul posto, nella valutazione della scena, nello
stabilire una priorità di trattamento (che dipende dalle condizioni cliniche dei feriti, dal loro numero e dalle
forze a disposizione) e nel comunicare alla C.O. le condizioni dei pazienti e l’eventuale richiesta di intervento
di altri mezzi (altre ambulanze, vigili del fuoco, forze dell’ordine, etc.).

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Il terzo anello consisto nella valutazione, nel trattamento e nell’immobilizzazione del traumatizzato.
Il quarto anello consiste nel trasporto del ferito nell’ospedale più idoneo al suo trattamento scelto in
accordo con la C.O.
Il quinto anello indica tutta la gestione intra-ospedaliera del traumatizzato e non è più pertinenza dei
soccorritori.
Dalla corretta esecuzione di tutti gli anelli dipende il buon esito dell’intervento di soccorso. Come si può
notare, il soccorritore ricopre un ruolo fondamentale in questa catena, visto che interviene in tre anelli su
cinque: triage, trattamento preospedaliero, trasporto.

INDIVIDUAZIONE DEI RUOLI ALL’INTERNO DELLA SQUADRA


Vista la grande difficoltà nella gestione di uno scenario di trauma, l’equipe di soccorso deve, già al momento
della chiamata, definire i ruoli dei propri componenti. La squadra deve agire coordinata dal Team Leader
che ripartisce i ruoli all’interno della stessa. Caratteristiche del Team Leader (T.L.):
- è il volontario che dal primo momento dell’intervento gestisce l’operato degli altri soccorritori;
- è la figura cardine della squadra stessa che detta i ritmi alla squadra e le dà tranquillità;
- dovrebbe essere il soccorritore più esperto;
- deve essere riconosciuto come tale dagli altri membri della squadra.
Durante l’intervento il Team Leader, oltre che dirigere il soccorso, effettua le valutazioni dello scenario
dell’evento e le valutazioni primarie sul paziente. Il Team Leader dovrebbe al rientro alla base, rianalizzare
criticamente le varie fasi dell’intervento sottolineando insieme a tutta l’equipe gli aspetti positivi e quelli
da correggere, senza colpevolizzare o accusare il singolo componente ma cercando di trarre giusti
insegnamenti per tutta la squadra (debriefing). Negli interventi con mezzo di soccorso “medicalizzato”, il
Team Leader è ovviamente il medico. Tutte le manovre devono essere svolte parlando con sicurezza e
tranquillità, in maniera da infondere la stessa sicurezza ai colleghi.
Il Leader delle Manovre (L.M.) è il soccorritore che, coordinato dal Team Leader, si preoccupa
dell’immobilizzazione manuale della testa in posizione neutra fino al posizionamento dell’asse spinale. Il
suo posizionamento nel caso di paziente traumatizzato deve essere automaticamente a livello della testa
in modo da garantire l’immobilizzazione del rachide cervicale (C-spine) in posizione neutra. Il Team Leader
è anche tenuto a rimuovere il casco in collaborazione con il Leader delle Manovre.
Ulteriori Soccorritori disponibili saranno denominati come Terzo Soccorritore, Quarto Soccorritore, etc., e
saranno di supporto al Team Leader e al Leader delle Manovre in tutto ciò che è previsto dal Protocollo.

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VALUTAZIONE DELLO SCENARIO


Metodo di approccio alla scena:
- Guardo se sono presenti pericoli evidenti
- Ascolto le dichiarazioni dei presenti
- Segnalo alla C.O. la necessità di mezzi aggiuntivi
- Valutazione della sicurezza della scena
All’arrivo sul posto i soccorritori dovranno valutare se la scena presenta sufficienti garanzie di sicurezza. In
caso contrario si dovrà contattare la C.O. per richiedere l’intervento necessario. Una volta messa in
sicurezza la scena, la squadra potrà intervenire sul luogo del trauma.

VALUTAZIONE DELLA DINAMICA


In questa fase la valutazione della dinamica dell’evento traumatico permette di orientare l’equipaggio alla
scelta degli interventi da attuare. Il meccanismo che ha determinato l’evento (indicatori situazionali) e la
presenza di particolari traumi (indicatori clinici) rappresentano un elemento determinante per capire il
danno riportato dai feriti.
Indicatori situazionali
- cadute dall’alto > 5m
- impatto ad alta velocità
- estricazione complessa per gravi danni al veicolo
- proiezione all’esterno del veicolo
- incendio dell’automezzo
- coinvolgimento mezzo pesante
- morte di un passeggero
- esplosioni
- ferite da arma bianca
- ferite da arma da fuoco
- motociclista o ciclista sbalzato

Indicatori clinici:
- ferite penetranti a testa, collo, torace, addome
- trauma toracico
- trauma addominale
- trauma spinale
- trauma cranico
- amputazioni
- ustioni di 2° e 3° grado
- età del ferito (>70 o <5 anni)
La rilevazione di qualsiasi di questi indicatori (in un qualsiasi momento del trattamento, quindi anche nel
corso dello stesso quando la situazione muti e si riveli un indicatore che non era stato possibile individuare

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dall’inizio) presuppone già di per sé un trauma grave e deve essere quindi comunicata tempestivamente
alla C.O.

APPROCCIO AL PAZIENTE
Una volta terminato l’approccio alla scena, è il momento di approcciarsi al paziente traumatizzato. Questo
approccio deve essere eseguito tenendo sempre presenti le dinamiche valutate precedentemente e si
concretizza in una serie di valutazioni del paziente da eseguire in base alle sue condizioni al momento
dell’arrivo dei Soccorritori.

VALUTAZIONE RAPIDA
La Valutazione Rapida deve essere eseguita in tutti i casi nei quali non si abbia rapido accesso alle manovre
di rianimazione (paziente incarcerato, prono, …) e serve per decidere se eseguire le manovre rapide o le
manovre standard.
La manovra viene eseguita in questo ordine:
1. il LM immobilizza la testa del paziente manualmente (C-Spine) e nel caso sia possibile la porta in
posizione neutra;
2. il TL valuta:
a. la coscienza, chiamando il paziente come per svegliarlo;
b. la presenza del respiro, ponendo una mano sul torace;
c. la presenza del polso radiale
3. il TL decide che tipo di manovra eseguire;
4. il Terzo Soccorritore tampona eventuali emorragie massive;
5. il TL, indipendentemente dallo stato di coscienza, ricerca i seguenti traumi e li comunica alla C.O.:
a. lesioni facciali
b. ustioni al volto o alle vie aeree
c. deviazioni della trachea
d. turgore delle giugulari
e. ferite profonde al collo
6. il TL soccorritore posiziona il collare;
7. si procede con la Valutazione Primaria;
Se al punto 2 uno di questi parametri viene a mancare, la squadra dovrà eseguire le manovre necessarie
per porre il paziente in posizione supina nel minor tempo possibile; nel caso dell’incarcerazione si eseguirà
un’estricazione rapida mentre nel paziente prono si eseguirà una prono-supinazione.

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VALUTAZIONE PRIMARIA
La valutazione primaria serve per mettere il paziente in condizioni stabili per essere in seguito
immobilizzato con i presidii adatti e per raccogliere informazioni sullo stato del paziente da comunicare alla
C.O., in modo che essa ci possa indirizzare verso il presidio ospedaliero più adatto o possa, se necessario,
inviarci in appoggio un’ambulanza con professionista a bordo.
Per fare questo occorrono una serie di valutazioni e conseguenti azioni divise in cinque fasi:
Fase A: valutazione dello stato di coscienza, posizione neutra della testa, applicazione del collare cervicale,
pervietà delle vie aeree.
Fase B: valutazione del respiro, somministrazione di ossigeno ed eventuale respirazione artificiale.
Fase C: valutazione della circolazione.
Fase D: valutazione dello stato neurologico.
Fase E: controllo delle lesioni.

Fase A: protezione del rachide cervicale e pervietà delle vie aeree


Il LM si posizionerà alla testa del paziente garantendo l’immobilizzazione della stessa (C-Spine) mentre il TL
valuterà lo stato di coscienza chiamandolo e toccandolo. Se il paziente risulta incosciente, si contatterà la
C.O. e si effettuerà la Fase A così come descritta, passando poi alle fasi B e C del B.L.S. in presenza di trauma.
In ogni caso, a questo punto, il LM darà l’ordine, se necessario, di portare il paziente in posizione supina e
garantirà poi la posizione neutra della testa. In questo momento verrà scoperto il torace e Il Terzo
Soccorritore si preoccuperà di applicare il collare cervicale; quest’ultimo provvederà al controllo della
pervietà delle vie aeree aprendo la bocca del paziente e liberando il cavo orale da qualsiasi cosa lo possa
ostruire (eventualmente inserendo una cannula oro faringea). Poiché un traumatizzato è sempre a rischio
di lesione spinale, per garantire la pervietà delle vie aeree è assolutamente esclusa l’iperestensione del
capo.
Prima di procedere, si effettuerà un rapido controllo alla ricerca di emorragie massive.

Fase B: valutazione e sostegno della respirazione


In caso di paziente cosciente:
Si somministrerà ossigeno ad alti flussi, a seguire il TL procederà all’ OPACS ovvero:
- Osserva il sollevamento del torace alla ricerca di asimmetrie nell’espansione, deformità toraciche e
ferite penetranti
- Palpa cercando gli stessi traumi del punto precedente
- Ascolta eventuali crepitii ossei in concomitanza con l’atto respiratorio
- Conta la frequenza respiratoria valutando la presenza di dispnea, tachipnea (accelerazione del ritmo
respiratorio, attenzione sopra i 20 atti/min), bradipnea (rallentamento del ritmo respiratorio)
- Saturimetria (controllo della) applicando il pulsiossimetro

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In questo modo il TL compone un quadro della qualità del respiro del paziente e della possibile presenza di
trauma toracico. Se il paziente non presenta un respiro efficace si sostiene la respirazione al fine di garantire
al paziente una ventilazione adeguata alle sue condizioni.
In caso di paziente incosciente  B.L.S. e allertamento della C.O. Se dopo il G.A.S. si rileva che il paziente
respira si abbia cura di valutare la qualità del respiro stesso tramite l’OPACS e si applichi comunque ossigeno
ad alti flussi e si prosegua con la Fase C.

Fase C: valutazione e sostegno della circolazione


In caso di paziente cosciente:
Il TL rileva la presenza e, se presente, la frequenza del polso radiale. Se questo è assente (pressione
arteriosa minore di 80mmHg), ricerca il polso carotideo, per rilevarne la frequenza.
Nel frattempo rileva la presenza di importanti emorragie esterne e, in caso di bisogno, coordina la squadra
per praticare l’emostasi. Infine osserva il colorito e la temperatura della cute per raccogliere ulteriori
eventuali indizi dell’insorgenza dello stato di shock emorragico (cute fredda e pallida).
Se si sospetta uno stato di shock, è necessario comunicare immediatamente con la C.O. Da notare che la
ripetizione di alcune delle valutazioni compiute già durante la Valutazione Rapida (ricerca del polso radiale
e di emorragie importanti) è fondamentale e mai trascurabile: in condizioni ambientali difficili (estricazione
complessa), dalla Valutazione Rapida alla Fase C della Valutazione Primaria possono passare anche molti
minuti e, comunque, a prescindere da ciò, il trauma deve essere sempre considerato nel suo aspetto di
patologia evolutiva (che peggiora con il passare del tempo) e in particolare, l’insorgenza di uno stato di
shock durante le valutazioni può impedire nella Fase C il rilevamento del polso radiale che era invece
presente durante la Valutazione Rapida.
In caso di assenza di segni di circolo  B.L.S. e allertamento della C.O.

Fase D: valutazione dello stato neurologico


Questa fase si effettua esclusivamente se, durante le fasi precedenti, sono presenti le funzioni vitali. In caso
contrario, infatti, è necessario continuare con le pratiche di rianimazione del B.L.S. Consiste in una
valutazione della presenza di eventuali danni al Sistema Nervoso Centrale, che vengono rilevati dal TL
attraverso una scala composta da quattro livelli:
A (Alert): il paziente è sveglio, cosciente e reattivo (parla spontaneamente ed è orientato);
V (Verbal): il paziente risponde solo se stimolato verbalmente;
P (Pain): il paziente risponde solo agli stimoli dolorosi (pizzicare un capezzolo);
U (Unresponsive): il paziente non risponde a nessuno stimolo.
Se il paziente è in stato A o V è considerato cosciente e si passa quindi alla Fase E.
Se il paziente è in stato P o U è considerato incosciente: si deve quindi comunicare alla C.O. e tornare alla
Fase A della Valutazione Primaria, proseguendo poi con le pratiche di B.L.S.

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Fase E: controllo delle lesioni


Questa fase si effettua esclusivamente se il paziente è cosciente (stato A o V della valutazione dello stato
neurologico).
Il TL deve accertarsi della presenza di lesioni importanti su tutto il corpo del paziente (emorragie minori,
fratture, lacerazioni, lussazioni ecc.), per poterne coordinare il trattamento prima di porre il paziente sulla
tavola spinale.
Durante questa fase potrebbe essere necessario spogliare il paziente ed è quindi fondamentale tenere
presente le condizioni atmosferiche in cui ci si trova ad operare (freddo, vento, pioggia, neve ecc.) e le
condizioni del paziente (shock, ustioni, ferite multiple) per scongiurare il rischio di ipotermia.
In caso di riconoscimento di emorragie non rilevate durante le valutazioni precedenti sarà necessario
trattarle con tutti gli accorgimenti del caso: tamponamento e, se necessario, utilizzo del laccio emostatico.
In caso di fratture agli arti superiori o inferiori sarà necessario applicare le steccobende, così come spiegato
nel prossimo capitolo.
Una volta trattate le lesioni riscontrate, il LM coordinerà il roll-over per porre il paziente sulla tavola spinale.
Da qui, il TL procederà a rivalutazione continua delle fasi A, B, C e D della Valutazione Primaria e effettuerà
l’esame testa-piedi per una valutazione complessiva più dettagliata.

VALUTAZIONE SECONDARIA
L’esame testa-piedi consiste nel controllo del paziente dalla testa ai piedi, attraverso osservazione e
palpazione, alla ricerca di lesioni minori sfuggite alla Valutazione Primaria. Si effettua dopo essersi cambiati
i guanti, per evidenziare con la palpazione eventuali piccole emorragie.
Testa
Ricercare lacerazioni, contusioni segni di fratture delle ossa craniche, traumi penetranti.
Controllare segni clinici di fratture della base cranica: ematoma del mastoide (segno di Battle), ematoma
peri-orbitale (segno del procione), otorragia, otoliquorrea.
Collo
Ricercare lesioni dei tessuti molli, ferite penetranti, ematomi pulsanti, enfisema sottocutaneo, turgore delle
giugulari.
Esame neurologico per ricercare segni di lesioni midollari.
Torace
Ricontrollare frequenza respiratoria.
Ricercare eventuali lesioni, enfisema sottocutaneo, fratture costali, asimmetria del torace, volet costale,
ferite penetranti.

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Addome
Verificare dolorabilità, resistenza, ferite penetranti, ecchimosi, ematomi.
Bacino
Ricercare fratture del bacino esercitando una pressione simmetrica sulle ossa iliache per rilevare dolore e
scricchiolii.
Genitali
Ricercare segni di lesione diretta, ematomi, ferite penetranti, emorragie, priapismo.
Arti:
Cercare ferite, fratture, segni di lesione di vasi.

CENTRALIZZAZIONE
Terminata la valutazione secondaria si procede alla messa in opera dell’immobilizzazione completa del
paziente con tutti i presidi necessari (in particolare si applicherà il ragno) e alla comunicazione alla C.O.
delle informazioni che abbiamo raccolto sullo stato del paziente durante tutte le valutazioni compiute:
- dinamica del trauma;
- stato di coscienza;
- presenza, tipo, frequenza del respiro e saturazione;
- presenza di eventuale trauma toracico;
- presenza e frequenza del polso radiale o carotideo;
- presenza di eventuali emorragie importanti o sintomi di shock;
- stato neurologico del paziente (A, V, P, U);
- presenza di eventuali lesioni importanti (fratture, lussazioni ecc.);
- breve e sintetica anamnesi del paziente.

Visto che le patologie di origine traumatica sono soggette a rapide ed improvvise evoluzioni in senso negativo,
durante il trasporto si effettueranno le valutazioni A, B, C e D in maniera continua fino alla consegna del
paziente al personale ospedaliero.

