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Iconologia – Iconografia prof.

Quaranta (6 CFU)
Lezione 1 (8 marzo 2021)

L’iconologia nasce in Germania agli inizi del ‘900 e non si occupa di icone, ma di
eikones dal greco = immagini. Si occupa di immagini in generale, quindi non solo di
quelle artistiche, e non ha limiti di tema o di tempo

Il corso si chiama “Metamorfosi del mito” perché ci occuperemo principalmente di


immagini profane mitologiche e la mitologia di riferimento sarà le Metamorfosi di
Ovidio. Inoltre si capirà come l’immagine mitologica attraversa le epoche e si
trasforma a causa di diverse culture, artisti, committenti

Dipinto di Giovan Battista Tiepolo, “La Morte Di Giacinto” (1752-53)


Capiamo che è suo dallo stile, figure con spalle sviluppate, volti con barbe lunghe,
colori chiari e sfumature non molto contrastanti, elementi paesaggistici tipici dei
suoi quadri.
È un dipinto degli anni tedeschi durante il lavoro alla residenza di Wurzburg del
principe-vescovo della città, quindi tra il 1751 e il 1753, momento in cui lascia
Venezia per intraprendere una carriera internazionale che lo renderà uno degli
ultimi pittori italiani famosi in Europa

Descrizione: vediamo delle figure (le figure di Tiepolo non sono mai di bellezza
classica) soldato sullo sfondo (alabarda e armatura), 2 personaggi barbuti ed il più
giovane tiene per un braccio l’altro, donna, bambino, figura giovanile in primo piano
con mano sulla fronte e corpo seminudo avvolto da un abito azzurro, figura maschile
e accanto un bambino con le ali (amorino o angelo)

È un quadro sacro o profano? Vi sono strutture classiche, ma dal ‘400 in poi anche i
dipinti sacri le contengono

Dai dettagli capiamo l’identità delle figure, la storia dell’arte ha creato delle
convenzioni che permettono a gran parte del pubblico di capire di che figure si tratta
e queste sono gli attributi
Attributo: oggetto o decorazione ricorrente che permette di distinguere i
personaggi

Personaggio con mano sulla fronte = Apollo  corona di alloro e arco (per terra)
La corona di alloro deriva dal mito di Apollo e Dafne in cui lei per fuggire da un
tentativo di violenza da parte di Apollo si trasforma in alloro
È l’attributo di Apollo e Orfeo (perché esso è anche la corona con cui si cingeva il
capo ai poeti), capiamo che in questo caso si tratta di Apollo perché compare anche
l’arco
Attributi di Apollo: corona di alloro, arco e lira

Stabilito che si tratti di Apollo capiamo che questo è un dipinto profano, quindi il
bambino con le ali è un amorino oppure Cupido

Figura maschile = Giacinto  Apollo appare disperato e in basso compare un fiore


dipinto in maniera estremamente puntuale, con foglie carnose affilate e ripiegate,
steli grandi e fiorellini a piccoli petali bianchi e blu: si tratta di giacinti rappresentati
come era tipico per la grafica seicentesca e settecentesca che si basava sull’ “Hortus
Florius”, grande raccolta di fiori di varia specie pubblicata in Olanda nel 1614 e
molto diffusa, non era solo un manuale per amanti della natura, ma anche un
repertorio per i pittori che non avevano a disposizione tutti i fiori in tutte le stagioni
I giacinti nel quadro spuntano da una macchia di sangue: la figura è esanime e
quindi si potrebbe trattare del sangue di Giacinto
La storia è quella dell’amore fra Apollo e Giacinto, quest’ultimo sarà ferito a morte
da Apollo stesso e da suo sangue nasce il fiore che porterà il suo nome
(trasformazione di persone in elementi naturali è tipica delle storie mitologiche e
serve ad eternare il personaggio che muore)
È una storia narrata da molti autori sia greci che latini, compreso Ovidio. La
tradizione vuole che Giacinto sia morto in seguito ad un incidente durante una gara
di lancio del disco, Apollo lancia troppo forte il disco che rimbalza a terra e lo
colpisce alla fronte  scultura greca del “Discobolo”: probabilmente era una
rappresentazione di Giacinto o di un atleta identificato con Giacinto (il fatto che nel
mito morisse non era un problema, in esso vi era comunque il tema dell’immortalità
ed egli poteva quindi essere rappresentato come una figura mitologica

Vicino alla pianta c’è una racchetta da tennis e ci sono anche delle palle, questa
racchetta è tenuta insieme da alcune fasce come era tipico nel ‘700. Non si tratta di
un errore di Tiepolo, essa compare anche nei lavori preparatori (questi mostrano
anche i cambiamenti in corso d’opera, principalmente incentrati sulla postura dei
personaggi e sulle loro posizioni nei vari tentativi di raggiungere una conformazione
dell’opera armonica. In uno di essi Apollo ad esempio sembra avere un’aureola, cosa
molto comune poiché si tratta in realtà del riverbero del sole in quanto Apollo è
anche la divinità solare. Si arriva via via a bozzetti sempre più elaborati, come il
bozzetto finale per la figura di Giacinto). Tra i vari schizzi c’è uno studio apposito per
la racchetta, quindi non è un dettaglio casuale.
Perché non c’è invece il disco? Quando si incontra un problema del genere bisogna
cercare precedenti o paralleli, capendo così se si tratta di un unicum  prima metà
del ‘600 dipinto di anonimo attribuito a Cecco Del Caravaggio: cambiano lo stile e
l’ambientazione, ma gli elementi sono gli stessi, la scena si concentra solo sulla
coppia Apollo-Giacinto, ma il personaggio ha la corona di alloro e dalla pozza di
sangue cresce il fiore, puntuale la somiglianza di esso con il giacinto. Anche qui
compare la racchetta da tennis, seppur diversa dato che è stato dipinto un secolo
prima.
La postura di Giacinto è complessa e costringe Apollo a sostenere il corpo sulla
spalla, questa postura compare anche negli schizzi di Tiepolo il quale non è che
conoscesse il dipinto, ma entrambi facevano riferimento ad una tradizione figurativa
diffusa. La stessa tradizione a cui facevano riferimento immagini di qualità più bassa
come l’incisione cinquecentesca tratta dal libro “La Métamorphose d'Ovide Figuree”
di Bernard Salomon, la più grande versione illustrata dell’opera di Ovidio. *
Quindi non c’è solo un’affiliazione stilistica in arte, ma esiste anche una tradizione di
gestualità e atteggiamenti che aldilà dello stile fanno epoca, dato che si trattava di
soluzioni grafiche immediatamente comprensibili che facevano parte
dell’immaginario collettivo.

* Tradizione ovidiana: Ovidio nelle sue “Metamorfosi” raccoglie e canonizza gli scritti
di autori precedenti in merito alla tradizione mitologica classica, ma cosa ne è stato
poi del libro di Ovidio quando l’epoca classica è terminata ed il sistema culturale è
cambiato? Oggi noi leggiamo un testo che è stato tradotto e ricostruito, recuperato
dai filologi che hanno fatto un lavoro a ritroso su manoscritti medievali trascritti
dagli amanuensi e riscoperti come tutte le altre opere a partire dalla metà del ‘300
dagli umanisti (non siamo più in possesso della pergamena originale). Da una
trascrizione all’altra i testi si cambiano per via di errori, non è come un testo
stampato, quindi come per tutti i testi classici è stato fatto un lavoro di edizione per
risalire alla struttura del testo classico d’origine.

Cosa leggevano invece gli artisti e committenti che nel ‘600 e ‘700 realizzavano o
commissionavano opere di tema mitologico e in particolare ovidiano? Leggevano
una serie di testi che solo in parte avevano a che fare con il testo originale di Ovidio,
traduzioni, derivazioni e riscritture, il testo in Italia era diffuso dal tardo medioevo su
più linee parallele: quella italiana e quella francese.
Quella italiana deriva da Giovanni Del Virgilio, professore di grammatica e retorica a
Bologna che non traduceva l’opera, ma la usava per fare le sue lezioni poi trascritte
(esse quindi raccontano i miti, ma con altri scopi più grammaticali o retorici).
Da quelle lezioni che erano in latino parte Giovanni De Bonsignori il quale le
trascrive in volgare nel testo “Ovidio Metamorphoseos Vulgare” stampato a Venezia
nel 1497 che si diffonde fra un gran numero di lettori, nel 1500 quindi chi leggeva
Ovidio non leggeva l’originale latino del I sec d.C., ma leggeva Giovanni De
Bonsignori.
Dato che l’opera ha grande successo qualche anno dopo Niccolò Degli Agostini
sistema e adatta alla lingua cinquecentesca il testo trecentesco di De Bonsignori, le
sue modifiche saranno ristampate tantissime volte.
Nel 1553, per via della diffusa idea di riscoperta dell’antico, Ludovico Dolce prende il
testo latino ancora esistente, ma sconosciuto ai più, e compie la prima traduzione
moderna (per traduzione a quell’epoca non si intendeva però il restare fedeli il più
possibile all’originale, il traduttore si sentiva libero di operare sul testo
migliorandolo dove lo riteneva necessario)
Ludovico Ariosto scrive poi il poema cavalleresco per eccellenza, l’“Orlando Furioso”
e diviene un modello alternativo a Ovidio, con l’idea che anche i moderni potessero
superare gli antichi. I traduttori del periodo quindi tennero presenti entrambe le
fonti.
Giovanni Andrea Dell’Anguillara nella sua traduzione/riscrittura del 1554-1561 fa
delle “Metamorfosi” un poema cavalleresco in ottave e quest’idea sarà uno dei più
grandi successi letterari dell’occidente, sarà la versione letta fino all’ ‘800, periodo in
cui una nuova esigenza filologica ha portato a tradurre in maniera precisa e corretta
dal testo latino, producendo i testi che troviamo nella nostra contemporaneità.

Quella francese, conosciuta anche in Italia, è quella dell’ “Ovide Moralisé” che si
incrocia poi con Dell’Anguillara grazie a Salomon, il quale pubblica un edizione
illustrata per sole immagini (accompagnate solo da qualche riga di testo)

Tiepolo e Cecco Del Caravaggio leggono quindi la versione di Dell’Anguillara

Tradizione figurativa di Giacinto e Apollo del ‘500

Incisione di Jacopo Caraglio facente parte della serie “Amori Degli Dei”
Nella didascalia Apollo parla in prima persona affermando di essere innamorato del
bel corpo di Giacinto e che dopo la delusione derivante dalla storia con Dafne ha
occhi solo per lui (dichiarazione di cambio di gusti sessuali)
Elementi che alludono al rapporto amoroso: Cupido (come amorino del dipinto di
Tiepolo), Apollo seduto su un tavolino e Giacinto a cavalcioni sulla sua gamba (altra
convenzione figurativa, ideate nel ‘500 per rappresentare ciò che non si poteva
rappresentare, in questo caso l’atto sessuale)
Allusione alla natura sessuale del rapporto fra i personaggi, quindi non è la scena
della morte, ma una scena dalla parte di storia che narra l’amore tra i due

Incisione cinquecentesca tratta dal libro “La Métamorphose d'Ovide Figuree” di


Bernard Salomon (pubblicata a Lione nel 1557) il fatto che sia stata pubblicata a
Lione fa capire che fu un’opera molto diffusa, Lione era una città bilingue (francese e
italiano), punto di passaggio fra le due nazioni e grande centro di produzione libraria
Questa raffigurazione è invece della morte di Giacinto
Oltre agli attributi soliti compare la freccia, poi vi è una figura con dei cani ed un
cane vicino a loro: ambientazione boscosa, con uccelli tipica di una scena di caccia,
come se i due stessero andando a caccia.
Non compaiono né il disco né la racchetta e non capiamo cosa sia successo a
Giacinto in questo caso, a meno che non seguiamo ancora la tradizione figurativa

Le “Metamorfosi” vengono illustrate dal 1522, dalle prime edizioni a stampa


Illustrazioni dei miti ovidiani di Antonio Tempesta
Ambientazione simile a quella di Salomon (boschi, montagne), cani da caccia, lira
che fa comprendere che il personaggio è Apollo, il quale sta estraendo la freccia dal
costato di Giacinto
L’immagine è costruita come un incidente di caccia in cui Giacinto è stato
erroneamente colpito da una freccia

Dipinto di Carlo Fiammingo degli anni ’20-’30 del ‘600


Riprende esattamente gli stessi elementi, lira, arco abbandonato e freccia custodita
dai 2 cupidi come fosse una reliquia, i cani che alzano lo sguardo per capire cosa sia
successo, Giacinto morente con il sangue da cui spunta il fiore abituale

Qui si ha una seconda versione del mito

Il disco comparirà solo in seguito nel 1639 in un’altra illustrazione delle


“Metamorfosi”, ma qui il disco è enorme e le dimensioni spropositate di esso
compaiono anche nella gara di lancio del disco che stanno compiendo sullo sfondo
Questo avviene perché fino alla metà del ‘500 neanche le persone di cultura alta
avevano idea di cosa fosse il lancio del disco, questo sport celeberrimo in epoca
greca e attivo per tradizione dei giochi olimpici anche in epoca romana si era
completamente perso nel medioevo, infatti quando si arrivava al punto in cui Ovidio
parla di esso si leggeva una cosa che nessuno riusciva a capire
L’atletica antica venne recuperata dal 1550 grazie al libro “De Arte Ginnastica” di
Girolamo Mercuriale, ricostruzione basata sulle fonti della statuaria antica ritrovata
nel sottosuolo di Roma
Il libro è corredato da una serie di incisioni, qui per la prima volta viene
rappresentato il disco nell’incisione il “Discoforo” la quale è l’immagine che avevano
del disco nel ‘500
Il “Discobolo”sarà riscoperto solo a fine ‘700, quindi fino a quel momento mancava
l’immagine più evidente del lanciatore del disco
La loro conoscenza era limitata a parte alcune eccezioni:
Morte di Giacinto di Domenichino nella loggia di Palazzo Farnese, 1604-1605
Morte di Giacinto di Rubens nella torre de la Parada in Spagna, 1636-1637
Casi rarissimi a causa dell’ambiente estremamente colto che commissionava, nel
quale si conosceva Mercuriale
Non capendo come Giacinto potesse rimanere ferito in una gara di cui i lettori del
‘500 non comprendevano la natura, si è iniziata a rappresentare la suddetta scena di
caccia che tutti potevano immaginare

Giovanni Andrea Dell’Anguillara quando nel tradurre Ovidio si trova di fronte alla
gara di lancio del disco prende una decisione drastica poiché il suo testo doveva
andare in mano alla nobiltà e doveva quindi risultare comprensibile: lo sport a cui
giocano Apollo e Giacinto viene da lui cambiato nel gioco della pallacorda (antenato
del tennis), sport che alla metà del ‘500 stava diventando uno sport importante per
la nobiltà ed era anche uno sport considerato pericoloso, quindi si giustifica anche
l’adattamento di esso alla vicenda di Giacinto  racchetta
Lezione 2 (10 marzo 2021)

Pallacorda: gioco che esiste dal tardo medioevo, a metà del ‘500 assume l’aspetto di
uno sport prettamente nobiliare e di livello regale (serie di ritratti di rampolli della
nobiltà che si fanno rappresentare con una racchetta da tennis)
Il campo da tennis diviene un elemento fondamentale nell’architettura nobiliare
disegno di Sebastiano Servio: rappresenta un progetto di un edificio chiamato il Gran
Ferrara, residenza privata del cardinale Ippolito D’Este nei pressi di Fontembleau
(oggi rasa al suolo), colui che ha costruito Villa D’Este a Tivoli ha passato la
giovinezza nella corte di Francia. In questa struttura a pianta quadrangolare con
grande corte d’ingresso nell’ala a sinistra vi è una stanza con la scritta “Gioco di
palla”, due lati sono occupati da corridoi con le loggette che erano le tribune degli
spettatori, erano campi chiusi e non aperti come oggi.
Anche a Villa D’Este aveva fatto costruire un campo di Pallacorda.
Le Jeu Royale De La Pome, 1632
A Versailles la Sala Della Pallacorda è il luogo dove ha giurato il Terzo Stato dando
inizio alla rivoluzione francese

* Libro di emblemi: libro di giochi fra testo e immagine, ad ogni immagine


corrispondeva un motto o una poesia che creavano una reazione e dava un
insegnamento morale (inventato nel ‘500 in Italia e poi largamente diffuso in
Francia)

Giovanni Andrea Dell’Anguillara poteva metterci il tiro con l’arco, la scherma, la


corsa dei cavalli, aggiornandosi con la moda dell’epoca, ma sceglie il tennis perché è
uno sport legato alla sfera regale ed Apollo è il dio del sole, Giacinto è di stirpe
regale. Inoltre era uno sport quasi letale, le palle erano molto pesanti (cuoio
riempite di lana), le reti erano alte e la palla non rimbalzava andava presa al volo ad
ogni passaggio, era uno sport adatto alla noblità anche perché la sua complessità lo
rendeva un valido allenamento per chi praticava la guerra di mestiere e stava fermo
per molto tempo. Chi assisteva doveva stare quindi al riparo e le logge avevano
proprio questa funzione essendo anche coperte con delle reti
Incisione del ‘600 di Jacques Callot, Miracolo di S. Mansueto
Il santo resuscita il figlio del governatore che era morto a causa di una palla da
tennis
I colpi peggiori erano quelli al basso ventre, i giocatori portavano quindi un
cinturone di cuoio per proteggersi e Tiepolo lo rappresenta (cintura decorata)
Tiepolo fa una rappresentazione puntuale del gioco del tennis, dietro si vede la
tettoia, in basso si vede il pavimento a grandi lastre quadrate tipico del campo
Il pavimento è in parte coperto dall’erba: non è casuale, gli altri personaggi
(pubblico della partita di tennis) sono fissi oppure agitati, stupiti o impauriti, quello
barbuto con la tunica a righe ha un cipresso che gli spunta dal cappello. La storia di
Dell’Anguillara finisce diversamente da quella di Ovidio, la metamorfosi coinvolge
non solo Giacinto, ma tutto lo scenario della storia si trasforma in un giardino.
Tiepolo segue alla lettera la storia

Un dipinto di un grande pittore con una committenza importante non è solo un


pezzo di bravura, ma si rifà spesso a soggetti ben precisi contenuti in fonti che oggi
magari ignoriamo
Non è un oggetto che sta fuori dalla storia e che è fine a se stesso, ma è fortemente
calato nella cultura europea del tempo poiché ha a che fare con ciò che il pubblico
leggeva, amava, conosceva
Dall’ ‘800 in poi infatti quando la filologia recupera il testo originale di Ovidio e si
conosce anche l’atletica antica si trovano esclusivamente rappresentazioni di
Giacinto con il disco, l’opera di Dell’Anguillara è anche caduta in disuso

Perché Tiepolo ha voluto dipingere questo soggetto con questa grande precisione e
per chi lo ha fatto? Abbiamo i documenti e sappiamo che era nel castello di
Buckeburg in bassa Sassonia (Germania occidentale, Hannover,Dusseldorf) ed il
committente era il conte Guglielmo di Schaumburg-Lippe, uno dei sovrani dei
piccoli territori indipendenti in cui era frammentata la Germania fino all’ ‘800
Ritratto di Joshua Reynolds  pittore inglese, poiché il conte era il nipote di Giorgio
I di Inghilterra (da un matrimonio con una figlia illegittima)
Il conte è conosciuto come un grande generale del periodo, prima dell’artiglieria, poi
diviene comandante delle truppe anglo-portoghesi durante la Guerra dei 7 Anni, in
cui resistono e respingono due invasioni spagnole nel 1761
Fece costruire la fortezza di Nossa Senhora da Graça, al confine tra Spagna e
Portogallo, fortezza mai espugnata che ha modificato un’intera collina (guerra di
posizione, ogni paese doveva dotarsi di difese tali da spaventare gli invasori,
paesaggio fortificato: in tempo di pace ci sono contadini che coltivano la terra, in
tempo di guerra difendono il Paese)
Muore senza eredi, nonostante si sposi, perché la sua unica figlia femmina muore,
quindi la contea passerà al cugino
Questa è la storia successiva alla sua commissione del dipinto, prima egli era colui
non destinato ad ereditare la contea, era un militare abile, ma poco rispettoso delle
regole e aveva avuto problemi nelle scuole inglesi. Era famoso per essere un bravo
giocatore di tennis, gioca con l’imperatore d’Austria, partecipa ad un grande torneo
a Dresda con la famiglia reale, ma questo non basta per sopperire alle cattive
frequentazioni e alle sue azioni illecite in ambienti malfamati. Inoltre era molto
freddo nei confronti delle donne e passava la maggior parte del tempo con un nobile
ungherese. A Vienna poi instaura una relazione con un’attrice che era già l’amante
ufficiale di un alto membro della corte, scoppia quindi uno scandalo, i due fuggono a
Venezia e per qualche anno intrattengono una relazione a 3 con un maestro di
musica (che il padre conosceva e nelle lettere lo definiva “il tuo bell’Apollo
spagnolo”). Il fratello maggiore poi viene ucciso in un duello e nel 1748 muore anche
il padre, a quel punto è costretto a rientrare in Germania, porta anche il suo
compagno, ma egli muore subito dopo. Siamo nel 1750, poco prima della
commissione del dipinto.
Capiamo quindi che esso racconta non solo una storia mitologica, ma anche una
storia personale

Le statue, l’ambientazione è frequente nella pittura di Tiepolo, frontoni tipici delle


ville venete ed erme a forma di satiro, è normale che un pittore riusi delle sue
invenzioni

Pianta con fiori: malva dal libro di emblemi “Dialogo delle imprese militari e
amorose” di Paolo Giovio (raccoglie materiale già esistente, non inventa nulla di
nuovo)
Differenza tra emblema e impresa: Emblema = 3 parti, immagine, titolo immagine e
poesia esplicativa Impresa = immagine e motto, esse si usavano in varie occasioni tra
cui i tornei che prevedevano una storia da raccontare oltre che i combattimenti
Paolo Giovio racconta la storia del cavaliere Don Diego De Guzman il quale dopo
essere stato rifiutato da una dama porta a cavallo un cesto di malva (gioco di parole:
mal va la storia d’amore)
Non si ha la certezza però che questa pianta sia stata inserita come riferimento alla
storia d’amore fra Apollo e Giacinto

In un dipinto siamo sicuri che gli elementi vegetali possano avere un significato che
va oltre la storia raccontata?
Più frequentemente hanno significati di commento o approfondimento della scena
Esempio: dipinto della bottega di Durer, La Vergine Dell’Iris
Scena di maternità, abito rosso molto morbido e dal colore intenso, sta allattando
con i capelli in parte sulla spalla, l’intimità del momento è sottolineata dal luogo che
è un giardino chiuso con un muro e una finestra, ambiente familiare
A sinistra della Vergine c’è una pianta di vite: elemento simbolico del Cristianesimo
(dalla vite viene il vino, elemento del sacrificio assieme al pane, nel Vangelo dice “Io
sono la vite, voi i tralci”, nell’Antico Testamento ci sono vari riferimenti ad essa
come simbolo di fertilità e nella Genesi si ha la scena dell’ebbrezza di Noè)
Dietro la Vergine c’è una pianta con due fiori, gli Iris: non sono lì ad accentuare
l’immagine del giardino, tranquillo, lontano dal freddo dell’inverno
Anticamente veniva chiamato Gladiolo (da Plinio Il Vecchio) che vuol dire “piccola
spada”
Nel Vangelo quando la Vergine presenta il bambino al tempio Simeone fa una
profezia dicendo che “si tratta del bambino che aspettavamo, venuto per la gloria e
la rovina di molti e anche a te una spada trafiggerà il cuore” – è l’annuncio della
Passione e della morte di Cristo
Da tardo medioevo questo è un elemento che si tenta di visualizzare, quindi si
rappresenta la Vergine Maria con una spada che le trafigge il cuore (miniature
medievali, dipinto fiammingo) a volte accompagnata dalle scene dei 7 dolori della
Vergine (presentazione al tempio, fuga in Egitto, Gesù fra i Dottori, andata al
Calvario, la crocifissione, la deposizione dalla croce e la deposizione nel sepolcro) i
quali secondo la letteratura mistica medievale andavano a sopperire al dolore del
parto che si diceva non avesse provato
Antonio Tempesta: 7 spade immagini non naturalistiche, la Vergine e le scene
sono in sé credibili, ma la struttura è di tipo simbolico (essere umano al centro con
spade nel cuore che nessuno sostiene e che si riferiscono a 7 storie racchiuse in
bolle)
Durer era estremamente legato alla rappresentazione naturalistica e quindi inserì un
elemento che per il suo nome e per il suo significato portava alla memoria di chi
guardava l’idea che aveva in mente
L’Iris ci fa capire che non è una scena di maternità qualunque, anche se la donna
non ha l’aureola
Le persone del ‘500 lo sapevano perché leggevano i libri di preghiera e vi erano
anche i Florilegi cioè del libri che associavano quasi ogni fiore alla Vergine
Questo dipinto non è una Madonna Col Bambino, ma è intessuto di elementi che
permettono al fedele di praticare un certo tipo di preghiera
È il motivo per cui Giovanni Bellini inserisce paesaggi dietro alle sue Madonne Col
Bambino, composti da castelli, città murate, torri, porti (solo nominando questi
elementi si recitano le litanie di Maria)
Tutto ciò è chiamato “disguised symbolism”- simbolismo nascosto - e si diffonde a
partire dal ‘400, è una soluzione per esprimere significati simbolici pur mantenendo
l’opera naturalistica (il Barocco però recupera una visione simbolica della realtà)
La definizione è stata coniata dallo storico dell’arte Erwin Panofsky, uno dei grandi
fondatori dell’iconologia

Lezione 3 (15 marzo 2021)

Lezione sul processo che l’iconografia e l’iconologia hanno sviluppato per affrontare
immagini che sono lontane dalla nostra cultura, che appartengono al passato e sono
lontane anche nello spazio.

