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LA PUBBLICITÀ

Il medium pubblicità: una definizione

Quella forma di comunicazione - e quel settore dell'industria culturale - che mira a


promuovere le vendite di prodotti o servizi, o ad estendere l'area di visibilità e di consenso di
un partito o di un uomo politico, o di una particolare causa sociale o di altro genere,
attraverso un messaggio creativo, (diversamente dal marketing, che non sempre usa
messaggi creativi);

Il messaggio viene inviato intenzionalmente a un audience attraverso uno o più media; i


costi di produzione e di emissione del messaggio sono a carico del committente (che ha il
più delle volte diritto di "controllo' sull'intero processo, secondo regole fissate per contratto, e
nei limiti di regole e agenzia, almeno a un certo punto della procedura): questo è
'advertising, la forma più classica della pubblicità (ne esistono diverse altre).

Sul piano sociale la pubblicità implica una costruzione di miti e linguaggi, come lavoro
complesso, in quanto comunicazione industriale, tecnologica, e super-empatica fra l'impresa
o il prodotto e il consumatore, mirata a generare legame sociale, culturale ed economico.

L'investimento in pubblicità
- A livello globale, l'investimento medio delle grandi imprese in pubblicità è pari al 6%
circa del valore delle vendite. Le grandi imprese investono in pubblicità stabilmente,
e se possibile aumentano gradualmente lo sforzo, senza intermittenze che
lascerebbero il campo libero ai competitori, allo scopo di stabilizzare la posizione nel
mercato a medio termine (è il vero obiettivo economico: dominare un mercato
significa fissare i prezzi senza dipendere strettamente dal consumatore, omai fedele,
con la possibilità di tenere più alti i profitti).

- Le piccole imprese o le piccole organizzazioni utilizzano la pubblicità per tentare


di rendersi visibili, per ottenere un'espansione rilevante delle vendite e per creare su
questa base un brand stabile, Il fattore che conta non è la stabile, continuità, ma
l'esplosione iniziale.

- Fidelizzazione del consumatore: aver ottenuto negli anni che il consumatore anche
se non riconosce come buono il prodotto, riconosce come buono il brand, ovvero
l’immagine della marca.

Effetti della pubblicità e tecniche di rilevazione


● Gli effetti a lungo termine degli investimenti in pubblicità dipendono da due variabili
che non è possibile controllare a priori:
a) il rafforzamento simbolico del brand: l'immagine, il marchio, la "fidelizzazione"
dei competitori;
b) il livello più o meno alto di aggressività pubblicitaria-promozionale della
concorrenza.
Secondo la cosiddetta "legge di Peckham" per raggiungere il 10% del settore di
mercato a cui appartiene un certo prodotto, occorre investire in pubblicità per almeno
due anni non meno del 15% degli investimenti pubblicitari totali del settore.

● Sul breve termine (sessanta giorni), si può arrivare con una campagna televisiva a
picchi di aumento fino al 136% negli USA (ma anche a cadute fino a -27%), e al 54%
in Germania (contro un -17%).

● Secondo una celebre affermazione di David Ogilvy, un cambio di headline in un


annuncio può fare aumentare le vendite fino a dieci volte. Ma le rilevazioni non sono
semplici: con la single-source research, che prevede l'analisi del comportamento di
singole famiglie (scelte a campione) e con la cibernetizzazione degli atti di acquisto
(iniziata con i codici a barre) e dei messaggi digitali via Internet, che permettono uno
scanning automatico sia degli stimoli che delle risposte e un "tracciamento"'e
marcamento dei consumatori, dagli anni Novanta si è potuto rilevare il peso specifico
della pubblicità in caso di successo di un prodotto. Inoltre: interviste, questionari,
focus groups, ecc. (servizi a volte resi dalle stesse agenzie pubblicitarie).

Dinamiche psicologiche
1. “l’obiettivo è quello di ottenere una risposta dai destinatari, in termini di attenzione,
curiosità, coinvolgimento, consenso, identificazione, motivazione (verso azioni di
consumo o di voto, o verso ulteriori “catene” di azioni), come premessa necessaria di
vantaggi successivi, sul piano commerciale, o politico-culturale.
Perché il messaggio sia efficace (anche per la rapidità e la brevità dovuta agli alti
costi), occorre che esso sia costruito secondo tecniche che implicano effetti, vale a
dire un’adesione marcatamente;

2. La ricerca psico-neurologica ci rivela quanto il corpo sia implicato negli inneschi


cognitivi, a partire - in particolare - dagli stati sentimentali. Un’immagine causa
emozione. I segnali corporei dell’emozione e i segnali che riguardano
l’immagine-fonte si associano generando il senso di un preciso legame causa-effetto.
All’immagine pubblicitaria si associa (con un audience più o meno universale, e
legandosi a mood più o meno stabili nel tempo) un sentimento. Attraverso la
ripetizione, il ciclo che porta ai sentimenti può venir innescato
semi-automaticamente.

