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Sbobinatore:C.M.

Revisore: P.M.
Materia: Anatomia patologica
Docente: William Vermi e Pietro Luigi Poliani
Data: 29/09/2020
Lezione n°: 1
Argomenti: morfologia/funzioni, campionamento e
alterazioni anatomopatologiche elementari del
Comunicazioni: Al fine di migliorare l’esposizione e polmone, introduzione alla neuropatologia.
l’approfondimento del contenuto sono state integrate nozioni e
immagini provenienti dalle corrispettive sbobine dell’anno
precedente, nello specifico anatomia patologica II 1a e 1b.
La prima parte di lezione riguardante la patologia polmonare è tenuta dal professor Vermi, mentre la
seconda parte sulla neuropatologia è tenuta dal professor Poliani.

Il professor Vermi si occupa di diagnostica oncologica molecolare, il suo compito è quello di presiedere
alla gestione dei test molecolari che vengono eseguiti principalmente su pazienti oncologici, con
l’obiettivo di identificare biomarcatori di risposta a farmaci. Tale nuovo compito del patologo, in questa
epoca di medicina di precisione, è quello non solo di arrivare a formulare una diagnosi oncologica, ma
anche di identificare un potenziale bersaglio farmacologico per quel tumore.
La parte del professor Vermi consterà in circa 20 ore di corso, nella prima parte si tratterà l’apparato
respiratorio, nella seconda parte saranno descritte l’oncologia di precisione e l’immunosorveglianza dei
tumori.
All’apparato respiratorio saranno dedicate circa 8 ore, non verrà coperto tutto il programma, sarà fornito
un background di istologia fisiologica (cellule principali presenti, che possono diventare neoplastiche o
comunque partecipare ai processi patologici dell’apparato respiratorio) e verranno descritte anche le
principali tecniche diagnostiche rispetto alla patologia pleuropolmonare.
Come noto dalla prima parte del corso, il patologo affronta la diagnosi con due principali tipi di materiale,
cioè citologico e istologico, e per il polmone questo concetto è ulteriormente amplificato. Nel caso delle
neoplasie polmonari spesso si giunge a diagnosi tardiva con la scarsa probabilità di arrivare a una
resezione curativa, ciò impone alla diagnostica degli approcci parziali, mininvasivi, utili a porre diagnosi
di patologia neoplastica maligna e inquadrare la terapia sistemica, non chirurgica.
Non saranno trattate alterazioni morfologiche quali ARDS, patologie ostruttive (asma e patologie
fibrosanti) ed enfisema, mentre verranno descritti danno alveolare diffuso, principali quadri polmonari di
origine vascolare (embolia, emorragie, infarto), polmoniti, neoplasie benigne e maligne (il capitolo più
importante), patologia della pleura (principalmente mesotelioma).

GENERALITÀ SULLA MORFOLOGIA/FUNZIONI DEL POLMONE

1.1 Caratteristiche polmonari:

Il polmone è un organo parenchimatoso rivestito dalla pleura viscerale, che in sezione mostra, in sede
ilare, delle importanti strutture vascolo-bronchiali e noduli grigiastri più scuri; il fatto che siano scuri può
trarre in inganno, ma di fatto si tratta di linfonodi che possono diventare patologici perché colpiti da
diverse malattie (linfoproliferative, granulomatose, neoplastiche).
Di fronte a un pezzo chirurgico, che può essere rappresentato da pneumonectomia (sempre più rara),
lobectomia, resezione di segmento, resezione atipica, dobbiamo valutare tutte le strutture presenti e il
loro rapporto con l’area patologica.
La prima cosa che dobbiamo fare di fronte a un campione chirurgico che arriva in anatomia patologica
(es. lobectomia per neoplasia polmonare) è la verifica che le condizioni di fissazione siano appropriate, e
per il polmone questo è particolarmente importante. Per questo organo sono state ideate delle soluzioni
per favorire una fissazione omogenea del parenchima: classicamente si prende un organo e se ne fanno
delle sezioni per far penetrare la formalina, nel polmone si possono fare delle iniezioni di formalina
all’interno del tessuto, dopodiché si passa al campionamento del parenchima polmonare.
Funzione fisiologica principale del parenchima polmonare è ovviamente quella degli scambi gassosi. Vi
sono poi altre funzioni:

• secrezione di ormoni
• anti-infettiva (mucoproteine, elementi dell’immunità sia innata che adattativa presenti nell’albero
bronchiale e nel parenchima polmonare, che vanno sotto il nome di MALT o BALT, strutture
linfoidi secondarie o terziarie, che organizzano localmente una risposta rapida nel caso di insulti
locali)
• filtrante
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• metabolica
• di superficie (surfactante, proteina utilizzata anche come marcatore di cellule epiteliali delle
strutture alveolari)

Risulta quindi importante distinguere le diverse cellule presenti a livello polmonare, grazie alle quali è
possibile portare a termine le principali funzioni sopra elencate:

- Pneumociti di tipo 1 che svolgono una funzione di barriera e costituiscono il 97% dell’epitelio alveolare.
- Pneumociti di tipo 2 che sono i precursori staminali di quelli di tipo 1 e sono responsabili della
produzione di surfactante. In virtù della loro funzione
di cellule staminali possono andare incontro a
fenomeni iperplastici in caso di eventi patologici che
riducano la popolazione degli pneumociti di tipo 1. È
un’iperplasia reattiva di tipo rigenerativo che spesso
può essere confusa con lesioni di tipo neoplastico o
preneoplastico di tipo adenocarcinomatoso.
- Cellule neuroendocrine che sono identificate dalla
positività a marcatori quali la sinaptofisina, la
cromogranina e p56.
- Cellule di Clara che cominciano a comparire a
livello dei bronchioli dove, l’epitelio
pseudostratificato, principalmente di tipo cilindrico ciliato, viene sostituito da questi elementi che sono più
cubici e dai quali possono originare alcune neoplasie polmonari.

1.2 Sviluppo e struttura delle componenti respiratorie:


Le prime 13 settimane di sviluppo embrionale sono rappresentate dallo stadio pseudoghiandolare, così
chiamato perché caratterizzato da strutture pseudoghiandolari che già esprimono il marcatore TTF1.
Questo marcatore è importante da ricordare perché si ripresenta in alcune neoplasie.
Si tratta di un fattore di trascrizione fondamentale per lo sviluppo dell’albero alveolare, espresso quindi
nella prima fase di sviluppo dello stesso, la sua positività torna ad essere evidente a livello neoplastico,
dove permette di identificare la presenza di un adenocarcinoma polmonare.
Dalla 13esima alla 25esima settimana si definisce un secondo momento di sviluppo, denominato stadio
canalicolare e infine si identifica l’ultimo periodo di sviluppo identificato come stadio alveolare in cui
comincia effettivamente ad essere presente la struttura respiratoria tipica del polmone.
Le unità fondamentali del polmone sono:
1) il lobo (due a sinistra, tre a destra), fornito
da bronchi di seconda generazione;
2) il segmento, fornito da bronchi di terza
generazione, 10 segmenti per ogni
polmone; hanno entrambi utilità anatomica
e chirurgica.
3) lobulo, 1-2 cm di diametro è la più piccola
subunità anatomica e viene separato
attraverso i setti fibrosi interlobulari;
4) acino, unità funzionale dove avviene lo
scambio di gas, è costituito dal bronchiolo
respiratorio;
5) dotti e sacchi alveolari.
Un lobulo è composto da 20-30 acini.
Il lobulo polmonare è la più piccola subunità
anatomica, di circa 1-2 cm di diametro, visibile
attraverso tac; mentre l’acino polmonare è la subunità
funzionale per lo scambio di gas.
Immagine della suddivisione in segmenti dei polmoni:
ha una valenza non solo anatomica ma anche
chirurgica, la segmentectomia è una delle possibilità
chirurgiche al giorno d'oggi.
Dal punto di vista citologico, la parte più importante di
queste strutture è la parte epiteliale, per motivi
funzionali ma anche perché la maggior parte delle

