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La struttura dell’atomo

La scoperta dell’elettrone
La scoperta dell'elettrone avvenne grazie ad una serie di esperimenti condotti
durante gran parte dell'Ottocento sulla conduzione elettrica attraverso i gas
rarefatti.
L'apparecchiatura utilizzata, ideata da Crookes (tubo di Crookes o tubo di scarica),
è costituita da un tubo di vetro alle cui estremità sono saldati due elettrodi
metallici collegati con un generatore di corrente continua con una differenza di
potenziale di circa 10.000 volts. All'interno l'aria viene sostituita con un gas
qualsiasi.
Esperienza di Thomson
A) Un campo magnetico di intensità H devia una particella in movimento ed
elettricamente carica con una forza perpendicolare al vettore velocità.
Esperienza di Thomson
Se ora sottoponiamo il flusso di elettroni contemporaneamente ai due campi di cui
regoliamo opportunamente l’intensità in modo che il loro effetto totale sia nullo e gli
elettroni si muovano in linea retta, la forza elettrica eguaglierà la forza magnetica
Esperimento di Millikan
L’apparecchio usato da Millikan era costituito da una camera nella quale
venivano nebulizzate delle goccioline d’olio che cadevano su due piastre
metalliche, delle quali quella in alto aveva un piccolo foro.
Le due piastre costituiscono le armature di un condensatore che produce un
campo elettrico di intensità E.
Ciascuna gocciolina è sottoposta ad
una forza elettrica Fe = Eq ed alla forza
peso Fp = mg. Variando
opportunamente l’intensità E del
campo elettrico è possibile variare la
forza elettrica, per una goccia, fino a
renderla uguale alla sua forza peso (la
goccia rimarrà sospesa in equilibrio).
Eq = mg
Millikan dimostrò che la carica
elettrica è sempre un multiplo intero
di una quantità elementare pari 1,602
10-19 Coulomb, carica che si dimostrò
appartenere sia al protone che
all'elettrone.
La scoperta dell’elettrone
Nel 1886 Goldstein, usando un tubo a raggi catodici con catodo forato, rilevò dietro al
catodo, una luminescenza provocata da radiazioni con movimento opposto a quello dei
raggi catodici. Si trattava di particelle cariche positivamente. Poiché la massa di tali
particelle era diversa a seconda del gas contenuto nel tubo, si ritenne che gli elettroni che
attraversavano il gas, accelerati dalla differenza di potenziale, fossero in grado, urtandoli, di
strappare gli elettroni contenuti negli atomi del gas, trasformandoli così in ioni positivi.
Modello atomico di Thomson
Modello atomico di Rutherford
Modello atomico di Rutherford
Struttura del nucleo
Struttura del nucleo
Isotopi
Isotopi

L’entità della deflessione dipende dal rapporto q/m (dove q


rappresenta la carica complessiva dello ione e m la sua
massa).
A parità di carica, le particelle con massa diversa
rappresentano ovviamente gli isotopi dell’elemento
considerato. Misurando l’intensità dei vari fasci si può
stabilire l’abbondanza percentuale dei vari isotopi.
Isotopi
La radiazione elettromagnetica
La luce è una forma di energia e può essere rappresentata da un insieme di
radiazioni costituite da onde elettromagnetiche che si propagano nello spazio
sotto forma di un campo elettrico e di un campo magnetico oscillanti, tra di loro
perpendicolari.
La radiazione elettromagnetica
Esempi di onde elettromagnetiche. L’onda A ha lunghezza d’onda maggiore,
mentre l’onda B ha frequenza più alta: le onde elettromagnetiche corte hanno
frequenze più alte delle onde elettromagnetiche lunghe.