3. Vi sono tre livelli di sentimenti:


a) derivanti dalle emozioni “primarie”, che innescano reazioni sostanzialmente
preorganizzate e universali (e allora sentiamo fisicamente tristezza, felicità,
ira, paura, disgusto);
b) più sottili, che associano lievi variazioni di stato emotivo del corpo a lievi
sfumature di stato cognitivo, regolate dall’esperienza (per esempio la
sensazione di malinconia, di timidezza, o l’euforia, l’estasi, il senso di
tensione del “giallo”, il piacere estetico derivante da immagini belle o da
citazioni montate con intelligenza);
c) “di fondo”, che non derivano da emozioni forti o più intellettualizzate, ma
semplicemente dallo stato basilare dell’essere: “la nostra immagine
Il patto comunicativo e semiotico
- la pubblicità richiede un patto implicito tra emittente e destinatario. Il messaggio deve
essere riconoscibile come commercial, di solito attraverso una “cornice” (che è data
dall’essere collocato in uno spazio/ tempo apposito, per es. il cartellone stradale, o la
serie periodica di spot nella programmazione televisiva) Ma superato il frame scatta
qualcosa di più di un cambio di “genere”: si entra in un mondo “magico”, dove è
richiesto un tipo particolare di ricezione, moderatamente euforica, disponibile a
lasciare da parte i sistemi simbolici della conoscenza, dell’utile e della prassi, a
vivere in una dimensione ludica. Il patto comunicativo non prevede che i codici
simbolici del sociale vengano sovvertiti o variati, ma che li si lasci fluttuare in un
ambiente iper- sentimentale, plurimo e fluido. L’utilizzo suggestivo e di massa delle
tecnologie per generare ambienti virtuali predisposti al gioco dei sentimenti provvede
a costruirlo.

- lungo la storia delle metropoli, la comunicazione pubblicitaria - generando ambienti


virtuali e ibridandosi con i mass-media spettacolari come cinema e tv - si sposta da
retoriche di tipo informativo/persuasivo a retoriche basate su un ampio utilizzo
analogico dell’immagine e del mito.

Dalla retorica alla tecnica creativa dell’analogia


➔ le ricerche psicolinguistiche sui meccanismi di acquisizione delle categorie
concettuali, e le teorie semiotiche della scuola di Tartu, intendono per analogia una
associazione che si stabilizza tra due immagini o campi semantici, anche
logicamente o usualmente non apparentabili. Quando “pensiamo”, una “figura” viene
associata inconsciamente e assimilata per analogia ad altre figure-centro dotate di
particolare attrattiva, ruotando in una specie di cerchio magico (per es. il pipistrello
viene associato alla categoria “uccelli” - a cui scientificamente non appartiene - e ad
altre come “notte”, “orrore”, “vampiro”, ecc., a diversi livelli di analogia). La base
attuale del linguaggio pubblicitario è prevalentemente l’analogia di tipo creativo.
➔ la retorica di tipo informativo/persuasivo è invece basata sulla connessione logica di
segmenti di senso già esistenti. L’arte retorica, nella sua tradizione millenaria legata
alla parola e soprattutto alla scrittura, si basa infatti su un repertorio stabile, e ritiene -
una volta garantita la credibilità dell’emittente - che una buona successione logica del
discorso, (esordio, proposizione/narrazione, dimostrazione, perorazione finale), una
adeguata scelta delle “prove” di tipo obiettivo o affettivo, e la scelta di espressioni
adatte, comprensibili e belle, sia sufficiente a garantire il risultato. Non si tratta
insomma di “creare”, ma di convincere.

➔ la stessa idea di “società dell’immagine” rinvia - più che alla comunicazione di oggetti
visibili - a “un atteggiamento cognitivo ed espositivo prevalentemente
iconico-metaforico oggi dominante”, opposto “a un più tradizionale atteggiamento
logico-sequenziale”. La visibilità implica infatti l’esistenza di oggetti-icone, ma anche
di modelli/ordinamenti della visione: competenze, conoscenze e pratiche socialmente
diffuse, attraverso le quali un soggetto, collocato a distanza (spaziale e temporale)
dall’emittente, può fruire del messaggio in quanto struttura di stimoli significativi
(figure, suoni, parole). Si tratta di ordinamenti che utilizzano l’analogia
prevalentemente nel suo senso “creativo”.

Tecnica creativa e “chiusura” retorica


● La base del messaggio pubblicitario è dunque soprattutto nella struttura creativa. Da
un lato perché istituisce una rete di relazioni di similarità analogica: (prodotto) ><
brand image >< messaggio >< (immaginario del ricevente).
Dall’altro, perché quelle relazioni analogiche sono costruite in senso creativo,
associando le immagini, attraverso tecniche tendenzialmente artistiche (iconologiche,
ma anche verbali e musicali).

