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Storia del teatro e dello spettacolo Teatro greco -‘800

LEZIONE 1
Importanza interazione nel teatro: serve attore e spettatore, si deve creare una emotiva empatia (es.
Aristotele nel saggio POETICA). Riflessione sul mondo d’oggi, non si può ricostruire in modo esatto l’oggetto
teatrale: lo storico del teatro è privo di una visibilità, soprattutto dell’antichità. (esame sulle cose che dice a
scuola).

Fino alla nascita della Regia (anni ’90 dell‘800, in Italia 50 anni dopo, con fondazione del Piccolo di Milano
1947, causa la tradizione impeccabile italiana che splendevano senza cambiare ed introdurre la regia), il
teatro ha vissuto sempre bene con la sua interconnessione; per funzionare il teatro ha bisogno di
SPETTATORE, PALCO e ATTORE il resto è sacrificabile. La stessa ricostruzione tiene conto di queste
caratteristiche, con indagini su testimonianze di spettatori, dinamiche e spazi del teatro.

Con la caduta dell’Impero romano (476 D.C.) sparisce il teatro come edifico, ogni tipo di organizzazione
come istituzione: per tutto il medioevo scompare il concetto di edificio deputato ad ospitare spettacolo (il
Colosseo è adibito alla raccolta di materiali): questo concetto si riprende nella seconda metà del ‘500
(passando dal dibattito teorico di Alberti passano ancora 100 anni).

La ricostruzione della storia del teatro abbiamo bisogno di FONTI: le fonti non sono uguali per tutte le
situazioni, ma dipendono dall’oggetto studiato esistono per lo storico: queste fonti dipendono dalla
reperibilità dell’oggetto: es Poetica (330 d.c.) di Aristotele ci racconta di qualcosa che è successa 2 secoli
prima egli è una fonte INDIRETTA, non ci parla di fatti a lui contemporanei

FONTI DIRETTE: documenti figurativi e testuali, oggetti, costumi di scena, recensioni, foto di scena ecc.
direttamente riferibili a uno spettacolo e contemporanei ad esso es. Stanislaskij viene folgorato
dall’Otello di S., interprete Salvini: il testo di Otello è una fonte indiretta, ma già il copione del testo è
maggiormente diretto; la recensione per alcuni aspetti è fonte diretta o meno (es. cronista che racconta il
giorno stesso, ma se riferisce giorni dopo abbiamo un filtro personale sulla sua memoria, il suo senso
estetico), per essere DIRETTA deve essere oggettiva, contemporanea e non filtrata.

FONTI INDIRETTE: documenti non direttamente riferibili allo svolgimento di uno spettacolo o non sono
contemporanei a questo, con profili e memorie di attori, trattati di recitazione, foto di posa ecc. esse non
sono contemporanea all’oggetto e sono MEDIATE da una memoria che può essere fallace e oggetto ad una
funzione mitopoietica: es. Goldoni scrive le sue Memorie ultra 80enne con l’intenzione di creare un mito di
sé (non sono fonti neutre) un po’ bleffa. Anche l’intervista ad un attore vivente non è una fonte diretta
dello spettacolo (può essere la fonte diretta della ricostruzione della carriera dell’attore); anche le foto
essendo un’invenzione dell’800-900 avevano dei tempi di posa lunghi (pretendevano che la figura
fotografata inizialmente dovesse stare ferma per qualche minuto), l’istantanea invece è una fonte diretta
perché evoca il movimento in scena.

All’interno di questa distinzione abbiamo varie tipologie di fonti, cercando un accerchiamento che faccia
tornare tutto, integrando:

Fonti iconografiche: dipinti (quanto restituisce un momento di vita, quanto invece quel momento di vita
viene idealizzato e distorto), incisioni, bozzetti e disegni (si evince molto di più il movimento), fotografie,
pitture vascolari, manifesti. A seconda del secolo cambia la fonte iconografica: il dipinto può essere
idealizzato, ci sono gesti di attori che traspaiono dai disegni in modo dinamico.
La FOTO DI SCENA Arlecchino servitore di due padroni (1951) regia di G. Strehler fonte diretta perché
la foto è istantanea. In un’altra foto di un’altra edizione (1996-1997) si ha un Arlecchino differente (un altro
attore), abbiamo uno spettacolo “diverso”, una fonte comunque diretta.

FOTO DI POSA: E. Duse come Margherita nella Signora delle Camelie nel 1897 indiretta, foto fatta in
studio, non ci dà un flusso dinamico di movimento, ma ci dice qualcosa del costume, con un atteggiamento
realistico, la sua linea interpretativa. La sua recitazione è reale, forse sconveniente (gambe divaricate,
Rossellini avrebbe apprezzato).

DIPINTI: Commedia dell’arte à la coer de Charles IX 1576 circa abbiamo la prima immagine di Arlecchino
(Tristano Martinelli il suo inventore, molto giovane): capiamo che è una maschera in formazione (per le
pezze del costume “un po’ qua e là”) questo quadro di un anonimo fiammingo portava una didascalia
sbagliata: capiamo grazie ad una NOTA DI POLIZIA che è lo stesso spettacolo e che non sono alla corte di
Carlo IX in Francia, bensì ad Anversa in Italia a casa di alcuni mercanti italiani (è stato possibile identificare i
nomi degli attori grazie a questa nota) la Commedia dell’arte si autodenuncia per provare il loro ruolo di
attori e non di SPIE, visto che c’erano le guerre di religione (la fonte indiretta del quadro, con l’integrazione
della fonte scritta diretta della nota di polizia diventa più comprensibile). Sono 8 uomini e 3 donne che
recitano e partiranno da Anversa per andare in Francia, e che transitando la compagnia acquisisce attori
stranieri (diventava più facile catturare il pubblico).

INCISIONI: Raccolta Fossard, figurine che un collezionista del ‘700 ha composto attaccandole su un album
(1580 circa), dei manifestini pubblicitari che si distribuivano in città (sotto le scene sono presenti delle
didascalie scritte in francese per attrarre il pubblico francese): abbiamo una scena della Commedia dell’Arte
(con un Arlecchino muscoloso, che si definirà nel tempo come acrobatica), con una didascalia fonte
indiretta, ma fondamentale, conservata a Stoccolma.

DECORAZIONI: Vaso di Pronomos (410 a.c), ci dà le immagini dei costumi, gli attori sono senza
maschera capiamo che non recitavano ancora, erano nel backstage: è una fonte indiretta.

BOZZETTI: es. E. Duse interpreta Cesarina nel 1885 il disegnatore coglie il movimento, una posa
acrobatica il momento della MORTE prima della caduta (fonte diretta). I bozzetti ci fanno capire la
scenografia es. Othello (1952) regia di Orson Welles.

MANIFESTI e LOCANDINE: es. Tournè in Russia della Duse che indica il repertorio che faceva. Nelle
locandine si hanno i nomi degli attori e servono anche a ripercorrere la carriera dell’attore.

Fonti scritte: testi drammatici, canovacci, copioni, sceneggiature, soggetti, contratti, diari, cronache,
memorie, lettere (uno studioso rintracciò l’epistolario nascosto tra Eleonora Duse ed Arrigo Boito, poeta
scapigliato e librettista di Verdi), contratti (fonti dirette oggettive e legale), locandine (nell’800 riportano il
cast), atti notarili e di polizia (fondamentali per lo studio della Commedia dell’Arte, capire gli spostamenti
degli attori (oltre che ai loro nomi) o capire la nascita della stessa Commedia dell’Arte atto scoperto nel
1812, 8 uomini fondano nel ‘500 con un contratto una società per azioni a scopo lucrativo, viene istituita col
nome di Compagnia con lo scopo di recitare insieme guadagnando (non fondano la Commedia dell’Arte
bensì solo una società), senza sapere cosa diventerà la Commedia dell’Arte (1545 a Padova) fonte diretta
e oggettiva, manuali di recitazione e regia, trattati.

COPIONI: sceneggiatura di Cenere 1916 correzioni della DUSE, così come nel copione per La Donna nel
mare, di Ibsen sono indicate le scansioni ritmiche della recitazione. Sono fonti dirette che difficilmente
possiamo ricondurre ad uno spettacolo.

LETTERA: Lettera di “Arlecchino” (Tristano Martinelli si firma così) in una lettera a Cosimo de Medici.
Fonti materiali: oggetti di scena, costumi (la più ampia collezione di scena è quella di Adelaide Ristori a
Genova).

Fonti monumenti: luogo teatrale, teatro vanno sapute leggere nelle loro modifiche nel tempo es. Teatro
di Lauro, Teatro Olimpico di Vicenza.

Fonti audio e video: registrazioni e riprese televisive (fonte diretta perché viene ripreso mentre succede
ma non va SOVRAPPOSTA AL TEATRO DAL VIVO).

LEZIONE 2
Aristotele: Poetica 330 a.c.

Egli ci serve per capire qualcosa della tragedia greca Poetica

Si parla di due libri della Poetica, ci è giunto solo uno nel libro che ci è arrivatosi parla della tragedia ma
NON DELLA COMMEDIA: di essa egli scrive che parlerà in un secondo momento (libro), ma non ci è
arrivato. Su questo Umberto Eco scrive un giallo, Il nome della rosa, ipotizzando che questo secondo libro
sia stato nascosto in epoca medievale.

Il (primo) libro è importante e misterioso, ed è in FORMA DI APPUNTI, i quali potrebbero essere stati scritti
dagli allievi di Aristotele o appunti di Aristotele per le sue lezioni egli voleva insegnare come si fa a
scrivere una buona tragedia, come si fa a diventare dei BUONI POETI: vediamo che si tratta la tragedia
ma anche L’ETICA.

Ci sono delle lacune e passi di difficile interpretazione, essa è una fonte indiretta:

le origini della tragedia risalgono al VI sec a.c. (lui scrive nel IV a.c) egli sente il bisogno di scrivere tale
trattato, in quanto ad Atene si fa il punto delle tragedie scritte: è necessario DARE DELLE REGOLE c’è un
momento di crisi, in cui si sta sfaldando qualcosa: nel IV sec a.c. gli ATTORI PRENDONO IL SOPRAVVENTO
SUGLI SCRITTORI (manipolano e cambiano i testi).

Gli attori facevano vere e proprie antologie, repertori personali sgretolando le trame e ricostruendo
qualcosa per esaltare l’attore: ARISTOTELE SCRIVE IL TRATTATO perché ha tale paura, che si dissolva tutto.
Egli non intende obbligare delle regole, egli è a metà tra DESCRITTIVO e PRESCRITTIVO. Si riscopre A. nel
rinascimento/umanesimo, e gli si dà un fortissimo aspetto di tipo PRESCRITTIVO, da cui nascono le unità
di AZIONE, di TEMPO e di LUOGO (sull’unità di AZIONE si concentra maggiormente, sull’unità di TEMPO
parla in maniera laterale e sull’unità di LUOGO non ne parla proprio).

Il modo di scrivere di Aristotele è logico e consequenziale, con un enunciato ed una conseguente


spiegazione:

CAPITOLO 1.

Enunciazione dell’argomento: egli si occupa della poetica nel suo insieme, la poetica è l’arte del FARE
POESIA tutti i generi affini ad essa e non solo la tragedia. Si propone di spiegare la finalità della poesia, di
come si devono comporre le trame per ottenere uno SCOPO (il buon poeta lo raggiunge, il cattivo poeta
fallisce).

L’epica e la poesia TRAGICA, la commedia, ditirambo, auletica, citaristica sono in generale delle
IMITAZIONI della realtà, che differiscono nel loro imitare o in materiali diversi, cose diverse o in maniera
diversa e non allo stesso modo ciò fa la differenza tra i generi della poesia. I poeti usano sempre come
mezzi il RITMO, PAROLA e MELODIA (a differenza dei pittori che usano i colori) che sono presenti in tutti i
generi elencati prima (in alto). La musica è capo, il ritmo è dato dalla metrica tali mezzi sono presenti
sempre, possono essere usati a differenza del genere in modo differente. Tali strumenti possono anche
essere separati.

Ci sono arti che usano tutti i mezzi, come la tragedia e la commedia, ma si distinguono per l’uso di tali
strumenti: insieme o separate MEZZO

CAPITOLO 2.

Poiché chi imita, imita PERSONE IN AZIONE , ciò che conta cosa fanno (oggetto della poesia), esse sono
connotate: non possono essere che SERIE o MENO gli uomini si distinguono per VIZIO o per VIRTU’ (i
pittori così rappresentavano), uomini migliori, peggiori o uguali a noi ciò distingue
COMMEDIA/TRAGEDIA (si distinguono per la tipologia di persona in azione, eroi o re oppure persone
qualunque colte in un vizio e non virtù che non porta all’ostracismo), persone in azione migliori,
peggiori/uguali. La base su cui si giudica ciò è il MITO eroi o re sono migliori, per la loro essenza
OGGETTO

(approfondimento non nel cap: secondo Aristotele, Edipo re di Sofocle è la migliore tragedia egli è eroe e
re, il quale per la sua inconsapevole colpevolezza ci fa PIETA’ fine della tragedia, egli essendo migliore di
noi e cadendo crea uno scuotimento emotivo, pietà e paura LA CATARSI, LIBERAZIONE DI SENIMENTI
DI PAURA E PIETA’ noi siamo permeati dalla cultura cristiana della REDENZIONE, i Greci erano pagani: il
pentimento NON ASSOLVE LA COLPA).

CAPITOLO 3.

MODI la terza differenza consiste nel modo di imitazione: è possibile imitare con gli stessi mezzi gli
stessi oggetti ma TRASFORMANDOSI o restando uguali, oppure in modo che tutti si trovino ad agire Ci
può essere un poeta che racconta (discorso indiretto), oppure come talvolta fa Omero, alternando al
racconto narrativo l’inserimento di passi in cui è il personaggio a raccontare (Ulisse che ad Alcino racconta
la storia all’isola dei Feaci), nel teatro ci sono PERSONE CHE AGISCONO HIC ET NUC (a differenza dell’epica,
essa è una narrazione indiretta, la TRAGEDIA E’ AZIONE DIRETTA cambia il modo, narrare o
presentare).

Sofocle ed Omero non si distinguono, essi imitano persone nobili e che agiscono, tragedia ed epica non si
distinguono per OGGETTO e MEZZI, ma nel MODO: la tragedia si distingue dalla commedia con
l’OGGETTO.

CAPITOLO 4.

Aristotele parte con la nascita della poesia la poetica trae origine da due cause, entrambi naturali che
provengono dal modo di essere L’UOMO IMITA PERCHE’ E’ CONGENITO, fin dall’infanzia l’uomo è portato
ad imitare. Questa tendenza ad imitare differenzia l’uomo dall’animale, in quanto il più proclive ad imitare;
attraverso l’imitazione l’uomo si procura le prime conoscenze, imita ed IMPARA. Oltre a ciò egli prova
PIACERE, un aspetto edonistico: apprendere dà piacere, e si apprende imitando.

Imitare in modo giusto, anche cose brutte, provoca piacere. Scattano meccanismi di ragionamento e
CURIOSITA’, l’aspetto estetico è fondamentale, come quello edonistico e conoscitivo; imitazione-
apprendimento-godimento è un processo a cui tutti partecipano, è NATURALE NELL’UOMO; tra chi ne
partecipa più o meno crea la distinzione intellettuale/uomo comune.
Ciò nasce da chi traeva più godimento da questo processo, ad un livello più alto essi inventano la poesia
partendo da IMPROVVISAZIONE, un atto creativo di chi è più naturalmente portato al processo, una
creatività.

A seconda dei caratteri propri di ciascuno: i più austeri, passando da inni per dei ed encomi per eroi, creano
la TRAGEDIA, i modesti, attraverso invettive satiriche, la COMMEDIA: gli spiriti più nobili hanno guardato a
uomini migliori noi, i più modesti hanno imitato persone come noi, una dicotomia che dà origine al germe
di due generi.

A seconda dell’indole ognuno si dedicò a generi diversi, con la nascita della vera tragedia se si sia fissata
in questa forma o si modificherà non lo possiamo conoscere, ma al momento in cui scrive egli firma la
struttura della tragedia del suo tempo. Sia tragedia e commedia nascono da improvvisazione la tragedia
da chi intonava il DITIRAMBO, la commedia da PROCESSIONI FALLICHE.

NASCITA DELLA TRAGEDIA

Il ditirambo è un canto solenne in onore del dio Dioniso, la tragedia nasce da canti fatti in coro, nell’ambito
di RITI SACRI, origini SACRE. La commedia nasce da processioni meno solenni, falliche, prevedono canti
sempre in onore di Dioniso, ma prevedevano meccanismi più scomposti, meno solenni. Tragedia e
commedia hanno un’origine comune processioni con cori e danze in onore dello stesso dio (RITI DI
FERTILITA’), fino a quando qualcuno inizia ad IMPROVVISARE nasce un dialogo, un’azione dialogata tra il
CORO ed il CORIFEO (esso inventa in risposta al coro) la trama cresce, fino a raggiungere la struttura
descritta da Aristotele, una forma tragedia statica.

AUTORI TRAGEDIOGRAFI:

• Eschilo (525-556 a.c.) fu il primo a portare a 2 gli attori, non UNO (il poeta medesimo), recitando
sempre insieme al CORO, la cui parte fu ridotta, rendendo protagonista la PAROLA il canto conta
meno del dialogo.
• Sofocle (496-406 a.c.) introduce il 3 attore (il cui sarà il massimo, essi erano quindi versatili) e la
decorazione della scena (l’aspetto scenografico sappiamo essere minimo, piccoli addobbi non
necessariamente funzionali alla rappresentazione).
Si parte da racconti brevi ed uno stile giocoso, grottesco e satiresco la tragedia rimane legata al
dramma satirico ma si sviluppa in modo serio con un metro giambico (dal tetrametro cadenzato
tipico delle marce, a quello colloquiali il giambo è il corrispettivo dell’endecasillabo, più mimetico
al parlato dialogico).

CAPITOLO 5.

La commedia è imitazione di persone che valgono meno, guardando non a tutti i vizi ma al ridicolo
considerata da A. una parte del brutto. Il ridicolo è un VIZIO che non crea sofferenza qualcosa di brutto
e stravolto, come la maschera comica, ma SENZA OFFESA, con una funzione quasi educativa e benevola. La
commedia non fu presa sul serio, le sue origini ci sfuggono, non abbiamo una istituzionalizzazione come
nella tragedia. Lo stato riteneva gli spettacoli funzionali, l’entrata era gratuita e il resto finanziato dallo
stato; l’arconte dette il coro ai comici solo tardi, inizialmente erano volontari; chi abbia definito maschere e
prologhi non sappiamo, ma la composizione delle trame è SICILIANA mentre ad Atene Gatete abbandonò
per primo la forma giambica.
CONFRONTO EPICA E TRAGEDIA

Esse sono simili per l’oggetto, si occupano di personaggi migliori di noi; l’epica però ha solo una
versificazione con esametro ed è NARRAZIONE, la tragedia è FA VEDERE L’AZIONE; esse differiscono anche
per la DURATA: la tragedia cerca di restare nell’ambito di una sola giornata o di poco superarla, l’epica è
indeterminata nel tempo unità di tempo.

Per quanto riguarda le parti, alcune sono specifiche della tragedia altre uguali: tutto ciò che appartiene
all’epica appartiene alla tragedia, ma ciò che appartiene alla tragedia non appartiene all’epica la tragedia
ha in più ALLESTIMENTO SCENICO e COMPONENTI MUSICALI CANORE

LEZIONE 3
CAPITOLO 6.

Ci da una definizione completa di tragedia, che include il concetto di CATARSI, il quale costituisce lo scopo
della tragedia. Egli ci spiega che dell’etica e della commedia parlerà in seguito (di fatto il secondo libro della
poetica non è stato rinvenuto), adesso ci dice cosa è la sostanza della tragedia. Essa è:

-imitazione di un’azione seria e compiuta (seria per l’argomento e compiuta per l’assenza del finale
completo)

-avente una sua grandezza,

-in un linguaggio condito di ornamenti separatamente per ciascun elemento nelle sue parti (ritmo parola
melodia possono essere usati separatamente)

- di persone che agiscono non tramite una narrazione, e che attraverso PIETA’ e PAURA produce la
purificazione di questi sentimenti (la tragedia se ben composta DEVE suscitare pietà e paura per poi
liberare l’animo dal turbamento provocato dai sentimenti)

La tragedia ha finalità didattica ed edonistica, ma è anche TERAPEUTICA libera l’anima da pietà e paura.
Capiamo ciò se comprendiamo che la tragedia è collegata ai riti sacri come detto, Dioniso è un Dio
passionale e non razionale ci si deve liberare dalla sfrenatezza irrazionale delle suddette passioni. La
liberazione da pietà e paura crea la purificazione dell’anima CATARSI.

Per “discorso condito di ornamenti” si intende ritmo e melodia, le quali possono essere usate insieme e
non, la tragedia ha VALORE AUTONOMO ANCHE SOLO ALLA LETTURA essa raggiunge il suo scopo, se una
trama è ben costruita anche alla sola lettura si può provocare catarsi, MA già che ci sono persone che
agiscono e compiono l’imitazione è NECESSARIO un apparato scenico attraverso ciò lo scopo si
raggiunge in modo migliore (non ce la racconta perché è dato per scontato che si sapesse la sua esistenza
ed importanza, anche del suo allestimento ecc.); insieme ai mezzi di DIZIONE (composizione di versi) e
musica si crea l’imitazione.

Siccome è imitazione di azioni, ed i personaggi le veicolano è normale che tali azioni possano far parte del
loro CARATTERE e PENSIERO, ma l’imitazione dell’azione vera e propria è la TRAMA, essa è principale per
il raggiungimento dello scopo

Per TRAMA si intende la SISTEMAZIONE DEI FATTI, la loro concatenazione, oltre che l’influenza del
carattere e dell’indole la tragedia ha 6 parti: trama, caratteri, dizione, pensiero, messa in scena e
musica.

Il più importante è la TRAMA, in quanto la tragedia è imitazione di AZIONI, il personaggio è strumentale.