lunghezza d'onda (λ)

frequenza (ν) il numero di


creste osservate al secondo
Lo spettro elettromagnetico
L’insieme delle radiazioni elettromagnetiche a diverse lunghezze d’onda costituisce lo
spettro elettromagnetico.
Spettri atomici
Lo spettro visibile, è chiamato spettro continuo perché contiene luce di tutti i
colori. Si forma quando la luce emessa dal Sole, o da qualsiasi altro oggetto
solido o liquido che sia stato riscaldato a temperatura molto alta, viene separata
da un prisma di vetro e proiettata su uno schermo.
Un tipo diverso di spettro è prodotto dalla luce emessa da un gas rarefatto,
come l’idrogeno, quando viene attraversato da una scarica elettrica o portato
all’incandescenza.
Quando un sottile fascio di questa luce attraversa un prisma non si ottiene uno
spettro continuo ma discontinuo, o spettro a righe, nel quale si osservano
soltanto alcuni colori, distribuiti in una serie di righe colorate e distinte che
prende il nome di spettro atomico o spettro di emissione.
Spettri atomici
Se invece una sostanza viene fatta attraversare da un fascio di luce bianca, parte
delle radiazioni viene assorbita e le rimanenti radiazioni trasmesse danno luogo
ad uno spettro di assorbimento.
Saggi alla fiamma
Gli spettri atomici dimostrano che gli elettroni possiedono energie
quantizzate
La prima spiegazione quantitativa degli spettri atomici si deve allo studio dello spettro
dell’idrogeno, l’elemento più semplice con un solo elettrone. Lo spettro atomico
dell’idrogeno è costituito da diverse serie di righe, una delle quali è nella regione visibile
dello spettro elettromagnetico. Un’altra serie di righe si trova nell’ultravioletto, mentre
le restanti stanno nell’infrarosso.
Saggi alla fiamma
Nel 1885, Johann Jakob Balmer formulò un’equazione in grado di
descrivere le lunghezze d’onda delle righe presenti nella regione
visibile dello spettro dell’idrogeno.
La relazione fu successivamente rielaborata nell’equazione di
Rydberg, un’equazione empirica di validità generale che consentì di
calcolare le lunghezze d’onda di tutte le righe dello spettro
dell’idrogeno.
Nella formula λ è la lunghezza d’onda, RH è una costante (109 678 cm-
1), e n e n sono variabili che possono assumere valori interi compresi
1 2
tra 1 e 3. L’unico vincolo dell’equazione è che n2 deve essere maggiore
di n1.
Curva di corpo nero
Se un corpo nero viene
riscaldato, esso emette delle
radiazioni che sono il risultato
delle vibrazioni degli atomi del
corpo caldo, che si comportano
come degli oscillatori
elementari. L’energia di tali
radiazioni dipende dalla
lunghezza d’onda e dalla
temperatura. Nella Figura è
mostrato l’andamento tipico
delle curve di distribuzione
dell’energia irradiata da un
corpo nero: solo una piccola
quantità dell’energia totale è
irradiata alle basse o alle alte
lunghezze d’onda e tutte le
curve passano per un massimo il
cui valore cresce al crescere
della temperatura.
Quantizzazione dell’energia
Max Planck nel tentativo di trovare una equazione che descrivesse correttamente
la curva di corpo nero, propose che le onde elettromagnetiche non potessero
essere emesse da un radiatore ad un ritmo arbitrario e continuo, ma solo sotto
forma di pacchetti d'onde che egli chiamò quanti.
Ogni quanto possedeva una certa quantità di energia che dipendeva dalla
lunghezza d'onda della luce, secondo la relazione:

E = hν

Dove ν è la frequenza della radiazione e h è una nuova costante, detta costante di


Planck il cui valore è 6,626 • 10–34 J • s.

L’energia della radiazione non si trasferisce mediante un flusso continuo ma sotto


