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Diffrattometria

Diffrazione dei raggi X


Domanda: Come facciamo a sapere che quelle determinate sostanze assumono quelle
determinate strutture cristalline? Risposta: Le abbiamo «viste»...ma con lenti d’ingrandimento
«matematiche»: ne abbiamo «risolto» la struttura mediante la diffrattometria X.
Cos’è la diffrattometria?
È una tecnica analitica non distruttiva basata sul fenomeno di diffrazione dei raggi X. Consente di:
1. identificare la struttura di una sostanza cristallina;
2. identificare le fasi presenti in un campione, ossia quali composti
sono presenti (analisi qualitativa);
3. analizzare la composizione di un campione (analisi quantitativa);
4. caratterizzare ciascuna fase
1. Dimensione dei domini cristallini;
2. Crescita anisotropica (tessitura);
3. Difettosità;
4. ...
Nota: la tecnica serve SOLO per i materiali CRISTALLINI. Per gli amorfi abbiamo poche informazioni
Cos’è la diffrazione?
Wikipedia: “In fisica la diffrazione è un fenomeno associato alla
deviazione della traiettoria di propagazione delle onde (come anche la
riflessione, la rifrazione, la diffusione o l'interferenza) quando queste
incontrano un ostacolo sul loro cammino.”
Oxford Dictionary: “The process by which a beam of light or other
system of waves is spread out as a result of passing through a narrow
aperture or across an edge, typically accompanied by interference
between the wave forms produced.”
Es.: Esperimento di Young: diffrazione di luce visibile
Interferenza costruttiva: si verifica se le onde emergono in fase (la differenza di cammino percorso
è un multiplo della lunghezza d’onda)
Cosa succede nel caso dei raggi X?

I raggi X
Sono onde elettromagnetiche con lunghezza d’onda compresa tra
0.02 e 0.25 nm. I raggi X attraversano la maggior parte delle
sostanze opache alla luce ordinaria, ma ne vengono in parte
assorbiti.
L’assorbimento dipende:
• dalla loro lunghezza d’onda λ;
• dallo spessore dell’oggetto attraversato;
• dalla natura chimica della sostanza di cui è costituito l’oggetto attraversato: ogni elemento ha un
potere assorbente tanto più alto quanto maggiore è la sua massa atomica.
Diffrazione di raggi X
Quando attraversano un oggetto, i raggi X possono
subire anche fenomeni di diffrazione, in quanto la
loro lunghezza d’onda è tipicamente confrontabile
con le distanze interatomiche nei solidi.
Affinché però ci sia diffrazione, è necessario che gli atomi all’interno del solido siano ordinati: il
solido dev’essere cristallino (gli amorfi sono disordinati, per questo lo spettro di diffrazione è
distorto).
E’ quindi possibile analizzare i materiali cristallini sfruttando tale fenomeno mediante
apparecchiature dette diffrattometri. Il risultato dell’analisi diffrattometrica è un grafico detto
spettro di diffrazione, o diffrattogramma.

Lo stato cristallino
Materiali cristallini = ordine a lungo raggio.
Materiali amorfi = ordine a corto raggio.
In presenza di reticoli tridimensionali identifichiamo
anche dei Piani Reticolari:
In un cristallo, fasci di piani omogenei sono
caratterizzati da distanze costanti. Queste distanze d
possono essere calcolate sulla base degli indici di Miller h,
k, l.
Le strutture meno simmetriche hanno regole decisamente
più complesse. Noi ci occuperemo soltanto del caso
cubico.

Diffrazione di raggi X su cristallo singolo


Se un fascio di raggi X monocromatico di lunghezza d’onda
λ incide con un angolo θ sulla superficie di un cristallo, si
verifica interferenza costruttiva dei raggi diffratti se vale la
Legge di Bragg: 𝒏𝝀=𝟐𝒅sinθ
Che ci dà l’informazione sulla differenza di cammino ottico
(secondo membro). Se tale differenza è multipla della lunghezza d’onda 𝝀, l’onda emerge in fase
(quindi interferenza costruttiva e quindi
diffrazione).
Gli elettroni di ogni atomo assorbono i raggi X
e diventano a loro volta sorgenti di radiazione
diffratta.
Per un dato solido cristallino, e per un fascio
monocromatico di raggi X, d e λ sono
determinati, pertanto le condizioni di Bragg dipendono solo dall’angolo di incidenza θ.
Al variare di θ si verificherà una serie di condizioni di interferenza costruttiva corrispondenti a n=1,
2, ... per le quali si osservano picchi di intensità, separati da regioni nelle quali i raggi diffratti non
sono in fase e quindi si annullano.
Su questa base è possibile ottenere la figura di diffrazione di una sostanza cristallina, nella quale
ogni picco è associabile al piano che lo ha prodotto.

