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Storia romana, G. Geraci - A.

Marcone
PARTE I: I POPOLI DELL’ITALIA ANTICA E LE ORIGINI DI ROMA.
I. L’ITALIA PREROMANA
III-I millennio a.C.: sviluppo di notevoli proporzioni nella penisola italiana: si passa infatti da una miriade di gruppi
di piccole dimensioni al sorgere di forme di organizzazione protostatale. Sono dislocati un po’ ovunque lungo tutta
la penisola ma soprattutto sugli Appennini, viene infatti denominata cultura “appenninica”. Vi fu un importante
incremento demografico.
Nell’età del bronzo recente (XIV-XII sec. a.C.), è documentata un’intensa circolazione di prodotti e anche di
persone provenienti dall’area micenea: tali contatti favorirono il formarsi di aggregazioni più consistenti. Con
l’inizio dell’età del ferro (IX sec. a.C.) emerge una differenziazione tra due gruppi in base alla sepoltura dei
cadaveri: uno usa la cremazione (Italia settentrionale e costa tirrenica fino alla Campania), l’altro l’inumazione
(tutte le altre regioni). In quel periodo il quadro linguistico era assai variegato, a causa probabilmente dell’arrivo
nella penisola di gruppi etnici di varia provenienza, ma comunque divisibili in due tronconi: indoeuropee (Latino e
falisco, divisi a loro volta in sottogruppi, celtico e messapico) e non indoeuropee (Etrusco, ligure e sardo) A metà
dell’VIII secolo a.C. vennero fondate nell’Italia meridionale diverse colonie della Magna Grecia. Lungo la costa
ionica, tirrenica e in Sicilia sorsero città importanti (Taranto, Crotone, Reggio, Napoli, Siracusa, Agrigento) che
esercitarono una grande influenza sulle popolazioni indigene. Era inoltre presente in Sardegna la civiltà dei Sardi,
una civiltà nota soprattutto per i “nuraghe”, costruzioni a forma di cono che fecero la loro comparsa nella prima
metà del II millennio a.C., e si pensa che avessero una funzione prettamente difensiva.

II. GLI ETRUSCHI.


Gli Etruschi sono la più importante popolazione dell’Italia preromana, anche se le loro origini sono abbastanza
incerte. Erodoto (V secolo a.C.) sosteneva fossero un gruppo di Lidi che navigarono alla volta dell’Italia dall’Asia
minore. Dionigi di Alicarnasso (I secolo a.C.) li riteneva invece genti autoctone. Altri ancora pensavano
provenissero dal lontano nord. La ricerca storica e archeologica moderna colloca l’origine di questo popolo tra
l’VIII e il VII secolo a.C. e sostiene che fu il punto d’incontro tra un’evoluzione delle società e dell’economie locali e
l’influenza delle colonie greche presenti nell’Italia meridionale. Nel loro periodo di massima espansione (VII-VI
secolo a.C.) gli Etruschi controllavano la quasi totalità dell’Italia centro-occidentale e competevano con Greci e
Cartaginesi per il controllo delle principali rotte marittime. Gli Etruschi si organizzarono sin dall’inizio in città
indipendenti governati da sovrani (lucumoni); l’unica forma di aggregazione delle comunità etrusche che ci sia
nota è quella rappresentata dalla lega delle 12 città più importanti, che aveva però scopi essenzialmente religiosi.
Nel 530 a.C. vi fu una battaglia navale contro i Focei, la prima battuta d’arresto dell’espansione etrusca.
Nonostante l’alleanza coi Cartaginesi, non riuscirono ad avere la meglio.
Nel 474 a.C. vi fu la battaglia di Cuma, che segnò la sconfitta etrusca contro i Greci di Siracusa che fermò anche
l’espansionismo verso l’Italia meridionale.
Nel 396 a.C. vi fu la caduta della città di Veio ad opera dei Romani: l’Etruria da allora cominciò a passare sotto il
dominio di Roma. Nel mondo etrusco ebbero un enorme sviluppo i riti religiosi. Le divinità del pantheon etrusco
sono in gran parte assimilabili a quelle greche: infatti anche la principale divinità etrusca Tinia, sembra
subordinata al fato, proprio come Zeus. Nella religiosità etrusca ha un’importanza particolare la concezione
dell’aldilà. Gli Etruschi credevano infatti che la vita continuasse nell’aldilà, e la tomba viene di conseguenza
concepita come un prolungamento della dimora del vivo. “Aruspicina”: arte d’interpretare la volontà degli Dei
attraverso l’esame delle viscere degli animali sacrificati per scopi religiosi. Molto importante presso gli etruschi.
L’alfabeto è un riadattamento di quello greco, anche se la lingua non è di origine indoeuropea. I testi che sono
giunti fino a noi sono per lo più costituiti da brevi formule, nelle quali spesso compare il nome del defunto. Pochi
sono i testi di una certa estensione.
I siti delle città etrusche hanno lasciato una traccia archeologica relativamente modesta, ad eccezione delle
necropoli, che venivano organizzate come vere e proprie abitazioni sotterranee, costruite con varie strutture: a
pozzo, a fossa, a camera. Dal punto di vista della tecnica architettonica è notevole il grado di perfezionamento
raggiunto dagli Etruschi nell’uso della copertura a volta e dell’arco.
Per quanto riguarda le attività economiche, gli Etruschi praticano con successo l’agricoltura (cereali), la
metallurgia e l’artigianato artistico, esportando i loro prodotti in ampie zone del Mediterraneo. Gli Etruschi furono
abili sia nell’estrazione di minerali, sia nel trattamento dei metalli grezzi in apposite fornaci.
II. ROMA
I primi storici ad occuparsi dell’Italia meridionale furono greci, e in greco scrissero i primi storici romani (III secolo
a.C.), a più di cinque secoli dalla fondazione dell’urbe. Le poche iscrizioni che ci sono pervenute non ci danno
grandi informazioni. I primi storici dei quali possiamo tutt’ora leggere le narrazioni di Roma arcaica furono Tito
Livio e Dionigi di Alicarnasso, che vissero nel I secolo a.C. La versione più nota delle origini di Roma inserisce la
fondazione di Alba Longa e la dinastia dei re Albani tra l’arrivo di Enea e il regno di Romolo. Secondo la leggenda il
fondatore e primo re della città, Romolo, è addirittura figlio di Marte e della figlia dell’ultimo di redi Alba Longa
Dal 754 al 509 a.C. si ha il periodo monarchico, dalla fondazione di Roma all’instaurazione della repubblica, in
questo periodo su Roma avrebbero regnato sette re:
- Romolo: prime istituzioni politiche
- Numa Pompilio: primi istituti religiosi Tullio Ostilio: campagne militari di conquista
- Anco Marcio: fondazione della colonia di Ostia
- Tarquinio Prisco: importanti opere pubbliche
- Servio Tullio: costruzione delle prime mura della città
- Tarquinio il Superbo: tratti tipici del tiranno
Il problema principale è l’attendibilità di fondo delle fonti che spiegano le origini di Roma, queste erano:
Opere storiche per noi perdute, bene prima di Tito Livio e Dionigi;
La tradizione familiare;
La tradizione orale, soggetta però a forti distorsioni;
I documenti d’archivio.
Alcuni elementi possono definirsi sicuramentestorici (la compresenza di popolazioni diverse, Latini e Sabini,
all’origine della storia di Roma, e la fase di predominio Etrusco nel periodo finale della monarchia, da Tarquinio
Prisco in poi).
La nascita della città dovette essere il risultato di un processo formativo lento e graduale, una sorta di
Federazione di comunità che già vivevano sparse sui singoli colli. Roma sorgeva sul basso corso del Tevere, in una
posizione di confine tra due aree etnicamente differenti: la zona etrusca e il Lazio antico.
Nella fondazione di unacittà un’importanza fondamentale era rivestita dal pomerio, una linea sacra che ne
delimitava il perimetro all’altezza delle mura. Il pomerio non sempre coincideva con le mura, in quanto esso era
tracciato secondo la procedura religiosa, mentre le mura rispondevano ad esigenze difensive in rapporto al
territorio.
Alla base dell’organizzazione sociale dei Latini ci fu una struttura in famiglie, alla cui testa stava il pater, che aveva
il potere assoluto su tutti i suoi componenti. Tutte le famiglie che riconoscevano di avere un antenato in comune
costituivano la gens, che ebbe grande rilievo in età arcaica.
La popolazione dello Stato Romano arcaico era divisa in curie, gruppi religiosi e militari che comprendevano
tutti gli abitanti del territorio ad eccezione degli schiavi(non sappiamo se fossero organizzate su base
territoriale o gentilizia).
Durante il periodo di predominio etrusco, lo stato romano si organizzò secondo criteri più precisi: ognitribù
(inizialmente tre, Tities, Ramnes e Luceres), fu divisa in dieci curie e da ogni tribù furono scelti 100 senatori
(300 in tutto, che formavano l’assemblea degli anziani. Ognuna delle tre tribù era inoltre tenuta a fornire un
Contingente di cavalleria (100 uomini) e uno di fanteria (1000 uomini).
Monarchia Romana: La sua principale caratteristica era quella di essere elettiva. Inizialmente il re doveva essere
affiancato da un consiglio di anziani proveniente dalle più potenti famiglie (patres). Il re era anche supremo capo
religioso e nella celebrazione del culto veniva affiancato dai collegi dei sacerdoti. Particolarmente importante fu
quello dei pontefici (depositari anche delle norme giuridiche prima della redazione di leggi scritte). Importante
divisione sociale fu quella tra patrizi e plebei: c’è incertezza sull’origine di questa divisione sociale. Diverse sono le
possibilità, ma sembra che la differenziazione tra patrizi e plebei sia il punto d’arrivo di un’evoluzione sociale
complessa, dovuta al costante afflusso di persone estranee alla comunità originaria.
VI secolo a.C.: dominio Etrusco (Tarquinio Prisco, Servio Tullio, Tarquinio il superbo), che portò ad un
rafforzamento della monarchia. È probabile che già in questo periodo la comunità civica fosse organizzata
secondo raggruppamenti non più basati su fattori dovuti alla nascita, ma stabiliti sulla base della ricchezza
personale. Vennero istituite quattro tribù territoriali (“urbane”), divise da quelle “rustiche”, create a seguito
dell’ampliamento del territorio. Roma di dotò di una prima cerchia di mura, che comprendeva al suo interno
anche il Celio e l’Esquilino.
La famiglia romana comprendeva un raggruppamento sociale ben più ampio di quello che siamo abituati ad
intendere oggi. A Roma facevano parte della stessa “familia” tutti coloro che ricadevano sotto l’autorità di uno
stesso capofamiglia. Si può così dire che il vincolo di fondo della famiglia romana fosse rappresentato dal potere
del pater familias sulle persone che rispettavano la sua autorità. Era inoltre un’unità economica, religiosa e
politica. Importantissima era la religiosità: i riti familiari si trasmettevano di padre in figlio e la loro osservanza era
ritenuta assolutamente doverosa. Gli antenati del ramo paterno furono il primo oggetto di culto all’interno della
società romana. Un figlio rimaneva sotto l’autorità del padre finché questi era in vita. Il ruolo della donna
aristocratica, che riceveva un’educazione intellettuale, non si esauriva alla sola vita domestica. Anche se l’autorità
riconosciuta fu, almeno in Roma arcaica e per un bel pezzo di quella repubblicana, quella dell’uomo, la moglie
accompagnava il marito nella vita pubblica e condivideva con lui il compito di educare i figli. Il potere del marito
sulla moglie non conosceva però limiti. Il matrimonio era fondamentalmente un’istituzione privata con importanti
conseguenze giuridiche, e il ripudio era un fatto semplicissimo da mettere in atto (dai mariti) e spesso utilizzato. Al
divorzio consensuale si arriverà col tempo.
Tra il X ed il IX secolo a.C. vi fu una riorganizzazione dell’economia pastorale: il passaggio da un regime di
seminomadismo ad un regolare trasferimento organizzato del bestiame in altura. Roma sorse su un’area di
frontiera: il Tevere era infatti la linea di divisione tra gli Etruschi a nord e i Laziali a sud. La posizione di Roma fu un
importante punto d’incontro di vie che andavano in diverse direzioni.
L’agricoltura di Roma arcaica era influenzata dalle condizioni poco favorevoli del terreno, cui si aggiungeva la
bassa qualità delle tecniche agricole Economia povera o di sussistenza, con varie specie di cereali (farro e orzo). Il
soddisfacimento delle necessità alimentari rappresentava per Roma arcaica un serio problema, soprattutto a
causa del poco favorevole terreno del Lazio. Anche le difficoltà conosciute da Roma dopo l’installazione della
Repubblica, offrono un importante riscontro della povertà di risorse agricole nei pressi della città.
La prima forma di proprietà agraria a Roma, sembra risalente addirittura a Romolo, era limitata solo alla casa e
all’orto circostante, mentre era esclusa la terra arabile e quella a pascolo. I primi due secoli di Repubblica romana
(V-IV secolo a.C.) conobbero un assestamento che fu poi via via modificato quando iniziarono le assegnazioni di
terreno conquistato. Le origini di Roma arcaica sono molto confuse, ci sono diverse ipotesi sul suo conto.

PARTE II: LA REPUBBLICA DI ROMA DALLE ORIGINI AI GRACCHI


I. LA NASCITA DELLA REPUBBLICA
510 a.C.: rivolta degli aristocratici che porta alla caduta della monarchia.
509 a.C.: i poteri del re Tarquinio il Superbo passano nelle mani di due magistrati eletti dal popolo, i cosiddetti
consoli (consules).
I ritrovamenti archeologici danno solo in misura limitata elementi di riscontro per tentare di ricostruire con
esattezza i fatti di questo periodo. Gli storici hanno dunque dovuto basarsi sui dati della tradizione, soprattutto sui
Fasti (le liste dei magistrati della Repubblica che davano il nome all’anno in corso), giunti a noi sia attraverso la
tradizione letteraria, sia attraverso alcuni documenti epigrafici.
Il ruolo pressoché egemone che ebbe un ristretto gruppo di aristocratici nella cacciata dei Tarquini e il dominio
che il patriziato esercitò sulla prima parte della Repubblica inducono a pensare che la fine della monarchia sia da
attribuire ad una rivolta del patriziato romano, una vera e propria ‘rivoluzione’. Alcuni elementi lasciano però
supporre che alla cacciata del Superbo non succedette immediatamente la Repubblica, ma un breve e confuso
periodo in cui Roma fu in balìa di re e condottieri (Porsenna, Mastarna).
Il 510 a.C. fu anche l’anno in cui il tiranno Ippia fu cacciato da Atene. Il sospetto è che la cronologia della nascita
della Repubblica a Roma fu alterata per creare un parallelismo con la più famosa Atene. Sembra che in realtà la
nascita della Repubblica sia da datare intorno al 470-50 a.C., mentre altri inducono a ritenere che la datazione
tradizionale non sia lontana da quella reale (seppur non esatta nell’anno).
I poteri del re furono affidati a due consules, massimi magistrati della Repubblica: ai consoli spettava il comando
dell’esercito, il mantenimento dell’ordine nella città, l’esercizio della giurisdizione civile e criminale, il potere di
convocare il senato e le assemblee popolari.
Alcune competenze religiose non furono trasferite ai consoli ma alla nuova figura del rex sacrorum, che non
poteva rivestire cariche di natura politica. La durata della carica limitata ad un anno e il fatto che i due magistrati
avessero uguali potere e potenziale diritto di veto uno con l’altro, limitò fortemente il potere dei consoli, e ogni
cittadino poteva appellarsi al giudizio dell’assemblea popolare contro le condanne capitali inflitte dal console
(provocatio ad populum).
Le crescenti esigenze dello Stato romano indussero alla creazione di nuove magistrature, anch’esse caratterizzate
dall’annualità e dalla collegialità:
- Questori: assistevano i consoli nelle attività finanziarie;
- Quaestores parricidii: incaricati di istruire i processi per delitti di sangue;
- Duoviri perduellionis: reato di alto tradimento;
- Censori: compito di tenere il censimento, introdotto nel 443 a.C.
In caso di necessità i poteri della Repubblica potevano essere affidati ad un dittatore: il dictator non veniva eletto
da un’assemblea popolare, ma nominato da un console o da un pretore su istruzione del senato. Il dittatore non
era inoltre affiancato da colleghi con eguali poteri, e infatti la durata della sua carica fu limitata ad un massimo di
sei mesi. Questo magistrato veniva nominato soprattutto per fronteggiare crisi militari.
A Roma non è possibile tracciare una distinzione netta tra cariche politiche e massime cariche religiose, ad
eccezione del rex sacrorum e ai flamini (personificazione terrena del dio stesso, tre maggiori che rappresentavano
Giove, Marte e Quirino, e dieci flamini minori). I tre più importanti collegi religiosi avevano poteri che
coinvolgevano direttamente la politica:
- Collegio dei pontefici: guidato dalla massima autorità religiosa dello stato, il Pontefice massimo, spettava
la nomina dei tre flamini maggiori, e aveva il controllo sulla tradizione e l’interpretazione delle norme
giuridiche, nonché sul calendario;
- Collegio degli àuguri: aveva la funzione di assistere i magistrati nel loro compito di trarre auspici e di
interpretare la volontà degli dei.
- Duoviri sacris faciundis: erano incaricati di custodire i Libri Sibillini, un’antichissima raccolta di oracoli, in
greco.
Il vecchio consiglio regio, formato dai capi delle famiglie nobili, divenne il perno della Repubblica: il senato. Il
senato era composto da ex magistrati, e la carica di senatore era vitalizia. Il principale strumento in possesso del
senato per influire sulla vita pubblica era l’auctoritas patrum, il diritto di sanzione che i senatori già possedevano
in età regia.
Il terzo pilastro, oltre alla magistratura e al senato è costituito dalle assemblee popolari, riservata ai maschi adulti
e in possesso del diritto di cittadinanza: si diveniva cittadini romani essenzialmente per nascita, anche se Roma
manifestò notevole apertura sui diritti civici.
Nella prima età repubblicana l’assemblea più importante di Roma è costituita dai comizi centuriati: il meccanismo
di questi comizi prevede le risoluzioni non siano prese a maggioranza di voti individuali, ma a maggioranza di unità
di voto costituite dalle centurie. Avevano un importante funzione elettorale, in quanto eleggevano i consoli e gli
altri magistrati superiori.
Altra assemblea popolare erano i comizi tributi (introdotta nel 447 a.C.), al quale venne affidata l’elezione dei
questori. In questa assemblea il popolo votava per tribù, facendo sì che il popolo delle campagne (che aveva più
tribù rispetto alle 4 cittadine) avesse più peso di quello cittadino nella decisione dei comizi.