Metodi, strumenti e correttivi che possiamo attuare per tentare di eseguire la lettura
più coerente ed esatta di un’immagine

Erwin Panofsky

“L’iconologia è quel ramo della storia dell’arte che si occupa del soggetto, o
significato delle opere d’arte, contrapposto a quelli che sono i loro valori formali”

Secondo Panofsky in un’opera ci sono i valori formali da un lato e contrapposto a


quei valori c’è il soggetto, come se fossero due cose autonome. In realtà non è così.

Questa frase così netta Panofsky la mette all’inizio della sua opera, che risale al
1939. L’iconologia era ancora in fase iniziale e bisognava marcare gli ambiti della
disciplina, anche se essa non era ancora considerata una disciplina.

Panofsky sottolinea che lui si occupa soprattutto di soggetti e significati, e non tanto
dei valori formali, che erano quelli che fino ad allora la storia dell’arte prendeva in
considerazione con la Conoisseurship, ad esempio, o con altri approcci che all’epoca
si praticavano

Erwin Panofsky era tedesco, nato ad Hannover, ma è morto a Princeton negli Stati
Uniti, perché come il suo maestro Aby Warburg era di famiglia ebraica e lasciò la
Germania nel 1933 per fuggire ai nazisti. Egli però già nel 1931 era stato invitato a
tenere delle lezioni negli Stati Uniti

Collega di Panofsky, filosofo e non storico dell’arte, fu Ernst Cassirer, il quale ebbe
una grande influenza su di lui

Cassirer ha creato la cosiddetta filosofia delle forme simboliche dove mito, religione,
letteratura erano considerate forme simboliche, ossia forme che raccoglievano in sé
quello che era lo spirito di un certo periodo, di una certa civiltà

Panofsky pubblica nel 1939 una raccolta di saggi iconologici (Studi Di Iconologia), la
cui introduzione delinea una sorta di metodo per la lettura dell’opera d’arte. Si
tratta di un metodo schematico e meccanico che è utile, soprattutto all’inizio, per
capire quali siano i passaggi che una lettura di tipo iconologico richiede a chi la vuole
praticare

Suddivide la possibilità di interpretazione di un’opera d’arte in tre livelli: descrizione


preiconografica, analisi iconografica e interpretazione iconologica

È una divisione artificiale, in realtà nella nostra testa quando noi lavoriamo questi
tre livelli convivono, esattamente come convivono all’interno di un’opera d’arte, li
distinguiamo solo per praticità

Un’immagine qualsiasi ha innanzitutto un soggetto primario o naturale, questo


soggetto si divide a sua volta in due livelli più piccoli, livello fattuale e livello
espressivo

Esempio che porta Panofsky nel suo saggio: c’è un’immagine dove c’è un signore che
si toglie il cappello

Nel 1939 tutti portavano un cappello, soprattutto gli uomini, oggi si porta per
questioni di moda o per necessità, quando fa molto freddo o molto caldo, all’epoca
aveva anche un valore simbolico.

Panofsky ragiona secondo il proprio contesto e dice: “quando io incontro una


persona, questa si toglie il cappello”
Se noi volessimo essere sul primo livello interpretativo, quello preiconografico,
dovremmo accontentarci di dire, io vedo un personaggio che si sta togliendo il
cappello, in realtà già qui abbiamo fatto un passo avanti, perché al primo livello
dovrei tenere conto soltanto delle linee e dei colori, quindi dire che ci sono delle
figure fatte in un certo modo, con determinati colori

Possiamo poi distinguere dei personaggi e un certo tipo di ambiente, quindi diciamo
che a livello preiconografico passiamo sul marciapiede accanto a una casa e ci sono
quattro personaggi, tre donne e un uomo, sono divisi in coppie, da una parte due
donne,dall’altra un uomo e una donna e questo signore si sta togliendo il cappello di
fronte alle altre due signore

Se volessimo andare più in profondità potremmo stabilire a quale epoca risale


questa immagine, si può vedere dai vestiti, le signore sono abbigliate in un modo
che sarebbe passato di moda intorno al 1910 e poi sarebbe scomparso; si può
stabilire anche l’ambito geografico in cui viene rappresentato, quel poco che si vede
ci rimanda all’architettura tipica inglese precedente all’ottocento, si vede un piano
seminterrato che veniva inserito sempre in quell’architettura, a cui per dare luce
veniva creato intorno all’edificio una sorta di fossato e per raggiungere la porta
d’ingresso c’erano dei gradini, dato che la porta si trovava in un piano più alto
rispetto al livello stradale e si creava così questa specie di ponte. E’ un’architettura
che si trova in pochissime altre parti nel mondo

Osservando questa immagine possiamo ricavare un sacco di notizie, non solo


dall’opera in sé, ma dalla nostra esperienza, il fatto di essere familiare alle forme
umane ci permette di riconoscere quattro persone, la familiarità con la moda ci
permette di riconoscere i vestiti di fine ottocento, la nostra esperienza
dell’architettura inglese ci permette di capire il significato preiconografico e in
particolare il significato fattuale, perché siamo di fronte ad un fatto, c’è un uomo che
si sta togliendo il cappello

Oltre che fattuale, il significato iconografico può essere espressivo. Guardando le


espressioni dei personaggi, possiamo capire se l’uomo è allegro, triste, arrabbiato e
anche questo lo facciamo in base alla nostra esperienza pratica, personale, fin da
piccoli siamo abituati a riconoscere delle espressioni che corrispondono ad
altrettanti sentimenti
Sappiamo anche che le espressioni variano da civiltà a civiltà, per cui delle
espressioni che hanno un valore in occidente, magari non hanno lo stesso valore in
oriente

Tecnicamente cosa sta facendo questo signore?

Se noi diciamo che sta salutando, abbiamo fatto già un passo avanti
nell’interpretazione, perché salutare togliendo il cappello è un gesto tipico delle
civiltà occidentali, in altre civiltà non esiste il togliersi il cappello come gesto di
saluto. Si tratta di un gesto antichissimo, che noi abbiamo perso, deriva dalla cultura
cavalleresca

Dipinto che sta nella pinacoteca Capitolina, di Giovanni Lanfranco: rappresenta la


storia di Erminia tra i pastori ed è uno dei tanti episodi tratti dalla “Gerusalemme
Liberata” di Tasso

Erminia fugge da Gerusalemme portando un’armatura per non farsi riconoscere e


arriva presso un villaggio di pastori. Essi vedendo un cavaliere che si avvicina si
spaventano ed Erminia per rassicurali si toglie l’elmo

Fin dal medioevo i cavalieri si toglievano l’elmo per manifestare delle intenzioni
pacifiche. Siccome l’elmo serve a difendere la parte più vulnerabile, cioè la testa, se
io me lo tolgo davanti ha qualcuno sto dimostrando che non ho intenzione di
combattere.

Il saluto militare ha la stessa origine, quando si portano la mano alla fronte per
salutare i superiori non fanno altro che ripetere il gesto del cavaliere che si alza la
celata dell’elmo per farsi riconoscere dall’ufficiale

Panofsky diceva che un aborigeno australiano o un greco antico non capirebbero


questo gesto, naturalmente noi siamo in una situazione diversa, di globalizzazione e
gesti di culture lontane dalla nostra ci sono più familiari

Questo è già il secondo livello di interpretazione, abbiamo già fatto una sorta di
analisi iconografica, perché per dire che quello è un gesto di saluto dobbiamo essere
familiari con specifici temi e concetti.

Per l’analisi iconografica serve una conoscenza di tipo letterario, in realtà in questo
caso siamo ancora nell’ambito di esperienza pratica, però chi non è cresciuto in
occidente avrebbe bisogno di una fonte letteraria, o almeno di una fonte visiva (per
esempio di un film o fumetto) per capire che si tratta di un gesto di saluto

Quando mettiamo in gioco la nostra esperienza, anche quella pratica,


sperimentiamo anche i nostri limiti, l’esperienza di ciascuno di noi è limitata,
nessuno ha una cultura onnicomprensiva.

Questi limiti possono mettere in pericolo la nostra interpretazione dell’immagine,


ma li possiamo correggere o superare

Per quanto riguarda l’esperienza pratica iconografica, quello che ci serve è la storia
dello stile, cioè la conoscenza del modo in cui, in condizioni storiche variabili, oggetti
ed eventi sono stati espressi mediante forme.

Al contrario di quanto Panofsky sembrava esprimere all’inizio, i valori formali non


sono estranei al soggetto o al significato di un’opera d’arte: per capire il soggetto o il
significato dobbiamo sapere innanzitutto che cosa rappresenta e abbiamo bisogno
di conoscere lo stile in cui quella immagine è stata realizzata

Esempio di Panofsky riguarda il trittico di Roger Van Der Weyden. Il pannello destro
di questo trittico rappresenta un bambino che fluttua nell’aria e i pastori con la
cometa

Chi sono questi personaggi? I Re Magi. Perché possiamo dire che siano loro? Sono
tre e il terzo, vestito di nero, tiene in mano una corona, gli altri, uno ha un cappello
in mano, l’altro ce l’ha appoggiato a sinistra, sono cappelli di pelliccia, col bordo
coronato, hanno dunque la corona tutti e tre, hanno vesti di broccato, con dorature,
sono quindi personaggi regali

C’è un bambino sospeso in aria. Noi sappiamo che Van Der Weyden è un pittore che
pratica uno stile naturalistico, quello che vediamo è un paesaggio credibile, ci sono
dei personaggi in primo piano, ci sono delle colline sullo sfondo, è un paesaggio che
diventa più piccolo man mano che fugge in lontananza

Poiché si tratta di un’opera naturalistica ci viene spontaneo pensare che il bambino


stia fluttuando, ma normalmente i bambini non fluttuano nell’aria e non lo fanno
con dei raggi intorno.
Siccome stiamo analizzando un pittore naturalistico quel bambino deve essere per
forza un fatto soprannaturale, si tratta quindi di una visione, ha anche una raggiera e
in pittura le visioni hanno spesso una raggiera

Per quanto riguarda i tre personaggi con le corone, identificandoli con i Re Magi,
facenti parte della storia di Cristo, noi stiamo già dando un’interpretazione di tipo
culturale, abbiamo dietro di noi una serie di conoscenze che si sono formate nei
secoli.

Un cristiano dei primi secoli dopo Cristo, non avrebbe mai detto i tre re Magi,
avrebbe detto i Magi, perché nel Vangelo di Matteo, che è l’unico che racconta
questa storia, si dice che alcuni Magi venuti dall’oriente andarono ad adorare il
Bambino e aprendo i loro scrigni offrirono oro, incenso e mirra. Che fossero tre lo si
è dedotto dal fatto che i doni fossero tre, che dimostra che ognuno ha portato
qualcosa. Che fossero re, è una creazione del Medioevo, dal decimo secolo in poi,
prima di allora erano dei sapienti. Questa identità regale viene canonizzata quando
Roger Van Der Weyden fa il dipinto.

Quando vediamo questo quadro possiamo intuire il suo soggetto preiconografico,


quello fattuale, grazie allo stile usato dall’artista. Se noi andiamo a vedere un’opera
di un secolo prima, questo ragionamento non è più valido.

Miniatura di epoca ottoniana, Battesimo di Cristo: il pittore tenta di dipingere il


Giordano ponendolo dentro un triangolo più scuro che vela le gambe, che sarebbe la
prospettiva del fiume. Poi ci sono le tre tentazioni, in alto a destra c’è un diavolo che
sembra un demone etrusco che dice a Cristo di trasformare queste pietre in pane
per dimostrare di essere Cristo, in alto a sinistra c’è il diavolo che porta Cristo sul
pinnacolo del Tempio e dice buttati giù se sei davvero il figlio di Dio, gli angeli
verranno a sostenerti.

C’è il diavolo in basso a sinistra e Cristo sul tetto del Tempio, che sta dentro
Gerusalemme, circondata dalle mura, noi abbiamo l’impressione che la città fluttui
nell’aria, e se noi giudichiamo questa miniatura con i criteri con cui giudichiamo il
pannello di Van Der Weyden potremmo dire che Gerusalemme vola.

In realtà noi sappiamo che non è così, conoscendo la storia sappiamo che sta ben
ancorata sulla collina, e lo sappiamo perché conosciamo anche lo stile dei pittori di
età ottoniana, i quali non praticavano lo stile naturalistico, ma uno stile sintetico.
Se non conosco lo stile tipico della miniatura ottoniana potrei travisare queste
immagini.

Attraverso il tempo lo stile cambia e quindi la prima domanda che dobbiamo porci è
quale sia lo stile dell’immagine che stiamo osservando

Per esempio nei graffiti della Valcamonica ci sono dei personaggi in una specie di
bolla a raggiera intorno alla testa e qualcuno dice che rappresentino gli
extraterrestri o degli astronauti. Noi diciamo questo perché giudichiamo questi
graffiti dal nostro punto di vista, che è quello di chi conosce uno stile naturalistico,
ma non sappiamo quale sia lo stile praticato dagli artisti della Valcamonica

Lo stile quindi è fondamentale per comprendere il significato dell’opera

Partendo da una buona analisi preiconografica possiamo dire che il dipinto di Van
Der Weyden rappresenta una visione, quella dei Magi, e anche l’altro pannello del
trittico rappresenta una visione, quella di Augusto imperatore con la Sibilla, quella
della nascita di Cristo, che ha dato origine alla chiesa romana Santa Maria in Aracoeli
quindi le due immagini si spiegano a vicenda.

La cometa ha una ragione di tipo letterario, le due visioni dipendono dalla Legenda
Aurea ossia una delle maggiori fonti della storia sacra del tardo medioevo e oltre. In
essa tutta la storia dei Magi è raccontata con ampie aggiunte rispetto al passaggio
dell’evangelista Matteo, si dice che i Magi in oriente non vedono solo la stella
cometa, ma all’interno compare l’immagine del bambino e loro capiscono che si
tratta della nascita del bambino che devono andare a cercare. Cerca un po’ di
spiegare e rendere più semplice quello che rimaneva poco chiaro nel testo del
Vangelo.

La Legenda Aurea sta alla storia sacra, sia quella evangelica che a quella dei Santi,
come le tante traduzioni di Ovidio stanno al testo originale, ma che è il testo che
s’impone e da cui derivano molte immagini delle opere d’arte

Qual è il correttivo per l’analisi iconografica?

Per il soggetto secondario il correttivo è la storia dei tipi, cioè la comprensione di


come in condizioni storiche variabili storie specifiche sono state espresse tramite
oggetti ed eventi.
Un esempio può essere Francesco Maffei, pittore veneto del seicento, che
rappresenta una donna in primo piano con tra le mani un bacile e una spada e una
testa decapitata nel bacile. Dietro la donna c’è una roccia e altri due personaggi
maschi con un accenno di paesaggio (descrizione preiconografica).

Dicendo che nel quadro è rappresentata Giuditta o Salomè siamo già andati sul
significato iconografico.

La spada ci fa pensare a Giuditta e Oloferne. Se noi guardiamo come viene


rappresentata Salomè nella pittura del seicento, per esempio nel dipinto di Guido
Reni nella galleria Corsini di Roma, ecco che Salomè porta la testa del Battista su un
piatto e se andiamo a ritroso Luca Sgrana Il Vecchio ci propone una Giuditta con la
spada e la testa di Oloferne e una Salomè con lo stesso sguardo suadente con il
bacile e la testa del Battista.

Se leggiamo quello che racconta il Vangelo, Erode aveva fatto arrestare Giovanni e lo
aveva fatto incatenare in prigione per via di Elodiade, moglie di Filippo suo fratello,
che Erode aveva sposato. Giovanni infatti diceva che non gli era lecito di tenere la
moglie di suo fratello, Elodiade gli serbava rancore e voleva farlo morire, ma non
poteva. Erode aveva soggezione di Giovanni, sapendo che era un uomo giusto e
santo, quindi lo ascoltava volentieri, ma un giorno per il suo compleanno Erode fece
un convito ai grandi della sua corte, ufficiali e notabili della Galilea, la figlia della
stessa Elodiade entrò e ballò, questo piacque a Erode e ai commensali, quindi Erode
disse alla ragazza che gli avrebbe dato quello che gli chiederà fino alla metà del suo
regno. Lei uscì e domandò a sua madre cosa chiedere, la donna disse di chiedere la
testa di Giovanni il Battista su un piatto e tornata dal re fece questa richiesta, il re ne
fu molto rattristato, ma dopo il giuramento fatto davanti ai commensali non volle
dire di no e mandò subito una guardia a decapitare Giovanni nella prigione. La
guardia andò e portò la sua testa su un piatto, la diede alla ragazza e lei la consegnò
a sua madre.

Il Vangelo è molto chiaro, Salomè è un personaggio storico realmente esistito, è


stata la moglie di un re vassallo dell’Impero romano

Non ci sono quindi dubbi sull’accaduto, stando al Vangelo, e così lo rappresenta


pure il Caravaggio, l’aguzzino taglia la testa al Battista, la mette su un piatto, la da a
Salomè e lei la porta alla madre.

L’attributo di Salomè è il piatto, lei non ha che fare con la spada


Che cosa fa invece Giuditta? Lei libera la sua città, Betulia, dall’assedio dei nemici,
Oloferne è il comandante lei lo seduce, lo fa ubriacare e poi, come avvicinatasi alla
colonna del letto che era dalla parte del capo di Oloferne, staccò la scimitarra, si
accostò al letto, afferrò la testa di lui per la chioma e lo colpì due volte staccandogli
la testa.

Quindi fece rotolare il corpo giù dal giaciglio, strappò le cortine dai sostegni, poi
consegnò la testa ad una ancella e la mise nella bisaccia dei viveri. Uscirono tutte e
due secondo il loro uso per la preghiera, attraversarono il campo, fecero il giro della
valle, salirono sul monte verso Betulia e giunsero alle porte della città.

Anche nel dipinto di Caravaggio c’è l’ancella pronta a ricevere la testa di Oloferne.
Andrea Mantegna, andando in dietro nel tempo, rappresenta la testa nella famosa
bisaccia.

Perché Maffei crea un’immagine ambigua? Tutto lascerebbe pensare a Giuditta, ma


c’è un elemento che ci riporta a Salomè e qua entra in gioco la storia dei tipi, come
questa storia è stata rappresentata dalla tradizione pittorica. Ci sono dei casi in cui il
bacile compare, ma perché quel bacile compare?

Panofsky fa una ricerca e si rende conto, andando indietro nel tempo, che c’è una
serie di dipinti in cui compare il bacile, anche se la storia è evidentemente quella di
Giuditta. Lei è vestita con i gioielli, l’abito migliore, come era andata al campo, porta
in mano una sorta di piccola scimitarra e sta porgendo la testa alla sua ancella che la
tiene sopra il bacile.

La stessa cosa nel dipinto della Firenze del quattrocento, c’è Giuditta che se ne sta
andando dal campo, l’ancella porta un bacile con la testa anche se è coperta da un
panno.

Michelangelo ci fa vedere invece tutte e due le cose nella Cappella Sistina, l’ancella
sostiene questa enorme testa di Oloferne sul bacile e la stanno mettendo dentro un
sacco

Panofsky dice che in realtà noi saremmo autorizzati a dire che il bacile può stare
nella storia di Giuditta, mentre non possiamo dire che la spada stia nella storia di
Salomè perché non è lei a compiere l’azione.

La spada inoltre, nella tradizione occidentale rimanda all’allegoria della giustizia, c’è
questa donna seminuda che tiene in una mano la bilancia e nell’altra la spada.
E’ evidente quindi che nessuno metterebbe in mano la spada a Salomè, che provoca
mediante la seduzione la morte del Battista.

Se andiamo a vedere le tradizioni pittoriche scopriamo che la testa sul bacile era
diventata un motivo a sé stante, abbiamo una serie di dipinti e sculture che
rappresentano il bacile con la testa di Giovanni Battista al di fuori della storia di
Salomè e usato come una sorta di reliquario, questa immagine veniva offerta alla
devozione del fedele

Quindi è un elemento che sta a disposizione del pittore e Maffei rappresenta


Giuditta, che è un’immagine ambigua, ma che possiamo interpretare come tale in
virtù della storia dei tipi, ossia nel modo in cui Giuditta è stata rappresentata in certi
dipinti e del fatto che il bacile è un attributo di Salomè, ma ha anche una sua
autonomia.

L’interpretazione iconologica è ciò che può arrivare dopo che abbiamo stabilito qual
è il soggetto di un dipinto ed è quella che ci da il significato dell’opera d’arte.

Con la descrizione preiconografica stabiliamo che cosa rappresenta l’opera,


attraverso un’analisi iconografica stabiliamo qual è il soggetto e poi possiamo
eventualmente attuare una interpretazione iconologica che ci permette di capire il
significato intrinseco o contenuto dell’opera.

Panofsky dice che per tale interpretazione serve un’ intuizione sintetica.

Devo essere familiare con quella che era la cultura di riferimento dell’artista che ha
prodotto quell’opera, devo sapere che idee aveva, che credenze religiose, quali
opinioni culturali, che tipo di filosofia seguiva, cosciente del fatto che anch’io
appartengo ad un’epoca, ad una cultura ben precisa.

Tutti questi elementi influiscono sulla mia cultura e accendono la mia visione del
mondo che è diversa da quella di altri, perciò quando affronto la visione di un’opera
devo essere pronto a sganciarmi dalla mia cultura e immergermi in quella degli
artisti e committenti e devo attuare come correttivo la storia dei simboli e dei
sintomi culturali.

Nel dipinto di Van Der Weyden con l’analisi preiconografica stabilisco che al centro
c’è un gruppo di persone intorno a un bambino probabilmente appena nato dentro
una capanna, fuori dalle mura di una città, a destra ci sono tre persone che
guardano un’apparizione, dove compare un bambino, a sinistra altri personaggi. La
storia dei tipi ci permette di riconoscere i re Magi o la natività, e grazie alla
conoscenza del Vangelo e della Leggenda Aurea possiamo dire che rappresenta la
natività con ai lati la visione dei Magi e l’immagine di Augusto Imperatore, quindi
posso dire quale sia il soggetto.

Per arrivare al significato iconologico devo capire cosa rappresentassero questi


eventi per un committente del 1445, impersonato dal personaggio dipinto di nero
che si è fatto ritrarre in preghiera davanti al bambino.

Leggendo i libri di preghiera dell’epoca posso stabilire che la visione di Augusto era
considerata l’annuncio della nascita di Cristo in occidente, mentre la visione dei
Magi era considerata l’annuncio della nascita di Cristo in oriente.

In questo trittico hanno messo quindi al centro la nascita di Cristo e ai lati le due
estremità della sua rivelazione (oriente e occidente), posso dire inoltre che questa
natività è stata rappresentata non in base a quello che dice il Vangelo, ma in base a
quello che dicevano le visioni di Santa Brigida, che uno dei re Magi ha il volto
dell’Imperatore Sigismondo e che due dei dignitari che stanno vicino ad Augusto
hanno il volto di due dignitari della corte di Filippo il Buono, Duca di Borgogna, colui
per la quale il committente lavorava (era il suo ministro delle finanze)

Comprendo quindi che affonda le radici in un certo momento, in un certo ambiente,


e se vado a vedere la storia del committente scopro che era il Ministro delle Finanze
e che Borgogna era uno dei personaggi più ricchi d’Europa e che non avendo figli
decide di impiegare le sue fortune per fondare una città, che si chiama Midelburg,
con una chiesa. Il trittico era destinato a questa chiesa.

Ci sono riferimenti a personaggi reali, sono personaggi coinvolti nella vita di quella
città, e posso arrivare così al significato del dipinto, stabilire che è religioso, ma
anche personale.