L'Interferenza dei Raggi X: https://www.youtube.com/watch?v=JAKZxKG-10o


Che succede se facciamo impattare i raggi X su
un cristallo? Il cristallo è formato da piani, e
ognuno di questi piani darà diffrazione a un
determinato angolo, risultando in punti di
diffrazione che giacciono su dei cerchi.
La figura di diffrazione di un cristallo singolo è
costituita da un insieme di picchi correlabili
direttamente al piano che li ha prodotti (e che
soddisfa le condizioni di diffrazione nello spazio). Per studiare un materiale utilizzando questa
tecnica è però necessario averne a disposizione un campione costituito da un unico cristallo di
dimensioni sufficienti (almeno circa millimetriche). Nella pratica questo in molti casi non è
possibile, pertanto è stata sviluppata la possibilità di effettuare diffrazione su campioni in polvere.
Ma che aspetto ha la figura di diffrazione di un campione in polvere?

Diffrazione di raggi X da polveri


Immaginiamo di irradiare un campione con raggi X monocromatici.
a=2Å
b=5Å
Un piano cristallino in queste condizioni soddisfa le condizioni di
Bragg. Se il cristallo è orientato in modo diverso, a parità di raggio
incidente può esserci un altro piano che soddisfa le condizioni di
Bragg.
Potrei ripetere questo “gioco” orientando questo cristallo in n modi
diversi. %

Se ho un campione in
polvere, che contiene
una quantità molto
elevata di cristalli
orientati in modo
casuale, avrò una serie
di angoli
contemporaneamente presenti ai quali si avrà segnale diffratto (ossia che verificano le condizioni
di Bragg).

Dal cristallo alle polveri

Figura di diffrazione:

Il grafico riporta l’intensità di segnale in funzione dell’angolo. Picco -> + intensità.


Ricapitolando:
I raggi X interferiscono con la materia cristallina (atomi disposti in maniera ordinata) generando
fenomeni di diffrazione che possono essere descritti dalla Legge di Bragg: nλ=2dsinθ
Tale legge correla l’onda diffratta con il fascio di piani cristallini che ha prodotto interferenza
costruttiva. È possibile ricostruire la struttura di un materiale cristallino (reticolo, cella elementare,
posizioni atomiche) effettuando un’analisi diffrattometrica di un campione monocristallino.
Immaginando un fascio di raggi X che attraversa un singolo cristallo, ci sarà diffrazione nelle
direzioni dello spazio che soddisfano la legge di Bragg.

Analisi su cristallo singolo


In un’analisi completa su cristallo singolo, dopo ogni acquisizione il
campione è ruotato attorno a differenti assi, così da campionare
differenti fasci di piani reticolari secondo una certa strategia. La
struttura del cristallo viene successivamente ricostruita a partire
dalle immagini raccolte per ogni orientamento del campione.

Dal cristallo singolo alle polveri


A differenza di un cristallo singolo, un
campione in polvere (idealmente costituito da
miliardi di cristalliti orientati nello spazio in
maniera perfettamente casuale) restituisce una
figura di diffrazione costituita da cerchi
concentrici, formati dai punti di diffrazione che
ciascun cristallite forma sulla lastra del
detector).
I cristalli delle polveri non devono essere
ruotati come il cristallo singolo, in quanto l’orientazione casuale dei singoli cristalli fornisce una
distribuzione statisticamente omogenea di tutti i piani di diffrazione. Per questo tipo di analisi
bisogna evitare l’orientazione preferenziale dei cristalli, altrimenti si avrebbe un segnale con picchi
molto alti (poiché molti più piani soddisfano le condizioni di Bragg) e un fondo molto basso.

Diffrazione da polveri
Molti diffrattometri da laboratorio per l’analisi di polveri, piuttosto che raccogliere un’immagine
bidimensionale, sono equipaggiati con un detector puntuale che si muove lungo il raggio delle
circonferenze.
Il diffrattogramma prodotto è una curva che rappresenta l’intensità del raggio diffratto in funzione
dell’angolo di diffrazione 2θ.
Ogni picco dello spettro è stato generato da un piano/fascio di piani.
Diffrazione da polveri: tecniche di acquisizione

Sorgente e campione fermi.


Movimento del detector.

Sorgente ferma. Movimento


di campione e detector.

Campione fermo.
Movimento di sorgente e
detector.