II. IL CONFLITTO TRA PATRIZI E PLEBEI.


510-287 a.C.: Periodo dominato dai contrasti civili tra patriziato e plebe.
I mutamenti della prima metà del V secolo a.C. ebbero pesanti ripercussioni sulla situazione economica di Roma.
474 a.C., sconfitta degli Etruschi contro Siracusa nella battaglia navale di Cuma: fine del dominio etrusco sulla
Campania, causando un grave danno alla stessa Roma.
Anche i conflitti coi Sabini, che controllavano la via Salaria e di conseguenza le saline di Ostia, provocarono
problemi ai romani. A questi fattori esterni si aggiunsero anche problemi interni: nel V secolo a.C. si succedettero
diverse annate di cattivo raccolto, e la popolazione, indebolita dalla fame, venne più volte colpita da epidemie (in
particolare i piccoli agricoltori, costretti a indebitarsi per sopravvivere).
C’era inoltre un problema politico-sociale: gli strati più ricchi della plebe rivendicavano una parificazione dei diritti
politici tra i due ordini (il patriziato aveva assunto il completo monopolio della magistratura), e insieme un codice
scritto di leggi che ponesse il cittadino al riparo dalle arbitrarie applicazioni delle norme da parte dei pontefici
(tutti patrizi).
V secolo a.C., mutamento nella struttura dell’esercito: nuovo modello tattico, con fanti in armatura pesante che
combattono fianco a fianco in una struttura chiusa (la falange), che eclissa progressivamente il modello di
combattimento aristocratico (cavalleria di nobili seguiti da fanti in armamento leggero).
La legione era reclutata indifferentemente tra patrizi e plebei: progressiva presa di coscienza della propria
importanza da parte della plebe.
La secessione dell’Aventino del 494 a.C. segna l’inizio del conflitto tra i due ordini. Questa secessione fu una sorta
di sciopero della plebe che, esasperata dalla crisi economica, lascia la città priva della sua forza lavoro, e indifesa
contro le aggressioni esterne.
La plebe si diede propri organismi:
- Un’assemblea generale, che poteva emanare dei provvedimenti (plebiscita), che avevano valore solo per
la plebe che li emetteva;
- I tribuni della plebe, rappresentanti ed esecutori della volontà dell’assemblea, che avevano il diritto di
venire in aiuto di un cittadino contro l’azione di un magistrato, l’inviolabilità personale, e il potere di
convocare e presiedere l’assemblea della plebe.
La prima secessione portò ad un risultato essenzialmente politico: il riconoscimento da parte dello Stato a
guida patrizia dell’organizzazione interna della plebe, con la sua assemblea e i sui rappresentanti.
486 a.C., Spurio Crasso: tentativo di far approvare una legge per la ridistribuzione delle terre. Viene accusato di
tirannide ed eliminato. Questo fallimento ci fa capire come la plebe non intendesse giungere ad una rivoluzione
dell’assetto economico e istituzionale dello stato, ma aspirava ad una riforma dall’interno dell’ordinamento
vigente.
451 a.C.: Viene nominata una commissione di 10 persone (decemvirato), esclusivamente scelti tra il patriziato e
incaricati di stendere un codice giuridico. Nel primo anno di attività i decemviri compilarono un complesso di
norme che furono poi esposte nel foro.
450 a.C.: Secondo decemvirato, nel quale sarebbe stata rappresentata anche la plebe. I decemviri avrebbero
completato la loro opera, portando a 12 le tavole di leggi, le cosiddette leggi delle XII tavole. Nelle XII tavole è
ravvisabile un’influenza del diritto greco.
445 a.C.: Viene abrogata la legge che proibisce i matrimoni tra patrizi e plebei. Questa legge ebbe come
conseguenza di rimuovere la principale obiezione che il patriziato aveva opposto all’accesso dei plebei al
consolato: solo i patrizi si ritenevano titolari del diritto di prendere auspici per accettare la volontà degli dei. Da
ora in avanti diveniva pertanto difficile escludere un plebeo dagli auspicia, quindi dal consolato.
444 a.C.: Il senato può decidere di anno in anno se alla testa dello Stato debbano esserci due consoli (provenienti
esclusivamente dal patriziato) con diritto di prendere gli auspici, o un certo numero di tribuni militari, che
potevano anche essere plebei ma non avevano il diritto di prendere auspici. Il tribunato militare doveva già
essere, nel V secolo, accessibile ai plebei: tuttavia i patrizi, fino al 401 a.C., riuscirono a far eleggere tribuni
provenienti solo dal loro ordine. Nessuna riforma istituzionale riuscì a porre rimedio alle difficoltà economiche
della plebe povera.
Nel 387 a.C., il territorio di Veio e Capena, conquistato pochi anni prima, viene suddiviso in piccoli appezzamenti e
distribuito ai cittadini romani Creazione di 4 nuove tribù territoriali. Il provvedimento non fu sufficiente ad
alleviare la crisi economica.
Verso il 370 a.C. i tribuni della plebe Caio Licinio Stolone e Lucio Sestio Laterano presentarono un pacchetto di
proposte concernenti il problema dei debiti, la distribuzione delle terre statali e l’accesso dei plebei al consolato. I
patrizi resistettero, mentre i tribuni non mostrarono alcuna intenzione di cedere. Dopo una fase di anarchia
politica fu chiamato alla dittatura Marco Furio Camillo (367 a.C.) per tentare di risolvere la situazione: le proposte
di Licinio e Sesto divennero leggi (leges Liciniae Sextiae).
Questo compromesso raggiunto fornì l’occasione per precisare il quadro delle magistrature repubblicane: 366 a.C.
Due nuove cariche: pretore (amministrava la giustizia tra i cittadini romani e poteva essere messo alla guida di un
esercito, ma i suoi poteri erano subordinati a quelli dei consoli). Due edili curuli (compito di organizzare i Ludi
maximi).
Le leggi Licinie Seste del 367 a.C. segnano la fine della fase più acuta della contrapposizione tra patrizi e plebei.
Dal 342 a.C. vediamo comparire nei Fasti un console patrizio e uno plebeo. Nei decenni successivi i plebei ebbero
progressivamente accesso a tutte le cariche dello Stato, compreso l’ingresso in senato.
Nel 326 a.C. viene abolita la servitù per debiti.
312-311 a.C., Censura di Appio Claudio Cieco: Tentativo di accelerare il processo di riforma. Incluse nella lista dei
senatori persone che non avevano rivestito alcuna magistratura, e tentò di favorire la plebe urbana nelle tribù.
Entrambe le riforme caddero, una nel 311 a.C. e l’altra nel 304 a.C. è da attribuire ad Appio Claudio la costruzione
di due importantissime opere pubbliche: il primo acquedotto della città e la via Appia (che congiungeva Roma a
Capua).
287 a.C.: Punto di arrivo della lotta tra patrizi e plebei. Una legge Ortensia stabilì che i plebisciti votati
dall’assemblea della plebe avessero valore per tutta la cittadinanza romana. Si chiuse l’età del dominio esclusivo
dei patrizi sullo stato, e si venne formando una nuova aristocrazia (nobilitas), formata dalle famiglie plebee più
ricche e da quelle patrizie che si erano meglio adattate alla nuova situazione. Questa aristocrazia si mostrò non
meno gelosa dei propri privilegi del vecchio patriziato.

III. LA CONQUISTA DELL’ITALIA


Alla caduta della monarchia Roma controllava nel Lazio un territorio che andava dal Tevere alla regione Pontina.
Primo anno di Repubblica: Trattato romano-cartaginese. I cartaginesi si impegnavano a non attaccare nessuna
città del Lazio sotto il controllo di Roma e a cedere ad essa ogni città latina che l’esercito punico avrebbe
conquistato.
Fine VI-Inizio V sec. a.C.: Buona parte delle città latine conquistate approfittarono dei problemi interni di Roma
per affrancarsi dalla sua egemonia. I membri della Lega latina condividevano alcuni diritti:
- Ius connubii: diritto di contrarre matrimoni legittimi con membri di altre città latine;
- Ius commercii: diritto di siglare accordi commerciali fra cittadini di comunità diverse;
- lus migrationis: un latino poteva assumere pieni diritti civili in una comunità diversa dalla sua
semplicemente prendendone residenza.
Qualche anno dopo la lega attaccò Roma. Nel 496 a.C., nella Battaglia sul lago Regillo, i Romani sconfissero le
forze congiunte della Lega, e fu stipulato un trattato che avrebbe regolato i rapporti tra Roma e i Latini per i 150
anni successivi (493 a.C., trattato Cassiano): le due parti si impegnavano non solo a mantenere tra loro la pace, ma
anche a prestarsi aiuto in caso di attacco ricevuto da una delle due parti. Tra gli strumenti più efficaci per
consolidare le proprie vittorie militari gli alleati ricorsero a fondazione di colonie sul territorio strappato ai nemici.
I cittadini dei nuovi centri provenivano sia da Roma sia da altre città latine.
486 a.C.: Accordo con gli Ernici, che occupavano un territorio circondato da Equi e Volsci, due popoli ostili.
V secolo a.C.: Serie interminabili di conflitti tra Roma e le popolazioni stanziate sugli Appennini (Volsci, Equi e
Sabini). Spesso l’esito fu favorevole a Roma e ai suoi alleati, ma mai si giunse ad una svolta definitiva.
Volsci: verso la fine del VI sec a.C. questa popolazione riuscì ad occupare tutta la pianura Pontina e il basso Lazio,
strappandola a Roma. Nell’area dei colli Albani l’avanzata dei Volsci si saldò con quella degli Equi.
431 a.C., vittoria dei Romani al passo dell’Algido contro gli eserciti coalizzati di Volsci e Equi.
In quello stesso periodo Roma si trovò ad affrontare un avversario assai meglio organizzato di Volsci ed Equi, la
città etrusca di Veio, rivale di Roma nel controllo delle vie di comunicazione lungo il basso corso del Tevere. Il
contrasto con Veio attraversò tutto il V sec. a.C. e sfociò in tre guerre:
- Prima guerra, 483-474 a.C.: Vittoria dei Veienti. Un esercito di circa 300 soldati romani venne annientato
sul fiume Cremera;
- Seconda guerra, 437-426 a.C.: I Romani vendicarono la sconfitta. Aulio Cornelio Cosso uccise il tiranno di
Veio, Lars Tolumnio;
- Terza guerra, 405-396 a.C.: I Romani assediarono per 10 anni le mura di Veio. Alla fine la città fu presa e
distrutta. Veio pagò il comportamento delle altre città Etrusche, che non le prestarono alcun soccorso o
addirittura si schierarono coi Romani.
La presa di Veio segnò una svolta importante per Roma: il lungo assedio, portando alla prolungata assenza dai
campi, rese necessario uno stipendium per i soldati. Inoltre la vittoria fruttò la conquista di un ampio e fertile
territorio.
390 a.C., Invasione gallica della città: la tribù dei Senoni invase l’Italia centrale e attaccò Roma. Il primo contatto
avvenne sull’Allia, un piccolo affluente del Tevere, e l’esercito romano fu duramente sconfitto. Roma, rimasta
priva di difese, venne presa e saccheggiata. Poi i Galli sparirono, forse in cerca di nuove imprese.
Dopo le invasioni del 390 a.C., Roma si riprese rapidamente: il territorio di Veio venne diviso in quattro nuove
tribù e distribuito ai cittadini romani (387 a.C.), e nello stesso periodo iniziò la costruzione delle mura della città.
Pochi anni dopo gli Equi furono annientati, mentre più lunga e difficoltosa fu la lotta contro i Volsci. Solo ne 358
a.C. i Volsci furono costretti a cedere la piana Pontina, in cui vennero insediati cittadini Romani. Nel 354 a.C. anche
Tivoli e Preneste, le due più potenti città latine, dovettero arrendersi.
343-341 a.C., Prima Guerra Sannitica: Nel 354 a.C. i Romani conclusero un trattato con i Sanniti, nel quale il
confine tra le due potenze veniva fissato al fiume Liri. Il territorio dei Sanniti era ben più vasto di quello di Roma:
era un’area prevalentemente montuosa, che consentiva comunque lo sfruttamento agricolo. Il Sannio era privo di
strutture urbane, ed era diviso in cantoni (pagi), all’interno dei quali si trovavano uno o più villaggi (vici), governati
da un magistrato elettivo (meddis). Più pagi insieme costituivano una tribù. Quattro tribù: Dei Carricini, dei Pentri,
dei Caudini e degli Irpini che fanno parte della Lega Sannitica.
Alcune popolazioni staccatesi dai Sanniti durante il V secolo a.C. occuparono le ricche zone costiere della
Campania, adottando col tempo l’organizzazione politica delle città-stato e riunendosi, nella prima metà del IV
sec. a.C. in una Lega Campana.
I contrasti politici tra Sanniti e Campani si fecero via via più intensi, sfociando in guerra aperta nel 343 a.C.,
quando i Sanniti attaccarono la città di Teano. La Lega Campana chiese allora l’aiuto di Roma.
La prima Guerra Sannitica si risolse rapidamente a favore dei Romani, che però non riuscì a concludere l’offensiva
a causa di una rivolta del proprio esercito. Acconsentì dunque alle richieste di pace dei Sanniti nel 341 a.C.,
rinnovando il trattato del 354 a.C. e riconoscendo ai Sanniti Teano, mentre Roma prese la Campania.
Questo accordo portò ad un rovesciamento delle alleanze: Roma sostenuta dai Sanniti, si vide costretta a
fronteggiare i suoi ex-alleati Latini e Campani, a cui si aggiunsero i Volsci e gli Aurunci. Il conflitto, noto come
grande guerra latina (341-338 a.C.), fu durissimo, ma anche decisivo per l’organizzazione di quella che si avviava a
diventare l’Italia Romana. La Lega Latina venne sciolta, alcune città incorporate nello stato romano. Altre
conservarono la propria indipendenza formale da Roma, ma non poterono più intrattenere alcuna relazione tra di
loro. I Latini furono obbligati a fornire truppe a Roma in caso di necessità, e una serie di trattati consentirono a
Roma di ampliare la propria egemonia e il proprio potenziale militare. Anche al di fuori dell’antico Lazio Roma
attuò la concessione di una forma parziale di cittadinanza romana: i titolari erano tenuti agli stessi obblighi dei
cittadini romani, senza avere però diritto al voto.
Alla conclusione della grande guerra latina Roma aveva legato sé tutte le regioni che andavano dalla sponda
sinistra del Tevere a nord, al golfo di Napoli a sud, dal Tirreno a ovest, agli Appennini ad est.
326-304 a.C., seconda guerra sannitica: Le cause di questa nuova guerra contro i Sanniti è da ricercare nelle
divisioni interne della città di Napoli, dove si fronteggiavano le masse popolari filosannitiche e l’aristocrazia
filoromana. I romani conquistarono abbastanza facilmente la città, ma il tentativo di penetrare a fondo nel Sannio
si risolse in un fallimento (321 a.C., resa delle Forche Caudine). Per qualche anno vi fu un’interruzione del
conflitto, ma le ostilità si riaccesero nel 316 a.C., quando i Romani attaccarono Saticula, una località al confine tra
Campania e il Sannio: le prime operazioni furono di nuovo favorevoli ai Sanniti, ma negli anni successivi Roma
iniziò a recuperare il tempo perduto (Saticula venne conquistata nel 315 a.C., mentre una serie di colonie latine fu
fondata nell’Apulia settentrionale nel 312 a.C. In questi anni Roma preparò il suo esercito allo scontro finale coi
Sanniti, che furono sconfitti nel 304 a.C. Il trattato di alleanza tra Roma e il Sannio venne ancora una volta
rinnovato.
298-290 a.C., Terza guerra sannitica: Nel 298 a.C. i Sanniti attaccarono i Lucani. I Romani intervennero
prontamente in favore degli aggrediti. Il comandante Sannitico Gellio Egnazio riuscì a mettere in piedi una potente
coalizione antiromana che comprendeva Galli, Umbri e Etruschi. Lo scontro decisivo avvenne nel 295 a.C. a
Sentino. I Sanniti, battuti un’altra volta ad Aquilonia (293 a.C.), si videro obbligati a chiedere la pace nel 290 a.C. A
nord l’attacco di Galli ed Etruschi fu bloccato nel 283 a.C., e la controffensiva romana colpì dapprima le città
Etrusche, poi raggiunse anche l’Etruria settentrionale e l’Umbria. Nella marcia verso l’Adriatico nel 290 a.C.
vennero sconfitti i Sabini e i Pretuzzi (Abruzzo settentrionale), e nell’Adriatico settentrionale venne annesso il
territorio una volta appartenuto ai Senoni. Nel 268 a.C. venne fondata, in questo territorio, la colonia di Rimini.
I Piceni, abitanti nelle Marche centro-meridionali, tentarono una disperata guerra contro Roma nel 296 a.C.,
costretti pochi anni dopo alla resa.
Nell’Italia meridionale Lucani e Bruzi avevano conservato la propria indipendenza, così come Taranto, la più ricca
e potente città del mezzogiorno, colonia greca. Nel 282 a.C. Turi, una città greca che sorgeva sulle rive calabresi
del golfo di Taranto, chiese aiuto ai Romani per difendersi dall’invasione dei Lucani. I Romani inviarono
prontamente, oltre alle guarnigioni per difendere la città, anche una flotta davanti alle acque di Taranto. I
Tarantini decisero di attaccare le navi romane, affondandone alcune, e marciarono su Turi scacciando la
guarnigione romana: la guerra divenne allora inevitabile.
Taranto chiese l’aiuto di Pirro, re dell’Epiro: Il sovrano diede alla sua spedizione il carattere di una simil-crociata in
difesa dei Greci d’Occidente, contro i barbari Romani e Cartaginesi, procurandosi così l’appoggio di tutte le
potenze ellenistiche.
280 a.C., Pirro sbarca in Italia, contando anche sulle truppe che potevano fornirgli Taranto e altre città italiche.
Roma si vide per la prima volta costretta ad arruolare i nullatenenti. I Romani subirono una dura sconfitta ad
Eraclea, che mise in pericolo le posizioni Romane nel meridione. Le altre città greche, i Lucani, i Bruzi e i Sanniti si
schierarono al fianco di Pirro. Pirro non seppe coglierei frutti del suo successo: il suo tentativo di unirsi agli
Etruschi e provocare una ribellione nell’Italia centrale fallì, e il sovrano greco si vide costretto a intavolare
trattative di pace. Le richieste di Pirro furono respinte, allora lui mosse verso l’Apulia settentrionale e sconfisse
ancora l’esercito romano ad Ascoli Satriano, nel 279 a.C. Pirro aveva così vinto due grandi battaglie, ma non
riusciva a concludere la guerra, mentre i rapporti con i suoi alleati Italici si andava deteriorando. È per questo
motivo che accolse la domanda d’aiuto che gli arrivò da Siracusa, in perenne lotta coi Cartaginesi e non più in
grado di portare avanti la guerra da sola: decise di recarsi in Sicilia con parte del suo esercito, lasciando una forte
guarnigione a Taranto.
Nel 279 a.C. Roma e Cartagine avevano però stretto un’alleanza difensiva contro il comune nemico. In Sicilia Pirro
inizialmente sconfisse ripetutamente i Cartaginesi, chiudendoli a Lilibeo. L’assedio a questa fortezza si rivelò
infruttuoso, e Pirro cercò di sbloccare la situazione invadendo l’Africa, ma il progetto fallì. Nel frattempo,
approfittando dell’assenza del re epirota, i Romani conquistarono posizioni su posizioni, e Pirro decise di
abbandonare la Sicilia e tornare in Italia.
275 a.C.: scontro decisivo con il console Manio Curio Dentato a Benevento.
Pirro, sconfitto duramente, decise di tornare in Epiro col suo esercito. Morì nel 272 a.C., anno in cui anche Taranto
si arrese, entrando nel novero dei socii di Roma.

