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POLITECNICO DI MILANO - DIPARTIMENTO DI INGEGNERIA AEROSPAZIALE

IMPIANTI E SISTEMI AEROSPAZIALI – Dispense del corso, versione 2011


Capitolo 4 – Impianto idraulico

Capitolo 4

Impianto idraulico

Queste dispense possono essere liberamente scaricate dal sito internet del Politecnico di Milano. La vendita è vietata.

4.1
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IMPIANTI E SISTEMI AEROSPAZIALI – Dispense del corso, versione 2011
Capitolo 4 – Impianto idraulico

4.1 Introduzione

L'impianto idraulico è un impianto che consente la distribuzione di energia meccanica ed il


suo controllo attraverso un fluido incomprimibile. Nell'impianto è necessaria una sezione di
trasformazione di energia meccanica in energia idraulica, una rete di trasporto dotata degli
opportuni organi di controllo e regolazione, ed utilizzatori che ritrasformano l'energia idrauli-
ca in energia meccanica.
Gli impianti idraulici utilizzano fluidi incomprimibili e quindi allo stato liquido nelle con-
dizioni di esercizio, in particolare oli minerali. I principi fisici fondamentali su cui sono basati
gli impianti idraulici risiedono nella meccanica dei fluidi per flussi interni. Occorre tenere
presente che considerare i liquidi come incomprimibili è una semplificazione giustificata dalla
scarsa comprimibilità. È possibile trascurare la comprimibilità per valutazioni di prima ap-
prossimazione e dimensionamenti preliminari, la comprimibilità però esiste e diventa fonda-
mentale per la comprensione del funzionamento di un impianto idraulico e per le valutazioni
di stabilità e risposta in frequenza.
Le caratteristiche fondamentali che rendono conveniente l'impiego del trasporto dell'ener-
gia attraverso un fluido incomprimibile sono:

• basso peso per unità di potenza installata


• alto rendimento della trasmissione
• grande flessibilità nell'installazione
• capacità di sostenere sovraccarichi senza danni
• alta affidabilità
• scarsa esigenza di manutenzione ordinaria
• bassa inerzia del sistema e quindi relativamente alta risposta in frequenza
• facilità di controllo

gli aspetti negativi sono :

• possibilità di perdita dell'intero impianto per rottura di singoli componenti


• difficoltà di sincronizzazione di più attuatori
• i fluidi con caratteristiche migliori per l'impiego non sono totalmente resistenti al fuoco.

4.2 Generalità sugli impianti idraulici

Un sistema idraulico è costituito da un gruppo di generazione di pressione e portata, una


rete di distribuzione e collegamento, le utenze ed alcuni organi accessori. A bordo dei velivoli
in genere l’impianto idraulico comprende più circuiti indipendenti.
Anche quando il velivolo dispone di più impianti, questi sono normalmente fra loro separa-
ti, nel senso che non si ha passaggio di olio da uno all’altro. Le utenze sono quindi suddivise
fra i diversi circuiti indipendenti, ma le più importanti possono essere pilotate in parallelo da
più circuiti. Per esempio il Boeing 747 ha l’impianto formato da 4 circuiti completamente
indipendenti, ognuno dei quali potenziato da una pompa azionata da uno dei 4 motori e, in
alternativa, da una pompa azionata da una turbinetta ad aria compressa. Le 4 turbinette sono

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alimentate dall’impianto pneumatico con aria spillata dai compressori dei propulsori o
dell’APU. Ogni utenza è alimentabile da almeno 2 circuiti indipendenti.
Raramente (ATR42) esiste la possibilità di alimentazione incrociata dei diversi circuiti, nel
caso il gruppo di generazione di uno di essi vada in avaria. In alcuni casi (MD80) è invece
possibile che un circuito ne metta in pressione un altro che abbia la generazione in avaria,
tramite un gruppo reversibile motore idraulico - pompa, quindi comunque senza mescolamen-
to dei fluidi dei 2 circuiti.
Di solito è importante che parte dell’impianto funzioni con velivolo a terra e motori spenti
(al limite con l’APU in funzione), per le prove funzionali di alcune utenze, le operazioni di
carico e traino, ecc.
Per i motivi visti nel capitolo 2, in genere un impianto idraulico di impiego aerospaziale
viene realizzato a pressione costante; questa filosofia permette anzitutto l’attivazione in paral-
lelo di un numero qualsiasi di utenze (ammesso che le pompe siano in grado di fornire le por-
tate richieste) senza che interferiscano tra loro; inoltre si possono dimensionare le varie uten-
ze su un valore ben preciso di pressione (si tenga comunque presente che la pressione viene
fissata su un valore nominale attorno al quale è definita una tolleranza; i vari componenti de-
vono poter lavorare nell’intero campo di tolleranza previsto). Un parametro caratteristico da
fissare nel progetto di un impianto idraulico è quindi la pressione di alimentazione. Al fine di
ridurre le dimensioni e quindi i pesi di tutti i componenti, è opportuno avere un valore il più
grande possibile per la pressione; questo ovviamente comporta anche il vantaggio di dover
elaborare minori portate. Naturalmente esistono dei limiti al valore di pressione utilizzabile,
dovuti a problemi di:
• comprimibilità;
• tenute delle guarnizioni;
• dimensioni troppo piccole di alcuni componenti.
Anche se è possibile ottimizzare il valore nominale di pressione, per motivi di convenienza
economica, si preferisce utilizzare valori standardizzati.
La pressione nominale più comunemente impiegata negli impianti idraulici aeronautici è di
21MPa (3000 psi, 210 kg/cm2), ma per esempio il Tornado ed il Concord hanno l’impianto a
28 MPa, il Cessna Citation a 10.5 MPa. Sono comunque allo studio impianti lavoranti a pres-
sioni decisamente superiori specialmente per impiego in campo spaziale.
Come si vede dalla tabella seguente con una pressione di 21 MPa si raggiungono rapida-
mente elevati valori di forza su martinetti anche di piccolo diametro:

D [mm] 10 20 50 80 100 150


F [N] 1649 6597 41233 105558 164934 371101
Tab. 4.1 - Forze realizzate in martinetti con pressione di 21 MPa

I valori alti di pressione portano a componenti più piccoli; a pari potenza si hanno portate
minori e quindi velocità minori nei tubi e minori perdite di carico. D’altra parte aumentare
troppo la pressione presenta degli svantaggi: le dimensioni possono diventare troppo piccole,
le guarnizioni più critiche, l’effetto della comprimibilità aumenta.
La comprimibilità implica un lavoro di compressione dato da:
p

p0
p V
L = ∫ pdV = ∫ p dp =
V
p0 β β∫
p

p0
pdp =
V 1 2
β2
(
p − p0
2
)

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e l’introduzione di un’elasticità esprimibile attraverso la rigidezza; in un martinetto di sezione


A e corsa L:
ΔV − AΔx A
F = pA = − β A = −β A = β Δx
V AL L
A
all’aumentare della pressione diminuisce l’area necessaria e quindi la rigidezza β , come
L
pure diminuisce la rigidezza all’estendere del martinetto o se cala β per la presenza di aria
nel martinetto.