Questa dunque è l’interpretazione iconologica

Se sbagliamo gli altri due livelli d’interpretazione, sbagliamo anche quella


iconologica

Queste interpretazioni riguardano anche le opere pubbliche che si facevano


portatrici di messaggi destinati al pubblico, che servivano a costruire l’entità
religiosa, politica, culturale di una città, una nazione, una famiglia. Ecco perché
l’interpretazione iconologica può essere utile alla storia dell’arte, perché può servire
come documento storico

Applicazione del metodo alla Morte di Giacinto di Tiepolo: siamo partiti dal soggetto,
la morte di Giacinto, ma confrontandola con il contesto in cui il dipinto era stato
realizzato abbiamo capito che il riferimento al tennis non era solo letterario, ma
riguardava anche i trascorsi personali del committente

Quando io guardo questo dipinto, prima di tutto il mio occhio cade sulla racchetta
da tennis e mi domando subito il perché di quell’oggetto, sto già facendo
un’interpretazione iconologica, perché stabilisco che quel mito non è rappresentato
nella sua versione originaria, ho fatto un passo nella cultura dell’epoca del
committente e del pittore

Fattore espressivo è l’immagine di Apollo in atteggiamento di dolore, possiamo


riconoscerlo perché nel nostro bagaglio culturale c’è una conoscenza di gesti, che
hanno anch’essi una tradizione.

Se noi prendiamo questo sarcofago di epoca romana, che rappresenta il compianto


del corpo di Patroclo, c’è Patroclo sul letto funebre, l’elmo poggiato a terra e il
personaggio a sinistra sta con la gamba piegata, la mano portata alla fronte, non è
un atteggiamento identico a quello di Apollo, ma capisco che sta sulla stessa linea
espressiva.

Sono atteggiamenti riproposti, nelle varie opere e nelle varie epoche

Nel Rinascimento c’è da parte degli artisti il recupero della parte espressiva, che
permettesse loro di esprimere al meglio certi sentimenti, dolore, gioia.

Gli estremi del discorso sono l’antichità classica e Tiepolo, che arriva alla fine
dell’epoca Barocca, in mezzo c’è il Medioevo, che certi gesti li aveva dimenticati, o
ne faceva a meno perché ne aveva altri e poi il Rinascimento che quei gesti li
recupera

Panofsky quando si riferisce agli storici dell’arte, parla di coloro, che nella sua epoca,
facevano una critica puramente stilistica, che notavano per esempio solo il
naturalismo di un’opera, che influenze avevano avuto e che sensazioni ci comunica
un determinato elemento
Lezione 4 (17 marzo 2021)

Lezione sullo studio della tradizione iconografica e quali sono gli elementi che
intervengono a mutare un’iconografia.

Analizziamo come un concetto cambia la propria identità e iconografia attraverso i


secoli

Dipinto del classicismo di fine Seicento, francese, ma il pittore conosceva bene


l’Italia. Considerando il periodo e il luogo è un dipinto tipico dell’epoca francese che
cerca di sganciarsi dal dettato italiano e da quello fiammingo e vorrebbe imporsi al
resto d’Europa con un suo stile

Il dipinto rappresenta il tempo che taglia le ali a Cupido ed è di Pierre Mignard,


pittore francese nato nel 1612, questa è una delle ultime opere e risale 1694. Egli ha
vissuto molto a Roma

Si tratta del tempo perché c’è una clessidra. C’è un’immagine sempre di Mignard
con gli stessi elementi, che arriva nella pittura attraverso i libri di emblemi

Daniel De La Feuille nel 1691 scrive un libro di emblemi (a ridosso del periodo del
dipinto) che a partire dal settecento perderà di valore. È una raccolta di emblemi
disparati stampati su una pagina con i numeri che rimandano alla legenda dove si
può trovare il motto. In realtà raccoglie materiale da libri precedenti e l’origine di
queste immagini sta in un libro di emblemi del 1608 “Amorum Emblemata” di Otto
Van Veen uno dei libri più diffusi nella cultura europea

L’emblema si compone di tre parti, la figura, un titolo e una breve poesia (una
quartina o terzine)

Nel libro di Van Veen, l’immagine sta sempre sul diritto del foglio e sul rovescio c’è il
testo in modo che aprendo il libro si trovi a destra l’immagine e a sinistra il testo. Il
testo è scritto in più lingue in quanto si trattava di libri pensati per una distribuzione
internazionale (latino, inglese, italiano o anche francese, tedesco).

Il titolo in latino è “Mens immota manet”: il pensiero rimane saldo

Emblemi: importante mezzo di diffusione di idee e immagini, pensati e usati come


una sorta di prontuario a cui i pittori potevano attingere.
Erano opere che avevano più scopi, servivano al lettore a passare il tempo, con degli
enigmi, che potevano essere di tipo amoroso, morale, religioso.

La pubblicistica luterana e poi quella gesuita le hanno usate tantissimo a livello


educativo, perché erano un mezzo molto semplice, usavano le immagini, le parole,
erano in lingua volgare, anche se tradotte in latino che era una lingua per i dotti.

Ci sono esempi nel nord Europa di intere decorazioni di stanze e chiese fatte ad
emblemi che venivano presi dai libri.

In Francia però, spesso venivano create apposta dai committenti, ci sono cicli di
emblemi inventati dal proprietario del castello o della villa che non si trovano quindi
nei modelli da copiare

L’emblematica era quindi un passatempo, ma anche un mezzo per la diffusione delle


immagini e iconografie

La poesia tradotta in italiano dice: Malgrado il tempo rio l’anima è franca, taglia il
tempo d’amor l’ali e percuote sì che non può volar come soleva, ma l’animo suo
franco non aggreva, d’un voler senza possa amar si puote

L’ironia di questi versi è che il tempo taglia le ali all’amore, e si vede nel quadro che
il tempo taglia le ali a Cupido il quale non può più volare alto come un tempo, però
l’animo amoroso rimane forte, si può amare di un desiderio che non ha più tanta
potenza, viene inteso in maniera più ampia, in termini anche sessuali

Questa immagine è drammatica, ma viene risolta nel testo in maniera positiva,


perché dimostra che l’amore ha in sé una forza che nemmeno il tempo riesce a
scalfire (può volare senza ali)

La retorica del tempo e dell’amore viene trattata anche nel dipinto di Bernardino
Mei del Seicento barocco: è rappresentato il tempo e ci sono le stesse
caratteristiche, c’è l’uomo vecchio alato con la clessidra, che sta curando Cupido,
tiene un’ampolla in cui intinge una sorta di pennello, c’è scritto Acque Letis, ossia
l’Acqua del Lete, il Lete è il fiume dell’aldilà che soprattutto dopo Dante assume il
ruolo dell’acqua che cancella il male

Si dice anche nel linguaggio comune che il tempo cura le ferite ed è ciò che viene
visualizzato nel dipinto

Cupido quindi viene curato dal tempo


In un dipinto di Giovan Francesco Romanelli, c’è Cupido senza ali e un uomo barbuto
con falce e ali. Nella didascalia del museo di Varsavia dove è conservato c’è scritto
semplicemente Chronos

Dipinto di Rubens fatto per la torre della Parada voluta dal re di Spagna negli anni
trenta del Seicento: confrontato col precedente troviamo cose simili, ma in realtà
diverse, c’è la falce anche se si vede poco e Chronos (o meglio Saturno) sta
letteralmente divorando il figlio. Questo è il precedente di un dipinto celeberrimo
che è quello di Goya

Goya conosceva quello di Rubens e ha pensato certamente a quello dipingendo


quest’opera

Nel dipinto di Rubens Saturno non ha le ali (come dovrebbe essere) perché nessuna
fonte classica dice che Saturno ha le ali e che volasse in cielo, anche se lo si vede
poggiato sulle nubi.
Un altro dettaglio sono le tre stelle in alto, rimandano al contesto culturale di
Rubens: all’epoca era quella la rappresentazione del pianeta Saturno, così detto
Saturno Tricorporeo

Lettera di Galileo Galilei: una nelle quali annuncia le sue osservazioni su Saturno.
Osservandolo col cannocchiale lui vedeva tre piccole sfere che stanno al centro del
foglio e si convince quindi che Saturno fosse composto da tre astri chiamandolo
appunto Saturno Tricorporeo.

Quello che vedeva in realtà era la traccia degli anelli di Saturno, che lui non poteva
vedere con il suo telescopio poco potente

Rubens conosceva Galilei, si erano incontrati in Italia ed era sempre informato su


quello che faceva l’astronomo. In questo e in altri dipinti inserisce quelle che sono le
novità astronomiche, perché oltre ad una divinità Saturno era un pianeta

Questi personaggi sono molto simili tra loro, sia per l’aspetto che per gli attributi
iconografici, il fisico, capelli grigi, barba, la clessidra, la falce

In quello di sinistra siamo sicuri che si tratti del tempo, l’abbiamo visto nel libro di
emblemi, il terzo dipinto è invece ambiguo, perché il personaggio date le ali
potrebbe essere il padre tempo, ma dato il bambino senza ali, che non è quindi
Cupido, potrebbe essere invece Saturno
Dove è iniziata questa rappresentazione che fa sembrare il tempo così simile a
Saturno?

Il dio romano Saturno era un personaggio legato all’agricoltura e portava il falcetto


(dipinto di Pompei). L’agricoltura ha in sé un elemento temporale, è il ritmo delle
stagioni che determina le varie coltivazioni

Il Saturno romano è anche diverso dal Chronos greco (vaso attico in cui c’è Rea che
fa mangiare la pietra a Chronos per evitare che mangi un ulteriore figlio, cioè Zeus,
che viene nascosto)

Saturno non corrisponde a Chronos e quest’ultimo non corrisponde al tempo perché


in greco, Chronos dio si scrive con la K, mentre Chronos tempo si scrive con la Chi,
un suono che noi traduciamo con ch, quindi si tratta di due parole diverse
etimologicamente

Però fin dall’epoca imperiale romana, proprio per un questione di assonanza si


comincia a sovrapporre Chronos divinità a Chronos tempo, così come avveniva con il
Kronos greco e il Chronos Romano

Poi questo si fa strada nella nella filosofia neoplatonica e fa a poco a poco


dimenticare che fossero due parole diverse

Gli antichi rappresentavano il tempo in forma diversa da quella dell’epoca


rinascimentale e barocca, lo rappresentavano in forme giovanili, anche se nella
poesia greca si trovano riferimenti al fatto che sia canuto, che abbia i capelli grigi

Immagine della figura che i greci chiamavano Kairos: vuol dire occasione, è l’attimo
fuggente che va colto, e per questo viene rappresentato in forme giovanili, perché è
una figura agile, sfuggente, e per questo è alato, perché trascorre, vola; porta le ali
sulle spalle, ma anche ai piedi, ha una bilancia che regge sopra un rasoio (una specie
di mezzaluna che tiene tra le mani, è un rasoio nella forma antica)

Un’altra caratteristica è la sua testa, è calvo dietro e ha due ciuffi solo sul davanti,
perché l’occasione bisogna prenderla quando arriva perché se la si lascia passare
non si ha più modo di afferrarla. Quindi Kairos va afferrato quando sta arrivando

Quando questo concetto arriva a Roma viene tradotto come occasione che è una
parola femminile e in ambito occidentale che del latino fa la sua lingua di
comunicazione, l’Occasio diventa un personaggio femminile, il concetto è identico,
ma la figura cambia sesso e non ha le ali sulle spalle, ma poggia su una sfera, che è
qualcosa che rotola e ovviamente la parte posteriore della testa è calva e ha un
ciuffo di capelli davanti

Libro di emblemi di Andrea Alciato il titolo è “In Occasionem”, ci sono tutti gli
elementi e c’è un rasoio di forma diversa, meno antico

Questa figura viene recuperata in epoca rinascimentale, a partire dal XV sec.


contaminerà la figura della fortuna, che aveva un’iconografia diversa presso i romani

L’elemento del rasoio è presente perché è sottile, Kairos tiene la bilancia in


equilibrio sul rasoio perché questa bilancia è assolutamente instabile

Iconografia del Kairos rimane nel Medioevo nelle zone di tradizione greca

Pluteo che viene da Torcello (nei pressi di Venezia): nasce in ambito bizantino e nel
XI sec c’è ancora un Kairos e si vede anche un personaggio che lo sta afferrando
davanti, acciuffa i capelli e porta i piedi su una ruota alata è una variante

In occidente però, per la traduzione in latino, questa immagine si perde nel tempo e
si ritrova solo nel ‘500 in contesti molto colti come negli affreschi di Francesco
Salviati a Palazzo Ricci Sacchetti con il recupero totale del Kairos originario

Concetto sviluppato nell’antichità romana era il concetto di Aion o Phanes: è di


origine indo-iranica (persiana) ed è il tempo eterno, circolare, che torna su se stesso
(contrario del Kairos momentaneo)

Rilievo di Modena, galleria Estense: traduzione grafica di Aion/Phanes, è comunque


una figura giovanile, alata, intorno al corpo s’avvolge un serpente, ci sono le folgori
nella mani, c’è l’uovo infuocato da cui questa figura esce, metà dell’uovo sopra e
metà sotto, intorno c’è un ovale che è l’eclittica zodiacale, cioè quella fascia di cielo
su cui giacciono le costellazioni dello Zodiaco (esse sono un elemento di ciclicità,
perché tornano tutti gli anni), c’è anche il sole che nell’astronomia classica fa il giro e
tocca le dodici costellazioni per poi ricominciare

Immagine molto diffusa a Roma, si ritrova anche nella base della colonna di
Antonino Pio e Faustina: è il genio alato giovane che sta portando in apoteosi la
coppia imperiale e tiene tra le mani la sfera col serpente
La variante conosciuta dalla cultura romana era chiamata Seculum, era una figura di
temporalità ciclica, giovane, che sta all’interno dell’eclittica, ma in questo caso è
accompagnata dalle stagioni

La vediamo anche in una moneta di Antonino Pio, viene chiamato Seculum Aurum

Anche questa iconografia viene recuperata nel ‘500 in contesti colti, come quello
delle logge di Pio IV affrescate in Vaticano da Federico Zuccari e dalla sua bottega

Nel ‘500 e nel ‘600 c’è un personaggio che è la divinità solare: Apollo.
Compare quasi sempre nell’eclittica Zodiacale e fa lo stesso gesto che faceva
Seculum, ossia tocca l’eclittica, ma la tocca in un punto preciso che corrisponde alla
costellazione dell’Ariete, perché con l’equinozio di primavera nell’antichità iniziava
l’anno

La cultura post classica tenderà a smembrare l’iconografia d’origine e a far emigrare


i singoli pezzi in altre figure.

Nel ‘500 Aion compare a Palazzo Vecchio a Firenze, con Francesco Salviati e da
questa immagine nasce una figura di tipo alchemico che è nell’incisione di Giacomo
Olgiati

Da questo si comprende la figura rarissima che non si trova nell’immaginario


comune dell’arte di quel periodo, Ouroboros: indica l’immagine del serpente che si
morde la coda, simbolo di ciclicità, delle cose che tornano

Nasce dalla contaminazione delle immagini di partenza, quelle di Saturno e di


Chronos il Dio, che si sovrappongono all’immagine di Chronos tempo e che si
contaminano con gli attributi alati e col serpente di Kairos e Aion

La figura di Saturno non aveva a che fare col concetto di tempo, aveva il falcetto,
elemento agricolo, che si trova anche nel cosiddetto “Cronografo” del 354 d.C. : è la
copia di un manoscritto calendariale tardo antico che indica i giorni dedicati a
Saturno.

L’immagine di Saturno è la stessa che si trovava a Pompei un paio di secoli prima e


questo dimostra che lungo i secoli imperiali l’immagine del dio rimane fedele a se
stessa
Quando finisce l’età classica e a occidente nasce una civiltà nuova che con l’età
classica ha a che fare solo in parte, nell’Oriente greco Saturno inizia ad avere
caratteristiche diverse ed il falcetto diventa un’ascia

In occidente invece si ha un manoscritto dell’XI sec, “De Universo”, di Rabano


Mauro. Egli è uno dei grandi enciclopedisti del Medioevo, quei personaggi che
raccolgono il sapere del loro tempo e lo tramandano ai posteri

Nell’illustrazione di questo manoscritto Saturno è il personaggio che sta a sinistra, il


falcetto è diventato una falce da mietitura a manico lungo, alla sua sinistra c’è Giove
che ha i suoi attributi, l’aquila e il fulmine, ma il secondo è diventato una specie di
serpente e l’aquila sembra una gallina che sta per essere strozzata

Questo accade perché nel Medioevo si formano due filoni di tradizione: una è
prettamente figurativa, e una letteraria

Le informazioni passano tutte attraverso la tradizione letteraria che non è per forza
illustrata, per molti secoli è senza immagini

La tradizione figurativa continua ad essere attiva, ma viene presa in considerazione


come motivo figurativo e non come soggetto

Esempio, primi mosaici della tradizione paleocristiana in cui Cristo assume le


sembianze di Apollo: c’è un mosaico in Vaticano in cui c’è un carro che sale in cielo
e il personaggio che occupa il carro ancora non si sa se rappresenti Cristo o Apollo.
Ha delle caratteristiche ibride; se il mosaicista lavorava per dei cristiani rappresenta
Cristo con la forma di Apollo, altrimenti no

Stessa cosa per i mosaici Santa Maria Maggiore: c’è la scena in cui Abramo si
avvicina a Melchisedec e Abramo prende le sembianze dell’imperatore Marco
Aurelio, cioè la cavalcata di Abramo diventa quello che era chiamato Adventus
Imperiale

Hanno proposto dei temi cristiani usando una forma classica

Paradossalmente nel Medioevo i temi cristiani prendono spesso una forma classica,
mentre i temi classici abbandonano la loro forma classica. Questo perché i temi
cristiani si diffondono principalmente attraverso le immagini, mentre i temi classici si
diffondono attraverso i testi e chi legge i testi, chi li trascrive e chi si trova ad un
certo punto ad illustrarli, spesso non ha idea di quali fossero in origine le immagini
alle quali quei testi si ispiravano, e quei testi vengono man mano corrotti e travisati

Le cose cambiano nel nord Europa, paradossalmente è il luogo di maggiore


elaborazione della memoria classica nel Medioevo, il nord della Francia,
l’Inghilterra, L’Irlanda (che i romani non erano riusciti a conquistare), tutti posti
poveri di memorie visive del classico, ma dove c’è una forte esperienza di
monachesimo che permette la trascrizione dei testi

Manoscritto che sta a Monaco, testo di Mauriziano Capella, “De Nuptiis Philologiae
et Mercurii” tardo antico, testo che ha fondato la tradizione allegorica medievale e
moderna; da questo scritto provengono molte cose come le sette arti, il trivio, il
quadrivio

All’inizio del XII sec i miniatori nordici illustrano le divinità antiche di cui parlava
Capella: ecco che Saturno non è più quello dell’antichità, ma è un personaggio
vestito da ecclesiastico, ha una sorta di chiara con un velo che lo fa sembrare una
specie di Vescovo, tiene in mano un falcetto, ma nella mano destra compare un
forma medievale di Ouroboros, una specie di drago

In questa figura comincia ad entrare qualcosa che da l’idea del tempo, perché ormai
dopo secoli si è avverata graficamente quella sovrapposizione in origine non
autorizzata tra Saturno, Chronos dio, Chronos tempo e un elemento temporale
come Ouroboros che prima trovavamo nella figura dell’Aion ora arriva nelle mani di
Saturno

A causa di un autore, Fulgenzio, che scrive tre libri di raccolte mitologiche nel V sec,
(autore dell’Africa del nord, viene dallo stesso contesto di sant’Agostino - tardo
antico -, il quale ha tramandato come Capella la cultura classica al medioevo) a
Saturno viene attribuita la castrazione. Secondo la mitologia greca di Esiodo, è
Chronos che castra il padre Urano e Chronos dopo aver mangiato i figli viene
spodestato da Zeus

Fulgenzio fa un’opera di compressione, dice che Chronos viene evirato da Zeus e


inquina il testo di Ovidio

Nelle miniature del XV sec de “La Bible Des Poetes”, una delle tante versioni di
Ovidio, si vede Saturno che sta mangiando il figlio e sotto c’è Zeus che lo evira,
mentre Saturno tiene in mano il draghetto che si mangia la coda
Tre secoli dopo la miniatura di Marziano Capella il draghetto resta, insieme alla
falce, come un attributo tipico di Saturno

In alto a sinistra c’è Venere, perché mentre prima Venere nasceva dallo sperma di
Urano, che veniva gettato in mare, adesso nasce da quello di Saturno. Il pube di
Venere è coperto da una stellina e un’altra stellina sta vicino alla falce, perché a
questa data Saturno è considerato una divinità planetaria

Disegno francese del ‘400: è molto vicino alla miniatura più tarda, sopra la scena di
Saturno e Zeus che lo sta evirando c’è una grossa stella a sei punte che sta a indicare
che non è il mito che sta raccontando, ma che Saturno viene presentato come
divinità planetaria, come pianeta

Il fatto che Saturno venisse considerato anche come elemento astrologico è


importante perché la cultura astrologica è in realtà cultura astronomica: fino a
Galilei le due cose coincidevano, la pratica di fare previsioni e oroscopi, avevano
allora fondamenti scientifici e conviveva con l’osservazione del cielo e un’attenzione
di tipo matematico (astrologia medievale e rinascimentale)

Una parte del sapere mitologico si è trasmesso grazie ai libri di astrologia e ha


influenzato molto l’occidente, come i libri di emblemi

Una delle pareti del Palazzo della ragione a Padova contiene uno dei più vasti cicli
astrologici del Medioevo, una sorta di enorme calendario, con la rappresentazione
dei mesi attraverso le costellazioni e i pianeti che ogni mese apparivano: siccome le
costellazioni dello Zodiaco erano dodici, a ogni pianeta venivano attribuite due
costellazioni e Saturno appare raffigurato due volte in maniera diversa, nella parte
destra c’è la stella dietro (pianeta) e ha uno strumento in mano che non si
comprende cosa sia, sembra una bandiera, c’è la S di Saturno e dall’altra parte ha
uno specchio e una zappa (legato all’agricoltura)

Nell’immagine dell’opera astrologica di Abu Ma’Shar è regale, porta corona e


scettro, ha una vanga e sotto ci sono le costellazioni dell’Acquario e del Capricorno
che sono i suoi domicili, ossia le costellazioni assegnate dalla scienza astrologica a
Saturno

L’astrologia è importante perché la sua natura di pianeta influisce sulla


rappresentazione come divinità
Fino a Galilei e oltre, Saturno era il pianeta più lontano, il più fioco alla vista, il più
lento, il più freddo di conseguenza, brillava poco. Immagine di debolezza e freddezza
influisce sull’idea che gli astrologi si fanno di Saturno come pianeta e come
personaggio, che deve essere per forza vecchio e lento

Soprattutto nel ‘400 (miniatura) Saturno comincia a essere un vecchio nudo, per far
risaltare maggiormente la sua vecchiezza, col falcetto e si aggiunge una gruccia,
perché cammina lentamente e ci sono le sue costellazioni. Immagine canonica
nell’epoca ‘400 e ‘500

Miniatura fatta in Lombardia a fine ‘400: Saturno è nudo, anziano

Secondo la teoria astrologica il pianeta influisce sugli uomini, e coloro che nascono
sotto l’influenza di Saturno sono sfortunati, come dice il testo che c’è sotto la
miniatura: “Chi si nasce sotto l’influenza di Saturno sarà un ladro, reo, bugiardo,
assassino, villano, vile, senza alcuna luce, gente bassa, pastori (ultima fascia della
società) zoppi, ossia menomata”

Ancora oggi nel linguaggio comune si dice avere Saturno contro se le cose vanno
male

A Saturno corrispondono i suoi figli (immagine diffusa nel ‘400 e maggiormente con
l’arrivo della stampa) e in molte immagini collegate a lui ci sono gli ultimi della
società

A un certo punto all’influenza dei pianeti vengono collegati anche gli umori e il
carattere delle persone, è una tradizione antico greca che rimane nella cultura
occidentale

Ci sono quattro umori principali: l’iracondo, il sanguigno, il flemmatico e il


melanconico, a Saturno viene associata la melanconia.
Stampa cinquecentesca dove si vede che mangia i figli, sotto ci sono i melanconici,
un’estensione delle caratteristiche già viste

La melanconia indica un uomo isolato, divino o bestiale, beato oppure oppresso


dalla miseria. Ci sono però persone che essendo così melanconiche sono estranee
agli altri e si elevano, quindi ci sono da un lato quelli che si stanno impiccando e
dall’altro lato quelli che stanno misurando la Terra perché sono dei sapienti
Cripta di Anagni: sulla porta, al centro dei cerchi concentrici, c’è un uomo e intorno
c’è uno schema mnemotecnico simile a quello della miniatura che proviene da un
manoscritto, dove attorno all’uomo si raccoglie il micro e macro cosmo.
Poi ci sono i quattro elementi della natura, le quattro età, i quattro caratteri, i
quattro venti, i dodici segni Zodiacali divisi sui quattro elementi (da qui nasce il fatto
che i segni siano divisi e ci siano quelli di aria, terra, acqua e fuoco)

Questo è un lavoro di agglomerazione di nozioni che serviva a ricordarsi le cose in


tempi in cui i supporti non erano alla portata di tutti e dei libri scritti a mano c’era
solo una copia nel monastero, questo era un tipo di schema mentale che è andato
avanti fino ’600 e nelle arti alchemiche esiste tutt’ora

La questione della mnemotecnica aveva portato a creare delle immagini di tipo


allegorico che rappresentano il tempo.