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DIAGRAMMI RIEPILOGATIVI

Approccio al traumatizzato

Approccio al traumatizzato incarcerato

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S.V.T. (SUPPORTO VITALE AL TRAUMA) – MANOVRE

Dopo aver compiuto la Valutazione Rapida, la squadra di soccorso dovrà portare il paziente in posizione
supina per permettere al TL di compiere la Valutazione Primaria. Questo risultato si ottiene, a seconda della
posizione e dello stato di salute del paziente, attraverso diverse manovre atte a mantenere l’allineamento
della colonna vertebrale del paziente e che vengono dette manovre di mobilizzazione. Sono:

 rimozione del casco (quando presente)


 immobilizzazione della testa e applicazione del collare cervicale
 estricazione (tramite KED o tramite asse spinale)
 prono-supinazione (semplice o su spinale)
 caricamento su asse spinale (da prono o da posizione eretta)

Durante la Fase A della Valutazione Primaria si dovrà utilizzare il primo dispositivo di immobilizzazione: il
collare cervicale; alla fine della Fase E della Valutazione Primaria si dovranno applicare eventuali
steccobende e si dovrà immobilizzare il paziente sull’asse spinale con il ragno.

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RIMOZIONE DEL CASCO

Tutte le manovre di rimozione del casco dovranno essere effettuate con delicatezza, senza variare la
posizione del rachide cervicale. L’obiettivo è quello di rimuovere il casco (motociclistico, da lavoro, etc.) nel
paziente traumatizzato in modo da non esporre a rischi il rachide cervicale e rendere le vie aeree disponibili
per eventuali manovre; rendere immobilizzabile il paziente su asse spinale.
La manovra deve essere eseguita da almeno due soccorritori con paziente in posizione supina; nel caso di
paziente in posizione prona si dovrà preventivamente riportarlo in posizione supina tramite la manovra di
prono-supinazione (vedi paragrafi successivi). Avvisare il paziente prima di ogni manovra per evitare
movimenti bruschi.

Il LM mantiene la posizione neutra della testa afferrando


il casco dai lati e dà l’OK al TL che, lateralmente al torace
dell'infortunato, solleva la visiera (se casco integrale),
effettua la Valutazione Rapida e toglie eventuali oggetti
(occhiali, microfoni) che possano impedire la manovra di
estrazione del casco. Successivamente provvede a
slacciare o tagliare il cinturino del casco.

Con il casco libero da ostacoli che lo potrebbero trattenere


alla testa del paziente, il TL passa le mani sotto al casco per
afferrare con una l’occipite e gli zigomi e con l’altra, con il
pollice e l'indice a reggere la regione occipitale e il palmo
della mano a sostenere la colonna cervicale.

La mano sull’occipite deve essere posizionata in modo che


le prime tre dita aperte a ventaglio sostengano la testa
quando il casco verrà rimosso, evitando l’estensione della
stessa.

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All’OK del TL il LM comincia a rimuovere il casco con movimenti alternati in avanti e indietro in modo da
evitare eccessive sollecitazioni alla testa e avverte il TL prima di rimuovere completamente il casco in modo
che si prepari a sorreggere la testa.

Il casco può essere rimosso quando la piramide


nasale esce quasi completamente dal margine
inferiore della mentoniera. Il LM riprende la
testa in posizione neutra dando modo al TL di
posizionare il collare cervicale e di e procedere
con la Fase A della Valutazione Primaria.

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IMMOBILIZZAZIONE DELLA TESTA E APPLICAZIONE DEL COLLARE CERVICALE


L’obiettivo dell’immobilizzazione della testa è quello di mantenere l’allineamento del rachide cervicale nel
paziente vittima di un trauma. L’utilizzo del collare cervicale è obbligatorio i tutti i pazienti traumatizzati ad
eccezione dei feriti da arma da taglio (a meno che le ferite non riguardino ovviamente la regione del collo).
Il collare può essere sia monovalva che bivalva.
Paziente supino
Il LM mantiene da dietro la posizione neutra spiegando al
paziente (se cosciente) cosa verrà fatto. Il TL posiziona il
collare monovalva impugnandolo per la zona del mento e
facendo passare la parte posteriore da dietro la nuca
avendo cura di evitare sia i capelli lunghi che i colli di giacche
o giacconi e possibilmente anche pinze fermacapelli e
collane.
Una volta passato il collare, sempre il TL provvede a
stringere la chiusura a velcro serrando in modo adeguato il
collare attorno al collo.

Per valutare se il collare è correttamente stretto, dobbiamo far parlare il paziente (se cosciente) e verificare
l’impossibilità di muovere la mandibola. In ogni caso, non deve essere possibile inserire un dito tra il collo
ed il collare.
Per l’inserimento del collare bivalve, il LM mantiene la testa in posizione neutra mentre il TL posiziona la
parte anteriore del collare.

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Successivamente il TL inserisce la parte posteriore e la chiude sempre con il velcro anteriormente.

Per ambedue i tipi di collare esistono diverse misure (che devono essere presenti in ambulanza), comprese
quelle pediatriche. I collari monovalva sono generalmente adattabili a più misure mediante una levetta di
sblocco che fa alzare la parte anteriore e posteriore del collare. La misura corretta del collare è quella che
deve permettere l’inserimento conservando la posizione neutra della testa, poggiando con il suo margine
inferiore sul giugulo e con il suo margine superiore sulla mandibola anteriormente e sull’occipite
posteriormente. Un collare troppo basso tenderà a far flettere la testa in avanti, mentre uno troppo grande
farà estendere la testa all’indietro. Il solo utilizzo del collare cervicale non garantisce un’adeguata
immobilizzazione del radiale cervicale, perciò il mantenimento del C-spine deve proseguire fino alla
immobilizzazione definitiva con cunei e lacci fermatesta sull’asse spinale.

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Paziente seduto
Il LM si pone posteriormente alla testa dell'infortunato
posizionando le mani ai lati della testa in modo da stabilizzarla.
Successivamente sempre il LM provvede ad allineare il capo
dell'infortunato in posizione neutra (l'asse dello sguardo
dell'infortunato deve formare un angolo di 90° rispetto all'asse
corporeo).
Il TL rimuove gli indumenti che coprono il collo, unitamente ad
orecchini e collane, ed ispeziona rapidamente la regione del collo
alla ricerca di lesioni che richiedono trattamento immediato (es.:
emorragie); prende la misura corretta del collare misurando con le
dita affiancate la distanza tra il mento ed il margine superiore del
muscolo trapezio (base del collo) e rapportando questa misura con
la parte laterale del collare, tra la parte inferiore rigida e un marker
colorato.

Successivamente il TL coadiuvato dal LM spostano delicatamente


il torace del paziente in avanti per facilitare l’inserimento del
collare da parte TL o, se presente, dal Terzo Soccorritore.
Durante tutta la manovra il LM non lascia mai la testa del
paziente, dovendola mantenere anche successivamente e fino
alla completa immobilizzazione del paziente sull’asse spinale.

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ESTRICAZIONE RAPIDA (CON TAVOLA SPINALE)


L’estricazione rapida è la manovra che i Soccorritori devono attuare nei casi di:
- rimozione dall’auto di un paziente che presenti alterazioni di uno o più parametri vitali;
- rimozione dall’auto di un paziente per accedere ad un altro paziente che presenti alterazioni di uno
o più parametri vitali;
- rimozione dall’auto di un paziente in presenza di rischio evolutivo.
L’estricazione rapida deve essere conclusa in 60”. Per la corretta
esecuzione della manovra sono necessari quattro Soccorritori (o tre
Soccorritori più un passante o il parente del paziente). Dopo l’esecuzione
della valutazione rapida (la quale ha quindi portato il TL alla decisione di
eseguire l’estricazione rapida), il LM si posiziona all’esterno della vettura
e mantiene la testa in posizione neutra mentre Il TL disinserisce la chiave
dal quadro, se non già disinserita.

Il Terzo Soccorritore posiziona il collare cervicale entrando dalla parte opposta dell’abitacolo mentre il TL
sposta il paziente delicatamente in avanti per facilitare l’inserimento del collare.

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Mentre il TL e il LM si preparano all’inizio dell’estricazione,


il Terzo Soccorritore si accerta della mobilità degli arti
inferiori del paziente.

Il TL e il LM cominciano la rotazione mentre il Terzo


Soccorritore solleva e ruota gli arti inferiori. A questo punto
il Quarto Soccorritore (o un passante, o il parente del
paziente) aiuta l’estricazione del paziente inserendo l’asse
spinale tra il sedile e i glutei del paziente. Quindi, mentre il
Quarto Soccorritore (o un passante, o il parente del
paziente) tiene saldamente l’asse spinale, e il LM mantiene
la testa in posizione neutra, il TL e il Terzo Soccorritore
adagiano il paziente sull’asse.

Mentre il Quarto Soccorritore (o un passante, o il parente del


paziente) tiene saldamente l’asse spinale, e il LM mantiene la testa in
posizione neutra, il TL e il Terzo Soccorritore prendono il paziente da
sotto alle ascelle per farlo scivolare sull’asse in modo che la testa arrivi
sul cuscino dell’asse spinale stesso.

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ESTRICAZIONE CONVENZIONALE (CON K.E.D.)


L’obiettivo dell’estricazione convenzionale è quello di rimuovere in sicurezza un ferito dall’auto
immobilizzandolo con un corsetto estricatore (uno dei più diffusi è il Kendrik Extrication Device o K.E.D.).
Per la complessità della manovra e per il tempo necessario al corretto posizionamento del K.E.D.,
l’estricazione convenzionale deve essere riservata a situazioni stabili dal punto di vista della sicurezza dello
scenario e da quello dei parametri vitali del paziente, che non deve, inoltre, presentare lesioni evolutive.
Per poter eseguire l’estricazione convenzionale dobbiamo, inoltre, avere piena accessibilità al mezzo
incidentato, preferendo, in caso contrario, l’estricazione rapida.

La manovra deve essere eseguita in circa 4, 5 minuti. Per la sua corretta esecuzione sono necessari quattro
Soccorritori (o tre Soccorritori più un passante o il parente del paziente).

Il LM entra in auto e mantiene la testa


dell’infortunato in posizione neutra.

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Il TL sposta delicatamente il torace del paziente in avanti per facilitare l’inserimento del collare da parte del
Terzo Soccorritore. Una volta applicato il collare cervicale, il Terzo Soccorritore si porta dal lato del paziente
e si prepara all’inserimento del K.E.D. in modo che l’ala del corsetto risulti piegata verso l’esterno e non si
incastri nello schienale.

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Una volta inserito il K.E.D. fino in fondo al sedile il Terzo Soccorritore apre l’ala piegata e si riporta dalla
parte opposta dell’abitacolo in modo da completare il posizionamento del K.E.D. assieme al TL. Il Terzo
Soccorritore ed il TL adagiano il paziente sul corsetto, fissano la testa con le due cinghie facendole passare
dalla fronte e dalla mentoniera del collare, ed agganciandole incrociate sul velcro del corsetto.

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Se necessario è possibile inserire tra il corsetto e la testa


del paziente l’apposito guancialino di corredo per
mantenere la posizione neutra Il TL e il Terzo Soccorritore
agganciano le cinghie addominali dall’alto verso il basso e
successivamente passano i cosciali sotto le gambe del
paziente e li agganciano stringendoli in modo incrociato.

Nel caso di sospetta frattura del bacino i cosciali vengono


fissati in modo diretto, non incrociato.

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Il TL stringe le cinghie addominali dall’alto verso il basso


avendo cura di rincalzare l’eccesso delle cinghie in modo
da non intralciare le manovre di estricazione.

Il Terzo Soccorritore sposta le gambe dell’infortunato mentre il TL e il LM (uscito dall’abitacolo) cominciano


la manovra di rotazione e di abbassamento del tronco in modo da rendere possibile il superamento del
montante dello sportello.

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Il Quarto Soccorritore (o il
passante, o il parente del
paziente) al momento della
completa rotazione del paziente
inserisce l’asse spinale tra i
glutei e il sedile.

Quando il paziente risulta sdraiato sui sedili, il Terzo Soccorritore si porta dalla parte della testa e aiuta il TL
ad estrarre il paziente mentre il LM continua a tenere la testa per limitarne i movimenti.

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Una volta che la vittima viene adagiata sull’asse spinale, dobbiamo allentare le cinghie cosciali e anche
quelle addominali per facilitare la respirazione.

Non utilizzare mai il K.E.D. per movimentare il paziente, ma solo per steccare la colonna: di norma le
maniglie servono a maneggiare meglio il torace del paziente e non a sollevarlo e/o a trascinarlo.

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PRONO-SUPINAZIONE
La manovra di prono-supinazione (chiamata anche roll-over) ha come obiettivo quello di riportare il
paziente dalla posizione prona, nella quale è stato trovato, alla posizione supina in modo da consentire ai
Soccorritori di poter eseguire la Valutazione Primaria. La prono-supinazione può essere anche eseguita
riportando il paziente in posizione supina direttamente sull’asse spinale, così da renderlo già pronto per la
successiva immobilizzazione e centralizzazione.

Prono-Supinazione semplice (manovra a tre Soccorritori)


Il LM si trova alla testa per garantire il C-spine
inserendo le mani ai lati della testa in modo da
rendere agevole il mantenimento della posizione
neutra durante la manovra. Il TL e il Terzo
Soccorritore si posizionano dalla parte opposta
rispetto a dove guarda il paziente in quanto la
rotazione avverrà dalla parte opposta rispetto a
dove è ruotata la testa. Il TL ed il Terzo
Soccorritore si posizionano di fianco con le mani
incrociate a livello della spalla, del fianco, del
bacino e delle gambe.

Al via del LM il TL e il Terzo Soccorritore iniziano a


ruotare di 90° il paziente.

Durante la manovra il LM completa il


posizionamento della mano che prima si trovava
impossibilitata a tenere il lato della faccia rivolto a
terra.

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P.A. Humanitas Firenze ONLUS - Il Soccorritore di Livello Avanzato

Ripresa in mano la testa, il LM dà il via per completare


il roll-over e adagiare a terra il paziente.

Da notare che le mani dei soccorritori, per adagiare a


terra il ferito si spostano verso la zona posteriore del
paziente per “frenare” la discesa del corpo.

Prono-Supinazione su asse spinale (manovra a quattro Soccorritori o tre Soccorritori più un aiuto esterno)
L’obiettivo di questa variante della prono-supinazione è quella di ruotare il paziente direttamente sull’asse
spinale. Come per la manovra precedentemente descritta occorrono tre Soccorritori più un quarto
Soccorritore o un aiuto esterno (ad esempio un passante o un parente del paziente) che deve inserire al
momento opportuno l’asse spinale.
Arrivati alla fase descritta nella figura accanto il Quarto
Soccorritore (o il passante o il parente del paziente)
inserisce dai piedi del ferito l’asse spinale in modo da
farla scorrere fino alla testa; sarà cura del LM accertare
l’arrivo del cuscino della spinale all’altezza della testa
del paziente.

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P.A. Humanitas Firenze ONLUS - Il Soccorritore di Livello Avanzato

Successivamente il TL e il Terzo Soccorritore spostano la


mano più lontana dalla testa sul fianco e sulla spalla
inferiori mentre le altre due mani afferrano le maniglie
dell’asse spinale e sollevano il ginocchio più vicino alla
testa per poter alzarsi al momento della discesa del
paziente.

A questo punto il LM dà il via per procedere ad una


rapida discesa della spinale e del paziente in terra
mentre i due si allontanano dalla spinale alzandosi in
piedi.

Al termine della manovra potrà essere talvolta


necessario centrare il paziente sull’asse con un
sollevamento a ponte.

Prono-Supinazione su asse spinale (manovra a tre Soccorritori)


L’obiettivo di questa variante della prono-supinazione su asse spinale è quella di ruotare il paziente
direttamente sull’asse spinale quando siano presenti solo Tre Soccorritori e nessun altro aiuto esterno.

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P.A. Humanitas Firenze ONLUS - Il Soccorritore di Livello Avanzato

I Soccorritori si posizionano dalla parte opposta rispetto


a dove guarda il paziente in quanto la rotazione avverrà
dalla parte opposta rispetto a dove è ruotata la testa. Il
LM si posiziona alla testa del ferito inserendo le mani ai
lati della testa in modo da rendere agevole il
mantenimento della posizione neutra durante la
manovra. Il TL ed il Terzo si posizionano poi di lato
avvicinando la tavola al fianco del ferito.