Egli ci dirà in seguito che i personaggi non sono importanti, ma le loro AZIONI sono fondamentali; SENZA
AZIONI NON ESISTE TRAGEDIA, SENZA CARATTERE POTREBBE.

La tragedia esercita il suo fascino tramite PERIPEZIA ed AGNIZIONE (colpi di scena e riconoscimento
dell’identità)

CAPITOLO 7.

Ci spiega come si deve combinare la trama, la SISTEMAZIONE DEGLI EVENTI (concatenazione di eventi)
l’inizio non ha nulla prima di sé, ma ci deve essere un germe di proseguimento, la conclusione ed il mezzo
le trame ben composte non devono né iniziare né finire come capita, ma usare le strutture dette: INIZIO,
MEZZO, FINE, tutto si deve collegare con questa sequenza.

Ci spiega cosa intende per GRANDEZZA: la grandezza della tragedia è tale che i fatti devono persistere nel
lettore, affinché arrivato alla fine si ricordi dell’inizio, essa deve essere ABBRACCIATA DALLA MEMORIA,
così come un quadro è abbracciato dalla sua visione.

La grandezza della tragedia deve essere abbracciata dalla memoria, all’interno della quale si abbia un
passaggio di stato tra DISGRAZIA alla FORTUNA, oppure dalla FORTUNA alla DISGRAZIA (quelle a cui siamo
abituati). Non conta la direzione quindi di un passaggio, ma IL PASSAGGIO DI STATO NELLA SORTE DI UN
PERSONAGGIO esso si compie in una trama attraverso il COLPO DI SCENA, con una conseguente catarsi
agevolata (trama semplice); se poi tale momento avviene in modo tale che insieme ci sia anche l’agnizione
abbiamo la tragedia perfetta (trama complessa), con una concentrazione di pathos tale che la catarsi si
verifica con maggiore funzionalità. Es. Edipo Re è la tragedia perfetta, in un unico momento abbiamo
peripezia e agnizione, la TECNICA migliore per la catarsi.

CAPITOLO 8.

Concezione dell’unità d’azione egli parte dicendoci che non è cosa accade ad un personaggio che conta,
nemmeno cosa gli capita a dare unitarietà della trama, ma la CONCATENAZIONE DEGLI EVENTI esse
devono essere collegate da verosimiglianza e necessità, dal rapporto di CAUSA-EFFETTO stingente, la quale
produce la CATARSI per capire se si è costruita una trama completa bisogna vedere se togliendone una
parte cambia qualcosa: se si stravolge il tutto si ha un’azione ben costruita.

CAPITOLO 9.

Raccontare ciò che è realmente accaduto è compito dello storico, non del poeta: egli deve raccontare ciò
che è VEROSIMILE che accada egli deve guardare all’universale, ciò che potrebbe essere per tutti. Non
sono i versi o la prosa che differenziano storia e poesia, ma l’oggetto: particolare o universale (ciò che ha in
sé l’avvenimento potenziale universalmente, con trame con un forte rapporto di causa effetto) per
questo la poesia è più FILOSOFICA e SERIA; è l’azione che conta, solo dopo si affida un nome al
personaggio.

Mentre però il commediografo può inventarsi la persona, o prenderla dalla vita quotidiana, la TRAGEDIA
HA NOMI GIA’ ESISTENTI, personaggi già esistenti, in quanto sono coloro del MITO esso fa parte di una
cultura collettiva alta, ma a livello strumentale il fatto che esista già il personaggio dà VEROSIMIGLIANZA
alle azioni.
Verosimiglianza e necessità la trama perfetta è credibile e segue la causa-effetto, guardando
all’universale: le azioni devono riguardare tutti.

A. ci dice che le trame peggiori sono quelle che non scaturiscono da causa-effetto, dove si accostano mere
azioni; può anche accadere che la trama sia ben costruita dalle due caratteristiche, ma che L’ATTORE in
scena le comprometta (nel periodo di scrittura della Poetica si vede il prevalere dell’attore
sull’autore Liturgo che sente la necessità di fissare le tragedie ed il canone, così come Aristotele). Gli
attori al tempo inoltre potevano ricevere premi.

I fatti pietosi si connotano come tali se creati attraverso il colpo di scena, se giungono tramite l’attesa dello
spettatore, ma comunque il fatto che giungono inattesi non deve compromettere il rapporto di causa-
effetto.

CAPITOLO 10.

Trame semplici e complesse, collegate all’azione: si chiama semplice un’azione non complessa, una trama
senza colpo di scena o riconoscimento; si dice complessa se abbiamo colpo di scena o riconoscimento, o
entrambi;

Le cose devono essere legate tra loro, generate dalla sistemazione della trama stessa in modo da
accadere sulla base di premesse quali causa-effetto, necessità e verosimiglianza (fa differenza se qualcosa
avviene a causa di un’altra o dopo un’altra).

CAPITOLO 11.

Cos’è il colpo di scena consiste nel rovesciamento al contrario dei fatti / Riconoscimento mutamento
da ignoranza alla conoscenza (il riconoscimento può avvenire anche attraverso gli oggetti e le persone).
Meglio si prepara la catarsi, più si avrà un successo nello scopo.

Abbiamo inoltre la SCIAGURA è un derivato della provocazione del passaggio di stato attraverso il colpo
di scena e il riconoscimento, ne è l’esito finale tragico è prevista anche ad es. morte in scena.

LEZIONE 4
CAPITOLO 12.

Egli descrive la STRUTTURA della tragedia, così come si presenta nella sua visione: la tragedia nella sua
struttura letteraria si compone di PROLOGO, EPISODIO, ESODO, CANTI CORALI (i quali si dividono in
PARODO e STASIMI).

Queste parti sono comuni a tutte le tragedie, sono più peculiari I CANTI DELLA SCENA ed i COMMOI.

PROLOGO: l’antefatto (generalmente recitato di fronte al pubblico), tutto ciò che precede l’inizio della
tragedia la PARODO o entrata del CORO (esso era come un personaggio, arrivò ad avere 15 membri. I
coreuti entrano marciando, posizionandosi in file di 5 in uno spazio circolare chiamato ORCHESTRA; si
chiama anche parodo per via delle porte da cui entra il coro, le PARODOI).

EPISODIO: tutto ciò che sta tra parti corali intere: una volta che il coro è entrato inizia l’episodio
equivalente del 1 atto odierno, ultimato attraverso lo STASIMO (elemento in cui l’azione si ferma e prende
parola il canto del coro, il coro in questo momento può commentare la scena, altre volte è un vero
personaggio; il coro partecipa all’azione e NON è il pubblico è il collegamento tra le parti pur essendo un
personaggio). Allo stasimo segue un altro episodio e poi un altro stasimo ecc. SI INTERVALLANO EPISODI A
CANTI CORALI (ogni episodio viene intervallato dallo stasimo, per un numero di 6 episodi in media).

ESODO: ciò che dopo di sé non ha altre parti di corale: viene gestito dal coro che ESCE DALL’ORCHESTRA (il
coro sia nell’entrare che nell’uscire canta e danza a suon di marcia; tra episodi il canto corale è DA FERMO,
il metro non prevede la danza ma solo il canto).

Tra le parti corali parodo, stasimo e COMMOI (il coro interagisce con l’attore in scena, sottolineando il
momento di maggior PATHOS, il momento di maggiore emotività. Essi sono quindi momenti di interazione,
a differenza degli altri due elementi).

L’elemento musicale è fondamentale nella tragedia esso non era solo del coro, anche l’attore cantava
spesso e volentieri (canti della scena). Generalmente il compositore della musica era lo stesso compositore
della tragedia.

CAPITOLO 13.

Aristotele torna su come fare a costruire una buona trama per riuscire ad ottenere sentimenti di pietà e
paura finalizzati alla catarsi Aristotele sembra prediligere una trama COMPLESSA, rivelando che per una
tragedia perfetta oltre ciò bisogna scegliere PERSONAGGI NON POSITIVI personaggi che si siano
macchiati di una vera colpa, in quanto il passaggio da fortuna a sfortuna crea solo RIPUGNANZA.

Non si devono nemmeno rappresentare MALVAGI che passino da sfortuna a fortuna ciò crea nello
spettatore una reazione di INGIUSTIZIA MORALE, non facendo scaturire l’immedesimazione necessaria
per la catarsi.

Non va rappresentato nemmeno un personaggio fortemente negativo che passa da fortuna a sfortuna
soddisfa il senso di giustizia ma non LA PIETA’.

Il personaggio giusto è INTERMEDIO, che cade in sfortuna per ERRORE, né per vizio né per malvagità,
provocando pietà e paura (pietà per l’innocente e paura per il simile).

E’ necessario che la trama sia quindi UNITARIA, che segua una sola azione, portando il passaggio dalla
FORTUNA ALLA SFORTUNA (migliore per far scattare la catarsi, ma il passaggio esiste anche viceversa),
avvenuto per un errore da parte di una persona migliore di noi ma comunque intermedia.

CAPITOLO 14.

Si parla della messa in scena, dello spettacolo l’effetto di pietà e paura si può provocare attraverso
l’allestimento scenico (in realtà il poeta componeva sulla base dell’allestimento): egli ci dice che anche
attraverso la sola lettura si può arrivare alla catarsi, riconoscendo l’autonomia catarchica sia
dell’allestimento ma anche della lettura Chi ascolta i fatti deve provare pietà e paura, non importa che ci
sia LA VISIONE, anche se essa aiuta l’immedesimazione dello spettatore.

Egli pone una differenza tra due arti: riconosce l’allestimento e le sue caratteristiche, provocando la catarsi,
ma la modalità in cui lo fa è diversa dall’arte del far poesia AUTONOMIA DELLE 2 ARTI.

Aristotele ribadisce che il piacere che la poesia provoca deve scaturire dalla buona trama, temendo
l’interpretazione dell’ATTORE essi disgregano la concatenazione iniziale, i cattivi attori potrebbero
rovinare una buona trama. Concede anche che dei buoni attori MIGLIORINO le cattive trame, ma ciò
potrebbe sfuggire di mano essi potrebbero esaltare il proprio virtuosismo a discapito della trama (non è
un caso che in questo momento ci siano le composizioni indicative della tragedia di Licurgo e Aristotele).

IL TEATRO AD ATENE NEL V SECOLO

Le fonti per la storia del teatro greco furono molte, oltre alla Poetica:

• OPERE TEATRALI Le tragedie che ci sono pervenute sono 32 (7 di Eschilo, 7 di Sofocle, 18 di


Euripide); queste stesse sono probabilmente state soggetto di interpolazioni (già in scena o
scritture dello stesso attore sul copione), essendo anche PRIVE DI DIDASCALIE (esse sono
indicazioni di tipo scenografiche o ad attori) esplicite, ricche però di DIDASCALIE IMPLICITE tra le
battute (implicite ossia attraverso le battute dei personaggi si hanno delle indicazioni: es.
sull’abito).

• RESTI DEI TEATRI ANTICHI I teatri a noi rimasti non sono nemmeno nella loro articolazione quelli
dell’antica Grecia, soggette a stratificazioni successive es. Romane

• SCRITTORI ANTICHI CHE SI SONO OCCUPATI DI TEATRO Oltre alla Poetica abbiamo di scritti
importanti: Vitruvio in “De Architectura, V libro” I sec a.c. con un tentativo di ricostruire degli edifici
teatrali greci o “Onomatikon” II sec d.c di Giulio Polluce, il quale descrive dei costumi e delle
maschere (materiali deperibili che a noi non sono giunti per nulla). Per più di un millennio, in età
medievale, non verranno più edificati teatri, ma con la riscoperta di tali scritti si riprenderà; la prassi
consueta sia in Grecia ed Italia, fu completamente perduta e ricuperata secoli dopo.

• MONUMENTI: VASI, SCULTURE, STATUE Di monumenti abbiamo vasi, sculture, statuette e altre
opere aventi oggetto il teatro; è però difficile la datazione rendendo difficoltosa la ricostruzione.

Il teatro era fortemente legato oltre che in funzione della rappresentazione e del suo rapporto col pubblico,
soprattutto al rito (in relazione al Dio Dioniso), alla sacralità di una divinità emotiva ed irrazionale, con riti
svolti in determinati periodi dell’anno molte opere erano frutto di una gara, il pubblico era parte
integrante di questo rito politico e religioso, con un carattere AGONISTICO (gare con vincitori), il tutto era
fortemente comunitario.

Organizzatore degli spettacoli era lo STATO. Gli autori partecipavano a un concorso: un collegio di giudici
stabiliva una graduatoria ed assegnava premi, era una vera istituzione il COMMITTENTE ed il
DESTINATARIO è la COMUNITA’ ATENIESE.

Organizzazione a fine marzo avvenivano i festeggiamenti delle Grandi Dionisie (non era l’unico momento
teatrale, anche a gennaio c’erano celebrazioni, meno note) e le rappresentazioni duravano QUATTRO
GIORNI o più, con rappresentazioni teatrale dall’alba al tramonto e si svolgevano nel luogo del TEATRO
DIONISO ELEUTERO, situato dentro il recinto sacro ovvero sulle pendici meridionali della sacra ACROPOLI. I
quattro giorni dedicati a Dioniso erano così organizzati: abbiamo 3 AUTORI, selezionati dall’ARCONTE
EPONIMO (il governante), presentando, UNO PER GIORNO, una tetralogia inedita (tre tragedie e un
dramma satiresco). L’arconte designava anche i COREGHI ricchi cittadini che provvedevano alle spese e
all’organizzazione della messa in scena (e della scenografia), con conseguente ritorno di immagine per
buttarsi forse in politica. Il 4’ giorno pare essere dedicato alle commedie.
LA TRAGEDIA (V sec. a.C.)

Essa svolge temi appartenenti al patrimonio mitico, ossia alla storia sacra del popolo greco, essendo lo
spettacolo una fruizione comunitaria la novità stava nel talento dell’autore nel comporre buone trame;
era costruita su vicende di cui erano fissi e universalmente noti i dati fondamentali, gli sviluppi e la
conclusione. Gli avvenimenti hanno luogo per lo più nell’ANTEFATTO (sarebbe poi il prologo) o FUORI
SCENA, con la tragicità fondata su un CONFLITTO INCONCILIABILE: conflitto tra libertà e necessità Quello
che si mostra in scena ha un avvio esistente, il prologo che inserisce nel contesto degli avvenimenti lo
spettatore.

La struttura:

Prologo: introduzione Parodo: canto d’entrata del coro Episodi: da 3 a 7, corrispondenti circa ai nostri
atti Stasimi: momenti destinati al canto del coro che dividevano tra loro gli episodi Esodo: conclusione.
(dopo riiniziava un’altra tragedia perché all’interno di una giornata erano 3 le tragedie + un dramma
satiresco).

LEZIONE 5
L’edificio teatrale dal primitivo al romano: elementi architettonici di SKENE’, ORCHESTRA (luogo in cui si
danza), CAVEA (termine latino) o TEATRUM (termine greco).

il teatro primitivo è una semplice circonferenza nel recinto SACRO, abbiamo un solo attore che si
esibisce davanti a qualche spettatore DAVANTI ALLA SCENA (in una piattaforma antistante alla skenè che si
chiama LOGHEION [luogo da cui si parla]) che istintivamente si dispone circolarmente in modo casuale,
abbiamo una vicinanza al tempio con un teatro di forma abbozzata. Il primo a fare degli adornamenti è
Sofocle, ma la scena antica è comunque molto semplice funzionale al gioco dell’attore piuttosto che per lo
spettatore l’attore che doveva interpretare più ruoli (donne, uomini, anziani) usufruiva della skenè per
cambiarsi senza farsi vedere dallo spettatore; abbiamo nelle immagini delle porte che fanno riferimento ad
un palazzo, in generale la scena si rifà al palazzo. I gradoni erano lignei, per cui non ci sono arrivati, ed il
pubblico ci si disponeva in pendenza (in quanto si costruiva su un declivio di una collina).

il teatro greco arcaico ha una forma trapezoidale con 3 elementi architettonici: la SKENE’o SCENA
(davanti la quale si esibisce l’attore), l’ORCHESTRA (del coro) e la CAVEA (col pubblico), con un’armonia
continua; l’elemento intorno al quale si dispongono gli elementi è l’orchestra stessa. La forma
dell’orchestra determina la forma della cavea; la scena è lunga, attraversa tutto il diametro dell’orchestra
ed è del tutto praticabile. La scenografia è più adornata, anche se si allude sempre ad un palazzo (nella
tragedia un palazzo reale); a cui si uniscono altre 2 porte laterali di personaggi esterni al palazzo reale (a
seconda dell’entrata dx/sx si dividono per uomini della città e stranieri, facendo riconoscere i personaggi al
pubblico). L’attore poteva scendere grazie alla struttura dal logheion ed interagire con il coro COMMOI.
Es. Teatro di Siracusa teatro di Damocopo 476 a.C., siamo nel pieno del V sec, ovvero il SECOLO AUREO
che coincide con l’età periclea. Troviamo una skenè tipica, ma con in più una parte centrale sottolineata: in
generale nel centro veniva posizionata la STATUA DEL DIO DIONISO (prima dell’inizio di questi
festeggiamenti veniva trasferita la statua dopo la processione nel recinto sacro, collocandola non nel
tempio ma nel centro dell’orchestra, a sottolineare a quanto sia forte il legame tra teatro-sacro), a volte
abbiamo anche passaggi sotterranei come in questo caso (utili per i macchinari che il teatro greco
conosceva es. Makinè attore che scende legato interpretando un Dio [deus ex machina], un altro es
Echiclema la piattaforma che porta i personaggi defunti), mentre i gradini accanto alla vera gradinata
erano utili sia all’entrata del coro con la parodo che del pubblico per disporsi. Attualmente il teatro di
Siracusa ha perso la forma trapezoidale, facendoci capire quanto i resti antichi siano fonti ambigue e da
valutare attentamente. L’orchestra è curiosamente già semicircolare, con una IMMA CAVEA (parte
inferiore) e SUMMA CAVEA (parte superiore) tra loro divise da un corridoio che permette l’accesso e la
deambulazione detto DIAZOMA. Abbiamo 2 PARODOI, porte da cui entra il coro. Anche il teatro di Siracusa
si appoggia sulla collina.

In epoca greca classica l’edificio riassume la forma circolare, nel mezzo il coro che entra dai PARODOI,
intorno il pubblico su gradoni TEATRO DI EPIDAURO (IV a.C., epoca ellenistica contemporanea alla
stesura di Aristotele), una struttura aperta ed armoniosa, con una cavea divisa per settori radiali e summa
ed imma cavea: ogni tribù della città aveva una destinazione all’interno del teatro (non distinguendosi per
ricchezza come a Roma. Si accendeva inoltre allo spettacolo gratuitamente si emetteva comunque un
biglietto es. pietra che costava un OVULO, versato a chi doveva mantenere il teatro e per gli altri dando la
posizione). L’orchestra è circolare e in TERRA BATTUTA. La parte della skenè si allunga un po’ (si articola con
i parasceni) e si alza: allo stato attuale il teatro è ben conservato; vediamo nel teatro di Epidauro
evidenziato il punto centrale in cui viene collocata la statua del dio e sono ben visibili le parodoi.
Gli attori in Grecia godevano anche dei privilegi rispetto al cittadino comune mentre la situazione si ribalta
a Roma nella quale ad essi gli vengono tolti dei diritti, questo lo si deve alla perdita di legame col sacro.

In età ellenistica (Aristotele, nella città di ATENE) la scena si ALLARGA ed ALZA, gettandosi verso
l’orchestra si alza la cavea del pubblico, con una maggior attenzione dell’addobbo. Teatro di DIONISO
ELEUTERIO (IV), del quale abbiamo una piantina abbastanza ambigua vediamo 3 ordini di gradinata, oltre
al imma e summa cavea con una parte in alto dedicata allo SVAGO DEL PUBBLICO, dove si poteva mangiare
ecc. Si fruiva lo spettacolo in modo disinvolto, la partecipazione era attiva e non passiva. La capienza del
teatro era di 17.000 persona circa, notevole se pensiamo che ad Atene ed intorni abbiamo 300mila
abitanti su 4 giorni di rappresentazioni quasi tutti andava a teatro, le tribù ateniesi erano divise in 10 ma
nella piantina troviamo 13 settori (si ipotizza che ci fossero settori per uomini, donne e MEDECI ovvero gli
stranieri ecc.). L’orchestra oggi è un emiciclo e vediamo sedili privilegiati nelle prime file per persone più
importanti (proedria) ci si avvia al modello romano, con una condivisione assoluta originaria
contaminata. La distanza dei primi gradoni dall’attore che si esibiva (cioè dalla skenè) è circa 18 metri. Il
logheion era lungo 3 metri, coprendo il diametro e più dell’orchestra, 30 m di lunghezza con uno spazio
ridotto invece per l’azione dell’attore. Si pensa che la presenza del coro fosse molto limitata o che non
agisse più.

VEDIAMO ALCUNI TEATRI GRECI: il teatro di Delfi, il teatro di Pergamo in Asia Minore

L’orchestra finirà in epoca romana per essere circondata completamente, essa assume una forma
SEMICIRCOLARE (coro che perde di importanza), con una scena ENORME ed ALTA. La struttura è compatta
ed alta, con una separazione maggiore tra elementi. Ciò che distingue l’edificio romano dal resto è la
locazione: non aveva per forza bisogno di una collina, si costruivano edifici anche in città (essi avevano
perso anche il legame con il sacro, il teatro in Grecia era parte della zona sacra, a Roma in piena città in
zona commerciale) es. Teatro romano di Aspendos in Turchia (II a.C) notiamo la skenè monumentale
(cattura l’occhio dello spettatore) su 3 livelli, che ha molti adornamenti e decorazioni. Dove c’è l’orchestra
viene invasa da un pubblico di eccellenza: da una parte la PERDITA DEL CORO da una parte l’eccellenza. Il
logheion si abbassa: nel teatro di Dioniso Eleuterio è di 3 metri di altezza, qui invece circa 1 metro. L’attore
scompare dietro alla scena così monumentale.