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neoplasie che originano dal parenchima polmonare e dai bronchi derivano da elementi epiteliali, che
cambiano dal bronco all’alveolo.
L’epitelio di superficie del bronco presenta tre elementi principali: cellule basali (cellule staminali adulte
del bronco), cellule a muco, cellule ciliate (la componente più abbondante).
I dotti ghiandolari sono costituiti da: cellule basali, cellule a muco, cellule ciliate.
Le ghiandole sieromucinose sono formate da strutture equivalenti a quelle delle ghiandole salivari.
I bronchioli sono composti da: cellule basali, cellule di Clara, cellule ciliate (che cambiano leggermente in
morfologia), compare una componente neuroendocrina importante non solo per aspetti funzionali ma
anche perché rappresenta l’origine delle neoplasie neuroendocrine.
Gli alveoli sono strutturati con: pneumociti di primo tipo e secondo tipo, uno che fa da serbatoio all’altro,
generalmente il primo tipo deriva dalla cellula staminale che è rappresentata dal secondo tipo.

1.3 Suddivisione delle zone polmonari:


Complessivamente le vie respiratorie possono essere divise in tre zone:

• Conduttiva, dove vi è un flusso turbolento dell’aria


• Intermedia
• Respiratoria, dove avvengono gli scambi gassosi tra alveolo e capillare.

La zona conduttiva origina dalla faringe e termina a livello dei bronchioli. La struttura principale della
zona conduttiva è il bronco, seguito nel proprio decorso dai vasi ematici (arterie bronchiali, plesso
venoso peribronchiale), dai vasi linfatici (marcatori CD31, LIVE1, podoplanina) e dai nervi. Inoltre, in
alcuni preparati, possono essere visibili aggregati di
linfociti (prevalentemente di tipo B) che prendono il
nome di BALT (bronchial-associated lymphoid tissue).
Le strutture BALT stanno acquisendo sempre maggiore
importanza perché sembra siano coinvolte nell’immunità
antitumorale locale e perché sembrano essere coinvolte
in presenza di un insulto di qualsiasi genere (condizione
in cui questi aggregati linfoidi vanno incontro ad
iperplasia).
I linfociti che fanno parte del BALT possono essere sede
di insorgenza di linfomi della categoria MALT.
I bronchi sono rivestiti da una mucosa con un epitelio
pseudostratificato costituita da tre tipi cellulari principali:
cellule basali, cellule mucipare e cellule ciliate.
I marcatori delle cellule basali sono generali come la proteina p63 che, nella sua variante polmonare, è
detta p40. Quest’ultimo è un marcatore importante da ricordare perché è il secondo marcatore
fondamentale nella diagnostica delle neoplasie polmonari. In particolare, permette di differenziare
l’adenocarcinoma (TTF1 positivo) dal carcinoma squamoso (p40 positivo), i quali rappresentano due
entità non sempre facilmente identificabili sulla base della sola morfologia. Risulta però fondamentale
una corretta diagnosi differenziale che permetta di definire di quale patologia si tratti soprattutto se il
dubbio riguarda le due forme tumorali prima citate, dove il trattamento è totalmente diverso.
Spesso, inoltre, la ricerca dei marcatori specifici si rende necessaria perché la diagnosi del più del 30%
delle neoplasie polmonari avviene in stadio avanzato, quando, quindi, non è più possibilie effettuare una
chirurgia radicale. Ciò implica che il materiale che può essere usato per fare diagnosi sia rappresentato
solo da campioni citologici o bioptici e non da interi campioni chirurgici: il patologo ha a disposizione
campioni che hanno una rappresentatività limitata sui quali la positività per un marcatore può
rappresentare una conferma importante (argomento che viene poi ripreso anche nella lezione dedicata
alle neoplasie polmonari).
La presenza di cellule ciliate è importante, soprattutto se identificata nei reperti citologici, perché è quasi
sempre indicativa di benignità, infatti raramente si trovano neoplasie maligne che mantengono le ciglia.
A livello della sottomucosa, sono presenti ghiandole tubulo-acinose a secrezione mista, sierosa e
mucosa. Quindi oltre a tumori che nascono dall’epitelio bronchiale e dall’epitelio di rivestimento degli
alveoli, possono esistere neoplasie che originano da strutture ghiandolari.
Infine, esternamente, si possono reperire delle strutture cartilaginee ad anello avvolte da uno stroma
connettivale ricco di fibre elastiche e, attorno alla compente cartilaginea, le strutture muscolari.
La zona intermedia si compone di bronchioli terminali, bronchioli respiratori e dotti alveolari.
I bronchioli sono accompagnati quasi sempre dalle strutture vascolari e hanno un diametro di 0,5-1 mm.

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Si distinguono istologicamente dai bronchi per l’assenza di strutture cartilaginee e per la parete
composta da fascetti muscolari e stroma connettivale.
Comincia ad essere evidente la presenza di cellule neuroendocrine.
Proseguendo dai bronchi verso i bronchioli, all’interno della mucosa, compaiono anche le cellule di Clara
in aggiunta ai tipi cellulari visti in precedenza. Da ciascun bronchiolo respiratorio origina un dotto
alveolare da cui si dipartono 2 sacchi alveolari che contengono 4 alveoli.
La zona ventilatoria o respiratoria è composta dai sacchi alveolari e dagli alveoli.
Nell’alveolo, l’epitelio appare chiaramente di tipo respiratorio, quindi composto da pneumociti di tipo 1
(numericamente maggiori) e da pneumociti di tipo 2.
La componente interstiziale è minima e la parete è composta prevalentemente dalla membrana alveolo-
capillare.
Essa si compone, dall’alveolo al capillare, di: citoplasma dello pneumocita di tipo 1, membrana basale
epiteliale, membrana basale capillare e cellula endoteliale (che si marca con il CD34).
Gli pneumociti di tipo 2 sono cellule che producono molte proteine, tra le principali il surfactante
(contenente proteine SP a, b, c, d) e contro queste proteine sono stati generati degli anticorpi, che è
possibile utilizzare per identificare l’iperplasia di queste cellule.
Nelle vie respiratorie, quindi, vi sono cellule staminali che permettono di rigenerare tutti gli epiteli:
- nei bronchi ad esempio gran parte delle staminali è racchiuso nel gruppo delle cellule basali;
- nei bronchioli le varianti di cellule di Clara fungono da serbatoio delle cellule di staminali;
- negli alveoli la componente staminale è rappresentata dagli pneumociti di 2 tipo.

A livello alveolare è, inoltre, possibile rilevare una popolazione residente di macrofagi.


L’interstizio polmonare presenta due zone:
• Sottile: interstizio che si viene a formare nelle porzioni in cui si identifica una fusione tra le membrane
basali del capillare e dell’alveolo.
• Spessa: accoglie diversi tipi cellulari quali:
• periciti (strutture di sostegno che stanno all’esterno dei vasi),
• miofibroblasti,
• macrofagi i cui marcatori sono CD68 e CD163 (NON sono i macrofagi alveolari)
• leucociti.

La particolarità di questa struttura è che le popolazioni immunitarie sono residenti e possono fungere da
riserva per eventi patologici.
Esiste anche un interstizio extravascolare composto da tessuto connettivo che segue il decorso dei vasi
e nervi. L’interstizio è spesso sede di interstiziopatie in cui l’interstizio diventa più spesso per la presenza
di una quantità aumentata di elementi cellulari o fibrosi.

