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Appunti di

Fondamenti di
Chimica
1 Lezione 1
1.1 Introduzione
La chimica `e la scienza che studia le caratteristiche, la struttura e le trasformazioni della materia e gli
scambi energetici connessi a tali trasformazioni. Prima di essa si credeva che il mondo fosse costituito
dall’insieme di quattro elementi: aria, acqua, terra e fuoco. L’alchimia aveva l’obiettivo di trasformare il
piombo in oro, ma per fare ci`o era necessario creare materia dal nulla, visto che l’oro `e piu` pesante del
piombo. Questo viene capito da Lavoisier nel 1700, il quale enuncia il principio di conservazione della
massa (massa reagenti uguale massa prodotti). Con questa scoperta si ha la fine dell’alchimia e la nascita
della chimica.
In natura esistono 92 diversi atomi chiamati elementi (gli altri sono stati scoperti artificialmente), i quali,
combinandosi danno luogo a diversi composti. Questo avviene grazie ad una reazione chimica che emette
o assorbe energia e inquina (perch`e pu`o produrre elementi non desiderati).
Gli elementi chimici derivano dall’esplosione di stelle che, alla fine della loro vita, avevano una struttura a
cipolla con un diverso elemento per ogni strato (He, O, Fe, Ni, ...).

Sostanza pura: una specie di atomo o molecola


Miscela: due o piu` sostanze mescolate fisicamente
Elemento: piu` semplice strato della materia, costituito da una sola specie di atomo
Composto: due o piu` elementi chimicamente legati tra loro

1.2 Di cosa `e fatta la materia?


Le prime ipotesi sulla struttura e sulla natura della materia vennero avanzate in Grecia: Aristotele
ipotizz`o l’esistenza di una materia continua, divisibile indefinitamente in frammenti sempre piu` piccoli
mentre Democrito ritenne invece la materia discontinua, sostenendo l’esistenza di particelle minuscole
ed indivisibili chiamate atomi.
Le prime definizioni moderne dell’atomo vennero date da Boyle e da Newton:

• Per il primo la materia era formata da particelle e tutte le sostanze erano costituite da atomi diversi.

• Mentre Newton immagin`o gli atomi come minuscole sfere, dominate solo da forze attrattive e
repulsive.
Dalton (1803)
Formula una teoria basata sulle intuizioni di Democrito:

1. Materia fatta di particelle indivisibili: atomi

2. Atomo piu` piccola parte dell’elemento


3. Esistono atomi con caratteristiche differenti e tutti gli atomi di uno stesso tipo costituiscono
glielementi.
4. In una reazione, numero e qualit`a degli elementi non cambia (conseguenza legge di Lavoisier)
Quindi secondo Dalton l’atomo `e una sferetta indivisibile di materia neutra.

1
Crookes (2° met`a ’800)
Scopre i raggi catodici: fasci di particelle che si spostano, all’interno di un tubo catodico, dal catodo (-)
all’anodo (+) formando una luminescenza.
Goldstein (1886)
Scopre particelle (raggi canale) che viaggiano in direzione opposta rispetto ai raggi catodici: sono delle
particelle cariche positivamente.
Thomson (1897)
Scopre l’elettrone: particella carica negativamente che si muove verso il polo positivo. Dai suoi studi nasce
il modello atomico a panettone (1904): in cui gli elettroni (canditi) galleggiano in una nuvola carica
positivamente (impasto). La parte positiva e quella negativa devono bilanciarsi e dare luogo ad un atomo
neutro.
Millikan (1909)
Determina la carica dell’elettrone tramite un esperimento in cui utilizzava delle goccioline di olio
nebulizzate cariche negativamente e regolando accuratamente il voltaggio alle piastre riusciva a
controbilanciare la forza di gravit`a.
Rutherford (1911)
Scopre il protone. L’esperimento: colpisce con un fascio di particelle α una lamina d’oro, quindi la maggior
parte delle particelle passa la lamina senza problema, alcune subiscono una deviazione e pochissime
vengono respinte verso la sorgente. Se la teoria di Thomson fosse valida, tutte le particelle α avrebbero
dovuto attraversare la lamina. Rutherford sorpassa la teoria a panettone per introdurre il modello atomico
planetario. Atomo `e quindi una struttura vuota in cui il nucleo centrale contiene protoni e neutroni con
elettroni che orbitano attorno ad essi. La materia occupa una regione molto limitata dello spazio
dell’atomo. L’atomo `e elettricamente neutro (n protoni = n elettroni, visto che essi hanno carica uguale ed
opposta).
L’elettrone ha un ruolo fondamentale nelle reazioni chimiche perch`e entra in gioco nella formazione di
legami tra atomi uguali o diversi.
Mendeleev (1871)
Si accorge che le propriet`a chimiche degli elementi variano in modo periodico man mano che il loro
numero atomico aumenta.
Chadwick (1932)
Scopre il neutrone, particella neutra con massa simile al protone.

1.3 Come si pesano gli atomi?


Per non avere a che fare con numeri estremamente piccoli, il S.I. ha scelto come unit`a di misura 1/12 di
atomo di carbonio 12 e corrisponde a 1,66·10−27 kg/uma.
Sulla tavola periodica `e riportata la massa atomica media, cio`e la media pesata degli isotopi di
quell’elemento.
Massa `e diverso da peso, la massa non dipende dalle forze gravitazionali:
atomi – massa atomica molecole
— massa molecolare composti
ionici – massa formula
La massa atomica e la massa formula si determinano sommando le masse atomiche delle molecole e dei
composti ionici:
O2 = 2x16 uma = 32 uma
H2O = 2x1 + 16 = 18 uma
NaCl = 23 + 35.5 = 58.5 uma

1.4 La mole
Nel S.I. una mole contiene esattamente 6,022·1023 particelle, che corrisponde al numero di Avogadro. Ne
risulta che una mole di un elemento `e equivalente alla massa atomica di quel elemento espressa in
grammi. Quindi 1 mole di C = 12g di C, 1 mole di H20 = 18g di H2O.
55,85g di Ferro hanno lo stesso numero di atomi di 12g di Carbonio.

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La mole nei calcoli stechiometrici: per la legge di conservazione della massa il primo membro
dell’equazione deve avere lo stesso numero di atomi del secondo membro, per fare questo si bilancia la
reazione tramite i coefficienti stechiometrici.

2 Lezione 2
2.1 I gas
Galileo scopre il principio dei vasi comunicanti: un liquido contenuto in due o piu` contenitori
comunicanti tra loro, in presenza di gravit`a, raggiunge lo stesso livello originando un’unica superficie
equipotenziale. Torricelli dimostra che i gas sono in grado di esercitare una pressione.

2.1.1 Legge di Boyle


Per una certa massa di gas (perfetto) a temperatura costante, il prodotto tra il volume del gas e la sua
pressione `e costante:
P ·V = cost
2.1.2 Prima legge di Gay-Lussac
A pressione costante, il volume di un gas aumenta linearmente con la temperatura:

V (t) = V0(1 + αT)

con α = 1/273 °C.

2.1.3 Seconda legge di Gay-Lussac


A volume costante, la pressione di un gas aumenta linearmente con la temperatura:

P(t) = P0(1 + αT)

Entrambe le leggi valgono solo per gas ideali.

2.1.4 Legge di Avogadro


Stessi volumi di gas diversi, a parit`a di pressione e temperatura, contengono lo stesso numero di molecole
(a condizioni normali P=1 atm e T=0°C). Una mole di gas ideale occupa il volume di 22,414 L.

2.1.5 Equazione di stato dei gas perfetti


PV = nRT
Propriet`a gas ideali

• Molecole puntiformi;

• Urti perfettamente elastici tra le molecole;

• Non ci sono forze di interazione tra le molecole del gas;

• Molecole uguali tra loro.

Quindi per i gas reali l’equazione di stato va corretta con l’equazione di stato dei gas reali (di Van der
Waals).

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2.2 Limiti modello di Rutherford
In base alla fisica classica, una particella carica dotata di un movimento circolare libera energia. Di
conseguenza, gli elettroni che, secondo il modello di Rutherford, ruotano attorno al nucleo, irradiano in
continuazione energia e quindi sono destinati a rallentare il proprio moto, percorrendo orbite a spirale
che li porterebbero a “precipitare” sul nucleo. Per spiegare la struttura atomica nasce la fisica quantistica
che va a studiare:
1. la natura della luce;
2. sue interazioni con la materia.
Gli elettroni nell’atomo
I colori emessi da un atomo eccitato dipendono dalla disposizione degli elettroni nell’atomo.

2.3 La luce
Maxwell si accorse che tutte le radiazioni elettromagnetiche si propagano nel vuoto in linea retta e sotto
forma di onde, viaggiando alla velocit`a della luce c. La natura ondulatoria delle radiazioni
elettromagnetiche `e causata dalle oscillazioni del campo magnetico e del campo elettrico.
La classificazione di tutte le onde elettromagnetiche in funzione della lunghezza d’onda espressa in cm
(ma sono frequenti come unit`a di misura anche il metro, l’˚Angstr¨om e il micron) `e detta spettro
elettromagnetico. Lo spettro del visibile `e solo una piccola parte dell’intero spettro e comprende le
lunghezze d’onda che vanno da 400 a 700 nm. Inoltre, l’energia aumenta dalle onde radio (bassa f, λ
grande) ai raggi gamma (alta f, λ piccola).
2.4 Natura ondulatoria e corpuscolare dell’onda
Secondo la fisica classica la luce ha solo una natura ondulatoria a cui viene associata un flusso continuo di
energia. Ma in questo modo ci sono tre fenomeni che non trovano spiegazione:

2.4.1 Radiazione del corpo nero (quantizzazione dell’energia)


Quando un corpo si scalda emette luce di una certa intensit`a e frequenza. Con l’aumentare della
temperatura varia l’intensit`a e la frequenza (quindi il colore) della radiazione.
Concetto di corpo nero: sistema ideale che assorbe tutta l’energia incidente. Si scalda e riemette energia
ad una frequenza legata alla temperatura a cui si trova.
La fisica classica approssimava le curve di emissione del corpo nero solo per λ molto elevate, mentre per λ
piccole l’errore diventava notevole. Max Planck scopre che un corpo ad alta temperatura `e in grado di
emettere o assorbire solo certe quantit`a di energia

E = nhv.

Ogni pacchetto `e detto quanto e un atomo varia il suo stato di energia emettendo o assorbendo uno o piu`
quanti.

2.4.2 Effetto fotoelettrico (natura corpuscolare della luce)


Illuminando con una luce monocromatica di energia sufficiente la superficie di un metallo si verifica
l’emissione di un elettrone, con la conseguente generazione di una corrente fotoelettrica. Per ogni metallo
la radiazione incidente deve avere una frequenza minima, al di sotto della quale non si ha emissione di
elettroni.

2.4.3 Spettri atomici (energia quantizzata dell’elettrone)

• Spettro continuo: la luce emessa da una sorgente calda (lampadina) da luogo ad uno spettro
luminoso continuo;

• Spettro di emissione: la luce emessa da una gas eccitato (idrogeno) da uno spettro luminoso a righe
detto di emissione.

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Nell’emissione un elemento emette energia luminosa (hv) con frequenze ben determinate.
Nell’assorbimento lo stesso elemento assorbe energia luminosa le cui frequenze sono le stessse che `e in
grado di emettere.
Quindi l’elettrone all’interno dell’atomo pu`o avere solo valori discreti di energia (E1, E2, ..., En). Studiando
lo spettro di emissione della luce solare si cap`ı che esso fosse composto di idrogeno, non di ferro come
invece si pensava.

2.5 Modello atomico quantizzato: l’atomo di Bohr


Nel 1913 Bohr presenta un modello dell’atomo (proposto inizialmente per l’atomo di idrogeno), facendo
intuire che gli elettroni si muovono su degli orbitali, con le seguenti caratteristiche:

1. l’elettrone ruota attorno al nucleo in orbite con determinato raggio ed energia: stati stazionari;

2. per assorbimento di energia l’elettrone pu`o passare dallo stato fondamentale n = 1 a n = 2, n = 3,


etc ma non sono ammessi mezzi salti;

3. quando l’elettrone torna allo stato fondamentale viene emessa energia il cui valore E = hv deve
essere uguale a ∆E tra stati permessi.

2.6 Limiti modello di Bohr


• Rappresenta con successo l’atomo di idrogeno, ma non `e in grado di interpretare spettri atomici
polielettronici.
• Non obbedisce (giustamente) alla fisica classica, ma queste leggi sono usate per definire la sua orbita
(posizione) e la sua energia (velocit`a), attribuendo quindi all’elettrone un comportamento definito.
Ma nel 1927 grazie al principio di indeterminazione di Heisenberg si capisce che non `e possibile
determinare contemporaneamente posizione e velocit`a dell’elettrone. Questo perch`e nel mondo
macroscopico la λ della luce visibile `e molto al di sotto delle dimensioni degli oggetti osservati, i
quali risultano nitidi e ben risolti, ma questo non vale per il mondo microscopico.

Dall’impossibilit`a di determinare contemporaneamente posizione e velocit`a di particelle piccole come


l’elettrone perde ogni significato scientifico il modello atomico di Bohr perch`e in esso l’elettrone compie
orbite ben definite attorno al nucleo, con un certo valore di energia. Occorre quindi abbandonare l’idea di
descrivere l’atomo con il modello meccanicistico della fisica classica.

3 Lezione 3
3.1 Dualismo onda particella
3.1.1 Postulato di De Broglie
Se la massa si converte in energia (deriva da Einstein) allora alla massa posso associare un’onda hν.
L’espressione che ne deriva definisce un’onda associata all’elettrone libero di muoversi nello spazio e non
vincolato nel campo del nucleo. Questo rivoluzion`o la fisica perch`e la natura possiede sia le propriet`a di
particella che di onda.

3.1.2 Equazione di Schr¨odinger


La relazione di De Broglie venne applicata anche al moto di particelle vincolate, come gli elettroni
nell’atomo e venne ricavata un’equazione d’onda che descrive gli e− come onde materiali tridimensionali
stazionarie. Per stazionaria intendiamo un’onda che vibra in una determinata regione di spazio e la cui
configurazione non varia nel tempo. Quindi l’elettrone `e assimilabile ad un’onda con stati stazionari di
energia (E = cost) che si propaga nelle tre dimensioni dello spazio (x, y, z). Le funzioni d’onda sono
descritte dai tre numeri quantici n, l, m e una funzione d’onda caratterizzata da numeri quantici ben
precisi si dice orbitale. Non possiamo dire dove si trova esattamente la particella in ogni istante, ma solo
indicare la probabilit`a che essa abbia di trovarsi in una certa zona dello spazio. E’ qui che ”cade” l’atomo

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di Bohr perch`e l’elettrone non percorre un’orbita stabilita ad una distanza costante dal nucleo, ma i 0,53
˚A del raggio di Bohr sono solo la distanza piu` probabile a cui pu`o trovarsi l’elettrone.