Nelle ali del personaggio ogni piuma ha una scritta, sono vari elementi temporali
(mesi, giorni,ecc.) ma era troppo complessa e questa immagine non poteva avere
successo

Quando Francesco Petrarca scrive “I Trionfi” c’è anche il trionfo del Tempo. Nel
poema egli descrive questi carri trionfali che mette in scena, ma quando descrive
quello del tempo non si sofferma sull’immagine del Tempo stesso, descrive invece
com’è trainato e quando poi i miniatori e i pittori si trovano ad illustrare i trionfi
petrarcheschi (tema che verrà molto illustrato) devono inventarsi il Tempo.

Allora vanno a prendere qualcosa di familiare, ossia Saturno, che però non è più
quello medievale bensì quello contaminato dalla cultura astrologica, vecchio, fragile,
con attributi temporali, vengono fuori le ali e ha un globo in mano

Nel pannello, forse una spalliera fatta da Francesco Vesellino, il Tempo ha solo ali e
stampella, mentre Jacopo Del Sellaio crea un personaggio gobbo e compare per la
prima volta la clessidra

Jacopo Caraglio, incisione del ‘500: Saturno non ha le ali e ha una grande falce,
quindi non rappresenta il tempo ma la divinità che mangia i figli, a destra compaiono
l’Acquario e il Capricorno che indica il pianeta

Ciò viene canonizzato nel 1593 da Cesare Ripa nell’opera chiamata “Iconologia” la
quale viene prima solo scritta, poi illustrata e tramandata alla pittura del ‘600. Essa
da quattro definizioni del tempo
La Storia è rappresentata da una donna alata che per scrivere si appoggia
all’immagine del Tempo

Il dipinto centrale della galleria del castello di Chantilly in Francia (dedicata alle
imprese del principe di Condè) dove il principe chiede alla Storia di riscrivere la sua
storia che aveva avuto anche zone d’ombra perché per un periodo aveva
combattuto contro i suoi compatrioti. Qui la Storia si appoggia al Tempo che sta
accovacciato

Il Tempo assume varie conformazioni:

- Tempo che come i melanconici prende le misure del globo col compasso
(immagine che ha origine dal dio geometra che crea il mondo con criteri quasi
architettonici). La Melancolia prende le forme di una figura pensierosa che studia,
analizza il creato.

- Tempo mangiatore di cose e uomini: è una cosa che sta nella poesia antica e torna
in auge nel ‘600.

Nel frontespizio di una raccolta di incisioni che rappresentava statue antiche c’è il
tempo vecchissimo con attributi tipici e torna il serpente (immagine classica) che sta
rosicchiando una statua che è il torso del Belvedere.

Questa diventa un’immagine canonica nel ‘600

Dipinto di Nicolas Poussin (epoca barocca): il Tempo sta sollevando la Nuda Verità e
stando in quella posizione non può tenere in mano i suoi attributi, quindi li tiene per
lui Cupido

Il Tempo quindi è un’immagine a sé stante, non è più Saturno o Chronos, il Padre


Tempo può entrare in altre storie e ambiti diversi, può essere usato nelle statue di
Bernini (il Tempo che sorregge un obelisco, finito poi sulla groppa dell’elefantino in
Santa Maria sulla Minerva)

-Tempo che ha un medaglione, poi è passato nella produzione artigianale di lusso,


diventa un orologio e alla forma artistica si da anche un utilizzo pratico

Dipinto del museo di Varsavia: è chiamato Chronos col ch, quindi tempo, ma è
ambiguo perché contiene gli attributi di Saturno, c’è il bambino spaventato, una
grossa falce e le ali.
Tutt’ora non si sa chi sia questo personaggio, forse è solo una parte di un disegno
più ampio, deve essere ancora studiato per capire cosa volesse rappresentare
Giovan Battista Romanelli

Se si trattasse di Chronos tempo possiamo parlare di un’immagine a cui Panofsky ha


dato un nome preciso, Pseudomorfosi: falsa forma.

La Pseudomorfosi è un termine che esiste in geologia e riguarda quei metalli e


quelle pietre che assumono la forma di altri metalli e altre pietre, quindi compaiono
sotto una forma falsa.

Panofsky trasferisce questo termine nella storia dell’arte e definisce Pseudomorfosi


tutte quelle immagini che apparentemente sembrano classiche, ma che in realtà
sono il risultato di modificazioni o creazioni ex novo operate dalla cultura medievale
e rinascimentale.

Le allegorie sono figure Pseudomorfosi che troviamo nei cicli di dipinti (per esempio
nelle chiese) perché sono immagini costruite, realizzate accumulando concetti e
attributi diversi, ma anche modificando concetti classici che finiscono con non avere
nulla a che fare con l’idea di partenza

La morte ha attributi che hanno a che fare con il tempo perché ha come elemento la
falce, nel tardo medioevo e nel Barocco, l’antichità classica rappresentava la morte
tramite lo scheletro, il teschio, ma non aveva creato la morte col mantello e la falce,
quella è una cosa successiva e la falce giunge dall’immagine del tempo

C’è una correlazione tra la morte, che nel Medioevo veniva rappresentata bendata,
la notte - anch’essa bendata -, la Sinagoga, ossia il popolo ebraico, rappresentato
bendato perché non aveva saputo vedere l’avvento del Messia e il Cupido bendato,
studiato da Panofsky Nell’antichità classica il Cupido bendato non si trova, mentre
nel Medioevo verrà bendato, perché non sarà visto solo come l’immagine
dell’amore, ma della passione e la passione acceca

Nel Rinascimento tornerà il Cupido senza la benda, perché ci sarà un recupero del
classico e una diversa concezione dell’amore passionale. Il Cupido torna a vederci
bene, perché la vista è una via di conoscenza importante e quindi non può essere
cieco
Lezione 5 (22 marzo 2021)

Personaggio con le ali: Tempo o Chronos?  nessuno dei due, immagine


ingannevole di poiché l’incisore Crispin De Passe ha applicato a Dedalo delle ali
come se le avesse davvero sulla schiena
L’immagine è relativa al mito di Dedalo e Icaro il quale rientra in un tema portante
della mitologia antica, quello della Hybris (si pronuncia Iubris in greco e significa
esagerazione, l’uomo che osa troppo e supera i limiti posti dalla natura e dagli dei –
Dedalo che vola troppo in alto e si avvicina troppo al sole, le sue ali si sciolgono e
cade in acqua)
Un mito che si avvicina molto a questo è quello di Fetonte che osa guidare il Carro
del Sole e perciò viene fulminato da Giove

Tema dell’ ASCESA e della DISCESA: macrotemi della mitologia che hanno avuto
molti esisti figurativi
Temi che interessavano a Warburg, egli aveva iniziato a studiare l’immagine molto
affollata incisa da De Passe: stile fiammingo (circa ‘400) si riconosce da abiti, colori,
fisionomie, minuziosità dei particolari.

È un arazzo di Tournai, città celebre nel ‘400 per le manifatture, all’epoca le Fiandre
erano l’unica zona di produzione degli arazzi in Europa, solo nel ‘600 questo tipo di
tecnica si diffonde nel resto d’Europa grazie ad artigiani fiamminghi dislocati altrove
Warburg li definsce Gobelins (si pronuncia goblen) intendendo con questo termine
gli arazzi genericamente, in realtà questo è il nome specifico delle manifatture di
Parigi che prendono il nome dalla zona in cui erano installate sulla rive gauche, sono
manifatture che iniziano nel ‘600 da artigiani fiamminghi chiamati da Enrico IV e
prenderanno questo nome nel periodo di Luigi XIV

Figura in alto tra le nuvole con aureola e cherubini: potrebbe essere Dio  scena
religiosa?
Trionfo laico di un sovrano? Figura al centro vestita riccamente con copricapo
circolare con perle, potrebbe far pensare alla figura di un sovrano
In realtà si tratta di una delle avventure di Alessandro Magno, non della figura
storica però, questa si trova nelle versioni medievali della sua vita: è l’avventura del
volo di Alessandro
Questa raffigurazione contiene tutte le tipologie di immagini citate sopra (religiosa,
trionfo)
Vi è un grifone (statuetta in bronzo posta sulla guglia del duomo di Pisa, manufatto
islamico)
Aste che tiene in mano Alessandro: ci sono attaccati dei prosciutti poiché la
leggenda dice che per decollare nella gabbia trainata dai grifoni deve invogliare i
grifoni a volare e perciò gli mette un’esca (la cultura fiamminga era estremamente
attenta al dato naturalistico quindi inserisce molto spesso dettagli come questo)

Stanza di Villa del Principe (Villa Doria) a Genova costruita dall’ammiraglio


cinquecentesco Andrea Doria, personaggio di spicco della scena politica genovese
del ‘500
Alle pareti vi sono due arazzi grandissimi (10mx3m, tagliati, mancano i bordi con le
didascalie). Questi arazzi un tempo stavano a Roma a Palazzo Doria Pamphili e lì li
vide Warburg quando insieme ad altri storici dell’arte si trovava a Roma nel 1912 in
occasione dell’11° Congresso Internazionale di Storia Dell’Arte
Fu molto incuriosito da essi per via della commistione dei temi che c’è, poi scrisse un
testo a riguardo

In Italia siamo poco abituati a questo tipo di manifatture nordiche, ma essi prima
erano molto importanti e anche diffusi nel nostro Paese
Serie Dell’Apocalisse, Francia (Vandea): arazzi a tema religioso che in determinate
occasioni venivano esposti nella chiesa (figura divina simile a quella che abbiamo
visto)
Serie Della Dama Dell’Unicorno, Parigi: serie tessuta per un nobile francese,
decorazione fatta da più arazzi con vari temi incentrati sulla presenza di questa
dama
Sono diversi da quelli di Alessandro Magno, questi ultimi sono tardi (seconda metà
‘400) e fanno parte di una tendenza culturale diversa, sono di tipo narrativo e per
questo vi è un affollamento di figure

Disegni su pergamena: modelli che servivano per essere mostrati al committente il


quale poi sceglieva cosa voleva che si rappresentasse (non venivano usati come
cartoni perché non avevano la stessa dimensione dell’arazzo, erano molto più
piccoli)
In questo si ha una scena riguardante Alessandro Magno e le guerre contro Dario,
immagine che siamo più abituati a vedere nei mosaici, ma che nel tardo medioevo
era più diffusi negli arazzi

2 arazzi:
1) rappresenta scene della giovinezza di Alessandro Magno (episodi che derivano dai
romanzi medievali e non dalle fonti di storia antica come Plutarco
A sinistra c’è una scena in un palazzo aperto sul davanti: si tratta dell’arrivo a corte
di Bucefalo come dono, cavallo storico di Alessandro Magno, la leggenda medievale
dice che fosse un cavallo carnivoro e indomabile dato in dono a Filippo di
Macedonia e che veniva usato per far sbranare i condannati a morte. Nessuno
poteva cavalcarlo, ma Alessandro ci riesce. In alto si vede la figura di Filippo che sta
accettando il messaggio di accompagnamento di Bucefalo, accanto a Filippo si vede
un fanciullo che è Alessandro Magno.
Accanto la scena successiva rappresenta Alessandro che è entrato nella gabbia dove
Bucefalo era rinchiuso, è riuscito a domarlo e sta uscendo dalla gabbia. Il cavallo in
testa ha una protuberanza, sono due corna ritorte: egli infatti ha una testa in parte
bovina ed il nome Bucefalo vuol dire proprio testa di bue. Accanto alla gabbia la
figura di Filippo il re con la corona si mette la mano sulla fronte stupito dell’impresa
del figlio
Sopra questa scena vi è quella in cui Filippo e sua moglie Olimpia si stanno
accomiatando dal giovane Alessandro poiché egli sta partendo per una spedizione
militare alla guida dei soldati, spedizione che lo porterà lontano dalla sua città.
Approfittando della sua assenza il re nemico Pausania decide di invadere la capitale
macedone ed è quello che si vede sul lato destro dell’arazzo
In basso si vedono dei soldati che forzano la porta d’ingresso di una città, dietro di
essa c’è una scena di combattimento, Olimpia ha le mani legate perché Pausania
entra in città, ferisce a morte Filippo e rapisce la regina, impadronendosi di lei oltre
che della città
In alto però vi è una seconda schiera di cavalieri guidati proprio da Alessandro che
cavalca Bucefalo con un’armatura rossiccia. Egli riconquista la città, fa prigioniero
Pausania e lo porta dal padre che a letto in punto di morte gli taglia la gola con le
sue stesse mani
La scena sotto vede Filippo con un colbacco che prima di morire nomina il figlio suo
successore, gli pone la corona sulla testa e dietro vi è la madre Olimpia che è stata
liberata

2)ci sono alcune avventure di Alessandro in età matura, dopo che è diventato re,
mentra sta conquistando il mondo conosciuto
A sinistra scena di assedio di una città molto affollata, si tratta dell’assedio di Berya
(e non quello di Tiro come spesso si dice) uno degli assedi più famosi compiuti di
Alessandro, ci sono molti dettagli truculenti, come i soldati che nella mischia si
feriscono con i fendenti di spada e gridano. Si vede anche l’uso dell’artiglieria, però
all’epoca di Alessandro Magno non si usavano le armi da fuoco come si vede qui, ma
solo le armi da lancio: si tratta di una delle prime rappresentazioni dell’artiglieria da
assedio, resa in maniera molto naturalistica sia per la tecnica di assedio sia per gli
effetti che le armi producevano. Le artiglierie si diffondono molto lentamente nel XV
secolo, l’assedio di Costantinopoli nel 1453 fu una delle prime occasioni in cui
vennero usate armi da fuoco in un assedio (cannone dei Turchi stupì il mondo, poi si
diffusero, ma erano anche molto difficili da usare e spesso esplodevano perché
imperfette). Dettaglio dell’artigliere che sta tirando la miccia e si chiude le narici
(odore forte della polvere da sparo?), il suo compagno sta sollevando un piano
inclinato, una tavola, che era una protezione della bombarda e veniva sollevata solo
al momento dello sparo. Si vede anche il momento in cui il re di Berya si arrende,
compaiono due personaggi a destra, uno è Alessandro (quello con l’armatura
dorata/rossiccia e corona), l’altro con la barba bianca e la corona è il re avversario
che, mentre Alessandro tiene la spada per il manico, lui la tiene per la lama in un
gesto di resa (codice cavalleresco: al momento della resa si consegna la spada).
Berya sarà poi rasa al suolo dalle truppe di Alessandro
Ci sono poi le avventure del volo e della discesa di Alessandro negli abissi (in
quest’opera abbiamo entrambi i concetti di ascesa e discesa), l’ultima avventura in
basso a destra è invece quando Alessandro arriva ai confini del mondo e trova esseri
favolosi come quelli pelosi che hanno la testa sul petto e lunghe barbe (Blemmi), dei
draghi, dei rettili. Egli combatteva questi esseri perché all’epoca la questione del
rapporto con l’ignoto ed il diverso si risolveva così. Questi si trovavano anche nelle
miniature che illustravano il romanzo di Alessandro e quelli dell’arazzo non si
allontanavano molto da quelli delle miniature

Perché Warburg era incuriosito da questi arazzi?


Per le scene di ascesa e sprofondamento (il saggio che lui scrive ai primi del ‘900 si
intitola “Aereonave E Sommergibile Nell’Immaginazione Medievale”(1913) nel
periodo in cui queste macchine erano agli inizi, prima della veloce evoluzione a
causa dell’impiego nella prima guerra mondiale. Quindi in quel momento
rappresentavano il progresso, la sfida dell’uomo a quei due ambienti in cui la natura
non gli aveva concesso di vivere). Egli era curioso nei confronti del progresso
tecnologico, aveva una forte fede nella scienza dovuta alla formazione in ambiente
positivista. Lo interessava la presenza di queste immagini su manufatti che ai suoi
occhi apparivano medievali, nonostante la data successiva essendo nordici non
erano stati influenzati dal fenomeno di rinascita dell’antico che invece si era diffuso
in Italia quindi a lui sembravano precedenti
Si chiese come si poneva l’uomo fra medioevo e rinascimento nei confronti di questi
temi e attraverso quali immagini poteva raffigurarli, cosa queste immagini possono
comunicare della mentalità dell’epoca

Warburg si era accorto per primo che alcuni volti nell’arazzo non erano casuali, il
volto di Filippo di Macedonia si avvicina molto a quello di Filippo Il Buono duca di
Borgogna, quindi della zona di Tournai, lo stesso per la regina Olimpia, Isabella di
Portogallo moglie di Filippo Il Buono, duchessa di Borgogna. Il volto di Alessandro si
avvicinava invece a quello di Carlo Il Temerario. Questi personaggi facevano parte di
una delle principali famiglie ducali europee, il Ducato di Borgogna prendeva nome
dalla Borgogna francese, ma il territorio di Carlo Il Temerario si estendeva anche
oltre, verso Lussemburgo e fino alle Fiandre, si era creato per acquisizioni per via
ereditaria, matrimoniale, ma anche per conquiste militari. Era un’entità statale
particolare che non corrispondeva ad una nazione in senso moderno, occupava la
zona che lo storico del ‘900 Henry Pirenne ha messo al centro dei suoi studi poiché
essendo belga proveniva dal territorio aveva fatto parte del Ducato di Borgogna
(autore di “Maometto e Carlo Magno” - in cui sostiene che il passaggio da tardo-
antichità a medioevo si ebbe non tanto per le invasioni germaniche dell’impero
romano, quanto per la comparsa della civiltà araba nel Mediterraneo). Uno dei
pilastri della sua teoria storica era la Questione della Lotaringia, era la fetta di
Europa fra Paesi Bassi e Italia che dalla divisione tra i figli di Pipino il Breve era
andata a Lotario, egli la considera la causa di tutti i mali in quanto era una zona
cuscinetto fra la futura Francia e la futura Germania che era sempre rimasta
indefinita e seppur assorbita dalle due entità aveva lasciato sempre una questione
nevralgica in sospeso da cui nascevano tanti dei problemi della storia europea, la
creazione di quella zona aveva posto le premesse per la futura instabilità.
La Borgogna era un ducato che ha avuto un secolo circa di vita e che si poneva fra il
Sacro Romano Impero e il Regno di Francia (nel ‘400 era debole e in guerra con
l’Inghilterra). Esso costituiva una delle zone più ricche d’Europa grazie alle città
mercantili delle Fiandre/Paesi Bassi/Borgogna e perciò i duchi che lo governavano
erano molto ricchi

La presenza dei volti dei duchi di Borgogna nell’arazzo si aggiunge ad altri documenti
che Warburg aveva trovato relativi alle manifatture di Tournai: c’era una
commissione di arazzi con la storia di Alessandro fatta dai duchi di Borgogna nel
1469. Inoltre una nota versione della storia di Alessandro Magno era stata scritta
nella prima metà del ‘400 dallo scrittore fiammingo/francese Jan Wauquelin ( si
pronuncia vocland) che aveva tradotto in prosa un poema su Alessandro Magno e lo
aveva dedicato a Giovanni Senza Paura, padre di Filippo Il Buono, il quale poi lo
aveva fatto trascrivere in un codice di grande lusso e una delle prime illustrazioni del
codice raffigura la consegna del codice stesso a Filippo, vestito con il tipico abito
nero alla moda borgognona e il collare d’oro al collo detto Toson D’Oro, onorificenza
creata proprio da Filippo quando ha sposato Isabella di Portogallo e che attraverso il
Ducato di Borgogna è passata all’Impero Asburgico mediante la Spagna.
La famiglia di Borgogna era profondamente legata alla storia di Alessandro Magno,
Giovanni Senza Paura, oltre ad aver fatto tradurre il poema, nella battaglia di
Nicopoli contro i turchi era stato fatto prigioniero ed il padre dovette pagare un
riscatto molto elevato al Sultano per riavere indietro il figlio, parte di questo riscatto
era una serie di arazzi dedicati sempre alla storia di Alessandro Magno che
evidentemente piaceva molto anche ai turchi. Non è un caso poiché i sultani
ottomani nel momento in cui fondano uno stato che inizia ad espandersi in Europa
cercano dei modelli nel passato ed Alessandro Magno è uno di questi, inoltre dato
che Alessandro aveva conquistato il medio oriente ma era morto prima di poter
provare a conquistare l’occidente, il sultano che aveva fatto prigioniero il duca si
presentava come continuatore dell’impresa di Alessandro e si era perciò fatto fare
questa serie di arazzi. Nonostante fossero musulmani essi si ispirarono al mondo
classico, anche nelle denominazioni ispirate alla città di Roma (Sultanato di Rum
(Roma), primo stato che gli ottomani fondano in Anatolia, sovrapponendosi pian
piano all’impero bizantino/fortezza di Rumenia sul Bosforo) oppure alle lavorazioni
tipiche bizantine e anche occidentali (portali e mura decorati con materiali antichi di
spoglio). Inoltre Alessandro Magno che per noi è un greco che conquista l’oriente,
per loro è un macedone che conquista l’oriente e che stava anche per conquistare
l’occidente, quindi non è strano che un turco volesse decorare la sua casa con
manufatti di produzione e provenienza europea e che rappresentavano
quell’iconografia

Il romanzo di Alessandro (la versione delle storie di Alessandro Magno che si è letta
in Europa durante il medioevo e fino all’inizio dell’età moderna) era qualcosa di
molto complesso. Stemma: linee di sviluppo di un certo prodotto letterario
Come si è diffusa la storia di Alessandro Magno in Europa e non solo, prima che il
Rinascimento italiano e la riscoperta degli storiografi classici non imponesse un
ritorno alla storiografia propriamente detta. Questo ritorno però non ha sempre
significato un avanzamento della conoscenza: le storie romanzate delle avventure di
Alessandro hanno origine nell’antichità classica, da Pseudo-Callistene: testo di cui
l’originale è perduto che è contemporaneo o di poco successivo ad Alessandro
stesso, già all’epoca raccoglieva una serie di narrazioni su di lui di cui poi solo alcune
sono passate alla storiografia greca e romana. Callistene sarebbe colui che avrebbe
raccolto le gesta di Alessandro quando egli era vivente, Pseudo-Callistene non era lui
e formula questo testo mischiando cose reali a cose fantasiose.
Questo testo ha tutta una sua diffusione:

Vi sono due versioni dello stesso testo Pseudo-Callistene α e Pseudo-Callistene δ :


Delta deriva da Alfa ma ci sono differenze, la Delta ha delle aggiunte rispetto alla
Alfa (storie in più)

Delta a sua volta si divide in due rami:


- ramo medio-orientale, scritto in greco, da cui deriva il testo che si è letto in Siria, in
Arabia e nel cristianesimo orientale (ci saranno anche le versioni persiana e indiana
della storia). Le storie di Alessandro, personaggio storico macedone/greco, si
diffondono quindi sia in occidente che in oriente, mediante le traduzioni dal greco
all’arabo, al persiano
- ramo occidentale, storia trasmessa da Leone Arciprete, presbitero napoletano del
IX sec. Egli ha contatti con Bisanzio e conosce il testo di Pseudo-Callistene, lo copia,
lo traduce e da questa traduzione avranno origine tutte le successive versioni in
latino da cui poi deriveranno anche quelle in volgare.
Manoscritto di Bamberga: uno dei due manoscritti di Leone viene fisicamente
trasferito in Germania e lì ulteriormente copiato.
Historia De Preliis: uno dei testi latini principali che diventa un testo di riferimento
Dalle versioni in latino derivano anche le traduzioni in svedese, olandese, tedesco,
francese
Jan Wauquelin nel 1420 circa è l’ultimo della serie, prima di lui la storia di
Alessandro si è diffusa in varie versioni e traduzioni, il nocciolo della storia resta
sempre quello, ma ogni traduttore cambia dettagli o aggiunge storie, ci mette del
suo perché traduce ognuno per il suo pubblico che è diverso. Egli quindi dietro di sé
ha una tradizione di almeno 3 secoli contando solo quella occidentale, quella
orientale addirittura risale al III sec a.C.
La diffusione di un testo antico è sempre molto complicata, quando noi parliamo di
un testo dicendo il suo titolo non ci riferiamo a un testo solo, ma a un insieme di
testi in rapporto fra loro, ma con varie differenze