● Le forme retoriche persuasive si associano alla struttura creativa, di solito sul piano
del tono (piacevole o patetico), dell’amplificazione, dello straniamento, oltre che
dell’espressione linguistica[1], oppure la chiudono, spostando la comunicazione su
un piano informativo, referenziale e logico. Il messaggio pubblicitario, piuttosto che a
quello della scrittura, appartiene al regno dell’immagine, dello spettacolo, della
comunicazione multimediale: il regno dell’analogia.

Pubblicità: il medium ibrido


➔ A partire dalla grafica e dalla fotografia del secondo Ottocento, la pubblicità esterna
dei cartelloni, affiches, locandine, volantini, insegne, e le inserzioni a forte impatto
visivo sui giornali e le riviste hanno contribuito all’evoluzione delle nuove tecniche di
stampa industriali, e hanno sospinto l’evoluzione spettacolare delle tecnologie
audiovisive, fino al cinema, alla radio e alla televisione, da cui si sono sviluppati a
loro volta i linguaggi pubblicitari “di flusso”: trailer, refrain e spot.

➔ La storia della pubblicità come medium: invasione e delocalizzazione dallo spazio


esterno della civiltà urbana, meccanica, gutenberghiana, a quello interno e
soggettivo della metropoli, riverberato e frammentato oggi nella rete a connessione
continua. Nello spazio esterno, pubblico, della metropoli dell’Ottocento e del primo
Novecento, si generano messaggi brevi, iconici, che “bucano” l’affollamento
metropolitano, dalla strada al supermercato.Lo stesso accade nello spazio-tempo a
mosaico ma già di flusso del giornale e della rivista.

➔ La pubblicità si intreccia con le avanguardie artistiche (da Toulouse Lautrec e


Bonnard a Max Klinger, dai costruttivisti viennesi e russi ai futuristi, da de Stijl al
dadaismo e al surrealismo, e soprattutto al Bauhaus, 1919-1933, e alla Pop Art negli
anni ‘50). Il linguaggio pubblicitario diventa centrale nella cultura collettiva delle
immagini, dai piani più banali e ripetitivi dell’arredo stradale e delle vetrine a quelli più
elevati.

Pubblicità: il medium ubiquo dei flussi


- Con la televisione si è trasferito nello spazio “interno” del soggetto o della vita
familiare lo spettacolo suggestivo e di facile accesso e fruizione di brevi narrazioni
paradigmatiche, sintetiche, emozionali, ridondanti, continue.

- Oggi la pubblicità è indissolubilmente connessa allo sfondo percettivo fluido ed


elettrico dell’immagine e alla vicenda storica dei mass media (industriale e seriale,
non soltanto nel senso della ridondanza, ma soprattutto perché ripete più volte
alcune varianti dello stesso paradigma, allo scopo di costruire, stabilizzare e variare
nel tempo il brand image.

- Forma pervasiva, super-ibridante, ubiqua, inseparabile dallo spazio dei flussi:


emissioni programmate e seriali di informazione, in un ambiente che prima la
televisione e poi la digitalizzazione hanno reso automatico, ibrido, consumabile
all’infinito, magico, decentrato, a-storico e a-temporale. E caratterizzato, come
sosteneva McLuhan, dalla fine della contrapposizione tra io e noi, tra privato e
pubblico. Annullando in sostanza lo stesso significato della parola “pubblicità” :
convincere un target composto di “privati” mediante un messaggio “pubblico”.
collettivo (il termine inglese advertising rimanda invece al latino advertere,
strutturalmente ambiguo: “far girare verso...” ma anche “prendere nota di...”). Di
conseguenza, verrebbe anche a cadere la distinzione tra arte, media e mercato.

- Sempre costellato di immagini è il mondo digitale, un mix estremamente fluido e


versatile che fonde nuovamente il visuale (verso l’alta definizione, più audio) e l’(iper)
scrittura, dove la pubblicità si dissemina, non solo negli interstizi dello spazio fisico e
nel flusso dei mass media, ma nel nuovo mondo virtuale, popolato di tutte le forme
storiche (quelle scritte, quelle di flusso, i gadget
attualmente in fieri). E nell’epoca digitale si moltiplicano e dilagano le forme di, il
direct mail e tante altre pubblicità sommersa, implicita, nascosta o incorporata in
comunicazioni di altro tipo.

Barthes e Morin: mitologia moderna e cultura del consumo


I primi quadri teorici della pubblicità sul piano antropologico, semiologico e sociologico
emergono con l’arrivo in Europa della società dei consumi:

Roland Barthes: rileva la coincidenza tra pubblicità e mitologia moderna, e ne individua il


sistema semiotico. La pubblicità va considerata come una delle funzioni fondamentali della
vita sociale, in quanto area di produzione del nuovo mito nelle società dei consumi. Il
meccanismo semiotico di questa nuova mitologia è semplice: un segno originale (per
esempio una bella donna che si tuffa in una cascata) diviene integralmente e
immediatamente “significante”, perché viene unito imperativamente (in un rapporto motivato)
a un significato/concetto altro (per esempio una marca di acqua minerale), deformando il
segno originale e creando in questo modo una nuova configurazione, con effetti il più
possibile previsti e programmati. Qui è la differenza con il mito antico e folclorico: viene
drasticamente limitata la libertà e l’ambiguità della figura mitica, e il senso si piega a una
rigida costrizione, nel tentativo di occultare quelle aree di significazione che vengono ritenute
socialmente e commercialmente pericolose.
Edgar Morin: considera il linguaggio della pubblicità tra i processi culturali fondanti della
“terza” e nuova cultura: quella che si produce sui media (diversamente dalla familiare
primaria e dalla istituzionale e prevalentemente scritta secondaria). Emergono funzioni
centrali della pubblicità nella nuova situazione sociale: la pubblicità come ritmo del consumo,
e del tempo in generale; come lavoro sugli archetipi e come linguaggio sincretico per
eccellenza; come mediazione tra stereotipi condivisi e creatività individuale e collettiva.
Nuova esperienza sociale di massa: “un campo di simboli, di miti e immagini concernenti la
vita pratica e la vita immaginaria, un sistema di proiezioni e di identificazioni specifiche, che
si aggiunge alla cultura nazionale, alla cultura umanistica, entrando in concorrenza con
queste”.

La complessa interazione sociale della pubblicità


➔ I media di massa implicano differenti gradi di autonomia tra produzione simbolica e
obiettivi di mercato. Nella pubblicità, l’interdipendenza tra cerazione e mercato è
stretta ed esplicita. Tuttavia la comunicazione pubblicitaria si produce attraverso una
interazione complessa, poiché diverse produzioni creative a differenti tassi di
intensità legano:
a) il prodotto/marca e la sua “immagine” (brand image consolidato o da
modificare o da costruire);
b) brand image e messaggio pubblicitario;
c) prodotto/ marca e messaggio;
d) messaggio e immaginario del pubblico (target);
e) prodotto/ marca e immaginario collettivo;
f) immaginario collettivo e consumo effettivo;
g) brand image e immaginario del pubblico;
h) messaggio e consumo effettivo;
i) brand image e consumo effettivo;
j) prodotto/marca e consumo effettivo.
Ognuna delle interazioni tiene conto delle altre; lo schema non è quindi riducibile alla
comunicazione unidirezionale dal produttore ai consumatori. Ed è descrivibile come
un campo di interazione sociale che collega tra loro azioni diverse di differenti
soggetti; per esempio: “promuovere un prodotto attraverso un messaggio in grado di
farlo”; “conquistare visibilità”; “godere di spot divertenti e eccitanti, di qualsiasi
marca”; “esporre (esporsi) al bombardamento mediatico (pubblicitario o di un leader
politico) per provare le (proprie) reazioni in termini di consenso o di gradimento”, o
semplicemente, “fare esperienza (empatica) di immagini e metafore, di emozioni e
sentimenti”.

➔ Sono compresenti la direzionalità dall’impresa verso i consumatori a fini economici e


la coproduzione di immaginario collettivo fra marca e pubblico. attraverso il brand e i
messaggi a parlare è anche il soggetto, la sua simbologia sociale/mediale, il suo
desiderio e tormento. Arte e industria, soggetto e media, si fondono produttivamente
ed empaticamente in un immaginario, in uno spazio espressivo.

PIANO ANTROPOLOGICO
La società dei consumi e il sistema simbolico del desiderio
- La modernità coincide con la fase in cui tutti i mezzi di comunicazione, tutte le
istituzioni fondamentali della società, le arti, e infine il tempo e le pulsioni della vita
privata sono entrati nella sfera del consumo - prima nettamente distinta dalle altre. I
linguaggi del consumo hanno invaso il territorio materiale/immateriale (i media) e
quello virtuale dell’immaginazione. Il consumo tende a porsi come struttura
fondamentale dell’ambiente umano, riorganizzando l’intera scala dei bisogni in un
solo universo di senso, dove anche le esigenze primarie sono rappresentate in
termini di autostima e autorealizzazione, entrando in una dimensione narrativa che
trascende il semplice meccanismo carenza/soddisfazione.

- ​Il sistema dei consumi si basa sul desiderio e non sul bisogno, come fattore di
integrazione o di differenziazione sociale, e viene a configurarsi anche come
scenario di confronto, di autoformazione, e di lotta, assumendo carattere
eminentemente simbolico, che trascende sia l’acquisto che l’uso e il logoramento di
un bene: sono infatti più rilevanti per la socializzazione - assai spesso - l’acquisto,
l’utilizzo e il logoramento dei simboli. Nella società dei consumi non ci sono limiti che
canalizzino il consumo o lo scambio: tutto può essere oggetto di scambio, come tutto
può essere oggetto di desiderio. Il lusso e fenomeni di ostentazione visuale, apparsi
su una lunga durata nella fase iniziale della modernità e ovviamente ancora presenti
come dimostrazione di status sociale, hanno soltanto aperto la strada all’uso
comunicativo del valore simbolico dei beni e servizi, che oggi è illimitato. A venir
consumato non è tanto il prodotto quanto il suo senso come realizzazione di desideri:
il consumatore interpreta un testo-merce, che sollecita da lui l’attivazione di certe
strutture o immagini, simboli, narrazioni. Interpretandolo, entra in una favola, in una
fiction sia individuale che collettiva.

