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Revisore: 58/57
Materia: Nefrologia
Docente: Federico Alberici
Data: 28/02/2023
Lezione n°: 1
Argomento: introduzione al corso; funzioni del rene
e semeiotica nefrologica; determinazione del filtrato
glomerulare; AKI.
Comunicazioni: Il docente introduce il corso affermando che le presenze saranno rilevate tramite foglio firme;
tuttavia, ammette di non essere fiscale in merito e quindi invita chi non fosse interessato ad uscire dall’aula.
Il corso integrato (coordinatore Prof. Cappelli) comprende i corsi di: Nefrologia, Urologia, Endocrinologia ed
Endocrinochirurgia. In particolare, il corso di Nefrologia sarà tenuto dal Prof. Alberici e dalla Dott.ssa Mescia.
I testi consigliati sono: il manuale di medicina interna “Harrison” o in alternativa, si può utilizzare “Up To Date”
(in inglese). Inoltre, esistono delle dispense prodotte dai predecessori degli attuali docenti, le quali possono
essere utilizzate come strumento intermedio tra appunti e libro; tuttavia, non essendo aggiornate devono
essere integrate in maniera opportuna.
Il docente informa che gli studenti potranno presentare un caso clinico. In particolare, gli interessati devono
contattare la Dott.ssa Mescia (federica.mescia@unibs.it) e saranno quindi assegnanti ad un tutor, con il quale
interagiranno per preparare il caso, che sarà infine presentato nella lezione dedicata (eventualmente, i casi in
eccesso saranno esposti ai meeting interni che si tengono il mercoledì alle 13). Per coloro che presenteranno
il caso clinico, durante l’esame sarà fatta una domanda in merito; questo impegno aggiuntivo potrà essere
considerato ai fini della valutazione. Infine, il professore informa che la stesura del caso clinico vale come
corso opzionale, pertanto sarà possibile ottenere il credito formativo per questo.
Inoltre, il docente afferma che è possibile partecipare al “Journal Club” della Nefrologia, che si svolge ogni
mercoledì alle 13 e durante il quale sono presentati diversi argomenti; questi incontri si svolgono in modalità
mista: in presenza (nell’aula Campanini situata presso la scala 7 al 7° piano) e online.
Il “Journal Club” è una modalità d’incontro per gruppi omogenei (nel caso specifico, riferito all’unità operativa
di Nefrologia) e permette di approfondire le conoscenze e confrontarsi con metodi statistici innovativi. Chi
fosse interessato può contattare la Dott.ssa Mescia (federica.mescia@unibs.it) o il Dott. Tonoli
(tonolimatty@gmail.com); sarà inviato agli interessati il link per partecipare, ma sarà possibile anche assistere
in presenza.
L’esame è orale e prevede 2-3 domande. Per chi presenta il caso clinico una di queste sarà relativa al caso
stesso. Successivamente, sarà fatta la media dei voti dei vari esami.
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Il docente informa che questa lezione sarà spostata.
1
ANATOMIA E FUNZIONI DEL RENE
ANATOMIA E FISIOLOGIA RENALE2
I reni sono due organi pari ed hanno una
dimensione di circa 10 cm. Sono localizzati nel
retroperitoneo, aspetto che ha una
ripercussione significativa nell’esecuzione della
biopsia renale. Quest’ultima è la procedura
diagnostica principale per alcune patologie
nefrologiche ed è effettuata per via
transcutanea attraverso il passaggio in regione
lombare.
I reni sono connessi all’aorta tramite l’arteria
renale e alla vena cava inferiore mediante la
vena renale. L’arteria renale si suddivide in
diramazioni di grosse dimensioni (arterie
segmentali): da queste si passa alle arterie
interlobari, poi alle arcuate e infine alle
interlobulari. Il sistema venoso risulta essere
parallelo a quello arterioso e si occupa di
drenare il sangue in uscita.
I reni sono collegati alla vescica tramite gli
ureteri, che presentano un decorso critico nel
punto in cui scavallano i vasi iliaci; in
particolare, a questo livello si possono
verificare con maggiore frequenza fenomeni
ostruttivi in caso di patologie retroperitoneali o cancro.
Il compartimento delle vie urinarie include le piramidi renali, all’interno delle quali è situato il sistema tubulare
renale. All’apice (papilla) delle piramidi sboccano i dotti collettori, che a questo livello confluiscono nei calici
minori, i quali a loro volta si aprono nei calici maggiori. Si giunge quindi nella pelvi renale e infine nell’uretere.
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Il docente afferma che la trattazione anatomica e fisiologica sarà rapida, in quanto tali argomenti sono già stati affrontati
in altri corsi. Scopo del paragrafo, che è stato integrato con informazioni presenti nella sbobina dello scorso anno
accademico, è quindi fornire solo un importante background introduttivo.
3
Il docente informa che la patologia glomerulare sarà trattata in maniera approfondita più avanti nel corso e che è spesso
domanda d’esame. Durante la trattazione delle glomerulonefriti (e delle altre patologie) la spiegazione verterà sulla
patologia e non sui concetti anatomici.
4
Le immagini proposte successivamente mostrano sezioni di glomerulo, quindi si osserva una struttura bidimensionale,
che però è espressione di una struttura tridimensionale!
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e di quella efferente e quindi le resistenze glomerulari. Le cellule iuxtaglomerulari producono renina in
risposta a diversi stimoli, quali ipotensione arteriosa, ipoperfusione renale e riduzione della concentrazione
tubulare di Na+. Il mesangio (M nell’immagine A nella pagina successiva) è costituito da tessuto connettivo e
cellule mesangiali, le quali presentano una certa capacità di contrazione e mantengono la tridimensionalità del
glomerulo sostenendone la struttura.
La barriera di filtrazione glomerulare (membrana filtrante) include, dall’interno verso l’esterno (immagine B):
• Cellule dell’endotelio fenestrato;
• Membrana basale glomerulare;
• Processi pedicillari dei podociti, i quali sono peculiari cellule epiteliali situate all’esterno della membrana
basale;
• Diaframma di filtrazione, che è lo spazio compreso tra i processi pedicillari.
Inoltre, sono presenti due spazi:
• Spazio sub-endoteliale, tra endotelio e membrana basale glomerulare;
• Spazio sub-epiteliale, tra podociti e membrana basale glomerulare.
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Queste ultime informazioni sulla membrana filtrante non sono state menzionate dal docente e sono state integrate dalle
slides presentate a lezione.
3
La filtrazione glomerulare dipende da vari fattori, che possono promuovere o ostacolare il processo:
• Pressione idrostatica del capillare glomerulare, che
è uno dei principali fattori che promuovono la
filtrazione a livello renale. Un suo aumento
corrisponde ad un aumento della filtrazione;
• Pressione idrostatica della capsula di Bowman, che
è uno dei principali fattori che ostacolano la capacità
di filtrazione. Un suo aumento causa una riduzione
della filtrazione;
• Pressione oncotica generata dalle proteine
plasmatiche, che ostacola la filtrazione, poiché fa sì
che i liquidi rimangano all’interno del torrente
circolatorio.
Alla luce di quanto appena detto, in caso di insufficienza renale acuta, o acute kidney injury (AKI), si ha
riduzione del filtrato glomerulare per riduzione della pressione capillare e/o aumento della pressione idrostatica
della capsula di Bowman e/o riduzione della pressione oncotica. Si prenda in esempio un paziente affetto da
ipertrofia prostatica e che, come conseguenza di ciò, presenta un ristagno di urina nella vescica e nelle
strutture site a monte, tra cui i reni (idronefrosi). Questo causa un aumento della pressione idrostatica della
capsula di Bowman e quindi una riduzione della filtrazione glomerulare. L’inserimento di un catetere urinario
permette l’eliminazione delle urine accumulate e il ripristino di un’adeguata pressione idrostatica nella capsula
di Bowman e quindi di una corretta filtrazione.
Come anticipato, al glomerulo segue il tubulo6. Questo ha una lunghezza intorno ai 30-40 mm (maggiore nei
nefroni iuxtamidollari, minore in quelli corticali) ed ha il compito di riassorbire gran parte dei soluti e circa il
99% dell’acqua filtrata; se non ci fosse il tubulo, verrebbero persi con le urine circa 180 litri di acqua al giorno!
In realtà, il volume urinario è di circa 1-2 litri/die. Il 65% del riassorbimento avviene a livello del tubulo contorto
prossimale, il 20% nell’ansa di Henle e 10-15% a livello del tubulo contorto distale e del dotto collettore.
Ogni sezione del sistema tubulare ha una funzione specifica:
• In corrispondenza del tubulo contorto prossimale vengono riassorbiti glucosio, fosfati, amminoacidi,
acido ascorbico, corpi chetonici, acido urico e solfati e sono eliminati acidi/basi deboli, ammonio e
creatinina, con impatto sulla determinazione del filtrato glomerulare;
• A livello dell’ansa di Henle e del dotto collettore si verifica la concentrazione delle urine attraverso un
meccanismo di concentrazione controcorrente, il quale permette di creare un gradiente di
concentrazione cortico-midollare;
• A livello del tubulo contorto distale viene riassorbito Na+ e sono eliminati ioni H+. Questa porzione è il
target dei diuretici tiazidici, frequentemente utilizzati nella terapia dell’ipertensione7;
• Il dotto collettore è la porzione del nefrone sensibile all’ADH (in particolare, le cellule chiare) ed è
coinvolto nella regolazione del metabolismo acido-base mediante riassorbimento di bicarbonati e
secrezione di ioni H+.
6
Definito dal docente come “la parte più importante”.
7
Informazione non menzionata dal docente e integrata dalla sbobina dello scorso anno accademico.
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8
Nell’immagine sotto riportata è ricostruito il meccanismo di concentrazione controcorrente:
1. Il trasporto attivo di NaCl verso l’interstizio attraverso la porzione spessa ascendente dell'ansa di Henle
(6), che è impermeabile all’H2O, crea il gradiente osmotico sufficiente per la fuoriuscita di acqua dalla
porzione discendente prossimale dell'ansa di Henle (4 nero), che invece è permeabile all'H2O;
2. Il riassorbimento di H2O ha luogo anche a livello del dotto collettore corticale (7) e midollare esterno (8),
per cui all’interno l’urea viene concentrata;
3. L’urea concentrata diffonde esternamente dalla porzione midollare interna del dotto collettore (9). Ciò
provoca un aumento della pressione osmotica interstiziale e il riassorbimento di acqua in corrispondenza
della porzione discendente sottile dell’ansa di Henle (4) e della porzione midollare interna del dotto
collettore (9). Alla fine, la concentrazione interstiziale di urea è maggiore rispetto a quella della porzione
sottile ascendente dell’ansa di Henle (5) e la concentrazione interstiziale di NaCl è inferiore rispetto a
quella della porzione sottile ascendente dell’ansa di Henle (5);
4. NaCl fuoriesce dalla porzione sottile ascendente dell’ansa di Henle (5) e allo stesso livello l’urea viene
riassorbita. Lo scambio però non è simmetrico essendo questa porzione molto sensibile a NaCl e meno
all’urea.
Al processo partecipano anche i vasa recta, che con la loro disposizione e per il fatto che attraversano
longitudinale l’interstizio midollare permettono di conservare l’ipertonia interstiziale.
Questo meccanismo è il bersaglio di alcuni farmaci9, cioè i diuretici, tra cui figura la furosemide. Questa
inibisce il riassorbimento di NaCl a livello della porzione spessa ascendente dell’ansa di Henle, quindi intacca
la prima fase del meccanismo, impedendo così la creazione di un gradiente massimale e favorendo la diuresi.
8
N.d.s. Poiché la spiegazione del professore era troppo semplificata, al punto che avrebbe potuto generare confusione,
si è preferito riportare, rielaborandolo, il testo esplicativo presente nella diapositiva.
9
La terapia non è parte dell’esame in modo specifico, ma saranno comunque fatti alcuni cenni.
10
La trattazione dell’ADH sarà ripresa quando verranno discusse iponatriemia ed ipernatriemia in quanto è un ormone
chiave del metabolismo dell’acqua.
11
Le informazioni relative recettori non sono state menzionate dal docente e sono state integrate dalla slide presentata a
lezione.
5
Tramite un meccanismo cAMP-correlato, l’ADH stimola
l’esposizione di acquaporine a livello delle cellule luminali
del dotto collettore e quindi favorisce il riassorbimento di
acqua. Questo meccanismo molto importante fa parte della
risposta fisiologica e giustifica una serie di condizioni
patologiche. Si prenda in esempio il caso dell’iponatriemia,
che generalmente è ipervolemica, ma di cui esiste anche
una forma ipovolemica. Perché si sviluppa un’iponatriemia
ipovolemica? Il paziente è disidratato ed ipoteso, per cui si
attiva il sistema renina-angiotensina-aldosterone ed è
rilasciato ADH, il quale permette il riassorbimento di acqua.
Qualora il riassorbimento di acqua sia eccessivo rispetto
alla disponibilità di Na+, il paziente sarà ipoteso,
ipovolemico ed iponatriemico. Interrompendo l’ipovolemia
tramite idratazione con soluzione fisiologica, il processo si
arresta e l’iponatriemia si corregge senza bisogno di
somministrare soluzioni ipertoniche, infusione che è invece
necessaria nel trattamento di iponatriemie correlate a carenza di sale.
I recettori coinvolti in questo meccanismo sono il target dei vaptani (es. Tolvaptan), farmaci che inibiscono
l’azione di ADH e determinano quindi un aumento della diuresi. Questo è sfruttato in diversi contesti clinici; in
particolare, in ambito nefrologico è impiegato per la terapia del rene policistico autosomico dominante (malattia
genetica più frequente in questo contesto), poiché tramite una diminuzione di cAMP intracellulare si verifica
una riduzione della crescita delle cisti.
12
Il discorso dell’anemia è in realtà complesso e non può essere ridotto alla sola questione della carenza di eritropoietina!
13
La presenza di calcificazioni vascolari è una tra le complicanze più frequenti in questo contesto. Valutando radiografie
e TC di questi pazienti si osservano calcificazioni anche a carico dell’aorta, poiché si verifica una sorta di migrazione del
calcio dalle vertebre all’aorta.
14
Questo concetto sarà ripreso durante la trattazione della malattia renale cronica.
6
SEMEIOTICA NEFROLOGICA
SEMEIOTICA CLINICA15
Clinicamente è significativo determinare lo stato volemico del paziente, quindi rilevare eventuali condizioni di
disidratazione o sovraccarico idrico16.
Un quadro di sovraccarico idrosalino è caratterizzato da17:
• Pressione arteriosa elevata (ipertensione arteriosa);
• Frequenza cardiaca elevata (tachicardia), poiché il paziente è scompensato;
• Ortopnea e dispnea parossistica notturna, che derivano dalla ridistribuzione dei flussi ematici a livello
polmonare. In pratica, quando è disteso, il paziente è dispnoico a causa di stasi a livello interstiziale
alveolare. Inoltre, riferisce di dover dormire con più cuscini (2 o 3) e di aver bisogno di alzarsi per respirare
meglio e per andare alla finestra. Questi segnali sono importanti e non devono essere sottovalutati;
• Edemi declivi, cioè accumulo di liquidi nello spazio interstiziale,
nel terzo spazio. Gli edemi si identificano per mezzo di
digitopressione in un’area cutanea con resistenza (es. regione
pretibiale e piede): in presenza di edema, si osserva il segno
della fovea, cioè un’invaginazione cutanea (vedi immagine a
lato). Gli edemi devono essere ricercati laddove è presente
gravità, per cui se il paziente è in piedi o in posizione seduta si
osservano a livello delle gambe in sede tibiale o del piede, nel
paziente allettato (che spesso presenta le gambe rialzate) in
regione glutea, femorale e lombare e nei casi estremi di pazienti
con decubito preferenziale da un lato sono visibili nel lato sulla
metà corpo sulla quale sono girati;
• Turgore della vena giugulare interna18, vaso che
normalmente dovrebbe presentare un turgore inferiore ai 3 cm. Se si verifica un
aumento si è in presenza di sovraccarico. In particolare, si osserva insorgenza di
turgore giugulare a seguito di una pressione esercitata a livello dell’ipocondrio
destro per circa 10 secondi. Nell’immagine è visibile un paziente seduto con
ossigeno e con evidente turgore della vena giugulare, quindi in stato di
sovraccarico idrosalino;
• Crepitazioni polmonari, correlate a stasi di liquido a livello interstiziale alveolare.
È possibile anche che si verifichi silenzio auscultatorio alle basi polmonari, in
associazione ad ottusità alla percussione, configurando una condizione di
versamento pleurico.
Ovviamente, oltre alla semeiotica clinica è possibile valutare ecograficamente la vena
cava, la cui dilatazione/distensione è indicativa di eventuale sovraccarico.
Si tenga presente poi che il malato uremico che deve iniziare il trattamento dialitico presenta un alito uremico
caratteristico, che può sviluppare pericardite e che all’auscultazione si evidenziano sfregamenti pericardici.
15
Il docente invita a sollecitare i tutor durante il tirocinio affinché forniscano suggerimenti per questi aspetti semeiotici.
16
Si tenga presente che l’ipovolemia può causare insufficienza renale acuta, mentre sia l’insufficienza renale acuta che
quella cronica possono determinare ipervolemia (questa nota, inserita per completezza, riporta il contenuto della nota n.10
a pagina 6 della prima sbobina dello scorso anno accademico).
17
Sono presenti anche altri segni oltre a quelli trattati, i quali saranno analizzati quando verranno affrontati i diversi stati
patologici.
18
I segni devono essere contestualizzati al fine di interpretare lo stato di idratazione! Infatti, il turgore giugulare può
verificarsi anche in caso di stenosi della vena cava superiore.
19
Fisiologicamente, con il passaggio in ortostatismo la pressione arteriosa si mantiene uguale o aumenta.
7
Inolte, spesso le malattie nefrologiche sono secondarie a malattie sistemiche immuno-mediate o
ematologiche; quindi, il malato presenta manifestazioni cliniche riferite alla sua condizione sistemica.20
SEMEIOTICA DI LABORATORIO
La funzione secretoria renale è valutata attraverso il dosaggio dell’azotemia (urea) e della creatininemia, la
stima del filtrato glomerulare e l’esame delle urine. In particolare, si determinano21:
• Funzione renale, tramite la valutazione di azotemia e creatininemia;
• Quadro elettrolitico, mediante la valutazione di Na+, K+, Ca2+, P, Cl- e HCO3-;
• Metabolismo minerale, attraverso la valutazione di Ca2+, P, 25-OH vitamina D, paratormone;
• Esame urine22, valutando glicosuria, proteinuria, ematuria ed effettuando urinocolture;
• Urine 24/h: clearance creatinina, proteinuria 24/h, albuminuria 24/h, calciuria 24/h, fosfaturia 24/h, sodiuria
24/h, cloruria 24/h. Nel paziente iperteso si valuta la sodiuria/24h, nel paziente con calcolosi renale in
corso è significativo lo studio di calciuria/24h e fosfaturia/24h. Bisogna istruire il paziente affinché la
raccolta delle urine delle 24h sia corretta. In particolare, la raccolta deve iniziare al mattino, scartando però
le prime urine, in quanto queste sono quelle della notte precedente, e si prosegue fino al mattino
successivo;
• Esami immunologici: ANA, ENA, anti-DNA, C3-C4, ANCA, crioglobuline, IgG, IgA, IgM,
immunofissazione siero-urine. Gli esami immunologici permettono l’inquadramento di alcune malattie
immuno-mediate, che sono una delle cause più frequenti di patologie glomerulari;
• Eritropoiesi, valutando emocromo, sideremia, transferrina, ferritina, acido folico, vitamina B12;
• Esami “speciali”23: diagnostica per malattie genetiche (pannelli di test genetici su polimorfismi “candidati”,
next generation sequencing), esami per immissione in lista trapianto…
20
L’ultimo paragrafo non è stato trattato dal docente ed è stato integrato dalla prima sbobina dello scorso a.a. (pagina 7).
21
Ai fini dell’esame è necessario conoscere i valori fisiologici di tutto ciò che è sottolineato e in corsivo.
22
I nefrologi sono “fortunati” poiché hanno a disposizione un liquido biologico (l’urina) che proviene direttamente
dall’organo in studio; tuttavia, è necessario non confondere aspetti semeiotici di origine nefrologica con quelli di origine
urologica.
23
Il docente afferma che questi esami saranno analizzati nel dettaglio nelle lezioni dedicate.
24
I valori presenti in questa tabella sono stati reperiti dalla seconda pagina di “Appunti del tirocinio di Nefrologia”, un
documento consegnato durante il tirocinio presso l’U.O. di Nefrologia. Si sottolinea che alcuni valori sono leggermente
differenti rispetto a quelli forniti dal docente nella trattazione che segue e comunque riportati.
8
Azotemia (urea)
Un primo marcatore di funzione renale è l’azotemia, ossia la componente di azoto circolante. I valori normali
sono 22-46 mg/dl. È costituita per il 50% da azoto ureico e per il restante 50% da azoto non ureico (aminoacidi,
creatinina, etc.).
L’urea viene sintetizzata a livello epatico e la sua concentrazione dipende dal catabolismo proteico e
dall’eliminazione per via renale. Si sottolinea che l’urea è filtrata completamente dal glomerulo ed è in parte
riassorbita per diffusione nel tubulo prossimale e distale. L’urea aumenta in presenza di aumentato
catabolismo delle proteine endogene (es. malato neoplastico, terapia con corticosteroidi), aumentato apporto
proteico con la dieta e in caso di danno renale. Può essere un marcatore di insufficienza renale, pur non
essendo sempre così specifica e sensibile; comunque, in presenza di insufficienza renale in fase avanzata,
l’urea risulta sempre elevata. È uno dei marcatori surrogati impiegati per capire quante tossine il paziente stia
accumulando per via della disfunzione d’organo. Poiché con l’urea non è possibile quantificare con precisione
il grado di insufficienza renale o il grado di decurtazione di funzione renale, essa risulta essere un marcatore
aspecifico di insufficienza renale.
Creatininemia
La creatinina deriva dalla creatina di origine muscolare. È completamente filtrata dal glomerulo e non rè
iassorbita dal tubulo; una piccola quota, che aumenta all’aumentare della creatinina, è secreta nel tubulo
prossimale. I valori normali sono 0.8-1.3 mg/dl nell’uomo e 0.6-1.1 mg/dl nella donna.
La creatinina è un marcatore molto più sensibile e specifico di insufficienza renale e un suo rialzo si
associa a questa condizione. Inoltre, permette di stimare il filtrato glomerulare; in particolare, la
creatininemia aumenta quando il filtrato glomerulare scende sotto i 70 ml/min.
25
Diversi concetti saranno ripresi nella trattazione delle patologie, tra cui le glomerulonefriti.
9
l’eliminazione del primo mitto, poiché questo “lava” le vie urinarie non sterili. Più tempo passa tra la raccolta
e l’analisi del campione, più questo subisce degradazione: si verificano proliferazione batterica, produzione di
ammonio, consumo di glucosio da parte dei batteri, deterioramento dei cilindri e di componenti cellulari. Il
campione di urina deve essere analizzato entro un paio di ore dalla raccolta, altrimenti deve essere refrigerato.
Torbidità
Le urine devono essere limpide. Tra le condizioni che causano torbidità figurano:
• Infezioni delle vie urinarie, con presenza di batteri, pus, muco o nitriti;
• Presenza di fosfati, elemento non patologico.
Il primo sospetto in caso di urine torbide è la presenza di un’infezione delle vie urinarie.
Colore ed ematuria
Il normale colore delle urine è il giallo paglierino, più o meno carico a
seconda dell’idratazione, ed è dovuto alla presenza di un pigmento,
l’urocromo, la cui concentrazione è proporzionale al metabolismo basale. In
particolare, aumenta in situazioni quali febbre, digiuno, ipertiroidismo, e
diminuisce con l’aumento della diuresi. Altri pigmenti (urobilina e urocetrina)
sono presenti in minor concentrazione. Il colore va sempre osservato nelle
urine fresche, poiché con il tempo tendono a scurire leggermente.
Variazioni cromatiche sono espressione di patologie. In particolare, le urine
che appaiono di colore rossastro (dal rosso vivo al marrone) possono essere
riconducibili ad ematuria. L’ematuria può avere diverse origini:
• Urologica, le urine sono di color rosso vivo e l’ematuria è presente in
modo variabile da una minzione all’altra;
• Nefrologica, le urine sono più scure, di color marrone, e la caratteristica
cromatica rimane costante in tutte le minzioni, con tendenza a regredire in modo lento e graduale nell’arco
di più giorni. L’ematuria nefrologica è l’espressione di un processo infiammatorio glomerulare molto
importante e allarmante.
Le urine possono essere rosse anche per la presenza di emoglobina (emoglobinuria: positività per
emoglobina, negatività per i globuli rossi) o mioglobina (mioglobinuria). Questo si verifica, rispettivamente, in
caso di emolisi e di rabdomiolisi, cioè lisi muscolare (su base traumatica, infiammatoria o autoimmune). Ciò
permette non solo di fare diagnosi, ma anche di osservare l’espressione di un potenziale rischio di tossicità
tubulare, legata alla presenza di emoglobina o mioglobina. Più rararamente le urine appaiono rosse in
relazione all’assunzione di determinati farmaci o di particolari alimenti (es. carote rosse).
La colorazione è associata a diverse condizioni patologiche27:
• Rosso/rosa: associato a condizioni di ematuria;
• Rosso scuro: associato a ematuria o emoglobinuria, farmaci (es.
rifampicina), alimenti (barbabietole, more, bacche, coloranti
alimentari);
• Giallo/verde: per aumento di bilirubina coniugata o presenza di
pigmenti biliari;
• Marsala: per aumento di bilirubina, malattie infettive, itteri;
• Nero: associato ad anemie emolitiche con emoglobinuria, sangue, melanina;
• Bianco: associato alla presenza di pus.
26
Quando parleremo di insufficienza renale acuta su base tubulare, vedremo che nella fase di recupero si ha rigenerazione
parziale del tubulo, per cui i malati tendono ad essere poliurici.
27
Per completezza si inserisce in corsivo quanto presente nella diapositiva del docente ma non citato durante la trattazione.
10
Si identificano delle condizioni patologiche:
• Isostenuria, cioè incapacità del rene di concentrare le urine. Si osserva in corso di insufficienza renale
cronica, in associazione con poliuria e nicturia, o in caso di patologie tubulo-interstiziali28. La
concentrazione delle urine è compresa tra 1010 e 1015, che è la stessa concentrazione che si ha nel
sangue sangue;
• Ipostenuria, strettamente associata al diabete insipido, è caratterizzata da una mancata produzione (nel
caso di diabete insipido ipofisario) o insensibilità (nel caso del diabete insipido nefrogeno) all’ormone
antidiuretico, cosa che determina una diuresi carica d’acqua con incapacità di concentrare le urine. La
concentrazione delle urine intorno a 1001-1002 e associazione con la poliuria.
Reazione
Normalmente il pH delle urine è acido, compreso tra 5 e 7, ma può diventare alcalino in corso di insufficienza
renale cronica per deficit dei processi di acidificazione o in caso di infezioni da parte di microrganismi che
convertono l’urea in ammoniaca.
Costituenti patologici
Glicosuria
Il glucosio è un costituente patologico che non
dovrebbe mai trovarsi nell’esame delle urine; quando
vi si trova indica una condizione patologica o
l’espressione dell’utilizzo di certi farmaci antidiabetici
e nefroprotettivi che hanno come meccanismo
l’inibizione dell’assorbimento di glucosio. La prima
domanda da porre a un malato che presenta
glicosuria è se assume uno di questi farmaci e se la
risposta è negativa ci si trova in una condizione
patologica. La glicosuria si presenta solitamente in
corso di diabete molto scompensato, quando la
capacità di assorbimento tubulare-renale viene a
essere superata: il rene è in grado di riassorbire
glucosio fin quando la glicemia si trova intorno a 180-200 mg/dl; quando la glicemia supera questi valori questa
capacità di riassorbimento è persa e il glucosio passa nelle urine. Si può avere glicosuria anche in caso di
infarto del miocardio e in corso di terapia con steroidi, a causa dell’elevata glicemia presente in queste
situazioni.
Il riassorbimento di glucosio avviene nel tubulo contorto prossimale, quindi, una patologia tubulare o un danno
tubulo-interstiziale che coinvolga il tubulo contorto prossimale può causare glicosuria. Esiste anche una
glicosuria su base genetica in cui il canale di riassorbimento non funziona a causa di un difetto genetico.
Quindi, nella maggior parte dei casi, sarà il diabete a dare glicosuria, ma questa potrebbe anche essere
determinata da una patologia tubulo-interstiziale renale acuta a prevalente coinvolgimento del tubulo contorto
prossimale. Questa condizione, nota come Sindrome di Fanconi, si può verificare in alcune neoplasie
patologiche, in cui il danno da parte delle catene leggere prodotte in eccesso in corso di mieloma è prevalente
a livello del tubolo contorto prossimale, zona che riassorbe le catene leggere; questo determina glicosuria.
La presenza di glicosuria facilita, inoltre, l’infezione urinaria.
Corpi chetonici
Sono solitamente espressione di digiuno quando presenti nelle urine.
Bilirubina29
Quando si trova nelle urine è indicazione di un’interruzione della circolazione enteroepatica. È giallo-rossa,
prodotta dal catabolismo dell’emoglobina ed esiste nel sangue in forma coniugata (solubile in acqua) e non
coniugata. Normalmente viene escreta nell’intestino, attraverso le vie biliari, e in esso viene catabolizzata a
urobilinogeno. Una piccola parte di urobilinogeno è riassorbita nella circolazione portale, ritorna al fegato e
viene riescreta nella bile.
28 La prof.ssa Mescia parlerà di nefropatie tubulo-interstiziali acquisite ereditabili. Queste si possono manifestare con
isostenuria perché la porzione tubulo interstiziale renale deputata alla concentrazione delle urine perde questa sua
capacità.
29
Gli argomenti successivi sono stati integrati con concetti presenti nelle diapositive ma non citati dal docente.
11
Urobilinogeno30
Nelle urine è un’indicazione di una condizione di emolisi o patologia epatica. L’urobilinogeno è un prodotto
di trasformazione dei batteri intestinali della bilirubina coniugata, così come lo stercobilinogeno e il
mesobilirubinogeno. Questi composti vengono secreti dal fegato nell’intestino e vanno incontro a ossidazione
batterica. Una piccola quota di questi prodotti è riassorbita ed eliminata con le urine in tracce (minor significato
diagnostico rispetto alla bilirubina). I valori di urobilinogeno normali sono compresi tra 0,5 e 2 mg/dl.
Nitriti
Normalmente non devono essere presenti nelle urine e quando lo sono indicano solitamente la presenza di
infezioni delle vie urinarie. Questo è dovuto al fatto che il 90% dei microorganismi31 che causano queste
infezioni sono in grado di ridurre i nitrati urinari in nitriti, i quali diventano dunque un indizio di batteriuria. Il
dosaggio dei nitriti è disponibile su strip e si basa su una diazoreazione con produzione di sali rossi. Nel 10-
15% dei casi sono stati trovati dei falsi negativi, mentre un’intensa ematuria può ostacolare la lettura del test.
Esterasi leucocitaria
Le esterasi leucocitarie sono enzimi che si trovano nei granuli dei neutrofili, cellule che possono essere
rilasciate nelle urine. C’è dunque una correlazione tra il numero di esterasi e di neutrofili presenti nel sedimento
urinario. Quindi, ciò indica la presenza di leucociti nelle urine e nella maggior parte dei casi è espressione di
un’infezione o un’infiammazione delle vie urinarie. Un paziente con infezione delle vie urinarie tipicamente
presenta disuria, febbre, nitriti ed esterasi leucocitaria. Ci sono casi in cui è presente esterasi leucocitaria
senza però una patologia infettiva e questo è il caso della piuria sterile, espressione di nefropatie tubulo-
interstiziali, patologie infiammatorie in cui si osserva una perdita di globuli bianchi nelle urine, una positività
delle esterasi leucocitaria e un’assenza di infezione.
Emoglobina e mioglobina
Quando il malato ha urine rosse contenenti emoglobina e globuli rossi si troverà in una situazione di ematuria,
che può essere urologica o nefrologica a seconda di alcune caratteristiche descritte precedentemente. Se
invece il malato presenta urine rosse contenenti emoglobina ma non globuli rossi, significa che perde
emoglobina dal sangue alle urine e la condizione è causata dall’emolisi. Quindi, malattie emolitiche possono
causare questo quadro; ciò è importante perché alcune di queste malattie causano insufficienza renale acuta
attraverso vari meccanismi, tra cui la tossicità dell’emoglobina a livello tubulare. Così come l’emoglobina,
anche la mioglobina è tossica e questo si vede durante il danno muscolare, ad esempio, nel corso della
rabdomiolisi. L’emoglobina, dunque, può essere presente nelle urine a causa di patologie renali, calcoli
renali, tumori vescicali, traumi di rene, vescica e uretra.
Proteinuria
È un parametro di fondamentale importanza ed in condizioni fisiologiche, assume valori di 100-300 mg nelle
24 ore. L’esame urine (estemporaneo) offre come risultato una concentrazione di proteine ed è fortemente
influenzato dal fatto che le urine sono più o meno concentrate. La determinazione quantitativa della
proteinuria nelle 24 ore (per identificare le proteinurie patologiche), invece, è ottenuta rapportando la
proteinuria alla creatininuria o facendo effettuare al paziente la raccolta delle urine nelle 24 ore. È quindi
importante spiegare al paziente come eseguire correttamente questa raccolta, per evitare che venga svolta in
modo anomalo e mostri un dato di proteinuria delle 24 ore alterato. Bisogna ricordare che, quando si valuta
un esame urine estemporaneo, la proteinuria è una concentrazione e non corrisponde alla proteinuria delle 24
ore.
La proteinuria fisiologica è influenzata da:
• Integrità della barriera di filtrazione glomerulare;
• Capacità di riassorbimento tubulare32;
• Quantità di proteina prodotta (solo per certe proteine);
• Capacità di filtro del glomerulo33.
La proteinuria può essere a basso o alto peso molecolare: la proteinuria espressione di un danno
glomerulare è costituita per la maggior parte da albumina; invece, quella a basso peso molecolare è più spesso
30
Aspetto utile nel completamento del quadro diagnostico ma collaterale: non è la sola presenza di urobilinogeno urinario
a determinare diagnosi di emolisi.
31
Gram-negativi come E. coli formano nitriti, gli enterococchi non li formano mentre lo stafilococco albus è variabile (nds:
la diapositiva del docente riporta il termine albus, sebbene non siano stati trovati altri riferimenti).
32
La maggior parte delle proteine ultrafiltrate dal glomerulo sono riassorbite dal tubulo con un processo saturabile (se
viene saturata la capacità di riassorbimento si ha proteinuria) e si ritrovano nel tessuto interstiziale.
33
Il passaggio attraverso la parete capillare è legato a un processo di ultrafiltrazione in rapporto alla grandezza dei pori
della membrana basale e a interazione elettrostatica (membrana basale carica negativamente, proteine cariche
positivamente).
12
indicativa di una proteinuria tubulare. In particolare, le proteine a basso peso molecolare sono filtrate
interamente dal glomerulo, quindi, un danno tubulare causa una proteinuria lieve, a basso peso molecolare.
Ciò si osserva tramite l’elettroforesi delle proteine urinarie oppure dosando proteinuria e albuminuria e notando
che la maggior parte della proteinuria è composta da proteine e non albumina. Inoltre, sono possibili proteinurie
asintomatiche non associate a patologia renale quali: proteinuria ortostatica, da sforza e febbrile. In questi casi
il valore non supera i 500 mg e la proteinuria è composta principalmente da albumina e può essere costante
o intermittente.
Urinocoltura
L’urinocoltura è importante nei pazienti dove si sospetta una infezione delle vie urinarie, la raccolta dei
campioni di urinocoltura deve essere preparata con un lavaggio accurato dei genitali esterni e il soggetto deve
raccogliere la fase centrale della minzione. È presente un cut-off che determina che l’urinocoltura è positiva,
e quindi patologica, quando il numero dei germi è superiore a 100.000 colonie per ml di urine34: se si è molto
al di sotto di tale valore l’urinocoltura è negativa, ma se ci trova tra 10.00035 e 100.000 questi sono considerati
valori “grigi”, in cui bisogna valutare caso per caso i sintomi del paziente o ripetere l’urinocoltura. Importante è
effettuare l’antibiogramma per capire, qualora l’urinocoltura fosse positiva, quali germi hanno causato
l’infezione.
SEMEIOTICA STRUMENTALE
Valutare la morfologia renale è fondamentale. Questo può essere fatto con le tecniche di imaging, che insieme
a creatinina ed esami delle urine sono tra gli elementi indispensabili che permettono al nefrologo di fare
diagnosi. Oltre all’ecografia e all’ecocolordoppler sono importanti anche la TC, con o senza mezzo di
contrasto iodato, e la risonanza, con o senza mezzo di contrasto36. Altre metodiche meno utilizzate sono:
scintigrafia, che serve per capire se il rene presenta cicatrici, e il grado di filtrazione renale, che è utile per
valutare se i reni funzionano, se uno funziona meglio dell’altro o se uno non funziona.
Ecografia
Questa procedura è ampiamente utilizzata per valutare se i
reni dei pazienti sono normali o meno e per effettuare biopsie
renali. All’ecografia il rene appare come una struttura
ipoecogena nella regione della corticale e iperecogena
nella porzione della pelvi, dove si trovano anche i vasi e il
grasso, che riflette molto gli echi.
Nell’immagine a lato si vede l’ecografia di un rene normale:
si notano la corticale (ipoecogena) e l’area della pelvi
(iperecogena). Purtroppo, in questa immagine non è
possibile apprezzare il fatto che all’interno della corticale vi
sono delle aree di forma triangolare più ipoecogene, che
altro non sono che le piramidi.
Le dimensioni normali di un rene si attestano tra i 10 e i 13
cm.
34
Se la carica batterica è superiore a 100000 si ha l’85% di probabilità di infezione, che sale a 99% se l’urinocoltura è
ripetuta su due campioni.
35
Una carica batterica inferiore a 10.000 indica contaminazione.
36
L’utilizzo di mezzi di contrasto è sconsigliato per eGFR (Estimated Glomerular Filtration Rate) < 30 ml/min.
13
In un paziente con insufficienza renale, l’ecografia permette di capire se questa è su base ostruttiva o meno:
se all’ecografia si nota un aspetto simile a quello della figura a destra, cioè si osservano un aumento
volumetrico dei reni e una dilatazione dei calici37, significa che il paziente ha un’insufficienza renale su base
ostruttiva.
Inoltre, l’ecografia permette di rilevare la presenza di anomalie anatomiche, come i calcoli. Nell’immagine a
sinistra si nota proprio un calcolo (indicato dalla freccia), che essendo costituito da calcio riflette gli echi e crea
un cono d’ombra posteriore. Nell’immagine a destra si osserva la presenza di una massa renale.
Le cisti si riconoscono perché c’è un minimo di rinforzo di parete posteriore e sono un poco iperecogene.
TC
Permette una migliore definizione anatomica rispetto all’ecografia, ma
non necessariamente fornisce più informazioni di questa, che è da
preferire per quanto riguarda la valutazione della morfologia renale e
dello spessore corticale.
È possibile utilizzare il mezzo di contrasto iodato, il quale permette di
ottenere informazioni aggiuntive ma può essere nefrotossico, motivo
per cui bisogna essere cauti nell’indicazione a questo tipo di indagine
diagnostica.
Nell’immagine a lato si osserva l’addome di un paziente sezionato con
i piedi verso di noi. Si possono distinguere il fegato, la colecisti, l’aorta,
la cava, il pancreas, una vertebra e i reni.
37
A differenza delle cisti, i calici appaiono uno confluente nell’altro.
14
Risonanza magnetica
La risonanza magnetica permette di valutare
elementi in più38. Al contrario della TC, la testa
del paziente è rivolta verso di noi.
38
Questo argomento sarà trattato successivamente durante il corso.
39
Paragrafo elaborato con i contenuti delle slides e della sbobina dell’anno accademico precedente.
15
L’obiettivo del rene è mantenere un normale filtrato glomerulare (90-120 ml/min). Se si verifica una riduzione
del filtrato glomerulare, come nel caso di ipoperfusione renale, per aumentarlo sono attivati i meccanismi
sopracitati. Questi determinano la dilatazione dell’arteriola afferente, la costrizione dell’arteriola efferente e un
aumento della pressione di filtrazione glomerulare. Se il rene deve ridurre la filtrazione glomerulare, come nel
caso di una crisi ipertensiva40, si verifica una costrizione dell’arteriola afferente e/o una dilatazione dell’arteriola
efferente. Tutto questo è regolato da ormoni e dal sistema renina-angiotensina-aldosterone.
Creatinina
La creatinina è un prodotto del catabolismo muscolare, è liberamente filtrata a livello glomerulare e in piccola
quota (10-40%) viene secreta a livello tubulare. Se un malato ha insufficienza renale, la creatinina è sempre
alta; tuttavia, come valore assoluto, la creatinina non permette la stima del filtrato glomerulare! Ad esempio,
se un paziente ha 3 mg/dl di creatinina, non è possibile affermare con certezza che questo dato corrisponde
ad un preciso valore di filtrato (es. 20 ml/min). I valori normali di creatinina nel sangue sono 0.8-1.3 mg/dl
nell’uomo e 0.6-1.1 mg/dl nella donna.
Per valori di filtrato glomerulare superiori a 60 ml/min, il rapporto creatinina-filtrato glomerulare è più o meno
lineare, cioè un raddoppio della creatinina corrisponde all’incirca ad un dimezzamento del filtrato glomerulare.
Sotto i 60 ml/min la relazione diventa esponenziale. Ad esempio, se un malato passa da 1 mg/dl a 2 mg/dl di
creatinina e presenta un filtrato di 80-85 ml/min, si può ritenere che a questo raddoppio della creatinina
corrisponda un dimezzamento del filtrato. Se il malato passa da 7 mg/dl a 8 mg/dl di creatinina, all’aumento
della creatinina corrisponde a una riduzione di filtrato di molto minore.
Inoltre, la creatinina è espressione delle masse muscolari, motivo per cui quando si valuta un paziente bisogna
considerare anche questo aspetto; infatti, si possono verificare condizioni in cui pazienti con masse muscolari
nettamente diverse hanno la stessa creatininemia. Ad esempio:
• Un ragazzo che fa molta attività fisica e con buona massa muscolare ha 1,4 mg/dl di creatinina, ma la sua
funzione renale è normale;
• Un’anziana signora che pesa 45 kg ha 1,4 mg/dl di creatinina. In questo caso, tale valore corrisponde ad
un quadro di insufficienza renale.
Quindi, una creatininemia normale o non significativamente aumentata rispetto ai valori di norma potrebbe
essere già di per sé espressione di un’insufficienza renale; viceversa, una creatininemia ai limiti superiori di
norma o anche leggermente superiore potrebbe essere espressione di una normale funzione renale (come
nel caso del ragazzo). Bisogna essere cauti nell’interpretazione dei valori di creatininemia!
40
Per proteggersi dalla pressione arteriosa troppo elevata, il rene riduce la filtrazione glomerulare.
16
Clearance della creatinina
Fornisce più informazioni rispetto alla sola creatinina ed è la modalità più utilizzata nella pratica clinica poiché
permette la migliore approssimazione della velocità di filtrazione glomerulare.
La clearance è un parametro che indica il volume di plasma che in una determinata unità di tempo viene
depurato da una certa sostanza (in questo caso la creatinina) ed è espressa in ml/min. La clearance della
creatinina può essere calcolata con una formula: la concentrazione urinaria della creatinina (creatininuria)
viene moltiplicata per il volume di urina espresso in ml/min e il tutto è diviso per la concentrazione plasmatica
della creatinina. Per determinare la clearance della creatinina è necessario che il paziente raccolga le urine
delle 24 ore e che si sottoponga ad un prelievo di sangue al termine o durante il periodo di raccolta. Questo
processo ha dei limiti: il malato potrebbe avere dei problemi nell’effettuare la raccolta delle urine (es.
incontinenza, dimenticanze, ecc.) e si ha una sovrastima del filtrato (1,1-1,2 volte la clearance dell’inulina)
poiché parte della creatinina è secreta a livello tubulare. Il risultato va quindi interpretato.
Per calcolare il filtrato glomerulare sarebbe preferibile utilizzare una sostanza diversa dalla creatinina proprio
perché essa è in parte secreta a livello tubulare; inoltre, tale secrezione aumenta con il peggiorare della
funzione renale, con conseguente incremento della sovrastima della clearance della creatinina e quindi del
filtrato. Una sostanza ideale da impiegare a questo scopo deve essere liberamente filtrata dal glomerulo, il
quale deve essere anche l’unica via di eliminazione della sostanza (assenza di secrezione tubolare), non deve
essere riassorbita, non deve essere tossica e deve essere facilmente misurabile. Esistono varie sostanze che
in linea teorica possono essere utilizzate, che però sono impiegate solo a scopo di studio; tra queste figurano
l’inulina (gold standard), i radioisotopi marcati (51Cr-EDTA), l’iotalamato e la cistatina C.
Va precisato che queste formule sono applicabili esclusivamente allo stato di equilibrio, cioè quando la
funzione renale è stabile, quindi non si possono utilizzare in caso di insufficienza renale acuta. Un altro
problema è il fatto che la creatinina plasmatica può oscillare in base alla dieta, in particolare in seguito
all’assunzione di proteine (> 80% dopo aver assunto 300g di carne). Inoltre, in caso di esercizio intenso si può
verificare un aumento (14%) della creatininemia, con sottostima del filtrato attraverso le formule. È poi difficile
predire la massa muscolare in certe categorie di pazienti, come edematosi, ascitici, obesi e donne in avanzato
stato di gravidanza. Esistono anche dei farmaci inibenti la secrezione tubulare che possono aumentare la
creatininemia.
Riassumendo, esistono tre metodi per calcolare il filtrato glomerulare: creatininemia, clearance della creatinina
e le formule. In particolare, la creatininemia permette di stabilire se il malato è in insufficienza renale o meno,
la clearance della creatinina è un metodo più preciso ma ha limiti importanti, le formule sono più utilizzabili
nella pratica clinica ma gravate da vari limiti.
17
INSUFFICIENZA RENALE ACUTA (IRA) - ACUTE
KIDNEY INJURY (AKI)41
INSUFFICIENZA RENALE ACUTA
L’insufficienza renale acuta, più correttamente detta danno renale acuto (dall’inglese acute kidney injury), è
una riduzione (spesso) reversibile della funzione renale e quindi del filtrato glomerulare. È caratterizzata da
rialzo della creatininemia e dell’azotemia e da riduzione della diuresi. In una fase estremamente iniziale
di IRA è possibile che non vi sia rialzo della creatinina; infatti, questa richiede qualche giorno (in genere 3) per
raggiungere il plateau e per arrivare alla condizione in cui la ridotta eliminazione renale si equilibra con la
produzione muscolare. Pertanto, è necessario dare molta importanza alla diuresi e alla valutazione clinica del
malato. Si prenda in esempio il caso di un paziente che viene sottoposto ad un intervento chirurgico molto
complicato e che si ipotende perché emorragico. Se al rientro dalla sala operatoria rimane anurico nonostante
le flebo, ciò significa che ha sviluppato un’IRA. La creatinina potrebbe essere normale o di poco aumentata
(es. 1,5-1,6 mg/dl), ma a mettere in allarme è l’assenza di diuresi.
L’IRA ha un’incidenza dell’1-5% (sottostimata) nei pazienti ospedalizzati e del 7-23% nei pazienti in terapia
intensiva. La mortalità totale è del 20-70%, con un ruolo importante della malattia sottostante nel determinare
la prognosi, e raggiunge l’80% nei pazienti in dialisi.
Esistono varie definizioni di insufficienza renale acuta: per alcuni si parla di IRA quando si ha un aumento della
creatininemia superiore a 0,5 mg/dl/die, per altri quando il raddoppio della creatininemia equivale a un
dimezzamento del filtrato glomerulare, per altri ancora quando la riduzione della funzione renale è tale da
richiedere la dialisi. Anche i parametri di oliguria (<400 ml/die) e anuria (<100 ml/die) aiutano nella definizione
di IRA.