Warburg non aveva tenuto conto di ciò, e non aveva ad esempio considerato che le
miniature del testo di Wauquelin corrispondono poco a ciò che si vede negli arazzi

Discesa di Alessandro: dopo aver esplorato in volo su dei grifoni il cielo, decise di
esplorare anche le profondità del mare e lo fece mediante una botte costruita
appositamente legata a un filo di canapa che i compagni reggevano da un battello.
Egli vide molte meraviglie (come pesci bipedi in forma di uomo e di donna) e capì
che per governare saggiamente non serve solo la forza, ma anche l’astuzia (vide
pesci piccoli che riuscivano mediante l’astuzia ad averla vinta sui grandi dotati di sola
forza).
Tutti questi elementi sono inclusi nella miniatura annessa al testo, essendo stata
creata insieme al testo lo segue pedissequamente

L’arazzo invece non è così, la botte non è verticale, ma orizzontale, e somiglia più a
una botte di vino. Nelle braccia allargate tiene dei candelieri (a quei tempi non si
erano posti il problema di come il fuoco bruciando in fretta l’ossigeno lo avrebbe
indotto alla morte). Inoltre non si concentra molto su ciò che Alessandro vede,
quello che interessa è più la scena in superficie con le catene – e non la fune - che
reggono la botte.
L’arazzo somiglia più ad altre miniature più antiche rispetto a quella del testo di
Filippo Il Buono (primi del ‘300)

Volo di Alessandro: egli si fa trainare da una serie di grifoni, tiene le aste con
attaccati dei pezzi di carne come esca per far decollare i grifoni.
Wauquelin racconta che arriva ai confini del mondo conosciuto e stando su una
montagna altissima si pone il problema di esplorare il cielo. Allora si fa costruire una
gabbia metà lignea metà metallica e fa imprigionare 4 grifoni, li tiene a digiuno e poi
si solleva grazie a loro che sentendo la fame sono attratti dai pezzi di carne
La miniatura del testo di Filippo Il Buono anche in questo caso non corrisponde a ciò
che vediamo nell’arazzo, si hanno solo 2 grifoni, la gabbia è metallica e Alessandro
sta in piedi tenendo un’asta con la carne. L’arazzo è molto simile a miniature di
pieno medioevo in cui si ha una gabbia lignea in cui Alessandro sta seduto e tiene
due aste incrociate e i grifoni incatenati decollano. Sotto compaiono anche i baroni
di Alessandro che lo guardano decollare ed essi compaiono anche in miniature del
‘300. Questo dettaglio deriva dai testi liturgici, in Inghilterra si impone la tradizione
per cui miniatura dell’ascensione è composta solo dai piedi di Cristo che per metà
sta già in paradiso (i lettori sulla Terra vedono ciò che vedevano gli apostoli), gli
apostoli alzano la testa e con le mani sulla fronte si riparano dalla luce divina. Gli
stessi gesti si ritrovano nell’arazzo e nelle miniature contemporanee, quindi queste
immagini tengono conto anche di altri riferimenti, anche di scene più note

Warburg non ragiona tanto sulle fonti specifiche degli arazzieri quanto sulla
memoria a lungo termine degli artigiani: quell’immagine contiene tante altre cose,
apparentemente è lontana dall’Alessandro Magno storico (quest’avventura infatti
sparisce dai testi europei quando viene recuperata la storiografia classica). In realtà
ha qualcosa dell’immagine di Alessandro che la storia ha tramandato e questa
immagine ha a che fare con il suo compararsi fin da quando era in vita con la divinità
solare e con l’astro del giorno
Metopa che raffigura Helios che proviene da Ilio (attuale Turchia), scolpita varie
generazioni dopo la morte di Alessandro: non è Alessandro, ma il dio del sole, però il
volto con i raggi di sole intorno alla testa riporta alla memoria l’immagine che egli
aveva imposto di se mediante la commissione di ritratti ideali (di cui oggi abbiamo
solo le repliche romane). Egli aveva lo sguardo rivolto verso il cielo, come se avesse
contatto diretto con la divinità
Terracotta che allude ad Alessandro “Cosmocrator”, che governa il cosmo nella sua
totalità (terra, cielo, mare): si fa rappresentare con sulla testa un diadema con una
stella a 8 punte, elemento araldico tipico della famiglia macedone ed elemento
solare, egli lo usa nei suoi ritratti ed è ancora attiva

La Macedonia è sempre stata in polemica con la Grecia sulla memoria di Alessandro


Magno, quando si è dichiarata indipendente nella sua bandiera ha messo la stella a
8 punte color oro simbolo della dinastia macedone e la Grecia ha provato a
boicottarla, ottenendo infine sia il cambiamento della bandiera sia il cambiamento
del nome – Repubblica della Macedonia del Nord – poiché la Macedonia era una
regione della Grecia e lo stato greco non vuole che la Macedonia slava possa
impossessarsi delle memorie storiche della Macedonia greca, non per questioni
territoriali, ma per questioni ideologiche: per loro Alessandro è greco, nonostante i
macedoni nel IV sec fossero considerati barbari, e non ha nulla a che fare con uno
stato che deriva da una fase successiva della storia dei Balcani. Al tempo stesso i
Macedoni hanno insistito molto sulle memorie classiche, usando i simboli e facendo
una campagna culturale per tutelare Alessandro come figura principale della
nazione macedone
Questo tipo di immagini che sembrano lontanissime dalla nostra attualità in realtà si
trovano quindi ancora nel dibattito politico ed economico, in quanto la Grecia ha
bloccato l’ingresso della Macedonia nell’Unione Europea, facendo in modo che si
creassero nuovi allineamenti est-ovest, coinvolgendo anche le potenze come USA e
Russia

Il discorso di Warburg su queste immagini in cui vedeva la sopravvivenza dell’antico


in immagini medievali ruota attorno alle rappresentazione di divinità solari
mediorientali che nascono dal sincretismo della religione greca con le religioni
mesopotamiche favorito da Alessandro Magno. In età imperiale romana si vedono in
bassorilievi che si trovano a Roma divinità come Malakbel (divinità solare di Palmira)
che fanno trainare il carro solare da grifoni
Lezione 6 (24 marzo 2021)

In medio oriente Alessandro Magno è un personaggio ambivalente, è visto come un


invasore, ma in Persia nonostante ciò solo all’inizio è stato visto negativamente, poi
hanno cambiato opinione. La sua fortuna in medio oriente dipende molto dalle
imitazioni, perché nella letteratura del luogo un personaggio come Kay Kavus, una
sorta di sultano persiano, si sposta anche lui con una macchina volante trainata da
uccelli e non da grifoni ed è un’immagine che prende esempio dal volo di Alessandro

In un acquerello è rappresentata la discesa di Alessandro negli abissi dentro la botte


di cristallo, di Mukunda 1597 (India)

Jean Wauquelin dice che dopo che Alessandro avrebbe sottomesso i regni orientali,
fino alla indie, giunse a un monte la cui cima sembrava toccare il cielo, e nel
contemplarlo pensava a come superare le nuvole per sapere cosa fosse l’aria,
chiamò dunque i carpentieri e si fece costruire una gabbia nella quale potersi sedere
comodamente, dopodiché fece portare otto grifoni, dei quali possedeva una una
quantità nel suo esercito, perché li portava con sé dall’India, fece incatenare due
grifoni per ogni lato della gabbia, comandò ai suoi baroni di aspettare finché
ricevessero sue notizie, entrò nella gabbia, portando con sé spugne intrise d’acqua,
una lancia con un pezzo di carne all’estremità, che teneva in alto al di fuori della
gabbia. A questo punto i grifoni, nel tentativo di afferrare la carne, presero il volo e
sollevarono la gabbia e salirono tanto in alto che i baroni perdettero di vista il loro
signore. Alessandro giunse al di là della regione dell’aria pura, in quella del fuoco, e
strofinò le zampe degli uccelli con le spugne per rinfrescarli e si rinfrescò anche lui,
diresse lo sguardo verso il basso e la terra da lassù gli sembrò un giardinetto
circondato da un recinto e il mare gli appariva come un serpentello. Quindi,
temendo che il piumaggio dei suoi uccelli potesse bruciare, pregò Dio di lasciarlo
tornare sano e salvo a terra, per amore della sua salute e quella del suo popolo. Dio
fece avvolgere la gabbia e gli uccelli dalle nuvole e tornarono indietro, ma egli
atterrò in un posto lontano dieci giorni di cammino dal suo esercito. E Alessandro
uscì dalla gabbia e ringraziò il Signore per il beneficio di averlo riportato indietro e
andò alla ricerca del suo esercito, che raggiunse il sesto giorno e quando i baroni lo
videro lo salutarono nel modo più riverente possibile, lo lodarono gridando viva
Alessandro signore del mondo e della terra.

Il dio Malacbel, culto nato nell’epoca imperiale romana, il cui altare si trova ai musei
capitolini, ha in comune con A. il fatto di decollare su un carro tirato da grifoni e
questo stesso altare porta su un fianco l’immagine dell’apoteosi della divinità solare,
e l’iscrizione in latino dice “sacro l’altare al santissimo sole”

L’immagine dell’apoteosi con il sole sulla groppa di un’aquila è uguale a quella che si
trova nella volta nell’arco di Tito, che rappresenta la sua apoteosi.

L’arco di Tito è un monumento trionfale e funerario al tempo stesso, perché durante


la costruzione l’imperatore muore, all’apice della volta infatti c’è l’apoteosi, lui viene
potato dall’aquila di Giove in cielo, tra gli dei

Sulle pareti interne c’è il suo trionfo, lui sta sul suo carro, accompagnato dalla
Vittoria alata che gli corona la testa.

Anche il dio Malacbel ha alle sue spalle la Vittoria che lo sta coronando

Stessa cosa nel rilievo di epoca romana dell’imperatore Lucio Vero, che regna per
nove anni con Settimio Severo, l’apoteosi cambia di poco, al posto dei grifoni ci sono
i cavalli che decollano e la Vittoria accanto all’imperatore

Tutto questo cambia quando lentamente l’impero assume un orientamento


religioso, non più politeistico, ma monoteistico, ma le cose non cambiano molto,
perché anche gli imperatori, da Costantino in poi, che si definiscono cristiani non
smettono di identificarsi con Alessandro. Lo dimostra la moneta di Costantino col
doppio profilo, il suo in primo piano e in secondo quello di Alessandro “sole” con la
corona raggiata

Costantino per primo si identifica con il sole, fa una triangolazione, Costantino,


Alessandro, Elios, nella colonna di Costantino a Costantinopoli, e sulla cima c’era una
statua

-- --

I cavalli sono importanti in Occidente perché col tardo impero romano un’immagine
trionfale è quella dell’Imperatore sulla quadriga

Un esempio è una moneta imperiale con l’Imperatore sul carro con quattro cavalli e
il “crismon” una sorta di croce, vittorioso e un altro pezzo, quello di Giunio Basso,
che era un prefetto di Roma, che si atteggia mostrandosi nei trionfi nel circo (pompa
circensis)
Lo stile evocativo, non più naturalistico, crea un’immagine quasi araldica, con i
cavalli che girano ai lati e non c’è più la prospettiva.

Un rilievo murato su una delle facciate della basilica di San Marco, che viene da
Costantinopoli, VI sec. l’immagine riprende quella della pompa circensis con i grifoni
sui lati e la gabbia di Alessandro assume la forma di un carro con le ruote della
quadriga e c’è una doppia asta, non una sola lancia con la carne, per ottenere una
certa simmetria

L’immagine dell’apoteosi era usata materialmente da coloro che venivano ricevuti


dall’Imperatore, e c’è un passaggio che riguarda Liutprando da Cremona, mandato
nel 949 presso Costantino VII Porfirogenito, introdotto nella sala del trono e
dinnanzi al trono stava un albero di bronzo dorato con i rami pieni uccelli, anche essi
di bronzo dorato, di vario genere e cantavano, il trono era fatto in modo che un
momento fosse al suolo e poi s’innalzasse sempre più in alto e c’erano due leoni di
immensa grandezza ricoperti d’oro sembrava lo custodissero, percuotevano la terra
con la coda e dalla bocca aperta, con le lingue mobili, emettevano ruggiti.
Liutprando sulle spalle di due eunuchi fu portato dall’Imperatore, ma non si stupì e
non si impaurì perché aveva già sentito parlare di quelle meraviglie e si prostrò tre
volte davanti all’Imperatore. Poi sollevò il capo e vide l’uomo che stava sul trono in
alto, vicino al soffitto con altri abiti, forse lo tirarono in alto con un argano.

Tutto questo serviva a impressionare chi stava al cospetto dell’Imperatore e questa


procedura ha sicuramente a che fare con l’idea dell’apoteosi.

C’è un Grifone di metallo che si trova a Pisa, che molti ritengono sia una statua
meccanica, che ha al suo interno delle prese d’aria e passaggi, che trovandosi sulla
cupola del Duomo, col vento produceva dei suoni

A Costantinopoli ci sono queste tradizioni che passano anche nelle arti figurative, nei
tessuti liturgici, in una delle quali si riconosce la figura quasi araldica di Alessandro
che ascende e si distinguono i grifoni (diadema)

Il volo di Alessandro, nel Medioevo, è molto rappresentato nelle arti cristiane e il


suo valore dipende dal contesto culturale in cui viene prodotta e dal modo in cui
viene inserito all’interno della decorazione

A Costantinopoli aveva un valore positivo, perché era l’immagine dell’Imperatore,


che scimmiottava la sua apoteosi
Nella Puglia Normanna del XII sec (territorio sottratto ai Bizantini) assume un valore
negativo e compare spesso, si trova nel mosaico pavimentale di Otranto e in questo
contesto Alessandro si trova accanto alla Torre di Babele, che sfida il cielo e
Alessandro fa la stessa cosa e questo non può essere ben visto da Dio, che ci sta di
diritto

Inoltre il volo aveva un valore negativo in quanto era usato in funzione anti-
bizantina

A Venezia si trova un’immagine proveniente direttamente da Costantinopoli, che è


stata montata su una delle facciate di San Marco in seguito alla quarta Crociata
1204, quando i veneziani saccheggiarono la città. In questa occasione i quattro
celebri cavalli di bronzo raggiungono Venezia e così altri pezzi d’arte che vengono
posti per decorare la facciata, insieme ad opere realizzate appositamente “in stile”.
All’epoca non era la Cattedrale, ma la cappella del Doge, la chiesa Palatina, ossia del
palazzo dove egli abitava

Avviene con questa trasformazione del palazzo del Doge una ‘traslazione
dell’Impero’, come da Roma si era passati a Costantinopoli, da Roma ad Aquisgrana,
ai tempi di Carlo Magno, così i veneziani tentano di traslare Costantinopoli a
Venezia.

Venezia ha quindi un’immagine positiva di Alessandro, perché si vuole sovrapporre


all’impero bizantino, in quanto non è più sua alleata, ma ci riesce solo a livello di
immagine

A Moissac in Francia, c’è un capitello con doppia rappresentazione del volo di A.

personaggio con i grifoni, qui si presume una lettura positiva perché accanto ci sono
Davide e Golia, figure positive.

A Fidenza, nella pianura padana, sul lato destro della torre della Cattedrale c’è il volo
di A. la figura è vista negativamente, perché è abbinata a un fregio con allusioni a
scene di peccato.

Il volo nella cultura Occidentale e in particolare in quella cristiana ha sempre un


valore negativo, perché significa voler lasciare quello che è l’ambiente naturale
dell’uomo, cioè la Terra, e voler scalare il cielo e fare qualcosa che non rientra nella
natura umana. C’è una storia esemplare da questo punto di vista, quella di Simon
Mago, che non si trova nei Vangeli canonici, tratta di un mago che sfida San Pietro
nel volo ed è destinato a schiantarsi, perché sta sfidando la divinità

L’altro elemento, che è canonico invece, sono le tentazioni di Cristo, rappresentate


nella Cappella Sistina. L’affresco mostra il diavolo sulla guglia del tempio e dice a
Cristo di buttarsi giù, per dimostrare di essere il vero figlio di Dio, perché in tal caso
gli angeli lo avrebbero sostenuto. “Non tentare il Signore tuo Dio.” risponde Cristo

Nella tradizione cristiana l’unico che ascende al cielo è Cristo dopo la resurrezione, il
volo non può che essere legato al Redentore. I primi cristiani legano quindi
facilmente quest’idea al sole, il Sol Invictus e gli imperatori paragonano la loro
apoteosi al sorgere del sole, ma lo fanno solo i primi imperatori, nel tardo medioevo
questo decade

Il volo di Alessandro quindi è ambiguo, infatti l’inserimento di questa storia in certe


redazioni della storia, come nel libro che rappresenta una sorta di storia del mondo
scritto da Rudolf Von Ems (metà del XIV sec) in cui c’è un dialogo tra Alessandro e un
essere alato, che può essere un angelo che lo ferma e dice che oltre un certo livello
non si può andare

Nella fisica classica, quella tolemaica e poi medievale, oltre la sfera del cielo c’era
quella dell’aria e poi quella del fuoco che impediva di volare fino alle stelle fisse,
quindi l’impaccio di Alessandro era materiale, c’era il calore e la possibilità che i
grifoni vadano in fiamme, mentre Von Ems parla di uno arresto divino, (miniature
dove si vede la distanza di A. dal pianeta, che è la pallina che appare vicino al mare)

Mappa Mundi in cui sono raffigurati i tre continenti conosciuti all’epoca, Asia,
Europa, Africa, divisi dal mare che ha una forma di Tau che è il sistema
Mediterraneo, (Mar nero, Mar Rosso) circondato dall’Oceano

C’è anche il dipinto di Giovanni Di Paolo, prima del Quattrocento, scientificamente


preciso perché c’è la mappa mundi con l’Asia in alto e la montagna del Paradiso, si
nota bene che la Terra è circondata dalle acque, la sfera verde, poi c’è l’aria, la sfera
celeste, e infine il fuoco, la sfera rossa

In questa miniatura si vede che la persona che sporge dalle nuvole è proprio Dio,
figura barbata con un nimbo intorno alla testa, che fa un gesto eloquente col dito,
dicendo in tal modo ad A. di fermarsi.
Il testo dice che Dio gira la lancia in basso e la punta verso quella aiuola che è il
mondo, affinché i grifoni riportino giù A.

Miniatura con figura angelica: compare un trono e un angelo anziché l’immagine di


Dio

Questo sembra comparire anche nel nostro arazzo, una figura con sembianze divine
e tanti angeli tessuti intorno

Nell’arazzo che si trova in Francia e fa parte della serie dell’Apocalisse vi è lo stesso


gesto, Dio appare in uno squarcio formatosi tra le nuvole, ma in questo caso è una
visione di San Giovanni. Dio si rivolge a lui con un gesto della mano che significa di
andare e raccontare sulla terra ciò che sta vedendo

La mano usata da Dio è la sinistra, ma non è un gesto di maledizione verso A. ma


forse non è così, il testo francese di Jean Wauquelin è diverso da quello italiano, dice
che in realtà A. chiede a Dio di poter tornare sulla terra, perché il suo popolo ha
bisogno di lui

Miniatura tratta dal libro del Denervelle: manoscritto prodotto per i Duchi di
Borgogna prima del Quattrocento, sono racconti che riguardano l’Asia, le sue
meraviglie, e in questo manoscritto c’è una delle versioni del Milione di Marco Polo.

In uno di questi racconti si narra di come Dio sia intervenuto per proteggere i
cristiani perseguitati dai persiani, compare la cavalleria persiana che insegue i
cristiani che pregano e Dio, che appare tra le nuvole fa un gesto con la sinistra
perché sta mandando verso i persiani la nebbia

La nebbia protegge i cristiani e probabilmente questa immagine deriva da questa


rappresentazione, quindi Dio col gesto che compie con la mano sinistra, non sta
punendo A. ma lo sta coprendo il fuoco con le nuvole, per aiutarlo a tornare indietro
illeso

Alla fine della storia dunque, A. è tornato al suo popolo e viene proclamato dai
baroni signore del cielo e della terra e questo titolo, che i cristiani danno solo a Dio,
fa pensare che il suo volo non sia visto in modo negativo, ma spiega la celebrazione
rivolta al monarca, che è considerato anche Cosmocrator, dominatore del cosmo

E nella parte superiore dell’arazzo c’è la discesa negli abissi che nel libro viene dopo
l’ascesa in cielo e completa il dominio del pianeta, terra, cielo e mare
Alessandro qui compare con una veste molto ricca, mette in risalto la regalità e ha
una corona bordata di ermellino, con una sorta di archetti che si attaccano in cima,
ricoperti di perle. Si tratta di una corona usata nel sacro romano impero e non
rappresenta una novità, perché in area bizantina A. viene salutato come re del
mondo, in quanto modello degli imperatori romani, viene rappresentato con gli abiti
di imperatore bizantino con in mano la sfera, il globo, che significava il dominio del
mondo conosciuto

Questo lo troviamo in tutto un altro contesto, gli affreschi che si trovano al castello
della Manta, Piemonte, appartenuto ai Marchesi di Saluzzo, piccoli feudatari rispetto
ai Duchi di Borgogna, ma la corte era culturalmente raffinata.

Uno dei marchesi di Saluzzo scrive un testo cavalleresco a cui si ispirano molti degli
affreschi del castello, intitolato “Le chevalier errant”.

In questa stanza si trovano le figure dei nove prodi e delle nove eroine, cioè i
personaggi della storia e della letteratura. Le donne sono tutte regine delle
amazzoni, gli uomini di varie estrazioni, ci sono Giulio Cesare, Carlo Magno, il re
Davide, re Artù, Alessandro Magno,ossia personaggi storici, sacri e letterari.

Tutto questo è una rielaborazione cavalleresca della storia del mondo e Alessandro è
rappresentato con abiti imperiali e il globo con la croce in cima anche se lui non
c’entra con la storia cristiana, dato che è vissuto in una epoca precedente.

E c’è un altro dettaglio attribuito ad Alessandro, è uno stemma che mostra uno
scudo rosso con l’immagine di un leone seduto che ha in mano un’alabarda, è lo
stesso stemma che compare nei nostri arazzi. Nella scena di battaglia, le bandiere
dell’esercito di A. portano questo emblema.

Questo dettaglio non c’entra con A. storico

Gli affreschi della Manta precedono i nostri arazzi, ma usano simbologie simili che
erano comprensibili a chi commissionava queste opere

Warburg non ha dubbi riguardo i committenti di questi arazzi e considera che siano i
duchi di Borgogna, in particolare a Carlo il Temerario, partiva dalla presenza dei
ritratti, dal manoscritto Jean Wauquelin che aveva lavorato per Giovanni Senza
Paura, poi il manoscritto era stato riprodotto per Filippo il Buono e si basava anche
su un documento che attesta che nel 1459 Filippo compra dagli arazzieri di Tournai
una stanza di Alessandro, ossia una serie di arazzi per decorare una stanza
Considerando questi elementi Warburg fa la sua dichiarazione, ma oggi queste
testimonianze non bastano perché la narrazione degli arazzi resta incerta

Inoltre in quello stesso anno (1459) gli arazzieri di Tournai, che vendevano a Filippo
il Buono si recavano anche presso i Visconti di Milano a mostrare i disegni della
storia di Alessandro, questo dimostra che gli arazzi non erano dei pezzi unici, c’era
una produzione che oggi diremo seriale, anche se di pochi pezzi.

Quindi questi arazzi possono essere stati acquistati da altri nobili e dato che si
trovano i Italia, è possibile che non siano quelli appartenuti a Filippo il Buono e
neppure a suo figlio, Carlo il Temerario

Ci sono due punti da tener presente il primo è che non sappiamo se gli arazzi fossero
soltanto due, forse ce n’erano altri, perché abbiamo la giovinezza di Alessandro,
alcuni episodi della maturità, ma non abbiamo la nascita, che è raccontata nel
romanzo medievale, e non abbiamo le guerre contro Dario, della quale ci sono solo i
disegni in pergamena

Il secondo punto è che la storia negli arazzi non è rappresentata come la narra Jean
Wauquelin, probabilmente si rifanno ad altri testi

A questo proposito c’è la scena cruenta di Pausania. La storia narra che Alessandro si
assenta dalla campagna militare e Pausania conquista la capitale macedone, ferisce
a morte Filippo, rapisce Olimpia, ma poi viene sconfitto da Alessandro che lo porta
davanti a Filippo moribondo, che con le sue mani taglia la gola a Pausania

Questo episodio sta nella versione in prosa del romanzo che circolava in Francia,
prima di quella di Wauquelin e non viene rappresentata nelle miniature che
illustrano il romanzo di Alessandro

Molto probabilmente gli artigiani che hanno creato questi arazzi si sono dovuti
ispirare a qualcos’altro, a una leggenda nordica chiamata “La giustizia di Erchimbald”

Questo personaggio era il duca di Brabante, una regione del nord francese, si narra
che il duca aveva condannato a morte un suo nipote, che aveva violentato una delle
serve del palazzo. Essendo un uomo giusto condanna il nipote, ma si ammala e il
condannato si salva. Quando però Erchimbald viene a sapere che il nipote non era
stato giustiziato, con una scusa lo chiama nella sua stanza e nel momento in cui si
avvicina al suo letto gli taglia la gola, eseguendo personalmente la condanna emessa
Nel Quattrocento la versione più famosa è quella dell’arazzo che riproduce un ciclo
dipinto da Roger Van Der Weyden.

