Sei sulla pagina 1di 19

Sbobinatore: M.A.

Revisore: C.B.
Materia: Anatomia Patologica 2
Docente: Vermi, Poliani
Data: 30/09/2020
Lezione n°: 2
Argomenti: Pneumopatologia, lesioni delle meningi

Comunicazioni: Anche questa lezione verrà suddivisa tra la


spiegazione del professor Vermi e del professor Poliani.
Per la realizzazione di questa sbobina abbiamo mantenuto l’organizzazione degli scorsi anni, integrando gli
argomenti non trattati.

PNEUMOPATOLOGIA

1.0 Le polmoniti
Al di là di ciò che può essere accertato a livello autoptico come causa o concausa di morte, il ruolo del
patologo nella patologia funzionale del polmone ha senso d’esistere dove c’è un reparto di pneumologia
o medicina interna che si occupa di ospedalizzazione. C’è una quota di polmoniti che il patologo non vede
più se non sul tavolo autoptico come concausa di morte (es batteriche) e una serie di polmoniti (es
interstiziali) in cui il patologo ha un ruolo importante nella identificazione della causa.
Le polmoniti sono dei processi infiammatori a carico del parenchima polmonare.

2.0 I ruoli del patologo


 Svolgere una diagnosi rapida estemporanea in corso intraoperatorio: necessaria per
discriminare un processo neoplastico da uno infiammatorio. In alcune situazioni, al momento della
rimozione chirurgica di materiale considerato fino a quel momento neoplastico, non viene
identificato il nodulo ma un’area di addensamento disomogenea che indirizza verso un processo
flogistico principalmente di natura linfocitaria o granulomatosa. Si chiedono quindi esami di
laboratorio rapidi, solitamente con l’utilizzo di ematossilina eosina, che danno un’indicazione al
chirurgo. Successivamente si svolgeranno ulteriori esami per definire al meglio il processo
flogistico. Di fronte ad un processo infiammatorio principalmente di base linfocitica potrebbe
esserci difficoltà nel capire se si tratti di una infiltrazione di linfociti reattivi o neoplastici (linfoma).
 Indentificare patogeni che non possono essere coltivati: es. polmoniti micotiche su cui il
patologo fa diagnosi eziologica sulla base di colorazioni istochimiche.
 Stabilire una diagnosi quando le colture sono negative.
 Definire nuove malattie infettive basandosi sulle alterazioni morfologiche e strutturali (es.
alterazioni citopatiche degli pneumociti per la SARS o SARS-CoV-2).
 Escludere l’eziologia infettiva di fronte a un processo polmonare flogistico: mettere in atto
una batteria di test come colorazioni istochimiche e poi test molecolari.
 Evidenziare eventuali correlazioni clinico-patologiche e microbiologiche
 Valutare il significato patogenetico di un isolamento colturale
 Nelle condizioni di flogosi polmonare acuta raramente il patologo ha un ruolo mentre in quelle su
base idiopatica con una clinica totalmente silente risulta essere fondamentale.

3.0 Gli strumenti del patologo


Gli esami a disposizione del patologo sono:
 Esame macroscopico (tendenzialmente sarà tardivo in sede autoptica, in quanto raramente si fa
una lobectomia in presenza di un processo infiammatorio e ancora meno una pneumectomia)
 Esame istologico:
 fornisce informazioni sulla morfologia dell’organismo mediante colorazioni istochimiche
(ematossilina-eosina)
 identifica il danno citopatico (alterazioni dimensioni, forma, morfologia del nucleo, inclusi
nucleari e citoplasmatici)
 valuta la risposta dell’ospite (una risposta prevalentemente neutrofilica e macrofagica
suggerisce un processo infettivo acuto/subacuto viceversa una risposta linfocitaria e
plasmacellulare è tipica di un processo cronico).

1
Si hanno a disposizione anche test immunoistochimici ed istochimici, che sono indicativi di
specificità.
Dal campione si identifica, quindi, il tipo di batterio, fungo, virus, parassita. Il setting è
piuttosto limitato.
 Saggi immunoistochimici è limitata a pochi virus come l’HPV e l’Herpes Simplex 1 e 2.
 La microscopia elettronica era prima usata in casi eccezionali. Oggi una diagnosi certa la
possiamo avere identificando SARS-CoV-2 mediante microscopia elettronica, oltre che tecniche
immunoistochimiche per la ricerca anticorpale
 Le tecniche molecolari possono essere in situ (pochi sistemi disponibili, es. ibridazione) o non in
situ. Con le tecniche molecolari in situ (ISH) si identificano dei trascritti patogeno-specifici. Una ISH
routinaria in ambito anatomopatologico è quella per EBV.
 PCR e tecniche di sequenziamento di ultima generazione (NGS), prevedono “pacchetti di
patogeni”, attraverso i quali da un singolo estratto è possibile testare e identificare più patogeni.

4.0 Meccanismi di difesa dell’apparato respiratorio


• Vie respiratorie
 Meccanici: riflesso dell’epiglottide, riflesso della tosse, decorso delle cavità nasali, vibrisse,
movimento delle ciglia
 Umorali: muco, antiossidanti, Ig secretorie
 Cellulari: BALT, leucociti, mastociti
 Alveoli
 Meccanici: pneumociti tipo 1
 Umorali: proteina surfattante prodotta dagli pneumociti di tipo 2, antiossidanti
 Cellulari: macrofagi alveolari, che si accumulano in diverse situazioni patologiche. Sono
cellule molto note al patologo anche se recenti studi hanno evidenziato che la componente
cellulare di derivazione monocitica presente a livello polmonare è molto più complessa e non
correlabile unicamente al pattern citologico macrofagico alveolare (CD68, CD163) ed è
rappresentata da dendriti e altri tipi di macrofagi residenti. Tuttavia, queste nuove
conoscenze non sono ancora state riportate in ambito diagnostico.

5.0 Classificazioni delle polmoniti


 In base al decorso:
 acute
 subacute
 croniche
 In base alla localizzazione del distretto flogistico e di accumulo della componente
linfocitaria esogena:
 interstiziali (il target delle alterazioni è l’interstizio. Vi è incremento di cellularità da parte di
elementi immunitari con alterazioni che possono comprendere modificazioni reattive degli
pneumociti, scomparsa e disepitelizzazione di questi con formazione di membrane ialine.
Può essere presente un effetto di congestione dei vasi e fibrosi interstiziale.)
 alveolari (lo spazio alveolare è quasi completamente riempito da macrofagi e neutrofili)

 In base all’eziologia:
 Infettive (batteriche, virali, fungine, parassitarie)
 Non infettive (sarcoidosi, vasculiti, chimici, farmaci, radiazioni, pneumoconiosi, forme
paraneoplastiche, emosiderosi, ipersensibilità).
Ci sono forme di neoplasia bronchiale come il carcinoma squamoso o il carcinoide (che
hanno uno sviluppo principalmente endoluminare) che danno un quadro ostruttivo. A valle di
questa ostruzione può generarsi un quadro di polmonite ostruttiva che può essere un
problema durante un esame intraoperatorio, spesso erroneamente considerata come l’area
patologica principale. Una diagnosi di polmonite ostruttiva intraoperatoria deve comunque far
sospettare che ci sia una neoplasia a distanza.
 Idiopatiche (si arriva alla diagnosi con un’integrazione anatomo-clinica, combinando reperti
anatomopatologici multipli e non specifici). Sono di maggior interesse per il patologo e
comprendono polmoniti da farmaci, da vasculite, da sarcoidosi, da sostanze chimiche,
poveri, radiazioni...

2
Le vie d’infezione delle polmoniti infettive sono:
 Aerea
 Ematica
 Contiguità (per un processo a carico di mediastino e dalla pleura)

Queste forme sono tipiche di popolazione a rischio comprende tutti quei pazienti che hanno
un’immunosoppressione innata o iatrogena:
 Neonati e bambini
 Bambini affetti da malattie genetiche
 Anziani
 Pazienti in decorso post-operatorio
 Pazienti in stati di incoscienza
 Edema polmonare
 Immunodeficienze primitive o secondarie, stati di immunosoppressione
 Soggetti esposti ad agenti esogeni che deprimono il sistema immunitario (es. l’effetto del fumo di
sigaretta sui macrofagi)

5.1 Polmoniti alveolari


Esiste una classificazione su base epidemiologica e anatomo-patologica.
Le forme alveolari, per lo più di origine batterica (stafilococco, streptococco) vengono distinte per la loro
modalità di diffusione epidemiologica in:
 comunitarie
 nosocomiali (è da ricordare il problema dello Stafilococco aureus meticillino-resistente)
 opportunistiche (la cui base è l’immunodeficienza)

Dal punto di vista anatomo-patologico la distinzione riguarda le modalità di coinvolgimento del


parenchima polmonare ben distinguibile da un punto di vista radiologico e mediante TC:
 lobare: opacità con coinvolgimento netto e distintivo di un lobo
 a focolaio broncopolmonare: opacità con focolai a noduli multipli, centrati sulle diramazioni
principali del bronco

Entrambe le forme appartengono al pattern di tipo 1, con infiltrati, riempimento e lesione alveolare
(ground glass).