forma di «pacchetti» distinti.
Inoltre, la legge di Planck collega fra loro le due descrizioni della radiazione
elettromagnetica: la parte sinistra dell’equazione si riferisce a una proprietà delle
particelle (l’energia del fotone) mentre la destra esprime una proprietà delle onde
(la frequenza) (dualismo onda-particella).
Effetto fotoelettrico
Se la radiazione luminosa è monocromatica, si osserva
passaggio di corrente solo se la frequenza della
radiazione è superiore ad un valore minimo di soglia,
che dipende dal tipo di metallo usato come catodo
(Figura A).
Nella Figura B è riportato un diagramma delle energie
dei fotoelettroni emessi da due metalli diversi, in
funzione della frequenza della radiazione.
Come si può osservare, sebbene le frequenze di soglia
dei due metalli siano differenti, le pendenze delle due
rette sono uguali.
Effetto fotoelettrico
Diagrammando i valori dell’intensità di corrente fotoprodotta, I, in funzione della
differenza di potenziale, V, tra anodo e fotocatodo, si ottengono dei diagrammi simili a
quello riportato in Figura.
Einstein dimostrò che l’effetto fotoelettrico poteva essere spiegato solo alla luce
dell’ipotesi di Planck.
Gli elettroni sono fotoemessi quando ricevono dalla luce l’energia minima necessaria per
strapparli dalla superficie del metallo. Tale energia minima prende il nome di lavoro di
estrazione, W.
Einstein, invece di considerare la radiazione incidente come un fascio di onde di frequenza
ν, la considerò come un pacchetto di particelle, chiamati fotoni, ad ognuno dei quali era
associata l’energia hν. In seguito all’urto con il metallo, ogni fotone cede la sua energia ad
un elettrone.
Se questa energia è maggiore del lavoro di estrazione, si
ha l’effetto fotoelettrico e l’elettrone abbandona il
metallo con un’energia cinetica espressa dall’equazione:
Modello atomico di Bohr
Preso in considerazione l'atomo di Idrogeno, Bohr introdusse alcune ipotesi in modo da far
intervenire all'interno della struttura atomica la costante h.
Il modello scelto da Bohr si basava sui seguenti postulati:
a) l’elettrone descrive delle orbite circolari, attorno al nucleo;
b) sono permesse solo quelle orbite per le quali il momento angolare dell’elettrone, mvr, è
un multiplo intero di h/2π (m rappresenta la massa dell’elettrone, v la sua velocità, r è il
raggio dell’orbita ed h è la costante di Planck);
c) l’elettrone non irradia quando si trova in un’orbita permessa (stato stazionario). Le
emissioni di radiazioni avvengono soltanto se l’elettrone passa da un’orbita più esterna ad
una più interna permessa e la frequenza della radiazione emessa si può ricavare tramite la
relazione:
Modello atomico di Bohr: quantizzazione del raggio atomico
Modello atomico di Bohr: quantizzazione dell’energia
Modello atomico di Bohr: quantizzazione de raggio atomico e dell’energia
Modello atomico di Bohr
Modello atomico di Bohr

Numeri quantici
Il numero intero n che compare in e

è chiamato numero quantico principale e può assumere i valori da 1,2,3,…

l, detto numero quantico angolare e può assumere solo determinati valori interi
compresi tra 0 ed (n – 1).

m, numero quantico magnetico, tiene in considerazione che il piano dell’orbita può


assumere solo determinate orientazioni rispetto alla direzione del campo magnetico.
Può assumere tutti i valori compresi tra – l e + l, incluso lo zero.

ms= detto numero quantico magnetico di spin, che può assumere soltanto i due valori
+1/2 e –1/2.
Esperimento di Stern-Gerlach
Nel 1921 Otto Stern e W. Gerlach verificarono un'altra conseguenza della teoria di Bohr.
Infatti non solo le singole orbite, ma anche l'intero atomo deve possedere un momento
angolare quantizzato, calcolato come vettore risultante dei singoli momenti interni.
In pratica quindi anche l'intero atomo (se possiede un momento magnetico risultante netto)
può assumere solo orientazioni spaziali discrete.
La carica elettrica dell’elettrone in movimento genera un debole campo magnetico. Il
movimento rotatorio, noto come spin dell’elettrone, può avvenire in due sensi, orario e
antiorario, spiegando così la creazione dei due fasci.
Dualismo onda-particella
Nel 1924 il fisico francese Louis De Broglie, avanzò l’ipotesi che non solo l'energia, ma anche
la materia possedesse una natura duale, corpuscolare e ondulatoria.
Secondo tale ipotesi ad ogni corpo è possibile associare un'onda, che De Broglie chiamava
'onda di materia'.
Egli propose di assimilare completamente la trattazione delle particelle materiali a quella
dei fotoni:

Relazione di de Broglie:

Per un elettrone

Per un proiettile
Dualismo onda-particella
Dualismo onda-particella
Le frange di interferenza più comunemente osservabili sono i colori
iridescenti che splendono sulla superficie di un compact disc. La
diffrazione è un fenomeno che può essere spiegato soltanto in
considerazione delle proprietà delle onde come le onde luminose. Si
possono condurre esperimenti per dimostrare che anche gli elettroni, i
protoni e i neutroni subiscono la diffrazione, a conferma della loro
natura ondulatoria. La diffrazione elettronica è, in effetti, il principio su
cui si basa la microscopia elettronica.
Dualismo onda-particella
L’introduzione della interpretazione ondulatoria della materia permise a De
Broglie di portare ulteriore chiarezza all'interno del modello di Bohr-
Sommerfeld. Alcuni fatti che inizialmente potevano apparire arbitrari e
gratuiti ora acquistavano significato.
In particolare De Broglie dimostrò che la condizione di quantizzazione del
momento angolare, introdotta in modo alquanto artificioso da Bohr, poteva
essere derivata direttamente dalla natura ondulatoria dell'elettrone e ne
diventava una sua naturale conseguenza.
Partendo dunque dalla condizione quantistica di Bohr e tenendo
presente che dalla relazione di De Broglie (λ = h/mv) si ricava che ,
sostituendo opportunamente nella prima si ottiene
Principio di indeterminazione di Heisenberg

Per l’elettrone:

Per una palla da tennis:


Modello atomico di Schrödinger
Con l’interpretazione dualistica l’elettrone è visualizzato non come una particella situata in
un punto dell’atomo, ma come se la sua massa e la sua carica elettrica fossero distribuite in
un’onda stazionaria che circonda il nucleo. Considerando la quantizzazione del momento
angolare:

le orbite quantizzate di Bohr devono soddisfare la condizione di contenere un numero


intero n di lunghezze d'onda di De Broglie.
Visto che n è il numero quantico principale, la prima orbita deve contenere una lunghezza
d’onda, la seconda orbita due lunghezze d’onda e così via.
Si formano in tal modo delle onde, dette onde stazionarie, tali che dopo un'orbita completa
l'onda si trova esattamente in fase con se stessa. Le altre orbite non sono consentite poiché
le onde si sovrapporrebbero creando interferenza distruttiva. L'onda si estinguerebbe e con
essa la probabilità di trovare l'elettrone.
Modello atomico di Schrödinger
L’onda elettronica è chiamata funzione d’onda ed è di norma rappresentata dal
simbolo ψ (la lettera greca psi).
Nel 1926, Erwin Schrödinger (1887-1961), un fisico austriaco, fu il primo a
utilizzare con successo il concetto di natura ondulatoria della materia per spiegare
la struttura elettronica dell’atomo. Schrödinger sviluppò un’equazione le cui
soluzioni fornivano le funzioni d’onda e lo stato energetico degli elettroni
contenuti negli atomi. Le funzioni d’onda relative agli elettroni atomici sono dette
orbitali.

Esistono infinite funzioni d’onda ψ, che sono possibili soluzioni dell’equazione di


Schrödinger, ma tra di esse sono accettabili soltanto quelle che soddisfano
determinate condizioni e che sono chiamate autofunzioni:
- ψ deve essere continua e finita, ad un solo valore in ogni punto dello spazio ed
all’infinito deve tendere a zero;
-la funzione ψ deve soddisfare la condizione di normalizzazione, cioè la probabilità
di trovare l’elettrone in tutto lo spazio attorno al nucleo deve essere unitaria
(∫ψ2dV = 1).
Modello atomico di Schrödinger
Quando si risolve l’equazione d’onda per un atomo particolare si
ottiene una equazione parametrica, detta funzione d'onda ψ , che
presenta come parametri i primi tre numeri quantici, n, l, m.
Una funzione d’onda alla quale vengano attribuiti opportuni valori
numerici ai numeri quantici (ψnlm,) individua lo stato di un
particolare elettrone e prende il nome di funzione orbitalica o
funzione orbitale.
Ogni funzione orbitale corrisponde ad uno stato stazionario
dell’elettrone-onda.
La funzione ψ100 rappresenta l’orbitale con n = 1, l = 0 ed m = 0 ed è
la soluzione dell’equazione d’onda corrispondente allo stato
energetico più basso possibile, cioè allo stato fondamentale
dell’elettrone nell’atomo di idrogeno
Modello atomico di Schrödinger