IV. LA CONQUISTA DEL MEDITERRANEO.


264 a.C.: Roma controllava tutta l’Italia peninsulare, fino allo stretto di Messina. In quest’area entrò per la prima
volta in collisione con la vecchia alleata Cartagine. La situazione precipitò a causa dei Mamertini, mercenari di
origine Italica che si erano impadroniti di Messina, iniziando a saccheggiare le città vicine. Questa situazione
provocò la reazione di Siracusa, che inflisse ai Mamertini una durissima sconfitta e avanzò verso Messina. I
mercenari a quel punto accettarono l’aiuto della flotta Cartaginese che stazionava nelle vicinanze. I Siracusani
furono sconfitti, ma i Mamertini ben presto si stancarono della tutela di Cartagine e si rivolsero a Roma. A Roma
iniziò un serrato dibattito a favore o contro l’intervento a Messina. Cartagine era al centro di un vasto impero, e
poteva mettere in campo grandi eserciti e potentissime flotte. Il non intervento avrebbe significato lasciare a
Cartagine il controllo della zona strategica dello stretto, quindi della ricchissima Sicilia: l’assemblea del popolo, cui
il senato aveva demandato la questione, votò a favore dell’intervento.
Ciò sancì l’inizio della prima guerra punica (264-241 a.C.). I primi anni di guerra furono decisivi: i Romani
riuscirono a respingere da Messina i Cartaginesi con i nuovi alleati Siracusani (che però nel 263 a.C. firmarono una
pace con i Romani e si schierarono dalla loro parte). Anche dopo questa sconfitta Cartagine conservava un saldo
controllo su molte località costiere: Roma decise per la prima volta di costruire una flotta di quinquiremi, e nel
260 a.C. ottenne una sorprendente vittoria a Milazzo.
Roma decise a questo punto di invadere l’Africa (256 a.C.): Le prime operazioni furono favorevoli al console
Marco Attilio Regolo, che tuttavia non seppe sfruttare i successi, e fu duramente sconfitto nel 255 a.C., dal
mercenario spartano Santippo.
Nel 249 a.C., a seguito della sconfitta nella battaglia navale di Trapani, Roma era ormai priva di forze navali, ma
nemmeno Cartagine seppe approfittare dei suoi vantaggi.
241 a.C. Dopo aver ricostruito la flotta, i Romani sconfissero definitivamente i Cartaginesi al largo delle isole Egadi.
Cartagine fu costretta a chiedere la pace, e il successivo trattato la obbligò a lasciare la Sicilia.
La Sicilia divenne la prima provincia Romana.
Il periodo tra la prima e la seconda guerra punica (241-218 a.C.) vide il consolidamento delle posizioni dei due
avversari.
Cartagine dovette affrontare la rivolta dei mercenari (241-237 a.C.), che non era stata in grado di pagare a causa
della sconfitta contro Roma. Soffocata a caro prezzo la rivolta da Amilcare Barca, Cartagine organizzò una
spedizione per riprendersi la Sardegna, anch’essa in mano a mercenari rivoltosi.
Lì si dovettero scontrare con gli interessi dei Romani, e non essendo pronti a un altro conflitto, furono costretti a
cedere la Sardegna e la Corsica, che divennero la seconda provincia romana (237 a.C.).
Nel frattempo Roma interveniva anche sul versante Adriatico 229 a.C., I Guerra Illirica.
Il Regno di Illiria, approfittando del declino dell’Epiro, aveva esteso la sua influenza verso sud. Le scorrerie dei
pirati Illiri arrecavano danni considerevoli alle città greche e ai mercanti Italici che frequentavano i loro porti.
Davanti a rifiuto della regina degli Illiri, Teuta, di far cessare le azioni dei pirati, Roma le dichiarò guerra,
sconfiggendola rapidamente.
219 a.C., seconda guerra illirica: Roma intervenne nuovamente in Illiria dieci anni dopo, a seguito degli atti ostili
intrapresi da Demetrio di Faro, di cui si temeva l’alleanza col ben più potente re di Macedonia Filippo V. Anche la
seconda guerra illirica si risolse velocemente a favore di Roma, e Demetrio si rifugiò presso Filippo V.
225-222 a.C., Guerre Galliche: Le due principali popolazioni della Gallia Cisalpina, Boi e Insubri, anche grazie
all’appoggio di truppe provenienti dalla Gallia Transalpina (Gesati), riuscirono a penetrare fino in Etruria, ma nel
225 a.C. furono annientati a Telamone. A questo punto Roma si rese conto che la conquista della pianura Padana
era possibile, se non necessaria per tenere a distanza le continue incursioni dei Galli. La breve e vittoriosa
campagna fu coronata dal successo del 222 a.C. sugli Insubri a Casteggio, e dalla conquista del loro principale
centro, Mediolanum.
Fondamentale inoltre si rivelò la costruzione di una rete stradale: Via Flaminia (220 a.C. Roma-Rimini), Via Emilia
(187 a.C. Rimini-Piacenza) e la via Postumia (148 a.C. Genova-Aquileia).
Cartagine cercò, mentre Roma era impegnata nell’Adriatico, di costruire una nuova base per la sua potenza in
Spagna: le operazioni furono tutte condotte dalla famiglia Barca (prima Amilcare, poi il genero Asdrubale, in
seguito Annibale, figlio di Amilcare). L’avanzata dei Barca allarmò la città di Marsiglia, alleata di Roma che avevi
interessi nella Spagna settentrionale. Nel 226 a.C. venne stipulato tra Roma e Cartagine un trattato secondo il
quale gli eserciti Cartaginesi non potevano oltrepassare a nord il fiume Ebro.
Seconda guerra punica (218-201 a.C.). La sconfitta del 241 a.C. aveva creato a Cartagine un forte sentimento di
rivincita. Nel 218 a.C. Annibale espugna la città di Sagunto, alleata dei Romani, e si decide che l’unico modo per
battere Roma sia quello di attaccarla direttamente nel proprio territorio, per dividerla dai suoi alleati Italici.
Annibale partì nella primavera del 218 a.C. dall’odierna Cartagena e valicò i Pirenei, evitando astutamente lo
scontro con l’esercito romano del console Publio Cornelio Scipione. L’esercito cartaginese raggiunse così le Alpi,
trovando immediato sostegno dai Boi e dagli Insubri. Il prima scontro si ebbe sul fiume Trebbia, dove Annibale
sconfisse sia Scipione che l’altro console Tiberio Sempronio Longo. Nell’anno seguente l’esercito romano venne
annientato sul lago Trasimeno, e Quinto Fabio Massimo venne eletto dittatore per affrontare la difficile
situazione. La tattica di quest’ultimo era di non affrontare Annibale in battaglie campali, ma di impedire che gli
giungessero rifornimenti dall’Africa o dalla Spagna. La strategia di Fabio Massimo alla lunga avrebbe portato alla
vittoria, ma a breve termine significava vedere Annibale spadroneggiare e devastare in Italia. Scaduti i sei mesi di
dittatura di Fabio, a Roma si decise di passare di nuovo all’attacco: nel 216 a.C. però Annibale sconfisse un’altra
volta entrambi gli eserciti consolari a Canne, in Puglia.
215 a.C.: Nuove alleanze dei Cartaginesi con Ieronimo, nuovo re di Siracusa, e Filippo V di Macedonia. Gli alleati
dell’Italia centrale rimasero fedeli a Roma, mentre Taranto si schierò dalla parte di Annibale.
212 a.C.: I Romani, dopo un lungo assedio, conquistano e saccheggiano Siracusa.
211 a.C.: Capua viene riconquistata dai Romani. Inoltre Roma riuscì a paralizzare le azioni di Filippo V creando una
coalizione di stati greci a lui ostili, impedendo così che si congiungesse con Annibale. Pace di Fenice con Filippo V
(205 a.C.).
La svolta decisiva per la guerra si ebbe in Spagna. P. Cornelio Scipione e il fratello Cneo raggiunsero la penisola
iberica e riuscirono ad impedire che Annibale ricevesse aiuti, ma furono sconfitti e uccisi nel 211 a.C. I Romani
riuscirono comunque a difendere la Spagna settentrionale e nominarono comandante delle truppe l’omonimo
figlio di P.C.Scipione, detto l’Africano.
Nel 209 a.C. Scipione l’Africano sconfisse il fratello di Annibale, Asdrubale, conquistò la maggiore base cartaginese
in Spagna, Nova Carthago, ma non riuscì a impedire che l’esercito di Asdrubale tentasse di portare aiuto a quello
di Annibale in Italia. La spedizione cartaginese venne comunque affrontata e distrutta sul fiume Metauro, nel 207
a.C.
205 a.C.: Scipione viene eletto console e prepara l’invasione dell’Africa alleandosi col re dei Numidi Massinissa.
204 a.C.: Invasione dell’Africa.
202 a.C.: Decisiva battaglia di Zama, l’esercito dei Romani sconfisse quello di Annibale.
201 a.C.: Trattato di pace. Prevedeva la consegna di tutta la flotta cartaginese e il pagamento di una fortissima
indennità. In più Cartagine doveva rinunciare a tutti i suoi possedimenti fuori dall’Africa, in particolare in Spagna.
Seconda guerra macedonica, 200-198 a.C. Causa principale della guerra fu l’attivismo di Filippo V sulle coste
dell’Egeo e dell’Asia minore, che lo portò a scontrarsi con il regno di Pergamo e la repubblica di Rodi, le due
maggiori potenze in quell’area.
Nel 201 a.C. iniziò la guerra, e i coalizzati capirono subito che non sarebbero riusciti a prevalere da soli: si rivolsero
così a Roma, che decise di inviare un ultimatum al re, intimandogli di rifondere i danni inflitti agli alleati di Roma e
di non attaccare stati greci. Filippo ignorò l’ultimatum, e alla fine del 200 a.C. l’esercito romano sbarcò ad
Apollonia.
198 a.C.: Svolta nella guerra. Il nuovo comandante delle forze romane, Tito Quinzio Flaminio, dopo aver sconfitto
Filippo, cominciò le trattative di pace chiedendo la liberazione della Tessaglia. La richiesta venne respinta, e tutti
gli stati della Grecia si schierarono dalla parte dei “liberatori” romani. Verso la fine di quello stesso anno Filippo si
decise ad intavolare serie trattative di pace, che gli permisero di mantenere il suo regno in Macedonia. L’esercito
romano evacuò la Grecia nel 194 a.C.
Guerra siriaca, 192-188 a.C. Antioco III, re di Siria, stava estendendo la sua egemonia sulle città greche della costa
occidentale dell’Asia minore, approfittando della debolezza dell’Egitto e delle difficoltà della Macedonia. Aveva
anche attraversato con un esercito l’Ellesponto, reclamando i possedimenti della costa della Tracia. Le proteste di
Roma furono respinte da Antioco.
Nel 192 a.C. la Lega etolica invitò espressamente Antioco III a liberare la Grecia dai Romani, ma non diede troppo
aiuto concreto al sovrano di Siria che, l’anno dopo, fu duramente sconfitto dai Romani alle Termopili e fu
costretto a fuggire in Asia Minore.
Nel 190 a.C. il console Lucio Cornelio Scipione si preparò ad invadere l’Asia minore per la via terrestre attraverso
la Macedonia, forte del sostegno di Filippo V di Macedonia. Nel frattempo la flotta romana sconfiggeva a più
riprese i siriani nell’Egeo. Lo scontro decisivo tra le due fazioni si ebbe nei pressi di Magnesia sul Sipilo, dove
l’esercito di Antioco fu completamente distrutto.
188 a.C.: Pace di Apamea, confermò che Roma per il momento non voleva impegnarsi direttamente nel
Mediterraneo, e i territori strappati ad Antioco in Asia Minore vennero spartiti tra il re di Pergamo Eumene II e la
repubblica di Rodi. Queste grandi vittorie riportate da Roma tra la fine del III e l’inizio del II secolo a.C. portarono
cambiamento nell’assetto politico e sociale interno. Si aprivano soprattutto nuovi scenari di lotta politica
(“processo agli Scipioni”, 187 a.C., ispirato da Marco Porcio Catone) e ci fu una straordinaria diffusione del culto di
Bacco, che venne stroncata dal 186 a.C. in poi con qualsiasi mezzo.
Terza guerra macedonica, 171-168 a.C. Nel 179 a.C. morì Filippo V di Macedonia. Gli succedette il figlio maggiore
Perseo, guardato con sempre crescente favore da molte città greche, sempre più insofferenti verso Roma: agli
occhi di Roma questa situazione fu sufficiente per considerare Perseo una minaccia. Ogni sua mossa diplomatica
venne interpretata come un gesto di sfida, e le prime operazioni militari cominciarono nel 171 a.C. Il re macedone
ottenne un aiuto concreto solo dalla popolazione dei Molossi e dal re d’Illiria Genzio.
Nel 168 a.C. si ebbe la svolta: Perseo fu costretto dal console Lucio Emilio Paolo ad accettare battaglia campale a
Pidna, e il suo esercito fu distrutto. Il re fu portato prigioniero in Italia e la Macedonia fu divisa in quattro
repubbliche, che dovevano versare un tributo a Roma. Stessa sorte toccò all’illiria, divisa in tre stati.
148 a.C., IV Guerra macedone: Rivolta in Macedonia guidata da Andrisco, che dopo qualche successo iniziale
venne eliminato dal pretore Quinto Cecilio Metello.
146 a.C., Guerra acaica: Col passare del tempo si erano intesiti i rapporti con la lega Achea. Dopo aver stroncato
la rivolta di Andrisco, il senato ordinò che fossero staccate dalla Lega importanti città, come Sparta e Corinto.
L’assemblea della Lega si rifiutò e decise la guerra, che fu brevissima. Nello stesso 146 a.C. Corinto veniva
saccheggiata e distrutta, dopo che l’esercito romano aveva invaso il Peloponneso.
Terza guerra punica, 149-146 a.C. Dopo la rovinosa sconfitta della II guerra punica, Cartagine si era ripresa
rapidamente, almeno dal punto di vista economico. Anche dal punto di vista politico lo stato Cartaginese si era
comportato in maniera irreprensibile. Un elemento potenziale di disturbo della situazione africana era costituito
dalle dispute di confine con Massinissa di Numidia, che nel corso della prima metà del II secolo a.C. avanzò
pretese sempre più ambiziose sui territori appartenenti a Cartagine.
Nel 151 a.C. Cartagine decise per la guerra, inviando l’esercito contro Massinissa. La mossa si rivelò disastrosa:
l’esercito cartaginese venne fatto a pezzi, e insieme violò gli accordi con Roma.
Nel 149 a.C. l’esercito romano sbarcò in Africa. Inizialmente i Cartaginesi non combatterono, ma quando gli fu
intimato di lasciare le città e stabilirsi almeno a 10 miglia dalla costa decisero di resistere a oltranza. I Romani ci
misero 3 anni per conquistare la città, che venne saccheggiata e rasa al suolo. Il territorio di Cartagine divenne la
nuova provincia d’Africa.
Nel 146 a.C. Roma aveva così conquistato l’egemonia incontrastata sul Mediterraneo, ma non riusciva a venire a
capo della situazione in Spagna.
Dopo la II guerra punica i Romani si erano stabiliti in due zone della penisola iberica, divenute provincie nel 197
a.C.: la Spagna Citeriore (a Nord dell’Ebro) e la Spagna Ulteriore (a sud, nella zona di Cadice). La penetrazione
verso l’interno si rivelò lenta e difficile, e venne completata solo con Augusto. Le sconfitte furono numerose,
anche se Catone venne inviato nella Spagna Citeriore come console e procedette sistematicamente alla
sottomissione delle tribù della valle dell’Ebro. Mentre Numanzia, dopo una bruciante sconfitta patita dal console
Caio Ostilio Mancino nel 137 a.C., fu conquistata e distrutta da Scipione l’Emiliano, nel 133 a.C.

PARTE III: LA CRISI DELLA REPUBBLICA E LE GUERRE CIVILI (DAI GRACCHI AD AZIO)
I. DAI GRACCHI ALLA GUERRA SOCIALE
Tradizione storiografica aristocratica: ha identificato nell’età dei Gracchi l’origine della degenerazione dello Stato
Romano e l’inizio delle guerre civili. La seconda guerra punica aveva attraversato l’Italia e inferto profonde ferite
alla sua agricoltura. La conquista del Mediterraneo aveva d’altra parte comportato un enorme afflusso di
ricchezze, con conseguente ampliamento delle occasioni di mercato e una consistente massa di schiavi.
I Romani e gli Italici si erano così introdotti nel grande commercio. Avevano fatto fortuna tanti Senatori ed era
stata favorita l’ascesa degli equites.
Lo sviluppo di scambi commerciali aveva modificato progressivamente la fisionomia dell’agricoltura italica.
Il ricorso sempre più massiccio agli schiavi e l’importazione di grandi quantità di grano costituirono una
concorrenza sempre più rovinosa per l’agricoltura di sussistenza e per i piccoli proprietari terrieri, che si
ritrovarono spesso a dover vendere la loro proprietà.
Accelerazione della tendenza ad un’agricoltura incentrata sul commercio e non sull’autoconsumo.
Molti dei piccoli coltivatori era costretta ad andare in città in cerca di un’occupazione. Grande aumento della
massa urbana: Roma diventa una grande metropoli.
Tra il 140-132 a.C. e 104-100 a.C.: Rivolte servili in Sicilia. La prima rivolta, scoppiata ad Enna, si estese a tutta
l’isola. Roma fu costretta ad inviare tre consoli, e solo l’ultimo, Publio Rupilio, riuscì a domane l’insurrezione (132
a.C.).
In questo periodo i mutamente sociali portarono al delinearsi di due fazioni, entrambe scaturite dalla nobilitas:
optimates e populares.
Gli optimates si richiamavano alla tradizione degli avi, e cercavano di ottenere per la propria politica
l’approvazione dei benpensanti. Erano sostenitori dell’autorità del senato.
I populares si consideravano difensori dei diritti del popolo, e propugnavano la necessità di ampie riforme in
campo politico e sociale.
Le guerre di conquista avevano fatto crescere a dismisura l’ager publicus, terreno di proprietà dello stato che esso
concedeva in uso privati dietro pagamento di un canone irrisorio. La crisi progressiva della piccola proprietà
fondiaria favorì la concentrazione dell’agro pubblico in mano ai proprietari terrieri ricchi e potenti. Da qui venne la
necessità di una serie di norme che mirassero a restringere l’estensione dell’ager che poteva essere occupata da
ciascuno. Nel 140 a.C. un primo tentativo di riforma del console Caio Leio venne però ritirato per l’opposizione dei
senatori.
133 a.C., Tiberio Gracco diviene tribuno della plebe: tentò subito di operare una riforma che limitasse la quantità
di agro pubblico posseduto. Questa proposta di legge fissava un limite di 500 iugeri + 250 per ogni figlio fino a un
massimo di 1000 iugeri per famiglia. Un collegio di tribuni (Tiberio, il fratello Caio e Appio Claudio Pulcro) avrebbe
poi avuto il compito di recuperare i terreni in eccesso, che sarebbero stati distribuiti ai cittadini più poveri divisi in
piccoli lotti. Scopo della legge era quello di ricostituire un ceto di piccoli proprietari, anche per stabilire una base
stabile al reclutamento dell’esercito.
L’oligarchia dominante si oppose però al decreto, il giorno del suo voto nei comizi tributi, un altro tribuno, Marco
Ottavio, pose il suo veto impedendone l’approvazione: Tiberio Gracco propose all’assemblea di destituirlo perché
egli era venuto meno al compito che il popolo gli aveva affidato. Dichiarato decaduto Ottavio la legge agraria
venne approvato, ma l’opposizione conservatrice non si placò. Tiberio pensò di candidarsi al tribunato anche
l’anno successivo, ma nel corso dei comizi elettorali venne ucciso da un gruppo di senatori.
Dopo una serie di proposte riformatrici formulate ma mai andate in porto da diverse personalità (Scipione
l’Emiliano, Fulvio Flacco), nel 123 a.C. fu eletto tribuno della plebe il fratello di Tiberio, Caio Gracco: nel corso di
due mandati consecutivi egli riprese e ampliò l’opera riformatrice del fratello.
La legge agraria venne ritoccata e perfezionata, e vennero aumentati i poteri della commissione triumvirale. Una
legge frumentaria assicurò ad ogni cittadino residente a Roma una quota mensile di grano a prezzo agevolato.
Caio inoltre, con una legge giudiziaria, volle limitare il potere senatorio in questo campo, integrando un gran
numero di cavalieri nel corpo da cui attingere per la formazione degli albi dei giudici: i senatori non sarebbero più
stati giudicati da giudici-senatori, ma da rappresentati dell’ordine equestre.
I senatori, i cui i privilegi erano messi in serio pericolo dalle riforme di Caio, si servirono di un altro tribuno della
plebe, Druso, per contrastarlo, approfittando dell’assenza di Caio, partito per l’Africa. Al suo ritorno, nel luglio 122
a.C., Caio si rese conto che la situazione politica era profondamente mutata. Candidato ancora per il tribunato nel
121 a.C., non venne rieletto. Scoppiarono allora gravi disordini: il console Lucio Opimio ordinò il massacro dei
sostenitori di Caio Gracco, che si fece lui stesso uccidere da un suo schiavo.
Le riforme di Caio Gracco però non furono abolite, ne furono solo ridotti gli effetti (soprattutto di quella agraria).
Prima del 133 a.C. Roma aveva sei provincie:
Sicilia (241 a.C.),
Sardegna-Corsica (237 a.C.),
Spagna Citeriore e Spagna Ulteriore (197 a.C.),
Macedonia (148 a.C.),
Africa (146 a.C.).
Per Roma si trattava di assumere la gestione di un territorio spesso solo in piccole parte assoggettato, mentre
larghe zone erano al di fuori del controllo dei romani. Il magistrato affidato alla provincia fissava le linee generali
di riferimento: questioni territoriali, statuto delle singole città, regolamenti e condizioni fiscali. Lex provinciae.
133 a.C.: alla sua morte il re di Pergamo Attalo III aveva lasciato il suo regno a Roma, ma Aristonico, assunto il
nome di Eumene III, guidò una rivolta che tenne impegnati i Romani per tre anni (129 a.C.), quando la ribellione
poté essere piegata e il territorio organizzato dal console Manio Aquilio nella provincia romana d’Asia (126 a.C.).
125 a.C.: Per rispondere alla richiesta d’aiuto di Marsiglia contro le tribù celto-liguri e galliche, fu inviato prima
Fluvio Flacco poi Caio Sesto Calvino, che fondò, nel 123 a.C. il centro di Aquae Sextiae (Aix en Provence) e ristabilì
l’ordine sulla costa.
123 a.C.: Furono conquistate le Baleari. Nella maggiore di esse, Maiorca, furono fondate le colonie di Palma e
Pollenzia.
118 a.C.: Venne fondata la provincia Narbonese, organizzata intorno alla colonia di Narbo Martius (Narbona).
Le questioni africani erano state regolate con la costituzione di una piccola ma ricca provincia (la provincia
romana d’Africa), in buoni rapporti con le regioni vicine e con Massinissa, re di Numidia. Quando Massinissa morì
il figlio Micipsa si era imposto come suo erede. Alla sua morte, nel 118 a.C., il suo regno fu conteso tra i suoi tre
figli. Dal conflitto uscì vincitore Giugurta, che prese con la forza la parte del regno assegnata ai fratelli, alleati dei
romani. Roma fu costretta ad intervenire in aiuto del suo alleato Aderbale nel 111 a.C. Guerra giugurtina, 111-105
a.C.
Le operazioni furono condotte fiaccamente fino al 109 a.C., quando al comando dell’esercito fu posto il console
Quinto Cecilio Metello, che sconfisse ripetutamente Giugurta, non riuscendo però a concludere vittoriosamente la
campagna. In seguito alle proteste dei mercanti del Nordafrica, il comando venne affidato a Caio Mario, eletto
console nel 107 a.C.: Mario, bisognoso di nuove truppe, aprì per la prima volta l’arruolamento volontario ai capite
censi, cioè ai nullatenenti. Con il suo nuovo esercito Mario tornò in Africa, ma gli occorsero quasi tre anni per
terminare il nuovo conflitto e catturare Giugurta, che venne consegnato ai romani dal suocero Bocco, re di
Mauritania. La Numidia orientale fu assegnata a un nipote di Massinissa, la parte rimanente allo stesso Bocco.
Nel frattempo due popolazioni germaniche, i Cimbri e i Teutoni, iniziarono un movimento migratorio verso sud.
Dopo aver oltrepassato il Danubio ed essere scesi fino all’attuale Austria, furono affrontati dall’esercito Romano
che nel 113 a.C., presso Noreia, subì una rovinosa sconfitta. I Cimbri e i Teutoni proseguirono il loro viaggio verso
occidente, comparendo in Gallia e minacciando la provincia narborese, continuando a sconfiggere i romani. Mario
venne rieletto console nel 104 a.C. e gli venne affidato il comando della guerra. Riorganizzò l’esercito in tutti i suoi
aspetti, e quando i Cimbri e i Teutoni ricomparvero, stavolta divisi i romani li sconfissero duramente. 102 a.C.,
massacro dei Teutoni - 101 a.C., sconfitta dei Cimbri.
Nel 100 a.C. Mario fu eletto al suo sesto consolato e si appoggiò al tribuno della Plebe Saturnino, che presentò
una legge agraria che prevedeva l’assegnazione di terre nella Gallia meridionale e la fondazione di diverse colonie.
Per poter sviluppare il suo programma Saturnino ottenne la rielezione a tribuno anche per l’anno successivo.
Durante le votazioni però scoppiarono tumulti, e il senato proclamò il senatum consultum ultimum, che Mario fu
costretto ad applicare contro il suo alleato politico. Saturnino fu ucciso, causando al console una notevole perdita
di prestigio politico.
L’installarsi di Roma in Anatolia l’aveva messa in contatto con un problema endemico di quella zona: la pirateria.
Essa minacciava pesantemente l’asse marittimo che dall’Egeo conduceva a Cipro e alla Siria. Mentre Roma si
accingeva a concludere le guerre cimbriche, l’azione dei pirati, che fino a quel momento non avevano interessato
la Repubblica, vennero avvertite come pericolose per gli affari romani nell’Egeo orientale. L’azione contro i pirati,
guidata dal pretore Marco Antonio, si protrasse un paio d’anni e nel 101 a.C. venne fondata la provincia costiera
di Cilicia.
Decennio successivo al 100 a.C.: si aprì tra forti tensioni sociali e politiche e rese dei conti tra le parti che si erano
contrapposte durante la guerra giugurtina e il consolato di Mario.
91 a.C.: Viene eletto tribuno della plebe Marco Livio Druso: egli tentò di destreggiarsi tra le parti attuando una
politica di reciproca compensazione:
- promulgò provvedimenti di evidente contenuto popolare;
- restituì ai senatori i tribunali per le cause di concussione;
- aumentò il senato da 300 a 600 membri, proponendo l’ammissione dei cavalieri;
- Concessione della cittadinanza romana agli alleati Italici.
Ancora una volta però l’opposizione fu vastissima e trovò il modo di dichiarare nulle tutte le sue leggi. Druso
venne assassinato.
90-88 a.C., guerra sociale: la condizione di cittadino romano era sempre più vantaggiosa e ciò aumentava le
rivendicazioni e l’irritazione degli Italici. Delle distribuzioni agrarie infatti beneficiarono solo i cittadini romani,
mentre gli alleati italici erano sempre in una condizione di subalternità, e non avevano parte alcuna nelle decisioni
politiche, economiche e militari.
L’assassinio di Druso fu il segnale per gli Italici che non vi era altra possibilità per difendere le proprie
rivendicazioni che la rivolta armata.
L’insurrezione partì da Ascoli, estendendosi dapprima verso l’Adriatico poi verso l’Appennino centrale e
meridionale. Non aderirono alla rivolta Etruschi, Umbri, le città latine e quelle della Magna Grecia. La lotta fu
lunga e sanguinosa, poiché i romani si trovarono a fronteggiare gente armata e addestrata come loro.
90 a.C. I principali settori d’operazione vennero spartiti tra i due consoli.
- Settentrione: Publio Rutilio Lupo.
- Meridione: Lucio Giulio Cesare (sostituito da Mario dopo la sua morte).
L’incerto andamento delle operazioni fece maturare a Roma una soluzione politica del conflitto: si erano già
autorizzati i comandanti militari ad accordare la cittadinanza agli alleati che combattevano per loro.
Nell’89 a.C. venne promulgata la Lex Plantia Papiria, che concedeva la cittadinanza agli Italici che si fossero
registrati presso il pretore di Roma entro sessanta giorni. Tali misure circoscrissero la rivolta, e nell’88 a.C. Silla,
eletto console assediò e sconfisse l’ultima roccaforte degli insorti, Nola. Inizio del processo di unificazione politica
dell’Italia, con la concessione della cittadinanza a tutta l’Italia fino alla Transpadania.