Il TL ed il Terzo si posizionano con le ginocchia sopra la


spinale.

Il TL e il Terzo si posizionano con le mani incrociate a


livello della spalla, del fianco, del bacino e delle gambe,
avendo cura di cingere anche il polso con la mano del
TL.

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P.A. Humanitas Firenze ONLUS - Il Soccorritore di Livello Avanzato

Al via del LM, il TL e il Terzo ruotano di 90° il paziente.

A questo punto il TL ed il Terzo scendono dalla tavola.

Al nuovo via del LM, i 2 Soccorritori portano


il paziente in posizione supina con un
movimento rapido adagiandolo sulla tavola.

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CARICAMENTO SU ASSE SPINALE DA PRONO


La manovra di caricamento su asse spinale (chiamata anche log-roll) ha come obiettivo quello di caricare il
paziente sull’asse spinale una volta che sia stato riportato in posizione supina tramite la manovra di prono-
supinazione. Il caricamento su asse spinale è ovviamente superflua quando sia stata eseguita la manovra
di prono-supinazione direttamente su asse spinale. Per questa manovra occorrono tre Soccorritori più un
quarto Soccorritore o un aiuto esterno (ad esempio un passante o un parente del paziente) che deve
inserire al momento opportuno l’asse spinale.
Caricamento manuale
Dalla posizione neutra con il LM alla testa, il TL e
il Terzo si posizionano al fianco con le mani
incrociate e in modo da bloccare le mani della
vittima.

Al via del LM viene eseguita una rotazione in asse


di 90° ed in questa fase il TL può ispezionare il
dorso del paziente alla ricerca di lesioni.

A questo punto il Quarto Soccorritore (o il


passante o il parente del paziente) inserisce dai
piedi del ferito l’asse spinale in modo da farla
scorrere fino alla testa; sarà cura del LM
accertare l’arrivo del cuscino della spinale
all’altezza della testa del paziente.

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P.A. Humanitas Firenze ONLUS - Il Soccorritore di Livello Avanzato

Al nuovo via del LM, i quattro Soccorritori


riportano il paziente in posizione supina con un
movimento rapido e contrario al precedente.

Al termine della manovra potrà essere talvolta


necessario centrare il paziente sull’asse con un
sollevamento a ponte.

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P.A. Humanitas Firenze ONLUS - Il Soccorritore di Livello Avanzato

Nelle figure seguenti è mostrata la posizione del TL e del Terzo durante il sollevamento a ponte (omesso
per esigenze fotografiche il LM alla testa). E’ mostrata inoltre la pozione delle mani dei Soccorritori per
eseguire il sollevamento a ponte.

Caricamento con Cucchiaio


L’obiettivo di questa variante del caricamento sull’asse spinale è quella di eseguirla senza l’esecuzione della
rotazione a causa di situazioni particolari che ne sconsiglino o ne impediscano la messa in pratica. La
manovra prevede la presenza di tre Soccorritori, e può esporre la testa ed il rachide cervicale a movimenti
soprattutto nelle fasi di chiusura e apertura delle serrature del cucchiaio; per questo motivo è da eseguirsi
con molta attenzione e solamente nei casi di reale necessità.
Il LM mantiene la testa in posizione neutra stando però al
davanti del paziente per non intralciare il TL che dovrà
chiudere il cucchiaio alla sua estremità craniale.

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Una volta che la chiusura del cucchiaio è completata, al via del TL si procede allo spostamento del ferito
sull’asse spinale e sempre mantenendo l’immobilizzazione della testa, alla rimozione del cucchiaio.

CARICAMENTO SU ASSE SPINALE DA POSIZIONE ERETTA


Sebbene raramente utilizzato, il caricamento su spinale del paziente in posizione eretta è comunque da
preferire in senso assoluto al far adagiare a terra il paziente, trovato appunto in piedi, per caricarlo
successivamente con una manovra a terra. Per l’esecuzione della manovra occorrono tre Soccorritori più
un quarto Soccorritore o un aiuto esterno (ad esempio un passante o un parente del paziente) che deve
inserire al momento opportuno l’asse spinale.
Il LM avverte il paziente della manovra che verrà
eseguita e si porta quindi dietro ad esso per mantenere
la testa in posizione neutra dando modo al TL di
posizionare il collare cervicale.

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P.A. Humanitas Firenze ONLUS - Il Soccorritore di Livello Avanzato

A questo punto il Quarto Soccorritore (o il passante, o il parente del


paziente) inserisce lateralmente e in obliquo l’asse spinale facendo
attenzione a non colpire il paziente.

Il TL ed il Terzo Soccorritore centrano l’asse spinale sul paziente e


passano il loro braccio interno sotto l’ascella del paziente e
afferrano con la stessa mano la maniglia dell’asse spinale.

Con il braccio esterno afferrano la spalla del paziente.

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P.A. Humanitas Firenze ONLUS - Il Soccorritore di Livello Avanzato

Con il piede interno puntellano la base dell’asse spinale per


evitare che essa scivoli improvvisamente nella fase di
discesa.
Il LM si mantiene dietro il paziente e dietro l’asse spinale. Al
via del LM si esegue una lenta discesa spingendo il paziente
verso l’asse spinale e mantenendo puntellata la base
dell’asse con il piede interno mentre gradualmente il TL ed
il Terzo Soccorritore si portano di lato all’asse e si piegano
verso terra e il LM indietreggia piegandosi
contemporaneamente verso il basso.

Alla fine della manovra il paziente si trova sull’asse spinale e


può essere necessario riportarlo più in alto o più in basso
lungo l’asse spinale (a seconda che il paziente sia basso o
alto, rispettivamente) facendolo scivolare sull’asse con il LM
che mantiene la posizione neutra della testa.

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FISSAGGIO DEL PAZIENTE ALL’ASSE SPINALE


Una volta che abbiamo ottenuto la posizione supina del paziente sull’asse spinale l’obiettivo ora è quello di
assicurare il paziente sull’asse spinale in modo da garantire l’allineamento testa, collo, tronco e rendere
possibili movimenti di rotazione sull’asse maggiore e sull’asse minore della tavola senza arrecare danni al
paziente. Al tempo stesso, consente una adeguata protezione termica durante il trasporto e la
centralizzazione.
Il LM continua a mantenere la posizione neutra
mentre il TL posiziona i cunei fermatesta fissandoli
sul cuscino dell’asse spinale.

A questo punto il TL posiziona le cinghie per fissare


la testa facendole passare sulla fronte e sulla
mentoniera del collare, serrando e fermando
ciascuna di esse in modo contemporaneo da
entrambi i lati per non spostare la testa del
paziente.

I lacci devono essere passati attraverso gli anelli


di fissaggio posti in genere sul cuscino e poi
ribattuti anteriormente su se stessi.

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La fase successiva prevede il posizionamento delle cinghie per il tronco e per gli arti (generalmente
chiamate “ragno”). LM e TL, aiutati da eventuali Terzo e Quarto Soccorritore, collaborano a distendere le
cinghie sul paziente, tenendo conto che esiste un davanti ed un dietro del ragno (generalmente
individuabile leggendo semplicemente le scritte su di esso) e spostando le cinghie laterali in modo che si
trovino ognuna alla giusta altezza per poter essere passate a livello delle spalle, del torace, del bacino, delle
cosce e dei piedi. Fatto questo, i due soccorritori l’uno di fronte all’altro, passano ogni cinghia sotto la
corrispondente maniglia e la riportano a chiudere sulla linea mediana con il velcro.
La sequenza di serraggio delle cinghie del ragno è la seguente:

1) Cinghia delle spalle: deve passare sopra le spalle della vittima.


2) Cinghia toracica.
3) Cinghia del bacino: deve essere passata sul bacino a meno che non vi sia una frattura del collo del
femore, nel qual caso è consigliato spostarla a monte della frattura stessa; questa cinghia dovrebbe,
al suo ritorno verso la linea mediana, circondare i polsi del paziente, soprattutto se è incosciente o
molto agitato, per evitare che gli arti superiori cadano durante il trasporto o siano di intralcio
durante le manovre.
4) Cinghia delle gambe.
5) Cinghia dei piedi: è l’ultima cinghia e deve essere subito stretta in modo da non doverci ritornare.

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P.A. Humanitas Firenze ONLUS - Il Soccorritore di Livello Avanzato

Per stringere le cinghie è consigliato spostarsi al di sopra del


paziente in modo da poter esercitare una trazione uguale e
simmetrica delle due parti, destra e sinistra come per le
cinghie fermatesta. A questo punto dobbiamo passare a
stringere le altre quattro cinghie in modo simmetrico e nello
stesso ordine con il quale le abbiamo agganciate, ovverosia
quella alle spalle, al bacino, al torace e infine alle gambe.

Dobbiamo fare attenzione al


posizionamento delle cinghie toracica (nella
donna) e del bacino (nell’uomo) perché la
prima deve essere passata sotto i seni o ben
al di sopra e la seconda non deve passare
sopra i genitali ma deve essere fermata a
livello della cintura.

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Di grande importanza è il posizionamento di una metallina


(con la parte argentata a contatto diretto con il corpo) prima
di posizionare il ragno (omessa nelle foto per esigenze
fotografiche) in modo da proteggere dalla dispersione
termica
il paziente traumatizzato.

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IMMOBILIZZAZIONE DEGLI ARTI


L’immobilizzazione di un arto ha lo scopo di impedire allo stesso di muoversi sia a livello della eventuale
rima di frattura che a livello delle articolazioni fisiologiche che permettono all’arto di muoversi. Per questo
motivo, l’immobilizzazione per essere efficace deve comprendere l’articolazione a monte e quella a valle
della frattura. La modalità di esecuzione varia a seconda di quale sia l’arto da immobilizzare ma soprattutto
in base al livello della lesione. Per le lesioni della gamba e dell’avambraccio, il metodo più utilizzato è quello
della steccobenda. Essa può essere una steccobenda semplice, una steccobenda a depressione o una
pneumostecca. In ogni caso necessitano almeno due Soccorritori per il loro posizionamento.

IMMOBILIZZAZIONE DI UN ARTO
Un Soccorritore mantiene l’arto in asse, esercitando una
lieve ma costante trazione su di esso come illustrato.

Contemporaneamente solleva leggermente l’arto in


modo da rendere possibile un agevole
posizionamento della steccobenda al di sotto
dell’arto con i lacci verso l’interno ed il velcro verso
l’esterno. Il soccorritore che ha posizionato la steccobenda procede quindi alla chiusura dei lacci avendo
cura di evitare il passaggio diretto del laccio su una eventuale frattura esposta. A questo punto, nel caso
della steccobenda a depressione, il soccorritore deputato alla trazione dell’arto si occupa della pompa per
sgonfiare la steccobenda, mentre l’altro soccorritore modella mano a mano sul paziente lo sgonfiaggio.
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A posizionamento ultimato è buona norma


valutare la presenza dei polsi periferici, ad
esempio il pedidio per l’arto inferiore ed il
radiale per quello superiore, assicurandosi
così di non aver gonfiato troppo la stecca
evitando compressioni arteriose.

Nel caso del posizionamento di una steccobenda


rigida la manovra è simile a quella
precedentemente descritta con in più il
posizionamento di un cuscino sopra l’arto prima
della chiusura delle strisce di velcro.

Le modalità di esecuzione non cambiano nella sostanza per l’immobilizzazione di un arto superiore.

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IMMOBILIZZAZIONE PER LA FRATTURA DI FEMORE


In questa evenienza l’uso della steccobenda è di scarsa o nulla
efficacia e può addirittura essere deleterio. Una possibile
modalità di trasporto è quella sull’asse spinale: dobbiamo
considerare che già il posizionamento dell’asse insieme a
quello del ragno, garantisce una discreta stabilità dell’arto leso.
In aggiunta a questo, se le condizioni del ferito sono stabili e
non vi sono altre lesioni che rendono il paziente un
politraumatizzato, possiamo adottare la seguente tecnica di
immobilizzazione che serve a ridurre il rischio di movimento
dell’arto e della rima di frattura, riducendo sia l’incidenza di
lesioni vascolari e nervose che il dolore.

Per la sua esecuzione sono necessari tre Soccorritori.

Mentre il LM se necessario mantiene la posizione


neutra, il TL ripiegata un’ala del corsetto lo
posiziona di fianco al paziente, accanto all’arto
fratturato. Successivamente i tre Soccorritori
eseguono una rotazione in asse ruotando
l’infortunato sulla gamba sana e inseriscono il
corsetto precedentemente preparato.

Riportato in posizione supina estraggono l’ala da sotto


il paziente e, inserito il cuscino del corsetto tra le
gambe, cominciano a chiudere le cinghie dall’alto
verso il basso.

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Se vi è un altro Soccorritore, durante l’intera manovra esso


può mantenere leggermente in trazione dalla caviglia l’arto
fratturato per evitare eventuali movimenti dei monconi ossei.

L’ultima parte della manovra prevede la chiusura della parte


distale del corsetto con i lacci fermatesta per bloccare
l’articolazione del ginocchio.

STABILIZZAZIONE DELLA FRATTURA DI BACINO


L’obiettivo è quello di stabilizzare il bacino che ha subito una frattura. La stabilizzazione esterna della
frattura di bacino può essere di grande importanza in quanto oltre a essere una manovra antalgica
rappresenta un efficace metodo di emostasi. Le fratture del bacino sono, infatti, a grande rischio di
sanguinamento e possono determinare shock emorragico. La sua modalità di esecuzione prevede tre
Soccorritori.

Mentre il LM si occupa della posizione neutra della testa il TL e il Terzo Soccorritore posizionano il paziente
sul cucchiaio e preparano sull’asse spinale il K.E.D. già aperto.

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A questo punto il paziente viene posizionato


sull’asse spinale e viene rimosso il cucchiaio.

Il TL e il Terzo Soccorritore cominciano la chiusura


delle cinghie stringendole in modo deciso.

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Per completare l’immobilizzazione è


necessario allacciare anche i lacci
fermatesta a livello delle gambe. A
questo è possibile completare
l’immobilizzazione sulla tavola spinale.
La fissazione esterna sulla scena di una
frattura di bacino si è rivelata di
potenziale beneficio per quanto
riguarda il controllo dell’emorragia che
può essere estremamente copiosa in
alcuni tipi di frattura. Questo tipo di
manovra intrapresa precocemente sulla
scena favorisce, riaffacciando le rime di
frattura, l’emostasi tramite la coagulazione.
Per evitare che i coaguli eventualmente formati vengano rimossi, è importante evitare la mobilizzazione
del bacino: per questa ragione la palpazione del bacino durante la valutazione primaria e secondaria sono
state sempre più messe in discussione in quanto faciliterebbero la rimozione di detti coaguli e la ripresa del
sanguinamento.

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SUPPORTO ALL’A.L.S. (ADVANCED LIFE SUPPORT)

Gli obiettivi del Supporto all’A.L.S. sono:


- ottenere un ritorno spontaneo del circolo;
- mantenere un ritmo cardiaco efficace (prevenzione del ri-arresto);
- garantire il supporto dei parametri vitali;
- preservare l’integrità dell’encefalo tramite l’arginamento del danno anossico cerebrale.
Le manovre e i presidi contemplati dall’A.L.S. sono molteplici, e devono essere tutte conosciute dal
Soccorritore di Livello Avanzato che deve coadiuvare il Medico o l’Infermiere nell’esecuzione delle manovre
stesse. Esse sono:

INTUBAZIONE ENDOTRACHEALE
L’intubazione endotracheale rientra nelle misure di soccorso “specialistico” (insieme alla defibrillazione e
alla creazione di un accesso endovenoso) effettuate dal Medico. L’intubazione consiste nell’introdurre in
trachea un tubo che permette una facile e corretta ventilazione.
Compito del volontario del soccorso è quello di saper dare un supporto adeguato alle manovre del
professionista.