2.1 Campionamento del polmone:


Procedure di resezione possibili:
- segmentectomia
- wedge resection (rimozione di una parte di
parenchima polmonare inferiore al segmento e al
lobo)
- lobectomia
- pneumonectomia

Questi hanno un significato sia diagnostico che terapeutico e si prestano all’indagine macroscopica in
quanto si tratta di materiale che viene prelevato in corso di intervento chirurgico, in cui la massa
potenzialmente tumorale viene rimossa.
In primo luogo, quindi, il campione viene analizzato macroscopicamente, poi vengono fatti dei prelievi sul
tessuto che si ritiene essere patologico e in parte anche del parenchima normale e infine il tutto viene
osservato microscopicamente.
Macroscopicamente le lesioni possono essere confinate al parenchima polmonare o possono
coinvolgere linfonodi ilari peribronchiali (patologia centrale), in altri casi la patologia può essere confinata
più perifericamente e può coinvolgere la pleura viscerale sovrastante, provocando retrazione.

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Ci si trova in una situazione in cui c’è una lesione nodulare policiclica di
colorito biancastro, centralmente antracotico, verosimilmente un nodulo
relativo a neoplasia epiteliale maligna, che induce retrazione pleurica.
Tutti questi parametri sono suggestivi di una stadiazione per questa
neoplasia, infatti bisogna sempre considerare queste caratteristiche
macroscopiche per lo staging e la prognosi del paziente.
A volte le alterazioni possono dipendere anche dalla fissazione, di
solito il parenchima periferico viene fissato meglio rispetto al
parenchima centrale.
Se la sezione di parenchima non è stata aperta durante la fissazione, la formalina penetra alla velocità di
1mm/h, perciò nel caso di una lobectomia di 5 cm, la formalina raggiunge il centro in circa 24 ore.

2.2 Metodiche di campionamento:


Approccio diagnostico pre-chirurgico:
- broncoscopia
- approcci agobioptici, generalmente per via percutanea
- toracoscopia
- biopsia a cielo aperto.

Dal punto di vista citologico si può ottenere materiale da:


- espettorato
- broncoaspirato (si entra col broncoscopio e si raccolgono le secrezioni bronchiali)
- lavaggio bronchiolo-alveolare (vengono irrigati i bronchi con soluzione che poi viene recuperato)
- brushing (spazzolamento della lesione e recupero della componente citologica)
- agoaspirato, possibilità di raggiungere un nodulo periferico con approccio percutaneo transtoracico
oppure un linfonodo attraverso la parete bronchiale.

I preparati citologici vengono allestiti in modo diverso in base alla quantità di sospensione che ottengo,
ad esempio un brushing non viene centrifugato, ma viene depositato sul vetrino direttamente e quindi
fissato, mentre la soluzione di recupero dal lavaggio può essere citocentrifugata. In un lavaggio
bronchiolo-alveolare si può avere reclutamento importante di neutrofili, segno di potenziale infezione
batterica.
Biopsia bronchiale: piccoli frammenti di 2-3 mm, generalmente multipli, che hanno l’obiettivo di
raccogliere materiale diagnostico.
Il materiale ottenuto potrebbe essere l’unico campione disponibile per effettuare tutti i test che servono
anche per impostare la terapia: si immagini il caso di un paziente con lesione inoperabile, l’accesso
broncoscopico facilita il recupero di materiale diagnostico, per impostare la terapia sono necessari nuovi
biomarcatori molecolari, generalmente si dovrebbe evitare di re-biopsiare il paziente, quindi questo
materiale prelevato a scopo diagnostico può anche essere usato per trovare dei marcatori, dei target
molecolari di utilità clinica.
A volte queste biopsie sono buone, ricche di componente neoplastica, quindi diventa facile utilizzarle per
diversi test, altre volte sono scarse e permettono di fare solo diagnosi.
Oggi è fondamentale fare una diagnosi quanto più precisa, perché orienta in modo specifico il
trattamento e orienta tutti i test molecolari a valle pre-trattamento.
Esempi di metodologie di campionamento sono:
• Biopsia transbronchiale: passaggio attraverso la parete del bronco per avere accesso alla
lesione.
• Agobiopsie o agoaspirazione per via transtoracica: tutto ciò che non è possibile recuperare
tramite la via endoscopica si può tentare di recuperarlo in tale modo, come nel caso delle lesioni
periferiche.
• Toracentesi: si usa per qualsiasi processo che abbia una ripercussione sul cavo pleurico, abbia
esfoliato la componente cellulare o comunque questa sia presente all’interno del liquido pleurico,
è un approccio che serve per finalizzare una diagnostica delle neoplasie polmonari e per definire
se c’è una localizzazione pleurica di una neoplasia primitiva polmonare; generalmente il liquido
della toracentesi è abbondante, parte di questo liquido viene citocentrifugato.

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Piccolo inciso: essendo ormai noto che anche questi pazienti con malattia oncologica hanno bisogno di
test aggiuntivi dopo la diagnosi, diventa fondamentale recuperare la maggior quantità di tessuto
possibile durante l’atto bioptico e non sprecare quanto raccolto, tanto che in toracentesi potrebbero
bastare alcuni cc di quel liquido per fare diagnosi. Oggi quello che si fa è citocentrifugare tutto il
materiale, cosicchè il pellet cellulato venga incluso in un blocco di paraffina, questo metodo va sotto il
nome di cell block all-citoinclusive; tale citologico diventa un tessuto di riserva del processo patologico
che rimane fissato e incluso in paraffina, utilizzabile alla stregua di una biopsia.

Generalmente i pezzi operatori vengono tagliati in fette spesse massimo 1 cm e la formalina penetra,
mentre in questo caso si può perfezionare la fissazione iniettando nel parenchima polmonare formalina
tamponata, senza esagerare con la pressione altrimenti gli spazi alveolari esplodono (soprattutto nel
caso di pazienti enfisematosi).
Cosa comporta l’approccio endobronchiale? Permette di avere accesso a lesioni endobronchiali e di
operare un’aspirazione transbronchiale di linfonodi posti nelle immediate vicinanze di una diramazione
bronchiale, questo aiuta a dirimere la possibilità che un paziente con neoplasia polmonare primitiva e
linfoadenopatia possa avere una neoplasia metastatica a livello linfonodale, che lo esclude di fatto da un
intervento con temporary surgery.
L’approccio transtoracico attraverso agobiopsia prevede che l’ago centri la lesione e quindi si potrà poi
aspirare oppure effettuare una agobiopsia, questa consiste in un frustolo di 1-1,5 cm, spessore di 1-2
mm, come le agobiopsie epatiche.
Al momento si sta affermando l’approccio chiamato ROSE (Rapid Onsight Evaluation), consiste in una
valutazione rapida fatta ancora in endoscopia, si fa prelievo e rapida colorazione del materiale prelevato
per definirne l’idoneità, questo evita che in una seduta broncoscopica non si raggiunga il mimino
sindacale di materiale diagnostico per quel paziente. Ci sono diverse possibilità per metterla in pratica:
un tecnico/patologo presente durante l’endoscopia, un training per l’endoscopista, o un sistema di
telemedicina che permetta all’endoscopista di chiedere al patologo un parere.
Il concetto è molto semplice: fare una valutazione rapida nel momento in cui si aspira, facendo biopsia di
una lesione, per essere sicuri di aver centrato la lesione e di avere materiale che poi il patologo può
utilizzare ai fini diagnostici.

3 Alterazioni anatomopatologiche elementari e correlazioni anatomo-radiologiche:


Esistono delle lesioni cosiddette “elementari” che orientano il patologo riguardo allo spettro di possibili
cause di quella lesione, sono chiamate pattern, sono sei principali, e ad ognuna sono associate una o
più patologie:

• ALTERAZIONI MINIME: si tratta di una situazione in cui il patologo riconosce alterazioni di


piccola entità (minima presenza di enfisema) spesso a carico delle vie aree di piccolo calibro. Le
cause principali possono essere di natura vascolare (frequente ipertensione polmonare), di
natura cistica oppure possono essere patologie dei bronchioli (bronchiolite costrittiva). Questo
tipo di pattern istologico può essere indotto anche da errori durante il campionamento.

