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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRENTO

Dipartimento di Ingegneria Civile, Ambientale, Meccanica


Laurea magistrale in ingegneria civile – A.A. 2016-17

Corso di Costruzioni Idrauliche (Rigon)

Teoria Seconda Parte (Acquedotti)


Appunti delle lezioni con integrazioni bibliografiche

Mattia Ferrari
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 2

Premessa
Nelle pagine seguenti sono raccolti gli argomenti trattati dal prof. Riccardo Rigon nell’ambito del corso di costruzioni
idrauliche (L.M. Ingegneria Civile). Il contenuto di questo fascicolo deriva dall’integrazione degli appunti personali delle
lezioni con i testi contenuti in bibliografia. Un rigraziamento anche al collega Giordano Berlanda per aver fornito alcune
parti.

Qualora venissero riscontrati errori od imprecisioni si prega di inviare una segnalazione all’autore all’indirizzo e-mail di
seguito. Si declina ogni responsabilità derivante dall’utilizzo del presente fascicolo.

Mattia Ferrari

mattia.ferrari-1@hotmail.it
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 3

Domande e risposte. Indice.


1. Introduzione generale ....................................................................................................................................................... 4
2. La rete di distribuzione ....................................................................................................................................................11
3. La rete di adduzione ........................................................................................................................................................20
4. La captazione ..................................................................................................................................................................27
5. I serbatoi. .........................................................................................................................................................................60
6. Appunti Esercitazione .....................................................................................................................................................69
7. Approfondimenti .............................................................................................................................................................70
8. Domande probabili ..........................................................................................................................................................75
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 4

1. Introduzione generale

Intro.
Acquedotti in generale: infrastrutture integrate per il trasporto di acqua per vari utilizzi

Definizioni
Acquedotto: insieme integrato di infrastrutture riferibili ad un’area d’utenza in cui vige omogeneità amministrativa e di qualità
d’acqua, in quanto proveniente dalle stesse fonti
Impianto di acquedotto: insieme di fonti d’approvvigionamento (sorgenti, pozzi, acque superficiali), impianti di trasporto, di
trattamento, d’accumulo, di pompaggio tra loro interconnessi fisicamente.

Tipologie di acquedotto: civile, industriale, agricolo.


Le opere che compongono una rete di acquedotto si dividono in 3 categorie:
- Opere di captazione: opere dalle quali si preleva l’acqua. Ad ogni tipo di captazione corrisponde un tipo di opera adatta:
pozzi, sorgenti…. Esse sono in grado di fornire una certa quantità di acqua che, per soddisfare la richiesta disomogenea nel
tempo, viene stoccata all’interno di opportuni serbatoi.
- Opere di adduzione
- Opere di distribuzione: rete di distribuzione, serie di opere che consentono la distribuzione sul territorio (non all’interno delle
case)

Tra la captazione e l’adduzione sono necessarie opere di


trattamento/produzione (regolatori di portata, potabilizzatori…) e tra
l’adduzione e la distribuzione sono necessarie opere di regolazione.

MODELLIZZAZIONE DELL’ACQUEDOTTO. Gli acquedotti sono costituiti da condotte in pressione. In questo modo non c’è
dipendenza dalla pendenza del territorio e si riesce a garantire la diffusione agli abitati. A valle di un’abitazione la pressione deve
essere di 5m di colonna d’acqua (1/2 atmosfera) per garantire la diffusione ai piani più alti dell’edificio. Per abitazioni più alte è
necessario predisporre impianti di sollevamento interni all’edificio. Da 25 anni ad oggi si pone il problema della manutenzione della
rete, in seguito ad uno sviluppo precedente scarsamente regolamentato e molto caotico. Sono nate delle normative nel tempo per
regolamentare gli acquedotti e l’acqua transitante negli stessi.
Gli elementi costituenti l’acquedotto sono:
• Impianti di captazione da sorgenti (N) o da acque superficiali (Q) o sotterranee (P)
• Punti di prelievo da impianti di acquedotto diversi (V)
• Impianti di trasporto (A)
• Stazioni di pompaggio (L)
• Impianti di trattamento (T)
• Serbatoi (S)
• Reti di distribuzione (R)
• Area d’utenza (U)
Le tipologie di acquedotto sono:
• Comunale
• Consortile
• Intercomunale
• Privato
La complessità dell’opera di acquedotto è funzione delle dimensioni dell’utenza.
Le infrastrutture del servizio idrico sono tutte quelle infrastrutture necessarie per il convogliamento e lo smaltimento dell’acqua
potabile
Le infrastrutture di acquedotto sono le opere di presa (sorgenti, pozzi e superficiali), i serbatoi (regolazioni), trattamenti, pompaggi,
adduzioni.

OPERE DI CAPTAZIONE (OPERA DI PRESA): una sorgente è un affioro anche minimo talvolta. L’idea di realizzare un’opera di
presa è quella di isolare l’affioro e poi scavare e costruire un opera. Le opere di presa sono costituite da delle vasche nelle quali
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 5

l’acqua viene fatta affiorare. Attraverso lo sfioro si regola il contenuto e la portata che sarà dell’ordine di pochi litri al secondo. Nella
vasca è possibile monitorare, oltre al volume, anche la qualità dell’acqua già da una prima osservazione del colore.

OPERE DI ADDUZIONE: dall’opera di presa parte la rete di adduzione. Tubi generalmente in PVC, diametri dell’ordine di 20 cm.
Alcune opere di adduzione sono molto lunghe. Se servissimo città con dislivelli molto elevati con la stessa rete si correrebbe il rischio
di avere le zone basse con pressioni eccessive nella rete e le zone alte con pressioni troppo basse. Questo comporterebbe inoltre la
possibilità di avere pressioni troppo elevate e quindi la necessità di tubazioni molto resistenti e anche molto costose. Quando l’opera di
presa non sia posta ad un’altitudine superiore all’abitato o la località sia situata in pianura è necessario ricorrere alla costruzione di
serbatoi pensili, che garantiscono pressioni elevate e la possibilità di accumulo di grandi quantitativi d’acqua. A volte si costruisce un
torrino piezometrico, con gli stessi vantaggi del serbatoio pensile, ma con capacità inferiori. NB: dunque capacità torrino piezometrico
< capacità serbatoio pensile.

È desiderabile che la temperatura dell’acqua si mantenga costante durante la giornata e nel corso dell’anno, che non ghiacci e non si
riscaldi. Di conseguenza, alle nostre latitudini, si interra la condotta di circa un metro sotto il terreno.
Noi l’acqua la prendiamo, la consumiamo e la reimmettiamo nell’ambiente. I modi di restituzione sono molteplici così come gli usi.
L’acqua che esce dagli scarichi civili ed industriali è contaminata: da oli, da sporcizia e altro. È chiaro che l’acqua deve essere trattata
prima di essere scaricata nell’ambiente: deve essere depurata e restituita “quasi come è stata prelevata”.

OPERE DI DISTRIBUZIONE: Per la modellazione di un acquedotto le equazioni che vanno scritte sono 2: conservazione della
massa (equazione di continuità) e conservazione dell’energia.
Si dice spesso che la rete di adduzione esterna è una rete ad albero, la rete di distribuzione interna è una rete a maglia, più complessa.
Il verso dell’acqua nella rete a maglia non è assegnato a priori, dipende dalla richiesta. Le utenze sono OVUNQUE, ossia distribuite
nella rete in maniera disomogenea ma capillare. Tutte le utenze “emungono” acqua. Noi semplifichiamo la situazione ipotizzando (in
questo corso) che l’acqua venga emunta solo ai nodi e che lungo le condotte non vi siano utenze, solo perdite di carico distribuite.
Si chiamano maglie indipendenti quelle che non possono essere calcolate a partire dalle altre maglie. Si dice maglia ciascun percorso
chiuso che fa capo ad un nodo. La maglia è indipendente se non può essere ottenuta come combinazione di altre maglie. I versi del
moto dell’acqua in una rete a maglia sono del tutto convenzionali, fissati a priori, ma il flusso potrebbe anche andare nel verso opposto
a quello convenzionalmente adottato.
Un tratto (o tronco) unisce due nodi (o vertici).
La relazione esistente tra il numero di tratti, t, il numero di maglie m ed il numero di nodi (vertici), n è:

𝑛 + 𝑚– 𝑡 = 1

Convenzionalmente con i quadrati si contorna il numero del tratto, con il cerchio il numero del nodo.
La matrice di incidenza è una matrice composta da 0 e da 1. L’1 può essere +1 oppure -1 a seconda di una convenzione sui versi.
La matrice si indica con A, l’elemento con aij, dove i sta per il tronco e j sta per il nodo.
Se il tronco i esce dal nodo j -> aij=1
Se il tronco i entra nel nodo j -> aij=-1
Se tronco e nodo non sono collegati allora aij=0
Assunto dunque t come numero di tratti, n come numero di nodi, A ha sicuramente dimensioni pari a t*n (t righe, n colonne).

Esempio di matrice di incidenza (o adiacenza). Si ipotizza di avere una rete costituita da 3 serbatoi e un nodo interno. In questa
configurazione (figura) i tratti sono 3 e i nodi sono 4, assumendo i serbatoi come nodi con emungimento negativo (forniscono portata
alla rete). I versi che si assumono sono sempre arbitrari, tuttavia, il buonsenso suggerisce di assumere versi coerenti con la realtà ove
questi sono noti dalla conformazione della rete. Questo in genere non è sempre possibile poiché nella rete di distribuzione la portata
può cambiare verso a seconda degli emungimenti da parte delle utenze.
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Nei nodi serbatoio la piezometrica è fissata.


A questo punto, utilizzando le regole precedentemente descritte abbiamo che (per la prima riga di A):
a11=1 -> il tratto 1 esce dal nodo 1, dunque positivo
a12=0 -> il tratto 1 non è collegato al nodo 2, dunque 0
a13=-1 -> il tratto 1 entra nel nodo 3, quindi negativo
a14=0 -> il tratto 1 non è collegato al nodo 4, quindi nullo
E avanti per tutti gli altri tratti…

Ora, cambiando gli indici in maniera intelligente, visto che la numerazione è completamente arbitraria, abbiamo i componenti della
rete designati in questa maniera e la matrice di incidenza diventa

La prima riga rappresenta la matrice di incidenza del nodo interno, la seconda parte di matrice, divenuta simmetrica, rappresenta la
matrice di incidenza dei nodi esterni.

Si ricorda che, in una maglia chiusa, la somma di ciascuna riga della matrice di incidenza deve dare sempre 0.

La conservazione della massa, in ambito acquedottistico, si scrive come conservazione delle portate
in ogni nodo.
Per il nodo j-esimo, a cui confluiscono t condotte, si può scrivere l’equazione di conservazione della
massa per ogni nodo interno come

∑𝑡𝑖=1 𝑄𝑖 ∗ 𝑎𝑖𝑗 = 0

⃑ delle portate fluenti nei tratti, avendo posto


Dove Qi è una componente del vettore colonna 𝑄
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In cui A è la matrice di incidenza della rete rappresentata (e anche il vettore delle portate si riferisce ovviamente al caso in figura).
Ora, se vogliamo scrivere tutto in forma matriciale, perché ci sia compatibilità fra il vettore Q e la matrice A, è necessario trasporre
quest’ultima. Segue che

La trasposta di A ha dimensioni 4*3 e non più 3*4. Ora, se moltiplichiamo tale matrice per il vettore delle portate, dimensionalmente
abbiamo

(4*3)*(3*1)=(4*1)

Ovvero

Q1=P1
Q2=P2
Q3=P4
- Q1 - Q2 + Q3= 0

P è il vettore delle portate eventualmente fornite o emunte dai nodi. Si nota subito che P3 è uguale a 0. Questo perché si è supposto
che il nodo interno non emunga né fornisca portata.
Se si suppone che vi sia emungimento o immissione di portata anche nel nodo 3, allora il vettore P cambia nella maniera seguente

Le prime tre equazioni risultano dalle assegnazioni e renderebbero il sistema sovradeterminato. In genere non tutte queste portate sono
assegnate e, in questo caso, le equazioni corrispondenti vengono tolte dal sistema (con una riduzione del numero di colonne per A).
Si può osservare anche che, assunti gli emungimenti concentrati ai nodi, nessuna equazione di conservazione è stata associata ai tratti,
dove la portata si limita a fluire e vi si verificano solo perdite di carico distribuite, nella nostra trattazione.
La rete in pressione è soggetta a consumi variabili durante il giorno e durante i mesi. Tuttavia per la progettazione delle reti, si assume
che il moto delle condotte in pressione sia permanente con portata pari alla portata di progetto (generalmente la portata massima nel
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 8

giorni di massimo consumo). Il moto inoltre si assume in regime turbolento, anche se è evidente che in alcuni tratti terminali il moto
potrebbe essere di tipo laminare.
Le condotte sono soggette a moto vario, aperture e chiusure delle utenze che talvolta generano anche delle onde nelle condotte stesse.
Quindi le portate sono funzioni del tempo, ossia siamo in presenza di equazioni differenziali. Noi supponiamo di essere in moto
permanente.

La conservazione dell’energia. La perdita di carico è proporzionale al quadrato della velocità dell’acqua fluente e si può allora
calcolare con la formula di Darcy-Weisbach o Gaukler-Strickler (Manning nella letteratura anglosassone), le cui espressioni sono
identificate nella forma, relativamente

Se esprimiamo le equazioni in funzione della portata anziché della velocità, ci riconduciamo alle forme

In cui i termini rappresentati sono

In generale, esprimendo la formule con coefficienti generici e in funzione della portata fluente

dove bi dipende dalla formula di scabrezza che si usa, in ogni caso

Dunque la differenza di altezza piezometrica, Hi (perdita di carico), tra due nodi successivi è espressa come

dove hk è una componente del vettore (colonna) dei carichi ai nodi

NB: quando si scrive la continuità, per ogni nodo varia l’indice relativo al tratto; quando si scrive il bilancio dell’energia su ogni tratto
varia l’indice relativo al nodo.
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Li è invece la lunghezza del tubo nel tratto in esame.


Nel caso in esame abbiamo, ad esempio, tre tratti.

Assumendo ad esempio che Q3 sia assegnata dal fabbisogno idrico dell’utenza, le variabili da terminare rimangono 6 (Q 1, Q2, D1, D2,
D3, h3), con solamente quattro equazioni utili. In dipendenza di altre condizioni del problema in esame potremmo imporre due delle
variabili scritte sopra e determinare le altre quattro risolvendo le equazioni a disposizione.
Esempio: imponiamo la quota del nodo intermedio per ragioni topografiche, imponiamo Q 1 perché il nodo è in realtà una sorgente con
fornitura costante ma limitata -> tramite la conservazione della massa calcoliamo Q 2 e i diametri si possono calcolare invece con le tre
equazioni di conservazione dell’energia.
Semplificando il tutto e trascurando i passaggi intermedi ed i vari esempi, risultano allora n+t equazioni, che (unendo le equazioni di
continuità e di conservazione dell’energia) possono essere scritte come:

Oppure in forma matriciale

dove D è la matrice diagonale contenente i diametri dei tubi, I la matrice diagonale e QT il vettore trasposto delle portate. Il numero di
equazioni è n+t, il numero di variabili dipende dal problema in esame. Il sistema di equazioni è un sistema non lineare essendo le
portate incognite.
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Se i diametri delle tubazioni sono assegnati allora il problema diventa un problema di verifica e le incognite che rimangono sono: le t
portate lungo i tratti, gli n carichi idraulici dei nodi interni. Pertanto il sistema di equazioni è ben determinato.
Un fattore importante è rappresentato dai serbatoi. Essi infatti sono a tutti gli effetti dei “punti” di piezometrica nota, visto che la
velocita al pelo libero è nulla, la quota è misurabile e la pressione è quella atmosferica.
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2. La rete di distribuzione

Requisiti progettuali della rete di distribuzione.