Antropologia del consumo Mediologia


- Immerse in un tempo saturo e fluttuante, innumerevoli apparizioni di alter ego
seduttivi popolano uno spazio virtuale sinestetico ( voce / immagine / suono /
scrittura multiforme, ambienti virtuali) dove l’inconscio e la costruzione programmata
del prodotto e dell’immagine giocano alla pari, dove - cioè – l’imperativo è sfruttare la
produttività dell’inconscio per far scattare la logica del desiderio e dell’acquisto. Sotto
la superficie dei linguaggi del consumo, il pubblico post metropolitano vive una nuova
forma dell’esperienza di massa: oscillando tra la forma passiva di un soggetto in
stato narcotico e immemore, come esorcismo estremo e neutralizzazione del dolore
e della morte, e la forma attiva di un io sempre più duttile e proteiforme, pronto per i
mondi virtuali che verranno.

- La frammentazione dei ruoli sociali in cui dobbiamo calarci ci spinge a proiettare,


sugli oggetti di cui ci circondiamo, e che usiamo ed amiamo, il nostro io, sino a
creare dei veri e propri “identity kit”

- Gli oggetti sono a loro volta dotati di significati socialmente condivisi, sul piano mitico
come su quello referenziale, e inconsciamente attivi. Consumare, in questo modo,
diviene un atto sociale (appagamento solipsistico incluso); e la dimensione
rappresentativa degli oggetti reali e delle figure virtuali va interpretata sul piano
sociologico, ma anche antropologico e psicoanalitico. Naturalmente conta soprattutto
il vettore metaforico che i beni di consumo suggeriscono, rappresentando un sistema
di indicatori di categorie (per esempio come segnale di grado del coinvolgimento
sociale, di povertà o ricchezza): il consumo è di fatto il campo in cui ci si confronta e
si lotta per definire la cultura e darle una forma. I significati fluttuano e non hanno
stabilità; la vita sociale per un certo periodo ne fissa alcuni, ma è un processo senza
fine, sul quale si innesta il consumo come agire culturale. il consumo è un processo
rituale la cui funzione primaria è di dare un senso al flusso indistinto degli eventi. Si
consuma il simbolo, e attraverso il simbolo si esplora lo spazio sociale e si valorizza il
sé. (Mary Douglas).

PIANO DELLA SEMIOTICA

Altre tendenze generali della testualizzazione “industriale”:


- l’iperbole, che si applica al prodotto o al soggetto alter ego del prodotto o del
consumatore, ma anche al tono, all’intreccio, al volume, ecc.; tutto l’ambiente
assume un aspetto eroico;
- l’erotismo (più raramente altri generi di pulsione forte); il desiderio viene stimolato,
consumato, interrotto, riacceso; l’eroe gode di piaceri di ogni tipo;
- la familiarità, nel senso di costruzione di un ambiente familiare, parzialmente
rassicurante, credibile; l’eroe nella sua reggia;
- lo straniamento, come introduzione di elementi incongrui o inaspettati che catturano
l’attenzione, o come definizione di un ambiente fantastico, successivamente
“regolarizzato”; l’eroe e l’avventura spettacolare

Il consumo postmoderno pone i problemi dello spazio (reale e virtuale) che si omologa e si
affolla: la crescita dell’archivio, e il limite di saturazione. Il consumo è un processo graduale,
perché via via attiva e rende omologhi alle sue regole altri testi, altri linguaggi, senza forti
conflitti. Si tratta di depositi in larga parte effimeri (è la stessa dinamica delle mode), eppure
le tecnologie consentono con sempre maggior facilità di conservarli. Il limite ai linguaggi del
consumo non è dunque nella memoria, ma nella saturazione dell’identità, e all'emergere
possibile di altre forme sociali.
L’homo ludens, base fondamentale dello sviluppo nel secondo Novecento, ha bisogno dei
suoi sistemi di apprendimento e di socializzazione. La pubblicità, come altre forme
dell’industria culturale, è uno di essi: modella l’esperienza riducendone l’imprevedibilità,
controlla lo spazio di risposta tra stimolo e reazione, artificializzazione la memoria e il sogno,
agendo per accumulo combinatorio sempre più ampio e versatile; ci abitua a vivere un
tempo saturo e un ambiente immateriale e complesso; ci rende familiare il desiderio, e
formalizza il soggetto desiderante come un attore e insieme come uno spettatore. Insegna,
dunque, alcune regole del nostro gioco comunicativo. Ma non dimentichiamo che seppure il
consumo riempie la scena, la società non è meramente il consumo, quanto il complesso
dinamico e fluttuante delle relazioni sociali. Anche altre figure, altri bisogni, altre forme
sociali emergono da quello sfondo, e vi proiettano le loro ombre.