Le differenze tra la polmonite lobare e la polmonite a focolaio broncopolmonare possono essere riassunte
in questa tabella (dalla sbobina dell’anno scorso):

Polmonite lobare Polmonite a focolaio broncopolmonare


Oggi rara Frequente
Giovani adulti, soprattutto maschi Bambini, anziani
Streptococco Pneumoniae è frequente Streptococchi, Stafilococchi, altri batteri. Spesso complicanza di
infezioni virali
Non interessamento dei bronchioli A focolai, spesso multipli
Lesioni nello stesso stadio Lesioni in stadi diversi
Coinvolgimento pleurico abbastanza regolare e frequente Coinvolgimento pleurico raro e solo nelle lesioni che si trovano a
ridosso della pleura

5.2 Stadi anatomo-clinici della polmonite


(ad ogni stadio patologico corrisponde una presentazione clinica)

 Ingorgo: prevalgono i fenomeni infiammatori-essudatizi. Si


osservano vasi dilatati, congesti e presenza di un essudato
acellulare o con poche cellule all’interno dello spazio alveolare.
Incomincia ad esserci un iniziale reclutamento di elementi
granulocitari.

3
 Epatizzazione rossa: vasi congesti con iniziale diapedesi dei
globuli rossi e dei granulociti. Iniziano ad esserci ammassi di
fibrina all’interno degli alveoli e si assiste ad aumento della
cellularità dovuto a macrofagi alveolari, neutrofili e
globuli rossi. Dal punto di vista radiologico si ha
riempimento alveolare.

 Epatizzazione grigia: L’alveolo è totalmente riempito dalla


componente infiammatoria. I vasi sono ripieni di neutrofili, è
presente fibrina negli alveoli e comincia ad esserci un po’ di
riduzione della componente linfocitaria nelle pareti vascolari. Si
inizia maggiormente a vedere la distinzione tra uno spazio
alveolare e l’altro e gli alveoli sono praticamente ripieni di
granulociti e macrofagi.

 Risoluzione: residua materiale protinaceo granulare.


Generalmente con restitutio ad integrum. Rimane una quantità
di macrofagi alveolari.

5.3 Forme polmonari batteriche


 Streptococcus Pneumoniae: è la causa più frequente della forma lobare. Dà costantemente
versamento pleurico.
 Stafilococco: ha un ruolo importante nelle infezioni nosocomiali. Spesso l’infezione è una sequela
di infezioni virali; in forma di broncopolmonite colpisce soprattutto bambini e anziani. L’infezione da
stafilococco può facilmente evolvere in lesione ascessuale.
 Legionella: è associata ad epidemie legate a sistemi di condizionamento e di deumidificazione
dell'aria. La polmonite da questo agente, spesso acuta e ad alta mortalità, si presenta con essudato
fibrino-purulento e/o emorragico, in forma lobare o a focolai. Può causare anche invasione
dell’interstizio e necrosi, che in ematossilina-eosina si presenta con nuclei con frammenti bluastri,
segno di morte cellulare (necrosi sporca). La colorazione utilizzata maggiormente per diagnosi è
quella argentica.
La diagnosi di polmonite da Legionella può essere eseguita su un campione (spesso l'espettorato
del paziente) da cui si può coltivare il microrganismo o identificare il DNA specifico tramite PCR.
Esiste la possibilità di identificare antigeni solubili nelle urine (tramite ELISA) o anticorpi specifici
nel siero tramite tecniche FAT ed ELISA.
 Klebsiella: è tipica degli alcoolisti (per azione inibitoria sulla migrazione linfocitica da parte dei
metaboliti dell’alcool). Si presenta con un quadro lobare associato ad un accumulo endoalveolare
di macrofagi schiumosi (essi hanno metabolismo lipidico spiccato e quindi li vediamo chiarificati
dal punto di vista microscopico con ematossilina-eosina). Si possono notare focolai di necrosi e,
nelle forme croniche, possibili cicatrici.

5.4 Polmoniti micotiche


Sono le forme di più comune riscontro istologico. Si assiste a un
progressivo aumento su base immunosoppressiva determinate
dell’utilizzo di farmaci immunosoppressori (terapia neoplastica e post
trapianto), antibiotici ad ampio spettro e il posizionamento di sonde e
cateteri.
Principalmente si tratta di polmoniti alveolari, spesso caratterizzate da
lesioni granulomatose.
Fondamentale è il ruolo del patologo nell’identificare il patogeno.
I pattern di presentazione delle forme micotiche sono:
 A grossi noduli
- Granulomi necrotizzanti; (possibile evoluzione)
- Granulomi non necrotizzanti;
- Granulomi suppurativi: alla componente classica della lesione
granulomatosa (costituiti da linfociti T e macrofagi epitelioidi
4
perché hanno subito modificazioni che li hanno resi simili a
cellule epiteliali) si aggiungono anche neutrofili (suppurativa);
- Lesioni granulomatose mal definite.
 Lesioni cavitarie;
 Noduli multipli a distribuzione miliare;
 Broncopolmonite acuta.
 Infarto
 Lesioni intravascolari
 Danno alveolare diffuso
 Forme acute in organizzazione (forme in cui si assiste ad un
riempimento alveolare da parte di materiale infiammatorio)
 Cast (determinati da residuati di cellule schiumose alveolari)

Percorso diagnostico:
L’identificazione dell’agente eziologico avviene attraverso lo studio della morfologia mediante colorazioni
istochimiche, usando l’ematossilina eosina, e tecniche di immunoistochimica. Tuttavia, non avendo grandi
strumenti immunoistochimici a disposizione, si può identificare anche attraverso altre metodiche, come la
coltura, la sierologia e i metodi molecolari.

Principali agenti delle lesioni micotiche: (il professore mostra delle immagini relative ai quadri istologici
caratterizzanti le diverse tipologie micotiche) dal punto di vista della frequenza:
 Aspergillo: In forma del fungus ball (con massa di materiale necrotico in cui, ad alto ingrandimento
mostra il patogeno) oppure, in pazienti con pesante immunosoppressione tramite forme invasive
di aspergillo (dal punto di vista istologico si identifica una lesione fibroinfiammatoria periferica con
un evidente ammasso di ife)
 Blastomyces;
 Candida.
 Criptococco: in forma acuta polmonare o in forma
progressiva. Microscopicamente si possono presentare
strutture a noduli in cui può essere identificato il criptococco
mediante colorazione in ematossilina-eosina o
istochimiche tra cui Gimsa o mucicarminio. Istologicamente
si presentano lesioni granulomatose con cellule giganti
multinucleate contenenti criptococchi.
 Histoplasma: esistono forme acute e disseminate.
Tipicamente si osserva macroscopicamente una lesione
fibrosa concentrica senza componente cellulata. Si
possono avere forme di granuloma necrotizzante con
necrosi centrale e cellule a palizzata; possono essere
individuati granulomi suppurativi caratterizzatati da neutrofili infiltranti. Identificato attraverso
Gimsa. (Generamente i granulomi su base infettiva o meno non hanno componente suppurativa)

5
 Coccidioidomicosi: sono presenti sferule contenute all’interno di cellule giganti multinucleate.
Hanno una piccola capsula fibrotica.

Complicanze delle polmoniti alveolari batteriche e micotiche:


 Ascesso polmonare;
 Polmonite in organizzazione o carnificazione;
 Pleurite, pericardite;
 Empiema pleurico;
 Localizzazione metastatica di emboli settici (meningiti,
endocarditi);
 Sepsi.

Spesso si ricercano nel paziente deceduto.


Le più importanti e frequenti fra queste sono l'ascesso,
l'organizzazione e la pleurite.

A fronte di una cavitazione del parenchima polmonare è intuitivo pensare alla formazione di un ascesso come esito di una
broncopolmonite che ha un corrispettivo radiologico.
L’ascesso si presenta istologicamente come perdita dell’architettura del parenchima polmonare, con presenza di numerosi
neutrofili.
Nella carnificazione, invece, si osservano aree nodulari composte da tessuto fibro connettivale che occupa tutto lo spazio
alveolare, in particolar modo si può evidenziare la presenza di miofibroblasti che producono collagene.

5.5 Polmoniti da parassiti


Gli agenti eziologici principali responsabili di queste polmoniti sono lo pneumocystis carinii, il toxoplasma,
l’echinococco e gli elminti. Alcune sono più frequenti in età infantili, sempre su base di
immunosoppressione con popolazioni target maggiormente esposte ad esempio popolazioni agricole.

 Pneumocystis carinii
L’infezione da pneumocystis carinii è spesso HIV-correlata. Questa presenta un quadro istologico
variabile: aumento dei macrofagi endoalveolari, presenza di essudato schiumoso abbondante e, talvolta,
aspetti di tipo necrosi fibrinoide. Si possono osservare i corpuscoli contenenti il parassita. La diagnosi istochimica si
fa identificando i patogeni con colorazioni di Grocott e Giemsa (notizie anamnestiche riguardanti eventuale
immunosoppressione del soggetto possono favorire la diagnostica). Si ha una deposizione di materiale protinaceo
endoalveolare e la colorazione mostra un accumulo di pneumocisti.