4.2.1 Generazione

La generazione di pressione e portata viene svolta dalle pompe. Ogni circuito indipendente
di bordo è alimentato da una o più pompe. Esse possono essere azionate dai propulsori (attra-
verso dei riduttori), da motori elettrici dedicati, da turbine ad aria compressa, da elichette po-
ste al vento relativo, oppure manualmente dall’equipaggio di bordo.

4.2.2 Distribuzione e collegamento

La rete di distribuzione e collegamento è costituita da tubazioni, raccordi e valvole di co-


mando e controllo.

4.2.3 Utenze

Le utenze sono rappresentate dagli attuatori, dispositivi che trasformano l’energia idrauli-
ca in meccanica. Gli attuatori possono essere lineari (martinetti) o rotativi (motori idraulici).
I principali utilizzatori a bordo dei velivoli sono:
• ipersostentatori di bordo d’uscita e d’attacco;
• aerofreni;
• freni;
• equilibratori;
• alettoni;
• timoni;
• sterzo ruotino;
• inversori di spinta;
• portello vano e carrello d’atterraggio;
• portelloni di ingresso.

4.2.4 Accessori
Elementi accessori sono:
• accumulatori;
• filtri;
• guarnizioni;
• serbatoi;
• scambiatori di calore.

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4.3 Pompe idrauliche

Esistono due principali categorie di pompe idrauliche:

• pompe volumetriche;
• pompe fluidodinamiche.

Le prime, praticamente le uniche usate negli impianti idraulici aerospaziali, sono anche
dette a spostamento, poiché sono in grado di spostare un volume di fluido quasi indipenden-
temente dalla pressione a valle. Le pompe volumetriche sono in grado di raggiungere le più
alte pressioni e quindi sono particolarmente adatte per impianti di trasmissione di potenza
meccanica. Tipico esempio ne è la pompa a pistone.
Le seconde accelerano il fluido e sono particolarmente indicate per impianti dedicati a tra-
sferire fluido, come, ad esempio, gli impianti di alimentazione combustibile, Tipico esempio
ne è la pompa centrifuga.
Per le pompe volumetriche si può definire una portata volumetrica espressa da:

Q = ηV nV

dove V è il volume spostato in un giro ed n il numero di giri nell’unità di tempo.


La potenza idraulica ceduta al fluido è pari alla portata volumetrica erogata per il salto di
pressione imposto al fluido:
Wi = Q ⋅ Δp

La potenza meccanica fornita dovrà tenere conto di un rendimento:

Wi
Wm =
ηG

in cui η G = ηVη m è il prodotto di due rendimenti:

ηV rendimento volumetrico
ηm rendimento meccanico

Il rendimento volumetrico è dovuto alla compressione necessaria a portare il fluido in pres-


sione ed a eventuali trafilamenti all’interno dalla pompa.
Per trasferire al fluido tale potenza la pompa deve essere assoggettata ad una coppia data
da:
W Q ⋅ Δp
CT = i =
ωη G ωηV η m

dove ω è la velocità angolare dell’asse.

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4.3.1 Pompa a pistoni

Il caso più semplice di pompa a pistoni è quella a pistone singolo. Il movimento del pisto-
ne, in genere realizzato manualmente o con un sistema a biella e manovella, spinge il fluido
dal cilindro verso il condotto di mandata ottenendo così una certa portata.

Se la sezione del cilindro è A, il volume spostato per


una corsa x è

Vc = Ax

per effetto di eventuali trafilamenti e della compressione


necessaria per ottenere la pressione di mandata, il volume
spostato in uscita si riduce a

Vu = η v Ax

La portata volumetrica istantanea è:

Q(t ) =
dVu dx
= ηv A
dt dt
Fig. 4.1 – Pompa a pistone

Per avere una portata costante


con una pompa del genere, occorre-
rebbe una velocità costante per una
corsa infinita del pistone. Non es-
sendo questo realizzabile si deve
ricorrere ad un moto alternato del
pistone, ottenibile ad esempio con
un collegamento biella - manovella;
in tal caso la velocità v(t) ha anda-
mento sinusoidale, e così la portata.
E’ chiaro che all’imbocco ed
all’uscita del pistone ci dovranno Fig. 4.2 – Portata in funzione del tempo in pompa a
essere delle valvole che impedisca- singolo pistone con moto alternativo
no l’inversione del flusso (valvole di
non ritorno), e quindi la portata avrà l’andamento nel tempo rappresentato nel diagramma di
figura, o dall’espressione:

Q = η v Ac sin (ωt ) sin (ωt ) > 0


Q=0 sin (ωt ) < 0

dove c è la velocità massima del pistone.

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Per ottenere una certa uniformità del flusso occorre utilizzare diversi cilindri sfasati tra lo-
ro, ottenendo così una portata data da:

N
Q = η v Ac∑ max(sin (ωt + ϕ i ),0)
1

dove ϕi è lo sfasamento dell’i-esimo


pistone, N il numero totale dei pistoni
ed il singolo contributo alla portata è
considerato solo per i valori positivi
del seno. La figura 4.3 mostra il risul-
tato ottenuto nel caso di pompa a 7
pistoni.
In pratica il numero di cilindri uti-
lizzati è nella maggioranza dei casi 7
o 9, numero che comporta una suffi-
ciente uniformità del flusso con un
numero abbastanza limitato di cilin-
dri. (E' da notare che una pompa con
un numero di cilindri dispari presenta Fig. 4.3 – Portata pompa a 7 pistoncini
una irregolarità della portata uguale a quella di una pompa con un numero di cilindri doppio).