La tecnica classica: l’USP


Nell’epoca della centralità televisiva si afferma la tecnica dell’Unique Selling Proposition,
schema d’attacco delle agenzie pubblicitarie formalizzato in USA a partire dagli anni ‘40, che
sintetizza un secolo di artigianato e di pionierismo del mestiere. L’USP era in pratica l’idea
portante alla base della strategia creativa (copy strategy) dell’annuncio pubblicitario o di
un’intera campagna. Basata su uno studio del “posizionamento” del prodotto (brand
position), delle caratteristiche principali, dei criteri di distribuzione (trade), dei media prescelti
per comunicare, del target (dati socioeconomici, stili di vita, attitudini d’uso del gruppo di
consumatori previsto), e dell’immagine generale della marca, oltre che della concorrenza,
l’USP si fonda su tre elementi da comunicare: “il beneficio principale offerto dal prodotto al
consumatore, l’esclusività di questo beneficio rispetto alla concorrenza, la sua rilevanza per
il consumatore”, con vari supporti rafforzativi:

● Promessa (USP)
L’esperienza dimostrò che per il pubblico risultavano più credibili le promesse semplici,
mono- tematiche, non comparative, rispetto a quelle duplici (o triplici) come a esempio:
“Lava più bianco rispettando i colori, e pulisce a fondo anche alle temperature più basse,
rispettando le fibre”.

● Giustificazione della promessa (Reason Why)


L’uso smodato della Reason Why finì per sovrapporsi e sostituire quasi la promessa, finendo
per suonare come una excusatio non petita alle orecchie dei consumatori.
Supporting Evidence
Era la caratteristica più evidente della Reason Why, quella che forniva gli elementi per una
dimostrazione visiva delle caratteristiche del prodotto, cioè ad esempio: “non fa schiuma”, “è
più cremoso”, “penetra tra le fibre”.

Lo “stile di consumo”
Dagli anni Settanta, per costruire una relazione tra un prodotto e un target (un gruppo di
consumatori potenziali che si intende raggiungere), si cerca di identificare uno “stile di
consumo” che accomuna un gruppo di consumatori sufficientemente ampio rispetto alle
aspettative di vendita. Di solito, ai pubblicitari il target viene descritto nelle sue caratteristiche
principali sulla base di un lavoro preliminare svolto da esperti di marketing (e rappresenta
dunque un elemento preliminare e decisivo della strategia da impostare). Ma in cosa
consiste effettivamente?

Uno stile di consumo deriva da un mix di quattro fattori:


1) l’appartenenza a un gruppo sociale;
2) l’insieme dei messaggi e prodotti veicolati dalla “base” della comunicazione di
massa, quelli a cui tutti hanno alta probabilità di accesso;
3) la “biografia culturale” dell’individuo;
4) la specificità e casualità dei prodotti e messaggi incontrati occasionalmente o
fortuitamente. Inoltre incidono, ovviamente, aspetti personali. Individui assai diversi
possono essere omologati tra loro dallo stesso percorso attraverso i quattro fattori e
quindi (in senso statico) dallo stesso stile di consumo.
L’euforia degli anni Ottanta
E’ la fase in cui la pubblicità va ben oltre la persuasione circa la qualità e utilità della merce o
servizio promosso: si arriva all’invasione del soggetto e dello spazio, all’ostensione del
prodotto, all’ipersemiotizzazione dei suoi tratti e del godimento relativo, con dimostrazioni di
superiorità, metafore guerriere o divistiche, esposizione di testimonial a loro volta vincenti. Il
prodotto diventava allora uno status symbol e fruire delle sue performance un must. I
consumatori venivano essi gli uni contro gli altri, in una competizione sociale basata sui
consumi. Il dispositivo del social embarrassment utilizzato dalle case produttrici di detersivi
per costruire la motivazione all’acquisto è un esempio di questa tattica. E’ una tecnica che si
accompagna al narcisismo euforico: l’immagine del produttore si presenta sempre più
amplificata, potente, ponendosi come oggetto di inevitabile adorazione e di illimitata
identificazione per le masse. Si consolidano, inoltre, alcuni schemi fissi di “commercial” per
la radio o per la televisione. Per esempio:

- Apertura (qualcosa di “forte” per attirare l’attenzione e creare curiosità, in due o tre
secondi);
- Presentazione del prodotto;
- Drammatizzazione del problema (il prodotto “deve“ risolvere un problema del
consumatore);
- Soluzione (il prodotto risolve il problema);
- Demo (il prodotto: spettacolarizzazione della sua iper-azione);
- Conferma o celebrazione (qualcuno garantisce la veridicità del tutto; oppure il
prodotto viene celebrato dalla famiglia o dal gruppo di amici, dalla coppia o dal
single)
- Ripresa della confezione (torna l’immagine raggiante del prodotto);
- Tocco finale (uno sprazzo di creatività).