3.2 Numeri quantici


• n: numero quantico principale (1, 2, 3, ...) e definisce l’energia dell’elettrone e le sue dimensioni.

• l: numero quantico secondario (0, 1, 2, ..., n-1) e definisce la forma dell’orbitale. Per l=0 abbiamo
l’orbitale di tipo s, per l=1 p, per l=2 d e per l=3 f.

• m: numero quantico magnetico (-l ≤ m ≤ +l) e definisce l’orientazione dell’orbita nello spazio. Per l=0
ho un’orientazione, per l=1 ne ho 3, per l=2 ne ho 5 e per l=3 ne ho 7.

Orbitali degeneri: sono orbitali aventi la stessa energia, ad esempio l’orbitale p ha l’aspetto di due lobi
simmetrici rispetto al nucleo, in cui l’elettrone ha la stessa probabilit`a di trovarsi.

Vediamo piu` in dettaglio i vari tipi di orbitali:

1. Orbitale s: una sola direzione nello spazio, quindi orbitale sferico. La probabilit`a di trovare
l’elettrone `e descritta dalla densit`a di probabilit`a (P massima vicino al nucleo) e dalla probabilit`a
radiale. Studiando quest’ultima si capisce che all’aumentare del raggio aumenta la superficie della
sfera e che allontanandosi dal nucleo `e meno probabile trovare l’elettrone.

2. Orbitale p: tre direzioni nello spazio (px, py, pz). L’insieme dei tre orbitali p corrisponde ad una
distribuzione sferica. Vediamo come l’elettrone non si trovi troppo vicino al nucleo.
3. Orbitale d: cinque direzioni nello spazio, anche qui l’insieme degli orbitali d corrisponde ad una
distribuzione sferica.

4. Orbitale f: sette direzioni nello spazio.

3.2.1 Rappresentazione schematica dell’energia degli orbitali


Per Z = 1 (idrogeno) l’energia degli orbitali dipende solo da n, mentre per Z > 1 l’energia dipende da n e da
l. Quindi per Z > 1 E2s < E2p ad esempio. Questo `e dovuto all’effetto schermo: se in un atomo ci sono piu`
elettroni, questi risentono sia della forza attrattiva del nucleo sia della forza repulsiva tra elettroni e
questo causa uno ”schermaggio” del valore di Z nei confronti di un elettrone dagli e− piu` interni. Si parla
quindi di carica efficace (Zeff) data dalla differenza tra il numero Z e lo schermo S degli elettroni.

3.3 Configurazione elettronica


I tre numeri quantici descrivono l’orbitale e la sua energia, ma non definiscono il singolo elettrone perch`e
non tengono conto del suo spin. Infatti l’elettrone ruota su se stesso creando un campo magnetico in due
direzioni.
Gli elettroni vanno ad occupare gli orbitali disponibili a piu` bassa energia, in modo da rendere minima
l’energia dell’atomo, seguendo le seguenti regole:

• Principio di esclusione di Pauli: ogni orbitale pu`o contenere solo 2 elettroni e uno avr`a ms = + e
l’altro avr`a . Spin opposto per rendere il campo magnetico risultante uguale a 0.

• Principio di massima molteplicit`a di Hund: gli orbitali degeneri vengono occupati dagli elettroni
in modo che la somma degli spin sia massima: quindi si mettono negli orbitali degeneri con spin
parallelo e poi si accoppiano con i precedenti.

3.3.1 Principio dell’Aufbau


Questo principio `e applicato per determinare la configurazione elettronica di un atomo e presuppone un
progressivo riempimento degli orbitali con gli elettroni. La regola di Madelung ci dice inoltre che gli
orbitali con un valore piu` basso di n + l vengano riempiti prima di orbitali con valori n + l maggiori.

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3.3.2 Alcuni esempi

• Idrogeno H = 1s1 perch`e ha numero atomico Z = 1;

• Elio He = 1s2 con Z = 2, primo livello completato quindi `e stabile;

• Litio Li = 1s22s1 con Z = 3;

• Ossigeno O = 1s22s22p4 con Z = 8 e cos`ı via.

Quindi gli elemento con l’ottetto (gas nobili) fanno fatica a reagire proprio perch`e sono molto stabili.

All’aumentare di Z l’energia degli orbitali diminuisce, ma ci possono essere delle eccezioni, ovvero ci sono
dei casi di inversione dei livelli energetici 4s, 4p, 3d. Per Z ≤ 20 l’energia del livello 4s `e minore di quella
del 3d mentre per gli elementi con Z > 20 `e il contrario, ad esempio il Cromo (Z = 24) ha configurazione
elettronica finale 4s13d5 e non 4s23d4 come ci saremmo aspettati.

3.4 Propriet`a magnetiche degli elementi


• Atomi con elettroni spaiati diventano piccoli magneti e vengono attratti da un campo magnetico. Tali
sostanze sono dette paramagnetiche (come l’ossigeno);

• Atomi con elettroni accoppiati sono debolmente respinti da un campo magnetico e sono detti
diamagnetici.
4 Lezione 4
4.1 Tavola periodica
Con il meccanismo Aufbau, applicato agli atomi ordinati secondo Z crescente e andando a capo quando si
raggiunge l’ottetto (quindi ai gas nobili), si evidenzia il ripetersi periodico delle strutture esterne lungo il
gruppo. Ricorda che i gruppi sono le colonne, i periodi le righe.
Scendendo lungo un gruppo ho elementi con la stessa configurazione elettronica esterna, ovvero stesso
numero di elettroni di valenza che entrano in gioco nella formazione di legami, allora le propriet`a
chimicofisiche degli elementi dipendono da Z e sono simili lungo il gruppo.
Gli atomi del primo gruppo hanno un elettrone di valenza e sono detti metalli alcalini, quelli del secondo
gruppo hanno due elettroni esterni e si chiamano alcalino terrosi, quelli del sesto gruppo sono i calcogeni,
quelli del settimo gli alogeni e quelli dell’ottavo i gas nobili.

4.2 Propriet`a periodiche degli elementi


Esse dipendono da Z, o meglio da Zeff, cio`e dalla carica nucleare sentita dagli elettroni di valenza e
determina le dimensioni dell’atomo, l’energia di ionizzazione (IE) e l’affinit`a elettronica (EA).

Ricordando che gli elettroni dello stesso livello n hanno scarsa azione di schermo e che quelli dei livelli
sottostanti hanno elevata azione di schermo, Zeff aumenta lungo un periodo e varia poco lungo un gruppo.

4.2.1 Dimensioni atomo: raggio atomico


Zeff `e la carica nucleare sentita dall’elettrone esterno e quindi determina l’estensione nello spazio
dell’orbitale occupato dall’elettrone, ossia le dimensioni dell’atomo. Il raggio atomico `e definito come
met`a della distanza tra due nuclei dello stesso elemento in una molecola (gas o in un cristallo metallico).
Esso diminuisce lungo il periodo (n = cost, z eff aumenta) e aumenta lungo il gruppo (n aumenta, z eff =
cost).

4.2.2 Energia di ionizzazione


L’energia di ionizzazione (IE) `e definita come la quantit`a di energia necessaria per rimuovere un
elettrone da un atomo o ione gassoso. E’ l’opposto dell’energia di Coulomb che attrae l’elettrone al nucleo.

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Quando si va a togliere un elettrone da un atomo si forma uno ione positivo detto catione.

Come varia?
E’ piu` facile togliere un elettrone da un elemento a sinistra della tavola periodica perch`e `e meno attratto
al nucleo, quindi IE aumenta molto lungo il periodo e diminuisce poco lungo il gruppo.

Le energie di ionizzazione successive (secondarie e terziarie) sono molto superiori alla IE primaria.

4.2.3 Carattere metallico


Quanto minore `e IE tanto piu` facilmente si forma un catione, quindi tanto maggiore `e il carattere
metallico dell’elemento. Ne consegue che il carattere metallico ha un andamento inverso rispetto
all’energia di ionizzazione, quindi: diminuisce lungo il periodo e aumenta lungo il gruppo.

4.2.4 Affinit`a elettronica


EA corrisponde all’energia liberata quando ad un atomo neutro si aggiunge un elettrone. Un atomo a cui si
aggiunge un elettrone `e detto anione. Come varia l’EA? Aumenta lungo il periodo e diminuisce lungo il
gruppo.

4.2.5 Raggi ionici


Si ricavano sperimentalmente dalle distanze fra ioni nel cristallo ionico. I cationi hanno dimensioni
inferiori rispetto all’atomo da cui derivano proprio perch`e hanno un elettrone esterno in meno. Al
contrario gli anioni hanno raggio maggiore perch`e possiedono un elettrone esterno in piu` rispetto
all’atomo da cui derivano.

Negli ioni isoelettronici, quindi ioni con stesso numero di elettroni di valenza (ad esempio O 2−, F−, Ne), la
dimensione dipende dalla carica del nucleo. Si pu`o considerare anche Z perch`e la struttura elettronica `e
la stessa.

4.2.6 Propriet`a chimiche


In base alle propriet`a fisiche periodiche (r, EI, EA) gli elementi si possono suddividere in:
• Metalli: (bassa EI) perdono facilmente elettroni dando cationi e formano composti ionici con i non
metalli;

• Semimetalli: (valori intermedi di EI e EA) comportamento diverso a seconda del ”partner”;

• Non metalli: (alta EA) acquistano facilmente elettroni dando anioni.

4.3 I legami
In essi sono coinvolti sono gli elettroni di valenza e sono di varie tipologie:
• Covalente: elettroni condivisi e si trova negli elementi o nei composti molecolari;

• Ionico: elettroni ceduti e possiamo trovarlo nei composti ionici;

• Metallici: negli elementi metallici.


Vediamo ora i legami che troviamo negli elementi (tra atomi uguali):
• Gas nobili: sono gli unici che esistono come atomi;

• Metalli: legame metallico (Fe);

• Non metalli: si trovano in molecole con legame covalente (O2).


Mentre nei composti (formati da atomi diversi) i legami sono di due tipi:

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• Ionico: se il composto `e ionico;

• Covalente: se il composto `e molecolare (molecola).


Se due atomi (uguali o diversi) reagiscono spontaneamente puntano sempre ad avere il minor contenuto
energetico possibile: H + H → H2 perch`e ha meno contenuto energetico di H + H.

Secondo Lewis gli atomi si legano tra di loro per formare composti perch`e tendono ad assumere la
configurazione stabile ad ottetto. Questo pu`o essere raggiunto in due modi:
• per trasferimento di elettroni, si parla di legame ionico;

• per condivisione di elettroni, in questo caso parliamo di legame covalente.

4.4 Legame covalente


Si forma tra atomi di non metalli uguali o diversi.
Gli atomi condividono una o piu` coppie di elettroni di valenza realizzando l’ottetto (ns2np6), cio`e quello
stato energetico stabile che coincide con quello dei gas nobili. Il modello di Lewis rappresenta gli elettroni
di valenza per mezzo di punti: F perch`e il fluoro ha 7 elettroni di valenza (2s 22p5). Pu`o esserci la
condivisione di una coppia di elettroni (legame singolo):
H + Cl H Cl HCl
oppurepu`oessercilacondivisionedidueotrecoppiedielettroni:
O + C + O O C O CO2
N + N N N N2
Notare che i gas nobili non formano legami con altri atomi perch´e non possono rilasciare elettroni di
valenza e non possono assorbire gli elettroni di valenza di altri atomi. I gas nobili esistono quindi sempre
in forma atomica e non formano molecole.
4.4.1 Ordine di legame
Coincide con il numero di coppie di elettroni condivise. Piu` alta `e la densit`a elettronica tra i due atomi,
piu` saldamente i due atomi sono legati tra loro e minore `e la lunghezza del legame.

4.4.2 Energia di legame


Energia che occorre fornire per rompere il legame. Maggiore `e l’ordine di legame, maggiore `e l’energia
necessaria per romperlo, quindi il legame `e piu` forte.

4.4.3 Legame covalente dativo


I due atomi impegnati nel legame non sono piu` paritetici, ma `e presente un atomo datore (mette a
disposizione una o piu` coppie di elettroni) e un atomo accettore (deve avere un orbitale vuoto nel guscio
piu` esterno e deve essere piu` elettronegativo).

4.5 Elettronegativit`a
E’ la tendenza di un atomo ad attrarre su di se gli elettroni di legame che lo tengono unito ad un altro
atomo o in una molecola. Per convenzione, `e stato scelto il Fluoro (F) come atomo piu` elettronegativo (χ
= 4). Quindi, in un legame, l’atomo piu` elettronegativo esercita maggior attrazione sugli elettroni rispetto
all’atomo con cui si lega. Quando ∆χ > 1,7 si ha il legame ionico perch`e l’elettrone si sposta, non resta
condiviso. Inoltre, i valori di elettronegativit`a aumentano lungo il periodo e diminuiscono lungo il
gruppo.

4.6 Legame covalente polare


Si hanno tra atomi diversi con affinit`a elettronica ed elettronegativit`a diverse. La coppia elettronica di
legame `e piu` addensata verso l’atomo con maggiore EA e maggiore χ e possiamo dire che la molecola `e

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polare (µ ̸= 0) perch`e si ha una parziale separazione di carica. Al legame covalente si sovrappone il
carattere ionico, in questo modo il legame risulta piu` forte. Nota che nei legami tra atomi uguali, non
essendoci nessuna differenza di EA, non c’`e alcuna polarizzazione (µ = 0).

5 Lezione 5
5.1 Eccezioni alla regola dell’ottetto
1. Ottetti incompleti: caratteristica dei composti del Berillio e Boro in cui l’elemento si ”accontenta”
perch`e non ha abbastanza elettroni esterni.
2. Ottetti espansi: tipico dei non metalli con n ≥ 3 che possono accedere anche agli orbitali d vuoti. Ad
esempio in PCl5, l’atomo di fosforo viene ad avere 5 coppie elettroniche (10 e−).

3. Elettroni spaiati: i radicali: queste specie hanno vita media breve, sono costituite da un atomo o
una molecola formata da piu` atomi, che presenta un elettrone spaiato: tale elettrone rende il
radicale estremamente reattivo, in grado di legarsi ad altri radicali o di sottrarre un elettrone ad
altre molecole vicine. Queste specie sono inoltre paramagnetiche.

Nota che la teoria di Lewis ci dice solo il numero di legami che un atomo pu`o formare, ma non ci da
informazione sulla geometria molecolare.