Il pubblico romano va a teatro non per celebrare una cultura comune e ribadita nei suoi valori sociali e
religiosi, ma per PURO DIVERTIMENTO non c’è più una fruizione collettiva, ognuno si diverte a modo suo,
comportando una diversa suddivisione del pubblico che si dispone per CENSO, IMPORTANZA SOCIALE: non
essendoci più il coro lo spazio viene occupato dai più importanti di Roma, mentre sui gradoni si va per
ancora per importanza: più in alto i meno abbienti. Nonostante tutto IL TEATRO ERA GRATUITO, OFFERTO
DALLO STATO, ISTITUZIONALIZZATO (fattore comune sia in Grecia che a Roma).
La struttura è più compatta nascono le VERSURE, strutture di mura che rendono tutto chiuso non
APERTO alla natura come in Grecia, all’interno della stessa cavea abbiamo i corridoi di affluenza
VOMITORIA (ogni settore aveva la sua) che fanno uscire gli spettatori, che arrivando ad 80mila persone
riuscivano a defluire in 10 MIN. All’esterno il teatro Aspendos sembra una fortezza.
Abbiamo teatri in Siria (Bosra, Palmira), Libia (Sabatha), Francia (Orange)… e all’interno del teatro abbiamo
anche i FORNICI, luoghi all’interno del quale avvenivano degli scambi sessuali (meretrici che si offrivano al
pubblico), con una porta regia e due porte di affluenza dei personaggi (come in Grecia si capiva se erano
stranieri o no).

GLI ATTORI GRECI

Esistono varie fonti per lo studio del teatro greco, tra cui i monumenti fonti indirette di pittura vascolare,
scena di spettacolo TRAGICO (Taranto, frammento di cratere, 350 a.C.) vediamo un ATTORE (vediamo
una maschera, con gioco di sguardi addirittura tra attore e maschera) TRAGICO con MACHERA e COSTUMI,
in un altro attore nel proscenio. La maschera ha tratti REALISTICI, è completa e deduciamo che sia una
maschera di vecchio, con un’espressione poco forzata la messa in scena in Grecia era REALE più che
surreale, anche i costumi sono importanti: l’attore veste da Ercole, con calzari lunghi e vestito corto tipico
dell’eroe, lasciando entrambi AGILITA’ di movimento (l’attore romano sarà impedito dal costume), anche
se è maggiore l’attenzione per l’articolazione della parola. Il costume, il TITONE, ricopre l’attore, dando la
possibilità di far recitare più personaggi allo stesso attore. QUESTE IMMAGINI SONO FONDAMENTALI
PERCHE’DI MASCHERE NON CE NE PERVENUTA NESSUNA, IN QUANTO SONO COSTRUITE CON MATERIALI
FACILMENTE DEPERIBILI.

RICORDA: quando guardiamo queste fonti dobbiamo stare attenti perché non sappiamo se sia frutto
dell’ideale dell’immaginario del pittore o se sia una testimonianza di esso.

VASO DI PRONOMOS presenta scene di preparativi di spettacolo (V sec a.C.), con attori in quanto
vediamo le maschere: un attore indossa un abito elegante, ma non sfarzoso, con calzari detti COTURNI privi
di tacco.

Vediamo 3 attori principali (ai quali si aggiunge il coro, a volte vero e proprio personaggio in questo caso
SVESTITI, facendoci intendere che rappresentino SATIRI per via del perizoma). I 3 attori si distinguevano tra
loro per l’importanza: PROTAGONISTA, DEUTERAGONISTA, TRITAGONISTA. Il coro entrava con un musicista,
il quale suonava un flauto o elementi a pizzico. Vediamo attori tragici con maschere e costumi.

In un atro cratere abbiamo una SCENA COMICA il costume INGOFFA L’ATTORE COMICO, e anche le
maschere tendono più al GROTTESCO e meno al naturalismo, con una evidente sottolineatura del FALLO,
imbottito, del personaggio.

Una maschera tipica romana è meno realistica di quella greca, è meno affine all’effige di un volto umano;
importanti sono le statuette di personaggi comici, altra fonte importante.

GLI SPETTACOLI A ROMA

Non si parla di teatro a Roma, ma di SPETTACOLO I LUDI il teatro a Roma non ha propria autonomia
artistica, gli spettacoli teatrali si collocano all’interno dei LUDI: LUDUS gioco e divertimento nella sua vera
accezione, LUDI giochi PUBBLICI, FESTE, SPETTACOLI, CERIMONIE RITUALI. Essi sono un insieme di
festeggiamenti vari quindi, feste degli Dei, commemorazioni, funerali, trionfi ecc.
• LUDI CIRCENSES: corse dei carri e dei cavalli nel circo (V sec. a.C.), questo è lo spettacolo originario
dei latini, sentito come il più importante. Avvengono nel circo (esistono più edifici scenici)
• LUDI GLADIATORII o munera (cioè obblighi a cui gli eredi del defunto devono sottostare):
combattimenti dei gladiatori (264 a.C.). I romani sembrano aver assunto tali spettacoli dagli
etruschi.
• LUDI SCENICI: rappresentazioni di forme drammatiche importate dalla Grecia (tragedie,
commedie, mimi e pantomimi, 240 a.C.).
• VENATIONES: combattimenti di gladiatori con animali feroci o animali feroci tra loro (186 a.C.),
nell’anfiteatro e prevedevano una composizione imponente con spedizioni di caccia intense.
• NAUMACHIE: spettacoli di battaglie navali, con misure ridotte, combattute da gladiatori.
• AGONES: gare di atletica (46 a.C.)
• CERTAMINA GRECA: gare di atletica o gare musicali e poetiche (31 a.C.)

Tutto questo è scandito da un calendario, che si divide in TEMPO DELL’OZIO e del NEGOZIO i ludi sono
nel tempo dell’ozio, giorni in cui si interrompeva ogni tipo di attività politica o militare dedicandosi al
divertimento. Il tempo dell’ozio era un tempo molto ampio, circa metà dell’anno.
Ricordiamoci che molto spesso la calendarizzazione mantiene l’andamento delle festività legate al sacro ma
questo legame poi si perde perché prevale l’aspetto ludico.

1. IL CICO E GARE EQUESTRI È la più antica e la più seguita delle manifestazioni, la costruzione del circo
Massimo è attestata già in epoca monarchica ed erano parti integranti di riti funebri e religiosi, ma si
trasformavano in età REPUBLICANA in vere e proprie SQUADRE (verde, azzurro, bianco, rosso) ci sono
TIFOSERIE, ed in seguito il Circo Massimo ospitò ogni forma di spettacolo equestre (acrobazie, caroselli ecc.
non solo corse guidate da AURIGA). I giochi equestri erano organizzati da MAGISTRATI (EDITORES
LUDORUM), lo Stato si fa carico dell’organizzazione. I magistrati si consultavano con appaltatori privati,
proprietari ed affittavano tutto il necessario per le corse: soltanto nel IV sec. Lo STATO tolse l’appalto ai
privati e se ne fece carico lui stesso (in quanto i privati potevano accedere ad un monopolio che gli forniva
eccessivo potere) così che le corse del circo avevano accesso gratuito.

2. I GIOCHI GLADIATORI di derivazione etrusca, in origine facevano parte di riti funebri, munera
obblighi che spettavano agli eredi di un defunto), durante la tarda repubblica si trasformò in spettacolo, ed
i gladiatori erano PROFESSIONISTI di varia provenienza: uomini liberi, prigionieri di guerra, condannati ecc.
determinati dalla veste usata in campo ed addestrati in SCUOLE SPECIALI (ludus), vicine all’arena es.
POMPEI. L’organizzazione era statale e cambia nel tempo se in età repubblicana sono i consoli, gli edili,
in età imperiale furono i PRETORI, poi i QUESTORI: non si organizzavano più spettacoli, per non acquisire
troppo potere. Colui che aveva la cura LUNDORUM contrattava con un appaltatore (dominus gregis) o in
caso il LANISTA (proprietario di una palestra di gladiatori), fornendo gladiatori, inservienti per la pulizia del
sangue e dei cadaveri.

Gli anfiteatri qui si svolgevano inizialmente i giochi gladiatorii, si ereggevano nel foro tribune lignee
verso la fine del periodo repubblicana sono spazi APPOSITI ANFITEATRO: DUE TEATRI CHE SI
ACCOSTANO, UN EDIFICIO CIRCOLARE A PIANTAZIONE CIROLARE O ELLISOIDALE; il più antico è quello di
Pompei (80 a.C.), poteva contenere circa 12mila spettatori, mentre il primo anfiteatro stabile a ROMA risale
al 29 a.C. (CAMPO MARZIO). La performance non si svolge davanti una scena, ma nel centro dell’arena (in
quanto l’offerta di spettacolo non è la tragedia

L’anfiteatro Flavio fu costruito da Vespasiano, inaugurato da Tito e perfezionato da Domiziano esso ha


una pianta ellittica e la sua capienza è di circa 80mila persone. Esso viene inaugurato nell’80 d.c, con 100
giorni di spettacoli celebrati da Marziale (il quale in Liber Spectaculorum ci descrive i giorni). Anfiteatro di
Arles (I sec. d.c), Piazza del Mercato a Lucca (struttura circolare).

LEZIONE 6
3. LE VENATIONES (186 a.C.) inizialmente si svolgevano nel foro, poi nel circo ed infine nell’anfiteatro; i
tipi di combattimento erano scontri tra animali, accostamenti anche esotici, determinando forse la
sparizione di qualche specie l’organizzazione degli spettacoli romani era quasi industriale, i numeri erano
imponenti, grazie anche ad una fruizione massiva (elefante vs. toro, leone vs. cammello, tigre vs. leone),
con anche combattimenti uomo-animale, con una politica crudele per l’appagamento dell’occhio
(condanna ad bestias: il condannato a morte veniva messo in scontro con l’animale) L’apparato
scenografico doveva appagare l’estetica, con effetti anche scenici: oasi, boschetti, corsi d’acqua, piante ed
alberi, oltre all’uso di improvvise apparizioni e trasformazioni.

ORGANIZZAZIONE DELLE VENATIONES: i magistrati curatori dei giochi erano responsabili anche
dell’approvvigionamento degli animali che stazionavano in appositi recinti (VIVARIUM) fuori dalle mura
della città. Era una ISTITUZIONE (come in Grecia), le spese per la caccia, il trasportare il mantenimento degli
animali erano molto alte (le venationes erano meno comuni), il tutto era però STATALIZZATO.

4. LE NEUMACHIE (46 a.C.) Il primo a portarle fu forse Giulio Cesare, ed il tutto consisteva in battaglie
navali che prevedevano la ricostruzione-spettacolo di famosi scontri marittimi eseguiti in bacini artificiali
(rifacendo battaglie di origine vera con accezione di autocelebrazione). In età imperiale, grazie ai progressi
di ingegneria idraulica, si inscenava sia in anfiteatri che orchestre riempendole e svuotandole facilmente.

5. GIOCHI ATLETICI i certamina greca, non molto fortunati in epoca romana, i più graditi erano pugilato e
lotta e decaddero rapidamente dopo l’introduzione di Augusto. Si svolgevano presso Campo Marzio (piazza
Navona), mentre altre forme più di nicchia erano le RECITATIONES (momenti all’interno o di case di privati
o anche nei teatri, di letture pubbliche di attori che le recitavano al pubblico), I CONCERTI (ODEON), ed
ATTIVITA’ SPETTACOLARI DI STRADA (giocolieri, funamboli, burattinai che si esibivano per strada)
quest’ultimo era meno regimentato e non finanziato dallo stato, non era di matrice intellettuale-elitario
(oltre a ciò fu l’unica forma antica che non verrà dimenticata nel tempo, grazie anche al fatto che le
esibizioni consistevano in un attore, un SOLO CORPO e non finanziato).

I LUDI SCAENICI, le RAPPRESENTAZIONI TEATRALI: ORIGINE

Nel 364 a.C, il senato, per scongiurare una pestilenza chiamò ad esibirsi a Roma danzatori, musicisti e mimi
etruschi (ludiones). Da qui sarebbero nati i ludi scaenici nel 240 a.C., il senato, per onorare il tiranno
Gerone II di Siracusa, in visita a Roma, organizzò spettacoli come quelli rappresentati nelle città greche di
ciò si investe Livio Indronico.

I ludi scenici hanno una sostanziale estraneità del teatro rituale per la cultura originaria romana i romani
perdono il rituale in onore di Dioniso, il teatro diventa divertimento popolare, ricco di diverse forme
spettacolari. Il teatro era vissuto come un fenomeno ESOTICO anche se manteneva legami con la religiosità
nella pompa teatrale (processione che si snodava dai templi al teatro. Era una spetto preliminare anche ai
ludi circensi, unica sopravvissuta di concetto religioso nella spettacolarità romana; il corteo partiva dai
templi e finiva al teatro con sacrifici e accompagnamento musicale di flauti-TIBIE e trombr-TUBE)

I ludi erano anche un paradosso per molti per la Dupont, studiosa francese, “a Roma il teatro non esiste,
non ci sono che giochi scenici”; lei intende sottolineare che i ludi scenici non sono altro che uno dei tanti
ludi. Chiarini, storico nostrano dice che “La nascita dell’edificio teatrale coincise a Roma con la morte del
teatro maggiore” il primo edificio teatrale edificato in città è un teatro ligneo opera di Pompeo nel 55
a.C.--> seguono quelli di Balbo e quello di Marcello (13 e 11 a.C.), quando gli autori teatrali non ci sono più.

Le ultime produzioni scritte per il teatro risalgono a secoli prima con Plauto e Terenzio le loro commedie
venivano presentate nel FORO, davanti a scene edificate temporaneamente e semplicemente, senza luoghi
deputati; nascono dopo edifici appositi, con attori che prendono il sopravvento sugli autori e la
recitazione sovrasta il testo scritto gli attori non avevano bisogno di testi, privi di autori nel presente
rilevanti, adattandosi ai testi già esistenti; il PARADOSSO è che IL TEATRO E’ FORTE, MA NON CI SONO
AUTORI NON C’E’ NECESSITA’ DI AUTORE e TESTO PER RAPPRESENTARE.

FORME SPETTACOLARI dei ludi scenici:

IL MIMO: il mimo romano consisteva in uno spettacolo comico lascivo che si basava su un breve testo
scritto che veniva letto mentre mimi ne rappresentavano le azioni salienti accompagnati da strumenti da
una parte abbiamo uno che legge e poi un performer che agisce; essi recitano senza maschere, con
un’espressività accattivante, a piedi nudi e con DONNE. Organizzati in compagnie, Il capocomico
(archimimo) e la prima attrice (archimima) avevano la responsabilità artistica e organizzativa

Apuleio in “Le Metamorfosi”, metà circa del II secolo dopo Cristo, ci dà una descrizione di una
rappresentazione di un mimo della storia di Paride: c’erano danzatori e cantori, nella scena c’era un monte
altissimo costruito in legno con sopra cespugli e piante vere, con la presenza di un vero ruscello che scorre
(frutto dell’arte del macchinista), con caprette che brucavano ed un attore vestito da paride, vestito in
modo suntuoso INVESTIMENTO SCENICO ENORME. Entrarono poi l’attore che faceva Mercurio, con poi
Venere ancora vergine velata da sola seta sul pube, Minerva e Giunone, una POLIFONIA SCENOGRAFICA,
anche senza parola. Dopo l’assegnazione a Venere del titolo di più bella abbiamo il suo ballo con il coro,
con poi facendo sprofondare la montagna dopo una cascata di vino VENGONO USATI TUTTI I SENSI.

IL PANTOMIMO: un coro o un cantore accompagnava l’esibizione di un UNICO ATTORE che interpreta


tramite una maschera a 3 volti più personaggi.

ORGANIZZAZIONE DELLE COMPAGNIE

Le compagnie (già configurate nella cultura ellenistica, grex o caterva) erano guidate da un capocomico
(dominus gregis) che aveva funzioni di drammaturgo, impresario e spesso primo attore. Facevano parte
della compagnia anche musicisti ed aiuti scena, con componenti TUTTI UOMINI; gli spettacoli persero il
carattere agonistico e assunsero fisionomia festiva e ludica.

ATTIVITA’ Le compagnie erano impegnante tutto l’anno solare, sia in feste pubbliche che private. Le
rappresentazioni teatrali vengono allestite con più frequenza e non soltanto in occasioni religiose come in
Grecia, divenendo quindi un’attività costante, praticata da professionisti che portano le proprie
rappresentazioni anche al di fuori della città, un atteggiamento itinerante che acquista un meccanismo di
associazione corporativa.

GLI ATTORI Un PARADOSSO è che gli attori erano considerati ai limiti della socialità, venivano interdetti
perfino i loro diritti civili, venivano MARCHIATI DI INFAMIA ma erano anche molto popolari, con forme
anche di DIVISMO, idolatria e ben retribuiti a tal proposito lettura di Tertulliano in “De Spectaculis”, i
romani si sottomettono nello spirito e nel corpo all’attore ma nello stesso tempo li bollano di infamia.
L’attore romano era diverso da quello romano, egli aveva vesti semplici e funzionali, al contrario l’attore
romano si mostra goffo, imbottito, rialzato da coturni, innaturale (es. passo di Luciano “De saltatione” II
d.C. che enfatizza l’aspetto grottesco e ridicolo dell’attore romano, arrivando anche al disgusto).
L’attore romano recita assemblaggi di testi, componendo un REPERTORIO dell’attore; negli agoni greci si
scriveva degli inediti, mentre ora l’attore ritaglia su sé stesso delle pièce da testi già esistenti, un’antologia
adattata alle esigenze momentanee dell’attore, determinata dal contesto e dalla volontà di esaltare il
proprio virtuosismo.

L’attore romano rompe l’unitarietà dell’azione la trama non conta molto e le funzioni dell’attore si
specializza in varie funzioni:

-CANTOR: attore che si specializza in canto

-ACTOR: contraddistinto per l’uso della parola

-HISTRIO: attore specializzato nell’azione scenica e nell’uso del corpo (demonizzato in quanto la corporalità
veniva mal vista).

La specializzazione di compiti, porta ad uno sviluppo di una rigorosa codificazione gestuale e vocale, con
trattati che normano le TECNICHE DI RECITAZIONE: la fonte principale per la sua ricostruzione è il libro XI
dell’ISTITUTIO ORATORIA di Quintiliano, ma anche di Cassiodoro (che ci parla del pantomimo, rivelando
che la gestualità può far intendere un personaggio come un altro)

La gestualità dell’attore romano è regolata su più discipline:

-CHIRONOMIA: recitazione delle mani (comprende circa 14 posizioni delle dita, che rimandano a diversi
significati).

-ORCHESTICA: codificazione di tutti i movimenti del corpo in rapporto anche agli abiti indossati.

-MIMICA: disciplina del movimento del volto.

LEZIONE 7
TEATRO E SPETTACOLO NEL MEDIOEVO non più teatro antico, in questa età rispetto all’antico c’è una
cesura, come se non ci fossero state esperienze da ereditare; la cultura CRISTIANA SUBENTRA alla
paganità, esprimendo una sua concezione sul teatro stesso, facendosi anche promotrice di nuove
tecniche i giullari ed il teatro religioso: il dramma liturgico e la sacra rappresentazione.

l’eredità romana e l’atteggiamento della cultura cristiana verso il teatro gli elementi dello spettacolo
romano che compromettono una sua continuità nello spettacolo medioevale sono molte: c’è
disomogeneità tra storia della letteratura teatrale e la storia dell’architettura teatrale in epoca romana;
c’è una dissintonia paradossale tra un’organizzazione forte ma un teatro privo di autorialità, esiste un basso
profilo letterario in contrasto con l’alta tecnica performativa. L’attore diventa la colonna portante di un
contenuto ad alto tasso spettacolare, essendo comunque EMARGINATO dalla società.

A Roma c’è una separazione sia fisica che sociale tra spettatori ed attori (che oltre ad essere emarginati,
sono anche scissi della loro unitarietà nelle loro figure: CANTOR, ACTOR e HISTRIO), il pubblico stesso è
inteso come un insieme disomogeneo che entra in contatto con lo spettacolo attraverso una fruizione
individuale e laica, non come una comunità ma come massa spettacolare, con una centralità della figura
dell’attore come soggetto dello spettacolo ma non della società.

Roma si presenta debole socialmente all’affacciarsi alla nuova era, oltre a questo la cultura cristiana è
AVVERSA AGLI SPETTACOLI: le condanne dei padri della chiesa sono molte es. Tertulliano Lattanzio, San
Agostino e Girolamo le principali critiche sono rivolte a qualsiasi forma spettacolare (romano o greco).
L’accusa principale è l’IDOLATRIA: il teatro in Grecia nasce dalla religione (Dioniso) e questo non piace ai
padri della chiesa, i quali condannavano ogni forma religiosa oltre alla cristianità. Un’altra accusa è l’USO
INADEGUATO e DEGRADATO DEL CORPO, l’attore interpreta ambo i sessi, usa maschere, con
interpretazioni anche lascive ecc. e ciò è impensabile in quanto per la cristianità il corpo è scrigno
dell’anima e immagine di Dio; si critica anche il tipo di visione dello spettacolo: si ricorreva a una fruizione
che passa attraverso GLI OCCHI e si pone con gli spettatori in un rapporto esclusivamente visivo ed emotivo
es. spettacolo romano affascinava lo spettatore anche a livello sensoriale, senza passare dal filtro della
ragione l’anima è turbata dall’emotività, macchiando la purezza dell’anima.

Passo di Sant Agostino “Le confessioni”: ci descrive con attenzione di Alipio che viene portato nolente a
vedere uno spettacolo di gladiatori ci descrive un meccanismo di fascinazione inconsapevole a quello
spettacolo crudele, un’attrazione fatale, che induce il giovane a fissare gli occhi ed attingere ad un
godimento forte da uno spettacolo efferato, creando una dipendenza di inibriazione, facendo cambiare lo
stesso Alipio: egli è solo uno dei tanti che assistono (fruizione non individuale ma massiva), egli non è
PERSONA ma MASSA, un fanatico inconsapevole.