Per determinare la portata di progetto di un acquedotto civile bisogna:
• Stabilire la durata tecnica dell’acquedotto (in genere 30-40 anni);
• Stimare la popolazione da servire lungo tutta la durata dell’opera;
• Stabilire la dotazione idrica pro capite o comunque associare ad una certa area un consumo idrico giornaliero in funzione delle
tipologie abitative

Tipologie di utenze in un centro abitato:


• abitazioni private (uso potabile, cucina, pulizia personale, pulizia biancheria e casa, etc.);
• edifici pubblici (scuole, ospedali, ospizi, caserme, edifici religiosi, uffici, etc.);
• servizi pubblici (lavaggio ed innaffiamento strade, pulizia fogne, giardini, servizio antincendio, etc.);
• servizi commerciali e turistici (alberghi, pensioni, negozi, bar, camping, etc.);
• attività artigianali ed industriali (officine, piccole industrie, laboratori, lavanderie, etc.).
Consumi di acqua standard:
1mc/anno/persona per bere,
100 mc/anno/persona per uso domestico,
100mc/persona/anno per uso industriale,
500/2000 mc/persona/anno per irrigazione e agricoltura
In una grande città aumentano i litri/giorno pro capite (per ciascun abitante).
Più è grande la città è più è alto il consumo medio pro-capite per abitante.
Si può andare anche più nel dettaglio rispetto alla scala urbanistica. Per esempio analizzare il numero di rubinetti, di apparecchi che
usano acqua all’interno del singolo edificio.
Alcune voci di consumo, sottovalutate ma da considerare sono: lavaggi auto, autorimesse, lavanderie, impianti di condizionamento…
Altri fattori da considerare, in riferimento al luogo in cui si progetta, sono il turismo, il pendolarismo…
Il Piano Regolatore Generale degli Acquedotti (DM del 1967) stabilisce le seguenti dotazioni pro capite secondo le dimensioni del
centro abitato:

Portata di progetto. La portata di progetto di un acquedotto è, generalmente, una portata media giornaliera, calcolata nel modo
seguente:

• Q è la portata media giornaliera assunta a base della progettazione dell’acquedotto;

• qR rappresenta la dotazione destinata alla popolazione residente Nr;

• qF1è la dotazione per gli NF1 abitanti fluttuanti che trascorrono mezza giornata nel comune;

qf1= 40 - 80 l/g

• qF2 è la dotazione per gli NF2 abitanti fluttuanti che trascorrono nel comune l’intera giornata.

qf2= 60 -150 l/g


Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 12

Ma, naturalmente, una buona pratica progettuale dovrebbe confrontare i numeri risultanti con un calcolo indipendente delle strutture e
infrastrutture presenti nell’area di progetto.

Reti di distribuzione. È preferibile realizzare, per quanto possibile, reti di distribuzione a maglie chiuse, nelle quali si individuano di
solito:
• Una condotta di adduzione, che collega il serbatoio alla rete (spesso si realizzano due condotte in parallelo);
• Uno o più anelli principali, le cui condotte possono raggiungere diametri ragguardevoli (fino a 1000÷1200mm);
• Uno o più ordini di anelli secondari (diametri dai 100 ai 300 mm);
• Condotte minori per l’allacciamento alle utenze.

La filosofia di progettazione delle reti di distribuzione idrica deve al giorno d’oggi tenere conto del Decreto del Ministero dei Lavori
Pubblici n. 99 del 1997, il quale ha introdotto l’obbligo della distrettualizzazione delle reti.
Per agevolare la gestione della rete, soprattutto con riferimento al problema della localizzazione delle perdite, il DM 99/97 impone
infatti che la rete sia divisa in distretti di dimensioni limitate, connessi al resto della rete in pochi nodi, nei quali sia possibile effettuare
il controllo della pressione e della portata.
In tal modo è possibile controllare più accuratamente il bilancio tra le portate entranti nel distretto e quelle fatturate alle utenze,
individuando tempestivamente i punti di eventuale malfunzionamento.
La distribuzione dell’acqua alle utenze viene realizzata con diramazioni private, la cui parte verticale è detta comunemente montante,
che collegano le tubazioni principali e secondarie della rete ai contatori volumetrici installati presso tutte le utenze servite.
Tali diramazioni possono essere condominiali oppure servire singole utenze. Soprattutto nei centri urbani esse sono talmente
numerose che spesso, per il calcolo idraulico dei lati della rete, si ricorre allo schema di condotta con erogazione uniformemente
distribuita lungo il percorso.
In aggiunta alle erogazioni distribuite, sono di solito presenti erogazioni concentrate in corrispondenza di nodi della rete (ad esempio i
nodi dai quali si dipartono i rami ad antenna).
Va ricordato che in questo schema, le equazioni che regolano il moto dell’acqua della rete, a meno di semplificazioni paradossali ed
inutili che portano a condizioni equivalenti a quelle dell’emungimento concentrato ai nodi, non sono quelle che si hanno assumendo
un emungimento concentrato ai nodi. In particolare:
• la portata varia nei tratti (non è costante)
• la perdita di carico in un tratto non è una funzione quadratica della portata ma cubica.
La distribuzione dell’acqua alle utenze può avvenire
• a gravità (alimentazione diretta)
• oppure necessitare di un pompaggio a causa dell’eccessiva altezza dell’edificio da servire.
In tal caso, per motivi igienici, è preferibile l’adozione di un serbatoio in pressione al piede dell’edifico (autoclave) piuttosto che di
uno in sommità.
La rete idrica viene dimensionata per portate permanenti fittizie che tengono conto della variabilità dei consumi orari, giornalieri e
mensili. Per ovviare alla richiesta variabile, all’interno e ai margini della rete vengono solitamente dimensionati dei serbatoi di
compenso che erogano, svuotandosi, la portata mancante durante le ore di massimo consumo e si riempiono durante le ore di minimo
consumo. Nella progettazione la variabilità dei consumi è computata con l’ausilio di coefficienti di punta, che si riportano di seguito.
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 13

La variabilità dei consumi implica che durante l’esercizio giornaliero la rete sia sollecitata da carichi piezometrici variabili.
Per il buon funzionamento della rete bisogna garantire:
• Nelle ore di punta e di minimo livello nel serbatoio, almeno 5 m di carico al terzo piano degli edifici;
• Nelle ore di minimo consumo (ore notturne), un carico gravante sulle tubazioni della rete ovunque inferiore a 70÷80 m;
• Il contenimento dell’oscillazione del carico durante l’esercizio entro il limite di 20÷30 m;
Inoltre:
• In caso di incendio, un carico sul piano stradale non inferiore a 15m e l’erogazione dell’80% della portata media giornaliera;
• In caso di interruzione di uno o più tronchi della rete, l’erogazione della portata media giornaliera.
In sintesi, la rete interna ha il compito di distribuire l’acqua alle utenze ed è pertanto soggetta a erogazioni di portata variabili nel
tempo in funzione delle mutevoli richieste delle utenze stesse. Di solito nel progetto e nella verifica delle reti interne si tiene conto
della sola variabilità giornaliera rispetto alla portata media.
Si definisce a tal fine il coefficiente di punta orario, che consente di valutare le portate erogate durante l’ora di massimo consumo.

La portata di progetto è dunque valutata secondo la formula

𝑘𝑔 ∙ 𝐷 ∙ 𝑃
𝑄𝑔 =
86400

Dove si è indicato con Qg la portata di progetto (portata media del giorno di massimo consumo), con D la dotazione idrica giornaliera
richiesta per ciascun abitante equivalente [l/(giorno*abitante)], con P la popolazione [abitanti equivalenti], con kg il coefficiente di
punta giornaliero (riferito al giorno dell’anno di massimo consumo), 86400 sono i secondi in un giorno. Nel caso di un abitato di 3000
abitanti (in prevalenza residenziale), assunto un coefficiente di punta giornaliero di 1,5 allora:

𝑙
1.5 ∙ 220 ∙ 3000 𝑎𝑏𝑖𝑡𝑎𝑛𝑡𝑖 𝑙
𝑎𝑏 ∗ 𝑔𝑖𝑜𝑟𝑛𝑜
𝑄𝑔 = 𝑠 = 11.45
86400 𝑠
𝑔𝑖𝑜𝑟𝑛𝑜

Quella precedentemente calcolata è una portata media relativa al giorno di massimo consumo annuo. La portata relativa all’ora di
massimo consumo del giorno di massimo consumo è la portata di punta oraria e si calcola dal prodotto fra la portata media del giorno
di massimo consumo e il coefficiente di punta orario, ossia:

𝑄ℎ = 𝑘ℎ ∗ 𝑄𝑔

Se il centro abitato è di dimensioni rilevanti, può accadere che l’andamento del terreno non consenta il rispetto di tutte le condizioni.
Si può ricorrere al frazionamento della rete in più reti del tutto indipendenti, oppure provviste di valvole riduttrici di pressione in
corrispondenza dei punti di interconnessione.
Per valutare le erogazioni medie giornaliere si procede, in via approssimata, individuando nel PRG del centro abitato zone
urbanisticamente omogenee e valutandone la densità abitativa.
In base alla dotazione idrica sarà possibile calcolare le portate erogate da ciascun lato della rete. Qualora esistano aree servite da rami
ad albero, l’erogazione complessiva andrà disposta nel nodo della rete a maglie dal quale si diparte il tratto ad albero. Le erogazioni
nelle ore di punta si determinano moltiplicando le erogazioni medie per il coefficiente di punta orario, come illustrato in precedenza.
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 14

Il progetto delle reti di distribuzione


Il calcolo di una rete consiste nel determinare, per un assegnato insieme di erogazioni, le portate defluenti lungo i lati e le quote
piezometriche nei nodi. Nel caso in cui la rete sia alimentata da un unico serbatoio di testata, è immediato riconoscere che è nota la
quota piezometrica nel punto in cui la condotta di avvicinamento si immette nella rete.
Il dimensionamento di una rete di distribuzione a maglie chiuse rappresenta un problema complesso e con un elevato grado di
indeterminazione algebrica. In fase iniziale, infatti, sono da ritenersi note soltanto le scabrezze delle tubazioni (realizzate in ghisa,
acciaio o materiali plastici), le lunghezze dei lati della rete e l’entità delle erogazioni di portata, concentrate nei nodi, con riferimento
alla condizione di funzionamento considerata (di solito si considerano le portate di punta). Sono altresì incogniti i diametri delle
tubazioni, nonché le quote piezometriche nei nodi e le portate defluenti lungo i lati.
Per ridurre il sovrabbondante numero di incognite del problema, normalmente si assegnano i diametri dei tubi a priori, assegnando
tubi di dimensioni maggiori per la rete principale (es. 20-30 cm) e tubi di dimensioni minori per la rete secondaria, ricordando che
l’allaccio delle utenze private è, di solito, 7.5 cm.
Tali diametri dovrebbero considerarsi di primo tentativo. Di fatto la loro assegnazione trasforma il problema di calcolo in un problema
di verifica.
Una volta proporzionati i diametri delle tubazioni della rete, è necessario svolgere le verifiche imposte dalla normativa vigente.
Tali verifiche prevedono la schematizzazione di tre condizioni di funzionamento convenzionali della rete:
• verifica in condizioni di punta;
• verifica antincendio;
• verifica a rottura di uno o più tratti della rete.
Le verifiche consistono nella determinazione delle portate defluenti lungo i lati e delle quote piezometriche nei nodi. Queste ultime
dovranno soddisfare i requisiti che garantiscano la regolare erogazione delle portate richieste.

Verifica del funzionamento della rete in condizioni di punta. Consiste nel considerare tutte le erogazioni medie giornaliere
moltiplicate per il coefficiente di punta orario.
Una volta svolto il calcolo della rete in tali condizioni, si deve verificare che in tutti i nodi della rete il carico deve superare di almeno
5m il livello del terzo piano degli edifici (o altra prescrizione locale).
Qualora la verifica non risultasse soddisfatta, bisogna modificare opportunamente i diametri delle condotte (o innalzare
opportunamente il torrino) e ripetere il calcolo finché non risulti verificato.

Verifica antincendio. La verifica antincendio consiste nel garantire, durante lo spegnimento di un incendio, la regolare erogazione di
una portata pari all’80% della media giornaliera.
La portata antincendio si determina considerando che essa sarà erogata con le manichette delle autopompe dei vigili del fuoco. Il
numero di idranti n da considerare attivi in contemporanea è di norma superiore o uguale a 2. La portata si calcola di conseguenza. È
buona norma che gli idranti stradali siano posti nella rete ad una distanza non superiore a 50÷100 m l’uno dall’altro.
Ai fini dello svolgimento della verifica antincendio, la portata andrà posizionata nel punto della rete nel quale l’erogazione di una
ingente portata concentrata comporti i maggiori problemi per il funzionamento complessivo della rete (se l’individuazione del punto
più critico non è univoca, la verifica deve essere ripetuta più di una volta), ovvero nei punti di minimo piezometrico della rete, in
condizioni di funzionamento normale.
Una volta svolto il calcolo della rete, bisogna verificare che la quota piezometrica sia ovunque superiore di 5 m all’altezza del terzo
piano degli edifici e che, dove è erogata la portata antincendio, sia superiore di 15 m al piano stradale (condizione questa per il
corretto funzionamento degli apparecchi erogatori delle autopompe dei vigili del fuoco).

Verifica a rottura. La verifica del funzionamento della rete in occasione della rottura di un lato viene svolta ipotizzando che la rottura
abbia luogo nel punto più critico (di solito uno dei tratti adiacenti al nodo in cui la condotta di avvicinamento si immette nella rete).
La verifica consiste nel controllare che l’interruzione del tratto consenta la regolare erogazione della portata media giornaliera, con la
quota piezometrica di progetto.

Problemi di verifica della rete di distribuzione. Equazioni matematiche e metodi che governano il problema.
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 15

La verifica avviene usando le equazioni di conservazione della massa (ai nodi) e di dissipazione dell’energia nei tratti:
Definendo la matrice diagonale (t x t) dunque:

Le equazioni si configurano nella forma

Dove la prima equazione è il bilancio della portata nel nodo (equazione di continuità) mentre la seconda
rappresenta la legge di dissipazione nei tratti. In cui si è posto

E il sistema ha n nodi e t tratti.


Il sistema, scritto ora, sinteticamente:

Contiene n + t equazioni (dove n è il numero dei nodi interni e t il numero dei tratti) può essere semplificato riducendo il numero di
equazioni e di incognite.
In particolare, il sistema può essere semplificato considerando la dissipazione dell’energia solo sulle maglie (e non sui tratti).
Per fare questo è necessario introdurre una matrice di maglia, B, contenente m *t elementi (pari al numero di maglie per il numero di
tratti) il cui valore è
βkl = 1 se il il tronco l-esimo appartiene alla maglia k-esima ed è in direzione concorde alla direzione della maglia
βkl = -1 se il il tronco l-esimo appartiene alla maglia k-esima ma è in direzione opposta alla direzione della maglia
βkl = 0 se il tronco l-esimo non appartiene alla maglia k-esima
In particolare, il sistema può essere semplificato considerando la dissipazione dell’energia solo sulle maglie (e non sui tratti). Per fare
questo è necessario introdurre una matrice di maglia, B; sulla maglia è necessario scegliere una direzione, che può essere concorde o
discorde con le direzioni scelte per i tratti.

Esempio. Nell’esempio due maglie con matrice di maglia B:


Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 16

Le equazioni relative ai tronchi possono allora essere sostituite dalle equazioni di maglia:

Allora il sistema diviene (dove dalla matrice A si è eliminato un nodo, il cui carico risulta dipendente dagli altri):

Poiché

Allora

La seconda delle equazioni precedenti è una equazione non lineare e il sistema è non lineare, polinomiale, di grado generalmente
superiore al quinto e, pertanto, l’equazione risolvente non ha soluzione esatta.
La soluzione deve dunque essere cercata con metodi iterativi. A tal proposito in letteratura sono presenti vari metodi numerici:
• Il metodo di Cross
• Il metodo di Charles & Wood (1972)
• Il metodo di newton-Raphson (Martin and Peters, 1972)
• Il metodo del gradiente (Todini e Pilati, 1987, Salgado, 1988)

Il metodo di Charles & Wood (1972).


Il sistema:

Viene linearizzato imponendo alla prima iterazione Qj =1, ovvero:

Il sistema diviene allora risolvibile e si scrive nella forma

La soluzione, nella formulazione appena presentata, è un vettore di portate di primo tentativo:


Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 17

Queste portate vanno a determinare il successivo valore di “secondo tentativo” Δ2, che va a definire il sistema “di secondo tentativo”

Che ha come soluzione le portate di secondo tentativo

In generale all’interazione s-esima, si otterrà la soluzione di “s-esimo tentativo” derivante dal sistema di seguito

Con

Il processo iterativo si ferma quando la differenza relativa tra le portate all’iterazione s-esima e l’iterazione (s-1)-esima sono più
piccole di un valore prefissato, che chiamiamo per semplicità epsilon, imposto naturalmente piccolo ma comunque maggiore di 0. In
termini matematici dunque

A scopo di chiarimento si riporta nel seguito l’esempio di una rete a due maglie.
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 18

Continuità:

Le equazioni sono 6, come il numero di nodi. Di queste però solo 5 sono linearmente indipendenti. Conservazione dell’energia:

Il sistema complessivo contiene, assegnati i diametri dei tubi per la verifica, 7 portate e 6 altezze idrometriche incognite e 12
equazioni. Il sistema è non quindi completamente determinato. Si richiede quindi che uno dei carichi sia fissato. Gli altri, assieme alle
portate derivano allora dalla risoluzione del sistema.