5.2 Risonanza
In alcune molecole o ioni la struttura di Lewis non `e in accordo con i dati sperimentali. Ad esempio, la
lunghezza dei due legami in SO 2 `e uguale anche se da una parte ho un legame singolo e dall’altra ho un
legame doppio. E’ stato scoperto che ci sono due elettroni che si muovono da un atomo di O all’altro.
Questo `e possibile perch`e esistono tre strutture di risonanza e la vera molecola `e un ibrido delle tre
strutture possibili. Si descrive come segue:
Generalmente accade quando una molecola lega piu` composti uguali e fa legami diversi con essi. Abbiamo
una molecola instabile che prova a stabilizzarsi cambiando i legami e succede principalmente quando si ha
un doppio legame e un legame dativo.
5.3 Legame ionico
E’ di natura elettrostatica, `e adirezionale ed `e necessaria un’elevata differenza di elettronegativit`a per
dare vita ad un cristallo ionico. Tipicamente il legame avviene tra un elemento con bassa IE (metallo) e uno
con alta EA (non-metallo) in cui il metallo cede l’elettrone (diventando un catione come Na +) al non
metallo (diventando anione come Cl −) e si uniscono per attrazione coulombiana per formare NaCl. In
questo caso sia Na+ sia Cl− raggiungono l’ottetto.
Il cristallo ionico, visto che si forma per attrazione elettrostatica, ha una struttura rigida, quindi fragile.

6 Lezione 6
6.0.1 Nomenclatura dei composti ionici
Il nome del catione `e quello del metallo preceduto dalla parola ione, mentre per l’anione monoatomico si
aggiunge il suffisso -uro al nome dell’elemento.

6.0.2 Energia reticolare


Nel legame ionico si ha il trasferimento di uno o piu` elettroni da un metallo ad un non metallo. Questi
composti si formano spontaneamente, cio`e si libera energia detta energia reticolare. Essa `e una misura
dell’attrazione elettrostatica tra gli ioni, quindi `e tanto maggiore quanto maggiore `e il potenziale ionico,
ovvero il rapporto tra la carica dello ione ed il suo raggio. Una E ret elevata comporta un’elevata
temperatura di fusione, di ebollizione ed una minore solubilit`a in H2O di quel composto ionico.

10
6.0.3 Solubilit`a in acqua dei composti ionici
La solubilit`a `e dovuta alle interazioni ione-dipolo tra la molecola polare dell’acqua e gli ioni del cristallo,
questo perch`e lo ione `e in grado di generare un campo elettrostatico che orienta le molecole polari
dell’acqua. L’energia in gioco `e chiamata energia di idratazione (solvatazione) ed `e tanto maggiore
quanto maggiore `e il potenziale ionico e la polarit`a del solvente. Se l’energia di idratazione `e maggiore
dell’energia di attrazione tra le molecole di H 2O e dell’energia reticolare, il composto ionico `e solubile in
acqua.

6.1 Geometria molecolare


E’ la disposizione nel piano o nello spazio degli atomi di una molecola ed `e possibile perch`e i legami
covalenti sono direzionali.
Siamo in grado di conoscere le disposizioni degli atomi grazie alla teoria di Lewis (ci dice il numero di
legami) e la teoria V.S.E.P.R. (ci dice l’angolo di legame). Quest’ultima ci dice che le coppie di elettroni
coinvolte nei legami covalenti sono di due tipi: coppie di legame (CL) e coppie di non legame (coppie
solitarie: CS) ed occupano una zona nello spazio ad alta densit`a di carica negativa. La geometria dei legami
dipende quindi dal numero di CL e CS, ovvero dalle coppie totali di elettroni che si dispongono nello spazio
il piu` lontano possibile perch`e si respingono.
L’elettrostatica ci dice che cariche uguali si dispongono alla distanza massima possibile. Questo vale
anche per gli elettroni all’interno di un atomo e, a seconda del numero di elettroni, si possono avere
diverse configurazioni.
Nota che il trigonale bipiramidale non `e uguale dappertutto (due angoli diversi).

6.2 Legami multipli


Occupano una sola direzione nello spazio e quindi si comportano come un legame singolo.

6.3 Molecole polari


Una volta conosciuta la geometria di una molecola, si pu`o stabilire la sua polarit`a. Per una molecola
biatomica:

• A-A (H2) → non polare perch`e µ = 0

• A-B (HCl) → polare perch`e µ ̸= 0


Per quanto riguarda le molecole poliatomiche il µtot equivale alla somma di tutti i µ dei singoli legami:

• O=C=O → non polare perch`e µ = 0

• H-C≡N → polare perch`e µ ̸= 0

Una molecola simmetrica nella disposizione spaziale e nella distribuzione atomica ha µ = 0. Quando la
simmetria si rompe (per atomi con ∆χ disposti in modo non simmetrico) il momento di dipolo `e diverso
da zero. Studiando le molecole si capiscono le propriet`a macroscopiche perch`e tanto maggiore `e il µ di
una molecola, tanto maggiori sono le forze di attrazione e tanto maggiori saranno le temperature di
fusione, di ebollizione e di liquefazione.

7 Lezione 7
7.1 Interazioni intermolecolari
I composti ionici sono solidi grazie all’interazione catione-anione, mentre le sostanze molecolari possono
avere natura gassosa, liquida o solida. Essa dipende dalle forze intermolecolari, ovvero dalle forze
attrattive tra le molecole. Questi legami hanno energia di legame relativamente bassa (sono chiamati
anche interazioni deboli), ma sono importanti nel determinare le propriet`a fisiche delle sostanze.

11
7.1.1 Legame ad idrogeno
E’ un caso particolare di forza intermolecolare in cui `e implicato un atomo di idrogeno legato
covalentemente ad elementi molto elettronegativi (F, N e O), i quali attraggono a s´e gli elettroni di
valenza, acquisendo una parziale carica negativa (δ−) e lasciando l’idrogeno con una parziale carica
positiva (δ+).

Questo tipo di legame `e responsabile di elevate temperature di fusione e di ebollizione. Altra caratteristica
`e il comportamento di questo legame nell’acqua: allo stato solido una molecola d’acqua `e legata con
legame ad idrogeno ad altre quattro molecole (disposte lungo i vertici di un tetraedro), mentre allo stato
liquido queste strutture vengono demolite e le molecole sono piu` ”ravvicinate” e disordinate. Per questo
motivo il ghiaccio `e meno denso dell’acqua.

Il legame ad idrogeno influenza anche la solubilit`a dei composti: gli alcoli, ad esempio, sono solubili in
acqua perch`e riescono a formare legami ad idrogeno con le molecole di H2O.

7.1.2 Interazioni dipolo-dipolo


Sono forze attrattive tra molecole polari, cio`e tra dipoli elettrici che presentano una parziale carica
positiva (δ+) ad un’estremit`a e una parziale carica negativa (δ−) all’estremit`a opposta. Queste molecole si
orientano in modo tale da stabilire forze attrattive tra le parziali cariche di segno opposto. E’ un legame
debole (10-20 kJ/mol) paragonato ad un legame covalente (400 kJ/mol).

7.1.3 Forze di London


Sono le uniche interazioni elettrostatiche tra molecole apolari, ma sono presenti anche nelle molecole
polari. Sono possibili grazie al continuo cambiamento di posizione degli elettroni in una molecola, che pu`o
dare luogo ad una densit`a elettronica asimmetrica, ovvero ad un dipolo istantaneo. Quest’ultimo pu`o
creare per induzione una temporanea polarizzazione (dipolo indotto) in una molecola adiacente,
permettendo lo stabilirsi di forze attrattive.
Per polarizzabilit`a si intende la facilit`a con cui la nuvola elettronica di una molecola apolare pu`o essere
deformata in presenza di un campo elettrico. Essa dipende dal volume delle particelle e dalla loro massa
molare perch`e atomi con molti elettroni lontani sono facilmente polarizzabili. Quindi piu` le molecole
sono polarizzabili, piu` forti sono i legami e minore sar`a il volume della molecola per unit`a di mole.

7.1.4 Interazioni dipolo-dipolo indotto


Derivano dall’interazione tra una molecola polare (dipolo permanente) ed una non polare (dipolo
indotto). La prima induce sulla seconda una separazione di carica (polarizzazione) e i due dipoli,
permanente e indotto, si attraggono.
L’entit`a di queste interazioni dipende dal momento di dipolo della molecola polare ( µ) e dalla
polarizzabilit`a della molecola apolare.

7.2 Legame covalente con meccanica ondulatoria, legame di valenza (VB)


7.2.1 Il legame sigma
Prendiamo, ad esempio, il legame tra H-H, in cui entrambi gli atomi mettono in comune il proprio elettrone
s: `e presente una distanza di equilibrio dove le forze repulsive e attrattive si bilanciano ed essa coincide
con la lunghezza del legame (in questo caso 77 pm). In questo caso si forma un legame covalente
omopolare (perch`e tra atomi uguali) costituito dalla sovrapposizione degli orbitali atomici lungo l’asse
che congiunge i due nuclei e si chiama sigma (simbolo σ). Condividendo una sola coppia elettronica con
spin antiparallelo, si forma un legame semplice.

Nota che il legame sigma pu`o essere polare (densit`a di carica distribuita in modo non uniforme) o
apolare (densit`a di carica distribuita in maniera uniforme).

12
7.2.2 Il legame pi-greco

Prendiamo ad esempio la molecola di ossigeno O 2: in essa ciascuno dei due atomi mette in comune due
elettroni (per raggiungere l’ottetto) mediante sovrapposizione parziale degli orbitali p incompleti. La
sovrapposizione tra i due orbitali atomici py `e frontale e il legame `e sigma, mentre la sovrapposizione
laterale degli orbitali pz porta alla formazione di un legame pi-greco (simbolo π), costituito da un orbitale
di legame che si trova al di sopra e al di sotto della retta ideale che unisce i due nuclei.
Questo tipo di legame `e piu` debole di un legame σ.
Nel caso di un triplo legame si formano un legame sigma e due legami pi-greco, come in N 2.

7.2.3 Energia di legame nella teoria VB


Maggiore `e la sovrapposizione, maggiore `e la forza del legame e quindi piu` ”profonda” la buca di
potenziale.

7.3 Orbitali ibridi


La teoria VB presuppone che il numero di legami covalenti che un atomo pu`o formare dipenda dal
numero di elettroni singoli nel livello energetico esterno nello stato fondamentale. Esistono tuttavia atomi
(Be) che formano legami covalenti pur non avendo elettroni singoli oppure atomi (B, Al, Si, C) capaci di
formare legami covalenti in numero maggiore rispetto al numero di elettroni nello stato fondamentale.
Questi atomi formano legami con orbitali diversi, per forma ed energia (orbitali ibridi), da quelli dello stato
fondamentale, che derivano dalla combinazione (ibridazione) di orbitali atomici nello stato eccitato.

La variazione da stato fondamentale ad eccitato `e dovuta al fatto che un elettrone di un doppietto va ad


occupare un orbitale vuoto che ha energia di poco superiore: in questo modo aumenta il numero degli
elettroni singoli e l’atomo `e in grado di formare piu` legami. Nell’atomo di berillio ( ns2) si trasferisce un
elettrone all’orbitale p vuoto e porta alla configurazione elettronica esterna ns1np1.

Gli orbitali ibridi sono orbitali atomici con la stessa forma ed energia (isoenergetici).

Il tipo di ibridazione in un atomo dipende da quali orbitali vengono coinvolti nella formazione del
legame, tenendo presente che solo orbitali con energie vicine possono ibridarsi e che dall’ibridazione di n
orbitali atomici derivano n orbitali ibridi.

7.3.1 Ibridazione sp
Consiste nella combinazione lineare di un orbitale s e un orbitale p. L’atomo, al momento della
combinazione, assorbe energia e uno dei due elettroni s a minore energia viene trasferito nell’orbitale p a
maggiore energia. I due orbitali atomici si combinano tra loro e formano due orbitali ibridi sp, i quali
assumono una disposizione lineare formando un angolo di 180°.
7.3.2 Ibridazione sp2

La combinazione lineare di un orbitale s e due orbitali p porta alla formazione di tre nuovi orbitali
isoenergetici disposti sullo stesso piano a 120° gli uni dagli altri (planare triangolare).

7.3.3 Ibridazione sp3

La combinazione lineare di un orbitale s e tre orbitali p porta alla formazione di quattro nuovi orbitali
isoenergetici disposti secondo i vertici di un tetraedro formando angoli di 109,5° gli uni dagli altri.

7.3.4 Ibridi sp3d e sp3d2

La combinazione lineare di un orbitale s, tre orbitali p e un orbitale d porta alla formazione di cinque nuovi
orbitali isoenergetici disposti secondo i vertici di una bipiramide triangolare.
La combinazione lineare di un orbitale s, tre orbitali p e due orbitale d porta alla formazione di sei
nuovi orbitali isoenergetici disposti secondo i vertici di un ottaedro.

13
Nota bene: gli orbitali ibridi sono coinvolti solo nella formazione di legami σ, mentre i legami π
coinvolgono gli orbitali p che non fanno parte dell’ibrido.

8 Lezione 8
8.1 Legame covalente per la teoria O.M.
Con questa teoria si pu`o spiegare perch`e la molecola di O 2 `e paramagnetica e il legame metallico.
Come visto nella teoria di Lewis e nella teoria V.B., i legami (CL) sono localizzati tra i due atomi e gli
orbitali ibridi (che rappresentano CL + CS) sono monocentrici. La particolarit`a della teoria O.M. sta nel
fatto di assumere che gli orbitali puri s e p si combinino nella molecola per formare nuovi orbitali
molecolari estesi su tutta la molecola. Si cercano le funzioni d’onda molecolari che descrivono il
comportamento degli elettroni nella molecola. Questi nuovi orbitali sono policentrici e le coppie di legame
sono delocalizzate sull’intera molecola.

8.2 Regola LCAO per ottenere orbitali molecolari


1. Prendo orbitali atomici di energia simile;

2. n orbitali atomici mi danno n orbitali molecolari, avremo orbitali leganti e antileganti;

3. Si riempiono i livelli energetici seguendo l’Aufbau, Hund e Pauli;4. Ordine di legame = (n° elettroni

leganti - n° elettroni antileganti)/2

8.3 Molecola di H2 secondo O.M.


Gli orbitali σ leganti e antileganti sono formati dalla combinazione di due orbitali atomici 1s di atomi
adiacenti. Si noti che nell’orbitale antilegante `e presente un nodo (piano sul quale la probabilit`a di
trovare un elettrone `e nulla). Si pu`o rappresentare anche un diagramma di orbitali molecolari per l’H 2, in
cui i due elettroni vanno ad occupare l’orbitale σ legante, quello a piu` bassa energia. Si noti che l’ordine di
legame `e pari ad 1 (quindi avr`o un legame singolo tra i due atomi di idrogeno) perch`e il numero di
elettroni leganti `e 2, quello di elettroni antileganti `e 0, quindi
Si possono anche osservare le funzioni d’onda dei due orbitali: nel caso dell’antilegante c’`e
interferenza distruttiva, quindi si annulla; nel caso del legante c’`e interferenza costruttiva con un aumento
in ampiezza.

