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Revisore: C.B.
Materia: Anatomia Patologica 2
Docente: Vermi, Poliani
Data: 30/09/2020
Lezione n°: 2
Argomenti: Pneumopatologia, lesioni delle meningi
PNEUMOPATOLOGIA
1.0 Le polmoniti
Al di là di ciò che può essere accertato a livello autoptico come causa o concausa di morte, il ruolo del
patologo nella patologia funzionale del polmone ha senso d’esistere dove c’è un reparto di pneumologia
o medicina interna che si occupa di ospedalizzazione. C’è una quota di polmoniti che il patologo non vede
più se non sul tavolo autoptico come concausa di morte (es batteriche) e una serie di polmoniti (es
interstiziali) in cui il patologo ha un ruolo importante nella identificazione della causa.
Le polmoniti sono dei processi infiammatori a carico del parenchima polmonare.
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Si hanno a disposizione anche test immunoistochimici ed istochimici, che sono indicativi di
specificità.
Dal campione si identifica, quindi, il tipo di batterio, fungo, virus, parassita. Il setting è
piuttosto limitato.
Saggi immunoistochimici è limitata a pochi virus come l’HPV e l’Herpes Simplex 1 e 2.
La microscopia elettronica era prima usata in casi eccezionali. Oggi una diagnosi certa la
possiamo avere identificando SARS-CoV-2 mediante microscopia elettronica, oltre che tecniche
immunoistochimiche per la ricerca anticorpale
Le tecniche molecolari possono essere in situ (pochi sistemi disponibili, es. ibridazione) o non in
situ. Con le tecniche molecolari in situ (ISH) si identificano dei trascritti patogeno-specifici. Una ISH
routinaria in ambito anatomopatologico è quella per EBV.
PCR e tecniche di sequenziamento di ultima generazione (NGS), prevedono “pacchetti di
patogeni”, attraverso i quali da un singolo estratto è possibile testare e identificare più patogeni.
In base all’eziologia:
Infettive (batteriche, virali, fungine, parassitarie)
Non infettive (sarcoidosi, vasculiti, chimici, farmaci, radiazioni, pneumoconiosi, forme
paraneoplastiche, emosiderosi, ipersensibilità).
Ci sono forme di neoplasia bronchiale come il carcinoma squamoso o il carcinoide (che
hanno uno sviluppo principalmente endoluminare) che danno un quadro ostruttivo. A valle di
questa ostruzione può generarsi un quadro di polmonite ostruttiva che può essere un
problema durante un esame intraoperatorio, spesso erroneamente considerata come l’area
patologica principale. Una diagnosi di polmonite ostruttiva intraoperatoria deve comunque far
sospettare che ci sia una neoplasia a distanza.
Idiopatiche (si arriva alla diagnosi con un’integrazione anatomo-clinica, combinando reperti
anatomopatologici multipli e non specifici). Sono di maggior interesse per il patologo e
comprendono polmoniti da farmaci, da vasculite, da sarcoidosi, da sostanze chimiche,
poveri, radiazioni...
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Le vie d’infezione delle polmoniti infettive sono:
Aerea
Ematica
Contiguità (per un processo a carico di mediastino e dalla pleura)
Queste forme sono tipiche di popolazione a rischio comprende tutti quei pazienti che hanno
un’immunosoppressione innata o iatrogena:
Neonati e bambini
Bambini affetti da malattie genetiche
Anziani
Pazienti in decorso post-operatorio
Pazienti in stati di incoscienza
Edema polmonare
Immunodeficienze primitive o secondarie, stati di immunosoppressione
Soggetti esposti ad agenti esogeni che deprimono il sistema immunitario (es. l’effetto del fumo di
sigaretta sui macrofagi)
Entrambe le forme appartengono al pattern di tipo 1, con infiltrati, riempimento e lesione alveolare
(ground glass).
Le differenze tra la polmonite lobare e la polmonite a focolaio broncopolmonare possono essere riassunte
in questa tabella (dalla sbobina dell’anno scorso):
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Epatizzazione rossa: vasi congesti con iniziale diapedesi dei
globuli rossi e dei granulociti. Iniziano ad esserci ammassi di
fibrina all’interno degli alveoli e si assiste ad aumento della
cellularità dovuto a macrofagi alveolari, neutrofili e
globuli rossi. Dal punto di vista radiologico si ha
riempimento alveolare.
Percorso diagnostico:
L’identificazione dell’agente eziologico avviene attraverso lo studio della morfologia mediante colorazioni
istochimiche, usando l’ematossilina eosina, e tecniche di immunoistochimica. Tuttavia, non avendo grandi
strumenti immunoistochimici a disposizione, si può identificare anche attraverso altre metodiche, come la
coltura, la sierologia e i metodi molecolari.
Principali agenti delle lesioni micotiche: (il professore mostra delle immagini relative ai quadri istologici
caratterizzanti le diverse tipologie micotiche) dal punto di vista della frequenza:
Aspergillo: In forma del fungus ball (con massa di materiale necrotico in cui, ad alto ingrandimento
mostra il patogeno) oppure, in pazienti con pesante immunosoppressione tramite forme invasive
di aspergillo (dal punto di vista istologico si identifica una lesione fibroinfiammatoria periferica con
un evidente ammasso di ife)
Blastomyces;
Candida.
Criptococco: in forma acuta polmonare o in forma
progressiva. Microscopicamente si possono presentare
strutture a noduli in cui può essere identificato il criptococco
mediante colorazione in ematossilina-eosina o
istochimiche tra cui Gimsa o mucicarminio. Istologicamente
si presentano lesioni granulomatose con cellule giganti
multinucleate contenenti criptococchi.