4.3.2 Pompa a pistoni assiali

Un tipico esempio di pompa volumetrica è rappresentato in figura 4.4. Si tratta di una


pompa a pistoncini assiali che scorrono in un tamburo rotante; l’estremità dei pistoncini è
vincolata ad un piattello inclinato; durante un giro del tamburo i pistoncini sono così obbligati
ad un moto alternativo. Il fatto che il tamburo sia rotante permette di utilizzare un collettore
fisso dotato di una piastra sulla quale sono ricavate due asole, una di mandata ed una di aspi-
razione.

Fig. 4.4 – Esempio di pompa a pistoncini assiali

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Nel disegno in esame il piattello è rotante


attorno al proprio asse di simmetria, inclina-
to però rispetto all’asse di rotazione del tam-
buro. In altri casi il piattello non è rotante e i
pistoncini sono collegati ad esso da pattini.
La corsa del singolo pistoncino, e quindi
la portata dell’intera pompa, è direttamente
legata all’angolo tra i due assi; se esiste la
possibilità di variare l’angolo fra l’asse della
pompa ed il piattello, si realizza una pompa
a corsa, e quindi portata, variabile Fig.4.5.

Si ha in genere trafilamento di olio tra il Fig. 4.5 Pompa a cilindrata variabile


tamburo e la piastra del collettore, tra pistoni e cilindri e spesso si genera una lubrificazione
forzata ai pattini del piattello. Questi trafilamenti, spesso voluti per ottenere la lubrificazione,
causano una perdita di portata dipendente dalla pressione a valle, ossia una riduzione del ren-
dimento volumetrico.
La curva caratteristica
tipica di una pompa vo-
lumetrica ideale mostra
una portata costante se è
fissata la cilindrata della
pompa ed il numero di
giri; in realtà il rendi-
mento volumetrico cala
al crescere della pressio-
ne, sia per i trafilamenti
che per la comprimibili-
tà, e si ha quindi una
leggera diminuzione
della portata volumetrica
al crescere della pressio- Fig. 4.6 – Trafilamenti tipici in pompe a pistoncini
ne.
In pratica la portata di una pompa volumetrica vie-
ne espressa con:
Q = ηV ( p )nV
dove n è il numero di giri nell’unità di tempo della
pompa e V la sua cilindrata complessiva.
Attualmente possono essere realizzate pompe a pi-
stoncini del peso di qualche kg in grado di fornire
pressioni molto elevate (anche 50 MPa) con cilindrate
piccolissime, girando a 20000-30000 rpm.
A bordo dei velivoli si usano comunemente pompe Fig. 4.7 – Curva caratteristica di
a 21 MPa, portata di qualche decina di litri al minuto, una pompa volumetrica
con potenze che raggiungono facilmente decine di KW a qualche migliaio di giri al minuto.

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4.3.3 Pompa a pistoni radiali


E’ poco usata in campo aerospaziale, perché più
complessa e meno versatile della precedente. La cam-
ma esterna ruota eccentricamente rispetto al gruppo
portapistoni, costringendo questi al moto alternato di
aspirazione e mandata. Si può ottenere una portata
variabile cambiando l’eccentricità con una costruzione
più complessa di quella delle pompe a pistoncini assia-
li.

Fig. 4.8 – Pompa a pistoncini radiali

4.3.4 Pompa a pistoni in linea


Non utilizzata in campo aeronautico, è costruita con cilindri in linea e pistoni azionati at-
traverso un albero a gomiti. Consente di raggiungere facilmente grandi cilindrate e quindi
grandi portate.

4.3.5 Pompa a palette ad eccentrico

E’ realizzata facendo ruotare un rotore por-


tapalette in modo eccentrico dentro ad una cavi-
tà cilindrica, le palette possono scorrere radial-
mente. Durante la rotazione si ottengono camere
a volume variabile che creano l’aspirazione e la
mandata del fluido come nelle pompe a pistoni.
Un problema comune per questi dispositivi è
la tenuta sui fianchi e l’usura delle palette. Que-
ste sono spinte contro la superficie esterna dalla
forza centrifuga, che quindi aumenta
all’aumentare della velocità angolare. Sono
macchine di minore pressione di esercizio ri- Fig. 4.9 - Pompa a palette
spetto alle pompe a pistoni, più ingombranti e
più soggette ad usura, ma richiedono gradi di filtrazione meno spinti. E’ possibile variare la
portata variando l’eccentricità.

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4.3.6 Pompa ad ingranaggi

E’ costituita da una camera in cui ingra-


nano due ruote dentate controrotanti.
Il liquido viene aspirato nei vani che si
creano tra i denti della singola ruota e la pa-
rete della cassa; quando arriva nella zona di
mandata, i denti ingranano tra loro ed il li-
quido fuoriesce dai vani.
Per problemi di tenuta ai fianchi delle ruo-
te e nella zona di ingranamento si ha un
maggior decadimento del rendimento volu-
metrico; queste pompe devono quindi essere
usate per pressioni più basse e non si presta-
no a realizzare pompe a portata variabile.
Si tratta peraltro di sistemi semplici, robu-
sti, resistenti all’usura e più silenziosi.
A bordo di velivoli sono utilizzate negli Fig. 4.10 – Pompa ad ingranaggi
impianti di lubrificazione del motore.

4.4 Regolazione della pressione

Come visto nel paragrafo precedente le pompe volumetriche forniscono per loro natura
una portata, la pressione deriva da quanto presente a valle; in sostanza è la comprimibi-
lità del fluido (o del gas di un eventuale accumulatore sulla linea di mandata) che determina
la pressione in funzione della portata generata e quella assorbita dall’impianto.
Un eccesso di portata rispetto a quanto richiesto dall’impianto determina un aumento di
pressione e viceversa una scarsità di portata rispetto a quanto richiesto determina un calo
della pressione.
Infatti:
dV
dp = − β
V
1 dV 1
= β (Qi − Qu )
dp
= −β
dt V dt V

Compressione Utilizzatori

Qi Qu

Fig. 4.11 – Genesi della pressione

Dato che gli impianti, per non avere interferenza fra le varie utenze, devono essere a pres-
sione costante, sono indispensabili degli organi di regolazione che adeguino la portata al valo-
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re richiesto dalle utenze. Se ciò non si verifica la pressione nell’impianto varia per la compri-
mibilità del fluido (con gradienti molto elevati) o del gas presente nel circuito. I sistemi di
regolazione possono essere fondamentalmente di due tipi: si mantiene costante la portata della
pompa e si aggiunge a valle una valvola di regolazione in modo che l'eccesso di portata venga
spillato e riportato nel serbatoio dell'olio; si introducono degli organi di regolazione che alte-
rino il numero di giri o la cilindrata della pompa in modo da avere la sola portata necessaria
all'impianto. Questa seconda tecnica richiede macchine più complesse, ma è ovviamente mol-
to più efficiente dal punto di vista energetico.