Grazie a questi criteri classificativi è possibile quantificare la severità dell’IRA. In AKIN e in KDIGO si valuta
l’aumento della creatininemia e si identificano 3 stadi della malattia. RIFLE è l’unico criterio che non propone
una stadiazione, ma i pazienti sono distinti in classi di severità (risk, injury e failure) in base all’aumento della
creatinina e in classi di outcome (loss e ESKD) in funzione del tempo che trascorrono in insufficienza renale.
41
Paragrafo elaborato con i contenuti delle slides e della sbobina dell’anno accademico precedente.
42
Il docente sottolinea che non è necessario ricordare tutti i cut off. Se proprio, suggerisce di imparare quelli di KDIGO.
18
EVOLUZIONE CLINICA
L’IRA può avere un’evoluzione clinica variabile. Nello schema si osservano un rene normale e un rene con
pregressa insufficienza renale cronica. Infatti, l’IRA può interessare anche un rene che presenta già IRC! Il
danno acuto può esitare in:
• Ripresa funzionale, cioè il malato recupera il livello di filtrato glomerulare che aveva in precedenza;
• Riparazione patologica, cioè rimane un danno irreversibile, quindi il malato presenta funzione renale
ridotta rispetto a quella di partenza;
• Morte renale, cioè il malato non recupera la funzione renale, quindi dipende dalla dialisi.
IRA post-renale/ostruttiva
È la più facile da diagnosticare, essendo sufficiente l’utilizzo di una sonda ecografica. Se in pronto soccorso
si presenta un malato con 3 mg/dl di creatinina e all’ecografia si osserva una dilatazione delle vie urinarie,
molto probabilmente egli è affetto da un’IRA su base ostruttiva. Tuttavia, spesso l’ecografia non identifica la
causa dell’ostruzione! Se il malato ha la vescica molto dilatata (globo vescicale), la causa più frequente è un
problema prostatico (nell’uomo) e il tutto si risolve inserendo un catetere. Invece, se la vescica si svuota bene
ed è il rene ad essere dilatato, la causa, che va indagata con una TC, può essere un calcolo, una neoplasia
retroperitoneale o fibrosi retroperitoneale.
L’IRA post-renale può essere classificata in:
• Intrinseca, a sua volta distinta in intraluminale (es. calcoli, coaguli) e intramurale (es. ipertrofia prostatica,
neoplasie delle vie urinarie);
• Estrinseca, l’uretere non è ostruito, ma è compresso dall’esterno. Le cause possono essere: tumori pelvici,
fibrosi retroperitoneale, legature accidentali, stenosi cicatriziali, anomalie congenite, come le valvole
dell’uretra posteriore, alterazioni funzionali, come ad esempio un reflusso vescico-ureterale43.
43
L’urina, per motivi spesso congeniti, talvolta acquisiti, confluisce dalla vescica all’uretere.
19
Nell’IRA ostruttiva si verifica un aumento di pressione all’interno delle vie urinarie, con conseguente aumento
di pressione della capsula di Bowman, cosa che ostacola la filtrazione glomerulare e determina un aumento
della creatinina e una riduzione della filtrazione glomerulare stessa.
20
Sbobinatore: 170/177
Revisore: 46/47
Materia: Nefrologia
Docente: Alberici Federico
Data: 07/03/2023
Lezione n° 2
Argomento: IRA, glomerulopatie
Comunicazioni: all’inizio della lezione il professore afferma di essere disponibile a chiarimenti sugli argomenti
spiegati nella lezione precedente
Riassunto/integrazione: nella prima lezione abbiamo affrontato l’insufficienza renale acuta post-renale, oggi,
invece, parliamo delle altre forme di insufficienza renale acuta, più complesse dal punto di vista clinico: la
forma pre-renale e la forma parenchimale.
L’IRA nella maggior parte dei casi (70-80%) è scatenata da un’ipoperfusione renale, che può essere causata
da:
• Ipotensione:
o Eventi ischemici cardiaci, IMA, sindrome coronarica acuta, disfunzione cardiaca
o Aritmie, una tachiaritmia sopraventricolare, una fibrillazione atriale ad alta risposta con conseguente
scompenso2;
o Shock, che può emorragico, settico (urosepsi severa);
• Ipovolemia:
o Emorragie,
o Disidratazione molto accentuata,
o Assunzione di farmaci, come FANS che riducono le prostaglandine renali dando vasocostrizione
dell’arteriola afferente e ipoperfusione, ACE inibitori che dilatano l’arteriola efferente, Sartani;
o Perdite di plasma, causate da ustioni o traumi estesi
o Sequestro di liquidi nel terzo spazio (ad esempio, edemi e cirrosi) 3.
Nella figura qui accanto troviamo riassunti i complessi meccanismi patogenetici. Il sistema RAA 4 e l’ormone
antidiuretico sono fondamentali per regolare il tono dell’arteriola afferente ed efferente e il riassorbimento di
1
IRA, insufficienza renale acuta.
2
Integrato dalle sbobine dell’anno scorso.
3
Abbiamo una riduzione della volemia efficace, anche se nel complesso i pazienti sono ipervolemici.
4
Sistema Renina Angiotensina Aldosterone.
21
Na+ e di H2O a livello del sistema tubulare.
In caso di ipovolemia o ipotensione, da un lato
abbiamo l’alterazione dei sistemi che guidano il
riassorbimento di Na+ e H2O, dall’altra parte si ha
una vasocostrizione corticale-renale che determina
una riduzione del flusso ematico corticale, e di
conseguenza una riduzione del filtrato glomerulare,
che porta ad oliguria.
La vasocostrizione corticale renale porta anche
all’aumento del flusso ematico midollare che
favorisce il riassorbimento di acqua e sale, assieme
ai meccanismi ormonali già spiegati. Il risultato è,
infine, che in caso di ipoperfusione renale (indotta da
varie cause: ipotensione, disidratazione, emorragia),
fisiologicamente si ha una contrazione della diuresi e un rialzo della creatinina, per cui il paziente diventa
oligurico.
È intuitivo che reidratando il paziente o andando a trattare la causa dell’ipoperfusione renale, il malato andrà
incontro a una interruzione dei meccanismi patogenetici e ad una ripresa della diuresi.
Questo, tuttavia, non accade se una forma pre-renale si protrae nel tempo o è particolarmente severa da
evolvere in una forma parenchimale, ovvero in un danno renale secondario alla ipoperfusione sostenuta nel
tempo.
• Glomerulo (5%), dal punto di vista probabilistico è la causa meno frequente dell’IRA parenchimale, ma
è comunque molto importante;
• Tubulo (85%), la cosiddetta necrosi tubulare acuta, causa più frequente (spesso è la forma in cui può
evolvere una IRA pre-renale sostenuta nel tempo);
• Interstizio (8-12%), la causa dell’IRA è un processo patologico a livello del compartimento interstiziale
renale, ovvero lo spazio virtuale compreso fra i tubuli 5;
• Vascolare (<2%), causa più rara, a carico delle arterie renali.
La necrosi tubulare acuta è una condizione in cui il tubulo renale va incontro a un fenomeno di danno necrotico
e nella maggior parte dei casi è su base ischemica, ovvero un’evoluzione di una forma pre-renale sostenuta
nel tempo (per l’ipoperfusione renale severa).
Il professore ipotizza un caso clinico in cui un paziente anziano arriva in pronto soccorso con IRA pre-renale,
disidratato, che assume ACE inibitori e che ha assunto antiinfiammatori perché ha lombalgia. Il suo livello di
5
Ne accenneremo alcune cause, ma verrà spiegato in dettaglio dalla dottoressa Mescia.
6
L’argomento verrà approfondito nelle prossime lezioni.
22
creatinina è alto (ad esempio, 4 mg/dL) ed è oligurico. Tramite idratazione, il paziente riprende a urinare e la
creatinina inizia a scendere.
Se, invece, lo stesso paziente è stato disidratato per molto tempo e a intensità elevata (l’ipotensione è stata
prolungata o se il paziente presenta dei fattori di rischio, come il diabete, come l’IRC 7 preesistente),
l’ipoperfusione può evolvere in una necrosi tubulare acuta.
Se il paziente presenta il danno in una sezione specifica del tubulo (vedremo poi qual è), a quel punto,
nonostante la reidratazione, il malato rimane anurico.
Questa è la classica evoluzione della IRA pre-renale, sostenuta nel tempo.
Ciò ha anche delle ripercussioni pratiche molto importanti: dal momento che malato è anurico, non si deve
eccedere nell’idratazione, perché il rischio è quello di mandare il malato in sovraccarico idrico.
Tra le principali tossine endogene (tutte nefrotossiche, soprattutto per il tubulo) ci sono:
● Mioglobina;
● Emoglobina;
● Acido urico;
● Ipercalcemia;
● Catene leggere.
Possiamo avere mioglobinuria in pazienti con una rabdomiolisi 8, o con un danno muscolare importante causato
da traumi o malattie autoimmuni (come sono ad esempio le polimiositi). La mioglobina filtrata è tossica per il
tubulo e il paziente può sviluppare IRA.
La stessa cosa vale per i malati con emolisi (qualsiasi sia la causa) che vanno incontro a emoglobinuria.
Nei malati con, ad esempio, una sindrome da lisi tumorale, i livelli di acido urico sono molto elevati e questo
può causare IRA.
Per quanto riguarda le catene leggere 9, il mieloma multiplo può causare un eccesso di catene leggere a livello
urinario, con conseguente danno tubulare.
L’ipercalcemia può essere secondaria a neoplasia ematologiche, solide o a intossicazione di vitamina D che
possono causare una vasocostrizione a livello dei vasi parenchimali renali e quindi ischemia (che, in questo
caso, viene però classificata nelle cause tossiche).
● Antibiotici (aminoglicosidi);
● Mezzo di contrasto (il professore afferma che durante il tirocinio in reparto di Nefrologia vedremo come
con il malato che presenta IRA da altre cause i medici siano sempre molto cauti prima di dare
un’indicazione all’esecuzione di una TAC con mdc 10 iodato perché questo è di per sé nefrotossico. Le
dosi che si utilizzano per imaging o per TAC, non sono dosi così elevate, mentre i mdc iniettati
direttamente per via arteriosa, ad esempio per arteriografie, sono a dosi più elevate);
● Metalli pesanti;
● Veleni;
7
Insufficienza renale cronica. .
8
La rabdomiolisi è una condizione clinica caratterizzata dalla necrosi del tessuto muscolare scheletrico, con
conseguente rilascio in circolo del suo contenuto intracellulare, tra cui elettroliti, mioglobina, ma anche creatina, calcio,
potassio e acido urico [integrato dalle sbobine dell’anno scorso].
9
Lo vedremo brevemente quando parleremo del danno renale in corso di neoplasie ematologiche.
10
Mezzo di contrasto.
23
● Altre sostanze come l’etilene glicole.
Il segmento di tubulo colpito in corso di necrosi tubulare acuta su base ischemica è il segmento S3 del tubulo
contorto prossimale. Il tubulo contorto prossimale è la porzione del tubulo renale che svolge le maggiori attività
e che ha una maggiore necessità metabolica. Per motivi anatomici, tuttavia, la midollare esterna del rene è
una zona fisiologicamente ipoperfusa. Il risultato è che il segmento in questione vada molto spesso incontro a
necrosi tubulare. Nella stessa zona si trova anche il tratto ascendente spesso dell’ansa di Henle, ma questa è
una zona meno sensibile agli eventi ischemici.
24
Nell’immagine vediamo uno schema dello sviluppo
della necrosi tubulare acuta su base tossica. Le
sostanze tossiche che causano tale necrosi possono
essere esogene o endogene. Per quanto riguarda le
sostanze esogene si possono individuare:
Tra le sostanze endogene che in eccesso possono provocare la necrosi tubulare acuta, troviamo:
● Emoglobina libera, il cui livello può aumentare a seguito, per esempio, di emolisi;
● Mioglobina, la cui liberazione può essere provocata da traumi o infezioni da C. Tetani;
● Bilirubina, la cui presenza nel sangue aumenta in caso di epatite acuta e ittero ostruttivo. 11
Nel caso delle forme da tossico, il meccanismo patogenetico del danno tubulare non è più l’ipoperfusione ma
è il danno diretto a livello delle cellule tubulari renali da parte della sostanza responsabile (dell’emoglobina,
della mioglobina, del mdc, dell’antibiotico). Questo determina una lesione diretta dell’epitelio tubulare e oligo-
anuria.
● Fase iniziale oligurica/anurica, in cui il malato non urina ed è la fase in cui il malato deve essere mantenuto
in attento bilancio, soppesando introiti, per evitare di mandarlo in sovraccarico idrosalino. Spesso i malati
in questa fase devono essere sottoposti al trattamento dialitico, per trattare gli effetti deleteri dell’IRA.
● Fase diuretica, qualora il danno tubulare vada incontro a progressivo recupero, l’IRA su base tubulare
passa verso una fase diuretica, cioè le cellule tubulari rigenerate che non hanno ancora tutte le capacità
del funzionamento delle cellule tubulari adulte, non sono in grado di garantire il meccanismo di
concentrazione controcorrente. Il malato non è in grado di concentrare le urine e quindi è poliurico (fino
a 5, 6, 7 litri di urina al giorno). È necessario sostenere questa fase con delle infusioni per evitare che il
paziente perdi peso e, soprattutto, per evitare che il malato vada incontro, nuovamente, a una ipovolemia
e quindi ipotensione, che esita in un ulteriore danno tubulare legato a una forma pre-renale in cui la causa
della disidratazione è la diuresi forzata;
● Fase della convalescenza, progressivo recupero della capacità di concentrare le urine.
Le varie fasi evolutive dell’IRA vanno conosciute, poiché sono momenti delicati in cui il paziente deve essere
seguito per evitare di, una volta migliorata la situazione, ritornare al punto di partenza. Purtroppo, accade,
soprattutto in piccoli ospedali, dove non ci sono reparti di Nefrologia e non ci sono nefrologi a cui chiedere un
consulto, che i pazienti in fase diuretica vengano dimessi, dal momento che la creatinina sta tornando a valori
fisiologici. La conseguenza più probabile è che il malato rientri in pronto soccorso dopo 12-24 ore dalla
dimissione, disidratato e con un’altra IRA.
11
Paragrafo completamente integrato dalla sbobina dell’anno scorso perché il professore non ha risposto alle mail in cui
chiedevamo di poter avere le presentazioni (sulle quali erano scritte queste informazioni).
25
IRA parenchimale interstiziale
Nel caso di IRA parenchimale interstiziale la causa è un processo patologico che coinvolge l’interstizio renale,
che è quello spazio virtuale posto fra tubulo e tubulo; esso è molto importante per il meccanismo di
concentrazione controcorrente (che avviene a livello dell’ansa di Henle e il dotto collettore, con l’ausilio dei
vasa recta).
La patologia più frequente è la nefrite interstiziale acuta indotta da farmaci12: dopo l’esposizione ad alcuni
farmaci, si possono sviluppare le cosiddette nefriti tubulo-interstiziali immuno-allergiche in cui, a causa del
processo infiammatorio, si va incontro a un edema dell’interstizio e quindi a una IRA.
L’IRA parenchimale interstiziale può essere causata da infezioni, ad esempio la pielonefrite. Le infezioni
possono essere:
● Batteriche;
● Virali;
● Granulomatose (come la sarcoidosi, la TBC, altre malattie immunomediate, come la malattia IgG4
correlata che può causare un processo flogistico a livello interstiziale).
In questo caso c’è una differenza fondamentale rispetto alle forme glomerulari: l’esame urine sarà spesso
negativo o comunque presenterà delle anomalie minori rispetto a quello delle forme glomerulari dove l’esame
urine è florido.
In generale nella IRA, pur riconoscendo un agente offendente primario, ovvero la causa scatenante
l’insufficienza renale acuta (ad esempio l’ipoperfusione, l’ischemia, la necrosi tubulare, la sepsi, …); si vanno,
poi, ad aggiungere dei mediatori di danno secondario che rendono più grave, mantengono o causano una
progressione o una evoluzione di questo danno primario; spesso questi mediatori secondari sono mediatori
del sistema immunitario.
La complessità patogenetica va ad aumentare: inizialmente abbiamo il danno a carico del tessuto renale che
porta a necrosi a livello delle cellule del parenchima renale che determina il rilascio di proteine dedicate in
grado di mediare il danno. Queste proteine, però, causano anche l’attivazione di una serie di componenti
cellulari, soprattutto appartenenti al sistema immunitario (come cellule dendritiche, macrofagi, cellule
endoteliali, cellule mesangiali, podociti, cellule epiteliali tubulari).
Abbiamo, quindi, una serie di conseguenze pro-infiammatorie che contribuiscono all’instaurarsi del danno
12
Ne parlerà nel dettaglio la dottoressa Mescia.
13
Vedi nota 6.
26
renale; quindi, queste chemochine che sono rilasciate dalle cellule tubulari del parenchima renale possono
portare a un recruitment di componenti del sistema immunitario innato come le cellule NK.
Le cellule NK attivate dagli stessi mediatori, possono contribuire al danno tissutale e al mantenimento del
processo infiammatorio.
Non viene attivato solo il sistema immunitario innato, anche quello adattativo con il richiamo dei linfociti T che
possono perpetuare il danno infiammatorio a livello del parenchima renale.
Il professore racconta un caso drammatico in cui la patogenesi è molto chiara: una giovane donna che ha
subito una massiva emorragia secondaria al parto (al punto che è stato necessario trasfondere circa 15 sacche
di sangue) è stata ricoverata perché ha sviluppato una IRA anurica secondaria all’emorragia. Ovviamente, in
questo caso, la causa di IRA è piuttosto chiara, dal momento che la donna in questione è giovane, sana e
senza particolari problematiche.
Nella maggior parte dei casi l’IRA che ritroviamo in ospedale è una IRA nel malato anziano, policomorbidito
che magari va incontro a una ipoperfusione per diarrea o vomito, oppure può avere una IRC preesistente,
magari ha 80 anni e quindi una fragilità intrinseca, potrebbe assumere ACE-inibitori o antinfiammatori. In
pronto soccorso non è infrequente avere un malato con una condizione infiammatoria sistemica (legata ad
una sepsi o a una malattia autoinfiammatoria), che va incontro a un processo di ipoperfusione.
IRA WORK-UP
Per affrontare un paziente che si sospetta avere IRA bisogna seguire una serie di step e ricorrere a specifiche
metodiche e specifici esami che sono:
● Anamnesi: la prima cosa da fare è sempre quella di verificare se ci troviamo veramente di fronte a una
IRA, quindi cercare precedenti anamnestici (il malato potrebbe avere una IRC avanzata, 5 mg/mL di
creatinina è il suo valore basale e quindi non ci troviamo di fronte a un problema di questo tipo);
● Imaging: una volta confermato che si tratti di IRA, si prosegue con l’ecografia per osservare i reni; questo
è molto utile, perché in base alle loro dimensioni possiamo capire la patologia alla base:
o Reni di piccole dimensioni con una differenziazione compromessa potrebbe essere in supporto di
una IRC preesistente
o Reni normali, ma con una forte dilatazione (idronefrosi), significa IRA post-renale
o Reni normali non dilatati possono identificare una vera IRA propria;
● Sedimento urinario: strumento importante per identificare le cause glomerulari dell’IRA 14
● Volume urinario. che permette di capire in che fase siamo, un paziente con IRA pre-renale può essere:
o Nella prima fase, quindi disidratato, ipoperfuso, ipoteso con il volume urinario sarà ridotto perché
sono stati attivati i meccanismi per il mantenimento del volume;
o Post idratazione, si deve monitorare il volume urinario per valutare l’evoluzione della IRA (se è
andata incontro a risoluzione e il malato riprende a urinare tranquillamente oppure se si è evoluta in
danno parenchimale);
o Una diuresi ridotta, pur con funzione renale normale, è indice di un problema: ad esempio, in seguito
ad un’operazione il paziente si è anemizzato, fa delle trasfusioni e assume antibiotici, l’urina è 300
ml; se dopo l’idratazione continua a urinare poco, anche se la creatinina è normale, avrà comunque
IRA15.
14
Lo affronteremo nella prossima lezione.
15
Esempio tratto dalla sbobina dell’anno scorso.
27
● Elettroliti urinari e il rapporto urea/creatinina: perché
permettono di fare una diagnosi differenziale tra le due
cause più frequenti, quindi tra necrosi tubulare acuta
secondaria a ipoperfusione e IRA pre-renale. Nelle
forme di necrosi tubulare acuta (sia che sia legata a
sostanze tossiche, sia che sia legata a una evoluzione
di una forma pre-renale), solitamente nelle poche
urine avrete una sodiuria obbligata e un rapporto
urea/creatinina di circa 20-30:1.
Nelle forme pre-renali, con disidratazione importante
ma reni ancora funzionanti, l’oliguria sarà legata al
meccanismo di compensazione del rene, troveremo
una sodiuria bassa, per attivazione del sistema
RAA, e un rapporto urea/creatinina molto elevato,
sinonimo di disidratazione.
● Esame urine; grazie al quale, senza ricorrere
all’osmolarità e ad altri parametri che nella pratica
clinica quotidiana non vengono utilizzati così
frequentemente, trovare un peso specifico elevato,
ovvero una tendenza a concentrare le urine, sarà
indice di una forma di IRA pre-renale; un peso
specifico basso, una isostenuria, sarà espressione
di un danno tubulare e quindi di una forma organica.
28
Diagnosi IRA/IRC
Lo step fondamentale per il trattamento di un paziente con insufficienza renale è capire se il nostro paziente
ha una IRA o una IRC. È possibile fare diagnosi differenziale, in primis, tramite l’anamnesi, grazie alla quale
possiamo scoprire i valori di creatinina basale e ricercare eventuali sintomi pregressi come vomito e diarrea
(che ci farebbero propendere per una forma pre-renale); sintomi sistemici come febbre, dolori articolari, eritemi
(che ci orientano invece verso una malattia su base virale o autoimmune).
La presenza di anemia, ipocalcemia, iperfosforemia potrebbero orientarci verso una preesistente IRC
oppure l’anemia potrebbe orientarci verso una possibile causa pre-renale emorragica di IRA.
Si valutano inoltre le dimensioni renali dell’ecografia, di solito il paziente con IRC ha dei reni di volume ridotto.
Fanno eccezione tre condizioni:
Diagnosi IRA
Per escludere la forma post-renale è sempre utile l’esecuzione dell'ecografia, ponendo particolare attenzione
a quelle condizioni che causano ostruzione delle vie urinarie (e quindi aumento della pressione nelle stesse)
senza dilatazione: l’uretere-pelvi incarcerata. Ad esempio, nei malati con neoplasie retroperitoneali o
prostatiche, l’uretere e la pelvi possono essere inglobati in una massa neoplastica causando IRA su base post-
renale con un aumento della pressione post renale non associata a dilatazione.
È necessario, poi, escludere le forme pre-renali, quindi la presenza di ipovolemia del malato, valutando:
● Turgore giugulare;
● Pressione venosa centrale;
● Ipotensione/ipotensione ortostatica;
● Elevato rapporto urea/creatinina;
● Riduzione del sodio urinario;
● Aumento della diuresi dopo carico idrico.
Dopo aver escluso queste due forme viene solitamente chiamato il nefrologo che confermerà che l’IRA è su
base parenchimale. La causa dell’IRA potrà essere una glomerulonefrite (forma rara, ma comunque frequente
in questi malati), una nefrite tubulo-interstiziale o altre patologie che affronteremo più avanti.
È possibile sospettare una forma vascolare, che è la più rara, in pazienti con:
● Una importante malattia aterosclerotica, quindi possibile malattia ateroembolica, si ricercano la causa
precipitante e i segni clinici specifici che la contraddistinguono;
● Un’asimmetria renale, probabile espressione di una stenosi dell’arteria renale, ricercate con doppler e
TAC con mdc;
● Dolore lombare, espressione di un infarto renale;
● Macroematuria o anuria completa.
29
per valutare se è presente una dilatazione renale, che andrà approfondita con una TAC. Se positiva anche la
TAC si deve capire perché il malato ha una idronefrosi e, nel frattempo, il paziente va trattato in base alla
causa:
Se la causa non è post-renale, allora si deve valutare se il malato è disidratato o se ha assunto dei farmaci
nefrotossici, a quel punto la causa potrebbe essere pre-renale e il malato andrà trattato tramite idratazione e
interruzione dell’assunzione dei farmaci.
Escluse le altre forme, rimane solo quella parenchimale. Verranno, quindi, valutati: il sedimento urinario,
l’esame urine, la storia del malato, eventuali comorbidità che possano giustificare una malattia parenchimale
ed eventuale biopsia renale per la diagnosi.
Le complicanze sono:
● Il sovraccarico idrosalino, che vale per le forme oligo/anuriche o pre-renali evolute in una forma
parenchimale da necrosi tubulare 18;
● L’iperpotassiemia, condizione che può portare alla morte nel malato;
● L’uremia, cioè l’accumulo di tossine uremiche, normalmente eliminate dal rene; si può manifestare in vari
modi:
o con pericardite,
o con encefalopatia,
o con diatesi emorragica, ovvero l’aumentato rischio di sanguinamento;
o con disfunzione respiratoria, il cosiddetto polmone uremico;
● L’acidosi metabolica.
È possibile curare tutte queste complicanze contemporaneamente 19, tramite la dialisi. Chiaramente, se non è
indispensabile possiamo provare ad utilizzare la terapia medica, grazie alla quale abbiamo strumenti efficaci
per trattare: il sovraccarico idrico, l’iperpotassiemia e l’acidosi metabolica.
Mentre se il malato è uremico in modo grave l’unica terapia è la dialisi.
Sovraccarico idrosalino
Per trattare il sovraccarico idrosalino, abbiamo a disposizione diuretici che agiscono virtualmente a ogni livello
del nefrone:
● I diuretici dell’ansa (es. la Furosemide), che andando a inibire il cotrasportatore Na+/K+/Cl- della
porzione ascendente dell’ansa di Henle, va a interrompere il meccanismo che inizia la concentrazione
controcorrente; quindi, questo lo rende il diuretico più potente;
16
Tutte manovre che affronteremo nel corso di Urologia.
17
Sono, ovviamente, da sapere per l’esame (“Altrimenti va male”, cit. dottor Alberici).
18
Teoricamente, nella forma pre-renale, il malato va semplicemente idratato, senza questo rischio, poiché i reni, che non
hanno subito danno, riprendono a funzionare.
19
Teoricamente la terapia di queste condizioni non sarebbe parte del nostro programma, ma il professore afferma che
sia molto difficile affrontare questi argomenti senza parlare dei loro approcci terapeutici. Decide quindi di dare solo
qualche accenno che verrà approfondito in seguito.
30
● Gli inibitori dell’anidrasi carbonica, che agiscono sul riassorbimento del bicarbonato di sodio a livello
del tubulo contorto prossimale;
● I Tiazidici, diuretici che agiscono sul tubulo contorto distale e, quindi, sul riassorbimento di Na+ a questo
livello;
● Gli antialdosteronici, i cosiddetti risparmiatori di potassio, diuretici che agiscono sul riassorbimento di
Na+ a livello del dotto collettore, che è mediato dall’aldosterone.
Usandoli in combinazione è possibile inibire tutto il tubulo, effettuando il blocco sequenziale, strategia per
massimizzare la diuresi nei malati.
Nel malato con grave scompenso cardiaco si tenta prima l’utilizzo della Furosemide (nome commerciale più
comune, Lasix), se non funziona si aumentano le dosi, se non è sufficiente, si aggiunge un Tiadizico, anche
qui si aumentano le dosi; se anche questo non è abbastanza, se il potassio lo consente, si aggiunge lo
Spirolattone e l’Antialdosteronico.
Non è infrequente nei malati nefropatici, soprattutto quelli con scompenso cardiaco utilizzare questi tre diuretici
contemporaneamente.
Iperpotassiemia
L’iperpotassiemia20 è una complicanza molto grave, quindi, nel malato con IRA la prima cosa da fare è
controllare i valori di potassio. Essa può causare paralisi muscolare, ma soprattutto, causa aritmie.
Le alterazioni elettrocardiografiche caratteristiche sono:
● Onde T a tenda;
● Accorciamento dell’intervallo QT;
● Allungamento dell’intervallo PR e durata del QRS;
● Scomparsa delle onde P;
● Slargamento del QRS.
Queste anomalie di conduzione possono portare a blocchi di branca destra o sinistra, blocco bifascicolare o
blocco atrioventricolare avanzato. Le aritmie cardiache, invece, possono portare a tachicardia ventricolare,
fibrillazione ventricolare e asistolia, ovvero il paziente muore.
Sono, ovviamente, più pericolose le iperpotassiemie acute (un malato che ha 4 di potassio e il cui valore va a
8 in poche ore è molto più probabile che vada incontro ad aritmie rispetto ad un malato con IRC che ha 6 di
potassio quotidianamente e va da 6 a 8).
● Calcio gluconato in vena (ev), che ha il vantaggio di neutralizzare l’effetto di alterazione della
bipolarizzazione cardiaca causata dalla iperpotassiemia, quindi è il presidio immediato più efficace; dura
però 30-60 minuti, dovrà essere ripetuta nel tempo;
● Glucosio e insulina favoriscono l’internalizzazione del potassio nelle cellule, agiscono in 10-20 minuti,
con durata 4-6 ore; la glicemia del malato va monitorata perché questo intervento si può associare a un
rischio di ipoglicemie tardive;
● NaHCO3, sodio bicarbonato, utile se il paziente è in acidosi metabolica (la seconda complicanza che
va verificata in un malato con IRA, osservando il livello dei bicarbonati). Esso è alla base della
internalizzazione del potassio nelle cellule;
● Agonisti β2 adrenergici.
È necessario mettere in atto, infine, una terapia per rimuovere il potassio, spostato dal compartimento
extracellulare a intracellulare, dal corpo, tramite:
● I diuretici dell’ansa, che portano un iperafflusso a livello del dotto collettore, e, quindi, l’attivazione di certi
canali del potassio che causano una dispersione dello stesso nelle urine;
20
Ce ne parlerà la dottoressa Mescia, quindi il professore non va troppo nel dettaglio.
21
Cenni della terapia potrebbero essere richiesti all’esame ma finalizzati alla fisiologia, ovvero si chiederà qual è il
razionale dietro il glucosio, dietro l’insulina, dietro il bicarbonato.
31
● Chelanti del potassio, ad esempio sodio polistirene sulfonato (nome commerciale Kayexalate), sodio
zirconio ciclosilicato e Patiromer);
● Dialisi;
● Clisteri (chiaramente la diarrea favorisce l’eliminazione di potassio).
Tutte queste sono manovre di emergenza che vengono messe in atto nel malato con iperpotassiemia, mentre
si predispone la dialisi, per guadagnare tempo.
Dialisi
Subentra la dialisi in IRA quando:
● Il malato è in sovraccarico idrico (cut-off di 200 mL) e/o è anurico e non ci aspettiamo un miglioramento
a breve, il paziente deve essere messo in sicurezza.
● L’iperpotassiemia soprattutto nelle forme che poi non rispondono o rispondono transitoriamente alle
terapie che abbiamo messo in atto;
● L’acidosi metabolica severa, che si ha con un pH<7.2, teoricamente trattabile somministrando del
bicarbonato in vena, se il malato è oligurico, non ci sarà spazio effettivo per somministrare bicarbonato
endovena, quindi, dovremo sottoporre il malato alla dialisi;
● Urea elevata, a rischio di sindrome uremica;
● Complicanze cliniche dell’uremia (encefalopatia, pericardite, neuropatia o polmone uremico).
22
Vedremo in seguito cos’è la fistola.
23
La dialisi è un evento potenzialmente stressante per l’emodinamica del paziente.
32
LA PATOLOGIA GLOMERULARE
Nell’immagine a destra, relativa a un glomerulo,
possiamo identificare: la componente cellulare,
i compartimenti all’interno del glomerulo,
l’arteriola afferente ed efferente e i capillari
glomerulari. I capillari glomerulari sono tenuti in
posizione dal mesangio, un asse connettivale,
la cui funzione è proprio quella di sostenere i
capillari24. L’endotelio è fenestrato. A livello
glomerulare si possono identificare diversi
compartimenti delimitati dalla componente
cellulare: uno spazio compreso tra l’endotelio e
la membrana basale glomerulare, detto
subendoteliale, la membrana basale
glomerulare, uno spazio compreso tra la
membrana basale glomerulare e i processi pedicillari dei podociti, detto spazio subepiteliale, all’esterno del
quale ci sono i podociti e i processi pedicillari dei podociti. Tra i processi pedicillari dei diversi podociti
troviamo il diaframma di filtrazione, composto da una serie di proteine, tra cui la più importante è la nefrina.
Attraverso questo è un filtro viene prodotta la pre-urina, che si accumula nella capsula di Bowman, uno
spazio in continuità con il tubulo contorto prossimale. È importante comprendere la struttura renale e la
suddivisione nei vari compartimenti: questi sono importanti perché possono essere affetti da patologie
glomerulari e in base al compartimento colpito avremo una sindrome e una manifestazione clinica differente.
24
integrazione da wikipedia: oltre a sostenere sono in grado anche di regolare il diametro dei capillari glomerulari).
25
Integrato dalla sbobina 3 dell’anno scorso.
33
identificate delle forme patologiche secondarie, ovvero insorte in seguito ad altre patologie, quindi ad eziologia
nota26.
In conclusione, più che di glomerulonefriti primitive possiamo parlare di glomerulopatie prevalentemente
primitive e che classifichiamo per aspetti morfologici.
● Glomerulopatia a lesioni minime;
● Glomerulosclerosi focale segmentale;
● Glomerulopatia proliferative essudative endocapillari.
I nomi delle varie patologie, che riflettono la morfologia delle singole, aiutano già a capire che tipo di patologia
ci troveremo davanti, ad esempio una glomerulopatia a lesioni minime, sarà una patologia con poche lesioni 27.
Esistono poi delle forme secondarie, in cui la glomerulonefrite è riconducibile ad una malattia di base ben
nota. Ad esempio, una donna affetta da lupus e che sviluppa una glomerulonefrite avrà una glomerulonefrite
lupica. Altri esempi di glomerulonefriti secondarie sono glomerulonefriti in corso di:
● Crioglobulinemia;
● Malattia ad anticorpi anti-membrana glomerulare.
● Diabete, ecc…
Il primo concetto importante delle glomerulonefriti è il ruolo della membrana basale. Tutto ciò che avviene
all'interno della membrana basale (compartimento subendoteliale), darà una glomerulonefrite, patologia a
carattere infiammatorio importante, perché avviene a stretto contatto con il torrente ematico, cha causa un
rapido deterioramento della funzione renale. Tutto ciò che avviene all’esterno di questa membrana, quindi
nello spazio subepiteliale, o a carico del podocita stesso, ha un carattere infiammatorio ridotto, e abbiamo più
spesso una glomerulopatia, una sindrome clinica tipica, con carattere infiammatorio ridotto. Quando il
processo patologico colpisce il mesangio abbiamo una forma ancora diversa:
● Patologie mesangiali;
● Patologie della membrana basale glomerulare e lo spazio subendoteliale e l’endotelio;
● Patologie che avvengono all’esterno della membrama basale glomerulare: spazio subendoteliale e
podociti.
Gli immunocomplessi
Gli immunocomplessi sono dei complessi antigene-anticorpo che possono essere esito di una risposta ad
antigeni esogeni, eterologhi, o antigeni endogeni, quindi autologhi. L’anticorpo sarà un autoanticorpo se
rivolto a stimoli endogeni o un anticorpo “normale” se rivolto a stimoli esogeni. Se l’antigene è autologo
l’anticorpo sarà un autoanticorpo e darà quindi una patologia autoimmune, se l’antigene è eterologo legherà
un anticorpo normale.
Quali sono gli antigeni eterologhi per le patologie glomerulari?
● Infettivi virali: HCV, HBV, HPV, EBV;
● Batterici come streptococco beta-emolitico, stafilococco aureus;
● Parassitari e micotici;
● Tossici;
● Apteni farmacologici (frammenti di farmaci).
26
La classificazione è vecchia.
27
Il prof sottolinea l’importanza della comprensione della fisiopatologia dietro ad ogni patologia, per poterle distinguere al
meglio.
34
Questi antigeni nel momento in cui si trovano nel nostro organismo, determinano una risposta anticorpale,
solo successivamente il complesso antigene-anticorpo può formare un immunocomplesso28.
Gli antigeni autologhi che possono entrare in gioco li possiamo classificare in:
● Extrarenali se non sono residenti, ma arrivano al rene: cellule neoplastiche, immunoglobuline;
● Renali, presenti sulle cellule che compongono il parenchima renale: podociti, endoteliociti, mesangiociti,
componenti della mmb basale glomerulare.
28
Integrazione dalle sbobine vecchie.
29
Sostanza fibrinoide: depositi di immunocomplessi con fibrinogeno.
30
Integrato dalla sbobina 3 dell’anno scorso, l’argomento verrà ripreso nella nefrite lupica.
35
● Nel pannello C c’è un Ag circolante eterologo che si impianta nel rene e successivamente viene
riconosciuto da un Ab circolante: l’immunocomplesso si forma in situ, ma solo perchè l’Ag esterno si
impianta.
In questa immagine la malattia descritta è la stessa, le patogenesi sono diverse, ma il risultato è lo stesso:
l’immunocomplesso si deposita sempre nello spazio sub epiteliale, compreso tra membrana basale
glomerulare e processi podocitari dei podociti. È rappresentata infatti una malattia specifica: la glomerulopatia
membranosa.31
31
Integrazione dalla sbobina 3 dell’anno scorso.
36
Gli autoanticorpi
Questi, come gli immunocomplessi, sono
fattori che iniziano in modo importante la
patogenesi delle malattie glomerulari32. Gli
autoanticorpi sono Ab che riconoscono Ag
autologhi. I fattori scatenanti, fonte di Ag
circolanti endogeni e esogeni, possono
essere: infezioni, Ag endogeni, farmaci,
neoplasie.
Questi Ag stimolano la risposta immunitaria
e quindi la formazione di Ab, che
legheranno:
● Membrana basale: avremo una
glomerulonefrite da autoanticorpi;
● Antigeni circolanti il complesso Ag-Ab si deposita nel rene: avremo una glomerulonefrite da Ic circolanti;
● Antigeni impiantati: avremo una glomerulonefrite da immunocomplessi in situ.
Il complemento
Ha un ruolo patogenetico (iniziante) fondamentale in molte patologie glomerulari, ma ha anche un ruolo
nell’amplificazione e mantenimento del processo infiammatorio e quindi nella propagazione del danno
glomerulare. È un sistema di difesa innato nei confronti di elementi infettivi, costituito da tre vie:
● La via classica, attivata da immunocomplessi;
● La via lectinica, attivata da componenti di membrana batterici;
● La via alternativa, costitutivamente attiva, in cui C3 si idrolizza spontaneamente (tick over) in C3a e C3b.
Questa attivazione accelera nel momento in cui c’è un evento infiammatorio o infettivo; quindi, è il
primissimo meccanismo di difesa nei confronti di un evento infettivo.
La via classica e lectinica convergono sulla C3 convertasi, che scinde C3 in C3a e C3b, il quale formerà la C5
convertasi. Il C5, a questo punto, viene scisso in C5a e in C5b, che formerà poi il complesso C5b-9, complesso
di attacco di membrana (MAC) 33, che distrugge il microrganismo34. La via classica è attivata
dall’immunocomplesso, quindi può essere iperattivata da malattia autoimmune da immunocomplessi. La via
alternativa è iperattiva in certe forme di malattie genetiche glomerulari, in cui il tick over di C3 è eccessivo:
questo favorisce l’aggregazione piastrinica e può causare una microangiopatia trombotica.
Nella seguente pagina, uno schema riassuntivo di tutti i fenomeni sopra descritti.
32
Da questo punto la descrizione dell’immagine inserita è stata totalmente integrata dalle sbobine dello scorso anno, per
rendere la comprensione più chiara.
33
Se il sistema è attivato in modo non controllato attacca le nostre cellule.
34
Non è una lezione di immunologia, non serve entrare nel dettaglio, il prof sottolinea i punti chiave, che saranno utili
alla comprensione dell'argomento.
37
Conclusione
Abbiamo completato il quadro patogenetico, sicuramente complesso, ma fondamentale nei suoi aspetti
generali, utile a comprendere le varie patologie glomerulari.
Possiamo avere immunocomplessi, formati in situ, circolanti, con Ag autologhi o eterologhi, autoanticorpi,
anticorpi e altri fattori, che determinano alterazione della membrana basale glomerulare, del mesangio, o
comunque del diaframma di filtrazione. Tutti questi inizianti determinano35 l’attivazione del mesangio, del
complemento, la proliferazione delle cellule mesangiali, rilascio di citochine infiammatorie, danno glomerulare.
Il danno glomerulare determina proteinuria e danno tubulo-interstiziale. Questo è tutto quello che può
succedere in una glomerulonefrite. A seconda della patologia glomerulare che consideriamo prevarrà un
meccanismo patogenetico.
Proteinuria
La proteinuria è la prima conseguenza al danno glomerulare, infatti in caso di patologia glomerulare c’è
sempre. La proteinuria è l’escrezione patologica di più di 150mg/die, che avviene in tre condizioni:
● Aumentata permeabilità glomerulare, in questo caso prevale l’albumina, proteinuria glomerulare;
● Ridotto riassorbimento tubulare, e in questo caso avremo una proteinuria a basso peso molecolare, la
cosiddetta proteinuria tubulare.
Sarà importante capire se il nostro malato ha una proteinuria con albumina o a basso molecolare, perché il
compartimento renale colpito sarà diverso: nelle nefriti tubulo interstiziali avremo proteinuria tubulare, nella
patologia glomerulare avremo proteinuria glomerulare. Questo è visibile con elettroforesi delle proteine tubulari
o dosando l’albuminuria: se il malato ha 5 g di proteinuria e 4 g di albuminuria ha una patologia glomerulare,
se il malato ha 5 g di proteinuria e l’albuminuria normale, allora la causa della proteinuria non è glomerulare.
Delle proteine a basso peso molecolare ne parleremo nella neoplasia ematologica 37.
35
Integrazione dalla sbobina 3 dell’anno scorso.
36
Sono semplificazioni, la componente infiammatoria è presente in entrambe.
37
Proteinuria di Bence-Jones, si tratta di catene leggere immunoglobuliniche prodotte in eccesso, tali da superare la
capacità di riassorbimento a livello tubulare.
38
Questa immagine rappresenta quanto
spiegato. Normalmente filtriamo tutte le
proteine a basso peso molecolare e le
riassorbiamo a livello del tubulo contorto
prossimale, quindi, se il nostro malato ne
produce troppe compariranno nelle urine
(catene leggere in corso di mieloma, per
questo il mieloma causa proteinuria a
basso peso molecolare); l’albumina viene
filtrata solo in parte e viene riassorbita
tutta38; le proteine ad alto peso
molecolare, non passano. Se il malato ha
un danno a livello della membrana di filtrazione passa perlopiù albumina, mentre le proteine ad alto peso
molecolare passano solo in caso di danno grave. La proteinuria si classifica in base all’entità:
● Lieve <1g;
● Moderata se >1g e < 3.5g;
● Severa >3.5 g.
Questo è importante perché malattie diverse hanno un’entità di proteinuria diversa, in base alla sede di origine
(tubulare, glomerulare).
Ematuria
La patologia glomerulare è sempre accompagnata da proteinuria, l’ematuria può essere presente, ma non in
tutte, e questo ci permette di distinguere gruppi di patologie glomerulari. L’ematuria può essere macro o
microscopica: macroscopica quando il paziente riferisce di avere le urine rosse/scure, microscopica quando il
colore è quello fisiologico.
L’ematuria macroscopica può essere:
● Urologica, caratterizzata da sangue rosso vivo, chiaro, color ciliegia, con caratteristiche che varia da
minzione a minzione;
● Nefrologica è caratterizzata da un color coca-cola, mattone, più scure, e tutte le minzioni sono uguali.
Le urine vanno a modificarsi nell’arco di diversi giorni, non tra una minzione e l’altra, in questo modo
abbiamo una discreta sensibilità nel distinguerle.
Quando un malato è macroematurico per via di una malattia
nefrologica, il malato ha un quadro infiammatorio molto
intenso, quindi, il compartimento glomerulare coinvolto sarà la
membrana basale glomerulare e gli spazi interni, spazio sub-
endoteliale ed endotelio. Infatti, nella maggior parte dei casi, il
malato con patologia glomerulare non ha macroematuria
(quindi le urine hanno un colore fisiologico), ma eseguendo un
esame delle urine troviamo globuli rosse nelle urine, quindi ha
microematuria. Rilevare microematuria è molto importante:
esistono infatti due patologie glomerulari che possono essere
completamente asintomatiche, il cui unico segno è
microematuria, che se non riconosciuto porterà a IRC senza
possibilità di terapia.
L’origine della microematuria viene stabilita in seguito alla
valutazione morfologica delle emazie:
● In caso di patologia glomerulare, le emazie sono
solitamente mal conservate con margini alterati,
frammentati, con estrusioni. Questa è una conseguenza
del processo infiammatorio;
38
Proteina a medio peso molecolare, 69 kDa.
39
● Se l’esame delle urine segnala emazie ben conservate queste sono solitamente di origine urologica,
con margini integri e normali. Basti immaginare un vaso che sanguina nelle vie urinarie. 39
Alcuni esami segnalano se le emazie sono dismorfiche, alcuni specificano anche il tipo di anomalia, soprattutto
negli esami in cui viene svolta l’analisi microscopica, a differenza della valutazione effettuata dal
citofluorimetro, che non è così dettagliata.
Ecco un esempio di emazie dismorfiche. Le emazie dismorfiche caratteristiche della malattia renale sono gli
acantociti, quindi, se nell’esame urine viene refertata un’ematuria contenente emazie, con presenza di
acantociti, l’origine glomerulare è molto probabile.
Sedimento Urinario
Come nefrologi abbiamo a disposizione, oltre all’analisi visiva delle urine, l’esame del sedimento urinario.
Sedimento urinario è una piccola biopsia renale che viene effettuata su urine centrifugate, si elimina il
surnatante40 che rimane in alto e si valuta il sedimento che si deposita sul fondo. Questo viene valutato
dall’operatore al microscopio, ma a volte si fa anche in reparto. Il sedimento urinario dà una serie di
informazioni: se ci sono le emazie, se sono mal conservate, monomorfiche o dismorfiche, se sono presenti
leucociti, altre cellule nucleate, cellule di sfaldamento, batteri, cristalli o cilindri. Particolarmente importante per
le patologie glomerulari sono i cilindri.
I Cilindri
Sono strutture cilindriche derivanti dalla precipitazione intratubulare dell’uromodulina
o proteina di Tamm-Horsfall. Viene prodotta fisiologicamente a livello dell’ansa di
Henle e nel tubulo contorto distale e ha la funzione di mantenere pulito il tubulo, ma
ha anche funzione di immunomodulazione e antibatterica. Questa proteina tende a
precipitare in ambiente acido, formando dei cilindri, che intrappolano ciò che c’è nel
tubulo. Nell’analisi del sedimento possiamo valutare questi cilindri, che ci danno delle
informazioni importanti:
● Se nell’esame urine troviamo dei cilindri ialini, cilindri vuoti, siamo in una
situazione fisiologica, al massimo possono essere indice di disidratazione, non
di un processo patologico. Questi cilindri si identificano solamente fochettando;41
39
Integrato dalle sbobine dell’anno scorso.
40
O sovranatante: porzione di liquido chiarificato che si stratifica nella parte superiore di una sospensione per effetto
della sedimentazione ottenuta per centrifugazione.
41
Ovvero muovendo rapidamente la ghiera per mettere fuoco.
40
● Se troviamo dei cilindri granulari, sono indice di proteinuria,
oppure di un’evoluzione di cilindri cellulari, in questo caso è
probabile la patologia glomerulare;
● Se troviamo cilindri eritrocitari, all'interno del tubulo sono
presenti emazie, che non dovrebbero esserci;
● Se troviamo dei cilindri leucocitari, il paziente ha una pielonefrite
o una nefrite tubulo interstiziale.