Allora le equazioni si possono semplificare. Per determinare le 7 variabili in gioco possiamo limitarci ad usare le 5 equazioni di
continuità e le due equazioni di maglia:
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 19
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 20

3. La rete di adduzione

La rete di adduzione.
La rete di adduzione è rappresentata da una o più tubazioni che partendo dalla sorgente (captazione) arrivano al primo serbatoio.
Fattori che determinano la scelta del tracciato:
- Fonte di approvvigionamento e serbatoio di recapito
- Strade esistenti
- Accessibilità
- Costi di costruzione e manutenzione
- Zone d’insediamento e fonti di possibile inquinamento
- Caratteristiche geologiche dei terreni
- Aggressività per le tubazioni
- Stabilità (funzionamento sicuro)
- Costi di scavo
- Condizioni topografiche
- Valichi
- Vallate profonde (elevate pressioni di esercizio)
- Attraversamenti fluviali o d’infrastrutture di trasporto
- Considerazioni economiche
Raccomandazioni:
- Pressioni minime di esercizio: limitate per contenere il costo delle tubazioni p/gamma > 5 m c.a. sopra il piano di campagna
per garanzia igienica;
- pressione massima in funzione della classe PN del tubo;
- velocità massime e minime: evitare deposito materiale fine in sospensione e “invecchiamento” acqua, evitare spinte eccessive
ai cambi di direzione e abrasione tubazioni 0,5 < U < 2÷2,5 m/s;
- andamento altimetrico delle condotte parzialmente svincolato dall’andamento della linea piezometrica, seguire se possibile
tracciati stradali per facilità di intervento;
- profondità minima 1,20 m per protezione termica e condizioni statiche della tubazione.
Pendenze:
- Apparecchiature di sfiato nei punti di colmo
- Apparecchiature di scarico nei punti di minimo
- Valvole di intercettazione
- Minima di 0,2% in salita e 0,4% in discesa
- Numero minimo di variazioni
- Se necessario (terreni pianeggianti) a “festoni” ovvero a “dente di sega” (livellette da circa 100÷300 m) per allontanare le
bolle d’aria; discesa al 6‰, risalita al 3‰*
*Poiché l’aria tende a convergere naturalmente verso i punti di massima quota dei profili longitudinali, in questi punti devono essere
installati gli sfiati. L’aria tende infatti a ridurre la sezione di deflusso, generare colpi d’ariete dovuti all’espansione e allo
spostamento della bolla d’aria, disinnescare pompe e sifoni. La discesa deve essere più ripida rispetto alla risalita, così da consentire
alla bolla d’aria di risalire fino allo sfiato ed essere espulsa con la sola energia cinetica. Nei punti terminali di ciascuna livelletta in
discesa vengono invece inseriti degli scarichi per lo svuotamento dell’adduzione.

Il più semplice sistema di adduzione è costituito da una condotta che collega due serbatoi. Il sistema di adduzione più semplice è
costituito da un tratto che collega due serbatoi. La cadente piezometrica che si viene a generare è facilmente determinata come:
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 21

Questioni di piezometrica. Talvolta vengono a crearsi delle configurazioni della rete non ottimali, come quelle rappresentate nella
figura seguente

*La piezometrica: La linea piezometrica può essere individuata per ogni punto di un fluido in moto come la quota piezometrica,
ovvero come la somma della quota geodetica e della altezza piezometrica del punto; si indica dunque con z la quota geodetica, p la
pressione relativa e γ il peso specifico del fluido. Si può dunque esprimere la piezometrica come somma dei contributi z e p/γ.
In ambito acquedottistico tuttavia, si considera la piezometrica unicamente come il rapporto fra la pressione p e il peso
specifico γ. Dunque la piezometrica relativa è pari alla pressione relativa p fratto γ, mentre la piezometrica assoluta è data da (pa+p)/
γ, dove con pa/γ si è indicato la pressione atmosferica in metri di colonna d’acqua. La piezometrica assoluta tiene dunque conto della
pressione atmosferica, quella relativa non considera la pressione atmosferica.
Infine, perciò, esprimendo i concetti in formule abbiamo che

hrelativa = p/ γ
hassoluta = (pa+p)/ γ
Le perdite localizzate sono state trascurate (hp di lunghe condotte). Con i colori viola, blu, rosso e azzurro sono state rappresentate
condizioni di condotta.
ROSSA (a) - La condotta che occupa rossa, posta tutta al di sotto della piezometrica relativa, non presenta condizioni particolari di
funzionamento: la pressione è sempre positiva, cioè superiore a quella atmosferica. È questa la condizione richiesta per le adduttrici
d'acqua potabile; in particolare, come s'è già ricordato, la pressione in condotta non deve scendere sotto i 5 m di colonna d'acqua.
BLU (b) - La condotta blu è in parte superiore alla piezometrica relativa; nelle sezioni della condotta corrispondenti ai punti dove essa
interseca la piezometrica stessa, la pressione è pari a quella atmosferica; nel tratto posto al dì sopra la condotta è, invece, in
depressione. Se in questo tratto dovesse prodursi una fessura (per esempio, un giunto difettoso), l'aria esterna potrebbe penetrare
all'interno disturbando il deflusso che avrebbe carattere intermittente; un altro pericolo è rappresentato dalla possibilità d'inquinamento
dell'acqua per opera di agenti esterni.
AZZURRINA (c) - Condizioni simili alle precedenti si hanno per la condotta azzurrina; v'è la sola differenza che essa è, per un tratto,
superiore anche alla linea idrostatica. Il moto non può, pertanto, avviarsi naturalmente, poiché l'acqua non riempie la condotta.
Esercitando però un'aspirazione, il moto viene avviato e si mantiene naturalmente; la condotta funziona a sifone e l'operazione
d'avviamento è detta adescamento del sifone.
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 22

Nei casi esaminati la portata Q non cambia: solo le condizioni di funzionamento per i diversi valori della pressione sono diverse.
VIOLA (d) - Condizioni diverse di portata si hanno invece per la condotta viola: il suo tracciato altimetrico è, infatti, superiore anche
alla piezometrica assoluta. Non potendosi avere una pressione inferiore allo zero, si modifica la piezometrica assoluta nel senso che
nella condotta si realizza una piezometrica diversa dalla precedente e pari alla massima compatibile con la sua situazione: partendo
sempre dal punto A2 la linea si dispone tangente alla condotta in corrispondenza al punto 1. La portata risulta, ovviamente, minore di
quella che si ha nelle condotte esaminate in precedenza: come indica la minore pendenza della nuova linea. Essendo la portata
costante, la piezometrica dell'ultimo tratto si ottiene tracciando dal punto B2 la parallela alla linea A2-1, fino ad intersecare nel punto
2 la condotta. La pressione va diminuendo dall'imbocco A fino ad assumere il valore nullo in 1; aumenta dal punto 2 allo sbocco B;
nel tratto 1-2 essa ha valore nullo: nel tratto stesso il deflusso deve avvenire in modo particolare sia per il valore della pressione, sia
per il fatto che si dispone di una cadente maggiore di quella che si ha nel primo e nell'ultimo tratto. La circostanza porta ad un deflusso
a canaletta: cioè con parziale occupazione della sezione in modo che nel tratto 1-2 si possa dissipare il carico disponibile.
NB: A parità di scabrezza e diametro una minore pendenza della piezometrica significa portata minore. Infatti, all’aumentare di J,
aumenta anche la portata (vedasi le leggi di perdita distribuita di D-W o G-S), quindi più la piezometrica è inclinata e maggiore
portata adduce la condotta.

Le condotte, per lungo esercizio, sono soggette a fenomeni d'invecchiamento: la scabrezza aumenta, cioè l'adduzione di una assegnata
portata, a parità di diametro, richiede in una condotta vecchia una cadente J maggiore di quella necessaria per una condotta nuova
(J=H/L, quindi per J grande anche H è grande); ed è a questa condizione che il progetto della condotta deve riferirsi.
Può allora verificarsi il caso illustrato nella figura 4.3 (sono state trascurate, come in precedenza, le perdite d'imbocco e sbocco): la
piezometrica sarà, dunque, A1B1. Se la quota del recipiente di valle è invariabile e se la condotta nuova deve addurre la stessa portata,
la piezometrica assume la posizione A2B1, tagliando in C la con-dotta: il tratto AC è soggetto a una pressione inferiore
all'atmosferica. È perciò necessario inserire all'imbocco un organo di regolazione (una saracinesca, per esempio), il quale produca una
perdita localizzata pari all'altezza A1A2, con un'appropriata e parziale chiusura dell'organo stesso. Senza questo provvedimento la
condotta nuova addurrebbe una portata maggiore di quella richiesta. Se si volesse evitare per il tratto AC lo stato di depressione,
sarebbe sufficiente porre, poco a valle del punto C, un organo di riduzione della pressione con l'ufficio di dare luogo ad una perdita
localizzata C1C2. Naturalmente un eguale dispositivo potrebbe porsi anche a monte dello sbocco B; però il provvedimento potrebbe
comportare l'adozione di condotte con spessore maggiore di quello richiesto, a cagione del più elevato valore della pressione, oltre che
un aumento pesante dei costi su lunghe tirate di condotta.
Quello che succede inserendo la saracinesca rispetto a quello che si avrebbe senza saracinesca è ben illustrato nella figura che segue.
Per effetto della minor scabrezza, a tubo nuovo si ha minore dissipazione di energia (H), quindi, ad H minore corrisponde una J
minore; di conseguenza si avrebbe una piezometrica con inclinazione fissa che andrebbe a cadere troppo alta, alterando la portata.
Poiché sulla pendenza non si può agire, si decide di traslare in basso la piezometrica, dissipando energia con una perdita localizzata.
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 23

NB: A tubo nuovo senza saracinesca la condotta addurrebbe una portata maggiore di quella di progetto.

Alcune equazioni. L’equazione che regola il moto nell’adduzione è quella di Gauckler e Strickler

Se la portata è assegnata, per esempio, da una concessione d’uso, le uniche incognite rimangono il coefficiente di scabrezza e il
diametro dei tubi. Scelto però il materiale, la scabrezza diviene a quel punto nota e l’unica incognita del problema è il diametro del
tubo. Invertendo la formula con le opportune sostituzioni, il risultato è che il diametro è calcolabile mediante l’equazione:

Naturalmente, questo valore non corrisponde ad un diametro commerciale (primo problema). Di solito bisogna considerare anche che
la scabrezza del tubo varia con l’uso (secondo problema). Il secondo problema si affronta utilizzando valori della scabrezza in
condizioni di “tubo vecchio”.
Per risolvere il primo problema, si possono usare due diametri, uno immediatamente superiore al valore determinato, ed uno
immediatamente inferiore, come in figura seguente:
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 24

La soluzione del primo problema allora si pone nella forma

Mentre per il secondo problema si agisce in questo modo: è necessario considerare l’utilizzo di una valvola regolatrice dei carichi per
dissipare il carico aggiuntivo dovuto alla minore scabrezza. Stabiliti i diametri commerciali e le relative lunghezze nella condizione di
tubi usati si determinano le perdite di carico desiderabili nella condizione di tubi nuovi e si inserisce una valvola che possa garantire
delle dissipazioni pari ad esse.
Sulle slide è possibile vedere un esempio di dimensionamento che ben riassume questo procedimento. Prendiamo ora ad esempio una
rete di adduzione con una sorgente e due serbatoi.

Come visto in precedenza, ci sono tre equazioni che danno i carichi ai nodi; il vettore h ha come incognita il carico al nodo interno
(h1), mentre i carichi nei serbatoi sono fissati dal livello del serbatoio stesso.

L’equazione di continuità permette di determinare una delle portate, note le altre due.

Se si può considerare che due delle tre portate siano un dato del problema (emungimento dalla sorgente per esempio), le incognite del
problema sono pertanto:
h1, Q1 (per esempio), D1, D2, D3.
Q1 è automaticamente determinata dall’equazione di continuità, e rimangono 4 incognite con le sole tre equazioni che determinano le
perdite di carico lungo i tratti. Ovvero il sistema non è determinato.
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 25

Per renderlo risolvibile, si può fissare la quota del nodo intermedio: h1. Diverse scelte sono possibili per questa quota e rendono di
fatto il sistema risolvibile. Le scelte idraulicamente possibili sono tutte quelle comprese tra il minimo e il massimo valore di perdita di
carico che soddisfano le condizioni di adduzione a gravità. Un criterio di scelta è quello di trovare la configurazione di minimo costo e
non è un criterio così inverosimile visto che spesso ci si trova, nella pratica progettuale, a dover fronteggiare delle stringenti richieste
da parte della committenza. Allora a questo punto si potrebbe impostare un sistema, inserendo tra i parametri un parametro
rappresentativo delle spese, variabili in base ai diametri e alle lunghezze delle tubazioni, visto che il materiale è ormai fissato in una
fase precedente.

Schematicamente, la soluzione di minimo costo si trova, assegnando un costo unitario (per m) alle tubazioni. Tale costo è
normalmente funzione del diametro. Si calcola quindi il costo dell’opera, vincolando il costo a soddisfare le condizioni piezometriche
richieste. Questo porta alla ricerca di un minimo vincolato; problema che si risolve, in pratica, usando il metodo dei moltiplicatori di
Lagrange.
In genere comunque si possono avere configurazioni anche assai più complesse di quella (banale) trattata a scopo esemplificativo.
La progettazione, l’ampliamento e la gestione delle reti a pressione richiedono una gran quantità di fattori da esaminare, normalmente
affrontati con un approccio basato sulla esperienza del progettista (ed un solutore idraulico). Raramente sono adottate procedure di
ottimizzazione. Nel caso di obiettivo singolo la programmazione lineare o non lineare garantiscono il raggiungimento dell’ottimo (ad
es., minimo costo). Non esiste (a tutt’oggi) tuttavia alcuna metodologia (enumerazione a parte) che garantisce il raggiungimento
dell’ottimo. Le configurazioni determinate dai modelli di ottimizzazione a obiettivo singolo presentano spesso caratteristiche tali da
non renderne proponibile l’attuazione.

Normalmente il decisore si trova ad agire in un contesto che gli impone di:


- soddisfare numerose esigenze tra loro contrastanti;
- rispettare i limiti delle risorse a disposizione.
Il presente lavoro (ancorché riferito ad un caso particolare) intende mostrare le potenzialità di un approccio basato sulla sinergia tra un
modello di simulazione (EPANET) ed un ottimizzatore multi-obiettivo basato su algoritmi evolutivi. Il problema può essere
formalmente espresso da:
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 26

Questioni progettuali, di esercitazione, concetti importanti.


Nella rete si stabilisce una gerarchia. Suddivisa la rete in vari ambiti vengono costruite una serie di condotte con diametri in genere
decrescenti mano a mano che si scende nella gerarchia. Se una rete è troppo grande è difficile stabilire in che zona si verifichi una
eventuale perdita. La legge stabilisce delle dimensioni massime per le quali la rete deve essere suddivisa in più parti.
Noi faremo i calcoli supponendo l’emungimento concentrato ai nodi. EPANET usa emungimenti ai nodi.
Coefficienti di punta-> prima di EPANET si usavano i due coefficienti per trovare la portata nel giorno del massimo consumo nell’ora
di massimo consumo.
Il coefficiente di punta orario non va messo in EPANET, si mette solo il coefficiente di punta giornaliero.
In caso di incendio la rete deve fornire almeno l’80% del bisogno necessario in ogni istante.
Valvole riduttrici di pressione o serbatoi quando la pressione è troppo elevata, come in città ad elevato dislivello. In realtà adesso si
tende a inserire delle turbine per recuperare l’energia.
La rete si installa sotto la strada ad una profondità di almeno 1 metro per risentire meno degli sbalzi termici. La fognatura sta sotto
l’acquedotto. La pressione da fornire all’utenza è di 5 metri di colonna d’acqua al terzo piano in riferimento al giorno di massimo
consumo nell’ora di massimo consumo. Non eccedere i 60/70 metri di colonna d’acqua perché altrimenti va cambiato il tipo di tubo
(ad alta resistenza). In base al consumo e all’orario del giorno la quota piezometrica varia. Materiali che si usano: ghisa, PEAD,
materiali plastici in genere. Il calcestruzzo non va bene per i giunti, che sono poco resistenti alla pressione. Le tubazioni di un
acquedotto non si dimensionano, si ipotizzano (da tabelle ed esperienza) e poi si verificano. È necessario fare verifiche sia nelle ore di
massimo che di minimo consumo, per vedere di quanto salgono le piezometriche nei periodi di “riposo”. In caso di incendio serve il
50% del carico e l’80% della portata. Doppiamo anche fare delle verifiche di rottura per vedere come si comporta la rete in caso di
guasto.
La durata tecnico-economica della rete di acquedotto è di circa quaranta anni.

Il numero di Reynolds è un parametro adimensionale indicativo del regime di moto che si verifica nella condotta. È proporzionale al
rapporto tra le forze d'inerzia e le forze viscose.
Prende il nome da Osborne Reynolds, che lo introdusse nel 1883 eseguendo per la prima volta in modo sistematico esperimenti sul
flusso all'interno di tubi a sezione circolare trasparente ad asse rettilineo nel quale circolava un flusso a portata costante, nel quale,
per mezzo di un ago, veniva iniettato un colorante in modo da evidenziare il regime di flusso.
Il numero di Reynolds è definito come

Abbiamo dunque 3 regimi di moto:


- Moto laminare, per Re<2000
- Regime di transizione per 2000<Re<4000
- Moto turbolento per Re>4000

Legislazione. Le norme più importanti in ambito acquedottistico sono:


- Decreto Ministero Lavori Pubblici n°99 del 1997 (il più importante, introduzione della distrettualizzazione).
- Decreto Presidente del Consiglio dei Ministri 4 marzo 1996
- Legge 9 agosto 1967, n°734 (Piano Regolatore Generale Acquedotti)
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 27

4. La captazione

Le opere di presa in generale.