II. I PRIMI GRANDI SCONTRI TRA FAZIONI IN ARMI


Durante la guerra sociale, una situazione allarmante per Roma si era venuta a creare in Oriente: i Parti,
provenienti dalle zone del Caucaso, si erano spinti ad occupare la Mesopotamia e la Babilonia, fino alle porte della
Sira. Fino a quel momento Roma aveva favorito in quella zona la coesistenza di molti piccoli Stati, limitandosi a
vegliare che nessuno ne realizzasse l’Unità.
112 a.C.: Mitridate VI Eupatore divenne re del Ponto, ed estese il suo regno a nord, est e ovest. Quando si
impossessò della Cappadocia venne inviato Silla (92 a.C.), per ripristinare sul trono di Cappadocia un sovrano più
gradito a Roma.
Approfittando della guerra sociale Mitridate riprese però la sua politica espansionistica. Verso la fine del 90 a.C.
Roma inviò in oriente una delegazione con l’incarico di rimettere sui troni i legittimi sovrani di Bitinia e
Cappadocia. Mitridate sfruttò il malcontento che serpeggiava in Oriente verso Roma e le dichiarò guerra.
Dilagò in Cappadocia e travolse le forze romane, divenendo presto padrone di tutta l’Asia. Anche l’isola di Delo,
caposaldo del commercio romano in Oriente, e Atene, si allearono con Mitridate: la guerra acquistava una vera e
propria sollevazione del mondo greco contro Roma. Nell’88 a.C., quando un esercito pontico invase la Grecia
centrale, Roma decise di reagire inviando Silla. Sbarcato in Epiro nell’87 a.C., Silla conquistò Atene e si diresse
verso la Greci centrale, dove sconfisse le truppe di Mitridate a Cheronea e a Orcomeno (86 a.C.).
Nel frattempo a Roma venne eletto tribuno della plebe Publio Sulpicio Rufo, che si trovò ad affrontare un
complessivo impoverimento dello stato romano, dovuto alla guerra sociale e a quella in Oriente contro Mitridate.
Dopo aver affrontato questo problema e quello dell’inserimento degli Italici con diversi provvedimenti, fece infine
approvare il trasferimento del comando della guerra mitridatica da Silla a Mario. Appresa la notizia della sua
destituzione Silla non esitò a marciare su Roma, se ne impadronì e fece nominare i suoi avversari nemici pubblici:
Sulpicio fu subito eliminato, mentre Mario riuscì a stento a scappare in Africa.
Nell’87 a.C., tornato Silla in oriente, Lucio Cornelio Cinna (uno dei consoli), venne cacciato da Roma e si rifugiò in
Campania, dove venne raggiunto da Mario nuova marcia su Roma. Mario viene eletto console nell’86 a.C. e un
nuovo corpo di spedizione venne mandato in Oriente in sostituzione di quello Silliano.
Alla morte di Mario, L.C.Cinna venne rieletto console tre volte, fino all’84 a.C. Verso la fine di quell’anno, alla
notizia dell’imminente ritorno di Silla, Cinna cercò di anticiparlo ammassando le forze ad Ancona, ma fu ucciso da
una rivolta dei suoi stessi soldati.
Nell’86 a.C. due armate romane di opposte fazioni erano presenti in Grecia: quella di Silla e quella inviata da Cinna
agli ordini di Flacco. Esse non si scontrarono mai, ma agirono parallelamente ricacciando Mitridate in Asia. Nell’85
a.C. venne firmata la pace a Dardano. Mitridate conservava il suo regno, ma dovette evacuare il resto dell’Asia ed
era obbligato a versare una forte indennità di guerra.
Silla tornò in Italia nell’83 a.C., sbarcando a Brindisi carico di bottino. Lì lo raggiunse il giovane Cneo Pompeo con
tre legioni. Silla impiegò due anni a sconfiggere i suoi avversari. Nell’81 a.C. si impadronì di Roma e distrusse le
ultime resistenze avversarie. Mandò Cneo Pompeo a eliminare gli oppositori rifugiatisi in Africa e in Sicilia.
Per rendere definitiva la sua vittoria, Silla introdusse le liste di proscrizione, elenchi in cui vi erano i nomi di
avversari politici che chiunque poteva uccidere impunemente. Le proscrizioni continuarono fino all’81 a.C., un
certo numero di famiglie scomparve, altre si arricchì a loro spese.
82 a.C., Lex Valeria: nominava Silla “dittatore con l’incarico di redigere leggi e organizzare lo stato”, tale dittatura
era a tempo eliminato. Silla fece approvare diverse norme riformatrici:
- ogni proposta di legge avrebbe dovuto ottenere il consenso del senato prima di essere sottoposta al voto
popolare;
- il senato fu portato a seicento membri, tra cui suoi numerosi partigiani;
- fu innalzato a otto il numero di pretori;
- limitò con leggi apposite le eccessive ostentazioni di ricchezza da parte dell’aristocrazia;
- furono totalmente ridimensionati i poteri dei tribuni della plebe, limitato il loro diritto di veto e annullato
quello di fare leggi.
Nel 79 a.C. Silla, completata la riorganizzazione dello stato, abdicò dalla dittatura. Ritiratosi a vita privata morì
l’anno dopo.
78 a.C.: Marco Emilio Lepido tentò subito di ridimensionare l’ordine silliano, marciando su Roma con un
contingente di ribelli Etruschi. La rivolta fu stroncata in poco tempo e Lepido fuggì in Sardegna.
77 a.C.: Sertonio, un generale Mariano governatore della Spagna Citeriore, aveva là creato una specie di stato
mariano in esilio. Verso la fine del 77 a.C. controllava ormai praticamente tutta la penisola iberica, e fu raggiunto
anche dalle truppe superstite di Lepido. Corsero voci a Roma di sue alleanze sia coi pirati che con Mitridate.
Il senato decise a questo punto di inviare Pompeo in Spagna. Appena arrivato (76 a.C.) subì diverse sconfitte, ma
ottenuti rinforzi nell’74 a.C. la situazione andò lentamente migliorando, mentre la popolarità di Sertonio andava
rapidamente calando. Furono orditi diversi complotti verso di lui, finchè un suo generale, Peperna, lo uccise a
tradimento nel 72 a.C. Pompeo uccise a sua volta Peperna, e nel 71 a.C. vinse le ultime sacche di resistenza.
73 a.C., Terza rivolta servile (dopo quelle in Sicilia nel II sec. a.C.): Scoppiata a Capua, in una scuola di gladiatori. I
ribelli si erano asserragliati sul Vesuvio, dove furono raggiunti da altri gladiatori e schiavi confluiti dall’Italia
meridionale. A capo della rivolta si posero due gladiatori: Spartaco, un trace, e Crisso, un gallo. La rivolta si estese
ben presto a tutto il sud Italia, ma mancava tra i ribelli un piano preciso e unitario. Vagarono così per l’Italia
spingendosi fino in Cisalpina per poi riscendere verso sud. Il senato affidò un considerevole esercito a Marco
Licinio Crasso per sedare la rivolta. Crasso riuscì ad isolare Spartaco e i suoi in Calabria, dove li sconfisse
pesantemente nel 71 a.C. Migliaia di prigionieri furono fatti crocifiggere da Crasso sulla via Appia, tra Roma e
Capua.
70 a.C.: Pompeo e Crasso vengono eletti consoli Portano a termine lo smantellamento dell’ordine silliano,
epurando il senato da 64 membri fedeli a Silla e ripristinando i poteri dei tribuni della plebe.
In Oriente tra l’80 e il 70 a.C erano riemerse due gravi minacce: i pirati e Mitridate. La pirateria aveva ripreso forza
a causa dell’indebolimento delle strutture politiche locali. Le sue basi principali erano disseminate lungo le coste
dell’Asia minore, ma si erano spinti ad infestare tutte le rotte, comprese quelle occidentali, rendendo così
difficoltoso il trasporto di merci.
Nel 74 a.C., dopo diversi tentativi andati a vuoto, fu inviato contro i pirati Marco Antonio, che subì un’umiliante
sconfitta a Creta.
Le operazioni vennero allora affidate a Quinto Cecilio Metello, che riconquistò completamente Creta (68-67 a.C.),
facendola diventare provincia Romana. Mitridate, dopo la pace di Dardano, aveva continuato a covare propositi
di rivincita e l’occasione si era presentata nel 74 a.C., alla morte di Nicomede VI di Bitinia: Mitridate decise di
invaderla, e contro di lui furono mandati i due consoli Marco Aurelio Cotta e Lucio Licinio Lucullo. Le operazioni
furono condotte di successo in successo fino al 71a.C., quando Lucullo occupò il Ponto, costringendo Mitridate a
rifugiarsi in Armenia dal genero Tigrane. Il console romano allora invase l’Armenia, conquistandola nel 69 a.C. Da
qui si spinse ancora più a nord-est, ma la sua marcia fu fermata dal malcontento dei suoi soldati. Ne
approfittarono Mitridate e Tigrane per riprendere le ostilità (67 a.C.).
L’anno successivo un tribuno della plebe, Caio Manilio, propose che venisse esteso a Pompeo il comando della
guerra contro Mitridate. Pompeo marciò verso il Ponto dove sconfisse e cacciò Mitridate (66 a.C.), che fu
costretto a rifugiarsi lungo la sponda orientale del mar Nero, dove nel 63 a.C. si fece uccidere per non cadere in
mano ai Romani. Nel frattempo Pompeo continuò la sua spedizione giungendo quasi fino al Mar Caspio, poi passò
in Palestina, dove si impadronì di Gerusalemme, che divenne Stato autonomo aggregato alla provincia di Siria. Nel
62 a.C. Pompeo tornò a Roma.
Durante l’assenza di Pompeo a Roma si era verificata una grave crisi:
Lucio Sergio Catilina, tentò nel 65 a.C. di ottenere il consolato, ma la sua candidatura fu respinta all’ultimo
momento per indegnità. Ci riprovò nel 63 a.C., quando invece fu eletto Marco Tullio Cicerone che nella campagna
elettorale aveva attaccato la corruzione e la violenza di Catilina. Quest’ultimo mise a punto un’ampia cospirazione
che mirava a sopprimere i consoli e prendere il potere con la forza. Venne riunito in Etruria un esercito in gran
parte composto da veterani silliani, ma il piano fu scoperto e sventato da Cicerone, che costrinse Catilina ad
allontanarsi da Roma. Catilina morì combattendo alla testa dei suoi nei pressi di Pistoia.

III. DAL “PRIMO TRIUMVIRATO” ALLE IDI DI MARZO


62 a.C., Pompeo sbarca a Brindisi: convinto di ottenere dai senatori la ratifica degli assetti territoriali da lui decisi
in Oriente, fu invece umiliato dai suoi avversari politici. Deluso e amareggiato, Pompeo si riavvicinò a Crasso e al
suo emergente alleato Cesare, con i quali strinse un accordo di reciproco sostegno 60 a.C.: primo triumvirato.
59 a.C.: Cesare venne eletto console. Egli fece immediatamente votare due leggi agrarie che prevedevano una
distribuzione a tutti i veterani di Pompeo di tutto l’agro pubblico italiano, ad eccezione della Campania. Furono
poi fatte ratificare tutte le decisioni di Pompeo in Oriente. Sul finire del consolato a Cesare venne affidato per
cinque anni il proconsolato della Gallia Cisalpina e dell’Illirico.
Nel 58 a.C., partendo per le provincie attribuitegli, Cesare (con Pompeo e Crasso), appoggiò al candidatura a
tribuno di Publio Clodio Pulcro. Eletto tribuno, Clodio fece approvare una nutrita serie di leggi:
- il potere dei censori di espellere membri del senato fu limitato;
- nessun magistrato avrebbe più potuto interrompere le assemblee pubbliche;
- la distribuzione del frumento per i cittadini romani doveva divenire completamente gratuita.
58 a.C., Cesare in Gallia: Quando arrivò era in atto una migrazione degli Elvezi verso occidente, che minacciava le
terre degli Edui e la stessa provincia romana. Cesare sconfisse gli Elvezi nel 58 a.C., iniziava così la conquista della
Gallia.
58 a.C.: Guerra contro gli Svevi guidati da Ariovisto. Cesare intervenne su richiesta degli Edui, spingendo gli Svevi
ad oriente del Reno. Quando le invasioni ripresero i Romani sconfissero definitivamente i barbari in uno scontro in
Alsazia superiore, costringendoli a ripassare il Reno.
57 a.C.: Guerra contro i Belgi.
57 a.C.: Conquista della Bretagna e della Normandia ad Opera di P. Licinio Crasso (Figlio del triumviro).
Alla fine del 57 a.C., indotto dalle notizie che giungevano da Roma dove la situazione politica stava precipitando,
Cesare riferì al senato che la Gallia poteva ritenersi pacificata.
A Roma era in corso uno scontro tra Clodio, nel frattempo tornato privato cittadino, e i sostenitori di Cicerone,
capeggiati dal tribuno Tito Annio Milone. Nel 57 a.C. Cicerone potè tornare a Roma. Pompeo si trovò allora in una
situazione di stallo politico: non osava impegnarsi nei conflitti e negli scontri tra fazioni, per timore di una perdita
di prestigio o potere. Accettò l’incarico che gli conferiva poteri speciali per provvedere all’approvvigionamento
della città, per la durata di 5 anni. Nel frattempo a Cesare veniva chiesta la revoca della legge sull’agro campano.
Aprile 56 a.C.: Accordi di Lucca. Cesare, Pompeo e Crasso si accordarono su questo progetto: il comando di
Cesare in Gallia sarebbe stato prorogato per altri 5 anni, mentre i tre si sarebbero impegnati a fare eleggere
Pompeo e Crasso consoli per il 55 a.C.; dopo il consolato questi avrebbero ricevuto per cinque anni le due Spagne
(Pompeo) e la Siria (Crasso).
Tornato in Gallia, Cesare trovò la Bretagna in aperta rivolta. Dopo averla velocemente domata rivolse le sua
attenzioni sul fronte del Reno: qui due tribù germaniche, Usipeti e Tencteri, avevano oltrepassato il confine e
minacciavano i territori dei Romani. Cesare li annientò nel 55 a.C.
54 a.C.: Campagna militare in Britannia: permise di raggiungere il Tamigi e portò alla sottomissione di parecchie
tribù della costa.
53 a.C.: Repressione delle rivolte in Gallia settentrionale.
52 a.C.: Sollevazione guidata da Vercingetorìge. Scoppiata a Cenabum (Orleans), la rivolta si estese rapidamente
a tutto il territorio compreso tra la Loira e la Garonna. Cesare tentò di assediare il grande centro di Segovia, ma
venne respinto. Dovette così dirigersi a nord per ricongiungersi con l’esercito del suo legato Titio Labieno, e
insieme inseguirono Vercingetorìge, che si rinchiuse nella piazzaforte di Alesia. Dopo un lungo e durissimo assedio
la piazzaforte fu costretta a capitolare, e Vercingetorìge venne fatto prigioniero e inviato a Roma.
51 a.C.: Frantumati gli ultimi centri di resistenza, fondazione della nuova provincia della Gallia Comata.
Nel 54 a.C. Crasso, giunto in Siria, aveva cercato di inserirsi nella contesa dinastica in atto nel regno dei Parti. In
lotta per il trono c’erano i due fratelli Orode e Mitridate, figli dello scomparso re Fraate III. Divenuto re Orode,
Crasso decise di appoggiarne il fratello rivale, spingendosi in Mesopotamia senza incontrare resistenze.
Nel 53 a.C. venne in contatto con l’esercito partico in Mesopotamia nord-occidentale: l’esercito romano venne
travolto e massacrato. La stessa provincia di Siria si trovò minacciata. Mentre si ritirava, Crasso fu preso ucciso.
Dal 54 a.C. cominciarono a venir meno i vincoli politici e familiare che legavano Cesare e Pompeo. La violenza e il
caos politico dilagarono a Roma. Nel 53 a.C. venne proposto di nominare Pompeo dittatore. All’inizio del 52 a.C.
l’anarchia giunse al culmine: si affrontavano le bande di Clodio e di Milone sulla via Appia. Clodio rimase ucciso.
Pompeo venne nominato console senza collega, egli fece votare immediatamente leggi repressive contro la
violenza e i brogli elettorali, che consentirono la condanna di Milone e il ristabilimento di un equilibrio precario.
Cesare era stato ininterrottamente assente da Roma dal 58 a.C. e il suo mandato sarebbe scaduto secondo lo
stesso Cesare alla fine del 49 a.C., mentre per i suoi avversari nel 50 a.C.
A partire dal 51 a.C. cominciarono le discussioni sul termine dei poteri di Cesare.
Nel 50 a.C. un tribuno della plebe, Caio Scribonio Curione, propose che per uscire dalla crisi si dovessero abolire
sia i poteri di Cesare, che quello di Pompeo. Nel dicembre di quell’anno i due proconsoli dovettero deporre le loro
cariche.
49 a.C.: Cesare fu intimato di deporre unilateralmente le sue cariche. Il senato votò il senatum consultum
ultimum, affidando ai consoli e a Pompeo il compito di difendere lo stato. Appresa questa decisione Cesare
varcò in armi il Rubicone, dando così inizio alla guerra civile. Pompeo scappò a Brindisi per imbarcarsi verso
Oriente.
Cesare non riuscì a fermare Pompeo, e cominciò quindi ad affrontare la minaccia occidentale, rappresentata dalle
forze Pompeiani stanziate in Spagna. Cesare sconfisse i pompeiani spagnoli presso Ilerda con le sue truppe
concentrate in Gallia.
Tornato a Roma nel 49 a.C. si fece eleggere console per il successivo 48 a.C.
Nel frattempo Pompeo aveva posto il suo quartiere a Tessalonica. Cesare sbarcò con le sue truppe a Durazzo
nell’inverno del 48 a.C. e avanzò verso la Tessaglia.
Lo scontro decisivo avvenne a Farsalo, nell’agosto del 48 a.C. e si tradusse in una disfatta pompeiana. Pompeo
fuggì verso l’Egitto, dove però era in corso una lotta dinastica tra Tolomeo XIII e la sorella Cleopatra VII. I
consiglieri del re lo fecero assassinare non appena sbarcato in Egitto.
Arrivato anch’egli ad Alessandria, Cesare si intrattenne in Egitto ancora un anno. Aiutando Cleopatra VII ad
ottenere il regno d’Egitto. Partito Cesare diede alla luce il figlio di lui, Tolomeo Cesare. Nell’autunno 47 a.C. Cesare
sostò brevemente a Roma, e subito ripartì per l’Africa dove si erano rifugiati i pompeiani vinti, che si erano
assicurati l’appoggio di Giuba, re di Numidia. Cesare riportò la vittoria risolutiva a Tapso. Suicidatosi Giuba, il suo
regno divenne provincia romana. Nel 45 a.C. fu costretto a partire di nuovo per la Spagna per combattere i figli di
Pompeo, Cneo e Sesto. A Munda l’esercito di questi ultimi fu totalmente distrutto.
Ottobre 48 a.C.: Mentre si trovava in Egitto, Cesare fu nominato dittatore per un anno. A metà del 46 a.C. gli fu
conferita la dittatura per 10 anni. Nel 44 a.C. ricoprì il quinto consolato e fu nominato dittatore a vita.
Già nel 49 a.C. aveva messo insieme un numero vastissimo di riforme:
- concesse il perdono e il richiamo in patria a tutti gli esuli e condannati politici;
- accordò facilitazioni ai debitori;
- estese il diritto di cittadinanza romana agli abitanti della Transpadania;
- il senato fu portato a 900 membri;
- vennero disciolte le associazioni popolari che avevano ai torbidi degli anni precedenti;
- furono confermate le distribuzioni gratuite del grano;
- venne realizzato un vasto programma di colonizzazione e di distribuzione di terre ai veterani di Cesare per
decongestionare l’Italia.
L’eccessiva concentrazione di poteri e il fatto che ogni carriera politica potesse svolgersi solo con il suo appoggio,
finirono con creare allarme, oltre che nei pompeiani superstiti, anche negli stessi sostenitori di Cesare. Venne
allora ordinata una congiura nei suoi confronti prima della sua partenza per una campagna nel regno dei Parti
(guidata da Marco Giunio Bruto, Caio Cassio Longino e Decimo Bruto). Alle idi di marzo del 44 a.C. Cesare venne
ucciso.