La presenza di globuli rossi dismorfici, la presenza di cilindri granulari
e cellulari, codifica quello che viene chiamato sedimento urinario
attivo. Quando trattiamo un malato con un’insufficienza renale che
peggiora, con microematuria e sedimento urinario attivo, con emazie dismorfiche, acantociti, cilindri granulari
e cellulari vuol dire che quel malato ha un processo infiammatorio glomerulare, detto glomerulonefrite.
Ematuria ricorrente
In questo caso il malato sta bene, ma presenta dei saltuari episodi di macroematuria. Questi possono essere
associati a infezioni delle alte vie respiratorie, familiari (esiste una patologia che vedremo che dà questa
condizione), spesso sono intervallate a periodi in cui l’esame urine presenta delle anomalie urinarie isolate.
Queste prime due sindromi cliniche vanno ricercate, è complesso identificarle con l’esame urine. Infatti le
alterazioni possono essere minime e far pensare a un’infezione, disidratazione, mentre invece si tratta di una
patologia glomerulare che, nel tempo, ha causato un’IRC.
Al contrario sindrome nefrosica e nefritica sono dal punto di vista clinico più rilevanti e più significative, ovvero
il paziente a un certo punto dal nefrologo arriva.
Sindrome nefrosica
La sindrome nefrosica è caratterizzata da:
● Proteinuria severa > 3,5 g/die;
● Ipoproteinemia totale < 5 g;
● Ipoalbuminemia <3g;
41
● Edemi di variabile intensità e diffusione;
● Dislipidemia e trombofilia;
● Tipiche alterazioni dell’elettroforesi: riduzione albumina, aumento alfa 2, aumento beta-globuline e
riduzione delle gamma globuline.
Chi presenta tutte queste caratteristiche ha una sindrome nefrosica, chi ha solo alcune di queste ha una
sindrome nefrosica incompleta (definizione generale: può avere diversi significati a seconda della patologia).
Che sintomi ha il paziente? Quelli più frequenti sono legati allo sviluppo di edemi, quindi il paziente riferisce
un aumento di peso, dice che negli ultimi 3-6 mesi è aumentato di 3-4 kg, le gambe e le caviglie sono gonfie.
Spesso il paziente riferisce urine schiumose, a causa della proteinuria, quando ha dei sintomi ulteriori sono
generalmente aspecifici: astenia, anoressia, malessere.
Patogenesi dell’edema
Perché il malato ha edema? Quali sono le cause delle manifestazioni cliniche del paziente con sindrome
nefrosica?
Tutta la clinica deriva dalla ipoalbuminemia, che determina diminuzione della P oncotica plasmatica, che è
uno dei determinanti della P di filtrazione glomerulare, mantenendo l’acqua all’interno del torrente ematico,
questo determina un passaggio di liquidi nel terzo spazio (interstiziale) e ipovolemia.
I nostri barorecettori, percepiscono una ipovolemia intravascolare, si attiva il RAAS che può trattenere il Na+,
viene rilasciata la vasopressina che porta alla ritenzione di acqua. Na+ e acqua a causa della pressione
oncotica si spostano nel terzo spazio e il risultato è edema. Il quadro se non viene interrotto con la terapia
specifica o con la somministrazione di farmaci diuretici o inibitori del RAAS, si mantiene e il malato tende a
gonfiarsi. E questo42 dà l’idea del perché i malati con sindrome nefrosica possano sviluppare dei peggioramenti
della funzione renale: il paziente ha una ipovolemia efficace (intravascolare), mentre ha una ipervolemia
extravascolare. L’ipoperfusione determina un IRA pre-renale, un’IRA funzionale da ipovolemia intravascolare.
42
Integrazione.
42
endoteliale. Il risultato è che il malato ha un rischio trombotico aumentato, per cui va sempre considerata la
terapia anticoagulante.
In linea di massima, (integrazione)
● Per valori di albuminemia inferiori a 2 il paziente va sempre scoagulato,
● Tra i 2 e i 2.5 bisogna valutare se scoagularlo, o (in pazienti ad alto rischio) se dargli almeno una dose
profilattica di eparina,
● Tra i 2.5 e 3 bisogna considerare eparina profilattica nei malati ad alto rischio.
Questo è importante perché se siete in PS con un paziente con sindrome nefrosica e dispnea, il paziente
potrebbe avere embolia polmonare, ha quindi conseguenze importanti.
Riassunto
Questo riassume quello che succede a un malato con sindrome nefrosica:
● Proteinuria >3,5g, urine schiumose;
● Alterazione della elettroforesi lipida: ipoalbuminemia, iper alfa2, riduzione delle beta globuline, tendenza
alla riduzione delle gamma globuline;
● Dislipidemia;
● Aumentato rischio trombotico;
● Aumentato rischio infettivo, in quanto spesso sviluppano ipo-γ-globulinemia secondaria alla sindrome
nefrosica;
● Malnutrizione;
● Edemi, spesso associati a riduzione del volume circolante.
Diagnosi
Esami, valutazione delle urine, è necessario spiegare al paziente come devono essere raccolte le urine nelle
24h, esami immunologici, che vanno effettuati per identificare le eventuali cause di sindrome nefrosica dovute
a glomerulopatie secondarie, biopsia renale.
Sindrome Nefritica
È caratterizzata da:
● Ematuria: è sempre presente microematuria, può essere presente macroematuria;
● Oliguria;
● Edemi, di solito meno severi rispetto a quelli della sindrome nefrosica;
● Ipertensione arteriosa: si ha quasi sempre ipertensione arteriosa;
● Proteinuria lieve <1g, o più spesso moderata <3,5g nelle 24h;
● Insufficienza renale a rapida progressione. Ha 1.8 di creatinina, quando due mesi fa aveva 0.7, tra due
settimane ha 2.4: quindi la funzione renale è peggiorata a causa della sindrome nefritica.
43
Il malato spesso presenta dei sintomi sistemici, a causa dell’infiammazione, la clinica dunque comprende:
● Sintomi sistemici: febbricola, astenia, anoressia, nausea, vomito, cefalea (molto importante);
● Sintomi urinari: oliguria, macroematuria, urine schiumose, il sedimento urinario è attivo (con cilindri
granulari, cellulari, emazie dismorfiche);
● Ritenzione idrico-salina: edema declivi ed al volto, ipertensione arteriosa, stasi polmonare;
● Complicanze: insufficienza renale rapidamente progressiva, che se non identificata e trattata in tempo
può portare a danno renale irreversibile.
La diagnosi si effettua con esami urinari, ematochimici, urologici con aggiunta del pH (non viene misurato nella
sindrome nefrosica) e biopsia.
Abbiamo visto le varie sindromi cliniche, da ora in poi quando parleremo delle singole entità citeremo che
sindrome clinica può dare, non parleremo più delle singole sindromi cliniche. Abbiamo visto che la condizione
di sedimento urinario attivo è tipica dei malati con anomalie urinarie isolate, con macroematuria ricorrente,
sono quasi sempre presente la sindrome nefritica. i malati con nefrosica non hanno sedimento urinario attivo,
quindi hanno molto raramente microematuria, raramento i cilindri cellulari, hanno proteinuria severa, possono
avere cilindri granulosi. Esiste una forma di glomerulonefriti che può dare coesistenza delle due sindromi
nefritica e nefrosica.
Biopsia renale
Dalla storia clinica del malato, dagli esami ematochimici possiamo
ipotizzare la diagnosi del nostro malato, ma la certezza della diagnosi
ce la dà la biopsia renale. Quando frequenterete il reparto sarà possibile
vedere una biopsia renale.
Tramite sonda ecografia si sonda il rene, e poi si va a pungere con un
ago. Solitamente la procedura è eco-guidata, sull’ecografo viene
montata un’apparecchiatura di plastica che guida l’ago, si può anche
fare in maniera ecoassistita: si appoggia l’ecografo, si infila l’ago e ci si
orienta.
43
Informazione integrata dalla sbobina 3 dell’anno scorso
44
Con questa tecnica possiamo avere un errore di campionamento: se prelevate pochi glomeruli e questi
vengono affettati in modo un po’ sfortunato così che non vengono incluse queste lesioni, non troverete
anomalie glomerulari.44
A sinistra abbiamo l’immagine di un rene normale con tre glomeruli, un’arteriola, tubuli e interstizio; la
colorazione è la Jones che mette in evidenza le strutture connettivali, le membrane basali glomerulari, che
sono visibili come fili più scuri nel glomerulo. Anche a destra, nell’ingrandimento, il glomerulo è sano e si può
notare come i vari compartimenti siano in prossimità45.
Immunofluorescenza
Un’altra analisi che effettuiamo è l’immunofluorescenza dove noi andiamo a identificare se nel glomerulo si
sono depositate certe sostanze. Possiamo fare un’immunofluorescenza verso le componenti del
complemento: il C3, il C1q, IgG, IgA, IgM. Questo serve a capire se nel glomerulo sono presenti depositi di
complemento, di Ig che ci permettono insieme al quadro clinico e alla biopsia di effettuare diagnosi.
L’immunofluorescenza utilizza un anticorpo marcato o un anticorpo primario che verrà riconosciuto poi da un
Ab secondario marcato, che quando esposto a una luce particolare emette una fluorescenza. È ovviamente
fondamentale conoscere la molecola che l’Ab marcato andrà a legare. Nell’immagine la molecola marcata è
una IgG: l’immunofluorescenza evidenza un deposito subepiteliale.
GLOMERULONEFRITI
L’ultimo argomento che affrontiamo sono le glomerulonefriti che finiremo nella prossima lezione con la
trattazione della malattia renale cronica.
44
integrato dalla sbobina 3 dello scorso anno
45
integrato dalla sbobina 3 dello scorso anno
45
● Nefropatie che presentano abitualmente sindrome nefritica:
o Glomerulonefrite proliferativa-essudativa endocapillare (“parainfettiva”),
o Glomerulonefrite proliferativa endo- ed extracapillare,
● Nefropatie che presentano abitualmente sindrome nefrosica:
o Glomerulopatia membranosa,
o Glomerulopatia a lesioni minime,
o Glomerulosclerosi focale segmentale,
o glomerulonefriti membranoproliferative,
● Nefropatie che presentano abitualmente sindrome urinaria isolata o ematuria ricorrente:
o Nefropatia a depositi di IgA.
Sono definite glomerulonefriti primitive poiché storicamente venivano classificate come forme primitive; in
realtà, spesso, sono secondarie ad altri processi patologici.
L’epidemiologia di queste forme para-infettive si è, col tempo, modificata (anche dall’uso ampio e spesso
smodato degli antibiotici): ora è probabile trovarla anche in individui adulti, associata ad altri patogeni come lo
S. aureus.
La patogenesi di questa glomerulonefrite è legata alla formazione di immunocomplessi, che sono in circolo,
oppure si formano in situ; non è ancora chiaro se gli anticorpi prodotti contro l’antigene infettivo riconoscano
degli antigeni endogeni (per mimetismo molecolare) o se gli antigeni del batterio si impiantino a livello
glomerulare, portando alla formazione di immunocomplessi.
Il professore poi racconta di un caso recente di un paziente che è arrivato al pronto soccorso per una IRA. Gli
è stata diagnosticata una sindrome nefritica e poi è stato biopsiato. Inizialmente, si pensava che il malato fosse
affetto da una nefropatia a depositi da IgA, che vedremo in avanti, successivamente, una revisione ha portato
a diagnosticare una forma proliferativa-essudativa endocapillare. È stata ricercata l’infezione scatenante la
glomerulonefrite ed è stata trovata nella protesi al ginocchio del paziente. L’infezione ha portato all’attivazione
del sistema immunitario, questo ha prodotto Ab rivolti verso l’Ag del batterio, si sono formati degli
immunocomplessi che si possono depositare a livello mesangiale, sub-endoteliale e sub-epiteliale. Questi
hanno attivato il sistema del complemento, causando il processo infiammatorio che ha portato alla patologia
glomerulare.
Regredisce in 6 settimane, solitamente può persistere microematuria, nella maggior parte dei casi (70-80%)
si ha una remissione completa, nel 10% dei casi una remissione parziale e un 10% dei casi può esitare in una
IRC.
46
Il malato di cui sopra, dal momento che l’infezione non eradicabile agevolmente, è un malato che ha avuto
un’evoluzione negativa ed è rimasto in dialisi.
Per la diagnosi vengono ovviamente fatti: esami ematochimici, esami urinari, esami immunologici e biopsie.
In particolare, si faranno anche degli esami per scoprire l’infezione 46 tramite tampone faringeo, tampone
cutaneo, urinocoltura, emocoltura, ecografia addome, talvolta anche TAC addome, ecocardio e PET.
Si fa anche la biopsia, la quale, a causa della reazione infiammatoria (per la quale abbiamo la proliferazione
del glomerulo), si presenterà con:
Nella figura a sinistra vediamo un glomerulo sano, il mesangio è sottile, i lumi capillari sono pervi, mentre a
destra vediamo un glomerulo con glomerulonefrite proliferativa-essudativa endocapillare: il glomerulo è
proliferato, è pieno, i lumi capillari praticamente non si vedono, sono collassati, dalla proliferazione, sono
presenti i neutrofili.
Anche l’immunofluorescenza è abbastanza informativa: solitamente sono presenti depositi di C3, più
raramente sono presenti depositi di immunoglobuline. Il pattern è variabile, può essere: a cielo stellato,
grossolani depositi periferici o mesangiale. Nell’immagine sulla sinistra si vede una immunofluorescenza con
depositi di IgG.
46
Una volta veniva anche dosato il TAS, ovvero il Titolo Anti-Streptolisinico, che è tipico delle infezioni streptococciche,
ma ora ha solo valore aneddotico.
47
La figura a destra è, invece, una immagine ottenuta mediante microscopia elettronica in cui vediamo: il lume
capillare, la membrana basale glomerulare, processi pedicillari dei podociti (i processi villosi), tra i quali
troviamo gli humps (i depositi tra la membrana glomerulare basale e i processi pedicillari dei podociti) e il
podocita in alto a destra.
Per quanto riguarda la terapia, se è stata trovata l’infezione che scatena la glomerulonefrite, è necessario
debellarla, altrimenti costituirà uno stimolo continuo alla produzione di immunocomplessi e quindi al
mantenimento della malattia glomerulare.
Il ruolo del cortisone è dibattuto: sebbene nelle forme severe si tenda a somministrare il cortisone (per
diminuire l’infiammazione), in realtà le evidenze cliniche della sua efficacia sono molto deboli. La terapia
sintomatica è quella tipica di tutte le patologie glomerulari quindi:
● Antipertensivi, se è iperteso;
● Diuretici, se ha edemi;
● Restrizione idrica, se è oligurico.
Se non trattata, nell’80-90% dei casi evolve verso l'IR terminale, ovvero la perdita del rene: sono una vera e
propria emergenza nefrologica.
48
Prima di spiegare nel dettaglio queste due forme, il professore introduce il
concetto di semilune, che sono un marcatore morfologico abbastanza
specifico in queste forme di glomerulonefriti. Esse sono degli accumuli di
cellule infiammatorie all’interno dello spazio di Bowman, cioè lo spazio
all’interno del quale finisce la pre-urina.
Si formano a causa di un processo autoimmune (che vediamo illustrato
nelle immagini a destra) che causa danno endoteliale e della MBG; sia
l’endotelio, sia la MBG si rompono. Questo porta alla fuoriuscita di cellule
infiammatorie e di elementi pro-infiammatori dal circolo e la loro
deposizione nello spazio tra il glomerulo e la capsula di Bowman. Le cellule
depositate iniziano a proliferare, formando le semilune. Le semilune
determinano rottura della capsula di Bowmann e fuoriuscita del processo
infiammatorio nella struttura tubulo-interstiziale47.
Esistono diversi tipi di semilune in base alle diverse fasi del processo:
47
Questo paragrafo è stato parzialmente integrato dalle sbobina dell’anno scorso, poiché la spiegazione del professore
è stata piuttosto confusionaria (forse perché di fretta, dal momento che mancavano 5 minuti alla fine della lezione).
48
Le semilune cellulari, ma già più gravi (quindi non ci troviamo più nella fase iniziale), sono ancora parzialmente
reversibili.
49
Sbobinatori: 96-97
Revisori: 10-115
Materia: nefrologia
Docente: Federico Alberici
Data: 14/03/2023
Lezione n° 3
Argomenti: conclusione patologie
glomerulari che si manifestano con
sindrome nefritica, patologie glomerulari
che si manifestano con sindrome
nefrosica, glomerulonefriti secondarie
Comunicazioni: il Docente ricorda che chi è interessato alla preparazione del caso clinico deve scrivere una
mail alla Dott.ssa Mescia (federica.mescia@unibs.it).
Riassunto/integrazione: nella prima parte della lezione vengono riprese e concluse le patologie glomerulari
che si manifestano con sindrome nefritica iniziate nella lezione precedente. Successivamente vengono trattate
le patologie glomerulari che si manifestano con sindrome nefrosica e le glomerulonefriti secondarie. Di queste
ultime il Docente lascia al nostro studio individuale la sindrome uremico-emolitica, affermando che verrà
trattata eventualmente alla fine del corso se avanzerà del tempo; per questo motivo l’argomento è stato
integrato dalle sbobine dell’anno precedente e dalle slide.
1
Nella provincia di Brescia si osservano circa 2-3 casi all’anno.
2
Ricordiamo infatti che le malattie autoimmuni sono malattie multifattoriali.
51
Diagnosi Figura 2
La diagnosi parte dal work-up3 di una sindrome nefritica: nonostante questa malattia
sia rara, entra sempre in diagnostica differenziale con altri quadri di insufficienza
renale rapidamente progressiva.
Fondamentale per la diagnosi è la sierologia, in cui si utilizzano anticorpi anti-MBG;
anche la biopsia renale, la TAC torace e il lavaggio bronco-alveolare (in cui sarà
presente sangue) possono contribuire alla diagnosi.
La biopsia renale non viene sempre effettuata, ma può essere necessaria nel caso in
cui il test sierologico non fosse disponibile; la biopsia ha ruolo prognostico.
In microscopia ottica si osservano le semilune: strati cellulari epiteliali, fibroepiteliali o
fibrosi in base allo stato di evoluzione della malattia. Si potrebbero osservare anche
proliferazione di cellule endoteliali e mesangiali come risultato del processo infiammatorio o zone di necrosi
nelle aree in cui la membrana basale è danneggiata. L’immunofluorescenza evidenzia la presenza tipicamente
di IgG, ma possono essere presenti anche IgM e frazioni C3 del complemento con un pattern variabile, di
solito lineare periferico definito “a fumo di sigaretta” (figura 2). Questo aspetto deriva dalla deposizione di
IgG a carico della membrana basale glomerulare, dove causano appunto questo processo infiammatorio; è
come se l’immunofluorescenza andasse a disegnare la membrana.
Figura 3
Nell’immagine istologica riportata (figura 3) si osserva un glomerulo
schiacciato in un angolo della capsula di Bowmann a causa della presenza
di una proliferazione extraglomerulare (ovvero una semiluna). Si nota
anche una zona (evidenziata dalla freccia nera) in cui la membrana basale
glomerulare è danneggiata dagli anticorpi e dal conseguente processo
infiammatorio.
Nell’immagine sottostante (figura 4) si osservano invece glomeruli con
semilune in stato avanzato, quindi fibrose e fibrocellulari.
Figura 4
Una caratteristica tipica di questa malattia è che tutti i
glomeruli sono interessati e le lesioni sono omogenee: lo
stato di evoluzione delle semilune è analogo in tutti i
glomeruli. Ciò significa che quando il paziente arriva
all’attenzione del nefrologo con un filtrato glomerulare molto
ridotto e dunque una creatinina molto alta oppure arriva
anurico o dialisi-dipendente, le probabilità di recupero sono
molto basse. È quindi una malattia in cui si rende necessaria
la tempestività diagnostica e un avvio terapeutico immediato.
3
Analisi a finalità diagnostica dettagliata (vedi https://dizionari.corriere.it/dizionario_inglese/Inglese/W/workup.shtml)
4
A Brescia, ad esempio, ci sono in media 1-2 pazienti ricoverati con questa diagnosi su 30 posti letto (per esordio di malattia, per recidiva,
per complicanze spesso infettive oppure sono pazienti dializzati a causa di questa malattia). Si tratta quindi di malattie rare in termini di
incidenza, ma la prevalenza è in costante aumento; la sopravvivenza è discreta.
5
[n.d.r. Il professore dice “poliangite”, ma facendo ricerche su internet si trova solo il termine “poliangioite”. Abbiamo deciso di utilizzare
per tutta la sbobina questo secondo termine]
52
• Granulomatosi con poliangioite eosinofilica 6 (EGPA), conosciuta in precedenza come sindrome di
Churg-Strauss. Le manifestazioni renali in questo caso, quando presenti, sono analoghe a quelle della
MPA.
In pazienti con GPA, come in quelli con MPA, si riscontra positività per anticorpi detti ANCA7 al 90% dei casi.
Questi pazienti possono avere manifestazioni vasculitiche (legate all’infiammazione dei vasi) e, solo nel
caso della GPA, anche manifestazioni granulomatose, la cui patogenesi non è ancora del tutto chiarita.
L’unica certezza è che i pazienti con vasculite da GPA possono sviluppare anche lesioni granulomatose, che
si manifestano prevalentemente a livello delle alte vie respiratorie e dei polmoni, dove possono dare origine a
cavitazioni, ma potenzialmente possono interessare tutti i distretti 8. Questi granulomi distruggono il tessuto in
cui si trovano e sono caratterizzati da una porzione centrale necrotica. Nella MPA il granuloma invece non è
mai presente.
Figura 6
6
Quest’ultima forma non verrà trattata in modo approfondito poiché non è solo di competenza del nefrologo, ma anche del reumatologo.
Riportiamo successivamente una breve trattazione.
7
Anticorpi anti-citoplasma dei neutrofili.
8
Sono stati descritti, ad esempio, granulomi meningei e prostatici.
53
Ruolo del sistema del complemento9
Anche il sistema del complemento ha un ruolo importante nella progressione del danno vasculitico:
l’attivazione della via alternativa determina la produzione di C5a, che ha un ruolo molto importante nella
chemiotassi dei neutrofili. Questo richiama e attiva i neutrofili facendogli esporre la proteinasi 3 e la
mieloperossidasi in superficie. Queste ultime vengono riconosciute dagli ANCA e in questo modo si crea un
circolo vizioso: i neutrofili attivati danno infiammazione, attivazione della via alternativa del complemento, etc.
Comunque, i protagonisti del meccanismo restano gli anticorpi ANCA.
Teoricamente, ogni organo può essere coinvolto, perché vengono colpiti i vasi di piccole dimensioni che sono
ubiquitari. Più raramente avremo quindi processi vasculitici a livello:
• Gastrointestinale, con addominalgia, emorragie, sanguinamento
• Cardiaco, con pericarditi, miocarditi, anomalie di conduzione
• Genito-urinario, con coinvolgimento di ureteri e prostata
• Paratiroideo
• Tiroideo
• Epatico
9
[n.d.s.: questo paragrafo è stato interamente integrato dalle sbobine dell’anno precedente. A lezione il Docente afferma di non voler
dettagliare il ruolo del complemento.]
10
Lo stesso accade nella malattia da anticorpi anti-GBM.
11
[n.d.s.: Livedo Reticularis: affezione dermatologica che si manifesta come una screziatura di colore blu-porpora che delinea un reticolo
irregolare (integrazione da Internet)]
12
Occhio arrossato.
54
Manifestazioni granulomatose Figura 11
Le manifestazioni granulomatose sono presenti
solamente nei pazienti affetti da GPA. Il soggetto
può anche non presentare manifestazioni
vasculitiche e arriverà all’attenzione del medico
per investigare le lesioni granulomatose, che
causano sintomi debilitanti e saranno gli elementi
su cui dunque si baserà la diagnosi. La
patogenesi di questo tipo di manifestazione non
è ancora del tutto chiarita, a differenza di quella
della vasculite.
Le manifestazioni granulomatose riguardano prevalentemente le alte vie
respiratorie, dove causano distruzione ossea e/o cartilaginea; in questo
caso i pazienti presentano una forma caratteristica del naso, detta “naso
a sella”, dovuta alla distruzione della cartilagine del setto nasale (figura
11). Nella RM adiacente si nota anche un danno a livello del seno
mascellare con ampliamento dello stesso.
I granulomi possono anche determinare lo sviluppo di masse retro-
orbitarie, nasali e polmonari. Virtualmente, tutti gli organi possono essere
colpiti dalle lesioni granulomatose (meningiti granulomatose, lesioni
ovariche, lesioni prostatiche…). Nella TAC encefalo (figura 12) si nota
Figura 12
una sinusite (a destra: l’area etmoidale è piena di materiale) e una
massa retro-orbitale (a sinistra), la quale può causare esoftalmo, Figura 13
dolore, iperemia congiuntivale. Nella figura 13 è riportata invece una
stenosi sotto-glottica: la trachea si restringe a causa dello sviluppo di
una stenosi al di sotto del piano glottico, a sua volta dovuta ad un
processo fibro-infiammatorio. In questo caso il paziente si presenta dallo
pneumologo con dispnea, che però viene spesso confusa con asma (la
spirometria restituisce un quadro ostruttivo). Nelle immagini sottostanti si
osserva un caso di coinvolgimento polmonare, con stenosi delle
diramazioni bronchiali (con conseguente dispnea, figura 14A). È
presente anche un nodulo polmonare (14B), altra manifestazione che
si può avere in corso di malattia: spesso questi malati vanno incontro a biopsie o lobectomie per sospettato
tumore. Infine, si osserva una lesione polmonare scavata (14C), che determina sintomatologia importante e
rischio di sovrainfezione.
Figura 14
A B
C
Figura 15
55
Esistono anche delle forme di GPA in cui coesistono le forme granulomatose e lo spettro vasculitico, si tratta
quindi di vie intermedie. Nella figura 15 alla pagina precedente sono riassunte le manifestazioni cliniche della
vasculiti ANCA-associate, che sono dunque malattie dal flavor interdisciplinare e che arrivano all’attenzione di
diversi specialisti.
suggestivo e con la positività degli ANCA può essere assunta senza la necessità di effettuare la biopsia renale,
questa può confermare la diagnosi nei casi dubbi e fornisce informazioni prognostiche. La figura 16 mostra
una classificazione delle AAV basata sulle caratteristiche istologiche, le quali hanno anche un senso
prognostico:
• Se la classe della AAV è sclerotica, ovvero se più del 50% dei glomeruli sono in sclerosi, la sopravvivenza
renale è molto bassa e il rischio di evoluzione verso insufficienza renale terminale è più alta.
• Se il coinvolgimento renale glomerulare è meno sclerotico nelle forme più attive, la sopravvivenza renale
è migliore.
• La sopravvivenza renale è massima nelle forme focali, in cui solo alcuni glomeruli sono interessati da un
processo infiammatorio.
La terapia viene gestita dai nefrologi, però anche tutti gli altri specialisti devono essere in grado di sospettare
e riconoscere queste malattie. I pazienti, nel caso più estremo, presentano sintomi sistemici e PCR e creatinina
elevate. Esistono però anche forme meno evidenti, in cui il paziente può essere asintomatico e presentare un
quadro infiammatorio sistemico normale, ma avere comunque una vasculite. Il sospetto deve nascere dalla
presenza di un’insufficienza renale anche lieve, non giustificabile dalle comorbilità del paziente: non diabetico,
non iperteso, non c’è familiarità, creatinina normale fino ad un anno prima, che però ora è aumentata (ad
esempio a 1,5). Bisogna sempre considerare che le AAV potrebbero essere causa di questo aumento. È
fondamentale anche l’esame delle urine, in cui troveremo proteinuria e microematuria. Già solo questi elementi
sono sufficienti a porre il sospetto. Se poi si trovano ad esempio acantociti e cilindri cellulari avremo un’ulteriore
conferma.
La terapia è immunosoppressiva:
• Boli14 di cortisone ad alte dosi
• Immunosoppressori come rituximab e ciclofosfamide
• Cortisone per bocca a scalare
• Plasmaferesi con rimozione degli autoanticorpi nelle forme più severe
• Esistono anche terapie innovative che stanno emergendo ultimamente
13
[n.d.s.: la parte da qui fino alla fine dell’elenco è stata integrata dalle sbobine dell’anno precedente poiché il Docente non ha trattato la
biopsia renale e la classificazione associata; la terapia invece è stata trattata a lezione].
14
[n.d.s.: con l’espressione “bolo di cortisone” si intende la somministrazione endovenosa ad alte dosi di glucocorticoidi per aumentarne
l’efficacia in tempi rapidi riducendone il più possibile gli effetti collaterali (integrazione da Internet).]
56
Bisogna ricordare che quando c’è un coinvolgimento renale, questo è identico alla MPA: il paziente è MPO-
ANCA positivo con insufficienza renale che può essere rapidamente progressiva.
GLOMERULOPATIA MEMBRANOSA
La causa più frequente di sindrome nefrosica nell’adulto – tolto il diabete – è la glomerulopatia membranosa,
condizione gestita dal nefrologo in caso di esordio, recidiva o complicanze della malattia stessa. Ha incidenza
di 0,2-1,4 casi ogni 100.000 abitanti15 e colpisce i soggetti con un’età media di 50 anni, più maschi che
femmine.
Patogenesi
La patogenesi consiste nella deposizione di
immunocomplessi in sede sub-epiteliale, ovvero Figura 17
all’esterno della membrana basale glomerulare,
in quello spazio compreso tra la membrana e i
processi pedicillari dei podociti. L’aspetto
istologico caratteristico è l’aumento di spessore
delle membrane basali glomerulari.
La glomerulopatia membranosa è parte di un
pattern morfologico che comprende anche altre
glomerulopatie, ovvero quelle caratterizzate da
ispessimento delle membrane basali
glomerulari e sindrome nefrosica16.
Come accade anche per tutte le altre
glomerulopatie di questo pattern, esistono due
tipi di cause della glomerulopatia membranosa:
• Cause primitive: la forma primitiva è
considerata una forma autoimmune. Si
riconoscono, in quasi l’80% dei casi, degli
autoanticorpi anti-recettore della fosfolipasi A2 (anti-PLA2R). Questi anticorpi sono utili nella diagnosi, nel
monitoraggio e nell’identificazione di recidive della malattia.
• Cause secondarie: nelle forme secondarie l’ispessimento delle membrane e la sindrome nefrosica sono
secondari ad altre malattie:
o Infettive (HBV, HCV)
o Autoimmuni (lupus eritematoso sistemico, artrite reumatoide, tiroidite di Hashimoto)
o Neoplasie (10-15% dei casi): quando si ha un malato con nefropatia membranosa, la prima cosa che
bisogna escludere è che abbia un tumore. È necessario dunque fare uno screening adeguato all’età
e ai fattori di rischio del paziente (ricerca di sangue occulto nelle feci, RX torace, TAC torace se il
paziente è fumatore…). Esistono infatti delle forme para-neoplastiche o associate a neoplasia in cui
è presente positività agli anticorpi anti-PLA2R: anche in presenza di questi quindi la nefropatia
potrebbe essere secondaria o comunque associata alla presenza di un tumore.
15
A Brescia, in media, si fanno 1-2 diagnosi al mese. Ciò indica che, in una nefrologia di riferimento provinciale, non è una malattia così
rara.
16
[n.d.r. si può quindi dire che il termine glomerulopatia membranosa indica un particolare aspetto morfologico del glomerulo, le cui cause
possono essere molteplici]
57
o Farmaci
Oltre agli anticorpi anti-PLA2R esistono altri autoanticorpi e antigeni identificati come responsabili dello
sviluppo della nefropatia membranosa (ad esempio anti-trombospondina, NELL1, semaforina), che però ad
oggi non sono utilizzati nella pratica clinica 17.
Figura 18
Nella figura 18 si può osservare la patogenesi della malattia; in particolare nel pannello B si osserva la forma
primitiva classica, dove possiamo vedere:
• Gli antigeni espressi dai podociti (recettori della fosfolipasi A2, PLA2R).
• Gli autoanticorpi circolanti nelle forme PLA2R positive (nelle forme PLA2R negative sono presenti altri
anticorpi che ancora non conosciamo). Questi anticorpi si depositano con conseguente formazione di un
immunocomplesso in situ.
Negli altri due pannelli sono rappresentati scenari che si possono avere nelle forme di glomerulopatia
membranosa secondaria, in particolare:
• Nel pannello A è presente un immunocomplesso circolante, che si impianta nella porzione esterna della
membrana basale glomerulare (ad esempio nel caso della glomerulopatia membranosa lupica 18).
• Nel pannello C si riconosce invece un antigene non endogeno, costituito ad esempio da un farmaco o da
un antigene infettivo, che si impianta all’esterno e viene riconosciuto dall’anticorpo.
Tutti questi sono quindi meccanismi patogenetici diversi della stessa malattia.
Manifestazioni cliniche
Nell’80% dei casi la malattia si manifesta con sindrome nefrosica, mentre nel 20% dei casi si manifesta con
proteinuria asintomatica (soprattutto nelle forme iniziali). Altre manifestazioni sono 19:
• Macroematuria 3%
• Insufficienza renale 15%
• Ipertensione arteriosa 20%
• Microematuria 30%
• Ipocomplementemia (rara)
17 [n.d.s.: il Docente specifica che sia all’esame che in reparto, quando si parla di forma primitiva e autoanticorpi, ci si riferisce sempre
agli anti-PLA2R e dunque siamo tenuti a conoscere bene solo questi.]
18 Questa patogenesi è ipotizzata, ma non se ne conoscono i dettagli.
19 [n.d.s.: l’elenco è stato integrato dalle slide, il Docente l’ha solamente letto senza ulteriori dettagli.]
58
• 1/3 delle forme, se non trattato, progredisce verso insufficienza renale terminale.
Figura 22
La terapia comprende:
• Una terapia sintomatica: diuretici per il sovraccarico salino
• Per i pazienti con manifesta trombosi o ad alto rischio di sviluppare trombosi: anticoagulanti (la cui
somministrazione si basa sui seguenti parametri: albumina <2 g/dl in assenza di altri fattori di rischio o
<2,5-2,6 g/dl se ha altri fattori di rischio pro-trombotici)21.
• Ipolipemizzanti per la dislipidemia
20
Ovvero gli immunocomplessi.
21
[n.d.s.: la parte nelle parentesi è stata integrata dalle sbobine dell’anno precedente.]
59
• Nefroprotezione aspecifica22: interventi che vengono messi in atto in tutti i malati nefropatici per ridurre
il rischio di progressione (ACE inibitori, sartani).
• Se il malato è ad alto rischio di progressione, è già presente un danno renale o la malattia non dà cenni di
remissione spontanea, si avvia una terapia immunosoppressiva, che si basa in realtà sulla
somministrazione di vari cocktail di terapie immunosoppressive, di cui quella in prima linea è l’anticorpo
monoclonale anti-CD20 rituximab. Le forme non trattate e quelle che non rispondono alla terapia
immunosoppressiva tendono ad evolvere verso l’insufficienza renale terminale.
PODOCITOPATIE
Nelle podocitopatie il processo patologico riguarda il podocita23. Le podocitopatie sono causa frequente di
sindrome nefrosica soprattutto nel bambino (3-5 anni) e nel giovane adulto (15-35 anni); nell’infanzia vengono
colpiti più spesso i maschi, mentre la frequenza è uguale tra maschi e femmine nei giovani adulti.
Sono talmente frequenti come causa di sindrome nefrosica nel bambino che i pediatri, quando rilevano
sindrome nefrosica, assumo che la causa sia proprio una podocitopatia ed iniziano la terapia con il cortisone
senza fare la biopsia renale (che si riserva alle forme che non rispondo alla terapia).
Se ne riconoscono due:
• Glomerulopatia a lesioni minime
• Glomerulosclerosi focale segmentale
Patogenesi24 Figura 23
La patogenesi, sia per la glomerulopatia a
lesioni minime che per la glomerulosclerosi
focale segmentale, non è conosciuta: entrano in
gioco vari elementi patogenetici, tra cui fattori
permeabilizzanti non meglio precisati prodotti
dai linfociti T. Esistono infatti delle forme di
malattia secondarie a linfomi e a neoplasie
ematologiche, quindi in qualche modo il sistema
immunitario e i linfociti hanno un ruolo nella
patogenesi. Alcuni autori hanno identificato
anche degli autoanticorpi, che però non sono
ancora stati confermati in modo solido. Si tratta
di anticorpi anti-nefrina, uno dei componenti
fondamentali del diaframma di filtrazione teso
tra i processi pedicillari. Ciò che si sa per certo
è che nel 20% dei casi la malattia esordisce dopo un’infezione delle alte vie respiratorie, quindi potrebbe
essere chiamata in causa una disregolazione del sistema immunitario. Inoltre, è frequentemente associata a
processi allergici o atopici, infatti l’esordio o la riacutizzazione sono più frequenti in primavera.
Il processo che porta all’esordio della malattia è il seguente: riduzione delle cariche elettriche della membrana
basale glomerulare e conseguente fusione dei pedicelli podocitari, forse dovuta alla presenza di fattori
permeabilizzanti.
Il ruolo del sistema immunitario nella patogenesi è in qualche modo dimostrato dal fatto che le forme primitive
rispondono alle terapie immunosoppressive e alla plasmaferesi (rimozione degli elementi del plasma).
22
Verrà trattata quando parleremo di insufficienza renale cronica.
23
Domanda che potrebbe capitare all’esame: la patogenesi della sindrome nefrosica è sempre legata ad immunocomplessi? Risposta:
sì nella glomerulopatia membranosa, ma esistono delle forme non legate agli immunocomplessi, ovvero le podocitopatie.
24
Tutto questo discorso sulla patogenesi riguarda anche la glomerulosclerosi focale segmentale.
60
Esistono due forme di glomerulopatia a lesioni minime:
• Forme primitive, che si diagnosticano per esclusione delle forme secondarie.
• Forme secondarie, ovvero forme di glomerulopatia a lesioni minime legate ad una malattia sistemica ben
identificata, come:
o Patologie onco-ematologiche
o Linfomi di Hodgkin
o Farmaci (FANS, antibiotici, litio, bisfofonati…). La sindrome nefrosica tende a migliorare se viene
sospeso il farmaco
o Tumori solidi (più raramente)
o HIV
25
Quando tratteremo la malattia renale cronica vedremo che l’iperfiltrazione è un importantissimo fattore di rischio e di progressione
dell’insufficienza renale cronica proprio attraverso la modalità appena descritta.
61
È possibile avere forme di glomerulosclerosi focale segmentale anche in altre malattie genetiche come la
malattia di Alport e la malattia di Fabry 26, in cui si ha come danno aspecifico glomerulare quello tipico della
glomerulosclerosi focale segmentale.
È importante sottolineare che nelle forme primitive, quelle più spesso immuno-mediate e trattate con
immunosoppressori, il paziente si presenta con sindrome nefrosica completa: proteinuria molto elevata,
albumina molto bassa (spesso <2,5 g/dl), rialzo delle α2-globuline, ipercolesterolemia, aspetto di sclerosi
focale segmentale alla microscopia ottica e fusione pedicillare diffusa alla microscopia elettronica.
In tutte le altre forme della malattia i pazienti presentano proteinuria in range nefrosico, ma senza sindrome
nefrosica completa: albumina solo lievemente ridotta (o addirittura normale) e fusione pedicillare parziale alla
microscopia elettronica (anche se può essere diffusa nelle forme genetiche).
Nella tabella viene riportato un riassunto di quanto detto finora:
PRIMITIVA GENETICA MALADATTATIVA
Clinica Sindrome nefrosica Sindrome nefrosica nel Proteinuria nefrosica o
bambino, meno subnefrosica, NO
frequente nell’adulto sindrome nefrosica
Microscopia ottica GSFS, solitamente no GSFS GSFS, spesso peri-ilare,
altre lesioni (se non altre lesioni
diagnosi tardiva), no
glomerulomegalia
Microscopia Fusione pedicillare Fusione pedicillare Fusione pedicillare
elettronica diffusa (>80%) diffusa o segmentale segmentale
Diagnosi e terapia
L’istologia è caratterizzata dalla presenza di aree di sclerosi a livello
glomerulare. Le aree di sclerosi possono essere focali o segmentali, ovvero
riguardano alcuni glomeruli (focale) e non tutto il glomerulo (segmentale). Alla
microscopia elettronica si osserveranno le fusioni pedicillari diffuse e le aree
di sclerosi.
Per la terapia valgono le stesse riflessioni fatte in precedenza: anche in questo
caso bisogna essere rapidi nell’identificare le forme primitive, perché sono
quelle che richiedono immunoterapia. Tutte le altre forme richiedono terapia
della malattia di base o esclusivamente nefroprotezione aspecifica nel caso
delle forme genetiche. Figura 25
Non si è a conoscenza del rapporto che sussiste tra glomerulosclerosi focale segmentale e glomerulopatia a
lesioni minime. Secondo alcuni autori sono malattie distinte, mentre per altri potrebbero essere l’una
l’evoluzione sfavorevole dell’altra (ovvero la glomerulosclerosi focale segmentale sarebbe una forma più grave
ed avanzata della glomerulopatia a lesioni minime). Terze parti le considerano come una stessa malattia,
ovvero senza distinzioni, ma semplicemente per un campionamento sfortunato non si identifica la sclerosi
qualora si tratti di glomerulopatia a lesioni minime. Essendo infatti la sclerosi focale (ovvero interessa solo
alcuni glomeruli) e segmentale (ovvero nei glomeruli sono coinvolte solo alcune aree), se si dovesse prelevare
una zona di parenchimale renale non ideale o troppo piccola, si incorrerebbe nel rischio di non identificare
aree di sclerosi.
La figura 2627 ricorda, nell’ambito della biopsia
renale, l’importanza dell’aspetto tridimensionale.
Facendo un prelievo di tre glomeruli e sezionando
lungo la linea 1 non si osservano aree di sclerosi
ma glomeruli normali, diagnosticando così una
glomerulopatia a lesioni minime. Se invece si Figura 26
seziona il campione lungo le linee 2 o 3, si
osservano aree di sclerosi, diagnosticando così una
glomerulosclerosi focale segmentale.
26
Queste malattie verranno trattate in lezioni successive.
27
[n.d.s.: la spiegazione della figura 26 è stata riportata dalle sbobine dell’anno precedente perché risulta più chiara.]
62
GLOMERULONEFRITE MEMBRANOPROLIFERATIVA (GNMP) Figura 27
La figura 27 è uno schema che riporta le categorie
patogene responsabili di sindrome nefritica e
insufficienza renale rapidamente progressiva
all’interno delle glomerulonefriti intra- ed
extracapillari. Fino ad ora abbiamo affrontato le
forme date da anticorpi anti membrana basale
glomerulare, come le forme pauci-immuni o le
vasculiti ANCA associate, lasciando da parte quelle
associate agli immunocomplessi poiché forme
recentemente classificate come glomerulonefriti
membranoproliferative, oggetto della seguente
trattazione.
L’evoluzione delle GNMP è tendenzialmente negativa: meno del 40% dei casi ha una persistenza di anomalie
urinarie isolate, senza una franca evoluzione, mentre il restante 60% sviluppa nella metà delle volte IRC e
nella restante metà uremia (o IR) terminale in 10-15 anni.
Classificazione28
Esiste una classificazione storica, ancora presente su dispense o libri non particolarmente aggiornati, che
divide le GNMP in tre tipi (tipo I, II e III) in base alla morfologia dei depositi 29.
La classificazione adottata attualmente è basata invece sul meccanismo patogenetico e permette di
individuare:
• GNMP secondarie a depositi di Ig e C3: si tratta di glomerulonefriti la cui patogenesi è da ricercarsi nel
deposito di immunocomplessi. La maggior parte di queste sono secondarie a malattie sistemiche in cui si
ha un’attivazione sia della via classica che della via alternativa del complemento. Generalmente la depo-
sizione degli immunocomplessi si può avere in seguito ad infezioni 30, malattie autoimmuni come lupus
eritematoso sistemico o artrite reumatoide e malattie ematologiche, sempre più frequentemente causa di
glomerulonefriti. In caso non si riesca ad identificare una causa che può aver portato al deposito di immu-
nocomplessi queste GNMP vengono definite come primitive.
• GNMP da depositi di C3 isolato o prevalente: forme caratterizzate da un’attivazione incontrollata della
via alternativa del complemento a causa di mutazioni genetiche, come deficit di fattore H o fattori I (fattori
inibitori), o a causa della formazione di autoanticorpi contro la C3 convertasi (anti-C3 convertasi), indicati
28
Nel seguente paragrafo è stato cambiato un po’ l’ordine rispetto alla spiegazione del professore, con l’obbiettivo di risultare meno
dispersivi.
29
Il professore sottolinea come questa classificazione non venga più utilizzata e che pertanto non viene richiesta all’esame.
30
Si rimanda alle glomerulonefriti parainfettive, affrontate parlando delle glomerulonefriti proliferative essudative endocapillari.
63
talvolta con il nome di C3 nephritic factor. A causa della rarità di questa condizione attualmente solo pochi
laboratori effettuano esami che vanno a ricercare l’autoanticorpo; se a questo si va a sommare il fatto che
i test genetici che permettono di individuare le mutazioni a carico dei geni per i fattori inibitori sono parti-
colarmente lunghi e complessi appare evidente che andare a discriminare le due condizioni è un lavoro
difficile, con conseguenti problematiche dal punto di vista diagnostico e terapeutico. In entrambe le situa-
zioni si assiste in circa il 50% dei casi ad una riduzione dei livelli sierici di C3
I depositi di C3 possono avere diverse morfologie che mi permettono di distinguere:
o GN a depositi densi (o dense deposit disease, DDD)s: i depositi si trovano all’interno della mem-
brana basale
o GN a depositi granulari di C3 (C3GN): a sede mesangiale e sottoendoteliale
La figura 28 riporta il percorso da seguire per poter effettuare una corretta classificazione. Su una biopsia
renale con un aspetto tipicamente membranoproliferativo si effettua un’immunofluorescenza: se il campione
reagisce sia agli anticorpi nei confronti delle Ig che a quelli per C3 allora ci si trova davanti a GNMP date da
immunocomplessi, altrimenti la causa è l’incorretta attivazione della via alternativa del complemento.
Figura 28
31
Il professore specifica che non è necessario entrare nei dettagli, ma che è importante ricordare l’esistenza delle tre vie per poter
comprendere al meglio le GNMP.
64
Tutte le vie convergono poi sulla C3 convertasi, la quale attiva la C5 convertasi che porta alla generazione del
MAC (o complesso d’attacco di membrana).
Per poter distinguere una GNMP secondaria a depositi di Ig e C3 da una GNMP da deposito di C3 è possibile
andare ad analizzare la composizione sierica dei fattori del complemento: nel primo caso, infatti, si avrà una
riduzione di C4, mentre nel secondo caso di C3.
Diagnosi e terapia
L’aspetto istologico è comune a tutte le forme delle GNMP, nonostante la loro enorme eterogeneità per quanto
riguarda l’eziologia: è caratterizzato da una proliferazione glomerulare con lobulazione del flocculo e
ispessimento delle membrane basali.
Nelle figure 29a e 29b si può osservare un glomerulo dall’aspetto “pieno”, molto proliferato, dal classico aspetto
lobulato. L’agente eziologico può essere identificato solo attraverso l’immunofluorescenza (figura 31), la clinica
del paziente e gli esiti dei vari esami che possono essere prescritti.
Figura 31
La microscopia elettronica permette di
individuare vari aspetti, tra cui la
proliferazione delle cellule mesangiali,
l’aumento della matrice mesangiale, i
depositi granulari a sede mesangiale e
subepiteliale e l’interposizione del
mesangio a sede subendoteliale con
formazione di doppi contorni, come è
apprezzabile nella figura 30.
32
Si pronuncia “Bergè”.
65
La malattia di Berger rappresenta il 20-25% delle GN primitive, configurandosi come la glomerulonefrite più
diffusa. L’età d’esordio è variabile (dagli 8 ai 68 anni), con una media di 40 anni. Sia nell’infanzia che nell’età
adulta il rapporto maschi/femmine è di 2:1.
Clinica ed evoluzione
La macroematuria d’esordio, più frequente nel giovane, che può indirizzare verso la diagnosi di questa
nefropatia, è tipicamente intrainfettiva, ossia si manifesta dopo 1-2 giorni l’esordio dell’infezione
(rappresentata generalmente da una tonsillite o, anche se più raramente, da infezioni gastrointestinali). La
tempistica della macroematuria permette di distinguere questa GN da una glomerulonefrite proliferativa
essudativa endocapillare: in questo caso, infatti, la macroematuria è post-infettiva (si manifesta 2-3 settimane
dopo l’infezione).