4.4.1 Regolazione tramite valvola regolatrice

Questo tipo di regolazione è indipendente dalla pompa utilizza-


ta, poiché agisce direttamente sulla portata a valle della pompa.
Per mantenere costante la pressione si introduce a valle della
pompa una valvola regolatrice di pressione che rinvia al serbatoio
l’eccesso di portata rispetto a quanto richiesto dall’impianto.
La valvola ha un cursore mobile che, a seconda del valore di pressione dell’impianto, cam-
bia l’apertura dell’orifizio di scarico; l’orifizio è sempre aperto, ma la sua area dipende dalla
posizione di equilibrio del cursore soggetto all’azione della pressione pilota contrastata da
una molla precaricata.
La posizione del cursore è
retta dalle equazioni seguenti p

m&x& = p p A − kx − F0
p p = p − hA 2 x& x& pp

e la portata rimandata al ser-


batoio è funzione dell’apertura x Qs
dell’orifizio

Qs = f ( x )
Fig. 4.12 – Valvola regolatrice di pressione

Tarando opportunamente il precarico della molla, in genere attraverso una manopola, è


possibile regolare la valvola su diversi valori di pressione. Le possibili oscillazioni del curso-
re sono fortemente smorzate dalle perdite di carico lungo il condotto della pressione pilota.
Per il funzionamento di questo sistema di regolazione occorre che vi sia sempre un ricirco-
lo di olio e la pompa deve lavorare alla massima potenza richiesta dall’impianto anche quan-
do le esigenze sono minori. Questo comporta una perdita energetica e un riscaldamento
dell’olio.
Questo sistema di regolazione è quindi conveniente solo quando la potenza assorbita
dall’impianto è nella maggioranza dei casi vicino alla massima e quando si vuole rapidità di
intervento della regolazione.

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4.1.2 Regolazione tramite retroazione sulla pompa

Come osservato in precedenza, le pompe a pistoncini assiali forniscono portate proporzio-


nali alla corsa dei pistoncini; variando l’inclinazione del piattello è possibile realizzare pompe
a cilindrata variabile, e quindi con portata variabile. Se la variazione di portata è controllata
dalla pressione è così possibile far funzionare la pompa a pressione costante.
A valle della pompa si deriva una linea che porta la pressione pilota ad un piccolo cilindro
con pistone mobile; il pistone trova l’equilibrio in funzione della reazione della molla e della
pressione dell’impianto; al pistone è collegato il piattello della pompa, che verrà inclinato di
modo che la pompa realizzi la portata, e quindi
la pressione, richiesta.
D
Q = ηvVn
V = n p Ac = n p AD tan (α )

E’ evidente che il metodo retroazionato è


più efficiente, anche se la pompa è più com- α
plessa. Infatti il primo metodo comporta uno
spreco di portata e quindi di potenza, poiché la
pompa deve sempre funzionare al massimo
della portata che può essere richiesta dalle Fig. 4.13 – Pompa a cilindrata variabile
utenze, mentre il secondo adatta la portata erogata alla richiesta. D’altro canto il primo siste-
ma è più pronto nella risposta, ovvero ha transitori più brevi quando attaccano o staccano le
varie utenze, poiché le inerzie in gioco sono minori.

4.5 Tubi

Le tubazioni sono in acciaio inossidabile per le parti ad alta pressione, in alluminio per
quelle a bassa pressione (spesso le linee di ritorno). Alcuni tratti sono realizzati in tubo flessi-
bile se devono seguire il movimento di un organo. Esse devono avere sezioni adeguate in base
al flusso d’olio, essere il più possibile rettilinee e, nel caso di cambiamenti di direzione, avere
ampi raggi di curvatura. La scelta del diametro dei tubi è legata ad un compromesso tra peso
ed entità di perdite di carico che ci si può permettere; valori indicativi delle velocità racco-
mandate nei vari tipi di condotti sono:

• aspirazione 1.2 m/s


• mandata 5.0 m/s
• ritorno 2.5 m/s

Comunque le dimensioni ed i materiali di tubi e raccordi sono normalizzati.

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4.6 Valvole

Le valvole hanno la funzione fondamentale di controllare il circuito e permettere l'introdu-


zione dei comandi dei vari attuatori.
Le principali tipologie di valvole sono:

• distributrici di comando
• di esclusione
• di non ritorno
• di sicurezza
• di sequenza
• regolatrici di pressione
• riduttrici di pressione
• a spola
• regolatrici di portata

4.6.1 Valvola distributrice

La valvola distributrice ha un comando imposto dall'esterno, e in base ad esso collega in


vari modi le diverse tubazioni che arrivano alla valvola stessa consentendo quindi l’attuazione
di una utenza.
Essa è caratterizzata dal numero di vie (tubazioni collegate) e dal numero di posizioni. In
figura è mostrata una valvola del tipo assiale a cassetto a 4 vie e 3 posizioni, con il simbolo
unificato corrispondente.
Il tipo di comando può essere manuale, idraulico, pneumatico o elettromagnetico (elettro-
valvole). In special modo nel caso della valvola a cassetto è semplice collegare le estremità
del cursore con un sistema meccanico, con una tubazione idraulica o pneumatica, oppure con
un sistema a solenoide.

Fig. 4.14 Valvola distributrice

4.6.2 Valvole di esclusione

Equivalgono a distributori a due vie e due posi-


zioni; servono a escludere o a inserire parte del cir-
cuito. Fig. 4.15 – Valvola di esclusione

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4.6.3 Valvola di non ritorno

La valvola di non ritorno


consente il flusso in un solo
senso ed è quindi utilizzata per
intercettare flussi di olio in
direzioni non desiderate.
E’ sostanzialmente costituita
Fig.4.16 - Valvola di non ritorno da un cursore tenuto in sede da
una molla a bassa rigidezza.

Esistono valvole di non ritorno pilotate che possono es-


sere forzate a portarsi nella condizione di comunque chiu-
sa o comunque aperta.