 Echinococcosi polmonare
Determina un importante rischio di contagio per l’operatore. Oltre ai polmoni l’infezione può colpire anche
il fegato. Esistono due forme di echinococcosi polmonare: granulosa e alveolare. La prima è diffusa
nell’italia meridionale mentre la seconda in svizzera, austria e baviera.

La patogenesi comprende un ciclo di tre step:


1. Ingestione delle uova contenute in cibi inquinati (feci di cane);
2. Liberazione dell'embrione esacanto nel duodeno;
3. Migrazione (per via ematica o linfatica) nel fegato e/o nei polmoni.

6
Da punto di vista macroscopico sono evidenziabili cisti di dimensioni variabili, uniche o multiple aventi
contenuto liquido definito “acqua di roccia”, ed istologicamente costituite da:
• pericistio esterno, ricco in cellule dell'infiammazione con numerosissimi granulociti eosinofili;
• membrana esterna, cuticolare, polisaccaridica. È fortemente allergizzante.
• membrana interna, proligera, con cisti figlie e scolici liberi.
Dal punto di vista istologico possiamo osservare parenchima con aree di fibrosi, aree di infiammazione
molto densa, cisti, nelle quali, ad alto ingrandimento, si osservano gli scolici.
In questo caso la diagnosi è già formulabile osservando il quadro macroscopico.

6.0 Polmoniti interstiziali


Le polmoniti interstiziali sono delle patologie infiammatorie che coinvolgono l’interstizio polmonare e
presentano un essudato linfocitario e non granulocitario. Solitamente sono forme virali o idiopatiche, più
raramente determinate da altri agenti come farmaci e ipersensibilità.
In base al decorso clinico e alla loro evoluzione possono essere classificate in:
 Acute: danno alveolare diffuso, eosinofiliche, farmaci, idiopatiche
 Subacute: polmonite da organizzazione, polmonite da ipersensibilità, forse associate a
sarcoidosi/berilliosi, da farmaci, idiopatiche, cronica esinofilica
 Croniche: pneumoconiosi, sarcoidosi/berilliosi, proteinosi alveolare, malattie delle piccole vie aeree,
amiloidosi e forme idiopatiche

Da un punto di vista macroscopico il polmone, a causa del processo fibrotico, si presenta grigiastro, con
un volume ridotto e una consistenza aumentata. Si formano delle aree periferiche definite “a favo d’api” (il
parenchima è occupato da piccole formazioni microcistiche che sono spazi alveolari dilatati).
A livello microscopico i setti alveolari inizialmente sono espansi perché infiltrati da elementi
linfoplasmacellulari ma, successivamente, come esito cronico a lungo termine, vanno incontro ad una
progressiva fibrosi con deposizione di matrice collagene. Ci possono essere possibili aspetti focali “a favo
d’api” anche dal punto di vista istologico; in alcune aree si possono verificare forme di iperplasia degli
pneumociti di tipo II e possono creare qualche dubbio interpretativo nella distinzione dalle neoplasie.
È possibile trovare una metaplasia squamosa dell’epitelio alveolare e, in questo caso, è necessario capire
se questo processo possa rappresentare il primo evento della trasformazione a carcinoma squamoso.
Istologicamente, il processo si localizza in sede interstiziale con setti alveolari espansi per presenza di
infiltrati infiammatori e fibrosi fino all'evoluzione tardiva del cosiddetto polmone “a favo d’ape”. Si può
manifestare iperplasia degli pneumociti di tipo II e possibile metaplasia squamosa dell’epitelio alveolare.
Gli spazi alveolari sono liberi perché il processo si localizza nell'interstizio.
Il quadro clinico è caratterizzato da tosse secca non produttiva, dispnea da sforzo, spirometria con
quadro di patologia restrittiva.
Il pattern radiologico (RX e TC) varia in base alla fase della polmonite. Si individuano aspetti ground
glass o vetro smerigliato nelle fasi in cui abbiamo abbondanza di infiltrati infiammatori, fibrosi (opacità)
reticolare o lineare nelle fasi finali.

Esiti e complicanze:
 Restitutio ad integrum
 Pleuriti
 Insufficienza respiratoria cronica ingravescente
7
 Superinfezione batterica con polmonite alveolare
 Cuore polmonare
 Sarcoidosi
 Fibrosi e polmone a favo d’api (dilatazioni spazi alveolari). La possibile patogenesi della fibrosi si basa
originariamente sul danno a livello delle cellule alveolari (pneumociti di tipo I), le quali vanno incontro
a morte attivando fattori di crescita che inducono iperplasia degli pneumociti di tipo II e attivando i
miofibroblasti a produrre collagene.

Quadro microscopico di un polmone a “favo d’ape”: sono evidenti gli spazi microcistici; l’aggressione a
carico dell’epitelio induce il rilascio di fattori di crescita degli pneumociti di tipo II che vanno incontro ad
iperplasia, i miofibroblasti proliferano e aumenta la deposizione del collagene.

6.1 Sarcoidosi

La sarcoidosi è una malattia sistemica caratterizzata dalla presenza di granulomi come lesioni principali.
Indici biochimici di attività sierici e radiologici da un punto di vista anatomopatologico sono:
 Linfocitosi nel BAL in cui il rapporto CD4/CD8 è 10:1 (normalmente di 2:1).
 Elevazione dell'enzima ACE
 Captazione intratoracica del Gallio

La biopsia polmonare è utilizzata laddove la diagnosi clinica e radiologica non siano suggestive.
Il reperto istologico può essere dirimente in quanto permette di evidenziare le caratteristiche lesioni
granulomatose.

I granulomi generalmente appaiono di piccole dimensioni, non tendenti alla confluenza, spesso non
necrotizzanti, con cellule di Langhans (cellule multinucleate giganti di derivazione monocitica), da non
confondere con le cellule di Langerhans (le APC della cute).
All’interno dei granulomi sono anche presenti tipiche formazioni: i corpi asteroidi, i corpi di Schaumann
(concrezioni calcio-proteiche incluse nel citoplasma di cellule giganti multinucleate) ed anche macrofagi
epiteloidi e linfociti.

Generalmente si localizza a livello interstiziale e lungo le vie linfatiche che decorrono a fianco delle
diramazioni bronchiali principali e può evolvere in due modi: regredisce (spontaneamente o in seguito a
terapia) o progredisce in fibrosi con polmone con le caratteristiche aree a “favo d’ape”

La diagnosi differenziale comprende altre lesioni granulomatose, TB e altre lesioni granulomatose


infettive o da ipersensibilità.
La lesione granulomatosa della sarcoidosi non ha aspetti di specificità, escludendo tuttavia una ipotesi
infettiva.
Dal punto di vista radiologico, il pattern è quello dei noduli singoli o multipli

6.2 Polmoniti da ipersensibilità

Si sviluppano in seguito all'esposizione ad antigeni di varia natura. Si distinguono forme acute e subacute,
spesso diagnosticate come sindromi influenzali, e forme croniche, che si manifestano con insufficienza
respiratoria cronica e incremento delle Ig sieriche.
8
Istologicamente è presente flogosi linfocitaria, diffusa o nodulare. Si possono rilevare piccoli granulomi
non necrotizzanti e non confluenti e cellule giganti multinucleate.

Entra in diagnosi differenziale con: Sarcoidosi, TB, infezioni da micoplasma

6.3 Polmonite interstiziale su base infettiva


È una malattia acuta febbrile con coinvolgimento prevalentemente interstiziale nella quale manca la
semeiotica di una polmonite alveolare classica (non è presente essudato alveolare) e per questo è definita
atipica.
L’eziologia è prevalentemente infettiva da Mycoplasma, Clamidia, Klebsiella e una grande varietà di virus
come Adenovirus, virus dell’influenza, virus parainfluenzali, Herpes virus, EBV, Paramyxovirus, CMV,
Coronavirus e Hantavirus.

Le forme virali presentano caratteristiche tipiche:


 DAD (danno alveolare diffuso) Esso determina perdita del
rivestimento epiteliale di pneumociti alveolari, sostituito
da membrane ialine eosinofile che determinano la
compromissione degli scambi gassosi. Si tratta di una
lesione ingravescente con alta percentuale di gravità.
 Si associano a bronchiti o bronchioliti e a forme di
polmonite diffusa interstiziale
 Presentano infiltrati linfoidi perivascolari, noduli miliari o
noduli calcifici.

Dal punto vista istologico mostrano:


 infiltrati linfocitari interstiziali
 Necrosi e desquamazione dell’epitelio alveolare
(presenza di accumuli intra alveolari di macrofagi)
 Iperplasia degli pneumociti di tipo 2 (compensatoria in
seguito al danno di quelli di tipo 1)
 Possibili formazioni di membrane ialine ed evoluzione
estrema del danno alveolare diffuso

Di solito ciò che aiuta nella diagnosi è la presenza di inclusi


nucleari e/o citoplasmatici suggestivi del tipo di virus, ad
esempio:
 Herpes: presenta inclusi principalmente nucleari, in
particolare l’HSV è presente in cellule con nucleo almeno
20 volte più grande del normale.
 CMV: presenta entrambe le inclusioni, cellule atipiche negli spazi alveolari che sembrano degli
pneumociti di dimensioni e con nucleo aumentato (effettivamente possono rivestire tutto un
alveolo). Il nucleo appare ipercromico e sono presenti atipie cellulari
 Adenovirus nucleari
 Virus respiratorio sinciziale: presenta inclusioni citoplasmatiche ed è caratterizzato da cellule
multinucleate derivate da fusione, infatti la denominazione sinciziale deriva dal fatto che questo
virus va a costituire dei sincizi.
 Morbillo: multipli inclusi citoplasmatici in una sola cellula

Domanda di uno studente: Il quadro istologico del virus respiratorio sinciziale potrebbe andare in diagnosi
differenziale con una cellula gigante multinucleata?
Risposta: potrebbe andare in diagnosi differenziale, ma riesco a distinguerle perché nell’ RSV vedo cellule
sinciziali sparse nel parenchima che non formano granulomi e i nuclei non sono disposti in periferia come
succede invece nelle cellule giganti multinucleate.

