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Sbobinatori: 59/129

Revisore: 58/57
Materia: Nefrologia
Docente: Federico Alberici
Data: 28/02/2023
Lezione n°: 1
Argomento: introduzione al corso; funzioni del rene
e semeiotica nefrologica; determinazione del filtrato
glomerulare; AKI.

Comunicazioni: Il docente introduce il corso affermando che le presenze saranno rilevate tramite foglio firme;
tuttavia, ammette di non essere fiscale in merito e quindi invita chi non fosse interessato ad uscire dall’aula.

Il corso integrato (coordinatore Prof. Cappelli) comprende i corsi di: Nefrologia, Urologia, Endocrinologia ed
Endocrinochirurgia. In particolare, il corso di Nefrologia sarà tenuto dal Prof. Alberici e dalla Dott.ssa Mescia.

I testi consigliati sono: il manuale di medicina interna “Harrison” o in alternativa, si può utilizzare “Up To Date”
(in inglese). Inoltre, esistono delle dispense prodotte dai predecessori degli attuali docenti, le quali possono
essere utilizzate come strumento intermedio tra appunti e libro; tuttavia, non essendo aggiornate devono
essere integrate in maniera opportuna.

Il programma delle lezioni comprende:


• 28/02/2023, 16.00-19.00 – Introduzione al corso; funzioni del rene e semeiotica nefrologica;
determinazione del filtrato glomerulare (Prof. Alberici);
• 07/03/2023, 16.00-19.00 – AKI; patologia glomerulare (Prof. Alberici);
• 14/03/2023, 16.00-19.00 – Patologia glomerulare; malattia renale cronica (Prof. Alberici);
• 21/03/2023, 16.00-19.00 – Malattia renale cronica; emodialisi (Prof. Alberici);
• 29/03/2023, 16.00-18.00 – Dialisi peritoneale; trapianto di rene (Prof. Alberici);
• 18/04/2023, 14.00-16.00 – Acidosi metabolica; ipo/ipernatriemia (Prof. Alberici);
• 02/05/2023, 14.00-16.00 – Alcalosi metabolica; ipo/ipercalcemia; ipo/iperpotassiemia (Dott.ssa Mescia);
• 09/05/20231, 14.00-16.00 – Patologia tubulo-interstiziale; calcolosi (Dott.ssa Mescia);
• 16/05/2023, 14.00-16.00 – Patologia genetica; patologia vascolare;
• 23/05/2023, 14.00-16.00 – Casi clinici (Prof. Alberici e Dott.ssa Mescia).

Il docente informa che gli studenti potranno presentare un caso clinico. In particolare, gli interessati devono
contattare la Dott.ssa Mescia (federica.mescia@unibs.it) e saranno quindi assegnanti ad un tutor, con il quale
interagiranno per preparare il caso, che sarà infine presentato nella lezione dedicata (eventualmente, i casi in
eccesso saranno esposti ai meeting interni che si tengono il mercoledì alle 13). Per coloro che presenteranno
il caso clinico, durante l’esame sarà fatta una domanda in merito; questo impegno aggiuntivo potrà essere
considerato ai fini della valutazione. Infine, il professore informa che la stesura del caso clinico vale come
corso opzionale, pertanto sarà possibile ottenere il credito formativo per questo.

Inoltre, il docente afferma che è possibile partecipare al “Journal Club” della Nefrologia, che si svolge ogni
mercoledì alle 13 e durante il quale sono presentati diversi argomenti; questi incontri si svolgono in modalità
mista: in presenza (nell’aula Campanini situata presso la scala 7 al 7° piano) e online.
Il “Journal Club” è una modalità d’incontro per gruppi omogenei (nel caso specifico, riferito all’unità operativa
di Nefrologia) e permette di approfondire le conoscenze e confrontarsi con metodi statistici innovativi. Chi
fosse interessato può contattare la Dott.ssa Mescia (federica.mescia@unibs.it) o il Dott. Tonoli
(tonolimatty@gmail.com); sarà inviato agli interessati il link per partecipare, ma sarà possibile anche assistere
in presenza.

L’esame è orale e prevede 2-3 domande. Per chi presenta il caso clinico una di queste sarà relativa al caso
stesso. Successivamente, sarà fatta la media dei voti dei vari esami.

In caso di domande è possibile chiedere ai docenti o contattarli tramite mail (federico.alberici@unibs.it e


federica.mescia@unibs.it).

1
Il docente informa che questa lezione sarà spostata.

1
ANATOMIA E FUNZIONI DEL RENE
ANATOMIA E FISIOLOGIA RENALE2
I reni sono due organi pari ed hanno una
dimensione di circa 10 cm. Sono localizzati nel
retroperitoneo, aspetto che ha una
ripercussione significativa nell’esecuzione della
biopsia renale. Quest’ultima è la procedura
diagnostica principale per alcune patologie
nefrologiche ed è effettuata per via
transcutanea attraverso il passaggio in regione
lombare.
I reni sono connessi all’aorta tramite l’arteria
renale e alla vena cava inferiore mediante la
vena renale. L’arteria renale si suddivide in
diramazioni di grosse dimensioni (arterie
segmentali): da queste si passa alle arterie
interlobari, poi alle arcuate e infine alle
interlobulari. Il sistema venoso risulta essere
parallelo a quello arterioso e si occupa di
drenare il sangue in uscita.
I reni sono collegati alla vescica tramite gli
ureteri, che presentano un decorso critico nel
punto in cui scavallano i vasi iliaci; in
particolare, a questo livello si possono
verificare con maggiore frequenza fenomeni
ostruttivi in caso di patologie retroperitoneali o cancro.
Il compartimento delle vie urinarie include le piramidi renali, all’interno delle quali è situato il sistema tubulare
renale. All’apice (papilla) delle piramidi sboccano i dotti collettori, che a questo livello confluiscono nei calici
minori, i quali a loro volta si aprono nei calici maggiori. Si giunge quindi nella pelvi renale e infine nell’uretere.

L’unità funzionale del rene è il nefrone. Il numero di nefroni è


finito (circa un milione per ciascun rene) e tende a diminuire nel
corso della vita. Inoltre, tale numero è ridotto negli individui nati
prematuri; in questi ultimi, così come ad esempio in caso di
nefrectomia o nefropatia ischemica, vi è una maggiore
predisposizione allo sviluppo di insufficienza renale cronica.
Il glomerulo3 è la porzione iniziale del nefrone ed ha il compito
di filtrare il sangue e produrre la preurina. Si tratta di una struttura
tridimensionale4 simile ad una “matassa” o “pallina” di vasi e
comprende un’arteriola afferente, una serie di capillari
glomerulari avvolti su loro stessi ed un’arteriola efferente. Sulla
base di quanto si addentrano nella piramide renale, i glomeruli
sono distinti in: corticali (situati superficialmente) e iuxtamidollari
(si approfondano maggiormente). Il glomerulo si continua in un
sistema tubulare comprendente: tubulo contorto prossimale,
ansa di Henle, tubulo contorto distale e dotto collettore, il quale
scorre all’interno della piramide.
All’esterno del glomerulo si trova l’apparato iuxtaglomerulare, che include la macula densa, le cellule
iuxtaglomerulari e il mesangio extraglomerulare. La macula densa (MD nell’immagine A) è collegata al tubulo
contorto distale e, insieme al mesangio extraglomerulare, contribuisce a regolare il tono dell’arteriola afferente

2
Il docente afferma che la trattazione anatomica e fisiologica sarà rapida, in quanto tali argomenti sono già stati affrontati
in altri corsi. Scopo del paragrafo, che è stato integrato con informazioni presenti nella sbobina dello scorso anno
accademico, è quindi fornire solo un importante background introduttivo.
3
Il docente informa che la patologia glomerulare sarà trattata in maniera approfondita più avanti nel corso e che è spesso
domanda d’esame. Durante la trattazione delle glomerulonefriti (e delle altre patologie) la spiegazione verterà sulla
patologia e non sui concetti anatomici.
4
Le immagini proposte successivamente mostrano sezioni di glomerulo, quindi si osserva una struttura bidimensionale,
che però è espressione di una struttura tridimensionale!

2
e di quella efferente e quindi le resistenze glomerulari. Le cellule iuxtaglomerulari producono renina in
risposta a diversi stimoli, quali ipotensione arteriosa, ipoperfusione renale e riduzione della concentrazione
tubulare di Na+. Il mesangio (M nell’immagine A nella pagina successiva) è costituito da tessuto connettivo e
cellule mesangiali, le quali presentano una certa capacità di contrazione e mantengono la tridimensionalità del
glomerulo sostenendone la struttura.
La barriera di filtrazione glomerulare (membrana filtrante) include, dall’interno verso l’esterno (immagine B):
• Cellule dell’endotelio fenestrato;
• Membrana basale glomerulare;
• Processi pedicillari dei podociti, i quali sono peculiari cellule epiteliali situate all’esterno della membrana
basale;
• Diaframma di filtrazione, che è lo spazio compreso tra i processi pedicillari.
Inoltre, sono presenti due spazi:
• Spazio sub-endoteliale, tra endotelio e membrana basale glomerulare;
• Spazio sub-epiteliale, tra podociti e membrana basale glomerulare.

La membrana filtrante è un ultrafiltro e seleziona cosa passa


dal sangue alla preurina. Questo è reso possibile da una serie
di caratteristiche della membrana stessa, tra cui la carica
negativa e la presenza di pori, i quali hanno dimensioni tali da
impedire il passaggio di proteine di PM>65000-80000D5.
Pertanto, proteine ad alto peso molecolare tendono a non
passare, mentre quelle a medio peso molecolare, come
l’albumina, passano molto poco. Nelle patologie glomerulari si
verifica un’alterazione della barriera glomerulare e si ha
proteinuria, cioè perdita di proteine con le urine. Si tenga
presente che, fisiologicamente, le proteine sono riassorbite
soprattutto a livello del tubulo contorto prossimale; quindi, in
un paziente con elevata proteinuria, tale attività è accentuata
e si ha pertanto un sovraccarico lavorativo delle cellule del
tubulo contorto prossimale, attivazione di meccanismi di
infiammazione locale con stress ossidativo e danno. Quindi,
la proteinuria è sia una conseguenza del danno glomerulare,
sia un fattore di rischio di progressione del danno renale.

5
Queste ultime informazioni sulla membrana filtrante non sono state menzionate dal docente e sono state integrate dalle
slides presentate a lezione.

3
La filtrazione glomerulare dipende da vari fattori, che possono promuovere o ostacolare il processo:
• Pressione idrostatica del capillare glomerulare, che
è uno dei principali fattori che promuovono la
filtrazione a livello renale. Un suo aumento
corrisponde ad un aumento della filtrazione;
• Pressione idrostatica della capsula di Bowman, che
è uno dei principali fattori che ostacolano la capacità
di filtrazione. Un suo aumento causa una riduzione
della filtrazione;
• Pressione oncotica generata dalle proteine
plasmatiche, che ostacola la filtrazione, poiché fa sì
che i liquidi rimangano all’interno del torrente
circolatorio.
Alla luce di quanto appena detto, in caso di insufficienza renale acuta, o acute kidney injury (AKI), si ha
riduzione del filtrato glomerulare per riduzione della pressione capillare e/o aumento della pressione idrostatica
della capsula di Bowman e/o riduzione della pressione oncotica. Si prenda in esempio un paziente affetto da
ipertrofia prostatica e che, come conseguenza di ciò, presenta un ristagno di urina nella vescica e nelle
strutture site a monte, tra cui i reni (idronefrosi). Questo causa un aumento della pressione idrostatica della
capsula di Bowman e quindi una riduzione della filtrazione glomerulare. L’inserimento di un catetere urinario
permette l’eliminazione delle urine accumulate e il ripristino di un’adeguata pressione idrostatica nella capsula
di Bowman e quindi di una corretta filtrazione.
Come anticipato, al glomerulo segue il tubulo6. Questo ha una lunghezza intorno ai 30-40 mm (maggiore nei
nefroni iuxtamidollari, minore in quelli corticali) ed ha il compito di riassorbire gran parte dei soluti e circa il
99% dell’acqua filtrata; se non ci fosse il tubulo, verrebbero persi con le urine circa 180 litri di acqua al giorno!
In realtà, il volume urinario è di circa 1-2 litri/die. Il 65% del riassorbimento avviene a livello del tubulo contorto
prossimale, il 20% nell’ansa di Henle e 10-15% a livello del tubulo contorto distale e del dotto collettore.
Ogni sezione del sistema tubulare ha una funzione specifica:
• In corrispondenza del tubulo contorto prossimale vengono riassorbiti glucosio, fosfati, amminoacidi,
acido ascorbico, corpi chetonici, acido urico e solfati e sono eliminati acidi/basi deboli, ammonio e
creatinina, con impatto sulla determinazione del filtrato glomerulare;
• A livello dell’ansa di Henle e del dotto collettore si verifica la concentrazione delle urine attraverso un
meccanismo di concentrazione controcorrente, il quale permette di creare un gradiente di
concentrazione cortico-midollare;
• A livello del tubulo contorto distale viene riassorbito Na+ e sono eliminati ioni H+. Questa porzione è il
target dei diuretici tiazidici, frequentemente utilizzati nella terapia dell’ipertensione7;
• Il dotto collettore è la porzione del nefrone sensibile all’ADH (in particolare, le cellule chiare) ed è
coinvolto nella regolazione del metabolismo acido-base mediante riassorbimento di bicarbonati e
secrezione di ioni H+.

6
Definito dal docente come “la parte più importante”.
7
Informazione non menzionata dal docente e integrata dalla sbobina dello scorso anno accademico.

4
8
Nell’immagine sotto riportata è ricostruito il meccanismo di concentrazione controcorrente:
1. Il trasporto attivo di NaCl verso l’interstizio attraverso la porzione spessa ascendente dell'ansa di Henle
(6), che è impermeabile all’H2O, crea il gradiente osmotico sufficiente per la fuoriuscita di acqua dalla
porzione discendente prossimale dell'ansa di Henle (4 nero), che invece è permeabile all'H2O;
2. Il riassorbimento di H2O ha luogo anche a livello del dotto collettore corticale (7) e midollare esterno (8),
per cui all’interno l’urea viene concentrata;
3. L’urea concentrata diffonde esternamente dalla porzione midollare interna del dotto collettore (9). Ciò
provoca un aumento della pressione osmotica interstiziale e il riassorbimento di acqua in corrispondenza
della porzione discendente sottile dell’ansa di Henle (4) e della porzione midollare interna del dotto
collettore (9). Alla fine, la concentrazione interstiziale di urea è maggiore rispetto a quella della porzione
sottile ascendente dell’ansa di Henle (5) e la concentrazione interstiziale di NaCl è inferiore rispetto a
quella della porzione sottile ascendente dell’ansa di Henle (5);
4. NaCl fuoriesce dalla porzione sottile ascendente dell’ansa di Henle (5) e allo stesso livello l’urea viene
riassorbita. Lo scambio però non è simmetrico essendo questa porzione molto sensibile a NaCl e meno
all’urea.
Al processo partecipano anche i vasa recta, che con la loro disposizione e per il fatto che attraversano
longitudinale l’interstizio midollare permettono di conservare l’ipertonia interstiziale.
Questo meccanismo è il bersaglio di alcuni farmaci9, cioè i diuretici, tra cui figura la furosemide. Questa
inibisce il riassorbimento di NaCl a livello della porzione spessa ascendente dell’ansa di Henle, quindi intacca
la prima fase del meccanismo, impedendo così la creazione di un gradiente massimale e favorendo la diuresi.

L’ormone antidiuretico (ADH)10, insieme al sistema renina-angiotensina-aldosterone, è uno dei principali


mediatori della risposta ad ipovolemia e ritenzione di Na+ e acqua. È secreto a livello ipotalamico (nuclei
sopraottico e paraventricolare) ed accumulato in granuli di secrezione. Il suo rilascio è stimolato dall’aumento
dell’osmolarità extracellulare (+++; la disidratazione delle cellule osmocettori ipotalamiche fornisce sia lo
stimolo della secrezione di ADH, sia quello della sete) e dall’ipovolemia (+; stimolazione dei barocettori
arteriosi/atriali). L’ADH ha diverse funzioni, mediate da differenti tipi di recettore11:
• V1a (IP3+DAG à Ca2+): media la riduzione della liberazione di renina, la glicogenolisi epatica, la
contrazione della muscolatura liscia vascolare, con aumento delle resistenze glomerulari in caso di
ipotensione. Va precisato che l’aumento pressorio è autolimitato dal riflesso barocettivo;
• V1b (IP3+DAG à Ca2+): presente sulle cellule corticotrope, causa il rilascio di ACTH;
• V2 (cAMP): localizzato sulle cellule principali nell’ultima porzione del tubulo distale e nel dotto collettore,
permette il riassorbimento di acqua.

8
N.d.s. Poiché la spiegazione del professore era troppo semplificata, al punto che avrebbe potuto generare confusione,
si è preferito riportare, rielaborandolo, il testo esplicativo presente nella diapositiva.
9
La terapia non è parte dell’esame in modo specifico, ma saranno comunque fatti alcuni cenni.
10
La trattazione dell’ADH sarà ripresa quando verranno discusse iponatriemia ed ipernatriemia in quanto è un ormone
chiave del metabolismo dell’acqua.
11
Le informazioni relative recettori non sono state menzionate dal docente e sono state integrate dalla slide presentata a
lezione.

5
Tramite un meccanismo cAMP-correlato, l’ADH stimola
l’esposizione di acquaporine a livello delle cellule luminali
del dotto collettore e quindi favorisce il riassorbimento di
acqua. Questo meccanismo molto importante fa parte della
risposta fisiologica e giustifica una serie di condizioni
patologiche. Si prenda in esempio il caso dell’iponatriemia,
che generalmente è ipervolemica, ma di cui esiste anche
una forma ipovolemica. Perché si sviluppa un’iponatriemia
ipovolemica? Il paziente è disidratato ed ipoteso, per cui si
attiva il sistema renina-angiotensina-aldosterone ed è
rilasciato ADH, il quale permette il riassorbimento di acqua.
Qualora il riassorbimento di acqua sia eccessivo rispetto
alla disponibilità di Na+, il paziente sarà ipoteso,
ipovolemico ed iponatriemico. Interrompendo l’ipovolemia
tramite idratazione con soluzione fisiologica, il processo si
arresta e l’iponatriemia si corregge senza bisogno di
somministrare soluzioni ipertoniche, infusione che è invece
necessaria nel trattamento di iponatriemie correlate a carenza di sale.
I recettori coinvolti in questo meccanismo sono il target dei vaptani (es. Tolvaptan), farmaci che inibiscono
l’azione di ADH e determinano quindi un aumento della diuresi. Questo è sfruttato in diversi contesti clinici; in
particolare, in ambito nefrologico è impiegato per la terapia del rene policistico autosomico dominante (malattia
genetica più frequente in questo contesto), poiché tramite una diminuzione di cAMP intracellulare si verifica
una riduzione della crescita delle cisti.