La perdita del teatro con i padri della chiesa GIA’ SI ERA PERSO con la caduta dell’Impero Romano, ed il
loro atteggiamento non incita alla rinascita del teatro non c’è più la centralizzazione dello stato ed il suo
finanziamento, si perde tutto, soprattutto IL LUOGO TEATRALE ed annessi (stadi, circhi, anfiteatri ecc.).
Questi edifici non solo non vengono usati, ma vengono SACCHEGGIATI o adibiti ad altre funzioni es. case.
Questa perdita di utilizzo e memoria dura fino al 1485, quando si INIZIA a parlare di nuovo di questo
mondo, per la costruzione di un nuovo teatro si dovrà aspettare un ulteriore secolo il primo teatro
ricostruito è del 1585.

Si parla in età medievale di TEATRALITA’ DIFFUSA si ha una perdita di un concetto forte del teatro
(assenza di luoghi e di testi, oltre che di un centro finanziario e gestionale dello spettacolo es. STATO), si ha
teatralità agganciata alla performatività di singoli, eredi degli attori di strada. Abbiamo una povertà delle
fonti quindi, quelle che ci sono hanno per la maggior parte una matrice cristiana e quindi fortemente
orientate verso la CONDANNA, ci rimangono forme di micro-spettacolarità diffusa specificatamente
attoriale, ma appunto di difficile catalogazione (gli artisti di strada, che già erano poco considerati quando
il teatro esisteva come istituzione, venivano condannati e stigmatizzati).

Il performer medievale viveva una degradazione sociale, una perdita di dignità senza una collocazione ne
una specificità teatrale. Sono attori “polivalenti” che agiscono in occasioni festive, private o meno ed essi
sono: mimi, affabulatori, suonatori, giocolieri, acrobati, danzatori, contorsionisti ecc. si va verso il
riconoscimento di una specificità professionale, con una matrice spettacolare inizialmente debole ma
CAPILLARE a livello europeo, che brulica e si muove in modo confuso ma dinamico, per via della
caratteristica della FESTIVITA’ le fiere, i banchetti erano indispensabili, così come le CORTI BANDITE:
feste organizzate da signori a cui accorrevano mercanti e anche appunto attori. I performer disorganizzati si
creano delle specializzazioni, nella volontà di avere una professione riconosciuta la via più sicura è perciò
assumere una SPECIFICITA’, essi subiscono un’evoluzione quindi dalla non specializzazione alla
SPECIALIZZAZIONE

Essi prendo il nome di GIULLARI: tutte le categorie fin ora enumerate, erano per Faral “tutti quelli che
facevano professione di divertire gli uomini” e per Menéndez Pidal “Tutti coloro che si guadagnavano la vita
agendo davanti a un pubblico”.

Il giullare secondo la Chiesa ha 3 caratteristiche che non lo rendono degno, egli è:

• GIROVAGUS: il nomadismo fa del giullare una figura ambigua e sfuggente, in quanto si sposta per le
festività senza una vera stabilità. Ciò disturba l’egemonia cristiana, che vuole una società
catalogabile: bellatores, oratores, laboratores.
• VANUS: l’attività del giullare non produce beni e non veicola contenuti, in quanto la sua attività si
configura per essenza come effimera.
• TURPIS: offre la spettacolarizzazione e la contraffazione del proprio corpo attraverso gesticolazione
scomposta; tale accusa è la più persistente nel tempo e disturba molto la concezione cristiana del
corpo: essi non erano NATURALI, come Dio li aveva creati, ma l’attore distorceva la sua figura,
cambiando anche sesso (Silvio D’Amico contro Zacconi: quest’ultimo rappresentava delle malattie,
facendo vedere in scena lo scomporsi del corpo ciò non piacque al critico cattolico).

Thomas de Cabham vescovo di Salisbury in età medievale avanzata, nel 1300 ca., tale vescovo comincia
a distinguere all’interno della definizione del giullare alcuni aspetti che si possono accettare (dalla chiesa),
altri da condannare da condannare sono “quelli che contraffanno il loro corpo con gesti turpi
denudandosi o indossando maschere”, così come “quelli che seguono le corti dicendo cose obbrobriose di
altri, coloro che fanno maldicenza”. Sono da salvare “coloro che divertendo cantano CELEBRANDO GESTA
di principi o SANTI”, essi creano qualcosa di edificante e sono riusciti a creare una specializzazione non
condannata.

Tale distinzione viene fatta dagli stessi giullari Lettura dei brani “Supplica” di Giraut Riquier al re Alfonso
X di Castiglia 1274, Riquier dice che ci sono personaggi indegni della corte, in quanto vivono malamente
a prescindere dalla cultura: si riferisce a performer come burattinai, suonatori imitatori e ammaestratori.
Tali giullari sono una forma bassa, mentre altri meritano la corte e l’accettazione sociale: coloro che sanno
vivere tra i potenti con cortesia, suonando strumenti e trasmettendo storie. Giraut chiede di essere accolto
a corte, in quanto egli fa parte della categoria da salvar e come tale può essere ammesso a corte; egli
chiede di essere STIPENDIATO, ne è degno anche perché ha una funzione ben precisa, quella di
ALLEGGERIRE LE PENE DELL’ANIMO, DIVERTIRE LE PERSONE

L’arte del giullare non è più VANA, il suo esercizio attorico non è più TURPE, e nemmeno è GIROVAGO, in
quanto sta stabilmente a corte.

Questa specializzazione porta ad una nuova categorizzazione: se il giullare rimane colui che recita o canta
composizioni NON SUE, si distingue nascente figura del TROVATORE: la figura evoluta del giullare, risultato
di un processo di culturizzazione dovuta a soggetti di estrazione più elevata (GOLIARDI, ovvero giovani
espulsi dalle accademie o i CLERICI, i clerici vagantes che abbandonano il clero) che SCRIVONO I PROPRI
TESTI (XII-XIII).

Abbiamo iconografie, es miniatura XI sec., che rappresentano i giullari: egli è contraddistinto da costumi
colorati, vediamo che esistono anche giullaresse (es. altra miniatura con una giullaressa che esibisce la
danza senza far cascare l’acqua). Altra fonte è “Storie di San Martino” di Simone Martini, che ci presenta
trovatori o menestrelli, che trovano accoglienza anche in un contesto sacro come quello della Basilica di
Assisi (dove è lo stesso dipinto).

L’altro aspetto della teatralità medievale è il DRAMMA LITURGICO, soggetto di una rifondazione teatrale:
nel teatro greco nasce attraverso i canti in onore del Dio Dioniso, qui nasce all’interno della liturgia
cristiana, esso è una forma di teatro latino, di soggetto sacro, in stretto rapporto con la liturgia; è
rappresentato nelle chiese, luogo teatrale temporaneo. Tutto ciò nasce dai TROPI TROPO: breve testo
cantato, introduttivo a diversi momenti liturgici (Pasqua, Natale, Epifania, Ascensione) che inizia a
diffondersi intorno alla prima metà del X sec Questo testo introduttivo era difficile da cantare, prevedeva
dei gorgheggi complessi e per riuscire a rendere più semplice il tutto i monaci introdussero delle parole più
semplici esse divennero sempre più presenti, divenendo un contesto narrativo e sfociando in una
qualcosa di dialogico tra canti e coro (assomiglia al meccanismo di nascita del teatro in Grecia), nasce il
QUEM QUAERITIS: primo nucleo drammatico accertato nato nel monastero benedettino di San Gallo per
opera (forse) del musicista monaco Tutilone. Esso è una articolazione di 3 semplici battute che celebra le 3
Marie del Vangelo che cercano il corpo di Cristo per omaggiarlo, loro non trovano il corpo quanto
sappiamo che egli Risorge) però trovano un angelo (il cantore che si stacca dal coro) che le interroga, le tre
Marie all’unisono rispondono (il coro), poi risponde l’angelo (il cantore), affermando che esso è resuscitato
come predetto

Questo è il primo piccolo nucleo drammaturgia del rito pasquale, prima dell’inizio della messa pasquale, in
uno dei temi importanti che ritroviamo nelle rappresentazioni pittoriche, per esempio nell’opera di Duccio
di Buoninsegna nella sua opera “storie della passione”.

Da un primo abbozzo delle prime tre battute iniziali, si aggiungono altre situazioni e viene spostato alla fine
della mattina del giorno di Pasqua questo a causa della crescita del nucleo, vediamo proprio l’aumento
di episodi, con una crescita della drammatizzazione stessa che vediamo in altri nuclei drammatici

La “Visitatio II” ci sono gli apostoli Pietro e Giovanni, o un’altra versione la “Visitatio III” in cui vi è la
presenza di cristo e di un unguentarius (presenza di vita realistica). Piano piano quindi si sviluppa una trama
narrativa che aggiunge pezzetti al primo nucleo drammatico facendolo diventare una rappresentazione
teatrale, che non si può più svolgere verso l’altare ma ci si allarga in tutta la chiesa e si aggiungono
apparati scenografici ed accessori, tra cui un sepolcro o i lenzuoli che avrebbero dovuto racchiudere Cristo,
ad esempio.

A tale espansione consegue una partecipazione più ampia, ma comunque di soli personaggi ecclesiastici,
tutti i monaci quindi e non solo il coro; quando il nucleo drammatico diventa più complesso, SI STACCA
DALLA LITURGIA E VIENE RAPP. ANCHE FUORI DALLA CHIESA

Quando si mantiene all’interno della liturgia si parla di dramma liturgico, il loro sviluppo le fa fuoriuscire
dalla chiesa, es. nel loro spazio antistante e nelle piazze della città: gli spettacoli si chiamano “SACRE
RAPPRESENTAZIONI” e gli argomenti, ancora derivanti dalla Bibbia, si ampliano e vengono recitati in
volgare, hanno comunque come protagonisti Santi. Allontanandosi dalla chiesa si passa dal latino al
volgare, quindi il pubblico può essere anche di natura laica.

Questa messa in scena è organizzata da confraternite laiche, legate strettamente all’ambiente sacerdotale
ma costituite da elementi laici, che organizzano la messa in scena. Esistono in tutte Europa, la più
importante è quella di Parigi.

Quando si esce dalla chiesa i luoghi teatrali sono diversi: la chiesa continua ad essere luogo per le sacre
rappresentazioni, ma con lo sviluppo della trama sempre più complessa si inizia ad allontanarci dalla chiesa
fino ad arrivare ad allestimenti esterni ad essa, temporanei, con una disposizione almeno all’inizio che
tende a riprodurre la spazialità dell’interno della chiesa (le navate centrali). Queste disposizioni possono poi
essere allestite con messinscena fissa (es le Marie che si fermano prima nel banchetto dell’unguentario, poi
al sepolcro) con più luoghi scenici o allineati tra loro (in fila), in circolo (più luoghi in modo circolare) o
addirittura allestite su un corteo di carri viaggianti o ancora su piattaforme con tende.

Es. impianto in una iconografia pianta che riproduce la navata, per la “passione di cristo”. Di solito ci sono
3 sezioni, con all’inizio altri 3 luoghi che rappresentano l’inferno, l’orto dei Getsemani ed il Monte degli ulivi
(con piccole piattaforme di strutture lignee di valore simbolico ed allusive, col nome di EDICOLE). Nella
seconda sezione abbiamo Erode, Pilato, Colonna della Flagellazione e del Gallo, Caifa, Anna e l’ultima cena
(con strutture che prendono il nome di MANSIONES, le case dei personaggi questi “luoghi deputati”
raffiguravano simbolicamente le località immaginarie, e tali mansiones erano disposte una accanto all’altra.
Lo spazio delimitato dalle mansiones può essere anche frontale). Nella terza sezione abbiamo le tombe, il
sepolcro e le croci dei ladroni e di cristo.
Esiste un meccanismo parcellizzante della rappresentazione: il pubblico era costretto a spostarsi, doveva
passare da una parte all’altra della rappresentazione, vi era quindi un meccanismo itinerante del pubblico,
il quale camminava e si fermava nelle scenette determinando quale fosse la fine o l’inizio per sé (le scenette
creavano una ciclicità) tale tipo di recitazione poteva essere simultaneo (le scene potevano essere
occupate in sincrono, in quanto l’azione drammatica era data dal pubblico che si muove lontano dalla
trama aristotelica, qui c’è l’accostamento di scene e non una linearità, è lo spettatore a creare il suo
montaggio fino a raggiungere la fine). Il tutto era molto caotico.

LEZIONE 8
Il mistero di Valenciennes (1547) esempio di edicole frontali; i misteri sono rappresentazioni sempre di
matrice sacra ma che, al posto di avere come tema la vita di un Santo/Cristo, intendono dare l’idea
dell’intero mondo il “mistero” comprende tutto l’universo/mondo; tale allestimento e rappresentazione
prevede 2 poli che lo racchiudono, ovvero l’Empirio e l’Inferno, con all’interno un muro che delimita una
città (allusione alle mura) ed all’interno le edicole questo è un “mistero” importante, fu allestito per 25
giorni, con una cura assoluta del dettaglio. Il Paradiso viene raffigurato con un cerchio rotante, l’edicola
destinata all’Inferno è quella più curata a livello di effetti speciali: fuochi, fumi ecc.

In una miniatura rappresentante il “Martirio di S. Apollonia” abbiamo un’iconografia che rappresenta le


edicole in disposizione circolare, con edicole che si confondono quasi con lo spazio del pubblico, ed altre
adibite invece ad un pubblico selezionato (vediamo anche un personaggio con un libro che organizzava
l’azione, suggerendo battute ecc.).

In un’altra miniatura vediamo i costumi indossati, essi sono ben curati, grazie anche all’organizzazione delle
confraternite essi erano nobili (tendenzialmente laici) appartenenti ai poli religiosi e diventano i poli
delle rappresentazioni, con il compito di fornire il proprio costume: i personaggi più importanti venivano
impersonati da persone che potevano permettersi tali abiti, l’abito era a carico dell’attore, recitava un tale
personaggio se si poteva permettere il costume si riattiva la CENTRALIZZAZIONE DELLO SPETTACOLO,
questo si svolge in parallelo con la figura del giullare.

Sacra rappresentazione: Filippo Brunelleschi con lui si ha un passo in avanti della costruzione teatrale,
con un linguaggio innovativo es. “Annunciazione” nella chiesa fiorentina di San Felice in piazza (1430 ca)
vediamo un modellino che riproduce il suo ingegno; qui la chiesa non è molto ampia, quindi si utilizza lo
spazio in verticale (diversa dalla disposizione di Villingen): lo spettatore sedeva FRONTALE ALLA SCENA e
vediamo le icone dell’Empirio in una circonferenza in alto, con personaggi che saranno cantanti e danzanti
(tale edicola era forse aperta da un tendaggio, con canti e balli che impressionavano lo spettatore frontale).
Dal soffitto coperto scende poi il “MAZZO” (nome dato dal Vasari) che si ferma a mezz’aria: esso è un
cerchio rotante a cui sono dei figuranti legati che rappresentano gli angeli, annunciando tramite il canto
da esso si distacca la “MANDORLA”: essa contiene un fanciullo legato (l’arcangelo Gabriele qui) che
rappresenta un personaggio, con un effetto luminoso dato da dei fori con delle candele inserite. La
mandorla non oscilla per via di un meccanismo, sotto tale meccanismo c’è un meccanista che permette alla
scena di essere eseguita, permettendo anche il nascondersi delle candele ed il proseguimento della scena.

Compiuta l’annunciazione, il fanciullo rientra nella mandorla, si lega nuovamente e con un meccanismo a
molla riaccende le candele (togliendo il meccanismo che le nascondeva). Il meccanista libera il meccanismo,
il mazzo si completa di nuovo risalendo, completando il tutto.

A DARE UNITA’ E’ IL LEGAME SINTATTICO DELLE EDICOLE la trama della storia la fa il movimento che
Brunelleschi riesce a creare tra i luoghi fisicamente collegati, abbiamo una SINTASSI e non un PARATASSI,
c’è UNITA’ DI LINGUAGGIO, la quale crea una trama che non deve essere ricostruita dallo spostamento del
pubblico.

La perizia architettonica di Brunelleschi gli permette di rinnovare il linguaggio teatrale la sua tecnica
innovativa permette ancora i LUOGHI DEPUTATI, siamo all’interno delle sacre rappresentazioni allestite su
più momenti di azione, è diverso però l’utilizzo lo spazio, così come un nuovo legame scenico.

I fanciulli reclutati per fare gli angeli sono scelti da Brunelleschi stesso di età diversa, questo per rispettare
la PROSPETTIVA SCENICA egli scegli bambini di differente età per la loro statura.

Sul soffitto c’era un meccanismo che permetteva la salita e la discesa: i macchinisti giravano con forza e si
trovavano accanto alla calotta del mazzo, con la forma di cupola in questa rappresentazione (tutto ciò lo
vediamo dai modellini di Zorzi).

Una seconda Annunciazione (1439, data precisa in quanto legata ad un evento religioso un concilio che
dibatte sul dogma della santissima trinità; esso venne fissato inizialmente a Ferrara, spostato poi a Firenze
da Cosimo il Vecchio. All’interno di questo evento importante, si collegano vari eventi, tra cui sacre
rappresentazione come questa), sempre di Brunelleschi, ma costruita spazialmente in modo differente,
risultando in un altro linguaggio tale rappresentazione fu fatta in Santissima Annunziata e ce la descrive
un religioso, Abramo di Suzdal.

Siamo in una chiesa molto spaziosa, ci sono 3 navate, e Brunelleschi pensa di occupare la navata centrale
utilizzandone la lunghezza. Ci sono 3 edicole, 2 sul tramezzo (elemento che tagliava in 2 la navata della
chiesa separando i fedeli ed i monaci) ed una, che rappresenta il Paradiso, è sopra la porta d’ingresso della
navata centrale (edicole una di fronte all’altra). Il pubblico è collocato su delle panche ma non è
frontalmente a un palcoscenico bensì immerso all’interno dello spazio che prevede lo svolgersi dell’azione.
Ci sono dei canapi, che sostengono l’arcangelo nel suo VOLO il pubblico dopo l’annuncio dei profeti
nell’Empirio, vede l’angelo che vola da un’edicola all’altra, finendo con lo sguardo sul tramezzo, assistendo
all’edicola della Madonna con l’arrivo dell’angelo. Appena fatta l’annunciazione l’angelo ritorna VOLANDO
verso la sua edicola, e da qui parte un meccanismo inverso parte una colomba che rappresenta lo spirito
santo, piena di FUOCHI DI ARTIFICIO.

Si crea un filo narrativo ben visibile allora tra edicole, utilizzando una sintassi innovativa.

Per chiudere la trattazione sul teatro medievale abbiamo un’ASCENSIONE, sempre di Brunelleschi siamo
nella chiesa di Santa Maria del Carmine, utilizzata spazialmente in VERTICALE.

Le Annunciazioni sono legate molto al mondo artistico, es. Simone Martini con la sua A. oggi agli Uffizi,
Giovanni di Paolo o Beato Angelico, maestro del soggetto iconografico.

TEATRO E SPETTACOLO NEL RINASCIMENTO

Nel Rinascimento abbiamo la riscoperta dei classici e una nuova attenzione verso il teatro nei suoi aspetti
letterari, architettonici e scenografici; si attiva un processo di riattivazione di ciò che era andato perso nel
Medioevo, si riscoprono testi classici, si mette in moto un meccanismo di edificazione di teatri e assistiamo
ad innovazioni scenografiche eccellenti.

Chi si occupa di questa riproposizione sono LE CORTI e LE ACCADEMIE (in seguito anche la commedia
dell’Arte, in modi differenti), la prima corte è Ferrara.

Le fonti principali per questo periodo sono testuali e trattatistiche si riscoprono PLAUTO e TERENZIO es.
xilografia nel 1493 a Lione, vediamo la rappresentazione di un teatro antico, ma la parte della scena è meno
legata alla monumentalità romana, pone infatti delle strutture ad arco sembra riproporre le EDICOLE, c’è
un ibrido tra classicità e medioevo. Vediamo inoltre un dettaglio della scena, sottolineando ancora
l’ibridazione es. mansiones, personaggi che escono da tendaggi con nomi allusivi, ponendo una riflessione
anche sul modo di fare teatro. Altra xilografia del ’97 rimanda ad un’arena romana, riproducendo la
circolarità della cava e del peristilio, con una parte scenica di tipo medievale e con attori vestiti in modo
rinascimentale.

abbiamo inoltre la riscoperta del “De Architectura” di Vitruvio, il quale si interroga su quali fossero le
caratteristiche topiche del teatro greco su questo libro rinasce il pensiero di fondare luoghi teatrali
nuovamente STABILI, grazie alle interpretazioni di vari pensatori ed artisti (Alberti, Prisciano, Cesariano
ecc.).

Leon Battista Alberti è tra i primi a chiedersi come sia la struttura del teatro come edificio nel 1485 scrive
“De Re Edificatoria”, segnando con questa data il recupero, anche se parziale, la memoria dell’edificio
teatrale.

Egli concepisce il teatro come una sintesi tra la scena architettonica classica, di cui è conservata la porta
centrale, e quella umanistica, che introduce la scena di città, co l’inserimento delle case dei personaggi.
Non si parla del monumentalismo romano, si ripropone una scena di città vissuta tra le case dei personaggi.

Vengono definite le componenti del teatro, ne vengono definite la forma ma anche la DIFFUSIONE DELLE
ONDE SONORE; le parti del teatro sono:

1. serve una zona libera, che corrisponde al centro dell’area SI RIPROPONE L’ORCHESTRA

2. Intorno ad essa le gradinate dei posti a sedere.

3. Dinanzi all’imboccatura in posizione elevata il palcoscenico.

4. Sulla parte alta un porticato con tetto, con la funzione di rendere più sonora la voce.

5. Un drappo (simile al velarium romano), che copre l’area centrale e le gradinate.

Pellegrino Prisciano pubblica “SPECTACULA”, riprende l’Alberti ma ne amplia l’orizzonte i luoghi deputati
allo spettacolo sono sì il teatro, ma anche l’anfiteatro, il circo, il foro, gli archi all’ingresso delle piazze, i
porticati e le logge.