• ALTERAZIONI ACUTE: in questo caso, il patologo riconosce alterazioni evidenti che differiscono
a seconda della noxa patogena che ha innescato il fenomeno. Sia l’interstizio che lo spazio
alveolare risultano in parte occupati da materiale cellulato o da edema endoalveolare. In corso di
malattie collagenosiche, vascolari, polmoniti idiopatiche, tossicità da farmaci, forme acute di
polmonite eosinofila e polmoniti a eziologia virale, ad esempio, è possibile osservare un danno
alveolare diffuso (DAD), caratterizzato dalla formazione di membrane ialine. In alcuni casi,
come accade in corso di infezione batterica, virale e fungina, si assiste a necrosi estensiva. La
presenza di siderofagi, ovvero istiociti che presentano degli accumuli di ferro citoplasmatici,
conferma la presenza di una patologia di tipo emorragico.

• FIBROSI: si tratta di una deposizione di tessuto connettivo con sostituzione del parenchima
polmonare che può essere minima (negli stadi di malattia più precoci) oppure può essere così
estesa da conferire al polmone un aspetto a “favo d’ape”, in cui vi è riduzione degli spazi
alveolari. Questo pattern è presente in caso di polmonite interstiziale idiopatica, di
pneumoconiosi, di polmoniti associate a patologie autoimmuni (in caso di artrite reumatoide), in
caso di malattie da ipersensibilità, di istiocitosi a cellule di Langerhans (accumulo patologico e
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clonale di cellule con fenotipo simile a quello delle cellule di Langerhans, originato dai precursori
di queste cellule), di fibrosi che circonda le vie aree, di fibrosi della pleura viscerale o di fibrosi
secondarie a lesioni granulomatose.

• INFILTRATO CELLULARE: in questo pattern rientrano molte lesioni che si caratterizzano per
uno spiccato aumento della cellularità. Per questo motivo è necessario descrivere sia la
localizzazione dell’infiltrato (alveolare o interstiziale) sia il tipo di infiltrato. In particolare, la
presenza di linfociti e plasmacellule è tipica di: polmonite interstiziale di tipo linfoide, polmonite da
ipersensibilità, malattie linfoproliferative. Un infiltrato di neutrofili può indicare patologie come:
infezioni acute o malattie vascolari del collagene. I granulomi sono reperibili in corso di: TBC,
sarcoidosi, sindrome di Sjögren, polmoniti da aspirazione, sindromi paraneoplastiche o berilliosi.
Un reperto particolare è la polmonite in focale organizzazione o carnificazione del parenchima
polmonare, in cui si assiste alla deposizione focale di materiale connettivale. Questo tipo di
lesioni sono osservabili nel parenchima peritumorale, quindi sempre in periferia di una neoplasia.

• RIEMPIMENTO ALVEOLARE: anche in questo caso, si evidenziano accumuli patologici a livello


degli alveoli con caratteristiche peculiari che corrispondono a patologie diverse. Per esempio, i
macrofagi sono presenti nelle patologie granulomatose, i neutrofili sono reperti comuni nelle
infezioni acute, mentre gli eosinofili possono indicare una tossicità da farmaci. Nelle patologie
emorragiche è possibile trovare emazie o eventualmente siderofagi.
Nel pattern di riempimento alveolare o carnificazione gli spazi
alveolari sono totalmente rotti, compromessi perché lo spazio
alveolare è pieno di cellule (macrofagi alveolari, miofibroblasti).
Questa lesione è spesso associata al fumo di sigaretta.

• NODULARE: questo pattern anatomopatologico è caratterizzato


dalla presenza di formazioni nodulari che sono tipiche delle lesioni
neoplastiche o granulomatose (in particolare causate da infezioni fungine). Il pattern a noduli può
essere formato da cellule neoplasiche, cellule linfoidi (o iperplasia diffusa linfoide, linfoma),
istiocitosi di Langerhans, che si può presentare anche come cicatrice stellata che forma noduli,
sarcoidosi all’interno di lesioni granulomatose non necrotizzanti.
Un granuloma è una raccolta di elementi della linea monocito-macrofagica che si trasformano in diverse
tipologie cellulari come le cellule epitelioidi (così definite perché possono essere confuse con delle
cellule epiteliali, ma in realtà sono dei macrofagi e quindi identificabili con CD163, CD68) oppure si
possono identificare cellule fuse tra loro a formare cellule giganti multinucleate; attorno ci possono
essere dei linfociti, principalmente T tranne nella malattia da graffio di gatto in cui i linfociti sono
soprattutto B.
Alla periferia si può avere una capsula fibrosa e centralmente può essere presente necrosi.
Le raccolte di granulociti non sono granulomi.
La malattia da graffio di gatto presenta dei granulomi ricchi in granulociti oltre che di linfociti B.
Quando un granuloma si arricchisce di granulociti diventa un granuloma suppurativo. In questo caso si
ha una linfadenite granulomatosa necrotizzante.
Esiste una certa uniformità tra pattern radiologico e anatomopatologico.
Anche in questo caso, cruciali per la descrizione della patologia sono la forma, la localizzazione e
l’evoluzione del pattern considerato.
I sei pattern visti prima hanno dei corrispettivi radiologici:
- il corrispettivo radiologico a “vetro smerigliato o ground glass” di variabile entità con o senza
consolidamento può essere associato a un pattern anatomopatologico caratterizzato da alterazioni
acute, da infiltrato cellulare, da filling alveolare. Vi è un’attenuazione di quello che è il reperto radiologico
che permette di vedere le strutture vascolari e bronchiali, mentre nel consolidamento vi è una completa
opacizzazione del parenchima e quindi i dettagli vascolari non sono più visibili;
- il corrispettivo radiologico che presenta opacità reticolari e lineari con o senza polmone a favo d’ape.
Identifica anatomopatologicamente la condizione di fibrosi;

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- ciò che anatomopatologicamente viene definito
come nodulo si presenta radiologicamente sottoforma
di grossi o piccoli noduli singoli o multipli. In questo
caso è importante valutarne la forma, la distribuzione
e il numero di noduli che suggeriscono l’eziologia.
- le lesioni cistiche evidenziate radiologicamente, a
volte sono presenti in forma di minimal change, altre
volte in forma di piccole o grossi noduli cistici, come
nell’enfisema bolloso gigante oppure nella LAM
ovvero la linfangioleiomiomatosi.
- le lesioni che anatomopatologicamente appaiono essere minime a volte sfumano con un quadro di
enfisema.

LEZIONE INTRODUTTIVA DI NEUROPATOLOGIA

Programma: classificazione delle principali lesioni del SNC, la prima parte sulle malformazioni che viene
trattata nei testi non la chiede, tratterà qualcosa sulla parte cerebro-vascolare (mav, emangiomi,
angiomi, patologia chirurgica), cenni di malattie infettive (meningite, meningonencefalite), farà le più
importanti malattie demielinizzanti (sclerosi multipla), poco sulle malattie neurodegenerative (Alzheimer,
malattia degenerativa della corteccia e quella del motoneurone che è la SLA), non tratterà malattie
metaboliche, tossiche, acquisite e parlerà in modo molto diffuso dei tumori del SNC, questo sarà
l’argomento più importante.

1.1 Diagnostica neuropatologica:


Non è il patologo a svolgere il prelievo: al patologo viene inviato un referto e del materiale biologico su
cui porre una diagnosi.
È importante che sul referto siano riportate alcune informazioni clinico-strumentali che permettono la
corretta interpretazione del campione stesso; tra queste si ricorda: l’età del paziente, il sesso, il quesito
clinico e la storia clinica, le indagini strumentali effettuate dal paziente, i dati anamnestici importanti. Per
esempio, se il paziente ha o ha avuto un tumore, una lesione eventualmente presente potrebbe essere
una metastasi, quindi è importante che il patologo sia a conoscenza del background patologico e
terapeutico che il paziente porta con sé.

