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INFERMIERISTICA IN AREA CRITICA 19/04/2021

Riprendiamo la lezione che è la continuazione di quello che dicevamo l’altra volta. Nell’ultimo incontro
abbiamo terminato con un filmino che andava a riproporre l’esecuzione di una tracheotomia, quindi
stavamo parlando praticamente della fase B della valutazione del respiro, come riuscivamo a ossigenare il
pz grazie all’utilizzo dei vari presidi.
Oggi rivediamo sempre la fase B della valutazione del pz critico e parliamo di due aspetti importanti di
gestione prettamente infermieristica e soprattutto di una manovra quale la PRONAZIONE che sicuramente è
in questo momento storico una delle situazioni che maggiormente si presentano nelle terapie intensive e
non solo. Non necessariamente il pz in terapia intensiva viene posto in questa posizione.

 
È una manovra che si usa soprattutto nelle situazioni in cui il pz ha una polmonite associata ad una
ventilazione meccanica oppure presenta una situazione di ARDS e in presenza di ALI(danno acuto a livello
polmonare). Non è una pratica nuova, nel 1974 Douglas fu il primo ad utilizzarla in queste insufficienze
respiratorie acute. La metodica è stata lasciata per le nuove tecnologie e sistemi di ventilazione. Oggi,
nonostante ci siano tutte queste nuove strategie, la postura prona risulta ancora uno strumento piuttosto
vincente nel trattamento delle ARDS(sindromi di distress respiratorio acuto). Nei pz con una grave
insufficienza respiratoria acuta il pz che viene messo in questa posizione si nota, innanzitutto, un
miglioramento a livello dell’EGA, ma soprattutto dopo aver trascorso, a seconda della situazione, un tot di
tempo, chiaramente più il periodo è lungo migliore sono i risultati che si possono avere, ma vedremo che
non sempre è possibile tenere il pz per lunghi periodi in questa posizione. Oltre il miglioramento dei
parametri dell’EGA ,a volte il pz viene riposizionato (pos. Supina), e si vede un miglioramento delle
compliance toraco-polmonari, oltre all’ossigenazione del sangue. Inoltre la postura prona è indicata nei
pazienti che hanno questo danno a livello polmonare , ma soprattutto che hanno bisogno di elevate frazioni
di ossigeno, ma soprattutto quando la lastra evidenzia degli infiltrati, quindi una polmonite chiara. È
controindicata nelle situazioni in cui il pz versa uno shock cariogeno.
Quindi se viene associata una buona ventilazione e viene utilizzata questa tecnica di posizionamento
sicuramente si ha una migliore espansione delle zone posteriori del parenchima polmonare, oltre ad
utilizzare un rapporto ventilazioni/perfusioni. L’altro vantaggio che si ottiene è un maggiore drenaggio di
secrezioni oltre che girando il pz il muscolo cardiaco non va a gravare sul parenchima polmonare, ma anzi
viene sollevato da questa problematica.
Quali sono vantaggi e svantaggi?

 
Diciamo subito che gli studi a nostra disposizione ci dicono che è una manovra piuttosto sicura, diciamo che
non da complicanze particolari, però il problema nasce che l’utilizzo di questa tecnica richiede un numero di
risorse umane piuttosto numeroso per cui capite bene che :
 Ci dev’essere una gestione efficace del rischio sia per gli operatori che per l’assistito;
 Con un pz in posizione prona vi è un aumento del tempo assistenziale e quindi dei costi;
 c’è sempre un timore per la perdita degli accessi vascolari, dei presidi, dei drenaggi;
 in questa posizione si possono verificare delle lesioni da pressione. La postura prona è vero che da
un lato evita la formazione e quindi previene le lesioni da decubito a carico delle zone che noi
abitualmente vediamo tipo calcagno,sacro,gomiti,scapole,occipiti, però è anche vero che con il pz
in posizione prona quelle zone sono coperte da questo rischio, però il rischio ch e altre zone quali
cresta iliaca,sterno, ginocchia,zigomi possono essere coinvolti in queste LDP;
 ci sono altre controindicazioni, oltre allo shock cariogeno, in soggetti reduci da un intervento
chirurgico addominale, toracico, cardochirurgico e comunque in tutti quei soggetti nel post-
operatorio va sempre valutata la possibilità di ridare questa posizione nei soggetti che escono da un
intervento chirurgico.
Vediamo ora quelle che sono le nostre azioni:

 
Nel momento in cui si stabilisce che il pz dev’essere girato dobbiamo valutare la necessità di iniziare o
incrementare la sedazione affinché la postura sia ben tollerata, quindi se il pz è in sedazione, verifichiamo
che la sedazione sta avendo i suoi effetti altrimenti bisogna aumentarla o farla. Nei pz che sono svegli si
spiega bene la situazione, che cosa avverrà, e quello che loro possono fare per aiutare questa manovra.
Programmiamo tutte le attività sia medico che infermieristiche di routine che vanno fatte in modo tale che
non le faremo dopo in posizione prona, ma le facciamo prima. Verifichiamo quindi che tutti i drenaggi, i cavi
e le infusioni abbiano una lunghezza adeguata per fare questa manovra, quindi non è che nel momento in
cui giriamo ci rendiamo conto che i tubi sono corti e quindi bisogna sistemare tutto. Noi dobbiamo essere
certi che la lunghezza di tutti questi fili sia adeguata per questa rotazione. Bisogna verificare la tenuta dei
sistemi di ancoraggio del tubo endotracheale, della cannula tracheostomica.
Quindi prima di questa manovra bisogna verificare di porre attenzione:
 sulla protezione degli occhi, alla loro igiene, alla compressione con delle bende oculari perché poi a
posizione stabilizzata saranno più difficilmente accessibili;
 sulla valutazione del ristagno gastrico. Questi pz sicuramente sono portatori di un SNG, quindi
andremo a verificare il contenuto nello stomaco in base ai protocolli in uso generalmente. Sono pz
con continua nutrizione enterale e ci sono degli studi che affermano che anche se il pz viene messo
in posizione prona va continuata l’alimentazione. Non ci sono episodi di rigurgito in questa
posizione però è giusto che prima di effettuare la manovra, anche in base ai protocolli in uso nella
unità operativa, si controlli sempre se c’è del ristagno o altro;
 sulla aspirazione delle secrezioni rinofaringee e si effettuerà una buona pulizia del cavo orale
perché nella posizione prona sarà difficile praticare questa igiene. Garantiremo un buon fissaggio
della protesi respiratoria e garantiremo questo scolo delle secrezioni durante la manovra;
 sul posizionamento del sistema chiuso per la bronco aspirazione. Esso ci servirà in quanto girando il
pz l’accesso sarà difficoltoso per le normali bronco aspirazioni;
 sulla protezione dei punti di appoggio della cute, in quanto c’è la possibilità che si formino LDP.
Vengono protetti questi punti(viso,fronte,torace,cresti iliache,ginocchia) con l’idrocolloide molto
sottile che ci aiuta a prevenire la LDP.
Adesso esistono due sistemi per la bronco aspirazione. Può essere fatta attraverso la cannula
tracheostomica, però si può bronco aspirare anche dai tubi endotracheali posizionati a livello del naso. In
posizione supina questa manovra diventa piuttosto agevole, ma in posizione prona abbiamo delle difficoltà.
Quando si decide di posizionare il pz va messo il sistema a circuito chiuso.

 
Ad oggi non ci forti evidenze che ci dicono che l’utilizzo di questo sistema riduca la VAP(polmoniti associate
a ventilazione meccanica). A sx della foto è dove si attacca il tubo dell’aspirazione e li c’è il sistema che
schiacciandolo andrà a creare il vuoto. In questa busta di plastica c’è il catetere e questo(dx) si collega
all’aggancio della cannula tracheostomica o alla cannula del tubo endotracheale. È tutto sterile. Si inserisce
il tubo e si aspira ruotandolo normalmente. A questi agganci si può attaccare un flusso di ossigeno ulteriore
durante la bronco aspirazione e poi c’è l’attacco per la siringa che con acqua sterile verrà iniettata e andrà a
lavare il sondino che risulterà sporco di secrezioni o altro.
Veniamo alla pronazione. Abbiamo visto che cosa proteggere. Che cosa ci serve?
 
Innanzitutto dobbiamo capire che tipo di materasso abbiamo a disposizione, perché se è un materasso a
sezioni ad aria gonfiabile non richiede i presidi aggiuntivi che sono portati qui nella slide. Se il materasso è
quello convenzionale è necessario prepararci questo materiale:
 Cuscino a C e lo si vede nell’immagine a dx.
 Altri cuscini che metteremo a livello del torace e delle creste iliache;
 Altri cuscini che useremo per gli arti superiori ed inferiori.
Un altro aspetto importante è se invece di questo cuscino a C vengono utilizzate delle ciambelle gonfiabili,
la testa va posizionato di lato e in questo caso ogni due ore dovremo girare la testa atrimenti si creano
facilmente delle lesioni su un lato soltanto.
Veniamo all’aspetto pratico. Una volta controllato tutto ciò che riguarda il pz iniziamo a reclutare il
personale che serve per effettuare questa manovra. Diciamo che nelle condizioni normali,senza utilizzo di
ECMO o altre situazioni, il personale di questa manovra dev’essere costituito da 5 operatori. Di questi 5 ci
dev’essere un medico e due infermieri. Poi se ci sono tutti infermieri almeno un medico ci sarà. In una
struttura quando si decide di girare un pz si decide di reclutare tutto il personale a disposizione : oss,
infermieri, ecc, basta che il numero non sia al di sotto di 5 perché un operatore viene messo alla testa, in
genere il leader del gruppo. Il leader si occupa per tutta la manovra della gestione delle vie aeree, stabilisce
i tempi delle manovre e controlla che gli altri facciano la giusta manovra. Dato che deve conoscere bene i
tempi e le manovre, è bene che questo ruolo sia assegnato alla persona più esperta e non è detto che la
persona esperta che lo ha fatto tante volte sia un medico, potrebbe essere anche un infermiere. La cosa
importante è che chi si mette alla testa gestisca le vie aeree e sappia dettare i tempi e dare le indicazioni.
Dallo schemino che noi vediamo quindi:
 

 Un operatore alla testa che si occupa delle vie aeree e ancora la Y del circuito tra le braccia;
 Poi ci sono altri operatori che si possono posizionare due da un lato e due dall’altro. Il concetto è
quello della rotazione normale, soltanto che qui viene complicata da tutta una serie di presidi che
sono posti vicino al letto del pz.
L’operazione si divide in due fasi e va letto tutto dalla slide precedente e da questa.

 
Una volta che si termina tutta la posizione andremo a verificare altri aspetti.
Questa è la posizione finale.

 
Osservate tutti questi drenaggi, in questo caso abbiamo una ECMO in corso. Innanzitutto verifichiamo se la
posizione finale è ben tollerata dal pz , se il pz è cosciente, perché se lo abbiamo sedato la situazione è più
difficile perché col pz sedato non abbiamo riscontri, se ha dolore o meno, mentre se il pz è sveglio ci può
dire i suoi fastidi, dolori, considerazioni ecc..
Iniziamo a posizionare i cuscini che dovranno essere variati almeno ogni due ore. Controllo i drenaggi,
l’urinometro che dovranno essere posizionati ai piedi del letto. Va regolato il piano del letto: possiamo
utilizzare una posizione trendelenburg o anti-trendelenburg, a seconda se si vuole favorire i drenaggi delle
secrezioni oppure ridurre l’edema da posizione. ATTENZIONE ALLA TESTA: quindi verifichiamo la posizione
della testa e delle orecchie e verifichiamo che la cannula tracheostomica non poggi poi sul materasso
altrimenti andiamo incontro a terribili danni.
Qui troviamo elencati gli accorgimenti di cui parlavamo.