FUNZIONI DEL RENE


Conoscere le funzioni renali permette di comprendere quanto accade nel paziente con insufficienza renale, il
quale va incontro ad una perdita progressiva di queste funzioni, sino alla loro completa scomparsa
nell’insufficienza renale terminale. Le funzioni del rene sono:
• Funzione emuntoria, cioè di eliminazione dei cataboliti (urea, creatinina, acido urico, prodotti finali di
degradazione dell’emoglobina, metaboliti, ormoni) e delle sostanze esogene (farmaci e additivi alimentari).
Nei pazienti con insufficienza renale si verifica un accumulo di queste sostanze; per evitare questo
fenomeno, alcuni farmaci devono essere somministrati a dose ridotta;
• Funzione omeostatica, cioè di regolazione dell’equilibrio idrico, del bilancio elettrolitico, dell’equilibrio
acido-base e della pressione arteriosa. Nei pazienti con insufficienza renale non si ha una corretta gestione
dell’acqua, per cui si osservano edemi (tendenzialmente si ha ritenzione idrica), e si possono verificare
anomalie elettrolitiche, quali ipo e ipernatriemie, ma soprattutto iperpotassiemia, che è il disordine
elettrolitico più importante. Inoltre, questi pazienti presentano acidosi metabolica e ipertensione arteriosa;
• Funzione ormonale, cioè produzione di eritropoietina (ormone eritropoietico), attivazione della vitamina
D con produzione di 1,25-diidrossicolecalciferolo (metabolismo calcio-fosforo), produzione di renina e
prostaglandine (regolazione di pressione arteriosa e flusso ematico). A causa della ridotta produzione di
eritropoietina, i pazienti con insufficienza renale cronica possono essere anemici12; per mantenere i valori
di emoglobina entro range accettabili, tale ormone viene somministrato. Inoltre, per via della carenza di
vitamina D si verificano alterazioni del metabolismo calcio-fosforo, con insorgenza di calcificazioni
vascolari13, che sono una delle componenti alla base dell’aumentato rischio cardiovascolare nei pazienti
con insufficienza renale cronica14. Infatti, questi muoiono a causa di malattie cardiovascolari. L’alterazione
nella produzione di prostaglandine e renina genera causa ipertensione arteriosa.

12
Il discorso dell’anemia è in realtà complesso e non può essere ridotto alla sola questione della carenza di eritropoietina!
13
La presenza di calcificazioni vascolari è una tra le complicanze più frequenti in questo contesto. Valutando radiografie
e TC di questi pazienti si osservano calcificazioni anche a carico dell’aorta, poiché si verifica una sorta di migrazione del
calcio dalle vertebre all’aorta.
14
Questo concetto sarà ripreso durante la trattazione della malattia renale cronica.

6
SEMEIOTICA NEFROLOGICA
SEMEIOTICA CLINICA15
Clinicamente è significativo determinare lo stato volemico del paziente, quindi rilevare eventuali condizioni di
disidratazione o sovraccarico idrico16.
Un quadro di sovraccarico idrosalino è caratterizzato da17:
• Pressione arteriosa elevata (ipertensione arteriosa);
• Frequenza cardiaca elevata (tachicardia), poiché il paziente è scompensato;
• Ortopnea e dispnea parossistica notturna, che derivano dalla ridistribuzione dei flussi ematici a livello
polmonare. In pratica, quando è disteso, il paziente è dispnoico a causa di stasi a livello interstiziale
alveolare. Inoltre, riferisce di dover dormire con più cuscini (2 o 3) e di aver bisogno di alzarsi per respirare
meglio e per andare alla finestra. Questi segnali sono importanti e non devono essere sottovalutati;
• Edemi declivi, cioè accumulo di liquidi nello spazio interstiziale,
nel terzo spazio. Gli edemi si identificano per mezzo di
digitopressione in un’area cutanea con resistenza (es. regione
pretibiale e piede): in presenza di edema, si osserva il segno
della fovea, cioè un’invaginazione cutanea (vedi immagine a
lato). Gli edemi devono essere ricercati laddove è presente
gravità, per cui se il paziente è in piedi o in posizione seduta si
osservano a livello delle gambe in sede tibiale o del piede, nel
paziente allettato (che spesso presenta le gambe rialzate) in
regione glutea, femorale e lombare e nei casi estremi di pazienti
con decubito preferenziale da un lato sono visibili nel lato sulla
metà corpo sulla quale sono girati;
• Turgore della vena giugulare interna18, vaso che
normalmente dovrebbe presentare un turgore inferiore ai 3 cm. Se si verifica un
aumento si è in presenza di sovraccarico. In particolare, si osserva insorgenza di
turgore giugulare a seguito di una pressione esercitata a livello dell’ipocondrio
destro per circa 10 secondi. Nell’immagine è visibile un paziente seduto con
ossigeno e con evidente turgore della vena giugulare, quindi in stato di
sovraccarico idrosalino;
• Crepitazioni polmonari, correlate a stasi di liquido a livello interstiziale alveolare.
È possibile anche che si verifichi silenzio auscultatorio alle basi polmonari, in
associazione ad ottusità alla percussione, configurando una condizione di
versamento pleurico.
Ovviamente, oltre alla semeiotica clinica è possibile valutare ecograficamente la vena
cava, la cui dilatazione/distensione è indicativa di eventuale sovraccarico.

In caso di disidratazione si osservano:


• Secchezza cutanea e mucosale;
• Ipotensione ortostatica, cioè una riduzione della pressione arteriosa in ortostatismo superiore al 10%19,
accompagnata da tachicardia riflessa;
• Riduzione del turgore cutaneo, quindi la cute appare secca ed è sollevabile in pliche.
È importante riconoscere la disidratazione al fine di inquadrare un eventuale peggioramento della funzione
renale o un’alterazione elettrolitica, come l’ipernatriemia.

Si tenga presente poi che il malato uremico che deve iniziare il trattamento dialitico presenta un alito uremico
caratteristico, che può sviluppare pericardite e che all’auscultazione si evidenziano sfregamenti pericardici.

15
Il docente invita a sollecitare i tutor durante il tirocinio affinché forniscano suggerimenti per questi aspetti semeiotici.
16
Si tenga presente che l’ipovolemia può causare insufficienza renale acuta, mentre sia l’insufficienza renale acuta che
quella cronica possono determinare ipervolemia (questa nota, inserita per completezza, riporta il contenuto della nota n.10
a pagina 6 della prima sbobina dello scorso anno accademico).
17
Sono presenti anche altri segni oltre a quelli trattati, i quali saranno analizzati quando verranno affrontati i diversi stati
patologici.
18
I segni devono essere contestualizzati al fine di interpretare lo stato di idratazione! Infatti, il turgore giugulare può
verificarsi anche in caso di stenosi della vena cava superiore.
19
Fisiologicamente, con il passaggio in ortostatismo la pressione arteriosa si mantiene uguale o aumenta.

7
Inolte, spesso le malattie nefrologiche sono secondarie a malattie sistemiche immuno-mediate o
ematologiche; quindi, il malato presenta manifestazioni cliniche riferite alla sua condizione sistemica.20

SEMEIOTICA DI LABORATORIO
La funzione secretoria renale è valutata attraverso il dosaggio dell’azotemia (urea) e della creatininemia, la
stima del filtrato glomerulare e l’esame delle urine. In particolare, si determinano21:
• Funzione renale, tramite la valutazione di azotemia e creatininemia;
• Quadro elettrolitico, mediante la valutazione di Na+, K+, Ca2+, P, Cl- e HCO3-;
• Metabolismo minerale, attraverso la valutazione di Ca2+, P, 25-OH vitamina D, paratormone;
• Esame urine22, valutando glicosuria, proteinuria, ematuria ed effettuando urinocolture;
• Urine 24/h: clearance creatinina, proteinuria 24/h, albuminuria 24/h, calciuria 24/h, fosfaturia 24/h, sodiuria
24/h, cloruria 24/h. Nel paziente iperteso si valuta la sodiuria/24h, nel paziente con calcolosi renale in
corso è significativo lo studio di calciuria/24h e fosfaturia/24h. Bisogna istruire il paziente affinché la
raccolta delle urine delle 24h sia corretta. In particolare, la raccolta deve iniziare al mattino, scartando però
le prime urine, in quanto queste sono quelle della notte precedente, e si prosegue fino al mattino
successivo;
• Esami immunologici: ANA, ENA, anti-DNA, C3-C4, ANCA, crioglobuline, IgG, IgA, IgM,
immunofissazione siero-urine. Gli esami immunologici permettono l’inquadramento di alcune malattie
immuno-mediate, che sono una delle cause più frequenti di patologie glomerulari;
• Eritropoiesi, valutando emocromo, sideremia, transferrina, ferritina, acido folico, vitamina B12;
• Esami “speciali”23: diagnostica per malattie genetiche (pannelli di test genetici su polimorfismi “candidati”,
next generation sequencing), esami per immissione in lista trapianto…

Si riporta una tabella con i valori fisiologici24 di alcuni esami.

Azotemia 20-50 mg/dl


Creatinina Maschio 0,8-1,2 mg/dl
Femmina 0,6-1,0 mg/dl
Bambino 0,4-0,6 mg/dl
Clearance della Creatinina 90-140 ml/min
Acido Urico 2,4-6 mg/dl
Elettroliti sierici Sodio 135-145 mEq/l
Potassio 3,5-4,5 mEq/l
Cloro 95-110 mEq/l
Calcio 8,6-10,6 mg/dl
Fosfato 2,7-4,5 mg/dl
Magnesio 0,7-1,05 mEq/l
Bicarbonato (venoso) 25-26 mEq/l
ESAME URINE
Glucosio Assente
pH 5-6,5
Chetoni Assenti
Proteine Assenti
Emoglobina Assente
Bilirubina Assente
Nitriti Assenti
Esterasi leucocitarie Assenti
Peso specifico 1008-1030
Sedimento Nulla o <3 GR/campo

20
L’ultimo paragrafo non è stato trattato dal docente ed è stato integrato dalla prima sbobina dello scorso a.a. (pagina 7).
21
Ai fini dell’esame è necessario conoscere i valori fisiologici di tutto ciò che è sottolineato e in corsivo.
22
I nefrologi sono “fortunati” poiché hanno a disposizione un liquido biologico (l’urina) che proviene direttamente
dall’organo in studio; tuttavia, è necessario non confondere aspetti semeiotici di origine nefrologica con quelli di origine
urologica.
23
Il docente afferma che questi esami saranno analizzati nel dettaglio nelle lezioni dedicate.
24
I valori presenti in questa tabella sono stati reperiti dalla seconda pagina di “Appunti del tirocinio di Nefrologia”, un
documento consegnato durante il tirocinio presso l’U.O. di Nefrologia. Si sottolinea che alcuni valori sono leggermente
differenti rispetto a quelli forniti dal docente nella trattazione che segue e comunque riportati.

8
Azotemia (urea)
Un primo marcatore di funzione renale è l’azotemia, ossia la componente di azoto circolante. I valori normali
sono 22-46 mg/dl. È costituita per il 50% da azoto ureico e per il restante 50% da azoto non ureico (aminoacidi,
creatinina, etc.).
L’urea viene sintetizzata a livello epatico e la sua concentrazione dipende dal catabolismo proteico e
dall’eliminazione per via renale. Si sottolinea che l’urea è filtrata completamente dal glomerulo ed è in parte
riassorbita per diffusione nel tubulo prossimale e distale. L’urea aumenta in presenza di aumentato
catabolismo delle proteine endogene (es. malato neoplastico, terapia con corticosteroidi), aumentato apporto
proteico con la dieta e in caso di danno renale. Può essere un marcatore di insufficienza renale, pur non
essendo sempre così specifica e sensibile; comunque, in presenza di insufficienza renale in fase avanzata,
l’urea risulta sempre elevata. È uno dei marcatori surrogati impiegati per capire quante tossine il paziente stia
accumulando per via della disfunzione d’organo. Poiché con l’urea non è possibile quantificare con precisione
il grado di insufficienza renale o il grado di decurtazione di funzione renale, essa risulta essere un marcatore
aspecifico di insufficienza renale.

Creatininemia
La creatinina deriva dalla creatina di origine muscolare. È completamente filtrata dal glomerulo e non rè
iassorbita dal tubulo; una piccola quota, che aumenta all’aumentare della creatinina, è secreta nel tubulo
prossimale. I valori normali sono 0.8-1.3 mg/dl nell’uomo e 0.6-1.1 mg/dl nella donna.
La creatinina è un marcatore molto più sensibile e specifico di insufficienza renale e un suo rialzo si
associa a questa condizione. Inoltre, permette di stimare il filtrato glomerulare; in particolare, la
creatininemia aumenta quando il filtrato glomerulare scende sotto i 70 ml/min.

Esame delle urine25


Nella slide a fianco sono confrontati l’esame urine
normale e quello patologico. In un esame urine
normale, le urine appaiono di color giallo
paglierino, l’aspetto è limpido, la densità
(espressa in peso specifico) è compresa tra 1007-
1030 e il pH varia tra 4,5 e 8, più spesso acido. Le
proteine sono comprese tra 2 e 150 mg, mentre il
glucosio, l’emoglobina, i corpi chetonici e i
nitriti sono assenti. L’urobilinogeno è presente
tra 0,5-2,5 mg e la bilirubina intorno a 0,02
mg/100 ml. Quelli appena descritti sono gli aspetti
chimico-fisici delle urine.
L’aspetto microscopico può essere valutato con
l’osservazione al microscopio, direttamente dai
medici in reparto per analizzare il sedimento
urinario oppure con un citofluorimetro, quindi in
automatico. L’esame microscopico serve a determinare quanti globuli bianchi, eritrociti, cellule epiteliali,
cilindri, cristalli e batteri sono presenti nelle urine. Generalmente, la presenza di un eccesso di una di queste
componenti è indicativa di patologia.
L’esame chimico delle urine si può effettuare
inviando il campione in laboratorio, dove viene
analizzato da macchinari dedicati, o impiegando
strisce reattive graduate. Queste ultime sono
sempre presenti in pronto soccorso e nei reparti e
sono impiegate nei turni in cui il campione non può
essere inviato in laboratorio. La procedura prevede
che vengano raccolte le urine, dopodiché si immerge la striscia per 30 secondi-2 minuti, si rimuove l’eccesso
di urina (posizione orizzontale) e infine si valuta il colore, confrontandolo con la scala presente sulla
confezione. Si deduce quindi quanto glucosio, quante proteine, quanti globuli rossi, etc. sono presenti. Questa
non è sempre una modalità precisa e agevole, ma può rispondere ad alcune domande. Ad esempio, se di
domenica si presenta un malato con insufficienza renale acuta non disidratato, si effettua questo test. Qualora
si ricontrassero proteine ed eritrociti, si potrebbe ipotizzare la presenza di una glomerulonefrite come causa
dell’IRA.
È importante soffermarsi sulla fase preanalitica, cioè sulla raccolta del campione. Le analisi di routine, le analisi
microbiologiche e quelle quantitative delle urine vengono effettuate sulle urine del primo mattino, raccolte dopo

25
Diversi concetti saranno ripresi nella trattazione delle patologie, tra cui le glomerulonefriti.

9
l’eliminazione del primo mitto, poiché questo “lava” le vie urinarie non sterili. Più tempo passa tra la raccolta
e l’analisi del campione, più questo subisce degradazione: si verificano proliferazione batterica, produzione di
ammonio, consumo di glucosio da parte dei batteri, deterioramento dei cilindri e di componenti cellulari. Il
campione di urina deve essere analizzato entro un paio di ore dalla raccolta, altrimenti deve essere refrigerato.

Quantità delle urine


Informazioni relative alla quantità delle urine si ottengono nel caso di malati che effettuano la raccolta delle
urine delle 24 ore e di malati ricoverati, in cui la diuresi è monitorata attraverso catetere vescicale o altri presidi.
Il paziente può essere:
• Poliurico, se urina più di 2 litri al giorno26;
• Oligurico, se urina meno di 0,5 litri al giorno;
• Anurico, se non urina per nulla o meno di 100mL nelle 24 ore.

Torbidità
Le urine devono essere limpide. Tra le condizioni che causano torbidità figurano:
• Infezioni delle vie urinarie, con presenza di batteri, pus, muco o nitriti;
• Presenza di fosfati, elemento non patologico.
Il primo sospetto in caso di urine torbide è la presenza di un’infezione delle vie urinarie.

Colore ed ematuria
Il normale colore delle urine è il giallo paglierino, più o meno carico a
seconda dell’idratazione, ed è dovuto alla presenza di un pigmento,
l’urocromo, la cui concentrazione è proporzionale al metabolismo basale. In
particolare, aumenta in situazioni quali febbre, digiuno, ipertiroidismo, e
diminuisce con l’aumento della diuresi. Altri pigmenti (urobilina e urocetrina)
sono presenti in minor concentrazione. Il colore va sempre osservato nelle
urine fresche, poiché con il tempo tendono a scurire leggermente.
Variazioni cromatiche sono espressione di patologie. In particolare, le urine
che appaiono di colore rossastro (dal rosso vivo al marrone) possono essere
riconducibili ad ematuria. L’ematuria può avere diverse origini:
• Urologica, le urine sono di color rosso vivo e l’ematuria è presente in
modo variabile da una minzione all’altra;
• Nefrologica, le urine sono più scure, di color marrone, e la caratteristica
cromatica rimane costante in tutte le minzioni, con tendenza a regredire in modo lento e graduale nell’arco
di più giorni. L’ematuria nefrologica è l’espressione di un processo infiammatorio glomerulare molto
importante e allarmante.
Le urine possono essere rosse anche per la presenza di emoglobina (emoglobinuria: positività per
emoglobina, negatività per i globuli rossi) o mioglobina (mioglobinuria). Questo si verifica, rispettivamente, in
caso di emolisi e di rabdomiolisi, cioè lisi muscolare (su base traumatica, infiammatoria o autoimmune). Ciò
permette non solo di fare diagnosi, ma anche di osservare l’espressione di un potenziale rischio di tossicità
tubulare, legata alla presenza di emoglobina o mioglobina. Più rararamente le urine appaiono rosse in
relazione all’assunzione di determinati farmaci o di particolari alimenti (es. carote rosse).
La colorazione è associata a diverse condizioni patologiche27:
• Rosso/rosa: associato a condizioni di ematuria;
• Rosso scuro: associato a ematuria o emoglobinuria, farmaci (es.
rifampicina), alimenti (barbabietole, more, bacche, coloranti
alimentari);
• Giallo/verde: per aumento di bilirubina coniugata o presenza di
pigmenti biliari;
• Marsala: per aumento di bilirubina, malattie infettive, itteri;
• Nero: associato ad anemie emolitiche con emoglobinuria, sangue, melanina;
• Bianco: associato alla presenza di pus.

Peso specifico, o densità


Il peso specifico è normalmente compreso fra 1015 e 1025; più un malato è idratato più il peso specifico è
basso, più è disidratato più questo è alto.

26
Quando parleremo di insufficienza renale acuta su base tubulare, vedremo che nella fase di recupero si ha rigenerazione
parziale del tubulo, per cui i malati tendono ad essere poliurici.
27
Per completezza si inserisce in corsivo quanto presente nella diapositiva del docente ma non citato durante la trattazione.

10
Si identificano delle condizioni patologiche:
• Isostenuria, cioè incapacità del rene di concentrare le urine. Si osserva in corso di insufficienza renale
cronica, in associazione con poliuria e nicturia, o in caso di patologie tubulo-interstiziali28. La
concentrazione delle urine è compresa tra 1010 e 1015, che è la stessa concentrazione che si ha nel
sangue sangue;
• Ipostenuria, strettamente associata al diabete insipido, è caratterizzata da una mancata produzione (nel
caso di diabete insipido ipofisario) o insensibilità (nel caso del diabete insipido nefrogeno) all’ormone
antidiuretico, cosa che determina una diuresi carica d’acqua con incapacità di concentrare le urine. La
concentrazione delle urine intorno a 1001-1002 e associazione con la poliuria.

Reazione
Normalmente il pH delle urine è acido, compreso tra 5 e 7, ma può diventare alcalino in corso di insufficienza
renale cronica per deficit dei processi di acidificazione o in caso di infezioni da parte di microrganismi che
convertono l’urea in ammoniaca.