Rappresentato nel palazzo comunale di Bruxelles insieme a un altro esempio di


giustizia, quella della leggenda dell’imperatore Traiano.

Questi due esempi funzionavano in coppia, uno classico romano e uno nordico
medievale, sulla destra si vede la giustizia di Erchimbald

Della storia di Erchinbald non ci sono immagini, ma solo una tradizione testuale che
deriva dalla cosiddetta linea α del romanzo di Alessandro, c’è questa storia, mentre
nella linea δ si trova il volo e la discesa negli abissi ed è evidente che chi ha
commissionato quell’arazzo ha chiesto illustrazioni che non si trovano tutte in un
unico testo, quindi l’ha voluta appositamente. Gli arazzieri si sono organizzati per
creare un unico ciclo di una storia che derivava da varie fonti, ma aveva un unico
protagonista.

A Warburg interessava molto questa storia, perché in Alessandro vedeva la


sopravvivenza dell’antico, il protagonista abbigliato alla moda di Borgogna, vestito
come un imperatore del sacro impero, ma anche quello che faceva era importante.

Alessandro è un monarca, sta sulla linea degli imperatori, una linea che continua da
Alessandro, che passa da Augusto, da Costantino, fino al duca di Borgogna che
rispecchia se stesso nel sacro romano imperatore, in quanto legittimo successore
degli imperatori che celebravano la propria apoteosi.

Quindi i grifoni non sono casuali, non appartengono alla favola medievale, ma sono
presenti come elemento di apoteosi solare, che sotto le spoglie del romanzo si
mantiene attivo

Per Warburg in questa immagine c’era anche la rinascita dello spirito classico, lo
spirito intraprendente, quello che con aveva limiti di tipo religioso o fisico.

Nel Rinascimento lo spirito dell’uomo viene considerato dominante sull’universo e


per questo autorizzato a spingersi oltre i limiti imposti dalla natura.

Sul fondo del mare, al di là dei cieli, al di là delle colonne d’Ercole

Queste erano immagini superficialmente medievali, influenzate dalla tradizione


tardo gotica, ma spiritualmente rinascimentali, celebravano l’uomo che si innalzava
oltre i propri limiti e per Warburg queste immagini stavano ad un incrocio
importante della storia, si trovavano al limite del medioevo, un mondo ancora
chiuso e l’inizio del rinascimento, un’epoca di esplorazioni geografiche e scientifiche

Anche la mobilità delle opere d’arte interessava W.

L’arazzo è un’opera d’arte mobile, anche se molto grande, ma è mobile perché può
essere arrotolata e spostata da una residenza all’altra

Gli arazzi proteggevano anche dal freddo e potevano essere cambiati a seconda
delle stagioni o dei momenti e nel nord Europa erano molto usati

Se il padrone di casa non c’era, venivano tolti e messi nei depositi affinché si
conservassero meglio

Potevano essere spediti come doni, viaggiare quindi e questo è stato fatto fino
all’Ottocento.

La mobilità era vista in modo positivo da W. perché quando l’opera d’arte diventa
veicolo di diffusione delle storie che rappresenta e possono conoscerla in tanti

Gli arazzi borgognoni, sono stati a Roma, poi a Genova e sono stati veicolo di
immagini

W. era molto interessato al viaggio delle storie che avviene attraverso le tradizioni
letterarie, iconografiche, il volo di Alessandro anche se tradotto in chiave
cavalleresca ha a che fare con l’apoteosi solare e quella imperiale, ma questi
messaggi che viaggiano, trovano letture diverse, positive o negative a seconda del
contesto e dell’epoca nelle quali si vengono a trovare

Warburg per tutta la vita ha studiato come la memoria classica ha attraversato i


secoli e in varie forme è sopravvissuta alla fine dell’Impero romano e si è trasmessa
al Medioevo per rinascere nel Quattrocento e nel Seicento (Rinascimento)

I suoi allievi hanno continuato a studiare come il Medioevo abbia interpretato il


classico e lo abbia trasmesso alle epoche successive, tra cui Panofsky

W. ha studiato anche i motivi psicologici della sparizione e della riapparsa del


classicismo e lo ha fatto prendendo spunto da una serie di temi, tra i quali c’era la
storia di Alessandro
Lezione 7 (29 marzo 2021)

Cosa può legare una metopa del Partenone a un bassorilievo fiorentino del XV sec
(Cappella Sassetti, S. Trinita, Firenze) ? Può esserci una questione legata allo stile,
nel rinascimento veniva recuperato il classico, ma perché nella Firenze del ‘400
artisti e committenti sentono l’esigenza di ‘riattivare’ lo stile classico?
Sono le domande che si poneva un gruppo di studenti di fine ‘800 giunti a Firenze
con il loro professore August Schmarzow (docente dell’Università di Bonn, in
Germania, inviato proprio da essa per creare un istituto di cultura tedesca, l’attuale
Kunsthistoriches Institut in Florenz)

Tra gli studenti vi è anche un giovane allievo di nome Abraham Moritz Warburg
(Aby), di origine ebraica, che rimarrà molto legato a Firenze e vi si recherà più volte
(“Ebreo di sangue, amburghese di cuore, d’anima fiorentino”). Egli studia la Cappella
Brancacci, scrive una tesina sui marmi del Partenone, legge la critica al Laocoonte di
Lessing. È il primogenito di una famiglia importante di banchieri che dalla fine del
‘700 avvia una redditizia attività bancaria e un secolo dopo è un’istituzione
importante e ramificata anche all’estero (rapporti con Francia, Inghilterra, USA), egli
avrebbe dovuto prendere le redini della banca invece fin da giovane capisce che
quella non era la sua strada e cederà così il posto di capofamiglia al fratello Max che
guiderà la banca. Anche gli altri fratelli avevano un ruolo nella banca, Paul andrà
negli Stati Uniti e sarà tra i fondatori della Federal Reserve (struttura bancaria
federale su cui si regge parte dell’economia americana). Nel 1919 alla firma del
Trattato di Versaille alla fine della prima guerra mondiale erano presenti sia Max che
Paul Warburg che trattano uno per gli sconfitti (Germania) e uno per i vincitori
(USA). La famiglia Warburg quindi è estremamente importante e Aby è potuto
diventare un grande studioso anche grazie alle notevoli disponibilità economiche
della famiglia che gli ha permesso di intraprendere un certo tipo di studi, quelli di
storia dell’arte: è una scelta contro corrente per una famiglia ebraica poiché il
rapporto che la cultura dell’ebraismo aveva un rapporto complesso con le immagini
di tipo pagano e cristiano. Nonostante ciò la famiglia lo ha sempre appoggiato anche
quando ha deciso di fondare il Warburg Instutute

Nonostante fosse di Amburgo egli studia a Bonn perché ad Amburgo l’università non
c’era (creata solo nel 1919 dopo la guerra, era una città commerciale, porto
fondamentale in Europa), mentre a Bonn c’era stata la prima cattedra di Storia
dell’Arte di tutta la Germania fondata nel 1860 ancora prima dell’unificazione (in
Italia è stata istituita nel 1901 alla Sapienza, nonostante la Germania avesse una
situazione statale simile a quella italiana e l’unificazione politica sia avvenuta per
entrambe nello stesso periodo, l’unificazione culturale in Italia è avvenuta molto
dopo, mentre i Germania era già in azione da tempo e si proiettava anche verso
discipline ancora in formazione)
I professori di Warburg furono Carl Justi (storia dell’arte moderna, specialista di
biografia artistica) ed Henry Thode (autore di un volume sul ruolo che la cultura
francescana ha avuto nella cultura italiana, lo sguardo di Francesco sul creato ha
contribuito alla ripresa del naturalismo nel rinascimento). Thode ha anche costruito
il Vittoriale degli Italiani, la villa di Gabriele D’Annunzio a Gardone (BS) che egli ebbe
in dono dallo Stato italiano dopo le sue imprese durante la prima guerra mondiale e
lo Stato a sua volta l’aveva requisita a Thode quando durante la guerra aveva
requisito tutte le proprietà tedesche e austriache sul territorio (Palazzo Venezia e
Villa D’Este dagli Asburgo

Warburg all’università segue anche corsi di Herman Usener (studi sul mito come
oggetto culturale e non solo narrazione di leggende antiche, si interroga sul ruolo
del mito nella cultura umana, su da dove deriva; fa anche da mediatore dell’opera di
Tito Vignoli, studioso italiano del mito)
Segue le lezioni di Karl Lambrecht, fondatore della ‘ psicologia del popolo ’, voleva
inquadrare la cultura delle varie epoche e popolazioni come un fenomeno
psicologico. Un altro professore è Herman Osthoff, filologo, la filologia è importante
perché è un approccio scientifico alla lingua e alla parola, viste come oggetti
materiali che seguono delle regole e hanno un’evoluzione. Warburg si interessa
anche delle opere di Darwin che poco aveva a che fare con le discipline umanistiche
e lo fa a Firenze alla Biblioteca Nazionale, legge il libro sull’espressione degli animali
e trae spunti da esso nello studio delle espressioni psicologiche nelle opere d’arte.
Un’altra figura che studia è Jacob Burckhardt, che aveva promosso una ‘storia della
cultura’ che non si concentrava solo sull’arte o sulla letteratura

I suoi docenti non apprezzavano questo suo interessamento a molteplici discipline


diverse fra loro, così Warburg finisce i suoi studi a Strasburgo che all’epoca era una
città tedesca e non francese, di recente acquisizione a causa della guerra franco-
prussiana. Essendo in fase di ‘germanizzazione’ il governo concentra molto
l’attenzione sull’università di questa città, facendoci insegnare i professori più bravi
e creando un ambiente all’avanguardia, quindi Warburg si trovò molto bene lì per la
vivacità del suo pensiero e dei suoi interessi

Scienza dell’arte = Kunstwissenschaft

Il termine Iconologia non è stato inventato da Warburg, ma lui lo riprende dal libro
di Cesare Ripa del 1593. Se l’iconografia può essere una descrizione dell’immagine
alla ricerca del suo soggetto, l’iconologia è un ragionamento sull’immagine alla
ricerca del suo significato

A Warburg interessa il libro di Ripa poiché esso era una sorta di codificazione, egli
arriva alla fine del XVI sec, dopo due secoli di recupero dell’antico, delle iconografie
e dei testi antichi, di creazioni ex novo basate sull’antico ed il suo è un libro
enciclopedico che di queste immagini dava la descrizione, ma anche l’origine ed il
significato. Non è un trattato scientifico, ma una sintesi e sistematizzazione delle
conoscenze di una certa epoca per poi tramandarle

Immagine dell’Eresia  statua di S. Ignazio di Loyola a S. Pietro.


Lungo la navata vi sono le statue dei fondatori dei grandi ordini religiosi,
riconosciamo S. Ignazio per l’abito gesuita, per il libro e per l’atto di calpestare una
figura, quella dell’eresia: durante la controriforma i gesuiti erano in prima linea nella
lotta all’eresia, perciò l’allegoria dell’eresia diviene un attributo di S. Ignazio.
Quell’immagine diventa conosciuta ed utilizzabile grazie alla canonizzazione di
Cesare Ripa, ma a sua volta questa canonizzazione ha origini più antiche (eresia
deriva dall’invidia rappresentata da Giotto, che deriva dalle descrizioni di Ovidio).
Quello di Ripa era un primo tentativo di analizzare la vera natura delle immagini e
non solo la loro apparenza estetica

Dipinti di Anton Raphael Mengs (1765): personaggio alato con stella sulla testa e
frecce lasciate cadere è l’immagine di Espero, la stella della sera, rappresentata
come il crepuscolo così come era stata rappresentata da Cesare Ripa

L’Iconologia per Warburg all’inizio non era una disciplina, ma un mezzo (raccoglitori
di schede delle immagini, appunti)

A Strasburgo completa gli studi con una tesi su Botticelli e la Firenze del ‘400
intitolata “La Primavera e la Nascita di Venere di Sandro Botticelli. Ricerche
sull’immagine dell’antichità nel primo rinascimento italiano”. Il titolo ci fa capire che
ai suoi occhi l’immagine classica è un oggetto da studiare, non è l’effetto di qualcosa
come potrebbe essere la “rinascita dell’antico”
All’epoca su questi dipinti ci si chiedeva quali fossero le fonti letterarie, quale fosse il
soggetto: vi erano due correnti di pensiero sulla “Nascita Di Venere”, alcuni
affermavano che la fonte fosse l’ “Inno Omerico Ad Afrodite” (opera greca arcaica),
secondo altri era “La Giostra” di Poliziano. Warburg invece afferma che il problema
non è se Botticelli si rifà all’inno omerico o a Poliziano, il problema sta nel fatto che
Botticelli fa quello che fa Poliziano, egli scrivendo i suoi componimenti costruisce un
discorso all’antica prendendo stilemi dalla letteratura classica e lo stesso fa Botticelli
con gli elementi stilistici. Quindi Botticelli non imita Poliziano, ma entrambi imitano
l’antico. Ci si deve chiedere perché lo fanno? Essi vanno a recuperare quelle forme
per una necessità psicologica e non (solo) estetica

Pubblicata la tesi rimane a Firenze e comincia a studiare il ‘500, in particolare gli


intermezzi musicali delle famiglie medicee, rappresentazioni in musica, teatro,
danza che accompagnavano le celebrazioni della famiglia. Gli interessavano per
analizzare quelle occasioni in cui “l’arte incontra la vita” (una rappresentazione
statica si anima ed entra nella vita quotidiana degli uomini, relazione con il fattore
psicologico)

Nel 1895 va negli Stati Uniti e compie un’esperienza che apparentemente è lontana
dai suoi studi poiché riguarda i nativi americani, era andato lì per il matrimonio del
fratello Paul e assieme alla famiglia resterà alcuni mesi. Egli contatta la Smithsonian
Society (istituzione importante di ricerca antropologica/etnografica) grazie a questo
contatto riesce a fare un viaggio in quello che era il Far West dove pochi anni prima
era stata chiusa la frontiera, era stata costruita la ferrovia da un lato all’altro degli
USA e gli indiani erano stati rinchiusi nelle riserve. La fine del Far West segna l’inizio
degli studi su quei luoghi e Warburg si recherà in New Mexico e Arizona, in
particolare si concentra sugli indiani pueblo, stanziati in villaggi stabili (a differenza
degli altri che seguivano le migrazioni dei bisonti e vivevano in capanne), avevano
case in muratura sugli altopiani in New Mexico e sono così perché sono i discendenti
dei più antichi ma evoluti Anasazi: civiltà precolombiana di contadini che aveva
costruito villaggi in mattoni crudi all’interno dei canyon. Quando gli occidentali
arrivarono in america era già finita da qualche secolo, per cause naturali
(cambiamenti climatici)
Pueblo Bonito, New Mexico(IX-XII sec): struttura abitativa e templare degli Anasazi
in cui vi sono i Kiua cioè luoghi di culto e al tempo stesso osservatori astronomici
(studiavano molto il trascorrere delle stagioni)
Gli indiani pueblo sono una civiltà sopravvissuta a un'altra che avevano perso la
memoria di quella più antica (scoperta recente, successiva a W). Agli occhi di
Warburg invece erano interessanti perché il suo sguardo era influenzato dalla
cultura europea e dall’idea che le popolazioni precolombiane fossero a un livello di
civiltà primitivo, quindi per lui osservarle era come fare un viaggio nel tempo per
scoprire come era la civiltà europea prima della cultura classica

Questa è una concezione che poi è stata stravolta e abbandonata dalla storiografia e
dall’antropologia. Per di più all’epoca non sapevano che questa era già la seconda
fase di una civiltà

Warburg osserva danze, riti, leggende dei Pueblos ed il modo che avevano di
rappresentarli. In particolare viene colpito dal rituale del serpente che lui non vede
dal vivo perché arriva nella stagione sbagliata. Si tratta infatti di un rituale stagionale
che loro compivano in quanto coltivatori di mais e che serviva a chiedere agli dei la
pioggia, elemento imprescindibile per la crescita del mais. Senza il mais la
popolazione non mangiava. Il serpente nel loro immaginario è l’immagine del
fulmine, che è colui che porta la pioggia. Il rituale consiste in una danza che una
persona compie con dei serpenti in mano, che vanno dominati con dei movimenti
precisi fino a poterli mettere in bocca senza problemi. Il dominio del serpente
rappresenta il dominio del fulmine e quindi un’invocazione al fulmine stesso.
Warburg è affascinato dalle motivazioni psicologiche dei riti, cioè la necessità degli
uomini primitivi di dominare e rendere benevole delle entità che lo sovrastano
(stagioni, meteorologia), ma queste entità non possono essere gestite ed il rituale è
solamente un tentativo di stabilire un contatto con qualcosa che non ha contatti con
l’uomo

Forma d’arte degli indiani pueblo: il serpente diventa l’immagine del fulmine
(rappresentazione astratta delle nuvole con serpenti che scendono, immagini fatte
con la sabbia)
Warburg si fa portare in una scuola locale gestita dagli USA dove i bambini pueblo
ricevono un’educazione basata sulla cultura occidentali. Fa l’esperimento di
raccontare loro una favola dove ad un certo punto scoppia un temporale e chiede ai
bambini di rappresentare quel temporale: la maggior parte lo disegna alla maniera
occidentale, ma c’è ancora una parte più piccola che lo rappresenta come nelle
vecchie immagini pueblo e questa cosa fa riflettere Warburg sul funzionamento
della memoria e sull’esistenza di una memoria non solo personale, ma anche
collettiva

L’arte pueblo è un’arte che tende all’astrazione, dal dato naturale le forme si
evolvono fino a diventare simboli/segni, acquisendo uno statuto diverso. Anche
questo fa immaginare di essere ad uno stadio storico precedente a quello classico:
Warburg elabora così una teoria generale dell’evoluzione storica.
L’umanità preistorica è dominata dal pensiero religioso e dalla paura, è succube
delle forze naturali che non capisce e che quindi teme. L’inizio della civiltà è segnato
dalla formazione del pensiero mitologico, quando l’uomo dando un’identità a
queste forze naturali (fulmine spaventoso diventa fulmine di Zeus) si distacca dal
puro pensiero religioso e si forma il mito che ha la funzione di costruire intorno
all’uomo un mondo comprensibile ( non si può dominare, ma almeno capire). Dal
mito deriva il simbolo perché ad esempio se il fulmine diventa attributo di Zeus inizia
ad essere rappresentato e quella rappresentazione si trasforma via via in un
simbolo. Dal simbolo si passa al linguaggio scritto, le immagini sui vasi diventano
simboli talmente astratti e autonomi da diventare una scrittura, gli indiani non sono
arrivati a questo stadio, mentre i fenici e i greci si. Con l’alfabeto arriva la vera
evoluzione, perché non si ci si limita più a rappresentare, ma si scrivono parole, si
nominano le cose e nel momento in cui si nominano esse si dominano. È questo il
passaggio dalla preistoria all’antichità classica: passaggio da paura a razionalità. Non
è però un passaggio definitivo, l’umanità rischia sempre di tornare indietro: per
Warburg l’evoluzione storica successiva dimostra questa cosa: con l’antichità
classica si raggiunge un elevato livello scientifico, filosofico, letterario dopodiché si
ha una crisi e durante il medioevo si procede in ascesa fino alla rinascita dell’antico
dove avviene la riattivazione che è psicologica (avviene nella psicologia sia personale
che collettiva, artisti e letterati riprendono le forme classiche perché ne hanno
bisogno per rappresentare qualcosa di diverso rispetto a prima)

Secondo Henry Thode nella Firenze del ‘400 si recupera l’antico perché nel tardo
medioevo la cultura italiana sviluppa un rinnovato interesse per la natura e le forme
classiche erano naturalistiche. Warburg però afferma che Botticelli non era molto
naturalistico, nella “Primavera” compaiono un centinaio di specie vegetali che non
possono essere tutti insieme in un unico paesaggio, i capelli della venere arricciati
dal vento non sono naturali ed i panneggi dell’ancella non sono naturali, ma
riprendono degli stilemi classici. Il classico viene ripreso non perché fosse bello, ma
per una necessità che prima del ‘400 non si aveva

Critica all’arte estetizzante: per Warburg l’opera d’arte non è il risultato di una
cultura/movimento, l’immagine artistica è un elemento costitutivo della civiltà
umana, così come la scrittura, i numeri. Non è qualcosa in più che serve per
decorare data la sua bellezza, la civiltà umana ha bisogno delle immagini per
rapportarsi con il mondo, per capirlo, interpretarlo.
Egli fa questa critica alla fine dell’800, proprio nel periodo in cui si stava costruendo
– in particolare nella cultura anglosassone - il mito del Rinascimento italiano (della
Firenze del Rinascimento in particolare), della civiltà che cerca la bellezza.
Il Rinascimento quindi per Warburg non è un fenomeno estetico, ma psicologico e le
opere d’arte sono uno degli strumenti che la civiltà ha utilizzato per costruire se
stessa

Dopo il viaggio negli USA torna a Firenze e sposa una donna cristiana, una pittrice e
scultrice dell’alta società di Amburgo, Mary Hertz

A Firenze si dedica allo studio del Rinascimento  Affreschi Ghirlandaio nella


Cappella Tornabuoni
Nascita Di S. Giovanni Battista: scena dopo il parto di S. Elisabetta, con ancelle che la
assistono, committente abbigliata alla moda fiorentina del ‘400, altri personaggi
abbigliati con abiti che vengono dati normalmente ai santi, all’estrema destra vi è
un’ancella che entra a passo veloce con un canestro di frutta in testa ed è vestita
all’antica (come le ninfe della “Primavera” di Botticelli.
Warburg si concentra su questa figura che è essenziale per la scena: porta frutti e
vino, cosa fondamentale per riprendersi dallo stress fisico e psicologico del parto
(nelle famiglie abbienti di Firenze si faceva sempre mangiare la donna appena dopo
il parto), li porta su un piatto circolare, cosa che è all’origine della tradizione
prettamente fiorentina dei cosiddetti deschi da parto: dipinti circolari, spesso con
immagine della vergine con il bambino o la sacra famiglia, che si regalavano alle
donne delle famiglie più ricche per celebrare la nascita di un bambino.
Ma perché questa ancella è l’unica ad essere vestita all’antica? Porta una cintura
sotto il seno, ha una sciarpa gonfia dietro di se. Perchè Ghirlandiaio inserisce una
figura classica in una scena di agiografia cristiana?
Ai tempi di Wraburg si iniziava a praticare la danza contemporanea in cui le ballerine
facevano spettacoli con veli e luci colorate, la più famosa era Isadora Duncan che
nelle sue rappresentazioni riprende volutamente figure classiche: le menadi.
Vi era anche una produzione letteraria basata sull’archeologia classica, come il
romanzo di Wilhelm Jansen intitolato “Gradiva” che si basa su un bassorilievo in cui
vi è una figura classica che cammina (gradiva: dal latino “colei che incede”), racconta
la storia di un archeologo tedesco che in viaggio a Roma vede il bassorilievo e se ne
fa fare una copia, ma una volta tornato in Germania tale è l’attrazione per esso che
sente di dover tornare in Italia alla ricerca di “Gradiva”, viaggia fino a Pompei ed
incontra una fanciulla che è la “vera Gradiva”

Warburg partendo dall’immagine del Ghirlandaio ebbe l’idea di scrivere un romanzo


epistolare insieme a Andrè Jolles basato sulla figura del dipinto di Ghirlandaio, in cui
Jolles è l’esteta che si innamora della ninfa e Warburg l’uomo razionale. Non verrà
mai finito né pubblicato

Quell’immagine si trova in molti dipinti del Rinascimento, anche ne L’incendio di