IV. AGONIA DELLA REPUBBLICA


Abbattuto Cesare, i congiurati non si erano però preoccupati di eliminare i suoi principali collaboratori: Marco
Emilio Lepido e Marco Antonio. Dopo un primo sbandamento, questi cominciarono a riorganizzarsi. Antonio riuscì
ad imporre una politica di compromesso, che venne ratificata dal senato e fu eletto console insieme a Publio
Cornelio Dolabella. Fu stabilito che dopo il consolato a Pompeo sarebbe toccata la Macedonia, a Dolabella la Siria.
La dittatura venne abolita dalle cariche dello stato.
Cesare aveva nominato suo erede effettivo per i tre quarti dei beni e suo figlio adottivo suo pronipote Caio
Ottavio. Alle idi di Marzo Ottavio si trovava ad Apollonia (al confine con la Macedonia), per attendere il prozio e
partire con lui verso il regno dei Parti. Appena saputo del testamento si diresse a Roma dove reclamò
ufficialmente l’eredità.
Entratone in possesso onorò i lasciti previsti dal testamento, ponendo come caposaldo del suo impegno politico la
vendetta per l’uccisione di Cesare. Il senato vide in lui un mezzo per contrastare il potere di Antonio. Questi nel
frattempo, per poter controllare più da vicino l’Italia allo scadere del suo consolato, si era fatto assegnare le due
provincie della Gallia Cisalpina e della Gallia Comata. Quando Antonio mosse verso la Gallia Cisalpina, il
governatore originariamente designato, Decimo Bruto, rifiutò di cedergliela e si rifugiò a Modena.
43 a.C., Guerra di Modena: Il senato ordinò ai due consoli Aulo Irzio e Caio Vibio Pansa di muovere in soccorso di
Bruto; ad essi venne associato Ottavio. Vicino a Modena Antonio fu battuto e fu costretto a ritirarsi verso la
Narbonese.
Poiché entrambi i consoli erano morti, Ottavio chiese al senato il consolato per sé e ricompense verso i suoi
soldati. Al rifiuto, non esitò a marciare su Roma. Agosto 43 a.C., Ottavio venne eletto console insieme al cugino
Quinto Pedio. I due consoli istituirono immediatamente un tribunale speciale per perseguire gli assassini di
Cesare. Nel frattempo in Gallia Antonio si era ricongiunto con Lepido.
Ottobre 43 a.C.: Ottaviano, Antonio e Lepido si incontrarono nei pressi di Bologna e fondano il secondo
triumvirato, che rimarrà valido fino alla fine del 38 a.C. Antonio conservava il governatorato della Gallia Cisalpina
e Comata. Lepido ottenne la Gallia Narborese e le due Spagne. Ottaviano l’Africa, la Sicilia, la Sardegna e la
Corsica.
Vennero resuscitate le liste di proscrizione, con i nomi degli assassini di Cesare e dei nemici dei Triumviri.
Centinaia di senatori e cavalieri furono uccisi e i loro beni confiscati (tra essi Cicerone). I triumviri poterono
rivolgere ora le armi verso Oriente, dove i cesaricidi Bruto e Cassio si erano costituiti una solida base di potere.
Nel 42 a.C., dopo aver divinizzato Cesare, Antonio e Ottaviano partirono alla volta della Grecia. Lo scontro decisivo
ebbe luogo a Filippi, nell’ottobre del 42 a.C.: Ottaviano si trovò subito in difficoltà, ma Cassio, battuto da Antonio e
credendo che anche Bruto fosse stato ucciso, si tolse la vita. Bruto, sconfitto definitivamente, si suicidò a sua
volta.
Le proscrizioni, le guerre intestine e Filippi avevano decimato spaventosamente l’opposizione senatoria più
conservatrice: il loro posto venne preso da una nuova aristocrazia, formata da persone di fiducia dei triumviri.
Dallo scontro coi cesaricidi usciva nettamente rafforzato Antonio: egli infatti si riservò il comando su tutto
l’Oriente. A Lepido fu assegnata l’Africa, mentre a Ottaviano la Spagna, insieme al compito di sistemare in Italia i
veterani delle legioni: questo compito fu particolarmente arduo, perché l’agro pubblico sulla penisola era
pressochè terminato. Si procedette con l’espropriazione dei terreni nei territori delle 18 città che erano state
destinate allo scopo. 41 a.C., le proteste dei proprietari terrieri si trasformò in rivolta aperta. Ottaviano fu
costretto ad affrontare gli insorti, che si chiusero a Perugia (inverno 41-40 a.C.); dopo un feroce assedio la città fu
espugnata. Molti rivoltosi fuggirono a infoltire le fila di Sesto Pompeo che, impadronitosi della Sardegna e della
Corsica, batteva i mari per impedire i rifornimenti dell’Italia e di Roma. Nel frattempo Ottaviano si era appropriato
delle Gallie, dov’era morto il legato di Antonio.
Ottaviano, attraverso il matrimonio, si avvicinò a Sesto Pompeo e Antonio, allarmato, mosse dall’Oriente verso
l’Italia. I due si incontrarono a Brindisi, dove venne stipulato un accordo in base a cui ad Antonio veniva assegnato
l’Oriente, mentre ad Ottaviano l’Occidente. Antonio sposò inoltre Ottavia, la sorella di Ottaviano.
La situazione venne di nuovo complicata dalle richieste di Sesto Pompeo, che aveva ripreso a bloccare il grano
diretto a Roma e nell’accordo di Miseno (39 a.C.), si vide riconosciuto da Ottaviano e Antonio il governo di Sicilia,
Sardegna e Corsica.
Nel 38 a.C. Sesto Pompeo riprese le azioni di scorreria verso l’Italia.
Quello stesso anno Sesto aveva perso la Sardegna e la Corsica, che un suo luogotenente aveva consegnato ad
Ottaviano e divampò presto una lotta anche per il controllo della Sicilia.
Inizialmente Ottaviano fu sconfitto e fu costretto a concludere un altro accordo, a Taranto nel 37 a.C., con Antonio
per ricevere rinforzi.
37 a.C.: Il console Marco Vipsanio Agrippa fece costruire un porto militare a Pozzuoli, e con le flotte che lì aveva
allestito sconfisse Sesto Pompeo al largo della costa settentrionale della Sicilia. Sesto fuggì in Oriente, dove fu
ucciso l’anno dopo.
Lepido, che aveva preso parte con Ottaviano alle operazioni, rivendicò per sé la Sicilia, ma il suo esercito
l’abbandonò e per Ottaviano fu facile metterlo in disparte dalla vita politica. 35-34 a.C.: Campagne di Ottaviano
contro gli Illiri in Pannonia e Dalmazia.
Dopo l’accordo di Taranto, Antonio poté tornare in Oriente e cercò di dare un nuovo assetto ai territori d’Oriente
in vista dell’inizio dell’impresa partica.
Primavera 36 a.C.: Inizio della spedizione partica. Attraverso l’Armenia Antonio invase il territorio partico a nord,
arrivando ad assediare la città di Fraata, che però non riuscì a conquistare. Dovette allora ritirarsi e, dopo la
riorganizzazione del 35 a.C., nel 34 a.C. riuscì a conquistare l’Armenia.
35 a.C., definitiva rottura tra Antonio e Ottaviano.
32 a.C.: Scadenza naturale del triumvirato. I due consoli chiesero le ratifiche delle decisioni prese da Antonio in
Oriente. Ottaviano ne impedì al senato l’approvazione. Entrambi i consoli e 300 senatori abbandonarono l’Italia e
si rifugiarono presso Antonio. Rivelando un testamento in cui Antonio disponeva di essere sepolto ad Alessandria
accanto a Cleopatra, attribuendo dei regni ai figli avuti con la regina, Ottaviano ottenne che Antonio venisse
privato di tutti i suoi poteri: si presentò dunque con il difensore di Roma dalle mire di un’avida regina.
La dichiarazione di guerra fu infatti contro la sola Cleopatra.
Settembre 31 a.C. vi fu la battaglia di Azio che segnò la vittoria di Ottaviano, Antonio e Cleopatra si ritirarono
quindi in Egitto.
Quando Ottaviano penetrò in Egitto con le sue truppe e Prese Alessandria (30 a.C.), prima Antonio e poi Cleopatra
si suicidarono. L’Egitto venne proclamato provincia romana.
PARTE IV: L’IMPERO DA AUGUSTO ALLA CRISI DEL III SECOLO
I. AUGUSTO
Nel 31 a.C., sconfitto Antonio, Ottaviano si ritrovò ad essere padrone assoluto dello Stato romano. La soluzione
politica adottata da Ottaviano segna una cesura fondamentale nella storia romana.
Il 31 a.C. è l’anno dell’inizio del principato, un regime istituzionale incentrato sulla figura del princeps. Arrivava
così a compimento il processo di personalizzazione della politica che aveva visto l’emergere di politici e generali
che avevano affermato il loro potere personale grazie alla disponibilità di eserciti fedeli, alle guerre di espansione
e allo sfruttamento economico delle provincie.
29 a.C.: ritorno di Ottaviano a Roma. Il processo di riconoscimento giuridico della nuova forma istituzionale iniziò
nel 27 a.C. Ottaviano rinunciò formalmente a tutti i suoi poteri straordinari, accettando solo un imperium
proconsolare per dieci anni sulle provincie non pacificate (Spagna, Gallia, Cipro, Cilicia ed Egitto). Qualche tempo il
senato lo proclamò Augusto, un epiteto che lo sottraeva alla sfera propriamente politica per proiettarlo in una
dimensione sacrale.
Non era più immaginabile che il potere non fosse detenuto da un solo individuo: la nuova organizzazione dello
Stato rappresentava il definitivo superamento delle istituzioni, ormai più non adeguate, della città- stato.
27-25 a.C.: Augusto combatte Asturi e Cantabri in Gallia e Spagna settentrionale.
23 a.C., grave crisi: in Spagna Augusto si era gravemente ammalato e si sentì in fin di vita. La scomparsa
prematura di Augusto avrebbe portato ad una crisi dinastica e a nuove guerre civili: egli pensò quindi al generale
Marcello, che aveva sposato la sua unica figlia Giulia. Marcello però morì e Giulia fu data in moglie ad Agrippa, che
divenne così il suo successore designato.
Augusto depose il consolato e ottenne un imperium proconsulare che gli permetteva di agire con pieni poteri su
tutte le provincie. Questo potere non consentiva però ad Augusto, quando si trovava a Roma, di agire nella vita
politica: ricevette così dal senato il potere di un tribuno della plebe, vitalizio. A carica il senato aggiunse il diritto di
convocare il senato.
Le elezioni erano ristabilite dal 27 a.C., ma erano controllate da Augusto attraverso due procedure:
- Nominatio: accettazione della candidatura da parte del magistrato che sovrintendeva l’elezione;
- Commendatio: raccomandazione da parte dell’imperatore stesso.
Nel 22 a.C., durante una carestia, assunse l’incarico per di provvedere all’approvvigionamento di Roma. Nel 19 e
18 a.C. esercitò i poteri di censore.
Tra il 22 e il 19 a.C. Augusto si portò sul confine orientale, dove c’era da sistemare la questione partica e armena.
Attraverso una trattativa diplomatica riuscì a recuperare le insegne delle legioni di Crasso e Marco Antonio.
Nel 18 a.C. scadeva il mandato proconsolare per dieci anni sulle provincie non pacificate. Venne
rinnovato di altri cinque anni.
Nel 17 a.C. adottò i figli di Agrippa e Giulia, facendone di fatto i suoi successori designati.
Nel 12 a.C., alla morte di Lepido, ad Augusto fu conferita anche la carica di pontefice massimo.
Inoltre Augusto prese diversi provvedimenti che miravano a ripristinare il prestigio e la dignità dell’assemblea
senatoria, favorendo l’accesso delle élites provinciali più fortemente romanizzate:
- 29-28 a.C., lectio senatus: revisione delle liste dei senatori ed espulsione delle persone indegne.
- 18 a.C.: Radicale revisione, riporta il numero dei senatori ai 600 previsti da Silla.
Si definirono in modo rigoroso i due raggruppamenti da cui veniva reclutata la classe dirigente dello stato
romano: Senatori e cavalieri: i senatori detenevano tutte le più importanti magistrature a Roma e le maggiori
posizioni di comando nelle provincie. Poiché il loro numero non era sufficiente, vennero impiegati membri del
ceto equestre.
Per quanto riguarda Roma, l’opera di Augusto si può valutare su due piani: quello monumentale e quello della
razionalizzazione dei servizi. Egli concentrò la sua attività edilizia soprattutto nel foro romano, dove completò i
programmi edilizi di Cesare. Durante il suo principato furono costruiti o restaurati molti edifici pubblici,
acquedotti, terme, teatri e marcati e ci si preoccupò dell’organizzazione di servizi importanti per
l’approvvigionamento alimentare e idrico.
Verso l’8 a.C., in seguito ad una grave crisi, Augusto istituì un servizio stabile che doveva provvedere al
rifornimento granario delle provincie, con a capo un prefetto di ordine equestre. Alla morte di Agrippa, che si era
fino a quel momento occupato dei più importanti servizi dell’Urbe in quanto edile, i suoi compiti passarono a
collegi di senatori.
L’Italia non fu praticamente interessata da riforme amministrative. Tutti gli abitanti della penisola erano
divenuti cittadini romani. Le circa 400 città italiche godevano di autonomia interna e non erano soggette
all’imposta fondiaria.
Augusto divise l’Italia in 11 regioni, ma non vi erano funzionari amministrativi responsabili di queste suddivisioni.
L’amministrazione delle provincie vide un cambiamento di natura soprattutto politica:
- le province non pacificate (di frontiera o di recente conquista) erano sotto il diretto controllo di Augusto.
Crebbero da cinque a tredici alla fine del suo principato ed erano governate da appositi legati, i legati
Augusti pro praetore.
- Le altre provincie, arrivate a dieci nel I sec. d.C., erano di competenza del popolo romano, governate
sempre da senatori.
All’indomani di Azio la paga dei soldati, il cui numero era molto maggiore del necessario, gravava in maniera
pesante sulle casse dello stato. La liquidazione dei veterani in un primo tempo fu sostenuta con i bottini di guerra
e con il patrimonio personale di Augusto.
Sotto Augusto il servizio militare nelle legioni fu riservato a volontari, per lo più italici: l’esercito era quindi
formato da professionisti, che rimanevano in servizio per vent’anni o più. Si costituì in tal modo una forza
permanente effettiva composta da 25 legioni. La flotta stazionava in due porti, Miseno e Ravenna, ed era
comandata da un prefetto equestre.
Durante il suo regno le acquisizioni territoriali vere e proprie dell’impero furono limitate, malgrado guerre lunghe
e impegnative. Augusto preferì affidare alla diplomazia le questioni orientali. In Egitto furono estesi i confini
meridionali grazie ad un accordo con gli Etiopi (29-27 a.C.), e venne condotta una spedizione fino allo Yemen per
assicurare le vie commerciali con l’oriente (25-24 a.C.). I confini col regno dei Parti vennero stabilizzati attraverso
trattative diplomatiche. Si creavano in questo modo alcuni stati cuscinetto nell’ambito dell’egemonia romana, che
assolvevano a una funzione di controllo su zone poco urbanizzate al margine del deserto.
Il vero teatro degli scontri militari sotto Augusto fu l’Occidente:
27-25 fino al 19 a.C.: Pacificazione della penisola iberica e dell’area alpina occidentale.
21-20 a.C.: Il console L. Cornelio Balbo estese il controllo romano nell’Africa meridionale e sud-occidentale contro
le tribù dei Garamanti.
16-15 a.C.: Conquista dell’arco alpino centrale fino all’alto corso del Danubio da parte dei figliastri di Augusto,
Tiberio e Druso.
14-9 a.C.: Occupazione della Pannonia. La successiva acquisizione della Mesia segnò il definitivo consolidamento
della frontiera danubiana. Ci fu un unico, importante insuccesso: la mancata sottomissione della Germania, dove
le truppe di Quintinio Varo furono pesantemente sconfitte nel 9 a.C. La frontiera rimase dunque il Reno.
I particolari poteri che Augusto aveva ricevuto da senato non costituivano una vera carica a cui dopo la sua morte
qualcuno potesse succedere. Augusto doveva trovare dunque il modo di far sì che la sua posizione di potere non
andasse perduta con la sua morte, senza imporre una svolta apertamente monarchica alle istituzioni. La prima
preoccupazione di Augusto fu quella di integrare la propria famiglia nel nuovo sistema politico. L’erede scelto
all’interno della gens avrebbe ricevuto non solo il patrimonio privato, ma anche una sorta di prestigio che gli
garantiva un accesso privilegiato alla carriera politico-militare.
Nel 12 a.C. Agrippa, marito della figlia Giulia e erede designato, morì. Essendo i suoi figli, Caio e Lucio Cesari,
minorenni, Augusto si rivolse ai figli della terza moglie Livia: Tiberio e Druso. Tiberio dovette divorziare dalla
moglie e sposare Giulia nell’11 a.C., ma successivamente si autoelisiò dalla vita politica sull’isola di Rodi.
I figli di Agrippa morirono giovanissimi, nel 2 e nel 4 d.C., allora Tiberio ritornò a Roma e fu costretto ad adottare
Germanico, figlio di suo fratello Druso. A sua volta Augusto adottò Tiberio (4 d.C.). Nel 13 d.C. Tiberio celebrò il
trionfo sui Germani, e gli venne conferito un imperium pari a quello di Augusto.