Prisciano fa un’indagine filologica erudita e recupera la tradizione delle sacre rappresentazioni che trovano
luogo a Ferrara nel 1486, riprendendo l’opera plautina e terenziana, organizzando veri e propri festival
classici, commedie plautine ma RECITATE IN VOLGARE. Si cerca di avere una scena agita da attori
dilettanti, che recitano in volgare commedie di Plauto, davanti a scenografie che accostano le mansiones in
porticati, con presenza di edicole ecc. organizzando il tutto nel cortile del palazzo Ducale.

Tutto questo accade anche a Roma, con l’accademia di Pomponio Leto, dove però le commedie vengono
recitate in latino.

Una incisione di Cesare Cesariano del 1511 ci lascia un’incisione della pianta del teatro romano secondo
Vitruvio, ad interessarsi a questo mondo è Sebastiano Serlio in “Secondo libro di prospettiva”, EGLI
CODIFICA 3 tipi di scena: LA SCENA TRAGICA, COMICA E BOSCHERECCIA.

Le scene vengono articolate rispetto alla nuova scoperta della prospettiva, la quale evita di sottostare alla
scena monumentale fronte romana, per riadattare la scena di città giocata su un fondale prospettico
l’età rinascimentale tende all’ORDINE, un’armonia che prevede un centro, rimandando ad una geometria
essenziale che il principe utilizza per meglio governare la città il punto di vista della prospettiva è UNICO,
così come l’occhio ordinatore del governatore, a differenza dell’accostamento non gerarchico medievale
nelle opere teatrali, una critica alla sua politica forse; abbiamo quindi una metafora politica nel teatro
prospettico, quella di un sovrano che dà ordine alla città. SI COSTRUISCONO DUNQUE CITTA’ IDEALI (CHE
RIGUARDA LA CITTA’ DI ROMA) RIVISITANDOLA, CON UN OCCHIO DI ORGANIZZAZIONE TEORICO IDEALE MA
CHE RIMANDA AL CONCETTO DEL PRINCIPE/SOVRANO COME GOVERNANTE UNIFICATORE DELLA CITTA’.

La SCENA TRAGICA ha elementi che alludono alla città romana, obelischi, archi ecc. con architetture di tipo
anche rinascimentale che riproducono case di persone nobili.

La SCENA COMICA non ha elementi classici che rimandano a Roma, ma vengono riprodotte le botteghe, il
tutto raggruppato all’interno della scena prospettica.

La SCENA BOSCHERECCIA ha come sfondo qualcosa di arcadico, con un bosco.

Si vuole raffigurare una città ideale nelle scene teatrali, regolare es. tavola prospettica di Urbino o quella
più ibrida di Baltimora abbiamo una scena teatrale per la tragedia, con una piazza ed elementi tipici della
classicità, mischiando elementi ROMANZI (dell’epoca precedente).

Ultima tavoletta esistente è la tavoletta di Berlino: rileviamo il colonnato, il portico, con uno sfondo
prospettico con navi: potrebbe essere lo sfondo di una FAVOLA PESCATORIA. Chi si dedicò a tavole
prospettiche furono molti, tra cui anche il Brunelleschi.

LEZIONE 9
Una corte florida sotto questi aspetti fu sicuramente Firenze, con i governatori medicei, i quali
commissionavano, così come tutte le corti, con una tendenza comunque elitaria teatro finanziato, ma
per pochi.

Per Firenze importante fu il secondo cortile di Palazzo Medici-Riccardi il cortile è uno dei primi luoghi che
si allestiscono per rappresentazioni teatrali (come a Ferrara con i festival plautini). Lo spazio è sì angusto, e
l’allestimento risale al 1539 c’è una presa di potere dei Medici, con Cosimo il Vecchio che aveva qui
trasportato da Ferrara il concilio, commissionando a Brunelleschi le sacre rappresentazioni di un secolo
addietro. I Medici finiscono per diventare Duchi e poi Gran Duchi, e la committenza che vedremo è di
Cosimo I

Egli non fa parte del ramo della dinastia medicea di Cosimo il Vecchio, è di ramo collaterale alla famiglia
sposando Eleonora da Toledo, figlia del vice-re di Napoli, con un matrimonio che si celebra con una
rappresentazione appunto nel cortile di palazzo Medici-Riccardi

Il 9 luglio del ’39, il secondo cortile viene allestito come una sala (gioco illusionistico), grazie all’uso di
tendaggi: si riprende il velarium classico romano ed elementi di tipo medievale, es. tendaggi per ricoprire le
merci riprendevano il concetto.

Abbiamo nel cortile allestito dei gradoni laterali, su cui siedono le gentil donne invitate (richiama la CAVEA).
Il pubblico maschile siete sulle panche centrali, lo spazio in epoca romana invaso da personaggi illustri
occupando l’orchestra. Il principe, gli sposi ed i più vicini alla corte siedono su una pedana rialzata
idealmente dipartono le linee prospettiche, metaforicamente il controllo simbolico del GRAN DUCA, il quale
con il suo sguardo domina e dà ordine alla città.

Lo sfondo della scena è PISA la città di Pisa è una delle città dominate da Firenze, quella più fedele al
Gran Duca, essa è la città vicaria (manifestazione di potere agli invitati). Ci sono poi anche delle immagini
dipinte, le quali contengono storie delle dinastie degli sposi, pronte ad esaltare il potere davanti agli
invitati, i quali accedevano SU INVITO, un pubblico ben selezionato.
Colui che costruisce la scena e tutto l’apparato della sala è BASTIANO DA SANGALLO, architetto di corte, il
capostipite di una serie di architetti che si occuperanno in seguito di allestimenti della corte fiorentina,
importanti es. Giorgio Vasari. Il testo recitato è il Commodo di Antonio Landi, e gli attori sono della stessa
comunità elitaria, giovani nobili che si dilettano nella recitazione (agivano sul proscenio, in quanto esso era
ben illuminato e non falsava la prospettiva). La commedia è costruita sul modello plautino/terenziano,
mentre la perizia è costituita da un ingegno IL SOLE ILLUMINATO, una intelaiatura lignea che conteneva
una sfera di acqua colorata ed illuminata da dalle torce. Il sole si muoveva come lo vediamo dal vero,
riprendendo L’UNITA’ DI TEMPO DI ARISTOTELE (Sangallo fu chiamato Aristotele).

Tutto ciò lo sappiamo per la cronaca del tempo, a noi arrivato, di Gianbullari ci descrive qualcosa che fu
avvertito come memorabile, stendendo una cronaca degli avvenimenti. Questa era una modalità di prassi,
in quanto questi allestimenti molto costosi servivano da PROPAGANDA per la propria immagine: si
conquistava prestigio nelle altre corti dando evidenza mediatica a questi eventi. Se l’evento aveva
particolare risonanza, si poteva riproporre, ma, nonostante ciò, gli spettacoli di questo tipo erano
comunque inizialmente inediti, creando appunto l’aspettativa sulla trama e l’allestimento e conseguente
autopromozione della dinastia.

Vasari, nella biografia di Sangallo, scrive di una bellissima collaborazione, sottolineando il brillante
allestimento della scena con gli elementi del Camposanto. Il marchingegno del sole che si muove viene
descritto, sottolineando non solo l’aspetto scenico ma anche quello funzionale ILLUMINARE LA SCENA.

La rappresentazione non è solo elitaria, avviene anche nelle abitazioni private, ed inoltre bisogna tenere
conto che tra effetti speciali, illuminazioni con candele e torce, strutture in legno, erano frequenti gli
incidenti, da qualsiasi parte.

Firenze ha uno scatto in più all’aspetto scenotecnico con VASARI dal cortile dei Riccardi ci spostiamo a
PALAZZO VECCHIO, Salone dei Cinquecento, in quanto la corte trasloca da palazzo Medici nel 1540 Il
matrimonio tra Cosimo ed Eleonora rafforza la dinastia nella città, e si ritiene quindi sia necessaria una
dimora più rappresentativa e grande: il palazzo aveva ospitato la Signoria e anche il Comune, sottolineando
quanto fosse importante il potere della dinastia allora.

Nel trasferirsi, Cosimo I chiede all’architetto di corte, Giorgio Vasari, di sistemare l’assetto della sala dei 500
(500 erano i magistrati) e anche degli odierni Uffizi; la sala ospiterà i prossimi importanti eventi della città
il salone era di pianta trapezoidale, il Vasari lo fa diventare RETTANGOLARE, dipingendo sulle pareti laterali
immagini che esaltano la città di Firenze.

Nel 1565 il Salone viene allestito temporaneamente a TEATRO, in quanto il figlio di Cosimo, Francesco di
Medici assume il potere, sposandosi con Giovanna d’Austria (dopo l’abdicazione del padre nel ‘64); per il
matrimonio si recita la Cofanaria di Francesco D’Ambra.

L’allestimento riprende quella di Palazzo Medici, con gradinate laterali lignee montabili e smontabili (in 8
ore); sui 6 gradoni stanno le donne, i maschi nella parte vuota, mentre la pedana del principe è RIALZATA,
CENTRALE, riproponendo la metafora politica. Tra i gradoni abbiamo delle statue: hanno un aspetto
esornativo e funzionale (tengono delle palle di vetro illuminate, illuminando la sala). Dal soffitto scendono
nella scena degli angeli che portano delle torce.

La spazialità è più ampia del palazzo Medici-Riccardi, e la scena ha delle novità: l’arco scenico rende la
scena più separata, una cornice, aggiungendo anche un RETROPALCO, ospitando gli attori e i MACCHINARI
SCENA essi si sviluppano sempre di più, facendo fare cambiamenti di scena A VISTA (i cambiamenti a
vista frantumano le unità della scena), si esercita la scenotecnica negli INTERMEZZI la commedia risulta
frantumata da essi: alla fine di ogni atto si intervallava la trama narrativa, inserendo scene di carattere
mitologico molto curate negli aspetti scenotecnici, cantati e danzati da figuranti ben vestiti e agghindati. Gli
intermezzi della Cofanaria hanno come tema la storia di Amore e Psiche, sfoggiando una buonissima
perizia scenotecnica a vista, dando evidenza al virtuosismo coreutico degli attori.

Abbiamo una poetica della stupefazione, che abbandona quasi il Rinascimento e si avvicina al Barocco gli
attori sono nel retropalco, così come anche i MUSICI. Oltre al retropalco abbiamo un SOTTOPALCO.

Oltre a RETROPALCO, ARCO SCENICO E SOTTOPALCO, vediamo in un bozzetto di Federico Zuccari di un


SIPARIO per la Cofanaria anch’esso riproduce sullo sfondo la città di Firenze, vista però da Arcetri, una
zona più campagnola (scena boschereccia). Il sipario era probabilmente a caduta, e la scena che si vide
appena fu calato il sipario fu piazza Santa Trinità, una scena fissa.

Abbiamo poi un altro bozzetto di Baldassarre Lanci per una scena utilizzata in un allestimento successivo
del Vasari per la Sala dei Cinquecento a Firenze venne Carlo D’Austria e fu fatta una rappresentazione, la
Vedova, 1569

Testimonia Ignazio Dante che si prevede una scena che cambia, con intermezzi, un mutamento a vista
all’interno della scena di città, con un gioco di rimandi allusivi raffinati: gli spettatori vedevano il Palazzo
Vecchio, il luogo in cui essi stessi erano, mescolando comunque in generale elementi contemporanei a
romanzi, una commistione anche tra TRAGICO e COMICO Firenze si caratterizza per questa fusione, con
una scena che marcia velocemente verso la sperimentazione

I cambiamenti di scena a vista sono previsti soprattutto per gli intermezzi, creando una meraviglia negli
spettatori avvenivano grazie ai PERIAKTOI, dei prismi con un perno centrale, il quale permette ruotando
di cambiare la scena.

Dopo ripetute sperimentazioni, Firenze costruisce un vero e proprio teatro, un luogo esclusivamente per
spettacoli: BERNARDO BUONTALENTI, dopo Vasari, realizza il Teatro Mediceo, inaugurato nel 1586. Il
pavimento è in pendenza, e permette la corretta visione del pubblico, ciò nonostante si ripropongono
comunque i gradoni e la pedana rialzata.

In questo primo allestimento la sala era addobbata come un GIARDINO e l’occasione in questo caso sono
delle nozze regali, Virginia de Medici e Cesare d’Este viene allestito L’AMICO FIDIO, di Giovanni de Bardi.

Il cronista Baldinucci ci descrive che si costruiscono delle vere e proprie siepi, piante vere e frutti colorati;
c’erano anche animali finti, automi, come caprioli o lepri, a corredo di questo artificiale giardino, con anche
uno spargimento di profumi SI RIPRENDE IL MIMO DELLO SPETTACOLO ROMANO, una spettacolarità
che cerca di colpire tutti i sensi attraverso l’artificio. L’interesse del pubblico non è incentrato sulla trama (la
commedia viene frantumata dall’intermezzo), ma sulla fascinazione dei sensi.

Nell ’89 arriva al potere Ferdinando I, fratello del defunto governatore ed ex-cardinale con la fama di un
buon governatore, una sorte che non tocca a Francesco, passato alla storia come un uomo di governo che si
dedicava ai sollazzi.

Nell’89 si celebra un altro matrimonio, Ferdinando I con Cristina di Lorena, e si rappresenta la PELLEGRINA
di Girolamo Bargagli, ma la commedia non ha nessuna importanza il pezzo non era nemmeno inedito,
quello che conta era ormai l’intermezzo. L’articolazione degli spazi rimane la solita.

La rappresentazione dell’89 è famosa in tutto il mondo davvero solo per gli intermezzi Buontalenti, che
ne cura l’allestimento, crea una sua apposita cabina di regia e gli intermezzi sono 6

1 Prologo della commedia: sullo sfondo la scena di città ideale per eccellenza, Roma, con un tempietto
dorico di sottofondo. Dall’alto, retto da un congegno invisibile, scende una nuvola circondata dai raggi del
sole, la quale sostiene una donna: L’Armonia celeste, la quale canta un madrigale di Giovanni de Pardi con
musica di Emilio de Cavalieri, accompagnandosi col liuto (scenotecnica+canto). Scesa dalla nuvola, la donna
sparisce a vista, lasciando il posto a nuvole con altri personaggi sotto un cielo stellato e poi altre nuvole.
Finito l’intermezzo si apre la prima scena, con sfondo la città di Pisa.

2 Mette in scena la contesa tra le Muse e le Pieridi, domina la scenotecnica di un monte che si solleva
all’interno della scena, con elementi importanti di danze e canti.

4 Pone in scena un carro guidato da una maga, che tiene le briglie a due draghi orribili e spaventosi.
Giunta al centro chiama i diavoli perché scendano sulla terra, per spargere i loro doni e celebrare le nozze.
Dal sottopalco, dopo la sparizione tra le nuvole della maga, emergono caverne e scogli, e si apre poi a vista
L’INFERNO, da cui escono demoni indignati per i doni.

Il teatro Mediceo degli Uffizi non esiste più, ma esistono delle immagini una incisione di Callot, la quale
riproduce un intermezzo, una scena boschereccia con danzatori che scendono nella scena centrale.

LEZIONE 10
La sperimentazione tipica della corte medicea porterà poi nella stessa città all’arrivo del primo
melodramma:

A Firenze abbiamo la presenza di due comiche dell’arte, Isabella Andreini e Vittoria Piissimi, chiamate dal
duca per recitare la replica degli intermezzi della Pellegrina Teatro della dogana o di Baldracca (post
1576, dal ’76 abbiamo le documentazioni dei comici dell’arte in tale teatro) il teatro era in un quartiere
tendenzialmente malfamato, vicino comunque al palazzo gran ducale, progettato forse dallo stesso Vasari
nello stesso tempo del Teatro degli Uffizi. Nei piani inferiori del palazzo abbiamo delle ampie sale in cui
entravano le merci della dogana (le merci arrivavano grazie al porto fluviale di Firenze), sopra c’era un
teatro dove si esibivano I COMICI DELL’ARTE LA COMMEDIA DELL’ARTE (o degli Zanni): nasce a Padova
nel 1545, fanno un teatro VENDUTO e sono chiamati in questo periodo a recitare davanti ad un pubblico
selezionato (diversamente dal loro solito); con loro nasce una nuova professione.

Questo teatro aveva una struttura molto semplice, ed il duca stesso assisteva agli spettacoli (dall’alto in
delle camerette nascoste da delle grate nella quale potevano assistere spettatori nascosti, lo sappiamo
grazie alla documentazione dei diari di corte) della COMMEDIA DELL’ARTE (termine che appare nella metà
del 700, utilizzato da Goldoni). Gli attori erano professionisti e si incastravano bene con la corte medicea; il
teatro era sotto la magistratura della dogana (la quale era gestita dal Duca), ed i comici dovevano a loro
rivolgersi per recitare nello stanzone, dietro pagamento di un affitto si rifacevano dell’affitto grazie alla
vendita dei BIGLIETTI.

Diario di Giuseppe Pavoni registra nelle sue cronache la presenza di queste due donne (Isabella A. e Vittoria
P); ognuna di loro vorrebbe recitare il suo cavallo di battaglia, e convennero nel recitare prima “La cingana”
e poi “La pazzia di Isabella”, così vennero accontentate entrambe. Il gran duca le chiama a recitare a corte
perché ha consuetudine appunto ad assistere nel teatro di Baldracca agli spettacoli di tali attori
professionisti CORTE E QUARTIERE MALFAMATO IN SINCRONIA.

Pavoni scrive del successo di entrambe le recitazioni, quasi scavalcando gli intermezzi della Pellegrina
Abbiamo la commissione tra COMMEDIA DELL’ARTE ed INTERMEZZI, teatro VENDUTO e
SOVVENZIONATO.

Tale intreccio si contestualizza anche in altre corti, a partire da Firenze

Firenze è luogo di spettacolo, tra cui il corridoio vasariano collega il palazzo della signoria con palazzo
Vecchio con un nuovo palazzo: Palazzo Pitti, nuovo luogo di corte dopo Palazzo Medici e con architetti
l’Ammanati e Parigi (il gran duca si impossessa prima del palazzo Medici-Riccardi e poi del resto, in un gioco
di potere). Il duca in questa ottica comincia ad allontanarsi dal popolo, acquistando un fascino di
onnipotenza quasi divina, la corte si allontana dalla parte rappresentativa della città, trasferendosi a
Palazzo Pitti Vasari costruisce il corridoio affinchè il Duca potesse passare dai palazzi di corte senza
essere visto dal popolo, osservando comunque i sudditi: una metafora politica MOLTO IMPORTANTE, il
duca come divinità col potere di osservare dall’alto.

Il cortile di Palazzo Pitti è aperto sulla parte di fondo, facendo vedere un teatro TEATRO DI BOBOLI, che
ripropone una cavea (anche se allungata ad U come quella degli Uffizi), le statue ed uno spazio centrale. Il
cortile viene utilizzato in modo spettacolare, per allestimenti relativi allo spettacolo: esso veniva allestito
per ospitare es. una SBARRA (es. acquaforte del ’79 che ci mostra un cortile addobbato per un torneo alla
sbarra) Torneo che poneva due contendenti che combattevano ad armi corte, con un recupero di
spettacolarità quasi romana, con una copertura sovrastante (un velarium che riparava dalle interperie o dal
caldo gli spettatori; la copertura ha anche degli amorini che reggono delle lampade).

La sbarra è legata al ciclo di festeggiamenti nuziali un’altra importante sbarra è stata fatta nel 1589: in
questo anno oltre alla Pellegrina, gli intermezzi e le recite della Andreini e della Piissimi, abbiamo anche una
Sbarra a Palazzo Pitti, allestito come una sala chiusa per un torneo simile a quello MEDIEVALE.

Sempre nell’89 Palazzo Pitti conosce anche l’allestimento di una NAUMACHIA ovvero una battaglia navale
di matrice romana: in tale occasione accade che prima il pubblico assiste alla sbarra che abbiamo citato, poi
banchetta e nel frattempo il cortile viene riempito d’acqua, con gli invitati che rientrati vengono stupiti
subito da 18 vascelli diversi e ciurme pisane professioniste, le quali dovevano inscenare un combattimento
tra flotta cristiana e turca. E’ interessante notare che il pubblico, come nella sbarra, assiste all’interno di
ballatoi sviluppati in verticale (inizio forse del teatro all’italiana, con palchetti in verticale, costruito verso la
metà del ‘600). L’allestimento della naumachia viene parlata anche nel diario di Giuseppe Pavoni.

NB: Oltre al Teatro Mediceo è fondamentale il TEATRO OLOMPICO di Vicenza, inaugurato un anno prima
degli Uffizi, nel 3 marzo del 1585, con spettacolo l’Edipo Tiranno e più di mille spettatori. Il committente è
di stampo classico, gli Accademici Olimpici vogliono ricreare un teatro classico: una cavea ad ellissi, il
peristilio decorato, le statue, un’orchestra ridotta ad emiciclo ed una scena fronte monumentale, con in
fondo la statua di Carlo V a cavallo (opera del Palladio e continuato dal figlio Silla. Unico distacco dalla
fedelissima ricreazione antica la scena è prospettica (è opera di Vincenzo Scamozzi), ma vincolante per il
soggetto; si possono recitare quindi solo tragedie). Tutto questo sormontato da un soffitto intarsiato e
dipinto. Si sono conservati i supporti dell’illuminazione. Il teatro è costruito all’interno di un palazzo.

Scamozzi disegna anche il progetto per il teatro di Sabbioneta, la città ideale ideata da Vespasiano
Gonzaga, oggi non conservato: esso riproduce nella parte destinata al pubblico gli elementi classici, quali la
cavea. Il teatro fu aperto nel 1590, con notevoli ingressi differenziati. La pianta mistilinea concentra sui
gradoni i gentiluomini, imita un po’ l’Olimpico, con anche un peristilio molto decorato.

Visione Documentario UNIFI Descrizione del teatro olimpico e del teatro di Sabbioneta.

A partire dal 1602 a Parma si costruisce il Palazzo Pilotta, per opera del vendicativo Farnese, con un
restauro che ha eliminato la policromia originaria, dopo il devastante incendio. Le logge che concludono la
cavea sono una citazione della Basilica palladiana di Vicenza e lo spazio per il pubblico si sviluppa anche in
verticale.