Generatore di Raggi X
Un tubo a raggi X è schematicamente costituito da:
• un bulbo di vetro;
• un filamento di tungsteno;
• un target (es.: una placchetta di rame);
Il filamento di tungsteno viene riscaldato per effetto Joule. Gli elettroni:
• Vengono emessi per effetto termoionico;
• vengono accelerati a causa della differenza di potenziale tra filamento
e target (decine di kV);
• colpiscono il bersaglio generando raggi X.
Il principio è simile al SEM: gli elettroni urtano gli elettroni più interni
degli atomi del metallo, creano una lacuna elettronica che viene
ripristinata quando un elettrone più esterno decade ed emette raggi X
con una certa λ che dipende dal gap energetico.
A metalli diversi corrispondono diverse lunghezze d’onda, per questo
l’analisi va fatta considerando anche la sorgente dei raggi X. I raggi poi
passano attraverso una finestra di Berillio prima di essere ulteriormente raffinati.
Nota bene: da uno stesso metallo otteniamo diverse lunghezze d’onda dovute ai vari strati
elettronici sollecitati. Se utilizzo questo tipo di sorgente, non monocromatica, avrò un problema
per l’analisi.
Il problema della λ

𝒏 ⋅ 𝝀 = 𝟐 ⋅ 𝒅 ⋅ sinθ
Fissato il materiale, essendo d
una costante, a seconda di
quale λ uso per colpirlo, avrò
una θ di diffrazione diversa,
quindi se uso una sorgente non
monocromatica (che contiene varie componenti), ciascuna componente darà diffrazione ad un
angolo diverso. Quindi bisogna usare una radiazione incidente monocromatica.

Usando una radiazione non monocromatica, abbiamo uno spettro di emissione di Cu con 3 picchi
dovuti a 3 valori diversi di 𝝀 (Kα1, Kα2, Kα3) oltre a un “fondo” dovuto alla radiazione continua che
va via via diminuendo. Queste 𝝀 daranno nel diffrattogramma 3 valori diversi di θ di diffrazione +
valori di θ di fondo dovuti alla radiazione continua.
È necessario «schermare» le componenti spettrali indesiderate... ma come?
La materia assorbe (a livelli diversi) la radiazione X.
Ogni elemento ha un coefficiente di assorbimento che
varia con la lunghezza d’onda in maniera
DISCONTINUA. C’è una discontinuità nel coeff. di
assorbimento, quindi si ha un massimo.
Sovrapponendo le due curve vediamo che il Nichel ha
un coefficiente di assorbimento massimo in
corrispondenza della Kβ.
Quindi, aggiungendo una lastrina di nichel a valle del tubo, otteniamo una radiazione in cui la
componente spettrale della Kβ è assente. Riusciamo a sottrarre anche la banda spettrale continua
antecedente a β.

Filtro di Ni (Kβfilter)
• Elimina quasi totalmente Kβ;
• NON elimina Kα2;
• Riduce l’intensità di Kα1e Kα2;
• Piccola distorsione del piede del picco di
diffrazione.
Per eliminare anche la Kα2 dobbiamo usare un
monocromatore.

Monocromatore a cristallo singolo


Attraverso l’uso di un cristallo singolo con le caratteristiche
appropriate si fa in modo di «pilotare» la sola radiazione di
interesse verso il detector calcolando l’angolo opportuno.

Solitamente il monocromatore è un cristallo di grafite che


funge da prisma in modo da pilotare opportunamente la 𝝀 desiderata verso il detector sfruttando
proprio la legge di Bragg a un opportuno angolo in cui si avrà diffusione con interferenza
costruttiva, in modo da riflettere e isolare quella lunghezza d’onda. Oltre al monocromatore di
grafite c’è anche quello al Si/Ge.

Monocromatore di grafite -> migliora la qualità dei dati acquisiti


Monocromatore di Si/Ge
Utilizzando dei cristalli in serie miglioriamo ancora di più la
qualità dei dati.

Monocromatore
• Elimina completamente la Kβ;
• Riduce l’intensità del fondo;
• La grafite non elimina Kα2;
• Il monocromatore al Si/Ge elimina anche Kα2;
• Decisa perdita di intensità di Kα1(e Kα2);
• Il cristallo di grafite può essere posizionato sul fascio primario o diffratto;
• I cristalli di Si/Ge sono posizionati di solito sul fascio primario.
Possiamo distinguere due tipi di modalità di lavoro: in trasmissione e in riflessione.

Geometria Debye-Scherrer
I raggi X attraversano il campione. Va
bene per materiali leggeri, piccole
quantità o elementi pericolosi perché
non devo muovere il campione. . I
metalli sono difficili da analizzare in
trasmissione perché sono poco
attraversabili e per questo si usa la
riflessione.