Histoplasma: esistono forme acute e disseminate.
Tipicamente si osserva macroscopicamente una lesione
fibrosa concentrica senza componente cellulata. Si
possono avere forme di granuloma necrotizzante con
necrosi centrale e cellule a palizzata; possono essere
individuati granulomi suppurativi caratterizzatati da neutrofili infiltranti. Identificato attraverso
Gimsa. (Generamente i granulomi su base infettiva o meno non hanno componente suppurativa)
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Coccidioidomicosi: sono presenti sferule contenute all’interno di cellule giganti multinucleate.
Hanno una piccola capsula fibrotica.
A fronte di una cavitazione del parenchima polmonare è intuitivo pensare alla formazione di un ascesso come esito di una
broncopolmonite che ha un corrispettivo radiologico.
L’ascesso si presenta istologicamente come perdita dell’architettura del parenchima polmonare, con presenza di numerosi
neutrofili.
Nella carnificazione, invece, si osservano aree nodulari composte da tessuto fibro connettivale che occupa tutto lo spazio
alveolare, in particolar modo si può evidenziare la presenza di miofibroblasti che producono collagene.
Pneumocystis carinii
L’infezione da pneumocystis carinii è spesso HIV-correlata. Questa presenta un quadro istologico
variabile: aumento dei macrofagi endoalveolari, presenza di essudato schiumoso abbondante e, talvolta,
aspetti di tipo necrosi fibrinoide. Si possono osservare i corpuscoli contenenti il parassita. La diagnosi istochimica si
fa identificando i patogeni con colorazioni di Grocott e Giemsa (notizie anamnestiche riguardanti eventuale
immunosoppressione del soggetto possono favorire la diagnostica). Si ha una deposizione di materiale protinaceo
endoalveolare e la colorazione mostra un accumulo di pneumocisti.
Echinococcosi polmonare
Determina un importante rischio di contagio per l’operatore. Oltre ai polmoni l’infezione può colpire anche
il fegato. Esistono due forme di echinococcosi polmonare: granulosa e alveolare. La prima è diffusa
nell’italia meridionale mentre la seconda in svizzera, austria e baviera.
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Da punto di vista macroscopico sono evidenziabili cisti di dimensioni variabili, uniche o multiple aventi
contenuto liquido definito “acqua di roccia”, ed istologicamente costituite da:
• pericistio esterno, ricco in cellule dell'infiammazione con numerosissimi granulociti eosinofili;
• membrana esterna, cuticolare, polisaccaridica. È fortemente allergizzante.
• membrana interna, proligera, con cisti figlie e scolici liberi.
Dal punto di vista istologico possiamo osservare parenchima con aree di fibrosi, aree di infiammazione
molto densa, cisti, nelle quali, ad alto ingrandimento, si osservano gli scolici.
In questo caso la diagnosi è già formulabile osservando il quadro macroscopico.
Da un punto di vista macroscopico il polmone, a causa del processo fibrotico, si presenta grigiastro, con
un volume ridotto e una consistenza aumentata. Si formano delle aree periferiche definite “a favo d’api” (il
parenchima è occupato da piccole formazioni microcistiche che sono spazi alveolari dilatati).
A livello microscopico i setti alveolari inizialmente sono espansi perché infiltrati da elementi
linfoplasmacellulari ma, successivamente, come esito cronico a lungo termine, vanno incontro ad una
progressiva fibrosi con deposizione di matrice collagene. Ci possono essere possibili aspetti focali “a favo
d’api” anche dal punto di vista istologico; in alcune aree si possono verificare forme di iperplasia degli
pneumociti di tipo II e possono creare qualche dubbio interpretativo nella distinzione dalle neoplasie.
È possibile trovare una metaplasia squamosa dell’epitelio alveolare e, in questo caso, è necessario capire
se questo processo possa rappresentare il primo evento della trasformazione a carcinoma squamoso.
Istologicamente, il processo si localizza in sede interstiziale con setti alveolari espansi per presenza di
infiltrati infiammatori e fibrosi fino all'evoluzione tardiva del cosiddetto polmone “a favo d’ape”. Si può
manifestare iperplasia degli pneumociti di tipo II e possibile metaplasia squamosa dell’epitelio alveolare.
Gli spazi alveolari sono liberi perché il processo si localizza nell'interstizio.
Il quadro clinico è caratterizzato da tosse secca non produttiva, dispnea da sforzo, spirometria con
quadro di patologia restrittiva.
Il pattern radiologico (RX e TC) varia in base alla fase della polmonite. Si individuano aspetti ground
glass o vetro smerigliato nelle fasi in cui abbiamo abbondanza di infiltrati infiammatori, fibrosi (opacità)
reticolare o lineare nelle fasi finali.
Esiti e complicanze:
Restitutio ad integrum
Pleuriti
Insufficienza respiratoria cronica ingravescente
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Superinfezione batterica con polmonite alveolare
Cuore polmonare
Sarcoidosi
Fibrosi e polmone a favo d’api (dilatazioni spazi alveolari). La possibile patogenesi della fibrosi si basa
originariamente sul danno a livello delle cellule alveolari (pneumociti di tipo I), le quali vanno incontro
a morte attivando fattori di crescita che inducono iperplasia degli pneumociti di tipo II e attivando i
miofibroblasti a produrre collagene.
Quadro microscopico di un polmone a “favo d’ape”: sono evidenti gli spazi microcistici; l’aggressione a
carico dell’epitelio induce il rilascio di fattori di crescita degli pneumociti di tipo II che vanno incontro ad
iperplasia, i miofibroblasti proliferano e aumenta la deposizione del collagene.