Il palazzo rimase una cattedrale, quasi uno spazio museale per la sua capienza, soprattutto per la scena
enorme che quasi portava il barocco.
Venezia nel corso del 600 si dotò di edifici teatrali, che si svilupparono maggiormente poi nel 700 alla fine
di tale secolo i principali teatri erano 7, con target non un pubblico eletto ma PAGANTE; il melodramma
ridisegnò le esigenze ed i gusti.

Importante è Teatro la Fenice esso è un tempio della lirica musicale, costruito nel 1792 da una società di
nobili e borghesi, con architetto il Selva e spettacolo inaugurale “I giochi di Agrigento” su libretto di Pepoli e
musica di Paisello. Il terreno irregolare portò a lavori di assestamento; qualche anno prima era sorto il
milanese teatro La scala, con una facciata come La Fenice neoclassica.

La Fenice si incendia nel corso dell’800 e subisce in seguito vari cambiamenti; tra le più grandi personalità
che qua passano abbiamo Rossini e Verdi.

LEZIONE 11
LA COMMEDIA DELL’ARTE

Abbiamo visto come il mondo della commedia dell’arte fosse una congiunzione di corte e umile vita (tra
500-600); siamo in un momento di configurazione di professionismo attorico, teatrale, con una voglia dei
nobili di accaparrarsi gli attori più bravi, essi erano un LUSTRO c’è un’evoluzione dal Teatrino di Baldracca
al ciclo festivo dell’89 al palazzo degli Uffizi. Abbiamo a che fare, con la Commedia dell’arte, con un
fenomeno INTERNAZIONALE; essi si avvalgono di un nomadismo che permette loro l’attività commerciale
e la partecipazione a corte (con momento di apice 1580-1630).

La commedia dell’arte è un fenomeno particolare, lo stesso nome gli viene dato a partire dalla metà del 700
con Goldoni, che lo usa in una sua commedia manifesto “Teatro Comico”. Commedia dell’arte significa
“commedia dei professionisti”, in quanto arte=professione (in epoca medievale); essi non si chiamavano
così allora, piuttosto erano individuati come Commedia degli Zanni o all’improvviso.

La loro origine è precisa nel 1915 viene trovato un documento che attesta l’inizio della Commedia
dell’arte, un ATTO DI COSTITUZIONE di una “FRATERNAL COMPAGNIA”.

Il contratto viene stipulato davanti ad un notaio a Padova, nel 1545, da 8 uomini che si uniscono per
VENDERE COMMEDIA si ha commedia dell’arte quando si ha una compagnia; siamo ben lontani
dall’attività medievale dei buffoni di strada o di corte, essi non erano aggregati in compagnie;
l’aggregazione era occasionale e temporanea, con un numero ridotto di persone, impediva la recitazione di
trame complesse.

Qui abbiamo 8 UOMINI (non ci sono ancora le presenze femminili, le quali arriveranno a partire dai primi
anni 60 del 500) di ambiente Veneto, riuniti da un CAPOCOMICO e che decidono insieme davanti ad un
notaio di fondare UNA SOCIETA’ TRA LORO A SCOPO DI LUCRO. Si impone da subito la novità per la
prima volta abbiamo una organizzazione a scopo di lucro di matrice teatrale.

L’atto ci introduce a nomi reali, i fondatori della Commedia: essi decidono di unirsi, con un contratto che
dura un anno

Si fissa un calendario teatrale, dalla quaresima (durante la quale non si recitava, in quanto è momento di
penitenza) alla successiva Pasqua. Si fissa, oltre alla durata ed il calendario, l’obbiettivo di lavorare in “amor
fraternale”; lo scopo è quello del lucro, ma è necessario che ci sia affinità, consuetudine tra compagni di
scena ed ARMONIA, affinché la compagnia non si sciolga e possa continuare a recitare.

CHI NON RISPETTA IL CONTRATTO PERDE IL DENARO, e si danno quindi altre regole:
• Essi nominano un capo della compagnia, SER MAFIO, il quale ha poteri precisi nell’aspetto artistico
della conduzione della compagnia. Egli sarà il capo in ogni luogo (emerge il carattere nomade) e a
lui bisognerà obbedire in tutto. Egli aveva la funzione di direttore artistico, decideva gli itinerari dei
viaggi ed era lui stesso a gestire le trattative.
• Se uno dei compagni si ammalava, esso doveva essere aiutato e curato con il denaro guadagnato
dall’attività comune; la compagnia si prendeva carico della salute dei suoi attori.
• Se verrà chiesto alla compagnia di andare fuori dalla città di Padova, il capocomico dovrà decidere e
ai suoi accordi dovrà obbedire tutta la compagnia.
• La compagnia deve durare il tempo predetto e si decide per la costituzione di una CASSETTA con 3
chiavi, di cui depositari sono il capocomico e due vice, nella quale andranno messi tutti i guadagni
del giorno il guadagno è comune (così come la spesa della vita nomade) e la cassetta può essere
aperta solo se deciso insieme; se uno dei membri pianta in asso gli altri e abbandona la
compagnia, oltre alla penale, perde ogni diritto sulla ripartizione di denaro della cassetta (è
importante mantenere l’unità della compagnia in quanto ogni membro è fondamentale; i soldi non
vengono dati subito perché uno può prenderli e andarsene via).
• Se si dovesse comprare un cavallo, il quale serve a trasportare i materiali comuni, esso va comprato
con i soldi comuni. Essi viaggiavano a piedi, su carri o per nave, mentre il cavallo avrebbe
trasportato es. arredi scenici facendo la vita nomade, l’aspetto scenografico della Commedia era
molto ridotta.
• Nel periodo estivo la compagnia torna a Padova e si riposa dalla vita itinerante è adesso che si
spartisce il denaro.
• La sosta nella città di Padova dura da giugno fino a settembre; se uno dei membri non riparte è
costretto ad una pena.
• I compagni non possono giocare d’azzardo, in quanto esso può essere un pericolo per l’armonia che
garantiva l’unità, necessaria al lavoro.

Il contratto fu pubblicato solo nel 1915, quando fu rinvenuto, in “Giornale storico della letteratura italiana”.

RICORDA: DALLA QUARESIMA A PASQUA NON SI RECITA, DA GIUGNO A SETTEMBRE RITORNO A PADOVA E
RIPOSO PER POI RINIZIARE A SETTEMBRE FINO ALLA QUARESIMA SUCCESSIVA. QUESTO CONTRATTO
DURATA DI UN ANNO MA ESISTONO CONTRATTI DI 3 ANNI PIU’ AVANTI.

STRUTTURA DI UNA COMPAGNIA DELL’ARTE

A partire dal 1565 abbiamo una donna nella compagnia, passa una generazione dalla fondazione; dal
momento che abbiamo le donne si assesta la compagnia secondo una schematizzazione, con 10 elementi
(la commedia dell’arte è un gioco combinatorio con attori che si amalgamano sulla scena numero base per
comporre una trama da recitarsi all’improvviso.):

PARTI FISSE: 8 parti

• una coppia di vecchi, MAGNIFICO o PANTALONE (mercante veneziano colto nei suoi aspetti in
parodia, una figura ridicola per il suo erotismo senile) ed il DOTTORE (parla in dialetto bolognese e
rappresenta la maschera del dottore, la parodia di un medico che tende a sproloquiare anche
sbagliando le parole).
• Abbiamo poi primi innamorati e secondi innamorati essi non portano la maschera e parlano
fiorentino, all’epoca la lingua dotta per eccellenza. Loro hanno il compito di portare avanti la trama,
che si compone come una difficoltà da parte degli innamorati di veder coronati i propri amori. I due
vecchi sono spesso i genitori degli innamorati.
• Primo zanni e secondo zanni i servi, generalmente i servi uno del magnifico e l’altro del dottore.
Il primo zanni è quello furbo, il secondo quello sciocco e servono ad ingarbugliare la trama. Lo zanni
ha un linguaggio bergamasco, in seguito prende l’accento di chi lo interpreta (tipo Arlecchino).

PARTI MOBILI: 2 parti

• Servetta senza maschera e spesso amoreggia con uno degli zanni (anche se Pantalone risulta
comico poiché, nonostante la vecchiaia, tenta di conquistarla). A lei spetta un erotismo talvolta
osceno, motivo per cui la chiesa guarderà l’esercizio attorico di malgrado.
• Capitano recita con maschera, recitando con un italiano con francesismi ecc. Tende ad avere un
atteggiamento di vanità e porta spesso un terzo zanni.

Abbiamo un salto di livello dal recitare semplici sketch comici a trame complesse, con durate che variava
anche su varie ore. Un salto di qualità ulteriore lo si ha quando ENTRANO LE DONNE IN SCENA

(Secondo Ferdinando Taviani) Siamo in anni in cui il Concilio di Trento attua la Controriforma; durante il
meccanismo della Controriforma si attua una stretta di moralità all’interno della chiesa che porta a
chiudere delle attività: gli altri prelati, corti cardinalizie ecc. solevano intrattenersi con CORTIGIANE
ONESTE: donne che si esibivano, esercitando anche prostituzione di alto livello, intrattenendo uomini con
canto, danza, musica e versi esse con la controriforma perdono il lavoro e si ricollocano per la strada
queste donne, istruite e intrattenitrici, confluiscono nel magmatico mondo delle compagnie, portando con
la loro venuta un sapere alto.

Un altro elemento che contribuisce ad elevare il livello delle compagnie è la presenza dei CLERICI VAGANTI:
giovani espulsi da università ecc. ma con una istruzione alta.

(Secondo la Prof) La prima donna di cui abbiamo notizia si chiama Barbara Flaminia di Mantova (origine
romana), molto giovane si esibisce come acrobata (la sua derivazione non è quindi dall’alto mondo delle
cortigiane di corte, ma dalla STRADA. La sua rivale sarà Vincenza Armani e sarà sposata con Zanganassa, un
grande ingegno imprenditoriale. Quando dopo la Spagna decidono il rientro in Italia, negli anni 70 del ‘600,
non abbiamo più notizie di loro, se non poi del fatto che lui morì); si esibisce poi all’interno di una
compagnia, evolvendo il suo esercizio attoriale, recitando ninfe e trame complesse ed arrivando forse a
recite Vasariane a Firenze. Lei incontra a Mantova Bernardo Tasso (ministro della giustizia della città
mantovana), grande intellettuale e padre di Torquato Tasso, e si pensa avessero un rapporto di pedagogia e
che sia lui stesso a scrivere le trame tratte dall’Orlando furioso che poi lei reciterà. In questo caso abbiamo
quindi una giovane dotata fisicamente, che ha la possibilità di elevare la sua capacità grazie all’incontro con
un letterato (Curioso ricordare Isabella Andreini, la quale intrattiene rapporti solidi con Torquato Tasso,
facendo rifluire il proprio sapere in compagnia elevandone il livello culturale. Suo figlio, Gian Battista
Andreini fu un grande commediografo alla maniera della commedia dell’arte e fu parte della Commedia
dell’arte stessa, con una carriera brillante).

Le donne esistevano come esseri di spettacolo, come per gli intermezzi ecc., ma solo negli anni ’60 le
avremo nelle compagnie; la donna in scena attraeva l’occhio, era un elemento vincente che rendeva
competitiva la situazione in tutta Europa e che dall’altra parte portava la critica della Chiesa.

Siamo in presenza di donne lavoratrici, competenti e retribuite per il loro lavoro nel 500 le donne
accostate a letterati pubblicano, sono emancipate, arriveranno a recitare in tutta Europa per le corti (es.
compagnia della Andreini in Francia), anche se alcune di esse non fanno questo percorso di evoluzione, ma
continuano l’attività di prostituzione.

Ferrone ed il suo intervento sulla commedia dell’arte:


IL TEMA DEL VIAGGIO: il viaggio è indispensabile per questi attori, in quanto possono raggiungere vari
posti. All’inizio gli attori recitavano per raccattare prodotti cibari, in seguito, quando l’attore arrivava alle
corti recepiva anche denaro (questo dall’inizio del ‘500). Inizialmente abbiamo un mondo poco organizzato,
promosso dalla parte più bassa della società, che conducendo una vita nomade potevano recepire un
guadagno. La trasmissione inizialmente orale, era così emozionante che riuscì a permanere; di questa
compagnia facevano parte anche le DONNE.

LA DONNA IN COMPAGNIA: le donne considerate compromesse, che avevano avuto delle vicende
tortuose, avevano come scelta l’attrice, considerato un lavoro peccaminoso a lei adatto. La chiesa cristiana
condannava questa figura, in quanto la donna che recitava era colei che mentiva; siamo sempre in un
contesto in cui la compagnia non è ancora affermata, in futuro, con una organizzazione migliore, le
compagnie più nobili entreranno anche nelle corti; permangono le compagnie arrangiate, ma abbiamo
dopo il ‘500 abbiamo delle eccezioni, così come per la figura della donna (abbiamo quindi situazioni medie
ed anche esempi come Isabella Andreini). Bisogna anche ricordare che la stragrande maggioranza della
documentazione, prima delle compagnie organizzate, non è a noi pervenuta e molto invece non è mai staro
documentato.

GIORNI MIGLIORI: il periodo migliore per gli attori corrisponde al carnevale; il rapporto tra società ed
attori è comunque complesso, e le documentazioni che abbiamo sono poche. Dobbiamo aspettare il ‘700
per avere una ampia documentazione, dopo lo sviluppo della stampa. Ricordiamo l’importanza della
documentazione italiana, la cui lingua fu a capo della diffusione teatrale.

Raccolta Fossard, a Stoccolma, abbiamo figurine, incisioni ecc. della commedia dell’arte vediamo le
figurine di Pantalone e Zanni cornetto (il primo nucleo che fa parlare di commedia dell’arte); Pantalone
vestiva una calzamaglia rossa ed un mantello nero. Portava la maschera e rappresentava il borghese
veneziano parodiato e ridicolizzato, con una senilità declinata in senso erotico. Accanto a lui lo Zanni, nelle
sue prime mansioni di facchino, indossa una casacca povera, ha movimenti goffi ed è sempre affamato (lo
vediamo con mestolo e vaso).

Si scrive moltissimo sulla Commedia dell’arte es. PIER MARIA CECCHINI un comico dell’arte che scrive
TRATTATI, e recita come zanni con sua moglie Orsola Posmoni che recita come Flaminia come innamorata
(le donne erano emancipate ma comunque sotto un minimo controllo). In un suo trattato descrive le
maschere e la loro funzione scenica scrive di Pantalone, egli deve riprendere, persuadere, comandare e
consigliare in quanto è capofamiglia. Scrive anche del primo e del secondo zanni dopo che quello astuto
ha imbastito un’azione, ne deve seguire il secondo zanni in modo differente in quanto goffo.

LEZIONE 12
Il primo zanni nasce come la figura del contadino bergamasco che si inurba a Venezia, generalmente
impiegato come facchino e vittima di derisione; a seconda dell’attore che lo interpreta, la il personaggio
cambia: TRISTANO MARTINELLI inventa ARLECCHINO

Egli inventa la maschera, questa ha successo e dopo di lui i prossimi interpreti lo reinventeranno es. gli
Arlecchino francesi prendono i tratti francesi.

L’invenzione nasce dall’aggiungere le pezze colorate al vestito tipico e l’inventore non fa parte della
corrente di attori che cercano di nobilitarsi con i trattati, rifiuta di essere regimentato nella disciplina di
compagnia, lo vediamo come un antico free-lance (l’Arlecchino con cui ha a che fare Goldoni è Antonio
Sacco).
Gli innamorati sono senza maschera e sono personaggi SERI, in quanto recitano anche in fiorentino, la
lingua colta del tempo; grazie al loro intreccio amoroso portavano avanti la trama. Spesso studiavano la
loro parte, recitavano ALL’IMPROVVISO (inserimento su una struttura drammaturgica di elementi
premeditati dagli attori). Sul loro canovaccio avevano lo scheletro narrativo dell’azione drammatica, con
poi attori che inserivano le battute imparate a memoria precedentemente, componendo un loro
generico si proponevano tirate di gelosia (tipiche del loro generico, le battute da dire in determinate
scene del singolo) es. esiste una situazione scenica: la prima innamorata scopre che il fidanzato va dalla
seconda innamorata andando avanti con la scena si avrà una gelosia ecc: l’innamorata ha delle battute
premeditate inerenti a ciò: questo è il generico. Lo stesso generico si può mettere in più storie, ogni volta
che una situazione si presenta, inserendo a piacere anche delle varianti.

Il repertorio riguarda le storie, il bagaglio di trame, il generico è ciò che c’è nella trama.

A detta di Pier Maria Cecchini questi attori studiavano sui libri i libri delle più importanti liriche amorose
es. Petrarca, Ariosto, Tasso; deduciamo che gli attori sapevano leggere e scrivere. Essi riadattano
creativamente i libri, gestendo in modo autonomi il proprio generico, diventano dei drammaturghi in
scena.

RICORDA: IL REPERTORIO RIGUARDA LA COMPAGNIA, IL GENERICO RIGUARDA L’ATTORE

Vediamo il frontespizio di una raccolta di CANOVACCI, pubblicato nel 1611 IL TEATRO DELLE FAVOLE
RAPPRESENTATIVE: abbiamo 50 giornate (quindi 50 canovacci) pubblicate da Flaminio Scala, divenendo il
primo comico (era anche capocomico della compagnia dei Confidenti) dell’arte a pubblicare dei canovacci,
materiali grezzi, non sono commedie compiute ma la TRACCIA di una commedia (non abbiamo in realtà
solo commedie, ma leggiamo nel titolo che abbiamo anche 10 canovacci tra tragedie e favole boscherecce,
l’attore è molto versatile).
Capiamo che si afferma che la semplice trama di commedia è degna di essere pubblicata e sono degne
anche di avere un autore certo, in quanto queste trame spesso venivano rubate.

La prefazione del libro è di Francesco Andreini nasce una consapevolezza tra gli autori/attori, il fatto di
essere nel mondo della letteratura, il comico professionista rivendica il suo lavoro.

Es. Canovaccio La pazzia di Isabella, recitata a Firenze dalla Andreini

Il canovaccio, formato da pochissime pagine, si apre con un argomento. L’argomento precede l’inizio della
trama e veniva declamato davanti al pubblico (in questo caso Orazio, primo innamorato, si innamora di
Flaminia. Per andare a trovarla allestisce una barca ma viene preso, fatto schiavo dai Turchi e portato ad
Algeri. L’amata si ritira in un convento, mentre Orazio viene venduto ad un capitano con una bellissima
moglie turca, Isabella, la quale si innamorò dello schiavo. I due si intendono e si accordano per il ritorno in
patria e la conversione di lei, determinati alla fuga, anche col bambino di lei -vediamo perché la Chiesa
osteggia i comici, in quanto si consuma un adulterio ed altro- Il marito di Isabella viene a sapere della fuga
ed inizia un inseguimento; lei, vedendo il marito, prende un turco, lo fa vestire da Orazio e lo butta in mare,
facendo finta col marito di essere stata rapita. Quando il capitano sale sulla nave della sposa le crede, gli dà
il figlio e chiede un’arma per sparare al finto Orazio; lei uccide però il marito ed il figlio, riuscendo nella
fuga. Essi finiscono dopo Maiorca a Genova, con lei cristiana. Succede però che Isabella diventa pazza per
un motivo, inizia l’azione.

Abbiamo dopo l’argomento l’indicazione dei personaggi (riprendendo lo schema con parti fisse e mobili) e i
materiali di scena. SONO INDICATORI DI SCENA

Si procede poi con gli atti, tra pazzia, gelosia ed amore Orazio, col suo generico di disperazione, non trova
Isabella, la quale è diventata pazza, principalmente in seguito alla visione dell’amato in compagnia di
Flaminia. Il culmine è il ritrovamento della protagonista, con un assolo dove dimostrerà la sua pazzia,
inizialmente a livello verbale (parole in sproloquio) passando poi alla pazzia fisica, prendendo un bastone
battendo Arlecchino ed il Capitano, i quali scappano in un movimento veloce, dando una dinamicità quasi
ridicola alla commedia, inseguiti dalla pazza Isabella (abbassamento del tono, da nobile a comico). Il
dottore Graziano entra con una probabile cura per la pazzia della donna, con un conseguente ritmo calante
della scena. Arriva Orazio, con uno sproloquio, entrano in scena tutti i personaggi e ritorna la dinamicità
che culmina con la presa di Isabella, la quale bevuta la cura del dottore, ritorna sana, e recita il generico
della donna abbandonata a Orazio che confessa l’amor suo. Abbiamo una scena di perdono e poi un lieto
fine generale.

LEZIONE 13
La Andreini portava nel generico ovviamente delle varianti, a volte svestendosi nella sua scena di follia o
iniziando ad imitare i personaggi.

Isabella e Francesco Andreini i coniugi più famosi per la storia del teatro (capocomici della compagnia
dei Gelosi). Lei fu una delle poche donne che all’epoca pubblicò a livello accademico, con rime, un poema
pastorale (la Mirtilla, esemplato sulla Ninfa del Tasso); ella morì di parto per strada, dimostrando quanto
difficile fosse la vita di attore (vedi anche Barbara Flaminia); post mortem vengono pubblicate da marito e
figlio delle lettere epistolari.

I coniugi avranno un figlio Giovan Battista Andreini, capocomico della compagnia dei Fedeli, il più grande
drammaturgo ‘600 e scrittore, che scrive e pubblica oltre a commedie anche trattati e sacre
rappresentazioni.

La sua drammaturgia è di tipo CONSUNTIVO (opposto di preventivo) egli prima recitava e poi scriveva i
testi dopo la rappresentazione, portando all’interno una traccia (i FOSSILI, come dice Ferrone) degli attori
che hanno recitato; lo stesso Tristano Martinelli, che recitava con Gianbattista, potrebbe essere stato fonte
di ispirazione per la scrittura del capocomico. Anche Isabella Andreini scrive (poche donne scrivono in
questo periodo, sottolineando l’emancipazione che le donne conquistano col tempo.