 
Queste sono cose gia spiegate prima. Importante in questa situazione posizionare una sonda rettale per la
gestione dell’incontinenza fecale che porterà ad una riduzione del carico assistenziale e favorirà l’igiene del
pz perché con questa sonda possiamo dirottare le feci in una unica zona. Bisogna porre la propria
attenzione sui punti d’appoggio. Se il pz dovrà stare in posizione prona per lunghi periodi, attenzione ai
punti di appoggio per evitare le LDP.
Tutto questo se la nostra azienda non possiede questo favoloso letto motorizzato.

 
Con questo letto motorizzato si riduce di tanto il lavoro, ma soprattutto immaginate che possiamo farlo
anche da soli. Sono letti che non si trovano quasi mai.
Una volta che abbiamo posizionato il pz, abbiamo eseguito questa pronazione durante le ore che il pz sta in
questa posizione :

 
 Bisogna monitorare in maniera continua i parametri emodinamici e respiratori;
 I livelli di sedazione e della necessità;
 Bisogna monitorare e gestire le secrezioni che potrebbero intasare l’albero bronchiale;
 Bisogna verificare sempre i punti di compressione per controllare se sono arrossati o meno;
 Bisogna verificare sempre che i drenaggi siano in buone condizioni.
Questo è l’aspetto che ci interessa della pronazione.

L’altro aspetto da non sottovalutare della gestione infermieristica è la VAP (polmoniti associate alle
ventilazioni meccaniche).
 
È il killer delle unità di terapia intensiva. Negli stati uniti, detta polmonite nosocomiale, è la seconda causa
di morte nelle terapie intensive. Da questa diapositive vediamo che è un problema dell’unità operative a
livello di mortalità e costi, ma possiamo già individuare quali sono le classi di rischio, cioè tutti quei soggetti
che possono andare incontro alla VAP:
 soggetti con età superiore ai 70anni;
 tutti coloro che sono sottoposti ad una ventilazione artificiale meccanica,e quindi portatori di un
tubo endotracheale;
 tutti coloro che sono sedati o hanno un GCS piuttosto basso;
 tutti coloro che sono statti sottoposti a RCP(rianimazione cardiopolmonare) oppure procedure di
urgenza;
 coloro che hanno delle patologie polmonari.
Abbiamo già dei dati a nostra disposizione. Sappiamo che ogni giorno di intubazione, quindi un soggetto
collegato ad un respiratore meccanico, il rischio che la polmonite si possa verificare è dell’1-3% che
aumenta ogni giorno e chiaramente la possibilità che il sogg possa andare incontro a VAP raddoppia le
percentuali di decesso.

 
Noi possiamo distinguere due tipi di infezioni da un punto di vista eziologico e quindi classificati in base alla
sorgente dell’infezione:
 esogena. L’infezione polmonare è causata da microrganismi ,riscontrati precedentemente nei
campioni di sorveglianza, che sono stati portati al pz dall’esterno senza una precedente
colonizzazione;
 endogena. L’infezione è causata dai germi presenti nella persona, quindi che erano già residenti nel
pz, prima che si manifestasse la polmonite.
La VAP è correlata a:
 colonizzazione batterica del tratto aereo-digestivo;
 aspirazione dei secreti che passano nei polmoni.

 
I batteri possono invadere le vie respiratorie attraverso alcune manovre:
o aspirazione dell’orofaringe;
o traslocazione della via gastrointestinale;
o inalazione attraverso aerosol, soprattutto quelli esogeni;
o per via ematogena tipo le batteriemie.
Aspirazione e traslocazione sono le modalità più frequenti in cui si verifica il passaggio dei batteri nelle vie
respiratorie.

 
Da un punto di vista di diagnosi clinica noi dobbiamo dire che la diagnosi viene fatta se ce’è una presenza a
livello radiografico di questi aspetti. Da un punto di vista infermieristico la diagnosi clinica di polmonite
deve avere un riferimento radiografico, in più ci devono essere almeno 2 di questi segni/sintomi:
 una temperatura superiore a 38°, motivo per cui va sempre monitorata la temperatura, o inferiore
a 36°;
 alterazioni a livello degli esami ematochimici;
 secrezioni tracheali purulente.
La presenza di due di questi segni/sintomi, insieme al riferimento radiografico, ci da la diagnosi di VAP.
 
Veniamo agli aspetti assistenziali che sono fondamentali per cercare di prevenire la VAP. Le pratiche di base
per prevenire e monitorare la VAP possono essere considerate le seguenti:
educazione del personale dedicato all’assistenza. Il fatto stesso che tu prendi del personale di
queste U.O dove c’è la possibilità che insorga la VAP ed istruisci e formi sul problema , ma
soprattutto sulla prevenzione e le manovre da mettere in atto è già un buon risultato;
educare le unità operative all’utilizzo della ventilazione non invasiva(NIV);
sorveglianza della corretta adesione al percorso preventivo della VAP;
sorveglianza dei pz a rischio di incorrere in VAP, e lo abbiamo visto nella slide precedente le classi
dei soggetti a rischio. Dobbiamo sorvegliare attentamente questi pz e valutare che non appena si
notano delle alterazioni, subito intervenire sia a livello terapico, sia nell’atteggiamento nei confronti
di questi pz;
implementazione delle politiche e delle pratiche che ci sono dai Central Disease Control ed in
prevenzione degli organismi locali , nel senso che il CDCP(centro del controllo delle malattie della
prevenzione) emanano annualmente, ogni sei mesi, a seconda della necessità, delle indicazioni
delle pratiche che bisogna mettere in atto. Se noi ci adeguiamo a queste indicazioni possiamo
sicuramente prevenire;
utilizzo del sistema NNIS per la definizione delle VAP.