6.4 SARS e SARS-Cov-2

Forma di polmonite acuta a focolai atipica con decorso grave causata dal Coronavirus.
La SARS determina l’insorgenza di focolai endemici importanti caratterizzati da un quadro di sindrome
respiratoria acuta severa associata a DAD.
9
Da un punto di vista istologico osserviamo un danno citopatico degli pneumociti di secondo tipo, cellule
giganti plurinucleate, membrane ialine giganti e nucleoli evidenti. Queste atipie nucleari possono
mascherare atipie da neoplasie.
Non ci sono differenze rispetto alle polmoniti da SARS-CoV-2
Si tratta di:
 una forma di polmonite acuta a focolai
 trombosi intravascolare di vario grado.
 danno alveolare diffuso in varie fasi di organizzazione
 modificazioni marcate con atipie degli pneumociti di tipo 2, plurinucleati con nucleoli evidenti e
cromatina diafana.
 non inclusi virali in grado di identificare il coronavirus
 A differenza della SARS c’è stata una rapida attivazione per lo sviluppo di anticorpi anti Covid19
con cui si può identificare il patogeno nel tessuto fissato

Per quanto riguarda il decorso clinico è vario e dipende da:


 Compromissione immunologica dell’ospite con possibile sovrainfezione batterica;
 Virulenza dell’agente infettante;
 Restitutio ad integrum;
 Grave evoluzione fino al decesso;
 Possibile andamento epidemico o pandemico.

Complicanze delle infezioni virali:


 Sviluppo di sovrainfezioni batteriche
 Microtrombosi diffusa capillare
 Evoluzione verso la fibrosi e pneumopatia restrittiva
Principali elementi diagnostici:
 Test molecolare su tampone nasofaringeo
 Quadro radiologico che inizialmente può essere sfumato ma progredisce verso lesioni a vetro
smerigliato
 Alterazioni microscopiche
Il danno alveolare diffuso è una reazione infiammatoria acuta che coinvolge sia gli endoteli che le cellule
epiteliali. Non è un quadro specifico infatti è riscontrabile in più situazioni. Il corrispettivo clinico del DAD
è la sindrome da distress respiratorio acuto. Dal punto di vista istologico si distinguono una fase essudativa
con congestione vascolare, una fase proliferativa e di organizzazione e una fase fibrotica.
L’eziologia comprende infezioni batteriche, virali, farmaci, tossine, shock, trauma, rigetto a trapianto,
patologie vascolari e forme idiopatiche.

NEUROPATOLOGIA (2)
LESIONI DELLE MENINGI

1.0 Cenni anatomici

Il cervello è circondato da tre membrane:


1. Pia madre: riveste completamente il parenchima cerebrale. Sono rare le patologie a questo livello, sebbene
esistano nicchie tra pia madre ed aracnoide che sono in stretto rapporto e in cui si possono avere lesioni
causate dalla proliferazione di cellule aracnoidee.
2. Aracnoide: è situata tra la pia e la dura madre. Tra la pia madre e l’aracnoide è presente lo spazio
subaracnoideo, estremamente vascolarizzato e in cui circola anche il liquor. Qui si concentrano la maggior
parte delle patologie, tra cui anche quelle emorragiche.
3. Dura madre: è una membrana fibrosa, acellulata e adesa alla teca cranica. Foglietto meningeo molto sottile
e acellulato.
Le meningi rivestono inoltre il tronco e il midollo spinale, fornendo un rivestimento completo di tutto il nevrasse: lesioni
delle meningi possono quindi essere sia sovratentoriali che sottotentoriali.

2.0 Tumori delle meningi

10
Il più importante è il Meningioma: è un tumore relativamente
frequente che nasce dalle cellule meningoteliali, ovvero cellule di
origine mesenchimale deputate alla formazione della meninge.
Esistono poi tumori di origine mesenchimale: il più importante è
l’Emangiopericitoma, detto anche Tumore Fibroso Solitario.
Tumori più rari appartenenti a questa categoria sono invece i
Fibrosarcomi, Leiomiosarcomi, Lipomi, Sarcoma di Ewing.
Le meningi possono presentare inoltre delle cellule pigmentate, di
tipo melanocitario; esistono quindi alterazioni anche a carico di
cellule melanocitiche, come ad esempio: Melanocitosi diffusa,
Melanoma, Melanocitoma. La diagnosi di queste ultime lesioni
può risultare piuttosto complessa, in particolar modo quella di
Melanocitoma, in quanto si tratta di una proliferazione
melanocitaria con caratteri di benignità che deve essere posta in
diagnosi differenziale con il Melanoma, anche se i criteri non sono stati ancora ben definiti.
Un’altra lesione che può interessare le meningi, soprattutto a livello della fossa posteriore, quindi a livello del
cervelletto, è l’Emangioblastoma, la cui origine é ancora discussa: si tratta infatti di un’entità diversa rispetto alle
lesioni primitive delle meningi.

Riassumendo i tumori delle meningi possono avere diversa origine e in base a questa possono classificarsi in:
• MENINGOTELIALI: sono i Meningiomi.
• MESENCHIMALI: nascono dal connettivo e sono lesioni molto rare. Quello di maggior interesse è il Tumore
Fibroso solitario/Emangiopericitoma.
• LESIONI MELANOCITICHE PRIMARIE: Melanocitosi, Melanoma, Melanocitoma; la diagnosi differenziale
può risultare particolarmente complessa.
• ALTRI: Emangioblastoma (non origina dalle cellule delle meningi)

2.1 Meningiomi

Rappresentano la maggior parte dei tumori cerebrali (vengono considerati cerebrali nonostante siano extrassiali):
sono importanti per la loro incidenza e frequenza, infatti si attestano fra il 35-40% di tutti i tumori cerebrali dell’adulto
e sono stati descritti per la prima volta da Cushing nei primi del Novecento.
Nel 90% dei casi sono tumori benigni con impatto clinico piuttosto blando, spesso scoperti in modo accidentale e
dal punto di vista scientifico poco studiati.
Si tratta di tumori extrassiali, ovvero non riguardano il parenchima cerebrale, ma il rivestimento esterno, ovvero le
meningi, anche se dal punto di vista dell’imaging sembrano tumori parenchimali, in quanto crescendo verso l’interno
esercitano un effetto compressivo sull’encefalo.
Nascono da cellule primitive aracnoidali, progenitrici della cellula meningoteliale: possiedono ancora delle
caratteristiche di staminalità e sono localizzate in nicchie vicine ai vasi delle meningi.
Possono dare origine a lesioni singole o multiple.

Dal punto di vista epidemiologico sono i più frequenti. Sono molto rari nei soggetti giovani e interessano l’adulto fra
i 50-60 anni e sono prevalenti nel sesso femminile, probabilmente perché la cellula meningoteliale esprime il recettore
per il progesterone e talvolta anche per gli estrogeni, risultando quindi suscettibile agli stimoli proliferativi ormonali
tipici del sesso femminile.
L’incidenza è di 2/3 casi ogni 100.000 abitanti.
Nel giovane sono più rari e la loro presenza suggerisce una probabile causa sindromica.

La distribuzione dei meningiomi a livello cerebrale è variabile.


Può essere sia sovratentoriale che sottotentoriale. I meningiomi possono essere ovunque, anche se si riscontrano
più frequentemente a livello della convessità, a livello sagittale e parasagittale.

Possono essere riscontrati, ciascuno con proprie caratteristiche a seconda della regione topografica anche nelle
seguenti regioni:
 Falce
 Base cranica: presentano caratteristiche morfologiche e molecolari particolari. Difficili da diagnosticare
 Fossa posteriore
 Orbite
 Midollo spinale: presentano caratteristiche istologiche e molecolari particolari
 Ventricoli: è difficile che esistano meningiomi intraventricolari puri poiché questi tumori sono sempre a
partenza dalle meningi. Pertanto, ad una ricerca più attenta, dovremmo essere in grado di trovare rapporti
in zona mediale o para-sagittale con le meningi; un’altra ipotesi suggerisce che questo rapporto non vi sia in
quanto il tessuto di origine del tumore potrebbe essere un residuo meningeo embrionale a livello ventricolare
 Ala dello sfenoide

11
Fondamentalmente distinguiamo però meningiomi sovra-assiali, della base cranica e della fossa posteriore.
È importante sottolineare che esiste una correlazione fra l’istotipo, le alterazioni molecolari e la sede di insorgenza
di queste lesioni.