8.4 Esempio di LCAO


Prendiamo la molecola di azoto (N2):
Per costruire questo schema parto da i due orbitali s 2: prima metto due elettroni nell’orbitale σ legante e
poi gli altri due nell’antileganti. In questo modo riempio i due orbitali s in modo che si annullino a vicenda.
In questo caso gli orbitali s non partecipano al legame.
Vediamo i due orbitali p3: anche qui riempio prima il p x, poi il py e infine il pz dell’orbitale legante e vedo
che ho finito gli elettroni, quindi l’orbitale antilegante del p ha zero elettroni. A questo punto calcolo
l’ordine di legame tenendo conto di tutti gli elettroni che ho, sia nell’s che nel p: (8-2)/2=3 (quindi legame
triplo tra i due atomi di azoto).

8.5 O.M. spiega perch`e O2 `e paramagnetico


Facendo lo stesso procedimento dell’immagine sopra ci accorgiamo che un elettrone finisce nel p x e un
altro nel py dell’orbitale antilegante. Quindi ci restano due elettroni spaiati che generano un campo
magnetico concorde (perch`e gli elettroni hanno spin parallelo) che rende la molecola di O 2
paramagnetica. Possiamo anche calcolare l’ordine di legame che esce pari a 2, quindi tra i due atomi di
ossigeno `e presente un doppio legame.

14
8.6 Legame metallico
I metalli:
1. hanno strutture cristalline molto compatte ed ogni atomo `e in grado di coordinare 6, 8, o 12
altriatomi uguali;
2. sono buoni conduttori elettrici e termici;
3. sono malleabili e duttili;
4. hanno la caratteristica di lucentezza (assorbono continuamente radiazioni elettromagnetiche).
Tutte queste propriet`a devono derivare dalla presenza di una struttura di elettroni con ampia libert`a di
movimento e non sono spiegabili con legami covalenti o ionici.
Si pu`o parlare di cristallo metallico: molecola gigante con elettroni di valenza delocalizzati su tutti gli
atomi del cristallo in orbitali molecolari.

8.6.1 Conduttori, semiconduttori e isolanti

Negli elementi del I° gruppo (come il sodio, Na) gli elettroni eccitati elettricamente possono accedere ai
livelli vuoti della banda di valenza estesa a tutto il cristallo, quindi sono dei conduttori elettrici.
Negli elementi del II° gruppo la banda di valenza `e completamente piena, ma anche i 3 orbitali p si
combinano. Si formano cos`ı 3n O.M. che creano una banda di energia di conduzione, che si sovrappone
parzialmente alla banda di valenza, anche loro sono dei conduttori. Infatti, il berillio ha la banda di valenza
occupata, ma si sovrappone la banda p a quella s e questo garantisce nuovi orbitali vuoti a bassa energia.
I metalli del III° gruppo hanno la banda s piena mentre quella p parzialmente libera, quindi sono
conduttori.
Il carbonio (IV° gruppo) `e un solido non metallico, ma covalente. E’ isolante perch`e gli orbitali di
legame sono totalmente pieni e non si sovrappongono a quelli di antilegame.
Vale questa regola: un metallo `e conduttore se ha le bande sovrapposte, `e isolante se ha le bande
separate.

Quando la differenza di energia tra la banda di valenza satura e quella di conduzione vuota `e modesta,
materiali isolanti possono divenire conduttori per riscaldamento o irraggiamento. Si parla di
semiconduttori intrinsechi perch`e in condizioni ordinarie essi sono isolanti.
La banda di valenza `e conduttrice di tipo p (positiva), mentre la banda di conduzione `e conduttrice di
tipo n (negativa).

Quindi, ricapitolando:

• i conduttori presentano le bande di valenza e conduzione sovrapposte, quindi in condizioni


ordinarie permettono il passaggio di corrente elettrica;

• i semiconduttori hanno la banda di valenza occupata e la banda di conduzione separate da una


piccola differenza di energia, quindi se viene fornita loro energia possono diventare conduttori;

• gli isolanti presentano una differenza di energia troppo elevata tra la banda di valenza e quella di
conduzione, per questo non conducono corrente.
8.6.2 Drogaggio
Un semiconduttore come il Silicio ha bisogno di una ∆E pari a 1,1 eV per diventare conduttore, ma questa
quantit`a di energia si otterrebbe scaldando il Silicio a quasi 12000 K, temperatura impossibile da
raggiungere. Per questo motivo, la conducibilit`a di un semiconduttore pu`o essere promossa per aggiunta
di droganti, cio`e di elementi con elettroni in piu` o in meno del semiconduttore. Nel primo caso si
ottengono lacune nella banda di valenza e quindi l’elemento diventa conduttore anche a temperatura
ambiente (semiconduttore di tipo p), mentre nel secondo caso la conduzione avviene nella banda di
conduzione (semiconduttori di tipo n).

15
9 Lezione 9
9.1 Propriet`a dei metalli
Immaginiamo il cristallo metallico come un reticolo di cationi (+) immersi un una ”nube” in cui gli elettroni
sono liberi di muoversi. La nube di elettroni riempie lo spazio tra gli ioni positivi e tiene uniti gli atomi.
Spostandosi lungo il periodo aumenta il numero di elettroni di valenza che esercitano questa funzione,
quindi il legame metallico diventa piu` forte dal sodio all’alluminio.

• I metalli sono dei conduttori elettrici proprio perch`e gli elettroni sono liberi di muoversi. Il moto
degli elettroni `e ostacolato dalle collisioni con i nuclei atomici che vibrano attorno alle loro
posizioni. Maggiore `e la temperatura, maggiore `e l’ampiezza delle loro vibrazioni e maggiore `e il
numero delle collisioni, quindi gli elettroni saranno piu` ostacolati nel loro moto e in questo modo
diminuisce la conducibilit`a elettrica. Mentre la conducibilit`a elettrica dei semiconduttori aumenta
con l’aumentare di T.

• La conducibilit`a termica `e possibile grazie alle collisioni tra le particelle che urtano e
trasferiscono energia da una parte all’altra del metallo.

• Sono lucenti perch`e assorbono e riemettono tutte le frequenze.

• Se l’energia incidente `e maggiore di una certa energia fissata si ha fotoemissione di un elettrone


(effetto fotoelettrico). Quando un metallo viene scaldato alcuni elettroni acquisiscono abbastanza
energia cinetica per sfuggire da esso. Si pu`o creare un flusso di elettroni detto effetto termoionico.

• I metalli possono subire deformazioni (sono duttili e malleabili) senza alterare la loro struttura.
Questo `e possibile perch`e il cristallo metallico, quando sottoposto ad una forza, subisce una
deformazione permanente grazie al fatto che i piani reticolari scorrono gli uni sugli altri. Questo non
avviene nei cristalli ionici perch`e gli elettroni non sono liberi di muoversi, quindi sono duri e fragili.

9.2 Leghe
Sono una miscela di due o piu` metalli e sono piu` dure e hanno meno conducibilit`a elettrica dei metalli
puri. Sono di due tipi:

• Leghe di sostituzione, metalli con raggio atomico simile (Cu + Zn = ottone);

• Leghe interstiziali, metalli con raggio atomico molto diverso (Fe + C = ghisa).

10 Lezione 10
10.1 Solidi molecolari
Molecole tenute insieme da deboli forze molecolari, per questo i solidi molecolari hanno bassi punti di
fusione e di ebollizione (eventuali legami idrogeno rendono maggiori queste temperature). Questi solidi
sono isolanti perch`e tutti gli elettroni sono impegnati nei legami covalenti. Se hanno legami ad idrogeno
sono solubili in acqua, se sono polari hanno scarsa solubilit`a e se sono apolari sono insolubili in acqua.
Esempi: H2 e H2O.
10.2 Solidi covalenti
Atomi legati tra loro da legami covalenti estesi a tutto il solido cristallino. Per rompere un cos`ı elevato
numero di legami covalenti occorre molta energia, quindi i solidi covalenti hanno elevati punti di
fusione, sono molto duri e sono isolanti. Esempi: carbonio diamante, quarzo (SiO 2), carborundum (SiC),
arseniuro di gallio (GaAs), corindone (o allumina, Al 2O3, il quale sarebbe piu` un solido ionico, perch`e
formato da metallo e non metallo).

16
10.2.1 Allotropia
E’ la propriet`a di alcuni elementi chimici di combinare i loro atomi in due o piu` forme diverse, che si
distinguono per la struttura molecolare o cristallina.

A proposito di allotropia:
Diamante e grafite:
Ogni atomo di carbonio nel diamante `e ibridizzato sp3 ed `e legato tramite legami covalenti ad altri 4
atomi di carbonio, formando un reticolo tridimensionale. Nella grafite ogni atomi di carbonio sp2 `e legato
con legami covalenti ad altri 3 atomi di carbonio, formando un reticolo ad anelli esagonali. Su ogni atomo
di carbonio rimane un elettrone di un orbitale p perpendicolare al piano. Questi orbitali si sovrappongono
a formare legami π delocalizzati, similmente agli elettroni delocalizzati di un solido metallico. Per questo
motivo la grafite ha conducibilit`a elettrica nella direzione parallela ai piani, ma isolante
perpendicolarmente ad essi. Tra i vari strati ci sono deboli forze di London. Inoltre la grafite `e lubrificante
e tenera perch`e i vari strati possono scivolare gli uni sugli altri, cosa non possibile nel diamante.

E’ possibile convertire la grafite in diamante ad altissime pressioni e temperature. Inoltre, i


solidi possono essere divisi anche in:

10.3 Cristallini
(100% ordine): la struttura delle particelle `e regolare ed `e dovuta alle forze intermolecolari che danno
un ordine preciso alle molecole, detta cella elementare. I passaggi di stato avvengono a temperatura
costante perch`e l’energia fornita `e utilizzata per rompere la struttura del cristallo. Il reticolo cristallino
pu`o assumere diverse geometrie in base a come si ordinano le particelle.

Solidi cristallini possono essere i: solidi molecolari, se le molecole si dispongono in un ordine preciso
(ghiaccio, H2O); solidi metallici, grazie al legame metallico hanno gi`a una struttura regolare; solidi
covalenti, se la sequenza dei legami estesi a tutto il materiale segue un ordine preciso (grafite); solidi ionici,
grazie alla compattazione regolare di ioni negativi e positivi (NaCl).

10.4 Amorfi
(Non 100% ordinato): le particelle non seguono un ordine e non esiste la cella elementare. Generalmente
sono formati da molecole di grosse dimensioni e non hanno temperature di fusione fisse, ma esiste la
temperatura di transizione vetrosa. I solidi molecolari possono essere sia cristallini che amorfi. Ad
esempio: il vetro, che viene prodotto dal rapido raffreddamento di silice fusa con aggiunta di altre
sostanze per abbassarne il punto di fusione e per renderlo insolubile in acqua.

Quando provo a rompere un solido, la linea di rottura dipende dall’organizzazione delle particelle al suo
interno, quindi c’`e differenza nella rottura tra i solidi amorfi e cristallini.

11 Lezione 11
11.1 Termodinamica chimica
Studia lo scambio di energia (∆E) di reazioni chimiche (esotermiche o endotermiche) e passaggi di stato.
Fino ad ora abbiamo studiato le propriet`a microscopiche della materia, le quali determinano le
propriet`a macroscopiche (misurabili e visibili ad occhio nudo) come P, T, V, C (composizione) dette
funzioni di stato.
La termodinamica considera solo macrostati (ad esempio 1 mole di acqua), cio`e un sistema
termodinamico dato dalla somma di tanti microstati (molecole d’acqua).
Le funzioni di stato definiscono lo stato di un sistema termodinamico e la sua energia interna, data
dalla somma dell’energia cinetica (atomi che si muovono = termica) e dall’energia potenziale (forza dei
legami = chimica). Grazie alla termodinamica possiamo prevedere se un sistema agir`a spontaneamente o
meno, non ci dice nulla sul tempo/meccanismo di reazione.

17
Per studiare la trasformazione della materia prendo dei piccoli campioni (macrostati) e ne determino
le variazioni energetiche (∆E) di quella trasformazione. Il ∆E si determina studiando lo scambio di energia
tra il sistema e l’ambiente. Per sistema intendiamo la parte di materia sotto studio e pu`o essere aperto
(se scambia energia e materia con l’esterno), chiuso (se scambia solo energia con l’esterno) o isolato (non
scambia n´e energia n´e materia). Per ambiente/intorno intendiamo tutto ci`o che `e fuori dal sistema.
Sistema + ambiente = universo.
Un sistema si dice in equilibrio se permane in uno stato termodinamico e quindi le variabili di stato
non variano. Queste ultime possono essere intensive quando non dipendono dalla quantit`a di materia
(come temperatura o densit`a) oppure estensive quando dipendono dalla quantit`a di materia (come
volume o massa).

11.2 Energia interna


∆E `e una funzione di stato e dipende solo dallo stato finale B ed iniziale A, qualunque siano le
trasformazioni che collegano i due stati.
L’energia interna di un sistema `e data da:

• energia termica (cinetica) data dal moto casuale delle particelle. Tutta la materia ha energia termica
perch`e le particelle sono in costante movimento (agitazione termica). Il calore aumenta con
l’agitazione termica, cio`e con un aumento del movimento delle particelle, mentre la temperatura `e
una misura dell’agitazione termica.

• energia chimica (potenziale) associata ai legami/interazioni tra le particelle. Essa `e


”immagazzinata” e pu`o essere convertita in energia cinetica ovvero in calore o lavoro.

11.3 Lavoro
Il piu` importante lavoro in termodinamica `e il lavoro meccanico.

• A T costante e P variabile viene compiuto un lavoro. Ma il lavoro a pressione variabile non `e una
funzione di stato perch`e dipende da come avviene la trasformazione (dipende dal percorso). E’
possibile quindi avere una trasformazione che rappresenti il lavoro massimo (sorta di iperbole),
ovvero il lavoro reversibile. Se la trasformazione del gas ideale `e reversibile si pu`o applicare
l’equazione di stato dei gas ideali:
P∆V = nR∆T

• Il lavoro a pressione costante `e una funzione di stato perch`e dipende solo dallo stato iniziale e
finale. Questa trasformazione pu`o essere causata da un aumento di temperatura (gas si espande)
oppure da una trasformazione chimica o passaggio di stato (si sviluppa gas).