 
Questo è il NNIS. È un sistema di conrollo dove acquisiscono tutti i dati , sponsorizzati dai CDC, degli
ospedali che partecipano a questa sorveglianza in maniera tale che ognuno sa come intervenire. Su un
numero elevatissimo di ospedali si prendono le esperienze a riguardo in modo da aiutare gli altri a
prevenire ed intervenire sulle infezioni nosocomiali.
L’obiettivo principale del NNIS: utilizzare i dati di tutti gli altri ospedali per ricercare i sogg a rischio, le
manovre migliori …
L’incidenza di VAP è correlata alla qualità di assistenza prestata all’interno di una struttura di terapia
intensiva.

 
Questa definizione viene fuori da questo sistema ci dà questa responsabilità perché ogni volta che si
potrà verificare una VAP ognuno si potrebbe sentire responsabile di questo, come spesso ci si sente
responsabili se si viene a formare una LDP perché forse non è stata messa in atto una buona assistenza
o come ho detto sulla sindrome da immobilizzazione , si creano delle situazioni perché forse non
abbiamo messo in atto tutte le procedure per evitare alcune complicanze. Alla fine c’è questo elenco
delle best practices da applicare in modo simultaneo e congiunto per prevenire ed evitare che si
presenti la polmonite:
 introdurre protocolli per il lavaggio delle mani;
 la cosa PRINCIPALE: RIDURRI I TEMPI DI INTUBAZIONE, e lo abbiamo visto prima con le
percentuali;
 sollecitare ed attuare i protocolli di svezzamento dal ventilatore;
 educazione del personale è sempre presente;
 tenere il pz in posizione semiseduta;

 
 Evitare la sovra distensione gastrica;
 Evitare estubazioni ed intubazioni non pianificate. Se il sogg inizia a svegliarsi e sente questo
tubo nel naso se lo toglie, quindi è una estubazione non pianificata e che po’ portare
l’insorgenza di infezioni;
 Utilizzare tubi con l’aspirazioni sottoglottica. Io se ho un tubo endotracheale posto nel naso
vado in aspirazione e posso non arrivare sotto la glottide, mentre l’obiettivo è di posizionare le
cannule tracheostomiche in modo tale che quando si va ad aspirare si va più giù e si tolgono
queste secrezioni che possono provocare la polmonite;
 Gestire bene le pressioni delle cuffie che devono essere sempre a 20cm/H2O. vale per Pz
intubati o con cannule tracheostomiche. Per le pressioni delle cuffie non si va MAI ad occhio,
ma utilizzare sempre dei manometri per verificare la giusta pressione;
 Eseguire regolarmente l’igiene del cavo orale ;
 Rimuovere le condense del circuito ventilatorio;
possiamo concludere con alcune strategie per la prevenzione

 
1. Cure igieniche. L’importanza dell’igiene del cavo orale spesso è sottostimata in questi sogg.
Innanzitutto per una cura ottimale ci dev’essere :
a. lo sfregamento dentale, quindi pulire bene i denti;
b. l’uso di soluzioni quali colluttori per la detersione delle mucose
c. rimozione delle secrezioni.
Per quanto riguarda l’uso di composti a base di clorexidina sono indicati nei sogg ad alto rischio e
più in là vedremo la clorexidina a che % va utilizzata.
2. Aspirazione delle secrezioni . Riduce la stasi delle secrezioni e quindi l’incidenza delle infezioni
ospedaliere. È meglio utilizzare le cannule tracheostomiche per andare più in profondità ed
eliminare queste secrezioni. Per la metodica, quindi circuito chiuso o circuito aperto, non abbiamo
ancora delle raccomandazioni forti, chiari ed evidenti. Sicuramente sappiamo che la metodica
chiusa presenta dei vantaggi rispetto quella aperta, quella convenzionale:
a. Limita la contaminazione ambientale del pz e del personale;
b. Evita la perdita del volume polmonare, perché se stacchiamo per aspirare non c’è più
questo flusso a livello polmonare e quindi il sogg potrebbe avere problemi di ossigenazione;
3. Per quanto riguarda i device endotracheali si preferisce la tracheotomia;
4. Weaning = SVEZZAMENTO. L’obiettivo è quello di utilizzare dei protocolli di svezzamento in maniera
tale da garantire una ripresa sicura ed efficiente della respirazione spontanea , riducendo
significativamente la durata del supporto artificiale. Non ci sono delle linee guida ben precise, si
lascia molto alle situazioni locali dei protocolli locali e soprattutto alle condizioni del pz che possono
cambiare spesso;
5. Posizione del paziente. Studi in nostro possesso hanno dimostrato una frequenza ed un rischio di
VAP inferiore nei pz che rimangono sempre con il tronco sollevato dai 30° ai 45°. È l’intervento che
rimane tra i più sicuri , poco costosi e facilmente attuabili. Non ci sono controindicazioni.
Che cosa si sta studiando in merito? Stanno progettando :
 dei nuovi tubi endotracheali, con del nuovo materiale a base di argento;
 controllo automatico delle pressioni delle cuffie;
 la decontaminazione di questo biofilm che si crea nei tubi all’interno con dell’aerosol;
 eliminazione di questo biofilm mediante la pulizia interna meccanica, visto che la creazione di
questo biofilm all’interno dei tubi è un aspetto che favorisce l’insorgenza delle infezioni.
FINE ASPETTO DELLA B, DELLA RESPIRAZIONE PER ADESSO.

 
Passiamo alla C, CIRCULATION. Per quanto riguarda la C abbiamo già detto qualcosa all’inizio, ma ora
entriamo nel merito di come valutiamo l’aspetto emodinamico di un pz critico.