Le fonti naturali da cui derivare acqua per l'uso d'acquedotto sono relativamente numerose e diversificate: sorgenti; falde artesiane o
freatiche; corsi d'acqua superficiali; serbatoi e laghi; e anche il mare, con un appropriato trattamento di dissalazione. Le risorse
disponibili (in qualche caso, la sola risorsa disponibile) sono da valutarsi da diversi punti di vista con riferimento alla provenienza
dell'acqua - se sia o non sia di qualità sospetta - e alla sua quantità, se variabile nel tempo e in che misura, specie in rapporto col
fabbisogno. La fonte è da sottoporre a osservazioni e misure sistematiche per un periodo adeguatamente lungo affinché possano
cogliersi le eventuali variazioni che qualità e portate possano subire; periodo lungo, comunque, non meno di 15 mesi: un abbondante
ciclo idrologico, almeno. Le modalità da usare nelle osservazioni dipendono da fattori abbastanza numerosi. I principali sono:
- il valore della portata massima da derivare in rapporto alla consistenza media della fonte;
- la provenienza, se trattasi d'acque superficiali o profonde;
- l'eventuale correlazione col regime climatico del sito di captazione o di quello d'origine: precipitazioni, manto nevoso,
temperatura.
In qualche caso, quando il periodo dedicato alle misure sia stato significativamente lungo e si siano annotati gli eventi che nello stesso
periodo si sono verificati nella zona d'influenza o di contribuzione, può essere d'interesse la ricerca d'una correlazione tra portate e
precipitazioni: avendo così la possibilità di ricostruire la successione delle portate del passato del quale siano note le precipitazioni e di
consolidare anche dal punto di vista statistico la richiesta di portata. In qualche altro caso una siffatta ricerca potrebbe invece avere
limitato interesse: la derivazione di una relativamente modesta portata da un corso d'acqua, per esempio, pone infatti l'accento
principalmente sulla misura della qualità dell'acqua piuttosto che della quantità certamente assicurata, pur senza trascurare la
successione dei valori della portata.
Le opere per l’approvvigionamento idropotabile; si distinguono acque convenzionali (acque superficiali e sotterranee) da acque non
convenzionali (acque reflue, marine e salmastre). Le acque superficiali sono rappresentate da corsi d’acqua o da invasi naturali ed
artificiali, le acque sotterranee invece provengono da sorgenti o da falde (superficiali, profonde, subalvee).
In base alla posizione nel terreno e alle forze che governano il moto delle particelle, distinguiamo quattro tipi di acque:
- Acqua di costituzione, presente nel reticolo cristallino dei minerali costituenti i granuli;
- Acqua igroscopica, caratterizzata da forze di adesione liquido-solido (Adsorbimento);
- Acqua capillare (isolata o continua), che si muove per mezzo di forze di adesione liquido-solido (Adsorbimento) e forze di
coesione liquido-liquido (tensione superficiale);
- Acqua gravitazionale (di percolazione o di falda), che si muove a gravità.

Opere di presa da acque superficiali.


Il ricorso alle acque superficiali, derivate da corsi d'acqua o da laghi, è praticato quando non possa disporsi di altre fonti o sia richiesta
una portata che per quantità sia difficilmente approvvigionabile nei modi usuali. Le acque derivate, sospette per definizione,
richiedono un efficace trattamento di potabilizzazione o trattamento appropriato all'uso che vuole farsene. Gli studi e le indagini da
farsi per approntare il progetto devono mirare a stabilire, oltre che la disponibilità della portata, specialmente la qualità dell'acqua,
definendone con misure sistematiche, in un'estesa scala temporale, la variabilità con riferimento alle vicende fluviali o lacuali. In
questa prospettiva, la storia del corso d'acqua, riletta appunto attraverso le sue vicende estreme (piene o magre) e normali - portate,
quote idrometriche e concentrazioni di significativi elementi -, ma anche quelle del suo assetto morfologico, concorre in modo
determinante a definire, da un lato, gli elementi progettuali e da un altro, con il controllo sistematico della qualità, la gestione, nella
non improbabile ipotesi di sospensione della derivazione al di là d'una certa soglia. Le considerazioni precedenti portano a dovere
distinguere le fonti superficiali in diverse categorie, anche se relativamente poco numerose, in funzione, specialmente, della qualità
dell'acqua e della variabilità degli stati idrometrici. Da questo punto di vista le acque dei torrenti, a quota relativamente alta, e dei laghi
offrono garanzie di qualità e di costanza generalmente migliori di quelle che possono presentare le acque dei fiumi nel tratto medio e
basso del loro percorso, l'impiego delle quali è pertanto relativamente infrequente e rivolto per lo più all'alimentazione di acquedotti
industriali.

1. Opere di presa da traverse fluviali.

I modi di captazione delle acque superficiali dipendono dalla struttura della fonte: se torrente o fiume o lago per una diretta
derivazione; se falda (freatica) per una derivazione con pozzi o galleria filtrante, da praticarsi in golena o in campagna.
Le traverse sono opere di derivazione da corsi d’acqua che fissano l’alveo e le sponde, con lo scopo prevalente di rialzare i livelli a
monte per un'altezza limitata, senza, peraltro, proporsi la creazione di un invaso utile alla regolazione dei deflussi.
Lo scopo prevalente è quello di rialzare i livelli idrici a monte per alimentare bocche di presa, con esercizio continuo o periodico a
copertura di fabbisogni, conseguenti a diverse utilizzazioni (irrigazioni, acquedotti, forza motrice, produzione di energia), e rilasciare
in alveo la risorsa non utilizzata. L’innalzamento della superficie libera può essere conseguito sia con strutture fisse o mobili. Queste
ultime sono realizzate da una o più luci provviste di organi di chiusura, paratoie, che vengono sollevate in concomitanza della piena.
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 28

Schema di una traversa con derivazione laterale:


- la presa P costituita da una o più luci, è realizzata in fregio alla sponda fluviale, protetta da griglie e controllata da paratoie;
- la presa P è seguita da opere di sghiaiamento S;
- quindi seguono le opere di dissabbiamento D delle portate eccedenti, accidentalmente o casualmente immesse nel sistema;
- infine viene il complesso delle opere concernenti l’utilizzazione U.

*Pianta e fotografia di una traversa con derivazione laterale


Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 29

Schema di una traversa mobile costituita da paratoie piane:


Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 30

Schema di una traversa mobile costituita da paratoie a segmento:

Le traverse mobili in generale.


Derivano dalla doppia esigenza sia di contenere i livelli a monte in corrispondenza della portata di massima piena, sia di evitare
interrimenti (riempimento totale o parziale di un bacino, con limo formato dai sedimenti trasportati dalla corrente di un corso d'acqua).
Alcuni esempi:
• A) Schema di traversa mobile, chiusa ed aperta, regolata con paratoia a segmento
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 31

Le traverse fisse.
Oggi le traverse vengono realizzate con soluzioni strutturali che privilegiano l’utilizzo del calcestruzzo, pur conservando la forma,
simile a quelle illustrate precedentemente, ma adottando dei criteri di dimensionamento generalizzabili.
• Nota la portata di piena Q e la larghezza L della traversa, dalla Formula di Poleni, o degli stramazzi, è possibile determinare l’altezza
di sfioro h0 sulla soglia come

Q = μ ⋅ L ⋅ h0 ⋅ (2g ⋅ h0)1/2
• Il coefficiente di efflusso o di portata μ, per soglie sagomate come appresso specificato, può assumersi uguale a 0,45÷0,48. Secondo
la formula di Poleni è pari a 2/3*Cc (Cc = coefficiente di contrazione).
• La cresta ed il paramento di valle si possono ricavare dalle equazioni proposte da Bazin e/o Creager.
L*h0 rappresenta l’area della canaletta.
Le traverse fisse sono strutture semplici e meno costose delle traverse mobili, per contro, non consentono una regolazione del livello
di monte. Tendono inoltre ad accumulare detriti a monte della soglia di sfioro; per questo motivo si realizzano nei pressi dell’opera di
presa uno o più sghiaiatori, o calloni, muniti di paratoie al fine di pulire dai depositi l’area antistante le luci di presa.
Planimetricamente le traverse fisse vengono ubicate con asse rettilineo e perpendicolare al corso d’acqua in punti dove questo
consente uno sviluppo dell’opera più corto ed economico.

Profilo di rigurgito: passaggio da corrente lenta a corrente veloce.

Risalto idraulico: passaggio da corrente veloce a corrente lenta.


Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 32

La realizzazione di una traversa altera la condizione di moto ed il profilo della superficie libera causando, verso monte, un profilo di
rigurgito. A valle della traversa la condizione idraulica di passaggio della corrente da veloce a lenta creerà il presupposto per
l’insorgere di un risalto idraulico con conseguente erosione dell’alveo. Pertanto è necessario determinare la lunghezza L della platea
del dissipatore per prevenire lo scalzamento dell’opera e ripristinare le condizioni energetiche della corrente a valle. Infine in funzione
del carico h0 e dell’altezza A del petto della traversa viene dimensionato il raccordo circolare tra il profilo del paramento di valle e la
platea:

R = (A ⋅ h0)1/2
Nello schema di una piccola traversa compaiono gli stessi elementi con una diversa disposizione planimetrica

Acqua dal fiume


 Griglia di presa
 Trappola con sfioratore
 Dissabbiatore
 Adduzione

Nelle traverse fisse vengono impiegati dei calloni, piccole paratoie mobili che, quando aperte, portano via i detriti depositati. Vengono
quindi aperte ad intervalli regolari o nelle situazioni di pulizia necessaria.
Il problema delle traverse fisse è infatti rappresentato dall’accumulo di detriti a monte delle stesse. L’innalzamento del fondale di
conseguenza genera variazioni nel moto dell’acqua e per questo motivo è necessaria la rimozione di tali detriti.

Andamento planimetrico di una piccola traversa fissa.

Sezione di una piccola traversa fissa.


Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 33

Il reticolo di filtrazione.

Sezione della traversa.


Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 34

Il dimensionamento della griglia. Per calcolare l’afflusso dentro la griglia si suppone di poter utilizzare l’equazione dell’energia

La legge di conservazione dell’energia si scrive nella forma

𝑑𝑧 𝑑ℎ 2 ∗ 𝑄 𝑑𝑄 𝑄2 ∗ 𝐴−3 𝑑𝐴
−𝑗 = + + ( 2 ∗ −2∗ ∗ )
𝑑𝑥 𝑑𝑥 𝐴 ∗ 2𝑔 𝑑𝑥 2𝑔 𝑑𝑥

𝑉2 𝑄2
dove si è posto -> 𝐹𝑟𝑜𝑢𝑑𝑒 2 = =
𝑔∗ℎ 𝐴2 ∗𝑔∗ℎ

h è la lunghezza di riferimento in questo caso. Introducendo l’ipotesi di De Marchi nei calcoli:

Ed esprimendo tutto in funzione dell’energia specifica


Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 35

h è la piezometrica, il secondo termine è l’energia cinetica, B 2*h2 è l’area elevata al quadrato. Esprimendo tutto in funzione
dell’energia specifica e del numero di Froude

Cq è il coefficiente di afflusso alla griglia.


Ora, sostituendo le espressioni della portata, del numero di Froude, della variazione di portata, e ricordando che A=B*h, in dh/dx si
ottiene

𝐵 ℎ √2 𝑔 (𝐻 − ℎ)
𝑑ℎ 𝑔 𝐵 2 ℎ2
= ∗ (−𝐶𝑞 𝜔 𝐵 √2 𝑔 ℎ) ∗ ℎ
𝑑𝑥 2𝐻 − 2ℎ − ℎ

Risulta l’equazione che regola il deflusso sulla griglia

Imponendo le condizioni al contorno si ha anche la soluzione


Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 36

Ed infine

Altro metodo equivalente. L’equazione che regola il deflusso sulla griglia è la seguente

E una soluzione dell’equazione è rappresentata da

Una soluzione dell’equazione è

Imponendo che alla fine della griglia il tirante sia nullo si ottiene allora che

Infine, imponendo che il tirante all’inizio della griglia sia pari al tirante critico, si ha:

Ovvero

Da cui infine

Dove L è la lunghezza della griglia (la dimensione parallela alla direzione del moto)
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 37

Il dimensionamento della trappola.

L’acqua si considera in moto permanente gradualmente vario con immissione di portata dall’alto su tutta la lunghezza. In queste
condizioni il profilo che viene a generarsi può essere calcolato con l’equazione dei momenti.

La soluzione dell’equazione precedente si può facilmente affrontare applicando un semplice schema alle differenze finite (il metodo di
Eulero). Suddiviso l’asse delle x in N e denominato con un indice i il valore delle variabili nei punti segnati dalle barre verticali blu, la
versione discreta dell’equazione risulta
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 38

Oppure, mediante opportuni isolamenti di variabili,

Il pedice ‘pr’ sta per progetto, il pedice ‘dvm’ sta per deflusso minimo vitale. B è la larghezza della trappola.

Si noti che l’integrazione è fatta seguendo l’indice i nel verso decrescente. Infatti il moto dell’acqua nella trappola è subcritico (grazie
alla presenza della soglia) e sono le condizioni di valle che determinano l’altezza della superficie libera.
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 39

La pendenza del fondo nella trappola è fissata dalle condizioni progettuali e pari ad if = 0.05. La perdita di carico nel moto (turbolento)
per unità di lunghezza può essere calcolata con la formula di Gauckler-Strickler:

La prima equazione descrive la legge di Gauckler e Strickler, la seconda descrive il raggio idraulico per condotta rettangolare, la terza
è la relazione per la sezione bagnata. L’equazione che risulta è pertanto
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 40

Se si tiene conto del fatto che la corrente si trova in condizioni subcritiche e quindi l’integrazione parte da valle, ed introducendo
quindi una nuova variabile:

Dove T è la lunghezza della trappola.

Che discretizzata diventa

Le due equazioni alle differenze possono essere implementate in R (o in Python). Alternativamente, sempre in R, si può usare il
pacchetto deSolve, che usa il metodo di Runge-Kutta e altre del IV ordine e altri metodi per integrare equazioni differenziali ordinarie.
Un aspetto da non trascurare, nell’integrazione, è che se il flusso sullo sfioratore è in corrente critica, allora in quel punto, il numero di
Froude è uguale ad 1 e l’equazione dei profili non può essere usata. Per poterla usare, bisogna partire da una posizione leggermente a
monte. Vedasi figura nella pagina seguente.
Tra questa posizione a monte e la posizione sulla soglia in cui si ha l’altezza critica si può usare un bilancio dell’energia specifica.

Come spesso accade nei problemi costruttivi, lo sfioratore deve essere costruito e pertanto non se ne conosce l’altezza. Per un
momento dunque, il problema del calcolo della posizione della superficie libera deve essere abbandonato per definire l’altezza di a.
Per farlo si procede per step:
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 41

- Si assegna un valore che sembra ragionevole di h1,


- conoscendo il valore di hc
- si determina a come a = h1 - hc
Il problema di trovare h1 dunque, in realtà non si pone. Q1 si calcola di conseguenza.
Nell’esempio precedente, una scelta ragionevole è quella di assegnare il valore di 2.2 m ad h 1. Procedendo nei calcoli, utilizzando il
metodo numerico di integrazione che si preferisce, si calcola h2.

Allora h3 = h2 + 3÷5 cm.

Il posizionamento della paratoia. Il problema successivo è quello di posizionare la paratoia a battente per evitare che in condizioni di
piena il flusso al dissabbiatore sia limitato.

La portata che affluisce al dissabbiatore in tali condizioni è (portata di rispetto)

Per garantire Qdmv è sufficiente aprire un foro, per esempio di sezione quadrata, per esempio in corrispondenza della sezioni in cui si
verifica (nelle condizioni di progetto) l’altezza h1 della superficie libera. L’efflusso da tale foro, avverrà con velocità torricelliana,
diminuita di un opportuno fattore per la perdita di energia localizzata all’imbocco del foro:
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 42

Da cui

Il dimensionamento del dissabbiatore. Il dimensionamento del dissabbiatore deve tener conto della velocità di sedimentazione delle
particelle.

Nell’ipotesi che queste siano sferoidali, ciascuna delle particelle è soggetta alla forza peso ridotta della spinta di Archimede e a forze
di resistenza idrodinamica.