Altre manifestazioni cliniche sono:
• Ematuria recidivante (45-50% dei casi)33
• Sindrome urinaria isolata (50-55%)
• Proteinuria in range nefrosico (2%): generalmente presente nelle fasi più avanzate della malattia, quando
al deposito di IgA va a sovrapporsi una glomerulosclerosi focale segmentaria secondaria proprio a questa
nefropatia
• Ipertensione (30%)
• IR precoce (15%)
• Aumento IgA sieriche (50%)
Esistono delle forme completamente asintomatiche che possono essere diagnosticate solo al momento
dell’autopsia in malato morto per altri motivi.
Nelle forme sintomatiche invece, in cui si hanno alterazioni del sedimento urinario, l’evoluzione è verso IRC o
IR terminale (ossia dialisi) in circa un terzo dei casi. Nel dettaglio si può avere:
• Remissione clinica (5-10%)
• Insufficienza renale cronica (25%)
• Insufficienza renale terminale a 20 anni (25-30%)
• Anomalie urinarie con GFR conservato (50-60%)
Patogenesi
La patogenesi è complessa e multifattoriale.
È stata dimostrata la presenza di una
predisposizione genetica, correlata ad alterazioni
dei geni della regione HLA, fondamentale nei
processi di presentazione dell’antigene, e dei geni
che si occupano della sintesi e della
galattosidazione delle IgA1.
Nelle malattia di Berger le IgA risultano
ipogalattosidate: la conseguenza di ciò è una
maggiore tendenza da parte loro a formare
immunocomplessi e precipitare a livello
mesangiale, ossia a livello di quella struttura
connettivale che sostiene il glomerulo. La loro
deposizione darà innesco a tutti quei fenomeni Figura 32
infiammatori mediati in gran parte dal
complemento34 che causano poi la glomerulonefrite.
Diagnosi e terapia
In microscopia ottica è possibile osservare come gli assi mesangiali
siano maggiormente rappresentati rispetto ad un glomerulo sano. Essi
appaiono molto più spessi e colorati, con una maggiore componente
cellulare (definiti per questo ipercellulari). Con un quadro clinico
compatibile, l’osservazione di queste strutture è indicativa di malattia.
All’immunofluorescenza (figura 33) l’antisiero per le IgA mostra la
deposizione mesangiale, rendendo possibile la diagnosi.
Figura 33
33
[n.d.s.: le percentuali sono state integrate dalle slide.]
34
[n.d.s.: Il ruolo del complemento in questo processo non verrà affrontato poiché, a detta del professore, è “troppo specialistico”.]
66
La terapia consiste in una nefroprotezione aspecifica, con l’obiettivo principale di portare la proteinuria al di
sotto di 1 g: questo valore è stato infatti identificato come un fattore prognostico importante sul rischio di
sviluppare IR avanzata.
Esistono score di attività istologica che, associati all’andamento clinico
del malato35, permettono di identificare sottogruppi di pazienti nei quali
effettuare trattamenti con glucocorticoidi per cercare di ridurre il
processo infiammatorio e rallentare la progressione, senza però
riuscire ad annullarla completamente. Sono in corso di
sperimentazione diversi farmaci, tra cui farmaci anticomplemento.
Domanda: Dove si formano le IgA coinvolte in questa patologia?
Risposta: Le IgA vengono prodotte a livello delle mucose in maniera
Figura 34
fisiologica. Il soggetto predisposto produce delle IgA con una minore
galattosidazione, fenomeno che favorisce la loro combinazione in immunocomplessi che si depositeranno poi
a livello mesangiale. Esiste una variante sistemica, ossia la porpora di Shöenlein-Henoch, in cui le IgA si
depositano anche a livello cutaneo (causando porpora) e a livello intestinale (con conseguenti addominalgia
e sanguinamenti gastrointestinali). È
Domanda: È necessaria la biopsia renale per fare diagnosi o può essere sufficiente la clinica, basata sulle
alterazioni urinarie?
Risposta: La biopsia è sempre consigliata: anche altre GN, infatti, possono presentarsi con anomalie urinarie
isolate (ad esempio la GNMP o la vasculite ANCA associata). La biopsia fornisce certezza diagnostica, anche
se, essendo la GN più frequente, un paziente con quadro clinico compatibile è molto probabilmente affatto da
questa nefropatia. La biopsia permette di conoscere anche aspetti istologici di severità della malattia che
permettono di modulare la terapia (ad esempio evitando che in forme sclerotiche, ossia forme in cui il quadro
infiammatorio è scarso e la sclerosi alta si usino terapie immunosoppressive completante inutili), e di stabilire
la prognosi. In pazienti con varianti sistemiche è possibile fare per la diagnosi anche solo una biopsia cutanea
su cui effettuare un esame di immunofluorescenza.
GLOMERULONEFRITI SECONDARIE36
DIABETE
Il diabete è la prima causa di insufficienza Figura 35
renale cronica a livello mondiale ed è tra i
principali fattori di rischio di
progressione dell’IR, anche se l’origine di
questa è di natura differente. Un esempio
classico è il caso di un paziente affetto da
una malattia autoimmune che ha sviluppato,
a causa di questa, una glomerulonefrite. Il
trattamento in questo caso consiste nella
somministrazione di cortisone, che può però
favorire l’insorgenza del diabete: se il
paziente comincia a manifestare anche
questa patologia, la progressione dell’IR sarà molto più rapida rispetto ad un malato che presenta
esclusivamente glomerulonefrite.
Chi soffre di IRC37 presenta un rischio cardiovascolare aumentato rispetto ai soggetti sani; se a questo poi si
associa il diabete, il rischio aumenta ulteriormente, come è possibile osservare nei grafici riportati nella figura
35, che rappresentano la mortalità per problematiche cardiovascolari rapportata alla proteinuria e alla velocità
di filtrazione glomerulare. Il diabete, quindi, favorisce l’insorgenza e la progressione di IRC e dei fenomeni
cardiovascolari ad essa collegati.
Il diabete è in grado di danneggiare il rene secondo varie modalità:
• Si parla di nefropatia in corso di diabete quando ci si trova davanti ad un qualsiasi interessamento renale
parenchimale in corso di malattia diabetica. I fenotipi possono essere numerosi: solitamente si ha IRC non
albuminurica accompagnata da una maggiore incidenza della malattia macrovascolare.
35
La presenza di semilune nella biopsia renale e l’andamento rapidamente progressivo sono alcuni dei parametri che permettono di
collocare un paziente in uno di questi sottogruppi.
36
Questo argomento è stato trattato in maniera sbrigativa a causa di mancanza di tempo. Se ve ne sarà l’occasione verrà ripreso in
maniera più completa.
37
[n.d.s.: La malattia renale cronica verrà trattata dettagliatamente nelle prossime lezioni.]
67
• Il termine nefropatia diabetica indica invece una condizione clinica ben definita, la glomerulosclerosi
diabetica, ossia un danno glomerulare secondario a diabete che si esprime in stadi successivi e che
evolve verso la sclerosi glomerulare nodulare o diffusa.
Nefropatia diabetica
La nefropatia diabetica colpisce il 30-40% dei pazienti con diabete di tipo I e il 20-30% dei pazienti con diabete
di tipo II. La peculiarità di questa patologia è che si rende clinicamente evidente, dando proteinuria, solo dopo
10-20 anni dall’esordio del diabete: se un paziente affetto da diabete da meno di 10 anni presenta un forte
proteinuria si può arrivare alla conclusione che questa non sia causata da nefropatia diabetica, ma da un’altra
condizione. L’evoluzione verso insufficienza renale avanzata si verifica dopo 10-30 anni di malattia nel 50%
dei casi di diabete di tipo I e nel 20% nei casi di diabete di tipo II.
Patogenesi
L’ambiente diabetico, ossia l’insieme di
Figura 37
alterazioni sistemiche e ormonali legate a
questa malattia, ha diversi effetti a livello
renale, come è possibile osservare nel grafico
nella figura 37.
Andando ad analizzare le singole componenti
del rene è possibile notare anomalie a livello
di:
• Cellule mesangiali, come ipertrofia,
espansione della matrice e mesangiolisi.
• Filtrazione glomerulare, ovvero un suo
aumento dato sia dall’ambiente diabetico
che dalle alterazioni mesangiali.
• Podociti, con ipertrofia, distacco delle
cellule e apoptosi che portano a podocito-
penia e anomalie del diaframma di filtra-
zione.
• Membrana basale glomerulare, che
perde parte della sua carica e aumenta di
spessore a causa del fenomeno di glicosilazione.
• Cellule endoteliali glomerulari, le quali aumentano la propria permeabilità e perdono il glicocalice.
• Sistema vascolare, con frequente ischemia a causa dell’aging vascolare e dell’aterosclerosi mediati dal
diabete.
Le alterazioni a livello della filtrazione glomerulare, del mesangio e dei podociti portano a glomerulosclerosi;
concorrono inoltre alla proteinuria tutti i fattori finora analizzati, escluse le anomalie mesangiali e le malattie
vascolari. Queste ultime sono responsabili, insieme alla proteinuria stessa, dei danni tubulointerstiziali.
L’azione combinata della glomerulosclerosi e dei danni tubulointerstiziali porta ad una riduzione della
velocità di filtrazione glomerulare.
68
Figura 38
Nella figura 38 è possibile osservare nel dettaglio i meccanismi che portano alla glomerulosclerosi:
• La glicosuria, che caratterizza il diabete, porta ad un aumento del riassorbimento del glucosio e del sodio
a livello del tubulo contorto prossimale. Le conseguenze di ciò sono l’iperfiltrazione e l’ipertrofia glomeru-
lare, che portano ad uno stiramento della parete capillare e alla liberazione dell’angiotensina II. L’ipertrofia
e l’overload mesangiali che ne derivano portano a glomerulosclerosi.
• L’alterazione della composizione delle proteine della MBG, con conseguente perdita della barriera
polianionica, porta a microalbuminuria e proteinuria. La presenza delle proteine nel tubulo porta ad un
aumento del suo carico, con conseguente sclerosi interstiziale e danno alle cellule epiteliali che porta a
glomerulosclerosi.
• L’accumulo di prodotti di glicosilazione a livello glomerulare porta all’attivazione dei macrofagi e delle
cellule mesangiali, il cui compito è quello di produrre citochine che portano a glomerulosclerosi.
Heatmap
Attualmente possediamo una comprensione solo parziale del coinvolgimento glomerulare in corso di diabete:
i fenotipi di danno renale sono infatti estremamente vari.
L’Heatmap riportata nella figura 42 è il classico schema che viene utilizzato per definire l’IRC: sulle righe sono
indicati i valori di VFG, che definiscono i vari stadi di IRC, mentre in colonna vengono riportati diversi valori
di albuminuria (fisiologica, microalbuminuria e macroalbuminuria).
38
[n.d.s.: A questo punto il professore fa una digressione sul fatto che questo termine non sia particolarmente apprezzato dai nefrologi
poiché dà un’idea errata sulla natura della condizione: sembra infatti che ciò che vada a distinguere la microalbuminuria della
macroalbuminuria sia la grandezza della molecola, quando in realtà è la quantità.]
70
Le zone verdi indicano le combinazioni di questi valori per le quali il paziente non è nefropatico e non ha rischio
di progressione; per tutte le restanti combinazioni il soggetto è nefropatico e presenta un rischio di
progressione di danno cardiovascolare tanto maggiore quanto più il colore si avvicina al rosso.
Le frecce indicano le diverse evoluzioni che una nefropatia associata al diabete può avere:
• Freccia 1: nefropatia diabetica. La VFG glome-
rulare rimane costante, nonostante si sviluppi
prima microalbuminuria e poi macroalbuminuria.
Solo a questo punto si assiste ad un declino
della funzione renale.
• Freccia 2: regressione dell’albuminuria. La
microalbuminuria che si è manifestata regredi-
sce, portando però ad una perdita di VFG. Ciò
che avviene a questo punto non è noto
• Freccia 3: forma rapidamente progressiva. La
VFG diminuisce rapidamente. La proteinuria si
manifesterà solo quando ormai si ha assistito
alla perdita di buona parte della funziona renale.
Il paziente arriva in dialisi senza aver mai svilup-
pato macroalbuminuria.
• Freccia 4: nefropatia in corso di diabete. Figura 42
Forma completamente non proteinurica, in cui la
riduzione di VFG è lenta e progressiva.
L’enorme varietà di fenotipi associati a malattia renale in corso di diabete è data dalla genetica, dalle
comorbilità, dal livello di controllo del diabete e dalle terapie, ossia da fattori estremamente diversi da paziente
a paziente.
Classificazione
È possibile classificare la nefrite lupica in 5 classi istologiche:
• Classe I: caratterizzata da alterazioni istologiche minime. Al microscopio ottico i glomeruli appaiono nor-
mali, ma in immunofluorescenza e alla microscopia elettronica sono visibili depositi mesangiali di immu-
nocomplessi. Non vi è alcuna alterazione clinica.
• Classe II: si ha una maggiore rappresentazione dell’asse mesangiale, visibile al microscopio ottico, a
causa della proliferazione di questo, accompagnata da un inspessimento e da un’ipercellularità mesan-
giale. In immunofluorescenza e al microscopio elettronico è possibile osservare depositi di IgG, IgM e C3.
Sono presenti anomalie urinarie isolate, generalmente scarsa proteinuria e microematuria.
71
• Classe III e IV: generalmente queste due classi vengono tratte insieme poiché presentano le stesse ca-
ratteristiche; ciò che le differenzia è il grado di coinvolgimento dei glomeruli: se vi è coinvolto <50% allora
ci si trova nella classe III (forma proliferativa focale), mentre se è >50% allora è una classe IV (forma
proliferativa diffusa). Il loro quadro istologico è quello tipico delle forme membranoproliferative da immu-
nocomplessi.39 Al microscopio ottico è possibile osservare alterazioni proliferative, sclerosanti e necrotiz-
zanti (a seconda della fase della malattia considerata) e semilune. Il pattern è caratteristico delle GNMP,
con un aspetto lobulato del glomerulo. L’immunofluorescenza restituisce un tipico aspetto a “full house”:
il campione risulta positivo a tutti gli antisieri testati. Si osservano depositi di IgG, IgA, IgM, C3, C1q e, se
c’è necrosi, anche fibrinogeno. Al microscopio elettronico si osservano depositi elettrondensi subendote-
liali, mesangiali e subepiteliali.
A queste classi si associa sindrome nefritica. Trattandosi di forme particolarmente aggressive è
necessario agire con un trattamento adeguato in modo tempestivo, pena un danno renale residuo
importante. Non necessariamente una glomerulonefrite di classe IV è più grave di una di classe III.
• Classe V: forma membranosa con aspetti atipici accompagnata da sindrome nefrosica. Con immuno-
fluorescenza si riconosce un aspetto “full house”.
Esiste overlapping tra le classi: un paziente può infatti presentare diverse classi in contemporanea.
CRIOGLOBULINEMIA MISTA
Si tratta di una patologia data dalla produzione di crioglobuline, ossia paraproteine che tendono a precipitare
con il freddo. Sono diverse le cause che portano a questa malattia:
• Infezione da HCV: rappresenta la causa principale, anche se con il progredire delle campagne di eradi-
cazione sta riducendo il suo impatto. È interessante notare come in pazienti nei quali si è riusciti a eradi-
care completamente il virus dell’epatite C si assiste comunque alla produzione della paraproteina poiché,
una volta che il clone che si occupa della sua formazione è stato slatentizzato, esso continua la sua attività
anche in assenza di HCV.
• Malattie autoimmuni: rivestono un ruolo marginale. Una malattia che può portare a crioglobulinemia mi-
sta è la sindrome di Sjögren40, una connettivite.
• Esistono anche forme primitive, in cui non si riesce ad indentificare una causa precisa.
Diagnosi
Gli esami di laboratorio rivelano:
• Riduzione di C4.
• Valori normali o leggermente ridotti di C3.
• Fattore reumatoide42 positivo: le crioglobuline, infatti, si comportano
come il fattore reumatoide, presentandosi come IgM che riconoscono
IgG. Figura 44
39
[n.d.s.: Si rimanda a quanto affrontato precedentemente nella lezione.]
40
Si pronuncia “sciogren”. La sindrome di Sjögren primaria è una malattia immunologica caratterizzata principalmente da secchezza orale
e oculare, ma può coinvolgere anche altri organi e apparati, come il sistema nervoso centrale e periferico e le articolazioni.
41
[n.d.s.: Informazione presa da “Manuale MSD”.]
42
Autoanticorpo diretto contro la porzione Fc delle IgG
72
• Presenza di crioglobulinemia mista IgG-IgM.
• Marker di infezione da HCV come anticorpi anti-HCV positivi e/o HCV RNA positivo (solo se il virus è
l’agente eziologico).
Dal punto di vista istologico (figura 44) l’aspetto è quello di una forma membranoproliferativa in cui possono
essere presenti dei trombi endoluminari.
AMILOIDOSI
Sempre più frequentemente l’amiloidosi, insieme alle discrasie plasmacellulari, è responsabile di nefropatia:
è importante riconoscere e trattare in maniera adeguata, collaborando se necessario con gli ematologi,
entrambe le condizioni a causa del loro importante impatto prognostico.
Tra le due, l’amiloidosi è la patologia dalla più semplice gestione. Si tratta di una situazione in cui si ha la
produzione di amiloide, ossia una proteina fibrillare rigida e lineare, le cui catene peptidiche si dispongono a
formare una struttura a beta-foglietto. Esistono diverse tipologie di amiloidosi:
• Amiloidosi primaria: è causata dall’iperproduzione di una catena leggera amiloidogenica (da qui il nome
amiloidosi AL, light chain). Si tratta di una forma immunoproliferativa: un clone plasmacellulare, presente
in quantità troppo esigue per poter parlare di mieloma, produce grandi quantità di light chain anomale che
vanno a precipitare a livello sistemico. Quando si assiste a deposizione anche a livello renale si ha nefro-
patia.
• Amiloidosi secondaria: è più spesso legata alla proteina amiloide A (proteina AA), la così detta serum
amyloid A. Questa condizione, detta anche amiloidosi A, è secondaria a condizioni infiammatorie croni-
che (ad esempio malattie infiammatorie intestinali o artrite reumatoide): la proteina AA è infatti una proteina
di fase acuta, come la PCR, che però tende a precipitare.
• Amiloidosi genetica
A livello renale l’amiloide può infiltrare a livello dei glomeruli, dando origine ad un classico quadro di sindrome
nefrosica con infiltrazione glomerulare, ma anche nella membrana basale, nei tubuli, nell’interstizio e nei vasi,
con conseguente insufficienza renale senza sindrome nefrosica e proteinuria. Queste condizioni sono di
difficile diagnosi; quando ci si presenta in paziente con componenti monoclonali sieriche, IR priva di
un’apparente causa ed esame delle urine negativo è bene ricordarsi dell’esistenza di queste forme di
amiloidosi prive di coinvolgimento glomerulare.
Gli aspetti clinici saranno diversi a seconda della sede di deposizione dell’amiloide:
• In caso di deposizione glomerulare si avrà lo sviluppo di sindrome nefrosica, spesso accompagnata da
insufficienza renale rapidamente progressiva. L’amiloidosi è, insieme al diabete, una delle poche condi-
zioni in cui a IR si accompagna un volume renale normale o aumentato.
• Se la deposizione è prevalentemente vascolare o tubulointerstiziale si possono avere danni renali acuti
e insufficienza renale cronica con sedimenti urinari poco significativi.
In caso di coinvolgimento cardiaco la prognosi peggiora ulteriormente. Figura 45
73
Segue ora una carrellata di preparati colorati con il rosso
Congo (figura 46), che evidenzia la deposizione dell’amiloide.
Nell’ordine è possibile osservare diversi gradi di
coinvolgimento glomerulare, amiloidosi interstiziale e
deposizione prevalentemente vascolare.
Il tipico quadro istologico dell’amiloidosi interstiziale si può
ritrovare nella biopsia di un paziente con esame delle urine Figura 46
negativo e IR non spiegata da altre cause.
Ipercalcemia
L’ipercalcemia è una condizione presente nel 15-30% dei casi di mieloma multiplo all’esordio e nel 5-15% dei
casi di linfoma. Può causare nausea, vomito, stipsi, dolori ossei, astenia, debolezza, confusione e, nei casi più
severi (>14 mg/gL), coma.
A livello renale presenta 2 meccanismi d’azione:
• Provoca vasocostrizione, portando ad una possibile IRA su base ischemica.
• Riduce l’assorbimento di acqua, provocando quindi poliuria e conseguente ipovolemia, fenomeno che
può condurre a danno renale.
Figura 47
Danno da paraproteine
Questa alterazione renale può essere riscontrata
sia in caso di mieloma franco, ossia un mieloma
Figura 48
diagnosticabile secondo i classici criteri 43, o anche
in quei pazienti che presentano dei cloni
plasmacellulari in grado di produrre importanti
quantità di paraproteine, sui quali però non è
effettuabile la biopsia osteomidollare e sui quali
quindi non si è in grado di effettuare una diagnosi
classica.
Circa il 20-40% dei pazienti affetti da mieloma
sviluppa insufficienza renale a causa del danno da
paraproteine. Questa condizione è mediata dalle
catene leggere k e λ (queste ultime si trovano
presenti in circolo sotto forma di dimeri), in grado di
provocare danno mediante vari meccanismi. In
condizioni fisiologiche queste catene leggere sono
filtrate liberamente a livello glomerulare e vengono
43
Presenti al seguente indirizzo, sotto la voce “diagnosi” https://www.msdmanuals.com/it-it/professionale/ematologia-e-
oncologia/disturbi-plasmacellulari/mieloma-multiplo
74
poi riassorbite a livello del tubulo contorto prossimale. In caso di una loro eccessiva produzione, che può
essere mediata sia dal mieloma che dal clone plasmacellulare, si può avere:
• Sindrome di Fanconi: le catene leggere sono riassorbite dal tubulo contorto prossimale, il quale risulta
però sottoposto ad un sovraccarico lavorativo che porta a danno tubulare e fibrosi tubulointerstiziale, con-
seguenza dell’infiammazione locale secondaria all’iperattività del tubulo. Le sue manifestazioni cliniche
caratteristiche sono aminoaciduria, glicosuria, lieve proteinuria (solo proteine a basso peso molecolare),
acidosi renale tubulare prossimale (caratterizzata dalla perdita di bicarbonati), pH urinario talvolta alcalino
e fosfaturia.
• Rene da mieloma propriamente detto (cast nephropathy): le catene leggere presenti nel tubulo, in con-
dizioni favorevoli come la disidratazione e un pH urinario acido, si combinano con l’uromodulina (proteina
di Tamm-Horsfall) per dare dei cristalli (cast) che ostruiscono il tubulo e causano IR su base ostruttiva. Il
danno è amplificato dall’attivazione dei sistemi immunitari innato e adattativo, con flogosi e fibrosi intersti-
ziale.
44
Ossia positive alla reazione PAS, una reazione istochimica che evidenzia componenti tissutali ricchi di gruppi glicolici.
45
[n.d.s.: la sindrome uremico-emolitica non è stata trattata a lezione, ma il Docente l’ha lasciata al nostro studio personale, affermando
che verrà trattata in coda ad altri argomenti se avanzerà tempo. Pertanto, questo paragrafo è stato preso dalle slide e dalle sbobine
dell’anno precedente.]
75
• Vi è la forma di sindrome uremico emolitica atipica, anch’essa caratterizzata da un’attivazione incontrollata
della via alterna del complemento. Oltre alla sindrome uremico emolitica, si possono avere anche forme
membranoproliferative (ad esempio la C3 nephropathy). Si vede quindi come una stessa via immunologica
alterata possa dare due malattie diverse.
Dal punto di vista renale si ha una microangiopatia trombotica dei capillari glomerulari, quindi una deposizione
di materiale trombotico a livello a livello glomerulare che causerà un’IRA e un malfunzionamento del glomerulo.
La forma atipica è sempre su base genetica, e la figura mostra alcuni geni coinvolti.
76
Comunicazioni: nessuna.
Riassunto: dopo aver parlato degli aspetti generali della nefrologia, dell’insufficienza renale acuta, delle
patologie glomerulari con relativi aspetti clinici, la lezione odierna andrà ad analizzare la Malattia Renale
Cronica, prima definita Insufficienza Renale Cronica (IRC), oggi meglio conosciuta come MRC. Prima di
definire la MRC, il professore chiarisce le distinzioni tra IRA, MRA e MRC, riportate di seguito.
1
Vedi lezioni precedenti per approfondire IRA
2
Albuminuria moderata: 30-300 mg/g, albuminuria severa: >300 mg/g. Solo nei casi di GFR>60 si deve anche
considerare il valore dell’albuminuria, mentre in tutti i casi di GFR<60, anche se non è presente albuminuria, si può
dichiarare lo stato di MRC
77
● III° stadio, G3a: 45<GFR<59 e G3b: 30<GFR<44 (anche se albuminuria assente, si ha MRC)
● IV° stadio, G4: 15<GFR<29 (anche se albuminuria assente, si ha MRC)
● V° stadio, G5: GFR<15 (anche se albuminuria assente, si ha MRC)
Il nefrologo deve essere coinvolto a partire dal III°
stadio poiché è a livello di questo stadio che iniziano ad
essere presenti le prime complicanze.
Esempio (osservando il grafico a lato): Un paziente con
un’insufficienza renale lieve di stadio II° ma senza
albuminuria ha un rischio di progressione praticamente
inesistente. Un paziente con lo stesso grado di
funzione renale e un’albuminuria moderata o severa,
ha un rischio di progressione elevato.
In base a questi valori si stabilisce una terapia, la quale
prevede perlopiù l’utilizzo di farmaci nefroprotettivi con
azione antiproteinurica.
78
Conseguenze correlate invece alla riduzione del filtrato glomerulare sono la tossicità dei farmaci, disturbi
dell’equilibrio acido-base, complicanze metaboliche-ormonali e neuropatia.
Conseguenze correlate sia all’aumento di albuminuria sia alla riduzione del filtrato sono malattie
cardiovascolari, sovraccarico idrosalino, anemia, malnutrizione, rischio infettivo, alterazioni cognitive e
fragilità.
Esempio: l’aspettativa di vita di un malato dializzato tra i 55-65 anni è di 5,3 anni; in un paziente con stessa
età e affetto da tumore, si crea un’aspettativa di vita di 2,6 anni, mentre prendendo un paziente coetaneo
sano, l’aspettativa di vita sale a 21,6 anni.
La prima causa di morte dei pazienti dializzati è di natura cardiovascolare. Dalla figura 2 si vede che la
mortalità annuale causata da malattia cardiovascolare della popolazione in dialisi è significativamente
maggiore rispetto alla popolazione generale per qualsiasi fascia d’età, anche quando il dializzato è giovane e
ha un’età compresa tra i 25-34 anni.
Tossine uremiche
Il progressivo deterioramento della funzione renale
causa, nell’organismo del paziente, un accumulo di
sostanze con effetto tossico a livello di svariati
organi: le tossine uremiche.
Le tossine uremiche sono il prodotto di
degradazione di aminoacidi e proteine introdotte
con la dieta, metabolizzate dalla flora batterica
intestinale e poi metabolizzate a livello epatico. A
questo livello vengono dunque prodotte delle
3
A tal proposito il professore fa una digressione sui costi sanitari mettendo in luce il costo annuo di un paziente
dializzato, che ammonta circa a €55000/60000 in emodialisi e €30000 in dialisi peritoneale. In media, la dialisi
corrisponde in costi al 2% dei budget sanitari nazionali.
79
sostanze di scarto del metabolismo proteico che, nel soggetto sano vengono eliminate attraverso il rene, ma
nel soggetto con insufficienza renale tendono ad accumularsi. L’accumulo di tossine uremiche causa una
serie di disfunzioni multiorgano, raggruppabili sotto il nome di sindrome uremica.
Un metodo per contrastare la produzione di tossine uremiche è l’attuazione di una dieta ipoproteica, con
l’obiettivo di ridurre i livelli di azoto nel sangue. Queste tossine sono responsabili della maggior parte dei
sintomi e delle complicanze del V° stadio, dunque i pazienti giunti a questo stadio vengono considerati ad
alto rischio di sindrome uremica, anche se non tutti la sviluppano.
Sindrome uremica
La sindrome uremica è lo spettro più severo di complicanza clinica della malattia renale cronica. I sintomi
legati all’accumulo di tossine uremiche possono presentarsi mano a mano che la funzione renale va a
deteriorare, solitamente dallo stadio IV° in poi, non sempre in modo completo ma anche solo con alcuni primi
sintomi.
Allo stadio V° si presenta solitamente tutta la sintomatologia, che tuttavia risulta aspecifica, poiché
comprende sintomi piuttosto comuni:
● Astenia
● Disappetenza
● Insonnia
● “Restless leg syndrome”, sindrome delle gambe senza riposo
● Prurito
Lo spettro più estremo della sindrome uremica coinvolge molteplici organi, con una gravità estremamente
variabile; coinvolge i seguenti sistemi:
● Coagulazione: aumentato rischio di sanguinamento, trombocitopenia, disfunzione piastrinica.
● Emopoiesi: anemia (una delle manifestazioni più frequenti della MRC) causata da carenza di EPO,
carenza marziale, deficit folati, deficit B12, malassorbimento.
● Osteoarticolare: osteoporosi, osteopenia, tumori bruni, fratture patologiche.
● Endocrino: ipotiroidismo, ipogonadismo, disfunzione sessuale.
● Immunitario: ridotta risposta immunitaria, infiammazione subclinica. Aumento immunosenescenza4.
● Neuromuscolare: neuropatia periferica, disfunzione dei nervi cranici, alterazioni del SNA, encefalopatia
metabolica, perdita di massa muscolare.
● Gastroenterico: nausea e vomito (manifestazioni molto comuni nelle forme più avanzate di uremia),
anoressia grave, malassorbimento, stato catabolico severo.
● Cardiovascolare: sindrome cardiorenale, disfunzioni sistolica/diastolica cardiache, aterosclerosi
accelerata, rischio ischemico, pericardite. L’accumulo delle tossine uremiche ha un impatto di
rimodellamento della funzione cardiaca con un effetto pro-ipertrofico, pro-infiammatorio e pro-fibrotico.
Immunosenescenza e CKD
L’immunosenescenza, ossia il declino della
funzione del sistema immunitario che avviene con
l’avanzare dell’età, nei malati con MRC ha un’età
biologica maggiore rispetto all’età anagrafica,
diversamente da un paziente sano. Questo è
legato a un deficit della risposta immunitaria,
poiché i malati hanno una maggior sensibilità alle
infezioni, alle neoplasie, alle malattie autoimmuni,
hanno inoltre una ridotta sorveglianza immunitaria,
una ridotta risposta alle vaccinazioni e una risposta
maladattativa al danno5. L’immunosenescenza
4
Vedi dopo per immunosenescenza.
5
Il professore fa una digressione sul Covid, dicendo che i malati dializzati e/o trapiantati infetti da Sars Cov 2 hanno
avuto una mortalità molto più elevata rispetto ai coetanei senza malattia renale cronica, soprattutto nelle prime fasi della
pandemia.
80
influisce anche l’inflammaging, condizione di stato o infiammazione subclinica che aumenta il rischio di
sviluppare malattie autoimmuni, malattie legate all’età e malattie aterosclerotiche.
Le tossine uremiche causano un aumento dello stress ossidativo nelle cellule immunitarie, effettuando delle
modificazioni nell’espressione genica ed il risultato è un sistema immunitario meno attivo (in particolar modo
si fa riferimento al sistema immunitario adattativo, con precursori mieloidi e linfoidi).
Come si vede in figura il danno immunologico è irreversibile, infatti un paziente che inizia emodialisi o
dialisi peritoneale, manifesta una cicatrice immunologica permanente anche dopo il trapianto, nonostante
venga instaurata una nuova funzione renale.
Progressione di MRC
L'identificazione precoce di pazienti entrati negli stadi I-II di MRC è importante perché permette di rallentarne
la progressione, e consente per gli stadi successivi di gestirne le complicanze.
La biologia della progressione porta i pazienti a sviluppare una serie di alterazioni che possono causare una
glomerulosclerosi progressiva e una sclerosi tubulointerstiziale progressiva.
Oltre al danno endoteliale, a livello glomerulare si avrà:
● Proliferazione delle cellule mesangiali
● Danno podocitario
● Microinfiammazione glomerulare
● Rilascio di citochine e fattori di crescita
81
funzionalità renale. La forma acuta è il più delle volte dovuta a reazioni allergiche da farmaci o a infezioni. La
forma cronica si verifica per diverse cause, tra cui disturbi genetici o metabolici, l'uropatia ostruttiva e
l'esposizione cronica a tossine ambientali o ad alcuni farmaci ed erbe. La diagnosi viene suggerita
dall'anamnesi e dall'analisi delle urine ed è spesso confermata per mezzo della biopsia.
Alcuni dei mediatori6 che si possono avere nella fibrosi renale sono:
● Angiotensina II
● Endotelina
● NF-kB
● TGF-1ß
Nell’immagine sottostante viene mostrato l’andamento della CKD. Il numero di nefroni che si hanno fin dalla
nascita, in un soggetto normale, si aggira intorno al milione per rene e fisiologicamente, con
l’invecchiamento, i nefroni diminuiscono: più diminuiscono, più iperfiltrano. Un soggetto sano in età avanzata
muore con una creatinina che si aggira intorno ai valori 1,5-1,6 di creatinina.
Il malato di CKD, osservando il grafico, passa ad avere un numero troppo basso di nefroni funzionanti che
con l’età diventeranno insufficienti a causa del sovraccarico funzionale e il malato svilupperà una malattia
cronica avanzata, che necessiterà di trattamento per prevenire le complicanze della MRC.
In particolare, i nefroni residui vanno incontro a un sovraccarico funzionale, il quale causa un sovraccarico
emodinamico, uno stress podocitario, un sovraccarico metabolico, un sovraccarico del tubulo contorto
prossimale nel tentativo di riassorbire la proteinuria. Questi meccanismi di sovraccarico dei nefroni residui
causano una progressiva perdita di nefroni, fino ad arrivare alla MRC.
Complicanze MRC
Le complicanze cliniche della MRC sono principalmente:
● Sovraccarico idrosalino e ipertensione arteriosa. Nella maggior parte dei casi, i malati di MRC con il
progredire della malattia sviluppano sovraccarico idrosalino, edemi e ipertensione. Nelle forme più gravi,
gli edemi possono causare un edema polmonare, quindi un accumulo di acqua nei polmoni.
● Iperpotassiemia. I malati non riescono ad eliminare adeguatamente il potassio perché, oltre alla
malattia in sé, molti farmaci nefroprotettivi possono avere come effetto collaterale l’iperpotassiemia.
Fattori di rischio aggiuntivi sono la dieta, l’acidosi metabolica, gli inibitori del sistema
renina-angiotensina-aldosterone e gli antiinfiammatori.
● Acidosi metabolica. Fattore di rischio di potassiemia, di MRC e delle sue complicanze.
6
Il professore dice che ci sono molti fattori, non tutti ancora conosciuti, che causano la progressione della fibrosi renale.
82
Terapia e prevenzione
Identificazione precoce
Nei malati renali cronici inattesi, ossia solitamente i più giovani, è possibile individuare lo stato di MRC
ponendo attenzione ad esami che possono essere prescritti per altre patologie acute in corso. Per esempio, i
soliti esami di routine o quelli effettuati sul luogo di lavoro.
Nelle popolazioni a rischio secondo fattori etnici si riscontrano africani, afro-americani, nativi-americani e
asiatici. Per quanto riguarda invece i fattori costituzionali, sono più a rischio i soggetti con basso peso alla
nascita, malnutriti e aventi familiarità con la patologia.
Malati invece con fattori di rischio importanti per lo sviluppo di MRC e la sua progressione sono ipertesi,
diabetici, dislipidemici, obesi, e fumatori di sigaretta.
In questi malati bisognerà ricercare attivamente la presenza di MRC, tramite il dosaggio di creatinina e
microalbuminuria.
Fattori di progressione
Fattori che possono influire sulla progressione della MRC possono essere:
● Non modificabili:
○ Predisposizione genetica
○ Etnia
○ Età
○ Sesso (i maschi hanno un maggior rischio di progressione)
● Modificabili, sui quali si deve agire in ambulatorio. Si parla di prevenzione primaria per quanto riguarda:
○ Ipertensione/ipertensione glomerulare
○ Proteinuria
○ Diabete
○ Obesità,
○ Fumo di sigarette
○ Dislipidemia
○ Farmaci nefrotossici
Prevenzione primaria
Per gli ipertesi si può proporre una dieta iposodica, riducendo l’assunzione giornaliera di NaCl a 4-6 g. La
proteinuria può essere contrastata attuando una restrizione proteica moderata con 0.6-0.75 g/kg al giorno,
mentre per il diabete mellito di tipo 2 si prescrive una dieta ipoglucidica. L'obesità è riducibile tramite dieta
ipocalorica che riduce anche il rischio di iperfiltrazione, mentre nei casi di pazienti fumatori, si deve
sospendere il fumo di sigaretta.
Prevenzione secondaria
La prevenzione secondaria viene attuata tramite la somministrazioni di farmaci.
Gli antiipertensivi vengono utilizzati per cercare di ottenere valori di pressione arteriosa che abbiano un
target intorno ai 125-130/75-80 mmHg, sempre adattando la pressione al malato7.
Le comorbidità sono da tenere in considerazione, infatti i pazienti diabetici spesso possono avere una
condizione di disfunzione autonomica che causa ipotensione ortostatica e, quindi, causare condizioni di
ipotensione in caso di modifiche posturali.
Bisogna inoltre privilegiare farmaci che agiscono sul sistema renina-angiotensina-aldosterone (ACE
inibitori e sartani), i quali hanno anche un effetto antiproteinurico e cardioprotettore. Per quanto riguarda
questa categoria di farmaci, stanno avendo un ruolo emergente gli inibitori del cotrasportatore
sodio-glucosio (SGLT28 inibitori), soprattutto per i pazienti proteinurici.
7
Se il malato è giovane si può attuare una terapia più aggressiva, mentre nell’anziano bisognerà avere un approccio più
“blando”.
8
Vedere il paragrafo successivo per gli SGLT2i
83
Nei diabetici è importante ottenere un valore di emoglobina glicata HbA1c9 di almeno 7%; per quanto
riguarda i pazienti dislipidemici, infine, si somministrano statine, le quali sono in grado di avere un effetto
nefroprotettivo anche in assenza di documentata ipercolesterolemia.
SGLT2 hinibitors
Gli SGLT2 inibitori (inibitori del
co-trasportatore del sodio-glucosio di tipo 2)
sono farmaci utilizzati nel trattamento del
diabete di tipo 2 e bloccano una proteina nei
reni chiamata SGLT2, che riassorbe
glucosio dalle urine nel sangue quando
questo viene filtrato nei reni. Essi
funzionano inibendo il cotrasportatore di
sodio all’interno del tubulo contorto
prossimale determinando glicosuria, la quale
porta ad avere natriuresi, ed insieme
stimolano un feedback tubuloglomerulare
che va a vasocostringere l’arteriola afferente. La vasocostrizione dell’arteriola efferente riduce la pressione di
filtrazione intraglomerulare e, quindi, viene ridotto il rischio di iperfiltrazione glomerulare, uno dei principali
fattori di rischio di progressione.
Questi farmaci deputati alla vasocostrizione dell’arteriola afferente sono sinergici all’effetto di dilatazione
dell’arteriola efferente degli ACE inibitori, quindi agiscono efficacemente in contemporanea.
Diabete e HbA1c
I valori di emoglobina glicata nei pazienti diabetici vanno aggiustati in base a vari aspetti:
● Severità della MRC
● Complicanze macrovascolari
● Comorbidità
● Aspettativa di vita
● Ipoglicemia, risorse per contrastarla e propensione al trattamento
9
Vedere il paragrafo successivo per diabete e HbA2c
84
Nel malato con diabete e MRC si devono attuare una serie di interventi sullo stile di vita, tra cui l’assunzione
di farmaci (antiipertensivi/controllo glicemico) per ridurre il rischio di progressione.
I diabetici devono seguire screening annuali per il rischio di malattia renale attraverso dosaggio di creatinina,
valutazione del filtrato e dosaggio della microalbuminuria e, nel caso ci fossero anomalie, appoggiarsi a
nefrologi per implementare la terapia, riducendo il rischio di progressione di malattia renale.
Complicanze MRC
La gestione delle complicanze della MRC si occupa di:
● Complicanze cliniche, sono le più frequenti:
○ Ipertensione arteriosa10
○ Sovraccarico idrosalino (farmaci utilizzati: furosemide11, tiazidici)
● Complicanze endocrinologiche:
○ Anemia
○ Alterazioni del metabolismo calcio-fosforo
ANEMIA
Tra le funzioni principali del rene vi è quella di produrre eritropoietina, quindi in caso di malati di MRC viene
meno la produzione di questo ormone glicoproteico e si crea una condizione di anemia.
L’anemia si dichiara quando i valori di emoglobina scendono sotto gli 11,5 g/dL per le donne e i 13,5 g/dL
per gli uomini12. La produzione di
eritropoietina viene ridotta in corso di MRC
da parte delle cellule endoteliali dei capillari
peritubulari e dalla parte più esterna della
midollare. Inoltre, tra le concause di anemia
si riscontrano anche una ridotta emivita
degli eritrociti (70-80 gg contro i normali
120 gg), un progressivo accumulo di
tossine uremiche e un ridotto livello di
ferro (dovuta a una carenza di ferro nella
dieta, perdite gastrointestinali o riduzione
dell’assorbimento intestinale), vitamina B12
e acido folico. I malati di MRC hanno
un’aumentata tendenza al sanguinamento.
Nel caso in cui si abbia uno stato
infiammatorio cronico, una riduzione
dell’assorbimento intestinale e un utilizzo inadeguato di ferro da parte del malato di MRC, è riscontrabile un
accumulo di epcidina, ormone peptidico responsabile in parte dell’anemia. In modo analogo, la carenza di
10
Il professore oltre a citare nuovamente ACEi e SGLT2i, sottolinea l’importanza dei calcio antagonisti nel curare la
malattia renale cronica.
11
Per questi farmaci è importante aggiustare la dose, dato che sono farmaci dose-dipendenti, quindi raggiungono
l’effetto massimale superando una certa soglia. Questa soglia può aggirarsi intorno ai 25-50 mg in soggetti normali e
arrivare fino a 1 g in un soggetto con MRC.
12
I valori possono cambiare leggermente in base al laboratorio di analisi a cui si fa riferimento.
85
eritropoietina ha un ruolo fondamentale sull’inefficacia dell’eritrocitosi, così come qualsiasi infiammazione di
tipo cronico.
Anche l’iperparatiroidismo si associa a un’aumentata eritrocitosi.
Ulteriori fattori che contribuiscono allo sviluppo di anemia sono:
● Assunzione di farmaci, che possono associarsi a una ridotta di produzione di globuli rossi
● Vitamina B12 e folati
● Comorbidità
● Condizioni legate alla dialisi
Approccio terapeutico
Per contrastare l’anemia si può agire con un giusto dosaggio di ferro, acido folico e vitamina B12, ma
soprattutto si fa terapia con eritropoietina ricombinante (esogena13). L’obiettivo NON è la correzione totale
di anemia (ossia portare l’emoglobina ai valori di 14-15 g/dL), poiché una normalizzazione si assocerebbe a
un aumentato rischio di eventi ischemici come ictus, o eventi cardiovascolari. E’ importante tenere un valore
che si aggiri intorno ai 10-12 g/dL di emoglobina, da modulare in base all’età e alle comorbidità.
Esempio: un malato con MRC o un dializzato con 14 g/dL di emoglobina dovrebbe far insospettire il clinico e
fargli eseguire una rivalutazione della dose di eritropoietina.
In caso di mancata risposta è opportuno escludere la presenza di fattori responsabili di resistenza
all’eritropoietina: carenze marziali e vitaminiche, compliance, sanguinamento cronico, iperparatiroidismo,
inadeguatezza dialitica, emolisi. Per quanto riguarda la carenza marziale, se in soggetti normali i valori di
ferritina normali sono bassi fino a 35-50 ng/mL, nei malati con MRC, oltre che cercare di avere una
saturazione di transferrina superiore al 20%, bisogna puntare a una ferritina maggiore ai 100 ng/mL,
talvolta proseguendo la terapia marziale fino a che il malato arriva a 500 ng/mL.
13
Per chiarire, il profe dice che è la stessa che veniva utilizzata nello sport come doping.
86
Quando usare le eritropoietine
Le eritropoietine si devono utilizzare nei malati che
raggiungono valori di Hb<10-11 g/dl.
Il loro utilizzo chiaramente deve essere adattato al paziente:
per un soggetto molto anziano e che svolge poche attività un
valore di emoglobina pari a 9 g/dl può essere accettato; per il
soggetto più giovane si dovrà supportare un valore più alto. In
linea di massima, però, si interviene quando l’emoglobina
scende sotto i 10 g/dl cercando di mantenerla al di sotto di
11.5 g/dl. Vi sono una serie di farmaci Eritropoietine che si
utilizzano nella pratica e con una durata d’azione variabile,
che non verranno trattate nel dettaglio.14
OMEOSTASI CALCIO-FOSFORO
Oltre all’anemia, è presente un’importante complicanza endocrinologica della malattia renale cronica: le
alterazioni dell'omeostasi calcio-fosforo.
Ogni giorno si assume 1 g di calcio, di cui il 65% viene eliminato mentre il 35% circa viene assorbito e si
trova in equilibrio tra osso e rene. Nel nostro organismo la maggior parte del calcio è contenuto nelle ossa
(circa 1 kg) che si occupano di preservarne il bilancio corporeo, mentre il rene è il principale organo per la
regolazione del suo metabolismo e smaltimento.
Per quanto riguarda il fosforo, si introducono circa 900 mg al giorno, ne vengono eliminati circa 300 mg,
e i 600 mg assorbiti si ritrovano principalmente nelle ossa e nei tessuti molli. Anche in questo caso, il rene
ne regola il riassorbimento e la secrezione.
14
I nomi in parentesi nella slide non sono stati citati, sono stati brevemente elencati solo i primi 3: Epoetina Alfa, Epoetina
Beta, Epoetina Teta.
15
Per comprendere meglio si riporta un medicinale che interagisce con il sistema HIF, approvato dall’EMA, usato per
trattare i sintomi dell’anemia da IRC: “Il principio attivo di Evrenzo, Roxadustat, agisce su un enzima denominato
prolil-idrossilasi del fattore inducibile da ipossia (HIF-PHI). Tale azione stimola la risposta naturale che normalmente si
verifica quando i livelli di ossigeno sono bassi, compresa la produzione di eritropoietina ed emoglobina. È atteso che tale
azione riduca i sintomi dell’anemia”. https://www.ema.europa.eu/en/documents/overview/evrenzo-epar-medicine-overview_it.pdf
87
● stimolando la secrezione ossea di FGF23.
● aumentando il riassorbimento osseo di calcio e fosfato.
● aumentando l'assorbimento di calcio a livello renale.
Il PTH prodotto dalle paratiroidi, invece, a livello osseo determina un aumentato assorbimento16 di fosforo e
calcio; quest’ultimo inibisce la produzione di PTH stesso (feedback negativo). Il paratormone stimola, poi, a
livello renale un aumentato riassorbimento di calcio e il metabolismo del calcidiolo nella forma attiva
calciferolo.
Questa introduzione di fisiologia, che sicuramente è già stata affrontata in corsi passati, serve per capire che
con il procedere della malattia renale cronica, si sviluppano due conseguenze molto importanti nell'ambito
del metabolismo calcio-fosforo:
● una riduzione dei livelli di Calcitriolo con riduzione dei
livelli sierici di calcio a causa della riduzione della
funzione renale.
● un crescente aumento dei livelli sierici di fosfato, poiché
si ha una diminuzione della capacità fosfaturica del
rene; dato che il rapporto calcio-fosforo deve essere
mantenuto costante (al fine di evitare che i due elementi
si combinino e precipitino nei vasi e nei tessuti molli
dando origine a calcoli di fosfato di calcio), ciò porta ad
un’ulteriore riduzione dei livelli sierici di calcio.