 
I parametri in questa fase li abbiamo già visti:
 polso;
 refill;
 segni di circolo;
 pressione arteriosa;
 se ci sono emorragie le blocchiamo;
 identifichiamo i pz con segni di shock attuale o potenziale.
 

 
Il monitoraggio in un pz critico richiede alcuni aspetti. Il monitoraggio è l’attività che impegna
maggiormente l’infermiere , qualunque sua l’area intensiva in cui si opera. Il monitoraggio non serve
per curare, quindi non è che se io metto il monitor il pz sta meglio. Il monitoraggio ci da delle
informazioni che favoriscono delle decisioni assistenziali. Rilevando questi dati si riducono i possibili
rischi di vedersi passare sotto gli occhi il pz che sta andando in arresto cardiaco, anche perché nella
prima lezione abbiamo visto che il pz che va in arresto cardiaco un paio di ore prima inizia ad avere un
deterioramento delle condizioni cliniche. Il nostro concetto è quello di intercettare rapidamente un
deterioramento. La nostra capacità di gestire tutta la tecnologia in nostro possesso è un componente
fondamentale, di routine fondamentale per la routine degli infermieri nell’area critica.
Questa elencazione:
 accesso vascolare;
 monitoraggio ECG continuo;
 monitoraggio della PA cruenta continua;
 ecc..
ci fa capire che noi dobbiamo monitorare, ma dobbiamo anche essere in grado di capire se c’è qualcosa
che non va in questo ECG, nella PA, nel capnografo, nella diuresi. Non basta posizionare, dobbiamo dare un
valore, dobbiamo saper leggere queste informazioni che ci arrivano dalla tecnologia, ma soprattutto
dobbiamo capire se il pz sta avendo un deterioramento.
Vedremo oggi questo monitoraggio emodinamico. È costituito da un insieme di sistemi utilizzati su un pz
critico per capire la sua funzione cardiovascolare e quindi capire se il nostro pz è in situazione di stabilità o
instabilità.

 
Partiamo dal semplice sfigmomanometro. Qual è il vantaggio ?
 Utilizzo semplice;
 Possibilità di automatizzare la misura.
Svantaggio:
 Non consente una registrazione continua;
 Non ci dà nessuna forma d’onda che ci può far capire se ci sono alterazioni;
 Soprattutto col fonendo, è legato a quello che noi avvertiamo attraverso il fonendoscopio;
 Potrebbe essere un metodo soggettivo;
 Se la pressione è molto bassa non riusciamo a sentire nulla.
 

Con i metodi di misura DIRETTA abbiamo una serie di vantaggi:


 I livelli per monitorare l’aspetto emodinamico, di tipo invasivo,possono essere di livello :
o Base = catetere arterioso ,cvc;
o Intermedio = monitoraggi ad invasività minima , intermedia;
o Avanzati = i cateteri arrivano a livello dell’arteria polmonare.
 Abbiamo la valutazione ecografica , trans toracica, trans esofagea che vengono impiegate per la
visualizzazione in tempo reale di conduzione cinetiche e di riempimento del cuore;
 
Per quanto riguarda la misura invasiva è una manovra che viene attuata nel pz in condizioni critiche. I
vantaggi:
 Valuta in continuo la pressione e le sue modifiche;
 Dà le sue informazioni sulla funzione meccanica del cuore;
Nel momento in cui si va a posizionare un monitoraggio a livello avanzato si può andare incontro a dei
rischi (embolia, emorragia..).
Ci sono altri metodi che non vediamo.

 
Gli accessi venosi che utilizziamo nella fase C dipendono da una serie di cose:
 dallo stile dell’operatore;
 da ciò che si possiede al momento.
In tutti i reparti un ago cannula è presente, quindi un accesso periferico sarà sempre possibile.
Quando parliamo di accessi centrali : giugulare interna, succlavia, femorale, PICC, ci dev’essere del
personale che sia in grado di farlo. Cosa ci viene in mente quando parliamo di succlavia e giugulare interna?
Ci viene in mente il personale di anestesisti e rianimatori, a volte anche i chirurghi sono in grado di isolare
delle vene. Succede anche per i pz dializzati e li non chiamano altri specialisti. Per inserire il PICC richiede
una formazione specifica con l’ecodoppler per individuare i vasi.
Infine abbiamo l’intraossea. Le categorie per quanto riguarda gli accessi venosi vengono suddivisi in :
 periferici;
 centrali;
 PICC;
 Intraossea. Le immagini presenti sulle slide rappresentano l’intraossea.
 
Qui vengono riportate alcune situazioni su cui non è il caso di aggiungere nulla, ma lo vedrete nel fare
tirocinio. Osserverete la preparazione e la gestione di questi accessi.
Sono accessi venosi centrali della giugulare, della succlavia ad inserzione periferica, quindi i PICC, attraverso
un cateterino. Sono procedure anche infermieristiche quelle ad inserzione periferica, ma richiedono una
formazione a parte con l’utilizzo di un ecografo. Ci sono dei master per la preparazione e formazione
sull’uso dell’eco attraverso il quale si individuano gli accessi venosi e si possono utilizzare questi sistemi.