Fig. 4.17 Valvole di non


4.6.4 Valvola di sicurezza ritorno pilotate

La valvola di sicurezza interviene automaticamente per proteggere l'impianto da sovrapres-


sioni dell’olio. La valvola è montata fra la tubazione di mandata alla rete di distribuzione e il
serbatoio; normalmente la valvola è chiusa e si apre se si supera di una certa entità il valore di
pressione nominale. All’apertura della valvola parte di fluido viene inviato al serbatoio de-
pressurizzando quindi l’impianto. Vengono tarate su valori del 20-40% superiori a quelli di
funzionamento nominale dell’impianto, valori comunque ancora inferiori a quelli utilizzati
per il dimensionamento a rottura.
Queste valvole devono presentare una forte isteresi dato che la loro apertura deve avvenire
con una pressione superiore alla pressione nominale dell’impianto, mentre la loro chiusura
deve avvenire quando la pressione è scesa al valore nominale o poco al disotto di questa.
Per ottenere l’isteresi richiesta è indispensabile che l’apertura venga comandata dall’effetto
della pressione su una certa area, ma che, appena aperta, la pressione agisca su un’area mag-
giore.

Fig. 4.18 - Valvola di sicurezza

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4.14
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Capitolo 4 – Impianto idraulico

La posizione del cursore della valvola è definita dall’equazione:

m&x& = pA1 − kx − F0

dove x non può assumere valori negativi.


La valvola si apre quindi quando la pressione è tale da avere:
p ap A1 > F0

Appena la valvola si apre la pressione tende a calare, mentre la forza esercitata dalla molla
cresce, la valvola tenderebbe quindi a richiudersi. Se appena la valvola si apre la pressione
agisce su un’area A2 con A2 > A1 , essendo al limite della chiusura F0 = pch A2 si ha:
pap A1 = F0 = pch A2
A1
pch = pap
A2
realizzando così l’isteresi voluta.

4.6.5 Valvola di sequenza

Viene impiegata per comandare la sequenza di due o più manovre; per esempio
l’estrazione carrello, che deve avvenire dopo l’apertura del portello. E’ attivata idraulicamen-
te ed è analoga alla valvola di sicurezza a cassetto, ma invece di scaricare in serbatoio alimen-
ta un’altra utenza.

Fig. 4.19 - Valvola di sequenza

Quando il primo martinetto raggiunge il finecorsa superiore, la pressione nell’impianto


tende ad aumentare, pilotando l’apertura della valvola di sequenza per l’alimentazione del
secondo martinetto.

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4.15
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4.6.6 Valvola riduttrice di pressione

Questa viene utilizzata per eventuali utenze che richiedono pressioni minori di quella no-
minale dell’impianto. Il cursore, contrastato dalla solita molla regolabile, sente come pressio-
ne pilota quella all’uscita e trova una posizione di equilibrio che strozza più o meno
l’alimentazione a tale utenza.

Fig. 4.20 - Valvola riduttrice di pressione

4.6.7 Valvola a spola o a navetta

Viene installata a monte di utenze che possono essere alimentate da due diversi circuiti i-
draulici, tipicamente quello di servizio e quello di emergenza. Come evidente dallo schema di
figura, il cursore di questa valvola sente qual è l’impianto con maggior pressione, permetten-
dogli di alimentare l’utenza senza scaricare nell’altro impianto.

Fig. 4.21 - Valvola a spola

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4.6.8 Valvole regolatrici di portata

La figura riporta lo schema di valvo-


le per regolazione di portata a spoletta;
entrambe sfruttano la caduta di pressio-
ne su una strozzatura per ottenere una
differenza di pressione legata alla porta-
ta da regolare, differenza di pressione
che determina la posizione del cursore.
Il primo tipo manda verso lo scarico
l’eccesso di portata e permette quindi di
avere portate nel punto 1 e 3 diverse fra
loro.
Il secondo tipo, regolando la portata
in linea, richiede che la portata in arrivo
Fig. 4.22 - Valvole regolatrici di portata
sia compatibile con quella regolata in
uscita.

4.7 Servovalvole

Sono delle valvole proporzionali, ossia in grado di variare


in modo continuo pressioni o portate, proporzionalmente ad un
segnale di ingresso. Si tratta in genere di sistemi a due stadi,
uno a bassa potenza che genera una differenza di pressione in
grado di pilotare una valvola principale di alta potenza. Esisto-
no comunque anche valvole proporzionali con comando elet-
trico diretto.
L’elettrovalvola proporzionale è solitamente utilizzata in sistemi di controllo controreazio-
nati, permettendo di regolare posizione o velocità o forza esercitate dal martinetto

Fig. 4.23 - Schema di funzionamento servovalvola

La figura 4.24 mostra l’installazione di una servovalvola che aziona un martinetto, collega-
to ad un trasduttore di posizione che genera un segnale di retroazione per il controllo
dell’input alla servovalvola stessa.

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4.17
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Fig. 4.24 - Servovalvola

Lo schema della figura 4.25 rappresenta un esempio semplice di valvola pilota di bassa po-
tenza, con riportato il circuito idraulico equivalente. Si tratta di una valvola a doppio ugello
con otturatore mobile. I due ugelli sono alimentati con pressioni uguali pS, ma l’otturatore
può spostarsi verso uno dei due ostacolandone l’uscita del flusso e quindi variando i valori
delle pressioni pA e pB.

Fig. 4.25 - Rappresentazione schematica di una valvola pilota a doppio ugello


con otturatore mobile

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4.18
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In condizioni di equilibrio i punti A e B non spillano portata, si ha:

pS − p0 = [ K1 + αK 2 ]QA2 = [ K1 + (1 − α ) K 2 ]QB2

dove QA e QB sono le portate nei due rami, K1 e αK2 i coefficienti di perdita di carico nelle
strozzature ed α un parametro adimensionale che assume valori attorno allo 0.5 in funzione
del livello di otturazione dell’ugello; svolgendo qualche conto si ottiene:
αK2 pS + K1 p0
pA =
K1 + αK 2
( 1 − α )K 2 p S + K1 p0
pB =
K1 + ( 1 − α )K 2