Geometria Bragg Brentano

Anatomia di un Bragg
Brentano
Le slitte servono a condizionare il
fascio incidente ed il fascio
diffratto, restringendoli entro
un’area ben definita che impatta
sul campione. Lo stesso si fa all’
uscita dal campione, prima del
detector. Le slitte aumentano la
risoluzione.
Il detector e il generatore si muovono specularmente. Al variare dell’angolo, l’area irradiata
cambia, ma aumenta la penetrazione del fascio: si resta nelle condizioni di volume irradiato
costante. Geometria para-focalizzante: il campione non è curvo, quindi solo il raggio centrale
inciderà con lo stesso angolo di generatore e detector. Poiché il campione è piatto, i raggi esterni
hanno un angolo leggermente diverso e i valori sono sfuocati.

Amorfo VS cristallino (Quarzo VS Silicio)

Segnale disturbato del vetro perché la


tecnica vale per cristalli o campioni polifasici dove ogni fase
è un cristallo

Diffrattogramma
Un diffrattogramma riporta in ascissa il valore dell’angolo di
diffrazione e in ordinata l’intensità dei picchi di diffrazione.
Elaborando i dati di diffrazione è possibile estrarre la
posizione del picco 2θ, la sua intensità normalizzata, e la
distanza interplanare d del fascio di piani associato (a
partire da 2θ e usando la legge di Bragg)
a.u. sta per “arbitrary unit”
Il diffrattometro lavora a step. Questo perché uno dei parametri da fornire allo strumento è il tempo
di permanenza della misura a un dato angolo. Bisogna anche fornire l’intervallo di θ minimo per le
misurazioni (intervalli di 2θ molto piccoli, ma discreti: per questo il diffrattogramma è un insieme
di punti e non una linea continua). Il detector, nell’arco di tempo in cui è fermo ad un certo angolo,
misura il numero di impulsi che gli arrivano (cioè l’intensità). Se aumenta il tempo di permanenza
l’intensità del segnale è più elevata, anche se la forma del diffrattogramma sarà la stessa. Tuttavia
aumenta la distanza picco-fondo. Se il tempo è troppo breve invece si può osservare un rumore di
fondo (picchi poco distinti). Il rumore (scattering) si può notare con i piccoli tratti verticali per ogni
angolo, ad esempio nel vetro sono molto evidenti. Questo perché, avendo poco tempo, non c’è,
per questioni statistiche, un numero di impulsi perfettamente analogo con l’angolo precedente.
Il background può essere dovuto sia all’impurezza del campione (difetti puntuali ecc.) sia allo
scattering dell’aria presente nello strumento (errore strumentale).

Informazioni in un diffrattogramma
Caratteristiche dello spettro Proprietà strutturali

Numero e posizione dei picchi Sistema cristallino, volume della cella


Intensità dei picchi Composizione chimica (fasi cristalline presenti),
Posizioni atomiche
Forma dei picchi Dimensioni ed anisotropia dei domini cristallini,
Difetti reticolari, Stress e deformazioni
Background Fasi amorfe
Metodi qualitativi
La serie di picchi di diffrazione ed intensità relative costituisce «l’impronta digitale» di ogni
struttura cristallina: non esistono due sostanze cristalline distinte per chimica o struttura che
generino la stessa figura di diffrazione. È quindi possibile IDENTIFICARE le fasi presenti in un
campione confrontando il diffrattogramma ottenuto con quelli di tutte le fasi già note, di cui quindi
possediamo le informazioni sulla struttura. Tali informazioni sono raccolte in alcuni database. Due
esempi:
Powder Diffraction File (www.icdd.com, $$$).
Crystallography Open Database (www.crystallography.net, FREE)

Identificazione via software


Oggi esistono numerosi software dedicati che si
interfacciano ai database cristallografici e permettono
di identificare le fasi presenti in un campione
meditante tecniche automatizzate, o almeno
“guidate” dall’operatore. Il software utilizza
un’operazione di search-match, ossia sovrappone il
diffrattogramma trovato sperimentalmente nel nostro
laboratorio con i diffrattogrammi del database e trova
le corrispondenze più vicine.

N.B.: nel database sono riportate le distanze interplanari e non i 2θ, perché d è costante per il
cristallo, ma θ e 𝝀 sono dipendenti (legge di Bragg), quindi se uso una 𝝀 diversa avrei un θ diverso,
pur riferendomi alla stessa d. Gli angoli di diffrazione dipendono dunque dallo strumento, ossia
dalla lunghezza d’onda che utilizzo.

Metodi quantitativi
Oltre all’identificazione delle fasi presenti (analisi qualitativa) è possibile, tramite opportuni
metodi, ricavare anche la frazione ponderale di ciascuna fase. Tra i metodi maggiormente
utilizzati: Metodo RIR, Metodo Rietveld. Essi vengono a valle dell’analisi qualitativa, poiché dovrei
già saper discriminare le fasi presenti.