11.3.1 Equivalenza calore-lavoro


Confrontando il lavoro meccanico eseguito su di un sistema con la quantit`a di calore sviluppato per attrito
si trova sempre che il loro rapporto `e costante ed equivale a 4,184 . Quindi Q ed L si trasformano
l’uno nell’altro ed `e possibile convertire tutto il lavoro in calore, ma non `e possibile convertire tutto il
calore in lavoro.

11.4 1° principio della termodinamica


L’energia si trasforma, non si crea, n´e si distrugge. Ne deriva che l’energia che si trasforma `e costante. Gli
scambi di energia avvengono con calore (∆T tra sistema e ambiente) e lavoro (espansione o
compressione).
L’energia interna di un sistema aumenta quando viene trasferito calore al sistema oppure quando
viene fatto lavoro sul sistema. L’energia interna diminuisce quando il sistema cede calore o compie lavoro.
L’energia che il sistema scambia con l’ambiente `e:

∆Esist = Q + L

18
Scambi di calore:
1. Scambio di calore a volume costante (∆V = 0): A volume costante L = P∆V = 0, quindi non viene
fatto lavoro. Quindi il primo principio, a volume costante, diventa:

∆Esist = QV

Ne deriva che tutta l’energia fornita sotto forma di calore QV va ad aumentare l’energia interna del
sistema.

2. Scambio di calore a pressione costante (∆P = 0): il lavoro `e diverso da zero e, in particolare, `e
negativo (sistema fa lavoro) se abbiamo un’espansione, mentre `e positivo (sul sistema `e fatto
lavoro) se abbiamo una compressione. Ne deriva che il primo principio a pressione costante diventa:

∆Esist = QP − P∆V.

Ci`o significa che la variazione di energia interna del sistema `e data dalla differenza tra l’energia
fornita come calore (∆H) e l’energia spesa come lavoro di espansione (P∆V ). Da qui possiamo
ricavare QP:
QP = (E2 − E1) + P(V2 − V1) = (E2 + PV2) − (E1 + PV1)
in cui poniamo E + PV = H, ovvero entalpia ed otteniamo

QP = ∆H = ∆E + P∆V.

Anche ∆H `e una funzione di stato. Nota che serve piu` energia per aumentare il calore quando la
pressione `e costante rispetto a quando il volume `e costante perch`e nel primo caso si compie anche
del lavoro.

11.4.1 Convenzione segni ∆H (sempre P costante)


1. ∆H > 0: il sistema assorbe calore dall’ambiente. Siamo nel caso di una reazione endotermica.

2. ∆H < 0: il sistema cede calore all’ambiente. Siamo nel caso di una reazione esotermica.

Attenzione che negli esercizi P∆V va espresso in J o kJ, quindi se la pressione `e in atm e il volume in L si
moltiplica tutto per 101,325 .

11.4.2 Misura del trasferimento di energia a volume costante

• Capacit`a termica (c): `e la quantit`a di calore richiesta per aumentare di 1°C la temperatura di un
corpo. E’ data da:

• Calore specifico (cs): `e la quantit`a di calore per elevare di 1°C la temperatura di 1g di sostanza. E’
data da:

• Capacit`a termica molare (cm): `e la quantit`a di calore richiesta per aumentare di 1°C la
temperatura di 1 mole di sostanza. E’ data da:

cm = cs ·M

11.4.3 Calorimetro
Introducendo le soluzioni reagenti nel calorimetro, lo sviluppo o l’assorbimento di calore che si verifica
durante la reazione chimica fa diminuire o aumentare la temperatura di soluzione. Possiamo poi calcolare
lo sviluppo di calore come segue:
Q = m·cs ·∆T.

19
11.4.4 Bomba calorimetrica

E’ un calorimetro con cui `e possibile determinare la quantit`a di calore sviluppata ( QV ) nella combustione
di sostanze solide o liquide. Come si calcola ∆H? Sappiamo che la variazione di entalpia `e pari a QP = ∆E
+P∆V : se non partecipano sostanze gassose ∆V `e molto piccolo, perci`o ∆H ≈ ∆E; se partecipano sostanze
gassose ∆H = ∆E + nRT.

11.4.5 Reazione in fase gas


Poich`e la maggior parte delle trasformazioni avviene a pressione costante, nelle tabelle termodinamiche
vengono riportati i valori di ∆H relativi ad uno stato di riferimento standard (1 mole di sostanza alla
pressione di 1 atm e alla temperatura di 25°C). Si definisce cos`ı il contenuto standard di H (H°). Per gli
elementi nel loro stato standard il valore di H° = 0.

11.4.6 Entalpia standard di formazione

corrisponde alla quantit`a di calore scambiato nella formazione di 1 mole di sostanza a partire dagli
elementi nel loro stato standard.
Essa non pu`o essere determinata sperimentalmente, tuttavia sappiamo che ∆H `e una funzione di stato
e che quindi non dipende dal percorso seguito. Si pu`o quindi determinare ∆ con la legge di Hess: per
cui essa dipende solo dagli stati iniziali e finali di una reazione.

11.4.7 Entalpia standard di reazione


corrisponde alla variazione di entalpia in gioco quando reagenti e prodotti sono nel loro stato
standard. Anch’essa `e una funzione di stato e quindi non dipende dal percorso eseguito:

Il ∆Hreaz◦ non ci dice se la reazione o il passaggio di stato avviene in modo spontaneo. Ci dice se la reazione
H ◦ H ◦
`e esotermica (∆ reaz < 0) oppure endotermica (∆ reaz > 0).

20
12 Lezione 12
12.1 Spontaneit`a
Il valore di ∆ non determina la spontaneit`a del processo, perch`e se cos`ı fosse la materia si
troverebbe allo stato solido, visto che i passaggi da gassoso a liquido e da liquido a solido sono esotermici.
Quindi, in generale, il primo principio non fornisce indicazioni sulla spontaneit`a delle reazioni, serve
qualcosa di piu` complesso.

12.2 2° principio della termodinamica


Quando due gas interagiscono tra loro, otteniamo la miscela dei due gas. Questo ci mostra che uno stato
ordinato evolve in uno stato con maggior disordine.
In un processo spontaneo la materia tende a diventare piu` disordinata nel sistema e l’energia tende a
disperdersi su un maggior numero di particelle nell’ambiente. Si va da uno stato iniziale (ordinato) ad uno
finale di disordine con piu` probabilit`a. Un processo pu`o essere disordinante o ordinante
indipendentemente dal fatto che sia esotermico o endotermico. Una reazione disordinante ed esotermica
`e spontanea, mentre una reazione ordinante ed endotermica non avviene mai. Se si verifica una sola
condizione bisogna analizzare la temperatura.
Quindi il secondo principio dice che:

• tutti i processi spontanei sono irreversibili;

• per ripristinare il sistema devo fornire lavoro; • in un processo spontaneo aumenta il disordine;

• il disordine dell’universo `e in aumento.

12.3 Entropia
E’ la misura del disordine (dispersione della materia) nel sistema.
La probabilit`a di esistenza di un macrostato dipende dal numero di microstati da cui pu`o essere
ottenuto: piu` alto `e il numero di microstati, maggiore `e la probabilit`a W, maggiore `e l’entropia (S). Da
qui deriva la relazione di Boltzmann:
S = k lnW
Quindi per una reazione spontanea ed irreversibile avremo un ∆S > 0 perch`e W `e maggiore di 1 allo stato
finale.

12.4 3° principio della termodinamica


”L’entropia di un cristallo perfetto allo zero assoluto `e uguale a 0”.
Aumentando la temperatura aumenta l’agitazione termica delle particelle, quindi aumenta l’entropia
(disordine) del sistema. Detto questo capiamo che l’entropia aumenta passando di stato da solido a liquido
a gassoso.
Inoltre, l’entropia di una mole di sostanza in condizioni standard `e chiamata entropia molare standard
(S°) ed aumenta con la massa delle sostanze.
L’entropia `e anche una funzione di stato, quindi la sua variazione puo` essere calcolata:

e vediamo che se il calore aumenta, il disordine delle particelle nel sistema diventa maggiore. Nota bene: S
aumenta all’aumentare di T, ma ∆S diminuisce all’aumentare di T.

12.5 ∆S◦ per un sistema


∆S◦ sarebbe la variazione di entropia dovuta alla dispersione della materia. Possiamo applicare la legge di
Hess, quindi:

21
.
Ad esempio, per la reazione CaCO3(s) → CaO(s) + CO2(g) il ∆S◦sist `e maggiore di zero perch`e la reazione si
disordina: passa da 1 mole di solido a 1 mole di solido piu` 1 mole di gas (il quale tende ad espandersi
ovunque).

In generale:

• le trasformazioni che portano ad un aumento di entropia (∆S>0) sono i processi che portano ad un
aumento di moli allo stato gassoso e i passaggi di stato da solido a liquido e da liquido a gassoso;

• le trasformazioni che comportano una riduzione di entropia (∆S<0) sono i processi che portano ad
avere una diminuzione delle moli di gas oppure quando si passa da liquido a solido (perch`e la
materia si ordina);

• le trasformazioni che comportano variazioni di entropia trascurabili sono le trasformazioni che non
coinvolgono gas oppure le trasformazioni in cui le moli di gas non variano.

Il verso dei processi spontanei `e quello per cui ∆S universo > 0, cio`e l’entropia dell’universo aumenta a causa
dei processi spontanei che in esso avvengono, quindi

∆Suniverso = ∆Ssistema + ∆Sambiente

13 Lezione 13
13.1 Segno di ∆Suniverso
Il ∆Ssistema dipende dalla variazione di entropia nel passaggio da reagenti a prodotti, il ∆S ambiente dipende dal
tipo di reazione: se abbiamo un processo esotermico (∆Hsist < 0) il calore viene ceduto all’ambiente,
aumentandone il disordine (∆Sambiente > 0); se abbiamo un processo endotermico (∆Hsist > 0) il calore viene
prelevato dall’ambiente, riducendone il disordine (∆S ambiente < 0). Inoltre, l’entropia dipende dalla
temperatura, quindi:

Quindi il secondo principio spiega perch`e:

1. reazioni esotermiche (∆Hsist < 0) e disordinanti (∆Ssist > 0) sono sempre spontanee;

2. reazioni esotermiche (∆Hsist < 0) e ordinanti (∆Ssist < 0) sono spontanee a basse temperature;

3. reazioni endotermiche (∆Hsist > 0) e disordinanti (∆Ssist > 0) sono spontanee ad alte temperature;

4. reazioni endotermiche (∆Hsist > 0) e ordinanti (∆Ssist < 0) non sono mai spontanee.

13.2 Energia libera


C’`e un modo piu` comodo per prevedere la spontaneit`a di una reazione, introducendo una nuova
funzione di stato: l’energia libera di Gibbs (G). La variazione di energia libera `e data da:

∆G = ∆H − T∆S

Energia libera `e quindi data dalla differenza tra l’energia totale e l’energia gi`a disordinata. In particolare,
un processo risulta spontaneo quando ∆G<0. Definiamo anche la variazione di energia libera molare
standard di formazione (∆G◦f) come la variazione di G associata alla formazione di una mole di composto a
partire dagli elementi che lo costituiscono (nel loro stato standard).

22
13.2.1 Energia libera standard di reazione (
Nel caso standard, si calcola a partire dai ∆G◦f tabulati:

Nel caso in cui la temperatura `e diversa da 25°C, si usa l’equazione:

Una reazione non spontanea a 25°C pu`o diventarlo per temperature diverse da 25°C. La temperatura
minima al di sopra della quale la reazione diventa spontanea `e la temperatura di equilibrio in stato
standard. Quindi per ogni reazione esiste una temperatura alla quale reagenti e prodotti sono in
equilibrio nel loro stato standard e succede quando ∆G◦ = 0. Possiamo pensare l’equazione del ∆G◦ = ∆H◦ −
T∆S◦ come l’equazione di una retta rappresentata sul piano T (x) - ∆G◦ (y), in cui ∆S◦ `e il coefficiente
angolare. Vedremo piu` avanti (meglio) una rappresentazione sul piano delle quattro possibilit`a elencate
prima.

13.2.2 Energia libera e lavoro utile


Il ∆Greaz `e la massima quantit`a di energia che pu`o essere trasformata in lavoro utile (a pressione e
temperatura costanti). In un processo spontaneo (∆Greaz < 0) il sistema compie lavoro sull’ambiente (-L),
mentre in un processo non spontaneo (∆Greaz > 0) l’ambiente fa lavoro sul sistema (+L). Si parla anche di
rendimento di una reazione:

14 Lezione 14
14.1 Equilibrio chimico
Tutte le reazioni chimiche raggiungono uno stato di equilibrio (∆Greaz = 0) in cui la concentrazione dei
reagenti e prodotti resta costante nel tempo se non variano temperatura e pressione. L’equilibrio `e un
processo dinamico perch`e entrambe le reazioni di sintesi e di decomposizione continuano ad avvenire.
All’equilibrio la reazione `e reversibile e la posizione di equilibrio `e sempre la stessa, indipendentemente
dalla direzione in cui esso viene raggiunto.

14.1.1 La costante di equilibrio


Il rapporto tra le concentrazioni dei reagenti e dei prodotti all’equilibrio, ciascuna elevata per il
corrispondente coefficiente stechiometrico, `e costante a temperatura costante e coincide con la K eq.
Prendiamo una reazione qualunque:

aA + bB ⇐⇒ cC + dD

Ogni qualvolta reagenti e prodotti vengono mescolati alla stessa temperatura, il sistema raggiunge uno
stato di equilibrio tale che Keq `e uguale per qualsiasi concentrazione iniziale dei reagenti. Quindi la
costante di equilibrio permette di capire se ho troppi reagenti/prodotti rispetto alla condizione di
equilibrio. Le Keq tabulate hanno tutte i coefficienti stechiometrici in numero intero piu` basso possibile.

• Se le concentrazioni sono espresse il moli/litro si parla di Kc (per equilibri in soluzione);

• Se le concentrazioni sono espresse in atmosfere si parla di K p (per equilibri gassosi).

C’`e una relazione che lega Kp e Kc per un equilibrio gassoso:

Kp = Kc(RT)∆ν

23
con ∆ν = (c+d)-(a+b), cio`e la variazione in numero di moli gassose.
14.1.2 Gli equilibri

Possono essere omogenei (gassosi, quindi Kp; in soluzione, quindi Kc) oppure eterogenei (solido-liquido;
solido-gas; liquido-gas). Nella K di una reazione eterogenea non compaiono le concentrazioni del liquido o
del solido, perch`e sono delle costanti. Nelle reazioni `e per`o necessario che all’equilibrio ci sia ancora
solido o liquido presente.