6.1 Sarcoidosi
La sarcoidosi è una malattia sistemica caratterizzata dalla presenza di granulomi come lesioni principali.
Indici biochimici di attività sierici e radiologici da un punto di vista anatomopatologico sono:
Linfocitosi nel BAL in cui il rapporto CD4/CD8 è 10:1 (normalmente di 2:1).
Elevazione dell'enzima ACE
Captazione intratoracica del Gallio
La biopsia polmonare è utilizzata laddove la diagnosi clinica e radiologica non siano suggestive.
Il reperto istologico può essere dirimente in quanto permette di evidenziare le caratteristiche lesioni
granulomatose.
I granulomi generalmente appaiono di piccole dimensioni, non tendenti alla confluenza, spesso non
necrotizzanti, con cellule di Langhans (cellule multinucleate giganti di derivazione monocitica), da non
confondere con le cellule di Langerhans (le APC della cute).
All’interno dei granulomi sono anche presenti tipiche formazioni: i corpi asteroidi, i corpi di Schaumann
(concrezioni calcio-proteiche incluse nel citoplasma di cellule giganti multinucleate) ed anche macrofagi
epiteloidi e linfociti.
Generalmente si localizza a livello interstiziale e lungo le vie linfatiche che decorrono a fianco delle
diramazioni bronchiali principali e può evolvere in due modi: regredisce (spontaneamente o in seguito a
terapia) o progredisce in fibrosi con polmone con le caratteristiche aree a “favo d’ape”
Si sviluppano in seguito all'esposizione ad antigeni di varia natura. Si distinguono forme acute e subacute,
spesso diagnosticate come sindromi influenzali, e forme croniche, che si manifestano con insufficienza
respiratoria cronica e incremento delle Ig sieriche.
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Istologicamente è presente flogosi linfocitaria, diffusa o nodulare. Si possono rilevare piccoli granulomi
non necrotizzanti e non confluenti e cellule giganti multinucleate.
Domanda di uno studente: Il quadro istologico del virus respiratorio sinciziale potrebbe andare in diagnosi
differenziale con una cellula gigante multinucleata?
Risposta: potrebbe andare in diagnosi differenziale, ma riesco a distinguerle perché nell’ RSV vedo cellule
sinciziali sparse nel parenchima che non formano granulomi e i nuclei non sono disposti in periferia come
succede invece nelle cellule giganti multinucleate.
Forma di polmonite acuta a focolai atipica con decorso grave causata dal Coronavirus.
La SARS determina l’insorgenza di focolai endemici importanti caratterizzati da un quadro di sindrome
respiratoria acuta severa associata a DAD.
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Da un punto di vista istologico osserviamo un danno citopatico degli pneumociti di secondo tipo, cellule
giganti plurinucleate, membrane ialine giganti e nucleoli evidenti. Queste atipie nucleari possono
mascherare atipie da neoplasie.
Non ci sono differenze rispetto alle polmoniti da SARS-CoV-2
Si tratta di:
una forma di polmonite acuta a focolai
trombosi intravascolare di vario grado.
danno alveolare diffuso in varie fasi di organizzazione
modificazioni marcate con atipie degli pneumociti di tipo 2, plurinucleati con nucleoli evidenti e
cromatina diafana.
non inclusi virali in grado di identificare il coronavirus
A differenza della SARS c’è stata una rapida attivazione per lo sviluppo di anticorpi anti Covid19
con cui si può identificare il patogeno nel tessuto fissato
NEUROPATOLOGIA (2)
LESIONI DELLE MENINGI
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Il più importante è il Meningioma: è un tumore relativamente
frequente che nasce dalle cellule meningoteliali, ovvero cellule di
origine mesenchimale deputate alla formazione della meninge.
Esistono poi tumori di origine mesenchimale: il più importante è
l’Emangiopericitoma, detto anche Tumore Fibroso Solitario.
Tumori più rari appartenenti a questa categoria sono invece i
Fibrosarcomi, Leiomiosarcomi, Lipomi, Sarcoma di Ewing.
Le meningi possono presentare inoltre delle cellule pigmentate, di
tipo melanocitario; esistono quindi alterazioni anche a carico di
cellule melanocitiche, come ad esempio: Melanocitosi diffusa,
Melanoma, Melanocitoma. La diagnosi di queste ultime lesioni
può risultare piuttosto complessa, in particolar modo quella di
Melanocitoma, in quanto si tratta di una proliferazione
melanocitaria con caratteri di benignità che deve essere posta in
diagnosi differenziale con il Melanoma, anche se i criteri non sono stati ancora ben definiti.
Un’altra lesione che può interessare le meningi, soprattutto a livello della fossa posteriore, quindi a livello del
cervelletto, è l’Emangioblastoma, la cui origine é ancora discussa: si tratta infatti di un’entità diversa rispetto alle
lesioni primitive delle meningi.
Riassumendo i tumori delle meningi possono avere diversa origine e in base a questa possono classificarsi in:
• MENINGOTELIALI: sono i Meningiomi.
• MESENCHIMALI: nascono dal connettivo e sono lesioni molto rare. Quello di maggior interesse è il Tumore
Fibroso solitario/Emangiopericitoma.
• LESIONI MELANOCITICHE PRIMARIE: Melanocitosi, Melanoma, Melanocitoma; la diagnosi differenziale
può risultare particolarmente complessa.
• ALTRI: Emangioblastoma (non origina dalle cellule delle meningi)
2.1 Meningiomi
Rappresentano la maggior parte dei tumori cerebrali (vengono considerati cerebrali nonostante siano extrassiali):
sono importanti per la loro incidenza e frequenza, infatti si attestano fra il 35-40% di tutti i tumori cerebrali dell’adulto
e sono stati descritti per la prima volta da Cushing nei primi del Novecento.