In generale…
Il diffrattogramma di una miscela polifasica (cioè composta da più fasi, cristalline o amorfe) può
essere visto come la somma ponderata dei diffrattogrammi delle singole fasi ottenuti nelle stesse
condizioni di tempo di esposizione. Ne consegue che l’intensità dei picchi di diffrazione dipende
(tra gli altri fattori) dalla concentrazione delle varie fasi presenti.
Per un campione contenente una sola fase α, l’intensità integrata Ihkl (area del picco) generata dal
1
piano avente indici di Miller hkl è pari a: I hkl= K K
2 μ α e hkl

Ke = costante strumentale (dipende dai parametri dello strumento)


Khkl = costante strutturale (dipende dalla struttura cristallina e dai piani che generano il picco)
μα = coefficiente di assorbimento lineare della sostanza α
L’intensità dipende sia dal tempo di esposizione sia dalla larghezza del fascio di raggi X. Dipende
quindi dalle condizioni strumentali.
Per un campione polifasico contenente la fase α, l’intensità Ihkl generata dal piano della fase
1
αavente indici di Miller hkl è pari a: I hkl(α )= X K K
2 μm α e hkl (α )
Ke = costante strumentale
Khkl = costante strutturale
μm = coefficiente di assorbimento lineare della miscela (poiché la radiazione impatta su tutta la
miscela)
Xα = frazione volumetrica della fase α nel campione
Trasformiamo la frazione volumetrica Xα in frazione ponderale:

Definiamo il coefficiente di assorbimento di massa:

Dopo aver calcolato I hkl(α ) , per stimare la frazione ponderale wα sarebbe necessario:
• conoscere la Kα;
• conoscere il coefficiente di assorbimento di massa.
Tutto questo si può evitare prendendo un riferimento. Si utilizza il metodo RIR.
Reference Intensity Ratio (RIR)
Il metodo RIR consiste nel rapportare i dati di diffrazione rispetto a quelli di un materiale standard:
si utilizzano dei rapporti riferiti ad un unico materiale di riferimento. Tutti i fattori che influenzano
l’intensità del picco, tranne la concentrazione, sono quindi aggregati in una costante. Utilizzando
questi rapporti, e misurando le intensità dei picchi, è possibile così determinare le concentrazioni
di ciascuna fase presente nel campione.
Convenzionalmente, come standard si utilizza α-allumina (Al 2O3, corindone) ed il fattore di scala è
definito come:

I rapporti RIR delle fasi sono contenuti in appositi database che consentono di effettuare questa
determinazione.
Il rapporto I/Ic (RIR) può essere calcolato oppure determinato sperimentalmente:
• Per calcolarlo è necessario conoscere la struttura cristallina della fase in esame (i dati di
diffrazione da cristallo singolo consentono di ottenere tutta l’informazione necessaria).
• Per determinarlo sperimentalmente è necessario misurare il rapporto tra il picco più intenso
della fase in esame ed il picco più intenso del corindone in una miscela al 50% in peso.

Misura sperimentale RIR


Iα: intensità del picco più intenso della fase 𝛼;
Kα: costante che dipende dalla combinazione di: condizioni strumentali
e ambientali, struttura cristallina della fase α, piano di diffrazione;
wα: frazione ponderale;
μ: coefficiente di attenuazione di massa del campione.

Miscela corindone + analita


Esprimiamo la relazione tra l’intensità del picco
più intenso e la frazione ponderale per l’analita
𝛼 ed il corindone c:
Rapportando le due intensità:
Il rapporto delle intensità integrate tra il picco più alto del corindone e il picco più
alto della fase 𝛼 in una miscela al 50% di corindone e 50% di 𝛼 fornisce proprio K,
che è il rapporto RIR. w𝛼 e wc si semplificano, in quanto entrambi pari a 0.5

Analisi RIR di un campione


Conoscendo il valore del RIR non è più necessario conoscere Kα e μ. L’analisi RIR di un campione si
effettua tramite il metodo dello STANDARD INTERNO: dopo l’analisi qualitativa (identificazione
delle fasi) si aggiunge al campione una quantità nota di corindone (10-20%) e si analizza di nuovo.
Si calcolano quindi i rapporti tra le intensità dei picchi principali di tutte le fasi e quello del
corindone e si ricavano le frazioni ponderali.

Ricavo w𝛼 tramite la formula e i valori noti, ossia wc (corindone aggiunto apposta con quantità
nota), K (cioè la costante di RIR ricavata con la miscela 50/50) e il rapporto tra le aree dei picchi più
alti (calcolati tramite software o a mano).

N.B.: se aggiungo 20% di corindone non è detto che w𝛼=80% !! Ci possono essere altre fasi
presenti. Se la miscela è composta da 2 fasi cristalline si può semplificare il metodo.