14.1.3 Valore di Keq


Dipendentemente dal valore di Keq si ha:

• K > 1: equilibrio spostato in favore dei prodotti;

• K < 1: equilibrio spostato in favore dei reagenti;

• K = 1: concentrazione reagenti = concentrazione prodotti;

Il valore di Keq permette di conoscere se un processo dar`a luogo ad una quantit`a di prodotto tale da
renderlo competitivo ad una data temperatura. Inoltre, K eq non ci dice dopo quanto tempo si raggiunge
l’equilibrio.

14.1.4 Quoziente di reazione (Q)


Prevede il verso di svolgimento di una reazione per raggiungere l’equilibrio, partendo da una qualsiasi
condizione iniziale. La formula matematica `e la stessa di K eq, ma le concentrazioni o pressioni parziali
sono quelle iniziali o istantanee (indicate tra parentesi tonde). Q varia al procedere di una reazione e,
raggiunto l’equilibrio, diventa uguale a K eq. Quindi, il confronto tra Q e K eq ci permette di prevedere in che
direzione procede la reazione per raggiungere l’equilibrio.

14.1.5 Energia libera e costante di equilibrio

∆GT = ∆G◦ + RT lnQ

dove ∆G◦ rappresenta l’aumento o la diminuzione di energia libera quanto i reagenti si trasformano
completamente nei prodotti, tutto allo stato standard. ∆G ◦ non varia nel corso di una reazione (a pressione
e temperatura costanti). ∆G varia mentre varia la composizione della miscela di reazione.

• In condizioni reali dobbiamo considerare ∆G e non ∆G ◦. Man mano che la reazione procede verso
l’equilibrio, ∆G tende a 0 e Q tende a K, per cui all’equilibrio avremo ∆G = 0 e Q=K. Quindi:

∆G◦ = −RT lnK

e, sostituendolo nell’equazione generale, si ottiene:

• In stato standard Q=1, quindi:


∆G = ∆G◦ = −RT lnK

Ritorniamo al valore di ∆ . Esso permette di valutare il grado di avanzamento della reazione


verso l’equilibrio, partendo da una qualsiasi condizione reale. Notiamo che per Q < K il valore di ∆G < 0,
quindi reazione spontanea; al contrario `e non spontanea; quando Q=K, ∆G = 0, siamo nella condizione di
equilibrio.
Da ∆G◦ = −RT lnK possiamo ricavare K = e−∆G◦/RT. Ricorda che:

per T=25°C,

∆G◦reaz = ∆H◦ − T∆S◦ per T̸ =25°C.

24
Ricapitolando:

• K `e costante a T costante;

• Partendo da una qualsiasi concentrazione di reagenti/prodotti si arriva sempre all’equilibrio;


• Esiste un solo valore di T per la quale ∆G◦T = 0;

• Il segno del ∆GT ci dice da che parte si sposta la reazione per raggiungere l’equilibrio partendo da
condizioni qualsiasi;

• Il segno del ∆G◦T ci dice da che parte si sposta la reazione per raggiungere l’equilibrio partendo da
condizioni standard (Q = 1).

15 Lezione 15
15.1 Principio di Le Chatelier
Gli equilibri chimici hanno carattere dinamico e quindi rispondono al cambiamento di concentrazione,
pressione o temperatura al fine di raggiungere un nuovo stato di equilibrio. Per Le Chatelier, se un sistema
in equilibrio viene perturbato, esso reagisce opponendosi alla perturbazione. Vediamo meglio come si
sposta l’equilibrio dopo un cambiamento di:

• Concentrazione, ovvero aggiunta o allontanamento di un reagente o prodotto che compare nella K,


ovvero che non sia solido puro, liquido puro o gas nobile (questo a volume costante). Se aggiungo un
reagente o allontano un prodotto, la reazione reagisce formando nuovo prodotto per raggiungere un
nuovo equilibrio. Se aggiungo un prodotto o allontano un reagente, la reazione procede verso i
reagenti sempre per raggiungere l’equilibrio.

• Pressione (a temperatura costante), vale solo per reazioni in cui compare un gas. In generale,
quando il volume per un sistema in equilibrio viene diminuito/aumentato, il sistema risponde
riducendo/aumentando il proprio volume. Ad esempio, se la reazione avviene con diminuzione di
volume, l’equilibrio si sposta verso la direzione in cui `e presente un minor numero di molecole
gassose, ovvero verso i prodotti.
Quando aumento la pressione (riducendo il volume) aumentano le pressioni parziali, quindi varia Q,
ma non K. Se ∆n<0 la reazione si sposta verso i prodotti, se ∆n>0 la reazione si sposta verso i
reagenti.
Se aumento la pressione perch`e aggiungo un gas inerte, le pressioni parziali non variano, quindi
non si hanno effetti sulla reazione.
Se aggiungo un gas inerte a pressione costante le pressioni parziali diminuiscono e succede il
contrario rispetto al primo caso.

• Temperatura, per cui varia anche K. Nelle reazioni di equilibrio esotermiche (∆H<0), un aumento di
temperatura sposta l’equilibrio a sinistra, mentre una diminuzione di temperatura lo sposta verso i
prodotti. Al contrario, nelle reazioni di equilibrio endotermiche (∆H>0), un aumento di temperatura
sposta l’equilibrio verso i prodotti, mentre una diminuzione di temperatura lo sposta a sinistra.

15.2 Cinetica chimica


Ci fornisce le risposte sul meccanismo e sulla velocit`a di reazione. I fattori che influenzano la velocit`a
sono:

• la capacit`a di collisione tra i reagenti. Le reazioni sono piu` veloci se i reagenti sono nella stessa
fase (reazioni omogenee);

• la concentrazione dei reagenti, perch`e se i reagenti sono presenti in elevata quantit`a il numero di
collisioni `e maggiore, quindi la reazione `e piu` veloce;

25
• la temperatura del reagente, infatti le reazioni sono tanto piu` veloci quanto maggiore `e la
temperatura;

• la presenza di catalizzatori, ovvero di specie chimiche che aumentano la velocit`a di reazione.


15.2.1 Espressione della velocit`a
Per misurare la velocit`a di reazione si deve osservare sperimentalmente come varia nel tempo la
concentrazione dei reagenti e dei prodotti. Se ci riferiamo ai reagenti che scompaiono:

,
se ci riferiamo ai prodotti che si formano:

,
La velocit`a media della reazione `e data da:

,
Comunque, la velocit`a complessiva delle reazioni chimiche non `e costante, ma diminuisce nel tempo. Si
arriva al punto di equilibrio, in cui la velocit`a della reazione diretta `e uguale alla velocit`a della reazione
inversa.

16 Lezione 16
La legge di velocit`a di una sostanza A pu`o essere scritta come

v = k[A]n

dove n rappresenta l’ordine di reazione e k la costante di velocit`a. Questi due valori devono essere
determinati sperimentalmente, non c’`e alcuna correlazione tra n e i coefficienti stechiometrici dei
reagenti. In che modo la velocit`a della reazione dipende dalla concentrazione dei reagenti? Ci sono piu`
casi: pu`o dipendere da un solo reagente (v = k[A]), quindi di primo ordine in A; pu`o dipendere da due
reagenti (secondo ordine) o da tre (terzo ordine).

16.0.1 Reazioni monostadio


Se i coefficienti stechiometrici dell’equazione corrispondono con gli esponenti della legge di velocit`a, la
reazione avviene in un solo atto, senza formare intermedi.

16.0.2 Reazioni multistadio


Se i coefficienti stechiometrici dell’equazione chimica non coincidono con gli esponenti della legge di
velocit`a, la reazione avviene in piu` stadi con formazioni di intermedi. La cinetica globale della reazione `e
data dallo stadio piu` lento.

16.1 Fattori che influenzano la velocit`a di reazione


Una reazione avviene solo quando i reagenti si urtano (si ha collisione). Per avere un urto efficace (cio`e un
urto che porta ai prodotti) le molecole devono avere la giusta orientazione e un’energia pari all’energia
di attivazione, cio`e l’energia sufficiente a rompere i legami. Vediamo meglio quest’ultimo fattore: lo stato
del sistema in cui l’energia potenziale `e massima `e lo stato di transizione. L’energia necessaria per
passare dai reagenti allo stato di transizione `e detta energia di attivazione ed essa rappresenta una
barriera di energia potenziale che deve essere superata perch`e la reazione avvenga. Piu` l’energia di
attivazione `e alta e piu` la reazione procede lentamente. Il ∆H . Sia che la
reazione sia esotermica che endotermica `e sempre necessario spendere energia per raggiungere lo stato
di transizione.

26
16.1.1 Velocit`a di reazione e temperatura
Aumentando la temperatura aumenta l’energia cinetica delle molecole, quindi aumentano gli urti efficaci e
quindi la velocit`a di reazione.
In conclusione, se una reazione ha un’energia di attivazione elevata possiamo pensare che ci sono forti
legami da rompere per dare inizio al processo.
16.2 Catalisi
Il catalizzatore accelera le reazioni chimiche perch`e abbassa l’energia di attivazione e non compare nella
costante di equilibrio, quindi non la fa variare. Inoltre, il catalizzatore non ha effetto sulla termodinamica
di una reazione, quindi non varia ∆G◦ perch`e esso pu`o solo accelerare le reazioni possibili, non pu`o
rendere possibili reazioni non spontanee. Si parla di catalisi positiva (aumenta la velocit`a) o di catalisi
negativa (inibizione), in cui diminuisce la velocit`a di reazione.
Si parla poi di catalisi eterogenea quando il catalizzatore `e in una fase diversa rispetto ai reagenti. Catalisi
omogenea quando reagenti e catalizzatore sono nella nella stessa fase.

17 Lezione 17
17.1 Equilibri in soluzione acquosa
Un elettrolita `e una specie chimica che in acqua si dissocia in ioni. L’elettrolita si dissocia se `e costituito
da ioni, si ionizza se `e costituito da molecole polari.
L’acqua ha una conducibilit`a molto bassa, questo indica che in essa sono presenti ioni che derivano dal
processo di autoionizzazione. Il processo `e descritto da questa reazione:

+ OH

e Kw descrive il prodotto ionico dell’acqua, ovvero il prodotto delle concentrazioni molari degli ioni
ottenuti per autodissociazione di un composto chimico: K M. Alla
temperatura di 25°C, qualsiasi soluzione per la quale [H `e detta neutra. Ricorda
che il Kw `e costante a temperatura costante, quindi il prodotto delle concentrazioni relative resta costante.

17.2 Il pH
Per ogni valore di [H3O+] avremo sempre un determinato numero di [OH −]. Visto che le due concentrazioni
variano da 10 a 10−15, `e piu` comodo esprimerli in scala logaritmica, definendo cos`ı il pH:

pH = −log[H3O+] pOH = −log[OH−]

Quindi, una soluzione `e:

• neutra, quando pH = pOH = 7;

• acida, quando pH < 7 e pOH > 7;

• basica, quando pH > 7 e pOH < 7.

17.3 Teoria di Bronsted e Lowry


Un acido `e una sostanza in grado di cedere protoni H+, una base `e una sostanza capace di accettare
protoni H+. Se un acido cede protoni `e solo perch`e c’`e una base in grado di accettarli.
Quando l’acido cede un protone diventa una base coniugata, mentre quando una base acquista un
protone diventa un acido coniugato.
Quando un generico acido A si scioglie in acqua (base), le basi H 2O e A− si contendono il protone e vincer`a
la base piu` forte. A seconda di questo, l’equilibrio pu`o essere spostato a destra o a sinistra.

27
Quando una generica base B si scioglie in acqua (acido), le basi B e OH − si contendono il protone e
vincer`a la base piu` forte. Anche qui l’equilibrio si sposta.
Quando una sostanza pu`o comportarsi sia da acido che da base (a seconda del partner) si dice anfotera
(come l’acqua nei due esempi precedenti).

17.4 Forza degli acidi e delle basi


La teoria appena vista ci dice che: di due acidi `e piu` forte quello che dona piu` facilmente H + alla stessa
base; di due basi `e piu` forte quella che accetta piu` facilmente H+ dallo stesso acido. I valori di Ka e Kb sono
tabulati a 25°C. In breve:
• Ka `e la misura della tendenza di un acido a cedere protoni all’acqua (base). Quanto maggiore `e K a,
tanto piu` forte `e l’acido;

• Kb `e la misura della tendenza di una base ad accettare protoni dall’acqua (acido). Quanto maggiore
`e Kb, tanto piu` forte `e la base.

Ricorda questa formula:


Ka ·Kb = Kw

17.5 Calcolo del pH di soluzioni acquose di acidi e basi forti


17.5.1 Acidi forti

Gli ioni H3O+ provenienti dall’acido (Ca) spostano a sinistra l’equilibrio di autoionizzazione di H 2O, quindi
gli ioni H3O+ e OH− provenienti dall’acqua saranno trascurabili se Ca > 10−7. Si ha che [H3O+] = Ca e quindi pH
= - log Ca.

17.5.2 Basi forti

Gli ioni OH− provenienti dalla base (Cb) spostano a sinistra l’equilibrio di autoionizzazione di H 2O, quindi gli
ioni H3O+ e OH− provenienti dall’acqua saranno trascurabili se C b > 10−7. Si ha che [OH−] = Cb e quindi pOH = -
log Cb.

Ricorda che pH e pOH sono legati dalla seguente formula:

pH = 14 − pOH

17.6 Calcolo del pH di soluzioni acquose di acidi e basi deboli


17.7 Acidi deboli
Le due costanti di equilibrio Ka e Kw devono essere soddisfatte contemporaneamente perch`e gli ioni H 3O+
compaiono in entrambe. Per il calcolo esatto del pH si fanno delle approssimazioni:

• se la soluzione non `e troppo diluita e se l’acido non `e troppo debole possiamo trascurare gli ioni
H3O+ provenienti dall’acqua, quindi Kw. Perci`o, l’unica costante di equilibrio che deve essere
soddisfatta `e Ka e pu`o essere una cosa del tipo (equazione di secondo grado):

[H3O+]2
Ka = +

Ca − [H3O ]

• se Ca/Ka ∼ 102 possiamo trascurare la dissociazione di HA rispetto a C a, quindi la concentrazione


all’equilibrio di HA `e praticamente uguale a quella iniziale: C a − [H3O+] ∼ Ca. Quindi

28
[H3O+]2
Ka =
Ca

e quindi
pH =

17.8 Basi deboli


Facciamo le stesse considerazioni, perci`o:

pOH =
18 Lezione 18
18.1 Calcolo del pH di soluzioni acquose di acidi poliprotici deboli
Caso particolare: in una reazione con H 2SO4, per calcolare il pH si considera quest’ultimo completamente
dissociato, quindi [H3O+] = 2Ca.

• Acido debole: quanto vale Kb per la base coniugata? Troviamo Ka e da qui

Kw
Kb =
Ka
poi la confrontiamo con la basicit`a dell’acqua per vedere quale delle due `e piu` basica;

• Base debole: si fa lo stesso procedimento e si trova la Ka.