I vantaggi di questo sistema


- Una ventilazione più agevole perché la pervietà delle vie aeree è garantita dal tubo
- Una ventilazione più sicura perché il tubo endotracheale isola la trachea dall’esofago, quindi
eventuali rigurgiti non sono inalati
- La possibilità di ventilare con il “va e vieni”, quindi con alte percentuali di circa il 100% d’ossigeno
- La possibilità di aspirare agevolmente la trachea e i bronchi
- La possibilità di somministrare farmaci direttamente nei polmoni, dove l’assorbimento sarà più
efficace (ad es. l’adrenalina);

Materiale occorrente per l’intubazione


- LARINGOSCOPIO
- TUBO ENDOTRACHEALE
- PINZA DI MAGILL
- MANDRINO
- SIRINGA DA 20Ml
- CATETERE DI MOUNT
- FONTE D’OSSIGENO (AMBU o va e vieni attaccati alla bombola o respiratore automatico)
- CEROTTO
- FONENDOSCOPIO
- CANNULA OROFARINGEA (Guedel/Mayo)
- ASPIRATORE
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Laringoscopio (di MacIntosh): è uno strumento composto da


un manico, con attacco a baionetta, e da lame di 4 misure
(1, 2, 3, 4, in ordine crescente). Questo strumento permette
al Medico di scansare la lingua del paziente e di illuminargli
la cavità orale. All’interno del manico sono alloggiate le
batterie che forniscono l’energia per la lampadina in cima
alla lama. Il Laringoscopio deve essere passato al
professionista già montato con la lama della misura
richiesta.

Tubo Endotracheale: è un tubo di gomma semirigida di diverse


misure. Ad un’estremità vi è il raccordo per la ventilazione e la
valvola per cuffiare; all’altra la camera d’aria (cuffia) per mantenere
il tubo nella corretta posizione ed isolare le vie aeree (le misure più
usate sono 7-7.5 per le donne e 7.5-8 per gli uomini).
Mandrino: è una guida semirigida che inserita nel tubo
endotracheale permette di modellarlo per un inserimento più
agevole; nel caso sia utilizzato il tubo endotracheale viene detto “mandrinato”.

Pinza di Magill: è una pinza incurvata che serve per agevolare l’introduzione del
tubo endotracheale e/o per estrarre dalla cavità orale eventuali corpi estranei,
senza limitare il campo visivo dell’operatore.

Fonendoscopio: serve al Medico per controllare che il tubo endotracheale sia inserito
in trachea e non nel bronco destro (perché così fornirebbe aria solo al polmone
destro) o, peggio ancora, nell’esofago. Il Medico, mentre ausculta il torace del
paziente, chiederà al Volontario di effettuare qualche ventilazione.

Siringa da 20 ml.: serve per cuffiare (gonfiare), al di sotto delle corde vocali, la camera d’aria del tubo
endotracheale, rendendolo stabile e sigillando le vie aeree.

Cerotto: serve per bloccare il tubo endotracheale al volto del paziente. Il metodo di fissazione più usato
consiste nel prendere una striscia di cerotto di circa 40 cm; il punto medio del cerotto si attacca al tubo
endotracheale e le due estremità si fanno girare sul tubo (meglio se più di una volta) e si attaccano sulle
guance.
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Catetere Mount: è un tubo corrugato che serve per raccordare il tubo


endotracheale ai sistemi di ossigenazione; inoltre in prossimità
dell’attacco al tubo endotracheale ha un tappo che permette la
somministrazione dei farmaci direttamente nei polmoni e l’aspirazione
tracheale.

Cannula orofaringea (di Guedel/Mayo): inserita fra i denti, serve per


garantire l’integrità del tubo endotracheale che potrebbe essere
compromessa da eventuali movimenti spasmodici del paziente.

Sequenza passaggio materiale obbligatorio


1. Laringoscopio
2. Tubo endotracheale con mandrino inserito
3. Siringa per cuffiare
4. Pallone AMBU con catetere di Mount
5. Fonendoscopio
6. Cerotto
7. Ventilazione controllata con pallone AMBU e fonte d’O2

Sequenza passaggio ulteriore materiale e/o azioni eventualmente richieste

1. Pinza di Magill e/o aspiratore


2. Ulteriore cuffiaggio per provare la tenuta del palloncino
3. Pressione sulla cricoide per facilitare l’inserimento del tubo (manovra di Sellik)
4. Eventuale scuffiaggio e nuovo posizionamento del tubo
5. Inserimento cannula orofaringea
6. Va e Vieni o Respiratore automatico

Precisazioni
In un paziente intubato che necessita anche di massaggio cardiaco non vale più la regola di 30 compressioni
e 2 insufflazioni. Il Volontario che massaggia effettuerà continuamente delle compressioni, senza fermarsi,
con un ritmo di 100 compressioni al minuto (cioè quasi 2 compressioni al secondo); il Volontario che ventila
effettuerà continuamente delle insufflazioni, senza fermarsi, con un ritmo di 20 insufflazioni al minuto (cioè
1 insufflazione ogni 3 secondi). Quando si controlla l’attrezzatura in ambulanza, è bene controllare anche
la funzionalità della lampadina di ogni lama del laringoscopio, montando la lama sul manico. Esiste
ovviamente anche un laringoscopio pediatrico. Questo possiede due tipi di lame: curve (come quelle
dell’adulto, ma più piccole) e piatte (anch’esse di diverse misure).

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PRESIDI SPECIFICI PER LA RESPIRAZIONE ARTIFICIALE


Nelle dotazioni dell’A.L.S. vi sono due presidi specifici per aiutare la respirazione artificiale: il “va e vieni” e
la “maschera Venturi”.
Il “va e vieni” consiste in un “pallone” o meglio in un
“sacco di gomma” non autoespandibile che
necessita, per il suo utilizzo, di essere collegato ad
una fonte di gas (in genere Ossigeno). Il gas,
entrando nel pallone, lo gonfia consentendo
all’operatore, attraverso una compressione
manuale dello stesso, di insufflare aria nei polmoni.
Come per il pallone autoespandibile (AMBU), può
essere collegato a varie interfacce (tubo
endotracheale, maschera facciale ecc.) ma a
differenza di quest’ultimo non dispone di valvole
unidirezionali ma solo di una valvola (valvola
Marangoni) per modulare la pressione della miscela di gas che viene insufflata nei polmoni. L’utilizzo di
questo presidio comporta un certo rebreathing (ri-respiro di aria espirata) in quanto la riespansione del
pallone avviene in parte attraverso la fonte di gas a cui è collegato ma anche attraverso l’aria espirata dal
paziente con un rischio di accumulo di anidride carbonica (CO2).

La “maschera di Venturi” è una maschera dotata di più


valvole intercambiabili preregolate che sfrutta il principio
fisico del paradosso idrodinamico, meglio conosciuto come
principio di Venturi. Attraverso le valvole è possibile
stabilire la percentuale di ossigeno dell'aria miscelata che
arriverà alla maschera (per essere inspirata), da un minimo
del 24% (contro il 21% dell'aria ambiente) ad un massimo
del 50%.

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ACCESSO VENOSO PERIFERICO


L’accesso venoso periferico è prescritto dal medico intervenuto sul Servizio in tutti quei casi in cui sia necessario
procedere alla somministrazione di farmaci per via endovenosa. In quanto Soccorritori di Livello Avanzato il nostro
compito in questo caso è esclusivamente quello di conoscere gli strumenti necessari e, se richiesto, di passarli al
professionista nella corretta sequenza.

- Laccio emostatico
- Garza imbevuta di disinfettante
- Ago cannula (misure da 22 a 14 a seconda della richiesta)
- Cerotto (normale o Tegaderm a seconda della richiesta)
- Eventuale rubinetto a tre vie

PREPARAZIONE DI UNA FLEBO


Successivamente o contemporaneamente alla preparazione da parte del professionista dell’accesso accesso venoso
periferico, può essere richiesto al Soccorritore di Livello Avanzato di preparare la flebo. Il materiale occorrente per
la sua preparazione è:

- Flacone di fisiologica, di glucosio, o altra sacca indicata dal medico


- Deflussore (normale o Dial Flow)

La sequenza di preparazione è la seguente:

- Apertura del flacone tramite la rimozione della protezione su uno dei due accessi
- Apertura del deflussore e suo inserimento nell’accesso del flacone tramite il beccuccio a punta
- Apertura della valvola del deflussore posta sul beccuccio
- Pompaggio del serbatoio fino al suo parziale riempimento col liquido
- Apertura del cursore di deflusso fino a quando il liquido non esce dalla parte opposta del deflussore, a quel
punto richiudere subito il cursore di deflusso e avvertire il professionista che la flebo è pronta.

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UTILIZZO DEI FARMACI NELL’A.L.S.


L'utilizzo dei farmaci rappresenta un momento fondamentale che differenzia l’A.L.S. dal Supporto Vitale di Base. La
loro prescrizione è a esclusivo appannaggio del medico; la somministrazione a esclusivo appannaggio del medico o
dell’infermiere. In quanto Soccorritori di Livello Avanzato dobbiamo conoscere i farmaci più comuni e la loro
preparazione per fornire un supporto essenziale all'intervento.

I farmaci più comuni utilizzati sul Servizio e la loro somministrazione sono:

- Per via inalatoria (Ossigeno, Aerosol): Clenil, Ventolin, Oxivent, …


- Per via endovenosa (Bolo, Infusione continua): Adrenalina, Atropina, Lidocaina, Narcan, Lasix, …
- Per via orale: Cardioaspirina, Valium, …
- Per via intramuscolare: Antidolorifici, …
- Per via endotracheale: Adrenalina, …
- Per via sublinguale: Carvasin, Adalat, …
- Per via sottocutanea: Adrenalina diluita, …
- Per via rettale (pediatrica): Valium, …
- Per via Intraossea (durante i tentativi di ripresa di un ACR): Adrenalina, …

Le regole per la preparazione dei farmaci da parte di un Soccorritore di Livello Avanzato sono:

- Non essere troppo sicuri


- Comprensione del nome del farmaco
- Individuazione del farmaco
- Corretta preparazione (diluizione)
- Evitare lo scambio dei farmaci (segnare sempre il nome sulla siringa o sulla flebo)
- Non essere troppo sicuri (ancora una volta)
- In caso di dubbio chiedere sempre al professionista senza la paura di passare per incompetenti, noi NON
SIAMO TENUTI A CONOSCERLI.

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ELETTROMEDICALI

PULSIOSSIMETRO
Il pulsiossimetro (o pulsossimetro o ossimetro o saturimetro) è
un'apparecchiatura medica, basata su una tecnologia che permette di
misurare la quantità di emoglobina legata nel sangue in maniera non
invasiva. Non permette di stabilire con quale gas è legata
l'emoglobina, ma solo la percentuale di emoglobina legata.
Normalmente l'emoglobina lega l'ossigeno, per cui possiamo ottenere
una stima della quantità di ossigeno presente nel sangue.
E’ formato da una sonda che effettua la misurazione e da un'unità che
calcola e visualizza il risultato della misurazione. La sonda è costituita
da una "pinza" che viene applicata generalmente al dito del paziente.
Questa è collegata con l'unità di calcolo che visualizza la misurazione
tramite un monitor. Questo strumento permette di visualizzare la
saturazione (emoglobina legata), la frequenza cardiaca e l'intensità
della pulsazione (barra verticale); alcuni modelli permettono anche di
vedere il tracciato/andamento della pulsazione (curva pletismografica).
La sonda si applica generalmente in una zona pervasa da una circolazione superficiale, come il dito di una
mano (se è presente dello smalto sarebbe bene toglierlo perché può falsare la lettura) o il lobo di un
orecchio, questo perché una circolazione posta troppo in "profondità" non può essere raggiunta ed
attraversata dai fasci di luce e quindi la misurazione non può essere effettuata. Se si utilizza un
pulsiossimetro con la sonda separata dall'unità di calcolo, è preferibile disporre la pinza con il cavo uscente
verso il dorso della mano e non verso il palmo, in modo che questa possa essere chiusa senza che il cavo
subisca pieghe eccessive, altrimenti è indifferente. Ad ogni battito cardiaco è possibile visualizzare la
saturazione dell'ossigeno, la frequenza e l'intensità del polso del paziente.
Una misurazione fisiologica della saturazione si attesta tra:
- sopra il 96% sono considerati valori normali di O2;
- tra il 95 e il 93% sono indicativi di possibili problemi di ossigenazione ovvero una parziale assenza
dell'ossigeno (lieve ipossia);
- tra il 92 e il 90% sono indicativi di ossigenazione insufficiente ed è consigliabile l’utilizzo
dell’Ossigeno nella misura massima somministrabile di sua iniziativa da un Soccorritore dei 4
litri/minuto (ovviamente non stiamo parlando del trovarsi nel protocollo del BSL che prevede gli alti
flussi); certe volte anche valori intorno al 90% possono risultare normali: è il caso di persone affette
da broncopneumopatie croniche ostruttive (BPCO);
- al di sotto del 90% non sono fisiologici ed indicano una severa deficienza di ossigeno (grave ipossia)
ed è perentorio l’utilizzo dell’Ossigeno nella misura massima somministrabile di sua iniziativa da un
Soccorritore dei 4 litri/minuto (ovviamente non stiamo parlando del trovarsi nel protocollo del BSL
che prevede gli alti flussi); la Centrale Operativa, che dovrà essere allertata, potrà dare
l’autorizzazione di somministrare una maggiore quantità per minuto;
- il valore del 100% misurato "in aria ambiente" (cioè senza somministrazione artificiale di ossigeno)
può essere sintomo di iperventilazione, che può essere dovuta, per esempio, ad attacchi di panico.
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L'utilizzo in condizioni non ottimali può portare ad errori di lettura che possono falsare i risultati
visualizzati. In particolare:
- lo smalto per unghie scherma le lunghezze d'onda generate dalla sonda, rendendo imprecisa la
misurazione;
- la vasocostrizione (cioè la diminuzione del calibro dei vasi sanguigni) dei distretti periferici, come
per esempio quella delle dita, portano a una diminuzione del flusso sanguigno rilevabile dalla sonda,
che quindi elabora dati falsati, rendendo difficile la lettura;
- il pulsiossimetro permette di conoscere solamente la percentuale di saturazione dell'emoglobina,
mentre non rivela informazioni su quale gas sia legato: questo può portare a un'errata
interpretazione dei dati. Per esempio, in una intossicazione da monossido di carbonio, la quantità di
emoglobina legata rimane comunque elevata, perché il monossido di carbonio presenta un'affinità
per l'emoglobina molto più alta rispetto all'ossigeno. L'emoglobina si lega quindi al monossido di
carbonio invece che all'ossigeno, che così non viene più trasportato ai tessuti. In questi casi la
saturazione indicherà un valore normale, mentre in realtà il paziente potrà perdere i sensi molto
velocemente a causa dell'ipossia causata dal monossido di carbonio. Il problema di fondo è che il
saturimetro non riesce a distinguere la ossiemoglobina (ossigeno legato all'emoglobina) dalla
carbossiemoglobina;
- ipotensione: la lettura diventa via via meno affidabile quando si scende sotto i 55-60mmHg di
sistolica
- temperatura corporea: sotto i 35°C si verifica una riduzione della lettura dell'apparecchio;
- movimenti della persona: possono creare mancate letture dell'onda pulsatile che non riesce a
verificarne la forma.

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ASPIRATORE PORTATILE
L’aspiratore portatile non è altro che una pompa a vuoto che, complete di sondini di aspirazione di varie
misure collegati tramite raccordo a Y, consente l’aspirazione con minimo rischio delle secrezioni per
rimuovere sangue, saliva o vomito che, presenti nelle vie aeree superiori, rendono difficoltosa se non
impossibile la respirazione del paziente.
Il principio è lo stesso di un comune aspirapolvere: un motore crea una pressione negativa all'interno di un
contenitore a cui è collegato un tubo in gomma. All'estremo del tubo deve essere applicata un sondino
orofaringeo sterile da scartare e utilizzare nel momento del bisogno. In base alle dimensioni delle vie aeree
del paziente deve essere scelto il sondino adatto, identificabile tramite i diversi colori delle estremità. Per
praticità, spesso viene utilizzata la stessa serie di colori (in rapporto alle dimensioni) delle cannule
orofaringee.