La resistenza idrodinamica è pari a

La forza peso è pari a


Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 43

Ancora, continuando

Re rappresenta il numero di Reynolds, w0 rappresenta la velocità di caduta delle particelle nel dissabbiatore, D è il diametro delle
particelle, ѵ è la viscosità dell’acqua. A è la sezione delle particelle ( π D2/4), ρ è la densità dell’acqua, γs è il peso specifico delle
particelle, γ è il peso specifico dell’acqua; infine Vp è il volume delle particelle (4/3 π (D/2)3).
Se assumiamo che le due forze siano in equilibrio, ossia che R=P’, si ottiene

Ritornando ai parametri, per particelle supposte sferiche il volume vale 4/3 π R3, l’area sezionale invece è π R2.
Il valore di velocità di caduta ottenuto in precedenza è valido però per acqua in quiete. Se l’acqua è in moto (turbolento) allora

Che deriva da degli studi empirici. u rappresenta la velocità dell’acqua nel sedimentatore, Y rappresenta l’altezza della superficie
libera nel canale. Il tempo massimo necessario a sedimentare per delle particelle è allora:

uY

uY

Lo sfioratore terminale. Nonostante le accortezze che si sono avute, può ugualmente accadere che la portata che giunge al
dissabbiatore sia superiore alla portata di progetto:
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 44

Al fondo vi è nuovamente uno sfioratore per sfiorare la portata di progetto

Il gradino si costruisce per una portata inferiore a quella di progetto, per es. 0.9 Qpr, nello stesso modo in cui si è calcolato lo sfioratore
della trappola:

Anche in questo caso, si può installare una paratoia per impedire alla portata in eccesso di defluire.
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 45

Lo sfioratore per la portata in eccesso. Nonostante le accortezze che si sono avute, può ugualmente accadere che la portata che
giunge al dissabbiatore sia superiore alla portata di progetto. La portata in eccesso viene smaltita attraverso uno sfioratore laterale.

In questo caso si usa la legge di conservazione dell’energia:

Imponendo anche le condizioni al contorno a valle

L’incognita di progetto è, in questo caso, la lunghezza dello sfioratore laterale. Pertanto, nell’integrazione, che parte da valle, con la
Qpr, ci si ferma, dopo quei passi di integrazione che consentono di ottenere Q max. Infine si determina la lunghezza dello sfioratore
come somma di tutti gli intervalli di integrazione.

dove M è il numero di passi di integrazione necessari a sfiorare Qmax – Qpr.


La pendenza del fondo del dissabbiatore deve essere modesta (< 1%), mentre il fondo della condotta di sghiaiamento deve avere
pendenza maggiore per garantire la pulizia dello sghiaiatore quando si apre l’opportuna paratoia.
La scelta di H tiene conto di un importante fattore: la velocità nella condotta al fondo deve essere di 4/5 m/s per garantire l’efficienza
della pulizia all’apertura della paratoia.
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 46

2. Opere di presa da laghi.

Quando la presa d'acquedotto avvenga da un lago è opportuno che il manufatto di presa possa prelevare acqua, oltre che in prossimità
del fondo (per poter utilizzare tutto l'invaso), anche alle quote intermedie fino in prossimità del massimo invaso. Quest'ultima
disposizione è raccomandata per due ragioni: una è legata alle piene e alle portate anche di materiali in sospensione.
Questi, infatti, specie se il lago non è molto esteso in superficie, possono giungere a depositarsi in profondità in prossimità dell'opera
di presa. In queste condizioni appare evidente l'opportunità di potere attingere anche a quote più elevate e prossime alla superficie.
La seconda ragione riguarda la temperatura e le sue variazioni stagionali, così da consigliare durante l'estate l'attingimento al fondo,
con l'obiettivo di distribuire acqua a una temperatura che sia più prossima possibile ai valori di parametro o che si discosti da questi il
meno possibile. Una considerazione simmetrica vale per la stazione invernale: in superficie l'acqua può essere assai fredda e anche
ghiacciata, mentre sul fondo essa è sopra lo zero.
L'opera di presa è dunque generalmente realizzata con una torre nella quale siano disposte prese a varie quote. L'accesso alla torre può
avvenire da una galleria esterna (nella quale corre spesso anche la condotta di derivazione) o da un ponte o passerella che parte dalla
sponda.
Il diametro della torre di presa è in genere non inferiore ai 4-5 m. Nella quale disporre, oltre alla condotta verticale con le prese
presidiate a varie quote, la scala di accesso, in aggiunta alla possibilità di calare saracinesche, tubi, ecc, con un argano. Nei casi più
importanti e con torri alte è da prevedere l'installazione di un ascensore. Per garantire la stabilità rispetto al galleggiamento la torre di
presa è talvolta ancorata con tiranti.
La figura precedente mostra uno schema di opera di presa da un lago superficiale. Una tipologia ricorrente è riprodotta nella figura che
segue. Una galleria, funzionante in pressione, ha lo scopo di prelevare l’acqua da una bocca, o luce, presidiata da una griglia del tipo a
sacco. L’intercettazione e la regolazione della portata di derivazione è realizzata con paratoie piane, installate alla base del pozzo e
comandate, con dispositivi oleodinamici, nella cabina di manovra e di accesso.

Nel caso di diga a gravità l’opera di presa può essere realizzata predisponendo le griglie sul paramento di monte e collocando la
camera di manovra all’interno del corpo della diga stessa.
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 47

Galleria di derivazione preceduta da una torre di presa realizzata entro l'invaso. La torre dotata di bocche di presa dislocate a differente
altezza per consentire la derivazione di acqua da differente quota sia in funzione della quota di invaso e sia dalle caratteristiche fisiche,
chimiche, e batteriologiche presenti.

Al di sotto dei suoli, dal punto di vista idrologico: gli acquiferi.


In idrogeologia per falda acquifera (o falda idrica) si intende una zona di rocce permeabili dove è presente acqua in grado di fluire per
effetto della forza di gravità. La parola falda, che deriva dal termine tedesco falte, che vuol dire piega, indica un deposito idrico tra gli
strati (pieghe) del terreno.
Le acque meteoriche che cadono sulla superficie terrestre in parte ritornano all'atmosfera per effetto dell'evaporazione, in parte
alimentano le acque superficiali e in parte attraverso le fratture/porosità delle formazioni rocciose permeabili superficiali riescono a
penetrare nel suolo.

Una parte di questa va a ricostruire l'acqua di detenzione che si è ridotta a seguito dell'evapotraspirazione, la rimanente percola in
profondità fino a quando non incontra una formazione impermeabile (es. formazione argillosa o rocciosa compatta) che ne arresta il
movimento di percolazione.
Man mano l'acqua si deposita, va a saturare i vuoti contenuti nelle formazione permeabile formando zone di terreno saturo dette rocce-
serbatoio o rocce acquifere.
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 48

Tali depositi di acque sotterranee possono essere fermi o in movimento a seconda della permeabilità e giacitura degli strati del terreno
e della conformazione geometrica degli strati impermeabili confinanti la falda stessa.

Classificazione degli acquiferi in base al tipo di permeabilità


Le diverse rocce entro cui può scorrere acqua di falda si possono suddividere in base alla tipologia di permeabilità:
 Rocce permeabili per fessurazione: si tratta di rocce cristalline o sedimentarie compatte; le acque di falda circolano
prevalentemente lungo fratture e discontinuità dell'ammasso roccioso;
 Rocce permeabili per carsismo: si tratta delle rocce sedimentarie carbonatiche (o gessose) interessate da dissoluzione carsica; le
acque di falda scorrono nelle fratture ma anche all'interno di cavità e condotti carsici;
 Rocce permeabili per porosità: si tratta delle rocce sciolte (terre); le acque vanno a riempire i vuoti presenti tra un granulo e
l'altro.

Classificazione degli acquiferi in base al grado di confinamento


Gli acquiferi possono essere classificati sulla base di due categorie principali:
 Acquiferi confinati;
 Acquiferi non confinati;
Esiste anche l'acquifero semi-confinato che ha caratteristiche intermedie rispetto alle due tipologie principali.

Abbiamo la falda, ossia una zona del terreno satura di acqua gravitazionale:
Freatica: quando il piano dei carichi relativi coincide con la superficie di falda; può essere libera se sovrastata dal terreno permeabile o
profonda se sovrastata dal terreno impermeabile
Artesiana: quando il piano dei carichi relativi è a quota superiore della superficie di falda.
La sorgente è l’affioramento naturale dell’acqua di falda.

Schemi di falde libere ed artesiane. In base alle situazioni particolari del sottosuolo (ubicazione della strato impermeabile di
sostegno della falda, sovrapposizioni di strati impermeabili a strati permeabili, affioramenti, ecc.) si possono avere falde di tipo:
• libera superficiale o freatica: quando la falda scorre attraverso uno strato poroso non saturo sostenuto da uno strato impermeabile;
• in pressione o falda artesiana: quando lo strato permeabile è contenuto tra due strati impermeabili e allo stesso tempo la zona
permeabile è satura e soggetta a pressione tale che i livelli piezometrici siano al disopra della superficie di fondo della falda superiore.
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 49

Opere di presa da sorgenti.


L'acqua proveniente da sorgenti e da pozzi in falda artesiana è generalmente di grande pregio per l'uso potabile. Il lungo soggiorno nel
sottosuolo, i processi naturali di filtrazione cui è sottoposta conferiscono alle acque stesse notevoli e gradevoli proprietà: per
temperatura, purezza e talvolta anche per contenuto di salutari sostanze minerali.
L'interesse per le sorgenti fu, in passato almeno, così vivo da impegnare il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici e l'allora Servizio
Idrografico Centrale in una approfondita ricerca di accatastamento su di esse. La quale si concluse con la pubblicazione (n. 14 del
Servizio) dei risultati in una collana di opere, a classificazione regionale, dal titolo Le sorgenti italiane. Elenco e descrizione. In essa
sono indicati i seguenti elementi: bacino; corso d'acqua; denominazione; Provincia; Comune; località; coordinate geografiche; quota
sul mare; portata e data della misura; temperatura; anni d'osservazione; numero delle misure eseguite; utilizzazione e annotazioni.
Le modalità da impiegare per la captazione di acqua da una sorgente sono legate e condizionate da numerosi fattori: essenzialmente di
natura geologica e idrogeologica, ma anche fattori relativi alla qualità dell'acqua, ai valori della portata e alla sua variabilità in
rapporto al regime climatico dell'ambiente dal quale la sorgente prende origine.
La classificazione delle sorgenti per tipi o caratteri è tema che ha impegnato non poco Geologi e Idrogeologi, senza tuttavia
raggiungere un assetto che possa dirsi esauriente: forse per la varietà delle situazioni che possono dare luogo a manifestazioni sorgive.
Le acque sorgive, provenendo da un percorso sotterraneo assai vario per modi e strutture permeabili del sottosuolo, emergono
generalmente nei luoghi dove la superficie topografica incontra una falda freatica o artesiana appoggiata a uno strato impermeabile
variamente disposto, affiorante ma anche profondo: con diverse modalità di sbocco a giorno, quindi. Una corretta classificazione
dovrebbe specialmente rivolgersi a individuare i principali caratteri della sorgente nella prospettiva di una sua parziale o totale
captazione, così da orientare fin dal primo approccio le ricerche e le misure da farsi, se non addirittura i modi da usare per la
captazione stessa.
Lo studio d'una sorgente richiede l'esame del suo comportamento per un periodo di tempo ragionevolmente lungo con analisi
sistematiche della sua qualità e con misure ancora sistematiche di portata e di temperatura; e anche per accertare la sua dipendenza
dalle vicende climatiche dei luoghi dai quali prende (o si presume prenda) origine, specie in rapporto ai tempi di risposta agli eventi
piovosi o nevosi, al processo d'esaurimento e alla qualità dell'acqua.
Le indagini sulle proprietà dell'acqua delle quali s'è detto sono associate, naturalmente, allo studio geologico e idrogeologico del sito o
del bacino idrogeologico che alimenta la sorgente. Le analisi batteriologiche e chimiche si propongono di determinare la natura e il
numero dei germi contenuti nell'acqua, l'eventuale presenza di quelli patogeni e di batteri che siano indizio di inquinamento.
Le indagini sono da svolgersi secondo le norme. La temperatura dell'acqua e le sue eventuali variazioni rappresentano grandezze assai
significative per definire i caratteri della sorgente e del percorso sotterraneo dell'acqua. Variazioni termiche notevoli, accanto anche a
variazioni significative di portata per concomitanti eventi meteorici, indicano un percorso dell'acqua relativamente superficiale: con
una sospetta esposizione all'inquinamento. Per contro, la costanza della temperatura è indice di buona qualità, con la sola riserva
d'accertare che la sorgente non sia esposta ad infiltrazione di acque superficiali; provvedendo, in questo caso, alla sua protezione
mediante opportuni interventi.

Le acque di sorgente hanno costituito e costituiscono tuttora, specialmente in Italia, la fonte preferita di alimentazione degli acquedotti
destinati all'uso potabile.
Le opere di presa delle acque sotterranee sgorganti naturalmente alla superficie del suolo rispondono, pertanto, prevalentemente a
criteri di progettazione e di realizzazione intesi a:
• realizzare senza dispersioni la totale captazione della portata della sorgente,
• conservare le qualità proprie chimiche e batteriologiche delle acque,
• conservare i loro caratteri organolettici favorevoli alla utilizzazione potabile
• preservare le acque stesse da ogni contatto con l'ambiente esterno.
Le forme costruttive delle opere di presa dipendono dalla morfologia del terreno e dalla situazione geologica che determina lo sbocco
in superficie.
Le acque devono essere captate nel punto o nei punti nei quali la condizione geologica ne determina lo sgorgo, e non nei detriti ove le
acque stesse si infiltrano dopo lo sgorgo in sede geologica.
Devono essere predisposti provvedimenti intesi ad evitare che l'opera di captazione possa, nel tempo, essere aggirata con conseguente
perdita parziale o totale dell'acqua da utilizzare ed eventualmente con rischio di compromettere la stabilità delle opere murarie della
presa.
L’opera di presa per l'uso potabile viene preclusa, con pareti vetrate, al contatto del personale addetto a sorveglianza e manovra, così
da impedire l'inquinamento dell'acqua.
Il punto di presa, quale sede in cui si manifesta lo sgorgo, deve essere raggiunto rimuovendo, con scavi a cielo aperto, le formazioni di
ricoprimento ovvero traversandole con scavi in trincea o in galleria realizzando cunicoli murari.
Le opere di captazione sono realizzate secondo schemi abbastanza semplici.
La molteplicità delle possibili condizioni, sia morfologiche che geologiche, danno luogo a tipologie costruttive alquanto diverse.
Tuttavia possono individuarsi alcune condizioni fondamentali nel rispetto delle quali le opere sono state tradizionalmente concepite e
realizzate. Tra gli elementi indispensabile abbiamo:
• Soglia muraria: fondata nelle strato impermeabile e spinta a profondità sufficiente per evitare sifonamento dell'opera;
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 50

• Edificio: posto dinnanzi alla soglia muraria contenente tutti i dispositivi occorrenti per la raccolta delle acque, sedimentazione, sfioro
dei superi, intercettazione, misura, ecc.

Schemi di sorgenti.
Quando le acque di falda raggiungono la superficie del suolo danno luogo a scaturigini naturali dette sorgenti che, rispetto a situazioni
topografiche e geologiche si possono classificare in:
• SORGENTI DI FONDO,
• SORGENTI DI AFFIORAMENTO O EMERSIONE,
• SORGENTI DI DRENAGGIO,
• SORGENTI DI SFIORAMENTO
• SORGENTI ARTESIANE.

1. Sorgenti di fondo: originate dall’affioramento dello strato impermeabile che costituisce la superficie di fondo. Possono essere:
• da detrito: la superfice di fondo, impermeabile, è ricoperta da un ammasso detritico (cono di deiezione, morena, materiali di frana)
che è sede della falda la quale affiora, a valle, al piede del detrito;
• monoclinale o fluviale: la superficie di fondo che presenta una direzione costante e pendenza uniforme (monoclinale), affiora su un
pendio;
• sinclinale o lacuale: lo strato impermeabile presenta una concavità verso l’alto (sinclinale) affiorante su un pendio;

2. Sorgenti di affioramento o emersione: il terreno taglia localmente, per incisione, la superficie della falda generando le sorgenti di
pendio ovvero per depressione; in questo caso possono presentarsi due scaturigini sui versanti opposti con l’affioramento di sorgenti di
valle

3. Sorgenti di drenaggio: sono conseguenti all’esistenza, all’interno di un ammasso permeabile, di fessurazioni che costituiscono un
sistema di circolazione dell’acqua di tipo vascolare. Sono tipiche di mezzi fratturati e nelle zone carsiche.

4. Sorgenti di sfioramento: sono generate dall’affioramento di uno strato impermeabile sub-verticale, generalmente non di sostegno
della falda.
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 51

5. Sorgenti artesiane: sono alimentate da falde in pressione in presenza di fratture dello strato impermeabile o di faglia con rigetto
dello stato superficiale.

Altri dettagli costruttivi e fotografie di esempi pratici sono reperibili sulle slides ed in bibliografia.
Carsismo: rocce carbonatiche
Falde freatiche: molto vulnerabili rispetto a ciò che sta sopra (inquinamento ad esempio)
Presa: opera muraria -> vasca di calma (sedimentazione e rallentamento del flusso) -> sfioratore -> seconda vasca con contenuta la
succhieruola (setaccio) che rappresenta un elemento filtrante ed impedisce all’ulteriore sedimento presente di passare ed è attaccata al
tubo -> tubo di mandata
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 52

Opere di presa da pozzi.