► IL NUMERO QUANTICO SECONDARIO, l

I sottolivelli sono chiaramente identificati dai valori di l ma, per


evitare confusione tra i valori numerici di n e l, il valore di l è
preferibilmente espresso con un codice letterale:

Per designare un particolare sottolivello, si scrive il valore del suo


numero quantico principale seguito dalla lettera minuscola
corrispondente al numero quantico secondario. Per esempio, il
sottolivello con n =2 e l =1 è il sottolivello 2p.
Modello atomico di Schrödinger
Orbitali atomici
L’orbitale è la zona dello spazio intorno al nucleo in cui è massima la probabilità di
trovare l’elettrone.
Le funzioni d’onda più semplici sono quelle che descrivono gli orbitali s.
Le funzioni d’onda Ψ(s) sono sfericamente simmetriche. La probabilità di trovare
l’elettrone è la stessa in tutte le direzioni, variando solo con la distanza dal nucleo.
L’orbitale s è caratterizzato dai seguenti numeri quantici:
n = 1,2,3,..
l=0
m=0

Distribuzione di probabilità radiale per l’orbitale 1s.


Orbitali p
Gli orbitali p hanno simmetria cilindrica, possiedono cioè un asse preferenziale e
non cambiano segno per rotazione attorno ad esso. Sono costituiti da due lobi ad
elevata densità elettronica (in cui la funzione d’onda Ψ assume segno opposto) ed
un piano nodale nell’origine (nucleo).
L’orbitale p è caratterizzato dai seguenti numeri quantici:
n = 1,2,3,..
l=1
m = –1, 0 e +1.

I 3 orbitali p sono equivalenti fra di loro e isoenergetici.


Orbitali d
Per l = 2 esistono cinque orbitali di tipo d, poiché il numero quantico m può
assumere cinque diversi valori (m = –2, –1, 0, +1,+2).
Orbitali f
Per l = 3 esistono sette orbitali di tipo f, poiché il numero quantico m può assumere
sette diversi valori (m =-3, –2, –1, 0, +1,+2, +3).
► GLI ORBITALI SI DISTRIBUISCONO SECONDO VALORI DI
ENERGIA CRESCENTE
In generale gli orbitali si distribuiscono secondo valori di energia crescente
seguendo queste semplici regole:
1.Tutti gli orbitali di un dato sottolivello possiedono la stessa energia
2.Salendo nella scala dell’energia, la distanza fra livelli successivi
diminuisce mentre il numero dei sottolivelli aumenta. Ciò porta alla
sovrapposizione dei livelli che possiedono valori diversi di n. Per esempio, il
sottolivello 4s ha energia minore del sottolivello 3d, il 5s del 4d e il 6s del
5d. Inoltre, il sottolivello 4f precede il 5d e il 5f precede il 6d.:

Schema dei livelli energetici dell’atomo di


idrogeno.
Energia degli orbitali
Successione dei livelli energetici negli
Spostamento dei livelli energetici con il
atomi polielettronici.
numero atomico.
Energia degli orbitali

