Sul piano sociale la pubblicità implica una costruzione di miti e linguaggi, come lavoro
complesso, in quanto comunicazione industriale, tecnologica, e super-empatica fra l'impresa
o il prodotto e il consumatore, mirata a generare legame sociale, culturale ed economico.
L'investimento in pubblicità
- A livello globale, l'investimento medio delle grandi imprese in pubblicità è pari al 6%
circa del valore delle vendite. Le grandi imprese investono in pubblicità stabilmente,
e se possibile aumentano gradualmente lo sforzo, senza intermittenze che
lascerebbero il campo libero ai competitori, allo scopo di stabilizzare la posizione nel
mercato a medio termine (è il vero obiettivo economico: dominare un mercato
significa fissare i prezzi senza dipendere strettamente dal consumatore, omai fedele,
con la possibilità di tenere più alti i profitti).
- Fidelizzazione del consumatore: aver ottenuto negli anni che il consumatore anche
se non riconosce come buono il prodotto, riconosce come buono il brand, ovvero
l’immagine della marca.
● Sul breve termine (sessanta giorni), si può arrivare con una campagna televisiva a
picchi di aumento fino al 136% negli USA (ma anche a cadute fino a -27%), e al 54%
in Germania (contro un -17%).
Dinamiche psicologiche
1. “l’obiettivo è quello di ottenere una risposta dai destinatari, in termini di attenzione,
curiosità, coinvolgimento, consenso, identificazione, motivazione (verso azioni di
consumo o di voto, o verso ulteriori “catene” di azioni), come premessa necessaria di
vantaggi successivi, sul piano commerciale, o politico-culturale.
Perché il messaggio sia efficace (anche per la rapidità e la brevità dovuta agli alti
costi), occorre che esso sia costruito secondo tecniche che implicano effetti, vale a
dire un’adesione marcatamente;
➔ la stessa idea di “società dell’immagine” rinvia - più che alla comunicazione di oggetti
visibili - a “un atteggiamento cognitivo ed espositivo prevalentemente
iconico-metaforico oggi dominante”, opposto “a un più tradizionale atteggiamento
logico-sequenziale”. La visibilità implica infatti l’esistenza di oggetti-icone, ma anche
di modelli/ordinamenti della visione: competenze, conoscenze e pratiche socialmente
diffuse, attraverso le quali un soggetto, collocato a distanza (spaziale e temporale)
dall’emittente, può fruire del messaggio in quanto struttura di stimoli significativi
(figure, suoni, parole). Si tratta di ordinamenti che utilizzano l’analogia
prevalentemente nel suo senso “creativo”.
● Le forme retoriche persuasive si associano alla struttura creativa, di solito sul piano
del tono (piacevole o patetico), dell’amplificazione, dello straniamento, oltre che
dell’espressione linguistica[1], oppure la chiudono, spostando la comunicazione su
un piano informativo, referenziale e logico. Il messaggio pubblicitario, piuttosto che a
quello della scrittura, appartiene al regno dell’immagine, dello spettacolo, della
comunicazione multimediale: il regno dell’analogia.
PIANO ANTROPOLOGICO
La società dei consumi e il sistema simbolico del desiderio
- La modernità coincide con la fase in cui tutti i mezzi di comunicazione, tutte le
istituzioni fondamentali della società, le arti, e infine il tempo e le pulsioni della vita
privata sono entrati nella sfera del consumo - prima nettamente distinta dalle altre. I
linguaggi del consumo hanno invaso il territorio materiale/immateriale (i media) e
quello virtuale dell’immaginazione. Il consumo tende a porsi come struttura
fondamentale dell’ambiente umano, riorganizzando l’intera scala dei bisogni in un
solo universo di senso, dove anche le esigenze primarie sono rappresentate in
termini di autostima e autorealizzazione, entrando in una dimensione narrativa che
trascende il semplice meccanismo carenza/soddisfazione.