III. I GIULIO CLAUDI


Tra il 14 e il 68 d.C. il potere rimase all’interno della famiglia Giulio-Claudia. Alla morte di Tiberio, successore di
Augusto, gli successe Gaio, detto Caligola. Quando morì Caligola il potere rimase nelle mani di Claudio. L’ultimo
esponente della dinastia fu Nerone.
Tiberio (14-37 d.C.). Il suo governo fu sostanzialmente una positiva prosecuzione di quello di Augusto. Durante il
suo regno emerge uno dei problemi che si ritroverà in tutta la storia imperiale: quello dei rapporti tra principi e
senato. Tiberio fu un amministratore accorto dello Stato, capace di affrontare in modo adeguato delicate
congiunture economiche. All’inizio del suo regno si ebbe la stabilizzazione della frontiera renana, ma Tiberio non
perseguì ampliamenti territoriali in Germania. Germanico, predestinato alla successione di Tiberio, venne ucciso
in circostanze misteriose ad Antiochia, nel 19 d.C. Alla sua morte si aprì a Roma un conflitto politico tra Tiberio e
Agrippina: si trattava di affrontare il problema della successione, a cui erano candidati il figlio di Tiberio, Druso
minore, e uno dei figli di Germanico e Agrippina.
Dal 23 a.C. il prefetto del pretorio Seiano iniziò a crearsi un forte potere personale. Si guadagnò la fiducia di
Tiberio, di cui fu fedele collaboratore, e nel 26 d.C., quando l’imperatore decise di ritirarsi a Capri, dominò di fatto
la vita politica a Roma.
Nel 31 a.C. dichiarò Agrippina nemico pubblico e la imprigionò insieme ai due figli maggiori. Gli ultimi anni del
regno di Tiberio non furono felici: scoppiò una grave crisi finanziaria e si acuirono i contrasti col senato. Iniziò un
periodo di terrore. Agrippina si suicidò e i suoi due figli maggiori vennero uccisi. Rimanevano come possibili
successori Tiberio Gemello, figlio di Druso Minore, e Gaio, detto Caligola, unico figlio sopravvissuto di Germanico e
Agrippina.
Nel 37 a.C., alla morte di Tiberio, vennero nominati eredi congiunti, ma Caligola fece uccidere Tiberio, ancora
minorenne, e divenne unico imperatore.
Caligola (37-41 d.C.). Il suo impero viene ricordato soprattutto per le sue stravaganze senza limiti. Gaio fu accolto
con grande entusiasmo dall’esercito e dalla plebe. Inaugurò una politica di donativi, grandi spettacoli e ambiziosi
piani edilizi che portò all’esaurimento delle risorse finanziarie lasciate da Tiberio. Molto più freddo era
l’atteggiamento del senato.
In politica estera Caligola si curò di ripristinare in Oriente un sistema di Stati cuscinetto. Ebbe un duro conflitto con
gli ebrei, perché volle porre una propria statua nel tempio di Gerusalemme, che la popolazione considerò un
gesto sacrilego.
Nel 41 a.C. Caligola cadde vittime di una congiura organizzata dai pretoriani. La sua morte ristabilì l’ordine in
Giudea e pose fine ai dissidi nelle città orientali.
Claudio (41-54 d.C.). Neppure Claudio, zio di Caligola, ebbe dalla sua il favore delle fonti antiche, che lo
presentano come un inetto dedito a manie erudite. La necessità di una razionalizzazione del governo dell’Impero
indusse Claudio ad una significativa riforma: l’amministrazione centrale fu divisa in quattro grandi uffici, a cui
vennero messi a capo dei liberti. Costruì, per far fronte al problema dell’approvvigionamento, il porto di Ostia, un
nuovo acquedotto, e bonificò la piana del Fucino, per aumentare la superficie coltivabile in Italia.
Nel 49 d.C. espulse gli Ebrei da Roma, per prevenire lo scoppio di disordini e tumulti. L’impresa militare più
rilevante di Claudio fu la conquista della Britannia meridionale, ridotta a provincia nel 43 d.C.
Nel 54 d.C. Agrippina, seconda moglie di Claudio, non esitò ad avvelenarlo per assicurare al figlio la successione al
trono.
Nerone (54-68 d.C.). All’inizio del suo regno Nerone assecondò l’influenza che esercitavano su di lui Seneca e il
prefetto del pretorio Afranio Burro, ma se ne distaccò progressivamente per inclinare verso una idea teocratica e
assoluta del potere imperiale. Era un grande ammiratore della Grecia, dell’Oriente e dell’Egitto, ed è sempre stato
considerato un imperatore vicino alla plebe che ne apprezzò l’istrionismo e la demagogia.
Nel 59 a.C. fece uccidere la madre Agrippina. Da allora cercò di annientare l’opposizione ed eliminare gli ultimi
nobili che potevano vantare una lontana forma di parentela con Augusto. Il dispotismo di Nerone (culminato
nell’incendio di Roma del 64 d.C.), pose le basi per la sua eliminazione. Nelle provincie, in particolare in Britannia,
già nel 60 d.C. vi era stata una grave ribellione delle popolazioni locali.
Nel 66 d.C. requisì parte del tesoro del tempio di Gerusalemme, motivo di una rivolta contro i romani, contro cui
Nerone aveva inviato Muciano e Vespasiano. Quest’ultimo riuscì a riportare sotto controllo la situazione. Nel
68/69 d.C. iniziarono una serie di sollevazioni da parte dei governatori delle provincie: prima in Gallia, poi in
Spagna e in Africa. Nerone fu allora dichiarato nemico pubblico, e venne riconosciuto come nuovo princeps Galba,
governatore della Spagna.
A Nerone non restò altra via se non quella del suicidio. La sua fine segnò anche quella della dinastia Giulio Claudia.

III. L’ANNO DEI QUATTRO IMPERATORI E I FLAVI


Alla morte di Nerone, avvenuta nel 68 d.C. si vengono a creare le condizioni per una nuova guerra civile, che vide
contrapposti senatori, governatori di provincia o comandanti militari, che forti del sostegno dei loro eserciti
assunsero il titolo di imperatore. Nel corso di quell’anno e di quello successivo si succedettero quattro imperatori
(Galba, Otone, Vitellio, Domiziano), esponenti il primo dell’aristocrazia senatoria, il secondo dei pretoriani e gli
ultimi due dell’esercito. La crisi del 68-69 d.C. dimostra come l’asse dell’impero si fosse ormai spostata lontano da
Roma.
Servio Suspicio Galba: Era un anziano senatore, governatore della Spagna Tarraconense. I suoi soldati lo
nominarono Cesare, ma lui rifiutò il titolo, ritenendo che i militari non avessero alcun diritto a conferirlo. Ciò
nonostante si diede da fare per acquisire il sostegno di altri oppositori di Nerone ma soprattutto del senato.
Galba fu riconosciuto imperatore da una delegazione di senatori, accettando stavolta il titolo. Non seppe tuttavia
guadagnarsi la popolarità e gli appoggi necessari per mantenere il potere: si rese infatti impopolare alla plebe e ai
soldati per i tagli alle spese con cui cercò di rimediare ai disastri finanziari di Nerone.
Marco Salvio Otone fu popolare soprattutto tra i pretoriani e l’ordine equestre, era stato amico d’infanzia di
Nerone. Dopo che i pretoriani ebbero linciato Galba nel Foro ebbe anche il riconoscimento del senato, delle
provincie danubiane e dell’Oriente. Fu proclamato imperatore nel gennaio del 69 d.C.
Contemporaneamente però le legioni sul Reno proclamarono imperatore il proprio comandante, Aulo Vitellio.
Aulo Vitelli era un senatore di rango consolare, ebbe presto il sostegno di parecchi altri eserciti stanziati nelle
provincie. I suoi legati riuscirono ad attraversare le Alpi prima della fine dell’inverno e sconfissero Otone il 14
aprile 69 d.C.
Vitellio, riconosciuto imperatore quando era ancora in Gallia, ebbe grandi difficoltà a frenare i soldati che avevano
combattuto per Otone. A quel punto le legioni orientali e quelle danubiane si ribellarono a Vitellio, proclamando
imperatore Vespasiano.
Tito Flavio Domiziano: il primo luglio 69 d.C. il prefetto d’Egitto organizzò la sua proclamazione ad imperatore da
parte delle truppe stazionate ad Alessandria. Seguì l’acclamazione degli eserciti presenti in Giudea, poi delle
legioni della Siria, infine di quelle Danubiane.
Mentre Vespasiano si trovava in Egitto, le legioni danubiane e quelle siriane marciarono sull’Italia e sconfissero i
Vitelliani. La lotta tra i sostenitori di Vetellio e Vespasiano continuò anche a Roma con scontri violenti, finché il 21
dicembre 69 d.C. Vitellio fu ucciso. Mentre si trovava ancora in Egitto, Vespasiano venne riconosciuto imperatore
dal senato. Con Vespasiano inizia la dinastia dei Flavi (69-96 d.C.) che vede il principato di Vespasiano seguito da
quello dei suoi due figli, Tito e Domiziano.
Vespasiano (69-79 d.C.). Il principato di Vespasiano rappresenta il definitivo consolidamento dell’impero come
istituzione. L’autorità del nuovo princeps fu definita da un decreto del senato. Vespasiano dovette affrontare il
grave deficit di bilancio provocato dalla politica di Nerone e dalla guerra civile. I provvedimenti presi in questo
senso gli diedero la fama di imperatore tirchio, ma in realtà si dimostrò un ottimo amministratore. Estese ai
cavalieri la responsabilità di alcuni uffici della burocrazia, togliendoli ai liberti. Il denaro per la ricostruzione delle
varie opere edilizie di Roma che erano andate distrutte durante la guerra civile venne anche dal bottino di guerra,
specialmente quella giudaica: nel 70 d.C. Tito conquistò Gerusalemme e ne distrusse il tempio.
Negli anni del suo impero Vespasiano ristabilì l’ordine nelle zone di confine lasciate sguarnite dalle truppe che
avevano partecipato alle guerre civili, soprattutto sul Danubio e in Britannia.
In Oriente abbandonò la politica dei regni clienti, aggregandone i territori alle provincie esistenti o creandone di
nuove.
Complessivamente Vespasiano riuscì a godere di un certo consenso.
Tito (79-81 d.C.). Tito, oltre a ricoprire insieme al padre alcune magistrature, era stato eccezionalmente anche
prefetto del pretorio, e già dal 71 d.C. aveva ricevuto l’imperium proconsolare e la potestà tribunizia.
Nel 79 d.C., alla morte del padre, l’avvicendamento avvenne senza problemi e continuò sulle linee tracciate. Il
breve regno di Tito fu funestato da calamità naturali, tra cui la rovinosa eruzione del Vesuvio che provocò la
distruzione di Pompei ed Ercolano. La popolarità di Tito era legata ad una politica di munificenza, che si discostava
da quella del padre.
Domiziano (81-96 d.C.). Il suo regno è contraddistinto da uno stile di governo autocratico, quindi inviso al senato,
ma la sua opera politica fu benefica ad efficace per l’Impero. Egli si preoccupò dell’amministrazione delle
provincie, di reprimere gli abusi dei governatori e di promuovere i compiti burocratici del ceto equestre. La scelta
di rinunciare a ulteriori vaste conquiste militari a favore di operazioni di rafforzamento delle frontiere si rivelò
realistica e lungimirante.
Costruzione di un impianto di accampamenti fortificati, collegati tra loro da una rete di strade e con i forti
presidiati dai soldati ausiliari sul limes. La linea avanzata aveva alle spalle la serie dei castra in cui stazionavano i
legionari.
85 d.C.: In Dacia re Decebalo era riuscito a unificare le varie tribù e a guidarle in diverse incursioni contro il
territorio romano. Una prima campagna non ebbe successo. La seconda, guidata da Domiziano in persona, non
poté portare a risultati definitivi a causa della rivolta di L. Antonio Saturnino, governatore della Germania
superiore, che costrinse Domiziano a firmare una pace provvisoria con Decebalo. La rivolta di Saturnino, che fu
domata dal legato della Germania inferiore, ebbe pesanti ripercussioni sulla politica di Domiziano: continuando a
sentirsi minacciato, l’imperatore inaugurò un periodo di persecuzione ed eliminazione di persone sospettate di
tramare contro di lui.
Questo stile autocratico costò caro a Domiziano, che nel 96 d.C. cadde vittima di una congiura. Il senato giunse a
proclamarne la damnatio memoriae.
Il cristianesimo viene formandosi come religione nel corso del I e II secolo d.C., scaturita dalla predicazione del suo
fondatore, Gesù Cristo, originario di Nazareth al tempo di Augusto e morto in croce sotto Tiberio. Le prime
comunità cristiane sorsero in seguito alla predicazione di Gesù, ma bisogna ricordare che il cristianesimo primitivo
iniziò come un movimento interno al Giudaismo.
Il giudaismo era diviso in vari gruppi, tra i quali emergevano i suddacei (aristocratici e conservatori) e i farisei (più
popolari e liberali): le condizioni sociali dell’epoca non potevano riservare un grande futuro alle prospettive
religiose e politiche dei suddacei, quindi per la maggior parte degli Ebrei si trattava di scegliere tra i farisei e il
cristianesimo, che proponeva una religione che aveva il suo fondamento nella fede in Cristo come valida per tutta
l’umanità.
Nel corso del I secolo d.C. va imponendosi la figura dell’apostolo Paolo di Tarso. Inizialmente le comunità cristiane
si organizzarono in forme diverse nelle singole città, ma dal II sec d.C. prevalse la struttura di comunità guidate da
un singolo responsabile, detto episcopus.
Augusto aveva garantito a tutte le comunità ebraiche la possibilità di conservare i propri costumi ancestrali, di
praticare il proprio culto e di mantenere legami con il centro di riferimento (il tempio di Gerusalemme). In diverse
occasioni però gli Ebrei furono avvertiti come elemento estraneo: sotto Tiberio furono espulsi da Roma, Caligola
aveva saccheggiato il tempio mentre Claudio, dopo aver ristabilito la tolleranza inaugurata da Augusto, nel 49 d.C.
li espulse anch’egli da Roma.
A partire da Nerone diventa evidentemente il contrasto tra l’autorità imperiale e la nuova religione cristiana,
considerata sovversiva e pericolosa. Nerone addirittura incolpò i cristiani del grande incendio che distrusse Roma
nel 64 d.C., iniziando contro di loro una cruenta persecuzione in cui morirono gli apostoli Pietro e Paolo. Negli
ultimi anni di Nerone scoppiarono rivolte in Palestina, che vennero stroncate da Vespasiano e Tito, che
distrussero anche il tempio. Sedata la rivolta non furono poste limitazioni al culto, che continuò sia in Palestina
che nella diaspora. Ebrei e cristiani subirono invece l’ostilità di Domiziano.

IV. IL II SECOLO
Il II secolo d.C. è considerato come l’età più prospera dell’Impero romano che poté godere di un notevole sviluppo
economico e culturale.
Nerva (96-98 d.C.). Il breve principato di Nerva vide la restaurazione delle prerogative del senato e un tentativo di
riassetto degli equilibri istituzionali interni. La prima preoccupazione di Nerva fu quella di controllare le reazioni
all’uccisione di Domiziano e scongiurare il pericolo dell’anarchia. Garantito l’ordine interno, l’imperatore si volse a
un’opera costruttiva di politica finanziaria e sociale a favore di Roma e dell’Italia: fu varata una legge agraria per
assegnare lotti di terra ai nullatenenti, e furono concessi dei prestiti da parte dello stato agli agricoltori.
97 a.C.: Sintomi di crisi che minacciarono questa politica di buongoverno. Si trattava di problemi sia economici che
politico-militari. Gli sgravi fiscali non rimediavano le difficoltà economiche già emerse sotto Domiziano, mentre sul
piano politico i pretoriani chiesero di punire gli assassini di Domiziano. Nerva accettò, ma in questo modo puniva
coloro che lo avevano portato al potere, compromettendo il proprio prestigio. L’unico sistema per impedire una
nuova disgregazione dell’impero era scegliere un successore che fosse in grado di affermarsi anche militarmente
contro i pretoriani. Nerva adottò Marco Ulpio Traiano, un senatore di origine spagnola, che nel 98 d.C., alla sua
morte, gli succedette come imperatore.
Traiano (98-117 d.C.). Quando fu designato imperatore Traiano stava svolgendo le sue funzioni di governatore in
Germania meridionale. A Roma si recò nel 99 d.C., dopo aver completato il consolidamento del confine renano.
Traiano è stato paragonato a una sorta di generale della Repubblica: tra i suoi programmi un posto di rilievo ha
l’espansione territoriale.
101-102 d.C. e 105-106 d.C, Campagne Daciche: Dopo aver sconfitto Decebalo, che Domiziano non era riuscito a
battere definitivamente, la Dacia, regione ricca d’oro, fu ridotta a provincia. L’enorme bottino ricavato dalla
conquista e l’oro che arrivava a Roma dalle miniere daciche servì per finanziare imprese militari e la costruzione di
diverse opere pubbliche. L’imperatore mostrò grande interesse per la frontiera orientale. Istituì la provincia
d’Arabia e nel 114 d.C. istituì una grande campagna contro i Parti, durante la quale furono occupate l’Armenia,
l’Assiria e la Mesopotamia.
Traiano, richiamato a fronteggiare una rivolta degli Ebrei scoppiata in Mesopotamia, decise di abbandonare le
nuove conquiste. Morì in Cilicia, sulla via del ritorno verso Roma. Le truppe acclamarono imperatore il
governatore della Siria Publio Elio Adriano, un parente spagnolo di Traiano.
Adriano (117-138 d.C.). Adriano, di origine spagnola, aveva percorso la carriera senatoriale
romana, probabilmente grazie all’aiuto di Traiano, che dopo la guerra partica gli aveva affidato
la provincia della Siria. Per acquisire la pubblica benevolenza, Adriano si preoccupò di alleviare
il malessere economico, cancellando i debiti arretrati contratti a Roma e in Italia con la cassa
imperiale e facendo distribuzioni al popolo. Fu un amministratore attento e un riformatore della
disciplina militare. Fu anche uomo di grande cultura e favorì in ogni modo l’arte e la letteratura.
A Roma fece costruire per lui un mausoleo (Castel S.Angelo).
Adriano passò gran parte del suo regno viaggiando attraverso le provincie: tra il 121 e il 125 d.C. visitò le provincie
renane e danubiane e visitò la Britannia, dove cominciò la costruzione del vallo a difesa della zona meridionale
contro le tribù non romanizzate del nord. Passò poi in Gallia, in Spagna, in Africa, e infine in Asia minore e in
Grecia (129-134 d.C.).
Nel 132 d.C., dopo il suo passaggio, scoppiò in Palestina una gravissima rivolta, provocata dalla volontà di Adriano
di assimilare gli Ebrei agli altri popoli dell’Impero. La ribellione fu repressa in maniera spietata.
Adriano passò 12 dei 21 anni di regno lontano da Roma: si preoccupò personalmente di dare una forma definitiva
alle competenze giurisdizionali dei governatori provinciali e si adoperò per un’efficiente amministrazione della
giustizia (l’Italia fu divisa in 4 distretti giudiziari assegnati a senatori di rango consolare).
Come successore Adriano scelse il console del 136 a.C., Lucio Elio Cesare, che adottò. Dopo la sua prematura
morte la scelta di Adriano cadde verso un senatore della Gallia Narborense, Arrio Antonino. Costui adottò a sua
volta Lucio Vero e il futuro Marco Aurelio.
Antonino Pio (138-161 d.C.). Il regno di Antonino Pio fu all’insegna della continuità con quello precedente. A
differenza di Adriano, però, rinunciò ai grandi viaggi. Si tratta di un periodo sostanzialmente privo di avvenimenti:
il principe ebbe buoni rapporti con il senato, e fu un parsimonioso amministratore. Durante il suo regno non ci
furono minacce per la sicurezza dell’impero. Per sua volontà il vallo di Adriano fu avanzato nella Scozia
meridionale.
Nell’età di Antonino Pio Roma raggiunse l’apogeo del proprio sviluppo. Le città rappresentavano il segno distintivo
della civiltà rispetto alla rozzezza e alla barbarie. Nell’Impero vi era dunque una grande varietà di tipologie
cittadine e una grande diversità di statuti. Le città erano organizzate secondo tre tipologie fondamentali:
- Città peregrine: quelle preesistenti alla conquista e alla loro riorganizzazione all’interno dell’Impero. A
loro volta si possono dividere in tre gruppi in base al loro status giuridico nei confronti di Roma. Le città
stipendiate (che pagano un tributo), le città libere, le città libere federate (hanno concluso con Roma un
trattato sul piano d’uguaglianza);
- Municipi: agli abitanti di queste città veniva accordato il diritto latino o romano;
- Colonie: città di nuova fondazione con apporto di coloni che godono della cittadinanza romana su terre
sottratte a città o popoli vinti.
Le città costituivano il punto di riferimento delle attività economiche e i nuclei della vita culturale. Roma,
diffondendo la cultura urbana e promuovendo la crescita e la collaborazione con l’élite cittadina, si assicurava in
primo luogo il controllo dell’ordine e della stabilità su tutto l’impero.
Marco Aurelio (161-180 d.C.). Come voleva Antonino Pio, inizialmente il potere fu diviso tra Marco Aurelio e il
fratello adottivo Lucio Vero.
Nel 166 a.C. Vero concluse vittoriosamente la guerra contro i Parti, ma portò a Roma la peste, che si diffuse negli
anni successivi, causando lutti e devastazioni nell’Impero. A nord, superato il Danubio, i barbari (Marcomanni e
Quadi) invasero la Pannonia, la Rezia e il Norico, giungendo perfino a minacciare l’Italia. Morto Lucio Vero, nel 169
d.C., Marco Aurelio riuscì a ristabilizzare la situazione nel 175 d.C., respingendo i barbari al di là del Danubio.
175 d.C., rivolta del governatore di Sira Avidio Crasso: venne ucciso dai suoi stessi soldati, che prevennero così il
conflitto armato. Marco Aurelio è passato alla storia come l’immagine stessa dell’imperatore-filosofo. Con lui si
ritornò alla prassi della successione dinastica.
Commodo (180-192 d.C.). Commodo divenne imperatore a 19 anni. Il suo primo atto fu quello di concludere la
pace con le popolazioni che premevano sul Danubio. Le sue inclinazioni dispotiche e le sue stravaganze
determinarono la rottura col senato. Dal 182 al 185 d.C. il governo fu di fatto in mano al prefetto del pretorio
Tigidio Perenne. Quando questi fu ucciso il suo ruolo fu preso da un liberto, Cleandro, che arrivò nel 189 d.C. ai
fastigi dell’ordine equestre.
190 d.C., grave carestia: fece cadere il potere di Creando, offerto come capo espiatorio alle ire della plebe.
Tra il 190 e la sua morte, avvenuta nel 192 d.C., Commodo lasciò il potere in mano a un cortigiano, Electo, e al
prefetto del pretorio Leto, che completarono il dissesto finanziario e ordinarono la congiura che uccise
l’imperatore. Commodo non dimostrò cura assidua per le provincie, né per i soldati degli eserciti stanziati
nell’Impero. Il consenso interno era fondato sulla plebe e sui pretoriani, piuttosto che sull’aristocrazia e il senato.
Sotto il principato di Commodo molte divinità straniere entrarono nel pantheon romano. Alla sua morte la sua
memoria fu condannata e il suo nome cancellato da ogni monumento.