Presentazione all’imaging: La TC e la RMN possono dare delle informazioni molto importanti per la diagnosi.
Sebbene la TC venga ancora effettuata in Pronto Soccorso per la sua semplicità, è l’RMN a rappresentare l’esame
più approfondito e importante per porre diagnosi di Meningioma. Sono visibili lesioni ipointense in t1 mentre possono
essere iso/iperintense in t2.
Alla TC sono visibili aree omogenee con una presa di contrasto a tutto campo, mentre a livello dell’RMN la
caratteristica più importante é il rapporto con la dura madre: un ispessimento durale accanto al nodulo neoplastico
definito dural tail, ben visibile dopo somministrazione di gadolinio e che è molto suggestivo per la diagnosi di una
lesione extrassiale, cioè di un meningioma. Dal punto di vista del prelievo questa area interessa per valutare
l’eventuale infiltrazione del parenchima cerebrale.
L’ispessimento leptomeningeo periferico è quindi segno di un’origine dalle meningi con crescita compressiva sul
parenchima cerebrale.
Ovviamente la forma e la disposizione del meningioma variano a seconda dell’area in cui la lesione cresce.
Nel caso in cui siano visibili meningiomi intraventricolari verosimilmente queste lesioni hanno rapporti con le meningi
della base cranica che nel crescere oscurano. [nds. il Prof sostiene di non credere all’esistenza di veri e propri
meningiomi intraventricolari primitivi, anche se in letteratura ne sono stati descritti.]

L’aspetto macroscopico è molto variabile, dipende dalla sede di insorgenza del meningioma.
I meningiomi possono quindi essere:
• Nodulare: lesioni ben definite, ben delimitate. Si trovano in sede sovra-tentoriale, in quanto il tumore a partire
da una convessità può espandersi verso il parenchima.
• A placca: base cranica, poichè lo spazio anatomico limitato ne influenza la forma
• Fusiformi: base cranica.
La forma è dettata dalla regione anatomica perché il meningioma nasce e si sviluppa in una determinata sede. Si
sviluppa dove trova delle vie anatomiche preferenziali. È un tumore di basso grado che non infiltra ma tende a
diffondersi.
Talvolta è difficile stabilire quando la lesione infiltra e quando diffonde. Se vi sono dei canali anatomici pre-esistenti
che vengono colonizzati, come nel caso del meningioma di basso grado (grado I), si può parlare di diffusione.

12
Esiste ovviamente un rapporto fra l’aspetto macroscopico e l’istotipo.
I meningiomi sono dei tumori estremamente eterogenei che presentano quindi istotipi variabili. A seconda dell’istotipo
si hanno caratteristiche macroscopiche diverse.
Per esempio, il meningioma psammomatoso si caratterizza per avere delle estese calcificazioni, visibili alla TC, e a
livello macroscopico si presenta con una consistenza aumentata, piú dura al tatto. Il microcistico invece, essendo
una massa molto più soffice, costituita da cavità microcistiche, avrà una consistenza più gelatinosa.

È importante valutare la consistenza: questa può suggerire alcune caratteristiche del meningioma; se è molto duro
o stride quando viene tagliato, questo è suggestivo per la presenza di calcificazioni (come nello psammomatoso); se
la consistenza è spugnosa e gelatinosa, il meningioma potrebbe essere microcistico; se risulta molto cellulato e
fascicolato, potrà essere fibroblastico.
Se sono presenti cavitazioni cistiche necrotiche, queste indicano invece un istotipo maligno.

L’aspetto istologico, macroscopico e clinico sono quindi tutti connessi fra di loro, motivo per cui l’aspetto
macroscopico può essere suggestivo del grado del meningioma:
 Grado I o tipico: tumore benigno di morfologia generalmente polilobulata, facilmente enucleabile tramite
exeresi radicale al fine di evitare recidive. La forma nodulare, tipica delle convessità, cresce in forma sferica.
Al taglio presenta una superficie molto omogenea senza aree riferibili ad angiogenesi, emorragie e aree di
necrosi. Il 90% dei meningiomi è ascrivibile a questa categoria.
 Grado II o atipico: tumore di forma irregolare ed eterogena, fermamente adeso alla dura madre, spesso
presentante aree necrotiche di colore giallastro oppure aree emorragiche. L’aspetto non ben delimitato é
indice di infiltrazione del parenchima cerebrale. Talvolta questo tumore può essere asportato compreso con
la dura madre. Viene poi orientato e chinato per valutare se durante escissione è stato rimosso parte del
parenchima e se questi lembi sono infiltrati da malattia.
 Grado III o anaplastico: tumore maligno di forma irregolare, con margini non ben delimitati. Sono presenti
anche qui aree di necrosi ed emorragiche.
Il professore sottolinea come il meningioma di grado I possa essere un reperto incidentale rilevabile in sede autoptica
in pazienti morti per altre cause. Il paziente inoltre non presentava alcuna sintomatologia.

L’aspetto microscopico è estremamente variegato.


L’istotipo più frequente, ovvero il meningioma meningoteliale, è caratterizzato da cellule grandi chiamate “cellule
meningoteliali”.
Nel meningioma fibroblastico, anche esso molto frequente, le cellule hanno invece una forma più affusolata, simile
a quella delle cellule mesenchimali.

Le caratteristiche peculiari presenti in ogni istotipo sono:


• cellule tonde-poligonali con ampio citoplasma eosinofilo
• nuclei tondi o ovali tendenzialmente centrali, non tipicamente ipercromico che non mostra nucleolo nel grado I
• pseudo-inclusi nucleari: reperto suggestivo di meningioma
• il nucleo ipercromico e la comparsa del nucleolo sono fattori di grading importanti perché indicano che il tumore ha
un’aumentata attività trascrizionale
• tipico soprattutto dell’istotipo meningoteliale è aspetto “whirling” (vorticoso): le cellule possono a volte disporsi
intorno ad un lume che diventa calcifico, tuttavia la maggior parte delle volte non si tratta di una disposizione
perivascolare e la vorticosità dipende esclusivamente dalla crescita in questo modo delle cellule
• tipico dell’istotipo fibroso: aspetto fibroblastico con cellule fusate distribuite in fasci tra loro intersecanti. Anche il
nucleo è allungato, fusiforme.

13
Esistono quindi tanti istotipi diversi che si correlano a diversi comportamenti clinici, a risposte alla terapia diverse e
all’eterogeneità molecolare.

I tre istotipi più frequenti, che rappresentano fino al 70-80% di tutti i meningiomi, sono:
 Meningoteliale: è il più frequente
 Fibroblastico o fibroso: è il secondo istotipo più frequente
 Transizionale o misto: bifasico in parte meningoteliale e in parte fibroblastico

Per fare diagnosi si valuta quale dei due aspetti è predominante:


 Meningioma meningoteliale: prevale aspetto meningoteliale
 Meningioma fibroblastico: prevale aspetto fibroblastico
 Meningioma transizionale: le due componenti possono essere 50-50/60-40/70-30

Gli istotipi meno frequenti invece sono:


 Psammomatoso: aspetto più calcifico a causa della presenza di corpi calcifichi concentrici definiti corpi
psammomatosi. Questi nascono dal processo di whirling in cui una quota di cellule invecchia e degenera,
andando verso un processo di calcificazione. La forma pura è rara e l’aspetto psammomatoso può essere
presente nel contesto del meningioma meningoteliale con la presenza di calcificazioni ad anelli concentrici
(la cellula meningoteliale calcifica e si forma il corpo psammomatoso).
 Angiomatoso: é la componente vascolare ad essere la piú rappresentata. I vasi non sono normali ma
presentano una parete ialina ispessita che la rende piuttosto fragile e suscettibile a rotture a cui si associano
aree emorragiche che portano a una rapida espansione della lesione. Possono assumere un aspetto
emangioma-like, in quanto sono addossati l’uno all’altro, hanno delle dismetrie importanti. Fra un vaso e
l’altro è comunque presente la cellula meningoteliale, che con le proprie caratteristiche citologiche e
immunofenotipiche permette di fare diagnosi. È sempre di grado I.
 Microcistico
 Secretorio: la cellula produce materiale eosinofilo amorfo che si accumula nel contesto della proliferazione
neoplastica.
 Linfoplasmacitico: cellule con nucleo a carro di ruota tipico delle plasmacellule, la prognosi è piuttosto
buona, verosimilmente perché si ha una risposta immunitaria piuttosto importante che accompagna la
proliferazione neoplastica. Grado I.
 Metaplasico: presenza di metaplasia mesenchimale, soprattutto adiposa, in quanto la cellula progenitrice
del tumore è di tipo mesenchimale; ci può essere anche metaplasia condroide, ma è rara e presenta
calcificazioni che ricordano quasi il tessuto osseo.
 Cordoide: è molto disgregato, cresce in una matrice lassa, mixoide, che porta le cellule ad orientarsi in
cordoni. In caso di sviluppo in una sede non usuale (ad esempio a livello della base cranica) deve essere
posto in diagnosi differenziale con il cordoma. Sono sempre di grado II.
 Rabdoide: le cellule hanno un citoplasma più ampio e il nucleo risulta spinto a lato perché nel citoplasma si
ha l’accumulo di una sostanza eosinofila, che conferisce alle cellule un aspetto rabdoide. È un istotipo
maligno e aggressivo, sempre di grado III.
 Clear cell: esistono meningiomi di tipo Clear cell, anche se possono essere trovate aree clear cell anche in
meningiomi con istotipo diverso. Sempre grado II.
 Papillare: sempre grado III.