1.2 Differenze rispetto alla localizzazione:


La sede del prelievo è fondamentale, soprattutto a livello cerebrale dove ogni area è diversa. Vi sono
delle correlazioni cliniche-radiologiche in base alla sede che sono importanti per l’orientamento
diagnostico. Ad esempio:

- se il prelievo proviene da una delle meningi, l’identificazione di una massa o di un nodulo a carico di
questa porzione indirizza verso una serie di patologie neoplastiche come il meningioma (99% casi),
l’emangiopericitoma o le melanosi leptomeningee. Alternativamente, in presenza di alterazioni non
neoplastiche alle leptomeningi ci si indirizza verso infezioni o alterazioni vascolari perché la parte
vascolare, importante nel SNC, è localizzata proprio a livello dello spazio sub-aracnoideo, tra la pia
madre e l‘aracnoide, dove sono frequenti le emorragie sub-aracnoidee.

- il prelievo può provenire da una porzione della corteccia, che rappresenta la parte più superficiale,
ossia la sostanza grigia dove ci sono i neuroni, mentre la sostanza bianca è localizzata più in profondità.
I neuroni sono cellule terminali, che hanno perso la capacità replicativa, quindi terminalmente
differenziate, diversamente dalle cellule gliali, quindi i tumori sono molto rari. Di conseguenza se vi è una
patologia centrata nello strato corticale solitamente non ci si indirizza immediatamente ad una neoplasia.
Esistono però neoplasie che si localizzano in questa sede come il DNT (tumore neuro epiteliale
disembrioplastico) nei giovani con epilessia; il gliosarcoma può essere superficiale; le vasculiti danno
una manifestazione morfologica più importante a livello della sostanza grigia più che della sostanza
bianca, infatti gli eventi ischemici ed emorragici sono localizzati prevalentemente nella sostanza grigia.

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- se il prelievo proviene da una porzione della sostanza bianca sono altre le conclusioni a cui giungere:
essa è la sede preferenziale ed elettiva di localizzazione dei tumori cerebrali, che quindi sono profondi e
nel 90% dei casi sono gliomi (astrocitomi, gli oligodendrogliomi ecc…). Le patologie demielinizzanti
rappresentano un’altra importante patologia a carico della sostanza bianca, mentre sono presenti anche
altre lesioni un po’ più specifiche, come alcune infezioni particolari quali il PML che è la
leucoencefalopatia multifocale progressiva, legata ad un’infezione virale.

- se il prelievo proviene da una porzione di sostanza grigia profonda, comprendente il tronco encefalico e
la base del cervello, si esclude solitamente la patologia tumorale, in quanto qui i tumori sono rarissimi.
Le lesioni più frequenti sono ischemie, infarti, infezioni batteriche, ascessi e patologie neurodegenerative
quali il Parkinson.

- se il prelievo proviene dai ventricoli, essi sono tutti accomunati dall’avere un rivestimento ependimale,
quindi se vi è una lesione che cresce a livello del ventricolo e ha un rapporto col rivestimento
ependimale, sarà probabilmente un ependimoma. Questa infatti è la prima patologia a cui si pensa, ma
potrebbe trattarsi anche del neurocitoma, tumore neuronale di basso grado. Va inoltre ricordato che nei
ventricoli vi sono i plessi corioidei, quindi esistono il carcinoma dei plessi corioidei e il papilloma dei
plessi corioidei.

Un’ altra considerazione importante è che l’imaging, ovvero l’informazione topografica, fornisce un primo
orientamento diagnostico importante:

- nel cervelletto, in fossa posteriore, si trovano tumori soprattutto in età pediatrica, mentre i tumori
nell’adulto sono rarissimi. I tumori del cervelletto dell’età pediatrica più frequenti sono il medulloblastoma
(glioma) e l’astrocitoma pilocitico (tumore embrionale).

- nel tronco encefalico i tumori sono rari, ma esistono. In genere sono astrocitomi di basso grado che
però hanno una prognosi severa perché insorgono in una zona dove sono localizzati i centri vitali; questi,
possono essere compressi dal tumore stesso o dall’edema presente. Il tumore in queste zone non è
aggredibile chirurgicamente e quindi anche se di basso grado ha comunque una prognosi infausta.

- nel midollo spinale le lesioni neoplastiche elettive sono l’ependimoma mixopapillare, tipico della cauda
equina, e il cordoma che è principalmente presente a livello della cauda equina o a livello del clivus. In
realtà non quest’ultimo non rappresenta un tumore primitivo del SNC però essendo localizzato nel
canale spinale viene identificato con questo tipo di indagine diagnostica.

1.3 Differenze per età:


Oltre alla topografia, il secondo aspetto importante da considerare nel momento in cui si fa una prima
supposizione diagnostica è l’età. Vi sono tumori o manifestazioni patologiche più elettive in una certa età
e molto meno o quasi assenti in un’altra fascia d’età e ovviamente anche questo aiuta ad orientarsi:

- nei neonati di fronte ad una lesione si indirizza la diagnosi in primo luogo verso patologie malformative
o infettive. Infatti, i tumori pediatrici in età neonatale sono molto rari.

- nei bambini attorno ai 4-5 anni di età e nel periodo successivo i tumori pediatrici più frequenti sono il
medulloblastoma, il craniofaringioma, il germinoma o altri tumori peculiari sopratentoriali. In genere sono
tumori embrionali.

- nei giovani adulti esistono alcuni tumori più frequenti, come il ganglioglioma e i tumori gliali di basso
grado.

- in un soggetto di età compresa tra i 50 e i 60 anni si inizia ad avere tumori maligni veri e propri, quali i
gliomi (come il glioblastoma l’oligodendroglioma) e i meningiomi.

- nei soggetti di età anziana si aggiunge la possibilità che questi tumori possano essere non tumori
primitivi del SNC, ma delle metastasi, soprattutto se il paziente in anamnesi ha o ha avuto una storia
tumorale (soprattutto tumore della mammella, del polmone o melanoma). A proposito del melanoma, il
professore precisa che quando ad un paziente viene diagnosticato un tumore indifferenziato di cui non si
capisce la provenienza, bisogna pensare sempre a una metastasi di melanoma.

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Ovviamente anche se, l’età aiuta ad orientarsi, non è una regola. Esistono sempre eccezioni, ad
esempio esistono glioblastomi anche in età giovanile.