Queste alterazioni sono presenti sin dalle fasi precoci della malattia renale cronica, ma si tratta di
alterazioni subcliniche; di conseguenza ci saranno delle variazioni che si discosteranno leggermente dalla
norma ma che saranno sufficienti per innescare il meccanismo che verrà spiegato a breve. Quindi,
l’organismo risponderà a questa situazione di accumulo di fosforo, carenza di calcio sierico e carenza di
forma attiva di vitamina D con una produzione in eccesso di paratormone (iperparatiroidismo
secondario17), con l'obiettivo di riportare il calcio a valori fisiologici18.
16
n.d.r. Il professore dice “riassorbimento”, ma più precisamente: il PTH nelle ossa attiva indirettamente gli osteoclasti
aumentando la mobilizzazione del calcio e del fosforo (aumentandone i livelli sierici).
https://it.wikipedia.org/wiki/Paratormone#Meccanismo_d'azione
17
Livelli di PTH aumentati in risposta a una carenza relativa di calcio e di vitamina D, in questo caso dovuta a malattia
renale cronica.
18
Molte di queste attività sono mediate dall’ormone FGF23, il quale ha un'importante effetto fosfaturico mediato appunto
dall'accumulo di fosfato.
88
Infine, si ha un'aumentata produzione di PTH che agendo a livello osseo porta ad una demineralizzazione
ossea con incremento dell’assorbimento di calcio (al fine di normalizzarne i livelli sierici) ma con
assorbimento anche di fosforo (portando ad un ulteriore innalzamento dei suoi livelli sierici).
L’accumulo di fosforo porta, a sua volta, a una riduzione dei livelli di calcio.
CKD-MBD
La rottura dell’omeostasi Ca–P descritta precedentemente porta alla malattia minerale ossea dovuta a IRC
(CKD-MBD).
Un malato di malattia renale cronica, presenterà il seguente scenario al fine di mantenere i livelli di calcio
all’interno dei valori normali.
Bassi livelli di:
● calcio perchè si ha ridotto assorbimento con effetto chelante del fosforo. Nelle fasi iniziali l’ipocalcemia
sarà subclinica ma progressivamente diventerà clinicamente rilevante.
● calcitriolo per una ridotta produzione renale di vitamina D attiva.
Elevati livelli di:
● PTH legato all’ipocalcemia.
● fosforo a causa della ridotta escrezione renale e tendenza a un suo accumulo.
● FGF23.
Conseguenze CKD-MBD
Se questo meccanismo non viene interrotto dalla terapia farmacologica, si manifesteranno due conseguenze
importanti:
1. Alterazione del rimodellamento della struttura ossea: l’osso va incontro a demineralizzazione visibile
all’RX19, con predisposizione a una condizione nota come osteite fibroso-cistica.
Le ossa diventano più povere della componente minerale (calcio) e assumono una consistenza
maggiormente fibrosa. Si ha quindi una conseguente formazione di cisti ossee che aumentano il rischio di
fratture spontanee.
2. Accelerata calcificazione vascolare e ectopiche: a causa delle alterazioni biochimiche già descritte, il
paziente affetto da malattia renale cronica è caratterizzato da un elevato prodotto Ca-P che supera i
60-70 mg/dl. I due elementi tendono, a questo punto, a combinarsi portando a precipitazione di fosfati
di calcio nei tessuti molli e nei vasi. Un ruolo centrale in questo meccanismo è svolto dal PTH che
stimola il rilascio di Ca e P dalle ossa, contribuendo a livelli plasmatici elevati.
Nei malati aumenta così il rischio di calcificazioni ectopiche e vascolari.
[N.d.r. Il professore invita a fare attenzione durante i tirocini, quando vedremo lastre o tac dei malati con
CKD, poiché osserveremo dei vasi che saranno spesso fortemente calcificati20. Le calcificazioni hanno un
importante impatto sui malati perché portano a elevata mortalità per cause cardiovascolari, aterosclerosi
accelerata che abbiamo visto esser mediata dalle tossine uremiche, dall’ipertensione e dalle varie
comorbilità, oltre che difficoltà di effettuare manovre chirurgiche su questi vasi (ad es. confezionamento di
fistole arterovenose per la dialisi, o l'utilizzo dei vasi per l'effettuazione dei trapianti di rene).
19
Che comporta osteoporosi significativa (integrazione dalle sbobine dell’anno scorso).
20
Addirittura, in alcuni casi è presente una forte osteoporosi con demineralizzazione delle vertebre talmente importante,
che determina un “passaggio” di fosfati di calcio dalle ossa all’aorta posizionata anteriormente. Questo vaso si
presenterà quindi completamente calcifico (ciò si può osservare in lastre latero-laterali).
89
Adenomi paratiroidei21
Un’altra condizione che si può verificare nelle fasi più
avanzate della malattia renale cronica, in seguito a
iperparatiroidismo, è la possibile formazione di adenomi
paratiroidei che producono PTH in modo incontrollato,
poiché hanno perso il recettore per il calcio. Si tratta di
lesioni neoplastiche adenomatose con una produzione
incontrollata di paratormone. Anche se venisse
somministrato calcio, il paziente non risponderebbe più.
In questo modo si avrà un’evoluzione verso
l’iperparatiroidismo terziario22, condizione in cui i livelli
alti di PTH non rispondono più alle terapie mediche che
possiamo mettere in atto.
Questo può causare addirittura una fase di ipercalcemia secondaria all’iperparatiroidismo terziario (indicata
con un pallino rosso nella slide precedente).
Diagnostica di CKD-MBD
I parametri che si vanno a osservare nei pazienti
per valutare la malattia minerale ossea dovuta a
MRC sono: calcio e fosforo, fosfatasi alcalina,
paratormone, lastre del torace ed ecocardiografia.
Inoltre è importante dosare e correggere la
concentrazione di vitamina D poiché bassi livelli di
25(OH) vitamina D sono uno stimolo per la
produzione di PTH.
Trattamento di CKD-MBD
Non esistono delle linee guida precise per il trattamento della CKD-MBD.
Quello che si deve fare è valutare caso per caso, in base all’andamento dei parametri, cercando non
necessariamente di normalizzarli, ma di controbilanciare il peggioramento.
Negli stadi da III a V della malattia renale cronica, l'obiettivo è mantenere calcio e fosforo nell'intervallo di
normalità. In che modo? si deve invitare il paziente a seguire delle diete a basso contenuto di fosforo (evitare
latticini), a limitare l’assorbimento di fosforo prescrivendo farmaci chelanti del fosforo23 in grado di chelare il
fosforo introdotto con la dieta impedendo il suo assorbimento intestinale. Quest’ultimo punto è importante
perché si è visto che il primum movens dell'iperparatiroidismo secondario è proprio l’accumulo di fosforo,
dovuto all'insufficienza renale cronica. Quindi, prima di somministrare il calcio a un paziente con valori bassi,
è importante valutare i livelli di fosforo, poichè se l’ipocalcemia è dovuta a iperfosforemia, bisogna agire con
chelanti del fosfato e abbassare il fosforo. A quel punto il calcio sale24.
In questi stadi in caso di tendenza all’ipocalcemia, e comunque per controllare i valori di PTH,
somministriamo anche vitamina D attiva o calcitriolo che possono abbassare i valori di paratormone.
La produzione di PTH infatti, come visto precedentemente, è sensibile al calcitriolo con meccanismo di
feedback negativo.
Negli stadi da III a V qualora il PTH fosse aumentato e non fosse controllabile adeguatamente dalle
manovre messe in atto precedentemente elencate, ovvero se ci si trovasse in una situazione di
iperparatiroidismo terziario, si dovranno utilizzare delle strategie terapeutiche più avanzate come
calciomimetici25 o procedere alla rimozione chirurgica delle paratiroidi. Infatti, tutti questi farmaci non
21
Integrazione con le sbobine dell’anno passato.
22
Si verifica quando il PTH viene secreto indipendentemente dal livello di calcio nel sangue. L'Iperparatiroidismo terziario
in genere insorge in soggetti con iperparatiroidismo secondario di lunga durata e in soggetti affetti da malattia renale
cronica.
23
Come il calcio carbonato. I chelanti del fosforo vengono assunti durante il pasto.
24
Le ultime due frasi sono state integrate dalla sbobina dell’anno precedente.
25
Dalla slide: vitamina D attivata o analogo della vitamina D (Calcitriolo o Paracalcitolo)
90
funzionano nel caso di sviluppo di adenoma, perché hanno bassi livelli di recettori per il calcio e per la
vitamina D, ed è proprio in questo caso che bisogna agire chirurgicamente. Se si agisce in modo precoce
sulla concentrazione del paratormone è più probabile che non si vada incontro a questa situazione26.
26
Le ultime 4 righe sono state integrate dalla sbobina dell’anno precedente.
27
I possibili outcome negativi della malattia renale cronica sono stati integrati e tradotti dalla slide.
91
Diete proteiche più aggressive, se associate ad adeguata supplementazione con aminoacidi essenziali o
chetoanaloghi possono avere un ruolo nel ritardare l’ingresso in dialisi.
Monitoraggio introito proteico: urea urinaria (g/die) x 3 = proteine introdotte (g/die)28.
28
L’ultima riga è stata integrata dalla slide.
29
Integrazione con le sbobine dell’anno passato.
92
può essere pericoloso per l’apporto ionico, ed è un sale che piuttosto che contenere cloruro di sodio contiene
come catione il cloruro di potassio.
Il malato, generalmente, assume questo sale con l'obiettivo di ridurre l'esposizione al sodio e quindi per
cercare di sviluppare meno ipertensione, ma il risultato netto è l’assunzione di maggior potassio e quindi il
rischio di sviluppare iperpotassiemia30.
30
Il professore fa notare che l’assunzione del “sale della farmacia” va attivamente ricercata nei pazienti, perché spesso
non lo segnalano al dottore.
31
Le ultime 5 righe sono state integrate con le sbobine dell’anno passato.
93
EMODIALISI
Questo approccio idealmente dovrebbe essere efficace nella rimozione di molecole che si accumulano
nell’organismo del paziente in corso di malattia renale cronica:
● molecole a basso peso molecolare: es. urea, creatinina (PM 60, 113 Da).
● molecole a medio peso molecolare: es. Beta2 microglobulina (PM 11818 Da).
La membrana è altamente permeabile a molecole a basso peso molecolare (urea, creatinina e tossine
uremiche), un pò meno permeabile a medio-molecole che con certe tecniche dialitiche non vengono rimosse
in modo adeguato e tendono ad accumularsi.
Il fatto che il sangue e il liquido di dialisi scorrano controcorrente rende massimo il gradiente di
concentrazione in qualsiasi punto del filtro tra i due compartimenti.
32
Nell’elenco viene aggiunto anche il paziente con Malattia Renale Acuta, informazione integrata dalle sbobine dell’anno
precedente.
33
Frase integrata dalle sbobine dell’anno precedente.
34
Durante il tirocinio vedremo macchinari più moderni.
35
Paragrafo integrato con le frasi non dette ma presenti nella slide.
36
Le membrane semisintetiche sono le più compatibili e possono essere a basso, medio o alto flusso.
94
Si deduce che se i due compartimenti scorressero nella stessa
direzione non avremmo la massimizzazione del gradiente di diffusione.
Il sangue molto concentrato di tossine uremiche entra quindi nel filtro,
e cede tossine uremiche man mano che attraversa la struttura filtrante.
Quindi il sangue avrà un’alta concentrazione di tossine uremiche al
suo ingresso e più bassa all’uscita.
Al contrario, il liquido di dialisi è privo di tossine uremiche al suo
ingresso nel filtro e tenderà ad accumularle nel corso del tempo.
37
Quindi dalle dimensioni.
38
Cioè dal grado di agitazione della molecola.
39
Più la membrana è ampia più efficace sarà la diffusione.
40
Produzione di urine inferiore a 100 ml al giorno.
41
Ultima frase integrata dalle sbobine dell’anno passato.
42
Integrazione con le sbobine dell’anno passato.
95
Per quanto riguarda, invece, il flusso convettivo del soluto:
Il flusso convettivo dipende dalla quota di fluido filtrato nell’unità di tempo (Qf), dalla concentrazione del
soluto nell’acqua plasmatica (Cb) e dalle caratteristiche di “setacciamento” della membrana (S) nei
confronti di quel soluto, ovvero quanto la membrana riesce a far passare la sostanza. Queste
caratteristiche di setacciamento dipendono a loro volta dalla concentrazione del soluto nell’ultrafiltrato
(Cuf) e dalla concentrazione del soluto nell’acqua plasmatica o nel sangue (Cb).
4. Adsorbimento43: i soluti sono assorbiti dai materiali che compongono la membrana dializzante. In questo
caso le molecole presenti nel sangue NON vengono filtrate e quindi NON passano dal filtro al liquido di
dialisi, ma rimangono intrappolate nella membrana. L’adsorbimento è un meccanismo di depurazione
ottenuto utilizzando filtri particolari molto costosi44. I meccanismi che regolano l’adsorbimento sono45:
● Forze di Van der Waals (attrazione generata dall’interazione fra gli elettroni di una molecola e il
nucleo di un’altra)
● Legami ionici (attrazione elettrostatica generata tra ioni con cariche opposte)
● Legami idrofobici (attrazione forte e duratura generata dall’affinità idrofobica di due molecole
Alla pagina seguente vengono riportate due immagini del filtro per la dialisi.
La figura a sinistra mostra come funziona la diffusione, le molecole a basso PM riescono a diffondere
attraverso la membrana semipermeabile dal compartimento in cui sono più concentrate (sangue) a quello in
cui sono meno concentrate (liquido di dialisi) venendo efficacemente rimosse dal sangue del paziente.
Questo è il meccanismo con cui avviene la maggior quota di depurazione attraverso l’emodialisi. Tuttavia,
non consente un’efficace rimozione di altre molecole con peso molecolare intermedio come la
β2-microglobulina46, cioè molecole importanti nella patogenesi delle complicanze dell’uremia47.
La figura a destra, invece, mostra il meccanismo di convezione, che si basa su un gradiente di pressione tra
i due compartimenti (pressione negativa nel compartimento del liquido di dialisi, positiva nel compartimento
del sangue). Il gradiente trascina da un compartimento all’altro, insieme all’acqua, anche medio-molecole
cioè molecole che non vengono rimosse efficacemente dalla diffusione.
La convezione garantisce una migliore depurazione del sangue.
43
Meccanismo di dialisi non utilizzato routinariamente.
44
Integrazione dalle sbobine dell’anno passato: “usati ad esempio per la rimozione delle catene leggere nei malati di
mieloma multiplo per ridurre il carico di catene leggere e il rischio di sviluppo di cast neprhopaty (rene da mieloma)”.
45
Concetto preso dalle slide.
46
Che se si accumula può causare amiloidosi.
47
Le ultime 3 righe sono state integrate dalle sbobine dell’anno passato.
96
Durante la diffusione, all’interno del filtro i diversi
elettroliti si equilibrano48: alcuni soluti passeranno dal
sangue al liquido di dialisi, altri passeranno dal liquido di
dialisi al sangue del paziente. Questo perché si va a
modificare la composizione del bagno di dialisi, con una
certa variabilità da paziente a paziente, e in questo modo
verranno influenzati i tipi di scambi che il malato avrà nel
corso della seduta dialitica. Ad esempio il potassio si
sposta verso il liquido di dialisi, il calcio e il bicarbonato
spesso diffondono muovendosi verso il sangue del
paziente, mentre creatinina e urea e altre tossine uremiche vengono rimosse dal sangue attraverso la
diffusione.
48
Integrazione con le sbobine dell’anno passato.
49
I modi in cui il sangue può essere prelevato dal paziente verrà spiegato nella prossima lezione.
97
Il sangue passa poi all’interno della pompa sangue
che, generando inizialmente una pressione positiva e
poi una pressione negativa, aspira e fa progredire il
sangue nel circuito verso il filtro50.
Una volta depurato, il sangue ritorna al paziente
attraversando un sensore di aria51 per prevenire
l’embolia gassosa nel malato.
Tecniche di dialisi59
Le tecniche di dialisi che sfruttano i meccanismi fisici spiegati precedentemente sono 3:
1. Emodialisi: Sfrutta come meccanismo di
depurazione esclusivamente la diffusione.
E’ la tecnica base, utilizzata ancora
abbondantemente, è la più economica ma
qualitativamente meno efficiente in termini di
clearance delle medio-molecole poiché
rimuove solo le molecole con basso PM. Per
questo motivo è una tecnica che di solito viene
riservata ai pazienti con aspettativa di vita un
pò più breve, nel tentativo di razionalizzare il
rapporto costo/beneficio.
Viene applicata una minima pressione
negativa a livello del liquido di dialisi per
consentire l’ultrafiltrazione del sangue e per
consentire la rimozione dell’acqua in eccesso.
Come conseguenza si ha calo ponderale del paziente60.
Freccia rossa: area del filtro in cui entra il sangue del paziente.
Freccia blu: area da cui esce il sangue depurato e che torna al paziente.
50
Indicato nell’immagine con “membrane unit”.
51
Indicato nell’immagine con “air embolus detector”.
52
Integrazione delle sbobine dell’anno passato.
53
Indicato nell’immagine con “water”.
54
Indicato nell’immagine con “acidified concentrate”.
55
Indicato nell’immagine con “bicarbonate concentrate”.
56
Indicato nell’immagine con “deaerator”.
57
Indicato nell’immagine con “volume balance system”
58
Indicato nell’immagine con “conductivity monitor”
59
Paragrafo integrato con le sbobine dell’anno passato.
60
Da 1 fino a 3 kg.
98
Freccia verde: area in cui entra il liquido di dialisi.
Freccia gialla: area da cui esce il liquido ricco di molecole tossiche che ha raccolto dal sangue.
61
Da questo punto in poi è stata riportata la spiegazione dalle sbobine dell’anno passato, in quanto il professore è stato
confusionario nello spiegare. Si riporta comunque quanto detto a lezione: Tutto ciò che viene rimosso dal sangue, esce
dal filtro per trascinamento attraverso l’ultrafiltrazione del sangue. Il sangue viene ultrafiltrato per trascinamento, per
convezione. In questo modo vengono rimosse con maggiore efficienza le molecole medie.
62
La figura mostra infatti la diluizione post filtro, quella pre filtro lì non è apparentemente rappresentata.
63
Anche in questa immagine viene mostrata solo la reinfusione post filtro, ma può esser fatta anche pre filtro.
99
Per riassumere, queste a fianco sono le caratteristiche
delle varie tecniche dialitiche che si hanno a
disposizione:
● L’emodialisi bicarbonato normale (HD low Flux in blu)
usa molto la diffusione, pochissimo la convezione; è
molto efficace nel rimuovere le piccole64 molecole,
poco le medio-molecole.
● L’emodialisi bicarbonato ad alto flusso (HD High Flux
in azzurro).
● L’emodiafiltrazione (HDF).
● L’emofiltrazione (HF).
Guardando la barra centrale viola, si nota che proseguendo da sinistra verso destra queste tecniche sono
progressivamente meno efficaci nella diffusione quindi meno efficienti nella rimozione di piccole molecole, e
invece maggiormente efficaci nel rimuovere le medio-molecole facendo riferimento alla convezione.
64
Il prof dice “medio-molecole” ma sulla base della sua spiegazione nel corso della lezione penso intendesse le piccole
molecole.
65
Integrazione con la sbobina dell’anno precedente.
66
Nella complessità della gestione del paziente dializzato il 60-70% della responsabilità va all’accesso vascolare.
67
Destrosio.
68
Complicanza più frequente.
100
progredisce si alza la concentrazione di questo minerale per prevenire l'ipotensione che di solito avviene
nelle fasi più tardive della seduta.
Per quanto riguarda il potassio, è importante che la sua concentrazione nel liquido venga adattata al singolo
paziente. La potassiemia del malato necessita monitoraggi periodici69 quindi si misura il potassio pre dialitico,
pre intervallo lungo70, e successivamente si regola il potassio in base al valore medio: ad esempio se il
paziente ha 4 meq/l di potassio medio, il liquido di dialisi potrà avere una concentrazione di 3 mEq/l, oppure
se il paziente ha in media 6,5 mEq/l si utilizzerà un liquido con una concentrazione di potassio di 2 mEq/l per
abbassare la potassiemia71. Il monitoraggio deve essere anche svolto in caso di eventi acuti: se72 il paziente
accusa diarrea o vomito da due giorni si dovranno controllare i livelli di potassio perchè nel caso accusasse
ipopotassiemia per via della diarrea (ad es. [K+] = 3 mEq/l) e venisse utilizzato un bagno di dialisi con una
concentrazione di potassio di 2 mEq/l, si provocherebbe un peggioramento della situazione. In questo caso il
paziente potrebbe sviluppare durante la seduta dialitica un’aritmia, e al fine di evitare ciò il liquido di dialisi
dovrà essere modificato per quello specifico paziente. Concentrazioni di potassio non adeguate nel liquido di
dialisi possono portare ad aritmie anche potenzialmente fatali.
Un’altro aspetto da considerare è che i pazienti con CKD presentano acidosi metabolica, quindi iniziano la
seduta di dialisi con valori di bicarbonato tendenzialmente bassi, che poi vengono forniti dalla macchina.
Infine, è importante adeguare la temperatura del bagno di dialisi ai valori di temperatura esterna ed al rischio
di ipotensione nel malato. I pazienti non gradiscono e soffrono molto del fatto che gli viene restituito del
sangue purificato a temperature molto basse, ma è una cosa che a volte si è costretti a fare perchè anche in
questo caso una delle complicanze più frequenti è l’ipotensione e uno dei meccanismi per ridurre il rischio è
abbassare la temperatura del liquido di dialisi. Così facendo, si causa vasocostrizione nel paziente.
La prossima lezione inizierà con la trattazione degli accessi vascolari, fattori chiave per l'effettuazione di una
seduta dialitica adeguata.
69
Se il paziente è stabile il potassio viene solitamente misurato una volta alla settimana/una volta al mese, dipende dal
paziente.
70
Ne vedremo successivamente il significato.
71
Il potassio nel malato con insufficienza renale cronica tende ad accumularsi.
72
Integrazione con la sbobina dell’anno precedente da questo punto fino alla fine della discussione sui valori di potassio.
101
Sbobinatori:166/63
Revisori:63/166
Materia: Nefrologia
Docente: Alberici
Data: 29/03/2023
Lezione: n.5
Argomenti: accessi vascolari, complicanze
dell’emodialisi ed introduzione alla dialisi peritoneale
Integrazione: abbiamo visto che il flusso di sangue all'interno del filtro garantisce la funzione del grado di
depurazione e che la metodica dialitica più efficiente in termini di depurazione, quindi associata a un miglior
controllo dei sintomi uremici, è l'emofiltrazione.
L’ACCESSO VASCOLARE
Per poter eseguire metodiche ad alta efficienza come l'emofiltrazione è necessario un accesso vascolare
adeguato. Il flusso di sangue minimo richiesto per l'esecuzione di una seduta emodialitica è di 300 ml al
minuto; questo chiaramente non può essere ottenuto da una vena periferica normale, come quella utilizzata
per eseguire prelievi, quindi dobbiamo utilizzare degli accessi ad hoc e l'accesso vascolare spesso è un
problema importante per i nostri malati.
Possiamo riconoscere due tipi di accessi vascolari:
Catetere venoso centrale (CVC), il più spesso utilizzato in regime d'urgenza; in questo contesto si può
posizionare un catetere temporaneo che garantisce un accesso immediato, rapido, sicuro nel breve
termine; esso tuttavia si associa, in breve termine, a un rischio infettivo elevato, essendo l'emergenza
del catetere molto vicina al punto in cui il carattere penetra nel vaso (parliamo di pochi centimetri), e,
nel lungo termine, ad un rischio importante di malfunzionamento .
Viene solitamente posizionato nella vena giugulare o in vena femorale.
Per approcci dialitici a lungo termine, laddove è necessario utilizzare il catetere venoso centrale, si
predilige il posizionamento di CVC tunnellizzati, posizionati sempre in giugulare interna e molto
raramente in arteria femorale.
Attraverso un piccolo intervento chirurgico, effettuato dal nefrologo, esso viene fatto decorrere
sottocute, per cui il catetere emergerà di solito nella regione
pettorale: quindi il punto in cui il catetere emerge dalla cute è
distante parecchi centimetri dal punto di penetrazione nel
vaso e questo garantisce una sicurezza maggiore dal punto
di vista del rischio infettivo.
Vedete un esempio di CV tunnellizzato che, nella porzione
destinata a decorrere sottocute, presenta una cuffia di
dacron che stimola una reazione infiammatoria, e quindi
fibrotica a livello del tessuto sottocutaneo, che consente di
ancorare il catetere al sottocute stesso.
Fistole artero-venose: un cortocircuito sostanzialmente tra una vena, solitamente la cefalica, e
un'arteria, solitamente la radiale, o, qualora sia necessario muoversi in direzione prossimale, la
brachiale.
Questo cortocircuito crea il passaggio di sangue arterioso, quindi ad alto flusso e ad alta pressione, nel
circuito venoso, che ha bassa resistenza, è superficiale e facilmente aggredibile. Sarebbe impossibile
effettuare ad ogni seduta dialitica una puntura delle arterie radiali o brachiali, risulta invece più facile
intervenire su vene arterizzate .
Questa fistola richiede 6-8 settimane prima di poter essere utilizzata; in questo lasso di tempo, la vena
va incontro a un'arterizzazione, cioè prima si dilata, poi subisce modificazioni di composizione
dell'endotelio di parete. Il risultato sarà una vena con un flusso arterioso superficiale e facilmente
fruibile.
In immagine si può apprezzare un esempio
dell'albero vascolare; la vena cefalica viene
anastomizzata con l’arteria radiale o brachiale,
permettendo alla vena di restituire sangue ad
alto flusso al circuito venoso che, essendo
superficiale, dunque facilmente aggredibile,
risulterà più agevole per effettuare la puntura
con degli aghi dedicati.
Si cerca di utilizzare aghi distanziati per
evitare il fenomeno del ricircolo, cioè il fatto di
102
andare a depurare sempre lo stesso sangue con l’ago arterioso, quello quindi che preleva sangue
orientato verso il basso, e il venoso, che restituisce sangue depurato al paziente, con orientamento
verso l'alto.
Laddove una fistola nativa, quindi eseguita su vasi nativi, non fosse possibile, può essere necessario
confezionare un accesso con una protesi che colleghi arteria e vena.
È intuitivo che questo metodo costituisce una modalità più a
rischio rispetto a una fistola nativa poiché si procede
impiantando al paziente un materiale protesico, che, per quanto
possa essere biocompatibile, non lo sarà mai tanto quanto un
vaso nativo; quindi questi sono degli accorgimenti a rischio
infettivo maggiore (oltre, ovviamente a richiedere un impegno
chirurgico più significativo), motivo per cui utilizzati solo come
extrema ratio.
Vengono riportati alcuni esempi di fistole arterovenose:
Termino-terminale: l'arteria viene abboccata all'altra, senza
che vi siano collaterali;
Latero-terminale: l'arteria radiale/brachiale mantiene il suo
decorso e si abbocca alla vena cefalica
Latero-laterale o latero laterale terminale
Una fistola di vecchia data si riconosce perché ben sviluppata, come visibile a
latere.
Si cerca di modificare i punti di bucatura nel tempo perché la vena va incontro a
dei processi infiammatori e fibrotici, con il rischio di sviluppare dilatazioni
aneurismatiche o stenosi della fistola che porteranno ad un aumento della
pressione al suo interno o ad un malfunzionamento della medesima con riduzione
dei flussi e quindi a una necessità di reintervento.
103
URR (urea reduction rate), cioè il rapporto tra l’urea pre e post dialisi. Questo metodo risulta più
immediato e richiede di valutare quanta urea viene rimossa durante la seduta dialitica; il valore che ci
aspettiamo è > 70%.
Questo discorso ha lo scopo di fornire un’infarinatura generale, in maniera tale che, a prescindere dalla
nostra specializzazione, qualora si presentasse alla nostra attenzione un paziente con un valore di urea
molto elevato, superiore ai 200,300,350, ci dobbiamo accorgere che il paziente probabilmente non è
dializzato in modo adeguato ed è necessario contattare il collega nefrologo.
PESO SECCO
Un altro aspetto importante è identificare il peso secco, quindi il peso di stacco a fine dialisi; è il valore in cui
il paziente dovrebbe essere “eu- volemico”.
Per valutare il peso secco, bisogna basarsi
Dati clinici (la presenza di segni di turgore giugulare, la ricerca di edemi, l'esame obiettivo che deve
valutare anche i campi polmonari, quindi la presenza di versamento pleurico, comunque la semiotica da
versamento pleurico e da stasi polmonare che, qualora presenti, indicano una ritenzione idrosalina)
dati anamnestici, quindi il fatto che il paziente riferisca ortopnea, dispnea da sforzo, dispnea
parossistica notturna, sono chiaramente indici che il paziente è in sovraccarico
esami strumentali: ecocardiografia, turgore venoso, talvolta bioimpedenza.
Nonostante tutti questi tentativi, spesso l'identificazione è empirica; ad esempio, poiché stiamo trattando un
paziente con una pressione arteriosa elevata, tentiamo una continua riduzione del peso fino a un peso
secco in corrispondenza del quale questi manifesta sintomi di disidratazione, indicativi del fatto che
l'abbiamo disidratato abbastanza. Questi sintomi sono i crampi e l’ipotensione, la complicanza più frequente
della seduta dialitica.
Il peso secco deve essere valutato periodicamente, non basta mantenere il malato a un valore di peso
costante perché i malati non urinano e, qualora, ad esempio, vadano incontro a variazioni di massa magra,
massa grassa o periodi di malnutrizione, la perdita di massa magra si associa, in presenza di un peso secco
costante, ad un accumulo d'acqua. Il rischio, a questo punto, è il sovraccarico idrosalino, quindi
ipertensione, dispnea, edema polmonare.
TERAPIA FARMACOLOGICA
La dialisi, chiaramente, non annulla la necessità di utilizzare terapie specifiche, un approccio dietetico
caratteristico, soprattutto
il controllo dell'idratazione: l’incremento ponderale interdialitico, quindi tra le due dialisi, deve essere il
più basso possibile, mediamente 1,5-2 kg. Bisogna considerare che la dialisi viene effettuata tre volte a
settimana, quindi ci sarà un salto lungo, di due giorni: il classico ritmo è lunedì-mercoledì-venerdì o
martedì-giovedì-sabato; quindi dal venerdì al lunedì o dal sabato al martedì passano 48h; bisognerà
educare il malato a non bere eccessivamente, questo perché eccessivi incrementi ponderali potrebbero
causargli una sintomatologia da sovraccarico idrico e quindi lo sviluppo anche di edema polmonare che
richiede la dialisi d'urgenza, ma soprattutto perché, a livello cardiaco, aumenta lo stress da aumento dei
volumi circolanti.
controllo del potassio: bisogna educare il paziente a non esagerare col potassio nella dieta, ed
eventualmente utilizzare farmaci chelanti del potassio, cioè che legano il potassio nell'intestino e ne
riducono l'assorbimento. Possiamo modulare il contenuto di potassio del liquido di dialisi. Soprattutto se
il malato riferisce delle fasi in cui non sta bene, magari si alimenta poco perché ha una virosi, bisognerà
sempre monitorare la potassiemia perché, qualora dializzassimo il paziente con un potassio nel liquido
di dialisi troppo basso e il paziente fosse già ipokaliemico, rischieremmo di causare una ipokaliemia
severa e quindi scatenare aritmie.
controllo dell’acidosi, regolando i bicarbonati nel liquido di dialisi. Non è infrequente somministrare lo
stesso al paziente bicarbonato per os, perché la dialisi ha una natura per definizione intermittente,
quindi i giorni di “non dialisi” possiamo integrare con una terapia per os per ridurre il rischio di acidosi.
controllo dell'ipertensione; spesso comunque dobbiamo ricorrere a dieta iposodica e alla
somministrazione di farmaci antipertensivi
il metabolismo calcio-fosforo, che presenta un impatto importante su vari aspetti, tra cui la salute ossea
e le calcificazioni vascolari. Esso tende ad essere alterato nel malato dializzato e quindi dobbiamo
cercare di utilizzare la dialisi più efficiente possibile per rimuovere il fosforo nel modo più efficace
possibile, senza dimenticare di comunque educare il malato a una dieta ipo-fosforemica, riducendo
latte, latticini, formaggi, bevande gasate e cibi con certi tipi di conservati. Come in corso di malattia
renale cronica, si utilizzano farmaci chelanti del fosforo che ridurranno l'assorbimento del fosforo e poi
farmaci ad azione sul paratormone, per cercare di mantenere il paratormone il più basso possibile.
controllo dell'anemia, l'efficienza dialitica influenza l'anemia
104
monitoraggio di una eventuale replezione delle riserve marziali
replezione delle riserve vitaminiche
eritropoietina (EPO) e altre molecole farmacologiche analoghe
controllo dello stato nutrizionale, attraverso il dosaggio di peso, albumina, prealbumina, colesterolo, etc.
105
sostituzione dell'accesso vascolare che, qualora sia un catetere venoso tunnellizzato, necessiterà di una
procedura piuttosto disagevole.
Molto pericolose e molto complicate sono le infezioni delle protesi: quando i pazienti hanno come accesso
vascolare una fistola protesica e questa si infetta, possono sviluppare delle infezioni e sepsi molto importanti
che arrivano a richiedere la demolizione della protesi stessa, intervento chirurgico complicato, oltre al fatto
che se il paziente sta dializzando da una protesi vuol dire che i suoi accessi vascolari di prima linea sono
esauriti.
COMPLICANZE TECNICHE
Esistono anche delle complicanze tecniche, che possono sembrare banali, ma che purtroppo accadono:
la mancanza di energia elettrica, condizione che dovrebbe essere impossibile, essendo la maggior
parte dei centri di dialisi dotati di gruppi di continuità autonomi, ma che purtroppo può accadere per vari
motivi non di nostro interesse al momento. Tale condizione richiede innanzitutto la restituzione del
sangue al paziente attraverso una pompa sangue manuale, cioè l'infermiere gira la rotellina restituendo
il sangue al circolo ematico, e soprattutto bisogna trovare un posto in cui dializzare il malato, essendo
questa terapia salvavita.
Altra complicanza tecnica rara, è l’embolia gassosa, una immissione in circolo di grandi quantità di aria;
esiste nella linea venosa, cioè nella linea in cui sangue rientra dal filtro al paziente, un sensore di aria
che lancia l’allarme e stoppa il circuito qualora percepisse l’entrata di questa in vena. Qualora il sensore
si rompesse, ed entrasse aria nel circolo del paziente in grande quantità, questo potrebbe portare a
dispnea, perdite di coscienza, convulsioni, sintomi ischemici all'estremità; si può riempire il ventricolo
destro causando un’ insufficienza cardiaca acuta. Se si sospetta tale condizione, la dialisi deve essere
sospesa e il paziente essere messo a testa in giù (Trendelenburg), per cercare di bloccare l'aria
all'apice del ventricolo destro.
Un'altra complicanza rara è l'emolisi; i pazienti presentano dolore alla schiena, senso di peso toracico,
dispnea, comparsa di sangue color scuro, vino-porto o Coca Cola nella linea venosa.
Se massiva, l’emolisi può causare iperpotassiemia.
Le cause di emolisi sono alterazioni nelle soluzioni di dialisi, sostanze non adeguatamente purificate,
ipertermia, problemi meccanici del circuito, iperosmolarità della soluzione dializzante. In caso di
sospetto clinico (non esistono sensori per questo) sarà necessario effettuare un'interruzione immediata
della seduta.
La complicanza tecnica più frequente è la coagulazione del circuito. Nella linea arteriosa, cioè nella
linea che porta sangue dal paziente al filtro dialisi, è presente una pompa di eparina, che ha come
obiettivo mantenere il sangue scoagulato; una insufficiente anticoagulazione del circuito, una eccessiva
concentrazione ematica, propria di malati con valori di ematocrito molto alti (cioè con una iper-
correzione dell'anemia) può portare appunto a coagulazione del circuito. Risulta necessario un
monitoraggio della Hb, soprattutto nei pazienti anemici.
Una microcoagulazione, che avviene quindi esclusivamente all'interno del filtro, può non essere
clinicamente rilevante nell'immediato, ma causa una inefficiente seduta dialitica. Qualora la
coagulazione sia macroscopica, cioè “tutto il circuito diventa un coagulo (cit. prof)”, bisogna sostituire il
circuito e il malato può andare incontro ad anemizzazione. Quindi è importante trovare la dose di
anticoagulante giusta, operazione non sempre facile perché questi malati sono molto fragili, poli-
comorbili, talvolta con complicanze emorragiche.
DIALISI PERITONEALE
A differenza della emodialisi, la dialisi peritoneale utilizza come filtro naturale
per la depurazione del sangue una membrana biologica, il peritoneo.
Il peritoneo è una membrana sierosa di origine mesenchimale; si compone di
un foglietto parietale che ricopre le pareti dell'addome e uno viscerale che
ricopre gli organi.
È costituito da un tessuto connettivale, all'interno del quale decorrono i vasi, e
da un mesotelio, cioè l'epitelio che riveste questo tessuto connettivale; delimita
uno spazio virtuale, la cavità peritoneale, che occupa una superficie di 0,7 m²
e, fisiologicamente, non contiene niente, solo una minima quantità di liquido.
Questo è il filtro per effettuare la dialisi peritoneale, al posto di una membrana
sintetica extracorporea.
È possibile accedere al peritoneo attraverso un catetere, che, per funzionare
in modo adeguato, deve terminare nello scavo pelvico, la posizione più declive
dell'addome, sia se il malato è seduto, sia se il malato esteso; esistono infatti
due tecniche dialitiche, una in cui gli scambi vengono effettuati a malato
seduto e uno a soggetto steso.
Viene iniettato in addome un liquido di dialisi che contiene gli elettroliti da somministrare al paziente, come il
bicarbonato, mentre sarà privo di quelli che si intende rimuovere, ad esempio il potassio. Sfruttando la
diffusione, i soluti transitano secondo i gradienti di concentrazione.
Laddove la dialisi peritoneale è meno efficace, quindi
l'ultra-filtrazione, cioè la rimozione di liquidi, (la dialisi
peritoneale, infatti, funziona molto bene finché i malati
hanno una diuresi residua, quando questa si riduce o
si azzera la dialisi peritoneale inizia ad andare in
difficoltà), dobbiamo utilizzare dei liquidi
osmoticamente attivi. L’osmole utilizzata è il glucosio;
esistono sacche a tre concentrazioni di glucosio
possibili, bassa, medio e alta: più è alta la
concentrazione di glucosio, più liquido riusciamo a
ultrafiltrare.
Esiste un altro polimero non degradabile, chiamato
107
icodestrina, capace di mantenere un gradiente costante, che può essere sostituito al glucosio.
Infatti, il glucosio viene assorbito e metabolizzato durante la dialisi, ma se il malato è diabetico, condizione
non rara in pazienti dializzati, e si utilizzano delle sacche di glucosio ad alta concentrazione, si rischiano
scompensi glicemici
Secondo problema: facendo ultrafiltrare a lungo la membrana utilizzando queste sacche ad alto contenuto
di glucosio, si espone la membrana a uno stress infiammatorio che può causare una fibrosi della
membrana peritoneale e, nel lungo termine, una perdita di funzione.
Alcune considerazioni introduttive su emodialisi e dialisi peritoneale:
i meccanismi fisici sono gli stessi, ma in questa seconda metodica verrà maggiormente sfruttata la
diffusione. Laddove si utilizza una ultrafiltrazione più spinta, si avrà anche della convezione, ma il
meccanismo principale rimane la diffusione.
Si cerca di limitare il più possibile l'ultrafiltrazione, adoperandola solo quando indispensabile per i motivi
prima citati.
Il sistema dializzante non è più esterno al paziente, ma è il microcircolo peritoneale; quindi, non possiamo
agire sul flusso sangue aumentandolo o diminuendolo. Quello su cui possiamo agire sono i volumi della
sostanza dializzante appunto perché la membrana non è inerte ma cambia nel tempo. Tale metodica è a
termine, ovvero i malati rimangono in dialisi peritoneale in media due anni – due anni e mezzo e
successivamente, nella maggior parte dei casi, si ha il passaggio all’emodialisi.
La membrana non è inerte, ma le sue caratteristiche cambiano nel tempo, per questo deve essere
monitorata attraverso dei test che valutano quanto è permeabile la membrana, la PET.
110
peritoneale; solitamente la cosa si risolve, talvolta no e, in questo caso, la dialisi peritoneale deve essere
abbandonata.
IL TRAPIANTO DI RENE
E’ il miglior trattamento possibile per l'insufficienza renale
perchè si associa a una riduzione della mortalità, a una
riduzione della morbilità e a un aumento della qualità di vita: si
arriva addirittura a un aumento di 17 anni o 11 anni
dell’aspettativa di vita, rispettivamente nel diabetico e non
diabetico nelle fasce d'età 20-39, rispetto al non trapiantato.
Oltre al miglioramento dell'aspettativa di vita, si ha una
riduzione dei costi: un paziente trapiantato costa al servizio
sanitario nazionale in media 25.000 € l'anno, rispetto ai
50/60.000 euro di un paziente dializzato ai 30/35.000 euro di un
paziente in dialisi peritoneale. Quindi c’è risparmio per il servizio
sanitario nazionale, un miglioramento della qualità della vita e
un aumento dell'aspettativa di vita.
Il trapianto di rene è un allotrapianto, perché avviene fra individui
della stessa specie, ma con patrimoni genetici diversi, ed è un
trapianto eterotopico, perché il nuovo rene viene posizionato in
una sede diversa rispetto a quella dei reni nativi.
Non è salvavita, il malato può rimanere in vita grazie alla dialisi, a
differenza di altri trapianti che non hanno una terapia sostitutiva
adeguata.
Si può effettuare sia da organi provenienti da un donatore
deceduto che da un donatore vivente. Nel trapianto da donatore
cadavere abbiamo una serie di opzioni: trapianto a rischio standard e a rischio non standard; in questa
seconda classe rientrano quei donatori per i quali non possono essere esclusi alcuni rischi infettivi, donatori
marginali (over 70 o over 60 con fattori di rischio), donatore a cuore non battente. Ognuno di questi porta a
dei rischi di complicanze diversi, però consente di ridurre in modo significativo i tempi d’attesa.
Il trapianto da donatore vivente può essere consanguineo (fratello/sorella, figli, genitori), non consanguineo
oppure in crossover, cioè si utilizza una catena di donazione, avviata da un donatore vivente che magari non
ha una buona compatibilità per il suo ricevente, ma attraverso una catena di donazione si riesce a creare un
meccanismo per cui ogni ricevente ottiene un rene ben compatibile e il donatore non dona direttamente al
suo ricevente, ma a un altro ricevente di questa catena.
Il rene trapiantato viene posizionato in fossa iliaca, è connesso all’arteria e vena iliaca e alla vescica,
utilizzando più spesso l'uretere del donatore, talvolta l'uretere del ricevente.
Il trapianto renale, per essere effettuato, e per avere una sopravvivenza accettabile, richiede una terapia
immunosoppressiva; quindi controindicazioni assolute saranno tutte quelle condizioni in cui il paziente non
può ricevere una terapia immunosoppressiva, come neoplasia in atto, pazienti con infezioni croniche non
bonificabili, paziente con comorbilità tali da mettere a rischio il paziente stesso, qualora venisse effettuato il
trapianto e, altro aspetto molto importante, incapacità di aderire alla terapia.
Sarà importante in fase di valutazione e di dimissioni in vista, valutare che il malato abbia la capacità e la
volontà di aderire alla terapia.
Non esiste un limite di età da un punto di vista fisiologico, tuttavia non si devono trascurare i rischi e la
debolezza intrinseca del soggetto, oltre alla questione del tempo: quanto a lungo verrà sfruttato un rene se
trapiantato a un, ad esempio, 80enne, e quanto, invece, se a riceverlo fosse un 50enne?
L'obesità è anch’essa un fattore di rischio dell'intervento, oltre che di complicanze della terapia
immunosoppressiva.
Possono complicare l’accesso al trapianto l’iperimmunizzazione, cioè il malato ha una immunizzazione nei
confronti di antigeni dei donatori, e fallimento di precedenti trapianti.
Importante sottolineare che quando parliamo di trapianto renale dobbiamo trattare di aspetti immunologici:
andando a impiantare un organo esterno, andiamo chiaramente a stimolare una risposta immunitaria nei
confronti di questo e quindi esponiamo il malato a un rischio di rigetto. Per cercare di ridurre il rischio di
rigetto, sarà necessario trovare una maggior isto-compatibilità fra donatore e ricevente e la messa in atto di
terapie immunosoppressive che avranno come obiettivo identificare quell'equilibrio tra un
immunosoppressione in grado di prevenire il rigetto e il rischio infettivo.
111
Come prepariamo il malato destinato al trapianto di rene?
Il malato viene inserito in lista d'attesa, deve effettuare una serie di esami lunghissima per escludere tumori,
comorbilità, valutare, per esempio, la presenza di epatite o tubercolosi, tac, gastroscopia, colonscopia,
angiografie per valutare i vasi (i pazienti con malattia renale cronica hanno il rischio di calcificazioni vascolari
elevate, che potrebbero rendere difficoltoso il trapianto ovvero il collegare l'arteria renale del donatore
all'arteria iliaca del ricevente).
Importante è la tipizzazione degli HLA, del complesso
maggiore di istocompatibilità del donatore e del ricevente, in
a a
particolare dell’HLA-A/B/R (classe 1 e 2 ) e la definizione
dello stato degli anticorpi anti-HLA; questo perché gli antigeni
HLA dei donatori sono quelli verso cui si sviluppa più
frequentemente una risposta immunitaria, quindi dobbiamo
essere certi che il ricevente non presenti degli anticorpi verso queste molecole perché aumenterebbe
drammaticamente il rischio di rigetto nelle fasi immediatamente post trapianto.
Se idoneo, il paziente viene inserito in lista d'attesa; il tempo medio attuale di attesa in Italia è di 2-3 anni.
Affinché la compatibilità sia tollerabile, dobbiamo valutare tre aspetti: il gruppo sanguigno (il gruppo
sanguigno zero può ricevere solo dallo zero e il gruppo sanguigno AB da tutti), gli antigeni HLA del donatore
e la presenza di anticorpi preformati, cioè il fatto che il ricevente presenti degli anticorpi preformati nei
confronti di HLA del donatore (ad esempio il lupus è una malattia in cui i riceventi spesso hanno degli
anticorpi anti-HLA) e un altro fattore di rischio importante per lo sviluppo di anticorpi preformati sono le
trasfusioni e le gravidanze.
Riguardo al gruppo sanguigno, per attuare un trapianto, è necessaria la compatibilità AB0 tra donatore e
ricevente; si può però effettuare un trapianto di AB0 incompatibile in elezione, procedendo a una
desensibilizzazione del ricevente e questo viene
effettuato solamente nei programmi di trapianto
da vivente. La ragione è molto semplice: mentre
in una donazione da vivente, è possibile
preparare il ricevente, in quanto è noto chi dona e
quando sarà effettuato il trapianto, nel caso
invece di un donatore cadavere, l’arrivo del rene è
improvviso e l’organo non potrebbe resistere tanto
a lungo da consentire la desensibilizzazione del
paziente cui sarà impiantato.
Esistono degli epitopi nella struttura dell'HLA di classe 1 altamente variabili che possono essere riconosciuti
da anticorpi del nostro organismo, sono quelli verso cui si sviluppano anticorpi se esiste una non
compatibilità: quindi se io ricevo il sangue di un paziente ABO compatibile, ma con un HLA di classe 1
diverso dal mio, posso sviluppare questi anticorpi. Lo stesso vale per gli HLA di classe 2. Tale condizione
non rappresenta un problema, a meno che il soggetto non affronti un trapianto, poiché la conseguenza di
tale immunizzazione è il rigetto umorale, un rigetto anticorpo mediato acuto. Lo stesso vale per gli HLA di
classe 2, con attivazione anche dell’immunità T cellulare.