Costituenti patologici
Glicosuria
Il glucosio è un costituente patologico che non
dovrebbe mai trovarsi nell’esame delle urine; quando
vi si trova indica una condizione patologica o
l’espressione dell’utilizzo di certi farmaci antidiabetici
e nefroprotettivi che hanno come meccanismo
l’inibizione dell’assorbimento di glucosio. La prima
domanda da porre a un malato che presenta
glicosuria è se assume uno di questi farmaci e se la
risposta è negativa ci si trova in una condizione
patologica. La glicosuria si presenta solitamente in
corso di diabete molto scompensato, quando la
capacità di assorbimento tubulare-renale viene a
essere superata: il rene è in grado di riassorbire
glucosio fin quando la glicemia si trova intorno a 180-200 mg/dl; quando la glicemia supera questi valori questa
capacità di riassorbimento è persa e il glucosio passa nelle urine. Si può avere glicosuria anche in caso di
infarto del miocardio e in corso di terapia con steroidi, a causa dell’elevata glicemia presente in queste
situazioni.
Il riassorbimento di glucosio avviene nel tubulo contorto prossimale, quindi, una patologia tubulare o un danno
tubulo-interstiziale che coinvolga il tubulo contorto prossimale può causare glicosuria. Esiste anche una
glicosuria su base genetica in cui il canale di riassorbimento non funziona a causa di un difetto genetico.
Quindi, nella maggior parte dei casi, sarà il diabete a dare glicosuria, ma questa potrebbe anche essere
determinata da una patologia tubulo-interstiziale renale acuta a prevalente coinvolgimento del tubulo contorto
prossimale. Questa condizione, nota come Sindrome di Fanconi, si può verificare in alcune neoplasie
patologiche, in cui il danno da parte delle catene leggere prodotte in eccesso in corso di mieloma è prevalente
a livello del tubolo contorto prossimale, zona che riassorbe le catene leggere; questo determina glicosuria.
La presenza di glicosuria facilita, inoltre, l’infezione urinaria.

Corpi chetonici
Sono solitamente espressione di digiuno quando presenti nelle urine.

Bilirubina29
Quando si trova nelle urine è indicazione di un’interruzione della circolazione enteroepatica. È giallo-rossa,
prodotta dal catabolismo dell’emoglobina ed esiste nel sangue in forma coniugata (solubile in acqua) e non
coniugata. Normalmente viene escreta nell’intestino, attraverso le vie biliari, e in esso viene catabolizzata a
urobilinogeno. Una piccola parte di urobilinogeno è riassorbita nella circolazione portale, ritorna al fegato e
viene riescreta nella bile.

28 La prof.ssa Mescia parlerà di nefropatie tubulo-interstiziali acquisite ereditabili. Queste si possono manifestare con

isostenuria perché la porzione tubulo interstiziale renale deputata alla concentrazione delle urine perde questa sua
capacità.
29
Gli argomenti successivi sono stati integrati con concetti presenti nelle diapositive ma non citati dal docente.

11
Urobilinogeno30
Nelle urine è un’indicazione di una condizione di emolisi o patologia epatica. L’urobilinogeno è un prodotto
di trasformazione dei batteri intestinali della bilirubina coniugata, così come lo stercobilinogeno e il
mesobilirubinogeno. Questi composti vengono secreti dal fegato nell’intestino e vanno incontro a ossidazione
batterica. Una piccola quota di questi prodotti è riassorbita ed eliminata con le urine in tracce (minor significato
diagnostico rispetto alla bilirubina). I valori di urobilinogeno normali sono compresi tra 0,5 e 2 mg/dl.

Nitriti
Normalmente non devono essere presenti nelle urine e quando lo sono indicano solitamente la presenza di
infezioni delle vie urinarie. Questo è dovuto al fatto che il 90% dei microorganismi31 che causano queste
infezioni sono in grado di ridurre i nitrati urinari in nitriti, i quali diventano dunque un indizio di batteriuria. Il
dosaggio dei nitriti è disponibile su strip e si basa su una diazoreazione con produzione di sali rossi. Nel 10-
15% dei casi sono stati trovati dei falsi negativi, mentre un’intensa ematuria può ostacolare la lettura del test.

Esterasi leucocitaria
Le esterasi leucocitarie sono enzimi che si trovano nei granuli dei neutrofili, cellule che possono essere
rilasciate nelle urine. C’è dunque una correlazione tra il numero di esterasi e di neutrofili presenti nel sedimento
urinario. Quindi, ciò indica la presenza di leucociti nelle urine e nella maggior parte dei casi è espressione di
un’infezione o un’infiammazione delle vie urinarie. Un paziente con infezione delle vie urinarie tipicamente
presenta disuria, febbre, nitriti ed esterasi leucocitaria. Ci sono casi in cui è presente esterasi leucocitaria
senza però una patologia infettiva e questo è il caso della piuria sterile, espressione di nefropatie tubulo-
interstiziali, patologie infiammatorie in cui si osserva una perdita di globuli bianchi nelle urine, una positività
delle esterasi leucocitaria e un’assenza di infezione.

Emoglobina e mioglobina
Quando il malato ha urine rosse contenenti emoglobina e globuli rossi si troverà in una situazione di ematuria,
che può essere urologica o nefrologica a seconda di alcune caratteristiche descritte precedentemente. Se
invece il malato presenta urine rosse contenenti emoglobina ma non globuli rossi, significa che perde
emoglobina dal sangue alle urine e la condizione è causata dall’emolisi. Quindi, malattie emolitiche possono
causare questo quadro; ciò è importante perché alcune di queste malattie causano insufficienza renale acuta
attraverso vari meccanismi, tra cui la tossicità dell’emoglobina a livello tubulare. Così come l’emoglobina,
anche la mioglobina è tossica e questo si vede durante il danno muscolare, ad esempio, nel corso della
rabdomiolisi. L’emoglobina, dunque, può essere presente nelle urine a causa di patologie renali, calcoli
renali, tumori vescicali, traumi di rene, vescica e uretra.

Proteinuria
È un parametro di fondamentale importanza ed in condizioni fisiologiche, assume valori di 100-300 mg nelle
24 ore. L’esame urine (estemporaneo) offre come risultato una concentrazione di proteine ed è fortemente
influenzato dal fatto che le urine sono più o meno concentrate. La determinazione quantitativa della
proteinuria nelle 24 ore (per identificare le proteinurie patologiche), invece, è ottenuta rapportando la
proteinuria alla creatininuria o facendo effettuare al paziente la raccolta delle urine nelle 24 ore. È quindi
importante spiegare al paziente come eseguire correttamente questa raccolta, per evitare che venga svolta in
modo anomalo e mostri un dato di proteinuria delle 24 ore alterato. Bisogna ricordare che, quando si valuta
un esame urine estemporaneo, la proteinuria è una concentrazione e non corrisponde alla proteinuria delle 24
ore.
La proteinuria fisiologica è influenzata da:
• Integrità della barriera di filtrazione glomerulare;
• Capacità di riassorbimento tubulare32;
• Quantità di proteina prodotta (solo per certe proteine);
• Capacità di filtro del glomerulo33.
La proteinuria può essere a basso o alto peso molecolare: la proteinuria espressione di un danno
glomerulare è costituita per la maggior parte da albumina; invece, quella a basso peso molecolare è più spesso

30
Aspetto utile nel completamento del quadro diagnostico ma collaterale: non è la sola presenza di urobilinogeno urinario
a determinare diagnosi di emolisi.
31
Gram-negativi come E. coli formano nitriti, gli enterococchi non li formano mentre lo stafilococco albus è variabile (nds:
la diapositiva del docente riporta il termine albus, sebbene non siano stati trovati altri riferimenti).
32
La maggior parte delle proteine ultrafiltrate dal glomerulo sono riassorbite dal tubulo con un processo saturabile (se
viene saturata la capacità di riassorbimento si ha proteinuria) e si ritrovano nel tessuto interstiziale.
33
Il passaggio attraverso la parete capillare è legato a un processo di ultrafiltrazione in rapporto alla grandezza dei pori
della membrana basale e a interazione elettrostatica (membrana basale carica negativamente, proteine cariche
positivamente).

12
indicativa di una proteinuria tubulare. In particolare, le proteine a basso peso molecolare sono filtrate
interamente dal glomerulo, quindi, un danno tubulare causa una proteinuria lieve, a basso peso molecolare.
Ciò si osserva tramite l’elettroforesi delle proteine urinarie oppure dosando proteinuria e albuminuria e notando
che la maggior parte della proteinuria è composta da proteine e non albumina. Inoltre, sono possibili proteinurie
asintomatiche non associate a patologia renale quali: proteinuria ortostatica, da sforza e febbrile. In questi casi
il valore non supera i 500 mg e la proteinuria è composta principalmente da albumina e può essere costante
o intermittente.

Urinocoltura
L’urinocoltura è importante nei pazienti dove si sospetta una infezione delle vie urinarie, la raccolta dei
campioni di urinocoltura deve essere preparata con un lavaggio accurato dei genitali esterni e il soggetto deve
raccogliere la fase centrale della minzione. È presente un cut-off che determina che l’urinocoltura è positiva,
e quindi patologica, quando il numero dei germi è superiore a 100.000 colonie per ml di urine34: se si è molto
al di sotto di tale valore l’urinocoltura è negativa, ma se ci trova tra 10.00035 e 100.000 questi sono considerati
valori “grigi”, in cui bisogna valutare caso per caso i sintomi del paziente o ripetere l’urinocoltura. Importante è
effettuare l’antibiogramma per capire, qualora l’urinocoltura fosse positiva, quali germi hanno causato
l’infezione.

SEMEIOTICA STRUMENTALE
Valutare la morfologia renale è fondamentale. Questo può essere fatto con le tecniche di imaging, che insieme
a creatinina ed esami delle urine sono tra gli elementi indispensabili che permettono al nefrologo di fare
diagnosi. Oltre all’ecografia e all’ecocolordoppler sono importanti anche la TC, con o senza mezzo di
contrasto iodato, e la risonanza, con o senza mezzo di contrasto36. Altre metodiche meno utilizzate sono:
scintigrafia, che serve per capire se il rene presenta cicatrici, e il grado di filtrazione renale, che è utile per
valutare se i reni funzionano, se uno funziona meglio dell’altro o se uno non funziona.

Ecografia
Questa procedura è ampiamente utilizzata per valutare se i
reni dei pazienti sono normali o meno e per effettuare biopsie
renali. All’ecografia il rene appare come una struttura
ipoecogena nella regione della corticale e iperecogena
nella porzione della pelvi, dove si trovano anche i vasi e il
grasso, che riflette molto gli echi.
Nell’immagine a lato si vede l’ecografia di un rene normale:
si notano la corticale (ipoecogena) e l’area della pelvi
(iperecogena). Purtroppo, in questa immagine non è
possibile apprezzare il fatto che all’interno della corticale vi
sono delle aree di forma triangolare più ipoecogene, che
altro non sono che le piramidi.
Le dimensioni normali di un rene si attestano tra i 10 e i 13
cm.

34
Se la carica batterica è superiore a 100000 si ha l’85% di probabilità di infezione, che sale a 99% se l’urinocoltura è
ripetuta su due campioni.
35
Una carica batterica inferiore a 10.000 indica contaminazione.
36
L’utilizzo di mezzi di contrasto è sconsigliato per eGFR (Estimated Glomerular Filtration Rate) < 30 ml/min.

13
In un paziente con insufficienza renale, l’ecografia permette di capire se questa è su base ostruttiva o meno:
se all’ecografia si nota un aspetto simile a quello della figura a destra, cioè si osservano un aumento
volumetrico dei reni e una dilatazione dei calici37, significa che il paziente ha un’insufficienza renale su base
ostruttiva.

Inoltre, l’ecografia permette di rilevare la presenza di anomalie anatomiche, come i calcoli. Nell’immagine a
sinistra si nota proprio un calcolo (indicato dalla freccia), che essendo costituito da calcio riflette gli echi e crea
un cono d’ombra posteriore. Nell’immagine a destra si osserva la presenza di una massa renale.

Le cisti si riconoscono perché c’è un minimo di rinforzo di parete posteriore e sono un poco iperecogene.

TC
Permette una migliore definizione anatomica rispetto all’ecografia, ma
non necessariamente fornisce più informazioni di questa, che è da
preferire per quanto riguarda la valutazione della morfologia renale e
dello spessore corticale.
È possibile utilizzare il mezzo di contrasto iodato, il quale permette di
ottenere informazioni aggiuntive ma può essere nefrotossico, motivo
per cui bisogna essere cauti nell’indicazione a questo tipo di indagine
diagnostica.
Nell’immagine a lato si osserva l’addome di un paziente sezionato con
i piedi verso di noi. Si possono distinguere il fegato, la colecisti, l’aorta,
la cava, il pancreas, una vertebra e i reni.

37
A differenza delle cisti, i calici appaiono uno confluente nell’altro.

14
Risonanza magnetica
La risonanza magnetica permette di valutare
elementi in più38. Al contrario della TC, la testa
del paziente è rivolta verso di noi.

DETERMINAZIONE DEL FILTRATO GLOMERULARE39


REAZIONE ALL’IPOPERFUSIONE RENALE
Nell’immagine a lato si possono riconoscere il glomerulo,
l’arteriola afferente, l’arteriola efferente, i capillari, il mesangio,
l’endotelio fenestrato, la membrana basale, i processi
pedicillari dei podociti e l’apparato iuxtaglomerulare.
Il sistema glomerulare ha nel tono muscolare delle due
arteriole, che è regolato dall’apparato iuxtaglomerulare, uno
dei principali determinanti della pressione di filtrazione
glomerulare. In particolare, la macula densa rileva quanto
Na+ è presente nel tubulo contorto distale e, sulla base di
questa informazione, stimola o meno la produzione di renina
a livello del mesangio extraglomerulare. Se a livello della
macula densa giunge tanto Na+, il dato viene interpretato
come una situazione di iperfiltrazione, per cui la macula densa
stimola la contrazione dell’arteriola afferente e si ha un
aumento della pressione di filtrazione glomerulare. Se alla
macula densa arriva poco Na+, viene stimolata la dilatazione
dell’arteriola afferente per ridurre la pressione di filtrazione
glomerulare.
La produzione di renina è stimolata anche dalle cellule iuxtaglomerulari, che “capiscono” quanto sangue arriva
al glomerulo in base al tono e allo stiramento dell’arteriola afferente, e del SNA ortosimpatico, che sulla base
degli stessi determinanti rileva anch’esso quanto sangue arriva e che se direttamente stimolato
dall’ipotensione o dall’ipovolemia va a sua volta a stimolare il mesangio extraglomerulare. Nel dettaglio,
l’ipoperfusione renale, che è conseguenza dell’ipotensione e dell’ipovolemia, determina lo stiramento
dell’arteriola afferente e una riduzione della delivery di NaCl alla macula densa: questi due fenomeni stimolano
il rilascio di renina. La renina converte l’angiotensinogeno in angiotensina I, la quale viene trasformata in
angiotensina II da parte dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE). L’angiotensina II ha una serie di
effetti:
• Determina un aumento della pressione arteriosa attraverso vasocostrizione periferica;
• Stimola un ulteriore rilascio di renina;
• Attiva il sistema dell’aldosterone, che fa riassorbire Na+ a livello del dotto collettore;
• Stimola l’ormone ADH.

38
Questo argomento sarà trattato successivamente durante il corso.
39
Paragrafo elaborato con i contenuti delle slides e della sbobina dell’anno accademico precedente.

15
L’obiettivo del rene è mantenere un normale filtrato glomerulare (90-120 ml/min). Se si verifica una riduzione
del filtrato glomerulare, come nel caso di ipoperfusione renale, per aumentarlo sono attivati i meccanismi
sopracitati. Questi determinano la dilatazione dell’arteriola afferente, la costrizione dell’arteriola efferente e un
aumento della pressione di filtrazione glomerulare. Se il rene deve ridurre la filtrazione glomerulare, come nel
caso di una crisi ipertensiva40, si verifica una costrizione dell’arteriola afferente e/o una dilatazione dell’arteriola
efferente. Tutto questo è regolato da ormoni e dal sistema renina-angiotensina-aldosterone.

DETERMINAZIONE DEL FILTRATO GLOMERULARE


Nella pratica clinica, la determinazione del filtrato glomerulare di un malato serve per stabilire lo stadio di
insufficienza renale, per aggiustare le terapie (in particolare, il dosaggio di alcuni farmaci deve essere ridotto
nei nefropatici) e per quantificare il grado di compromissione renale.
La determinazione del filtrato glomerulare può essere fatta con 3 modalità:
• Valutazione della creatinina;
• Valutazione della clearance della creatinina;
• Stima del filtrato attraverso formule.

Creatinina
La creatinina è un prodotto del catabolismo muscolare, è liberamente filtrata a livello glomerulare e in piccola
quota (10-40%) viene secreta a livello tubulare. Se un malato ha insufficienza renale, la creatinina è sempre
alta; tuttavia, come valore assoluto, la creatinina non permette la stima del filtrato glomerulare! Ad esempio,
se un paziente ha 3 mg/dl di creatinina, non è possibile affermare con certezza che questo dato corrisponde
ad un preciso valore di filtrato (es. 20 ml/min). I valori normali di creatinina nel sangue sono 0.8-1.3 mg/dl
nell’uomo e 0.6-1.1 mg/dl nella donna.
Per valori di filtrato glomerulare superiori a 60 ml/min, il rapporto creatinina-filtrato glomerulare è più o meno
lineare, cioè un raddoppio della creatinina corrisponde all’incirca ad un dimezzamento del filtrato glomerulare.
Sotto i 60 ml/min la relazione diventa esponenziale. Ad esempio, se un malato passa da 1 mg/dl a 2 mg/dl di
creatinina e presenta un filtrato di 80-85 ml/min, si può ritenere che a questo raddoppio della creatinina
corrisponda un dimezzamento del filtrato. Se il malato passa da 7 mg/dl a 8 mg/dl di creatinina, all’aumento
della creatinina corrisponde a una riduzione di filtrato di molto minore.
Inoltre, la creatinina è espressione delle masse muscolari, motivo per cui quando si valuta un paziente bisogna
considerare anche questo aspetto; infatti, si possono verificare condizioni in cui pazienti con masse muscolari
nettamente diverse hanno la stessa creatininemia. Ad esempio:
• Un ragazzo che fa molta attività fisica e con buona massa muscolare ha 1,4 mg/dl di creatinina, ma la sua
funzione renale è normale;
• Un’anziana signora che pesa 45 kg ha 1,4 mg/dl di creatinina. In questo caso, tale valore corrisponde ad
un quadro di insufficienza renale.
Quindi, una creatininemia normale o non significativamente aumentata rispetto ai valori di norma potrebbe
essere già di per sé espressione di un’insufficienza renale; viceversa, una creatininemia ai limiti superiori di
norma o anche leggermente superiore potrebbe essere espressione di una normale funzione renale (come
nel caso del ragazzo). Bisogna essere cauti nell’interpretazione dei valori di creatininemia!