 
Quello che invece possiamo fare tranquillamente è la puntura intraossea. È una pratica che anche
l’infermiere può utilizzare, quindi NON è una manovra ad uso esclusivo del medico, anche perché è una
manovra di emergenza in quanto va fatta perché ci devono essere delle condizioni per utilizzare
l’intraossea. Viene fatta nel midollo osseo perché, come sappiamo, è fortemente vascolarizzato e andiamo
ad introdurre un ago e a somministrare dei liquidi. A differenza della vena non si può collabire il midollo
osseo, inoltre la presenza delle trabecole ci da una resistenza se vogliamo infondere dei liquidi, motivo per
cui è necessario rompere la resistenza di queste trabecole attraverso una infusione di 10cc di fisiologica,
misto a dell’anestetico, dove andiamo a rompere queste resistenze a favorire la successiva
somministrazione di liquidi. Con l’intraossea si utilizzano anche le flebo con la sacca a pressione che vi farò
vedere.
Abbiamo due tipi di intraossea:

 
 Il sistema BIG che non si usa più perché adesso tutti i sistemi di emergenza utlizzano il sistema EZ-
IO. È costituito da un ago, un mezzo meccanico con una molla prevaricata molto forte che scatta e
spinge l’ago nel midollo osseo. Ha diverse complicanze rispetto al trapanino che è molto più
delicato.
 Il sistema EZ-IO è un piccolo trapano dove viene messo un trapano che poi vedremo nel filmato.
È stata fatta una prova su delle uova: il sistema EZ-IO non rompe i gusci delle uova, il sistema BIG rompe
completamente l’uovo.

 
Ci sono delle controindicazioni :
 Il pz ha un accesso venoso periferico adeguato o che può essere reperito in tempi brevi, per cui se
ci sono queste condizioni non c’è motivo di utilizzare l’intraossea. Per questo ho detto prima che
andremo ad utilizzare l’intraossea solo se ci sono le condizioni di urgenza , abbiamo necessità di
infondere liquidi, di somministrare farmaci e abbiamo difficoltà a reperire un accesso venoso
periferico;
 Il pz non richiede somministrazioni di farmaci o di infusioni in tempi rapidi, non c’è più una
situazione di emergenza e nel caso di utilizzare l’intraossea;
 Il sogg presenta delle fratture nella zona in cui io voglio prendere questo accesso venoso;
 Il pz ustionato;
 Il pz presenta delle protesi nell’eventuale zona in cui voglio effettuare l’intraossea;
 Il pz osteoporotico, osteomielitico;
 Abbiamo difficoltà nell’individuare punti di repere.

 
Questa intraossea è una pratica molto antica , è stata messa per parecchi anni da parte e veniva utilizzata
soltanto in ambito militare ed emergenza. È stata ripresa qualche anno fa tanto che inizialmente era una
pratica standard d’emergenza nei bambini e nei neonati ,era di prima scelta, poi dal 2010 è stata utilizzata
come linea guida negli adulti.

 
L’intraossea dev’essere considerata precocemente per l’accesso vascolare in emergenza nei bambini come
prima scelta, negli adulti dopo due tentativi falliti di accesso periferico. Nei bambini non fai due tentativi ,
passi direttamente all’IO. Chiaramente stiamo parlando di persone critiche, instabili, che da un momento
all’altro il pz può morire. Inoltre tanti anni fa (15-20anni fa) c’era la possibilità di somministrare i farmaci nel
tubo endotracheale. Ormai sono anni che le linee guida hanno eliminato la possibilità di somministrare
attraverso il tubo endotracheale.
L’accesso venoso centrale in ambito dell’emergenza non è indicato perché porta via un po’ di tempo ,
anche nell’extraospedaliero è difficile avere una figura capace di reperire un accesso venoso centrale, per
cui si passa all’IO.
Fa vedere il filmino (slide 38). Ci fa vedere uno dei diversi punti di repere. Entriamo attraverso la rotula,
scendiamo nel piatto mediale interno della tibia , piatto prossimale mediale. Si disinfetta la zona e si
inserisce il trapano. Si mette un raccordino e poi si infonde. Dall’immagine vediamo come subito si diffonde
rapidamente il liquido che noi andiamo a somministrare perché è fortemente vascolarizzato. Anche qui
(slide 39) si vede in scopia come si diffonde rapidamente il liquido. A dx invece vediamo l’ago dove va a
somministrare i liquidi , quindi quando mettiamo l’ago deve arrivare nella zona dove ci sono queste
trabecole ossee che noi dobbiamo rompere attraverso la somministrazione rapida di 10cc di fisiologica con
anestetico. (Slide 40) si vede un altro filmino. La caratteristica di questa tecnica è che inizialmente il trapano
non viene utilizzato , ma la prima parte con l’ago superiamo cute e sottocute fino a sentire la parte rigida
dell’osso. Una volta che abbiamo sentito questa sensazione possiamo azionare il trapano. Una volta inserito
come ci rendiamo conto che siamo in posizione? Sentiamo che man mano si riducono le resistenze perché
mentre sto superando la parte dell’osso sento queste resistenze. Una volta che abbiamo superato questa
parte aspiriamo per vedere se siamo certi del suo posizionamento. Una volta che siamo certi andiamo ad
infondere una flebo con una sacca a pressione. La sacca dev’essere gonfiata fino a 300mmHg. Per
rimuovere l’ago si usa una siringa luerlock e si gira in senso contrario. Dal video possiamo vedere che chi si
sottopone a questa pratica non grida, non tenta di togliere o rimuovere la gamba. Sicuramente avvertirà del
dolore, ma su una scala ,da 1 a 10, del dolore sarà 3/4. Il punto della rimozione che ci tranquillizza è che
non ci sono sanguinamenti. .Una volta che rimuoviamo il tutto basta una semplice medicazione a piatto.
Gli aghi possono essere di 3 dimensioni e la si decide in base al punto dove andremo a posizionare l’ago.
Quali sono i punti di repere?
 Il piatto mediale interno della tibia, sia prossimale che distale;
 La testa dell’omero;
 Anche nella parte distale del femore si può inserire questo ago;
 Su alcune guide potete trovare che addirittura di può posizionare a livello dello sterno.
La casa produttrice di questi aghi ci dice di evitare di posizionare sullo sterno perché se io posiziono l’ago
sullo sterno e poi il pz necessita di una RCP avremo delle difficoltà.