1.4 Confronto anatomo-radiologico:


Per il lavoro del patologo è fondamentale anche il lavoro del neuroradiologo. Infatti
il patologo, se possibile, consulta anche i referti radiologici prima di esaminare lui
stesso il campione.
È chiaro che gli esami strumentali sono importanti e sempre più sensibili e
specifici, ma poi è comunque il patologo alla fine ad avere l’ultima parola.
La neuroradiologia è fondamentale innanzitutto perché indica la sede della lesione.
Per esempio, il neurocitoma è una lesione tipicamente centrata a livello del terzo
ventricolo o dei ventricoli laterali, spesso in presenza di un’occlusione del forame di
Monro, con conseguente sviluppo di idrocefalo. L’immagine neurologica è molto tipica, quindi permette
una diagnosi diretta, nel 90% dei casi, con identificazione del neurocitoma (ovviamente, è una
percentuale teorica, le eccezioni sono sempre presenti).
La neuroradiologia inoltre permette di capire se la lesione è localizzata a livello cerebrale o meningeo.
A questa prima evidenza segue una specifica denominazione che
permette di definire una lesione intrassiale e una lesione extrassiale.
In presenza di una lesione intrassiale, si pensa a lesioni primitive del
cervello.
Le lesioni extrassiali invece sono caratteristiche delle meningi e il
meningioma è la lesione più frequente.
Spesso il meningioma ha un imaging abbastanza tipico, ma come
alternative dobbiamo eventualmente pensare all’emangiopericitoma,
che dal punto di vista neuroradiologico e clinico è indistinguibile dal
meningioma; oppure al sarcoma di Ewing, che nasce dalla teca cranica e poi ha un’estensione verso il
parenchima cerebrale.
Le lesioni cistiche sono spesso tumori maligni perché hanno una degenerazione necrotico-cistica oppure
sono metastasi. Anche in questo caso l’imaging può essere molto d’aiuto.
Altri aspetti dei tumori maligni da valutare all’imaging sono:

- se sono lesioni iperperfuse, quindi se vi è molta angiogenesi


- se c’è un aumento della diffusione
- se c’è presa di mezzo di contrasto

Messe insieme tutte queste informazioni permettono di meglio comprendere la tipologia di tumore cui ci
si trova di fronte. Dopodiché la lesione viene biopsiata e viene inviata al laboratorio di anatomia
patologica.
Altre considerazioni permettono di concludere che se la massa si presenta calcifica, questo segno è
un’indicazione del fatto che il tumore cresce lentamente ed è di basso grado.
Importante è anche l’aspetto emorragico, soprattutto se ci si trova di fronte a lesioni non neoplastiche
come le vasculiti.
Ci sono anche metastasi di tumori che si presentano come lesioni emorragiche. Per esempio, nell’adulto
i rari astrocitomi pilocitici che si presentano in sede sovratentoriale spesso danno manifestazioni
emorragiche.
La neuroradiologia ha anche dei limiti, per esempio se una lesione ha una cavità cistico-necrotica con
presa di contrasto periferica (ring enhancement) ed è localizzata in sede temporale può essere una
metastasi, un ascesso, un glioblastoma o un linfoma e la neuroradiologia non è in grado di distinguerlo.
Il professore espone tre casi clinici:

• Paziente HIV positivo arriva in ps con un quadro neurologico importante, viene fatta una RMN e
viene refertata una lesione cerebrale come sospetta lesione fungina, quindi con presenza di

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ascesso. Si effettua una biopsia stereotassica e si inizia la terapia antifungina. Il paziente è
immunodepresso, quindi la diagnosi potrebbe essere corretta. Sul frammento inviato al
laboratorio si evidenzia la presenza di aree necrotiche e aree cellulate atipiche. Si tratta in realtà
di un tumore, in particolare di un linfoma. I linfomi cerebrali sono quasi sempre linfomi B e per
avere una conferma si fa un’immunoistochimica per CD20. Una caratteristica dei linfomi cerebrali
è l’angiotropismo spiccato, il che significa che le cellule si dispongono “avidamente” intorno ai
vasi. Si fa un EBER per andare a vedere se c’è correlazione con un’infezione da EBV, perché in
pazienti immunodepressi i linfomi possono essere EBV correlati ed è risultato positivo. La nuova
diagnosi cambia completamente la terapia.

• Donna di 53 anni, si presenta con una lesione cerebrale molto estesa e profonda (che però si
porta verso la superficie), sagittale, lungo il corpo calloso, centrata in entrambi gli emisferi, con
significativo edema peri-lesionale e componente cistico-necrotica; il sospetto radiologico è di una
lesione gliale di alto grado, verosimilmente gliosarcoma (al 99%), con una minima possibilità che
si tratti invece di un meningioma anaplastico maligno di terzo grado (origina dalle meningi e si
porta in profondità nel parenchima infiltrandolo). All’esame definitivo, la lesione è risultata invece
essere una metastasi di carcinoma scarsamente differenziato, a differenziazione neuroendocrina,
con primitività mammaria; variante di per sé molto rara (la paziente anni prima aveva avuto un
tumore mammario con le stesse caratteristiche). Infatti all’immunoistochimica la lesione risulta
essere citocheratina positiva, sinaptofisina positiva, GATA3 e caderina positiva (questi ultimi due
markers sono spesso positivi nei carcinomi della mammella).

• Bambino di 4 anni con, alla TC, lesione soprasellare tipicamente associata a craniofaringioma
(tumore che nasce dal residuo della cisti della tasca di Rathke, con principalmente componente
epiteliale). All’esame istologico, invece, si è evidenzia presenza di un tumore con aspetto lasso,
mixoide, a basso grado e con tendenza delle cellule a rosettare intorno ai vasi, GFAP positivo,
S-100 positivo e Olig2 positivo (marcatori gliali): si tratta di un astrocitoma pilomixoide (molto
raro, che origina più superiormente a livello ipotalamico ma si approfonda verso il basso).

Importante è anche il quadro clinico (per esempio ci sono tumori più frequentemente correlati all’
epilessia), importanti anche gli esami di laboratorio come le colture cellulari, per esempio quando si
sospetta una tubercolosi. Un altro aspetto molto importante è la rappresentatività del materiale che viene
inviato, soprattutto per tipi selettivi di chirurgie come le biopsie stereotassiche o negli adenomi dell’ipofisi
in cui la chirurgia trans-sfenoidale endoscopica è una chirurgia che per il paziente è ottima perché è
microinvasiva rispetto all’open surgery però al patologo arrivano solo frammentini di tessuto, spesso
coartati e quindi la problematicità è che il campione può essere non rappresentativo della lesione, con
artefatti, nuclei impastati e bassa qualità.

1.5 Procedimento diagnostico:


Il chirurgo preleva il materiale in sede intraoperatoria, il tecnico riceve il materiale e deve verificarne la
conformità, l’anatomopatologo come primo approccio al campione operatorio esegue un’analisi
macroscopica e svolge poi l’analisi microscopia.
A livello del SNC in genere il materiale da analizzare è costituito da piccoli prelievi perché si tratta
solitamente di materiale da aspirazione, raramente sono campioni operatori veri e propri.
Altro caso in cui può essere svolta l’indagine macroscopica è rappresentato dal momento autoptico: in
questo caso viene svolta al fine di indentificare alterazioni cerebrali soprattutto vascolari, infettive o
neurodegenerative.
Nell’autopsia si va ad analizzare tutto il cervello, partendo dalla parte esterna, quindi dalle meningi,
valutandone il colore, la consistenza e le granulazioni.
Si osservano poi la forma del cervello (se è regolare oppure no, simmetrico o non simmetrico), il peso
(un cervello edematoso peserà di più, mentre un cervello atrofico, per esempio di un paziente con
Alzheimer, peserà di meno perché viene perso parenchima cerebrale), i vasi (soprattutto se c’è sospetto
di patologie neurovascolari), la presenza o meno di edema ed eventuale atrofia.
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Fatto ciò, si procede con il “brain cutting”. L’esame macroscopico atipico, il cosiddetto “brain cutting”, si
fa per andare a ricercare le alterazioni più fini presenti nel cervello, vengono quindi indagati tutti i settori
morfologicamente importanti, dalle meningi alla valutazione dei vasi,
valutando se vi siano o meno traumi ecc...
Non è una manovra facile perché il cervello ha un parenchima molto
soffice e prima va fissato. Il cervello prelevato (bisogna chiederlo perché
non viene sempre rimosso durante le autopsie) va conservato in
formalina, dove viene lasciato almeno 3 settimane, dopodiché viene
svolto il mapping delle varie aree, il che significa che il cervello viene
sezionato in fette di circa 1 cm di spessore dal polo frontale alla parte
più posteriore per andare a analizzare tutte le varie strutture.
Nell’immagine si vede una dismetria importante che indica che sta
crescendo qualcosa e vi è uno spostamento dell’asse anche a livello dei
ventricoli: verosimilmente si tratta di una patologia di natura neoplastica.
Viene riportato il caso di un paziente morto improvvisamente dopo l’operazione
per un meningioma per una complicanza di tipo emorragico: all’esame autoptico
il parenchima cerebrale era risultato costellato di petecchie, segni
rappresentativi di tante piccole emorragie.