Miscela generica a + b

In questo modo, misurando e rapportando le intensità dei picchi più intensi di due fasi presenti
nella miscela è possibile conoscerne il rapporto ponderale, anche senza aggiungere corindone al
campione. Utilizziamo i rapporti RIR calcolati sia per α sia per β, cioè Kα e Kβ.Tuttavia aggiungendo il
corindone ne guadagniamo in accuratezza e precisione.

RIR – Considerazioni pratiche


Sorgenti di errore:
• Calcolo delle intensità integrate;
• Precisione nella pesata (es. errore dovuto all’assorbimento dell’acqua da parte del campione);
• Sovrapposizione di picchi;
• Presenza di fasi non identificate;
• Presenza di frazione amorfa significativa. L’analisi RIR mi dà la somma delle frazioni ponderali
delle fasi cristalline presenti. È dunque un’ANALISI SEMI-QUANTITATIVA perché calcolo solo le
frazioni ponderali delle fasi CRISTALLINE presenti. Le eventuali fasi amorfe non vengono contate
nella frazione ponderale, dunque posso commettere errore.
Esempi:
 quarzo puro + 10 % corindone  analisi RIR: 90% SiO2 + 10% di Al2O3.
 SiO2 (di cui 50% quarzo puro + 50% vetro amorfo) + 10% corindone  analisi RIR: non mi
dirà che ho 45% quarzo puro, 45% vetro e 10% corindone, ma 83% quarzo e 17% corindone
perché ho esaminato solo le fasi cristalline!! L’83% della fase cristallina è quarzo puro!!
Più amorfo c’è, più il valore di frazione ponderale che sto esaminando si discosta da quello
reale.

• Orientazione preferenziale. Un campione in polvere ha cristalli casuali nello spazio, in modo che
ho un numero statisticamente omogeneo di ciascun piano cristallino che si trova nelle condizioni
di Bragg. Quindi l’intensità dipende solo dai parametri strutturali della cella. Conviene per esempio
usare cristalli di NaCl da laboratorio, sfere policristalline con cristalli orientati casualmente. Se uso
cristalli perfetti di NaCl, cioè le polveri sono tutti cubetti, accadrebbe che i cubetti poggiano sulla
loro faccia. Avrò un’orientazione preferenziale dai piani d’appoggio. Il picco corrispondente a
questi piani diventa molto elevato, perché statisticamente è più probabile incontrare questi piani
in condizioni di Bragg rispetto ad altri piani. Favorisco la diffrazione solo per alcuni piani
cristallografici e non per tutti. Commetto un errore di sovrastima per la frazione ponderale perché
l’area sottesa dal picco di questo piano favorito è maggiore. Esempio: quando si schiacciano
cristalli allungati si può dare orientazione preferenziale.
I valori di RIR calcolati possono essere diversi da quelli ricavati sperimentalmente, a causa di:
• impurezze;
• sostituzioni di elementi nel reticolo;
• difetti (naturali o indotti).
Per miscele di fasi sintetiche i valori calcolati vanno abbastanza bene, per miscele di fasi naturali è
preferibile cercare di ricavarli sperimentalmente.
Numerosi software si interfacciano ai database più utilizzati per effettuare analisi quantitative
automatiche. In queste analisi si assume che il campione sia interamente cristallino (la somma
delle fasi è sempre normalizzata a 100%).
Determinazione della fase amorfa: l’aggiunta dello std corindone permette di individuare la
frazione ponderale di amorfo, perché se so che ho aggiunto 10% di corindone e dall’analisi RIR
trovo 15%, la frazione cristallina del campione non è 100% e tramite calcoli matematici posso
risalire alle frazioni ponderali effettive passiamo a un’ANALISI QUANTITATIVA e non semi-
quantitativa.

Valori di I/Ic
Scegliere il polimorfo giusto:
• Molti materiali hanno la stessa formula chimica ma differente struttura cristallina (e quindi
differenti I/Ic). Il RIR dipende dalla struttura cristallina ed esso cambia in caso di polimorfismo
es. α-allumina e β-allumina hanno RIR diversi perché cambia la struttura cristallina e cambiano i
piani cristallografici.
Scegliere il valore di I/Ic corretto per le proprie condizioni sperimentali:
• Esistono dati relativi alla stessa struttura, ma ottenuti in condizioni diverse (ES. T, P).
Utilizzare gli indicatori di qualità:
• Alcuni esperimenti sono stati “rivisti” o cancellati nel tempo.
Il metodo Rietveld
Il metodo Rietveld utilizza tutto il pattern di diffrazione (non solo l’intensità integrata del picco
principale). Può essere utilizzato solo tramite opportuno software (è un metodo molto oneroso dal
punto di vista computazionale, ma porta più vantaggi del RIR). Si basa su un algoritmo di
minimizzazione tra le intensità osservate yo e quelle calcolate yc mediante il metodo dei minimi
quadrati:
Con wi= weighting factor
In pratica è un raffinamento strutturale. Genero un
diffrattogramma simulato, che all’inizio è discorde da quello
osservato. Per ogni punto si cerca di far diminuire la differenza tra quello simulato e quello
osservato in modo che i 2 diffrattogrammi arrivano a coincidere. Si fa una media pesata per ogni
coppia di punti osservato-calcolato. Basandosi sulla descrizione del profilo di diffrazione, è
necessario modellare la forma dei picchi... ma come?