 
È doloroso? Dipende da persona a persona. Le linee guida dicono che nel momento in cui andiamo a
preparare questi 10cc di fisiologica per rompere le trabecole ossee , si può anche aggiungere 2cc di
lidocaina al 2% che può ridurre a scopo precauzionale il dolore.
 
Quali farmaci possiamo somministrare? Tutti, non c’è nessuna prescrizione.
Quali liquidi? Tutto. Sangue, fisiologica, tutto quello che avremmo dovuto infondere attraverso un accesso
venoso periferico , lo possiamo fare attraverso questa via di somministrazione, sempre utilizzando una
SACCA A PRESSIONE , dove abbiamo messo una pressione di 300mmHg. Il sangue che io vado ad aspirare
posso anche posizionarlo in una provetta ed inviarlo al laboratorio analisi per i test specificando sempre
“sangue proveniente da una puntura intraossea”.

 
Le controindicazioni ne abbiamo parlato.
 
Altre complicanze :
 Sindrome compartimentale;
 Dislocazione;
 Fratture, dipende da dove lo posizioniamo;
 Sulle infezioni vedete “analisi retrospettiva”, parliamo proprio di numeri molto bassi.

 
Possiamo concludere questo aspetto che l’IO:
 Riduce i tempi;
 Salva la vita perché avevamo necessità di un accesso venoso per infondere farmaci o liquidi;
 Facili da usare perché è un semplice trapanino. Tutte le manovre invasive non sono complicate, ma
richiedono un minimo di coraggio per inserire un ago o un qualcosa all’interno dell’organismo della
persona.
La slide successiva non la legge. (slide 46)
 
Un’altra via di somministrazione semplicissima che può essere utilizzata in alcune situazioni è questa siringa
con questo diffusore intranasale che si inserisce all’interno del naso. Questo nebulizza la sostanza. Nel naso
ci sono molti vasi, quindi in emergenza , soprattutto nei bambini e nei pz psichiatrici, è una soluzione
semplice per poter somministrare il farmaco necessario.

 
Si risparmia tempo nel prepara una infusione per via endovenosa e tranquillamente attraverso la mucosa
nasale , fortemente vascolarizzata, possiamo far assorbire il farmaco.

 
In genere vengono utilizzati farmaci anticonvulsivi per le crisi epilettiche in pediatria. È stato visto che
raggiunge alti livelli sierici dopo la somministrazione. Ricordativi di preparare nel vostro kit o avere sempre
a disposizione questo presidio semplice, poco costoso per la somministrazione in emergenza.
Qui c’è una scala in cui ci sono tutti i vantaggi delle varie vie di somministrazione ed è inutile che ci
dilunghiamo.(si riferisce alla slide 50)
 
Parliamo sempre della C (circulation) e vediamo il monitoraggio emodinamico, specialmente il
monitoraggio con l’Elettrocardiogramma. Da un punto di vista infermieristico vi darò uno spunto rapido per
vedere se ci sono delle alterazioni nell’ECG che stiamo facendo oppure, cosa più pratica fattibile, stiamo in
una terapia intensiva o in rianimazione, ogni pz viene monitorizzato per cui noi abbiamo una schermata in
cui sono riportati tutti i tracciati dei pz. Può essere che siamo in una medicina di urgenza , il pz nell’ultima
stanza è monitorizzato e in medicheria sul computer abbiamo il tracciato del pz. Attraverso il tracciato che
noi abbiamo possiamo capire se , in maniera molto macroscopica, se ci sono delle alterazioni.
Dobbiamo sapere come visualizzare e come capire se c’è un problema. Il tracciato elettrocardiografico lo
possiamo seguire in diverse maniere: io se voglio vedere la traccia di un pz lo posso fare attraverso un quick
look oppure utilizzo degli elettrodi, che abitualmente fate, oppure utilizzo delle piastre adesive che
vengono utilizzate per i defibrillatori, infine il classico ECG a 12 derivazioni.

 
Questo è il quick look. Tutti i reparti hanno un carrello di emergenza dove c’è il monitor, il cassetto con le
piastre metalliche. Accendete il monitor, mettetelo su piastre come levetta , dopodiché appoggiate le
piastra sul vostro petto in questa posizione per leggere il tracciato. Si chiama appunto quick look (rapido
sguardo) perché abbiamo necessità di vedere rapidamente il tracciato perché il pz non dà segni di vita, è in
arresto cardiaco, per cui abbiamo bisogno di capire rapidamente che tipo di tracciato c’è.
Se non abbiamo fretta di avere un tracciato passiamo ad altri metodi.
 
Le placche adesive. Vedete il vantaggio già? Il vantaggio è che nella slide precedente si hanno le mani
occupate, mentre con le placche adesive l’operatore si è completamente liberato. Anche in questo caso se
abbiamo attaccato queste placche adesive la situazione non è delle migliori, vuol dire che il pz è in arresto
cardiaco, per cui bisogna agire in fretta.

 
Analizziamo il monitoraggio con le 3 derivazioni. Una derivazione alla spalla dx, una alla spalla sx ed
elettrodo qui a sx. Come vengono posizionati questi elettrodi? Sulle prominenze ossee. Quando mettete
questi elettrodi, mettete sempre uno sulla cresta iliaca, omero dx e omero sx, se li metto sui tessuti molli è
facile che si possano verificare delle alterazioni. E poi esistono le 12 derivazioni.

 
Avete già studiato la fisiologia del cuore, quello che mi preme è solo ricordare che con il monitoraggio
Elettrocardiografico noi visualizziamo le variazioni di potenziale elettrico che si verifica durante l’attività
cardiaca.
Il ciclo cardiaco ha una fase di sistole ed una fase di diastole che si alternano a livello di atri e di ventricoli,
quindi di riempimento e di svuotamento delle due cavità.
Questo impulso si genera dal nodo seno atriale che viene diffuso al nodo Atrio ventricolare e attraverso il
sistema di conduzione delle fibre di Purkinje viene trasmesso ai ventricoli. La conduzione di questi stimoli
da luogo ad una alternanza di fasi di depolarizzazione e ripolarizzazione delle cellule cardiache.