18.2 Idrolisi
Processo per cui la soluzione di un sale in acqua determina la variazione del pH.

18.2.1 Sale derivante da base forte e acido forte


La soluzione di un sale che ne deriva `e neutra, quindi non si ha idrolisi, perch`e l’equilibrio tra le
concentrazioni degli ioni H3O+ e OH− derivanti dalla dissociazione dell’acqua non viene modificato.

18.2.2 Sale derivante da base forte e acido debole

Si parla di idrolisi basica perch`e la soluzione presenta un eccesso di OH −. La concentrazione degli ioni
OH− presenti nella soluzione `e data da:

− rKw ·Cs OH =
Ka

18.2.3 Sale derivante da base debole e acido forte

Si parla di idrolisi acida quando la soluzione presenta un eccesso di H 3O+. La concentrazione di questi ioni
`e data da:
+ rKw ·Cs
H3O =
Kb

29
18.3 Struttura molecolare e comportamento acido-base
18.3.1 Composti binari con l’idrogeno
I composti binari con l’idrogeno (X-H) sono acido o basici?

• Metalli + H: metalli dei primi tre gruppi sono basi forti;

• Non metalli + H: non metalli del quarto e quinto gruppo (come CH 4) sono neutri; acidi forti con Cl,
Br, I o acidi deboli con F, O, S.

Ci sono due fattori da tenere in considerazione per determinare se X-H in acqua `e acido o basico:
1. Differenza di elettronegativit`a tra X e H (aumenta lungo un periodo):

(a) bassa differenza (ionico) → base forte (LiH);


(b) elettronegativit`a simile (covalente) → neutro (CH4); (c) elevata differenza
(covalente polare) → acido.

2. Forza del legame X-H (per composti molecolari diminuisce lungo un gruppo): aumentando le
dimensioni di X (scendendo lungo un gruppo), diminuisce l’energia di legame e quindi aumenta la
tendenza a cedere H+, cio`e aumenta la forza dell’acido. HF `e un acido piu` debole rispetto a HI.
18.3.2 Composti binari con l’ossigeno
1. Metalli + O: basi forti;

2. Non metalli + O: se la Ka >> 1 danno acidi forti, in caso contrario abbiamo acidi deboli.

Tutti questi composti contengono il gruppo -OH, ma quando E-O-H `e acido, basico o neutro? Bisogna
vedere la differenza di elettronegativit`a tra E ed H:

• E meno elettronegativo di H (E = metallo): base forte;

• E simile elettronegativit`a di H (E = CH3, ...): n`e acido n`e basico;

• E piu` elettronegativo di H (E = Cl, NO2, ...): acido.

Inoltre, a parit`a di E, la forza di un ossiacido aumenta all’aumentare del numero di atomi di ossigeno
legati all’atomo centrale E: HNO2 `e meno acido di HNO3.

18.4 Reazioni di neutralizzazione


Sono reazioni tra una soluzione di un acido e di una base con uguale numero di moli.
La neutralizzazione avviene perch`e la prima soluzione ha un eccesso di ioni H 3O+, mentre la seconda di
ioni OH−. Aggiungendo le due soluzioni, gli ioni reagiscono formando acqua. La soluzione ottenuta `e
quindi neutra.

18.5 Prodotto di solubilit`a e solubilit`a


Per calcolare la solubilit`a della sostanza `e necessario che la soluzione sia satura della sostanza stessa e la
presenza del corpo di fondo presuppone che la soluzione sia satura. Si realizza quindi un equilibrio
dinamico tra gli ioni del solido che vanno in soluzione e gli ioni della soluzione che si depositano. Possiamo
quindi definire il prodotto di solubilit`a come il prodotto tra le concentrazioni degli ioni nella soluzione,
ciascuna elevata al proprio coefficiente stechiometrico dell’equazione di dissociazione:

Kps = [A+]α[B−]β

Il valore del Kps dipende dalla solubilit`a (s) del composto ionico, cio`e dal numero di moli del composto in
un litro di soluzione.

30
19 Lezione 19
19.1 Elettrochimica
Una pila o cella galvanica `e un sistema capace di trasformare energia chimica (E = ∆G reaz) in energia
elettrica (E = q ·∆E) utilizzando una reazione redox spontanea.

19.1.1 Ossido-riduzioni
Con il termine ossidazione si intende il processo per cui un elemento perde elettroni e passa ad uno stato
con un numero di ossidazione piu` alto.
Con il termine riduzione si intende il processo per cui un elemento acquista elettroni e passa ad uno stato
con un numero di ossidazione piu` basso.
Inoltre, in una reazione redox, come quella tra sodio e cloro:

• il sodio, cedendo un elettrone, si ossida e si comporta da riducente perch`e riduce il cloro;

• il cloro, acquistando un elettrone, si riduce e si comporta da ossidante perch`e ossida il sodio.

Il numero di ossidazione nei composti ionici corrisponde al numero di elettroni che un atomo ha ceduto
o acquistato, in un composto molecolare `e il numero di elettroni che utilizza per formare legami covalenti
con gli altri atomi.
Gli elementi a s´e stanti hanno n.o. pari a 0.
Nota che queste semi-reazioni avvengono sempre insieme, con ugual numero di elettroni ceduti e
acquistati.
19.1.2 Cella galvanica
Se una redox viene condotta in un dispositivo elettrochimico, si pu`o sfruttare gran parte dell’energia
liberata dalla reazione per trasformarla in lavoro utile. Occorre per`o che le due reazioni avvengano
contemporaneamente, ma in due scomparti separati detti semielementi della cella galvanica. Ovvero: un
elettrodo (metallo) che funge da conduttore di I specie (Zn, Cu) e un elettrolita (sale in acqua) che funge
da conduttore di II specie (ZnSO4 e CuSO4).
Su ciascun semielemento si crea una differenza di potenziale e nel momento in cui si collegano gli elettrodi
con un filo metallico (conduttore) si ha il passaggio di corrente.

Quando una barretta di metallo viene immersa in acqua, alcuni ioni del metallo passano in soluzione,
idratandosi. Si crea un doppio strato elettrico tra l’elettrodo carico negativamente e la soluzione carica
positivamente. Il processo procede fino a raggiungere l’equilibrio. Lo stesso equilibrio si stabilisce
rapidamente se il metallo `e immerso in una soluzione contenente dei suoi ioni. Stabilitosi l’ equilibrio
(reazione diretta e inversa avvengono alla stessa velocit`a), la d.d.p. tra l’elettrodo (-) e la soluzione (+)
rimane costante. Questa differenza di potenziale `e tanto maggiore quanto maggiore `e la tendenza di un
metallo ad ossidarsi.
Non si pu`o misurare la d.d.p. del semielemento, ma si pu`o misurare quella tra due semielementi, quindi
quella della cella (con un voltmetro).

19.1.3 La pila Daniell


Utilizza la reazione di ossidoriduzione spontanea:

Zn + Cu2+ → Zn2+ + Cu

Prima di collegare i due semielementi si hanno gli equilibri con gli elettroni e lo Zn ha maggior tendenza di
Cu ad ossidarsi, quindi la barra di Zn `e piu` negativa della barra di Cu. Una volta collegati i due
semielementi, gli elettroni passano dallo Zn al Cu e gli equilibri iniziali vengono turbati. Nel tentativo di
ristabilire gli equilibri, lo Zn si ossida e Cu2+ si riduce.
Al polo negativo (anodo) della cella avviene la semireazione di ossidazione, ovvero la reazione che libera
elettroni, mentre al polo positivo (catodo) della cella avviene la semireazione di riduzione, ovvero la

31
reazione che necessita di elettroni. Quindi, la pila fa avvenire spontaneamente e contemporaneamente
l’ossidazione anodica e la riduzione catodica.
Durante il processo, l’elettrodo di Zn si assottiglia perch`e rilascia in soluzione ioni Zn 2+, mentre l’elettrodo
di Cu si inspessisce perch`e gli ioni Cu 2+ in soluzione acquistano elettroni e si depositano come Cu. Nella
soluzione anodica aumentano gli ioni Zn 2+, quindi si carica positivamente, mentre nella soluzione catodica
diminuiscono gli ioni Cu2+ e quindi si carica negativamente. L’accumulo di cariche positive nella soluzione
anodica e di cariche negative nella soluzione catodica blocca il moto degli elettroni, quindi `e necessario
che le due soluzioni vengano poste a contatto tra di loro grazie ad un ponte salino, ovvero un tubo che
contiene una soluzione acquosa satura di un sale (per esempio KCl) che ha il compito di assicurare la
neutralit`a delle due soluzioni mediante la migrazione di ioni positivi nella soluzione catodica e di ioni
negativi nella soluzione anodica.
La conduzione di corrente elettrica dovuta al moto degli elettroni lungo un filo metallico `e detta
conduzione elettronica, mentre il movimento degli ioni origina la conduzione ionica.

Il ∆Greaz (ovvero il lavoro elettrico) `e massimo all’inizio, quando si chiude il circuito, ma procedendo con la
reazione la spinta chimica diminuisce fino all’equilibrio, dove il ∆G reaz = 0. In questa condizione la pila `e
scarica e non fa piu` passare corrente.

Per forza elettromotrice (o potenziale di cella) si intende la differenza tra il potenziale di riduzione del
catodo e dell’anodo:
f.e.m. (Ecella) = Ecatodo − Eanodo
Il potenziale standard di riduzione (E◦riduz) `e il valore che misura la tendenza di un elettrodo a ridursi
nelle condizioni standard ed `e tabulato.

19.1.4 Determinare sperimentalmente E◦


Per misurare il potenziale di un singolo elettrodo si realizza una pila costituita dall’elettrodo di cui si vuole
determinare il potenziale nelle condizioni standard (1 M, 25°, 1 bar) e da un elettrodo a idrogeno, al quale
si assegna convenzionalmente un valore di E◦ pari a 0 V.
Misuriamo E◦ del rame: immergiamo una lamina di rame in una soluzione di ioni Cu 2+ e la colleghiamo
mediante un ponte salino all’elettrodo a idrogeno. Il voltmetro ci fornisce una f.e.m.◦ pari a 0,34 V.
L’idrogeno, ossidandosi piu` facilmente del rame costituisce l’anodo della pila, quindi le due semireazioni
che avvengono sono le seguenti:
anodo (−) H2 → 2H+ + 2e− (ox)

catodo (+) Cu2+ + 2e− → Cu (red)


La f.e.m. standard di una pila `e data da:

f.e.m.◦ = E◦catodo − E◦anodo


quindi otteniamo:
0,34 = E◦catodo − 0
Il valore del potenziale standard dell’elettrodo di rame risulta quindi pari a 0,34 V. Il valore positivo di E ◦
indica che la tendenza a ridursi della specie ossidata (ione Cu 2+) `e maggiore di quella dello ione H+.
L’elettrodo di rame funziona da catodo, l’elettrodo a idrogeno funziona da anodo e la cella si rappresenta
con la notazione Pt //Cu(s)/Cu .

La tabella degli E◦ ci permette di stabilire (in condizioni standard):

• forza delle sostanze ossidanti e riducenti

– piu` E◦rid `e negativo, piu` il metallo si ossida facilmente e quindi `e un forte riducente. In questo
caso il metallo funziona da anodo (-) se associato ad una semicella H 2 (+);
– piu` E◦rid `e positivo, piu` il metallo si riduce facilmente e quindi `e un forte ossidante. In questo
caso il metallo funziona da catodo (+) se associato ad una semicella H 2 (-).

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• f.e.m. di una cella;

• in quale direzione avviene l’ossidoriduzione, perch`e la direzione spontanea si ha per ∆G reaz < 0.
Da qui si pu`o ricavare Ecella con:
∆G = −n·F·Ecella
dove n `e il numero di moli di elettroni trasferiti durante una reazione redox e F `e la costante di
Faraday (96’500 C/mol). Il valore di E cella deve sempre essere positivo, se esce negativo hai invertito
catodo e anodo. In condizioni non standard, i potenziali di riduzione possono essere calcolati con
l’equazione di Nernst:
Ecella
n

dove Q `e il quoziente di reazione, dato dalle concentrazioni iniziali degli ioni in soluzione . • la
Keq di una reazione redox. All’equilibrio Q = Keq, ∆G = Ecella = 0, quindi

nE◦cella logKeq
= .
0,0592

19.1.5 Elettrodi a gas/metallo inerte

1. Elettrodo a idrogeno in condizioni non standard E rid = −0,0592· pH. Aumentando il pH aumenta il
potere riducente;

2. Elettrodo ad ossigeno in condizioni non standard E rid = 0,4 + 0,0592· pOH. Diminuendo il pH
aumenta il potere ossidante.

19.1.6 Pile primarie (irreversibili)


Una volta utilizzate non possono essere riportate allo stato originario per le alterazioni irreversibili
avvenute nella fase di scarica. Quando i reagenti della pila si trasformano completamente nei prodotti
finali, essa si scarica definitivamente divenendo inutilizzabile.
Un esempio `e la pila zinco-carbone, costituita da un anodo di zinco metallico che riveste il cilindro di una
pasta gelatinosa di biossido di manganese e cloruro di ammonio. Il catodo `e una barretta di grafite
immersa in questa pasta.
L’energia della pila non dipende dal pH.
19.1.7 Pile secondarie (reversibili)
Una volta scaricate possono essere ricaricate fornendo energia elettrica continua, in modo da riportarle
allo stato originario.
Un esempio sono le batterie al piombo per le auto oppure le batterie agli ioni di litio. Entrambe hanno dei
limiti di utilizzo: non bisogna scaricarle o caricarle troppo.

19.1.8 Pile a concentrazione


Sono costituite dall’accoppiamento di due elettrodi uguali immersi in soluzioni dei loro ioni aventi diversa
concentrazione: non avviene una reazione chimica, ma si ha un mescolamento delle due soluzioni.
In generale, l’elettrodo immerso nella soluzione a concentrazione minore `e l’anodo e l’elettrodo immerso
nella soluzione a concentrazione maggiore `e il catodo. Una volta chiuso il circuito avvengono le due
semireazioni, le quali danno come risultato E ◦cella = 0. Dall’equazione di Nernst, quando le due
concentrazioni sono uguali, la pila `e scarica.

33
20 Lezione 20
20.1 Elettrolisi
Processo attraverso il quale l’energia elettrica viene trasformata in energia chimica, `e il processo inverso
a quello della pila. E’ necessario fare lavoro sul sistema per far avvenire un processo non spontaneo. Al
catodo avviene sempre la riduzione, mentre all’anodo l’ossidazione, ma in questo caso si mette il catodo
come il polo negativo e l’anodo come polo positivo. Questo perch`e, nella cella elettrolitica, il generatore
arricchisce di elettroni il catodo ed impoverisce di elettroni l’anodo.
Questo processo `e utilizzato per ottenere Na e Cl 2 da NaCl, per purificare i metalli (come il rame) in cui si
utilizza l’elettrolisi ”a concentrazione” e per ottenere H 2 e O2 dall’acqua.