Profilo del picco di diffrazione


In generale, il profilo di ogni picco di diffrazione è dato dalla convoluzione di differenti contributi
che modificano la forma del picco ma non l’intensità:
1)Profilo emesso (W)

2)Parametri strumentali (G)

3)Caratteristiche del campione (S)

Il profilo risultate è quindi dato da: P(2θ) = (WxG)xS


Per un campione monofasico l’intensità di ogni punto del
pattern di diffrazione è data da:
i= punto i-esimo
bi= background;
S = fattore di scala;
Ihkl= intensità integrata del picco;
P(2θ) = funzione normalizzata di profilo del picco;
Ohkl= orientazione preferenziale;

Parametri raffinabili
Background (bi):
viene stimato dall’analisi del pattern di diffrazione tramite opportune funzioni (es. polinomiale).
Intensità integrata (Ihkl):
dipende dalle caratteristiche strutturali della fase(il software ha bisogno di un modello iniziale, in
genere si carica il cif di letteratura della fase identificata).
Profilo del picco:
dipende sia da caratteristiche strumentali sia da caratteristiche del campione (es. dimensione dei
cristalli, difettosità).
In genere il contributo strumentale va valutato preventivamente eseguendo un’analisi
diffrattometrica nelle stesse condizioni sperimentali su un campione standard (metodo dello
standard esterno). È un’operazione di calibrazione.
Lo standard ha cristalli sufficientemente grandi e privi di difetti da non contribuire all’allargamento
del profilo dei picchi, che quindi dipenderà solo dalla funzione di profilo strumentale.
Le informazioni ricavate raffinando lo standard vengono utilizzate (imponendole come costanti)
nel raffinamento del campione.
L’equazione del metodo Rietveld può essere estesa al caso polifasico:

L’espressione di Ihkl,j contiene l’informazione sulla frazione ponderale.


L’ipotesi è che la somma delle frazioni ponderali delle varie fasi sia 1 (assenza di fasi amorfe).
Note le fasi presenti il metodo:
• “simula” un diffrattogramma generato dalle informazioni strutturali sulle fasi identificate
• “raffina” il diffrattogramma simulato variando
• percentuali delle fasi presenti
• caratteristiche dei cristalliti delle fasi presenti (difettosità, dimensioni medie)
• termina quando il diffrattogramma simulato converge verso quello osservato
Il metodo supera quasi tutte le problematiche connesse all’analisi RIR, al prezzo di una maggiore
conoscenza e padronanza della tecnica della diffrazione dei raggi X, e della conoscenza dei modelli
strutturali delle fasi presenti nel campione. Posso tener conto di difettosità e orientazioni
preferenziali. È possibile anche stimare la frazione amorfa come con il metodo RIR, aggiungendo
una quantità nota di std interno.
Esempio - Raffinamento Rietveld

Analisi strutturale
È l’analisi che, sulla base del pattern di diffrazione,
mira a determinare le caratteristiche della fase
cristallina:
1. Sistema cristallino
2. Dimensioni della cella elementare
3. Gruppo spaziale
4. Posizioni degli atomi nella cella
Il primo passo consiste nella risoluzione dei punti 1 e 2, che può essere effettuata attraverso
l’indicizzazione dei picchi di diffrazione (associazione del picco agli indici di Miller del
corrispondente piano cristallino che lo ha generato).
NB: tratteremo solo il caso CUBICO .
La prima cosa da tenere presente per indicizzare i picchi di diffrazione è il fenomeno delle
«estinzioni sistematiche».

Estinzioni sistematiche
In uno spettro di diffrazione può accadere che i picchi teoricamente generati da alcuni piani
cristallini siano assenti. Questo deriva da un fenomeno di «estinzione sistematica», che dipende
dalla geometria del reticolo cristallino
In un reticolo cubico semplice il raggio che
impatta sul piano inferiore emerge in fase con
quello che impatta sul piano inferiore, in quanto
percorre due segmenti di lunghezza λ/2.
Dalla legge di Bragg: λ=2dsinθ

In un reticolo bcc, invece, il piano inferiore è spostato di un a/2, quindi il raggio che impatta su
questo piano emergerà in opposizione di fase
rispetto al raggio che ha impattato il piano
superiore, avendo percorso un solo segmento
(giallo) di lunghezza λ/2.
Nel sistema cubico, i piani cristallini che danno diffrazione (cioè non presentano estinzione
sistematica) soddisfano le seguenti regole (condizioni integrali) in dipendenza dal tipo di cella:
• Cubica semplice: nessuna estinzione;
• Cubica a corpo centrato: il piano dà diffrazione se h + k + l = pari;
• Cubica a facce centrate: il piano dà diffrazione se h, k, l sono tutti pari o tutti dispari
• (0 è considerato pari);
NB: possono essere presenti ulteriori estinzioni sulla base del gruppo spaziale (condizioni speciali).