40
Per proteggersi dalla pressione arteriosa troppo elevata, il rene riduce la filtrazione glomerulare.

16
Clearance della creatinina
Fornisce più informazioni rispetto alla sola creatinina ed è la modalità più utilizzata nella pratica clinica poiché
permette la migliore approssimazione della velocità di filtrazione glomerulare.
La clearance è un parametro che indica il volume di plasma che in una determinata unità di tempo viene
depurato da una certa sostanza (in questo caso la creatinina) ed è espressa in ml/min. La clearance della
creatinina può essere calcolata con una formula: la concentrazione urinaria della creatinina (creatininuria)
viene moltiplicata per il volume di urina espresso in ml/min e il tutto è diviso per la concentrazione plasmatica
della creatinina. Per determinare la clearance della creatinina è necessario che il paziente raccolga le urine
delle 24 ore e che si sottoponga ad un prelievo di sangue al termine o durante il periodo di raccolta. Questo
processo ha dei limiti: il malato potrebbe avere dei problemi nell’effettuare la raccolta delle urine (es.
incontinenza, dimenticanze, ecc.) e si ha una sovrastima del filtrato (1,1-1,2 volte la clearance dell’inulina)
poiché parte della creatinina è secreta a livello tubulare. Il risultato va quindi interpretato.
Per calcolare il filtrato glomerulare sarebbe preferibile utilizzare una sostanza diversa dalla creatinina proprio
perché essa è in parte secreta a livello tubulare; inoltre, tale secrezione aumenta con il peggiorare della
funzione renale, con conseguente incremento della sovrastima della clearance della creatinina e quindi del
filtrato. Una sostanza ideale da impiegare a questo scopo deve essere liberamente filtrata dal glomerulo, il
quale deve essere anche l’unica via di eliminazione della sostanza (assenza di secrezione tubolare), non deve
essere riassorbita, non deve essere tossica e deve essere facilmente misurabile. Esistono varie sostanze che
in linea teorica possono essere utilizzate, che però sono impiegate solo a scopo di studio; tra queste figurano
l’inulina (gold standard), i radioisotopi marcati (51Cr-EDTA), l’iotalamato e la cistatina C.

Formule per calcolare il filtrato glomerulare


Sono dei metodi impiegati più di routine nella pratica clinica e permettono di predire la clearance della
creatinina (CC) a partire dalla creatininemia. Utilizzano:
• L’etnia del paziente;
• La creatinina;
• Il peso;
• Il sesso.

Formula di Cockcroft and Gault:


CC=(((140-età) x peso (kg)/72 x creatinina (mg/dl)) x 0,85 (femmine).

La formula attualmente più utilizzata nella pratica clinica è quella di CKD-EPI.

Va precisato che queste formule sono applicabili esclusivamente allo stato di equilibrio, cioè quando la
funzione renale è stabile, quindi non si possono utilizzare in caso di insufficienza renale acuta. Un altro
problema è il fatto che la creatinina plasmatica può oscillare in base alla dieta, in particolare in seguito
all’assunzione di proteine (> 80% dopo aver assunto 300g di carne). Inoltre, in caso di esercizio intenso si può
verificare un aumento (14%) della creatininemia, con sottostima del filtrato attraverso le formule. È poi difficile
predire la massa muscolare in certe categorie di pazienti, come edematosi, ascitici, obesi e donne in avanzato
stato di gravidanza. Esistono anche dei farmaci inibenti la secrezione tubulare che possono aumentare la
creatininemia.

Riassumendo, esistono tre metodi per calcolare il filtrato glomerulare: creatininemia, clearance della creatinina
e le formule. In particolare, la creatininemia permette di stabilire se il malato è in insufficienza renale o meno,
la clearance della creatinina è un metodo più preciso ma ha limiti importanti, le formule sono più utilizzabili
nella pratica clinica ma gravate da vari limiti.

17
INSUFFICIENZA RENALE ACUTA (IRA) - ACUTE
KIDNEY INJURY (AKI)41
INSUFFICIENZA RENALE ACUTA
L’insufficienza renale acuta, più correttamente detta danno renale acuto (dall’inglese acute kidney injury), è
una riduzione (spesso) reversibile della funzione renale e quindi del filtrato glomerulare. È caratterizzata da
rialzo della creatininemia e dell’azotemia e da riduzione della diuresi. In una fase estremamente iniziale
di IRA è possibile che non vi sia rialzo della creatinina; infatti, questa richiede qualche giorno (in genere 3) per
raggiungere il plateau e per arrivare alla condizione in cui la ridotta eliminazione renale si equilibra con la
produzione muscolare. Pertanto, è necessario dare molta importanza alla diuresi e alla valutazione clinica del
malato. Si prenda in esempio il caso di un paziente che viene sottoposto ad un intervento chirurgico molto
complicato e che si ipotende perché emorragico. Se al rientro dalla sala operatoria rimane anurico nonostante
le flebo, ciò significa che ha sviluppato un’IRA. La creatinina potrebbe essere normale o di poco aumentata
(es. 1,5-1,6 mg/dl), ma a mettere in allarme è l’assenza di diuresi.
L’IRA ha un’incidenza dell’1-5% (sottostimata) nei pazienti ospedalizzati e del 7-23% nei pazienti in terapia
intensiva. La mortalità totale è del 20-70%, con un ruolo importante della malattia sottostante nel determinare
la prognosi, e raggiunge l’80% nei pazienti in dialisi.
Esistono varie definizioni di insufficienza renale acuta: per alcuni si parla di IRA quando si ha un aumento della
creatininemia superiore a 0,5 mg/dl/die, per altri quando il raddoppio della creatininemia equivale a un
dimezzamento del filtrato glomerulare, per altri ancora quando la riduzione della funzione renale è tale da
richiedere la dialisi. Anche i parametri di oliguria (<400 ml/die) e anuria (<100 ml/die) aiutano nella definizione
di IRA.

CRITERI CLASSIFICATIVI RIFLE, AKIN, KDIGO E OUTPUT URINARIO42


RIFLE AKIN KDIGO OUTPUT URINARIO
Risk Stadio 1 Stadio 1 < 0,5 ml/Kg/h da 6-12h.
Aumento creatinina x1,5 Aumento creatinina per Aumento creatinina
oppure diminuzione 1,5-2 oppure aumento x1,5-1,9 oppure
GFR > 25%. >= 0,3 mg/dl. aumento crea >= 0,3
mg7dl.
Injury Stadio 2 Stadio 2 < 0,5 ml/Kg per >= 12h.
Aumento crea x2 oppure Aumento crea > x2-x3 Aumento crea x2-x2,9
diminuzione GFR > del valore basale. dal basale.
50%.
Failure Stadio 3 Stadio 3 < 0,3 ml/Kg/h per >=
Aumento crea X3 Aumento crea x3 oppure Aumento crea x3 oppure 24h o anuria per >= 12h.
oppure crea > 4mg/dl crea > 4 mg/dl oppure crea >= 4mg/dl oppure
oppure diminuzione paziente sottoposto a inizio CRRT.
GFR >75%. CRRT.
Loss
Perdita funzione renale
per > 4 settimane.
End stage kidney
disease (IRC)
Perdita della funzione
renale per > 3 mesi.

Grazie a questi criteri classificativi è possibile quantificare la severità dell’IRA. In AKIN e in KDIGO si valuta
l’aumento della creatininemia e si identificano 3 stadi della malattia. RIFLE è l’unico criterio che non propone
una stadiazione, ma i pazienti sono distinti in classi di severità (risk, injury e failure) in base all’aumento della
creatinina e in classi di outcome (loss e ESKD) in funzione del tempo che trascorrono in insufficienza renale.

41
Paragrafo elaborato con i contenuti delle slides e della sbobina dell’anno accademico precedente.
42
Il docente sottolinea che non è necessario ricordare tutti i cut off. Se proprio, suggerisce di imparare quelli di KDIGO.

18
EVOLUZIONE CLINICA
L’IRA può avere un’evoluzione clinica variabile. Nello schema si osservano un rene normale e un rene con
pregressa insufficienza renale cronica. Infatti, l’IRA può interessare anche un rene che presenta già IRC! Il
danno acuto può esitare in:
• Ripresa funzionale, cioè il malato recupera il livello di filtrato glomerulare che aveva in precedenza;
• Riparazione patologica, cioè rimane un danno irreversibile, quindi il malato presenta funzione renale
ridotta rispetto a quella di partenza;
• Morte renale, cioè il malato non recupera la funzione renale, quindi dipende dalla dialisi.

CLASSIFICAZIONE DELL’IRA IN BASE ALLE CAUSE DEL DANNO


Le cause del danno acuto possono essere:
• Pre-renale o funzionale: il rene funziona bene, le
vie urinarie sono pervie, ma arriva poco sangue
all’organo. È la causa più frequente (70-80% dei
casi) ed è caratterizzata da disidratazione ed
emorragia. È causata da tutto ciò che determina
ipoperfusione renale, la quale è seguita da una
diminuzione della pressione di filtrazione
glomerulare con un rialzo di azotemia e
creatininemia, quindi IRA;
• Renale o organica o parenchimale: arriva una
giusta quantità di sangue al rene, le vie urinarie
sono pervie, ma il rene non funziona bene. È la causa più problematica, ma è anche la meno frequente
(5-10% dei casi);
• Post-renale o ostruttiva: arriva una giusta quantità di sangue al rene, il rene funziona bene, ma il deflusso
delle urine è ostacolato, quindi si ha un’ostruzione. È la seconda causa più frequente (10-20% dei casi). Il
paziente ha problemi nell’eliminazione delle urine.

IRA post-renale/ostruttiva
È la più facile da diagnosticare, essendo sufficiente l’utilizzo di una sonda ecografica. Se in pronto soccorso
si presenta un malato con 3 mg/dl di creatinina e all’ecografia si osserva una dilatazione delle vie urinarie,
molto probabilmente egli è affetto da un’IRA su base ostruttiva. Tuttavia, spesso l’ecografia non identifica la
causa dell’ostruzione! Se il malato ha la vescica molto dilatata (globo vescicale), la causa più frequente è un
problema prostatico (nell’uomo) e il tutto si risolve inserendo un catetere. Invece, se la vescica si svuota bene
ed è il rene ad essere dilatato, la causa, che va indagata con una TC, può essere un calcolo, una neoplasia
retroperitoneale o fibrosi retroperitoneale.
L’IRA post-renale può essere classificata in:
• Intrinseca, a sua volta distinta in intraluminale (es. calcoli, coaguli) e intramurale (es. ipertrofia prostatica,
neoplasie delle vie urinarie);
• Estrinseca, l’uretere non è ostruito, ma è compresso dall’esterno. Le cause possono essere: tumori pelvici,
fibrosi retroperitoneale, legature accidentali, stenosi cicatriziali, anomalie congenite, come le valvole
dell’uretra posteriore, alterazioni funzionali, come ad esempio un reflusso vescico-ureterale43.

43
L’urina, per motivi spesso congeniti, talvolta acquisiti, confluisce dalla vescica all’uretere.

19
Nell’IRA ostruttiva si verifica un aumento di pressione all’interno delle vie urinarie, con conseguente aumento
di pressione della capsula di Bowman, cosa che ostacola la filtrazione glomerulare e determina un aumento
della creatinina e una riduzione della filtrazione glomerulare stessa.

Nell’immagine a fianco si può osservare che la pelvi renale è


dilatata. Se muovendo l’ecografo si nota che la pelvi e i calici
sono in continuità, è possibile escludere che la dilatazione sia
legata ad una cisti e si conclude che la causa è su base
ostruttiva.

Dalla TC si osservano il rene destro, che appare lievemente


dilatato, e il fegato. È improbabile che il paziente abbia un’IRA
poiché la dilatazione è lieve e l’altro rene è normale; di solito, in
un soggetto normo funzione, questo è sufficiente per garantire
solo un marginale peggioramento del filtrato. In presenza di IRA
si vedrebbe la pelvi dilatata in continuità con i calici.

20
Sbobinatore: 170/177
Revisore: 46/47
Materia: Nefrologia
Docente: Alberici Federico
Data: 07/03/2023
Lezione n° 2
Argomento: IRA, glomerulopatie

Comunicazioni: all’inizio della lezione il professore afferma di essere disponibile a chiarimenti sugli argomenti
spiegati nella lezione precedente
Riassunto/integrazione: nella prima lezione abbiamo affrontato l’insufficienza renale acuta post-renale, oggi,
invece, parliamo delle altre forme di insufficienza renale acuta, più complesse dal punto di vista clinico: la
forma pre-renale e la forma parenchimale.

INSUFFICIENZA RENALE ACUTA PRE-RENALE E


PARENCHIMALE
INSUFFICIENZA RENALE ACUTA PRE-RENALE
Come detto nella lezione precedente, il meccanismo fisiopatologico che causa il peggioramento della funzione
renale è una riduzione del flusso ematico a livello del parenchima renale. Questo porta ad una diminuzione
della pressione di filtrazione glomerulare con conseguente rialzo di azotemia e creatininemia, quindi IRA1.

L’IRA nella maggior parte dei casi (70-80%) è scatenata da un’ipoperfusione renale, che può essere causata
da:

• Ipotensione:
o Eventi ischemici cardiaci, IMA, sindrome coronarica acuta, disfunzione cardiaca
o Aritmie, una tachiaritmia sopraventricolare, una fibrillazione atriale ad alta risposta con conseguente
scompenso2;
o Shock, che può emorragico, settico (urosepsi severa);
• Ipovolemia:
o Emorragie,
o Disidratazione molto accentuata,
o Assunzione di farmaci, come FANS che riducono le prostaglandine renali dando vasocostrizione
dell’arteriola afferente e ipoperfusione, ACE inibitori che dilatano l’arteriola efferente, Sartani;
o Perdite di plasma, causate da ustioni o traumi estesi
o Sequestro di liquidi nel terzo spazio (ad esempio, edemi e cirrosi) 3.

Occorre ricordare che il rene attraverso dei


meccanismi regolatori (visti nella lezione precedente)
riesce a modulare il tono dell’arteriola afferente e
dell’arteriola efferente e, quindi, mantenere stabile il
filtrato glomerulare, quando i valori di pressione sono
compresi tra 60 e 180 mmHg.
Quando andiamo a valori superiori, si va incontro ad
una iperfiltrazione, quando si va a valori inferiori si
va incontro ad una riduzione del filtrato glomerulare;
questo porta a una riduzione della perfusione renale
e, quindi, una IRA su base pre-renale.

Nella figura qui accanto troviamo riassunti i complessi meccanismi patogenetici. Il sistema RAA 4 e l’ormone
antidiuretico sono fondamentali per regolare il tono dell’arteriola afferente ed efferente e il riassorbimento di

1
IRA, insufficienza renale acuta.
2
Integrato dalle sbobine dell’anno scorso.
3
Abbiamo una riduzione della volemia efficace, anche se nel complesso i pazienti sono ipervolemici.
4
Sistema Renina Angiotensina Aldosterone.

21
Na+ e di H2O a livello del sistema tubulare.
In caso di ipovolemia o ipotensione, da un lato
abbiamo l’alterazione dei sistemi che guidano il
riassorbimento di Na+ e H2O, dall’altra parte si ha
una vasocostrizione corticale-renale che determina
una riduzione del flusso ematico corticale, e di
conseguenza una riduzione del filtrato glomerulare,
che porta ad oliguria.
La vasocostrizione corticale renale porta anche
all’aumento del flusso ematico midollare che
favorisce il riassorbimento di acqua e sale, assieme
ai meccanismi ormonali già spiegati. Il risultato è,
infine, che in caso di ipoperfusione renale (indotta da
varie cause: ipotensione, disidratazione, emorragia),
fisiologicamente si ha una contrazione della diuresi e un rialzo della creatinina, per cui il paziente diventa
oligurico.

È intuitivo che reidratando il paziente o andando a trattare la causa dell’ipoperfusione renale, il malato andrà
incontro a una interruzione dei meccanismi patogenetici e ad una ripresa della diuresi.
Questo, tuttavia, non accade se una forma pre-renale si protrae nel tempo o è particolarmente severa da
evolvere in una forma parenchimale, ovvero in un danno renale secondario alla ipoperfusione sostenuta nel
tempo.

Insufficienza renale acuta parenchimale


L’insufficienza renale acuta su base parenchimale è la terza causa di IRA.
Nel caso di IRA su base parenchimale la causa del malfunzionamento renale è un danno a carico di una
qualsiasi componente del parenchima renale:

• Glomerulo (5%), dal punto di vista probabilistico è la causa meno frequente dell’IRA parenchimale, ma
è comunque molto importante;
• Tubulo (85%), la cosiddetta necrosi tubulare acuta, causa più frequente (spesso è la forma in cui può
evolvere una IRA pre-renale sostenuta nel tempo);
• Interstizio (8-12%), la causa dell’IRA è un processo patologico a livello del compartimento interstiziale
renale, ovvero lo spazio virtuale compreso fra i tubuli 5;
• Vascolare (<2%), causa più rara, a carico delle arterie renali.

IRA parenchimale glomerulare


Il danno parenchimale responsabile della disfunzione renale è a livello del glomerulo, struttura complessa in
cui i compartimenti potenzialmente colpiti sono molteplici. Spesso è causata dalla glomerulonefrite, patologia
infiammatoria del glomerulo, che solitamente ha una causa immunologica autoimmune 6.

IRA parenchimale tubulare


La causa più frequente della forma parenchimale è quella tubulare e di questa forma la causa più frequente è
la necrosi tubulare acuta.

La necrosi tubulare acuta è una condizione in cui il tubulo renale va incontro a un fenomeno di danno necrotico
e nella maggior parte dei casi è su base ischemica, ovvero un’evoluzione di una forma pre-renale sostenuta
nel tempo (per l’ipoperfusione renale severa).

Il professore ipotizza un caso clinico in cui un paziente anziano arriva in pronto soccorso con IRA pre-renale,
disidratato, che assume ACE inibitori e che ha assunto antiinfiammatori perché ha lombalgia. Il suo livello di

5
Ne accenneremo alcune cause, ma verrà spiegato in dettaglio dalla dottoressa Mescia.
6
L’argomento verrà approfondito nelle prossime lezioni.

22
creatinina è alto (ad esempio, 4 mg/dL) ed è oligurico. Tramite idratazione, il paziente riprende a urinare e la
creatinina inizia a scendere.

Se, invece, lo stesso paziente è stato disidratato per molto tempo e a intensità elevata (l’ipotensione è stata
prolungata o se il paziente presenta dei fattori di rischio, come il diabete, come l’IRC 7 preesistente),
l’ipoperfusione può evolvere in una necrosi tubulare acuta.
Se il paziente presenta il danno in una sezione specifica del tubulo (vedremo poi qual è), a quel punto,
nonostante la reidratazione, il malato rimane anurico.
Questa è la classica evoluzione della IRA pre-renale, sostenuta nel tempo.

Ciò ha anche delle ripercussioni pratiche molto importanti: dal momento che malato è anurico, non si deve
eccedere nell’idratazione, perché il rischio è quello di mandare il malato in sovraccarico idrico.

IRA parenchimale tubulare su base tossica


Tra le altre cause di IRA parenchimale tubulare, si ha quella tossica che può essere legata sia a tossine
endogene sia a tossine esogene.

Tra le principali tossine endogene (tutte nefrotossiche, soprattutto per il tubulo) ci sono:

● Mioglobina;
● Emoglobina;
● Acido urico;
● Ipercalcemia;
● Catene leggere.

Possiamo avere mioglobinuria in pazienti con una rabdomiolisi 8, o con un danno muscolare importante causato
da traumi o malattie autoimmuni (come sono ad esempio le polimiositi). La mioglobina filtrata è tossica per il
tubulo e il paziente può sviluppare IRA.

La stessa cosa vale per i malati con emolisi (qualsiasi sia la causa) che vanno incontro a emoglobinuria.

Nei malati con, ad esempio, una sindrome da lisi tumorale, i livelli di acido urico sono molto elevati e questo
può causare IRA.

Per quanto riguarda le catene leggere 9, il mieloma multiplo può causare un eccesso di catene leggere a livello
urinario, con conseguente danno tubulare.

L’ipercalcemia può essere secondaria a neoplasia ematologiche, solide o a intossicazione di vitamina D che
possono causare una vasocostrizione a livello dei vasi parenchimali renali e quindi ischemia (che, in questo
caso, viene però classificata nelle cause tossiche).