Le acque fluiscono nel sottosuolo con due modalità:
- a superficie libera o in falda freatica;
- a pressione o in falda artesiana (dal francese artésian, della regione dell'Artois).
Il deflusso avviene con un continuo e sistematico processo di filtrazione attraverso le terre del sottosuolo: col pregio, quindi, d'essere
le acque, in generale almeno, termicamente protette e non esposte, o parzialmente esposte, alle contaminazioni esterne. Le acque
freatiche, specie se relativamente superficiali, sono, quasi per definizione, sospette per i possibili percolamenti di sostanze nocive dalle
superficie esterne. Il loro impiego richiede pertanto una notevole cura per determinarne le caratteristiche fisiche, chimiche e
biologiche e le loro possibili variazioni stagionali in rapporto all'uso che se ne vuoi fare. Le acque artesiane sono generalmente di
notevole pregio per temperatura e qualità, così da giustificare il notevole impegno che è da spiegare per preservarne le proprietà e
riservarle all'uso civile e potabile.
La presa di acque sotterranee avviene con diverse modalità specialmente in funzione del valore della portata da derivare e dell'uso. I
modi sono essenzialmente due: attingendo dalla falda l'acqua con un collettore o galleria filtrante; oppure con uno o più pozzi infissi
nella falda stessa. Il primo modo si rivolge, per lo più, alle falde freatiche, a profondità limitata, con le riserve sulle qualità dell'acqua:
così da determinare non infrequentemente, per l'uso potabile, la necessità di un trattamento di potabilizzazione. Problemi non dissimili
sono da considerare, naturalmente, anche quando l'attingimento avvenga con pozzi infissi. L'impiego di pozzi rappresenta invece la
norma per gli attingimenti da falda artesiana.

L’esperimento di Darcy.

Discharge: portata; Drop in head across sand (meters): differenza manometrica.


Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 53

L’acqua nelle falde si muove secondo la legge di Darcy. In idraulica la legge di Darcy è una legge costitutiva che descrive il moto di
un fluido in un mezzo poroso. Questa importante legge viene utilizzata in tutte quelle applicazioni ingegneristiche (ad esempio la
teoria della poroelasticità) che contemplano l'interazione puramente fisica tra un fluido in movimento laminare entro un mezzo poroso.
La legge fu formulata nel 1856 dall'ingegnere francese Henry Darcy sulla base dei risultati delle sperimentazioni da lui condotte sul
flusso dell'acqua attraverso letti sabbiosi. Essa getta le basi scientifiche quantitative della permeabilità dei fluidi per gli utilizzi nei
campi applicativi delle scienze della terra, in particolare nell'idrogeologia e nella petrofisica.
La portata si dispone su una retta in cui in ascissa ci sta la differenza manometrica. (Se aumenta la portata aumenta anche la differenza
manometrica).

K è detta conducibilità idraulica; la pressione alla base della colonna invece è pari a

Quindi possiamo scrivere che la piezometrica (intendendo come piezometrica la somma di altezza geodetica ed altezza piezometrica)
come

Si può osservare che h è il carico idraulico (l’energia per unità di volume) di un volume d’acqua posto ad altezza z e sottoposto alla
pressione relativa p.

Studi successivi conducibilità idraulica a quello di Darcy hanno mostrato che la conducibilità idraulica ha, in suoli non omogenei un
vettore con componenti lungo tre direzioni preferenziali

Ed è pertanto un tensore nella direzione di un sistema di assi coordinati arbitrari (x,y,z)


La conducibilità idraulica non è definita su tutto il dominio, ma solo su una parte dello stesso. Per gradienti molto grandi il mezzo in
cui l’acqua si muove viene rotto.
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 54

Opere di emungimento da falde: pozzi scavati.


L'estrazione dell'acqua dai pozzi praticabili comporta varie modalità di installazione dei relativi macchinari.
– Gruppi elettropompe posti su un solaio o in una nicchia realizzati nella canna del pozzo a conveniente altezza.
– Gruppi con pompa sommersa e motore in superficie, quest’ultimo possibilmente posizionato alla quota del piano di campagna.
– Gruppi elettropompe sommersi (ad oggi la soluzione più comune)

Opere di emungimento da falde: pozzo in falda freatica.


Dopo l’avvio della pompa si osserva un abbassamento della falda.

Tale abbassamento si può determinare a partire dalla legge di Darcy. Se q è la portata fluente verso il pozzo a distanza x, essa è data da
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 55

Dove con 2*π*x si è indicata la circonferenza alla distanza x dal pozzo, h è l’altezza della falda, Jv è il flusso laterale.

K è la conducibilità idraulica dell’acquifero mentre la derivata parziale rappresenta il gradiente piezometrico. Si può dunque riscrivere
q come

Separando le variabili risulta che

Da cui, integrando

Da cui si ottiene

Che approssima la posizione della falda al variare della distanza R.

Opere di emungimento da falde: pozzo in falda artesiana (Thiem solution).

Tale abbassamento si può determinare a partire dalla legge di Darcy. Se q è la portata fluente verso il pozzo a distanza x, essa è data da
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 56

e rappresenta lo spessore dell’acquifero, l’ultimo termine (la derivata parziale) rappresenta il gradiente piezometrico.
Separando le variabili si ottiene

Da cui integrando (con r si è indicato il raggio del pozzo):

Da cui

T è detta “trasmissività” dell’acquifero e:

Si osservi che l’equazione precedente non può essere valida per ogni R, poiché

Pozzi (Thiem solution). Si è dunque in grado di determinare l’abbassamento della falda, assegnate le condizioni di pompaggio.
Tuttavia questo risulta noto se sono note la conducibilità idraulica media dell’acquifero o la sua trasmissività (a seconda dei casi).
Peraltro invertendo la formule precedenti ed in base a sole misure di livello si sarebbe in grado di dare una prima stima approssimata
della trasmissività (nel caso dell’acquifero confinato)

𝑅
𝑞 𝑙𝑜𝑔
𝑇≈ 𝑟
2 𝜋 (ℎ2 − ℎ1 )

O della conducibilità nel caso dell’acquifero freatico

𝑅
𝑞 𝑙𝑜𝑔
𝑟0
𝐾≈
𝜋 (ℎ12 − ℎ02 )

Naturalmente le formule precedenti possono essere usate anche per altri scopi oltre alla trasmissività e alla conducibilità, per esempio
per valutare la possibilità di emungimento in funzione della depressione del pozzo
Portata

Perdita di pressione

In realtà la situazione è più complessa di quella descritta dalle equazioni stazionarie ed è, ad esempio, quella rappresentata nella figura
sottostante.
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 57

Prove di pompaggio. In genere per ottenere informazioni sulle caratteristiche dell’acquifero è necessario attuare delle prove di
pompaggio. Le prove di pompaggio, emungimento o come spesso si dice di portata, consistono nella sollecitazione delle acque di una
falda tramite estrazione da un pozzo o pompaggio controllato. Ciò al fine di determinare i parametri idrodinamici della falda e di
giungere all’ottimizzazione delle caratteristiche tecniche dell’opera di presa.
Il tipo di prove e di obiettivi che le prove di pompaggio si possono porre dipendono dal tipo di falda. Per esempio, le linee guida
redatte allo scopo dalla provincia di Bolzano, riportano le seguenti categorie di prove.

E le seguenti metodologie operative:

Nelle slide [1] è illustrata la procedura di Theis. Nell’ipotesi di Theis (rielaborata da Jacob) si considera che le dimensioni del cono di
depressione, in funzione del tempo di pompaggio, non cessino mai di aumentare, non realizzandosi pertanto le condizioni di equilibrio
(regime transitorio o di non equilibrio). In effetti si è verificato sperimentalmente che, salvo in condizioni in natura difficilmente
presenti, il regime permanente non si realizza. Tuttavia va anche detto che dopo tempi molto lunghi in pratica il cono di depressione
varia impercettibilmente (regime quasi permanente).
Una prova in genere consiste nell’effettuare sessioni di pompaggio successive di durata diversa e prefissata e nella ricostruzione per
punti della curva di Theis, dalla quale, sotto le opportune ipotesi si ricavano stime di S e T.
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 58

S è la storatività (o coefficiente di immagazzinamento): variazione di volume d’acqua rilasciato per unità di area all’acquifero in
seguito ad un aumento unitario del carico piezometrico.
Per eseguire una prova di pompaggio, è necessario che il pozzo sia equipaggiato con una pompa sommersa di adeguata potenza, con
un misuratore di portata a registrazione continua, uno o più misuratori di livello in pozzo (freatimetro), uno o più cronometri, e con un
sistema di scarico che faccia in modo che le acque emunte siano correttamente allontanate dal punto di prelievo per evitare
rialimentazioni della falda dalla superficie in breve tempo. La frequenza delle misure dei livelli è ravvicinata all’inizio, per poi
progressivamente rallentare.
Le prove possono essere di breve o lunga durata, le prime generalmente a più scalini durano da 1 a 3 ore per ognuno di essi,
attendendo per ogni gradino a portata crescente lo stabilizzarsi del livello, le seconde durano da almeno 24 ore a più giorni.

Pozzi trivellati. Il termine perforazione indica il complesso di operazioni necessarie per realizzare pozzi di sezione circolare
mediante tecniche di scavo che non prevedono l’accesso diretto dell’uomo. Per perforare un pozzo è necessario esercitare
contemporaneamente le seguenti azioni:
a) vincere la resistenza del materiale roccioso, frantumandolo in particelle millimetriche;
b) rimuovere le particelle di roccia, continuando ad agire su materiale sempre nuovo;
c) mantenere la stabilità delle pareti del foro;
d) impedire l’ingresso in pozzo dei fluidi contenuti nelle formazioni attraversate.

I pozzi tubolari vengono realizzati in genere con due diverse modalità: con sistemi a rotazione o con sistemi a percussione. La
realizzazione dei pozzi comuni è oggigiorno limitata a particolari situazioni (ad es. lo schema a raggiera). Sono sempre più diffusi i
pozzi tubolari realizzati con trivellazione. I diametri comunemente impiegati vanno da ∅300÷350 mm per arrivare fino a diametri ∅ >
600 mm.
Nel sistema a rotazione la perforazione viene effettuata con un carotiere fornito, in punta, di una corona dentata costituita da punte
metalliche ad alta resistenza, generalmente al Vanadio. È un sistema indicato per terreni rocciosi, consente di raggiungere profondità
elevate, anche 200÷300 m. Per quanto concerne il sistema a rotazione, esso può essere applicato secondo due diverse modalità:
metodo diretto e metodo inverso.

Nel metodo diretto la miscela lubrificante viene pompata, attraverso le aste di perforazione, fino alla testa rotante; i detriti prodotti
dallo scalpello misti alla miscela vengono spinti verso l’alto attraverso lo spazio anulare tra la parete dello scavo e le aste. La spinta
idrostatica della colonna di fango e la coesione sostiene la parete dello scavo fino all’introduzione della tubazione di rivestimento
(camicia del pozzo). Il metodo è maggiormente utilizzato per pozzi di diametro ∅ <600 mm;

Nel metodo inverso la circolazione del fango alimenta direttamente lo spazio anulare. Il fango con i detriti viene aspirato, con una
pompa, attraverso le aste di perforazione. Le velocità ascensionali all’interno delle aste possono raggiungere valori di circa 1 m/s,
sufficiente per trasportare detriti anche grossolani, rendendo il sistema adatto anche al caso di diametri maggiori.

Pozzi scavati. Schema di pozzo a raggiera: viene infisso un certo numero di tubazioni metalliche orizzontali, a parete forata, disposte
a raggiera e addentrantesi per qualche decina di metri nella formazione acquifera.
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 59

Le acque fluenti al pozzo centrale, che diviene camera di raccolta, vengono sollevate con macchine sommerse. L'opera di presa
interessa una grande estensione della falda, col vantaggio, a parità di portata emunta, di piccole velocità ed abbassamenti più limitati
dei livelli.
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 60

5. I serbatoi.

Funzioni e generalità sui serbatoi.


Schematicamente si può dire che tra le opere di trasporto e la rete di distribuzione sono interposti i serbatoi i quali assolvono
essenzialmente alle seguenti funzioni:
• disconnettere idraulicamente l’opera di adduzione dalla rete di distribuzione. Nel caso di reti a serbatoio terminale, come si vedrà in
seguito, tale funzione è assolta dalle torri piezometriche;
• fissare il piano dei carichi sulla rete di distribuzione;
• compensare la variabilità delle portate richieste dalla rete rispetto alla costanza della portata addotta dall’acquedotto;
• assolvere la funzione di riserva e soddisfare i fabbisogni ordinari nei periodi di interruzione, accidentale o programmata,
dell’acquedotto;
• sopperire alle richieste straordinarie della rete per lo spegnimento di incendi.
I serbatoi inseriti nelle reti d'acquedotto hanno dunque svariate ed importanti funzioni.
Il volume di compenso consente di appagare le richieste, continuamente variabili, che eccedono la portata di afflusso al serbatoio
(sovente costante) con un definito processo di regolazione che è, usualmente, giornaliero, ma che può essere anche, specie per località
dotate di particolari caratteristiche, settimanale.
II volume di riserva è invece accantonato per far fronte a eventuali interruzioni dell'afflusso.
Il volume antincendio è il volume accantonato per l’eventualità di maggiori richieste in rete che si possono avere in caso di incendio.
Il volume da assegnare alla riserva per lo spegnimento di incendi veniva determinato in passato considerando per piccoli centri la
portata necessaria per alimentare due idranti ciascuno di 4-5 1/s funzionanti per due ore: ciò che corrisponde a un volume dell'ordine
dei 60-70 m3. Per i centri maggiori si deve considerare un funzionamento antincendio per almeno 10+12 ore. L'argomento, alla luce
delle attuali normative di legge, è trattato in dettaglio nelle pagine che seguono.
Il volume da assegnare alla riserva per interruzione dell'adduzione deve essere tale da far fronte alla richiesta per il tempo necessario
per ripristinare l'adduzione stessa. Il volume di riserva è pertanto, a parità di consumo in rete, assai variabile da impianto a impianto.
Esso viene usualmente indicato come frazione percentuale del deflusso riferito a un prefissato intervallo di tempo: percentuale tanto
più piccola quanto maggiore è il numero delle adduzioni e quanto più rapido e agevole possa ritenersi l'intervento per eventuali
riparazioni. Per esempio, la massima riserva è da assegnare ai paesi di montagna con una adduzione proveniente da sorgente a quota
elevata e con percorso su strada che, ancorché carrozzabile, non sia tenuta sgombra dalla neve durante l'inverno.
Una regola usata in mancanza di più precise determinazioni è quella di attribuire a questo volume il valore corrispondente da 1/3 ad
1/2 del volume del giorno di massimo consumo. La determinazione del volume di compenso è da un punto di vista teorico di facile
valutazione quando possa disporsi del diagramma di consumo del centro da servire.
La conoscenza di questo diagramma è disponibile solo per i grandi centri dove, di norma, si provvede alle misure in modo sistematico.
Trattando dei piccoli centri raramente è disponibile o conosciuto l'andamento cronologico dei fabbisogni. In questo caso, quando
voglia procedersi per analogia con un centro di cui sia noto il diagramma dei consumi, il suo uso deve farsi con qualche cautela,
facendo precedere, in questi casi, le determinazioni da un'analisi sulla composizione degli utenti. La quale deve essere tanto più
accurata quanto più ridotto sia il numero di abitanti, poiché l'influenza di speciali consumi (caserme, industrie, colonie ecc.) può
incidere notevolmente sul risultato. La riserva è espressa come frazione percentuale del consumo massimo riferito all'intervallo di
tempo nel quale si vuole che essa sia gestita. Tale intervallo di tempo è solitamente il giorno e quindi la riserva è espressa con la
frazione del volume consumato nel giorno di massimo consumo. La frazione di consumo pro capite da destinare alla riserva decresce,
in generale, all'aumentare del numero di abitanti serviti: infatti, a misura che cresce il numero degli abitanti, sempre più diversificati
sono gli impieghi e le abitudini.
Il classico diagramma di consumo giornaliero è costituito da una base con due picchi, uno mattutino e uno pomeridiano. In passato il
picco mattutino era assai più elevato di quello pomeridiano e dava quindi luogo a elevati coefficienti di punta orari. Con il migliorare
delle condizioni di vita e il diversificarsi delle attività lavorative anche nei piccoli centri i picchi, e in specie quello mattutino, si sono
andati riducendo, così anche il coefficiente di punta orario con vantaggio nel dimensionamento dei serbatoi (vantaggio da valutarsi
ovviamente a dotazione costante). Nelle nazioni più evolute, la punta pomeridiana è, in genere, più elevata di quella mattutina. Anche
il diagramma tende a modificarsi esibendo un solo picco pomeridiano. Cioè è dovuto al fatto che l'orario lavorativo - dal mattino fino
alle prime ore del pomeriggio - lascia spazio al pomeriggio per il pasto principale (con i relativi consumi pre e post pasto), e per le
attività di tempo libero, quali annaffiamento di giardini, lavaggio delle auto e quelle di pulizia domestica.