Borgo di Raffaello (Vaticano), Warburg la chiama ninfa poiché deriva dalle figura
antiche in movimento (menadi e ninfe)
Questa immagine è una Pathosformeln  pathos: movimento + formeln: formula
(sistematica, quindi fissa) – immagine che ha un contenuto di movimento 
Salvatore Settis perciò la chiama “formula ossimorica”
Guardandola chiunque capisce (anche senza sapere cosa rappresenti di preciso) che
è un’immagine in movimento, non solo fisico, ma soprattutto psicologico, è
l’immagine della premura di un’ancella che porta beni essenziali alla sua padrona:
Girlandaio la rappresenta come li figure classiche di ninfe e menadi, con l’abito
all’antica e l’incedere di “Gradiva” perché ha bisogno di esprimere un sentimento
(ragione psicologica della riattivazione delle forme classiche: agli artisti del ‘400
fiorentino le formule medievali non bastano più, essi hanno bisogno di esprimere
sentimenti nelle loro opere e l’unico modo per esprimere un “moto dell’animo
interiore” è attraverso un “moto esteriore del corpo” possibile solo con le formule
classiche)

La rinascita dell’antico non avviene per ragioni estetiche, ma psicologiche mediante


la “riattivazione delle Pathosformeln”, una di queste è la ninfa

Nel 1904 Richard Semon scrive un libro molto importante, “Die Mneme”, che
Warburg leggerà. Parla del funzionamento della memoria ed è un libro di psicologia
medica. Egli sostiene che la memoria anche collettiva è un serbatoio contenente
materiali allo stato quiescente, frammenti di memoria che restano lì anche quando
tutto sembra essere dimenticato e non agiscono fino a che non si creano le
condizioni psicologiche per cui qualcosa li riattiva, rendendoli di nuovo presenti alla
memoria. Questi elementi quiescenti Semon li chiama “engrammi”

Warburg tenta di applicare questa teoria all’arte. La Pathosformeln è come un


engramma nell’arte: la menade è una creazione della memoria collettiva risalente
all’antichità, ma essa non è altro che la fissazione su immagine di qualcosa di ancora
precedente, cioè la danza orgiastica dei greci preistorici che compivano rituali
primitivi per tentare di emanciparsi dalle paure e razionalizzare.
Nell’epoca classica quando ormai l’emancipazione è avvenuta, accanto alla civiltà
razionale rimane sempre qualcosa di irrazionale e inconscio, i riti bacchici e le
menadi rappresentate nelle opere d’arte sono il segno di qualcosa di ancestrale che
sembra però sparire nel medioevo poiché ci sono altre esigenze e altre immagini.
Ma quando poi l’uomo si trova di nuovo nelle condizioni di dover rappresentare un
dato movimento spirituale quelle figure vengono recuperate
Lezione 8 (31 marzo 2021)

Teoria della civiltà di Warburg: il percorso di emancipazione può anche regredire,


ma anche quando una civiltà crolla restano delle tracce memoriali di essa  da qui
iniziano le sue ricerche sulle Pathosformeln

Confronto tra immagine della menade e immagine dell’indiano pueblo durante la


danza del serpente: l’indiano si trova in una primissima fase dell’emancipazione, la
menade di epoca ellenistica si trova ad uno stadio successivo poiché fissa in maniera
perfetta un gesto che nella danza era irrazionale (anche i greci avevano una
tradizione di riti che non conosciamo in età preistorica e di essi sono rimaste tracce
anche nel periodo di massima evoluzione di quella civiltà - il V sec – fissate nelle
immagini che sono elementi di memoria)

In occidente questa teoria ha a che fare con la rinascita e la sopravvivenza


dell’antico: se nel Rinascimento l’antico viene riattivato, dove è stato per tutto quel
tempo dove non è stato attivo?
Richard Semon, “Die Mneme”  “engrammi”: la memoria è una tabula rasa dove
però si conserva sempre qualcosa (tabula rasa: tavolette di cera dove scrivevano gli
antichi venivano spazzate via per scrivere una cosa nuova). Quel materiale è allo
stato quiescente finché una condizione particolare non lo riattiva

Le Pathosformeln sono immagini veicoli di memoria collettiva che possono essere


riattivate.

La Pathosformeln non è un attributo iconografico, non è un elemento che permette


di identificare un personaggio (figura muscolosa con clava e pelle di leone = Ercole),
ma rappresenta un moto prima di rappresentare un personaggio.
Non è un motivo iconografico o stilistico - il medioevo prendeva in considerazione il
classico, ma vi erano altre esigenze e quindi esso non è stato riattivato come poi
avverrà successivamente  pannello del pulpito del battistero di Pisa, Nicola Pisano:
esempio di come la scultura del ‘200 attinga al classico. Quando scolpisce
l’adorazione dei magi inserisce alcuni elementi del sarcofago romano che sta al
Camposanto di Pisa con la scena di Fedra e Ippolito (Vergine: postura di Fedra,
cavalli sul fianco come quelli dei Re Magi).
Questo è un procedimento di montaggio di temi iconografici e stilistici, ma non è un
uso di Pathosformeln poiché qui non c’è nessun tipo di movimento o moto
dell’animo. Gli artisti del Rinascimento invece riattivano l’arte classica proprio per le
sue qualità di movimento ed espressività.

Queste forme che riattivano sono forme di movimento che solo nelle mani
dell’artista acquistano una precisa identità, se nell’opera del Ghirladaio assume
l’identità dell’ancella in un’altra opera di un altro artista potrebbe essere
qualcos’altro.

Come, dove perché le forme classiche vengono riattivate?


Warburg studia la storia di Orfeo che prevede l’ingresso in scena delle menadi.
Ragiona su come questa storia sia riemersa nella cultura rinascimentale:
- Poliziano, 1471, a Mantova mette in scena una favola boschereccia dal titolo
“Orfeo” e in essa compare in termine ninfa ogni volta che in scena vi è un
personaggio che deve muoversi e si allude al movimento delle loro vesti leggere
- Morte di Orfeo, Mantegna (perduta, la conosciamo mediante un’incisione), opera
che influenza Durer  1494 fa la sua versione della morte di Orfeo
- 1497 prima edizione stampata dell’ “Ovidio Metamorphoseos Vulgare” dove vi è
anche un’incisione della morte di Orfeo

In queste immagini vi sono motivi ricorrenti: gestualità delle menadi e gestualità di


Orfeo. Non è casuale che ricorra: nell’antichità erano rappresentate così anche
storie simili alla morte di Orfeo come la morte di Penteo (ucciso dalla madre e dalla
sorella che sotto l’influenza del dio Bacco non lo riconoscono)  Affresco di Pompei:
Penteo con una gamba tesa e l’altra piegata, posizione ripresa sia da Mantegna che
da Durer per Orfeo. Essi non potevano conoscere tale affresco ancora sepolto sotto
la cenere, ma conoscevano altre immagini simili e riprendono quella postura e
quella gestualità perché sapevano che rappresenta il moto d’animo della vittima di
un attacco.
Lo si ritrova anche in altre storie come Ila e le ninfe (Ila che viene rapito dalle ninfe).

Anche nella xilografia dell’ “Ovidio Metamorphoseos Vulgare” compare


quell’immagine ed essa, venendo pubblicata e diffusa più ampiamente rispetto
all’opera dell’artista poiché si tratta di un libro stampato, diventa un’immagine di
dominio comune della cultura Rinascimentale dopo essere stata dimenticata per
secoli e riattivata.

Ghirlandaio nella scena sacra La Strage Degli innocenti riprende la menade che
assume l’identità di una madre disperata che cerca di fermare la strage (figura al
centro con l’abito rosso)  ecco perché Warburg conia il concetto di Pathosformeln,
formula del pathos: principio di movimento che solo nelle mani dell’artista viene
riattivato e assume un’identità. Può essere la menade classica o la madre di
Betlemme, due personaggi e storie diverse, ma il moto che le guida è lo stesso, la
violenza, la disperazione, l’estremo tentativo di ribellarsi.

Il quadro del Ghirlandaio è pieno di Pathosformeln  arco di trionfo all’antica è lì


per creare una dimensione temporale per la storia e dentro di esso vi è il cavaliere
che travolge i nemici ed è anch’esso una Pathosformeln ripresa dalla cavalcata
vittoriosa sui barbari dei sarcofagi romani. Il cavaliere in primo piano attaccato al
collo del cavallo riprende invece la Pathosformeln del centauro, non è
iconograficamente e stilisticamente simile, ma ne riprende l’energia

La teoria della Pathosformeln è la riposta di Warburg alla domanda su cui si


concentravano gli studiosi nel suo tempo, perché lo stile cambia?

Warburg studia la Cappella Sassetti a Santa Trinita, sempre del Ghirlandaio:


decorazione dedicata a S. Francesco, connubio di motivi cristiani, classici (sibille),
politici (nella scena della conferma della regola vi è il ritratto del committente
accompagnato da Lorenzo de Medici, Sassetti gestiva la filiale di Lione della banca
dei Medici. Vi sono anche i figli di Lorenzo de Medici accompagnati da Angelo
Poliziano, il precettore)

Studiando questa cappella mette in dubbio l’idea che il Rinascimento fosse il


momento in cui l’uomo occidentale si fosse emancipato dal medioevo, dalla
religione e dalla superstizione. Capisce che in realtà nel 1480 le esigenze religiose
erano ancora molto importanti, tanto quanto quelle politiche.
Si distacca dall’idea dell’800 del Rinascimento come periodo monolitico e
comprende che in realtà era molto più sfaccettato di quello che si pensava

Studia le usanze ritrattistiche tramite i ritratti presenti nella cappella: pratica di


portare nelle chiese fiorentine statue di cera raffiguranti chi aveva ricevuto la grazia
a grandezza naturale come dono votivo

Addentrandosi sempre più nella cultura rinascimentale si chiede come mai i


mecenati che avevano a disposizione i migliori artisti della loro epoca comprassero
poi trittici dai fiamminghi. Il colto mecenate fiorentino che da un lato sponsorizzava
Ghirlandaio e Botticelli, dall’altro aveva un gusto più ampio e apprezzava la moda
nordica  rapporti artistici fra nord e sud dell’Europa: se nell’arte esistono dei
motivi che passano attraverso i secoli e lo spazio bisogna indagare le modalità con
cui essi migrano

Warburg è il primo che risolve il problema del Trittico di Danzica di Hans Memling.
Perché si trovava nella cattedrale di quella città? Di questo trittico nessuno sapeva
nulla e nessuno si poneva domande su un’opera di un artista tedesco che si trovava
in una città che oggi è polacca, ma che all’epoca era di cultura tedesca.
Nella porte posteriore dei pannelli esterni vi sono due personaggi con degli stemmi
che erano i donatori del trittico, ma nessuno ne conosceva l’identità. Warburg
indagando sui rapporti commerciali dei fiorentini con il nord Europa si rende conto
che non sono tedeschi, ma italiani: Angelo Tani e Valentina Tanagli, due membri
della borghesia fiorentina attivi nelle fiandre. Egli recupera una serie di documenti
che spiegano perché il trittico si trovi a Danzica mentre sarebbe dovuto stare a
Firenze:
nel 1467 si sposano, commissionano l’opera a Memling, quando è finita viene
impacchettata messa su una nave fiorentina e spedita in Italia. Quella nave, la S.
Matteo, quando raggiunge la Manica viene intercettata da una nave pirata di
Danzica, saccheggiata e quando i pirati trovano questo trittico lo donano alla
cattedrale della città. Quel trittico che influenzerà parte della pittura tedesca alla
fine del ‘400 influenza l’arte nordica per caso, avrebbe dovuto invece influenzare
l’arte del Mediterraneo

Questa operazione di ricerca e ricostruzione ad oggi è normale per uno storico


dell’arte, mentre all’epoca gli storici si focalizzavano solo sullo stile degli artisti
perciò solo in pochi si ponevano problemi del genere

Warburg studierà anche il Rinascimento nel resto d’Italia: un altro dei grandi enigmi
risolti da Warburg riguarda Palazzo Schifanoia a Ferrara  Ciclo Dei Mesi: 12
pannelli, per ogni mese in alto si ha la divinità tutelare del mese con le attività che
dipendono da essa, al centro una fascia astrologica con il segno zodiacale
corrispondente e in basso le scene di vita quotidiana della corte di Borso d’Este.

Era stata riscoperta togliendo gli intonaci intorno all’800 e nonostante si fosse
compreso si trattasse di una sorta di calendario non era chiaro il significato di tutti
gli elementi. Fu Warburg a darne una lettura completa identificando anche le figure
nella fascia intermedia che accompagnano i segni zodiacali (si riteneva che fossero
allusioni a vizi e virtù, ma non è esatto).
Si tratta di elementi che si reperivano nella letteratura astrologica. Warburg indaga
sui documenti, in particolare analizza una lettera di uno dei pittori Francesco Del
Cossa che scrive a Borso D’Este lamentandosi del trattamento economico che ha
ricevuto, paga troppo bassa per un capo bottega. Egli scrive a lui per evitare colui
che si occupava di queste questioni ovvero il capocantiere Pellegrino Prisciani.
Studiando le carte della corte estense scopre che Prisciani non era solo
sovrintendente alle fabbriche, ma principalmente era l’astrologo di corte (Borso
D’Este era molto legato alle previsioni astrologiche). Trova poi una lettera di molti
anni dopo indirizzata alla nipote di Borso D’Este in cui Prisciani rispondeva ad una
sua richiesta dandole un responso astrologico, in essa cita anche le fonti testuali a
cui si è riferito per questa previsione: tra questi vi sono autori che Warburg aveva
già letto.
Nel 1903 il filologo Franz Boll aveva pubblicato il “Trattato della sfera” che riprende
un testo astrologico antico di epoca ellenistica. In esso Warburg scopre un
importante autore dell’astrologia medievale tale Abumasar (Abu Ma’shar Al-Balkhi),
persiano vissuto nel IX sec, la sua opera tradotta in latino come “Introductorum
Maius” contiene la descrizione dei personaggi della fascia intermedia  essi sono i
Decani, con occhi rossi, ampia veste bianca e cinta.

Prisciani era il sovraintendente al cantiere poiché quest’opera richiedeva una


conoscenza astrologica e nei libri che egli consultava c’era scritto che la tradizione
astrologica medievale prevedeva che per ogni segno zodiacale esistessero 3 decani,
entità che sovrintendevano alle decine di giorni (36 decani, 3x12 segni zodiacali). Le
antiche suddivisioni del tempo erano state trasformate in entità protettrici, come
fossero degli dei.

Decani nel tempo:

Planisfero Bianchini (planisfero astrologico di epoca romana)  Picatrix (libro di


magia spagnolo che contiene anche astrologia)  figura del Vir Niger (compare in
un manoscritto francese XV sec) Palazzo Schifanoia

Epoca romana: decano dell’ariete vestito all’egiziana con lunga gonna annodata in
vita e ascia bipenne tra le mani
Medioevo: personaggio scuro di carnagione con ascia che a volte diventa un falcetto
Poi l’ascia/falcetto sparisce, rimane solo la carnagione scura, la gonna bianca diventa
una specie di mantello e torna ad essere vestito solo a palazzo Schifanoia
Elemento d’unione fra queste immagini due testi, uno arabo (quello di Albumasar) e
uno indiano. Questo perché l’immaginario Europeo deriva dall’antichità, ma non ci
arriva in maniera diretta: cultura Alessandrina (sintetizza cultura Egitto,
Mesopotamia e Grecia)  India  Arabia  attraverso Sicilia e Spagna torna in
Europa
Questo è il percorso che hanno fatto i testi astrologici dall’antichità al Rinascimento
italiano

L’antichità nel Rinascimento italiano non arriva quindi in maniera diretta, ma in


forma mediata passando per l’Oriente  i due poli di partenza e arrivo sono
antichità classica e Rinascimento italiano, questi sono apparentemente molto vicini
fra loro perché si ha sempre a che fare con luoghi come Grecia/Magna Grecia, Roma
antica, Italia; il percorso tra i due però è stato lunghissimo e complesso, una parte
della memoria antica è arrivata tramite i testi arabi e indiani attraversando anche
grandi trasformazioni
Per questo il decano egizio è giunto a Palazzo Schifanoia nelle forme di un uomo
dalla carnagione scura, occhi rossi, abito bianco strappato e cinto da una corda: il
personaggio è lo stesso, ma la forma è un’altra perché si è alterata attraverso i secoli

I percorsi delle immagini non sono mai lineari, ma sempre molto complessi

Warburg: prima il problema era dare una ragione al riaffiorare dello stile classico
nel Rinascimento, poi diventa capire come fanno le immagini ad attraversare il
tempo e lo spazio, quali sono i loro percorsi e le modalità (non solo nord-sud, ma
anche est-ovest)

Il percorso dei testi antichi è lo stesso delle immagini, spesso questi testi tornano in
Europa mediante traduzioni arabe o ebraiche (Platone ed Aristotele vengono
conosciuti grazie a queste traduzioni nel XII-XIII sec in Europa)

La cultura occidentale è molto stratificata ed ha a che fare anche con le culture


vicine, tra Europa ed Oriente vi sono stati numerosi scontri bellici, ma anche tanti
contatti culturali che permettono di tramandare la cultura classica

Warburg quindi inizia a studiare anche la cultura astrologica del Rinascimento e si


accorge che al contrario di quanto pensasse vi era una forte parte irrazionale nella
cultura di quel periodo  1920 pubblica un saggio sulla pratica ideologica
dell’astrologia nell’Europa del ‘500, oroscopi di Lutero, Melantone e altri
partecipanti alla riforma protestante venivano usati per la propaganda cattolica o
per quella protestante e perciò manipolati per sostenere le rispettive ragioni
La cultura astrologica era così presente nell’immaginario europeo tanto da
determinare una consistente produzione figurativa

Warburg dimostra anche mediante questi studi che le immagini non sono elementi
accessori della cultura, ma elementi costitutivi di essa: se si vogliono studiare
devono essere affrontate al di là del loro puro valore stilistico, come degli oggetti
culturali, anche se non hanno grandi qualità estetiche  per spiegare i capolavori
sono necessarie anche immagini di altro tipo (carte natali, incisioni degli
almanacchi).
Quindi ogni immagine ha il suo valore che è indipendente dal valore estetico e dalla
genialità dell’artista che l’ha prodotta  capolavoro e immagine minore hanno lo
stesso valore per uno storico che le considera documenti

Iconologia: una scienza dell’arte e della cultura in generale, dalle immagini si va oltre
sui testi, sulla cultura scientifica e altro  oltre la storia dell’arte limitata alla pura
evoluzione stilistica, è una storia dell’arte scientifico-culturale

La prima guerra mondiale è un momento di crisi per la cultura europea e anche crisi
personale di Warburg poiché costretto ad interrompere le relazioni con l’Italia.
Egli partecipa inizialmente all’opera di propaganda tedesca, poi però lo studio della
guerra diventa per lui ossessivo e ciò lo destabilizza, dopo la guerra avrà problemi
psicologici che lo porteranno ad entrare e uscire dagli ospedali.
La pubblicazione del 1920 viene portata avanti dai suoi collaboratori poiché egli non
era più in grado di sovrintendere ai suoi studi.
Nel 1921 viene ricoverato definitivamente in una clinica in Germania per via dei suoi
momenti di delirio. Lì viene curato da Ludwig Binswanger, nipote di Otto B. che
aveva curato Nietszche, egli utilizza il lavoro intellettuale per portarlo alla
guarigione. Durante i 4 anni che passa lì non gli impedisce quando può di lavorare e
studiare, Warburg scrive 69 quaderni con appunti che vanno dagli scarabocchi a
cose sempre più razionali. Nel 1923 guarisce e lascia la clinica dopo aver tenuto una
conferenza nella clinica stessa incentrata sul Rituale del serpente.

Nel 1924 ritorna ad Amburgo e ritrova i suoi collaboratori, Fritz Saxl e l’assistente
Gertrude Bing, i quali si erano occupati della sua biblioteca, delle sue ricerche e
avevano gestito anche le persone che ruotavano attorno alla sua casa privata che
egli aveva messo a disposizione degli studiosi per via dei 15.000 libri che aveva
raccolto nel tempo. In quell’anno decide che ciò che era privato dovesse diventare
pubblico e fonda l’Istituto Warburg: fa costruire un nuovo edificio nel 1925, la
Warburg House ad Amburgo (casa privata con biblioteca pubblica). Sulla facciata
dove vi è la porta d’ingresso vi sono tre lettere KBW (Biblioteca di scienza della
cultura Warburg.

Il fratello Max raccontava che quando Aby aveva 13 anni gli aveva ceduto la
primogenitura in cambio della promessa di compragli tutti i libri che voleva e Max gli
aveva quindi firmato un cospicuo assegno in bianco.
Alla morte di Warburg vi erano 50.000 libri nella biblioteca, quando essa diventa
pubblica gli venne dato un ordinamento generale per tematica, ma nella casa di
Warburg erano posti secondo il “principio del buon vicinato”: l’ordine lo dava lui a
seconda degli interessi e dei percorsi di studio che aveva compiuto su un
determinato argomento (libri storia della pittura ferrarese accanto a libri di
astrologia araba, di storia della miniatura spagnola del ‘400, libri di astronomia greca
– libri di arte, scienza, folklore, attinenti a culture diverse sullo stesso scaffale).
Quest’ordine cambiava man mano che i suoi interessi si evolvevano.

Nella biblioteca vi è una sala conferenze ovale, molto piccola per conferenze con
poche persone, questa forma riprende quella dei teatri anatomici del ‘600 (luoghi di
scienza) e quella dei kiwa degli indiani pueblos (luoghi di osservazione astrologica)
Vi erano anche tecnologie all’avanguardia, primi telefoni, montacarichi per libri,
primi proiettori di diapositive.
All’ingresso vi è scritto “memoria” in greco perché la biblioteca è un teatro della
memoria ed i libri sono dei pezzi di memoria, come degli engrammi che riattivano
percorsi menmonici.
Nella sala conferenze si svolgevano anche mostre: mostra sui francobolli oggetto
di utilità che porta in sé l’immagine del Paese in cui è prodotto, immagine pensata
per essere spedita portando in giro l’immagine di quel Paese. Il primo francobollo
era stato prodotto metà ‘800, nessuno li considerava oggetti di studio finché
Warburg non organizza tale mostra.
Le mostre non erano come quelle di oggi in cui vengono portate opere d’arte, ma
erano fatte attraverso le foto; sono mostre didattiche (lo specialista ha il dovere di
portare al grande pubblico i risultati dei suoi studi mediante un linguaggio
comprensibile, sebbene il profano non dovesse approcciarsi a studi specialistici).
La divulgazione è un problema ancora attuale, gli studi sono sempre più specialistici
e sempre più isolati e la divulgazione non è orientata ad alzare il livello del pubblico,
ma ad abbassarsi al livello di esso

Negli ultimi anni della sua vita (1927-1929) Warburg si dedica ad un’opera che non è
solo di scrittura, ma di composizione visiva dei suoi percorsi, “Mnemosyne –
L’Atlante Della Memoria”: serie di 60 grandi pannelli di tela su cui applica delle
immagini. È una visualizzazione delle sue ricerche. Le tavole sono numerate e hanno
un preciso tema (Pathosformeln, ninfa, volo di Alessandro, panneggio) a parte le
prime 3 che sono segnate da lettere essendo introduttive.
Egli le ha montate e smontate varie volte, dalle foto e gli appunti che abbiamo
conosciamo tutto il processo mentale
Tavola con Uomo Vitruviano e disegno di proporzioni umane di Durer: accanto vi
sono immagini apparentemente simili, ma diverse, rappresentano l’uomo al centro
del Cosmo, ma come elemento passivo che viene influenzato dal Cosmo (dalla
religione – immagini sacre – dall’astrologia – miniature astrologiche). Leonardo
invece con l’Uomo Vitruviano poneva l’uomo al centro del Cosmo come elemento
attivo che da lui le regole al Cosmo (cerchio e quadrato non coincidono grazie alla
geometria, ma grazie alle proporzioni del corpo umano).
L’immagine che sta sotto rappresenta il rischio della caduta, essa deriva da un libro
di magia del ‘500, l’uomo sta al centro di forze che lui tenta di dominare con la
magia (irrazionale) e non con la scienza (razionale)
La tavola rappresenta quindi l’uomo nel Cosmo, immagini molto simili ci fanno
vedere concezioni diverse

“Occorre sempre salvare Atene da Alessandria” Atene: razionalità della civiltà,


Alessandria: irrazionalità che è sempre un pericolo

Warburg muore nel 1929

Nel 1933, dopo l’ascesa del nazismo, tutti i materiali dell’Istituto Warburg vengono
portati in salvo a Londra dove si trova tutt’oggi l’istituto, 48h prima che a Brlino si
firmi una legge che sottopone tutti gli istituti culturali tedeschi allo stretto controllo
del governo (quello era un istituto di fondazione ebraica, finanziato da una banca
ebraica)
Lezione 9 (7 aprile 2021)

Villa Farnesina: Agostino Chigi è il committente sia della struttura della villa che della
decorazione. Essa si trova a Trastevere, lungo il fiume, sul lato opposto del Tevere vi
è invece Palazzo Farnese.
Il nome deriva dal fatto che da metà ‘500 la villa è stata acquisita dalla famiglia
Farnese che gli ha lasciato il nome.