Anche tossine esogene possono essere responsabili di un danno parenchimale, ad esempio:

● Antibiotici (aminoglicosidi);
● Mezzo di contrasto (il professore afferma che durante il tirocinio in reparto di Nefrologia vedremo come
con il malato che presenta IRA da altre cause i medici siano sempre molto cauti prima di dare
un’indicazione all’esecuzione di una TAC con mdc 10 iodato perché questo è di per sé nefrotossico. Le
dosi che si utilizzano per imaging o per TAC, non sono dosi così elevate, mentre i mdc iniettati
direttamente per via arteriosa, ad esempio per arteriografie, sono a dosi più elevate);
● Metalli pesanti;
● Veleni;

7
Insufficienza renale cronica. .
8
La rabdomiolisi è una condizione clinica caratterizzata dalla necrosi del tessuto muscolare scheletrico, con
conseguente rilascio in circolo del suo contenuto intracellulare, tra cui elettroliti, mioglobina, ma anche creatina, calcio,
potassio e acido urico [integrato dalle sbobine dell’anno scorso].
9
Lo vedremo brevemente quando parleremo del danno renale in corso di neoplasie ematologiche.
10
Mezzo di contrasto.

23
● Altre sostanze come l’etilene glicole.

Nello schema qui accanto troviamo rappresentato


quello che succede nella necrosi tubulare acuta
ischemica. Nella figura precedente, che rappresentava
la patogenesi dell’IRA su base pre-renale, si arrivava
a una vasocostrizione corticale e un aumento del
flusso a livello midollare. Se l’ipoperfusione è severa e
mantenuta nel tempo, nel tentativo di mantenere una
pressione sanguigna adeguata, questa porterà ad una
vasocostrizione midollare, una riduzione del flusso
ematico midollare e quindi una ischemia tubulare. La
necrosi tubulare acuta è poi accompagnata da
ostruzione tubulare legata all’evento ischemico e da
oligo-anuria.
Questa è una condizione che porta il paziente a non
essere più responsivo alle infusioni, di conseguenza
sarà necessario identificare repentinamente questa condizione per evitare l’avvio di terapie infusive che non
sono solo inutili, ma che possono essere dannose per il paziente.

Il segmento di tubulo colpito in corso di necrosi tubulare acuta su base ischemica è il segmento S3 del tubulo
contorto prossimale. Il tubulo contorto prossimale è la porzione del tubulo renale che svolge le maggiori attività
e che ha una maggiore necessità metabolica. Per motivi anatomici, tuttavia, la midollare esterna del rene è
una zona fisiologicamente ipoperfusa. Il risultato è che il segmento in questione vada molto spesso incontro a
necrosi tubulare. Nella stessa zona si trova anche il tratto ascendente spesso dell’ansa di Henle, ma questa è
una zona meno sensibile agli eventi ischemici.

In figura vediamo una sezione di tubulo contorto


prossimale normale: è presente il brush border,
tipico delle strutture epiteliali del nostro tubulo, le
cellule tubulari, le pompe Na/K ATPasi e le integrine
che mantengono la struttura.
In caso di ischemia e riperfusione, il tubulo subisce
un danno transitorio, che viene rappresentato dal
punto di vista anatomico in parte dalla perdita del
brush border, e da una parziale dislocazione delle
strutture molecolari. Questo sta a significare che è
avvenuto un evento ischemico transitorio, per cui le
cellule tubulari hanno subito danno transitorio,
senza però andare in necrosi. Il danno transitorio
contribuisce alla IRA e può contribuire allo sviluppo
di poliuria che spesso si osserva nei malati con IRA
da ipoperfusione pre-renale; il rene va incontro, una
volta interrotto il meccanismo ischemico di ipoperfusione, a un recupero e quindi a risoluzione.
Se questa ischemia e, quindi, ipoperfusione, viene mantenuta nel tempo, le cellule tubulari vanno incontro a
un danno necrotico/apoptotico, smettono di funzionare e vanno fisicamente a intasare il tubulo. A questo punto
si ha l’evoluzione verso la forma parenchimale con la completa anuria del malato.

24
Nell’immagine vediamo uno schema dello sviluppo
della necrosi tubulare acuta su base tossica. Le
sostanze tossiche che causano tale necrosi possono
essere esogene o endogene. Per quanto riguarda le
sostanze esogene si possono individuare:

● Antibiotici (aminoglicosidi, amfotericina);


● Antiblastici, anestetici, ciclosporina;
● Mezzi di contrasto radiologici;
● Solventi organici (glicole etilenico, tetracloruro di
carbonio);
● Veleni (insetticidi, diserbanti, funghi);
● Metalli pesanti (mercurio, arsenico, bismuto,
uranio, cadmio);
● Altri (eroina, amfetamine, ...).

Tra le sostanze endogene che in eccesso possono provocare la necrosi tubulare acuta, troviamo:

● Emoglobina libera, il cui livello può aumentare a seguito, per esempio, di emolisi;
● Mioglobina, la cui liberazione può essere provocata da traumi o infezioni da C. Tetani;
● Bilirubina, la cui presenza nel sangue aumenta in caso di epatite acuta e ittero ostruttivo. 11

Nel caso delle forme da tossico, il meccanismo patogenetico del danno tubulare non è più l’ipoperfusione ma
è il danno diretto a livello delle cellule tubulari renali da parte della sostanza responsabile (dell’emoglobina,
della mioglobina, del mdc, dell’antibiotico). Questo determina una lesione diretta dell’epitelio tubulare e oligo-
anuria.

Conseguenze della necrosi tubulare acuta


Indipendentemente dalla causa della necrosi tubulare acuta, l’evoluzione del paziente consta solitamente di
tre fasi:

● Fase iniziale oligurica/anurica, in cui il malato non urina ed è la fase in cui il malato deve essere mantenuto
in attento bilancio, soppesando introiti, per evitare di mandarlo in sovraccarico idrosalino. Spesso i malati
in questa fase devono essere sottoposti al trattamento dialitico, per trattare gli effetti deleteri dell’IRA.
● Fase diuretica, qualora il danno tubulare vada incontro a progressivo recupero, l’IRA su base tubulare
passa verso una fase diuretica, cioè le cellule tubulari rigenerate che non hanno ancora tutte le capacità
del funzionamento delle cellule tubulari adulte, non sono in grado di garantire il meccanismo di
concentrazione controcorrente. Il malato non è in grado di concentrare le urine e quindi è poliurico (fino
a 5, 6, 7 litri di urina al giorno). È necessario sostenere questa fase con delle infusioni per evitare che il
paziente perdi peso e, soprattutto, per evitare che il malato vada incontro, nuovamente, a una ipovolemia
e quindi ipotensione, che esita in un ulteriore danno tubulare legato a una forma pre-renale in cui la causa
della disidratazione è la diuresi forzata;
● Fase della convalescenza, progressivo recupero della capacità di concentrare le urine.

Le varie fasi evolutive dell’IRA vanno conosciute, poiché sono momenti delicati in cui il paziente deve essere
seguito per evitare di, una volta migliorata la situazione, ritornare al punto di partenza. Purtroppo, accade,
soprattutto in piccoli ospedali, dove non ci sono reparti di Nefrologia e non ci sono nefrologi a cui chiedere un
consulto, che i pazienti in fase diuretica vengano dimessi, dal momento che la creatinina sta tornando a valori
fisiologici. La conseguenza più probabile è che il malato rientri in pronto soccorso dopo 12-24 ore dalla
dimissione, disidratato e con un’altra IRA.

11
Paragrafo completamente integrato dalla sbobina dell’anno scorso perché il professore non ha risposto alle mail in cui
chiedevamo di poter avere le presentazioni (sulle quali erano scritte queste informazioni).

25
IRA parenchimale interstiziale
Nel caso di IRA parenchimale interstiziale la causa è un processo patologico che coinvolge l’interstizio renale,
che è quello spazio virtuale posto fra tubulo e tubulo; esso è molto importante per il meccanismo di
concentrazione controcorrente (che avviene a livello dell’ansa di Henle e il dotto collettore, con l’ausilio dei
vasa recta).
La patologia più frequente è la nefrite interstiziale acuta indotta da farmaci12: dopo l’esposizione ad alcuni
farmaci, si possono sviluppare le cosiddette nefriti tubulo-interstiziali immuno-allergiche in cui, a causa del
processo infiammatorio, si va incontro a un edema dell’interstizio e quindi a una IRA.

L’IRA parenchimale interstiziale può essere causata da infezioni, ad esempio la pielonefrite. Le infezioni
possono essere:

● Batteriche;
● Virali;
● Granulomatose (come la sarcoidosi, la TBC, altre malattie immunomediate, come la malattia IgG4
correlata che può causare un processo flogistico a livello interstiziale).

In questo caso c’è una differenza fondamentale rispetto alle forme glomerulari: l’esame urine sarà spesso
negativo o comunque presenterà delle anomalie minori rispetto a quello delle forme glomerulari dove l’esame
urine è florido.

IRA parenchimale vascolare


Le forme di IRA parenchimale su base vascolare sono forme patologiche di IRA legate a occlusione dell’arteria
renale, trombosi dell’arteria renale o embolizzazione di cristalli di colesterolo 13.

IL RUOLO DEL SISTEMA IMMUNITARIO


Quando si ha un danno a livello renale, indipendentemente dalla
causa della IRA, il danno in questione può portare alla riparazione
e ad una restitutio ad integrum della funzione renale oppure ad un
esito di danno renale o addirittura a una progressione di questo
danno renale acuto verso una insufficienza renale terminale, la
cosiddetta “morte renale”.

In tutto questo ha un ruolo fondamentale il sistema immunitario e


altri fattori che analizziamo di seguito. È importante capire che il
danno renale acuto è un mondo molto complesso che viene
scolasticamente semplificato per rendere più chiaro il fenomeno e,
quindi, categorizziamo le IRA in base al tipo (pre-renale,
parenchimale, post-renale), in base alla causa (su base ischemica,
su base tossica, etc…).

In generale nella IRA, pur riconoscendo un agente offendente primario, ovvero la causa scatenante
l’insufficienza renale acuta (ad esempio l’ipoperfusione, l’ischemia, la necrosi tubulare, la sepsi, …); si vanno,
poi, ad aggiungere dei mediatori di danno secondario che rendono più grave, mantengono o causano una
progressione o una evoluzione di questo danno primario; spesso questi mediatori secondari sono mediatori
del sistema immunitario.
La complessità patogenetica va ad aumentare: inizialmente abbiamo il danno a carico del tessuto renale che
porta a necrosi a livello delle cellule del parenchima renale che determina il rilascio di proteine dedicate in
grado di mediare il danno. Queste proteine, però, causano anche l’attivazione di una serie di componenti
cellulari, soprattutto appartenenti al sistema immunitario (come cellule dendritiche, macrofagi, cellule
endoteliali, cellule mesangiali, podociti, cellule epiteliali tubulari).
Abbiamo, quindi, una serie di conseguenze pro-infiammatorie che contribuiscono all’instaurarsi del danno

12
Ne parlerà nel dettaglio la dottoressa Mescia.
13
Vedi nota 6.

26
renale; quindi, queste chemochine che sono rilasciate dalle cellule tubulari del parenchima renale possono
portare a un recruitment di componenti del sistema immunitario innato come le cellule NK.
Le cellule NK attivate dagli stessi mediatori, possono contribuire al danno tissutale e al mantenimento del
processo infiammatorio.

Non viene attivato solo il sistema immunitario innato, anche quello adattativo con il richiamo dei linfociti T che
possono perpetuare il danno infiammatorio a livello del parenchima renale.

Complessità patogenetica clinica


Oltre alla complessità della patogenesi del danno a livello molecolare, esiste anche una complessità
patogenetica clinica: molto raramente la causa dell’IRA è una sola, spesso il risultato di una diagnosi è IRA su
verosimile base multifattoriale.

Il professore racconta un caso drammatico in cui la patogenesi è molto chiara: una giovane donna che ha
subito una massiva emorragia secondaria al parto (al punto che è stato necessario trasfondere circa 15 sacche
di sangue) è stata ricoverata perché ha sviluppato una IRA anurica secondaria all’emorragia. Ovviamente, in
questo caso, la causa di IRA è piuttosto chiara, dal momento che la donna in questione è giovane, sana e
senza particolari problematiche.

Nella maggior parte dei casi l’IRA che ritroviamo in ospedale è una IRA nel malato anziano, policomorbidito
che magari va incontro a una ipoperfusione per diarrea o vomito, oppure può avere una IRC preesistente,
magari ha 80 anni e quindi una fragilità intrinseca, potrebbe assumere ACE-inibitori o antinfiammatori. In
pronto soccorso non è infrequente avere un malato con una condizione infiammatoria sistemica (legata ad
una sepsi o a una malattia autoinfiammatoria), che va incontro a un processo di ipoperfusione.

IRA WORK-UP
Per affrontare un paziente che si sospetta avere IRA bisogna seguire una serie di step e ricorrere a specifiche
metodiche e specifici esami che sono:

● Anamnesi: la prima cosa da fare è sempre quella di verificare se ci troviamo veramente di fronte a una
IRA, quindi cercare precedenti anamnestici (il malato potrebbe avere una IRC avanzata, 5 mg/mL di
creatinina è il suo valore basale e quindi non ci troviamo di fronte a un problema di questo tipo);
● Imaging: una volta confermato che si tratti di IRA, si prosegue con l’ecografia per osservare i reni; questo
è molto utile, perché in base alle loro dimensioni possiamo capire la patologia alla base:
o Reni di piccole dimensioni con una differenziazione compromessa potrebbe essere in supporto di
una IRC preesistente
o Reni normali, ma con una forte dilatazione (idronefrosi), significa IRA post-renale
o Reni normali non dilatati possono identificare una vera IRA propria;
● Sedimento urinario: strumento importante per identificare le cause glomerulari dell’IRA 14
● Volume urinario. che permette di capire in che fase siamo, un paziente con IRA pre-renale può essere:
o Nella prima fase, quindi disidratato, ipoperfuso, ipoteso con il volume urinario sarà ridotto perché
sono stati attivati i meccanismi per il mantenimento del volume;
o Post idratazione, si deve monitorare il volume urinario per valutare l’evoluzione della IRA (se è
andata incontro a risoluzione e il malato riprende a urinare tranquillamente oppure se si è evoluta in
danno parenchimale);
o Una diuresi ridotta, pur con funzione renale normale, è indice di un problema: ad esempio, in seguito
ad un’operazione il paziente si è anemizzato, fa delle trasfusioni e assume antibiotici, l’urina è 300
ml; se dopo l’idratazione continua a urinare poco, anche se la creatinina è normale, avrà comunque
IRA15.

14
Lo affronteremo nella prossima lezione.
15
Esempio tratto dalla sbobina dell’anno scorso.

27
● Elettroliti urinari e il rapporto urea/creatinina: perché
permettono di fare una diagnosi differenziale tra le due
cause più frequenti, quindi tra necrosi tubulare acuta
secondaria a ipoperfusione e IRA pre-renale. Nelle
forme di necrosi tubulare acuta (sia che sia legata a
sostanze tossiche, sia che sia legata a una evoluzione
di una forma pre-renale), solitamente nelle poche
urine avrete una sodiuria obbligata e un rapporto
urea/creatinina di circa 20-30:1.
Nelle forme pre-renali, con disidratazione importante
ma reni ancora funzionanti, l’oliguria sarà legata al
meccanismo di compensazione del rene, troveremo
una sodiuria bassa, per attivazione del sistema
RAA, e un rapporto urea/creatinina molto elevato,
sinonimo di disidratazione.
● Esame urine; grazie al quale, senza ricorrere
all’osmolarità e ad altri parametri che nella pratica
clinica quotidiana non vengono utilizzati così
frequentemente, trovare un peso specifico elevato,
ovvero una tendenza a concentrare le urine, sarà
indice di una forma di IRA pre-renale; un peso
specifico basso, una isostenuria, sarà espressione
di un danno tubulare e quindi di una forma organica.

IRA in specifici contesti clinici


● IRA da mezzo di contrasto iodato, che può essere nefrotossico se utilizzato in malati con insufficienza
renale, quindi, per essere usato, richiede una preparazione attraverso idratazione del malato. In alcuni
contesti il mdc può contribuire in modo importante all’IRA, soprattutto in malati:
o Con IRC preesistente;
o Con nefropatia diabetica;
o Disidratati;
o Conn scompenso cardiaco;
o In corso di infarto;
o In cui il mdc viene associato a manovre interventistiche endovascolari.
● IRA associata a sepsi, in cui l’IRA è legata a una risposta infiammatoria sistemica, tipica del quadro di
sepsi, quindi è mediata da fenomeni immunologici, infiammatori, emodinamici, tossici, con attivazione
della cascata infiammatoria, disfunzione endoteliale, attivazione della cascata coagulatoria,
determinazione a livello locale di alterazione del microcircolo.
Questo era un contesto di IRA osservato frequentemente nella prima ondata dell’infezione da SARS-
CoV-2, la cui fase iniziale era caratterizzata da una componente infiammatoria sistemica molto importante
che causava eventi trombotici, ma anche disfunzione d’organo secondaria a uno stato infiammatorio. Le
IRA molto frequenti in corso di infezione da Covid erano in parte legate alla disidratazione, in parte legate
alla febbre, ma in buona parte legate allo stato infiammatorio grave e anche allo stato protrombotico;
● IRA in sindromi multiorgano, in cui l’IRA è secondaria alla disfunzione di un altro organo:
o Sindrome cardio-renale, è legata ad alterazioni emodinamiche, ridotta gittata cardiaca, quindi IRA
pre-renale e congestione venosa, quindi stalli a livello renale. Essa è particolarmente importante
perché i malati nefropatici sono spesso cardiopatici, perché, a causa di un circolo vizioso, la
nefropatia porta a una cardiopatia che può aggravare la nefropatia; spesso la morte di un malato
nefropatico è la cardiopatia ischemica;
o Sindrome epato-renale.

28
Diagnosi IRA/IRC
Lo step fondamentale per il trattamento di un paziente con insufficienza renale è capire se il nostro paziente
ha una IRA o una IRC. È possibile fare diagnosi differenziale, in primis, tramite l’anamnesi, grazie alla quale
possiamo scoprire i valori di creatinina basale e ricercare eventuali sintomi pregressi come vomito e diarrea
(che ci farebbero propendere per una forma pre-renale); sintomi sistemici come febbre, dolori articolari, eritemi
(che ci orientano invece verso una malattia su base virale o autoimmune).
La presenza di anemia, ipocalcemia, iperfosforemia potrebbero orientarci verso una preesistente IRC
oppure l’anemia potrebbe orientarci verso una possibile causa pre-renale emorragica di IRA.
Si valutano inoltre le dimensioni renali dell’ecografia, di solito il paziente con IRC ha dei reni di volume ridotto.
Fanno eccezione tre condizioni:

● Il rene policistico, che si riconosce perché è pieno di cisti;


● il diabete, malattia in cui, nonostante l’insufficienza renale avanzata molto importante, si hanno con reni
di dimensioni normali o addirittura aumentate;
● L’amiloidosi, altra condizione in cui i reni pur essendo gravemente compromessi in termini funzionali,
sono di dimensioni aumentate.

Diagnosi IRA
Per escludere la forma post-renale è sempre utile l’esecuzione dell'ecografia, ponendo particolare attenzione
a quelle condizioni che causano ostruzione delle vie urinarie (e quindi aumento della pressione nelle stesse)
senza dilatazione: l’uretere-pelvi incarcerata. Ad esempio, nei malati con neoplasie retroperitoneali o
prostatiche, l’uretere e la pelvi possono essere inglobati in una massa neoplastica causando IRA su base post-
renale con un aumento della pressione post renale non associata a dilatazione.