Collocazione dei serbatoi rispetto al terreno. I serbatoi per acquedotto possono classificarsi, con riferimento alla loro collocazione,
in tre tipi fondamentali:
- serbatoi a terra (eventualmente interrati o in caverna);
- serbatoi sopraelevati o pensili;
- serbatoi a terra con vasca pensile o tonino piezometrico o autoclave.
Ciascun tipo può, a sua volta, suddividersi in molti altri tipi differenti per forma, materiali, tipo strutturale, ecc. Scopo del serbatoio è
quello di assicurare il volume di compenso (per la variabilità della richiesta rispetto alla portata di alimentazione) con una quota
sufficiente per garantire, alle abitazioni idraulicamente più sfavorite, un carico piezometrico dinamico minimo di 5 m sopra il solaio
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 61

dell'ultimo piano (si ricorda che le perdite tra la rete pubblica e il rubinetto interno più sfavorito è di almeno 4/5 m, 2 m dei quali persi
nel contatore e dispositivi annessi). I serbatoi devono, in aggiunta, assicurare una riserva per far fronte a eventuali fuori servizio
dell'adduzione e per l'eventuale servizio antincendio. Si ricorda che la piezometrica statica massima è di 70 m sul suolo: valori
superiori potrebbero causare danni nella rete interna degli edifici, per esempio agli elettrodomestici (D.P.C.M. –Decreto Presidente
del Consiglio dei Ministri- 4 marzo 1996 — G.U. n. 62 del 14 marzo 1996: Disposizioni in materia di risorse idriche).

Collocazione del serbatoi rispetto alla rete di distribuzione. Nei piccoli centri il serbatoio di un acquedotto è generalmente
collocato all'inizio della rete di distribuzione: viene definito serbatoio di testata. Particolari ragioni, generalmente di tipo topografico,
possono consigliare la collocazione al termine della rete: il serbatoio si chiama allora serbatoio di estremità.

Nelle reti con serbatoio d'estremità la rete (o una sua parte) funziona sia come distribuzione, sia come adduzione al serbatoio. Nelle
ore di minor consumo la rete distribuisce e alimenta il serbatoio; nelle ore di maggior consumo la rete distribuisce, sul lato verso la
sorgente, acqua proveniente dalla sorgente stessa e, sul lato opposto, acqua proveniente dal serbatoio. Al variare della quantità di
acqua erogata dal serbatoio varia la collocazione del minimo piezometrico in rete.
Per essere diverso il funzionamento sono anche diversi gli schemi idraulici dei due serbatoi. Caratteristiche però comuni ai due
serbatoi sono:
- alimentazione dall'alto o dal basso (o entrambe) con chiusura a galleggiante (o di altro tipo);
- dispositivo di presa;
- contatori per misurare i volumi entranti e uscenti;
- scarico di superficie presidiato da valvole di ritenuta;
- scarico di fondo presidiato da saracinesca;
- idrante per il lavaggio del serbatoio collegato all'adduzione prima della saracinesca che isola il serbatoio.

Nel serbatoio di estremità l’alimentazione può avvenire dall’alto o dal basso. L'alimentazione dall'alto assicura il massimo ricambio
dell'acqua invasata, ma fissa la piezometrica dello sbocco a una quota costante, indipendente dalla quota del livello nel serbatoio
durante il giorno. L'alimentazione dal basso consente di avere il massimo dislivello piezometrico tra sorgente e serbatoio quando
questi sia al massimo svaso. Essa offre il vantaggio che, almeno nel caso di alimentazione con carichi limitati, qual è il caso, per
esempio, delle alimentazioni con sollevamento, il valore della portata affluente va via via incrementandosi a misura che il livello nel
serbatoio si abbassa, concorrendo, nei momenti di punta, a fornire la maggior portata richiesta dagli utenti.
Nei serbatoi di testata i vantaggi dell'alimentazione dall'alto e dal basso si possono conciliare predisponendo le due alimentazioni:
quella dal basso è munita di saracinesca di intercettazione che viene aperta solo nel periodo dell'anno di massima richiesta.
La circostanza che la richiesta sia molto elevata garantisce in questo periodo il necessario ricambio nel serbatoio.
Nei serbatoi di estremità si adotta ancora l'alimentazione dall'alto; la presa dal basso è a essa collegata, ma presidiata da valvola di non
ritorno che consente solo la derivazione. Nei periodi di massima richiesta la valvola di non ritorno viene disattivata consentendo
quindi anche l'alimentazione dal basso.
Talvolta, più razionalmente, è previsto uno specifico dispositivo, distinto dalla presa, per l'alimentazione dal basso che si diparte a
valle del contatore per l'alimentazione. Il dispositivo consente la corretta misura delle portate alimentanti e di quelle derivate.
Nei centri di grande importanza i serbatoi sono più d'uno, distribuiti opportunamente lungo la rete, che si comportano quindi (escluso
il primo) come serbatoi d'estremità.
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 62

Una migliore e più affidabile disposizione collega i vari serbatoi con una condotta d'alimentazione diversa dalla rete di distribuzione. I
serbatoi si comportano allora come serbatoi di testata. Le reti di serbatoi di testata sono, a parità di condizioni, più affidabili di quelle
con serbatoi di estremità, in quanto questi ultimi utilizzano per la loro alimentazione la rete di distribuzione che è, notoriamente, più
soggetta a guasti dell'adduzione senza derivazione.

Dimensionamento del serbatoio


Volume di riserva. La capacità del serbatoio associata ad interruzioni dell'acquedotto per fatti accidentali è detto Volume o Capacità
di riserva, Cr. Valutando in un giorno, ad esempio, il tempo necessario per la riparazione di eventuali guasti, la capacità di riserva
sarebbe pari a:

Per una popolazione di 3000 abitanti (Pn) con dotazione idrica di 275 l/(giorno*abitante equivalente), si ottiene la portata media
giornaliera richiesta come

La portata nel giorno di massimo consumo è dunque pari a (dove si è supposto il coefficiente di punta giornaliero pari a 2)

La capacità di riserva è allora la portata nel giorno di punta moltiplicata per il tempo di non funzionamento supposto (in questo caso
86400 secondi) e divisa per 1000 per avere il risultato in metri cubi
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 63

Tuttavia, pratica progettuale ormai consolidata è quella di assumere il volume di riserva pari a 1/3÷1/2 del volume richiesto nel giorno
di massimo consumo annuo.

Volume antincendio. La normativa vigente suddivide il territorio in 3 classi omogenee:


1. Area di livello 1 o classe A: comprende edifici di civile abitazione, luoghi di culto, alberghi (con esclusione delle centrali termiche),
impianti sportivi. L’impianto deve garantire il funzionamento di due idranti con lancia DN45 con portata per ciascun idrante di 2 l/s ed
una pressione residua di 2 bar (20 m di colonna d’acqua) per almeno 30 minuti.
2. Area di livello 2 o classe B: stabilimenti industriali e commerciali con materiali di ordinaria combustibilità. Per questo tipo di aree
deve essere previsto oltre un impianto interno anche una rete esterna che deve garantire il funzionamento di non meno di quattro
idranti con lancia DN70 con portata per ciascun idrante di 5 l/s ed una pressione residua di 4 bar (40 m di colonna d’acqua) per
almeno 60 minuti.
3. Area di livello 3 o classe C: in queste aeree rientrano particolari opifici per la lavorazione, confezionamento e deposito di materiali
infiammabili. Per questo tipo di aree deve essere previsto oltre un impianto interno anche una rete esterna che deve garantire il
funzionamento di non meno di sei idranti con lancia DN70 con portata per ciascun idrante di 5 l/s ed una pressione residua di 4 bar (40
m di colonna d’acqua) per almeno 120 minuti.

Nell’ipotesi allora di avere un piccolo centro abitato (Pn inferiore ai 3000 abitanti), il volume antincendio sarà pari a:

In cui n è il numero di idranti, qi è la portata fornita al singolo idrante, th è la durata della fornitura.
Ipotizzando l’utilizzo contemporaneo di due idranti DN45 con portata di 2 l/s ciascuno, quindi 4 l/s di domanda in totale, per una
durata complessiva della fornitura di 3 ore, si ottiene un volume antincendio di

Per centri di maggiore importanza si può calcolare la portata antincendio complessiva (formula di Conti) in funzione delle popolazione
Pn, dunque

Indicando con ts il tempo necessario per lo spegnimento dell'incendio (ad esempio 6 ore), la capacità antincendio sarà data dalla
relazione:

Volume di compenso. La determinazione del Volume o Capacità di compenso Cc da assegnare al serbatoio affinché la domanda
d'acqua risulti soddisfatta, è governata dalla equazione di continuità:

qa è la portata assunta costante che proviene dalle captazioni, qu è la portata richiesta dalla rete di distribuzione (funzione del tempo),
Cc il volume di compenso.
Nei periodi in cui qa > qu la fornitura alla rete è garantita. Viceversa, nei sottoperiodi, di durata complessiva ti in cui qa < qu, la
fornitura alla rete deve essere garantita dal serbatoi che pertanto deve avere stoccata una quantità d’acqua almeno pari a:

Nel caso in cui non si conosce con precisione la funzione qu(t), legata alle abitudini degli utenti ed alla variabilità nel tempo dei
consumi, per la determinazione della Cc viene fatto spesso riferimento a dati assunti da rilevamenti che hanno portato a varie
equazioni empiriche:

1.
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 64

1 1
2. 𝐶𝐶 = ( ÷ ) 𝑄𝑔 ∗ 86.4 𝑚3
4 5

Va ricordato che la portata indicata con il pedice g è, generalmente, la potata media del giorno dei massimi consumi.

Calcolo grafico del volume di compenso.

Volume totale. Il volume totale del serbatoio, nella pratica progettuale, è pari alla somma delle tre voci precedenti.
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 65

Tipologie particolari di manufatti


I torrini piezometrici. I torrini piezometrici hanno un elevato impatto visivo e quindi ci si può chiedere se siano necessari. Poiché
modernamente gli impianti di pompaggio sono molto sofisticati, almeno in teoria, il fabbisogno idrico potrebbe essere pompato
direttamente in rete con il vantaggio di poter variare la pressione in funzione della richiesta, con notevoli risparmi di energia.
In effetti, quando il torrino c’è, può essere, a questo scopo, “bypassato” dal sistema di pompaggio, e si conoscono alcuni casi nei quali
si è effettivamente eliminato il torrino. In attesa di conferme sull’affidabilità di questi sistemi senza torrino piezometrico, bisogna
certamente rilevare che il sistema serbatoio più torrino piezometrico rappresenta un sistema forse non economico ma affidabile.

L'aumento della capacità di riserva, specie per acquedotti importanti, comporterebbe costi assai elevati per assicurare la quota
desiderata al volume d'acqua previsto. La riduzione dei costi può conseguirsi facendo ricorso a serbatoi di elevata capacità posti a
terra. L'acqua è quindi pompata a un serbatoio pensile, più o meno adiacente, la cui capacità può anche essere assai modesta:
sostanzialmente con la funzione di torrino piezometrico più che quella di capacità.
Questi schemi sono possibili per l'aumentata affidabilità, rispetto al passato, dei sistemi di sollevamento dell'acqua, relativa sia alle
pompe che alla rete elettrica d'alimentazione; in ogni caso è possibile fare anche conto sui gruppi elettrogeni di soccorso.
Qualche problema può sorgere per l'alimentazione degli impianti antincendio: tuttavia il by-pass del serbatoio consente di alimentare
la rete a bassa pressione: i vigili del fuoco provvedono poi al sollevamento con le loro motopompe di spinta.
La capacita del torrino piezometrico deve essere tale da garantire che non sia superato per le pompe un prefissato tempo di ciclo che, a
seconda del tipo e potenza delle pompe, può variare da 360 a 600 secondi: intendendo per tempo di ciclo quello che intercorre tra un
attacco e il successivo di ogni pompa.
La presenza del torrino garantisce il controllo della
quota piezometrica in rete e la rende praticamente
svincolata da qualsiasi perturbazione dovuta allo
attacco stacco delle pompe potendosi oltretutto
evitare, nella quasi totalità dei casi, l'installazione
di casse d'aria.
Uno schema dello stesso tipo può adottarsi anche,
per l'ampliamento della capacità esistente in una
rete, realizzando una vasca a terra in prossimità di
un serbatoio pensile esistente.
La vasca a terra può tuttavia essere by-passata (e
quindi tenuta vuota) durante i mesi di minor
consumo, anche per garantire un minor periodo di
detenzione per l'acqua potabilizzata.

Serbatoi a terra con autoclave. Il


termine autoclave, indica in senso stretto un tipo di
chiusura ermetica in cui la differenza di pressione
positiva tra l'interno e l'esterno del recipiente
agevola la tenuta. Il sistema cioè si "chiude da
solo". Il termine si usa in senso esteso per indicare i
contenitori e gli apparecchi che utilizzano questo
sistema di chiusura, come per esempio i grandi
contenitori industriali per la fermentazione
del mosto e i forni per la sterilizzazione usati in
ambito ospedaliero e nell'industria alimentare.
Comunemente con autoclave si intendono gli
impianti per incrementare la pressione dell'acqua
potabile rispetto alla rete di distribuzione (anche se
in tali apparati la chiusura autoclave non è più
utilizzata).
Una chiusura autoclave è costituita da una piastra o
portello che si appoggia all'apertura dal lato interno
del contenitore con l'interposizione di una
guarnizione. Inizialmente il portello è tenuto in
sede per mezzo di molle o viti con limitata
pressione. Quando all'interno del recipiente si
sviluppa una pressione, il portello viene premuto
contro la sede con una forza pari alla pressione
moltiplicata per la superficie dell'apertura. Se in
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 66

una chiusura comune con portello esterno la pressione tende ad aprire il pannello e quindi ridurre la tenuta, nell'autoclave l'effetto
della pressione è di aumentare invece la tenuta.
Per questo motivo il sistema è usato nei contenitori destinati a contenere liquidi a pressione elevata, come tini di fermentazione, forni
per sterilizzazione, scaldaacqua, ecc. I portelli dei sommergibili e sottomarini sono installati sulla parte esterna dello scafo in modo
che per effetto della pressione dell'acqua, superiore a quella interna, agiscano come autoclavi.
Una variante ai serbatoi a terra con torrino piezometrico è costituita da serbatoi a terra dotati di un'autoclave. La soluzione è adottabile
quando sia contenuto il numero di abitanti da servire e il problema paesaggistico sia particolarmente sentito. In questi impianti è
abolito lo sgradevole serbatoio sopraelevato (o il torrino) e il carico necessario per l'immissione della portata in rete è assicurato da
un'autoclave: un serbatoio chiuso di lamiera d'acciaio di limitata capacità, funzionante a pressione, è collegato a monte a una pompa e
a valle alle tubazioni della rete.
L'autoclave è riempita in parte d'acqua, in parte d'aria, ovviamente, in pressione. Essa è dotata (oltre che di altri accessori) di un
pressostato o manometro con interruttore elettrico, per comandare l'azionamento o l'arresto dell'elettropompa, in funzione del valore
della pressione nell'autoclave: se sia scesa a un valore minimo o se sia salita a un valore massimo.
Negli edifici l'autoclave ha notevoli applicazioni. I concetti ivi esposti possono essere qui traslati con facilità, poiché cambiano solo i
volumi da mettere a disposizione delle autoclavi. Per reti importanti è talvolta adottato il sistema di pompare direttamente in rete da un
serbatoio a terra. Una pompa, detta pilota, immette in rete una piccola portata con cui è possibile controllare la pressione in rete: se
questa tende a calare via via entrano in funzione le altre pompe. Quando la pressione cresce, secondo una serie di valori prefissati,
vengono via via disconnesse le varie pompe. Il sistema di pompaggio diretto in rete è ampiamente impiegato negli impianti di
irrigazione.

Un generico impianto di autoclave è costituito da:


* un serbatoio di accumulo per immagazzinare un certo quantitativo di acqua in arrivo dalla rete (non sempre presente),
* una pompa elettrica, solitamente di tipo centrifugo, con portata e prevalenza adeguate,
* un contenitore a pressione in cui è presente una camera d'aria, chiamato anche polmone,
* un pressostato, cioè un interruttore in grado di accendere la pompa in funzione della pressione dell'acqua.