La situazione topografica oggi è differente da quella originaria, la mappa di metà


‘700 mostra che il corso del Tevere è stato rettificato quando intorno al 1880 sono
stati realizzati gli argini, a volte non bastava costruire solo i muraglioni, ma ne
andava anche modificato il corso. In questo caso è stato allargato poiché in quel
punto la riva si stringeva molto fino all’altezza di Ponte Sisto e quando vi erano le
piene tendeva a straripare.
Facendo quei lavori sotto la Farnesina hanno ritrovato un’altra villa di epoca romana
(età augustea, probabilmente di Agrippa) che inizialmente assunse lo stesso nome
ed i cui resti oggi si trovano a Palazzo Massimo (ambienti affrescati ricostruiti).
Quindi anche in epoca romana avevano fatto la stessa cosa che venne fatta nel ‘400
installando un luogo di villeggiatura sulle rive del Tevere

Il luogo in cui sorge la Farnesina è particolare, si trova lungo via della Lungara la
quale collega diritta due porte (Porta Settimiana – nelle Mura Aureliane – e Porta
Santo Spirito – epoca rinascimentale). È una delle due strade fatte costruire ai primi
del ‘500 da papa Giulio II, la gemella si trova dall’altro lato ed è via Giulia. Intorno a
queste strade doveva impostarsi l’idea della Roma rinascimentale. Mentre via Giulia
si trovava dentro il tessuto urbano, via della Lungara era concepita come una via
extraurbana poiché collegava queste porte dall’esterno delle mura. Sulla riva destra
del Tevere gli unici quartieri esistenti all’epoca erano Trastevere e Borgo, entrambi
isolati ed esterni alla città, collegati solo da questa strada che passa quindi
esternamente rispetto al centro urbano.
Fin dall’inizio quindi la Farnesina nasce come villa extraurbana, fuori dalle mura: il
termine esatto è villa sub urbana, perché si trova appena fuori dalle mura.
Dentro le mura ci è finita nel ‘600 quando papa Urbano VIII ha fatto costruire i
Bastioni Gianicolensi, anche se poi quella zona è rimasta comunque
prevalentemente composta da vigne e orti fino ai primi del ‘900.

Oggi i muraglioni del Tevere separano la villa dal fiume, il giardino oggi si trova ad un
livello più basso rispetto alla strada, prima invece la villa affacciava direttamente sul
Tevere e vi era anche una zona del giardino in cui si poteva scendere sul fiume. Vi
era anche una loggia affacciata proprio sul fiume.
La mappa mostra anche una divisione interna del giardino che oggi non c’è più.
La casa Farnese era una proprietà dei Farnese che esisteva già al momento della
costruzione della villa, loro poi si sono di fatto allargati quando hanno comprato la
villa. Le scuderie di cui oggi non rimane quasi nulla erano state progettate da
Raffaello.
Oggi noi fruiamo la Farnesina in maniera diversa rispetto al ‘500, entriamo dal lato
opposto rispetto al vero e proprio ingresso, che si trovava nella “Loggia di Psiche”

Quando Chigi progetta e fa costruire la Farnesina intorno al 1508-1510 il concetto di


villa sub-urbana a Roma era quasi inesistente, egli però era di Siena ed in Toscana
invece le ville appena fuori dalla città erano diffuse poiché la campagna fuori dalla
città (contado) era un territorio molto controllato e sicuro, favorendo gli
insediamenti fuori le mura. Quindi già dal ‘300 a Firenze e Siena all’interno degli
appezzamenti di vigne e orti vengono costruite delle case padronali che non
costituiscono solo il luogo da cui si controlla la tenuta, ma anche un luogo dove la
famiglia passa del tempo in villeggiatura.
Non è così in altre zone d’Italia né a Roma, la quale è una città che fino al ‘500
inoltrato è stata poco tranquilla, quindi il contado romano non era un luogo adatto
alla villeggiatura. La tradizione della villeggiatura fuori città arriva a Roma alla metà
del ‘500.

Esistono esempi di ville precedenti, come il Palazzo Cybo (oggi Palazzo del
Belvedere) di papa Innocenzo VIII in Vaticano, che però non è esattamente una villa,
è un edificio molto imponente con dei merli e delle strutture difensive (lontano dal
concetto della vita in villa), inoltre stava in una zona adiacente alla basilica a
contatto con le mura.
Un altro esempio è il Castello della Magliana (oggi Parco de’Medici), si tratta di una
struttura medievale rimodernata due volte (con i papi Innocenzo VIII e Leone X) ed è
una struttura fortificata con cortile interno che serviva da punto di sosta sulla via
Portuense

L’idea di una residenza di svago fuori dalle mura era quindi innovativa a Roma
(comunque si trovava molto vicino alle mura e a Porta Settimiana, era facilmente
raggiungibile). Chigi era inoltre un banchiere, non un prelato, e per persone del suo
rango sociale non erano diffuse queste tipologie edilizie.
I Chigi possedevano già delle ville a Siena, pochi anni prima della Farnesina Agostino
ed il fratello Sigismondo fanno costruire la villa Le Volte da Baldassarre Peruzzi, lo
stesso architetto della Farnesina. La struttura è simile a quella della Farnesina, è a
forma di lettera C dove il lato interno è occupato da un porticato con due ali di
dimensioni diverse ai lati. Dietro il porticato si hanno alcuni ambienti su doppia fila.
Rispetto a questa però la Farnesina è stata regolarizzata nelle dimensioni e nelle
proporzioni (1:2/√2)*, la forma a C viene ridotta, le due ali sono piccole sporgenze ai
lati, la loggia è molto più grande e profonda (aveva un’importanza centrale), dietro
si ha solo una fila di ambienti. L’orientamento segue un precetto vitruviano secondo
cui per avere la migliore insolazione la villa non deve seguire i punti cardinali, ma
essere orientata di 18°

* Peruzzi a Roma mette in pratica le letture dei testi come Vitruvio e vi aggiunge
l’esperienza diretta nell’osservazione dell’architettura romana antica e moderna
(Bramante)

La loggia oltre ad essere l’ingresso aveva anche i caratteri di un proscenio teatrale


antico, oggi non si percepisce più questo effetto perché il suolo fuori è più alto e non
si ha più il doppio sollevamento del terreno. Dai documenti sappiamo che era
utilizzata in tal senso, molte commedie sono state rappresentate lì

Le decorazioni sono state fatte in due tempi diversi  1° fase 1509-1511 e 2° fase –
Loggia di Psiche – 1518-1519 (a ridosso della morte di Agostino Chigi nel 1520)
La seconda fase è stata realizzata dopo che Chigi ha deciso di terminare la sua
relazione di concubinato sposando la sua compagna da cui aveva avuto 5 figli, in
modo da dargli un’eredità al momento della morte. Con il matrimonio rinnova
l’assetto della villa ed inserisce nuove decorazioni che recuperano una storia classica
di elogio alla bellezza femminile e dell’amore. Anche il primo piano viene adeguato
sempre da Peruzzi, che affresca anche la sala nel piano nobile (che è stata allargata)
chiamata Sala Delle Prospettive (uno dei primi esempi di “sfondato prospettico”,
tema mitologico).
Accanto a essa viene creata la camera da letto coniugale decorata con il tema di
Alessandro Magno, in particolare si ha la scena dove doma Bucefalo, si hanno le
virtù di Alessandro e la scena del matrimonio di Alessandro e Rossana in cui riflesso
su uno specchio compare un letto come quello che si trovava nella loro camera
Al piano terra nell’anticamera alla stanza da letto originaria di Chigi si ha una delle
prime decorazioni mitologiche che compaiono a Roma: fregio sottile dipinto da
Peruzzi con scene tratte dalle Metamorfosi di Ovidio e scene delle fatiche di Ercole)

Loggia di Galatea: sul fianco sinistro della villa rispetto alla facciata vera e propria,
oggi è una struttura chiusa, ma prima il lato esterno verso il Tevere era aperto sul
giardino. Era inaccessibile dall’esterno perché non aveva una scala, non era un
punto di passaggio, non serviva per entrare o uscire dalla villa, ma era un luogo
accessibile solo dall’interno che costituiva un affaccio sulla natura

Il nome glielo da il doppio affresco con cui è decorata, uno di Sebastiano Del Piombo
(sinistra) e l’altro da Raffaello (destra) con la scena di Galatea che si gira al richiamo
di Polifemo. I due affreschi sono collegati fra loro e fanno parte di un progetto
probabilmente interrotto poiché sulle altre pareti si hanno delle immagini di
paesaggi realizzati successivamente.
Chiamiamo l’intero ambiente così anche se quello di Galatea è solo un episodio, un
singolo intervento di Raffaello che in quel periodo era molto impegnato nella
decorazione delle Stanze Vaticane, Chigi rinuncia a lui per quella loggia nel 1512 e lo
richiama solo nel 1518 quando egli riesce a gestire meglio tutti i suoi cantieri per la
Loggia di Psiche.
L’artista di fiducia di Chigi è Peruzzi sia come architetto che come pittore ed è lui che
decora la volta al di sopra delle arcate, mentre le lunette sono un intervento
ulteriore di Del Piombo rispetto al progetto originario

Struttura: volta a vela, cornici in stucco delimitano un grande rettangolo centrale, al


centro vi è lo stemma del Duca di Ripanda, ultimo inquilino importante della villa
(inizialmente vi era quello di Chigi), accanto vi sono due ottagoni allungati con due
scene, intorno una serie di esagoni e di lunette.
La scansione della superficie in poligoni di varie forme era comune in quel periodo
(Stanza della Segnatura, Vaticano)

Cosa è rappresentato nella Loggia?

Vi è un tentativo di sfondato prospettico perché negli esagoni le cornici dipinte sono


in scorcio e creano l’illusione ottica che la figura sia aperta sul cielo, cosa però
negata dalle lunette che hanno un fondo dorato che imita il mosaico (tentativo di
dare profondità)

Grandi scene negli ottagoni al centro:


1) Uccisione di Medusa: momento in cui Perseo decapita Medusa, vi sono molti
elementi tipici del mito come lo scudo riflettente, il mito dice che Perseo avanza
all’indietro per non guardare negli occhi Medusa e non essere pietrificato, la guarda
quindi attraverso lo scudo.
Ci sono alcuni personaggi dipinti a monocromo che sembrano essere coloro che
avevano tentato di uccidere Medusa senza riuscirci

Personaggio femminile in alto a destra: donna alata con una tromba → la Fama: si
trova soprattutto nella letteratura classica (Virgilio dice che la Fama vola – quindi ha
le ali) viene raffigurata con la tromba con cui si annunciavano le notizie

Perché si trova in questa immagine?

Fulgenzio (mitografo tardo-antico, il suo testo permette il passaggio della mitografia


classica al Medioevo) nella sua opera racconta la storia di Perseo e Medusa dandogli
una lettura di tipo simbolico/allegorico e ogni personaggio rappresenta qualcosa:
“Perseo uccide i Terrori (Medusa) con l’aiuto di Minerva, la Virtù aiutata dalla
Sapienza” (Perseo rappresenta la virtù, Minerva la Sapienza); “dal sangue di Medusa
si dice sia nato Pegaso come figura della Fama, infatti la Virtù mentre taglia il
Terrore genera la Fama”.
Pegaso rappresenta la Fama perché quando la virtù sconfigge il male la cosa non
può non diffondersi e la fama si diffonde, essa è alata e Pegaso è un cavallo alato

Agostino Chigi conosceva Fulgenzio? No, egli era un banchiere estremamente ricco,
uno dei principali banchieri d’Europa a inizio ‘500, veniva da una famiglia di
banchieri (non nobili), ma non aveva una grande cultura.
Egli si impone come banchiere papale di Alessandro VI, Giulio II e Leone X (i tre
principali papi di fine ‘400 – inizio ‘500) egli finanzia le loro imprese politiche, militari
ed artistiche con dei ricavi enormi, poiché non avendo essi possibilità di restituire i
prestiti si fa pagare non in contanti ma in privilegi, arrivando ad occupare posti
chiave dell’amministrazione pontificia come il controllo delle frontiere e delle
relative tasse. Questo gli permette di comprare territori che poi gli permettono di
creare dei nuovi traffici ad esempio marittimi.
Non è una persona colta, ma si circonda di scrittori ed è da loro che riceve i
suggerimenti riguardo le materie umanistiche.

All’epoca però non era necessario conoscere Fulgenzio per fare questo
ragionamento, perché quelli erano elementi della cultura comune.
Cesare Ripa tra le tante definizioni della Fama nella sua opera “Iconologia” vi è
quella della Fama Chiara nella medaglia di Antinoo: si tratta di un Mercurio nudo con
le ali ai piedi ed accanto Pegaso.
Ripa dichiara spesso le sue fonti ed in questo caso è “Il Discorso Sopra Le Medaglie
Antiche” di Sebastiano Erizzo (1559), uno dei primi esempi di studio delle monete
antiche. In esso vi sono le immagini della moneta di Domiziano citata da Ripa con
Pegaso e l’interpretazione che Pegaso fosse l’immagine della Fama

Nel ‘500 quando si rappresenta Antinoo egli appare come un domatore di cavalli,
simile all’immagine di Ripa (con giovane che tiene Pegaso per il morso), ma anche
simile all’immagine dei Dioscuri da cui essa deriva

A metà ‘600 Mattia Preti affresca Palazzo Doria-Pamphili a Valmontone nella Sala
dell’Aria rappresenta la fama esattamente come nell’opera di Ripa, vi sono i
personaggi alati e con le trombe, ma l’immagine che troneggia è quella di Pegaso

Nell’800 nella decorazione dell’Opéra Garnier a Parigi vi è la Fama che tiene il morso
di Pegaso, quindi si tratta di cose che vengono tramandate nel lungo periodo

Quindi l’immagine di Perseo con la Fama non è affatto singolare

2) Fanciulla su un carro trainato da tori: è molto complessa ed è stata letta in vari


modi.
Nell’arte romana il carro trainato da tori è il carro della notte e la divinità che
conduce il carro spesso porta la falce di luna ed è identificata con Diana. Alla
Farnesina non abbiamo quella falce, ma una specie di stella sulla fronte: secondo
alcuni rappresenta il Grande Carro (Orsa Maggiore), secondo altri le nutrici di Giove.
L’immagine della Notte funziona perché confrontandola con l’immagine di Perseo in
entrambe abbondano le stelle dorate nel cielo, quindi ci potrebbe essere
un’allusione a qualcosa non solo di mitologico, ma anche astrologico (Perseo è
anche una costellazione).

Funziona anche se analizziamo gli altri elementi della volta (personaggi negli esagoni
minori accanto a scene centrali):

- Giove e Ganimede

- Leda e il Cigno (in particolare la nascita dei Dioscuri)


- Ratto d’Europa → i personaggi sono Giove, Europa ed il toro, Giove si riconosce
perché ha in mano un piccolo fulmine attorcigliato con frecce e punte che escono
(saetta rappresentata come facevano i romani). Vi è anche un altro elemento ovvero
un ariete.
Il toro nel mito è Giove stesso quindi egli sarebbe rappresentato due volte, inoltre la
presenza dell’ariete fa capire che l’immagine è più ricca di quanto possa apparire

- Due fanciulle, una porta una specie di giavellotto, una faretra e un arco, l’altra
porta un cagnolino che le sta mordendo l’abito

- Centauro e personaggio con la lira (potrebbe essere Apollo o Orfeo, ma non Achille
con il centauro Chirone). Il Centauro potrebbe essere un sagittario

- Saturno (probabilmente la divinità agricola, quello originario dei romani, non il


Tempo) con due figure che potrebbero essere Eros e Venere

- Venere sulla conchiglia con le colombe che spesso la accompagnano. Vi è però


anche uno strano animale, forse un capricorno

- bilancia e scorpione con due figure che potrebbero essere Mercurio e Marte

- Ercole e il leone Nemeo (ripresa del mito delle Fatiche di Ercole, rappresentato
anche nella Stanza del Fregio a pochi metri dalla Loggia). Ma non è l’unico mito che
si ha → Ercole e Lidra: vi è un granchio alla base del piede, elemento del mito poiché
Ercole sconfigge Lidra e Giunone che era legata al mostro punisce Ercole facendolo
pungere da un granchio, ma Ercole si ribella

Potrebbe essere che ad ogni divinità planetaria sia associato un segno zodiacale, ma
l’accoppiamento non è quello canonico tra pianeta e segno corrispondente

1h18
Lezione 10 (12 aprile 2021)

Catasterismo: quando un mito si lega ad una costellazione


Mito di Ganimede collegato alla costellazione dell’Acquario (affresco di Palazzo
D’Arco a Mantova)

Immagine con due figure femminili e cane che morde la tunica alla fanciulla: tra i
Catasterismi - leggende legate alle costellazioni – ve n’è una dove compare un cane
di nome Maira legato alla leggenda di Erigone ed Icario  Icario è un contadino
dell’Attica, uno dei primi uomini a cui Bacco fa dono della vite ed il primo che
produce il vino, lo fa bere ai pastori della sua terra, essi non ne conoscevano gli
effetti e si ubriacano, pensando di essere stati stregati da Icario lo uccidono.
Nessuno sa che fine abbia fatto Icario tranne il cane Maira che era con lui, sarà lui
poi a portare la figlia di Icario nel luogo in cui si trova il corpo del padre.
Questa storia viene raccontata dallo scrittore romano di età augustea Igino, il quale
deriva direttamente dalla tradizione greca di Eratostene ed è un tramite della
mitologia legata agli astri per l’età proto-umanistica (Petrarca)

Anche Marco Manilio è erede della tradizione greca, ma inserisce anche delle novità
tipiche della cultura romana.
Da lui deriva Firmico Materno, colui che cristianizza questa tradizione: passaggio
dall’astronomia classica pagana ad una lettura di tipo cristiano

La visualizzazione di questa tradizione è l’Atlante Farnesiano: opera di età imperiale


con Atlante che sorregge la sfera del cielo, che è il cielo mitologizzato che gli antichi
conoscevano. Si tratta di una rappresentazione scientifica poiché rappresenta l’idea
del cosmo che all’epoca si aveva, ma anche di una soluzione estetica poiché le
costellazioni non sono rappresentate come punti, ma come animali e forme umane

Questa è una vera a propria tradizione che si ritrova anche a Bisanzio (manoscritto
del XV sec con lo stesso disegno visto sulla sfera però schiacciato sul foglio).
Si mantiene anche in area araba  Giordania, Qusayr ‘Amra: dimora di un califfo
omayyade con una struttura che ha molto a che fare con l’architettura tardo-antica,
forme che però qui vengono usate per un tipo di struttura diverso, abitativo e non
sacro. Nella parte dei bagni dove vengono riprodotte le terme romane si trova una
cupola la cui decorazione, oggi molto frammentata, riporta il disegno del cielo
La filiera della tradizione classica di Manilio e Igino viene interrotta, Manilio in
particolare si perde e viene riscoperto solo nel 1417, mentre si mantiene attiva la
filiera araba/egiziana (anch’essa però è una sintesi di vari elementi)

Tabula Bianchini: planisfero di epoca romana che unisce le due filiere classica ed
egiziana perché al centro c’è una mappa con le costellazione, ma intorno vi sono i
decani (questo è il momento della fusione tra le culture).
Nel tardo impero è una cosa che diventa pratica comune: Tavoletta ritrovata a
Grand in Francia: è una tavoletta divinatoria usata per fare gli oroscopi, al centro ci
sono sole e luna, poi i segni zodiacali ed ai lati i decani
Quindi la tradizione che noi chiamiamo “egizia” all’epoca era corrente. Essa è quella
che passa attraverso l’arabia (manoscritto di Abu Ma’shar, versione a stampa
occidentale è speculare poiché in Arabia si legge e si scrive da destra verso sinistra)

Versione a stampa dell’opera di Pietro D’Abano, uno dei più importanti


astronomia/astrologi del tardo-medioevo italiano (XII sec)  il suo ritratto si trova
nello Studiolo di Federico da Montefeltro ad Urbino, all’interno di una serie di dipinti
in cui si trovano anche Platone e Aristotele e questo ci fa capire che era considerato
uno dei pilastri del sapere occidentale.

Da Abu Ma’shar con la mediazione di Pietro D’Abano deriva il Ciclo Astrologico di


Palazzo della Ragione a Padova. Questo è un palazzo pubblico (non privato come
Schifanoia la cui decorazione deriva quindi dalla volontà del committente che
potrebbe avere una cultura particolare e solo sua) quindi era teoricamente
accessibile a tutti e ciò che si trova sulle pareti è un messaggio rivolto alla
cittadinanza, mostra l’immagine del mondo che aveva una persona colta del XIV sec
(gli affreschi sono stati rifatti nel ‘400 dopo un incendio), infatti la parte astrologica
sulla parte alta delle pareti si incrocia con la parte di tipo religioso e politico in basso.

Tutto ciò non si potrebbe capire senza una conoscenza della filiera della tradizione
astrologica, infatti ci sono voluti secoli perché venissero comprese ed interpretate
tutte le piccole figure attorno a quelle più evidenti.
In alto a sinistra vi è l’immagine dell’Acquario: egli non è Ganimede  nel 1420
l’Acquario era un personaggio che versa acqua e non per forza G. perché quel
personaggio attraverso i secoli, la cultura araba e la sua ritraduzione ha perso la sua
identità antica. È nel ‘400, riscoprendo i testi latini e greci, che assumerà
nuovamente sia il significato astrologico che la sua forma classica
A Palazzo Schifanoia vi è anche l’influenza dell’autore Manilio - oltre ad Abu Ma’shar
- nella divisione in 12 mesi e nell’attribuzione ad ognuno di una divinità che non è
quella Planetaria, ma quella Olimpica indipendente dalla cultura astronomica
(sintesi di più fonti)

A Firenze non è un caso che vengano unite più tradizioni  Sagrestia Vecchia di S.
Lorenzo, Brunelleschi: si studia soprattutto per questioni di tipo architettonico, ma è
anche importante dal punto di vista pittorico per via della Cupola della Scarsella,
sull’abside della cappella. Essa contiene un affresco su cui si è discusso moltissimo,
sulla datazione - si pensa sia stato eseguito dal pittore fiorentino Pesello, poco
conosciuto, non abbiamo molte sue opere e lo conosciamo quasi solo mediante le
fonti – e sul significato: è una volta celeste con le costellazioni rappresentate tramite
animali e personaggi mitologici. È realizzata con precisione, si vede la linea
dell’eclittica e sono segnati punti come il sole, la luna, i pianeti: con una
rappresentazione del genere non si sta rappresentando il cielo in generale, ma il
cielo in un certo momento (altrimenti non ha senso mettere il sole nella precisa
posizione fra Cancro e Gemelli, basta mettere l’immagine del sole da qualche parte
intorno alle costellazioni). Si sta quindi indicando qualcosa, ma la discussione è su
cosa si volesse indicare poiché le immagini dei pianeti non sono così chiare e a
seconda di come vengono individuati si ottiene una data diversa. Per alcuni sono le
date legate al Concilio di Firenze del 1439, per altri sono date legate all’arrivo di
Roberto D’Angiò a Firenze; la discussione è ancora aperta.
Una cosa che è stata chiarita è che tra coloro che hanno progettato l’affresco vi sia
Paolo Toscanelli, geografo che studiando la geografia classica aveva ipotizzato la
possibilità di raggiungere l’Oriente passando per Occidente, ispirando così le
scoperte di Cristoforo Colombo. In una sua opera compaiono i calcoli relativi al
passaggio della Cometa di Halley previsto per quegli anni ed essi sono omologhi con
la disposizione di stelle e pianeti nell’affresco

Il manoscritto bizantino posto in maniera speculare mostra la stessa sequenza delle


costellazioni Pesci – Ariete – Toro - Gemelli che si ritrova nell’affresco. È a Firenze
quindi che ricominciano ad unirsi una tradizione classica scientifica e una tradizione
classica figurativa e non è un caso perché è lì che giungono i manoscritti di Bisanzio
in seguito alla Quarta Crociata e al tentativo di unificazione della chiesa in seguito
allo Scisma con i Concili
In parallelo però si hanno altri casi come i palazzi Schifanoia e della Ragione dove la
tradizione astrologica medievale araba è ancora fortissima

Villa Farnesina la capiamo se teniamo conto del fatto che nel XV secolo è esistita
un’arte di argomento astronomico/astrologico che stava anche sotto gli occhi di tutti
e che quindi ci da conto di una cultura scientifica che poteva avere una certa
diffusione e che quindi poteva essere nella disponibilità del pubblico (inteso come
chi guarda le opere d’arte e chi le fa produrre)

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