È necessario, poi, escludere le forme pre-renali, quindi la presenza di ipovolemia del malato, valutando:

● Turgore giugulare;
● Pressione venosa centrale;
● Ipotensione/ipotensione ortostatica;
● Elevato rapporto urea/creatinina;
● Riduzione del sodio urinario;
● Aumento della diuresi dopo carico idrico.

Dopo aver escluso queste due forme viene solitamente chiamato il nefrologo che confermerà che l’IRA è su
base parenchimale. La causa dell’IRA potrà essere una glomerulonefrite (forma rara, ma comunque frequente
in questi malati), una nefrite tubulo-interstiziale o altre patologie che affronteremo più avanti.
È possibile sospettare una forma vascolare, che è la più rara, in pazienti con:

● Una importante malattia aterosclerotica, quindi possibile malattia ateroembolica, si ricercano la causa
precipitante e i segni clinici specifici che la contraddistinguono;
● Un’asimmetria renale, probabile espressione di una stenosi dell’arteria renale, ricercate con doppler e
TAC con mdc;
● Dolore lombare, espressione di un infarto renale;
● Macroematuria o anuria completa.

Nell’immagine qui accanto troviamo un


flowchart da seguire per approcciare a un
malato con IRA.
Se il paziente ha la creatinina elevata, come
già detto, la prima cosa da verificare è se il
malato ha una IRC e quello è il suo valore
basale oppure se ha una IRA. Appurato che il
malato ha una IRC, è necessario valutare se
il valore di creatinina è stabile, oppure
peggiorato.
Se è acuta, bisogna fare un’ecografia ai reni

29
per valutare se è presente una dilatazione renale, che andrà approfondita con una TAC. Se positiva anche la
TAC si deve capire perché il malato ha una idronefrosi e, nel frattempo, il paziente va trattato in base alla
causa:

● Se la causa è l’ipertrofia prostatica, bisogna posizionare il catetere vescicale;


● Se la causa è un calcolo, andrà gestito il calcolo;
● Se necessario, posizionare degli stent;
● È possibile effettuare le nefrostomie16.

Se la causa non è post-renale, allora si deve valutare se il malato è disidratato o se ha assunto dei farmaci
nefrotossici, a quel punto la causa potrebbe essere pre-renale e il malato andrà trattato tramite idratazione e
interruzione dell’assunzione dei farmaci.

Escluse le altre forme, rimane solo quella parenchimale. Verranno, quindi, valutati: il sedimento urinario,
l’esame urine, la storia del malato, eventuali comorbidità che possano giustificare una malattia parenchimale
ed eventuale biopsia renale per la diagnosi.

Complicanze della IRA


Il professore sottolinea che, come medici, ci verrà richiesto di pensare in modo multitasking, ovvero, mentre
stiamo ragionando sulla diagnosi, dobbiamo già pensare alla terapia. Questo è soprattutto importante nel caso
di IRA poiché essa si associa a quattro complicanze talmente gravi 17, che spesso vanno gestite addirittura
prima dell’aspetto diagnostico.

Le complicanze sono:

● Il sovraccarico idrosalino, che vale per le forme oligo/anuriche o pre-renali evolute in una forma
parenchimale da necrosi tubulare 18;
● L’iperpotassiemia, condizione che può portare alla morte nel malato;
● L’uremia, cioè l’accumulo di tossine uremiche, normalmente eliminate dal rene; si può manifestare in vari
modi:
o con pericardite,
o con encefalopatia,
o con diatesi emorragica, ovvero l’aumentato rischio di sanguinamento;
o con disfunzione respiratoria, il cosiddetto polmone uremico;
● L’acidosi metabolica.

È possibile curare tutte queste complicanze contemporaneamente 19, tramite la dialisi. Chiaramente, se non è
indispensabile possiamo provare ad utilizzare la terapia medica, grazie alla quale abbiamo strumenti efficaci
per trattare: il sovraccarico idrico, l’iperpotassiemia e l’acidosi metabolica.
Mentre se il malato è uremico in modo grave l’unica terapia è la dialisi.

Sovraccarico idrosalino
Per trattare il sovraccarico idrosalino, abbiamo a disposizione diuretici che agiscono virtualmente a ogni livello
del nefrone:

● I diuretici dell’ansa (es. la Furosemide), che andando a inibire il cotrasportatore Na+/K+/Cl- della
porzione ascendente dell’ansa di Henle, va a interrompere il meccanismo che inizia la concentrazione
controcorrente; quindi, questo lo rende il diuretico più potente;

16
Tutte manovre che affronteremo nel corso di Urologia.
17
Sono, ovviamente, da sapere per l’esame (“Altrimenti va male”, cit. dottor Alberici).
18
Teoricamente, nella forma pre-renale, il malato va semplicemente idratato, senza questo rischio, poiché i reni, che non
hanno subito danno, riprendono a funzionare.
19
Teoricamente la terapia di queste condizioni non sarebbe parte del nostro programma, ma il professore afferma che
sia molto difficile affrontare questi argomenti senza parlare dei loro approcci terapeutici. Decide quindi di dare solo
qualche accenno che verrà approfondito in seguito.

30
● Gli inibitori dell’anidrasi carbonica, che agiscono sul riassorbimento del bicarbonato di sodio a livello
del tubulo contorto prossimale;
● I Tiazidici, diuretici che agiscono sul tubulo contorto distale e, quindi, sul riassorbimento di Na+ a questo
livello;
● Gli antialdosteronici, i cosiddetti risparmiatori di potassio, diuretici che agiscono sul riassorbimento di
Na+ a livello del dotto collettore, che è mediato dall’aldosterone.

Usandoli in combinazione è possibile inibire tutto il tubulo, effettuando il blocco sequenziale, strategia per
massimizzare la diuresi nei malati.
Nel malato con grave scompenso cardiaco si tenta prima l’utilizzo della Furosemide (nome commerciale più
comune, Lasix), se non funziona si aumentano le dosi, se non è sufficiente, si aggiunge un Tiadizico, anche
qui si aumentano le dosi; se anche questo non è abbastanza, se il potassio lo consente, si aggiunge lo
Spirolattone e l’Antialdosteronico.
Non è infrequente nei malati nefropatici, soprattutto quelli con scompenso cardiaco utilizzare questi tre diuretici
contemporaneamente.

Iperpotassiemia
L’iperpotassiemia20 è una complicanza molto grave, quindi, nel malato con IRA la prima cosa da fare è
controllare i valori di potassio. Essa può causare paralisi muscolare, ma soprattutto, causa aritmie.
Le alterazioni elettrocardiografiche caratteristiche sono:

● Onde T a tenda;
● Accorciamento dell’intervallo QT;
● Allungamento dell’intervallo PR e durata del QRS;
● Scomparsa delle onde P;
● Slargamento del QRS.

Queste anomalie di conduzione possono portare a blocchi di branca destra o sinistra, blocco bifascicolare o
blocco atrioventricolare avanzato. Le aritmie cardiache, invece, possono portare a tachicardia ventricolare,
fibrillazione ventricolare e asistolia, ovvero il paziente muore.

Sono, ovviamente, più pericolose le iperpotassiemie acute (un malato che ha 4 di potassio e il cui valore va a
8 in poche ore è molto più probabile che vada incontro ad aritmie rispetto ad un malato con IRC che ha 6 di
potassio quotidianamente e va da 6 a 8).

Le terapie21 principali sono:

● Calcio gluconato in vena (ev), che ha il vantaggio di neutralizzare l’effetto di alterazione della
bipolarizzazione cardiaca causata dalla iperpotassiemia, quindi è il presidio immediato più efficace; dura
però 30-60 minuti, dovrà essere ripetuta nel tempo;
● Glucosio e insulina favoriscono l’internalizzazione del potassio nelle cellule, agiscono in 10-20 minuti,
con durata 4-6 ore; la glicemia del malato va monitorata perché questo intervento si può associare a un
rischio di ipoglicemie tardive;
● NaHCO3, sodio bicarbonato, utile se il paziente è in acidosi metabolica (la seconda complicanza che
va verificata in un malato con IRA, osservando il livello dei bicarbonati). Esso è alla base della
internalizzazione del potassio nelle cellule;
● Agonisti β2 adrenergici.

È necessario mettere in atto, infine, una terapia per rimuovere il potassio, spostato dal compartimento
extracellulare a intracellulare, dal corpo, tramite:

● I diuretici dell’ansa, che portano un iperafflusso a livello del dotto collettore, e, quindi, l’attivazione di certi
canali del potassio che causano una dispersione dello stesso nelle urine;

20
Ce ne parlerà la dottoressa Mescia, quindi il professore non va troppo nel dettaglio.
21
Cenni della terapia potrebbero essere richiesti all’esame ma finalizzati alla fisiologia, ovvero si chiederà qual è il
razionale dietro il glucosio, dietro l’insulina, dietro il bicarbonato.

31
● Chelanti del potassio, ad esempio sodio polistirene sulfonato (nome commerciale Kayexalate), sodio
zirconio ciclosilicato e Patiromer);
● Dialisi;
● Clisteri (chiaramente la diarrea favorisce l’eliminazione di potassio).

Tutte queste sono manovre di emergenza che vengono messe in atto nel malato con iperpotassiemia, mentre
si predispone la dialisi, per guadagnare tempo.

Dialisi
Subentra la dialisi in IRA quando:

● Il malato è in sovraccarico idrico (cut-off di 200 mL) e/o è anurico e non ci aspettiamo un miglioramento
a breve, il paziente deve essere messo in sicurezza.
● L’iperpotassiemia soprattutto nelle forme che poi non rispondono o rispondono transitoriamente alle
terapie che abbiamo messo in atto;
● L’acidosi metabolica severa, che si ha con un pH<7.2, teoricamente trattabile somministrando del
bicarbonato in vena, se il malato è oligurico, non ci sarà spazio effettivo per somministrare bicarbonato
endovena, quindi, dovremo sottoporre il malato alla dialisi;
● Urea elevata, a rischio di sindrome uremica;
● Complicanze cliniche dell’uremia (encefalopatia, pericardite, neuropatia o polmone uremico).

Nella maggior parte dei casi, tranne la condizione


particolare in cui il malato sperimenta la IRA
subcronica ed è già pronto alla dialisi perché ha già
fistola22, la dialisi del malato acuto viene fatta
attraverso il posizionamento di cateteri venosi
centrali (CVC).
Il catetere viene posizionato in vena giugulare
interna o in femorale e attraverso il CVC il malato
viene attaccato alla macchina e dializzato. Se il
malato è emodinamicamente stabile, si potrà
trattare con una emodialisi intermittente; mentre se
il malato è emodinamicamente instabile, ad
esempio il malato che è in terapia intensiva, utilizziamo delle metodiche dialitiche a bassa efficienza continue.
L’obiettivo di quest'ultima metodica è fare quello che fa la dialisi intermittente 23 in 4 ore (è un evento
potenzialmente stressante per l’emodinamica del paziente), però in 48/72 ore; quindi, il malato, viene
sostenuto in modo graduale con una metodica non troppo destabilizzante dal punto di vista emodinamico.

22
Vedremo in seguito cos’è la fistola.
23
La dialisi è un evento potenzialmente stressante per l’emodinamica del paziente.

32
LA PATOLOGIA GLOMERULARE
Nell’immagine a destra, relativa a un glomerulo,
possiamo identificare: la componente cellulare,
i compartimenti all’interno del glomerulo,
l’arteriola afferente ed efferente e i capillari
glomerulari. I capillari glomerulari sono tenuti in
posizione dal mesangio, un asse connettivale,
la cui funzione è proprio quella di sostenere i
capillari24. L’endotelio è fenestrato. A livello
glomerulare si possono identificare diversi
compartimenti delimitati dalla componente
cellulare: uno spazio compreso tra l’endotelio e
la membrana basale glomerulare, detto
subendoteliale, la membrana basale
glomerulare, uno spazio compreso tra la
membrana basale glomerulare e i processi pedicillari dei podociti, detto spazio subepiteliale, all’esterno del
quale ci sono i podociti e i processi pedicillari dei podociti. Tra i processi pedicillari dei diversi podociti
troviamo il diaframma di filtrazione, composto da una serie di proteine, tra cui la più importante è la nefrina.
Attraverso questo è un filtro viene prodotta la pre-urina, che si accumula nella capsula di Bowman, uno
spazio in continuità con il tubulo contorto prossimale. È importante comprendere la struttura renale e la
suddivisione nei vari compartimenti: questi sono importanti perché possono essere affetti da patologie
glomerulari e in base al compartimento colpito avremo una sindrome e una manifestazione clinica differente.

Questa immagine è una biopsia di un parenchima


renale sano. All’interno notiamo un glomerulo
(ingrandimento a dx) con dei buchi (i capillari
glomerulari), il mesangio, l’endotelio composto da
cellule endoteliali e membrana basale, è possibile
osservare anche un podocita e poi la capsula di
Bowman.

I compartimenti del parenchima renale, come si osserva nell'immagine a dx,


sono in continuità anatomica; dunque, una patologia di un compartimento si
riflette inevitabilmente sugli altri. Ad esempio, un processo infiammatorio
dell’interstizio, che è uno spazio virtuale tra i tubuli, causerà edema e
rigonfiamento che si rifletteranno anche sui glomeruli e sui vasi. Una malattia
glomerulare si può estendere al compartimento tubulo-interstiziale, e viceversa
una patologia tubulo-interstiziale si può estendere al glomerulo. 25

LE PATOLOGIE GLOMERULARI (GLOMERULONEFRITI E GLOMERULOPATIE)


Le glomerulonefriti e le glomerulopatie, sono una causa frequente di malattia renale terminale, possono essere
primitive o secondarie.
Le glomerulonefriti primitive, sono patologie che vengono classificate su base morfologica, perché
generalmente la causa eziologica non è nota. Nonostante ciò, anche all’interno delle primitive vengono

24
integrazione da wikipedia: oltre a sostenere sono in grado anche di regolare il diametro dei capillari glomerulari).
25
Integrato dalla sbobina 3 dell’anno scorso.

33
identificate delle forme patologiche secondarie, ovvero insorte in seguito ad altre patologie, quindi ad eziologia
nota26.
In conclusione, più che di glomerulonefriti primitive possiamo parlare di glomerulopatie prevalentemente
primitive e che classifichiamo per aspetti morfologici.
● Glomerulopatia a lesioni minime;
● Glomerulosclerosi focale segmentale;
● Glomerulopatia proliferative essudative endocapillari.
I nomi delle varie patologie, che riflettono la morfologia delle singole, aiutano già a capire che tipo di patologia
ci troveremo davanti, ad esempio una glomerulopatia a lesioni minime, sarà una patologia con poche lesioni 27.
Esistono poi delle forme secondarie, in cui la glomerulonefrite è riconducibile ad una malattia di base ben
nota. Ad esempio, una donna affetta da lupus e che sviluppa una glomerulonefrite avrà una glomerulonefrite
lupica. Altri esempi di glomerulonefriti secondarie sono glomerulonefriti in corso di:
● Crioglobulinemia;
● Malattia ad anticorpi anti-membrana glomerulare.
● Diabete, ecc…
Il primo concetto importante delle glomerulonefriti è il ruolo della membrana basale. Tutto ciò che avviene
all'interno della membrana basale (compartimento subendoteliale), darà una glomerulonefrite, patologia a
carattere infiammatorio importante, perché avviene a stretto contatto con il torrente ematico, cha causa un
rapido deterioramento della funzione renale. Tutto ciò che avviene all’esterno di questa membrana, quindi
nello spazio subepiteliale, o a carico del podocita stesso, ha un carattere infiammatorio ridotto, e abbiamo più
spesso una glomerulopatia, una sindrome clinica tipica, con carattere infiammatorio ridotto. Quando il
processo patologico colpisce il mesangio abbiamo una forma ancora diversa:
● Patologie mesangiali;
● Patologie della membrana basale glomerulare e lo spazio subendoteliale e l’endotelio;
● Patologie che avvengono all’esterno della membrama basale glomerulare: spazio subendoteliale e
podociti.

Meccanismi del danno glomerulare


La maggior parte delle forme secondarie di glomerulonefriti, tranne il diabete, sono secondarie a malattie del
sistema immunitario. Il meccanismo alla base dello sviluppo nella maggior parte dei casi, infatti, è di tipo
immunologico. I protagonisti di queste patologie sono:
● Immunocomplessi;
● Autoanticorpi;
● Altri compartimenti del sistema immunitario.

Gli immunocomplessi
Gli immunocomplessi sono dei complessi antigene-anticorpo che possono essere esito di una risposta ad
antigeni esogeni, eterologhi, o antigeni endogeni, quindi autologhi. L’anticorpo sarà un autoanticorpo se
rivolto a stimoli endogeni o un anticorpo “normale” se rivolto a stimoli esogeni. Se l’antigene è autologo
l’anticorpo sarà un autoanticorpo e darà quindi una patologia autoimmune, se l’antigene è eterologo legherà
un anticorpo normale.
Quali sono gli antigeni eterologhi per le patologie glomerulari?
● Infettivi virali: HCV, HBV, HPV, EBV;
● Batterici come streptococco beta-emolitico, stafilococco aureus;
● Parassitari e micotici;
● Tossici;
● Apteni farmacologici (frammenti di farmaci).

26
La classificazione è vecchia.
27
Il prof sottolinea l’importanza della comprensione della fisiopatologia dietro ad ogni patologia, per poterle distinguere al
meglio.

34
Questi antigeni nel momento in cui si trovano nel nostro organismo, determinano una risposta anticorpale,
solo successivamente il complesso antigene-anticorpo può formare un immunocomplesso28.
Gli antigeni autologhi che possono entrare in gioco li possiamo classificare in:
● Extrarenali se non sono residenti, ma arrivano al rene: cellule neoplastiche, immunoglobuline;
● Renali, presenti sulle cellule che compongono il parenchima renale: podociti, endoteliociti, mesangiociti,
componenti della mmb basale glomerulare.

Dinamica di formazione dell’immunocomplesso


Gli immunocomplessi che troviamo nel rene possono
formarsi in vario modo:
● In circolo e depositarsi nel rene;
● In situ, da Ab circolanti che riconoscono Ag in situ,
o Ab circolanti che riconoscono Ag impiantati (Ag
circolanti non residenti, autologhi o eterologhi, che
rimangono incastrati da qualche parte a livello
renale).
Un immunocomplesso si forma quando si attiva una
risposta immunitaria ad un Ag: l’Ag viene riconosciuto dal
linfocita B, questo si differenzia verso plasmacellula,
produce un anticorpo contro l’antigene, antigene e
anticorpo si uniscono e si forma l’immunocomplesso. In
questo modo nell’organismo si passa da una situazione
in cui c’è un eccesso di Ag e una carenza di Ab, a una
situazione in cui c’è un eccesso di Ab e una carenza di
Ag. Tra queste due situazioni troviamo la zona di
equivalenza, che fisiologicamente è transitoria (molto
rapida), in cui Ag e Ab sono in equilibrio tra loro. Nel caso
in cui la zona di equivalenza persista troppo a lungo la
quantità di immunocomplesso aumenta: questo porta alla
precipitazione degli immunocomplessi a livello del vaso e
all’attivazione della risposta immunitaria innata (neutrofili,
cascata di complemento, ecc…). Il risultato è una risposta
infiammatoria che causa danno e necrosi fibrinoide del
vaso29. Se il vaso è un vaso cutaneo, avverrà un’infiammazione cutanea che tipicamente si manifesterà come
porpora. Quando è presente una infezione da stafilococco in un paziente con porpora, la porpora è da
ricondurre proprio all’infezione che causa la necrosi del vaso. Se il vaso è un capillare glomerulare, invece,
avremo una glomerulonefrite.
Gli immunocomplessi possono arrivare a livello renale con tre modalità (rappresentate nell’immagine
sottostante):
● Nella parte A è rappresentato un immunocomplesso circolante, formato da Ab e Ag circolante, che si
impianta nel rene. Questo è il meccanismo con cui si sviluppa, ad esempio, la glomerulopatia
membranosa secondaria a lupus eritematoso sistemico (LES). Se immaginiamo che l’antigene sia il DNA
che lega un autoanticorpo, l’immunocomplesso si deposita sul versante esterno della membrana basale,
quindi avremo una glomerulopatia membranosa secondaria al lupus 30;
● Nell’esempio B l’Ag è autologo renale, espresso dal podocita, riconosciuto da un autoanticorpo; perciò,
l’immunocomplesso si forma in situ nel rene. Questo è il caso della nefropatia idiopatica;

28
Integrazione dalle sbobine vecchie.
29
Sostanza fibrinoide: depositi di immunocomplessi con fibrinogeno.
30
Integrato dalla sbobina 3 dell’anno scorso, l’argomento verrà ripreso nella nefrite lupica.