Esistono diverse tipologie di rigetto, che verranno
approfondite più avanti:
iperacuto: entro 24h dal trapianto, esso non
dovrebbe mai avvenire perché sarebbe espressione
di una AB0 incompatibilità o di anticorpi preformati
che non abbiamo identificato.
Acuto, entro 1 anno dal trapianto
Cronico
Se si ha un ricevente e un donatore con HLA simili, si
avrà meno probabilità che il sistema immunitario del
ricevente monti una risposta immunitaria T o B cellulare
112
nei confronti di HLA del donatore; se si ha invece il ricevente e il donatore con HLA molto diversi, si avrà una
probabilità maggiore che il ricevente monti una risposta immunitaria T o B cellulare.
In questo caso è necessario tipizzare l’HLA del donatore e del ricevente attraverso delle metodiche di
sierologia o molecolare.
Se il donatore e il ricevente hanno
un HLA identico, come nel caso dei gemelli, l'emivita del trapianto è di 24 anni;
se la situazione prevede un trapianto da cadavere con 1- 2 mismatch di differenza si ha un’emivita di 10
anni,
se c’è massima differenza consentita, ovvero 5-6 mismatch di differenza, allora l’emivita è di 8 anni.
Chiaramente questo influenzerà anche quanto aggressivi si dovrà essere con la terapia immunosoppressiva:
un paziente con un mismatch di HLA molto elevato dovrà ricevere una terapia immunosoppressiva più
“tosta” rispetto a un malato con pochi mismatch di HLA, dove ci si potrà permettere una terapia
immunosoppressiva più leggera.
Se il ricevente ha degli anticorpi verso l’HLA preformati, il trapianto non è possibile per il rischio di un rigetto
iperacuto immediato; tale condizione si identifica attraverso due metodiche:
attraverso la citotossicità complemento-dipendente in cui si effettuano delle metodiche in vitro che
mostrano se il siero del ricevente lisa certi linfociti in presenza di complemento, quindi se è presente un
anticorpo che lisa, oppure
attraverso il metodo luminex, cioè l'identificazione di anticorpi attraverso delle metodiche di laboratorio.
La prima è molto specifica, mentre la seconda è molto sensibile ma meno specifica, cioè identifica anche
degli anticorpi che non sono necessariamente tossici, cioè non citotossici qualora incontrassero gli HLA del
donatore.
Esiste anche una quota di anticorpi che spesso sono anticorpi non HLA che non legano il complemento ma
che contribuiscono al danno renale, non entrano negli algoritmi di selezione ma ci sono e sono un problema.
Quindi, nell’ottica di un trapianto, si valuta il paziente clinicamente e, al momento del trapianto, si valuta la
compatibilità del paziente dei suoi HLA con gli HLA del donatore e l'assenza di un mismatch positivo, cioè
l'assenza di anticorpi, di una reazione immunitaria nei confronti del donatore.
Quindi, davanti a un trapianto, si ottiene un gradiente di compatibilità che spazia dal trapianto tra gemelli,
una condizione sovrapponibile praticamente al reimpianto dello stesso organo risanato, a una serie di
condizioni intermedie determinate da diversi mismatch per HLA, la presenza di Ab anti-HLA (teoricamente
assenti, ma se presenti a basso titolo, l’intervento può ancora essere contemplato, qualora ad alto titolo o se
citotossici il trapianto è impossibile).
Riassumendo: è la notte del trapianto, arriva il malato e si valuta che non abbia infezioni altrimenti
rischieremmo di uccidere il paziente, e quindi il trapianto non è attuabile.
A livello di laboratorio, con varie metodiche, si valuta la compatibilità.
Si può valutare se effettuare il trapianto singolo o il trapianto doppio cioè non trapiantare un solo rene ma
tutti e due: qualora il donatore abbia dei fattori di rischio, come un'età superiore ai sessant'anni, diabete,
ipertensione, proteinuria lieve, uno score istologico inadeguato attraverso biopsia del donatore. Se il
donatore ha uno score (che tiene conto di glomerulo sclerosi, della fibrosi interstiziale, dell’ipertrofia delle
arterie) tra 4 e 6 si fa in doppio, altrimenti si fa in singolo. Il ricevente deve avere almeno 5 anni e più o meno
10 anni rispetto al donatore.
Poi si fa l'intervento chirurgico; il paziente rientra dal trapianto, alcuni pazienti riprendono a urinare
immediatamente, in questi casi si deve comunque sostenere i pazienti con dei fluidi, per evitare che si
disidratino, il rischio potrebbe essere una IRA prerenale, secondaria alla disidratazione, secondaria
all'incapacità del rene trapiantato di concentrare le urine. A volte il rene trapiantato non funziona e richiede
qualche giorno prima di sbloccarsi, quindi il paziente dovrà essere dializzato se va incontro a sovraccarico
idrico o ad accumulo di potassio.
E’ inoltre necessario mettere in atto una terapia immunosoppressiva, una terapia di induzione a base di
cortisone, farmaci anti T e anti B cellulari e poi impostare una terapia di mantenimento.
Domanda: Nel momento in cui il paziente viene trapiantato, la fistola come si comporta?
La fistola in alcuni casi viene lasciata; spesso la fistola, soprattutto se prossimale ad alta portata, che può
portare a problemi di sovraccarico cardiaco, viene chiusa: si fa una legatura alla vena, la fistola smette di
funzionare e la vena si perde. Il sistema venoso è ridondante, quindi non si hanno problemi venosi in seguito
alla chiusura della fistola.
Le complicanze vascolari sono più spesso arteriose, cioè se la fistola ha poco flusso, arriva poco sangue a
valle dell’arteria da cui parte la fistola e si può avere ischemia alla mano.
113
Sbobinatore: 41 - 49
Revisore: 152 - 159
Materia: Nefrologia
Docente: Federico Alberici
Data: 18/04/2023
Lezione n° 6
Argomento: complicanze del trapianto renale,
rigetto iperacuto, acuto e cronico, disturbi
dell’equilibrio acido-base e idroelettrolitico
Comunicazioni: il docente comunica che dovranno essere affrontati in autonomia gli argomenti riguardanti
l’omeostasi idrosalina, iponatriemia ed ipernatriemia.
Riassunto/integrazione: nella lezione odierna verrà affrontata la parte conclusiva della terapia sostituiva
renale, per questo motivo la lezione inizia riprendendo le complicanze del trapianto di rene; in seguito verranno
affrontati dei cenni sulla fisiopatologia dell’equilibrio acido base e dei disordini elettrolitici.
Vengono inoltre riprese brevemente le caratteristiche del trapianto renale, il quale è definibile come un
allotrapianto eterotopico, e dell’approccio che viene seguito in preparazione dell’operazione.
1
Il loro monitoraggio è importante sin dai momenti immediatamente successivi all’intervento
2
In questo caso viene definita “ritardata ripresa funzionale”
3
Integrato dalle sbobine dello scorso anno
4
La bassa probabilità di un errore nell’esecuzione rende perciò questa evenienza rara
5
Approfondito in seguito
6
Approfondito in seguito
114
o Antiproliferativi, come micofenolato o azatioprina, finalizzati alla prevenzione della produzione
di anticorpi verso il rene trapiantato
o Inibitori della calcineurina, come ciclosporina e tacrolimus, per la prevenzione del rigetto
cellulare; questi ultimi, nonostante siano efficaci, presentano un potenziale nefrotossico, che si
manifesta sottoforma di danno vascolare e tubulo-interstiziale
• Recidiva della malattia di base; esistono malattie di base, come la glomerulosclerosi focale segmentale
(GSFS) o la nefropatia da depositi di IgA (malattia di Berger), che possono recidivare sul rene trapiantato.
Se si verifica questa complicanza solitamente il rischio di perdita dell’organo è elevato7.
• Glomerulonefriti ex-novo; patologie glomerulari di nuova insorgenza che non sono state la causa
dell’insufficienza renale che ha portato alla necessità del trapianto, ma che insorgono nell’organo
trapiantato.
• Pielonefriti; processi infettivi a carico del rene, hanno una frequenza abbastanza elevata.
Il rischio di pielonefrite è maggiore nei casi di IVU complicate, le quali risultano anche favorite
o Dalla minore lunghezza dell’uretere trapiantato8 rispetto a quello nativo
o Da una parziale incontinenza dell’uretere, che favorisce un reflusso vescico-ureterale
o Dalla terapia immunosoppressiva
• Stenosi dell’arteria renale; complicanza chirurgica
• Nefriti interstiziali provocate da virus, generalmente BKV e CMV; infezioni generalmente ubiquitarie,
possono riattivarsi dallo stato di latenza nei soggetti immunocompromessi e dare origine a questa
complicanza.
Il rigetto è una condizione di iperattivazione del sistema immunitario nei confronti del rene trapiantato;
clinicamente si osserva un peggioramento della funzionalità renale e/o un aumento della ritenzione idrosalina
con conseguente formazione di edemi e aumento ponderale del paziente, mentre dal punto di vista istologico
si ha un quadro di infiammazione secondario ad un insufficiente controllo della risposta immunitaria.
Rigetto cellulare
L’attivazione dei linfociti T in corso di rigetto cellulare può avvenire secondo 2 differenti vie:
• Via diretta; i linfociti T CD4+ e CD8+ del
ricevente sono attivati 9 dalla presentazione di
molecole non-self del donatore da parte di APC
del donatore
• Via indiretta; i linfociti CD4+ del ricevente sono
attivati dalla presentazione di molecole non-self
del donatore da parte di APC del ricevente
In entrambi i casi spesso le molecole che vengono
presentate sono HLA o frammenti di HLA del
donatore, riconosciute come non self dall’organismo
del ricevente
Il meccanismo di presentazione, che si verifica a livello dei linfonodi da parte delle APC, porta all’attivazione
dei linfociti T a livello linfonodale e al rilascio di citochine, come IL-2, che aumentano la risposta del
7
Informazione integrata dalle sbobine dell’AA 2021/2022
8
In questo modo si ha un minore ostacolo fisico alla progressione dell’infezione
9
L’attivazione dei linfociti T necessita sia della presentazione dell’antigene sulle molecole di MHC di classe I e II sia dell’azione di molecole
costimolatorie
115
compartimento cellulare stimolando la produzione di linfociti T effettori i quali, una volta raggiunto l’organo
trapiantato, possono determinare rigetto attraverso l’attuazione dei meccanismi dell’immunità.
Rigetto umorale
A livello linfonodale si può avere
anche l’attivazione dei linfociti B, i
quali, stimolati dai linfociti T-helper, si
possono differenziare in linfociti B
della memoria, plasmablasti e
plasmacellule 10 , che produrranno
anticorpi nei confronti degli antigeni
presentati dalle APC; in questo modo
si verifica un rigetto di tipo umorale.
Nel corso del differenziamento si ha
l’azione di una serie di molecole
costimolatorie, presenti a livello
delle sinapsi immunologiche che si formano tra APC e linfocita T e tra quest’ultimo ed i linfociti B, di citochine
e fattori di crescita, come il B-Cell Activating Factor (BAFF) o APRIL; tutti questi possono essere potenziali
bersagli terapeutici nella prevenzione e gestione del rigetto.
Rigetto iperacuto
Il rigetto iperacuto, che si verifica nelle prime ore successive al trapianto, è l’espressione di una
incompatibilità AB0 o di anticorpi preesistenti rivolti contro il rene del donatore; questi, già presenti in
circolo, riconoscono gli antigeni a livello delle cellule endoteliali e determinano l’attivazione del complemento,
una reazione infiammatoria e successiva attivazione della coagulazione, la quale può portare ad una trombosi
intravascolare che causa la perdita del rene in seguito all’ischemia provocata dall’occlusione vascolare12.
Data la rapidità dei fenomeni il rigetto iperacuto è un evento estremamente dannoso, che viene splitamente
evitato grazie ai test di compatibilità tra donatore e ricevente; per questo motivo, qualora si dovesse verificare,
induce al sospetto che si sia verificato un errore nell’esecuzione delle procedure13 che precedono l’intervento.
Rigetto acuto
Il rigetto acuto, insieme al rigetto cronico, è una complicanza che si verifica con una frequenza maggiore
rispetto a quello iperacuto; si verifica entro un lasso di tempo breve dal trapianto, generalmente 3/6 mesi, con
un limite massimo di 1 anno.
I sintomi che si osservano e che inducono il sospetto di un rigetto acuto in corso sono:
• Ritenzione idrosalina; presente sin dalle fasi precoci, che non risponde a terapie con diuretici
• Aumento ponderale del paziente; presente sin dalle fasi precoci
• Ipertensione
• Edemi
• Peggioramento della funzione renale con aumento della creatinina (superiore al 25%) e della proteinuria
(>1 g/die14); si verifica in un momento successivo
10
Possono essere a sopravvivenza prolungata (long-lived) o corta (short-lived)
11
Il docente informa che la tempistica varia a seconda delle classificazioni (nelle sbobine dell’AA 2021/2022 viene indicato un lasso
temporale pari a 3/6 mesi)
12
Per questo motivo generalmente il rigetto iperacuto è provocato da cause prevalentemente vascolari
13
Informazione integrata dalle sbobine dell’AA 2021/2022
14
Informazione integrata dalle sbobine dell’AA 2021/2022
116
come linfociti T e macrofagi, i quali portano a distruzione delle membrane basali delle cellule tubulari,
tubulite15, arterite16 e conseguenti stravasi emorragici.
• Rigetto umorale; molto raro grazie all’esecuzione dei test cross-match, in alcuni casi si verifica in pazienti
che devono ridurre temporaneamente la terapia immunosoppressiva a causa di eventi infettivi.
Il quadro istologico mostra la presenza di frammenti C4d a livello dei capillari peritubulari; essi sono
indicativi dell’attivazione della via classica del complemento mediata dalla presenza di anticorpi che
partecipano alla determinazione del danno, localizzato soprattutto a livello endoteliale17.
La conferma diagnostica di un rigetto acuto viene ricercata tramite l’esecuzione di una biopsia renale, la quale
risulta più agevole rispetto a quella effettuata su un rene nativo in quanto il rene trapiantato è collocato in una
sede 18 più facilmente raggiungibile; perciò, grazie alla relativa facilità della procedura ed al basso rischio
associato, non è raro che un paziente venga sopposto a varie biopsie nel corso della propria vita19.
Il riscontro della biopsia può dare indicazioni sull’origine cellulare o anticorpo-mediata del rigetto:
• Nel primo caso è causato dall’azione dei linfociti T, a cui
contribuiscono anche altre componenti del sistema immunitario,
come cellule NK e macrofagi, attraverso il meccanismo della
ridondanza.
Dal punto di vista istologico20 si osserva l’interstizio, che in un rene
sano deve essere vuoto: in questo caso presenta infiltrato
infiammatorio interstiziale di cellule mononucleate, con
distruzione della membrana basale delle cellule tubulari, tubulite ed
arterite; tale quadro è compatibile con un rigetto acuto se la biopsia
proviene da un rene trapiantato o con una nefrite tubulo-interstiziale
in caso di rene nativo.
• Nel secondo caso si ha l’azione degli anticorpi rivolti contro antigeni
del rene trapiantato, i quali possono essere HLA21 o altri antigeni.
Per la diagnosi di rigetto anticorpo mediato si deve identificare:
o Danno tissutale
o Staining22 per C4d positivo, il quale è indicativo di attivazione
della via classica del complemento e danno da immunocomplessi
o Presenza di anticorpi donatori-specifici DSA circolanti
Dal punto di vista istologico si osserva un rigonfiamento delle cellule endoteliali capillari, necrosi fibrinoide
arteriolare23 e la presenza di trombi di fibrina nei capillari glomerulari.
In caso di positività della biopsia renale si procede effettuando diagnosi di rigetto acuto e trattando il paziente
con cortisone e rafforzamento della terapia immunosoppressiva24.
Rigetto cronico
Il rigetto cronico è una condizione in cui si ha un deterioramento parafisiologico della funzionalità renale
che avviene in modo graduale e progressivo25, fino ad avere una disfunzione cronica del rene trapiantato; si
verifica ad una distanza temporale maggiore di 1 anno dal trapianto.
È caratterizzato da una fibrosi progressiva, con perdita della struttura e funzione dell’organo trapiantato; in
questo caso la patogenesi è multifattoriale:
• Componente immunitaria rappresentata sia dal rigetto umorale che cellulare; queste risultano meno
violente e acute di quelle che si verificano in caso di rigetto acuto
• Fisiologico declino della funzione renale; a questo concorrono tutta una serie di insulti che un organo
trapiantato può subire, che hanno causa immunologica, infettiva, iatrogena (es. tossicità dei farmaci) o
vascolare (es. ischemia cronica).
15
Conseguenza della distruzione delle cellule tubulari
16
Conseguenza della distruzione delle cellule endoteliali
17
Informazione integrata dalle sbobine dell’AA 2021/2022
18
Fossa iliaca destra nella maggior parte dei casi, sinistra più raramente
19
Agli Spedali Civili di Brescia il paziente trapiantato viene sottoposto al 3° e 12° mese, o al 6° e 12° a seconda dei casi, a delle biopsie
anche in assenza di peggioramento della creatinina o della proteinuria; questo viene fatto per identificare eventuali rigetti subclinici
(informazione integrata dalle sbobine dell’AA 2021/2022)
20
Vengono riportati dei vetrini esemplificativi
21
I sistemi di riconoscimento utilizzati in laboratorio consentono di rilevare solamente la presenza di Ab anti-HLA
22
Colorazione
23
“Il materiale fibrinoide responsabile dei processi necrotici è costituito da gammaglobuline e sostanze proteiche di origine nucleare, da
fibrinogeno e complemento. Secondo alcuni autori si tratterebbe di depositi di immunocomplessi con fibrinogeno” (informazione tratta da
Wikipedia)
24
Informazione integrata dalle sbobine dell’AA 2021/2022
25
Al contrario di quanto avviene nel caso di rigetto acuto, il quale vede un peggioramento della funzionalità renale che il docente definisce
rapido, paragonandolo ad un “gradino”
117
La cooperazione delle cause precedentemente citate porta ad uno ispessimento cronico e vasculopatia
cronica a livello dei vasi presenti nel rene trapiantato, con conseguente danno tubulo interstiziale e
glomerulare, che porta ad un progressivo malfunzionamento delle varie componenti strutturali renali.
I segni presenti in un rigetto cronico sono un lento peggioramento della funzionalità renale, associato a
ipertensione e proteinuria.
Di seguito vengono riportati un’immagine, dove sono riassunti i possibili processi che si verificano nella storia
del rene trapiantato, e un breve commento effettuato dal docente.
26
Le prime tre cause vengono definite “maggiori”, quelle successive “minori”, nonostante il docente sottolinei come mantengano
comunque una certa importanza nella gestione di un paziente trapiantato
27
In caso di sovradosaggio si avranno conseguenze infettive, in caso di sottodosaggio si avrà rigetto
28
Alcuni patogeni sono stati integrati dalle sbobine dell’AA 2021/2022
118
Il rene che viene trapiantato presenta delle caratteristiche proprie legate alla storia clinica del donatore da cui
proviene ed alle patologie, sia acute che croniche, di cui soffriva: infatti può presentare già delle condizioni di
aterosclerosi, ialinosi arteriolare, danno tubulare o fibrosi interstiziale; su questo carico preesistente, che
spesso il rene proveniente dal donatore medio possiede in partenza o matura nelle fasi precedenti alla
donazione (come conseguenze dell’evento acuto che ha portato al decesso, della procedura di espianto del
rene o al suo trasporto), si aggiungono altri danni, che possono essere causati da un’ischemia durante
l’espianto, dallo sviluppo di un paio di rigetti acuti nel primo anno, magari di un rigetto subclinico, e dall’utilizzo
di farmaci per prevenire e trattare il rigetto, come gli inibitori della calcineurina, i cui effetti nefrotossici sono
ben noti.
Si può inoltre verificare lo sviluppo nel tempo di una risposta anticorpale cronica nei confronti del rene
trapiantato, a cui si possono sommare una serie di comorbilità che il soggetto ricevente può sviluppare, le
quali sono legate all’età, all’insufficienza renale che persiste comunque in un certo grado dopo il trapianto e
che può peggiorare, o alle terapie (ad esempio ipertensione, diabete e dislipidemia).
Come conseguenza si può presentare una glomerulopatia cronica da trapianto, nefropatia cronica da trapianto
o più in generale un rigetto cronico, che porterà ad un rialzo della creatinina e ad una insufficienza renale
terminale, che comporta la necessità di riprendere una terapia sostitutiva della funzionalità renale.
Il tempo che intercorre dal trapianto alla perdita del rene dipende da molteplici aspetti: dalla qualità del rene
donato, dallo stato di salute del ricevente, dalla presenza di rigetti acuti o cronici, dalle comorbilità del paziente,
dal rischio infettivo e dalla fortuna.
Il trattamento può prevedere, in condizioni adeguate di età e di salute generale del paziente, un secondo
trapianto.
Il beneficio in termini di qualità e di aspettativa di vita in seguito al trapianto risulta essere comunque maggiore
rispetto ad un soggetto di pari età che permane in trattamento dialitico.
29
L’argomento, in questo caso, sarà affrontato dal punto di vista del nefrologo, anche se verrà ripreso in altre specialistiche
119
L’acidosi può perciò provocare delle alterazioni che possono avere un impatto clinico rilevante: molte di esse
vanno a sovrapporsi, contribuire ed amplificare le disfunzioni che l’uremia causa nei pazienti con malattia
renale cronica; è fondamentale, perciò, che l’acidosi sia mantenuta sotto controllo ed attentamente monitorata.
Quindi sia l’acidosi metabolica acuta che l’acidosi metabolica cronica causano problemi significativi: i nefrologi,
avendo a che fare con malati che per definizione andranno a sviluppare acidosi metabolica, devono essere
sensibili alle problematiche da essa derivanti.
ALCALOSI
In modo analogo anche l’alcalosi ha delle conseguenze importanti:
• Cardiovascolari
o Costrizione arteriosa
o Riduzione del flusso sanguigno coronarico
o Riduzione del livello di insorgenza dell’angina
o Predisposizione ad aritmie ventricolari e sopraventricolari refrattarie
• Respiratorie
o Ipoventilazione con ipercapnia e ipossiemia
o Aumento della vasocostrizione ipossica polmonare
• Metaboliche
o Stimolazione della glicolisi anaerobia e produzione di acidi organici
o Ipokaliemia, al contrario dell’acidosi che si associa ad iperkaliemia
o Riduzione dei livelli di calcio ionizzato
o Ipomagnesemia e ipocalcemia
30
Il professore riporta il fatto che quel giorno avevano ricoverato un paziente con insufficienza renale acuta ed acidosi metabolica molto
importante al quale hanno rilevato una frequenza di 40 battiti al minuto dovuta sia alla condizione complessa del malato sia alla tossicità
data dall’acidosi metabolica.
31
Si sono osservate associazioni tra amiloidosi e probabilità di sviluppo della patologia del tunnel carpale
120
• Cerebrali
o Riduzioni del flusso cerebrale
o Tetania
o Convulsioni, letargia, delirio e stato soporoso
Il sistema acido-base, nella gestione delle variazioni determinate da una concentrazione non fisiologica di
acidi, deve agire sia contro acidi volatili che non volatili:
• Gli acidi volatili sono rappresentati sostanzialmente dall’acido carbonico, che ha origine dall’idratazione
della CO2 per mezzo dell’anidrasi carbonica.
• Gli acidi non volatili possono essere divisi a loro volta in organici e inorganici
o Quelli organici sono in parte a produzione endogena, come l’acido lattico e i chetoacidi, i quali sono
fisiologicamente presenti e prodotti, ma possono andare ad accumularsi in determinate condizioni
(come la chetoacidosi diabetica o l’acidosi lattica all’ipoperfusione), oppure legati all’utilizzo di droghe
o farmaci
o Quelli non organici possono essere fosfati o solfati
Quando si parla di equilibrio acido-base sono fondamentali alcuni valori che bisogna ricordare:
• pH fisiologico di 7.4 (oscilla tra 7.36 e 7.44)
• Concentrazione degli ioni H+ di 40nEq/l (range 36-44)
• paCO2 ha un valore di 40 mmHg (tra 36 e 44)
• Bicarbonati hanno un valore di 24 mEq/L (range 22-26)
Sapere quanto si discosta uno di questi valori rispetto a quelli di riferimento permette di capire, in modo
abbastanza chiaro, cosa sta succedendo all’interno del paziente; tutti i valori vanno determinati nel sangue
arterioso, perché, se venissero determinati nel sangue venoso, sarebbero soggetti a fortissima variabilità.
L’equazione determinante il valore di pH è l’equazione di Henderson-Hasselbach in cui si ritrovano le due
componenti:
121
• Al numeratore si presenta la concentrazione di bicarbonati
controllata dal rene, quindi componente metabolica.
• Al denominatore si presenta la pCO2 controllata dal
polmone, quindi componente respiratoria.
32Per cercare di ricostruire il ragionamento clinico che viene effettuato sulla valutazione dell’emogasanalisi, e
quindi sullo stato dell’equilibrio acido-base del paziente, bisogna considerare che il pH è funzione della
concentrazione dei bicarbonati e della concentrazione della CO 2:
• I bicarbonati sono controllati dalla componente metabolica, quindi dal rene;
• La CO2 è controllata dalla componente respiratoria, quindi dal polmone.
A livello del tubulo contorto distale avviene invece l’eliminazione di ioni H+ in associazione ad NH3 sotto forma
di ione ammonio NH4+, determinando la produzione di bicarbonati di nuova sintesi.
32
Paragrafo integrato dalle sbobine dell’AA 2021/2022
122
Per affrontare i disturbi acido-base si devono quindi riconoscere due cause:
• Respiratoria, la causa è il polmone
Ad esempio, un paziente che iperventila presenterà una pCO2 bassa, mentre un paziente che ipoventila
(es. paziente con enfisema) presenterà una pCO2 molto elevata; in entrambe queste situazioni si presenta
quindi un’alterazione dell’equilibrio acido-base dovuta ad un difetto polmonare primitivo
• Metabolica, la causa primitiva è extra-polmonare
I DISTURBI ACIDO-BASE
Si deve sottolineare, in primis, la differenza tra i termini acidemia/alcalemia ed acidosi/alcalosi:
• Acidemia: situazione in cui il pH ematico è inferiore a 7.36
• Acidosi: processo fisiopatologico che determina una prevalenza degli acidi rispetto alle basi e diminuzione
del pH.
Ad esempio, nel momento in cui un paziente è ipoperfuso, sviluppa acidosi lattica dovuta alla
sovrapproduzione di acido lattico.
• Alcalemia: situazione in cui il pH ematico è superiore a 7.44
• Alcalosi: processo fisiopatologico che determina una prevalenza delle basi rispetto agli acidi e quindi un
aumento del pH.
Il professore afferma che molto spesso si usano i termini acidemia e acidosi o alcalemia e alcalosi come
sinonimi, anche se in realtà hanno significato diverso: è possibile, ad esempio, avere un paziente che è in
acidosi ma non presenta acidemia, perché i sistemi tampone sono efficaci nel mantenere un pH ematico
fisiologico.
Acidosi metabolica
L’acidosi metabolica è una situazione che presenta una riduzione di bicarbonati.
Ad esempio, un paziente con malattia renale cronica, per deficit dei meccanismi renali, andrà a sviluppare
un’acidosi metabolica.
Alcalosi metabolica
L’alcalosi metabolica è una situazione che presenta un aumento di bicarbonati.
Si può verificare, ad esempio, in un paziente trattato con un eccesso di terapia diuretica: per un meccanismo
di emoconcentrazione eccessiva andrà incontro ad un aumento di concentrazione di bicarbonati e quindi ad
una alcalosi metabolica.
Acidosi respiratoria
L’acidosi respiratoria è una situazione che presenta un aumento dei livelli ematici della CO2.
Ad esempio, un paziente con enfisema o con BPCO, quindi pazienti che hanno delle parti del polmone che
non ventilano correttamente a causa della presenza di porzioni del parenchima che non funzionano, non
eliminano la CO2 in modo adeguato e vanno incontro ad una acidosi respiratoria.
Alcalosi respiratoria
L’alcalosi respiratoria è una situazione che presenta una diminuzione dei livelli ematici della CO2.
Ad esempio, un paziente che iperventila, situazione che spesso è su base psicogena.
Disordini misti
Con disordini misti si intende la co-presenza di più disordini.
Ad esempio, un malato con malattia renale cronica che presenza anche una BPCO potrebbe avere un’acidosi
metabolica e respiratoria mista; questo va sospettato e va ricercato.
33A questo punto è importante ricordare l’equazione di Henderson-Hasselbach, non tanto per i valori numerici,
quanto per ricordare che il pH è funzione diretta della concentrazione dei bicarbonati e della paCO2.
Infatti, una volta appreso questo concetto, si capirà come approcciarsi al paziente e come interpretare il
risultato dell’emogasanalisi.
MECCANISMI DI COMPENSO
Tutto quello che avviene nel malato in termini di disturbi acido-base causa una risposta secondaria o un
adattamento, che hanno come obiettivo quello di mitigare le variazioni di pH indotte dal disturbo primitivo: lo
scopo dell’organismo è infatti quello di mantenere l’omeostasi, perciò un pH ematico di 7.4.
33
Paragrafo integrato dalle sbobine dell’AA 2021/2022
123
Se il primo disturbo è metabolico, con una variazione della concentrazione di bicarbonati, l’adattamento sarà
respiratorio, quindi avverrà una modificazione della pCO2 grazie all’intervento polmonare; viceversa, se il primo
disturbo è respiratorio, legato alla paCO2, l’adattamento sarà a livello renale, quindi metabolico.
Il docente analizza ora una parte dell’algoritmo diagnostico che viene riportato di seguito nella sua interezza.
Viene eseguita un’emogasanalisi al paziente:
• Se il pH < 7,4 allora presenta acidemia (o acidosi),. Si deve ricercare l’origine.
• Si guardano i valori dei bicarbonati e della pCO2:
o Se i bicarbonati sono bassi allora il paziente avrà acidosi metabolica
o Se pCO2 è superiore ai 40 mmHg allora il paziente avrà acidosi respiratoria
• Se nell’acidosi metabolica il paziente, oltre ad avere i bicarbonati bassi, presenta anche una pCO2 bassa
allora ha in azione un compenso respiratorio: se il tasso di compenso è 1,2 allora è adeguato e il soggetto
ha un singolo disturbo, se il tasso di compenso è diverso allora c’è un altro problema che coesiste.
Altro esempio di ragionamento diagnostico:
• Se il pH > 7,4 allora presenta alcalemia (o alcalosi). Si deve ricercare l’origine.
• Si osservano i valori dei bicarbonati e della pCO2:
o Se i bicarbonati sono elevati l’origine sarà metabolica
o Se pCO2 è bassa l’origine sarà respiratoria
• Se nell’alcalosi metabolica, oltre ad avere i bicarbonati alti, il paziente presenta anche una pCO2 superiore
ai 40 mmHg allora presenta un compenso respiratorio; se nell’alcalosi respiratoria, oltre ad avere la pCO2
inferiore ai 40 mmHg, il paziente presenta anche una diminuzione di bicarbonati allora ha in atto un
compenso metabolico.
34
Il professore afferma che in realtà il valore che più viene usato nella pratica clinica è 1mmHg per mEq/L.
35
Se il paziente presenta valori diversi, vuol dire che c’è un problema, ad esempio se oltre ad avere 14 di bicarbonati ha anche 5 di pCO2
avrà una acidosi metabolica e alcalosi respiratoria; se invece presenta 14 di bicarbonati e 50 di pCO2, allora avrà sia acidosi metabolica
che respiratoria.
124
GAP ANIONICO
Il gap anionico è un ulteriore strumento utile per
quanto riguarda l’interpretazione dei disturbi
acido-base.
Gli anioni presenti in circolo si suddividono in:
• Anioni non misurabili, quantificati nel calcolo
del gap anionico.
• Anioni misurabili; sono sodio, cloro e
bicarbonato.
Nella variante più semplice, il gap anionico si
calcola facendo la differenza tra la
concentrazione di sodio e la somma tra la
concentrazione di cloro e di bicarbonato: il
valore normale è di 10 ± 2; in caso di ipoalbuminemia sarà necessario prevedere un aggiustamento per
l’albumina.
Il gap anionico può essere:
• Aumentato, indicativo di un accumulo di un anione non volatile. Nelle acidosi metaboliche con gap
anionico aumentato l’anione in eccesso può essere acido lattico (nei pazienti con insufficienza epatica,
ipoperfusi o shoccati), chetoacidi (nei casi di chetoacidosi diabetica) o acidi esterni come metanolo e
glicole etilenico (ingeriti in corso di intossicazioni).
• Non aumentato, indicativo di una perdita di bicarbonati, la quale deve essere compensata da un aumento
del cloro plasmatico, come avviene in caso di insufficienza renale o diarrea.
36 Per esempio, un malato con insufficienza renale o con diarrea che si presenta con 14 mEq/L di
bicarbonati e 115 mEq/L di Cl, ha un’acidosi metabolica ipercloremica, in cui il gap anionico è invariato
(perché le variazioni di bicarbonati e cloro sono uguali ma di segno opposto).
GAP OSMOLARE
Il gap osmolare è un ulteriore strumento utile per quanto riguarda l’interpretazione dei disturbi acido base;
non viene usato spesso, ma è utile nella valutazione del paziente.
Può infatti essere misurata l’osmolarità attraverso la formula:
Il valore normale è compreso fra 280 e 300 mmol/L: nel caso in cui l’osmolarità plasmatica calcolata con la
formula sia normale ma l’osmolarità plasmatica misurata con l’osmometro sia aumentata (>10), significa che
è presente un accumulo di un acido esogeno.
Questo, insieme al gap anionico, fornisce un altro dato che risulta essere utile soprattutto per le intossicazioni
da etanolo e metanolo.
36
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Sbobinatore: 218-21
Revisore: 21-218
Materia: Nefrologia
Docente: Federica Mescia
Data: 02/05/2023
Lezione n°7
Argomento: Nefropatie tubulo-interstiziali e
infezioni delle vie urinarie
NEFROPATIE TUBULO-INTERSTIZIALI
È utile pensare al rene, in termini di funzionamento
fisiologico, dividendolo in 4 compartimenti, ognuna
con le proprie funzioni coordinate per la corretta
funzione dell’apparato, a cui si associano però
specifiche malattie. I 4 compartimenti sono i
glomeruli, il tubulo interstizio, i vasi e le vie
escretrici.
Le malattie interstiziali possono essere divise in primarie e secondarie: nelle primarie la malattia colpisce
direttamente il complesso tubulo-interstiziale, mentre nelle secondarie il complesso del tubulo viene coinvolto
come conseguenza dell’evoluzione cronica di una malattia a carico di un altro compartimento renale.
La distinzione principale nelle patologie tubulo-interstiziali viene fatta in base alla eziologia:
• Genetiche;
• Infezione;
• Esposizioni tossiche (farmaci2, metalli pesanti);
• Immunomediate, che si dividono anch’esse in due meccanismi per cui possono presentarsi
o Causate da malattie autoimmunitarie;
o Dovute ad esposizione a farmaci che hanno avuto un’azione scatenante causando l’attacco del S.I.
contro il tubulo.
Bisogna anche distinguere una malattia acuta da una cronica e per far questo, solitamente si tiene conto della
modalità di insorgenza: in entrambe avremo una infiammazione e conseguente insufficienza renale, ma nella
malattia acuta queste si svilupperanno in modo più veloce rispetto alla malattia cronica, con la possibilità di
presenza di dolore solitamente localizzato a livello dei fianchi 3. Nelle malattie croniche l’evoluzione sarà più
lenta e spesso silente, rendendo la malattia difficile da diagnosticare.
Per la diagnosi sono fondamentali le analisi di laboratorio e il controllo della funzione renale per confermare
il sospetto diagnostico. Un esame fondamentale per le nefropatie solitamente è l’esame delle urine, ma nelle
malattie tubulo-interstiziali è relativamente povero: le alterazioni sono molto sommarie, per esempio in un caso
su 5 l’albumina risulta normale (andando ad ingannare togliendo sospetti verso una malattia renale), quindi la
malattia verrà riconosciuta solamente più tardi, quando ci sarà un decadimento della funzione renale con un
aumento della creatinina e oliguria, conseguenti all’insufficienza renale.
Ci sono alcuni parametri che però risultano essere utili:
• Piuria sterile→ presenza di leucociti nelle urine ma urinocoltura negativa. Indice di infiammazione con
assenza di infezione.
• Cilindri leucocitari→ Parametro più indicativo, vengono trovate
nelle urine formazioni cilindriche di leucociti complessati a
proteine, che si sono accumulati a livello del tubulo formando una
sorta di “calco”. Indicano la presenza di infiltrato infiammatorio
sono formazioni cilindriche nel tubulo che vanno a fare una sorta
di “calco del tubulo”. Indicano la presenza di infiltrato
infiammatorio.
• Ematuria→ può essere presente ma non è specifica
• Proteinuria→ se presente solitamente è molto modesta, 1-
2g/24h massimo e prevalentemente tubulare (α-1 microglobulina
e β-2 microglobulina)4, indice del danneggiamento del tubulo che
risulta non essere in grado di riassorbire queste proteine.
• Eosinofiluria→ presenza di eosinofili nell’urina, era considerato un segno indicativo nelle malattie del
tubulo-interstizio, soprattutto nelle patologie causate da farmaci su base allergica, ma è stato dimostrato
da studi successivi non essere né specifica né sensibile.
Anche la biopsia renale, che solitamente è un esame fondamentale, in queste patologie viene raramente
fatta, perché seppur confermi la patologia non permette di distinguerne le varie forme. Ciò che si cerca nella
biopsia sono segni di IFTA, ma questo ritrovamento all’istologico non permette di riconoscere le varie forme
di tubulopatia, non andando ad incidere davvero sulla diagnosi e la terapia.
SEGNI DI TUBULOPATIA
Esistono segni che, quando presenti, indicano patologie tubulo-interstiziali. Sono presenti soprattutto in
pazienti cronici e variano molto a seconda del segmento di tubulo che viene colpito, perchè i diversi segmenti
riassorbono sostanze diverse; quindi, verificando la composizione delle sostanze che vengono espulse (e
quindi non riassorbite), si potrà risalire al comparto del tubulo che è stato colpito.
2 Il litio per il trattamento del disturbo bipolare è uno dei fattori più frequenti
3 Dovuto all’espansione della capsula renale a causa dell’infiammazione. Non sempre è presente e non è indice
specifico di malattia tubulare.
4 Al contrario nelle patologie glomerulari si perde per la maggior parte albumina
128
Per quanto riguarda il tubulo prossimale, è osservabile la cosiddetta Sindrome di Fanconi, dove abbiamo
una perdita nelle urine di tutte quelle sostanze che normalmente verrebbero assorbite dal prossimale (che è
la porzione che solitamente ha ruolo maggiore nel riassorbimento). Troveremo quindi nelle urine:
• Glicosuria normoglicemica→ al contrario dei pazienti diabetici, non siamo di fronte a glicosuria dovuta
ad una concentrazione di glucosio maggiore rispetto alla soglia di riassorbimento tubulare, ma ad una
concentrazione di glucosio normale che sarebbe riassorbibile dal tubulo, passa comunque nelle vie
escretrici a causa della tubulopatia.
• Amminoaciduria
• Iperkalemia
• Uricosuria, con conseguente uricemia bassa
• Fosfaturia
• Acidosi tubulare di tipo 2 con bicarbonaturia (clinicamente importante)→trovare nelle urine
bicarbonato, che normalmente viene riassorbito a livello del prossimale, è indice importante di patologia a
livello del tubulo prossimale. È un’acidosi difficile da correggere.
Nella nefrite acuta allergica, la patologia non dipende dalla dose perché è il sistema immunitario stesso che
determina la comparsa della patologia. La patogenesi non è ben compresa, ma si pensa sia coinvolta
l’ipersensibilità di tipo 4, dove si ha una reazione cellulo-mediata che in qualche modo viene slatentizzata dalla
presenza del farmaco. I soggetti a rischio sono gli anziani e i pazienti con insufficienza renale cronica.
La lista di farmaci conclamati che possono causare una nefrite interstiziale è lunghissima, anche se in realtà
qualunque farmaco può essere sospettato ed essere nefrotossico; quindi, ad orientare è più il quadro clinico
e l’anamnesi farmacologica7 del paziente (anche integratori, farmaci da banco o qualunque sostanza assunta).
Il tempo di latenza tra l’assunzione del farmaco e l’insorgenza della nefrite può essere molto variabile: il tempo
minimo solitamente è tra i 7 e i 14 giorni nel caso di una prima esposizione al farmaco (il tempo necessario
per una risposta immunitaria naive), ma può essere anche solamente 3-5 giorni in caso il paziente sia già
entrato in contatto con il farmaco scatenante. Ci sono anche casi in cui la nefrite può insorgere dopo settimane
o mesi.
renale
129
I meccanismi patogenici non sono chiari, ma ci sono due ipotesi:
• Il farmaco si comporta da aptene, andando a legarsi con componenti della membrana basale tubulare,
causando modificazioni alle proteine self ed innescando la risposta del sistema immunitario contro il
neoantigene formatosi. In questo caso con la rimozione della terapia la situazione si ristabilizza;
• Il farmaco presenta mimetismo molecolare: la risposta immunitaria è rivolta verso il farmaco, ma questo
ha caratteristiche chimico-fisiche per cui c’è cross-reattività tra esso e antigeni endogeni a livello del
tubulo, causando quindi danno al compartimento tubulare interessato. Per quanto sia necessaria la
presenza del farmaco per sostenere la risposta immunitaria, in questo caso la sospensione della terapia
potrebbe non essere risolutiva.
L’aspetto all’istologico è quello di una nefrite interstiziale qualunque, senza elementi particolari che possano
indicare che sia una forma conseguente all’assunzione del farmaco. Ci sono i soliti segni di edema (le zone
bianche, evidenziate dai cerchi bianchi) e infiltrato monocitario nell’interstizio, indice di patologia. Le uniche
particolarità sono la presenza di eosinofili e la maggior infiammazione a livello della zona midollare del rene:
si pensa che il farmaco, a causa del meccanismo di concentrazione dell’urina, possa raggiungere la massima
concentrazione in quest’area del rene, dando quindi dei piccoli indicatori dell’origine della malattia. Possono
anche essere presenti dei granulomi (cerchio nero), che però come detto in precedenza non sono patognomici.
Antibiotici
I farmaci che più frequentemente causano nefrite interstiziale acuta sono sicuramente gli antibiotici (come i
beta-lattamici, chinoloni ecc.). Storicamente la nefrite interstiziale acuta è stata scoperta proprio come azione
avversa alla meticillina, con reazioni allergiche e sistemiche importanti associate a rush, febbre ed eosinofili.
Ancora oggi la presenza di questa triade di sintomi può essere significativa per la diagnosi, ma la sua presenza
è diventata più una eccezione che una regola. Circa 9 pazienti su 10 non presentano questi sintomi, quindi è
importante non farsi ingannare dalla loro assenza. Il reale campanello d’allarme più frequente a cui stare attenti
è l’insufficienza renale acuta o subacuta, che si presenta dopo i canonici giorni di latenza dall’assunzione
del farmaco incriminato.
Un esempio di antibiotico nefrotossico è la Rifampicina: è associata a forme di nefrite caratterizzate da una
rapida progressione, soprattutto in caso di assunzione ripetute, che portano alla dialisi dopo solo pochi giorni
Fans
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Il secondo gruppo di farmaci che causano nefrite interstiziale sono i FANS. Possono dare nefrotossicità tramite
meccanismi diversi, tra cui, in primis, meccanismi emodinamici causati dalle loro azioni vasocostrittrici
conseguenti alla loro azione sulle prostaglandine.
La nefrite interstiziale da FANS può essere molto insidiosa a causa della sua lunga latenza che rende difficile
l’associazione tra malattia e fattore scatenante, complicando la diagnosi. Un possibile elemento che può destar
sospetti è la concomitanza tra sindrome nefrosica e proteinuria importante, perché i FANS possono causare
podocitopatia o una glomerulopatia membranosa; quindi, contemporanea patologia interstiziale e glomerulare
può far aumentare il sospetto che siano entrambe secondarie all’assunzione del farmaco, che dovrà essere
obbligatoriamente sospeso.
Il primo e più difficile step nel trattamento di queste forme di nefriti è il riconoscimento stesso dell’origine della
patologia, per poi passare all’iter terapeutico vero e proprio:
• Interruzione del farmaco responsabile→ spesso non si riesce a identificare il singolo farmaco, quindi
bisognerà andare per tentativi, sospendendo tutti i farmaci che è possibile sospendere. Non esiste un
corrispettivo delle prove allergiche che possa provare l’effettiva reazione del paziente ad un certo farmaco;
• Somministrazione glucocorticoidi→ il cortisone è utilizzato per accelerare il recupero funzionale,
soprattutto nelle forme progressive, favorendo la diminuzione dell’infiammazione in un modo più rapido
rispetto a quanto accadrebbe con la sola interruzione del farmaco;
• Evitare re-challenge→ educare il paziente per far si che eviti nuove esposizioni al farmaco causa delle
reazioni allergiche.
Per nefriti interstiziale da infezione ci si riferisce alla presenza degli agenti infettivi nel rene con conseguente
risposta infiammatoria, ma più spesso l’interessamento renale è secondario, ad esempio:
• In corso di sepsi si può avere una necrosi tubulare acuta a causa della spropositata risposta infiammatoria;
• In seguito all’assunzione di farmaci antimicrobici per contrastare un’infezione batterica si possono avere
nefriti interstiziali acute da farmaco.
Nefropatie da analgesici
Forma storica di nefropatia ad oggi poco rappresentata. La
nefrite da analgesici è una nefrite tubulo-interstiziale cronica
secondaria all’impiego prolungato nel tempo di una
combinazione di tre farmaci antidolorifici: la fenacetina
(profarmaco del paracetamolo), l’aspirina e la caffeina.
Questa miscela, ritirata dal commercio negli anni ’80, era
particolarmente nefrotossica per la combinazione tra lo stress
ossidativo causato dalla fenacetina e gli effetti vasocostrittrivi
dell’aspirina e della caffeina, questi infatti causano necrosi
delle papille renali (puntini bianchi nel riquadro) che possono
staccarsi e dare origine a coliche renali. Anche una volta
sospesa l’assunzione di questo cocktail di farmaci permane un
elevato rischio di neoplasie uroteliali.
L’acido aristolochico si è dimostrato essere la principale nefrotossina in due diverse forme di nefrite tubulo-
interstiziale:
133
• Nefropatia da erbe cinesi è stata osservata negli anni ’90 su giovani donne che assumevano dei preparati
dimagrenti di erbe cinesi che contenevamo quantità elevate di acido aristolochico. L’esposizione
prolungata a questi composti portava a nefriti interstiziali clinicamente rilevanti con insufficienza renale
cronica progressiva che spesso le costringeva a dialisi dopo 1 o 2 anni dall’inizio dell’assunzione dei
preparati. Le piante del gene Aristolochia sono ancore utilizzati in alcuni preparati tradizionali cinesi.
• Nefropatia endemica dei Balcani colpiva soprattutto pazienti che abitavano in zone rurali lungo il
Danubio (Bulgaria, Bosnia, Croazia, Romania, Serbia). Si avevano manifestazione di nefropatie a lenta
evoluzione per un’esposizione prolungata nel tempo a basse concentrazioni dovute a contaminazione del
grano alimentare da parte di piante di Aristolochia.
Nefrotossicità da Litio
Il Litio è un farmaco fondamentale nel trattamento del disturbo bipolare come stabilizzatore dell’umore e
nonostante notevoli progressi nella farmacologia psichiatrica rimane spesso un farmaco difficilmente
sostituibile. Il litio ha un particolare tropismo per il dotto collettore, in particolare per il canale epiteliale del
Na+ (ENaC) attraverso cui il litio riesce ad entrare nelle cellule principali del dotto collettore.
La nefrotossicità da litio si manifesta con due quadri principali:
• Diabete insipido nefrogenico→ è la forma più frequente, si ha una downregolazione delle acquaporine
da parte del litio che entra nelle cellule del dotto collettore, portando ad una resistenza all’ormone
antidiuretico (ADH) con conseguente poliuria, polidipsia e tendenza all’ipernatremia, soprattutto se il
paziente non si idrata correttamente. In genere questa manifestazione non dà insufficienza renale e
l’accorgimento fondamentale è l’idratazione del paziente.