Nel 90% dei casi sono tumori benigni con impatto clinico piuttosto blando, spesso scoperti in modo accidentale e
dal punto di vista scientifico poco studiati.
Si tratta di tumori extrassiali, ovvero non riguardano il parenchima cerebrale, ma il rivestimento esterno, ovvero le
meningi, anche se dal punto di vista dell’imaging sembrano tumori parenchimali, in quanto crescendo verso l’interno
esercitano un effetto compressivo sull’encefalo.
Nascono da cellule primitive aracnoidali, progenitrici della cellula meningoteliale: possiedono ancora delle
caratteristiche di staminalità e sono localizzate in nicchie vicine ai vasi delle meningi.
Possono dare origine a lesioni singole o multiple.
Dal punto di vista epidemiologico sono i più frequenti. Sono molto rari nei soggetti giovani e interessano l’adulto fra
i 50-60 anni e sono prevalenti nel sesso femminile, probabilmente perché la cellula meningoteliale esprime il recettore
per il progesterone e talvolta anche per gli estrogeni, risultando quindi suscettibile agli stimoli proliferativi ormonali
tipici del sesso femminile.
L’incidenza è di 2/3 casi ogni 100.000 abitanti.
Nel giovane sono più rari e la loro presenza suggerisce una probabile causa sindromica.
Possono essere riscontrati, ciascuno con proprie caratteristiche a seconda della regione topografica anche nelle
seguenti regioni:
Falce
Base cranica: presentano caratteristiche morfologiche e molecolari particolari. Difficili da diagnosticare
Fossa posteriore
Orbite
Midollo spinale: presentano caratteristiche istologiche e molecolari particolari
Ventricoli: è difficile che esistano meningiomi intraventricolari puri poiché questi tumori sono sempre a
partenza dalle meningi. Pertanto, ad una ricerca più attenta, dovremmo essere in grado di trovare rapporti
in zona mediale o para-sagittale con le meningi; un’altra ipotesi suggerisce che questo rapporto non vi sia in
quanto il tessuto di origine del tumore potrebbe essere un residuo meningeo embrionale a livello ventricolare
Ala dello sfenoide
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Fondamentalmente distinguiamo però meningiomi sovra-assiali, della base cranica e della fossa posteriore.
È importante sottolineare che esiste una correlazione fra l’istotipo, le alterazioni molecolari e la sede di insorgenza
di queste lesioni.
Presentazione all’imaging: La TC e la RMN possono dare delle informazioni molto importanti per la diagnosi.
Sebbene la TC venga ancora effettuata in Pronto Soccorso per la sua semplicità, è l’RMN a rappresentare l’esame
più approfondito e importante per porre diagnosi di Meningioma. Sono visibili lesioni ipointense in t1 mentre possono
essere iso/iperintense in t2.
Alla TC sono visibili aree omogenee con una presa di contrasto a tutto campo, mentre a livello dell’RMN la
caratteristica più importante é il rapporto con la dura madre: un ispessimento durale accanto al nodulo neoplastico
definito dural tail, ben visibile dopo somministrazione di gadolinio e che è molto suggestivo per la diagnosi di una
lesione extrassiale, cioè di un meningioma. Dal punto di vista del prelievo questa area interessa per valutare
l’eventuale infiltrazione del parenchima cerebrale.
L’ispessimento leptomeningeo periferico è quindi segno di un’origine dalle meningi con crescita compressiva sul
parenchima cerebrale.
Ovviamente la forma e la disposizione del meningioma variano a seconda dell’area in cui la lesione cresce.
Nel caso in cui siano visibili meningiomi intraventricolari verosimilmente queste lesioni hanno rapporti con le meningi
della base cranica che nel crescere oscurano. [nds. il Prof sostiene di non credere all’esistenza di veri e propri
meningiomi intraventricolari primitivi, anche se in letteratura ne sono stati descritti.]
L’aspetto macroscopico è molto variabile, dipende dalla sede di insorgenza del meningioma.
I meningiomi possono quindi essere:
• Nodulare: lesioni ben definite, ben delimitate. Si trovano in sede sovra-tentoriale, in quanto il tumore a partire
da una convessità può espandersi verso il parenchima.
• A placca: base cranica, poichè lo spazio anatomico limitato ne influenza la forma
• Fusiformi: base cranica.
La forma è dettata dalla regione anatomica perché il meningioma nasce e si sviluppa in una determinata sede. Si
sviluppa dove trova delle vie anatomiche preferenziali. È un tumore di basso grado che non infiltra ma tende a
diffondersi.
Talvolta è difficile stabilire quando la lesione infiltra e quando diffonde. Se vi sono dei canali anatomici pre-esistenti
che vengono colonizzati, come nel caso del meningioma di basso grado (grado I), si può parlare di diffusione.
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Esiste ovviamente un rapporto fra l’aspetto macroscopico e l’istotipo.
I meningiomi sono dei tumori estremamente eterogenei che presentano quindi istotipi variabili. A seconda dell’istotipo
si hanno caratteristiche macroscopiche diverse.
Per esempio, il meningioma psammomatoso si caratterizza per avere delle estese calcificazioni, visibili alla TC, e a
livello macroscopico si presenta con una consistenza aumentata, piú dura al tatto. Il microcistico invece, essendo
una massa molto più soffice, costituita da cavità microcistiche, avrà una consistenza più gelatinosa.