35
● Nel pannello C c’è un Ag circolante eterologo che si impianta nel rene e successivamente viene
riconosciuto da un Ab circolante: l’immunocomplesso si forma in situ, ma solo perchè l’Ag esterno si
impianta.
In questa immagine la malattia descritta è la stessa, le patogenesi sono diverse, ma il risultato è lo stesso:
l’immunocomplesso si deposita sempre nello spazio sub epiteliale, compreso tra membrana basale
glomerulare e processi podocitari dei podociti. È rappresentata infatti una malattia specifica: la glomerulopatia
membranosa.31

Per alcune malattie conosciamo quale, tra i tre, è il


meccanismo patogenetico prevalente, per altre no.
Il concetto principale è che, formato
l'immunocomplesso, questo si può depositare a
livello di compartimenti renali specifici solo se è
nefritogeno, ovvero se ha particolari caratteristiche
chimico-fisiche:
● Anionico ad alto peso molecolare: solitamente
respinto dalla membrana basale glomerulare,
carica negativamente, e tende a depositarsi in
sede sub-endoteliale, tra endotelio e
membrana basale glomerulare.
● Cationico a basso peso molecolare: attraversa
la membrana basale glomerulare più
facilmente e tende a depositarsi nello spazio
subepiteliale: tra membrana basale
glomerulare e processi pedicillari dei podociti.

31
Integrazione dalla sbobina 3 dell’anno scorso.

36
Gli autoanticorpi
Questi, come gli immunocomplessi, sono
fattori che iniziano in modo importante la
patogenesi delle malattie glomerulari32. Gli
autoanticorpi sono Ab che riconoscono Ag
autologhi. I fattori scatenanti, fonte di Ag
circolanti endogeni e esogeni, possono
essere: infezioni, Ag endogeni, farmaci,
neoplasie.
Questi Ag stimolano la risposta immunitaria
e quindi la formazione di Ab, che
legheranno:
● Membrana basale: avremo una
glomerulonefrite da autoanticorpi;
● Antigeni circolanti il complesso Ag-Ab si deposita nel rene: avremo una glomerulonefrite da Ic circolanti;
● Antigeni impiantati: avremo una glomerulonefrite da immunocomplessi in situ.

Altri componenti del si


Nell’evoluzione della patologia glomerulare sono coinvolti anche altri componenti del SI. Questi agiscono a
partire dalla patogenesi, come inizianti, ma hanno un ruolo chiave anche nella promozione e progressione
della patologia. Le patologie glomerulari, come abbiamo visto nell’IRA, sono caratterizzate da una
multifattorialità nella patogenesi: nei processi infiammatori è importante il ruolo dei linfociti T; possiamo
trovare fattori permeabilizzanti circolanti che alterano il podocita causando glomerulopatie da
immunocomplessi. Oltre che una serie di mediatori, come il complemento, proteine della coagulazione,
citochine, fattori di crescita. Sono fondamentali anche le componenti cellulari: polimorfonucleati, linfociti B
e T, cellule mesangiali, endoteliali ed epiteliali.

Il complemento
Ha un ruolo patogenetico (iniziante) fondamentale in molte patologie glomerulari, ma ha anche un ruolo
nell’amplificazione e mantenimento del processo infiammatorio e quindi nella propagazione del danno
glomerulare. È un sistema di difesa innato nei confronti di elementi infettivi, costituito da tre vie:
● La via classica, attivata da immunocomplessi;
● La via lectinica, attivata da componenti di membrana batterici;
● La via alternativa, costitutivamente attiva, in cui C3 si idrolizza spontaneamente (tick over) in C3a e C3b.
Questa attivazione accelera nel momento in cui c’è un evento infiammatorio o infettivo; quindi, è il
primissimo meccanismo di difesa nei confronti di un evento infettivo.

La via classica e lectinica convergono sulla C3 convertasi, che scinde C3 in C3a e C3b, il quale formerà la C5
convertasi. Il C5, a questo punto, viene scisso in C5a e in C5b, che formerà poi il complesso C5b-9, complesso
di attacco di membrana (MAC) 33, che distrugge il microrganismo34. La via classica è attivata
dall’immunocomplesso, quindi può essere iperattivata da malattia autoimmune da immunocomplessi. La via
alternativa è iperattiva in certe forme di malattie genetiche glomerulari, in cui il tick over di C3 è eccessivo:
questo favorisce l’aggregazione piastrinica e può causare una microangiopatia trombotica.

Nella seguente pagina, uno schema riassuntivo di tutti i fenomeni sopra descritti.

32
Da questo punto la descrizione dell’immagine inserita è stata totalmente integrata dalle sbobine dello scorso anno, per
rendere la comprensione più chiara.
33
Se il sistema è attivato in modo non controllato attacca le nostre cellule.
34
Non è una lezione di immunologia, non serve entrare nel dettaglio, il prof sottolinea i punti chiave, che saranno utili
alla comprensione dell'argomento.

37
Conclusione
Abbiamo completato il quadro patogenetico, sicuramente complesso, ma fondamentale nei suoi aspetti
generali, utile a comprendere le varie patologie glomerulari.
Possiamo avere immunocomplessi, formati in situ, circolanti, con Ag autologhi o eterologhi, autoanticorpi,
anticorpi e altri fattori, che determinano alterazione della membrana basale glomerulare, del mesangio, o
comunque del diaframma di filtrazione. Tutti questi inizianti determinano35 l’attivazione del mesangio, del
complemento, la proliferazione delle cellule mesangiali, rilascio di citochine infiammatorie, danno glomerulare.
Il danno glomerulare determina proteinuria e danno tubulo-interstiziale. Questo è tutto quello che può
succedere in una glomerulonefrite. A seconda della patologia glomerulare che consideriamo prevarrà un
meccanismo patogenetico.

SINDROMI CLINICHE IN CORSO DI GLOMERULONEFRITI


Il primo concetto è la distinzione di glomerulonefrite e glomerulopatia. Una glomerulonefrite è una patologia a
carattere infiammatorio che si manifesta a livello della membrana basale glomerulare e al suo interno. Quello
che avviene all’esterno della membrana basale glomerulare, nel compartimento sub-epiteliale o al podocita,
ha un carattere meno infiammatorio36 abbiamo una glomerulopatia.
Quando abbiamo un danno glomerulare che cosa succede nel malato?
Prima di parlare delle sindromi cliniche parliamo delle conseguenze: possiamo avere proteinuria, ematuria e
modificazioni caratteristiche a carico del sedimento urinario.

Proteinuria
La proteinuria è la prima conseguenza al danno glomerulare, infatti in caso di patologia glomerulare c’è
sempre. La proteinuria è l’escrezione patologica di più di 150mg/die, che avviene in tre condizioni:
● Aumentata permeabilità glomerulare, in questo caso prevale l’albumina, proteinuria glomerulare;
● Ridotto riassorbimento tubulare, e in questo caso avremo una proteinuria a basso peso molecolare, la
cosiddetta proteinuria tubulare.
Sarà importante capire se il nostro malato ha una proteinuria con albumina o a basso molecolare, perché il
compartimento renale colpito sarà diverso: nelle nefriti tubulo interstiziali avremo proteinuria tubulare, nella
patologia glomerulare avremo proteinuria glomerulare. Questo è visibile con elettroforesi delle proteine tubulari
o dosando l’albuminuria: se il malato ha 5 g di proteinuria e 4 g di albuminuria ha una patologia glomerulare,
se il malato ha 5 g di proteinuria e l’albuminuria normale, allora la causa della proteinuria non è glomerulare.
Delle proteine a basso peso molecolare ne parleremo nella neoplasia ematologica 37.

35
Integrazione dalla sbobina 3 dell’anno scorso.
36
Sono semplificazioni, la componente infiammatoria è presente in entrambe.
37
Proteinuria di Bence-Jones, si tratta di catene leggere immunoglobuliniche prodotte in eccesso, tali da superare la
capacità di riassorbimento a livello tubulare.

38
Questa immagine rappresenta quanto
spiegato. Normalmente filtriamo tutte le
proteine a basso peso molecolare e le
riassorbiamo a livello del tubulo contorto
prossimale, quindi, se il nostro malato ne
produce troppe compariranno nelle urine
(catene leggere in corso di mieloma, per
questo il mieloma causa proteinuria a
basso peso molecolare); l’albumina viene
filtrata solo in parte e viene riassorbita
tutta38; le proteine ad alto peso
molecolare, non passano. Se il malato ha
un danno a livello della membrana di filtrazione passa perlopiù albumina, mentre le proteine ad alto peso
molecolare passano solo in caso di danno grave. La proteinuria si classifica in base all’entità:
● Lieve <1g;
● Moderata se >1g e < 3.5g;
● Severa >3.5 g.
Questo è importante perché malattie diverse hanno un’entità di proteinuria diversa, in base alla sede di origine
(tubulare, glomerulare).

Ematuria
La patologia glomerulare è sempre accompagnata da proteinuria, l’ematuria può essere presente, ma non in
tutte, e questo ci permette di distinguere gruppi di patologie glomerulari. L’ematuria può essere macro o
microscopica: macroscopica quando il paziente riferisce di avere le urine rosse/scure, microscopica quando il
colore è quello fisiologico.
L’ematuria macroscopica può essere:
● Urologica, caratterizzata da sangue rosso vivo, chiaro, color ciliegia, con caratteristiche che varia da
minzione a minzione;
● Nefrologica è caratterizzata da un color coca-cola, mattone, più scure, e tutte le minzioni sono uguali.
Le urine vanno a modificarsi nell’arco di diversi giorni, non tra una minzione e l’altra, in questo modo
abbiamo una discreta sensibilità nel distinguerle.
Quando un malato è macroematurico per via di una malattia
nefrologica, il malato ha un quadro infiammatorio molto
intenso, quindi, il compartimento glomerulare coinvolto sarà la
membrana basale glomerulare e gli spazi interni, spazio sub-
endoteliale ed endotelio. Infatti, nella maggior parte dei casi, il
malato con patologia glomerulare non ha macroematuria
(quindi le urine hanno un colore fisiologico), ma eseguendo un
esame delle urine troviamo globuli rosse nelle urine, quindi ha
microematuria. Rilevare microematuria è molto importante:
esistono infatti due patologie glomerulari che possono essere
completamente asintomatiche, il cui unico segno è
microematuria, che se non riconosciuto porterà a IRC senza
possibilità di terapia.
L’origine della microematuria viene stabilita in seguito alla
valutazione morfologica delle emazie:
● In caso di patologia glomerulare, le emazie sono
solitamente mal conservate con margini alterati,
frammentati, con estrusioni. Questa è una conseguenza
del processo infiammatorio;

38
Proteina a medio peso molecolare, 69 kDa.

39
● Se l’esame delle urine segnala emazie ben conservate queste sono solitamente di origine urologica,
con margini integri e normali. Basti immaginare un vaso che sanguina nelle vie urinarie. 39
Alcuni esami segnalano se le emazie sono dismorfiche, alcuni specificano anche il tipo di anomalia, soprattutto
negli esami in cui viene svolta l’analisi microscopica, a differenza della valutazione effettuata dal
citofluorimetro, che non è così dettagliata.
Ecco un esempio di emazie dismorfiche. Le emazie dismorfiche caratteristiche della malattia renale sono gli
acantociti, quindi, se nell’esame urine viene refertata un’ematuria contenente emazie, con presenza di
acantociti, l’origine glomerulare è molto probabile.

Sedimento Urinario
Come nefrologi abbiamo a disposizione, oltre all’analisi visiva delle urine, l’esame del sedimento urinario.
Sedimento urinario è una piccola biopsia renale che viene effettuata su urine centrifugate, si elimina il
surnatante40 che rimane in alto e si valuta il sedimento che si deposita sul fondo. Questo viene valutato
dall’operatore al microscopio, ma a volte si fa anche in reparto. Il sedimento urinario dà una serie di
informazioni: se ci sono le emazie, se sono mal conservate, monomorfiche o dismorfiche, se sono presenti
leucociti, altre cellule nucleate, cellule di sfaldamento, batteri, cristalli o cilindri. Particolarmente importante per
le patologie glomerulari sono i cilindri.

I Cilindri
Sono strutture cilindriche derivanti dalla precipitazione intratubulare dell’uromodulina
o proteina di Tamm-Horsfall. Viene prodotta fisiologicamente a livello dell’ansa di
Henle e nel tubulo contorto distale e ha la funzione di mantenere pulito il tubulo, ma
ha anche funzione di immunomodulazione e antibatterica. Questa proteina tende a
precipitare in ambiente acido, formando dei cilindri, che intrappolano ciò che c’è nel
tubulo. Nell’analisi del sedimento possiamo valutare questi cilindri, che ci danno delle
informazioni importanti:
● Se nell’esame urine troviamo dei cilindri ialini, cilindri vuoti, siamo in una
situazione fisiologica, al massimo possono essere indice di disidratazione, non
di un processo patologico. Questi cilindri si identificano solamente fochettando;41

39
Integrato dalle sbobine dell’anno scorso.
40
O sovranatante: porzione di liquido chiarificato che si stratifica nella parte superiore di una sospensione per effetto
della sedimentazione ottenuta per centrifugazione.
41
Ovvero muovendo rapidamente la ghiera per mettere fuoco.

40
● Se troviamo dei cilindri granulari, sono indice di proteinuria,
oppure di un’evoluzione di cilindri cellulari, in questo caso è
probabile la patologia glomerulare;
● Se troviamo cilindri eritrocitari, all'interno del tubulo sono
presenti emazie, che non dovrebbero esserci;
● Se troviamo dei cilindri leucocitari, il paziente ha una pielonefrite
o una nefrite tubulo interstiziale.
La presenza di globuli rossi dismorfici, la presenza di cilindri granulari
e cellulari, codifica quello che viene chiamato sedimento urinario
attivo. Quando trattiamo un malato con un’insufficienza renale che
peggiora, con microematuria e sedimento urinario attivo, con emazie dismorfiche, acantociti, cilindri granulari
e cellulari vuol dire che quel malato ha un processo infiammatorio glomerulare, detto glomerulonefrite.

SINDROMI CLINICO URINARIE


Quando parliamo di patologie glomerulari, possiamo
avere quattro sindromi cliniche. La stessa
glomerulonefrite può dare più sindromi clinico urinarie.
● Proteinuria con microematuria persistente - detta
sindrome urinaria isolata;
● Ematuria ricorrente (generalmente macroscopica
in individui sani);
● Sindrome nefrosica;
● Sindrome nefritica.
Un primo concetto da introdurre è che è molto più
frequente in caso di una certa sindrome clinica avere
una certa patologia glomerulare, viceversa una certa
patologia glomerulare dà una certa sindrome clinica. Purtroppo, esiste un certo grado di sovrapposizione per
cui la certezza non si ha mai, l’unico modo certo per sapere che patologia glomerulare abbiamo di fronte a noi
è la biopsia renale. Però la storia del malato e le manifestazioni cliniche ci possono aiutare molto.

La sindrome urinaria isolata propriamente detta


Questa è caratterizzata dalla presenza di proteinuria e/o microematuria in un soggetto asintomatico, quindi, il
classico paziente solitamente giovane che effettua un esame delle urine (motivi lavorativi o sportivi) e identifica
la presenza di proteinuria e microematuria. Se poi si va a vedere il sedimento la microematuria è
renale/nefrologica, con acantociti, emazie dismorfiche e magari dei cilindri, ma il paziente sta bene, ha solo
questa alterazione. La proteinuria è solitamente lieve e moderata.

Ematuria ricorrente
In questo caso il malato sta bene, ma presenta dei saltuari episodi di macroematuria. Questi possono essere
associati a infezioni delle alte vie respiratorie, familiari (esiste una patologia che vedremo che dà questa
condizione), spesso sono intervallate a periodi in cui l’esame urine presenta delle anomalie urinarie isolate.
Queste prime due sindromi cliniche vanno ricercate, è complesso identificarle con l’esame urine. Infatti le
alterazioni possono essere minime e far pensare a un’infezione, disidratazione, mentre invece si tratta di una
patologia glomerulare che, nel tempo, ha causato un’IRC.
Al contrario sindrome nefrosica e nefritica sono dal punto di vista clinico più rilevanti e più significative, ovvero
il paziente a un certo punto dal nefrologo arriva.
Sindrome nefrosica
La sindrome nefrosica è caratterizzata da:
● Proteinuria severa > 3,5 g/die;
● Ipoproteinemia totale < 5 g;
● Ipoalbuminemia <3g;

41
● Edemi di variabile intensità e diffusione;
● Dislipidemia e trombofilia;
● Tipiche alterazioni dell’elettroforesi: riduzione albumina, aumento alfa 2, aumento beta-globuline e
riduzione delle gamma globuline.
Chi presenta tutte queste caratteristiche ha una sindrome nefrosica, chi ha solo alcune di queste ha una
sindrome nefrosica incompleta (definizione generale: può avere diversi significati a seconda della patologia).
Che sintomi ha il paziente? Quelli più frequenti sono legati allo sviluppo di edemi, quindi il paziente riferisce
un aumento di peso, dice che negli ultimi 3-6 mesi è aumentato di 3-4 kg, le gambe e le caviglie sono gonfie.
Spesso il paziente riferisce urine schiumose, a causa della proteinuria, quando ha dei sintomi ulteriori sono
generalmente aspecifici: astenia, anoressia, malessere.

Patogenesi dell’edema
Perché il malato ha edema? Quali sono le cause delle manifestazioni cliniche del paziente con sindrome
nefrosica?
Tutta la clinica deriva dalla ipoalbuminemia, che determina diminuzione della P oncotica plasmatica, che è
uno dei determinanti della P di filtrazione glomerulare, mantenendo l’acqua all’interno del torrente ematico,
questo determina un passaggio di liquidi nel terzo spazio (interstiziale) e ipovolemia.
I nostri barorecettori, percepiscono una ipovolemia intravascolare, si attiva il RAAS che può trattenere il Na+,
viene rilasciata la vasopressina che porta alla ritenzione di acqua. Na+ e acqua a causa della pressione
oncotica si spostano nel terzo spazio e il risultato è edema. Il quadro se non viene interrotto con la terapia
specifica o con la somministrazione di farmaci diuretici o inibitori del RAAS, si mantiene e il malato tende a
gonfiarsi. E questo42 dà l’idea del perché i malati con sindrome nefrosica possano sviluppare dei peggioramenti
della funzione renale: il paziente ha una ipovolemia efficace (intravascolare), mentre ha una ipervolemia
extravascolare. L’ipoperfusione determina un IRA pre-renale, un’IRA funzionale da ipovolemia intravascolare.