Francesco Andreini (già citato in precedenza: fa la prefazione del libro di Flaminio Scala “Il teatro delle
favole rappresentative”) pubblica il suo generico di capitano “Le bravure di Capitan Spavento” (1608,
con varie ristampe; ricordiamo la somiglianza con Don Chisciotte). Si tratta di dialoghi scritti e compiuti,
surreali, con la presenza dell’incrocio tra generico e canovaccio. Il capitano recita con una maschera, con il
tratto ridicolo dell’essere vanaglorioso, e si porta dietro il suo Zanni il generico di questo tratta: i dialoghi
tra loro due, ovvero Capitan Spavento e il servo Trappola. Abbiamo qua dentro ciò che Andreini faceva in
scena;

Questi attori pubblicano per inserirsi nell’intellettualità del tempo (es. Isabella accolta in Accademia) e
riescono a guadagnare oltre che come attori ed imprenditori anche come scrittori, ottenendo una certa
dignità autoriale: c’è chi si rifiuta di entrare in questo meccanismo di nobilitazione dell’arte comica, e si
permette anche di parodiarlo, rimanendo un buffone: si tratta dell’Arlecchino Tristano martinelli

“Composiotions de Rhétorique” Lione (1601) libro non libro, è la presa in giro della pubblicazione;
abbiamo circa 70 pagine, di cui la maggior parte bianche, con anche delle immagini e dei sonetti in dialetto
mantovano misto a latinismi e francesismi; l’opera è dedicata in maniera diretta al re e alla regina di
Francia, prendendo in giro i sovrani Borboni. L’Arlecchino era così voluto dalle corti che egli si poteva
permettere davvero di tutto, risultando in una forma di riscatto della professione del buffone vano ed
inutile infatti parte dei proventi va in beneficenza e pertanto gli attori si rendono utili alla società,
entrando in un meccanismo sociale che li renderà soggetto di ingenti proventi economici, soprattutto nella
città di Venezia.
DIPINTO (lezioni passate, Commedia dell’Arte à la coeur de Charles IX): Tristano Martinelli (molto giovane)
deve trovare il suo modo di fare il personaggio, e si vede come stia cercando di creare Arlecchino (es. pezze
sul vestito). Nella raccolta Fossard abbiamo immagini di volantinaggio della Commedia, le quali servivano
per pubblicizzare l’evento: sotto sono presenti delle didascalie in francese, riconducibili alla tourneè
francese dell‘85; inoltre le immagini ci parlano e ci dicono come si stia evolvendo la figura di Arlecchino: sta
diventano più muscoloso e dunque più atletico, nelle immagini Arlecchino ha pose particolari: mai naturali,
contorce il corpo, è sempre sotto sforzo; lo zanni ha una recitazione pesante rispetto all’elasticità di
Arlecchino, e lo vediamo rappresentato molto appesantito. Vediamo anche la scena della serenata di
Pantalone, suggerendoci anche la semplicità della scena e l’importanza dell’elemento musicale (che
Strehler ripropone); in generale vediamo scene che incarnano l’essenza della Commedia dell’arte, nelle loro
caratteristiche fisiche ed anche morali.

VIDEO SPETTACOLO: Arlecchino fa una piroetta leggera come nelle immagini viste, mentre pantalone a
gattoni pare appesantito. Finale del video di Strehler: matrimonio dei padroni e dei servi.

CARLO GOLDONI (1707-1793): LA RIFORMA DELLA COMMEDIA

Nel ‘700 Venezia ha oltre che un’offerta spettacolare ampia, anche un pubblico che va a teatro
costantemente e che permette la stanzialità delle compagnie (solo 2 città hanno questa reciprocità:
Venezia e Napoli). In questo contesto agisce Carlo Goldoni, il quale fa l’avvocato di professione ma si diletta
nello scrivere di tutto (anche per melodrammi) a seconda delle circostanze. Nel 1734 avviene il suo primo
incontro con la Compagnia Imer, diventando capocomico del teatro veneziano di San Samuele e stendendo
un CONTRATTO FISSO con il nobile Grimani, proprietario del teatro. A partire dal 1738 Goldoni si orienta
decisamente verso il genere della commedia, lasciando in secondo piano gli altri generi teatrali e nello
stesso anno inizia a recitare nella compagnia Imer anche ANTONIO SACCO. Goldoni si dedica anche alle
COMMITTENZE e su commissione dello stesso Sacco egli scrive “Il servitore di due padroni”. Scritto in
presa in presa diretta, Arlecchino aveva il nome di Truffaldino ed il lavoro richiesto a G. è quello di
sistemare un canovaccio già esistente; Goldoni allora non scrive il testo di questa commedia
completamente, ma modifiche qua e là. Cominciando a lavorare con piccoli tasselli, si concentra
inizialmente sugli innamorati e non sul servo.

Nel 1745 quindi abbiamo la prima stesura e versione di “Il servitore di due padroni”, rielaborazione del noto
canovaccio francese “Arlequin valet de deux maitres” di Jean Pierre des Ours de Mandajors del 1718, più
volte recitato in Francia. Le parti scritte da Goldoni sono in origine solo ¾, il resto è canovaccio. Quando
Goldoni poi deciderà di pubblicare a nome suo i suoi testi, scriverà TUTTO IL TESTO; la stesura dell’intero
testo è del 1753 ed esercita un tipo di drammaturgia consuntiva.

Nel 1947, l’anno dell’inaugurazione del Piccolo Teatro di Milano, G. Strehler mette in scena il testo di
Goldoni inserendo nel titolo il nome di Arlecchino. L’interprete di Arlecchino è Marcello Moretti e lo
spettacolo rientra in un progetto più vasto del regista che intendeva recuperare un rapporto con le radici
storiche della cultura teatrale italiana; nel 1956 abbiamo una nuova edizione dello spettacolo con una
profonda revisione registica. Dopo Moretti, sarà dal ’61 Ferruccio Soleri l’interprete di Arlecchino.

Quando nel ’53 G. pubblica le sue opere, le fa precedere da una prefazione “L’autore a chi legge”,
descrivendo come nasce” Il servitore di due padroni” Avvisa il lettore che la commedia è un po’ diversa
dalle altre sue opere perché è più vicina alla commedia dell’arte; Arlecchino è sciocco e furbo allo stesso
tempo e sono i suoi pasticci a formare la commedia. Goldoni spiega di non averla scritta tutta e afferma che
scrive qualche scena, spiegando il funzionamento della Commedia dell’arte (o commedia all’improvviso):
scrive la parte degli innamorati lasciando però la libera improvvisazione (mettere in gioco l’inventiva e la
creatività dell’attore, riempitivo all’interno della rappresentazione (il riempitivo decontestualizzato dalla
trama prende il nome di lazzo).
Gli attori con cui lui aveva a che fare in quel momento erano molto bravi e lui gli lasciò libertà, la vivacità
del momento è più importante delle strutture. Non si impone agli attori (se si fosse imposto non si sarebbe
formata la riforma) e per capire la riforma si deve capire l’attore o l’attrice, perché i caratteri vengono
costruiti proprio su di essi per essere più veri. Goldoni trova negli attori degli alleati, i quali può istruire
fornendosi della loro indole.

TESTIMONIANZA di Giacomo Casanova, che ci parla dell’Arlecchino Antonio Sacco. Casanova era figlio di
un’attrice della compagnia Imer e si intende di teatro e ci rivela quanto la sua bravura fosse inimitabile; ci
descrive come Arlecchino non tendeva a far ridere tramite le scurrilità, ma tramite tutti il resto, il suo
corpo, facendolo apprezzare da tutti. Il suo Arlecchino era ingegnoso, originale nel parlato, il pubblico era
affascinato. Comandare un attore con queste capacità significa inibirlo, e con questo conclude.

LEZIONE 14
Proseguendo con la prefazione, Goldoni fa una dichiarazione di poetica fortissima: “i due libri sui quali ho
più meditato, e di cui non mi pentirò mai di essermi servito, furono il MONDO e il TEATRO” egli parla della
modalità della sua riforma, è una dichiarazione ANTILIBRESCA: egli non ha studiato sui libri per la sua
riforma, non parla di teatro scritto. Egli esclude in modo provocatorio i libri, perché Goldoni è uno scrittore
militante e chi osserva non studia i libri ma OSSERVA le parti fondamentali del teatro: pubblico ed autore.

Quando Goldoni parla del mondo si riferisce alla SOCIETA’, la riforma goldoniana è radicatissima nella città
veneziana la società veneziana diventa quindi un fulcro per comprendere il tutto, con attenzione alle sue
classi sociali.

Venezia è una Repubblica in un momento in cui domina il Principato e risolve i suoi meccanismi di governo
con l’OLIGARCHIA, governata dall’ARISTOCRAZIA, la quale è comunque differenziata:

1. SENATORI: aristocratici ricchi che detengono la maggior parte del potere, fondato sui beni
IMMOBILI (ville e latifondi ecc.), evitando i rischi del commercio e delle imprese in origine alla base
delle loro ricchezze.
2. PATRIZI di QUARANTIA: Meno provvisti economicamente detengono il potere organizzativo m a
non accedono al potere senatoriale, chiedono comunque l’allargamento del loro potere.
3. BARBANOTI: Nobili ormai impoveriti, esclusi dal potere politico ed economico pur mantenendosi
arroganti ed ambiziosi, rappresentando il ridicolo nelle opere di Goldoni.

Le classi sono abbastanza statiche, con una tranquillità generale.

La classe più vivace è quella dei borghesi MERCANTI, coloro che muovono l’economia della città siccome
il teatro è azione e Goldoni è attento alle dinamiche, è questa classe che diventa protagonista delle sue
opere; i borghesi non gestiscono il potere e nemmeno lo controllano, ma apportano vivacità nella città il
personaggio che incarna il mercante veneziano nella commedia dell’arte è PANTALONE, ma essendo lui
RIDICOLO, Goldoni lo trasforma (incontrando attori capaci di farlo, un primo incontro tra “mondo e
teatro”), rendendolo giovane.

Questa classe subisce comunque un declino Goldoni interiorizza questo nelle sue opere, osservando
l’andamento del mondo: il Pantalone vivace e giovane diventerà verso la fine un uomo incapace di vivere.

Oltre alla classe borghese abbiamo la PLEBE: abbastanza dinamica, è composta da artigiani, proletari,
pescatori ecc. che vedono di buon occhio la classe borghese, i quali sono i loro datori di lavoro. Quando il
Pantalone declinerà e sarà meno interessante per Goldoni trasportarlo nelle opere, Goldoni si sposterà sul
POPOLO: saranno opere corali es “Campiello” e le “Baruffe Chiozzotte”.
Per teatro invece si intende IL TEATRO ATTIVO attori, impresari ecc. Venezia è ricca di offerta teatrale e
ci sono tantissimi teatri, nel 1637 nasce l’impresariato di questo tipo.

I teatri più importanti sono:

• San Cassiano riservato a opere in musica.


• San Samuele, Sant’Angelo e San Salvador (poi San Luca, l’ordine è voluto in quanto è la successione
dei lavori di Goldoni: il genere dominante è comunque il melodramma, si dedicano a commedia
solo nel periodo di Carnevale, rare invece le tragedie.

A partire dalla Riforma Goldoniana il teatro comico comincerà a riempire i programmi di questi teatri.

Goldoni lavora in successione in S.Samuele, S.Angelo e S.Luca, con contratto e compagnia stabile forse
solo Napoli ha una stanzialità di questo tipo, il resto delle piazze accoglie compagnie vaganti.

Venezia, come Napoli, assorbe in sé l’offerta spettacolare: se le altre compagnie si devono spostare per
attirare il pubblico, qua la società è abituata alla visione di questi spettacoli, la richiesta è costante.

Esistono 3 compagnie importanti, che agiscono quasi esclusivamente a Venezia, si riesce a fidelizzare un
pubblico e GLI ATTORI Goldoni attiva un meccanismo di PEDAGOGIA DI ATTORI, educandoli
costantemente e in maniera continuativa. Se non ci fosse stata questa condizione la Riforma non sarebbe
esistita, es. a Firenze non avrebbe mai avuto luogo.

Goldoni si dedica agli attori in maniera impeccabile: in una dedica a “Il Prodigo” egli dichiara che la linfa
vitale della sua riforma si radica in un rigoroso precetto LEGGE il segreto della sua riforma è adattare le
parti agli attori. ( Ferrone: Goldoni scrive con l’ambizione di arrivare ad autori nazionali; in una fase
anteriore del Risorgimento, abbiamo la voglia di un’Italia unita anche nel linguaggio. Goldoni è al centro del
mondo, egli scrive sia in linguaggio locale che nazionale, a vantaggio di chi recita; egli scrive PER GLI
ATTORI, basandosi sulla loro indole a metà tra linguaggio locale e ricerca di una lingua nazionale).

Una cosa che Goldoni rivendica come sua, scritta mai da nessuno e applicata con rigore, rimanendone
soddisfatto. Egli ci dice che da tutto questo è nata la fortuna delle sue opere.

Nella Premessa dell’Autore a chi legge, all’edizione pasquale del 1761 (dagli anni ’50, dopo l’edizione
Bertinelli, Goldoni attiva anche una linea editoriale, uno sviluppo in divenire che nasce nella costante messa
a fuoco dei rapporti con gli attori). Egli scrive che osserva gli attori con cui lavora: ne osserva il valore
recitativo ed attorico, il loro aspetto tecnico, ma anche il CARATTERE Goldoni sa che o trova una
convergenza di intenti o difficilmente riuscirà a mettere in scena le sue opere: gli attori sono abituati a
recitare a canovacci, A SOGGETTO, Goldoni deve metterli invece in grado di recepire il nuovo metodo che
porta, assecondando L’INDOLE e LA TECNICA dell’attore, affinché con piacere possa interpretare un ruolo A
MEMORIA, facilitato dalla somiglianza del ruolo con il suo carattere.

Egli non disegna prima i personaggi, ESAMINA PRIMA GLI ATTORI e poi disegna su di loro, essendo loro la
base della Riforma

Es. Carlo Goldoni e gli attori della COMPAGNIA IMER (prima compagnia con cui egli lavora, dove trova
l’Arlecchino Antonio Sacco: Teatro San Samuele)

• FRANCESCO GOLINETTI: cantante ed attore specializzato nel ruolo di Pantalone. I primi abbozzi
della Riforma, Goldoni li fa pensando alla maschera di Pantalone: per questo attore G. scrive una
trilogia del mercante: Momolo cortesan (1738) Momolo sulla Brenta (1739-40) e Mercante fallito
(1741). Questi testi vengono poi riscritti: nella prima stesura non abbiamo una scrittura piena,
simbolo del fatto che la sua Riforma è graduale, egli entra lentamente nel meccanismo teatrale del
tempo, ovvero la Commedi Dell’Arte.
La trilogia del Pantalone es. vede scritta solo la parte del Pantalone inizialmente, si tratta ancora di
canovacci, con lingua metà italiano e poi veneziano.
Il Pantalone, da vecchio ridicolo (anche se mantiene anche del serio, nel suo ruolo di padre) passa
alla figura del saggio mercante veneziano, incarnando la buona gestione di famiglia e l’impegno
della parola data

Goldoni, in “Memorie Italiane” ci descrive Golinetti: scrive che questo attore ha una buona mimica e
riusciva senza maschera nella figura del Veneziano (nasce Momolo: un personaggio rinnovato e rieducato,
civile ed onorato); G. esamina la sua indole fuoriscena scrivendo una commedia su di lui appoggiata, il
nuovo “carattere” è frutto dello studio del carattere dell’attore, il quale ingloba i tatti del buon mercante
veneziano: non potendo coinvolgere tutti gli attori, non abituati allo studiato, scrisse solo la parte di
Momolo e qualche dialogo delle parti serie (gli innamorati). Avremo quindi un mercante ringiovanito,
brioso, rispettabile, come l’attore, perdendo i tratti stereotipati del Pantalone.

I borghesi che vedono questo personaggio si RIVEDONO, la società è cambiata e scatta


l’immedesimazione questo rende possibile il fatto che il repertorio dei teatri rinuncia un po’ alle opere
musicali cedendo a queste commedie. Goldoni si impegna a scrivere 8 commedie nuove l’anno, affrontando
un po’ tutti i personaggi; quando si rompono i rapporti egli deve RICOMINCIARE DA CAPO.

Con il rinnovato successo della tradizionale Commedia dell’arte, riportata a Venezia da Carlo Gozzi, Goldoni
nel ’62 va a Parigi, gli attori della Comedie Italienne (Commedia dell’arte in Francia) non ingloberanno la
nuova riforma, mancava anche l’immedesimazione del pubblico, Goldoni inizierà nuovamente con i
canovacci, a causa anche della rigidità del sistema teatrale francese, dovuto a sua volta dal finanziamento
STATALE di cui godeva il teatro.

Lettura di un brano dai “Mèmoires” di Carlo Goldoni sull’attore egli scrive che ogni attore è anche
UOMO, se egli studia il loro carattere e dà loro personaggi affini il successo è assicurato. Egli parla ancora
del Pantalone Golinetti, rimarcando il suo contegno nella società ecc.

Goldoni si approccia anche al mondo femminile su livello attoriale, giocando sul ruolo sia della servetta che
dell’innamorata; le donne erano più ritirate in generale, e la porta di ingresso passa dalla SERVETTA

• ANNA BACCHERINI: per lei Goldoni scrive nel 1743 “La Donna di Garbo”, la PRIMA COMMEDIA
INTERAMENTE SCRITTA dall’autore. Siamo ancora nella Compagnia Imer, con l’attrice entrata nel
ruolo della servetta in sostituzione alla servetta Andriana Sacco, sorella del Truffaldino Antonio
Sacco, che recitava col nome di Smeraldina (il fatto che nelle compagnie i legami fossero di
famiglia garantiva la trasmissione attorica).

La ragazza cattura l’interesse dell’autore, lei è giovane (quindi plasmabile, si poteva intervenire con una
buona pedagogia attorica), bella, brillante e promettente. Nei “Mèmoir” Goldoni scrive della scissione della
compagnia, dopo la dipartita di Sacchi e di chi lo seguì; il Pantalone Golinetti aveva smesso di recitare e gli
attori di maggiore importanza erano NUOVI egli cercava qualcuno di interessante, soffermandosi sulla
Baccherini (che aveva preso il posto della sorella di Sacchi) e le sue qualità.

Era tipico che durante l’anno la servetta cambiasse varie volte, e poche erano le servette brave nel loro
ruolo: la fiorentina aveva un potenziale enorme, Goldoni gratificò la sua indole e disciplinò il suo
esuberante spirito questa collaborazione sfociò in “La donna di Garbo”, ma non arriva a compimento
causa la MORTE di lei, la quale non riuscì mai ad interpretare tale ruolo. Il ruolo verrà interpretato dalla
famosa TEODORA MEDEBACH, una prima innamorata il ruolo costruito da Goldoni è da protagonista,
nonostante sia una servetta.

Nel ’47 Goldoni firma un contratto di 4 anni con Girolamo Medebach, capocomico della compagnia stabile
del teatro Sant’Angelo. Goldoni per contratto doveva scrivere 8 commedie e 2 melodrammi per ogni
stagione teatrale; grazie a tale contratto l’autore torna a dedicarsi completamente al teatro e alla sua
Riforma, stabilendosi nuovamente a VENEZIA, assumendo in compagnia anche il lavoro di direttore artistico
ed essendo stipendiato.

Il passaggio di compagnia porta ad un nuovo processo di identificazione dei personaggi, nella compagnia
trova per sua fortuna attori molto bravi es. la moglie del capocomico, l’innamorata Teodora Medebach, e
Cesare D’Arbes il Pantalone della compagnia.

Goldoni riesce nel riprodurre un forte rapporto di collaborazione, approfondendo lo scavo psicologico
femminile con Teodora e la figura del mercante con D’Arbes.

• CESARE D’ARBES: per lui scrive “I gemelli veneziani”, “L’uomo prudente”, “Il cavaliere e la dama”,
“il padre di famiglia” (tra il ’47-’50). Si ripropone un Pantalone attento, dedito alla “salvaguardia
del nucleo familiare, simbolo di moralità contro la corruzione, un uomo che si fonda su sè stesso”
(Ferrone).
• TEODORA MEDEBACH: prima innamorata della compagnia, ella aveva un carattere estremamente
sensibile, sofisticato ed interessante, legato ad un esercizio attorico fantastico. Riusciva a toccare le
corde lacrimevoli, interpretando anche un personaggio serio. Per lei scrive molto es. “Pamela” o
“La buona moglie”.
Francesco Bartoli, contemporaneo dell’attrice, scrive di lei la donna aveva una classica figura da
innamorata, leggiadra e graziosa, una voce dolce e chiara; non era dedita alle smancerie, tendente
invece al sentimentalismo ma vero, con un carattere sommesso.

Goldoni scrive del passaggio di compagnia: della compagnia, definita in generale di SALTINBANCHI (la loro
origine era davvero questa), scrive di essere il salvatore: la famiglia, allevata dalla vita di strada, viveva
comunque nella massima educazione. Medebach, vedendo le qualità attoriali della famiglia, li porta a
teatro ISTRUENDOLI (precedendo la pedagogia di G.).

il tutto finirà in tragedia, in quanto finiranno in tribunale dopo una lite Goldoni pubblica tutte le opere
scritte sugli attori a nome suo, e la causa viene vinta dalla Compagnia, alla luce del fatto che G. scriveva
sulla base degli attori della compagnia.

GOLDONI E LA TEORIA DELLA RIFORMA

Di fronte alla forte concorrenza tra teatri e compagnie, al termine della stagione teatrale 1749-50 Goldoni
annunciò che avrebbe prodotto nell’anno teatrale successivo 16 commedie nuove (e non 8); la prima fu una
commedia manifesto “IL TEATRO COMICO”, un’opera meta-teatrale in cui Goldoni mette in scena la sua
Riforma nello stesso anno comincia a pubblicare le sue opere presso l’editore Bertinelli, inserendo la
PREFAZIONE che ricostruisce la storia delle sue commedie in rapporto al teatro (anni in cui Medebach e gli
fa causa). SIAMO ALLA PRIMA TEORIZZAZIONE DELLA RIFORMA, una prima presa di coscienza.