che sono uguali per α = 0.5 (otturatore in mezzo tra i due ugelli).
L’otturatore è azionato da un segnale di
ingresso, tipicamente un segnale elettrico
tradotto attraverso un solenoide in una cop-
pia che viene contrastata da una molla.
Una corrente inviata al solenoide deter-
mina quindi una rotazione dell’otturatore e
di conseguenza una differenza fra le pres-
sioni p A e p B che a sua volta determina
uno spostamento del cursore del distributo-
re. Introducendo una retroazione, ad esem-
pio con un collegamento elastico fra
l’otturatore e il cursore come in figura 4.26
o misurando lo spostamento del cursore ed
inviando al solenoide un segnale proporzio-
nale alla differenza fra il comando e lo spo-
stamento ottenuto, si ottiene un ritorno
dell’otturatore nella posizione neutra con
uno spostamento del distributore proporzio-
nale al segnale di ingresso.
Comunemente col nome di servovalvola
si indica tutto il gruppo costituito da organo
di comando, valvola pilota, valvola princi-
pale e circuito di retroazione. La valvola
pilota viene di solito miniaturizzata, ed il
complesso diventa un sistema leggero e
poco ingombrante. Il vantaggio notevole di
questo sistema è anzitutto il fatto che, es-
Fig. 4.26 - Servovalvola
sendo a due stadi, necessita di un segnale di
ingresso di bassa potenza.

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4.19
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4.8 Martinetti

I martinetti, o cilindri idraulici, sono il tipo di motore più semplice utilizzato in campo i-
draulico. Funzionalmente possono essere a semplice o doppio effetto, a seconda che il fluido
di alimentazione provveda allo spostamento in un solo senso o in entrambi, e a singolo o dop-
pio stelo.
Lo stelo può essere semplice o passante. L’ancoraggio può essere sullo stelo o sul corpo ci-
lindrico.

Fig. 4.27 - Martinetto a semplice stelo, a doppio stelo, telescopico

Un tipo particolare è il martinetto telescopico, che permette di ottenere elevate corse con
minimi ingombri.
I martinetti permettono con grande facilità di realizzare comandi rettilinei con qualsiasi
legge di moto, senza ricorrere a complicati cinematismi. Va tenuto presente però che essi pre-
sentano dei problemi se devono lavorare trasmettendo carichi flettenti; si preferisce quindi
utilizzare martinetti con cerniere alle estremità che trasmettono solo carichi assiali.
La forza esercitata da un martinetto è ottenuta
dell’effetto delle pressioni sulle facce del pistone; è
data quindi da:
F = Pa AC − Pb ( AC − AS )

dove Ac è la sezione del cilindro e As la sezione dello


stelo.
La presenza delle necessarie guarnizioni fra il ci-
lindro e il pistone e fra lo stelo e il fondello creano
degli attriti per cui in realtà la forza ottenibile dal
martinetto è minore di quella teorica; la forza efficace Fig.4.28 – Forza su martinetto
può essere rappresentata attraverso un rendimento:
Fe = ηF
dove per η si possono avere valori attorno al 95%.
Al moto del martinetto sono inoltre collegate le portate nelle due camere dalle relazioni:
Q A = AC x&
(
QB = AC − AS x& )

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4.20
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Capitolo 4 – Impianto idraulico

La forza esercitata da un martinetto inserito in impianto a pressione costante è costante a


meno delle perdite di carico. Nel dimensionamento del martinetto, se la forza resistente è va-
riabile, cosa che si verifica nella maggioranza dei casi, il dimensionamento deve essere tale
che la forza esercitata dal martinetto sia sempre maggiore della forza resistente massima.
Il moto del martinetto e di quanto ad esso collegato sarà
quindi in generale un moto accelerato; si ha quindi il problema
di una velocità sempre crescente con una corsa limitata.
All’aumentare della velocità del pistone aumentano però le
portate e di conseguenza le perdite di carico, attenuando il
problema. Se necessario si può porre alle bocche del martinet-
to un dispositivo come quello in figura collegato in modo da
lasciare libero l’ingresso e creare una strozzatura all’uscita
dell’olio. Fig. 4.29 – Dispositivo per
È opportuno che la strozzatura sia all’uscita in modo da rallentare moto pistone
aumentare la contropressione, piuttosto che all’ingresso dove avrebbe l’effetto di ridurre la
pressione attiva, ma potrebbe ridurla fino ad arrivare a condizioni di cavitazione.
Comunque il pistone arriverà a fine corsa con una certa velocità. Potrà quindi essere neces-
sario introdurre particolari in grado di rallentare il moto in prossimità dei fine corsa. Questo in
genere viene ottenuto intrappolando parte del fluido in zone dove viene compresso creando
così una forza che tende ad arrestare il moto del pistone.
Per azionamenti che possono prelevare
pressione da due impianti separati si usano A1 B1 A2 B2
martinetti a doppia camera, come in figura.
Questi devono essere dimensionati in modo
da poter funzionare anche se solo una linea di
alimentazione è attiva. In queste condizioni
occorre ovviamente stabilire un cortocircuito
fra le altre due camere per non bloccare il mar- Fig. 4.30 – Martinetto a doppia
tinetto. alimentazione

4.9 Motori

In sostanza sono delle pompe fatte funzionare al


contrario, ossia è fornita loro una portata che viene
tradotta in movimento rotatorio di un albero. In base
alla velocità di rotazione, si suddividono in motori
lenti (30-300 rpm) e veloci (300-3000 rpm).
Esistono motori a pistoni radiali o assiali, motori semirotativi (la pressione aziona un pic-
colo pistone che ingrana su una ruota dentata, ottenendo così brevi escursioni, ma coppie ele-
vate), motori a palette e ad ingranaggi. In campo aerospaziale si usano per lo più i motori
idraulici a pistoncini e ad ingranaggi.

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4.21
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4.10 Accumulatori

Gli accumulatori idraulici sono dispositivi posti in paralle-


lo sulla linea, in grado di immagazzinare energia in un im-
pianto, restituendola sotto forma di olio in pressione qualora
venisse richiesto. Le funzioni sono:

• fornire una certa quantità di fluido in pressione per le utenze quando le pompe non fun-
zionano, ossia in caso di emergenza; questi accumulatori sono posti in prossimità
dell’utenza da azionare e sono previste valvole di non ritorno per evitare che
l’accumulatore disperda energia verso altre utenze;
• mantenere pressurizzato il circuito aiutando le pompe nei momenti di maggior richiesta;
• assorbire le irregolarità di pressione dovute all’attivazione e disattivazione delle utenze (i
sistemi di regolazione visti in precedenza hanno dei transitori) ed al funzionamento pul-
sante delle pompe; in questo caso è immediata l’analogia col volano in un sistema mecca-
nico; un accumulatore con tale scopo è collegato poco a valle della pompa;
• assorbire i colpi d’ariete.