2.2 Grading e istotipo dei meningiomi

 Meningiomi cordoide e clear cell: sono sempre di grado II, indipendentemente dai parametri di grading.
 Meningiomi papillare e rabdoide: spesso sono frammisti fra di loro e sono sempre di grado III. Ovviamente
anche un meningioma meningoteliale può essere di grado III ma deve presentare determinate caratteristiche
di malignità.
I restanti istotipi elencati non hanno correlazione con il grado che bisogna stabilire.
Oltre al grading, i meningiomi possono essere suddivisi in classi di rischio in base al comportamento clinico. Queste
classi di rischio sono legate all’aggressività biologica e alla frequenza con cui questi tumori danno recidive o
metastasi.
È molto raro che i meningiomi diano metastasi, ma recidivano localmente: il rischio di recidiva é dettato dal l’istotipo
e dal grading. Sono perciò suddivisi in meningiomi a:
 Basso rischio di recidiva
 Moderato rischio di recidiva
 Elevato rischio di recidiva
I meningiomi di grado II presentano un’elevata probabilità di recidivare, mentre i meningiomi di grado III recidivano
praticamente sempre.

Criteri di grading:

14
Nel WHO del 2016 è stato introdotto il concetto di invasione cerebrale: quando l’invasione del parenchima è
evidente istologicamente permette di fare diagnosi di meningioma di grado II.
É un criterio che da solo permette di fare diagnosi di grado II.

Altri criteri di grading sono:


 Conta mitotica:
o <4 mitosi / 10 campi: grado I
o 4-19 mitosi / 10 campi: grado II
o >di 20 / 10 campi: grado III.
 Criteri ausiliari (devono essere almeno 3 combinate):
o Aumentata cellularità con crescita solida del tumore
o Presenza di una componente a piccole cellule: Aumento del rapporto tra le dimensioni di nucleo e
citoplasma
o Nucleoli diffusamente prominenti
o Presenza di necrosi tumorali
La presenza di almeno 3 criteri ausiliari permette di fare diagnosi di meningioma di grado II anche in assenza
di una conta mitotica superiore a quattro per dieci campi.
L’indice di proliferazione o MIB invece non fa parte del grading ma viene eseguito comunque:
 Grado I: MIB del 4-5%
 Grado II: MIB del 8-10%
 Grado III: MIB del 15-20%

Queste informazioni sono importanti per la gestione clinica del paziente:


 Meningioma di grado I: 80-90% dei meningiomi. Si procede con intervento chirurgico di rimozione del
tumore
 Meningioma di grado II: aumentati negli ultimi anni a causa dei diversi criteri stabiliti da WHO 2016. Si
procede con intervento chirurgico di rimozione del tumore e eventuale radioterapia. Si può optare per un
approccio wait and see dopo l’intervento nel caso in cui le caratteristiche cliniche del tumore siano blande.
 Meningioma di grado III: intervento chirurgico seguito da radioterapia e chemioterapia.

2.3 Brain invasion


Le diagnosi di grado II, dopo il 2016 sono più frequenti per l’introduzione nel WHO del brain invasion come criterio
sufficiente per diagnosi di grado II. Questo criterio, si è visto, correla con un aumento statisticamente significativo
di rischio di recidiva. L’invasione cerebrale è però difficilmente documentabile dal punto di vista radiologico, anche
se i radiologi cominciano ad affermare che i meningiomi che producono un importante effetto edema nel parenchima
circostante statisticamente hanno una maggior probabilità di dare invasione cerebrale. È un criterio “blando” da un
punto di vista neuroradiologico che necessita di una conferma istologica.
L’invasione cerebrale deve essere documentata dal patologo, il problema è che essa dipende da tutta una serie di
variabili come: l’orientamento del pezzo, i piani di taglio, quindi a volte può sfuggire alla diagnosi.

Dal punto di vista istologico, l’identificazione dell’infiltrazione è facilitata della standardizzazione della metodica di
campionamento del pezzo. In alcuni casi la brain invasion è evidente: si trovano gettoni neoplastici circondati da
parenchima cerebrale, in seguito a colorazione GFAP (GFAP rende marrone il parenchima cerebrale mentre il
meningioma è negativo alla colorazione).
Ci sono poi casi molto difficili da valutare, in cui il confine può essere difficile da cogliere.
Può esserci infine anche un problema di taglio e degli artefatti da orientamento: se una parte di parenchima cerebrale
risulta staccato dal resto, questo potrebbe sembrare incluso nella lesione anche se non lo è.
L’approccio del patologo è la valutazione di altri criteri come numero mitotico, la presenza di atipie e altri aspetti
secondari. Definire il grado I piuttosto che II cambia in maniera sostanziale il futuro trattamento del clinico. Talvolta,
in queste situazioni confuse si preferisce stabilire la lesione di grado I con richiesta di follow up più stretto piuttosto
che indirizzare il clinico di fronte a un grado II che implica la scelta di trattamento con radioterapia.
Nel pezzo operatorio, in genere, il parenchima cerebrale non è presente in quanto il meningioma si enuclea bene.
Se invece nel prelievo si trova del tessuto cerebrale, probabilmente il tumore era ben adeso al parenchima
dell’organo e questo ne ha reso più difficile l’enucleazione, rendendolo di grado II.

2.4 Meningioma di tipo II o Atipico


I criteri per identificare questo tipo di meningioma sono: pattern diffuso, sheeting (perdita di architettura cellulare
tipica del meningioma), a volte è possibile riscontrare anche necrosi e soprattutto vi può essere infiltrazione del
parenchima cerebrale.
È importante valutare anche la necrosi che nel grado I non c’è se oppure è di tipo ischemico mentre nel grado II è di
tipo cellulato ossia tumorale. È facilmente distinguibile perché la necrosi ischemica è di tipo emorragico mentre la
necrosi tumorale rende ben visibile la cellularità.
15
È bene sottolineare come l’indice di proliferazione vada di pari passo con il numero di mitosi che vengono
riscontrate quindi, in situazioni con più di 4 mitosi/10 campi, il MIB supera anche 8/9/10%. Un’altra caratteristica
importante è l'espressione di alcuni marcatori: in precedenza, è stato detto che il meningioma è positivo per il
recettore del progesterone, tuttavia quando il meningioma inizia ad essere più aggressivo, tende a perderne
l'espressione. Quindi nei meningiomi di grado I si riconosce, nella quasi totalità dei casi, una positività ai recettori del
progesterone; nei meningiomi di grado II si inizia ad avere una positività eterogenea con aree negative; nel grado III,
quasi sempre, il tumore è negativo per questo tipo di recettore. A volte anche nel grado II conclamato non si ha
espressione dei recettori per il progesterone). L’assenza del recettore per il progesterone è quindi un altro criterio
che permette di dire che si è davanti verosimilmente ad un meningioma di grado maggiore rispetto al I e più invasivo,
quindi almeno di grado II. La terapia va valutata caso per caso, a seconda delle caratteristiche della lesione e oltre
alla chirurgia potrà essere associata anche la radioterapia.

Ci sono istotipi particolari che vengono classificati come meningiomi di grado II, indipendentemente dagli
altri criteri di grading. È importante distinguere l’aggressività biologica (in base al numero di mitosi etc)
dall’aggressività dovuta al grading.
• CLEAR CELL (a cellule chiare): istotipo con cellule che presentano citoplasma debolmente eosinofilo o
chiaro perché ricco di glicogeno, lo stroma è ialino ed è distribuito tra le cellule.
Un meningioma che contiene una componente clear cell viene definito di grado II solo quando questo istotipo
rappresenta la maggior parte del tumore.
• CORDOIDE: è più raro. La diagnosi differenziale è difficoltosa, poiché possiede uno stroma mixoide-mucoide
con aspetto secretorio e cellule che si distribuiscono in cordoni e a piccoli nidi, caratteristiche che ricordano
l’architettura del cordoma (lesione molto più aggressiva e infiltrante che si sviluppa soprattutto a livello della
parte terminale della cauda equina e del clivus della base cranica). Biologicamente il cordoma appare con
aspetto blando, con indice proliferativo basso, eppure ha un’alta capacità di infiltrazione.