• Nefropatia tubulo-interstiziale cronica→ è meno frequente ma è comunque rappresentata in 1/5 dei
pazienti con esposizione prolungata (10/20 anni). La possibilità di avere questa complicanza, oltre che
avere correlazione con la dose, dipende anche da fattori di predisposizione individuale non ancora
compresi del tutto. Il quadro clinico è quello di un’insufficienza renale con presenza di piccole cisti e
dilatazioni a livello dei tubuli distali e dei dotti collettori.
Il meccanismo patogenetico non è ancora chiaro, gli studi che sono stati fatti mostrano che forme di
insufficienza renale dovute a nefriti tubulo interstiziali colpiscono soprattutto giovani uomini in età lavorativa
che svolgono lavori pesanti e spesso in posti caldi. Oltre a un effetto ambientale e dell’esposizione
occupazionale sono verosimilmente presenti anche una predisposizione genetiche e correlazioni con agenti
infettivi. Per quanto riguarda la nefropatia meso-americana è stato riscontrato il ruolo di:
• Tossine, metalli pesanti, pesticidi che possono contaminare l’ambiente e le falde acquifere;
• L’esposizione al caldo ha due effetti:
o Aumento della temperatura interna→ favorisce la disfunzione renale e la rabdomiolisi;
o Disidratazione con diminuzione del volume cellulare→ causa iperosmolarità e precipitato di urato
• Agenti infettanti come Leptospira o Hantavirus.
134
INFEZIONI DELLE VIE URINARIE
In caso di pielonefriti, infezioni delle vie urinarie alte con interessamento del rene, si ha un’infiammazione
tubulo interstiziale ma circoscritta che generalmente non porta a una diminuzione della funzionalità renale e
per questo non sono considerate nefriti tubulo-interstiziali.
Epidemiologia
• Le cistiti sono più frequento in bambini e adulti tra 1 e 50 anni. In questa fascia di età si presentano con
una netta prevalenza nelle donne predisposte per fattori anatomici, si stima che l’80% delle donne abbia
almeno un episodio nel corso della vita e che il 20-30% presentano episodi multipli;
• Al di sotto dell’anno di età risultano più predisposti i maschi per una prevalenza di malformazioni
urogenitali;
• Al di sopra dei 50 anni le donne rimangono sempre più colpite ma la differenza si fa sempre più sottile per
l’aumento di ipertrofia prostatica e della ritenzione urinaria che è un importante fattore di rischio nell’uomo.
Aspetto microbiologico
Generalmente le infezioni di origine batterica sono molto più frequenti rispetto ad altri agenti patogeni. I batteri
principalmente coinvolti nelle infezioni urinarie sono batteri commensali della flora intestinale e vaginale, in
particolare E.coli che è il principale componete della flora batterica e risulta essere responsabile del 80% delle
infezioni, piuttosto frequente è anche lo Staphyloccocus Saprophyticus commensale della flora vaginale,
meno rappresentati invece sono Klebsiella, Proteus, Enterococcus fecalis.
Più raramente le infezioni sono causate da Candida Albicans o a causa di tubercolosi genito-urinaria.
135
Fattori predisponenti, che non sono altro che i meccanismi di difesa alterati:
• Fattori che alterano la flora vaginale:
o l’attività sessuale soprattutto con uso di spermicidi che distruggo i lactobacilli della flora vaginale;
o menopausa che porta ad alterazione del pH e quindi altera la flora vaginale predisponendo ad
infezione;
• Immunosoppressione→ può essere causata oltre che da immuno-insufficienze specifiche o da
immunosoppressori, ma anche da diabete mellito o malnutrizione;
• Alterazioni anatomico-funzionali→ interferiscono con il regolare deflusso dell’urina monodirezionale:
o la gravidanza che favorisce stasi urinaria e ipotonicità delle pareti degli ureteri
o ipertrofia prostatica
o citocele
o vescica neurologica, condizione in cui la vescica non si svuota regolarmente con conseguente
ristagno delle urine che facilita la crescita batterica
• Reflusso vescico ureterale;
• Diversioni urinarie→ ad esempio a causa di un intervento di rimozione della vescica essa può essere
sostituita da un’ansa ileale la cui mucosa non presenta le stesse proprietà antibatteriche di quella
uroteliale;
• Presenza di corpi estranei→ stent ureterali, cateteri vescicali, calcolosi;
• Neoplasie→ possono ostacolare il flusso urinario.
CISTITE ACUTA
Sintomatologia clinica:
• Pollachiuria o Nicturia→ se le minzioni avvengono di notte;
• Stranguria→ dolore o bruciore durante la minzione;
• Tenesmo vescicale→ spasmi della vescica soprattutto durante la minzione;
• Urgenza o esitazione minzionale;
• Urine maleodoranti;
• Dolore soprapubico;
• Ematuria→ sia macroscopica che microscopica.
La sintomatologia delle prostatiti è piuttosto simile a quella della cistite acuta, con la differenza che spesso si
abbia un quadro sistemico più importante caratterizzato da: febbre, brividi, dolore intenso irradiato a tutta
la zona pelvica e perineale.
La diagnosi delle infezioni delle vie urinarie è fatta già in base ai segni clinici, per confermarla però abbiamo
due esami fondamentali:
• Esame urine in cui si valutano la presenza di:
o Leucocitosi
o Nitriti→ possono essere presenti ma la loro assenza non esclude l’infezione. Dipende anche dal tipo
da batterio, perché solo le enterobatteriacee sono in grado di ridurre i nitrati in nitriti aumentandone la
concentrazione, mentre altri batteri some il S. Saprophyticus non sono in grado di dare questa reazione.
o Ematuria
• Urocultura→ importante non solo per confermare la diagnosi ma anche per fornirci informazioni sulla
suscettibilità del germe all’antibiotico mediante antibiogramma. In generale si usa come limite di positività
dell’Urocultura la presenza di almeno 10^5 unità di colonie per ml di urina, questa soglia scende a 10^3 in
presenza di cistiti sintomatiche e a 10^4 in presenza di sintomi di pielonefriti.
PIELONEFRITI
Vie di infezione:
• Via ascendente→ si tratta di una complicazione di un’infezione delle basse vie in cui germi sono in grado
di risalire lungo le vie urinarie fino ad arrivare ad infettare il parenchima renale;
• Via ematogena→ quando è in corso un’infezione sistemica i germi possono raggiungere anche il rene e
dare origine a un focolaio pielonefritico secondario alla sepsi con batteriemia sistemica. In questo caso
avremo sia emoculture che uroculture positive, esempi di patogeni che portano solitamente a questa
complicanza sono Stafilococco Aureus, Salmonella o Candida;
• Via linfatica o per continuità→ in questo caso il focolaio infettivo principale è a livello
addominale/intestinale/retroperitoneale e il rene viene interessato solo secondariamente perché i germi
sfuggono attraverso il sistema linfatico.
136
Sintomatologia clinica della pielonefrite acuta:
• Febbre elevata
• Dolore lombare e all’angolo costo-vertebrale→ all’esame obbiettivo porta alla positività del segno di
Giordano
• Nausea e vomito
• Sintomi di cistite possibili ma non necessariamente presenti
• Alterato stato mentale nell’anziano
Casi particolari:
• Necrosi papillare in pazienti diabetici→ le papille sono le zone più profonde della midollare in cui la
tensione di O2 è particolarmente bassa e quindi sono particolarmente a rischio ischemico. La papilla in
necrosi inoltre può distaccarsi e andare ad ostruire le vie urinarie dando un quadro clinico simile a quello
della colica renale;
• Pielonefrite enfisematosa da produzione di gas da parte del metabolismo batterico;
• Ascesso renale o perinefritico in caso l’infezione non venga controllata in tempi rapidi
137
In questa immagine possiamo osservare come una pielonefrite
si manifesta nella biopsia renale, si notano neutrofili che vanno
a riempire i tubuli.10
Pielonefrite cronica
Le pielonefriti croniche sono il risultato di pielonefriti acute ricorrenti e non trattate adeguatamente. L’eziologia
più frequente è da E.coli. I fattori predisponenti che permettono a una pielonefrite acuta di evolvere in una
forma cronica sono: anomalie strutturali, diabete e immunocompromissione. Proprio per l’importanza di
questi fattori predisponenti spesso si tratta di una patologia bilaterale, si sviluppa una nefrite tubulo-
interstiziale cronica con conseguente insufficienza renale cronica.
Pielonefrite xantogranulomatosa
Una forma molto rara di pielonefrite cronica è la pielonefrite xantogranulomatosa, patologica che può
mimare clinicamente un tumore, si assiste infatti alla formazione di un tessuto granulomatoso ricco di
macrofagi ripieni di lipidi che diventa talmente ipertrofico da dar luogo a una massa renale unilaterale palpabile.
Questa massa può potenzialmente estendersi al di fuori del rene e occasionalmente dare anche delle fistole
con gli organi contigui: fistole gastrointestinali, polmonari e cutanee.
10
La biopsia renale non è solitamente eseguita come metodica diagnostica per le pielonefriti
138
Nell’immagine acconto possiamo osservare un esempio di
come si presenta il tessuto granulomatoso che in questo
caso sta inglobando un calcolo infetto.
139
Riassunto/integrazione: la parte sulle nefropatie vascolari è la prosecuzione della lezione n.7, mentre quella
sui disordini del potassio riprende l’argomento della lezione n.6
NEFROPATIE VASCOLARI
ANATOMIA VASCOLARE DEL RENE
Il rene è uno degli organi più vascolarizzati, tanto che riceve circa il 25% della gittata cardiaca tramite le
arterie renali. Come visibile nell’immagine, queste si dividono in
● Arterie segmentali1
● Arterie interlobari
● Arterie arcuate
● Arterie interlobulari
● Arteriole afferenti
● Arteriole efferenti
2
Per quanto riguarda la componente venosa, ci sono
● Capillari peritubulari
● Venule
● Vene interlobulari
● Vene arcuate
● Vene interlobari
● Vene renali
1
La professoressa le definisce “segmentarie” ma il nome corretto è “segmentali”
2
La vascolarizzazione venosa è stata integrata dalla sbobina n.2 di anatomia microscopica
140
3
Una classificazione alternativa è quella che divide le nefropatie vascolari in
● Malattie non infiammatorie legate a patologie degenerative
○ Nefrangiosclerosi, che rappresenta il punto d’arrivo di un danno renale legato all'ipertensione.
○ Nefropatia ischemica, una malattia renale cronica secondaria ad una stenosi aterosclerotica delle
arterie renali. Poco conosciuta fino a non molti anni fa, la sua importanza è progressivamente
cresciuta con l’invecchiamento della popolazione e questo perché l’aterosclerosi a livello renale in
parte veniva sottostimata e, fino a 30/40 anni fa, risultava effettivamente meno frequente.
○ Malattia renale ateroembolica, cioè una rottura del cappuccio fibroso della placca aterosclerotica.
● Malattie infiammatorie: comprendono le vasculiti sistemiche immuno-mediate.
5
Epidemiologia
In uno studio è stato impiegato l’eco-color doopler delle arterie renali come strumento di screening e come
visibile dall’immagine sottostante, nei soggetti con più di 65 anni negli USA la prevalenza di stenosi
dell’arteria renale si aggira attorno al 6,8%.
3
Paragrafo integrato dalle sbobine dell’anno scorso
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Paragrafo integrato dalle sbobine dell’anno scorso
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Paragrafo integrato dalle sbobine dell’anno scorso
141
Selezionando pazienti con una storia d’aterosclerosi multi-distrettuale, la percentuale di stenosi può variare a
seconda delle casistiche dal 10% al 54%.
Nella figura sottostante si osservano le percentuali di stenosi dell’arteria renale nei pazienti che hanno una
malattia renale cronica. Queste vanno, a seconda delle metodiche usate per documentare le stenosi, dal
20% al 50%.
Cause
● Aterosclerosi (causa più frequente): si tratta di una patologia che colpisce principalmente maschi di età
superiore a 50 anni.
Il più delle volte l’aterosclerosi interessa il terzo prossimale dell’arteria renale dato che è il tratto con il
flusso ematico più turbolento. E’ importante notare inoltre che l’aterosclerosi si manifesta solitamente
nell’ambito di una vasculopatia polidistrettuale, quindi tende a interessare contemporaneamente anche
altri vasi quali ad esempio carotidi e coronarie.
● Displasia fibromuscolare: si tratta di una patologia
che colpisce prevalentemente donne di età inferiore a
50 anni e interessa il più delle volte i ⅔ distali
dell'arteria renale.
In angiografia, l’aspetto presente in più dell’85% dei
casi è quello a collana di perle, cioè formato da una
serie di stenosi seguite da dilatazioni post-stenotiche.
In una minoranza dei casi l’aspetto è unifocale o
tubulare, aspetto più difficile da distinguere da una
patologia aterosclerotica.
● Vasculiti (causa più rara)
○ Arterite di Takayasu6
○ Poliarterite nodosa7
6
Malattia infiammatoria con eziologia sconosciuta; l’'infiammazione vascolare può causare stenosi arteriose, occlusioni,
dilatazioni, o aneurismi
(https://www.msdmanuals.com/it-it/professionale/disturbi-del-tessuto-muscoloscheletrico-e-connettivo/vasculite/arterite-di
-takayasu#:~:text=L'arterite%20di%20Takayasu%20%C3%A8,occlusioni%2C%20dilatazioni%2C%20o%20aneurismi.)
7
Forma di vasculite che comporta l’infiammazione delle arterie di medie dimensioni
(https://www.msdmanuals.com/it-it/casa/disturbi-di-ossa,-articolazioni-e-muscoli/vasculite/poliarterite-nodosa-pan#:~:text
=La%20poliarterite%20nodosa%20%C3%A8%20una,a%20seconda%20dell'organo%20colpito.)
142
Clinica
La stenosi dell’arteria renale può manifestarsi come
● Reperto incidentale
● Soffio sistolico/diastolico in genere epigastrico
● Asimmetria dimensionale >15 mm tra i reni
● Rene atrofico/grinzo nei quadri più avanzati
● Ipertensione arteriosa secondaria: mediata da
○ Attivazione di RAAS8 con iperaldosteronismo iper-reninemico e possibili ipokaliemia e alcalosi
metabolica. Solitamente questa tipologia di ipertensione risponde bene a farmaci inibitori del sistema
renina-angiotensina-aldosterone, quali ad esempio ACE-inibitori e sartani.
○ Attivazione del sistema nervoso simpatico
● Scompenso cardiaco ed edema polmonare flash (più raro): si tratta di episodi di ritenzione idrico-salina
secondaria all’attivazione dei sistemi neuro-ormonali
● Nefropatia ischemica: insufficienza renale cronica secondaria a parziale o completa occlusione di più
arterie extra-renali solitamente su base aterosclerotica. La stenosi tende a essere bilaterale, in quanto
una stenosi monolaterale, in assenza di altre patologie, non è sufficiente a giustificare l’IRC.
Dal punto di vista patologico, ciò che succede è che i meccanismi di compenso falliscono quando la
pressione di perfusione renale scende sotto al 40% e con una stenosi del 70-80% compaiono
○ Ipossia corticale
○ Rarefazione del micro-circolo
○ Infiammazione
○ Fibrosi
Sintomi
● Insufficienza renale cronica progressiva senza altre chiare cause
● Esame urine negativo
● Spesso vasculopatia polidistrettuale
● Ipertensione arteriosa grave/resistente
● Insufficienza renale acuta dopo introduzione di inibitori del RAAS (in genere reversibile): l’attivazione
del RAAS è un importante meccanismo di compenso per il rene e se viene a meno a causa della
somministrazione di farmaci si può instaurare una condizione di insufficienza renale acuta
● Fluttuazioni significative della creatinina in relazione alla volemia
Diagnosi9
● Angiografia: nonostante sia il gold standard, questo esame comporta anche rischi quali nefropatia da
contrasto e ateroembolismo. Si tende quindi a prediligere questo esame quando in contemporanea è
possibile intervenire sulla stenosi.
● Ecocolordoppler: potenzialmente è un’ottima indagine ma dipende tanto dalla capacità dell’operatore.
8
RAAS è un acronimo per Renin-Angiotensin-Aldosterone system
9
Le informazioni in corsivo sono state integrate dalle sbobine dell’anno scorso
143
Si tratta di un esame che fornisce contemporaneamente un dato anatomico e un dato funzionale, oltre a
non essere invasivo. Le problematiche riguardano il lungo tempo richiesto e il fatto che sia un esame
strettamente operatore-dipendente. Nonostante le problematiche, resta il fatto che in un anziano con
sospetto di stenosi sia il primo esame da fare. Una volta documentato un quadro di stenosi, si passa a
un esame di secondo livello come l’Angio-TC o l’Angio-RMN per studiare la conformazione della stenosi
e l’eventuale possibilità di intervenire.
● Angio-TC
● Angio-RMN: si tratta di un esame che può sovrastimare l’entità della stenosi ma non presenta il rischio di
nefrotossicità da mezzo di contrasto.
● BOLD-MRI: permette di valutare sia la morfologia della stenosi sia l’impatto che questa ha sull’ischemia
tissutale.
Trattamento
● Rivascolarizzazione
○ Chirurgica: molto poco utilizzata
○ Angioplastica con palloncino + eventuale stenting: i rischi principali sono ateroembolismo,
dissecazione e emorragie.
Si è visto che nella maggior parte dei pazienti con aterosclerosi questo tipo di operazione non ha
benefici, quindi viene effettuata su casi selezionati (ad esempio pazienti con scompenso cardiaco ed
edema polmonare flash o pazienti in cui la pressione arteriosa non è adeguatamente controllata
dalla terapia farmacologica) e negli altri si preferisce utilizzare la terapia farmacologica; nei pazienti
con displasia fibromuscolare la rivascolarizzazione invece tendenzialmente dà buoni risultati.
● Terapia medica dei fattori di rischio cardiovascolari
○ Antipertensivi (ACE-inibitori e sartani): inizialmente il trattamento con ACE-inibitori e sartani non è
stato attuato affinché si evitasse che il blocco del RAAS potesse peggiorare la funzione renale. Ad
oggi si sa che nonostante ciò possa capitare, un peggioramento fino al 20% della funzione renale
viene tollerato perché gli studi suggeriscono che l’effetto dei bloccanti del RAAS fornisca protezione
sul lungo termine.10
○ Statine
○ Aspirina
○ Stop al fumo
11
Le indicazioni alla terapia attualmente sono
● RAS con ipertensione reno-vascolare: non è
più una condizione con indicazione alla
rivascolarizzazione (terapia antipertensiva,
associazione statina ed antiaggregante).
● RAS monolaterale associata ad insufficienza
renale cronica: non ha più un’indicazione alla
rivascolarizzazione.
● Paziente con IRC che sviluppa
improvvisamente un peggioramento della
funzione renale ed arriva ad avere necessità di
dialisi: se l’insufficienza renale acuta che si è sovrapposta ad una malattia renale cronica di tipo
vascolare è legata ad una stenosi che è diventata occlusiva, bisogna ragionare sul rischio rispetto al
beneficio dato dal ripristino dell’arteria renale che possa permettere di sospendere il trattamento dialitico
● Edemi polmonari subentranti associati ad una stenosi dell’arteria renale: è necessario pensare
seriamente alla rivascolarizzazione.
Infarto renale
E’ un’occlusione delle arterie renali o dei suoi rami maggiori
Cause
● Tromboembolismo
○ Cardiogeno: a causa di fibrillazione atriale o endocardite
○ Da placca aortica
○ Venoso: nell’embolia paradossa si ha una trombosi venosa profonda e il trombo, a causa di uno
shunt dx-sx, provoca embolia sistemica arteriosa
10
Le informazioni in corsivo sono state integrate dalle sbobine dell’anno scorso
11
Le informazioni in corsivo sono state integrate dalle sbobine dell’anno scorso
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● Trombosi in situ
● Dissecazione
Sintomi
I sintomi non sono necessariamente presenti e, se lo sono, possono essere confusi con quelli di una colica
renale o di una pielonefrite
● Dolore al fianco
● Nausea e vomito
● Ematuria
● Febbre
All’esame obiettivo risulta spesso una condizione di ipertensione, dato che l’ischemia acuta del parenchima
renale dà attivazione del sistema RAA e del simpatico.
Esami di laboratorio
● Leucocitosi
● Aumento delle LDH con transaminasi normali: questa particolarità permette di fare diagnosi
differenziale dall’anemia emolitica
Diagnosi
Tendenzialmente si fa Angio-TC
Trattamento
● Rivascolarizzazione tramite angiografia con trombolisi locale o posizionamento di stent: viene
utilizzata nei casi acuti
● Terapia anticoagulante e/o antiaggregante
Patologia
Le lesioni tipiche il cui risultato è il restringimento arteriolare sono
● Fibrosi intimale
● Ipertrofia della tunica media
● Deposizione nella parete arteriolare di materiale ialino
145
Le alterazioni secondarie sono
● Ischemia glomerulare di gravità variabile (da retrazione del glomerulo a completa sclerosi)
● Glomerulosclerosi globale/segmentale12
● Infiammazione interstiziale
● Atrofia tubulare
● Fibrosi interstiziale
Nella foto sottostante è possibile notare l’ipertrofia che caratterizza le arteriole di calibro maggiore
Diagnosi
La diagnosi viene fatta soprattutto per esclusione
● Assenza di altre nefropatie clinicamente identificabili: risulta difficile, in pazienti con diverse
comorbilità, essere certi che non ci sia una malattia glomerulare sottostante, che possiamo escludere in
maniera certa solo attraverso una biopsia renale, ma che non viene eseguita perché si tratta
frequentemente di pazienti anziani con una serie di altre problematiche13.
● Ipertensione arteriosa di lunga durata che precede la nefropatia
● Danno d’organo extra-renale: alcuni esempi sono la retinopatia ipertensiva e l’ipertrofia ventricolare
sinistra, che suggeriscono la presenza di ipertensione arteriosa non controllata da molto tempo
● Lenta e progressiva riduzione della funzione renale verso l’insufficienza renale avanzata
● Iperuricemia precoce: può causare gotta
● Proteinuria modesta (<1g/die)/assente
● Sedimento urinario poco significativo: non c’è micro ematuria o sedimento nefritico14
● Reni ridotti di volume visibili all’ecografia
12
Condizione caratterizzata da progressiva cicatrizzazione (sclerosi) dei glomeruli
13
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14
Le informazioni in corsivo sono state integrate dalle sbobine dell’anno scorso
15
Acronimo per end-stage renal disease
146
Il motivo dell’elevata diffusione di queste varianti è da ricercarsi nel fatto che queste hanno subito una
pressione selettiva positiva dato che conferiscono resistenza alla forma grave di tripanosomiasi africana
(malattia del sonno).16
Da un lato queste varianti proteggono quindi dalla forma grave della malattia del sonno, ma dall’altro, per
meccanismi non ben chiariti, predispongono allo sviluppo di una serie di patologie renali.
Ciò che si sa al momento è che la nefrotossicità è legata non alla forma circolante, ma alla forma renale
di ApoL1; questo si è scoperto grazie ai trapianti, infatti trapiantando un rene da un soggetto portatore,
anche il ricevente presenta aumentato rischio di sviluppo di patologie renali.
Riassumendo, nella maggioranza dei casi di pazienti afro-americani, quella che si pensava essere
nefropatia ipertensiva è in realtà una nefropatia a eziologia genetica.
○ Basso peso alla nascita: è causato soprattutto da malnutrizione materna, che causa prematurità e
restrizione della crescita uterina. Il basso peso alla nascita che ne consegue porta a un ridotto
numero di nefroni soggetti a iperfiltrazione e ciò a lungo termine può portare a ipertensione e a
insufficienza renale cronica.
16
Infezione da protozoi del genere Trypanosoma brucei, trasmessa dalla puntura di una mosca tse-tse. I sintomi
comprendono lesioni cutanee, febbre intermittente, cefalea, brividi intensi, edema transitorio, linfoadenopatia
generalizzata, con un quadro di meningo-encefalite spesso fatale
(https://www.msdmanuals.com/it-it/professionale/malattie-infettive/protozoi-extraintestinali/tripanosomiasi-africana)
147
○ Obesità: a causa di meccanismi ormonali si ha aumentato riassorbimento di Na+ a livello del tubulo
contorto prossimale con riduzione della sua concentrazione a livello della macula densa. Ciò
determina attivazione del feedback tubulare e vasodilatazione dell’arteriola afferente con aumentata
filtrazione glomerulare; questa iperfiltrazione determina aumento della pressione nel glomerulo,
alterazioni strutturali di podociti e vasi con possibile sviluppo di insufficienza renale cronica.
17
Sclerosi mesangiale disomogenea, che inizia in alcuni glomeruli e col tempo può coinvolgerli tutti. Il più delle volte è di
natura idiopatica ma può essere secondaria all'uso di droghe, a infezione da HIV, obesità, drepanocitosi, malattia
ateroembolica o a perdita di nefroni. I pazienti presentano esordio insidioso di proteinuria, ematuria lieve, ipertensione e
iperazotemia
(https://www.msdmanuals.com/it-it/professionale/disturbi-genitourinari/disturbi-glomerulari/glomerulosclerosi-focale-segm
entale)
148
Riassunto: l’ipertensione è un fattore di rischio fondamentale per la progressione delle malattie renali.
Il ruolo della sola ipertensione nel determinare malattia renale cronica progressiva rimane dibattuto, infatti è
verosimile che il termine “nefropatia ipertensiva" comprenda cause genetiche di ESRD, come la nefropatia
da APOL1, altre cause di nefropatie vascolari (ateroembolismo renale, nefropatia ischemica) e nefropatie
sostenute da altri meccanismi, come obesità e basso peso alla nascita.
18
Un altro fattore che può predisporre allo sviluppo di nefroangiosclerosi è l’alterazione dei meccanismi di
autoregolazione renale. In alcuni soggetti geneticamente suscettibili è presente una risposta autoregolatoria
abnorme (vasospasmo) come conseguenza ad uno stato ipertensivo ed alla necessità di tutelare il rene
attraverso un aumento delle resistenze vascolari dell’arteriola afferente. Questo vasospasmo persistente
geneticamente determinato può essere uno dei fattori causa di nefrangiosclerosi in alcuni soggetti.
Nefroangiosclerosi maligna
L’altra faccia del danno renale da ipertensione è la nefroangiosclerosi maligna, cioè un danno renale acuto in
corso di ipertensione maligna (termine non più utilizzato)/emergenza ipertensiva.
Per emergenza ipertensiva si intende una grave ipertensione caratterizzata da valori pressori superiori a
180/120 mmHg e/o da una rapida variazione di pressione arteriosa.
Gli organi principalmente danneggiati sono
● Reni: insufficienza renale acuta rapidamente progressiva (a volte fino alla dialisi). Nonostante il danno
maggiore sia a livello delle arteriole di piccolo e medio calibro, a volte è possibile riscontrare ematuria e
proteinuria se il danno coinvolge anche i vasi glomerulari. La microangiopatia trombotica19 che deriva da
questo danno può essere associata a anemia emolitica microangiopatica20
● SNC: stroke
● Occhio: fundus oculi di IV grado con emorragia a fiamma21
● Cuore: ischemia
● Polmoni: dispnea e edema
● Aorta: dissecazione
● Se insorge in gravidanza può presentarsi anche eclampsia
18
Le informazioni in corsivo sono state integrate dalle sbobine dell’anno scorso
19
Patologia caratterizzata da trombosi delle arteriole e dei capillari associata a danno dell'endotelio
(https://it.wikipedia.org/wiki/Microangiopatia_trombotica#:~:text=La%20microangiopatia%20trombotica%20%C3%A8%20
una,anemia%2C%20porpora%20e%20insufficienza%20renale.)
20
Disordine microvascolare caratterizzato da trombocitopenia, anemia emolitica microangiopatica, danno d’organo
(interessamento renale e/o cerebrale), possibile evoluzione fatale
(https://www.sanita.puglia.it/web/rete-delle-malattie-rare/microangiopatia-trombotica)
21
Le informazioni in corsivo sono state integrate dalle sbobine dell’anno scorso
149
Patologia
Nei preparati istologici sono osservabili eventi di necrosi fibrinoide delle piccole arterie/arteriole, cioè una
totale occlusione del vaso dovuta a necrosi (immagine a sinistra). Quando il processo si cronicizza, alla
necrosi fibrinoide si sostituisce una fase riparativa col cosiddetto Onion Skinning delle arterie interlobulari,
cioè una proliferazione delle cellule muscolari lisce accompagnata da deposizione di collagene (immagine a
destra).
Cause
● Ipertensione non controllata
● Uso di sostanze vasocostrittrici (es. cocaina)
Terapia
La terapia consiste nel somministrare antipertensivi per endovena: nella prima ora l'obiettivo è ridurre la
pressione del 10-20% e poi, gradualmente, arrivare a un calo del 25% nelle 24 ore, per permettere al
sistema vascolare di adattarsi ed evitare l’insorgenza di fenomeni di ischemia renale.
In caso in cui vi sia in concomitanza anche un'ischemia cerebrale, si tollerano pressioni più alte per garantire
la corretta perfusione endocranica; in caso invece di presenza di dissecazione aortica si cerca di essere più
intransigenti.
Malattia aterotrombotica
Si tratta di embolismo22 da cristalli di colesterolo a partenza da placche aterosclerotiche complesse
(cioè placche con cap fibroso molto sottile e importante core lipidico). Il fenomeno del distacco di
microemboli, che poi vanno a occludere vasi con diametro di 150-200 µm dando ischemia e
infiammazione, viene definito showering a causa dell’elevatissimo numero di emboli (anche migliaia) che
entrano in circolo.
Si tratta di una patologia grave, con una mortalità a distanza di un anno pari al 38% (anche perché
espressione di una patologia vascolare molto avanzata); inoltre, nel 28-61% dei casi i pazienti devono
sottoporsi a dialisi e solo nel 20-40% dei casi c’è un recupero.
E’ interessante notare inoltre che questa patologia sia diffusa soprattutto negli adulti con età maggiore di 60
anni.
Cause
Gli eventi precipitanti più comuni sono
● Rottura spontanea
● Chirurgia vascolare o cardiochirurgia. Il solo clampaggio e successivo taglio dell’aorta (per la sua
sostituzione), in corso, per esempio, di un intervento per un aneurisma dell’aorta addominale, sono
fattori di rischio di rottura di placche aterosclerotiche. Oggi noi sappiamo che la sostituzione dell’aorta
addominale è un intervento relativamente frequente. Quando molti anni fa non si conosceva la malattia
22
L’ateroembolismo non va confuso col tromboembolismo, caratterizzato dal distacco di un trombo più grosso degli
emboli dell’ateroembolismo
150
renale ateroembolica come evento clinico e i chirurghi vascolari operavano i pazienti con aneurisma
dell’aorta addominale, si vedevano con una certa frequenza episodi di insufficienza renale acuta. Nel
momento in cui i nefrologi venivano chiamati al letto del paziente, chiedevano ai vascolari se avessero
clampato l’aorta sopra o sotto le arterie renali, perché se l’aneurisma era così vicino alle renali che il
clamping veniva fatto sopra queste, e magari l’intervento era stato piuttosto indaginoso, i reni erano
rimasti privi di flusso sanguigno per un tempo consistente e quindi si giustificava l’esordire di
un’insufficienza acuta su base ischemica nel post-operatorio. In una percentuale non modesta di casi si
aveva un’insufficienza renale acuta e l’aorta era stata clampata sotto le arterie renali, quindi non si
poteva invocare un danno di tipo ischemico legato al clampaggio, perciò si ipotizzavano molte altre
cause. In realtà in una buona quota di pazienti che sviluppavano l’insufficienza renale acuta con un
clampaggio dell’aorta sotto le arterie renali, la causa era una malattia renale ateroembolica23.
● Angiografia. Quando si risale l’aorta con un catetere arterioso, quest’ultimo “fruga” la parete aortica,
non discrimina se c’è o non c’è una placca, ma risalendo rompe le placche aterosclerotiche. Ecco il
motivo per cui una parte consistente di malattie renali ateroemboliche è secondaria ad arteriografie che
interessano l’aorta. Ovviamente la cosa è tanto più severa se accanto all’aortografia si lavora sulla
parete aortica per mettere uno stent, perché la parete del vaso viene“maltrattata” più a lungo.24
● Terapia anticoagulante. Il ruolo della terapia anticoagulante nell’insorgenza della malattia renale
ateroembolica è stato a lungo ignorato. Quando una placca aterosclerotica si ulcera, si forma un trombo
piastrinico, questa è la modalità con cui l’organismo cerca di rimediare all’ulcerazione di un vaso, ma se
noi usiamo una terapia anticoagulante impediamo la formazione del trombo piastrinico e lasciamo che la
lesione ulcerata della placca aterosclerotica continui ad essere in stretta contiguità con la circolazione
arteriosa. Questo è stato un argomento molto discusso e non tutti sono dell’idea che una quota
significativa di pazienti abbiano la malattia renale ateroembolica a causa di una terapia anticoagulante.
Benché sia la causa meno frequente, non vi è dubbio che possa determinare una malattia renale
ateroembolica. L’abbiamo visto anche quando, prima della coronarografia, l’infarto del miocardio veniva
trattato con terapia fibrinolitica (che scioglie il coagulo) Per alcuni anni questa è stata la terapia elettiva
dell’infarto del miocardio, poi è arrivata la coronarografia con l’angioplastica e la messa a dimora degli
stent e il discorso si è chiuso. Comunque, anche in corso di terapia fibrinolitica, si era in grado di
osservare la comparsa di malattia renale ateroembolica.25
● Trombolisi
● Traumi di varia natura
Sintomi
Si tratta di una malattia sistemica che può anche restare subclinica; nel caso in cui ci fossero sintomi, i più
comuni sono
● Febbre
● Mialgia
● Cefalea
23
Le informazioni in corsivo sono state integrate dalle sbobine dell’anno scorso
24
Le informazioni in corsivo sono state integrate dalle sbobine dell’anno scorso
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151
Gli organi maggiormente coinvolti sono
● Cute (75-90% dei casi)
- Livedo reticularis26: sono maggiormente visibili in ortostatismo
● Dita blu: sono espressione di un danno microvascolare e non di ischemia acuta da ipoperfusione per
stenosi di arterie di grosso calibro. Per questo motivo i polsi periferici solitamente sono presenti e
quando non lo sono la motivazione va ricercata nella malattia aterosclerotica avanzata e non in
un’ischemia acuta da ipoperfusione
● Ulcerazioni e gangrena
● Raramente porpore
● Rene (70% dei casi)
○ Peggioramento dell’ipertensione: espressione di ischemia del microcircolo
○ Insufficienza renale: la risposta dell’organismo ai corpi estranei consiste nell’instaurarsi di reazioni
pseudo-vasculitiche con la presenza di cellule giganti multinucleate. Gli esiti possibili sono
■ Insufficienza renale acuta (20-30% dei casi): l’insorgenza pochi giorni dopo l’evento
scatenante è dovuta a fenomeni di ateroembolismo con immediato impatto sulla funzione
26
Manifestazione cutanea caratterizzata da uno scolorimento screziato, in cui chiazze cianotiche di colorazione
blu-rossastra assumono una conformazione simile ad una rete attorno a zone di cute normali
(https://www.my-personaltrainer.it/Sintomi/Livedo_Reticularis)
152
renale a causa di ischemia periferica, quindi prima che subentrino eventi infiammatori
secondari.
■ Insufficienza renale subacuta (più frequente): si ha peggioramento della funzione renale
settimane dopo l’evento scatenante e con progressione a gradini.
■ Insufficienza renale cronica stabilizzata (rara ma verosimilmente sottodiagnosticata): la fase
acuta passa inosservata e il danno cronico è visibile alla biopsia come emboli di colesterolo
non disciolti. Questi emboli infatti non possono essere eliminati perché non esistono sistemi
biologici che permettono la metabolizzazione del colesterolo extracellulare.
E’ possibile che si verifichi a partire da una forma acuta che passa inosservata, perché ha
dato un danno renale modesto o perché non ha dato segni e sintomi extrarenali. Un
ipotetico paziente ad esempio fa la coronarografia, va a casa, la funzione renale peggiora un
po' ma non in modo tale da dare una grave crisi ipertensiva, non ha localizzazioni
ischemiche periferiche, il quadro passa inosservato. Dopo un anno / sei mesi fa degli esami
di controllo e si riscontra una funzione renale che rispetto alla fase precedente
all’esecuzione della coronarografia o dell’inizio della terapia anticoagulante, è peggiorata. La
fase acuta è passata inosservata, ma a distanza si ha un peggioramento cronico della
funzione renale. Questa forma si diagnostica solo eseguendo la biopsia renale.27
● Tratto gastroenterico (18-48% dei casi) con diagnosi tramite biopsia endoscopica
○ Dolore addominale
○ Perdita di peso
○ Infarto intestinale
○ Sanguinamento gastroenterico
○ Pancreatite
○ Colecistite
● SNC (4-23% dei casi): i sintomi a livello del SNC solitamente non in caso di embolizzazione dell’aorta
addominale28 e la conferma diagnostica di embolizzazione cerebrale può essere solo autoptica.
○ Stato confusionale
○ Attacchi ischemici transitori (TIA)
○ Amaurosis fugax29
Esami di laboratorio
● Eosinofilia (60-80% dei casi), eosinofiluria e ipocomplementemia (15% dei casi) spesso transitori
● Aumentata VES e PCR
● Possibile aumento di LDH, AST, ALT, CPK, amilasi, lipasi: a seconda dell’enzima che aumenta
maggiormente si può avere un’idea di quale organo sia danneggiato. Ad esempio un aumento di LDH è
indicativo di danno al rene invece un aumento di amilasi e lipasi di un danno al pancreas
● Esame delle urine in genere negativo (raramente presenta sedimento attivo)
Diagnosi
I punti che caratterizzano la cosiddetta triade diagnostica e in presenza dei quali è possibile fare diagnosi
senza bisogno di fare una biopsia, sono
● Presenza di un fattore precipitante (ad esempio. si osserva insufficienza renale acuta in un paziente
sottoposto ad angiografia)
● Insufficienza renale acuta o subacuta
● Segni di embolismo periferico (ad esempio la presenza di dita blu)
27
Le informazioni in corsivo sono state integrate dalle sbobine dell’anno scorso
28
Le informazioni in corsivo sono state integrate dalle sbobine dell’anno scorso
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Riduzione transitoria dell'acuità visiva monoculare
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E’ invece possibile eseguire una biopsia a livello di
● Cute (immagine in basso a sinistra): è più agevole da biopsiare rispetto al rene
● Rene (immagine in basso a destra): nei preparati istologici i cristalli di colesterolo non sono osservabili
perché in fase di fissazione del vetrino si dissolvono e al loro posto sono visibili soltanto le delle fessure
biconvesse aghiformi, chiamate ghost cells, dove un tempo erano depositati i cristalli di colesterolo.
● Altro
Un altro esame molto utile è l’osservazione del fundus oculi per cercare le placche di Hollenhorst, cioè
cristalli di colesterolo depositati nei vasi retinici che spesso non danno sintomi visivi. Questo esame ha lo
stesso valore diagnostico della biopsia.
Terapia
Non esiste una terapia specifica ma si agisce operando sui principali fattori di rischio della malattia
aterosclerotica tramite
● Controllo della pressione arteriosa
● Somministrare di antiaggreganti
● Somministrazione di statine. Le statine riducono i livelli di colesterolo ed in più hanno altri effetti detti
“effetti pleiotropici delle statine”, tra cui un effetto stabilizzante le placche, cioè fa guarire più
velocemente la placca ulcerata/instabile. Forse quest’ultimo è il meccanismo con il quale le statine
hanno un effetto positivo, ci si deve ricordare però che questi dati erano frutto di uno studio
osservazionale, non era uno studio in cui si valutava il nesso causa-effetto statine e malattia, quindi
resta sicuramente un dato significativo, ma non è sicuramente la dimostrazione inequivocabile di un
effetto protettivo delle statine30
● Evitare il fumo
30
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154
● Controllo del diabete
● Evitare fattori scatenanti, quali
○ Esami invasivi che aumentano il rischio ateroembolico (ad esempio l’angiografia)
○ Terapia con anticoagulanti
Cause
Le cause più comuni di trombosi sono descritte dalla triade di Virchow e sono
● Stasi venosa: può essere causata da
○ Disidratazione nei neonati
○ Neoplasie
○ Fibrosi retroperitoneale
● Danno endoteliale: può essere causato da
○ Chirurgia
○ Procedure endovascolari
● Ipercoagulabilità: può essere causata da
○ Trombofilie genetiche
○ Neoplasie
○ Contraccettivi orali
○ Sindrome nefrosica da nefropatia membranosa31
○ Anticorpi anti-fosfolipidi
Sintomi
I sintomi possono essere assenti o, se presenti, possono essere confusi con quelli di un infarto renale
● Dolore al fianco
● Ematuria micro/macroscopica
● Embolia polmonare
● Raramente proteinuria
Esami di laboratorio
● Insufficienza renale acuta
● Aumento di LDH con transaminasi per lo più normali
Diagnosi
La diagnosi verrà eseguita tramite ecografia e, in caso sia necessario investigare oltre, si può procedere con
un’Angio-TC o Angio-RMN.
Terapia
● Trombosi acuta associata a un peggioramento della funzione renale: si procede cercando di rimuovere o
dissolvere il trombo via
○ Angiografia interventistica
○ Chirurgia
● Terapia cronica: profilassi con farmaci anticoagulanti
31
La nefropatia membranosa consiste nel deposito di immunocomplessi sulla membrana basale glomerulare
(https://www.msdmanuals.com/it-it/professionale/disturbi-genitourinari/disturbi-glomerulari/nefropatia-membranosa)
155
BILANCIO ELETTROLITICO: IL POTASSIO32
INTRODUZIONE
Il potassio è l’elettrolita più abbondante dell’organismo e anche il principale catione intracellulare, grazie
all’azione della pompa Na+/K+.
Infatti calcolando
70 𝐿 * 0. 6 * 2/3 * 140 𝑚𝑚𝑜𝑙/𝐿 = 3920 𝑚𝑚𝑜𝑙 𝑖𝑛𝑡𝑟𝑎𝑐𝑒𝑙𝑙𝑢𝑙𝑎𝑟𝑒
70 𝐿 * 0. 6 * 1/3 * 4 𝑚𝑚𝑜𝑙/𝐿 = 14 𝑚𝑚𝑜𝑙 𝑛𝑒𝑙 𝑝𝑙𝑎𝑠𝑚𝑎
La situazione è in realtà molto complessa, perché la presenza di acidi organici come il lattato induce
l’ingresso di potassio nella cellula
● Escrezione: avviene per via
○ Renale (via preponderante): il rene è in grado di modulare l’eliminazione del potassio in base alle
necessità, da un minimo di 10 mmol/gg a un massimo di 400 mmol/gg.
Normalmente il rene riassorbe il potassio filtrato a livello del tubulo contorto prossimale (⅔ del
potassio filtrato), del tratto ascendente dell’ansa di Henle (¼ del potassio filtrato) e del tubulo
contorto distale (5% del potassio filtrato).
A livello del tratto corticale del tubulo collettore si ha invece l’escrezione di potassio grazie a
■ Aldosterone: favorisce l’espressione dei canali ENaC che permettono il riassorbimento di Na
nelle principali; il lume del dotto collettore, diventato elettronegativo, favorisce l’escrezione di
potassio tramite i canali ROMK
32
La professoressa suggerisce la lettura del libro reperibile al seguente indirizzo
https://www.dropbox.com/s/xookeuaxbduuuk5/The%20whole%20enchilada.pdf?dl=0
156
Altro caso in cui il lume tubulare diventa elettronegativo è in presenza di anioni non
riassorbibili come HCO3- o PO4-, oppure di antibiotici come la ticarcillina; anche in questo
caso viene quindi favorita l’escrezione di potassio nel lume tubulare.
■ Flusso tubulare: un aumento del flusso tubulare stimola escrezione di potassio tramite i
canali BK
○ Gastroenterica: vengono eliminati circa 10 mmol/gg
In caso ci sia iperpotassiemia la prima risposta dell’organismo è l’aumento della sua compartimentazione,
seguita poi da un aumento dell’escrezione renale
IPOPOTASSIEMIA/IPOKALIEMIA
L’ipopotassiemia è suddivisibile in range di gravità in
● Lieve: concentrazione plasmatica <3,5 mmol/l (il valore fisiologico si attesta tra i 5 e i 3,5 mmol/l)
● Moderata: concentrazione plasmatica <3 mmol/l
● Grave: concentrazione plasmatica <2,5 mmol/l
Cause
● Ridotto apporto di potassio: raramente è la sola causa di ipokaliemia dato che il rene è in grado di
ridurre sensibilmente l’escrezione di potassio in caso di necessità
● Alterato shift di potassio tra i compartimenti
○ Aumentata attivazione β-adrenergica indotta da farmaci o da stress
○ Aumentata produzione di insulina in caso di correzione di chetoacidosi diabetica o di sindrome da
rialimentazione33
○ Alcalosi metabolica
○ Paralisi periodica ipokaliemica che può essere causata da una rara malattia genetica autosomica
dominante o da tireotossicosi
○ Aumentato turnover cellulare in caso di correzione dell’anemia megaloblastica
● Aumentate perdite gastrointestinali da diarrea profusa o lassativi
● Aumentata escrezione renale: un’eliminazione >30 mEq/gg fa sospettare che il problema sia a livello
renale
○ Aumentata attività mineralcorticoide
■ Iperaldosteronismo primario: causato da adenoma surrenalico, iperplasia cellulare e
carcinoma surrenalico
■ Ipoaldostenorismo iper-reninemico: causato da stenosi dell’arteria renale34
■ Pseudoiperaldosteronismo: condizione caratterizzata da bassi livelli di aldosterone ma
elevata attività mineralcorticoide data dalla presenza di sostanze che mimano la sua
funzione. Questa condizione può essere causato da
➢ Eccesso di metaboliti con attività mineralcorticoide come avviene nell’iperplasia
surrenalica congenita o nella sindrome di Cushing35
33
Condizione che può verificarsi durante l’alimentazione di soggetti malnutriti: con un digiuno prolungato, i livelli di
vitamine e minerali si riducono sensibilmente, così come la secrezione di insulina. Durante la rialimentazione riprende
la secrezione di insulina in risposta all’aumento di glicemia, e aumentano anche la sintesi di glicogeno, acidi grassi e
proteine che però richiedono fosfati, magnesio e potassio che scarseggiano e vengono presto esauriti. Questo processo
provoca uno spostamento degli elettroliti nel comparto intracellulare e una diminuzione degli elettroliti nel siero:
contemporaneamente si spostano glucosio, fosfati, potassio e magnesio, scambiati col sodio, e vengono a mancare nel
plasma provocando così spasmi, tetanie, aritmie, insufficienze cardiache ed edemi.