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MONITOR DEFIBRILLATORE “LIFEPACK”


In quanto volontari le cose da ricordarsi sul Monitor Defibrillatore in dotazione ai mezzi provvisti di
professionista a bordo sono poche, ma fondamentali:

 può essere usato per monitorare il cuore, per defibrillare, per eseguire l’elettrocardiogramma, per
misurare la saturazione e la pressione collegando gli opportuni cavi;
 le piastre pediatriche sono nel cassetto dell’ambulanza (nel caso di un intervento su paziente
pediatrico è necessario ricordarsi di prenderle);
 collegando le opportune piastre (che si trovano nella tasca laterale e sono monouso) può essere
eseguito il pacing (N.B.; le piastre per il pacing costano circa 300€ e sono monouso: non aprire
MAI la confezione se non richiesto dal medico);
 non staccare MAI i cavi perché sono delicati
 può essere usato sia in modalità automatica che manuale
 viene registrato tutto

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Come detto poco sopra il LifePack esegue sia le funzioni di Monitor che le funzioni di Elettrocardiografo.
In quanto Monitor esso monitorizza la funzione elettrica del cuore e la relativa frequenza di lavoro; questa
funzione è resa possibile dall’applicazione di 4 derivazioni caratterizzate ciascuna da un colore diverso e
che deve essere applicate, tramite i red dot, in un punto preciso del paziente:
- GIALLO: zona sottoclaveare sinistra
- ROSSO: zona sottoclaveare destra
- VERDE: caviglia sinistra
- NERO: caviglia destra
E’ possibile che l’infermiere o il medico ci chiedano di posizionare gli elettrodi VERDE e NERO in posizione
differente, ovvero nella zona addominale o femorale. In quanto Soccorritori di Livello Avanzato siamo tenuti
a seguire perentoriamente le loro indicazioni. In caso di dubbio è sempre bene chiedere al professionista
sanitario prima di applicare gli elettrodi.

In quando Elettrocardiografo il LifePack permette di visualizzare e registrare l’attività elettrica del cuore
tramite una serie di ulteriori 6 elettrodi da applicare in posizione precordiale e da collegare all’apparecchio
stesso. La corretta sequenza di applicazione con relativa posizione sono i seguenti:

V1 rosso: IV° spazio intercostale destro


V2 giallo: IV° spazio intercostale sinistro
V4 marrone: intersezione fra la linea emiclaveare
sinistra ed il V° spazio intercostale
V3 verde: nel mezzo fra V2 e V4
V5 nero: linea ascellare anteriore sinistra, alla
stessa altezza di V4
V6 viola: linea ascellare media sinistra, alla stessa
altezza di V4 e V5
N.B.: la sequenza corretta è l’applicazione prima dell’elettrodo V4 e poi dell’elettrodo V3 in base alla
posizione di V2 e di V4.
N.B.: nonostante il totale degli elettrodi del monitor più quelli dell’elettrocardiografo sia 10 il complesso
del sistema di elettrodi può essere anche chiamato per motivi medici “12 derivazioni”.
L’interpretazione del tracciato è di esclusiva competenza del medico; detto questo in quanto Soccorritori
di Livello Avanzato è utile comunque saper riconoscere di massima 3 tipologie di tracciati soprattutto per i
casi nei quali non vi è presenza del professionista e abbiamo collegato il pulsiossimetro al paziente per dare
una indicazione alla centrale operativa.

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RITMO SINUSALE (normale)

FIBRILLAZIONE VENTRICOLARE ALTO VOLTAGGIO

FIBRILLAZIONE VENTRICOLARE BASSO VOLTAGGIO

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ASISTOLIA

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ALLESTIMENTO AUTOMEDICA “MIKE”


In quanto volontari potremmo essere chiamati a individuare e porgere ai membri di una AutoMedica le
dotazioni presenti sul loro mezzo. Vediamo schematizzata qui sotto la loro disposizione e composizione.

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ALLESTIMENTO ZAINO AMBULANZA INFERMIERISTICA “INDIA”


In quanto volontari potremmo essere chiamati a individuare e porgere al professionista presente su di una
Ambulanza Infermieristica le dotazioni presenti nel suo zaino. Vediamo schematizzata qui sotto la loro
disposizione e composizione.

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COMPORTAMENTO SUL SERVIZIO E APPROCCIO AL PAZIENTE

Nel volontariato sono importanti e fondamentali le competenze tecniche che vengono acquisite durante i
corsi che siamo obbligati a seguire, ma oltre a queste è importante anche avere un minimo di competenze
relazionali dato che operiamo su persone.

NON E’ IMPORTANTE SOLO SAPER FARE MA ANCHE SAPER ESSERE.

La comunicazione è lo strumento principale che permette alle persone di entrare in relazione cioè:
COMUNICAZIONE: strumento per la creazione di relazioni
COMPETENZA RELAZIONALE: abilità necessarie per intrattenere una positiva relazione d’aiuto che è la
relazione fondamentale per il buon esito di un intervento.

NON SI PUO’ NON COMUNICARE: LA COMUNICAZIONE E’ UN ASPETTO FONDAMENTALE E IMPRESCINDIBILE


DELLA VITA DI OGNUNO DI NOI.

COMUNICAZIONE: trasmettere pensieri, concetti ed immagini in modo da permettere al ricevente di


decodificarli, attribuendogli lo stesso significato che gli dava chi li ha trasmessi. La comunicazione è
CONDIVISIONE. Tutto ciò che facciamo nella nostra vita è comunicazione ed è strettamente collegato al
nostro modo di comunicare: ogni parola, ma anche il tono, i gesti, i movimenti sempre comunicano
qualcosa. La comunicazione può essere di tipo VERBALE: si comunica attraverso le parole e i codici
comunicativi condivisi. Di tipo NON VERBALE: si comunica attraverso i movimenti del corpo con le
espressioni e la gestualità: il riso il pianto il tono della voce lo sbadiglio e la distanza interpersonale ma
anche l’abbigliamento, gli ornamenti, il trucco…; sono tutti atteggiamenti anche soggettivamente
interpretabili della comunicazione non verbale.
Per questo è importante riflettere sul nostro “stile comunicativo” e soprattutto è importante utilizzare una
modalità di comunicazione adeguata a seconda della situazione. Per avere una comunicazione efficace è
quindi importante pensare:
- a CHI ci si sta rivolgendo
- in che CONTESTO siamo
- OBIETTIVO che ci diamo
- il LINGUAGGIO che stiamo usando

Per il volontario è quindi fondamentale tenere sempre presente che stiamo operando su persone in
difficoltà e che siamo parte di una Associazione che stiamo in quel momento rappresentando. Quindi
importante è il comportamento dell’intera squadra ma anche l’aspetto.

CURARE L’ASPETTO ESTERIORE: tutti dobbiamo portare la stessa divisa che rappresenta l’Associazione, che
ci permette un facile e immediato riconoscimento oltre che aiutarci nella prevenzione e nella sicurezza,
non dimentichiamoci che operiamo su persone malate o che ci possiamo trovare in situazioni difficili
(contatti biologici, pericoli in strada…)

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AVERE ATTEGGIAMENTI ESPERTI ED EFFICIENTI che si apprendono con i corsi ma soprattutto con la pratica
e l’esperienza. Agire in modo sicuro sapendo ciò che stiamo facendo oltre a dare sicurezza a noi infonde
anche fiducia al soggetto che stiamo aiutando, ma d’altra parte è anche importante non superare i limiti
ricordandoci che non siamo né medici né super eroi.
Ricordarsi che stiamo svolgendo un lavoro di squadra e che quindi dobbiamo AGIRE IN MODO COORDINATO
E AFFIATATO evitando discussioni davanti al paziente o ai familiari poiché questo scredita la squadra e fa
perdere la fiducia del paziente nei confronti dei soccorritori aumentando l’ansia e la preoccupazione. E’
utile invece riesaminare criticamente il servizio una volta rientrati in sede.

E’ MOLTO PIU’ DIFFICILE MENTIRE CON LE ESPRESSIONI CHE NON CON LE PAROLE.

La comunicazione di un messaggio porta ad una risposta da parte dell’interlocutore, cioè si forma una
relazione. È quindi fondamentale sapere ascoltare in quanto ci permette di entrare in sintonia con l’altro
attraverso un feedback continuo, cercando di comprendere l’altro dedicando attenzione ai comportamenti
e alle attenzioni. Attraverso l’ascolto e l’osservazione possiamo verificare se il nostro messaggio è stato
compreso o frainteso. Abbiamo detto che comunicando si forma una relazione, ed una particolare forma
di relazione è la RELAZIONE DI AIUTO. Una persona si trova in una situazione di difficoltà che non riesce a
risolvere da sola l’AIUTATO, mentre l’altra ha un ruolo attivo cercando di contribuire alla soluzione del
problema l’AIUTANTE (volontario); questa è il tipo di relazione che si crea spesso se non sempre durante
un servizio sanitario o sociale. In questo caso c’è la necessità di utilizzare sia una modalità di comunicazione
appropriata sia tecniche di soccorso e/o trasporto per risolvere il problema. Non ci sono regole o leggi
specifiche per instaurare una corretta ed efficace relazione di aiuto, anche perché le situazioni possono
essere completamente diverse, anche i tempi e le cose da fare possono essere estremamente differenti fra
loro. In linea di massima possiamo dire che il volontario dovrebbe essere attento ad ascoltare, disposto a
comunicare, pronto a sentire e rispettare la sofferenza dell’altro. Il volontario cercherà di mandare
messaggi positivi e tranquillizzanti senza però minimizzare e sminuire la sofferenza dell’altro,
riconoscendola e rispettando il diritto di manifestarla, tenendo cioè un atteggiamento non giudicante e di
accettazione dell’altro. Tutto ciò nei limiti del proprio ruolo e della propria funzione, senza cioè farsi
invadere emotivamente dalla sofferenza dell’altro, deve essere un’accoglienza e una apertura modulata.
Quindi ascoltando, il volontario, può raccogliere importanti notizie che potrà poi comunicare ai medici o a
chi prenderà in carico la persona ma anche usarle per instaurare una relazione di aiuto. Inoltre mostrare
attenzione per gli altri permette alla tensione di alleggerirsi. Dobbiamo ricordare che la malattia è una
condizione stressante e può essere cronica, quindi avere una storia personale o essere acuta, un emergenza
in cui il passaggio da sano a malato è rapido e inatteso, comunque ogni malattia produce una frustrazione
che provoca ansia e depressione, mancanza di controllo e senso di impotenza che si incatenano in un circolo
vizioso.

Una cosa importante da considerare quando ci troviamo davanti a un paziente è l’età: PEDIATRICO O
ADOLESCENTE: considerare che fino a tre anni il bambino non è in grado di comunicare efficacemente, che
ha minima ansia nei confronti degli estranei e della malattia e che non ama e non deve essere separati dai
genitori.

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0-3 ANNI:
- Tenerli al caldo
- Non separarli dai genitori (soprattutto per i genitori)
- Presentarsi in modo semplice
- Parlare sempre all’altezza dei loro occhi (inginocchiarsi) e parlare in modo semplice calmo e
rassicurante
- Spiegargli cosa facciamo
- Sorridere
- Toccarlo se il bambino vuole rispettando il suo senso del pudore
- Non mentire
- Rispettare la sensazione di soffocamento della maschera per O2

3-12 ANNI:
- Non amano essere separati dai genitori
- Ricordarsi che vivono la malattia come una punizione per il loro comportamento e che temono
molto il sangue e le ferite permanenti
- Presentarsi in modo semplice
- Parlare sempre all’altezza dei loro occhi (inginocchiarsi) e parlare in modo semplice calmo e
rassicurante
- Spiegargli cosa facciamo
- Sorridere
- Toccarlo se il bambino vuole, rispettando il suo senso del pudore
- Non mentire
- Rispettare la sensazione di soffocamento della maschera per O2

12-18 ANNI:
- Vogliono essere trattati come adulti
- Valutare se vogliono la presenza dei genitori o meno
- Presentarsi in modo semplice
- Ricordarsi che a quell’età pensano di esser indistruttibili ma temono i danni permanenti
- Parlare in modo semplice calmo e rassicurante
- Spiegargli cosa facciamo
- Toccarlo se il bambino vuole rispettando il suo senso del pudore
- Non mentire
- Rispettare la sensazione di soffocamento della maschera per O2

GENITORI:
- Coinvolgerli nell’assistenza.
- Rassicurarli e sostenerli perché spesso possono avere sensi di colpa.
- Spiegare in modo semplice e calmo.
- Trattare il bambino in modo amichevole ma professionale, dobbiamo convincerli ad affidarci il loro
bambino.

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GERIATRICO:
- Possono avere problemi di udito, vista e orientamento quindi dobbiamo fare in modo che ci vedano
e che ci sentano.
- Possono coesistere patologie psichiatriche o di decadimento cerebrale.
- Temono molto la perdita di autosufficienza quindi non minimizzare i suoi timori, riconosciamo lo
stato di malattia ma rimanendo ottimisti o positivi, quindi essere propositivi.
- Conservano uno spiccato senso del pudore quindi non prendersi confidenze se non lo desiderano e
toccarlo con rispetto

In generale è importante:
1. il contatto visivo
2. la consapevolezza della nostra posizione e del nostro linguaggio che deve essere comprensibile
3. non mentire ne minimizzare
4. ascoltare il paziente e renderlo partecipe
5. non deve mai pensare di essere solo

Infine è importante la comunicazione all’interno del gruppo per conoscersi, per gestire e organizzare per
definire obiettivi o risolvere problemi per definire compiti o mansioni insomma per collaborare. Il gruppo
è un insieme di individui che intrattengono una relazione per perseguire uno stesso obiettivo. Nel
volontariato si lavora in gruppo dove diventa importante la coesione e l’intesa fra i membri e fondamentale:
LA CONOSCENZA E IL RISPETTO PER GLI ALTRI
LA COLLABORAZIONE E LA FIDUCIA
IL RICONOSCIMENTO DEI RUOLI
LA CONDIVISIONE DEI SUCCESSI E DEGLI INSUCCESSI

Ricordarsi che ogni persona all’interno del gruppo ci mette qualcosa di sé, che il difficile ruolo del volontario
viene alleggerito se il singolo sa di poter contare su tutti gli altri. IL BENESSERE SOCIALE DELLA COMUNITA’
NON E’ SOLTANTO IL RISULTATO DELLE RISORSE DESTINATE E TALE BENESSERE, MA E’ DATO ANCHE DAL
VALORE AGGIUNTO DI MOLTE PERSONE CHE SI CHIAMANO VOLONTARI. QUESTI QUANDO OPERANO NON
TI CHIEDONO CHE SEI O DA DOVE VIENI MA DI COSA HAI BISOGNO.

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PARAMETRI VITALI E PATOLOGIE

Gli obiettivi del presente capitolo sono:


- Imparare ad acquisire pochi parametri vitali di base.
- Imparare a riconoscere i segni di situazioni patologiche in corso.
- Saper riferire alla C.O. 118 tutte le informazioni necessarie raccolte.
Tutto quanto successivamente descritto e illustrato dovrà servire al Volontario Soccorritore esclusivamente
alla raccolta e al riconoscimento dei parametri vitali e mai alla formulazione di qualsivoglia diagnosi (compito
esclusivo del personale medico professionista).

PARAMETRI VITALI

I parametri vitali sono l’evidenza della funzionalità dell’organismo; essi esprimono, tramite i valori raccolti,
le condizioni generali della persona. Essi:
- forniscono dei dati misurabili e quantificabili;
- costituiscono la prima parte dell’esame obiettivo;
- restituiscono un quadro di base dello stato di salute della persona;
- aiutano ad identificare velocemente eventuali problemi;
- aiutano a valutare velocemente la risposta ad alcuni interventi.
I parametri vitali si possono desumere osservando:
- stato di coscienza;
- funzione respiratoria;
- funzione cardiocircolatoria;
- pressione arteriosa;
- colorazione della cute.
I parametri vitali vanno rilevati nei momenti prescritti dalla procedura di approccio al paziente. Non rilevarli
singolarmente ma complessivamente, i parametri raccolti in modo isolato possono essere infatti poco utili.
Il Soccorritore è responsabile della rilevazione dei parametri vitali del paziente e una loro alterazione può
indicare la necessità di interventi medici o infermieristici. La rilevazione dei parametri vitali è una
componente fondamentale nella collaborazione tra personale sanitario per la determinazione dello stato
di salute del paziente. E’ necessario quindi che il Soccorritore conosca i normali valori di riferimento dei
parametri vitali.
Dopo la prima comunicazione dei valori riscontrati alla C.O. è opportuno altresì ripetere la rilevazione dei
parametri vitali durante il tempo che si trascorre con il paziente e comunicare alla C.O. eventuali
significative variazioni.
E’ importante che i parametri vitali siano riferiti insieme alla anamnesi prossima e remota del paziente, le
patologie e i farmaci assunti.