2.5 Meningioma di grado III o maligno anaplastico

Riprendendo quanto detto in precedenza, gli istotipi sono molto utili per l’identificazione; ad esempio se si fa diagnosi
di clear cell o cordoide oppure diagnosi di rabdoide o papillare, si è già in grado di dire se è grado II piuttosto che
grado III. Nella prima immagine viene mostrato un meningioma a cellule chiare che ha come principali caratteristiche:
citoplasma chiaro perché iperglicogeno, stroma con bande ialine; viene poi mostrato un meningioma cordoide,
riconoscibile perché immerso in una matrice mixoide lassa con crescita di cellule disposte verosimilmente in filiera.
Tutte caratteristiche che permettono di affermare con certezza che è un grado II.
Nel grado III o anaplastico, ossia quello che se è fibroblastico o meningoteliale deve avere queste criteri: soprattutto
necrosi, attività mitotica >20 mitosi /10 campi, elevato indice proliferativo (MIB-1>15%), cellule molto atipiche, aspetto
micro-cistico, perdita del recettore per il progesterone e dell’EMA (in tutto o parzialmente), può in alcuni casi
esprimere la vimentina che, soprattutto nei meningiomi più aggressivi, viene generalmente over-espressa.
Il rabdoide è molto positivo alla vimentina e ciò fa pensare che tumori meningiomi molto aggressivi perdano la
differenziazione in senso meningoepiteliale andando verso una differenziazione più mesenchimale. Se invece si
documenta il fatto che il meningioma è rabdoide o papillare è di grado III, indipendentemente dagli altri criteri.
Le varianti istologiche che se presenti definiscono il grado III indipendentemente dalle altre caratteristiche del grading
sono:
- Meningioma Papillare: presenta papille con un asse fibrovascolare intorno al quale si distribuiscono le cellule
- Meningioma Rabdoide: è caratterizzato da cellule con citoplasma glassato, importante eosinofilia e nucleo
decentrato.

La frequenza di recidive è un parametro importante perché è correlata con l’istotipo e con il grado del meningioma.
In base a ciò la sede e la radicalità chirurgica influenzano la recidività.

2.6 Opzioni terapeutiche

• Chirurgia: terapia d’elezione. Un meningioma piccolo può non essere rimosso, se invece presenta
dimensioni elevate tali per cui per effetto massa ed edema causa sintomatologia clinica si procede
all’asportazione.
• Radioterapia: nel grado II + follow up
• Wait and see: per i tumori di grado I e nei casi in cui l’anatomopatologo sia indeciso se assegnare un grado
I o un grado II (in questo caso è consigliabile un follow up più stretto)
• Target therapy: farmaci nuovi specifici soprattutto per i gradi II e III

L’outcome per i meningiomi è buono: circa il 91% dei pazienti operati con meningioma di grado I è dichiarato libero
da malattia dopo cinque anni; si ha poi una percentuale di pazienti che recidiva ma questo dipende da come è stata
la resezione chirurgica (completa o non completa) e quindi dalla radicalità dell’intervento, dall’istotipo.

16
2.7 Pattern genetici
I meningiomi sono stati poco studiati da questo punto di vista perché sono, nella maggioranza dei casi, tumori benigni.
Quando, quindi, un ricercatore deve scegliere cosa studiare, studia un tumore maligno perché ha un maggiore
impatto dal punto di vista sociale ed emotivo, sia perché la possibilità di farsi finanziare uno studio sul glioblastoma
(tumore maligno) è decisamente maggiore rispetto alla possibilità di farsi finanziare un progetto sui meningiomi,
anche perché questi si risolvono mediante rimozione chirurgica.

Il professore mostra poi una review presa da Lancet Oncology in cui viene evidenziato un algoritmo di approccio
diagnostico del paziente con meningioma che considera una serie di fattori tra cui l’aspetto istologico e il grading
dell’anatomopatologo, quest’ultimo molto importante perché detta l’atteggiamento clinico successivo (wait and see
oppure radioterapia, …).

In generale, alcuni meningiomi recidivano e altri no, indipendentemente dal grading; esistono diverse motivazioni
ma, fra queste, l’aspetto molecolare è il più importante. Concentrandosi quindi sull’aspetto molecolare sono state
riscontrate diverse mutazioni nei meningiomi ma noi tratteremo solo le principali.

 I meningiomi di grado I sono tutti meningiomi che hanno un accumulo progressivo di alterazioni molecolari,
soprattutto a carico del gene NF2 (gene della neurofibromatosi di tipo II).
 Nei meningiomi di grado II e grado III compaiono poi mutazioni anche diverse, come ad esempio quella a
carico di BAP1. In generale, la maggior parte di queste lesioni è accomunata dalla mutazione a carico di
NF2, infatti i pazienti con neurofibromatosi di tipo 2 sviluppano meningiomi. I meningiomi sporadici, ovvero
in pazienti che non hanno la fibromatosi, spesso hanno comunque una mutazione somatica a carico dello
stesso gene; questo implica quindi che il gene NF2, se mutato, abbia un ruolo cruciale nello sviluppo del
meningioma.

Esistono poi altre mutazioni che sono invece presenti solo in alcuni istotipi:
- Meningioma Rabdoide: mutazione di BAP1 (mutazione che si ritrova poi comunque in altre situazioni, ad
esempio nel mesotelioma. Il mesotelioma però nasce dal mesotelio che, come il meningotelio, è un
rivestimento e nascono entrambi da una cellula mesenchimale; si può quindi affermare che in qualche modo
sono imparentati sotto questo punto di vista). BAP1 è patognomonico di rabdoide.
- Meningioma Secretorio: KLF4 e TRAF 7 mutati contemporaneamente sono patognomonici.
- Meningioma Clear Cell: mutazione di SMARCE1, che non viene espresso. Abbiamo a disposizione
l’immunoistochimica con anticorpo che riconosce il prodotto del gene SMARTCE1. Quando non è espresso,
nelle cellule neoplastiche, siamo in una situazione in cui verosimilmente è mutato.

Si può fare una prima classificazione dal punto di vista molecolare dividendo i meningiomi in due categorie:
- MENINGIOMI NF2 MUTATI
- MENINGIOMI NON NF2 MUTATI
La maggior parte dei meningiomi sono NF2 mutati. Si tratta di mutazioni di tipo somatico ed identificano due classi
mutual esclusive (una esclude l’altra), che presentano pattern molecolari distinti.

2.8 NF2 o gene delle neurofibromatosi di tipo 2


NF2 è un gene molto grosso che mappa sul cromosoma 22 ed è chiamato anche gene MERLIN; la neurofibromatosi
di tipo 2 è quindi una patologia caratterizzata da una mutazione a livello del braccio lungo M; può essere una
mutazione con perdita di materiale codificante (mutazione loss of function che portano alla formazione di proteine
tronche) oppure una delezione puntiforme o una mutazione missenso.
NF2 è coinvolto sia dal punto di vista germinale (nella neurofibromatosi) che somatico (nei meningiomi).
È un gene che si presenta mutato in più del 50% dei pazienti con neurofibromatosi che sviluppano meningiomi a
volte multipli e aggressivi, oltre ad altri tumori, tra cui lo schwannoma bilaterale del nervo acustico (elemento
patognomonico della neurofibromatosi di tipo 2). La presenza di meningiomi in pazienti giovani spesso è
contemporanea alla familiarità per neurofibromatosi, ma è importante considerare che la neurofibromatosi può non
essere stata ancora diagnosticata o non presentare familiarità (nel caso in cui il soggetto sia il primo componente
della famiglia col gene mutato) e pertanto l’eventualità di questa sindrome deve essere indagata.
Esistono comunque caratteristiche cliniche abbastanza suggestive di questo tipo di sindrome, e si ha inoltre la
possibilità di fare diagnosi molecolare (effettuata anche a Brescia).

CASO CLINICO: Paziente di 37 anni presentante familiarità per NF2 mutato e affetto da neurofibromatosi. Ha
sviluppato schwannoma bilaterale del nervo acustico e meningioma in sede sovratentoriale, che, sebbene sia stato
resecato chirurgicamente, sottoposto a radioterapia post-intervento e monitorato in follow up, è andato comunque in
progressione e si è quindi poi ripresentato nel tempo. Si può dedurre che questi meningiomi, insorti in pazienti con
neurofibromatosi, sono spesso meningiomi aggressivi, perché il paziente, avendo già una mutazione di base di tipo
17
germline (è quella di tipo NF2), ha una possibilità che poi si sommino altre mutazioni successive molecolari somatiche
nello stesso tumore maggiore rispetto ad un individuo che non ha la neurofibromatosi. Questi tumori sono quindi
molto più instabili dal punto di vista molecolare ed in genere questo determina anche una maggiore aggressività.
In particolare, il tumore di questo paziente (n.d.s. identificato dal prof stesso) presentava aree di meningioma
classico; aree in cui il meningioma era chiaramente di grado II, con conta mitotica elevata; aree molto più pleomorfe
ed atipiche, con aspetto quasi rabdoide (pur non essendo di istotipo rabdoide poiché non presentava BAP1 mutato).
Il tumore infiltrava il parenchima cerebrale e la teca cranica; presentava aree di necrosi e MIB elevato; presentava
inoltre perdita di espressione del recettore EMA, marcatore che difficilmente i meningiomi perdono (diversamente
dai recettori per il progesterone). Sono quindi meningiomi di forma molto più aggressiva e che vanno incontro a
recidive più frequenti nel tempo.

Il paziente del caso clinico precedente ha infatti poi fatto altri meningiomi (a livello della falce e in altra sede),
sottoponendosi ad altri 3-4 interventi di resezione chirurgica, e contemporaneamente è andato incontro a
progressione degli schwannomi.