20.1.1 Elettrolisi dell’acqua


Al catodo si ottiene H2 e all’anodo O2.

anodo 2H 23V
catodo 4H+ + 4e− → 2H2 E◦rid = 0V
2H2O → O2 + 2H2 E◦ = −1,23V

Riassumendo (in condizioni standard): il volume di idrogeno sviluppato `e il doppio del volume di
ossigeno sviluppato; all’anodo il pH diminuisce, al catodo aumenta; gli elettrodi sono metalli inerti (come
Pt); si usa un elettrolita per aumentare la conducibilit`a dell’acqua.

20.2 La corrosione dei metalli


• Per corrosione si intende il processo di ossidazione, quindi i metalli si corrodono perch`e si ossidano
facilmente;

• La corrosione `e una reazione redox: una sostanza si ossida se c’`e un partner che si riduce;

• L’ossigeno dell’aria `e l’ossidante (colui che si riduce), ma deve essere presente anche l’acqua, infatti
una superficie metallica perfettamente asciutta non `e aggredibile dall’ossigeno perch`e la reazione
`e molto lenta;

• Il potenziale standard di riduzione di O 2 aumenta con l’acidit`a; • La tabella dei potenziali mostra
che, ad eccezione dei metalli nobili, tutti gli altri metalli hanno potenziale standard di riduzione piu`
negativo di quello dell’ossigeno a pH = 7. Se l’acqua contiene inquinanti acidi, il potere ossidante di
O2 aumenta e quindi aumenta la corrosione. La presenza di sali accelera la corrosione perch`e
aumenta la conducibilit`a dell’acqua;

• Il potere ossidante di H2O aumenta con l’acidit`a.


20.2.1 Passivazione di alcuni metalli

Stando ai dati termodinamici Al, Ti, Zn, Cr dovrebbero corrodersi ad opera di H 2O pura (E◦ molto piu`
negativi di quello dell’acqua a pH = 7). Invece, si corrodono molto meno del ferro, il quale ha potenziale di
riduzione molto simile a quello dell’acqua. Questo `e dovuto a diversi punti:
1. la superficie di questi metalli a contatto con O2 e H2O si corrode molto velocemente:

2. gli ossidi che si formano dopo la corrosione (Al2O3, ...) sono molto aderenti e insolubili;

3. lo strato di ossido protegge gli strati interni del metallo dalla corrosione, si parla di passivazione
del metallo, la quale `e la miglior difesa contro la corrosione.

20.2.2 Corrosione del ferro


Pu`o avvenire in tre modalit`a:

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• Le deformazioni meccaniche creano dei punti di tensione nel ferro, in cui si ossida piu` facilmente
(zona anodica) rispetto ad altri punti (zona catodica).
Reazione anodica: Fe → Fe 2+ + 2e−. Gli elettroni liberati migrano attraverso il ferro verso la zona
catodica, dove reagiscono con O2 sciolto in H2O.
Reazione catodica: O2 + 2H2O + 4e− → 4OH−. Gli ioni Fe2+ formati nella zona anodica si sciolgono nello
strato d’acqua superficiale e migrano verso la zona catodica per neutralizzare gli ioni OH − formatisi
nella riduzione di O2. Successivamente il ferro si ossida ulteriormente e infine si forma un deposito
di ruggine.

• Per corrosione galvanica, cio`e quando il ferro `e impuro oppure `e a contatto con metalli aventi
potenziale di riduzione maggiore di quello del ferro (es. rame). Questi materiali ne accelerano la
corrosione.
Sostanzialmente Fe diventa l’anodo di una pila, mentre Cu `e il catodo che richiama su di s`e gli
elettroni che vanno a ridurre O2 disciolto in acqua;

• Per aerazione differenziale, cio`e a causa di zone a diversa concentrazione di O 2.


Il ferro si corrode se sulla sua superficie umida si creano zone a differente concentrazione di O 2.
L’azione ossidante di O2 e H2O risiede nella reazione: O2 + 2H2O + 4e− → 4OH−. A parit`a di pH, questa
reazione `e tanto piu` spostata verso destra, tanto maggiore `e la concentrazione di O 2 in acqua. La
zona a maggior concentrazione di ossigeno diventa positiva (+) e richiama elettroni dalla zona a
minor concentrazione (-). Di conseguenza il ferro si ossida.
Questo tipo di corrosione si verifica anche su strutture di ferro verniciate: se viene scrostata parte
della vernice che protegge il ferro, la superficie esposta all’aria `e piu` ricca di O 2 (+) mentre le zone
sotto la vernice sono piu` povere di O 2 (-). Nella zona sotto la vernice si formano incavi che portano
ad una perdita di forza strutturale del pezzo.

20.2.3 Come evitare la corrosione


La miglior protezione consiste nel ricoprire il ferro con un rivestimento impermeabile all’acqua (maggior
responsabile della corrosione dal punto di vista cinetico) e che si pu`o riformare una volta scalfito.
1. Rivestimento con vernici, smalti, materie plastiche. Proteggono il metallo, ma se si dovessero
rompere, il processo di corrosione si accentuerebbe per aerazione differenziale.

2. Rivestimento con un altro metallo:


(a) Metalli con potenziale di riduzione maggiore di quello del ferro (es. ramatura, doratura),
mabisogna stare attenti ai punti di tensione;
(b) Metalli con potenziale di riduzione minore di quello del ferro (es. cromatura, zincatura). Questo
rivestimento va bene perch`e quando questi metalli si ossidano subiscono il processo di
passivazione, rimarginando la scalfitura.

3. Protezione catodica: si fa funzionare la struttura in ferro da catodo (+) collegandolo con dei fili fatti
in un metallo che ha potenziale di riduzione minore di quello del ferro (es. Mg). Si realizza quindi
una cella in cui il metallo meno nobile del ferro si ossida (anodo sacrificale) riducendo gli eventuali
ioni Fe2+ prodottisi nell’ossidazione della struttura. Una volta consumato, l’anodo sacrificale viene
sostituito.
21 Lezione 21
21.1 Lo stato liquido
• Stato gassoso: modello di disordine massimo, con forze intermolecolari trascurabili e quindi
molecole con moto quasi libero;

• Stato solido: modello di ordine massimo, con forze intermolecolari molto forti e quindi particelle
impossibilitate a muoversi;

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• Stato liquido: ibrido dei due, quindi forze intermolecolari e moto molecolare elevati. Ha una
struttura dinamica caratterizzata da un ordine a corto raggio (contrariamente ai solidi che hanno un
ordine a lungo raggio). Un minimo disordine a corto raggio determina un grande disordine a lungo
raggio.
Inoltre, una molecola all’interno del liquido si trova in uno stato energetico piu` basso rispetto ad
una in superficie. Ne consegue che il maggior numero possibile di molecole tende a disporsi
all’interno del liquido. La tendenza dei liquidi a mantenere la minima area superficiale `e evidenziata
dalla sfericit`a delle gocce, ovvero la disposizione con minore energia.

21.2 Tensione superficiale


E’ la forza che agisce sulle molecole presenti all’interfaccia liquido-gas, come nel caso acqua-aria. E’ di
natura elettrostatica: mentre ogni molecola interna `e completamente circondata da liquido ed `e attratta
in ugual misura in tutte le direzioni dalle molecole vicine, le molecole superficiali risentono solo
dell’attrazione esercitata dalle molecole sottostanti; ne consegue una forza di richiamo, che tende ad
attirare le altre particelle superficiali verso l’interno. L’effetto `e quello di avere una sorta di pellicola
superficiale.

21.3 Evaporazione e condensazione


Tensione di vapore: `e la pressione di vapore (P v) esercitata dal vapore della sostanza sulla fase
condensata della stessa sostanza quando si `e raggiunto l’equilibrio. Se il recipiente che contiene il liquido
`e chiuso, dopo un certo tempo si stabilisce un equilibrio dinamico per cui il numero di molecole che
evaporano `e uguale al numero di quelle che condensano;
Evaporazione: transizione liquido-vapore; Condensazione
transizione vapore-liquido.

Processo di evaporazione: se le molecole che si trovano sulla superficie del liquido hanno energia cinetica
tale da vincere le forze intermolecolari che le tengono unite alle altre passano allo stato di vapore. Man
mano che le molecole piu` ricche di energia lasciano il liquido, l’energia cinetica media delle altre molecole
diminuisce, quindi la temperatura del liquido diminuisce, a meno che non si fornisca calore.
Nel complesso, l’evaporazione `e un processo endotermico e disordinante.
Un liquido evapora tanto facilmente quanto piu` deboli sono le forze attrattive tra le molecole. Tra due
liquidi `e piu` volatile quello che ha minor ∆H evap, perch`e quest’ultima `e tanto maggiore quanto maggiori
sono le forze di attrazione intermolecolari che le molecole devono vincere per lasciare il liquido.

La condensazione `e un processo esotermico e ordinante.

21.4 Tensione di vapore e temperatura


Ad ogni valore di temperatura corrisponde un valore di K eq che coincide con la tensione di vapore.
All’aumentare di T aumenta il numero di molecole che hanno energia cinetica sufficiente a lasciare il
liquido, vincendo le forze intermolecolari. Quindi aumentando T aumenta la tensione di vapore: K eq = Pv. I
parametri che regolano l’equilibrio (pressione e temperatura) sono intensivi, quindi la tensione di vapore:
non dipende dalla quantit`a di liquido e dalla grandezza del recipiente.

Aumentando la temperatura, la pressione di vapore aumenta. Quando la P v eguaglia il valore della


pressione che insiste sul liquido (Pv = Pest), il liquido bolle.
21.4.1 Diagrammi di stato
Lo stato fisico di una sostanza dipende dalle forze intermolecolari, dalla sua temperatura e dalla sua
pressione.
Il diagramma di stato di una sostanza `e la rappresentazione grafica della pressione in funzione della
temperatura.

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22 Lezione 22
22.1 Punto di fusione
Processo da solido a liquido: fusione.
Processo da liquido a solido: solidificazione.
Alla temperatura alla quale la velocit`a di fusione e solidificazione si eguagliano si ha l’equilibrio dinamico
solido-liquido. L’equilibrio in condizioni standard si ha quando ∆G = ∆H ◦ - T∆S◦ = 0.
Come varia la temperatura di fusione se si varia la pressione che grava sul solido? Ce lo dice Le Chatelier: il
passaggio da acqua solida a liquida ha una variazione di volume minore di 0. Se perturbiamo l’equilibrio
aumentando la pressione esterna, il sistema si sposta nella direzione in cui c’`e diminuzione di volume,
verso destra: il ghiaccio fonde. Quindi aumentando la pressione esterna, l’acqua fonde ad una temperatura
minore di 0 gradi.

22.2 Ebollizione (in un recipiente aperto)


Alla temperatura di ebollizione si ha formazione di vapore non solo sulla superficie del liquido, ma anche
all’interno della massa liquida. Quando la pressione del vapore all’interno della bolla di vapore eguaglia la
pressione esterna, la bolla sale in superficie e scoppia. Se la pressione di vapore all’interno della bolla `e
minore di quella esterna, la bolla collassa prima di salire in superficie.
La temperatura di ebollizione di un liquido dipende dalla pressione esterna.

22.3 Fluido supercritico


Se un liquido viene riscaldato in un recipiente ermeticamente chiuso non bolle, ma raggiunge lo stato
critico. Infatti, aumentando la temperatura del liquido, quindi la densit`a del vapore, la densit`a del liquido
diminuisce. Alla temperatura (critica) per la quale la densit`a del vapore `e uguale alla densit`a del liquido
si ha una sola fase detta fluido supercritico.
Una sostanza che si trova oltre la temperatura critica `e detta gas e non pu`o essere liquefatto per sola
compressione, deve essere prima raffreddato sotto alla temperatura critica.
Una sostanza che si trova al di sotto della temperatura critica `e detta vapore e pu`o essere liquefatto per
sola compressione.

Passaggio da vapore a liquido: condensazione; Passaggio


da gas a liquido: liquefazione.

22.4 Sublimazione
Passaggio da solido a vapore: sublimazione; Passaggio
da vapore a solido: brinamento.
I solidi hanno una tensione di vapore molto minore dei liquidi, per questo poche molecole hanno energia
cinetica sufficiente a vincere le interazioni all’interno del solido. Fanno eccezioni i solidi molecolari,
costituiti da molecole apolari con deboli legami London. Questo porta ad una notevole tensione di vapore
che porta alla sublimazione. Quando sublimazione e brinamento avvengono alla stessa velocit`a si ha
equilibrio dinamico solido-vapore e la Keq `e uguale alla tensione di vapore del solido.

22.5 Propriet`a colligative


Sono propriet`a delle soluzioni che dipendono dal numero di particelle presenti:

• Abbassamento della tensione di vapore (legge di Raoult): In una soluzione, la pressione parziale
di un componente `e direttamente proporzionale alla sua frazione molare ed alla sua tensione
di vapore:
pi = χi ·Pv(i)

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• Innalzamento ebullioscopico ed abbassamento crioscopico: La presenza di un soluto determina
un abbassamento della temperatura di fusione ed un aumento della temperatura di ebollizione del
solvente.
∆Tcr = Kcr ·m·i

∆Teb = Keb ·m·i


dove m `e la molalit`a (moli soluto / 1 kg solvente) e i `e il coefficiente di Van’t Hoff, ovvero la
quantit`a di particelle che si formano a seguito della dissoluzione del soluto (NaCl si dissocia in Na + e
Cl−, quindi i=2. In altri casi bisogna tenere conto anche del coefficiente stechiometrico degli ioni).

Tfus = Tfus(solvente) − |∆Tcr|

Teb = Teb(solvente) − ∆Teb

• Pressione osmotica: Quando due soluzioni con lo stesso solvente, ma a concentrazioni diverse di
soluto, sono separate da una membrana semipermeabile, le molecole di solvente si spostano dalla
soluzione con minore concentrazione alla soluzione con maggiore concentrazione di soluto. In
questo modo si eguagliano le concentrazioni delle soluzioni; la pressione che occorre applicare alla
soluzione affinch`e il passaggio del solvente non avvenga `e detta pressione osmotica. Nel caso di
soluzioni con elettroliti, la pressione osmotica π `e data da:

Il processo inverso `e detto ”dissalazione” ed `e il processo di rimozione della frazione salina da


acque contenenti sale, allo scopo di ottenere acqua utilizzabile per uso alimentare.

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