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STATO DI COSCIENZA
E’ lo stato di consapevolezza che un individuo ha di sé e del proprio ambiente che lo circonda; esso indica
il livello di funzionamento del sistema nervoso centrale.
La rilevazione dello stato di coscienza si esegue mediante l’analisi dei seguenti dati:
- livello di vigilanza (risposta agli stimoli esterni);
- orientamento spaziale (“sa dove si trova?”;
- orientamento temporale (“sa che giorno è oggi?”);
- memoria (“ricorda il suo nome?”);
- movimenti volontari (“riesce a stringermi le mani?”).
I valori di riferimento dello stato di coscienza si possono così schematizzare:
- A – Alert: vigile e cosciente
- V – Verbal: risponde a stimoli vocali
- P – Painful: risponde a stimoli dolorosi
- U – Unresponsive: non risponde

FUNZIONE RESPIRATORIA
La funzione respiratoria è l’atto col quale si introduce nell’organismo l’ossigeno (O2) presente nell’aria e si
espelle anidride carbonica (CO2).
La rilevazione della funzione respiratoria si esegue mediante l’analisi dei seguenti dati:
- frequenza: il numero di atti respiratori al minuto in condizioni normali;
- ritmo: la cadenza degli atti respiratori, la regolarità o meno dell’intervallo fra un atto e il successivo,
la lunghezza dell’inspirazione e dell’espirazione;
- qualità: la modalità attraverso la quale si realizza la respirazione.
Tali valori si rilevano osservando e contando le escursioni inspiratorie ed espiratorie del torace tramite la
seguente procedura:
- porre il palmo della mano all’altezza del diaframma (senza esercitare pressione);
- contare gli atti respiratori in un minuto.
I valori di riferimento della funzione respiratoria si possono così schematizzare:
- modo: normale, profondo, superficiale, assente;
- suono: normale, russante, ansimante, gorgogliante, stridente;
- simmetria (fra inspirazione ed espirazione): simmetrico, asimmetrico.

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FUNZIONE CARDIOCIRCOLATORIA
La funzione cardiocircolatoria è l’atto involontario col quale l’organismo distribuisce il sangue agli organi
vitali.
La rilevazione della funzione cardiocircolatoria si esegue tramite la valutazione del cosiddetto “polso”,
espressione del battito cardiaco e apprezzabile alla palpazione delle arterie periferiche. Il polso deve essere
palpato con tre dita della mano (indice, medio, anulare) esercitando una moderata pressione sulla sede di
rilevazione. Se il polso è ritmico contare il numero di pulsazioni per 30 secondi e moltiplicare per 2; se è
aritmico contare per un minuto. La sede preferibile per la palpazione è quella radiale; in caso fosse
difficoltosa la rilevazione nella sede radiale altri polsi rilevabili sono quello carotideo, brachiale, pedideo.

I dati rilevabili dall’esame del polso sono:


- frequenza: il numero di battiti al minuto in condizioni normali;
- ritmo: la cadenza del battito, la regolarità o meno dell’intervallo fra un battito e il successivo;
- qualità: la forza della pulsazione palpata.
I valori di riferimento della funzione cardiocircolatoria rilevata mediante il polso si possono così
schematizzare:
- frequenza: adulto 60-80 b/min; bambino 60-140 b/min; infante 90-160 b/min;
- ritmo: regolare (ritmo sinusale), irregolare (aritmia);
- qualità: normale, forte, debole, assente.
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PRESSIONE ARTERIOSA
La pressione arteriosa è la forza che il sangue esercita sulla parete delle grandi arterie prodotta dall’attività
meccanica di spinta del cuore. La rilevazione della pressione arteriosa si esegue mediante la raccolta dei
dati durante due distinti momenti:
- pressione sistolica: è il valore massimo raggiunto durante la fase di sistole (contrazione del cuore);
- pressione diastolica: è il valore minimo raggiunto durante la fase di diastole (rilassamento del
cuore).
Tali valori si rilevano tramite la seguente procedura:
- dotarsi del fonendoscopio e dello sfigmomanometro presenti in ambulanza e/o nello zaino;
- posizionarsi a lato del paziente dal lato in cui si effettuerà la misurazione;
- posizionare il bracciale in modo che copra 2/3 del braccio superiore (dal gomito verso la spalla);
- assicurarsi che il braccio scelto non abbia problemi (infortuni, malattie, etc…);
- esporre il braccio togliendo i vestiti e assicurandosi che essi non creino costrizioni a monte;
- assicurarsi che il centro del bracciale sia sull’arteria brachiale (vedere le illustrazioni stampate sul
bracciale stesso);
- applicare il bracciale in modo che sia fermo e fissato ma non eccessivamente stretto;
- procedere con uno dei tre metodi:
o auscultazione
 palpare l’arteria brachiale con le dita all’altezza della piega del gomito;
 posizionare il fonendoscopio nelle orecchie;
 posizionare il diaframma del fonendoscopio sull’arteria brachiale (attenzione a non
posizionarlo sotto il bracciale);
 chiudere la valvola dello sfigmomanometro;
 insufflare aria fino alla scomparsa del suono del battito cardiaco;
 aprire la valvola dello sfigmomanometro rilasciandola lentamente fino a che non si
sente il primo battito: il valore indicato in quel momento è la pressione sistolica;
 continuare a rilasciare lentamente la valvola fino a quando non si sentirà più il suono
del battito: il valore indicato in corrispondenza dell’ultimo battito udito è la
pressione diastolica.
o palpazione
 palpare l’arteria brachiale con le dita all’altezza della piega del gomito;
 chiudere la valvola dello sfigmomanometro;
 insufflare aria fino alla scomparsa del suono del battito cardiaco;
 aprire la valvola dello sfigmomanometro rilasciandola lentamente fino a che non si
sente il primo battito: il valore indicato in quel momento è la pressione sistolica.
o tramite monitor
 premere il pulsante di avvio esame e leggere l’indicazione fornita sullo schermo una
volta terminata la procedura automatica.
I valori di riferimento della pressione arteriosa, espressi in mmHg come valore sistolico su diastolico, sono:
- adulto: 120 / 80
- bambino: età x 2 + 80 / 2/3 della sistolica

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COLORAZIONE DELLA CUTE


La cute è lo strato composto da epidermide e derma che, insieme alle mucose, separa e delimita l’intero
organismo dall’ambiente esterno. Esso fornisce informazioni sullo stato della circolazione del sangue nel
paziente ed è una delle spie delle sue condizioni generali.
La rilevazione dello stato della cute si esegue mediante l’analisi di:
- colore: espressione esterna dello stato di irrigazione dei vasi sanguigni superficiali; a tal fine
osservare il letto delle unghie, l’interno guancia, l’interno palpebra bassa, le labbra, l’epidermide in
genere, il palmo della mano e del piede;
- temperatura: espressione della capacità dell’organismo di mantenere un equilibrio tra la perdita e
la produzione di calore; a tal fine porre il dorso della propria mano sulla fronte del paziente per
sentire al tatto le condizioni della pelle; utilizzare altresì il termometro in dotazione (timpanico se
disponibile).
- tempo di refill: premere con un dito su un’unghia del paziente, sul dorso di una sua mano, di un
piede o al centro del torace; osservare lo svuotamento dei vasi capillari (la parte diventa più chiara)
e interrompere la pressione contando da subito il tempo occorrente a far tornare rosea la zona
precedentemente compressa.
I valori di riferimento della colorazione della cute sono:
- colore: rosea, pallida, cianotica, arrossata, itterica, marezzata;
- temperatura: indicata dal valore rilevato dal termometro (basandosi sulla media fisiologica di 37
gradi) oltre alle sue caratteristiche: fredda e umida, fredda e sudata, fredda e secca, calda e sudata,
calda e secca, brividi;
- tempo di refill: inferiore a 2 secondi.

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PATOLOGIE

In questa sezione tratteremo le più comuni patologie (non legate al B.L.S. o al Trauma dato che esse sono
state già trattate nei precedenti capitoli) con le quali un Soccorritore può venire a contatto durante il
Servizio.
Non essendo il Soccorritore un medico dovrà sempre astenersi dal formulare qualsivoglia diagnosi; il suo
compito è bensì quello di raccogliere i dati e i segni del paziente col quale viene in contatto sapendoli
interpretare e riconoscere alla luce delle brevi nozioni che seguiranno.

ALTERAZIONI DEL SISTEMA RESPIRATORIO


Definizioni
Insufficienza Respiratoria: L’insufficienza respiratoria è una sindrome che compromette l’ossigenazione e/o
la ventilazione.
Le cause
- Ostruzione delle vie aeree
- Caduta della lingua all’indietro
- Aspirazione di sangue in caso di ferita al viso, muco, residui alimentari, materiale rigurgitato o
vomitato
- Edema dei tessuti molli della bocca e della gola (ustioni, reazioni allergiche da farmaci, punture di
insetti)
- Asma: spasmi bronchiali con restringimento delle vie aeree ed inspirazione difficoltosa
- Edema polmonare acuto
- Ridotto trasporto di O2 nel sangue
- Intossicazione da CO
- Grave emorragia
- Danni al Sistema Nervoso Centrale
- Intossicazione o overdose da farmaci o da stupefacenti.
- Alte concentrazioni di CO
- Paralisi per lesioni midollari o cerebrali di natura vascolare
- Traumi cranio-encefalici
- Impedimento dei movimenti del torace
- Fratture costali
- Pneumotorace
- Schiacciamento
- Lesioni midollari alte
- Folgorazione

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I Sintomi
Dispnea: è una respirazione alterata che si accompagna a sensazione soggettiva di angoscia e fame d’aria,
espressa dal paziente con termini: “mi manca il fiato”, “non ho abbastanza aria”. All’origine di una dispnea
vi è:
- una respirazione difficoltosa
- quando richiede uno sforzo eccessivo
- quando si accompagna a dolore
- quando risulta insufficiente
- una respirazione eccessiva, chiamata anche iperventilazione, cioè una ventilazione con un volume
al minuto troppo grande
Tosse: un meccanismo di difesa destinato ad espellere il materiale estraneo che si trova nelle vie
respiratorie.
Cianosi: la cianosi è una colorazione bluastra o grigiastra dei tessuti e delle mucose; dipende dall’aumento
dell’emoglobina povera di ossigeno.
Trattamento
- Tranquillizzare il paziente
- Mettere in posizione semiseduta
- Gli arti inferiori devono penzolare dal piano di appoggio
- Somministrare ossigeno massimo 4 lt/min avvisando il 118

ALTERAZIONI DEL SISTEMA CARDIOCIRCOLATORIO


Definizioni
Shock: è una condizione di insufficiente circolazione sanguigna e quindi di inadeguato apporto di ossigeno
agli organi vitali.
Le cause
- Importante emorragia esterna o interna superiore ad un litro
- Ferite multiple
- Lesioni da schiacciamento
- Ustioni
- Intossicazioni, infezioni
- Reazioni di ipersensibilità (allergie)
- Insufficienza cardiaca
- Danno cerebrale o del midollo spinale

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I Sintomi
- cute pallida, fredda ed umida
- polso debole ed accelerato
- brividi e tremori
- disturbi psichici
Trattamento
- Rimuovere ove possibile le cause dello shock; esempio: emorragia  tamponare
- Posizionare la vittima
- Sostenerla psicologicamente
- Somministrare ossigeno
- Posizionamento della vittima
Se non è nota la causa dello shock la vittima deve essere disposta in posizione orizzontale. Se la causa è
una emorragia si deve adottare la posizione di Trendelemburg: sollevare gli arti inferiori. Se il paziente è in
shock con difficoltà respiratoria dovrà essere adottata la posizione semi-seduta.

LE MALATTIE CORONARICHE E SINDROMI CORONARICHE ACUTE


Definizioni
Malattia coronaria: significa presenza di arterosclerosi nei vasi coronarici
Sindrome coronarica acuta: condizioni cliniche sintomatiche provocate dall’ostruzione acuta dei vasi
coronarici.
Dolore toracico di origine cardiaco: il fastidio è spesso localizzato al centro del torace (regione precordiale
o retrosternale) ma può essere diffuso su tutta la parete anteriore del torace. Il fastidio può irradiarsi ad
una o ad entrambe le spalle (spesso la sinistra), al collo, alla mandibola alla schiena o alla parte superiore
dell’addome (epigastrico). Sintomi neurovegetativi (nausea, vomito, sudorazione fredda)
Angina pectoris: è un fastidio transitorio (che non sempre viene percepito come dolore) causato da un
flusso di sangue e da apporto di ossigeno inadeguato al muscolo cardiaco. Durata del dolore: 2 – 15 minuti.
L’angina di solito si risolve con riposo o con l’assunzione di farmaci. E’ necessaria una visita medica urgente
Infarto miocardico (IMA): un infarto si ha quando un’area del muscolo cardiaco non riceve sangue e
ossigeno per un periodo di tempo prolungato (solitamente per più di 20- 30 minuti). L’infarto di solito è la
conseguenza di un grave restringimento o di un’ostruzione di un vaso coronarico malato
Dolore atipico: le donne, gli anziani e i diabetici spesso avvertano un dolore anginoso meno localizzato e
più vago rispetto l’angina classica. Questi pazienti possono avere dispnea, sincope, stordimento, astenia

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Bandiere Rosse
Segni di allarme per l’infarto:
- dolore retrosternale costrittivo “fastidio al torace”
- episodio di angina, ma dura molto più a lungo e non si attenua o solo parzialmente con il riposo o
farmaci
- dolore epigastrico.
Altri sintomi: sudorazione, nausea, vomito e dispnea. Il paziente non necessariamente appare “grave” o
manifesta tutti i sintomi di infarto contemporaneamente. Segni di IMA possono presentarsi in entrambi i
sessi, anche giovani adulti, in ogni momento e in ogni luogo. Il miocardico ischemico può dare origine ad
aritmia, tra cui la fibrillazione ventricolare. La FV spesso inizia entro la prima ora dall’insorgenza dei sintomi.
Per questo motivo è estremamente importante chiamare il 118.
Trattamento
- Tranquillizzare il paziente
- Impedirgli di compiere sforzi anche minimi
- Non fargli assumere bevande
- Adagiarlo nella posizione a lui più comoda
- Slacciare gli indumenti stretti
- Somministrare ossigeno

PRESINCOPE E SINCOPE
Definizioni
Presincope o lipotimia: comunemente nota come svenimento, è una sensazione di improvvisa debolezza
che non comporta perdita della conoscenza
Sincope: perdita completa ed improvvisa della coscienza accompagnata da gravi alterazioni delle funzioni
vitali sino all’arresto cardiaco e respiratorio.
Cause
- Insufficiente irrorazione cerebrale
- Insufficiente ossigenazione cerebrale
- Disturbo del sistema nervoso centrale
- Disfunzione del sistema nervoso autonomo
- Alterazioni metaboliche e sensoriali
- Sintomi e Segni
- Pallore e sudorazione fredda
- Disturbi della vista
- Polso debole e lento

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Trattamento
- Disporre il paziente in posizione supina con gli arti sollevati di almeno 30 centimetri rispetto alla
testa
- Rimuovere gli indumenti costrittivi, slanciare cinture, cravatte, colletti
- Trasportare il paziente in un ambiente ventilato ed ombreggiato
- Allontanare eventuali curiosi che tendano a raccogliersi attorno al paziente
- Non somministrati alcolici
- Controllare segni vitali e ricercare segni di trauma

ICTUS CEREBRALE
Definizioni
Ictus: consiste in un alterato apporto di sangue in un regione del cervello che provoca un improvviso danno
neurologico.
Ictus Ischemico: è causato da un’ostruzione provocata da un coagulo di sangue.
Attacco Ischemico Transitorio (T.I.A.): è un episodio reversibile di disfunzione neurologica circoscritta che
solitamente dura massimo 24 ore.
Ictus Emorragico: è provocato dalla rottura di arterie cerebrali con sanguinamento.
Sintomi e Segni
- Alterazione dello stato di coscienza (coma, sopore, confusione, convulsione, delirio).
- Improvvisa insorgenza di cefalea intensa e/o alterazione dello stato di coscienza vertigini, visioni
sdoppiata, nausea, vomito, fotofobia, fonofobia.
- Deficit neurologici focali e nervi cranici:
- Afasia (discorsi incoerenti o difficoltà a capire)
- Disartria (articola male le parole)
- Ipostenia dell’arto (un arto cade verso in basso rispetto all’altro)
- Paralisi dell’arto (un arto non si muove rispetto all’altro)
- Disturbi sensitivi di un arto o di più arti
- Asimmetria del viso (paralisi dei muscoli facciali, di solito evidente quando il paziente parla o sorride)
- Atassia (problemi di equilibrio)
- Calo del visus a uno o entrambi gli occhi
Trattamento
L’arresto cardiaco è raro nei pazienti colpiti da ictus, ma dal momento che molti di questi pazienti hanno
un alterato livello di coscienza, spesso vi sono problema riguardanti le vie aeree e la ventilazione