 
Sul tracciato elettrocardiografico la depolarizzazione atriale che noi vediamo (riquadro bianco) e quindi la
contrazione degli atri è data dall’onda P che voi vedete. Mentre la contrazione dei ventricoli, quindi la
depolarizzazione dei ventricoli genera il complesso QRS. Dopodiché abbiamo l’onda T che non è altro che la
ripolarizzazione ventricolare.
La ripolarizzazione atriale ovviamente c’è,ma non si vede perché è inglobata in questi due complessi.
Entriamo nel merito di questo tracciato.
Quindi noi vediamo questi complessi, il tracciato una linea. In genere tutte le curve, le onde che sono al di
sopra della linea sono positive, quelle al di sotto sono negative.

 
Veniamo al nostro cuore. Noi mettiamo le derivazioni bipolari: omero di dx(usiamo il colore rosso),
omero di sx(usiamo il colore giallo),gamba sx(usiamo il verde) e a volte possiamo usare un elettrodo a
destra che è quello neutro. Mettendo questi elettrodi creiamo una sorta di triangolo. Noi abbiamo le
derivazioni bipolari di I,II,III derivazione e vanno a costituire il triangolo di Einthoven.
La linea di congiungimento fra il punto di applicazione dei due elettrodi viene detta LINEA DI DERIVAZIONE,
quindi I,II e III derivazione. Poi abbiamo le altre derivazioni che sono aVF,aVL,aVR che sono altre derivazioni
polari che non sono altro che il punto della bisettrice di questo triangolo di Einthoven. E infine abbiamo le 6
derivazioni precordiali. Questo cuore lo vediamo attraverso questo piano sagittale delle 6 derivazioni , poi
aVL-VF-VR e le 3 derivazioni lo vediamo da tutti i lati. Quello che vi dovete ricordare perché sono DOMANDE
DI ESAME E’ LA POSIZIONE DEI 6 ELETTRODI PRECORDIALI COME VENGONO POSIZIONATI :
 V1- QUARTO SPAZIO INTERCOSTALE SULLA LINEA PARASTERNALE DI DX;
 V2- QUARTO SPAZIO INTERCOSTALE SULLA LINEA PARASTERNALE DI SX;
 V3- TRA V2 E V4;
 V4- QUINTO SPAZIO INTERCOSTALE EMICLAVEARE SX;
 V5-QUINTO SPAZIO INTERCOSTALE SULLA LINEA ASCELLARE ANTERIORE DI SX;
 V6- QUINTO SPAZIO INTERCOSTALE SULLA LINEA MEDIA DI SX.
L’altro aspetto che dobbiamo analizzare sono gli intervalli.

 
Nel momento in cui c’è uno stimolo viene utilizzato del tempo e lo vediamo sul tracciato
elettrocardiografico. I 5 quadratini corrispondono a questo tempo : ogni quadratino piccolo è costituito da
0,04 secondi, vuol dire che un quadratino grande è costituito da 5 quadratini che equivalgono a 0,20
secondi. Quindi questa P sono 0,20 secondi. 5 quadratini grandi equivale ad 1 secondo.

 
Come leggiamo una striscia ECG? Semplice.
Ogni volta che vediamo una striscia di ECG dobbiamo porci delle domande:
1. C’è attività elettrica organizzata?
2. Qual è la frequenza ventricolare (QRS)?
3. Il ritmo (QRS) è regolare o irregolare?
4. Il QRS è normale (stretto) o largo?
5. È presente attività atriale?
6. Che relazione abbiamo tra l’onda P e il complesso QRS
Ogni volta che noi vediamo un tracciato poniamoci queste domande semplici.
1. Alla prima , quando parliamo di attività elettrica organizzata, che cosa si intende? Il complesso QRS
è la rappresentazione elettrica dell’attività meccanica del cuore, quindi la contrazione dei ventricoli
determina questa attività elettrica. Quando io pongo la domanda “c’è attività elettrica
organizzata?” , cioè c’è questo complesso QRS?
2. Qual è la frequenza ventricolare ? Ogni volta che noi facciamo un tracciato ce la dà in automatico la
macchina, però se noi abbiamo il tracciato e non abbiamo nessuna macchina , la possiamo
prendere noi questa frequenza ventricolare attraverso diversi metodi.
3. Il ritmo QRS , per capire se è irregolare o regolare dobbiamo tornare al tracciato.

Questo è un complesso QRS regolare perché è inferiore a 0,12 secondi , cioè è inferiore a 3
quadratini piccoli. Abbiamo detto che un quadratino piccolo corrisponde a 0,04 secondi quindi
0,04x3=0,12. Ogni QRS che rientra nei 3 quadratini piccoli viene detto QRS normale, se supera i 3
quadratini piccoli, quindi superiore a 0,12 secondi viene detto largo.
4. L’altro step è l’onda P-R, quindi l’inizio dell’onda P fino all’inizio dell’onda R, cioè del complesso
QRS. Questo tratto dev’essere compreso tra i 0,12 e i 0,20 secondi cioè dev’essere tra i 3 massimo 5
quadratini. Se superiore ai 5 quadratini piccoli, quindi superiore a 0,20 secondi è allungato.
5. Come facciamo a capire se è evidente l’attività atriale?dalle onde P;
6. Come sono correlate l’attività atriale e quella ventricolare? Quando io vedo un’onda P entro 5
quadratini c’è un complesso QRS? Questo vuol dire che c’è un buon rapporto. Se invece io vedo
l’onda P e dopo più di 5 quadratini vedo il complesso QRS dirò che c’è un allungamento del tratto P-
R , oppure non vedo niente e quindi lo vedremo di volta in volta.

ROSA DITRIZIO

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