(https://chirurgiatorino.com/blog/cose-la-sindrome-rialimentazione/)
34
Le parti in corsivo sono state integrate dalle slide
35
I livelli di corticosteroidi sono esageratamente elevati, di solito a causa dell’assunzione di farmaci corticosteroidi o di
un’eccessiva produzione da parte delle ghiandole surrenali
(https://www.msdmanuals.com/it-it/casa/disturbi-ormonali-e-metabolici/disturbi-delle-ghiandole-surrenali/sindrome-di-cus
hing)
157
➢ Liquirizia (acido glicirrizico): è in grado di inibire l’enzima
11β-idrossisteroido-deidrogenasi36 con attivazione dei recettori per i mineralcorticoidi
da parte del cortisolo
➢ Mutazioni genetiche come nella sindrome da apparente eccesso di mineralcorticoidi,
una patologia causata da mutazioni dell’enzima 11β-idrossisteroido-deidrogenasi
○ Aumentato flusso distale da diuretici, sindrome di Bartter37, sindrome di Gitelman, ipovolemia con
attivazione di RAAS oppure da poliuria causata a sua volta da diuresi osmotica, polidipsia e diabete
insipido
○ Escrezione di anioni non riassorbibili nel tubulo distale
○ Ipomagnesemia: è un fattore contribuente
○ Perdita tubulare in pazienti che abusano di alcol: l’alcol genera un difetto tubulare che impedisce di
trattenere potassio, magnesio e fosfato
○ Vomito profuso: per compensare la perdita di HCl e quindi la condizione di alcalosi, si osserva un
aumento della perdita di bicarbonati che, in quanto anioni non riassorbibili a livello del dotto
collettore, stimolano l’escrezione di potassio
Sintomi
I sintomi sono variabili in base a rapidità di insorgenza dell’ipokaliemia e in genere si presentano se la
concentrazione di potassio è <3 mmol/L
● Sintomi neuromuscolari: parestesie, debolezza muscolare ascendente, rabdomiolisi con mioglobinuria
e insufficienza renale e insufficienza respiratoria respiratoria
● Sintomi gastrointestinali: costipazione, distensione addominale, anoressia, vomito
● Difetto di concentrazione urinaria: è dovuto al venir meno del cotrasportatore Na-K-2Cl presente a
livello dell’ansa di Henle
● Aritmie causate da alterato potenziale di membrana a riposo e alterata ripolarizzazione cardiaca
○ Bradicardia sinusale
○ Blocco atrio-ventricolare
○ Extrasistoli sopraventricolari e ventricolari
○ Tachiaritmie sopraventricolari
○ Aritmie ventricolari
36
Enzima che ossida il glucocorticoide cortisolo nel suo metabolita inattivo cortisone, per impedire l'attivazione del
recettore mineralocorticoide (https://it.wikipedia.org/wiki/Proteina:HSD11B2)
37
Nella sindrome di Bartter e nella sindrome di Gitelman, un difetto ereditario dei tubuli renali provoca l’escrezione da
parte dei reni di quantità eccessive di elettroliti (potassio, sodio e cloruro), comportando anomalie della crescita, degli
elettroliti e spesso di carattere neurologico e muscolare
(https://www.msdmanuals.com/it-it/casa/problemi-di-salute-dei-bambini/tubulopatie-renali-congenite/sindrome-di-bartter-e
-sindrome-di-gitelman)
158
Diagnosi
Eseguendo un’ECG si può osservare
● Onda U prominente
● Onda T appiattita o invertita
● Depressione del tratto ST
● Aumento dell’intervallo QT fino a giungere a torsione della punta
● Aumento dell’intervallo PR
● Onda P appuntita
Trattamento
● Reintegrazione di potassio: si predilige la somministrazione orale sotto forma di cloruro di potassio
(KCl) dato che la sua introduzione per endovena è poco gestibile e potenzialmente mortale in caso di
sovradosaggio
● Trattamento, se presente, dell’ipomagnesemia
159
Sbobinatori: 162/219
Revisori: 219/162
Materia: nefrologia
Docente: Federica Mescia
Data: 16/05/2023
Lezione n°: 9
Argomento: iperkaliemia, malattie
genetiche, alcalosi metabolica
Riassunto/integrazione:
Comunicazioni: Nella lezione della settimana prossima, nonché ultima lezione, verranno affrontati dei casi
clinici. La professoressa chiede, inoltre, per chi sta facendo i casi clinici, se sta andando tutto bene o se
qualcuno ha riscontrato problemi.
A fine lezione afferma di non essere riuscita ad affrontare la parte sull’alcalosi metabolica, che è quindi stata
integrata completamente dalle slide lasciate in classe
IPERKALIEMIA
Per iperkaliemia si intende una concentrazione di potassio al di sopra di range fisiologici. Il valore che si utilizza
come cut-off in particolare è 4 o 5 a seconda del laboratorio. A seconda di quanto si innalza il potassio, si può
parlare di iperkaliemia:
• Lieve: k>5 mmol/L
• Moderata: k>5,5 mmol/L
• Grave: k> 6 mmol/L
MANIFESTAZIONI CLINICHE
I sintomi si presentano generalmente con livelli di potassio maggiori di
7 mmol/L; è importante sottolineare, però, che più l’iperkaliemia è
cronica, tanto meno i pazienti saranno sintomatici. I pazienti con
insufficienza renale cronica, infatti, hanno dei valori importanti di
potassio, ma in un certo senso vi si abituano. Confrontando quindi gli
stessi livelli di potassio in cronico e in acuto, nel secondo caso si
potrebbero avere delle conseguenze cliniche più gravi.
Visto che il potassio è fondamentale nel mantenere il potenziale di
membrana, l’iperkaliemia, così come l’ipokaliemia, ha questi principali
sintomi:
• sintomi neuromuscolari:
o riduzione dei riflessi
o astenia muscolare fino ad arrivare alla paralisi
o disfunzione della muscolatura liscia dell’intestino, con
conseguenti sintomi aspecifici come nausea e costipazione.
• problemi a livello cardiaco, come le aritmie. Queste sono varie e nello specifico possiamo avere:
o brachicardia sinusale
o blocchi di branca
o BAV, ritmo idioventricolare
o Tachicardia ventricolare
o Fibrillazione ventricolare
o Asistolia
Andare a controllare l’ECG è molto importante in tutti
pazienti con iperkaliemia perché ci dà un’idea di sé
e quanto il sistema di conduzione del cuore è
interessato dagli effetti del potassio alto. Piu
frequentemente osserveremo onde T appuntite1.
Man mano che la situazione di iperkaliemia
peggiora, si osserverà l’allargamento dell’intervallo
QRS, un allungamento dell’intervallo PR, quindi una
condizione atrioventricolare, per arrivare ad aritmie
con perdita dell’onda P e presenza solo di complessi sinusoidali
• difetto di acidificazione delle urine, quindi una acidosi metabolica secondaria
CAUSE
Così come per l’ipokaliemia, è importante sempre considerare l’analisi del potassio nei vari compartimenti,
sempre in termini di:
• input, quindi di apporto
1
Anche se è un sintomo abbastanza aspecifico
• distribuzione tra intra ed extra cellulare; in particolare la stra grande maggioranza del potassio è
intracellulare; quindi, lievi modificazioni di questo equilibrio possono avere conseguenze molto importanti
sui livelli sierici di potassio
• escrezione renale
la prima domanda da porsi quando si osserva un innalzamento dei livelli di potassio senza un’apparente
causa2 è se sia un valore vero o meno. Esiste infatti la pseudoiperkaliemia3, che può derivare da tre
situazioni:
• emolisi, quindi lisi dei globuli rossi, legato a un prelievo difficile, problemi con il laccio emostatico,
contrazione prolungata del pugno della paziente, necessità di effettuare ripetuti prelievi, oppure
permanenza a lungo della provetta in giro prima di raggiungere il laboratorio
• leucocitosi, per esempio nel caso di leucemie
• piastrinosi;
nelle ultime due situazioni se si ha un rilascio significativo di potassio dalle cellule che si trovano nel prelievo
di sangue possiamo trovare un valore alto del potassio in quel prelievo che però non riflette il dato vero. In
casi dubbio si ripete quindi il prelievo senza utilizzare il laccio emostatico e portandolo in laboratorio il prima
possibile. Se si ha invece a disposizione una macchinetta per l’emogasanalisi, che ci permette di dosare gli
elettroliti in tempo quasi reale, questa può essere molto utile per capire in che situazione ci si trova.
2
Come può essere l’assunzione di farmaci
3
Si tratta sostanzialmente di un artefatto da laboratorio
4
Quindi nell’intossicazione digitale avremo anche iperkaliemia
• Acidosi metabolica, in particolare se causata da acidi non organici può favorire il passaggio di potassio
dall’ambiente intra cellulare a extra cellulare
• l’iperosmolarità plasmatica (chetoacidosi diabetica)
Non appena si instaura una terapia efficace per la chetoacidosi diabetica, che si basa fondamentalmente su:
• somministrazione di insulina
• idratazione endovenosa molto abbondante
spesso si vedrà il passaggio dall’iper all’ipokaliemia, perché si smaschera quella che è di fatto una depressione
dei livelli di potassio a livello dell’intracellulare, e in generale dell’organismo, dovuto a quella che era la diuresi
osmotica che si è instaurata nelle ore precedenti.
Quindi tipicamente è sufficiente correggere la chetoacidosi e l’ipovolemia, senza instaurare terapia specifica
per l’iperkaliemia, e rapidamente si avrà un passaggio da iperkaliemia a ipokaliemia importante con necessità
di supplementazione endovena.
Esistono altre situazioni in cui di per sé il filtrato glomerulare è normale, ma i meccanismi renali di eliminazione
del potassio sono alterati. Fondamentale in questi è il ruolo del tubulo distale e i meccanismi aldosterone-
dipendenti:
1. Iperkaliemia da ipoaldosteronismo
Si può dire che tutte le situazioni di ipoaldosteronismo, ovvero di resistenza all’aldosterone, tenderanno ad
aumentare i livelli di potassio. Quindi, in presenza di funzione renale normale, dobbiamo pensare a queste
situazioni in cui l’aldosterone non funziona regolarmente. Questo può dipendere da:
• Insufficienza surrenalica, in cui il surrene non rilascia normalmente aldosterone. La causa può frequente
è su base autoimmune, e si parla in questo caso di malattia di Addison
• Mutazioni genetiche negli enzimi che sintetizzano l’aldosterone
• Ipoaldosteronismo iporeninemico, in cui si avrà un deficit di renina, ovvero del primo step della cascata
renina-angiotensina-aldosterone. Si pensa sia una
condizione tipica della nefropatia diabetica perché,
analizzando i filtrati, questi tendono ad essere più
iperkalemici che nei pazienti con altri tipi di nefropatie
• Farmaci
o Eparina, ketoconazolo, che possono agire
direttamente sul surrene nell’inibire la sintesi di
aldosterone
o Inibitori RAAS5 che andranno a favorire
iperkaliemia, come ACE-inibitori e sartani, quindi
antagonisti recettoriali dell’angiotensina I per lo più,
ma anche farmaci che vanno sempre ad agire su
questo pathway, come Aliskiren o inibitori del
recettore per l’aldosterone, come lo spironolattone.
Tipicamente sono farmaci utilizzati in pazienti con
insufficienza renale e/o con scompenso cardiaco e
insufficienza ventricolare, ovvero pazienti che sono
comunque a rischio di insufficienza renale. È molto
frequente osservare un aumento dei livelli di potassio in
queste situazioni cliniche, e bisogna pesare rischi e benefici di mantenere la terapia con questi farmaci
che comunque migliorano la prognosi di pazienti con insufficienza renale cronica, proteinuria o
disfunzione cardiaca
5
Renin-angiotensin-aldosterone system
6
Già descritto nella scorsa lezione (sbobina n°8 del 08/05/2023)
7
Fa parte dei cosiddetti farmaci diuretici risparmiatori di potassio in quanto agisce direttamente inibendo i canali che
inducono il riassorbimento di sodio chiamati ENaC situati sulla membrana luminale delle cellule renali dell'ultima porzione
del tubulo contorto distale e dei dotti collettori
TERAPIA
L’obiettivo principale quando si tratta l’iperkaliemia è prevenire le aritmie, ovvero la conseguenza più grave
della condizione. In presenza di valori elevati di potassio, quindi sopra 6,5-7, soprattutto se vediamo alterazioni
dell’ECG con onde T appuntite e alterazioni più avanzate, dovremo:
1. somministrare il calcio, generalmente sotto forma di calcio gluconato, che va a stabilizzare la membrana
cardiaca e quindi a ridurre il rischio di aritmie maligne. Quindi il calcio gluconato di per sé non fa
assolutamente nulla ai livelli di potassio, ma riduce il rischio che il potassio alto possa avere delle
conseguenze clinicamente rilevanti a livello cardiaco.
2. Si deve pensare di andare ad agire su tutti i vari elementi fisiopatologici che comportano l’iperkaliemia, in
termini di:
• Apporto:
o Soprattutto in cronico si può pensare di somministrare resine chelanti, che chelano il potassio a
livello gastrointestinale, aumentando l’escrezione intestinale di potassio
o Consigli dietetici per limitare l’assunzione di alimenti particolarmente ricchi di potassio, anche in
questo caso soprattutto per quanto riguarda pazienti con insufficienza renale cronica avanzata
• Distribuzione tra l’intra e l’extra cellulare, su cui si può agire soprattutto in acuto
o Somministrazione di insulina, per favorire l’uptake intracellulare di potassio. Si somministra
insieme ad una soluzione glicosata per prevenire ipoglicemia, che sarebbe un effetto collaterale
dell’insulina in questo caso
o Somministrazione di beta-agonisti, come il salbutamolo8 a dosaggi estremamente più alti rispetto
a quelli utilizzati per l’asma
Utilizzando questi due metodi combinati riusciamo ad abbassare il potassio plasmatico a livelli di
almeno 5,5 mmol/L.
o Un altro approccio importante è la correzione dell’acidosi metabolica se presente. Soprattutto
nei pazienti con insufficienza renale cronica, spesso si avranno anche i bicarbonati bassi; quindi,
somministrando i bicarbonati andiamo ad agire sul passaggio di ioni H+ tra l’intra e l’extra
cellulare. Questo è però molto meno efficace rispetto alle altre due azioni terapeutiche9.
• Escrezione renale
o Diuretici, tipicamente la furosemide, ovvero diuretici che causano ipokaliemia.
o È importante reidratare il paziente se ipovolemico perché si abbasserà l’apporto di sodio a livello
del tubulo distale quindi quei meccanismi aldosterone dipendenti di escrezione di potassio
potranno funzionare a livello fisiologico
o Sospensione di farmaci che possono essere causa di iperkaliemia, quali sartani, ACEi, farmaci
risparmiatori di K
o Trattare l’Ipoaldosteronismo con terapia sostitutiva con fludrocortisone se si ha una ridotta
produzione di aldosterone a livello del surrene
Se la terapia medica non funziona e siamo di fronte ad un’iperkaliemia grave tipicamente con insufficienza
renale è importante ricordare che esiste anche la dialisi, che permetterà la rimozione del potassio attraverso
il circuito extracorporeo. L’iperkaliemia che non risponde a terapia medica è in assoluto la più frequente
indicazione ad iniziare la dialisi in urgenza nei pazienti con insufficienza renale acuta e cronica
MALATTIE GENETICHE
Si tratta di un aspetto in continua evoluzione della nefrologia e della medicina in generale. Quello che sta
emergendo negli ultimi anni è che le malattie genetiche monogeniche possono spiegare l’eziologia
dell’insufficienza renale cronica di grado avanzato, soprattutto nei bambini, ma anche in una quota importante
di adulti. Si sa infatti da decenni ormai della presenza della componente genetica nei bambini per quanto
riguarda l’IRC nello stadio avanzato. Si stima infatti che tra il 30% e il 50% dei bambini con una IRC nello
stadio avanzato abbia una patologia genetica. Al contrario, l’impatto di questa componente genetica nell’adulto
è un fatto che stiamo scoprendo sempre di più negli ultimi anni. Si stima in questo caso che circa il 10-30%
degli adulti con IRC severa abbiano una patologia genetica alla base. Chiaramente quando si considerano
percentuali come il 30% non si tratta della popolazione in generale, ma si tratta di casistiche che escludono
pazienti con diabete o malattie vascolari. Se infatti andiamo a considerare una popolazione selezionata, la
probabilità di avere una patologia genetica aumenta.
Ci sono alcune caratteristiche cliniche presenti nel paziente con insufficienza renale che ci devono far
8
Farmaco utilizzato per l’asma
9
In urgenza sono utilizzate le prime due metodologie
sospettare di una causa genetica. In particolare:
• Età giovanile
• Storia familiare, con tutti i vari pattern di ereditarietà, ovvero: autosomici dominanti, autosomici recessivi,
legali al cromosoma X (quindi per questo è importante raccogliere una storia familiare estesa per verificare
se genitori o parenti siano portatori, cosa che aumenterebbe la possibilità di sviluppo di una patologia
autosomica recessiva)
• Manifestazioni extrarenali, tante più caratteristiche sindromiche sono presenti tanto più aumenta la
probabilità di essere di fronte ad una patologia genetica che interessa il rene, ma anche altri organi.
Di seguito un lavoro di 4 anni fa condotto dalla Columbia University di New York, che rappresenta la più grande
casistica mai pubblicata di sequenziamento del genoma. Lo
studio ha previsto il sequenziamento del genoma di più di
3300 pazienti con IRC o in dialisi (quindi senza andare a
selezionare casistiche particolari per cui si potrebbe essere
più a rischio per patologie genetiche). Quello che è emerso
è che in un 9,3% (ovvero in 307 pazienti) di pazienti c’è una
diagnosi genetica monogenica. In particolare, sono state
identificate 66 patologie monogeniche. Il dato importante è
che, nonostante il numero elevato di patologie identificate, i
geni correlati a queste malattie sono, nel 63% dei casi, solo
6. Questo per dire che le patologie genetiche renali possono
essere moltissime, ma sono sostanzialmente pochi i geni
implicati nella maggior parte di queste.
I 6 geni implicati nei 2/3 delle patologie genetiche sono:
• PKD1 e PKD2 che causano il rene policistico
autosomico dominante
• COL4A3, COL4A4 e COL4A5 (geni codificanti per il
collagene IV) che sono legati alla Sindrome di Alport
• UMOD (geni codificanti per l’uromodulina) che causano la nefropatia giugolo-interstiziale autosomica
dominante
10
Per esempio, nelle podocitopatie si usano trattamenti immunosoppressori che potrebbero essere tossici per bambini
durante lo sviluppo, sapendo in questo caso che l’origine della malattia è genetica, si evita di prescrivere questa terapia
(essendo in questo caso non responsiva).
11
Per esempio, in un paziente con rene policistico, si possono formare aneurismi cerebrali a rischio di rottura. Sapendo
quindi di tale condizione patologica si può cambiare l’approccio diagnostico per fare screening per aneurismi.
12
Ovvero una patologia tale da mettere a repentaglio la vita del paziente.
• Circa 4-10% dei pazienti in dialisi raggiungono la fase terminale dell’insufficienza renale proprio a causa
dell’ADPKD;
• Per quanto riguarda la prevalenza, i numeri sono molto variabili: vanno da 1 malato caso ogni 2500
persone, ad 1 malato caso ogni 400 persone. Questo perché la patologia è poco diagnostica soprattutto
per quanto riguarda le forme meno gravi in cui l’insufficienza renale tende a progredire lentamente o in cui
il paziente deceda prima di entrare nella fase terminale;
Mettendo a confronto un rene normale e un rene policistico si osserva come quest’ultimo sia caratterizzato da
dimensioni molto aumentate e dalla presenza di numerose cisti contenenti liquido che vanno a sovvertire la
normale anatomia renale.
L’immagine sottostante rappresenta un caso estremo di rimozione di rene policistico dal peso di 22kg e con il
più grande dei due avente lunghezza di 51cm
13
paragrafo integrato dalle sbobine dello scorso anno
Di seguito una campagna di un’associazione inglese di paziente affetti da ADPKD in cui lo slogan è “non sono
incinta. Ho l’ADPKD”.
Patogenesi
Il rene policistico autosomico dominante rientra nella famiglia delle Ciliopatie14, ovvero malattie accumunate
da difetti genetici correlati a proteine implicate nella funzione del ciglio. La policistina1 e la policistina2 sono
proprio localizzate sulla membrana del ciglio.
Il ciglio è un apparato molecolare presente a livello delle cellule tubulari renali, ma anche in moltissimi altri
distretti corporei. Rappresenta sostanzialmente un’estroflessione delle membrane basali delle cellule epiteliali
che si pensa fungere da meccanorecettore in grado di trasdurre il segnale dall’esterno all’interno della cellula.
Il difetto molecolare alla base dell’ADPKD è dunque a livello del ciglio. Per meccanismi non ancora del tutto
compresi, le anomalie a livello di queste proteine determinano molte alterazioni a livello di vari pattern
intracellulari che culminano in una proliferazione dell’epitelio, in un’attivazione dei fattori epitelial growth factor
e nella secrezione di liquidi all’interno di questo epitelio iperplastico, con la conseguente formazione di cisti
14
queste comprendono anche il rene policistica autosomico recessivo (più raro, e ad esordio precoce) e tutta una serie di
patologie rare.
che aumentano di volume fino a distaccarsi dal tubulo da cui sono partite. Tra le risposte intracellulari troviamo
un aumento dell’AMPc, in risposta all’attivazione del recettore per la vasopressina. Ad oggi l’unico farmaco in
grado di rallentare lo sviluppo dell’ADPKD è il Tolbactan, antagonista del recettore V2 della vasopressina,
andando perciò a ridurre la concentrazione di AMPc intracellulare.
Queste cisti possono originare da qualunque livello del tubulo, nonostante si sia dimostrato che si originino
principalmente a livello del tubulo distale. Questo è
dovuto probabilmente alla presenza di una maggior
quota di recettori V2 per la vasopressina proprio a
questo livello.
Importante inoltre sottolineare come solo l’1% dei
nefroni viene interessato dai processi di cistogenesi.
La domanda che sorge quindi spontanea è come mai,
nonostante la mutazione genetica interessi tutti i
nefroni, la formazione di cisti interessi solo una minima
parte di questi.
Il modello ad ora più plausibile, in base anche alle evidenze sperimentali, è definito second hit hypothesis
(o ipotesi dei due colpi). Questa teoria dice che, oltre alla mutazione germinale, è necessaria una seconda
mutazione somatica, perché gli epiteli diventino cistici. L’epitelio tubulare avendo una frequenza di
rigenerazione molto elevata, presenta un alto rischio mutazionale. In quelle cellule quindi che vanno incontro
alla seconda mutazione (una ereditata e una somatica), il livello di espressione delle policistine sarà sotto il
livello soglia tale per cui, anche in associazione a fattori predisponenti non ancora ben definiti, si favorisce il
processo di cistogenesi.
Nonostante, quindi, la malattia sia ereditata in modo autosomico dominante, il meccanismo molecolare è
recessivo, quindi richiede una seconda mutazione che riguarda la copia non alterata del gene.
In pazienti con queste mutazioni si è osservato come il numero di cisti e le dimensioni del rene vanno ad
aumentare nel tempo, e che tali alterazioni precedono l’insufficienza renale. Se si dovesse andare a valutare
però la funzione del rene, per esempio con la clearance della creatinina, la diagnosi sarà tardiva. Questo a
causa di una lunga fase di compensazione, in cui nonostante la cistogenesi e la riduzione di nefroni funzionanti,
quelli ancora intatti sono in grado di far fronte alla
situazione aumentando la propria attività. Quindi,
nonostante sia una malattia genetica, la diagnosi
viene fatta nell’adulto o persino nell’anziano. Si
arriverà poi ad un punto in cui però il compenso si
rivelerà insufficiente, e in parallelo all’aumento del
numero di cisti e delle dimensioni del rene, si avrà
un progressivo decadimento funzionale, che
tendenzialmente è anche molto rapido.
Manifestazioni renali
Sono molto variabili. In generale si tratta di una condizione che si rende clinicamente evidente nell’adulto,
anche se ci sono casi molto rari in cui si può manifestare anche a livello intrauterino o casi lentamente
progressivi che si osserveranno nell’anziano.
La proteinuria è associata ad una riduzione della GFR. La proteinuria è espressione dell’ultrafiltrazione
glomerulare come tentativo di compenso dei nefroni residui.
In circa la metà dei pazienti si svilupperà l’ESRD entro i 60 anni, mentre nella restante parte ci sarà un esordio
più precoce. Non è raro trovare nella stessa famiglia, con la stessa mutazione, casi con velocità di
progressione differente.
Sono stati identificati dei fattori che sembrano condizionare la velocità di progressione della malattia:
• I pazienti che presentano una mutazione in PKD1 presentano una progressione più rapida rispetto a quelli
che con mutazione in PKD2. Si sono inoltre definite mutazioni più gravi (mutazioni bloccanti) di altre che
concorrono a definire una prognosi peggiore. Quindi il livello di espressione delle policistine influenza il
fenotipo del paziente;
• Si è ipotizzata la presenza anche di altre mutazioni in altri geni;
• Situazioni di mosaicismo, ovvero pazienti in cui non tutte le cellule presentano la mutazione, soprattutto
nel caso in cui la mutazione è insorta ex-novo, quindi non è stata ereditata, ma si è sviluppata durante
l’embriogenesi. A seconda poi della percentuale di cellule intaccate, il fenotipo del paziente sarà più o
meno grave;
• Si è inoltre osservato, per ragioni però non ancora comprese, che gli uomini abbiano una prognosi
peggiore delle donne;
Per quanto riguarda le manifestazioni cliniche abbiamo:
• Ipertensione, che interessa circa il 20-40% dei bambini e il 50-70% degli adulti anche prima della
riduzione della GFR. Si tratta di una condizione abbastanza precoce, compare infatti a circa 32 anni negli
uomini e a 34 anni nelle donne.
Si è osservato come l’attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone giochi un ruolo
patogenetico importante nell’ipertensione.
Risulta fondamentale riconoscere e trattare precocemente l’ipertensione. Questo perché una terapia
antipertensiva adeguata, soprattutto con farmaci che vadano ad inibire il RAAS (come ACE-inibitori o
Sartani) è l’intervento più importante per ridurre la progressione della malattia, ritardando l’insorgenza
dell’IRC terminale. Gli eventi cardiovascolari sono
inoltre la prima causa di morte nei pazienti affetta di
ADPKD; quindi, il trattamento dell’ipertensione è
importante anche per ridurre il rischio di sviluppare
questi eventi.
• Dolore cronico, riportato nel 60% dei pazienti. Si tratta di
un dolore prevalentemente lombare dovuto all’effetto
massa, ovvero all’ingrandimento delle cisti che
determinano una trazione sul peduncolo renale e uno
stiramento della capsula renale. I pazienti con ADPKD
riportano spesso un dolore muscolo-scheletrico del
rachide, dovuto ad un aumento di peso fino a 10-15kg
dovuto appunto alle cisti.
• Infezioni, in particolare del tratto urinario. Si distinguono in
genere in infezioni del tratto urinario basso e infezioni del
tratto urinario alto. Una condizione molto grave per questi
pazienti è l’infezione delle cisti, nel momento in cui i patogeni intaccano le cisti stesse. Quest’ultime sono
particolarmente difficili da diagnosticare e da trattare perché gli antibiotici raggiungono il sito d’infezione
con molta difficoltà. Si richiedono per questo terapie prolungate (almeno 4 settimane) e antibiotici che
abbiano una biodisponibilità particolarmente buona a livello delle cisti, come i Fluorchinoloni.
• Calcoli urinari, presenti in circa il 30% dei pazienti. Possono essere sia calcoli di acido urico o calcoli di
calcio ossalato. Si tratta di una condizione favorita sia dalle alterazioni anatomiche del tratto urinario che
da un’eccessiva acidificazione delle urine (questa favorisce soprattutto una calcolosi da acido urico)
• Emorragia delle cisti, sanguinamenti che possono essere molto dolorosi a causa della distensione della
capsula renale. Sulla superficie delle cisti si innescano fenomeni di neoangiogenesi, ma le crescite delle
cisti stesse è smisurata rispetto a quella dei vasi, che vengono così stirati e si rompono. Il danno vascolare,
oltre al dolore, può causare un’emorragie retroperitoneale se la cisti non ha mantenuto nessuna
comunicazione con l’albero urinario. Nel caso in cui, invece, abbia mantenuto una comunicazione si
manifesterà macroematuria. Anche gli episodi di macroematuria si correlano ad una prognosi peggiore
per il paziente15. Sanguinamenti che possono essere facilitati da eventi come traumi o attività fisica
intensa.
• Difetto di concentrazione urinaria, condizione che il rene policistico ha in comune con tutte le patologie
tubulo-interstiziali, legate ad una ridotta attività dell’ormone antidiuretico a livello del tubulo contorto distale.
Questi pazienti sono quindi più a rischio di disidratazione. Sarà quindi necessario aumentare l’introito di
liquidi. Questo anche per ridurre la concentrazione di ADH e ridurre quindi l’attivazione della via
intracellulare che fa aumentare l’AMPc che concorre alla cistogenesi.
Manifestazioni sistemiche
L’ADPKD è una ciliopatia. L’apparato molecolare del ciglio, come detto in precedenza, è presente in molti
tessuti e questo fa si che le ciliopatie portino a manifestazioni sistemiche. In particolare, anche l’ADPKD, pur
avendo un aspetto patologico prevalentemente renale, è una patologia sistemica. In particolare, possiamo
avere:
• Cisti epatiche (presenti in circa l’80% dei pazienti);
• Cisti pancreatiche;
• Cisti delle vescicole seminale negli uomini (in circa il 40% dei pazienti). Gli uomini con ADPKD hanno un
maggior rischio di infertilità;
• Diverticolosi del colon (nel 50% dei pazienti);
• Ernie della parete addominali (nel 45% dei pazienti), soprattutto ernie inguinali da mancata chiusura del
dotto vaginale;
• Bronchiectasie, ovvero dilatazioni segmentarie dei bronchi;
• A livello cardiovascolare possiamo avere un aumentato rischio di aneurismi cerebrali e aneurismi vascolari
(soprattutto dell’aorta);
• Cisti a livello dell’aracnoide, solitamente sono silenti e solo raramente possono dare emorragie sub-
aracnoidee;
• Dell’occhio, come degenerazione retinica;
• Anomalie facciali;
• Dei muscoli, come atassia16;
15
Paragrafo integrato dalle sbobine dello scorso anno.
16
Queste tre condizioni sono state riportate come manifestazioni sistemiche delle ciliopatie in generale e non dell’ADPKD.
Entrando più nello specifico di alcune delle manifestazioni extrarenali dell’ADPKD:
per quanto riguarda le cisti epatiche, queste sono la seconda
manifestazione più frequente dopo le manifestazioni renali. Risultano più
frequenti nelle donne rispetto agli uomini, questo si pensa sia dovuto al ruolo
degli ormoni femminili, ma risultano fattori di rischio anche gravidanze,
terapie estro-progestiniche, contraccettivi e terapie ormonali nel post-
menopausa. Il fegato in questi casi può andare incontro ad un aumento
notevole delle dimensioni, ma nonostante questo le cisti epatiche di solito
non sono di grossa importanza clinica. Danno infatti problematiche solo in
una piccola minoranza di pazienti. In questi:
• la principale manifestazione è correlata all’effetto massa delle cisti che,
aumentando di dimensioni, possono andare a comprimere gli organi
adiacenti, vasi venosi (come le vene epatiche o la vena cava inferiore)
dando origine a stasi venose o raramente anche ascite;
• Si possono anche avere problemi di colestasi con stasi biliari intraepatica;
• Infezioni, come colangiti recidivanti (rare, ma molto gravi);
• Le cisti epatiche, come quelle renali, possono infettarsi, rompersi e dare
sanguinamenti, dando sintomi come febbre, anemizzazione o dolori
addominali;
Diagnosi
La diagnosi è abbastanza semplice da formulare soprattutto nei pazienti con familiarità nota. In questi pazienti
infatti è sufficiente svolgere uno studio imaging di primo livello con un’ecografia per fare diagnosi di certezza.
Questo perché le caratteristiche dell’ADPKD sono molto facili da riconoscere. In particolare, si osserverà:
• Rene con numerose cisti;
• Aumento delle dimensioni renali (soprattutto questa caratteristica che risulta tipica del rene policistico, che
permette di distinguerlo da altre malattie renali);
Sono stati sviluppati dei criteri, sulla base del numero di cisti presenti, per confermare la diagnosi di ADPKD.
Il numero di cisti, pur essendo ADPKD una malattia genetica, aumenta con l’età. In particolare, questo
approccio richiede:
• Almeno 3 cisti nei pazienti tra i 15 e i 30 anni;
• Almeno 2 cisti per rene per pazienti con età superiore ai 40 anni. Con l’aumentare dell’età i criteri diventano
un po’ più stringenti poiché con l’invecchiamento aumenta la possibilità di sviluppare cisti renali semplici,
non associate all’ADPKD;
In alternativa all’ecografia, si può usare la risonanza magnetica che risulta più sensibile della prima.
L’identificazione di almeno 10 cisti per rene con la RMN risulta una prova molto indicativa di patologia. Si può
usare anche la TC. Sia la TC che la RMN ci consentono anche di quantificare il volume renale, quindi capire
la gravità del paziente anche prima che si instauri l’IRC terminale. Abbiamo infatti visto come le alterazioni
morfologiche del rene precedono le alterazioni funzionali dello stesso.
Per compiere diagnosi si potrebbe anche usare un test genetico. Questo non risulta però indispensabile in
quei pazienti con una storia familiare nota. Viene utilizzato invece in quei casi dubbi o diagnosi prenatale.
Fino ad un caso su quattro non è presente una storia familiare. Questo è dovuto nella maggior parte dei casi
al fatto che la familiarità non è riconosciuta perché si tratta di forme lentamente progressive che non sono mai
state studiate. Sono invece pochi i casi (circa il 5%) in cui l’ADPKD è dovuto ad una mutazione ex-novo o a
mosaicismo (ovvero i genitori non sono portatori della mutazione, ma questa compare durante lo sviluppo
prenatale).
Terapia
Bisogna innanzitutto modificare dello stile di vita in modo da rallentare la progressione della malattia. In
particolare:
• adottare una buona idratazione;
• limitare l’apporto di sodio e proteine;
• mantenere un peso ideale;
Da un punto di vista farmacologico invece posso utilizzare:
• ACE-inibitori o Sartani, e Statine;
• In casi particolari si possono adottare terapie più mirate ai pattern molecolari alterati. In questi casi
possono usare il Tolvaptan che è un antagonista del recettore per la vasopressina (che ha tra i vari effetti
collaterali, quello di indurre poliuria, producendo fino a 8/10 litri di urine al giorno, richiedendo quindi una
buona idratazione del paziente;
• Si possono usare analoghi della somatostatina per il trattamento delle cisti epatiche;
• Il trapianto renale rimane la terapie di scelta una volta che si raggiunge l’insufficienza renale terminale;
I geni coinvolti nella forma recessiva sono diversi rispetto a quelli della forma dominante,. Tra questi,
importante è PKHD1 che codifica per la fibrocistina.
17
Paragrafo integrato dalle sbobine dello scorso anno
Per quanto riguarda l’ipoplasia polmonare, un’altra problematica importante dell’ARPKD, possiamo dire che
questa sia dovuta ad un difetto nello sviluppo dei polmoni durante lo crescita intrauterina. Durante lo sviluppo
ho già un’insufficienza renale rilevante, quindi avrò poco liquido amniotico e questo condiziona lo sviluppo dei
polmoni dando l’ipoplasia polmonare che può essere già letale nei primi mesi di vita
I pazienti che sopravvivono ai primi mesi di vita vanno poi spesso incontro ad un’insufficienza renale terminale
intorno ai vent’anni.
18
(insieme a molte altre componenti molecolari, come laminine, proteoglicani,…)
Manifestazioni cliniche
La gravità della mutazione genetica andrà di pari passo con la gravità della condizione clinica. Da una parte
dello spettro abbiamo pazienti in cui il carico di mutazione genetica è minore:
• forme autosomiche dominanti in cui ho solo una copia difettiva del gene; avranno quindi la possibilità di
esprimere in modo normale l’altro allele non mutato. In questi casi possiamo osservare anche una
penetranza incompleta, ossia ci sono persone portatrici della mutazione ma non manifestano alterazioni
cliniche;
• Femmine con mutazioni x-linked, anche se le manifestazioni sono variabili a causa dell’inattivazione
random del cromosoma x.
All’altro estremo dello spettro delle manifestazioni cliniche più gravi, quali:
• Forme autosomiche recessive, in cui ho la totale assenza di una delle catene che formano il collagene di
tipo IV, perché entrambi gli alleli sono mutati;
• Maschi con forma x-linked, in cui avrò solo una copia di COL4A5 e questa sarà mutata
Altri fattori che possono determinare la gravità clinica sono il sottotipo di mutazione genetica, evidente
soprattutto nei maschi x-linked in cui se ho una mutazione particolarmente impattante, in cui la proteina è
assente, questa situazione sarà più grave rispetto ad una mutazione missenso che va solo a mutare un
aminoacido. Quindi forme in cui non ho espressione in assoluto di una di queste catene del collagene di tipo
IV saranno più gravi delle forme in cui avrò qualche livello di espressione
Andando ad osservare più da vicino qual è lo spettro di queste patologie a livello renale19, partendo dalle forme
più lievi verso quelle più gravi, avremo:
• Forme completamente asintomatiche
• Microematuria isolata; potrebbe essere l’unica manifestazione che rimane tale per tutta la vita dei pazienti,
ed è per questo motivo che in passato si parlava di microematuria familiare isolata, proprio per distinguere
queste forme sostanzialmente benigne. Il problema è che non abbiamo una tale conoscenza che ci
permetta di classificare con precisione i pazienti che presenteranno una microematuria per tutta la loro
vita rispetto a quelli che invece presenteranno delle manifestazioni renali più importanti20;
• Proteinuria, tendenzialmente una microalbuminuria. Si tratta del singolo fattore prognostico più importante:
i pazienti che iniziano a sviluppare proteinuria sono quelli più a rischio di sviluppare insufficienza renale,
la quale può evolvere fino all’insufficienza renale cronica terminale (ESKD).
I pazienti con forme renali più gravi possono sviluppare anche delle problematiche a livello non renale, in
particolare a livello di occhio e orecchio.
Riassumendo: il quadro clinico della sindrome di Alport vede alterazioni a carico dei reni: il tratto
caratteristico è un’ematuria glomerulare, progressivamente appare insufficienza renale e vedremo che ci può
essere anche proteinuria soprattutto nelle fasi avanzate della malattia. Avremo poi alterazioni a carico
dell’orecchio: è importante non chiedere soltanto se l’udito è normale, perché essendo una sordità
neurosensoriale ad alte frequenze spesso il paziente non se ne rende conto: è obbligatorio fare un esame
audiometrico e documentare una sordità neurosensoriale. In una percentuale significativa di pazienti ci sono
anche delle alterazioni oculari (macchie retiniche aspecifiche che si chiamano macular flex), ciò che più
frequentemente documentiamo sono le alterazioni della camera anteriore dell’occhio (cheratocono e
lenticono, se associate ad una microematuria devono subito portare a pensare di essere in presenza di una
19
Descrizione dell’immagine sottostante
20
il concetto di riclassificare la patologia è quella di non perdere al follow-up i pazienti che nelle prime decadi di vita
presentano una microematuria ma poi possono con l’andare del tempo sviluppare delle caratteristiche patologiche più
importanti
sindrome di Alport). La Leiomiomatosi è un’associazione meno frequente ed è tipica della sindrome da geni
contigui COL4A5 – COL4A6.
Istologia renale
Se andiamo a vedere le alterazioni a livello renale, si tratta
principalmente di alterazioni primarie a livello della membrana basale
glomerulare. Abbiamo visto che il collagene di tipo IV è costituente
fondamentale della membrana basale glomerulare, e nel caso in cui si
ha un difetto genetico a livello di questo collagene, la prima alterazione
sarà un assottigliamento di questa membrana. Questa può rimanere
l’unica alterazione nelle forme più lievi (per questo si chiama malattia
delle membrane sottili), mentre nel caso di difetto genetico importante,
nel tempo sviluppano anche un ispessimento della membrana basale
glomerulare, la quale si presenta con dei tratti di assottigliamento
alternati a tratti di ispessimento dovuti al tentativo di rimodellamento della membrana basale glomerulare.
Questa assumerà una forma quindi irregolare, con slaminamenti, ovvero forme definite a cesto di vimini, con
le fibre della membrana basale glomerulare esposte in tutte le direzioni.
Per quanto riguarda la microscopia elettronica, questa ci permette di vedere le membrane basali glomerulari
ed è diagnostico per la sindrome di Alport, mentre le caratteristiche alla microscopia ottica sono estremamente
più aspecifiche: vediamo aspetti tardivi aspecifici di danno glomerulare:
• Sclerosi, che può essere solo focale e segmentaria (FSGS) e quindi interessare non tutto il glomerulo
segmentale, solo il glomerulo focale, quindi spesso se non andiamo a fare una microscopia elettronica,
se non abbiamo il sospetto di una patologia genetica famiglie, i pazienti con Alport possono ricevere una
prima diagnosi di glomerulo sclerosi focale segmentaria (FSGS) è una patologia secondaria del podocita
che parte dal difetto genetico della membrana basale.
• Con il progredire della patologia possiamo avere anche una glomerulo sclerosi globale glomerulare e
avremo sempre un danno tubulo interstiziale secondario come tutte le nefropatie croniche.
Sordità
Le alterazioni dell’orecchio sono frequenti fino al 50% dei pazienti. L’orecchio è interessato dalla sindrome di
Alport perché il collagene di tipo IV si trova anche nella membrana basale della coclea e si manifesta con una
sordità neurosensoriale bilaterale progressiva nel tempo, in genere si manifesta entro le due decadi di vita per
poi peggiorare nel tempo, ed è piuttosto distintivo che sono prevalentemente le frequenze alte ad essere
interessate, soprattutto nelle fasi iniziali
In generale questo problema può essere trattato in maniera abbastanza soddisfacente con degli apparecchi
acustici, che permettono il mantenimento della capacità comunicativa.
Difetti oculari
A livello dell’occhio i distretti interessati sono soprattutto il cristallino, la cornea e
la retina. Le manifestazioni tipiche sono:
• A livello del cristallino
o Lenticono anteriore, che di per sé se è presente è estremamente
suggestivo di sindrome di Alport. Per lenticono si intende una protusione
conica o sferica della superficie anteriore del cristallino; va a determinare
una miopia progressiva;
• A livello della cornea
o Distrofia polimorfa posteriore, in genere diagnosi effettuata
dall’oftalmologo senza che dia disturbi importanti al paziente, rilevando la
suscettibilità a erosioni ricorrenti della cornea con importanti dolori;
• A livello della retina: l’oftalmologo può aiutare a identificare i pazienti con Alport
anche osservando il fondo dell’occhio
Retinopatia dot-and-fleck, quindi a punti e chiazze, ovvero un’alterazione
morfologica piuttosto tipica di Alport senza importanti ripercussioni funzionali in
genere.
Diagnosi
Come detto in precedenza, meno della metà dei pazienti con sindrome di Alport presenta difetti oculari; quindi,
anche se un paziente di cui si sospetta tale patologia non presenta difetti oculari, questo non deve farci
escludere la diagnosi iniziale. Per formare la diagnosi vediamo che è estremamente importante:
• Ricostruire la storia famigliare, anche se circa nel 10-15% dei casi x-linked si tratta di mutazioni de novo
• Biopsia renale ma solo se facciamo la microscopia elettronica e andiamo a vedere lo spessore delle
membrane, mentre spesso ci fermiamo alla microscopia ottica e all’immunofluorescenza possiamo
formulare diagnosi del tuto descrittive e aspecifiche. Quando si fa la biopsia l’importante è garantirsi un
frustolo da utilizzare per la microscopia elettronica, perché questa mostra degli ispessimenti della
membrana basale che si alternano con degli assottigliamenti, con un microscopio elettronico molto ben
funzionante e in mano ad un esperto, si può anche misurare lo spessore della membrana basale e quindi
concludere il quadro tipico. La proteinuria abbondante della fase avanzata è da ricondurre all’alternarsi di
assottigliamenti e ispessimenti a livelli della membrana basale glomerulare
• Test genetici, proprio per indagare le nuove mutazioni
Terapia
Al momento parliamo di una terapia di supporto:
• ACE inibitori e sartani, fondamentali per il controllo non solo dell’ipertensione ma anche della proteinuria;
se somministrati molto precocemente, ovvero fin dalla diagnosi nelle forme più gravi (x-linked e
autosomiche recessive), oppure fin dalla prima comparsa di una microematuria nelle forme meno
aggressive, possono ritardare anche di decenni l’insorgenza dell’insufficienza renale cronica terminale.
• Terapia di supporto per disturbi oculari/sordità
• Trapianto renale o la dialisi, necessaria nelle forme più progressive. Una piccola quota di pazienti con
sindrome di Alport con completa assenza della catena di tipo quinto del collagene, possono sviluppare
dopo il trapianto una risposta autoimmunitaria contro la catena 5 del collagene che è invece presente nel
rene trapiantato. In questo caso si sviluppa la malattia di Goodpasture, quindi la glomerulonefrite dovuta
ad autoanticorpi contro la membrana basale post trapianto.
La patogenesi di questa nefropatia non ha nulla a che fare con l’azione dell’uromodulina. In generale si pensa
che ADTKD da mutazione del gene UMOD, così come molte altre forme di ADTKD, siano dovute da un
accumulo di proteine anomale a livello del reticolo endoplasmatico. Non abbiamo quindi una manifestazione
da loss of function, anche perché c’è un allele normale del gene che codifica per la proteina, e la proteina
viene quindi espressa, ma la proteina mutata va invece ad accumularsi nel reticolo endoplasmatico e a
scatenare poi una serie di reazioni a cascata con unfolded protein response e a innescare alterazioni
infiammatorie a livello dell’interstizio che sono il principale aspetto di questa malattia.
Terapia
Anche in questo caso si tratta di una terapia di supporto:
• è importante il trattamento dell’iperuricemia con farmaci come l’allopurinolo e Losartan (un sartano);
• a differenza della stra grande maggioranza delle nefropatie, in questi casi in generale non si consiglia la
restrizione di sale, perché può peggiorare l’iperuricemia e la deplezione volemica
• l’importante è incoraggiare un apporto idrico abbondante per compensare i difetti di concentrazione
urinaria
ALCALOSI METABOLICA21
Con alcalosi metabolica facciamo riferimento ad una condizione caratterizzata da:
• Ph superiore a 7,44;
• concentrazione di bicarbonati superiore a 26mEq/L;
• compenso respiratorio rappresentato da
un’iperventilazione, quindi con un aumento della
pressione parziale della CO222
PATOGENESI
Per quanto riguarda la patogenesi dell’alcalosi metabolica, è divisa in 2 fasi:
• Generazione; questa prevede a sua volta:
o aggiunta di bicarbonati direttamente bicarbonato o altri substrati metabolizzati poi a bicarbonato.
o Contrazione di volume, ovvero la perdita di fluidi corporei ricchi di cloro e poveri di bicarbonati. Questo può
essere indotto dalla sudorazione o dall’assunzione di diuretici dell’Ansa o di Tiazidici. In questo modo la
quantità totale di bicarbonati non aumenta, ma la sua concentrazione si.
o Perdita di H+ extrarenale, mediante perdita gastrointestinale (come vomito, …….) o perdita di idrogeno
mediante il suo ingresso nelle cellule (in seguito ad una severa ipokaliemia23 o per …….).
o Perdita di H+ renale a causa di:
§ un’eccessiva attività mineralcorticoide, ad esempio in caso di iperaldosteronismo primario (come in
seguito ad un adenoma surrenalico, un’iperplasia surrenalica o ad un carcinoma surrenalico),
iperaldosteronismo iper-reninemico (in seguito a stenosi dell’arteria renale) e pseudoiperaldosteronismo
(dato da un eccesso di metaboliti con attività mineralcorticoide, da mutazioni genetiche o dalla liquirizia,
ovvero acido glicirrizico).
§ assunzione di diuretici
§ una rapida correzione di acidosi respiratoria cronica;
• Mantenimento, fase che prevede l’incapacità del rene di espellere l’eccesso di bicarbonato. Tra i
meccanismi che inibiscono l’escrezione renale di bicarbonati, troviamo:
o l’ipovolemia, questa causa il riassorbimento di sodio che a sua volta causa il riassorbimento di bicarbonati
o eccessivi attività dei mineralcorticoidi
o ipocloremia
o ipokaliemia, che favorisce l’aumento dell’ammoniogenesi e del riassorbimento di bicarbonato nel tubulo
prossimale, un aumento nella produzione di bicarbonato nelle cellule intercalate di tipo A e una riduzione
21
Argomento non spiegato per mancanza di tempo e completamente integrato dalle slide.
22
Si avrà, in particolare, un aumento di 0,7 mmHg CO2 per 1 mEq/L di bicarbonati plasmatici
23
il potassio esce dalla cellula scambiato con gli H+ che invece entrano
nell’escrezione di bicarbonato dalle cellule intercalate di tipo B
TRATTAMENTO
Questo si distingue a seconda che si tratti di:
o Alcalosi metabolica cloro-responsiva; in questo caso si interviene correggendo la deplezione del
volume, la deplezione del cloro e l’ipokaliemia.
o Alcalosi metabolico cloro-resistente; in questo caso si interviene con un trattamento
dell’iperaldosteronismo (con terapia eziologica e con antagonisti recettoriali dei mineralcorticoidi) e
correzione dell’ipokaliemia.