È importante valutare la consistenza: questa può suggerire alcune caratteristiche del meningioma; se è molto duro
o stride quando viene tagliato, questo è suggestivo per la presenza di calcificazioni (come nello psammomatoso); se
la consistenza è spugnosa e gelatinosa, il meningioma potrebbe essere microcistico; se risulta molto cellulato e
fascicolato, potrà essere fibroblastico.
Se sono presenti cavitazioni cistiche necrotiche, queste indicano invece un istotipo maligno.
L’aspetto istologico, macroscopico e clinico sono quindi tutti connessi fra di loro, motivo per cui l’aspetto
macroscopico può essere suggestivo del grado del meningioma:
Grado I o tipico: tumore benigno di morfologia generalmente polilobulata, facilmente enucleabile tramite
exeresi radicale al fine di evitare recidive. La forma nodulare, tipica delle convessità, cresce in forma sferica.
Al taglio presenta una superficie molto omogenea senza aree riferibili ad angiogenesi, emorragie e aree di
necrosi. Il 90% dei meningiomi è ascrivibile a questa categoria.
Grado II o atipico: tumore di forma irregolare ed eterogena, fermamente adeso alla dura madre, spesso
presentante aree necrotiche di colore giallastro oppure aree emorragiche. L’aspetto non ben delimitato é
indice di infiltrazione del parenchima cerebrale. Talvolta questo tumore può essere asportato compreso con
la dura madre. Viene poi orientato e chinato per valutare se durante escissione è stato rimosso parte del
parenchima e se questi lembi sono infiltrati da malattia.
Grado III o anaplastico: tumore maligno di forma irregolare, con margini non ben delimitati. Sono presenti
anche qui aree di necrosi ed emorragiche.
Il professore sottolinea come il meningioma di grado I possa essere un reperto incidentale rilevabile in sede autoptica
in pazienti morti per altre cause. Il paziente inoltre non presentava alcuna sintomatologia.
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Esistono quindi tanti istotipi diversi che si correlano a diversi comportamenti clinici, a risposte alla terapia diverse e
all’eterogeneità molecolare.
I tre istotipi più frequenti, che rappresentano fino al 70-80% di tutti i meningiomi, sono:
Meningoteliale: è il più frequente
Fibroblastico o fibroso: è il secondo istotipo più frequente
Transizionale o misto: bifasico in parte meningoteliale e in parte fibroblastico
Meningiomi cordoide e clear cell: sono sempre di grado II, indipendentemente dai parametri di grading.
Meningiomi papillare e rabdoide: spesso sono frammisti fra di loro e sono sempre di grado III. Ovviamente
anche un meningioma meningoteliale può essere di grado III ma deve presentare determinate caratteristiche
di malignità.
I restanti istotipi elencati non hanno correlazione con il grado che bisogna stabilire.
Oltre al grading, i meningiomi possono essere suddivisi in classi di rischio in base al comportamento clinico. Queste
classi di rischio sono legate all’aggressività biologica e alla frequenza con cui questi tumori danno recidive o
metastasi.
È molto raro che i meningiomi diano metastasi, ma recidivano localmente: il rischio di recidiva é dettato dal l’istotipo
e dal grading. Sono perciò suddivisi in meningiomi a:
Basso rischio di recidiva
Moderato rischio di recidiva
Elevato rischio di recidiva
I meningiomi di grado II presentano un’elevata probabilità di recidivare, mentre i meningiomi di grado III recidivano
praticamente sempre.
Criteri di grading:
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Nel WHO del 2016 è stato introdotto il concetto di invasione cerebrale: quando l’invasione del parenchima è
evidente istologicamente permette di fare diagnosi di meningioma di grado II.
É un criterio che da solo permette di fare diagnosi di grado II.
Dal punto di vista istologico, l’identificazione dell’infiltrazione è facilitata della standardizzazione della metodica di
campionamento del pezzo. In alcuni casi la brain invasion è evidente: si trovano gettoni neoplastici circondati da
parenchima cerebrale, in seguito a colorazione GFAP (GFAP rende marrone il parenchima cerebrale mentre il
meningioma è negativo alla colorazione).
Ci sono poi casi molto difficili da valutare, in cui il confine può essere difficile da cogliere.
Può esserci infine anche un problema di taglio e degli artefatti da orientamento: se una parte di parenchima cerebrale
risulta staccato dal resto, questo potrebbe sembrare incluso nella lesione anche se non lo è.
L’approccio del patologo è la valutazione di altri criteri come numero mitotico, la presenza di atipie e altri aspetti
secondari. Definire il grado I piuttosto che II cambia in maniera sostanziale il futuro trattamento del clinico. Talvolta,
in queste situazioni confuse si preferisce stabilire la lesione di grado I con richiesta di follow up più stretto piuttosto
che indirizzare il clinico di fronte a un grado II che implica la scelta di trattamento con radioterapia.
Nel pezzo operatorio, in genere, il parenchima cerebrale non è presente in quanto il meningioma si enuclea bene.
Se invece nel prelievo si trova del tessuto cerebrale, probabilmente il tumore era ben adeso al parenchima
dell’organo e questo ne ha reso più difficile l’enucleazione, rendendolo di grado II.
Ci sono istotipi particolari che vengono classificati come meningiomi di grado II, indipendentemente dagli
altri criteri di grading. È importante distinguere l’aggressività biologica (in base al numero di mitosi etc)
dall’aggressività dovuta al grading.
• CLEAR CELL (a cellule chiare): istotipo con cellule che presentano citoplasma debolmente eosinofilo o
chiaro perché ricco di glicogeno, lo stroma è ialino ed è distribuito tra le cellule.