1.6 Elaborazione del campione:


I campioni operatori, sono nella maggior parte dei casi piccoli frammenti, solo raramente si assiste
all’asportazione di un intero lobo temporale che va trattato come un vero campione operatorio.
L’applicazione di china sui margini è pressoché inutile perché le lesioni gliali sono molto infiltranti e il
chirurgo raramente riesce a essere radicale quindi il margine chirurgico in questo caso non ha grande
importanza.
Ci sono solo pochissime eccezioni, come nel caso di un meningioma: qui infatti uno degli elementi
importanti per la stadiazione è il livello di infiltrazione cerebrale; bisognerà quindi chinare il margine
rivolto verso il parenchima cerebrale per valutare la diffusione in questo senso (chinare il margine verso
la dura non ha invece significato, perché la dura è sempre infiltrata ma ciò non influenza il grading).
I frammenti vengono inclusi in paraffina, tagliati al microtomo, colorati per ottenere un vetrino osservabile
al microscopio.
A Brescia, ma non in tutti i centri, tutti i pezzi da sala operatoria di neuropatologia in accordo con i
chirurghi vengono inviati al patologo a fresco perché se c’è materiale sufficiente il patologo fa un prelievo
a fresco il quale viene congelato. Esiste, infatti, un gruppo di analisi molecolari che rivestono un ruolo
fondamentale nella diagnosi tumorale applicabile principalmente sul campione congelato e non su quello
fissato.
Sul materiale fresco infatti si può estrarre con maggiore efficienza DNA e RNA ed eventualmente
proteine, cosa che da paraffinato crea più problemi (in particolare per l’RNA perché spesso si
frammenta). I campioni congelati e non fissati, vengono conservati a -80 gradi, in piccole provette e
vengono tenuti per futuri eventuali utilizzi.
Ovviamente la gestione della banca tessuti comporta delle responsabilità non indifferenti perché devono
essere gestiti i dati sensibili del paziente, il DNA del paziente e quindi la problematica legata alla privacy.

1.7 Indagini molecolari:


Le alterazioni molecolari sono importanti perché il tumore può esser considerata una malattia di tipo
molecolare, sono le alterazioni molecolari che portano allo sviluppo del processo di oncogenesi e sono
stati identificati tanti geni importanti in diversi tipi di tumori, mutazioni driver ecc… e quindi si è sviluppata
una branca della patologia che è la patologia molecolare e anche per i tumori cerebrali e per patologie
non neoplastiche l’indagine molecolare è diventata importante per motivi prognostici e soprattutto
predittivi di risposta alla terapia.
Inoltre, a volte non è così semplice sulla base dei risultati istologici distinguere un processo neoplastico
da un processo non neoplastico; anche in questi casi aiuta la diagnostica molecolare. Il materiale viene
inviato fresco anche per indagini microbiologiche, soprattutto se vi è il sospetto di ascesso fungino,
batterico o infezione virale.

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1.8 Estemporanea:
Il materiale fresco si usa anche per le indagini microbiologiche, soprattutto nel caso di leptomeningiti,
sospetti ascessi, però non vengono fatte dal patologo se non con istochimica che mette in evidenza i
funghi, con gram per i batteri, ma sostanzialmente vengono fatte dal microbiologo.
Quello che il patologo fa è l’esame intraoperatorio, quindi l’estemporanea, e ancor più nella
estemporanea di tipo neuropatologico le informazioni cliniche sono fondamentali. Spesso le biopsie
cerebrali durante l’intervento, le estemporanee di tipo neurochirurgico, sono piccoli frammenti, che a
volte non possono essere congelati e tagliati al criostato, quindi si allestisce uno striscio e si guarda il
vetrino, però comunque già la citologia ci può dare un’indicazione. Se mi trovo di fronte a un tessuto
ipercellulato con elementi atipici posso dire che è una lesione gliale.
Esistono problemi di artefatti quindi bisogna essere bravi e attenti nel congelare il tessuto.
Caso clinico: paziente di 75 anni, sospetto glioblastoma, presenta storia oncologica per cui potrebbe
anche essere una metastasi, lesione centrata nel lobo temporale, portato in sala operatoria, ma è
necessaria un’estemporanea per capire cosa aspettarsi. È fondamentale sapere se si tratta di un adulto
o di un bambino, perché nell’adulto la maggior parte dei tumori primitivi sono tumori gliali, quindi si pensa
al glioblastoma, nel bambino questi tumori sono rari (4%), quindi si deve pensare ad altre entità. La sede
oggi sempre di più è quella che mi dà un’indicazione. Questo è un tumore densamente cellulato, con
numerose mitosi, anche atipiche, indice di proliferazione elevato, si associano anche pleomorfismo,
neoangiogenesi importante e aree di necrosi a palizzata, quindi la diagnosi è di tumore gliale maligno,
un glioblastoma. La diagnosi definitiva si rimanda al campione fissato in formalina ed incluso in paraffina.

2 Neuroanatomia microscopica:
Il patologo deve tenere presente anche la variabilità istologica fisiologicamente presente a livello
cerebrale: a livello frontale, cerebellare o a livello del tronco esso presenta una struttura completamente
diversa, presenta cellule diverse che devono quindi essere riconosciute.
Dal punto di vista topografico bisogna avere presenti queste informazioni per non correre il rischio di
scambiare possibili condizioni patologiche e non.
All’interno del parenchima cerebrale si distinguono numerosissimi tipi cellulari: neuroni, astrociti,
oligodendrociti sono le tre popolazioni principalmente coinvolte nella patologia neoplastica e non
neoplastica; meno coinvolte sono invece le cellule della microglia, le cellule meningoteliali e le cellule
ependimali.
Queste cellule assumono morfologia diversa a seconda della localizzazione topografica: i neuroni della
fascia dentata dell’ippocampo sono piccoli e tondi, decisamente diversi dai neuroni piramidali o da quelli
corticali motori che hanno dimensioni maggiori.
Molto diversi tra loro sono anche le cellule di Purkinje e i neuroni dello strato granulare del cervelletto.
È inoltre molto importante saper riconoscere i neuroni dopaminergici perché nel Parkinson questi
possono presentare i corpi di Lewy.

2.1 Marcatori:
Conoscere l’anatomia normale delle diverse strutture del SNC diventa fondamentale per poter
riconoscere una patologia ed effettuare una diagnosi; questo vale soprattutto per le patologie non
neoplastiche, ma anche per quelle neoplastiche.
Nell’ambito della neuropatologia è importantissimo l’uso di marcatori, diversi a seconda di ciò che si
vuole analizzare: per i neuroni ci sono moltissimi marcatori che vengono considerati anche se non tutti

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sono sempre efficaci perché espressi in modo specifico da alcune tipologie cellulari piuttosto che da
altre. Tra questi marcatori si ricordano:

- NeuN: utilizzato per vedere se la cellula presenta una differenziazione in senso neuronale maturo.
Essendo un marcatore neuronale tardivo è rarissimamente espresso nei tumori, però vi sono tumori che
possono maturare e quindi possono esprimerlo. Non viene utilizzato però sulle cellule del Purkinje del
cervelletto che vengono colorate poco o, in alcuni casi, completamente non colorate;

- Sinaptofisina: marcatore neuronale che può essere usato anche per i tumori neuroendocrini (che sono
definiti anche come tumori epiteliali, quindi positivi per le citocheratine) e tumori gliali, soprattutto con
cellule ancora molto immature. La sinaptofisina è inoltre uno di quei marcatori che viene espresso molto
precocemente durante la neurogenesi;

- Cromogranina: marcatore di neuroni più maturi, colora molto bene le cellule gliali;

- Neurofilamenti;

- Huc-Hud: marcatore di neuroni maturi;

- NSE: colora tutto in modo non specifico, come la vimentina.