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ALTERAZIONE DELLA COSCIENZA


Definizioni
E’ un sintomo di danno cerebrale che può essere provocato da:
- una ridotta irrorazione ematica del cervello
- un ridotto contenuto di glucosio nel sangue
- un aumento della pressione endocranica
- un’intossicazione con danneggiamento delle cellule cerebrali da parte di una sostanza che agisce
selettivamente sui recettori deputati al mantenimento della coscienza
Livello di coscienza
- Lucidità: il paziente è orientato e cosciente
- Sonnolenza: il paziente non partecipa alla vita che lo circonda, può essere svegliato e risponde alle
domande
- Sopore: stato in cui vi è risveglio a seguito di intense stimolazioni, ma in cui le risposte verbali sono
lente o assente
- Coma: stato di ridotta o assente reattività alle stimolazioni. Il paziente non può essere risvegliato
mediante stimolazione e non è in grado di fare alcuno sforzo intenzionale per evitare gli stimoli
dolorosi
Cause
Malattie strutturali cerebrali:
- emorragia cerebrale
- infarto cerebrale
- ematoma cerebrale
- ascesso cerebrale
- meningo-encefaliti
Malattie metabolico-cerebrali:
- intossicazione esogene (alcool, barbiturici, oppiacei, CO, …)
- disturbi metabolici ed endocrini (ipercapnea, ipoglicemia, …)
- epilessia
Conseguenze
- abolizione dei riflessi di difesa
- ostruzione delle prime vie aeree dovuta della caduta della lingua contro la parete posteriore della
faringe
- alterazione del tono muscolare (paralisi o contrattura muscolare)
- rilasciamento sfinterico che produce incontinenza urinaria e fecale
- grave alterazione sino ad arresto della funzione respiratoria

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EPILESSIA
Definizione
E’ una malattia nervosa caratterizzata da un’anormale attività delle cellule cerebrale.
Sintomi
Fase rigidità (fase tonica): il paziente cade a terra lanciando un grido e quindi perde la conoscenza, diventa
rigido, il respiro si arresta per parecchi secondi, vi è una congestione del volto e del collo, cianosi delle
labbra
Fase convulsiva (fase clonica): dopo un temporaneo rilasciamento, il paziente è colpito da convulsioni
generalizzate che interessano tutti i muscoli volontari del corpo. Permangono difficoltà respiratoria e
compare bava alla bocca biancastra o rossastra nel caso in cui il paziente si sia morsa lingua e/o labbra
Talvolta vi è incontinenza degli sfinteri.
Concluse le convulsioni, l’epilettico si presenta spossato, stordito e non ricorda quando è accaduto. Quando
le crisi durano più di cinque minuti e si ripetono a intervalli inferiori a 60 minuti, viene denominata “stato
epilettico”.
Trattamento
- Adagiare il paziente a terra per evitare la brusca caduta
- Porre materiale morbido (cuscini, indumenti) sotto la testa per evitare traumi cranici durante le
convulsioni
- Non ostacolare i suoi movimenti convulsivi, cercando contempo di impedire che si produca traumi
urtando contro spigoli o oggetti
- Ruotare lateralmente il capo del paziente per facilitare la fuoriuscita di secrezioni ed evitare il
soffocamento
- Non porre mai nulla nella bocca del paziente
- Al risveglio garantire sostegno psicologico alla vittima.

DIABETE MELLITO
Definizione
Il diabete mellito è una malattia cronica caratterizzata da un aumento abnorme della glicemia (glucosio nel
sangue). Il diabete è causato dalla mancanza totale o parziale, di un ormone chiamato insulina. L’emergenza
più frequente nel diabetico è ipoglicemia, ovvero un abbassamento del livello di glicemia nel sangue.
Cause
- Somministrazione di una dose eccessiva di insulina
- Insufficienza alimentazione (ritardo di un pasto, salto di un pasto)
- Intensa attività fisica senza adeguare aumento dell’alimentazione

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Sintomi
- Debolezza
- Sudorazione e cute fredda
- Tremori
- Senso di fame
- Annebbiamento della vista
- Difficoltà a concentrarsi, confusione
- Ansia
- Senso stordimento e vertigine
- Comparsa di crisi convulsiva
Trattamento
Se il paziente è incosciente porlo in decubito laterale, erogare ossigeno e chiamare il 118.

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ELISOCCORSO

Durante l’espletamento di un Servizio di soccorso si potrebbe manifestare la necessità di un rendez vous


con un elicottero di soccorso sanitario, quali ad esempio i 3 Pegaso in dotazione al servizio di emergenza
118 della Regione Toscana.

In questi casi i Soccorritori devono mettere in pratica alcune precise manovre e seguire determinate
indicazioni volte alla sicurezza loro, dell’elicottero, del paziente trasportato. Esse possono riassumersi in:
- per una rapida individuazione dell’elicottero non “nascondere” l’ambulanza in zone poco visibili
dall’alto e usare i fumogeni in dotazione nel mezzo;
- con chiare indicazioni visive e uditive indicare l’eventuale presenza di cavi aerei in prossimità della
zona dell’atterraggio;
- chiudere tutti i finestrini e le porte dei veicoli prossimi al punto di atterraggio;
- indicare visivamente al pilota dell’elicottero la direzione del vento posizionandosi spalle al vento e
di fronte all’ipotetica zona di atterraggio;
- assicurarsi che ogni oggetto, indossato o no, sia ben saldo e al sicuro dall’essere eventualmente
spostato e/o alzato dal potete flusso d’aria del rotore;
- avvicinarsi all’elicottero sempre e solo fronte-lateralmente e solo dopo il consenso del comandante;
mai avvicinarsi dalla parte posteriore;
- porre attenzione al beacon ovvero all’indicatore luminoso rosso posizionato in coda all’elicottero
che indica il moto dell’aeromobile;
- durante il movimento del rotore nessun veicolo si deve avvicinare a meno di 150 metri, salvo diverse
disposizioni dell’equipaggio;
- durante il fermo del rotore è sufficiente arrestarsi ad una distanza minima dall’aeromobile stabilita
di volta in volta dall’equipaggio e comunque non inferiore a 30 metri;
- in avvicinamento all’elicottero tenere sempre la testa chinata in avanti: non salire mai su asperità
del terreno che potrebbero ridurre la distanza fra la testa e le pale del rotore;
- non trasportare mai oggetti in verticale che potrebbero urtare le pale del rotore, trasportarli
sempre al di sotto della propria linea di cintura;
- non toccare mai l’elicottero: quelle che potrebbero sembrare maniglie o parti di appoggio possono
in realtà essere strumenti molto delicati.

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TRIAGE SANITARIO

INTRODUZIONE
Con l’espressione Triage Sanitario si intendono tutte quelle “metodiche di classificazione atte ad
ottimizzare le risorse disponibili in situazioni di maxi emergenza”, cioè in quei casi in cui il numero dei
pazienti è superiore al numero dei soccorritori.
Il Triage consiste nella selezione delle vittime in funzione della gravità delle lesioni e dei loro rischi evolutivi.
Viene così stabilito un ordine di priorità nel trattamento e nell’evacuazione dei feriti. Questo permetterà
un impiego ottimale dei mezzi di soccorso sul posto, delle possibilità di evacuazione e delle strutture di
accoglienza ospedaliere. Per essere funzionale il metodo di Triage deve essere rapido e di facile
comprensione e applicazione al fine di poter analizzare il maggior numero di persone nel minor tempo
possibile. Date le necessità di un esame clinico rapido e completo e le necessità di prendere decisioni
terapeutiche immediate e di responsabilità, il Triage deve essere effettuato dal medico più competente
presente sul luogo del disastro, secondo la scuola francese di medicina delle catastrofi. Tuttavia il
Soccorritore che dovesse essere il primo ad arrivare sul posto deve essere in grado di distinguere le urgenze
assolute dalle situazioni meno preoccupanti, per dare la massima probabilità di sopravvivenza alla vittime
più gravemente colpite. Da questa necessità è nata una forma di Triage per Soccorritori, elaborata con il
fine di permettere il raggiungimento del medesimo scopo di selezione tramite le capacità acquisite da un
Soccorritore.

IL PROTOCOLLO CESIRA
Fin dal 1983, negli USA, è stato elaborato e adottato il Protocollo S.T.A.R.T., acronimo di Simple Triage And
Rapid Treatment (selezione semplice e rapido trattamento). L’intento dei suoi creatori è stato quello di
realizzare un procedimento del tipo “passo dopo passo” che non implicasse una diagnosi approfondita, ma
solo l’osservazione delle funzioni vitali in un ordine prestabilito permettendo così di definire in 60 secondi
o meno il grado di urgenza. Questo protocollo statunitense è però di difficile applicazione in Italia dato che
è stato pensato per poter essere utilizzato da personale paramedico tipicamente americano e dato che
esso prevede anche il poter etichettare con il colore nero dei feriti il cui accertamento di morte spetta, per
legge, ai soli medici. Da qui la necessità di creare un nuovo Protocollo, denominato C.E.S.I.R.A., che
rappresenta un valido compromesso tra il Protocollo S.T.A.R.T. e il Triage medico.
C.E.S.I.R.A. è l’acronimo di:
- Coscienza
- Emorragia
- Shock
- Insufficienza respiratoria
- Rotture ossee
- Altro

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Il suo algoritmo è il seguente:

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Le caratteristiche di questo protocollo sono:


- Facile apprendimento e memorizzazione
- Iniziale scrematura dei feriti, classificando come verdi tutti coloro che sono in grado di camminare
(come peraltro nello S.T.A.R.T.) siano essi illesi o feriti in modo leggero
- Suddivisione dei feriti che non sono in grado di camminare in rossi e gialli, comprendendo tra i rossi
incoscienti anche gli eventuali morti (altrimenti classificati come neri) per i quali la diagnosi spetta
in ogni caso a un medico
- L’analisi delle funzioni vitali viene fatta secondo un ordine tradizionale, cioè iniziando dallo stato di
coscienza (anziché dall’ABCD) pur tralasciando la classica rianimazione cardiopolmonare, tipica dei
soccorsi individuali
A questa prima valutazione delle vittime seguiranno le manovre di primo soccorso rivolte dapprima ai
rossi per emorragia o shock (tamponando eventuali emorragie esterne, posizionando il ferito in
posizione antishock e posizionando gli incoscienti in posizione laterale di sicurezza), poi a quelli affetti
da insufficienza respiratoria (mettendo seduto il paziente), in attesa del medico che valuti la situazione
dei rossi in stato di incoscienza. I gialli saranno sempre presi in carico dopo aver assistito tutti i rossi sul
campo. Dopo queste prime manovre le vittime saranno prese in carico dai soccorritori di rinforzo.
Il Volontario Soccorritore che svolge la prima selezione dei feriti deve avere ben presente il loro
numero, la loro gravità e la loro dislocazione onde poter:
- dare un corretto dimensionamento dell’evento alla Centrale Operativa per l’invio degli ulteriori
soccorsi;
- coordinare ed indirizzare correttamente le squadre di soccorso sui feriti più gravi.
Per ottenere questi risultati è necessario avere ben presenti alcuni punti fondamentali:
Preparazione: il personale deve sapere sempre cosa fare e come muoversi per non aumentare la
confusione ed essere inutile.
Rapidità: ogni manovra deve essere eseguita nel minor tempo possibile e senza “dispersioni”, pur senza
compromettere la qualità della manovra stessa.
Ottimizzazione: ogni risorsa, umana o materiale che sia, deve essere utilizzata nel miglior modo
possibile, senza sprechi e con lungimiranza.
Dinamicità: essendo le situazioni di Triage in continua evoluzione gli operatori devono essere pronti ad
assumere ruoli e posizioni diverse in qualunque momento.
Univocità: applicato un sistema di Triage questo deve essere unico fino alla completa evacuazione dei
feriti.
Coordinamento: tutti gli operatori e le strutture devono sapersi coordinare fra loro e le informazioni
devono scorrere in modo rapido e dinamico.

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P.M.A.

INTRODUZIONE
Il P.M.A., Posto Medico
Avanzato, è un dispositivo
funzionale di selezione e
trattamento sanitario delle
vittime, localizzato ai margini
esterni dell’area di sicurezza o
in una zona centrale rispetto al
fronte dell’evento catastrofico.
Può essere sia una struttura -
tende, containers - sia un area
funzionalmente deputata al
compito di radunare le vittime,
concentrare le risorse di primo trattamento e organizzare l’evacuazione sanitaria dei feriti. Il P.M.A. è il
fulcro della catena sanitaria dei soccorsi in caso di intervento su catastrofe limitata e si dispone tra l’area
di raccolta e gli ospedali di ricovero. Quando il numero di feriti è superiore a quello gestibile dalle risorse
immediatamente disponibili (definizione di “catastroe”), il P.M.A. costituisce sul luogo dell'evento una
struttura medicalizzata in cui proseguire il triage, cioè il processo di suddivisione dei pazienti in classe di
gravità in base alle lesioni riportate e alle priorità di trattamento e/o evacuazione. È anche il luogo in cui
somministrare trattamenti di stabilizzazione delle vittime e coordinare l'evacuazione verso gli ospedali
idonei disponibili. La funzione del P.M.A. consente, tra l’altro, di guadagnare tempo prezioso, durante il
quale può essere mobilitato un maggior numero di ambulanze e personale e permette agli ospedali di
prepararsi ad accogliere un numero improvviso ed elevato di vittime provocate dall’evento straordinario.
Tutti i P.M.A. sono equipaggiati per operare in totale autonomia per almeno 72 ore, sono dotati di propri
impianti di illuminazione e di sistemi di tele-radio comunicazione per i collegamenti con le centrali operative
sanitarie. I P.M.A. si distinguono sulla base delle capacità operative in:
- P.M.A. di I livello: sono le strutture sanitarie da campo più piccole, solitamente equipaggiati per
trattare circa 10 feriti in codice di gravità “giallo” e “rosso”, ma così agili da poter partire in meno
di un’ora, abbastanza semplici da poter essere trasportati con automezzi leggeri e allestiti in tempi
molto brevi da pochi operatori.
- P.M.A. di II livello: sono più grandi, necessitano di circa tre-quattro ore per essere pronti a partire e
viaggiano su veicoli da trasporto più pesanti, ma portano una quantità assai maggiore di personale
e attrezzature sanitarie.
- P.M.A. chirurgici: aggiungono alle potenzialità dei P.M.A. di II livello la possibilità di fare interventi
chirurgici di urgenza.

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LUOGO DELL’ALLESTIMENTO
Gli ambienti utili per allestire il P.M.A. possono essere:
- edifici preesistenti accessibili e sufficientemente spaziosi: chiese, palestre, etc…
- aree aperte: parcheggi coperti o scoperti, loggiati, ecc.
- tende
È preferibile allestire il P.M.A. all’interno di un edificio, o comunque al coperto di una struttura in muratura
e, solo nel caso di indisponibilità di queste strutture, fare ricorso alle tende. I vantaggi sono:
- risparmio di tempo perché non è necessario allestire strutture campali;
- maggiore sicurezza;
- maggior spazio disponibile;
- maggior confort per vittime e operatori - in certi casi potrebbero essere disponibili illuminazione,
riscaldamento, acqua corrente, linee telefoniche, etc…
La collocazione del P.M.A. è decisa dal Posto di comando avanzato e deve rispondere a questi criteri:
- dev’essere vicino al luogo dell’evento ma al riparo da rischi;
- dev’essere vicino alle vie di comunicazione, per consentire accesso e uscita agevole ai diversi veicoli
che vi convergono;
- non deve trovarsi in una zona dal suolo malsano, o fangoso da ostacolare il transito dei veicoli.