TV commerciale e pubblicità
L’inflazione televisiva e dei magazines usura con grande rapidità messaggi e format. La
risposta, oltre a scelte ancora più aggressive di format, tono e volume consiste nell’inseguire
una maggior copertura attraverso un aumento della frequenza.

Questa logica, analoga a quella su cui si fonda il marketing, impone di valutare l’efficienza
di un messaggio in termini di “contatti” che teoricamente esso garantisce (per es. misurando
il GRP, Gross Rating Point: copertura (numero di contatti per emissione) x frequenza
(numero di emissioni giornaliere). I
“venditori” di pubblicità, ma anche direttamente i media e le imprese tendano a enfatizzare il
dato quantitativo (in effetti, puramente teorico), che determina se è alto un aumento delle
tariffe e anche delle quotazioni in borsa.

Gli anni Novanta


I linguaggi dell’info/entertainment in TV evolvono secondo logiche sempre più omologhe a
quelle della pubblicità: fidelizzare, ma anche catturare l’emozione e la curiosità, secondo
quei vettori familiari, ma anche magico-stranianti, convenzionalmente iperbolici, e
tendenzialmente erotici, che caratterizzano ormai la deriva dell’immaginario industriale,
sospinto dalla centralità televisiva.
Le forme organizzative della pubblicità si articolano per rispondere a una domanda in grande
crescita, e oltre al ricorso alle grandi agenzie a servizio completo si profilano altri sistemi più
“agili” e flessibili: microagenzie di comunicazione all’interno delle stesse aziende,
affidamento a consulenti esterni freelance delle scelte strategiche, o a piccole boutiques
creative in grado di progettare la comunicazione, ma non le fasi del lavoro più connesse al
marketing. Il numero delle agenzie prolifera, e così anche lo spettro dei servizi offerti, che
arriva ad includere il packaging. Grandi network internazionali stringono alleanza con
agenzie italiane.
La scelta preliminare dell’impresa – in un universo saturo - è quella di cercare un segno
“forte”: strategia di prodotto e strategia di comunicazione si unificano intorno a una sola idea
portante. Si afferma, quindi, la filosofia del brand image, della ricerca e dell’affermazione di
identità e personalità della marca: dotata di caratteristiche fisiche, di un “carattere”, e inserita
in un sistema di relazioni culturali. Qualcosa che il consumatore possa interiorizzare come
virtualizzazione di se stesso. E come sempre, qualcosa che differenzi la marca dai
concorrenti, funzioni da garanzia per il cliente, e rinvii a una storia di fidelizzazione.

Splendore e crisi della televisione


Emergono – insieme al nuovo primato della creatività sulla produzione - le figure del
pubblicitario, dello stilista di moda e del designer.
Lo spazio televisivo si definisce come il luogo privilegiato della messa in scena del vissuto
del prodotto e contemporaneamente delle aspirazioni autoriflettenti degli individui “luogo
deputato dell’agire sociale, il territorio in cui gli apparati di produzione dell’immaginario e le
strategie sentimentali e le aspirazioni teatralizzanti di visibilità – delle merci e degli individui –
vivono la sintesi perfetta, mentre la quotidianità, spezzettata in frames chiusi e
autosufficienti, non ne è che lo specchio deformato...”. “La pubblicità è il linguaggio
ordinatore dell’uno e dell’altra. Opera una sintesi concreta tra le modalità espressive del
mezzo televisivo e le forme di rappresentazione della quotidianità, entrambe orientate verso
una contrazione del tempo e un’intensificazione dei singoli istanti... Il registro comunicativo
degli spot rompe con i tradizionali vincoli di continuità e coerenza, diviene rapido, focalizzato
sulla ricchezza visuale, improntato all’accostamento inverosimile di immagini fuori da una
scansione ordinaria del tempo.
Un ipertesto fondato sull’esperienza sensoriale, sulla casualità – tutto ciò che ci circonda di
momento in momento.