PARTE V: CRISI E RINNOVAMENTO (III - IV SECOLO D.C.)


I. LA CRISI DEL III SECOLO E LE RIFORME DI DIOCLEZIANO
Già durante i regni di Marco Aurelio e Commdo, all’interno dell’Impero si erano manifestati diversi fattori di crisi
che divennero presto elementi di disgregazione: in campo politico, il senato si trovò esautorato a vantaggio dei
militari, mentre in campo fiscale la svalutazione della moneta impoverì i ceti medi, portando con sé la decadenza
economica delle città. Nel corso del III secolo questa crisi si aggravò, conducendo l’Impero romano ad una
situazione difficilissima. Due furono le componenti decisive in tale processo: l’esercito all’interno e i barbari
all’esterno, che devono essere messe in relazione con la grave crisi economica che aveva colpito l’Impero.
È al nuovo ruolo dell’esercito che si deve la trasformazione
dell’ideologia del potere imperiale verso forme sempre più assolutistiche. Cambia anche il
rapporto tra imperatore e senato: ormai l’imperatore riconosce al senato solo la funzione di
organismo burocratico soggetto alla propria autorità assoluta.
La situazione confusa che segue all’uccisione di Commodo presenta forti analogie con quella del 68-69 d.C. (l’anno
dei 4 imperatori). Ci fu un periodo di regni effimeri (Pertinace e Didio Giuliano), ma si capì subito che la vera lotta
per il potere riguardava chi aveva il controllo delle forze militari più ingenti:
- Settimio Severo, legato di Pannonia
- Pescennio Nigro, governatore della Siria
- Clodio Albino, governatore della Britannia
197 d.C.: vittoria di Settimio Severo. Mosse i suoi soldati direttamente alla volta di Roma. Impossessatosi del
potere diede vita alla dinastia dei Severi, che resse l’Impero fino al 235 a.C. (Settimio Severo, Caracalla, Elagabalo
e Alessandro Severo.
Settimio Severo (197-211 d.C.). Con il suo regno ha inizio quella che viene definita una “monarchia militare”, nella
quale l’autorità dell’imperatore si basa sulla forza degli eserciti. Settimio rivolse subito la sua attenzione verso la
frontiera orientale, nuovamente minacciata dai Parti. Riuscì a portare il confine romano al Tigri, e fu proprio grazie
al quel successo che prese forma il suo progetto dinastico: il figlio maggiore Caracalla fu nominato Augusto,
mentre il minore, Geta, fu proclamato Cesare.
Nel 208 d.C. decise di organizzare una spedizione in Britannia, dove creavano problemi le invasioni dei Caledoni,
abitanti dell’odierna Scozia. Le operazioni di difesa non si erano ancora concluse quando l’imperatore morì a York,
nell’11 d.C.
Caracalla (211-218 d.C.). Caracalla fece assassinare il fratello Geta per avere tutto il potere per sé.
Nel 212 d.C. egli dispose la concessione della cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell’impero, grazie alla
promulgazione della Constitutio Antoniniana (o editto di Caracalla), alla quale contribuirono probabilmente
ragioni di carattere fiscale: con tale provvedimento aumentava il numero di contribuenti. Anche Caracalla non si
sottrasse all’ambizioso disegno di condurre una campagna in Oriente contro i Parti. Durante questa spedizione,
nel 217 d.C., venne assassinato a Carre, senza aver nominato un successore. Imperatore fu allora acclamato
il prefetto del pretorio Macrino, uno dei capi della congiura (17-18 d.C.)
Elagabalo (218-222 d.C.). Quando Macrino fu ucciso, la zia di Caracalla Giulia Mesa, fece sì che venisse eletto
imperatore suo nipote Vito Avito Bassiano, detto Elegabalo. Elagabalo è ricordato soprattutto per il suo intenso
misticismo e per il tentativo di imporre come religione di Stato un culto esotico e stravagante, quello del dio Sole
venerato in Siria.
Nel 122 d.C. Elagabalo fu assassinato da una congiura di pretoriani, che proclamarono imperatore il cugino
Bassiano, che gli successe col nome di Alessandro Severo.
Alessandro Severo (222-235 d.C.). Il suo regno trasse profitto dal fatto che l’azione di governo fu in mano, almeno
nei primi anni, al grande giurista Ulpiano. I rapporti tra imperatore e senato tornarono ad essere improntati a uno
spirito di collaborazione.
Nel 224 d.C., i Persini scatenarono un’offensiva in Mesopotamia che arrivò a minacciare anche la Siria.
L’intervento dell’imperatore in Oriente riuscì a bloccare l’offensiva nemica. Appena rientrato a Roma fu chiamato
in Gallia, minacciata a sua volta dalle incursioni di popolazioni barbariche.
Nel 235 d.C. fu assassinato a Magonza da una nuova congiura di militari. Con la sua morte finisce la dinastia dei
Severi, che aveva accentuato la forza dell’esercito, divenuto il vero padrone dei destini dell’Impero.
235 d.C., Morte di Alessandro Severo anarchia militare fino al 284 d.C.
Al posto di Alessandro Severo l’esercitò proclamò imperatore un generale di origine Trace, Massimino. Con il suo
regno incomincia l’epoca considerata di massima crisi, nel quale si succedono circa venti imperatori, in circa un
cinquantennio.
Il regno di Massimino il Trace, ottenne delle vittorie nelle sue compagne contro i barbari, ma la durezza del suo
regime, che impose una fortissima pressione fiscale, lo fece dichiarare nemico pubblico dal senato.
Venne proclamato Gordiano, proconsole in Africa, che si associò il figlio. Scoppiò allora una rivolta repressa dai
soldati fedeli a Massimino, e il senato affidò la guida dello Stato a venti consolari al cui interno furono nominati
Augusti Pupieno e Balbino.
Nel 238 d.C. Massimino mosse alla volta dell’Italia, ma venne assassinato dalle sue stesse truppe presso Aquileia.
Nel frattempo a Roma furono uccisi Augusti Pupieno e Balbino dai pretoriani, che proclamarono Augusto il nipote
di Gordiano, Gordiano III.
Nel 244 d.C., alla morte di Gordiano III, fu acclamato imperatore Filippo detto “l’Arabo”, nel corso di una
campagna in Persia. Filippo si affrettò a stipulare una pace col re Persiano. Nel 248 d.C. celebrò con grande enfasi
il millenario di Roma. Venne ucciso anche lui, e nel 249 d.C. l’esercito acclamò Augusto Messio Decio. Il suo breve
regno è caratterizzato da un tentativo di difendere le frontiere orientali e da un’evidente volontà di rafforzare
l’osservanza dei culti tradizionali (infatti discriminò i cristiani). Morì nel 251 d.C. combattendo contro i Goti. La
situazione per l’Impero si era fatta pesantissima: sul confine gallico e su quello germanico premevano le
popolazioni degli Alamanni e dei Franchi; la frontiera del Basso Danubio era attaccata dai Goti mentre ad Oriente i
persiani si stavano impadronendo della Siria.
Venne eletto imperatore Valeriano (253-260 d.C.), che associò immediatamente al potere il figlio Gallieno e
decentrò il governo dell’Impero: mise infatti Gallieno a difesa delle provincie occidentali e lui tentò una campagna
contro i Persiani, che finì tragicamente: venne infatti sconfitto ad Edessa e fatto prigioniero dal re persiano
Sapore. Morì in cattività.
Gallieno si ritrovò solo a reggere l’Impero tra il 260 e il 268 d.C. Riuscì a bloccare l’avanzata degli Alemanni e dei
Goti, anche se fu costretto a rinunciare alla Dacia. Gallieno dovette anche tollerare che all’interno dell’Impero si
formassero due regni separatisti: quello delle Gallie, retto da Postumo e quello di Palmira (Siria, Palestina e
Mesopotamia), con a capo Odenato.
268 d.C., uccisione di Gallieno. Prende il potere Claudio II (268-270 d.C.), primo di una serie di imperatore detti
“illirici”, perché originari di quella regione. Claudio ottenne due importanti successi, uno con gli Alemanni e l’altro
contro i Goti.
Aureliano (270-275 d.C.), portò a termine l’opera del predecessore, riuscendo ad avere ragione delle popolazioni
barbariche che erano penetrate di nuovo nella pianura padana. Riuscì anche a sottomettere i due stati autonomi
che si erano costituiti negli anni precedenti: nel 272 d.C. si impadronì in Siria della città di Palmira e nel 274 d.C. fu
sconfitto l’ultimo sovrano del regno separatista delle Gallie, Tetrico: l’unità dell’Impero risultava così ricostituita.
Aureliano ebbe il merito di restituire un certo prestigio alla figura del sovrano, e riorganizzò lo stato in tutti i
settori essenziali della vita economica.
Ucciso Aureliano nel 275 d.C., ci fu un breve regno dell’imperatore senatorio Tacito (275-276 d.C.). Dopo Tacito
governò Probo (276-282 d.C.), che riuscì ad ottenere una serie di successi sui barbari. Nonostante questo fu
ucciso in una congiura mentre preparava una campagna contro la Persia.
Il suo successore Caro (283 d.C.) condusse felicemente tale campagna, ma anch’egli fu ucciso da una congiura
militare.
Alla fine solo detentore del potere si ritrovò ad essere l’Illirico Diocleziano, nel 285 d.C.
Diocleziano (284-305 d.C.). Con il regno di Diocleziano si chiuse definitivamente l’età buia che va sotto il nome di
“crisi del III secolo”. Il regno di Diocleziano è contraddistinto da una forte volontà restauratrice dello stato a tutti i
livelli: politico-militare, amministrativo ed economico. Stabilì la propria sede in Oriente, a Nicomedia.
L’ideologia conservatrice che ispirò le sue riforme ebbe come esito una serie di misure che riorganizzarono
l’Impero su base diverse rispetto a quelle originarie.
Diocleziano concepì un sistema di potere in base al quale al vertice dell’Impero c’era un collegio imperiale
composto da quattro monarchi: i Tetrarchi, due dei quali, detti Augusti, erano di rango superiore ai secondi, detti
Cesari.
Questa riforma, che aveva come principale obiettivo quello di fronteggiare meglio le varie crisi regionali attraverso
una ripartizione territoriale del potere, fu attuata attraverso tappe graduali. Una delle conseguenze della
Tetrarchia fu che ogni Augusto regnava alternativamente sull’Oriente e sull’Occidente.
Diocleziano andò a risiedere a Nicomedia, Massimiano scelse Milano.
Anche il numero delle province aumentò, riducendo così l’ampiezza dei loro territori. L’esercito fu ulteriormente
potenziato e le truppe migliori furono messe a disposizione dei Tetrarchi. Diocleziano si impegnò a fondo anche
nella riorganizzazione del sistema economico e fiscale (tassazione sul reddito agricolo, impero diviso in 12 unità
regionali, dette diocesi, riforma monetaria). In campo militare, i successi più importanti di Diocleziano riguardano
la soppressione di una serie di rivolte scoppiate in Egitto e in Britannia.
Nel 303-304 d.C. vennero perseguitati violentemente i cristiani. Le persecuzioni finirono completamente solo dieci
anni dopo.
Il 1° maggio 305 d.C., Diocleziano e Massimiano abdicarono e il loro posto fu preso dai due Cesari Costanzo
Cloro e Galerio. Il sistema tetrarchico entrò subito in crisi: alla morte di Cloro, a York, l’esercito nominò
imperatore il figlio Costantino invece che il Cesare designato, Severo.

II. DA COSTANTINO A TEODOSIO MAGNO: LA TARDA ANTICHITÀ E LA CRISTIANIZZAZIONE


DELL’IMPERO
Il periodo che inizia con Costantino e arriva fino a Giustiniano viene indicato col termine “Tarda Antichità”. Al suo
interno si distingue una fase particolarmente significativa, quella che va dal regno di Costantino alla morte di
Teodosio Magno (395 d.C.): esso coincide più o meno col IV secolo e con il definitivo affermarsi del cristianesimo
come religione dell’Impero romano.
In questo periodo il governo dello Stato è diretto dai detentori delle più alte cariche civili e militari. L’imperatore
non risiede più a Roma, il che comporta un distacco dell’aristocrazia senatoria dagli organismi di potere (il senato
smette di avere potere reale), e si assiste alla scomparsa dell’ordine equestre, assorbito da quello senatorio.
Costantino (306-337 d.C.). Inizialmente Costantino condusse una politica prudente, che conobbe una svolta nel
310 d.C.: a partire da questo momento egli mostra di propendere per una religione di tipo monoteistico.
Nel giro di due anni l’intricata situazione politica si semplifica: Costantino ebbe la meglio su Massenzio (figlio di
Massimiano, che reclamava il potere) nel 312 d.C., nella battaglia di Ponte Milvio, e poté impadronirsi di Roma. La
vittoria fu ottenuta nel segno di Cristo, da un imperatore che aveva abbandonato il paganesimo per il
cristianesimo.
La conversione di Costantino fu un evento di portata rivoluzionaria, perché significò l’inserimento delle strutture
della Chiesa in quelle dello Stato. La conversione di Costantino ebbe probabilmente luogo dopo la vittoria su
Massenzio. All’inizio del 313 d.C. Costantino e Licinio si incontrarono a Milano dove si accordarono sulle questioni
fondamentali di politica religiosa (“Editto di Milano”).
I contrasti tra i due, che governavano ormai tutto l’Impero, cominciarono però molto presto.  324 d.C.,
Costantino sconfigge Licinio ad Adrianopoli e diventa l’unico imperatore.
314 d.C.: Sinodo di Arles. Convocato nel tentativo di sanare il conflitto sorto in Africa tra rigoristi e i moderati a
proposito dell’atteggiamento da tenere contro coloro che avevano abiurato durante le persecuzioni cristiane
finite un anno prima.
325 d.C.: Concilio di Nicea. Convocato per salvaguardare l’unità della chiesa da conflitti di ordine teologico.
330 d.C.: Fondazione di Costantinopoli, edificata in una posizione strategica molto importante all’ingresso del
Mar Nero, era anche il riconoscimento dell’importanza dell’Oriente all’interno dell’Impero.
Tra le riforme di Costantino, una delle più importanti fu quella dell’esercito: è a lui infatti che si deve la creazione
di un esercito mobile, detto comitatus, perché accompagnava l’imperatore. Il comando fu affidato a due distinti
generali, uno di cavalleria e uno di fanteria. Il problema militare non fu però superato: l’esercito mancava di
soldati, che finirono per essere sempre più reclutati tra i barbari che premevano alle frontiere piuttosto che tra i
contadini.
La minaccia barbarica era diventata così importante che non consentiva una soluzione definitiva: l’impero da una
parte tentava di combatterli, dall’altra attuava una politica di assorbimento nei quadri dell’organismo imperiale
“barbarizzazione della società”.
Costantino ricevette il battesimo solo in punto di morte, nel 337 d.C.
Alla morte di Costantino, che non aveva affrontato in modo coerente il problema della successione, regnava un
clima di reale incertezza. I suoi tre figli Costantino II, Costante e Costanzo trovarono un accordo per il governo
congiunto dell’Impero. A Costantino II andarono le Gallie, la Britannia e la Spagna, a Costante l’Africa e l’Italia,
mentre a Costanzo andò l’Oriente.
L’accordo si rivelò assai precario, già nel 340 d.C. Costantino II venne ucciso durante un’incursione nei territori di
Costante, che a sua volta venne ucciso nel 350 d.C. da un usurpatore, Magnenzio. Ritrovatosi unico imperatore,
Costanzo II fu costretto a trovare qualcuno cui offrire il governo dell’Occidente: la scelta ricadde sul cugino
Giuliano, che nominato Cesare nel 355 d.C. riuscì a pacificare la Gallie grazie alle vittorie sugli Alamanni.
Proclamato nel 360 a.C. imperatore dalle truppe in Gallia, sembrò ricondurre l’esercito verso un nuovo conflitto
dinastico, che fu prevenuto dalla morte di Costanzo II, nel 361 d.C.
Giuliano regno fino al 363 d.C., quando morì in una campagna contro i Persiani.
La morte di Giuliano in territorio persiano richiese nello stesso tempo la nomina di un successore e una rapida
soluzione del conflitto.
Valentiniano (364-375 d.C.). Affidò subito al fratello Valente il governo dell’Oriente.
Valentiniano si segnalò per una politica di tolleranza religiosa e di sostegno alle classi più umili.
Il suo regno è però soprattutto importante per un efficace contenimento dei Barbari che premevano ai confini. Tra
il 365 e il 375 d.C. Valentiniano riuscì a difendere il confine renano-danubiano.
Nel frattempo a Valente toccò affrontare una situazione molto difficile: l’incursione degli Unni sottoponeva a forte
pressione i Goti, che a loro premevano sulla frontiera Danubiana. Falliti i tentativi di insediarli pacificamente,
Valente li affrontò nella battaglia di Adrianopoli (378 d.C.), che si risolse in un massacro per l’esercito romano e
dove lo stesso imperatore perse la vita.
Alla morte di Valentiniano gli successe il figlio Graziano, insieme al fratello Valentiniano II. Essendo ancora un
ragazzino Graziano chiamò l’esperto generale Teodosio a condividere con lui la guida dell’Impero.
Il compito di Teodosio era quello di far fronte alla drammatica situazione che si era venuta a creare in Oriente:
consapevole dell’impossibilità di ricacciare i Goti oltre le frontiere, Teodosio concluse un accordo col loro capo
Fritigerno (382 d.C.).
La particolarità di questo trattato risiede nel fatto che i Goti ricevettero delle terre all’interno dell’impero romano
come popolazione autonoma, e mantenevano i loro capi e le loro leggi, pur essendo tenuti a fornire soldati
all’Impero.
Nel frattempo, in Occidente, le cose si andavano complicando:
383 d.C.: Usurpazione di Magno Massimo in Britannia. Quando questi invase la Gallia, Graziano si tolse la vita.
Dopo aver governato per alcuni anni sulla Gallia, invase l’Italia, dove governava Giustina, per conto del figlio
Valentiano II. L’invasione provocò la reazione di Teodosio, che sconfisse Massimo nel 388 d.C.
La situazione si era appena ristabilita quando un generale franco, Arbogaste, fece assassinare Valentiniano II, e
nominò imperatore Eugenio. Intervenne di nuovo Teodosio, che nel 394 d.C. sconfisse definitivamente Eugenio,
divenendo unico imperatore.
Teodosio manifestò particolare attenzione al problema religioso: 380 d.C., editto con il quale la religione
cristiana diventava religione ufficiale dell’Impero.
IV secolo d.C.: età di decisivi cambiamenti in ambito religioso. Il trionfo del Cristianesimo porta novità
fondamentali sia nella politica che nella società: il vescovo, l’uomo santo e la donna diventano i protagonisti un
mondo profondamente rinnovato. Solo a Roma l’aristocrazia senatoria difende il paganesimo, anche per tutelare
la propria identità politica.
Crisi economica: Le incursioni barbariche che colpirono l’Italia determinarono, con la rottura del limes, la chiusura
dei circoli commerciali mediterranei, a loro volta tendenti a circoscriversi progressivamente in aree più ristrette
rispetto a quelli dell’Europa settentrionale. Il tipo di stato che emerge da questa crisi del III secolo è caratterizzato
da una maggiore pressione coercitiva sulla società, da un irrigidimento a tutti i livelli sull’articolazione sociale e da
un accresciuto fiscalismo. Nelle campagne compare una figura nuova, il coltivatore di stato libero ma di fatto
vincolato alla sede in cui lavora.
Vi è la perdita da parte dell’Italia della sua posizione privilegiata dal punto di vista fiscale e la sua equiparazione di
fatto alle altre provincie (sotto Diocleziano). La frammentazione politica seguita alle invasioni barbariche provocò
nel V sec. d.C. la definitiva rottura delle relazioni commerciali all’interno del Mediterraneo, che determinarono un
rapido abbassamento delle condizioni di vita e un netto declino demografico.
“Tarda Antichità”: dalla tetrarchia fino all’invasione longobarda dell’Occidente (568 d.C.). Linea di demarcazione
tra antichità e Medioevo. Si è venuta consolidando nella storiografia l’idea di Tarda Antichità con caratteri originali
e distintivi, un’immagine di un’epoca portatrice di valori positivi. Nell’età tardoantica cambia anche il potere
dell’imperatore: il sovrano è colui che si conforma in massimo grado alle leggi e che per conseguenza è il più
giusto. Il potere del re è “irresponsabile”, nel senso che non deve render conto a chicchessia. Ma non per questo
si sottrae alla legge, proprio perché l’incarna. Il monarca diventa sempre più un riflesso di una divinità in una
dimensione sacrale, l’unico intermediario per arrivare al cielo. L’imperatore tardoantico è tale per grazie divina.
La Tarda Antichità è un’età di forti contraddizioni, dove sono anche presenti caratteri autoritari e repressivi, che
fecero largo uso della tortura, che prima era invece riservata solo agli schiavi. Come spiegazione per il generale
inasprimento delle pene si possono invocare attori di diversa natura, soprattutto politica.
361-363 d.C.: Regno di Giuliano. Tentativo di promuovere il ritorno al paganesimo. Si impegnò in un complesso
disegno di riforma della religione pagana tradizionale, che si ispira in maniera abbastanza evidente alla Chiesa
cristiana.