Un meningioma che contiene una componente clear cell viene definito di grado II solo quando questo istotipo
rappresenta la maggior parte del tumore.
• CORDOIDE: è più raro. La diagnosi differenziale è difficoltosa, poiché possiede uno stroma mixoide-mucoide
con aspetto secretorio e cellule che si distribuiscono in cordoni e a piccoli nidi, caratteristiche che ricordano
l’architettura del cordoma (lesione molto più aggressiva e infiltrante che si sviluppa soprattutto a livello della
parte terminale della cauda equina e del clivus della base cranica). Biologicamente il cordoma appare con
aspetto blando, con indice proliferativo basso, eppure ha un’alta capacità di infiltrazione.
Riprendendo quanto detto in precedenza, gli istotipi sono molto utili per l’identificazione; ad esempio se si fa diagnosi
di clear cell o cordoide oppure diagnosi di rabdoide o papillare, si è già in grado di dire se è grado II piuttosto che
grado III. Nella prima immagine viene mostrato un meningioma a cellule chiare che ha come principali caratteristiche:
citoplasma chiaro perché iperglicogeno, stroma con bande ialine; viene poi mostrato un meningioma cordoide,
riconoscibile perché immerso in una matrice mixoide lassa con crescita di cellule disposte verosimilmente in filiera.
Tutte caratteristiche che permettono di affermare con certezza che è un grado II.
Nel grado III o anaplastico, ossia quello che se è fibroblastico o meningoteliale deve avere queste criteri: soprattutto
necrosi, attività mitotica >20 mitosi /10 campi, elevato indice proliferativo (MIB-1>15%), cellule molto atipiche, aspetto
micro-cistico, perdita del recettore per il progesterone e dell’EMA (in tutto o parzialmente), può in alcuni casi
esprimere la vimentina che, soprattutto nei meningiomi più aggressivi, viene generalmente over-espressa.
Il rabdoide è molto positivo alla vimentina e ciò fa pensare che tumori meningiomi molto aggressivi perdano la
differenziazione in senso meningoepiteliale andando verso una differenziazione più mesenchimale. Se invece si
documenta il fatto che il meningioma è rabdoide o papillare è di grado III, indipendentemente dagli altri criteri.
Le varianti istologiche che se presenti definiscono il grado III indipendentemente dalle altre caratteristiche del grading
sono:
- Meningioma Papillare: presenta papille con un asse fibrovascolare intorno al quale si distribuiscono le cellule
- Meningioma Rabdoide: è caratterizzato da cellule con citoplasma glassato, importante eosinofilia e nucleo
decentrato.
La frequenza di recidive è un parametro importante perché è correlata con l’istotipo e con il grado del meningioma.
In base a ciò la sede e la radicalità chirurgica influenzano la recidività.
• Chirurgia: terapia d’elezione. Un meningioma piccolo può non essere rimosso, se invece presenta
dimensioni elevate tali per cui per effetto massa ed edema causa sintomatologia clinica si procede
all’asportazione.
• Radioterapia: nel grado II + follow up
• Wait and see: per i tumori di grado I e nei casi in cui l’anatomopatologo sia indeciso se assegnare un grado
I o un grado II (in questo caso è consigliabile un follow up più stretto)
• Target therapy: farmaci nuovi specifici soprattutto per i gradi II e III
L’outcome per i meningiomi è buono: circa il 91% dei pazienti operati con meningioma di grado I è dichiarato libero
da malattia dopo cinque anni; si ha poi una percentuale di pazienti che recidiva ma questo dipende da come è stata
la resezione chirurgica (completa o non completa) e quindi dalla radicalità dell’intervento, dall’istotipo.
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2.7 Pattern genetici
I meningiomi sono stati poco studiati da questo punto di vista perché sono, nella maggioranza dei casi, tumori benigni.
Quando, quindi, un ricercatore deve scegliere cosa studiare, studia un tumore maligno perché ha un maggiore
impatto dal punto di vista sociale ed emotivo, sia perché la possibilità di farsi finanziare uno studio sul glioblastoma
(tumore maligno) è decisamente maggiore rispetto alla possibilità di farsi finanziare un progetto sui meningiomi,
anche perché questi si risolvono mediante rimozione chirurgica.
Il professore mostra poi una review presa da Lancet Oncology in cui viene evidenziato un algoritmo di approccio
diagnostico del paziente con meningioma che considera una serie di fattori tra cui l’aspetto istologico e il grading
dell’anatomopatologo, quest’ultimo molto importante perché detta l’atteggiamento clinico successivo (wait and see
oppure radioterapia, …).
In generale, alcuni meningiomi recidivano e altri no, indipendentemente dal grading; esistono diverse motivazioni
ma, fra queste, l’aspetto molecolare è il più importante. Concentrandosi quindi sull’aspetto molecolare sono state
riscontrate diverse mutazioni nei meningiomi ma noi tratteremo solo le principali.
I meningiomi di grado I sono tutti meningiomi che hanno un accumulo progressivo di alterazioni molecolari,
soprattutto a carico del gene NF2 (gene della neurofibromatosi di tipo II).
Nei meningiomi di grado II e grado III compaiono poi mutazioni anche diverse, come ad esempio quella a
carico di BAP1. In generale, la maggior parte di queste lesioni è accomunata dalla mutazione a carico di
NF2, infatti i pazienti con neurofibromatosi di tipo 2 sviluppano meningiomi. I meningiomi sporadici, ovvero
in pazienti che non hanno la fibromatosi, spesso hanno comunque una mutazione somatica a carico dello
stesso gene; questo implica quindi che il gene NF2, se mutato, abbia un ruolo cruciale nello sviluppo del
meningioma.