L'acqua ricevuta dall'acquedotto viene spinta nel polmone con una pressione maggiore di quella di rete per azione della pompa. In
questo contenitore è presente una camera d'aria che per effetto della pressione si comprime, agendo come una molla, in modo che allo
spegnimento della pompa l'acqua venga mantenuta in pressione.
Un pressostato avvia la pompa quando la pressione è inferiore ad un limite minimo e la spegne al raggiungimento del valore massimo
prefissato.
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 67

La presenza dell'aria nel contenitore è necessaria perché, dal momento in cui la pompa si arresta, un piccolo prelevamento di liquido
provocherebbe una rapida caduta di pressione nell'impianto privato. Il serbatoio pneumatico agisce quindi come un accumulatore e
consente alla pompa di dilatare il periodo di funzionamento su un periodo di tempo maggiore, evitandone un continuo susseguirsi di
accensioni e spegnimenti causa di usura e pericolosi colpi d'ariete.
La bolla d'aria può trovarsi a diretto contatto con l'acqua oppure i due fluidi possono essere separati da una membrana elastica. Nel
primo caso l'aria tende a solubilizzarsi nell'acqua, e per questo è necessario ripristinarne periodicamente il volume per mezzo di un
compressore. La seconda soluzione previene il problema della perdita di aria ma limita la dimensione dell'impianto e ne riduce
l'affidabilità in quanto soggetta a rottura.
Altri elementi possono aggiungersi per completare l'impianto.
Negli impianti condominiali è spesso presente un interruttore orario che provvede a spegnere l'impianto nelle ore notturne per evitare
rumori molesti.
L'assenza dell'autoclave non è sentita anche perché di notte l'utilizzo dell'acqua è limitato, quindi le perdite di carico nell'acquedotto
pubblico sono limitate e la pressione di consegna è maggiore che di giorno.
Le normative prevedono che l'acqua giunga all'utilizzatore per effetto della sola pressione di rete e non è consentito aspirarla
dall'acquedotto. Per evitare questa eventualità si possono utilizzare contenitori di arrivo a pelo libero, ovvero a pressione ambiente,
mantenuti a livello con un galleggiante e da cui l'autoclave aspira l'acqua. In assenza del serbatoio di ingresso può essere presente un
pressostato che spenga l'impianto qualora la pressione di rete scenda sotto un limite prefissato.
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 68
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 69

6. Appunti Esercitazione
La portata con cui dimensiono è la Q massima. Si dimensionano i tubi da utilizzare.
La condotta di adduzione può essere lunga qualche chilometro quindi può assumere diversi profili, seguendo anche l’altimetria del
terreno.
Se io voglio avere almeno x metri di c.d.a. sopra la condotta, andrò a scegliere da catalogo una valvola riduttrice che mi dia una
pressione pari alla differenza tra la piezometrica di valle (inclusi gli x metri di c.d.a.) e la piezometrica di monte (inclusiva degli x
metri di c.d.a.) al fine di garantire gli x metri.
La valvola a galleggiante, valvola che regola il flusso. Se ho pressioni notevoli da dissipare, devo prendere in considerazione l’utilizzo
di valvole riduttrici, che arrivano fino a 50 metri di colonna d’acqua dissipata. Se io ho una condotta a gravità, con dei dislivelli
particolarmente spiccati dovrei sicuramente ridurre la pressione.
Anche la velocità eccessiva può generare fenomeni di usura della condotta.
Ho la mia condotta, inserisco la mia valvola riduttrice di pressione. A monte della valvola vorrò un raccoglitore di impurità (piccolo
pezzo di condotta che esce fuori e scarica tutte le impurità), una saracinesca che mi serve per chiudere la condotta in casi di
malfunzionamento della valvola. A fini del progetto, su EPANET, noi mettiamo solo la valvola riduttrice.
È bene inserire qualche organo di regolazione lungo la rete. Noi vogliamo degli organi che chiudano la rete nel caso di problemi. Una
parte di rete è inquinata ad esempio, è bene chiudere la rete e utilizzarne una parte solamente.
Vogliamo degli organi di regolazione di portata. Nel caso di condotte lunghe (10km), senza cambiare diametri posso usare organi di
regolazione di portata ogni 2/3 km. Questi organi comportano delle notevoli perdite di carico lungo la rete: dai cataloghi di
regolazione dei costruttori si riesce ad avere questi dati.
Le perdite di carico sono calcolate a valvola completamente aperta, per vedere qual è il disturbo della valvola a regime. La tenuta a
valvola completamente chiusa è un altro parametro che mi serve, la regolarità del flusso a valle in base alla posizione della valvola, lo
sforzo di azionamento per saracinesche, ecc…
La legge di variazione (portata-grado di apertura). EPANET chiede solamente la portata (da verificare).

SARACINESCA: organo di apertura e chiusura. Per piccoli diametri si usano sfere di piccolo diametro che otturano.

VALVOLA A FARFALLA: Valvola che ruota di 90 gradi per aprire o chiudere (ortogonale o parallela alla portata).

VALVOLA DI RIDUZIONE DI PRESSIONE

VALVOLA DI REGOLAZIONE DEL FLUSSO

VALVOLA DI RITEGNO: quando chiudo l’impianto di pompaggio l’acqua tende ad avere un riflusso, voglio impedirlo. La valvola
di ritegno o di non ritorno (in inglese check valve) è una valvola che permette una sola direzione del flusso.

VALVOLE DI FLUSSO A GALLEGGIANTE A MONTE DEI SERBATOI.

IDROVALVOLA: L’idrovalvola o valvola idraulica è una Valvola a globo ad attuazione idraulica cioè azionata ad energia idraulica
che è fornita direttamente dal fluido presente nella condotta che la valvola è destinata a gestire.
Tale funzione è garantita dalla presenza di un circuito pilota a funzionamento prettamente idraulico che comanda l'organo mobile di
intercettazione, che a seconda delle pressioni in gioco comprende o una membrana, in gomma naturale o sintetica - idrovalvola a
membrana - (max 25 bar) o un pistone - idrovalvola a pistone - (fino a 40 bar). Il circuito pilota, costituito da una valvola pilota
collegata ad un circuito idraulico montato direttamente sull'idrovalvola, consente la lettura del valore della pressione a monte, a valle e
all'interno della valvola ed a seconda di come è stato tarato fa sollevare o abbassare l'otturatore consentendo l'apertura, la chiusura e la
modulazione del flusso. A seconda della funzione che deve svolgere la valvola cambia il circuito di pilotaggio.

VARI CASI per la sorgente: sorgente in montagna (favorevole); sorgente di risorgiva (trade off tra scavo e pompaggio); tra sorgente e
serbatoio passa una montagna quindi l’acqua dovrebbe risalire e scendere; altro caso serbatoio in montagna e sorgente sotto la
montagna.
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 70

7. Approfondimenti
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 71

Condotte per acquedotti


Le condotte di adduzione dell’acquedotto esterno e la rete di distribuzione dell’acquedotto interno sono realizzati, salvo rare eccezioni
per le prime, mediante tubazioni in pressione.
I materiali dei tubi impiegati negli acquedotti sono:
• materiali metallici (ghisa e acciaio);
• materiali lapidei (calcestruzzo armato e calcestruzzo armato precompresso);
• materiali plastici e compositi (PVC, PEbd, PEad, PP, PPae, PRFV).

Oltre al materiale costituente il tubo, numerosi altri elementi determinano le caratteristiche tecniche che portano alla scelta di una
tubazione:
• il diametro interno;
• lo spessore;
• il rivestimento interno (eventuale);
• il rivestimento esterno (eventuale);
• il tipo di giunzione;
• i pezzi speciali;
• le modalità di posa in opera.

Commercialmente, una tubazione è individuata tramite due parametri convenzionali: il diametro nominale (DN) e la pressione
nominale (PN). Il DN, solo approssimativamente vicino al diametro interno, indica convenzionalmente i vari elementi (flange,
valvole, pezzi speciali) con cui è possibile accoppiare un tubo.
La PN esprime la pressione in bar che la tubazione è in grado di sopportare alla temperatura di 20 °C. Per un assegnato materiale,
pertanto, dal PN dipendono lo spessore e il diametro interno della tubazione.
Due tubi o pezzi speciali possono essere accoppiati solo se hanno in comune il DN e il PN.

Tubazioni in ghisa
Per oltre quattro secoli le tubazioni in ghisa grigia sono state le più utilizzate per il trasporto dell’acqua. Tali tubazioni, però, erano
caratterizzate da scarsa resistenza meccanica, fragilità e poca resistenza alla corrosione. Solo a partire dagli anni ’50, negli Stati
Uniti, è stata inventata la ghisa sferoidale, anch’essa una lega di Fe e C, nella quale però, grazie al processo produttivo e all’aggiunta
di piccole percentuali di Mg, si sviluppa una struttura cristallina. Ciò conferisce al materiale buone caratteristiche meccaniche ed una
notevole resistenza alla corrosione.
Le tubazioni vengono realizzate per colata, ovvero, più modernamente, per centrifugazione. In ogni caso il tubo viene raffreddato con
getti d’acqua all’esterno e successivamente subisce una fase di ricottura, nella quale si sviluppa la struttura cristallina.
La produzione di tubi di ghisa è disciplinata dalla norme UNI-ISO 2531, che stabiliscono, tra le altre cose, le caratteristiche
geometriche dei tubi di produzione standard. Pur essendo previsti diametri nominali compresi tra 40mm e 2000mm, la normale
produzione di serie va dai 60mm ai 700mm. Per diametri inferiori o superiori le case costruttrici lavorano su ordinazione.
I tubi di ghisa sono normalmente dotati di rivestimento esterno e di rivestimento interno. Il rivestimento interno è eseguito con malta
cementizia secondo le norme ISO 4179-85. Il rivestimento esterno è generalmente realizzato con uno strato di zinco (norma UNI
8179-86).

I giunti delle tubazioni di ghisa sono di due tipi:


• a bicchiere (il più diffuso);
• a flangia.

Al giorno d’oggi, per motivi igienici, non si usa più il piombo per assicurare la tenuta dei giunti, ma delle guarnizioni di gomma
inserite in apposite scanalature.
Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 72

I due tipi più diffusi sono: il giunto rapido, che si realizza per semplice infilaggio; il giunto express, dotato di un sistema
antisfilamento, che consente piccole rotazioni relative dei due tubi (fino a 3°-4°) e realizza una discontinuità elettrica lungo la
tubazione.

La colabilità della ghisa consente la realizzazione di numerosissimi raccordi e pezzi speciali: per questo motivo, oltre che per la buona
resistenza alla corrosione, i tubi in ghisa sono tuttora i più utilizzati per le reti di distribuzione interna.

Tubazioni in acciaio
Le tubazioni in acciaio, rispetto a quelle in ghisa, presentano numerosi vantaggi:
• migliori caratteristiche meccaniche, il che comporta maggiore leggerezza;
• minore costo;
• saldabilità;
• maggiori PN.
Lo svantaggio principale sta nella maggiore vulnerabilità alla corrosione, che obbliga all’impiego di adeguate protezioni.
Le tubazioni in acciaio sono prodotte con le seguenti tecniche:
• estrusione, fino a DN 900;
• saldatura longitudinale;
• saldatura elicoidale (per grandi diametri);
• blindatura (grandi diametri e notevoli pressioni).
La produzione di tubi in acciaio, sia per quanto riguarda le dimensioni, sia le prove meccaniche e idrauliche da svolgere in officina e
in cantiere è regolata dalle norme UNI 6363/84 e UNI 1285/68.

Rivestimenti interni:
• bitumatura semplice o a spessore (norme UNI 5256);
• resina epossidica;
• malta cementizia);
• zincatura a caldo.

Rivestimenti esterni:
• bituminoso normale (UNI 5256);
• bituminoso pesante (UNI 5256/87);
• polietilene (UNI 9099/89).
I più comuni tipi di giunzioni per le tubazioni in acciaio sono:
• a bicchiere;
• a flangia;
• a manicotto filettato;
• elastici;
• saldatura testa a testa.
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Nelle tubazioni in acciaio è frequente il problema della corrosione delle condotte, che può portare al rapido deterioramento e alla
foratura della condotta. Si tratta di un fenomeno elettrochimico che consiste nella formazione di una pila in cui l’anodo è costituito dal
metallo della tubazione, che di conseguenza si corrode. Le cause tipiche della corrosione delle condotte di acciaio interrate sono:
• correnti galvaniche, dovute alle caratteristiche del suolo circostante la tubazione;
• correnti vaganti, determinate dalla dispersione di corrente dovuta a impianti a corrente continua che utilizzano il terreno per la messa
a terra (impianti a trazione elettrica, impianti elettrochimici; impianti di saldatura, etc.);
La protezione delle tubazioni in acciaio dalla corrosione può essere:
• protezione passiva, affidata a rivestimenti pesanti e all’inserimento di giunti isolanti;
• protezione attiva o protezione catodica, che può essere ad anodi sacrificali (in assenza di correnti vaganti) o a corrente impressa.

Tubazioni lapidee
Le tubazioni lapidee (o cementizie) sono realizzate in calcestruzzo armato o in calcestruzzo armato precompresso. Al giorno d’oggi
non si realizzano mai in opera, ma sempre in stabilimento, con vibrazione del getto o centrifugazione ed armatura disposta
longitudinalmente ed elicoidalmente.

I rivestimenti interni, se presenti, possono essere:


• uno strato di bitume a freddo (primer);
• uno strato di mastice di bitume a caldo;
• una fasciatura di tessuto di vetro;
• uno strato di tessuto di vetro a caldo.

Le tubazioni lapidee hanno il pregio di essere economiche e molto adatte ad ambienti aggressivi.
I difetti stanno nel peso eccessivo, nei piccoli valori di PN, nella disponibilità solo per grandi DN (>800mm), nelle difficoltà di
giunzione e di impermeabilizzazione.
I giunti più utilizzati sono a bicchiere o a manicotto.
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Tubazioni in materiale plastico


Le tubazioni in materiale plastico di uso più frequente sono quelle in PVC (cloruro di polivinile), in PEad (polietilene ad alta
densità)ed in PRFV (vetroresina). I vantaggi di tali materiali sono la leggerezza, la resistenza alla corrosione, bassa scabrezza, perfetta
impermeabilità. Gli svantaggi sono la poca resistenza meccanica e il suo ulteriore decadimento nel tempo e al crescere della
temperatura, l’eccessiva deformabilità.

Tubazioni in PVC
Le tubazioni in PVC rispondono alle norme UNI 7441/75 e 7442/75, che ne definiscono i diametri (fino a DN 600), gli spessori e le
pressioni nominali (fino a PN 16).
Le giunzioni sono realizzate a bicchiere con elastomero o con incollaggio.

Tubazioni in PEad
Le tubazioni in PEad rispondono alle norme UNI 7611/76, 7612/76, 7615/76 e 7616/76 che ne definiscono i diametri (fino a DN
1000), gli spessori e le pressioni nominali (fino a PN 30).
Le giunzioni sono realizzate:
• per saldatura testa a testa;
• a bicchiere saldato;
• a manicotto;
• a collare;
• a flangia.

Tubazioni in PRFV
Le tubazioni in PRFV presentano notevoli caratteristiche meccaniche, grazie alle fibre di vetro, che vengono avvolte insieme alla
resina termoindurente intorno ad un mandrino rotante.

Tubazioni in PRFV
Le tubazioni in PRFV rispondono alla norma UNI 9032/88. I diametri nominali arrivano fino a DN 4000, le pressioni nominali fino a
PN 25. Le giunzioni sono realizzate:
• a bicchiere;
• a manicotto;
• a flangia.
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8. Domande probabili

1. Equazioni della rete di distribuzione.

2. Impianti domestici. Come sono fatti? Autoclavi (simili alle pompe)?

3. Rete di adduzione semplice. Come si distribuiscono i carichi? Le variabili?

4. Disegnare schema idraulico del serbatoio di testata o estremità.

5. Prove di pompaggio (domanda rara).

6. Equazioni dell’energia sopra le traverse fluviali (per voti alti).

7. Formule e grafici vari.

8. Rete di adduzione.

9. Differenza tra le parti della rete.

10. Quali sono le equazioni che descrivono le reti in pressione?

11. Sotto quali ipotesi sono formulate le equazioni delle reti in pressione?

12. Quali sono i metodi di risoluzione delle equazioni delle reti in pressione?

13. Come si determina l’andamento plano-altimetrico di una rete di acquedotto? Quali manufatti si trovano solitamente all’interno di
una rete di acquedotto?

14. Quali sono i criteri costruttivi che devono essere rispettati da una rete di acquedotto?

15. Si disegni lo schema idraulico di un serbatoio di estremità.

16. Si disegni lo schema idraulico di un serbatoio di testata.

17. Quali sono le equazioni che regolano l’abbassamento della falda nel caso di un acquifero freatico?

18. Quali sono le equazioni che regolano l’abbassamento della falda nel caso di un acquifero confinato?

19. Cosa sono le prove di pompaggio?

20. Quale equazione regola il dimensionamento della griglia di una piccola traversa fluviale?

21. Quale equazione regola il dimensionamento della trappola di una piccola traversa fluviale?

22. Quali equazioni si usano per dimensionare uno sfioratore laterale?

23. Come si dimensiona un dissabbiatore?

24. Come si calcolano i volumi di un serbatoio?

25. Come si calcolano i volumi di una autoclave?

26. Come sono fatti gli impianti interni di un edificio?

27. Si imposti una semplice rete di adduzione con tre serbatoi.

28. Si disegni sommariamente la pianta di un’opera di presa da sorgente.


Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 76

29. Come vengono effettuati gli scavi dei pozzi?

30. Livelli piezometrici in condizioni di pompaggio negli acquiferi.


Mattia Ferrari, Teoria Seconda Parte 77

Bibliografia

[1] Rigon Riccardo, Slides lezioni Costruzioni Idrauliche, Università degli Studi di Trento, DICAM, 2017.

[2] L. Da Deppo, C. Datei, V. Fiorotto, P. Salandin, Acquedotti, Libreria internazionale Cortina, Padova, 2005.

[3] Maurizio Leopardi, Raccolta, riordino ed ampliamento delle dispense del corso, Corso di Costruzioni Idrauliche ed
Idrologia, Università dell’Aquila, Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile Architettura, Ambientale, 2015.

[4] Wikipedia, https://en.wikipedia.org/wiki/English_Wikipedia

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