Esistono altre funzioni meno comuni dell’accumulatore. Per esempio sull’AMX esiste un
accumulatore che, rimasto in pressione dopo lo spegnimento dell’impianto, può alimentare un
motore idraulico per l’avviamento della turbinetta ausiliaria APU, anziché utilizzare un siste-
ma classico batteria - motore elettrico.
Da quanto detto è evidente che a bordo può essere presente un certo numero di accumula-
tori per varie funzioni.
Sono diversi i tipi di accumulatore possibili.

Fig. 4.31 – Tipi di accumulatore: a peso, a molla, a gas con pistone mobile, pelo libero,
sacca e membrana

In tutti i casi, introducendo dell’olio, si ottiene un immagazzinamento di energia in forma


potenziale o elastica. In effetti i tipi principali di accumulatore sono 3:
• a peso;
• a molla;
• a gas.

Il primo tipo non viene impiegato a bordo dei velivoli perché richiederebbe dimensioni
improponibili. In esso la pressione è ottenuta da un pistone pesante ed è quindi costante: que-
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4.22
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sto accumulatore sarebbe quindi ideale perché a pari volume immagazzina la massima energia
possibile, ma anche utilizzando i più pesanti materiali non si possono raggiungere 21 MPa in
spazi contenuti; infatti la pressione in esso sarebbe:
γV γAh
p= =
A A
da cui:
p
h=
γ
21 *106
(Anche utilizzando i metalli più pesanti (iridio ρ = 22.4 *103 kg/m3) si ha h =
p
= = 95.6m )
ρg 22.4 *103 * 9.81
Questi accumulatori trovano impiego a terra e con pressioni molto basse (ad es. gasome-
tri).
Il secondo tipo è raramente utilizzato a bordo dei velivoli, perché più pesante di quello a
gas. In esso la pressione è ottenuta da un pistone su cui agisce una molla compressa; se V è il
volume di olio introdotto, F0 il precarico della molla, K la sua rigidezza e A l’area del pistone,
l’andamento della pressione in funzione di V è data dalla legge lineare:

F0 K
p= + 2V
A A

In genere vengono usati accumulatori a gas (per lo più azoto, perché inerte ed economico)
di vari tipi: a pelo libero, a pistone, a sacca e a membrana.
Indicando con V0 il volume del gas ad accumulatore scarico, che equivale a quello
dell’accumulatore, p0 la pressione del gas in queste condizioni, V il volume di olio introdotto,
quando l’accumulatore viene caricato, il gas subisce una trasformazione politropica e la pres-
sione diventa:
γ
⎛ V0 ⎞
p = p0 ⎜ ⎟
⎝ V0 − V ⎠

dove γ è l’esponente della politropica, pari a


1.4 in caso di adiabatica (trasformazione veloce)
e a 1 in caso di isoterma (trasformazione lenta).
In figura si riportano sul piano p-V le curve di
carica dei due tipi di accumulatore, a parità di
condizioni iniziali e finali. Si può osservare che
l’energia assorbita (e quindi erogabile)
dall’accumulatore a molla è maggiore, ma nono-
stante questo il peso lo rende meno adeguato
rispetto al sistema a gas.
Per il dimensionamento dell’accumulatore a
gas, spesso si considera l’isoterma in fase di cari-
ca, poiché essa è di solito seguita da un periodo
di inutilizzo dell’accumulatore carico, e
Fig. 4.32 - Diagramma di funzionamento l’adiabatica in fase di scarica, poiché è veloce.
accumulatore a molla e a gas Ad impianto scarico tutto l’olio esce
dall’accumulatore ed il gas occupa tutto il volu-
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4.23
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me portandosi alla pressione di precarica; quando l’impianto viene messo in pressione entra
olio nell’accumulatore fino a quando la pressione al suo interno non uguaglia quella
dell’impianto.
Pensando ad una carica isoterma, se la pressione dell’impianto è p n il volume di olio en-
trato è:
⎛ p ⎞
V = V0 ⎜⎜1 − 0 ⎟⎟
⎝ pn ⎠

Fig. 4.33 – Impiego dell’accumulatore in emergenza

Il dimensionamento dell’accumulatore dipende dalla funzione che ne viene richiesta. Per


l’uso come riserva di energia da utilizzare per azionamento in condizioni di emergenza occor-
re tenere conto del fatto che utilizzando l’olio contenuto nell’accumulatore la sua pressione
cala.
D’altra parte per il dimensionamento dell’accumulatore si hanno due incognite (pressione
di precarica e volume dell’accumulatore) ed una sola equazione a disposizione; è conveniente
seguire la seguente procedura:

• Fissare la pressione di precarica


• Dimensionare il martinetto per questo valore di pressione
• Calcolare il volume di olio necessario per compiere tutta la corsa
• Dati la pressione di precarica, la pressione ad accumulatore carico, il volume d’olio
necessario ad eseguire l’azionamento del martinetto si può calcolare il volume
dell’accumulatore.

Tale volume è teorico e va maggiorato con un coefficiente di sicurezza per tener conto
dell’assorbimento di gas nel liquido e di trafilamenti.

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4.24
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4.11 Serbatoi

