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LA CIVILTA EGIZIA

La civiltà egizia nasce e si sviluppa lungo il Nilo, che con i suoi 6671
kilometri è il fiume più lungo del mondo [Fig. 2.5]. «Salute a te o Nilo,
limpido fiume che dai la vita a tutto l’Egitto»: così inizia l’Inno del Nilo, un
testo sacro risalente al XIV-XIII secolo a.C. Del resto, fin dall’inizio della loro
storia plurimillenaria gli Egizi sono stati ben consapevoli di quanto la loro
sopravvivenza e il loro sviluppo dipendessero dal «gran Padre Nilo» che ha
sempre rappresentato per essi la principale fonte di vita e di ricchezza,
oltre che la migliore e più rapida via di comunicazione. È per questi motivi
che l’intera civiltà egizia viene spesso definita nilòtica, cioè dipendente dal
Nilo. Mentre le culture mesopotamiche si fondavano sulle città-stato, che
avevano una dimensione assai limitata, la civiltà nilotica si sviluppa
all’interno di un grande e potente Stato unitario. Questo, sorto fin dal XXIX
secolo a.C., vede la difficile fusione politica e amministrativa del montuoso
Alto Egitto (a Sud) con il pianeggiante Basso Egitto (a Nord), sotto il
governo di un unico faraóne.
La società è divisa in caste, cioè gruppi chiusi senza possibilità di passare da uno all’altro a causa di rigide leggi
religiose e civili. Sotto al faraone, vero e proprio dio in terra dai poteri pressoché illimitati, vi sono i sacerdoti (addetti
soprattutto alla manutenzione dei templi e ai complessi culti religiosi) e i nobili (che amministrano e difendono lo
Stato nella loro qualità di alti funzionari e di capi dell’esercito).In posizione subordinata vi è poi il popolo libero
(artigiani, operai, contadini, soldati) e, sotto ancora, gli schiavi. Questi, uomini e donne, sono soprattutto prigionieri
di guerra, ma talvolta anche individui liberi che, non essendo stati in grado di ripagare i propri debiti, sono chiamati
a rifonderli al prezzo della loro stessa libertà. Nonostante la tradizione storiografica abbia sempre descritto la
schiavitù come un fenomeno sociale molto presente in Egitto, gli studi più recenti ne hanno ridimensionato molto
sia la diffusione sia le condizioni.
Sul finire del IV millennio a.C. l’uomo, unico fra tutti gli esseri
viventi della Terra, impara a elaborare un insieme coordinato di
simboli mediante i quali riesce a esprimersi e a comunicare agli
altri il proprio pensiero. Nasce, in altri termini, la scrittura: forse
la più importante invenzione di tutta la storia della civiltà.
Mediante questa nuova tecnica è infatti possibile trattenere e
classificare una quantità di dati, di memorie e di nozioni
altrimenti impensabile. Ne consegue che tutte le energie
intellettuali che fino ad allora erano impiegate per imparare a
memoria quanto veniva tramandato oralmente di padre in figlio,
potevano ora essere più produttivamente utilizzate per
accrescere il patrimonio delle conoscenze. Ciò rende possibile
non solo la realizzazione di affari sempre più complessi
(favorendo quindi i commerci e lo sviluppo delle città), ma
incrementa anche l’attività legislativa (in quanto le leggi scritte
sono garanzia di un migliore ordine sociale) e, più in generale,
dà un forte impulso a ogni altro campo del sapere. Vedremo, a
tale riguardo, che i grandi re sumerici e babilonesi, i faraoni
d’Egitto, i re assiri e di Persia lasceranno volontariamente una
gran quantità di testimonianze scritte relative al loro governo, ai
loro codici legislativi, alla situazione dello Stato, alla contabilità
delle entrate e delle spese, ai riti religiosi, alla narrazione delle
loro gesta, alle consuetudini politiche e sociali.
LA SCRITTURA CUNEIFORME
Quando i simboli della scrittura assumono forme
puramente geometriche, dunque astratte, parliamo di
scrittura ideografica cuneifórme. Tale scrittura,
comparsa sin dal 3350 a.C. circa, è inizialmente
adottata dai Sumeri e, successivamente, da tutte le
altre popolazioni di area siriana e mesopotamica
(soprattutto Assiri e Babilonesi), con estensione, in
seguito, anche ai Persiani. Essa utilizza il supporto in
argilla costituito da tavolette che, rispetto al papiro,
hanno il vantaggio di resistere agli incendi, ma anche il
non trascurabile difetto di essere estremamente fragili
e ingombranti [Fig. 2.7]

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