PARTE VI: LA FINE DELL’IMPERO ROMANO D’OCCIDENTE E BISANZIO


I. LA FINE DELL’IMPERO ROMANO D’OCCIDENTE
Metà del IV secolo d.C.: I Goti erano la forza predominante nella regione del Ponto, operando nei due
raggruppamenti fondamentali di Ostrogoti e Visigoti. Per buona parte del secolo le relazioni tra Romani e Goti
furono condizionate dal trattato di pace di Costantino del 332 d.C., che faceva dei Visigoti uno stato- cliente dei
romani.
La situazione ebbe una svolta drammatica quando i vari regni gotici entrarono in crisi a loro volta per la pressione
esercitata su di loro dagli Unni: nel 376 d.C. i Visigoti fecero richiesta di essere accolti a sud del Danubio, in Tracia,
fuori dalla portata degli Unni.
Dopo la disfatta di Adrianopoli nel 378 d.C. questa fase critica si chiude nel 382 d.C. con il trattato stipulato da
Teodosio, che consentì definitivamente l’insediamento dei Goti entro le frontiere dell’Impero. Da questo
momento in poi gli imperatori si appoggiarono sempre più alle tribù germaniche e ai loro capi.
L’influsso dei Germani sulla politica interna romana si basa quasi esclusivamente sulla loro posizione guadagnata
all’interno della gerarchia militare, non si sa se abbiano occupato cariche anche nell’amministrazione civile.
L’Italia settentrionale e centrale nel corso del IV secolo conobbe una serie di accantonamenti di barbari come
risultato di una politica mirata e di accordi pacifici: solo eccezionalmente, però, veniva concessa ai barbari la
cittadinanza romana, al contrario si cercò di mantenere tra romani e barbari una reciproca estraneità.
La chiesa sembra conciliante e disponibile verso i barbari, in quanto ne rileva l’utilità per funzioni di difesa.
395 d.C.: Morte di Teodosio. Momento di svolta decisivo per l’impero romano.
Per la prima volta esso fu diviso territorialmente in due parti tra i due figli di Teodosio: ad Arcadio andò l’Oriente,
a Onorio l’Occidente. Si crearono due corti, due amministrazioni, due eserciti completamente autonomi.
L’esito di tale smembramento risultò particolarmente rovinoso per l’Occidente, minacciato dalle sempre più
frequenti invasioni dei barbari, mentre l’Oriente dovette fronteggiare il tradizionale nemico Persiano.
Nelle intenzioni di Teodosio in realtà, il principio unitario doveva essere mantenuto dal generale di origine
vandalica Silicone, a cui affidò in tutela i due figli. Questo compito fu però impossibile da realizzarsi, a causa del
continuo aggravarsi della situazione militare.
398 d.C.: Rivolta in Africa repressa a fatica di Stilicone, ma una serie di invasioni barbariche scosse l’Impero.
402 e 406 d.C.: Invasione dei Goti, guidati da Alarico e da Radagaiso. In entrambi i casi Stilicone riuscì a fermarne
l’avanzata, ma alle fine del 406 d.C. la frontiera renana fu travolta da numerose popolazioni germaniche:
- Vandali, Alamanni, Burgundi, Franchi, Svevi e Alani dilagarono in Gallia;
- la Britannia si staccò definitivamente dall’Impero.
- Vandali, Alani e Svevi si stabilirono in Spagna dopo aver varcato i Pirenei.
Stilicone venne accusato di intesa con i barbari e messo a morte nel 408 d.C. L’Italia fu di fatto abbandonata alle
scorribande di Alarico, che nel 410 d.C. entrò a Roma e la saccheggiò (sacco di Roma, era la prima volta
dall’incendio gallico del 390 a.C.).
Dopo aver saccheggiato Roma Alarico si diresse verso il sud Italia. La sua morte improvvisa risparmiò ulteriori
traversie all’Italia: i Goti si ritirarono in Gallia meridionale, dove dettero vita a uno stato vero e proprio con
capitale Tolosa.
Poco dopo anche i Burgundi diedero vita a un regno proprio.
423 d.C., Morte di Onorio. Dopo che il potere venne preso per poco tempo da un usurpatore, nell’autunno 425
d.C. venne eletto Valentiniano III.

Decenni iniziali del V secolo: I Vandali posero fine alla storia dell’Africa Roma.
Nel 429 d.C. essi passarono dalla Spagna in Africa dallo stretto di Gibilterra. L’anno dopo assediarono Ippona,
nell’odierna Algeria, nell’assedio morì il vescovo della città, Sant’Agostino. Nel 439 d.C. cadde anche Cartagine e il
re vandalo Genserico ottenne dalla corte ravennate il riconoscimento del suo regno. Il regno vandalico non durò a
lungo, fu conquistato da Giustiniano del 534 d.C. e inglobato nell’Impero d’Oriente.
Contemporaneamente dalla Pannonia incombevano gli Unni guidati da Attila. In un primo tempo essi si diressero
verso Oriente, ma in seguito indirizzarono le loro mire verso Occidente. Dopo aver invaso la Gallia, gli Unni furono
sconfitti da Ezio nel 451 d.C. Quando Attila mosse alla volta dell’Italia, l’anno successivo, gli Unni lasciarono
improvvisamente la penisola dopo aver incontrato una delegazione guidata da Papa Leone I. La morte di Attila
provocò la rapida dissoluzione del suo regno.
454 d.C.: Morte di Ezio.
455 d.C.: Roma fu saccheggiata per la seconda volta, questa volta da Genserico, re dei Vandali.
457-461 d.C.: Regno di Maggioriano, ultimo imperatore d’Occidente che tentò una riscossa militare. Venne
eliminato nel 461 dal generale barbaro Ricimero, che nel 472 d.C. assediò a Roma anche Antemio, l’imperatore
voluto da Costantinopoli.
474 d.C.: Zenone, imperatore d’Oriente, nominò imperatore Giulio Nepote, contro il quale si ribellò Oreste.
476 d.C.: Romolo, figlio di Oreste, fu scacciato dal capo barbarico Odoacre, vento che segnò la fine dell’Impero
romano d’Occidente.

II. I REGNI ROMANO-BARBARICI


Mentre la penisola italica rimaneva per un certo periodo sotto il controllo di Odoacre, l’Imperatore d’Oriente
Zenone cercò di porre riparo alla situazione attraverso l’intervento di popolazioni barbariche amiche.
Nel 488 d.C. Teodorico, re dei Goti, scese in Italia con la missione di eliminare Odoacre, che venne sconfitto e
ucciso nel 493 d.C. Iniziava così una sorta di regno ostrogoto dell’Italia.
Gli Ostrogoti, o Goti orientali, sotto il profilo demografico rappresentavano una ristretta minoranza. Ben diverso
era il loro peso politico e sociale.
Le intenzioni di Teodorico erano volte a cercare una forma di collaborazione tra Goti e Romani: il re ostrogoto
provava una sincera ammirazione per il mondo romano, e nel complesso il suo regno rappresentò un momento
positivo per la penisola italiana. Anche l’economia diede qualche segno di ripresa.
Nel 526 d.C. Teodorico moriva lasciando il regno alla figlia Amalasunta: la politica di conciliazioni tra Goti e
Romani non era più praticabile anche per le continue interferenze della corte di Costantinopoli, che cercava un
pretesto per intervenire in Italia.
Nelle invasioni barbariche dell’occidente romano si possono distinguere due fasi fondamentali:
- Ostrogoti, Visigoti e Burgundi: giunti all’interno dell’impero dopo lunghe peregrinazioni, si organizzano
secondo le loro regole tradizionali, mentre nel resto del territorio la popolazione romana continua a
vivere come sempre.
- Longobardi, Galli, Angli, Sassoni: fu opera di popoli già da tempo stanziati ai confini dell’impero, che
imposero la propria organizzazione alla popolazione romana.
La durata di questi regni non è identica. Vita relativamente breve ebbe il regno dei Burgundi (443 d.C.),
sottomesso definitivamente ai Franchi nel 534 d.C.
Il regno ostrogoto in Italia durò poco più di mezzo secolo, fino al 553 a.C., alla fine della guerra Greco-Gotica. Il
regno visigoto di Tolosa, creato nel 418 d.C., conobbe il suo massimo splendore tra il 470 e il 480 d.C., quando
riuscì a conquistare quasi tutta la Spagna e la Provenza.
A seguito della sconfitta subita dai Franchi nella battaglia di Vouillè (507 d.C.), i Visigoti passarono nella penisola
iberica, dove formarono un regno con capitale Toledo e assoggettarono tutta la penisola verso la fine del VI sec.
d.C. Il regno visigoto di Toledo durò fino al 711 d.C., quando furono sconfitti dagli Arabi.
Il più importante regno barbarico è certamente quello dei Franchi. La figura decisiva è quella di Clodoveo, della
dinastia merovingia, che divenne re nel 481 d.C. La sua conversione al cristianesimo fu fondamentale nel favorire
l’integrazione dei Franchi con l’aristocrazia gallo-romana.
Verso la metà del VI secolo d.C., la quasi totalità della Gallia passò sotto il controllo dei Franchi. Nel 743 d.C. Carlo
Martello fermò l’avanzata degli arabi presso Poitiers.
Nell’Europa del nord le azioni di pirateria portarono all’occupazione di territori sempre più vasti. Nel corso di due
secoli, la popolazione celtica delle campagne fu sostituita da un’altra di ceppo germanico: nasce così la Britannia
anglosassone.
L’istallazione dei barbari sul suolo romano avvenne secondo modalità differenti:
- in Britannia si trattò di conquista pura e semplice,
- in Gallia meridionale, Spagna e Italia l’insediamento dei Germani avvenne sulla base della copertura
giuridica di un trattato, che assicurava il rispetto delle istituzioni civili.
Oltre alle modalità giuridiche si deve tener conto della realtà religiosa. Al momento delle invasioni i romani
avevano ormai aderito al cristianesimo, mentre la maggioranza dei barbari era cristiana ma di credo ariano.
Ogni popolo possedeva la sua chiesa nazionale, e ogni regione conobbe realtà differenti: in alcuni casi si pervenne
ad una piena fusione, in altri si realizzò un dualismo amministrativo.
470 d.C.: Quando in Gallia, dopo Vandali, Svevi, Alani e Burgundi (406 d.C.), penetrarono anche gli Ostrogoti, tutto
il paese era in mano agli invasori.
480 d.C.: I Franchi occupavano il nord, i Visigoti il sud-ovest, i Burgundi la valle del Reno, mentre altre popolazioni
erano sparse un po’ ovunque.
Il V secolo d.C. rappresentò quindi per l’aristocrazia romano-gallica un’epoca di grave crisi, che la costrinse a
riconsiderare le modalità in cui poteva mantenere la propria unità di ceto: una delle opzioni possibili era
rappresentata dalla ricerca di un’alta carica ecclesiastica.
Con la presenza dei barbari all’interno dei confini dell’Impero, si registrano significative manifestazioni di
interesse per una collaborazione.
Nel VI sec. d.C., ad esempio, un ruolo decisivo nell’evoluzione dell’idea dei Goti, da nemici del mondo romano a
fondatori del “regno gotico d’Italia”, è svolto da Cassiodoro, senatore romano e ministro di Teodorico: egli si
sforzò di trasporre l’ideologia romana nelle realtà politiche del regno ostrogotico.
Teodorico è così presentato come il successore degli imperatori romani e il regno ostrogotico come il
prolungamento dell’Impero romano d’Occidente.
Una delle conseguenze delle invasioni germaniche del V sec. d.C. fu l’affermarsi del monachesimo.
C’erano comunità religiose che vivevano riunite intorno al loro vescovo, delle vere e proprie fondazioni
monastiche che si susseguirono a distanza di pochi anni l’una dall’altra (Lerìns, S.Vittore di Marsiglia).
I monasteri ebbero poi una funzione importante come centri di cultura: nel VI sec. d.C. gli unici centri di vita
culturale e di istruzione furono i monasteri Cassidoro, San Benedetto.
Le trasformazioni conosciute dalla città romana furono molteplici. In molte città il foro romano continuò a
svolgere la sua funzione di centro economico in quanto sede di mercato, ma perse il suo ruolo di direzione
politica. Con il Medioevo si affermano in alternativa il palazzo regio e la cattedrale, che riflettono i principali poteri
di ogni città: quello statale e quello vescovile.
In generale l’età tardoantica è caratterizzata dalla costruzione di chiese di notevoli proporzioni, anche nelle città
minori. Anche nelle abitudini alimentari si osserva una cesura alla fine del mondo antico. Il declino della vita
urbana e il progressivo allontanarsi delle attività produttive delle regioni costiere significò una riduzione delle
colture dei cereali, della vite e dell’ulivo che aveva invece caratterizzato l’economia romana.
A tale “modello alimentare classico” si sostituì quello tipico delle popolazioni barbariche: carne di cacciagione,
cereali, ortaggi e birra al posto del vino. Il crescente abbandono delle zone costiere favorì un ritorno all’economia
di montagna.
L’età di Teodorico (488-526 d.C.) aveva rappresentato un periodo di relativa ripresa economica per l’Italia:
l’agricoltura e il commercio poterono approfittare del periodo di pace.
La guerra greco-gotica vanificò la possibilità che la ripresa si consolidasse. Il periodo più duro della guerra andò
dal 541 al 552 d.C., e l’incertezza nell’esito finale del conflitto induceva gli occupanti del momento, sia Bizantini
che Goti, ad ogni sorta di arbitrio a spese della popolazione locale: le città subirono gravi devastazioni e si ebbe un
drammatico calo demografico.

III. BISANZIO
Dal 395 d.C. le vicende dell’Impero d’Oriente risultano del tutto divise da quelle dell’Occidente. Storia Bizantina
(330-1453 d.C.).
Nella partizione teodosiana l’Oriente era toccato ad Arcadio. Alla morte di Arcadio, nel 408 d.C., gli successe il
figlio Teodosio II (408-450 d.C.). Nel corso del suo regno anche l’Impero d’Oriente dovette fronteggiare il pericolo
dei barbari, in particolare quello degli Unni. Anche i Persiani furono tenuti a bada. Teodosio II è ricordato
soprattutto per la sua attività di riordino della giurisprudenza, avendo promulgato la raccolta delle leggi imperiali
di Diocleziano (438 d.C.). Il suo successore, Marciano (450-457 d.C.), fu scelto dal senato.
A travagliare la vita interna di Bisanzio furono soprattutto i problemi di natura teologica relative alla natura di
Cristo, a cui si aggiunsero, sotto i regni di Leone (457-474 d.C.) e Zenone (474-491 d.C.), problemi di natura
finanziaria. La situazione ormai divenuta critica fu affrontata con successo da Anastasio (491-518 d.C.), che inoltre
riuscì a bloccare le offensive persiane tra il 502 e il 503 d.C.
Ad Anastasio successe Giustino (518-527 d.C.), e dopo di lui il nipote Giustiniano, da lui adottato in precedenza.

Giustiniano (527-565 d.C.). Il regno di Giustiniano rappresenta per molti aspetti la conclusione nel mondo antico.
Il nome di Giustiniano è legato soprattutto alla sua attività di riordinamento della giurisprudenza (Corpus Iuris
Civilis).
Di grande rilievo fu anche la sua attività edilizia (S.Sofia a Costantinopoli, S.Vitale a Ravenna) e il forte impulso
dato al commercio e a nuove attività economiche (produzione della seta).
Giustiniano non godette del favore degli storici a lui contemporanei.
Ebbe grandi difficoltà interne all’inizio del regno: tra queste un posto importante avevano le controversie
dottrinali (Ortodossia vs credo monofisita). Giustiniano da una part aveva interesse a cercare un’intesa col papato,
però doveva anche tener conto del grande seguito di cui il credo monofisita godeva in Oriente. I problemi interni
non distolsero Giustiniano dal suo grande sogno di riconquista dell’Occidente.
533 d.C.: Riconquistò l’Africa del nord, la Sardegna e la Corsica.
535-553 d.C.: Guerra Greco-Gotica. I Goti opposero una grande resistenza all’esercito bizantino. La guerra fu
lunga e sanguinosa, ma alla fine Giustiniano ebbe la meglio e l’Italia diventò una delle prefetture del Regno
d’Oriente.
La restaurazione giustiniana fu interrotta nel 568 d.C., quando arrivarono i Longobardi. Da lì si determina la cesura
che dà inizio alla storia del Medioevo in Italia e in Europa. Costantinopoli: Fondata da Costantino nel 330 d.C., già
a metà del IV secolo d.C. la nuova capitale contava una popolazione di 100.000 abitanti. In età giustiniana la
popolazione contava più di mezzo milione di abitanti.
A Costantinopoli il re e la sua corte vivevano all’interno di una cinta muraria, isolati dal resto della città.
Società bizantina: Nell’arco di una storia più che millenaria la società
bizantina ebbe un’evoluzione complessa, tuttavia si possono indicare alcuni caratteri particolari
e permanenti che la contraddistinguono:
- Saldo e autonomo apparato burocratico: il governo dell’impero non è più retto da magistrati, ma da
burocrati, funzionari con carriere e funzioni specifiche al servizio diretto dell’imperator;
- Figura dell’imperatore: progressivamente si rafforza l’idea che l’investitura dell’imperatore fosse concessa
dalla grazia di Dio. Il potere imperiale, in quanto di origine divina, riuniva e legittimava tutti gli altri;
- Complesso di simboli che circondavano il potere imperiale: il palazzo, le vesti color porpora,
l’inaccessibilità della persona dell’imperatore.
Nel mondo bizantino un ruolo di grande rilievo fu svolto dalla Chiesa. Tra il IV e il VI secolo d.C. la funzione
pubblica dei vescovi e la loro importanza all’interno delle città era una caratteristica distintiva dell’Oriente.
I vescovi delle tre principali città dell’Impero: Costantinopoli, Alessandria e Antiochia, presero il nome di
Patriarchi, la cui nomina era di stretta competenza dell’imperatore.
C’era uno stretto vincolo tra Stato e Chiesa, che recò senza dubbio vantaggi alle due parti, insieme ad alcuni
inconvenienti: la chiesa cadde sotto la tutela dello stato, quest’ultimo fu coinvolto nelle varie dispute dottrinali.
Due furono le scuole teologiche che si contrapposero maggiormente: quella di Antiochia, più razionalista, e quella
mistica di Alessandria.
Il regime imperiale creato da Augusto si fondava su un potere personale che cercava il riconoscimento del popolo
romano. La crisi del III secolo d.C., con le sue guerre incessanti, trasformò l’imperatore in un soldato
professionista. Esso fu riconosciuto dal cristianesimo che ne fece un legato di Dio in terra: l’imperatore era
riconosciuto tale per “grazia divina”.
In Occidente si realizzarono presto le condizioni per un’organizzazione del tutto nuova dell’economia e della
politica: essi favorirono il modello dell’idea Medievale di Stato che si diffuse in Europa attraverso una serie di
faticose trasformazioni. Iniziava allora una nuova era, che per convenzione chiamiamo Medioevo.

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