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RISORSE E TEMPI DI ATTIVAZIONE


Il P.M.A. dev’essere completamente autonomo in termini di materiale sanitario, energia elettrica,
illuminazione. Il materiale deve essere conservato in casse già pronte, distinte tra logistiche e sanitarie.
Affinché l’arrivo in posto e il dispiegamento di un P.M.A. avvengano in tempi adeguati è molto importante
che esistano piani preordinati e che tutte le attrezzature possano essere facilmente movimentate e
trasportabili con veicoli da trasporto leggeri.
In condizioni ideali il sistema logistico di sostegno del P.M.A. dev’essere pronto a spostarsi verso la zona
d’operazione in 30 minuti dalla sua attivazione e restare autonomo per almeno 12 ore, durante le quali
dev’essere previsto un sistema di rifornimento del materiale sanitario e di cambio delle squadre di
soccorso.

LE AREE
Il Posto medico avanzato dev’essere suddiviso in 4 aree:
- triage: filtro da dove transitano tutte le vittime;
- urgenze assolute: gestione di feriti "codice rosso";
- urgenze relative: gestione dei feriti "codice giallo";
- evacuazione: preparazione dei feriti verso l'ospedale.

I feriti "codice verde" sono indirizzate in uno spazio vicino all’area urgenze relative, presidiata dalle Forze
dell’Ordine e da un operatori sanitari in grado di valutare eventuali peggioramenti delle condizioni di questi
feriti.
I feriti in "codice verde" dovrebbero essere valutati nel P.M.A. al termine delle procedure di evacuazione
dei codici gialli e rossi. Tuttavia il Direttore sanitario dei soccorsi può decidere di non valutare i codici verdi
e di evacuarli al più presto dalla scena. Questo per diminuire lo stress psicologico delle vittime, indotto dalla
prolungata permanenza sulla scena, e per rendere disponibile tutto il personale sanitario preospedaliero
per il trattamento dei feriti di maggiore gravità.
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Le vittime "codice nero" sono le persone decedute dopo la presa in carico dalle squadre sanitarie. Vengono
deposte in una sotto area vicina all’area urgenze assolute del P.M.A. presidiata dalle Forze dell’Ordine.
Anche le vittime decedute dovranno subire la procedura di triage con relativa numerazione progressiva.
Area di evacuazione è posta all'uscita del P.M.A., da qui le vittime partono per la destinazione assegnata
dalla Centrale operativa 118, con il mezzo di trasporto più idoneo alla loro situazione clinica. L'evacuazione
può avvenire via terra mediante ambulanze o via aerea con l’ausilio di elicotteri.
Il responsabile delle evacuazioni è, di solito, un infermiere del P.M.A., che ha il compito di controllare la
corretta compilazione della scheda di P.M.A., le operazioni di trasferimento e la destinazione dei mezzi.

I COMPITI DEGLI OPERATORI


Gli operatori del P.M.A. sono medici e infermieri 118 affiancabili dai Soccorritori. Il loro compito è:
- accettazione e registrazione dei feriti;
- triage;
- trattamenti di stabilizzazione;
- definizione delle priorità di evacuazione.
Il responsabile del P.M.A. è un medico 118 esperto indicato dalla centrale operativa; i suoi compiti sono:
- garantire la migliore qualità possibile di trattamento alle vittime in considerazione delle risorse e
delle dotazioni disponibili;
- mantenere i contatti con il Direttore soccorsi sanitari (DSS) per organizzare l’afflusso delle vittime e
la loro evacuazione.
Il personale dovrà essere identificato tramite delle pettorine, così definite:

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APPROCCI E MANOVRE
- AL MOMENTO DEL RECUPERO del paziente iniziare il triage sulla vittima e compilare una apposita
scheda in dotazione da consegnare poi all’addetto nel P.M.A.
- DURANTE IL TRASPORTO comunicare via radio al P.M.A. il tempo stimato di arrivo ed il codice
colore.
- AL MOMENTO DELL’ARRIVO AL P.M.A. seguire le indicazioni del Responsabile dei Mezzi attestandosi
nell’area di attesa in base al codice colore assegnato al proprio paziente.
- UNA VOLTA PREPARATO IL FERITO ed avuto il via libera dal Responsabile dell’Entrata SOLO UN
MEMBRO DELLA SQUADRA segue il ferito nel P.M.A., lo presenta al Medico ragguagliando su
eventuali evoluzioni e provvede a fornire i dati al Responsabile dell’Entrata.
- NEL FRATTEMPO l’ambulanza con il resto dell’equipaggio va ad aspettare la barella e l’altro membro
dell’equipaggio davanti all’uscita.
- Una volta recuperato il membro dell’equipaggio tutta la squadra si riporta sul luogo dell’intervento
per il recupero di altre vittime.

Questa serie di manovre atte al recupero e al trasporto dei pazienti prende il nome di “Noria”. Esiste
una piccola e una grande Noria.
- Piccola Noria: per piccola noria si intende quella eseguita dai primi soccorritori che effettuano il
triage e portano i feriti al P.M.A. secondo il loro codice di gravità.
- Grande Noria: per grande noria si intende quel servizio che viene effettuato dai mezzi di soccorso
che portano i feriti dal P.M.A. agli ospedali o centri medici più vicini a seconda delle loro necessità.

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LA RESPONSABILITÀ GIURIDICA DEL SOCCORRITORE

Ci sono alcuni aspetti giuridici che devono essere conosciuti dai Soccorritori per evitare problemi legali,
etici e morali durante il soccorso. Per poter comprendere quali essi siano, la loro ratio e le loro possibili
conseguenze, è necessario preventivamente capire le varie tipologie di responsabilità alle quali sono
soggetti i Volontari Soccorritori (durante o al di fuori dei loro turni di servizio).

LA RESPONSABILITA’ GIURIDICA
La Responsabilità Giuridica è l’obbligo di rispondere delle conseguenze negative causate da un proprio
comportamento, eventualmente realizzato in danno di uno o più altri soggetti.

LA RESPONSABILITA’ PENALE
La Responsabilità Penale deriva dalla commissione di uno o più reati. Il reato è un fatto umano che viola
una norma penale posta a difesa e tutela di un certo e specifico interesse. Il reato è quindi un fatto vietato
dalla legge sotto minaccia di una sanzione che si chiama pena. La responsabilità penale è personale. Nei
reati di tipo doloso e preterintenzionale si individua, indipendentemente dalle loro diversità, la volontà di
realizzare il fatto criminoso; quindi non dovrebbero riguardare mai i Volontari Soccorritori in quanto
nessuno di essi agisce allo scopo di provocare danni alla persona soccorsa (o almeno si spera…). Si parla
invece di reato colposo quando il reato è la conseguenza di un’azione posta in essere dalla persona in modo
non volontario, ma trasgredendo le regole di condotta, le disposizioni legislative, le disposizioni disciplinari,
ovvero quelle regolamentari, e quindi senza alcuna precisa volontà di commettere un reato. Il reato è
colposo quando l’evento si verifica a causa di:
- imprudenza: leggerezza nel compiere gli atti, anche pericolosi, senza le dovute cautele e senza
prevedere, sulla base dell’esperienza generale, le relative conseguenze;
- negligenza: voluta omissione di atti o comportamenti che invece si ha il dovere di compiere;
- imperizia: preparazione scadente, sia dal punto di vista scientifico che della manualità,
incompatibile con il livello minimo di cognizione tecnica e di esperienza indispensabile per
l’esercizio dell’attività svolta.
Il reato può essere commesso a causa di uno stato di necessità. Agisce in stato di necessità chi commette
il fatto per esservi costretto dalla necessità di salvare altri dal pericolo attuale di un danno grave alla
persona, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo. Oggetto del pericolo deve essere un danno grave
ad altri, danno che può minacciare un terzo che necessita di soccorso, e che può derivare anche da un fatto
della natura (ad esempio, incendio, alluvione). Il fatto compiuto deve essere necessario per salvare il
destinatario. L’offesa posta in essere deve risultare proporzionata al pericolo minacciato. L’offesa può
essere rivolta contro la stessa persona che si salva, ma, in questo caso, deve essere minore di quella temuta
(ad esempio, stordire con un pugno la persona che stava per annegare e si è afferrata al salvatore
ostacolandogli il nuoto).

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LA RESPONSABILITA’ CIVILE
La Responsabilità Civile è conseguente alla violazione del dovere del rispetto altrui nella vita di relazione,
ed impone di risarcire economicamente colui che è rimasto danneggiato. La Responsabilità Civile nel caso
dei Volontari Soccorritori, nell’espletamento del servizio, è coperta da una polizza assicurativa stipulata
dall’Associazione che solleva il Volontario dal dovere di risarcimento.

LA FIGURA GIURIDICA DEL VOLONTARIO SOCCORRITORE


Il Volontario Soccorritore è colui che ha partecipato agli appositi corsi di formazione erogati dai centri
autorizzati ed a ciò preposti e che al termine di tale percorso professionalizzante abbia conseguito la
relativa certificazione. Egli è inquadrato nel nostro sistema giuridico come incaricato di pubblico servizio
(art. 358 c.p.) ovvero “…colui che svolge una attività disciplinata nella stessa forma della pubblica
funzione.”. In quale tale il Soccorritore gode di alcune tutele e ha determinati doveri:
TUTELE: se una persona commette un reato qualsiasi contro il Volontario Soccorritore in servizio, la sua
pena può essere aumentata di un terzo; se poi il gesto ha provocato l’interruzione del suo lavoro si
configura il reato di interruzione di pubblico servizio (art. 340 c.p.).
DOVERI:
- Obbligo di denuncia
- Obbligo del segreto professionale
- Obbligo di rispetto della privacy (il soccorritore ha sempre l’obbligo della discrezione sia durante
che dopo il servizio. Il soccorritore divulga il segreto solo se interrogato dall’autorità giudiziaria).
Il Soccorritore diviene incaricato di pubblico servizio nel momento in cui entra in servizio e tale qualifica
dura fino al termine del turno medesimo secondo gli orari stabiliti dall’associazione. Egli, quale incaricato
di pubblico servizio, svolge tutta una serie di attività proprie del soccorso extra ospedaliero, con le
necessarie competenze tecniche, cognitive e relazionali e con il dovere di rispettare la specifica disciplina
prevista dall’ordinamento.

I REATI NEI QUALI POSSONO INCORRERE I VOLONTARI SOCCORRITORI


Omissione di soccorso
L’omissione di soccorso comprende:
- la mancata prestazione del soccorso;
- l’insufficiente prestazione del soccorso in relazione ai bisogni del destinatario e soprattutto delle
concrete possibilità di soccorrere;
- la ritardata prestazione del soccorso in rapporto alle effettive possibilità di un intervento.
Se il Soccorritore è fuori servizio l’obbligo di intervento permane; in questo caso l’assenza di materiali e
presidi di soccorso limita la sua capacità di azione. Il Volontario Soccorritore non potrà quindi limitarsi alla
semplice chiamata dei soccorsi e delle autorità come il cittadino laico, ma dovrà sempre agire in base alle
sue competenze.

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Omissione di atti di ufficio


Partendo dal presupposto che i Volontari Soccorritori sono da considerarsi, nello svolgimento delle loro
mansioni, “incaricati di pubblico servizio”, il loro rifiuto, manifestato in qualsiasi forma, potrebbe venire
interpretato come condotta che viola la norma penale vigente (art. 328 c.p.). In materia sanitaria, è
necessario che il rifiuto si riferisca ad atti che per ragioni di sanità siano indilazionabili, ovvero urgenti: ciò
si verifica qualora ricorra la possibilità di conseguenze dannose dirette sul bene della salute fisica o psichica
del cittadino da soccorrere. È di palese evidenza che qualora l’intervento venga richiesto dalla Centrale 118,
il servizio domandato assuma il carattere di un atto indifferibile ed urgente.
Omessa denuncia
Un Volontario Soccorritore che venga a conoscenza di un reato perseguibile senza querela ha l’obbligo di
segnalarlo all’autorità giudiziaria. “L'incaricato di un pubblico servizio che omette o ritarda di denunciare
all'autorità indicata nell'articolo precedente un reato del quale abbia avuto notizia nell'esercizio o a causa
del servizio, è punito con la multa fino a euro 103. Tale disposizione non si applica se si tratta di un reato
punibile a querela della persona offesa, (…)”. (art. 362 c.p.).
Esercizio abusivo della professione
Il Volontario Soccorritore non si può MAI sostituire alle figure del medico, dell’infermiere e degli altri
professionisti sanitari, e non può arrogarsi diritti e doveri propri delle specifiche professioni. “Chiunque
abusivamente esercita una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, è punito
con la reclusione fino a sei mesi o con la multa da euro 103 a euro 516”. (art. 348 c.p.).

ALTRI ASPETTI GIURIDICI RILEVANTI


Il principio del necessario consenso alle cure
Esso è un vero e proprio diritto della persona e trova fondamento nei principi fissati dalla Costituzione (artt.
2, 13 e 32) che sanciscono la “inviolabilità della libertà della persona” ed il principio in base al quale nessuno
può essere costretto a subire un trattamento sanitario ivi compreso un soccorso o un trasporto in
ambulanza. Ciò definisce il consenso come espressione della adesione consapevole al trattamento sanitario
(c.d. Consenso informato). Affinché il consenso sia valido è necessario che sia dato da una persona in grado
di intendere e di volere e che sia stata informata con precisione sulle modalità di un determinato intervento
e soprattutto dei rischi e conseguenze di una determinata terapia. Nel caso di paziente incosciente il
consenso si ritiene presunto. In tal caso si applicano i principi prima visti sulla scriminante dello stato di
necessità. Qualora il soggetto sia un minore od un infermo di mente sarà il suo rappresentante legale
(genitore o tutore) a decidere.
Il Trattamento Sanitario Obbligatorio (T.S.O.)
La legge ha previsto alcuni casi particolari al verificarsi dei quali si trascende dalla necessità del consenso.
Il T.S.O. è formalmente un provvedimento del Sindaco nella sua qualità di autorità sanitaria, su richiesta del
medico curante. Per garantire la sicurezza dell'equipaggio, è sempre richiesta la presenza della Forza
Pubblica, se questa non è presente è sempre bene richiederla alla Centrale Operativa 118.

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Sono soggette al trattamento sanitario obbligatorio:


- malattie infettive e contagiose, per le quali esiste l'obbligo di denuncia e talora cura attuata
mediante isolamento domiciliare;
- vaccinazioni obbligatorie;
- malattie veneree in fase contagiosa;
- trattamento ospedaliero delle persone dedite all'uso di sostanze stupefacenti e psicotrope
- malattie mentali;
Approccio alla scena di un delitto
I Soccorritori acquistano un ruolo molto particolare quando intervengono sulla scena di un crimine.
Sebbene la loro opera debba essere rivolta a preservare la vita, essi debbono avere coscienza di non
alterare ciò che si trova sul luogo del crimine, avendo cura di non inquinare eventuali prove. E' importante,
dopo aver completato i compiti di soccorso, documentare tutto ciò che si è visto o fatto, queste annotazioni
saranno la sola fonte di informazioni nel caso di chiamata a testimoniare, spesso dopo mesi o anni
dall'episodio.
Ricordarsi che…
Eseguire un ordine o una indicazione che si sa essere errati vuol dire rispondere dell’illecito eventualmente
commesso con la conseguente azione, insieme a chi l’ordine o l’indicazione l’ha impartiti. In caso di ordine
o indicazione errati impartiti da un superiore, sindacare l’illegittimità ma evitare il rifiuto dell’azione.

COMPOSIZIONE DELLE SQUADRE IN BASE ALLA LEGGE REGIONE TOSCANA 25/2001


Ambulanza Ordinaria
In caso di Trasporto Ordinario è obbligatoria la presenza a bordo di:
- un Autista
- almeno un Soccorritore di Livello Base
Ambulanza di Primo Soccorso “DELTA”
In caso di Trasporto in Emergenza con Ambulanza di soli Volontari («DELTA») è obbligatoria la presenza a
bordo di:
- un Autista
- almeno un Soccorritore
Entrambi i componenti devono essere in possesso di abilitazione di Livello Avanzato.
Ambulanza di Soccorso e Rianimazione
In caso di Trasporto in Emergenza con Ambulanza di Soccorso e Rianimazione è obbligatoria la presenza a
bordo di:
- un Autista
- due Soccorritori di Livello Avanzato
- un Medico (Ambulanza “ALFA”) o un Infermiere (Ambulanza “INDIA”)

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