- Il sistema dei consumi si basa sul desiderio e non sul bisogno, come fattore di
integrazione o di differenziazione sociale, e viene a configurarsi anche come
scenario di confronto, di autoformazione, e di lotta, assumendo carattere
eminentemente simbolico, che trascende sia l’acquisto che l’uso e il logoramento di
un bene: sono infatti più rilevanti per la socializzazione - assai spesso - l’acquisto,
l’utilizzo e il logoramento dei simboli. Nella società dei consumi non ci sono limiti che
canalizzino il consumo o lo scambio: tutto può essere oggetto di scambio, come tutto
può essere oggetto di desiderio. Il lusso e fenomeni di ostentazione visuale, apparsi
su una lunga durata nella fase iniziale della modernità e ovviamente ancora presenti
come dimostrazione di status sociale, hanno soltanto aperto la strada all’uso
comunicativo del valore simbolico dei beni e servizi, che oggi è illimitato. A venir
consumato non è tanto il prodotto quanto il suo senso come realizzazione di desideri:
il consumatore interpreta un testo-merce, che sollecita da lui l’attivazione di certe
strutture o immagini, simboli, narrazioni. Interpretandolo, entra in una favola, in una
fiction sia individuale che collettiva.
- Gli oggetti sono a loro volta dotati di significati socialmente condivisi, sul piano mitico
come su quello referenziale, e inconsciamente attivi. Consumare, in questo modo,
diviene un atto sociale (appagamento solipsistico incluso); e la dimensione
rappresentativa degli oggetti reali e delle figure virtuali va interpretata sul piano
sociologico, ma anche antropologico e psicoanalitico. Naturalmente conta soprattutto
il vettore metaforico che i beni di consumo suggeriscono, rappresentando un sistema
di indicatori di categorie (per esempio come segnale di grado del coinvolgimento
sociale, di povertà o ricchezza): il consumo è di fatto il campo in cui ci si confronta e
si lotta per definire la cultura e darle una forma. I significati fluttuano e non hanno
stabilità; la vita sociale per un certo periodo ne fissa alcuni, ma è un processo senza
fine, sul quale si innesta il consumo come agire culturale. il consumo è un processo
rituale la cui funzione primaria è di dare un senso al flusso indistinto degli eventi. Si
consuma il simbolo, e attraverso il simbolo si esplora lo spazio sociale e si valorizza il
sé. (Mary Douglas).
Il consumo postmoderno pone i problemi dello spazio (reale e virtuale) che si omologa e si
affolla: la crescita dell’archivio, e il limite di saturazione. Il consumo è un processo graduale,
perché via via attiva e rende omologhi alle sue regole altri testi, altri linguaggi, senza forti
conflitti. Si tratta di depositi in larga parte effimeri (è la stessa dinamica delle mode), eppure
le tecnologie consentono con sempre maggior facilità di conservarli. Il limite ai linguaggi del
consumo non è dunque nella memoria, ma nella saturazione dell’identità, e all'emergere
possibile di altre forme sociali.
L’homo ludens, base fondamentale dello sviluppo nel secondo Novecento, ha bisogno dei
suoi sistemi di apprendimento e di socializzazione. La pubblicità, come altre forme
dell’industria culturale, è uno di essi: modella l’esperienza riducendone l’imprevedibilità,
controlla lo spazio di risposta tra stimolo e reazione, artificializzazione la memoria e il sogno,
agendo per accumulo combinatorio sempre più ampio e versatile; ci abitua a vivere un
tempo saturo e un ambiente immateriale e complesso; ci rende familiare il desiderio, e
formalizza il soggetto desiderante come un attore e insieme come uno spettatore. Insegna,
dunque, alcune regole del nostro gioco comunicativo. Ma non dimentichiamo che seppure il
consumo riempie la scena, la società non è meramente il consumo, quanto il complesso
dinamico e fluttuante delle relazioni sociali. Anche altre figure, altri bisogni, altre forme
sociali emergono da quello sfondo, e vi proiettano le loro ombre.
● Promessa (USP)
L’esperienza dimostrò che per il pubblico risultavano più credibili le promesse semplici,
mono- tematiche, non comparative, rispetto a quelle duplici (o triplici) come a esempio:
“Lava più bianco rispettando i colori, e pulisce a fondo anche alle temperature più basse,
rispettando le fibre”.