Indicizzazione dei picchi di diffrazione


Analizzando un diffrattogramma, possiamo mettere in relazione le posizioni dei picchi con gli indici
di Miller, ricordando che, in un sistema cristallino cubico:

La posizione del picco dipende


univocamente dalla somma
dei quadrati degli indici di
Miller.

Ne consegue che il primo picco ad essere osservato corrisponderà al piano:


• Cubica semplice: [100];
• Cubica a corpo centrato: [110];
• Cubica a facce centrate: [111];
Nel sistema cubico [100] [010] [001] sono equivalenti. Negli altri sistemi cristallini no.
L’indicizzazione dei picchi consente di determinare, sulla base del primo picco osservato, il tipo di
reticolo (e, sulla base di ulteriori estinzioni) il gruppo spaziale, oltre che di stimare i parametri di
cella. L’indicizzazione vale solo se il campione cristallino è puro (1 fase cristallina).

Dalla relazione:
deriva che, facendo il rapporto tra i valori di sin2𝜃 relativi a due picchi di diffrazione A e B:

NB: le somme dei quadrati sono numeri interi!


In particolare, dividendo tutti i valori di sin2𝜃 per quelli relativi al primo picco osservato, esisterà un
numero intero che, moltiplicato per tutti i rapporti, consentirà di ottenere tutti valori interi. Tale
numero rappresenta la somma dei quadrati degli indici di Miller del primo picco osservato. Tutti gli
altri interi ottenuti rappresentano le somme dei quadrati degli indici di Miller degli altri piani. È
quindi possibile indicizzare ogni picco.

Calcolo del parametro di cella


Dagli indici di Miller, sulla base della legge di Bragg, si può ricavare il parametro di cella a per ogni
picco:

Il parametro di cella non è detto che sia uguale per tutti i calcoli effettuati sui picchi. Un primo
valore attendibile del parametro di cella sarà quindi dato dalla media di tutti gli a ricavati per ogni
picco. Questo valore può essere ulteriormente «raffinato» minimizzando la somma degli scarti tra i
picchi osservati e i picchi calcolati (si minimizza il RESIDUAL SQUARE SUM). In questa operazione si
può anche stimare l’errore legato allo strumento, e quindi tenerne conto per ottenere una
valutazione ancora più precisa di a.
Un errore può essere quello di “aliasing”, ossia un errore di misura sull’intensità dovuto al fatto
che l’analisi è discreta (pattern di punti) e non continua. Più il è stretto il passo angolare del
diffrattometro, più la risoluzione è alta.

Zero displacement
È un errore di determinazione della posizione angolare del diffrattometro: il valore di 2θ riportato
è sfalsato rispetto a quello reale, a causa di un allineamento non perfetto del goniometro. È un
errore:
• puramente strumentale e sistematico (non dipende dal campione né dall’operatore). È costante
e si può correggere
• costante con l’angolo:

2𝜃teorici −2𝜃osservati=𝑍error

Sample displacement
Un’altra possibile fonte di errore (per i diffrattometri che lavorano in geometria Bragg Brentano) è
causata dall’operatore nella fase di preparazione del campione, e consiste in uno spostamento
verticale rispetto al piano di parafocalizzazione. La superficie del ampione deve essere tangente al
piano focale. È un errore:
• Casuale (in alcuni casi può essere anche grossolano!)
• Variabile con l’angolo.

Lo sfasamento tra 2θ osservati e 2θ teorici dipende dall’angolo, secondo la relazione:

con Derror= errore di posizionamento verticale, R = raggio del cerchio goniometrico.


Nel diffrattometro Bragg-Brentano lo zero displacement è trascurabile e lo si corregge tramite
l’uso di uno standard. Si lavora solo sul sample displacement.

Identificazione delle fasi presenti in un campione


Utilizzeremo un software gratuito sviluppato dall’Istituto di Cristallografia del CNR di Bari: QUALX.
Il software da solo non basta: va corredato dal database contenente le informazioni sulle fasi.
Utilizzeremo il Crystallography Open Database (COD) (gratuito).Sul sito dell’IC del CNR di Bari è
possibile scaricare il database in un formato compatibile con QUALX.
Esempio: lezione 23/04/2021

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