Per la glia (oligodendrociti e astrociti) si possono utilizzare anche altre metodiche:

- Ematossilina-eosina: utile per marcare gli oligodendrociti normali in quanto evidenzia specifiche
caratteristiche di queste cellule, come, ad esempio, il loro accumulo a livello perineuronale (situazione
definita satellitosi perineuronale e gli oligodendrociti si dispongono così per mielinizzare l’assone del
neurone). Gli oligodendrociti sono visibili anche come cellule molto piccole con nucleo tondeggiante
allineate lungo i fasci di sostanza bianca. L’ematossilina-eosina risulta poco rilevante in ambito
patologico per gli oligodendrociti (per gli astrociti invece può essere una colorazione utile anche nella
condizione patologia, infatti gli astrociti reattivi presentano citoplasma più ampio e più ramificato);

- GFAP: altamente specifico per gli astrociti (ma è possibile che colori anche cellule staminali embrionali,
quindi per esempio può essere positivo in alcuni teratomi). Quindi positivo negli astrocitomi;

- S-100: marcatore di neuroectoderma e usato per quei tumori gliali che possono dare aree GFAP-
negative;

- Olig2: marca gli oligodendrociti (benché questi non abbiano un marcatore specifico, perché Olig2 è
espresso anche negli astrociti neoplastici, quindi nel glioblastoma spesso è positivo). Olig2 è un fattore
di trascrizione che è espresso nell’oligodendrocita normale, il problema è che l’Olig2 è un marcatore che
spesso è upregolato ed espresso anche in astrocitomi di alto grado come i glioblastomi, quindi non è il
marcatore dell’oligodendrocita (o meglio nel contesto di un parenchima normale lo è, in un contesto
neoplastico non sempre perché si possono avere delle espressioni aberranti);

- CNPase: anche questo marca gli oligodendrociti, in modo un po’ più specifico rispetto all’Olig2 in
quanto colora il corpo cellulare e le diramazioni dell’oligodendrocita, ma non funziona in un contesto
neoplastico in quanto l’oligodendrocita non ne produce. Il problema quindi è che se non espresso non
posso dire che è un oligodendrocita neoplastico perché magari è una cellula con una differenziazione
gliale e per essere un oligodendrocita (e non gliale) deve essere GFAP negativo.

Per l’ependima e i plessi corioidei si ricorre ad EMA, che colora la superficie ciliata, e a GFAP.
Quindi una positività ad entrambi caratterizza l’ependimoma, una positività solo a GFAP invece
caratterizza gli astrocitomi e questo permette di fare diagnosi differenziale, anche se possono esserci
delle eccezioni a questa regola generale.
Per il meningioma c’è positività all’EMA e, spesso, al recettore del progesterone e non per GFAP.
Per la microglia si utilizzano marcatori per le cellule di derivazione monocito-macrofagica, in quanto le
cellule della microglia non sono altro che monociti residenti del parenchima cerebrale: CD163, CD68,
Iba1 (non utilizzato di routine, però colora molto bene ed in modo molto sensibile ed elettivo la microglia
residente nel parenchima, evidenziando le fini ramificazioni delle cellule), però marca monociti anche nei
linfonodi. La microglia è responsabile di molte alterazioni e soprattutto è importante e viene attivata in
molte situazioni diverse: dalla neurodegenerazione, le malattie demielinizzanti, le patologie virali.

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Non esiste, in realtà, un marcatore davvero specifico, forse l’unico è il GFAP che se espresso nel 90%
dei casi permette di identificare un astrocita.
La sinaptofisina ad esempio è espressa in tanti tumori gliali, l’oligodendroglioma può esprimerla eppure
non è un tumore neuronale. Quindi questi marcatori sono importanti se combinati tra di loro. La presenza
di Olig2 e sinaptofisina indica un tumore degli oligodendrociti, mentre la negatività di Olig2 e la positività
della sinaptofisina indica un neurocita ovvero una cellula che sta differenziando in senso neuronale. La
glia,cioè gli astrociti e gli oligodendrociti si riconoscono morfologicamente, però hanno anche loro dei
marcatori.

3.1 Principali alterazioni di risposta del parenchima cerebrale:


Tra le alterazioni principali del parenchima in risposta agli insulti si riscontrano:

1) la gliosi reattiva. L’astrocita è la cellula più plastica del parenchima cerebrale (motivo per cui gli
astrocitomi sono i tumori più frequenti): replica, si duplica, reagisce agli insulti, causa gliosi, ha un ruolo
trofico attorno ai vasi, contribuisce alla formazione della barriera ematoencefalica e può infine portare al
determinarsi di tale gliosi reattiva.
Questa, a sua volta, può essere:
• ACUTA: gli astrociti assumono un aspetto più ampio, con citoplasma più eosinofilo, più
ramificato, ben visibili con GFAP; come detto prima, questa situazione va in diagnosi differenziale
con l’astrocitoma di basso grado.
• CRONICA: gliosi di vecchia data caratterizzata dalla presenza, oltre che di astrociti reattivi (che si
marcheranno bene con la GFAP), anche di prodotti di degradazione dell’astrocita, in quanto con
il tempo gli astrociti degenerano rilasciando corpi granulari eosinofili e fibre di Rosenthal
(grossolane formazioni eosinofile); la forma cronica si accompagna molto spesso alla presenza di
astrocitomi, altri tumori o processi patologici non neoplastici non recenti: se si ha a che fare con
un tumore di basso grado che cresce lentamente, è possibile che ci sia anche un contesto di
gliosi cronica.

2) presenza di corpi amilacei: si localizzano attorno a ventricoli e corpi corioidei nell’anziano,


contribuendo a una situazione di demenza;

3) PML (leucoencefalopatia multifocale progressiva): malattia demielinizzante legata all’infezione da JC


virus, caratterizzata dalla presenza di astrociti bizzarri con forma atipica e cellule di Creutzfeldt, tipiche
dei processi demielinizzanti;

I neuroni possono avere moltissime alterazioni diverse, da contestualizzare in base alla singola
patologia. Ad esempio, ci possono essere sferoidi, segno che gli assoni sono stati troncati, tipici della
malattia demielinizzante; può esserci mineralizzazione del parenchima, che è un segno di
degenerazione, oppure si può avere il cosiddetto Red Neuron, indice di sofferenza citoplasmatica del
neurone dovuta ad ischemia.
Infine, è possibile riscontare inclusioni citoplasmatiche e nucleari patognomoniche di alcune malattie,
come i corpi intracitoplasmatici suggestivi di patologie neurodegenerative:

• la presenza di neuroni con aspetto balloniforme e con degenerazione retrograda della sostanza
di Nissl fa pensare ad una sofferenza neuronale primitiva probabilmente della SLA o di altre
malattie neurodegenerative.
• la presenza di inclusioni intracitoplasmatiche che possono essere evidenziate sia in ematossilina-
eosina che con l’immunoistochimica e che sono positive per sinucleina, alfa-sinucleina e proteina
tau è anch’essa suggestiva per la presenza di malattie neurodegenerative.
• la presenza di Hirano bodies (inclusioni intracitoplasmatiche) in neuroni in cui è presente la
sostanza del Sömmering (quindi si tratta di neuroni dopaminergici) è un quadro tipico del
Parkinson.

A volte anche alcune infezioni virali possono dare inclusioni, poiché i virus formano aggregati nella
cellula, soprattutto nel nucleo, che si evidenziano bene con l’immunoistochimica.

N.d.r. il professore ha detto che non richiede di sapere nel dettaglio queste alterazioni descritte.

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