In queste 16 commedie nuove abbiamo “La Locandiera” 1753, e dobbiamo aprire una parentesi sull’attrice
su cui di baserà Mirandolina

• MADDALENA RAFFI MARLIANI: l’attrice, che recitava in compagnia Medebach nel ruolo di servetta
con il nome di Corallina, era stata acrobata e danzatrice su corda insieme al marito, il Brighella,
Giuseppe Marliani (come primo Zanni in versione Brighella), sotto la direzione del fratello Gasparo
Raffi.
Il ritratto di Antonio Piazza: la donna è versatile nei ruoli, è brava nel patetico, nel serio ed il
comico; fisicamente prestante, essendo ex-acrobata, aveva una memoria straordinaria, a pennello
per la Riforma. Aveva una buona eloquenza, sapeva anche improvvisare, il tono di voce era chiaro,
armonioso, una padrona della scena
Questa servetta ha delle caratteristiche che incuriosiscono Goldoni, e la utilizzò come
PROTAGONISTA in ben 17 opere.
G. si ispira a lei per molti ruoli, componendo una commedia per il suo debutto, con un personaggio
affine all’attrice, piena di spirito ed istintivamente abile; la rivalità tra attrici era tangibile: la
servetta era più brava delle innamorate, si DISTRUGGE LA GERARCHIA INTERNA.
Goldoni ci racconta che Teodora soffriva di crisi e depressione; approfittando di questo momento
mette in cartellone “La locandiera”.

Gli interpreti della LOCANDIERA ed i ruoli in compagnia

RUOLI FEMMINILI

• Maddalena Raffi Marliani: servetta della compagnia, assume il ruolo di protagonista assoluta, una
donna innovativa che fagocita la parte della Prima Innamorata.
• Teodora Medebach: prima innamorata e moglie del capocomico, non trova spazio nella commedia.
• La seconda e la terza innamorata della compagnia, rispettivamente Caterina Landi e Vittoria Falchi,
sono confinate in ruoli secondari, commedianti costrette a recitare la parodia di sé stesse.

RUOLI MASCHILI

• Giuseppe Marliani: marito di Maddalena, è il Brighella della compagnia, interpreta Fabrizio nella
Locandiera. Curioso vedere come nella realtà, dopo che la moglie lo abbandona, egli la riaccoglie al
suo ritorno, così come nell’opera vediamo MONDO-TEATRO, che si ripropone spesso in questi
ruoli: il pubblico lo sapeva, e veniva fomentato dagli intrecci tra la scena e la realtà.
• Girolamo Medebach: capocomico primo innamorato della compagnia, è il marchese di Forlipopoli
• Francesco Falchi: secondo innamorato della compagnia, è il conte d’Albafiorita.
• Luzio Landi: terzo innamorato, e ruolo maschile più importante, è il giovane Cavaliere di
Ripafratta Goldoni ribalta uno schema, prendendo in contropiede l’attore e facendo uscire la sua
parte vigile ed attenta, il suo talento.

Carlo Goldoni al Teatro San Luca (1753-62)

• Nel ’53, per motivi legali, Goldoni abbandona i Medebach e, con un contratto di 10 anni va al San
Luca, diretto dal nobile Francesco Vendramin.
• Lavora a una edizione delle sue opere, che gli costa la causa con i Medebach.
• All’inizio smarrito dalla non collaborazione dei nuovi attori, e dalla grandezza del teatro stesso.
Pietro Chiari lo sostituisce alla Medebach diventa il poeta di compagnia, Chiari fa le parodie delle
commedie di Goldoni, scrivendo anche di un esotismo avventuroso che inizia a piacere al pubblico.

Il borghese veneziano inoltre è in stallo, il ceto sociale borghese che aveva vivificato le commedie
goldoniane si ripiega su sé stesso la crisi di Goldone è la crisi di Venezia e il Pantalone inizia ad avere delle
sfumature malinconiche, che si avviano ad un declino. Goldoni trova comunque una attrice brava in
compagnia

• CATERINA BRESCIANI: abile sia nelle parti serie e comiche, sia in lingua che dialetto, era una
persona di intelligenza spiccata e sentimenti sfumati, con una voce musicale ed una pronuncia
affascinante. Scrive per lei, oltre alla Trilogia Persiana, la parte di Eugenia in “Gl’innamorati” e di
Giacinta in “Trilogia della villeggiatura”.
Questa innamorata ha delle sfumature intense, riuscendo a far trovare a Goldoni un nuovo punto di
appiglio.
LEZIONE 15
IL TEATRO ITALIANO DI PROSA DELL’800

L’organizzazione del teatro italiano di prosa del secondo Ottocento è gestita da tre poli: L’IMPRESARIO,
L’AGENZIA TEATRALE e LA COMPAGNIA nel manuale di Roberta Alonge i processi di tutto ciò sono
esplicati; l’aspetto gestionale del tempo è molto diversa da quella contemporanea. Siamo in un regime di
teatro NON FINANZIATO, le compagnie si devono autosostentare, in quanto si considera la compagnia
come una ditta (con poche eccezioni, che riguardano tre compagnie stabili, tra cui La reale Sarda, finanziata
dal re di Sardegna). In generale la prassi è quindi commerciale, con modello quel contratto del ‘500 che
fondò a scopo di lucro la compagnia dell’arte.

Le compagnie si dividono in:

Oltre alla compagnia abbiamo anche gli altri due poli

L’IMPRESARIO: di straordinaria importanza per il teatro musicale, esso è meno importante nel teatro in
prosa, in quanto dell’aspetto organizzativo si occupa la stessa compagnia. In questo contesto egli si pone
come intermediario tra compagnia e teatro, di cui ha la gestione dell’appalto, fissando le date degli
spettacoli. La maggior parte delle compagnie sono ancora NOMADI, ed hanno bisogno di una figura di
mezzo.

L’AGENZIA TEATRALE: già attive alla fine del ‘700 (le più importanti “L’arte drammatica” di Milano ed “Il
piccolo Fausto” di Bologna) acquistano sempre più potere fino a detenerlo completamente nella seconda
metà dell’800. Hanno anche esse funzione di organizzazione nel teatro d’opera, in caso di teatro di prosa,
oltre ad essere fondamentale nell’intermediazione tra impresa e compagnia, aiutano il capocomico alle
scritture degli attori in compagnia, e stipula dei contratti trattenendo delle “provvigioni” in ragione 5%
sulla paga dello scritturato. L’agenzia teatrale interviene anche nel mercato dei copioni importati
dall’estero (in particolare la Francia, es. Adolfo de Piccardi che importa in modo massiccio o Enrico Polese
Santernecchi che guarda alla drammaturgia russa, scandinava e tedesca) a scopo di messa in scena,
fornendo una traduzione dei testi alle compagnie che decidono di inserirli nel repertorio, acquistandoli
(con varie modalità di vendita, es. fornendo dei pacchetti o creando un adattamento dei testi al fine di una
maggiore fruibilità nel teatro italiano es. la drammaturgia di Ibsen). Alle agenzie sono spesso collegati
giornali e riviste specializzate che forniscono puntuali informazioni sull’attività teatrale nazionale
condizionandole l’andamento questo è importante perché alla fine dell’800 nasce la regia, la quale
cambia la gerarchia all’interno del teatro (in Italia il suo avvento è tardivo, grazie anche alla bravura degli
attori italiani che non necessitavano una regia) creando tensioni tra le figure teatrali e fu motivo di quegli
adattamenti adottati dalle agenzie per le compagnie, dato che ricordiamo che non esiste il diritto d’autore
(il quale nasce nel 1882, con la SIA, diventata SIAE con la nascita del diritto di editore).

LA COMPAGNIA: E’ la principale struttura organizzativa della realtà teatrale ottocentesca ed è quindi


caratterizzata dal NOMADISMO, le compagnie di giro. Poche, generalmente dialettali, quelle stanziali. Si
dividono in PRIMARIE (solitamente con i migliori attori e si esibiscono nelle grandi città, pur mantenendo
l’aspetto nomade) SECONDARIE (che recitano nelle città di provincia) e di TERZ’ORDINE (che operano nei
piccoli paesi). Tale sistema garantisce una capillare diffusione dello spettacolo su tutta la penisola. Quando
una compagnia primaria arrivava in una grande città ci stava circa un mese, recitando PIU’ TESTI, 30 testi,
uno per sera (motivo per cui la scenografia ne risentirà, essendo molto trascurata, ponendo le basi per una
critica ad essa, in un’epoca in cui nasce anche la regia). In una compagnia c’era un repertorio, a cui
venivano rappresentati a riprese i successi degli anni precedenti e le novità; grandi attori come Salvini o la
Duse, avevano i propri cavalli di battaglia es. Otello e Signora delle camelie, i testi che accompagnano
tutta la vita dell’attore. Spesso il cavallo di battaglia è dell’attore capocomico, apice della compagnia ma
anche il più impegnato, onori ed oneri in pari misura capiamo l’aspetto gerarchico della compagnia. In
una testimonianza, Tommaso Salvini elenca le mansioni del capocomico, figura carica di un impegno
immane. Attenzione ancora non siamo nel meccanismo della regia; da quando c’è la regia, l’attore
capocomico non sarà più lo stesso.

Cavalli di battaglia, insieme alle novità ed i successi generali che rimangono per qualche tempo in
repertorio formano i 30 testi. Questo sistema impone anche una scrittura in compagnia che non è per una
singola parte, ma per un RUOLO.

STRUTTURA INTERNA DELLA COMPAGNIA tutti i tipi di compagnie avevano una stessa rigida
organizzazione interna, che si basava sul sistema dei ruoli il RUOLO era una sorta di griglia precostruita, a
cui corrispondono caratteristiche essenziali di interpretazioni tra loro AFFINI, le codificava entro formule
generiche, valide per qualsiasi testo da mettere in scena, ricondotto a categorie fisse e riconoscibili. Il ruolo,
che corrispondeva anche a norme contrattuali, formava quindi un range di personaggi da interpretare per
l’attore tra loro simili e si divide in tre categorie, in modo gerarchico:

• Ruoli maggiori o assoluti i più prestigiosi, erano il punto d’arrivo della carriera.
• Ruoli minori appannaggio dei giovani attori in cerca di affermazione o di attori alla fine della
carriera.
• Generici i più bassi nel gradino gerarchico, e sono ruoli utilizzati per contorno, appena abbozzate.

RICORDA: IL CAPOCOMICO NON E’ SOLTANTO L’IMPRENDITORE CHE RISCHIA IN PROPRIO E’ ANCHE COLUI
CHE SPESSO E’ IL PRIMO ATTORE. E’ LUI CHE PAGA GLI ATTORI ED E’ SEMPRE LUI CHE DA I RUOLI. E’ UNA
FIGURA UN PO’ DITTATORIALE.

Finale con Prof. ospite che spiega: lezione 03/05/2021

LEZIONE 16
Ai ruoli corrispondevano inoltre determinate caratteristiche stilistiche e fisiche (PHYSIQUE DU ROLE) degli
attori.

I ruoli maggiori sono:

• La prima attrice la prima attrice ottocentesca si esercitava soprattutto in parti AMOROSE, di


qualsiasi genere (dramma, commedia, tragedia) e forma (prosa e versi) del repertorio antico e
moderno. Componente indispensabile era l’arma della seduzione, che l’attrice esercitava sul
pubblico tramite ogni mezzo espressivo (mimica, dizione, voce potente e portamento) e fisico
(avvenenza, abbigliamento ed acconciatura). Le grandi attrici, comunque, non si limitavano alle
regole, es. la Duse non era avvenente, recitava con movimenti scomposti con una psicologia quasi
psicotica ecc. ma la bravura era immensa. Abbiamo anche Adelaide Ristori, contessa, nel ruolo di
Lady Macbeth, non confinando la figura nella parte amorosa, ma la rende malvagia; La prima
attrice era il fulcro della compagnia ed erano per il ruolo le più pagate. Solitamente aveva il diritto
alla scelta della parte, assumendo o rifiutando la parte proposta dal capocomico o dal direttore.
• Il primo attore il primo attore è il principale ruolo maschile in compagnia, ed ha il diritto alla
scelta della parte ed il carisma necessario per attuare il proprio individuale protagonismo scenico.
Deve essere fisicamente un bell’uomo dal fisico imponente e della voce potente (caratteristica in
concorrenza col teatro d’opera). Il ruolo del primo attore è COMPLETO, in senso che il livello di
recitazione non è solo nell’ambito sentimentale, ma anche sociale ecc. Abbiamo l’espressione di
una vasta gamma recitativa, rimanendo comunque il corrispettivo della prima attrice.
• Il brillante rientra tra i ruoli primari, inizialmente ha una matrice comica che nel tempo slitta
nella pura ironia; da abiti molto colorati si raffina trasformandosi in elegante; spesso è colui che tira
le fila delle commedie, commentando con un atteggiamento quasi straniato ed è molto usato da
Pirandello. Nel genere comico duetta con la seconda donna. La presenza è quella di un giovane
vivace, inserendo quindi una nota leggera in testi seri.
• Il caratterista Il caratterista è l’attore incaricato di recitare personaggi fortemente contrassegnati
sia fisicamente, sia nel temperamento, come personaggi di “carattere” della drammaturgia di
Moliere e Goldoni. I requisiti fisici corrispondono ad un fisico obeso, volto paffuto e lineamenti
marcati, sottolineando gli aspetti caricaturali; gli spettano parti bonarie o buffe di vecchio dalle
note spesso comiche. Non gli è interdetto il repertorio drammatico.
• La madre Declina nel secondo ‘800 per via di nuovi gusti, come il caratterista, è il ruolo punto di
arrivo di una attrice giunta alla fine; intorno ai 40 anni le donne attrici o si ritiravano dalle scene o
interpretavano la madre nobile.

I ruoli minori sono:

• Primo attore/attrice giovane attori giovani in fase di formazioni cui spettano parti sentimentali
di giovani fidanzati, caratterizzati da ingenuità e freschezza. I requisiti fisici erano quelli
dell’avvenenza e dell’eleganza e se gli attori che ricoprivano il ruolo avevano talento arrivavano ai
ruoli di primo attore ed attrice. Qualora non fossero di talento scalavano nella gerarchia,
scendendo nei ruoli generici.
• La seconda donna è in scena l’antagonista della prima attrice. Nel triangolo amoroso ricopre in
genere la parte dell’amante, la subdola o malevola. Caratteristica essenziale del ruolo è l’avvenenza
fisica che coincideva con un’opulenza delle forme; si presentava in scena con arditi trucchi e
indossava abiti con ampie scollature e lunghi strascichi, facendola apparire intrigante ed
accattivante.

Abbiamo poi un ruolo raro in compagnia, in realtà che incarnava un’attitudine: il PROMISCUO, ovvero il
potere di interpretare con uguale bravura parti comiche e drammatiche, riuscendo a passare, anche
all’interno del dramma, da toni comici a patetici. Il generico primario è il più importante tra i generici.
Ricopre parti simili a quelle del caratterista, ma di minore importanza scenica.

Dal punto di vista economico le compagnie si dividono in:

• Capocomicali è la più comune. Il capocomico è proprietario della compagnia ed assume ruolo di


impresario, e dato il ruolo complesso del capocomico, questo tipo di compagnia è maggiore il
rischio di impresa.
• Sociali tutti i componenti hanno diritto a percentuale negli utili; gli attori sono soci della ditta e
partecipano al rischio di impresa.
• Miste è simile alla sociale, ma prevede la presenza di attori solo scritturati es. Compagnia Cesare
Rossi, poi Chicchi Rossi Duse, Rossi-Duse finendo poi per essere solo Duse.

I capocomici come imprenditori sono generalmente il primo attore o attrice della compagnia, che, in
quanto proprietari, in assenza di qualsiasi forma di finanziamento assumono su di sé l’intero onere
economico e rischio d’impresa. Il capocomico stipula i contratti con gli attori e paga gli scritturati; i contratti
durano ameno un anno comico, ma generalmente sono stipulati per un triennio. Gli attori, come nel caso
Duse ed i suoi fedelissimi, potevano essere gli stessi per anni ed anni, mantenendo e facilitando un’affinità
tra componenti.

Il capocomico come direttore artistico svolgeva le attuali funzioni del regista; coordinava gli artisti
concertando la messa in scena. Sceglie il repertorio (circa 30 testi per stagione), assegna le parti secondo il
ruolo di scrittura, dirige le prove. A lui spetta la cura della scenografia, anche se sommaria; ai costumi
provvedevano invece i singoli attori, se non per gli abiti storici (nei drammi storici gli attori non potevano
decurtare la loro paga in costumi inusuali che non sarebbero potuti portare in un’altra compagnia e li ci
doveva pensare il capocomico).

Il fenomeno del “Grande attore”, attori eccezionali che riescono ad avere su di sé tutte le funzioni di uno
spettacolo, assume un incontrastato predominio nel teatro di prosa italiano intorno al 1850, fino agli anni
’20 del ‘900. La storiografia tende a distinguere alcune fasi seguendo le diverse generazioni di attori che si
sono susseguite ne tempo e che risultano contraddistinte da differenti stili di recitazione;

Le generazioni sono circa tre, e nella sostanza tutti hanno la caratteristica di assumere tutto ciò che
riguarda la scena:

• Abbiamo un precursore, il cui maggiore esponente è Gustavo Modena (1803-1861, Unità d’Italia).
Lui cura molto la costruzione del personaggio, con un senso patriottico implicito, avendo
l’obbiettivo di educare il suo pubblico, ha un portato civile, didascalico, didattico. Adelaide Ristori
fu una mente ingegnosa, usufruì di un vagone per girare il mondo, rendendolo un appartamento
• I “grandi attori” veri e propri in seguito, ovvero Adelaide Ristori, Ernesto Rossi e Tommaso Salvini.
Questa generazione assume la costruzione del personaggio come centro della scena. Essi hanno
un’etichetta di stampo romantico, e sono figli d’arte (a parte Rossi) autodidatti.
• La generazione di mezzo, di cui fanno parte Giovanni Emanuel e Giacinta Pezzana (che recitò
trasvestita come Amleto, e in Teresa Raquin nel ’79 di Zolà, scegliendo la parte di madre nobile
nonostante la giovane età, cedendo alla Duse, allora prima attrice giovane, la parte di
protagonista vediamo il tramonto della Pezzana e l’ascesa della Duse). Hanno una vena meno
romantica ma più naturalistica e verista.
• I Mattatori, l’ultima generazione, di cui fa parte es. la Duse e Zacconi, con atteggiamenti e pose
quasi neorealiste cinematografiche (vediamo una foto della Duse come Margherita Gautier, con
tratti quotidiani e abiti scialbi).

Lettura di brani tratti dall’introduzione di Mirella Schino “Racconti del Grande Attore” lei dice che l’arte
dei grandi attori è un mistero del teatro, che durò quasi un secolo; è un fenomeno difficile da capire anche
a causa dello scorretto uso della memoria, perché valutiamo gli attori in una prospettiva in cui esiste già la
regia. La memoria di questi attori è stata lesionata, in quanto non è loro ben assegnata la figura del
creatore di opere: essi creano sui testi, ma spesso sono solo pretesti per qualcosa di nuovo. I veri creatori
del teatro in quel periodo sono per l’autrice gli attori, non gli scrittori; quando sistemi diversi si incontrano
nasce una guerra; la regia ebbe molte conseguenze, persino etiche, ma ebbe anche un’importante
conseguenza storica, determinando un appiattimento del recente storico.

Negli anni ’50 dell’800 la generazione di attori della Ristori, quella dei “grandi attori”, detta anche “del
personaggio”, guarda a Shakespeare la Ristori, rispetto ai suoi colleghi maschi (Rossi il più grande Amleto
e Salvini il miglior Otello), fatica a trovare un protagonismo scenico nelle commedie di Shakespeare, se non
come co-protagonista: la Ristori è la capocomica, prima attrice e vuole un ruolo che le spetti, riuscendoci
lavorando molto sulla figura di Lady Macbeth

La Ristori nelle sue Memorie scrive: molti dei letterati inglesi le criticavano di non avere nel repertorio
Macbeth, ma girando molto era difficile gestire una così grande produzione; il tutto si risolse operando tagli
(risultando nella decurtazione delle parti di Macbeth), adattando la produzione sono solo per numero di
attori, ma anche per il gusto del pubblico italiano (togliendole scene di matrice politica, che appesantivano
il resto).

Nel ’42 Gustavo Modena interpreta Otello, nel ’56 Rossi e Salvini mettono inscena Otello e Amleto e solo
nel '57 la Ristori incarna Lady Macbeth a Londra è il primo Shakespeare recitato italiano in Inghilterra.
Precedenti nell’opera lirica: 1816 Otello di Gioacchino Rossini; 1847 Macbeth di Giuseppe Verdi.

Shakespeare sulle scene italiane:

• Sparisce la dimensione storico-politica


• Eliminazione di oscenità e doppi sensi.
• Eliminazione di digressioni, storie parallele ecc. rendendo la comprensione migliore.
• Maggiore concentrazione della trama e potenziamento dell’unità d’azione.
• Attenzione concentrata sul personaggio principale e sulla resa delle sue PASSIONI (abbiamo un
principio dell’unità e della coerenza del personaggio).

Sempre nelle Memorie la Ristori continua descrivendo la figura della Lady Macbeth e la sua difficoltà:
questo personaggio privo di presenza scenica, per superare il protagonismo del marito l’attrice deve
POTENZIARE il concentrato di perfidia, sottolineando la sua potenza infernale e maschia natura,
abbattendo ogni sentimento amoroso. Ristori interpreta un titano di cattiveria, con un marito facilmente
condizionabile e debole di indole, facile da strumentalizzare, la Lady Macbeth dell’attrice è emancipata
all’estremo, malefica e manipolatrice questo avviene a livello scenico con la CONTROSCNEA (quando
l’attore non ha battute ma attira l’attenzione con i movimenti), con un uomo ipnotizzato dalla moglie. La
Ristori modulava anche la voce, risultando superlativa; nella prima scena es. per far capire che lei domina il
marito prende le sue mani e gli impone di tacere, spingendolo dolcemente dietro le quinte, con uno
spettatore che vede un burattino. Esemplare è la scena del sonnambulismo, in cui lei riesce a fare una
donna così pentita da far commuovere il pubblico, culminando con la conciliazione del ruolo.

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