Gli impianti idraulici possono avere uno o più serbatoi; questi sono necessari, oltre che per
il normale contenimento del liquido utilizzato, per:
• permettere la separazione di eventuale gas in sospensione;
• assorbire le variazioni di volume complessivo di liquido per salti termici, quantità assorbi-
te e rifornite dalle utenze e trafilamenti;
• dissipare calore (se non è sufficiente si usano degli scambiatori, utilizzando come refrige-
rante l’aria esterna o il combustibile).
Gli elementi principali del serbatoio so-
no:
• un bocchettone di rifornimento, dotato
di filtro per le impurità più grossolane;
• una finestrella di controllo del livello
durante le operazioni di manutenzione;
• una sonda di livello con trasduttore; in
verità questo non è un dispositivo sem-
pre presente, poiché se si ha una perdita
di olio la pressione dell’impianto dimi-
nuisce istantaneamente; perciò è più uti-
le un manometro sulla linea, con tra-
sduttore elettrico e rinvio in cabina del
segnale di pressione;
• una linea di mandata alle pompe
dell’impianto principale; il pescaggio
non avviene sul fondo, per evitare di a-
spirare impurità sfuggite alla filtrazione
e per lasciare una riserva per la mandata Fig. 4.34 – Serbatoio per impianto
ausiliaria; idraulico
• una linea di mandata alle pompe ausiliarie
dell’impianto, pescante dal fondo;
• un filtro per depurare il fluido di ritorno;
• una o più linee di ritorno dalle utenze e dai drenag-
gi, in genere connesse tangenzialmente al serba-
toio, al di sotto del pelo libero, o comunque con
accorgimenti tali da ridurre il gorgogliamento e la
formazione di schiuma.
In genere i serbatoi sono pressurizzati, per assicura-
re alla pompa un liquido che non sia prossimo alla
pressione di cavitazione, specialmente al crescere della
quota. In alcuni casi il serbatoio viene pressurizzato
con aria spillata dall’impianto pneumatico e depurata;
in altri si sfrutta la stessa pressione dell’impianto i-
draulico (fig. 4.35). La pressione nei serbatoi viene
comunque tenuta abbastanza bassa per non creare Fig. 4.35 – Serbatoio
pressurizzato
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4.25
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troppa sovrapressione sulla linea di ritorno.


Detta As l’area nel serbatoio, Ac l’area nel cilindro e p la pressione a valle della pompa, la
A
pressione nel serbatoio risulta: p s = c pc
As
4.12 Filtri

I filtri hanno la funzione di eliminare le impurità solide con-


tenute nell’olio in circolazione, che possono essere il risultato
dell’usura delle parti mobili o causate da contaminazioni
dell’olio; queste impurità possono danneggiare diversi organi
con parti in movimento, particolarmente pompe e servovalvole,
provocando il distacco di ulteriori impurità con una reazione a
catena di danneggiamenti.
Il filtro viene scelto in funzione della tolleranza alle impurità dell’impianto, della viscosità
del fluido e della massima caduta di pressione ammissibile.
Alcuni filtri sono costituiti da fogli porosi di cellulosa ondulata, di modo da ottenere
un’ampia superficie filtrante in un volume contenuto, riducendo le perdite di carico. Questi
sono identificati con un numero che indica il diametro in micron delle particelle che vengono
trattenute. Altri, costituiti da una cartuccia metallica, di impiego tipico aerospaziale, sono
identificati dal numero di maglie per pollice lineare e permettono la filtrazione di impurità
comprese tra i 5 ed i 50 μ, a seconda delle tolleranze degli organi da proteggere. Esistono
filtri micrometrici costituiti da diversi strati di cellulosa trattata per drenare particelle da 3 μ.
I filtri possono essere inseriti:
• a monte della pompa, con il vantaggio di proteggere bene la pompa da contaminanti, ma
lo svantaggio di indurre una forte caduta di pressione prima della pompa;
• sul circuito di scarico prima del serbatoio, introducendo una contropressione, ma filtrando
così l’olio dopo il ciclo di lavoro.

Fig. 4.36 – Confronto fra dimensione meati e impurità

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4.26
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Il grado di filtraggio necessario dipende dalle tolleranze nei componenti utilizzati, in base
a queste esiste infatti una misura delle impurità dannose che è necessario filtrare per evitare
danneggiamenti e aumento delle impurità circolanti.

Esistono filtri dotati di valvole di by-pass che


permettono il passaggio dell’olio anche col filtro
intasato; naturalmente questo può essere utilizzato
solo in condizioni particolari quando è accettabile il
rischio di utilizzare olio non filtrato.
Per provvedere alla manutenzione si usano degli
indicatori di intasamento: misurando la differenza
di pressione a cavallo del filtro forniscono indica-
zioni sul suo stato e sull’esigenza di sostituire
l’elemento filtrante.

Fig. 4.37 – Tipico filtro con


by-pass

4.13 Scambiatori di calore

Quando le tubazioni ed il serbatoio non sono suffi-


cienti a smaltire il calore generato occorre introdurre
degli scambiatori di calore, in modo da mantenere la
temperatura dell’olio a valori ottimali.
Si tende infatti ad avere temperature per le quali la viscosità scenda in modo da diminuire
le perdite, ma non troppo per mantenere le proprietà di lubrificazione.
Come fluido di raffreddamento viene impiegata l’aria esterna prelevata da apposite prese
dinamiche o il carburante, provvedendo così ad un suo preriscaldamento.

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4.27
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4.14 Guarnizioni

Le guarnizioni servono a ridurre i trafilamenti quando viene lasciato del gioco tra le parti
in movimento, come cilindro e pistone in un martinetto, onde evitare l’usura. Sono in materia-
le elastico e possono avere diverse forme, ma le più comuni sono quelle rotonde ad anello,
inserite in apposite scanalature; in figura è disegnata la sezione di una guarnizione del genere
a riposo; se aumenta la pressione da un lato, la guarnizione viene spinta e deformata, realiz-
zando un’ottima tenuta; ma se la pressione aumenta troppo, si rischia una deformazione, con
estrusione della gomma tra le due superfici in movimento ed usura della guarnizione; per evi-
tare questo inconveniente si introducono degli anelli laterali di spallamento in teflon.

Fig. 4.38 - Guarnizione rotonda ad anello in diverse condizioni di utilizzo

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4.28
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4.15 Esempi di circuiti idraulici di bordo

Nelle pagine seguenti vengono riportati alcuni schemi di impianti idraulici a bordo di veli-
voli.

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4.29
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4.30
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4.31
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4.32
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4.16 Simboli grafici per componenti idraulici

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IMPIANTI E SISTEMI AEROSPAZIALI – Dispense del corso, versione 2011
Capitolo 4 – Impianto idraulico

Queste dispense possono essere liberamente scaricate dal sito internet del Politecnico di Milano. La vendita è vietata.

4.34
POLITECNICO DI MILANO - DIPARTIMENTO DI INGEGNERIA AEROSPAZIALE
IMPIANTI E SISTEMI AEROSPAZIALI – Dispense del corso, versione 2011
Capitolo 4 – Impianto idraulico

4.17 Bibliografia
H.G.Conway, Aircraft Hydraulics, Chapman & Hall, 1957.
W.L.Green, Aircraft Hydraulic Systems, Wiley, 1985.
H.E.Merritt, Hydraulic Control Systems, Wiley, 1967.
G.Rigamonti, Oleodinamica E Pneumatica, Hoepli, 1987.

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4.35

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