Esistono poi altre mutazioni che sono invece presenti solo in alcuni istotipi:
- Meningioma Rabdoide: mutazione di BAP1 (mutazione che si ritrova poi comunque in altre situazioni, ad
esempio nel mesotelioma. Il mesotelioma però nasce dal mesotelio che, come il meningotelio, è un
rivestimento e nascono entrambi da una cellula mesenchimale; si può quindi affermare che in qualche modo
sono imparentati sotto questo punto di vista). BAP1 è patognomonico di rabdoide.
- Meningioma Secretorio: KLF4 e TRAF 7 mutati contemporaneamente sono patognomonici.
- Meningioma Clear Cell: mutazione di SMARCE1, che non viene espresso. Abbiamo a disposizione
l’immunoistochimica con anticorpo che riconosce il prodotto del gene SMARTCE1. Quando non è espresso,
nelle cellule neoplastiche, siamo in una situazione in cui verosimilmente è mutato.
Si può fare una prima classificazione dal punto di vista molecolare dividendo i meningiomi in due categorie:
- MENINGIOMI NF2 MUTATI
- MENINGIOMI NON NF2 MUTATI
La maggior parte dei meningiomi sono NF2 mutati. Si tratta di mutazioni di tipo somatico ed identificano due classi
mutual esclusive (una esclude l’altra), che presentano pattern molecolari distinti.
CASO CLINICO: Paziente di 37 anni presentante familiarità per NF2 mutato e affetto da neurofibromatosi. Ha
sviluppato schwannoma bilaterale del nervo acustico e meningioma in sede sovratentoriale, che, sebbene sia stato
resecato chirurgicamente, sottoposto a radioterapia post-intervento e monitorato in follow up, è andato comunque in
progressione e si è quindi poi ripresentato nel tempo. Si può dedurre che questi meningiomi, insorti in pazienti con
neurofibromatosi, sono spesso meningiomi aggressivi, perché il paziente, avendo già una mutazione di base di tipo
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germline (è quella di tipo NF2), ha una possibilità che poi si sommino altre mutazioni successive molecolari somatiche
nello stesso tumore maggiore rispetto ad un individuo che non ha la neurofibromatosi. Questi tumori sono quindi
molto più instabili dal punto di vista molecolare ed in genere questo determina anche una maggiore aggressività.
In particolare, il tumore di questo paziente (n.d.s. identificato dal prof stesso) presentava aree di meningioma
classico; aree in cui il meningioma era chiaramente di grado II, con conta mitotica elevata; aree molto più pleomorfe
ed atipiche, con aspetto quasi rabdoide (pur non essendo di istotipo rabdoide poiché non presentava BAP1 mutato).
Il tumore infiltrava il parenchima cerebrale e la teca cranica; presentava aree di necrosi e MIB elevato; presentava
inoltre perdita di espressione del recettore EMA, marcatore che difficilmente i meningiomi perdono (diversamente
dai recettori per il progesterone). Sono quindi meningiomi di forma molto più aggressiva e che vanno incontro a
recidive più frequenti nel tempo.
Il paziente del caso clinico precedente ha infatti poi fatto altri meningiomi (a livello della falce e in altra sede),
sottoponendosi ad altri 3-4 interventi di resezione chirurgica, e contemporaneamente è andato incontro a
progressione degli schwannomi.
Il 50% dei meningiomi presenta la mutazione di NF2, indipendentemente dal fatto che essa sia una mutazione
germline (pazienti con neurofibromatosi di tipo 2) oppure somatica. In una buona percentuale di questi pazienti, alla
mutazione di NF2 si associa anche la mutazione del gene SMARCB1 (proteina INI1) ed in tal caso, quando queste
due mutazioni si combinano, possono portare a meningiomi aventi maggiore aggressività, tendenzialmente infatti
sono di grado II. Una sola mutazione somatica dell’NF2 non necessariamente conferisce questo tipo di aggressività.
Iniziano quindi ad esserci anche delle correlazioni dal punto di vista istologico tra NF2 e istotipo fibroblastico; e tra
AKT1 e SMO ed istotipo non fibroblastico, meningoteliale e transizionale.
Il professore mostra quindi il lavoro che ha introdotto queste mutazioni, sottolineando come questo dimostri che
esistano anche dei marcatori che, in assenza di un’indagine molecolare, possano suggerire, a seconda della loro
presenza/assenza, il fatto che ci sia o non ci sia un determinato tipo di mutazione. Ad esempio, facendo una
colorazione con GABA1 (anticorpo che individua le cellule che attivano il pathway di Sonic Hedgehog) si individua
un meningioma mutato in SMO, che presenta un pattern overspresso di questo tipo di marcatore; permette quindi di
ottenere una prova indiretta della presenza della mutazione.
Altri due geni importanti sono il TRAF7 e KLF4, geni che si ritrovano mutati sempre in meningiomi non NF2 mutati e
che, se presenti contemporaneamente, sono patognomonici del meningioma di tipo secretorio. La mutazione di
TRAF7 può essere presente anche in altri istotipi, ma non in associazione con mutazioni di KLF4
TRAF7: mutazioni a carico di questo gene sono spesso associate a mutazioni di KLF4. La mutazione è
anche presente in circa altri 25% dei meningiomi di grado I e II e dà caratteristiche di aggressività.
KLF4: è presente solo ed esclusivamente nel meningioma di tipo secretorio (grado I) e talvolta si associa
con la mutazione di TRAF7
Esistono poi altre mutazioni che si stanno scoprendo progressivamente negli ultimi anni. Il professore mostra quindi
uno studio pubblicato dopo il WHO del 2016 che identifica altre mutazioni che possono essere presenti sul pathway
di AKT1, SMO, etc e che presentano, come caratteristica ricorrente, l’essere mutual esclusive nei confronti della
mutazione di NF2.