Il 50% dei meningiomi presenta la mutazione di NF2, indipendentemente dal fatto che essa sia una mutazione
germline (pazienti con neurofibromatosi di tipo 2) oppure somatica. In una buona percentuale di questi pazienti, alla
mutazione di NF2 si associa anche la mutazione del gene SMARCB1 (proteina INI1) ed in tal caso, quando queste
due mutazioni si combinano, possono portare a meningiomi aventi maggiore aggressività, tendenzialmente infatti
sono di grado II. Una sola mutazione somatica dell’NF2 non necessariamente conferisce questo tipo di aggressività.

2.9 Meningiomi non NF2 mutati


Il professore mostra poi un lavoro pubblicato nel 2013 su Science, dove viene effettuata un’analisi molecolare di
un’ampia casistica di meningiomi. Da questo studio emerge che la mutazione NF2 è mutualmente esclusiva con altre
mutazioni (introdotte nel 2013 proprio con questo lavoro) che sono presenti frequentemente nei meningiomi che
devono però quindi essere non NF2 mutati. Si tratta di due pathway diversi di oncogenesi. Queste mutazioni sono a
carico del gene KLF4, del gene AKT1 e del gene SMO.
 AKT1 è un gene che fa parte dei pathways di proliferazione cellulare. Correla con istotipo meningoteliale e
transizionale più blandi e quasi sempre di grado I. Quindi, quando mutato, porta ad una situazione di
iperproliferazione, iperattivazione metabolica e costitutiva del gene; quindi è una mutazione con gain of
function.
I meningiomi non NF2 mutati e AKT1 mutati, nel 30% dei casi, si localizzano a livello della base cranica
(diversamente dai meningiomi NF2 mutati che tendono a localizzarsi a livello sovratentoriale).
 SMO è un gene che mappa sul pathway di Sonic Hedgehog e, in una buona percentuale di casi, determina
meningiomi meningoteliali con topografia a livello della base cranica.

Ricapitolando, esiste una correlazione tra gene mutato e istotipo:


 Mutazioni ATK1 e SMO: si correlano molto bene con l’istotipo meningoteliale e transizionale
 Mutazioni NF2: sono spesso meningiomi fibroblastici.

Iniziano quindi ad esserci anche delle correlazioni dal punto di vista istologico tra NF2 e istotipo fibroblastico; e tra
AKT1 e SMO ed istotipo non fibroblastico, meningoteliale e transizionale.
Il professore mostra quindi il lavoro che ha introdotto queste mutazioni, sottolineando come questo dimostri che
esistano anche dei marcatori che, in assenza di un’indagine molecolare, possano suggerire, a seconda della loro
presenza/assenza, il fatto che ci sia o non ci sia un determinato tipo di mutazione. Ad esempio, facendo una
colorazione con GABA1 (anticorpo che individua le cellule che attivano il pathway di Sonic Hedgehog) si individua
un meningioma mutato in SMO, che presenta un pattern overspresso di questo tipo di marcatore; permette quindi di
ottenere una prova indiretta della presenza della mutazione.

Altri due geni importanti sono il TRAF7 e KLF4, geni che si ritrovano mutati sempre in meningiomi non NF2 mutati e
che, se presenti contemporaneamente, sono patognomonici del meningioma di tipo secretorio. La mutazione di
TRAF7 può essere presente anche in altri istotipi, ma non in associazione con mutazioni di KLF4

 TRAF7: mutazioni a carico di questo gene sono spesso associate a mutazioni di KLF4. La mutazione è
anche presente in circa altri 25% dei meningiomi di grado I e II e dà caratteristiche di aggressività.

 KLF4: è presente solo ed esclusivamente nel meningioma di tipo secretorio (grado I) e talvolta si associa
con la mutazione di TRAF7

Esistono poi altre mutazioni che si stanno scoprendo progressivamente negli ultimi anni. Il professore mostra quindi
uno studio pubblicato dopo il WHO del 2016 che identifica altre mutazioni che possono essere presenti sul pathway
di AKT1, SMO, etc e che presentano, come caratteristica ricorrente, l’essere mutual esclusive nei confronti della
mutazione di NF2.
Un altro gene che è stato trovato mutato in una specifica popolazione di meningiomi, i meningiomi del tuberculum
sellae, è il gene POLR2A. (E’ un gene che produce una DNA polimerasi).
18
CASO CLINICO 2 (2012):
(n.d.s. Il professore si limita a mostrare le slide per presentare il caso, non avendole, riporto la descrizione fatta lo
scorso anno)

Paziente giovane con lesione molto estesa alla base cranica (sfenoide, ala dello sfenoide e clivus), di difficile
interpretazione dal punto di vista clinico e neuro-radiologico.
Il neuroradiologo definisce la lesione come sarcomatosa e potrebbe essere un cordosarcoma; alla biopsia ci sono
cellule morfologicamente monotone, con ampio citoplasma glassato debolmente eosinofilo e con nucleo decentrato
e sviluppato solo da una parte: questi elementi fanno pensare ad un meningioma rabdoide (questo potrebbe anche
spiegare il profilo radiologico aggressivo).
All’immunoistochimica, la lesione risulta EMA-negativa, perdita di E-caderina (marcatore che, se perso, è sinonimo
di aggressività del tumore), recettore del progesterone-negativa e citocheratina-negativa (potrebbe essere un
meningioma avanzato che ha perso l’espressione di questi marcatori), MIB-1 8/10%.
Non c’è nessun marcatore che suggerisca che si tratti di un meningioma; la diagnosi sulla piccola biopsia è di un
probabile meningioma rabdoide, ma questa va verificata su un campione operatorio più grande.
Dopo aver operato il paziente, su un campione più grande, ci sono ancora aspetti che suggeriscono la presenza di
un meningioma rabdoide. L’EMA è focalmente espresso e il tumore è vimentina-positivo (questo marcatore può
comparire in meningiomi di alto grado, specialmente nell’istotipo rabdoide).
La diagnosi finale è di meningioma rabdoide di tipo III. Il paziente viene quindi operato e trattato con radioterapia.
Nel 2013, durante il follow up, si trova un residuo della componente neoplastica solida (la resezione era stata
subtotale) e si mantiene il paziente in osservazione.
Nel 2017, il paziente si presenta con lesioni nodulari in entrambi i campi polmonari, suggestive o di un tumore
primitivo o di una metastasi del meningioma del 2013. Il paziente viene quindi operato e in un nodulo si trova un
aspetto rabdoide, pertanto la lesione è una metastasi, avendo lo stesso fenotipo del tumore primitivo. A posteriori è
stata poi verificata e confermata la presenza di mutazione di BAP1.

BAP1: è il prodotto di un gene che può essere mutato nei meningiomi e la mutazione ne determina una mancata
espressione (normalmente è costitutivamente espresso). Questa mutazione è frequente nel meningioma rabdoide
(viene usato come marker) e può essere presente anche nei mesoteliomi.
Correla con una prognosi peggiore, in quanto questi tumori sono più aggressivi e possono dare metastasi.
Adiacente al nodulo BAP1 mutato, ossia alla metastasi del meningioma primitivo, è stato trovato un ulteriore
aggregato di cellule meningoteliali. Quest’ultimo presentava recettori per il progesterone, per EMA e BAP1, quindi si
è escluso fosse un’ulteriore metastasi del meningioma e si è stabilito essere semplicemente un aggregato di
iperplasia nodulare riferibile ad aspetti meningoteliali che, può capitare, venga riscontrato a livello polmonare. Se
non ci fosse stato il meningioma primitivo al cervello, si sarebbe stati legittimati a pensare che il meningioma rabdoide
a livello polmonare fosse un meningioma primitivo nato da questi aggregati meningoteliali. Sono stati infatti descritti,
in letteratura, meningiomi extracranici primitivi a livello di diversi apparati e fra questo l’apparato respiratorio è il
principale. Probabilmente nascono da cellule mesenchimali differenziate in senso aracnoidale.

La cellula meningoteliale nasce da una cellula mesenchimale staminale che differenzia poi o in senso meningoteliale
nelle meningi, oppure in senso mesoteliale nel mesotelio o a livello della pleura, però la cellula di origine è la
medesima. A volte queste cellule possono differenziare in senso abnorme, in una serie che non è la propria. Ad
esempio, si può trovare una differenziazione in senso meningoteliale a livello addominale o a livello pleurico, quando
non dovrebbe essere così e questo è determinato appunto dal fatto che la cellula di origine è la stessa e giustifica il
fatto che anche in queste sedi si possa trovare un’iperplasia meningoteliale o addirittura un meningioma.

Un’ultima mutazione da ricordare riguarda la mutazione della molecola TERT che serve per l’allungamento dei
telomeri. È riscontrabile in moltissimi altri tumori tra cui i meningiomi ed è indice di maggiore aggressività. Fino al
20% dei gradi III possono avere mutazione di TERT.

In conclusione, si analizza la correlazione tra gene e istotipo e la correlazione stretta tra istotipo ed topografia:
 meningiomi della convessità: meningiomi NF2
 meningiomi della base cranica: meningiomi non NF2
 meningioma del midollo: clear cell con mutazione SMARCE1, non NF2 mutati
Oggi non ci si limita a indagare la mutazione dei geni ma se questi sono metilati o no (accesi o spenti). Il profilo di
metilazione correla in maniera molto affidabile con le varie famiglie dei tumori, incluso i meningiomi.

19

Potrebbero piacerti anche