Lo “stile di consumo”
Dagli anni Settanta, per costruire una relazione tra un prodotto e un target (un gruppo di
consumatori potenziali che si intende raggiungere), si cerca di identificare uno “stile di
consumo” che accomuna un gruppo di consumatori sufficientemente ampio rispetto alle
aspettative di vendita. Di solito, ai pubblicitari il target viene descritto nelle sue caratteristiche
principali sulla base di un lavoro preliminare svolto da esperti di marketing (e rappresenta
dunque un elemento preliminare e decisivo della strategia da impostare). Ma in cosa
consiste effettivamente?
- Apertura (qualcosa di “forte” per attirare l’attenzione e creare curiosità, in due o tre
secondi);
- Presentazione del prodotto;
- Drammatizzazione del problema (il prodotto “deve“ risolvere un problema del
consumatore);
- Soluzione (il prodotto risolve il problema);
- Demo (il prodotto: spettacolarizzazione della sua iper-azione);
- Conferma o celebrazione (qualcuno garantisce la veridicità del tutto; oppure il
prodotto viene celebrato dalla famiglia o dal gruppo di amici, dalla coppia o dal
single)
- Ripresa della confezione (torna l’immagine raggiante del prodotto);
- Tocco finale (uno sprazzo di creatività).
TV commerciale e pubblicità
L’inflazione televisiva e dei magazines usura con grande rapidità messaggi e format. La
risposta, oltre a scelte ancora più aggressive di format, tono e volume consiste nell’inseguire
una maggior copertura attraverso un aumento della frequenza.
Questa logica, analoga a quella su cui si fonda il marketing, impone di valutare l’efficienza
di un messaggio in termini di “contatti” che teoricamente esso garantisce (per es. misurando
il GRP, Gross Rating Point: copertura (numero di contatti per emissione) x frequenza
(numero di emissioni giornaliere). I
“venditori” di pubblicità, ma anche direttamente i media e le imprese tendano a enfatizzare il
dato quantitativo (in effetti, puramente teorico), che determina se è alto un aumento delle
tariffe e anche delle quotazioni in borsa.
Nell’insieme dei sistemi di comunicazione si passa intanto dal segnale analogico dei media
elettrici (nel senso tecnico: dalla realtà al segnale alla “riproduzione” della realtà) alla
digitalizzazione di immagini, suoni e testi scritti in “pacchetti” di dati codificati secondo
linguaggi informatici, che si possono trasferire, modificare, ristrutturare, combinare e
integrare all’infinito. La pubblicità è oggi un medium composto dal frammento onirico di uno
stile di vita, più i media digitali (che incorporano e trasformano quelli tradizionali). I livelli
mediali implicati sono dunque tre (quello onirico, lo stile in quanto mezzo di comunicazione,
il flusso multimediale), e tutti e tre rinviano all’oggetto reale solo allusivamente,
trasversalmente, lateralmente. L’età dei mass-media è alla fine, musica e immagini sono
sempre meno il corredo di brand image da comunicare, e sono sempre più le labili tessere di
miliardi di immaginari (generazionali, personali, da combinare per nuovi giochi, per nuove
comunità, per nuove identità).
1. La pubblicità referenziale
Si basa sull’analisi del prodotto e dell'azienda, cercando di tradurli in un giusto referente
linguistico, curando in particolare il brand image. Se infatti la pregnanza di senso del
prodotto risulta scarsa, è inevitabile che il linguaggio referenziale trasmetta un'immagine
carente. Al prodotto, in modo referenziale alle sue qualità, viene data la necessaria autorità
per dotarsi di un valore psicologico ulteriore al valore d'uso.
I discorsi referenziali attivano un discorso di veridizione: ciò che si dice risponde alla realtà,
è vero.
Da un punto di vista pragmatico, tutti gli aspetti vengono veicolati da un unico referente con
lo stesso tono, per garantire la coerenza. Quest’uniformità di tono non permette "effetti
speciali", ma ha un grande potere di seduzione. Non vuole infatti stupire e dà al ricevente
l’impressione di una grande sicurezza. Non ostentare alcuna volontà fascinatrice genera la
seduzione del "sembra quasi vero".