L'esatta sequenza relativa al riempimento dei sottolivelli può essere così riassunta nel
seguente ordine:
1s, 2s, 2p, 3s, 3p, 4s, 3d, 4p, 5s, 4d, 5p, 6s, 4f, 5d, 6p, 7s, 5f, 6d, 7p, e così via.
Struttura elettronica degli atomi
Nel 1928 finalmente Dirac trovò una equazione quantistico relativistica in grado di
descrivere l'elettrone. Essa si riduce naturalmente per piccole velocità
all'equazione di Schrödinger.
L'equazione di Dirac porta però un risultato notevole. Essa dà infatti
automaticamente lo spin ed il momento magnetico dell'elettrone. Mentre queste
proprietà in approssimazione non relativistica devono essere aggiunte e postulate
separatamente, esse derivano direttamente dal formalismo matematico di Dirac.
L'equazione di Dirac descrive in realtà non solo il moto degli elettroni, ma anche di
particelle di massa uguale, ma di carica positiva, del tutto sconosciute al tempo di
Dirac. Ciò fu considerato da Dirac un grave difetto della teoria, tanto che egli tentò
inutilmente di verificare se esse potevano essere identificate con i protoni.
In realtà Dirac aveva postulato l'esistenza dell'antiparticella dell'elettrone, il
positrone, scoperto poi da C.D. Anderson nei raggi cosmici solo nel 1932.
Principio di esclusione di Pauli
In un atomo non possono coesistere elettroni aventi tutti e quattro i numeri
quantici eguali.
Ciò significa che, essendo ogni orbitale caratterizzato da tre numeri quantici n, l, ed
m, nello stesso orbitale ψnlm possono trovarsi al massimo due elettroni che
differiscono per il valore di ms.

Questo principio può essere riassunto nei seguenti punti:

1. ciascun orbitale non può contenere più di due elettroni;


2. gli elettroni che occupano lo stesso orbitale devono avere spin opposto.
Struttura elettronica degli atomi

Il limite di due elettroni per orbitale dà anche una misura del numero
massimo di elettroni presenti nei vari livelli e sottolivelli. Per i
sottolivelli abbiamo:

Il numero massimo di elettroni in ogni livello è invece:

In generale, la popolazione massima di elettroni in un livello è


pari a 2n2.
Struttura elettronica degli atomi
Alcuni atomi hanno elettroni spaiati, cioè non appaiati a elettroni di
spin opposto. In essi, gli effetti magnetici non si annullano e gli stessi
atomi si comportano come piccoli magneti che possono interagire con
un campo magnetico esterno. La debole attrazione verso un magnete
di una sostanza con elettroni spaiati è detta paramagnetismo.
Le sostanze i cui atomi hanno tutti gli elettroni appaiati, invece, non
vengono attratte da un magnete e sono dette diamagnetiche
Struttura elettronica degli atomi
Convenzionalmente ogni orbitale viene rappresentato mediante un quadrato all'interno del
quale è possibile disporre fino ad un massimo di due elettroni rappresentabili mediante
frecce verticali con verso opposto, ad indicare lo spin antiparallelo.

vuoto semisaturo saturo


(elettrone spaiato)

Ciascun orbitale viene poi indicato con una sigla composta da un numero da 1 a 7 che
indica il livello energetico seguito da una lettera (s, p, d, f) che indica il tipo di orbitale. Ad
esempio 1s rappresenta l'unico orbitale s del primo livello energetico; 2p indica i tre orbitali
p del secondo livello energetico; 6d i cinque orbitali d del sesto livello energetico.

Dato un elemento di numero atomico Z, è possibile distribuire correttamente i suoi Z


elettroni nei diversi orbitali seguendo le seguenti tre regole di riempimento (Regole di
Aufbau):
Struttura elettronica degli atomi
1. Principio di minima energia
Gli elettroni si dispongono spontaneamente negli orbitali vuoti meno energetici.
Una volta riempiti gli orbitali a minor energia vengono occupati gradualmente gli
orbitali ad energia progressivamente maggiore.

2. Principio di esclusione di Pauli

3. Principio di massima molteplicità di Hund


Gli elettroni si dispongono negli orbitali degeneri uno per orbitale con spin
parallelo fino a semisaturarli tutti e, successivamente, li saturano seguendo il
principio di esclusione Pauli. Così, se dobbiamo inserire 3 elettroni nei tre orbitali
degeneri 2p, otterremo la seguente configurazione:

Esatto Errato!!
Struttura elettronica degli atomi

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