Un altro gene che è stato trovato mutato in una specifica popolazione di meningiomi, i meningiomi del tuberculum
sellae, è il gene POLR2A. (E’ un gene che produce una DNA polimerasi).
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CASO CLINICO 2 (2012):
(n.d.s. Il professore si limita a mostrare le slide per presentare il caso, non avendole, riporto la descrizione fatta lo
scorso anno)
Paziente giovane con lesione molto estesa alla base cranica (sfenoide, ala dello sfenoide e clivus), di difficile
interpretazione dal punto di vista clinico e neuro-radiologico.
Il neuroradiologo definisce la lesione come sarcomatosa e potrebbe essere un cordosarcoma; alla biopsia ci sono
cellule morfologicamente monotone, con ampio citoplasma glassato debolmente eosinofilo e con nucleo decentrato
e sviluppato solo da una parte: questi elementi fanno pensare ad un meningioma rabdoide (questo potrebbe anche
spiegare il profilo radiologico aggressivo).
All’immunoistochimica, la lesione risulta EMA-negativa, perdita di E-caderina (marcatore che, se perso, è sinonimo
di aggressività del tumore), recettore del progesterone-negativa e citocheratina-negativa (potrebbe essere un
meningioma avanzato che ha perso l’espressione di questi marcatori), MIB-1 8/10%.
Non c’è nessun marcatore che suggerisca che si tratti di un meningioma; la diagnosi sulla piccola biopsia è di un
probabile meningioma rabdoide, ma questa va verificata su un campione operatorio più grande.
Dopo aver operato il paziente, su un campione più grande, ci sono ancora aspetti che suggeriscono la presenza di
un meningioma rabdoide. L’EMA è focalmente espresso e il tumore è vimentina-positivo (questo marcatore può
comparire in meningiomi di alto grado, specialmente nell’istotipo rabdoide).
La diagnosi finale è di meningioma rabdoide di tipo III. Il paziente viene quindi operato e trattato con radioterapia.
Nel 2013, durante il follow up, si trova un residuo della componente neoplastica solida (la resezione era stata
subtotale) e si mantiene il paziente in osservazione.
Nel 2017, il paziente si presenta con lesioni nodulari in entrambi i campi polmonari, suggestive o di un tumore
primitivo o di una metastasi del meningioma del 2013. Il paziente viene quindi operato e in un nodulo si trova un
aspetto rabdoide, pertanto la lesione è una metastasi, avendo lo stesso fenotipo del tumore primitivo. A posteriori è
stata poi verificata e confermata la presenza di mutazione di BAP1.
BAP1: è il prodotto di un gene che può essere mutato nei meningiomi e la mutazione ne determina una mancata
espressione (normalmente è costitutivamente espresso). Questa mutazione è frequente nel meningioma rabdoide
(viene usato come marker) e può essere presente anche nei mesoteliomi.
Correla con una prognosi peggiore, in quanto questi tumori sono più aggressivi e possono dare metastasi.
Adiacente al nodulo BAP1 mutato, ossia alla metastasi del meningioma primitivo, è stato trovato un ulteriore
aggregato di cellule meningoteliali. Quest’ultimo presentava recettori per il progesterone, per EMA e BAP1, quindi si
è escluso fosse un’ulteriore metastasi del meningioma e si è stabilito essere semplicemente un aggregato di
iperplasia nodulare riferibile ad aspetti meningoteliali che, può capitare, venga riscontrato a livello polmonare. Se
non ci fosse stato il meningioma primitivo al cervello, si sarebbe stati legittimati a pensare che il meningioma rabdoide
a livello polmonare fosse un meningioma primitivo nato da questi aggregati meningoteliali. Sono stati infatti descritti,
in letteratura, meningiomi extracranici primitivi a livello di diversi apparati e fra questo l’apparato respiratorio è il
principale. Probabilmente nascono da cellule mesenchimali differenziate in senso aracnoidale.
La cellula meningoteliale nasce da una cellula mesenchimale staminale che differenzia poi o in senso meningoteliale
nelle meningi, oppure in senso mesoteliale nel mesotelio o a livello della pleura, però la cellula di origine è la
medesima. A volte queste cellule possono differenziare in senso abnorme, in una serie che non è la propria. Ad
esempio, si può trovare una differenziazione in senso meningoteliale a livello addominale o a livello pleurico, quando
non dovrebbe essere così e questo è determinato appunto dal fatto che la cellula di origine è la stessa e giustifica il
fatto che anche in queste sedi si possa trovare un’iperplasia meningoteliale o addirittura un meningioma.
Un’ultima mutazione da ricordare riguarda la mutazione della molecola TERT che serve per l’allungamento dei
telomeri. È riscontrabile in moltissimi altri tumori tra cui i meningiomi ed è indice di maggiore aggressività. Fino al
20% dei gradi III possono avere mutazione di TERT.
In conclusione, si analizza la correlazione tra gene e istotipo e la correlazione stretta tra istotipo ed topografia:
meningiomi della convessità: meningiomi NF2
meningiomi della base cranica: meningiomi non NF2
meningioma del midollo: clear cell con mutazione SMARCE1, non NF2 mutati
Oggi non ci si limita a indagare la mutazione dei geni ma se questi sono metilati o no (accesi o spenti). Il profilo di
metilazione correla in maniera molto affidabile con le varie famiglie dei tumori, incluso i meningiomi.
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