Le tecniche di realizzazione privilegiano discorsi narrativi, figurativi e descrittivi. Questo
perché il loro orizzonte di realizzazione è la quotidianità. Per evitare che questo effetto di
realtà venga alterato da una sequenza narrativa che alteri le relazioni temporali, il discorso
referenziale fa collidere svolgimento logico del messaggio e successione temporale della
sequenza in cui questo si costituisce.
2. La pubblicità sostanziale
Chiede al pubblicitario di farsi da parte e di far rifulgere in tutta la sua
sostanziale qualità il prodotto. Questo tipo di rifiuto di qualsiasi orpello
narrativo intorno al prodotto e l'adozione di una comunicazione essenziale per il sostanziale,
avvicinano questo trattamento pubblicitario ad una sorta di «grado zero», con tutto il portato
di classicità relativo. Postula la promozione del prodotto per via della sua messa in
eccellenza e della scomparsa dell'intervento su di esso. Il legame di correlazione risiede
proprio nella convinzione che il senso risieda nel profondo dell'oggetto su cui si interviene.
Sul piano pragmatico, il testo è inteso come strategia di rappresentazione. Le inquadrature
frontali, la presenza dell'oggetto di fronte all'osservatore, la nitidezza delle forme, la
predilezione per i valori tattili della comunicazione: tutte queste tecniche vengono adoperate
per rovesciare la tradizionale relazione di uno spettatore che guarda un prodotto. Qui
dev'essere il prodotto che scruta lo spettatore. L'obiettivo è quello di suscitare nel pubblico,
negli interlocutori sociali, attraverso un discorso esclusivo sulla sostanza, un'emozione
estetica che susciti l'impressione di una presenza fisica (il prodotto) che lo preceda.
Questa attitudine a mettere in rilievo estremo la pura essenza del prodotto ha bisogno di
descrizioni. Formalizzate nel linguaggio scientifico, mediate dalle tecniche retoriche nel
discorso sul prodotto. La descrizione, però, ha la caratteristica di tendere ad essere più vera
del vero, con l'intenzione di suggerire al fruitore del discorso pubblicitario una fuga dal
mondo di tipo iperrealista.
3. La pubblicità mitica
La frammentazione sociale, il manifestarsi di stili di consumo trasversali alle divisioni sociali,
porta a privilegiare valori di riferimento e codici fondativi delle identità collettive. Acquisto ed
oggetto passano allora decisamente in secondo piano. In primo piano sono invece il senso
attribuito al consumo in quanto attività di reperimento di simboli e/o codici, e la capacità di un
oggetto di possedere una sua personalità. Gli enunciati del discorso mitico intendono infatti
attivare la fantasia: si dona alle cose un senso che esse non avrebbero. Oppure gliene si dà
uno che non sarebbero in grado di produrre di per sé. Si tratta quindi di attingere, su questa
linea d’intervento, all'immaginario sociale e alla potenzialità fantasmatica dei soggetti e degli
oggetti.
Il discorso pubblicitario mitico decontestualizza radicalmente i prodotti, occupandosi di dare
loro una personalità, di renderli narratologicamente attivi nel sistema di valori dello
spettatore. Fra tutti gli stili di discorso pubblicitario è quello che porta sino in fondo la valenza
irrazionale di sogno ad occhi aperti del consumo.
Sul piano pragmatico, differenti strategie discorsive possono intersecarsi al fine di generare
una narrazione. Essa può contribuire anche, ed in modo deciso, a riposizionare l'immagine
di una marca, di un'azienda. Il discorso pubblicitario di tipo mitico non solo attinge a
patrimoni culturali generali, ma può anche costruire, attraverso la specifiche caratteristiche
del tipo di comunicazione mediale (visual, spot, internet), una vera e propria struttura
semantica autonoma. Le sue asserzioni non ineriscono direttamente il prodotto, ma se ne
slegano conservando un'autonomia narrativa che comprende il prodotto stesso.