Nell’insieme dei sistemi di comunicazione si passa intanto dal segnale analogico dei media
elettrici (nel senso tecnico: dalla realtà al segnale alla “riproduzione” della realtà) alla
digitalizzazione di immagini, suoni e testi scritti in “pacchetti” di dati codificati secondo
linguaggi informatici, che si possono trasferire, modificare, ristrutturare, combinare e
integrare all’infinito. La pubblicità è oggi un medium composto dal frammento onirico di uno
stile di vita, più i media digitali (che incorporano e trasformano quelli tradizionali). I livelli
mediali implicati sono dunque tre (quello onirico, lo stile in quanto mezzo di comunicazione,
il flusso multimediale), e tutti e tre rinviano all’oggetto reale solo allusivamente,
trasversalmente, lateralmente. L’età dei mass-media è alla fine, musica e immagini sono
sempre meno il corredo di brand image da comunicare, e sono sempre più le labili tessere di
miliardi di immaginari (generazionali, personali, da combinare per nuovi giochi, per nuove
comunità, per nuove identità).
1. La pubblicità referenziale
Si basa sull’analisi del prodotto e dell'azienda, cercando di tradurli in un giusto referente
linguistico, curando in particolare il brand image. Se infatti la pregnanza di senso del
prodotto risulta scarsa, è inevitabile che il linguaggio referenziale trasmetta un'immagine
carente. Al prodotto, in modo referenziale alle sue qualità, viene data la necessaria autorità
per dotarsi di un valore psicologico ulteriore al valore d'uso.
I discorsi referenziali attivano un discorso di veridizione: ciò che si dice risponde alla realtà,
è vero.
Da un punto di vista pragmatico, tutti gli aspetti vengono veicolati da un unico referente con
lo stesso tono, per garantire la coerenza. Quest’uniformità di tono non permette "effetti
speciali", ma ha un grande potere di seduzione. Non vuole infatti stupire e dà al ricevente
l’impressione di una grande sicurezza. Non ostentare alcuna volontà fascinatrice genera la
seduzione del "sembra quasi vero".
Le tecniche di realizzazione privilegiano discorsi narrativi, figurativi e descrittivi. Questo
perché il loro orizzonte di realizzazione è la quotidianità. Per evitare che questo effetto di
realtà venga alterato da una sequenza narrativa che alteri le relazioni temporali, il discorso
referenziale fa collidere svolgimento logico del messaggio e successione temporale della
sequenza in cui questo si costituisce.

2. La pubblicità sostanziale
Chiede al pubblicitario di farsi da parte e di far rifulgere in tutta la sua
sostanziale qualità il prodotto. Questo tipo di rifiuto di qualsiasi orpello
narrativo intorno al prodotto e l'adozione di una comunicazione essenziale per il sostanziale,
avvicinano questo trattamento pubblicitario ad una sorta di «grado zero», con tutto il portato
di classicità relativo. Postula la promozione del prodotto per via della sua messa in
eccellenza e della scomparsa dell'intervento su di esso. Il legame di correlazione risiede
proprio nella convinzione che il senso risieda nel profondo dell'oggetto su cui si interviene.
Sul piano pragmatico, il testo è inteso come strategia di rappresentazione. Le inquadrature
frontali, la presenza dell'oggetto di fronte all'osservatore, la nitidezza delle forme, la
predilezione per i valori tattili della comunicazione: tutte queste tecniche vengono adoperate
per rovesciare la tradizionale relazione di uno spettatore che guarda un prodotto. Qui
dev'essere il prodotto che scruta lo spettatore. L'obiettivo è quello di suscitare nel pubblico,
negli interlocutori sociali, attraverso un discorso esclusivo sulla sostanza, un'emozione
estetica che susciti l'impressione di una presenza fisica (il prodotto) che lo preceda.
Questa attitudine a mettere in rilievo estremo la pura essenza del prodotto ha bisogno di
descrizioni. Formalizzate nel linguaggio scientifico, mediate dalle tecniche retoriche nel
discorso sul prodotto. La descrizione, però, ha la caratteristica di tendere ad essere più vera
del vero, con l'intenzione di suggerire al fruitore del discorso pubblicitario una fuga dal
mondo di tipo iperrealista.

3. La pubblicità mitica
La frammentazione sociale, il manifestarsi di stili di consumo trasversali alle divisioni sociali,
porta a privilegiare valori di riferimento e codici fondativi delle identità collettive. Acquisto ed
oggetto passano allora decisamente in secondo piano. In primo piano sono invece il senso
attribuito al consumo in quanto attività di reperimento di simboli e/o codici, e la capacità di un
oggetto di possedere una sua personalità. Gli enunciati del discorso mitico intendono infatti
attivare la fantasia: si dona alle cose un senso che esse non avrebbero. Oppure gliene si dà
uno che non sarebbero in grado di produrre di per sé. Si tratta quindi di attingere, su questa
linea d’intervento, all'immaginario sociale e alla potenzialità fantasmatica dei soggetti e degli
oggetti.
Il discorso pubblicitario mitico decontestualizza radicalmente i prodotti, occupandosi di dare
loro una personalità, di renderli narratologicamente attivi nel sistema di valori dello
spettatore. Fra tutti gli stili di discorso pubblicitario è quello che porta sino in fondo la valenza
irrazionale di sogno ad occhi aperti del consumo.
Sul piano pragmatico, differenti strategie discorsive possono intersecarsi al fine di generare
una narrazione. Essa può contribuire anche, ed in modo deciso, a riposizionare l'immagine
di una marca, di un'azienda. Il discorso pubblicitario di tipo mitico non solo attinge a
patrimoni culturali generali, ma può anche costruire, attraverso la specifiche caratteristiche
del tipo di comunicazione mediale (visual, spot, internet), una vera e propria struttura
semantica autonoma. Le sue asserzioni non ineriscono direttamente il prodotto, ma se ne
slegano conservando un'autonomia narrativa che comprende il prodotto stesso.

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