Patogenesi della dislipidemia


Un altro aspetto fondamentale di un malato con sindrome nefrosica ha tipicamente ipercolesterolemia,
ipertrigliceridemia, VLDL, LDL e lipoproteine. Questo è dovuto ad un’aumentata sintesi epatica di lipidi, alfa1-
proteine, colesterolo, trigliceridi, in seguito ad un aumento della sintesi proteica, sotto lo stimolo
dell’ipoalbuminemia. Il fegato prova a tamponare l’ipoalbuminemia, ma l’albumina viene persa con le urine, in
compenso porta ad un'aumentata sintesi di altre proteine che danno dislipidemia. Un altro meccanismo con
cui si ha dislipidemia è la lipolisi deficitaria, data dalla perdita urinaria di enzimi lipolitici.

Patogenesi delle trombofilia


Altro aspetto è che il malato con sindrome nefrosica ha tendenza alla trombofilia, ovvero con aumentato rischio
trombotico. Questo perché ha perdita urinaria di fattori della coagulazione (IX e XI) e un aumento di fattori
procoagulanti (V e VIII) per sintesi epatica, aumento livello di fibrinogeno, alterazione del sistema della
fibrinolisi, aumentata attività piastrinica, può essere presente trombocitosi e spesso è presente disfunzione

42
Integrazione.

42
endoteliale. Il risultato è che il malato ha un rischio trombotico aumentato, per cui va sempre considerata la
terapia anticoagulante.
In linea di massima, (integrazione)
● Per valori di albuminemia inferiori a 2 il paziente va sempre scoagulato,
● Tra i 2 e i 2.5 bisogna valutare se scoagularlo, o (in pazienti ad alto rischio) se dargli almeno una dose
profilattica di eparina,
● Tra i 2.5 e 3 bisogna considerare eparina profilattica nei malati ad alto rischio.
Questo è importante perché se siete in PS con un paziente con sindrome nefrosica e dispnea, il paziente
potrebbe avere embolia polmonare, ha quindi conseguenze importanti.

Riassunto
Questo riassume quello che succede a un malato con sindrome nefrosica:
● Proteinuria >3,5g, urine schiumose;
● Alterazione della elettroforesi lipida: ipoalbuminemia, iper alfa2, riduzione delle beta globuline, tendenza
alla riduzione delle gamma globuline;
● Dislipidemia;
● Aumentato rischio trombotico;
● Aumentato rischio infettivo, in quanto spesso sviluppano ipo-γ-globulinemia secondaria alla sindrome
nefrosica;
● Malnutrizione;
● Edemi, spesso associati a riduzione del volume circolante.

Diagnosi
Esami, valutazione delle urine, è necessario spiegare al paziente come devono essere raccolte le urine nelle
24h, esami immunologici, che vanno effettuati per identificare le eventuali cause di sindrome nefrosica dovute
a glomerulopatie secondarie, biopsia renale.

Sindrome Nefritica
È caratterizzata da:
● Ematuria: è sempre presente microematuria, può essere presente macroematuria;
● Oliguria;
● Edemi, di solito meno severi rispetto a quelli della sindrome nefrosica;
● Ipertensione arteriosa: si ha quasi sempre ipertensione arteriosa;
● Proteinuria lieve <1g, o più spesso moderata <3,5g nelle 24h;
● Insufficienza renale a rapida progressione. Ha 1.8 di creatinina, quando due mesi fa aveva 0.7, tra due
settimane ha 2.4: quindi la funzione renale è peggiorata a causa della sindrome nefritica.

43
Il malato spesso presenta dei sintomi sistemici, a causa dell’infiammazione, la clinica dunque comprende:
● Sintomi sistemici: febbricola, astenia, anoressia, nausea, vomito, cefalea (molto importante);
● Sintomi urinari: oliguria, macroematuria, urine schiumose, il sedimento urinario è attivo (con cilindri
granulari, cellulari, emazie dismorfiche);
● Ritenzione idrico-salina: edema declivi ed al volto, ipertensione arteriosa, stasi polmonare;
● Complicanze: insufficienza renale rapidamente progressiva, che se non identificata e trattata in tempo
può portare a danno renale irreversibile.
La diagnosi si effettua con esami urinari, ematochimici, urologici con aggiunta del pH (non viene misurato nella
sindrome nefrosica) e biopsia.

Abbiamo visto le varie sindromi cliniche, da ora in poi quando parleremo delle singole entità citeremo che
sindrome clinica può dare, non parleremo più delle singole sindromi cliniche. Abbiamo visto che la condizione
di sedimento urinario attivo è tipica dei malati con anomalie urinarie isolate, con macroematuria ricorrente,
sono quasi sempre presente la sindrome nefritica. i malati con nefrosica non hanno sedimento urinario attivo,
quindi hanno molto raramente microematuria, raramento i cilindri cellulari, hanno proteinuria severa, possono
avere cilindri granulosi. Esiste una forma di glomerulonefriti che può dare coesistenza delle due sindromi
nefritica e nefrosica.

Biopsia renale
Dalla storia clinica del malato, dagli esami ematochimici possiamo
ipotizzare la diagnosi del nostro malato, ma la certezza della diagnosi
ce la dà la biopsia renale. Quando frequenterete il reparto sarà possibile
vedere una biopsia renale.
Tramite sonda ecografia si sonda il rene, e poi si va a pungere con un
ago. Solitamente la procedura è eco-guidata, sull’ecografo viene
montata un’apparecchiatura di plastica che guida l’ago, si può anche
fare in maniera ecoassistita: si appoggia l’ecografo, si infila l’ago e ci si
orienta.

Quando viene svolta una biopsia renale viene prelevato un


cilindro di parenchimale renale, che contiene tanti
glomeruli, viene messo in fissativi, poi viene “affettato” e
posizionato su un vetrino, che poi verrà osservato al
microscopio. Al microscopio, dunque, si osserverà
un’immagine bidimensionale del glomerulo, di una struttura
che però è tridimensionale.
Va tenuto presente, perché ci possono essere condizioni in
cui, per motivi casuali, si campionano sezioni del glomerulo
normali, mentre questo è alterato in zone che non sono
state campionate.43
In questo modo si possono trovare lesioni glomerulari:
• Lesioni diffuse, se riguardano tutti i glomeruli;
• Lesioni focali, se riguardano alcuni glomeruli;
• Lesioni globali, se riguardano tutto il glomerulo;
• Lesioni segmentarie, se riguardano parte del glomerulo.
La glomerulosclerosi focale segmentaria, intuitivamente, sarà una sclerosi glomerulare focale (ovvero che
interessa alcuni glomeruli) e segmentaria (ovvero parte del glomerulo).

43
Informazione integrata dalla sbobina 3 dell’anno scorso

44
Con questa tecnica possiamo avere un errore di campionamento: se prelevate pochi glomeruli e questi
vengono affettati in modo un po’ sfortunato così che non vengono incluse queste lesioni, non troverete
anomalie glomerulari.44

A sinistra abbiamo l’immagine di un rene normale con tre glomeruli, un’arteriola, tubuli e interstizio; la
colorazione è la Jones che mette in evidenza le strutture connettivali, le membrane basali glomerulari, che
sono visibili come fili più scuri nel glomerulo. Anche a destra, nell’ingrandimento, il glomerulo è sano e si può
notare come i vari compartimenti siano in prossimità45.

Immunofluorescenza
Un’altra analisi che effettuiamo è l’immunofluorescenza dove noi andiamo a identificare se nel glomerulo si
sono depositate certe sostanze. Possiamo fare un’immunofluorescenza verso le componenti del
complemento: il C3, il C1q, IgG, IgA, IgM. Questo serve a capire se nel glomerulo sono presenti depositi di
complemento, di Ig che ci permettono insieme al quadro clinico e alla biopsia di effettuare diagnosi.
L’immunofluorescenza utilizza un anticorpo marcato o un anticorpo primario che verrà riconosciuto poi da un
Ab secondario marcato, che quando esposto a una luce particolare emette una fluorescenza. È ovviamente
fondamentale conoscere la molecola che l’Ab marcato andrà a legare. Nell’immagine la molecola marcata è
una IgG: l’immunofluorescenza evidenza un deposito subepiteliale.

GLOMERULONEFRITI
L’ultimo argomento che affrontiamo sono le glomerulonefriti che finiremo nella prossima lezione con la
trattazione della malattia renale cronica.

Le glomerulonefriti primitive possono essere distinte in:

44
integrato dalla sbobina 3 dello scorso anno
45
integrato dalla sbobina 3 dello scorso anno

45
● Nefropatie che presentano abitualmente sindrome nefritica:
o Glomerulonefrite proliferativa-essudativa endocapillare (“parainfettiva”),
o Glomerulonefrite proliferativa endo- ed extracapillare,
● Nefropatie che presentano abitualmente sindrome nefrosica:
o Glomerulopatia membranosa,
o Glomerulopatia a lesioni minime,
o Glomerulosclerosi focale segmentale,
o glomerulonefriti membranoproliferative,
● Nefropatie che presentano abitualmente sindrome urinaria isolata o ematuria ricorrente:
o Nefropatia a depositi di IgA.

Sono definite glomerulonefriti primitive poiché storicamente venivano classificate come forme primitive; in
realtà, spesso, sono secondarie ad altri processi patologici.

NEFROPATIE CHE PRESENTANO ABITUALMENTE SINDROME NEFRITICA


Glomerulonefrite proliferativa-essudativa endocapillare
Questa patologia riguarda il 6-10% delle forme primitive, può colpire qualsiasi età (dai 2 ai 65 anni, età media
di 26 anni) ed è la cosiddetta glomerulonefrite proliferativa para-infettiva.
Col termine para-infettiva, si intende una forma di glomerulonefrite secondaria a infezioni batteriche,
storicamente associata allo Streptococco β-emolitico di gruppo A.
Era frequente soprattutto nei bambini, i quali, dopo 2-3 settimane da una tonsillite o da una faringite con
formazione di placche, presentavano macroematuria.

L’epidemiologia di queste forme para-infettive si è, col tempo, modificata (anche dall’uso ampio e spesso
smodato degli antibiotici): ora è probabile trovarla anche in individui adulti, associata ad altri patogeni come lo
S. aureus.

La patogenesi di questa glomerulonefrite è legata alla formazione di immunocomplessi, che sono in circolo,
oppure si formano in situ; non è ancora chiaro se gli anticorpi prodotti contro l’antigene infettivo riconoscano
degli antigeni endogeni (per mimetismo molecolare) o se gli antigeni del batterio si impiantino a livello
glomerulare, portando alla formazione di immunocomplessi.

Il professore poi racconta di un caso recente di un paziente che è arrivato al pronto soccorso per una IRA. Gli
è stata diagnosticata una sindrome nefritica e poi è stato biopsiato. Inizialmente, si pensava che il malato fosse
affetto da una nefropatia a depositi da IgA, che vedremo in avanti, successivamente, una revisione ha portato
a diagnosticare una forma proliferativa-essudativa endocapillare. È stata ricercata l’infezione scatenante la
glomerulonefrite ed è stata trovata nella protesi al ginocchio del paziente. L’infezione ha portato all’attivazione
del sistema immunitario, questo ha prodotto Ab rivolti verso l’Ag del batterio, si sono formati degli
immunocomplessi che si possono depositare a livello mesangiale, sub-endoteliale e sub-epiteliale. Questi
hanno attivato il sistema del complemento, causando il processo infiammatorio che ha portato alla patologia
glomerulare.

La glomerulonefrite proliferativa-essudativa endocapillare si manifesta con:

● Sindrome nefritica (80%);


● Sindrome nefrosica e microematuria (15%), questa combinazione particolare deve far sospettare di
eziologie che non sono le solite eziologie che danno sindrome nefrosica;
● Una precedente infezione (70%), in alcuni casi l’infezione è ancora in corso;
● IR è transitoria nel 30-40% dei casi; abbiamo una IR severa solo nel 5% dei casi;
● Ipertensione (60-80%);
● Riduzione del C3 (80%), importante perché ci sono altre patologie glomerulari in cui il C3 è basso;

Regredisce in 6 settimane, solitamente può persistere microematuria, nella maggior parte dei casi (70-80%)
si ha una remissione completa, nel 10% dei casi una remissione parziale e un 10% dei casi può esitare in una
IRC.

46
Il malato di cui sopra, dal momento che l’infezione non eradicabile agevolmente, è un malato che ha avuto
un’evoluzione negativa ed è rimasto in dialisi.

Per la diagnosi vengono ovviamente fatti: esami ematochimici, esami urinari, esami immunologici e biopsie.
In particolare, si faranno anche degli esami per scoprire l’infezione 46 tramite tampone faringeo, tampone
cutaneo, urinocoltura, emocoltura, ecografia addome, talvolta anche TAC addome, ecocardio e PET.

Si fa anche la biopsia, la quale, a causa della reazione infiammatoria (per la quale abbiamo la proliferazione
del glomerulo), si presenterà con:

● Proliferazione delle cellule mesangiali;


● Proliferazione delle cellule endoteliali;
● Infiltrazione di cellule infiammatorie, spesso granulociti (neutrofili), da qui il termine essudativo,
● Normale spessore della membrana basale glomerulare,
● Possono essere presenti, spesso sono presenti dei depositi sub-epiteliali, chiamati humps,
● Può esserci un interessamento tubulo-interstiziale variabile.

Nella figura a sinistra vediamo un glomerulo sano, il mesangio è sottile, i lumi capillari sono pervi, mentre a
destra vediamo un glomerulo con glomerulonefrite proliferativa-essudativa endocapillare: il glomerulo è
proliferato, è pieno, i lumi capillari praticamente non si vedono, sono collassati, dalla proliferazione, sono
presenti i neutrofili.

Anche l’immunofluorescenza è abbastanza informativa: solitamente sono presenti depositi di C3, più
raramente sono presenti depositi di immunoglobuline. Il pattern è variabile, può essere: a cielo stellato,
grossolani depositi periferici o mesangiale. Nell’immagine sulla sinistra si vede una immunofluorescenza con
depositi di IgG.

46
Una volta veniva anche dosato il TAS, ovvero il Titolo Anti-Streptolisinico, che è tipico delle infezioni streptococciche,
ma ora ha solo valore aneddotico.

47
La figura a destra è, invece, una immagine ottenuta mediante microscopia elettronica in cui vediamo: il lume
capillare, la membrana basale glomerulare, processi pedicillari dei podociti (i processi villosi), tra i quali
troviamo gli humps (i depositi tra la membrana glomerulare basale e i processi pedicillari dei podociti) e il
podocita in alto a destra.

Per quanto riguarda la terapia, se è stata trovata l’infezione che scatena la glomerulonefrite, è necessario
debellarla, altrimenti costituirà uno stimolo continuo alla produzione di immunocomplessi e quindi al
mantenimento della malattia glomerulare.
Il ruolo del cortisone è dibattuto: sebbene nelle forme severe si tenda a somministrare il cortisone (per
diminuire l’infiammazione), in realtà le evidenze cliniche della sua efficacia sono molto deboli. La terapia
sintomatica è quella tipica di tutte le patologie glomerulari quindi:

● Antipertensivi, se è iperteso;
● Diuretici, se ha edemi;
● Restrizione idrica, se è oligurico.

Glomerulonefrite proliferativa endo- ed extracapillare

La glomerulonefrite proliferativa endo- ed extracapillare riguarda il 5% delle glomerulonefriti primitive e colpisce


individui di tutte le età (dai 5 ai 75 anni, età media di 45 anni). È una condizione caratterizzata da un andamento
rapidamente progressivo per quanto riguarda il peggioramento della funzione renale.

Dal punto di vista patogenetico abbiamo tre forme di


glomerulonefrite:

● Forme da anticorpi anti-membrana basale


glomerulare (anti-MGB), quindi patologie causate
da autoanticorpi che vanno a colpire la membrana
basale glomerulare;
● Forme pauci-immuni, legate alla positività degli
anticorpi anti-citoplasma dei neutrofili, gli ANCA.
Sono le cosiddette vasculiti ANCA associate;
● Forme legate a immunocomplessi, che
affronteremo nelle forme membranoproliferative.

La glomerulonefrite proliferativa endo- ed extracapillare


si manifesta con:

● Sindrome nefritica nel 60% dei casi (tipicamente


nelle forme extracapillari);
● Sindrome nefrosica e microematuria nel 30-40% dei casi, ma questa riguarda esclusivamente quelle
forme da immunocomplessi che affronteremo nella membranoproliferative;
● Ematuria (30-40%);
● Oliguria (40%);
● IR severa (80-100%);
● Ipertensione (30%).

Se non trattata, nell’80-90% dei casi evolve verso l'IR terminale, ovvero la perdita del rene: sono una vera e
propria emergenza nefrologica.

Riprendendo la classificazione, le forme legate a immunocomplessi verranno trattate nelle forme


membranoproliferative per via di una nuova classificazione che ci sarà spiegata in seguito.
Ora, invece, ci soffermiamo sulle forme che costituiscono insieme circa il 50% delle forme proliferative endo-
ed extracapillare: quelle secondarie ad anticorpi anti-MGB (10%) e vasculiti ANCA associate (40%).

48
Prima di spiegare nel dettaglio queste due forme, il professore introduce il
concetto di semilune, che sono un marcatore morfologico abbastanza
specifico in queste forme di glomerulonefriti. Esse sono degli accumuli di
cellule infiammatorie all’interno dello spazio di Bowman, cioè lo spazio
all’interno del quale finisce la pre-urina.
Si formano a causa di un processo autoimmune (che vediamo illustrato
nelle immagini a destra) che causa danno endoteliale e della MBG; sia
l’endotelio, sia la MBG si rompono. Questo porta alla fuoriuscita di cellule
infiammatorie e di elementi pro-infiammatori dal circolo e la loro
deposizione nello spazio tra il glomerulo e la capsula di Bowman. Le cellule
depositate iniziano a proliferare, formando le semilune. Le semilune
determinano rottura della capsula di Bowmann e fuoriuscita del processo
infiammatorio nella struttura tubulo-interstiziale47.

Quindi la caratteristica di queste forme endo- ed extracapillare è la


presenza di semilune (formate da due o più strati di cellule proliferanti)
nello spazio di Bowman; esse sono espressione di glomerulonefrite.
A destra vediamo un’immagine di un glomerulo che appare schiacciato,
distorto dalla presenza di queste semilune.

Esistono diversi tipi di semilune in base alle diverse fasi del processo:

● Floride; semilune cellulari, reversibili che troviamo nelle fasi iniziali;


● Fibro-cellulari, hanno un minor grado di reversibilità, si sviluppano
in circa due settimane;
● Fibrose, irreversibile.

Il concetto di contiguità tra il glomerulo e gli altri


compartimenti renali è molto importante nella trattazione
di queste patologie: il processo infiammatorio della
semiluna è, inizialmente, nello spazio di Bowman;
portando a una rottura della capsula glomerulare, però,
causa l’estensione del processo infiammatorio nell’area
tubulo-interstiziale.

È per questo motivo che se il paziente viene trattato


prontamente, quindi con semilune in fase cellulare 48,
con farmaci immunosoppressori, il paziente guarisce
completamente. Se, invece, lo trattiamo quando le
semilune sono fibro-cellulari, la situazione è solo
parzialmente reversibile.
Qualsiasi tipo di terapia è del tutto inutile se ci troviamo allo stadio di semilune fibrose, che sono totalmente
irreversibili. Arrivati a questo punto, il glomerulo è sclerotico e il danno sviluppato sarà irreversibile.

Affronteremo le due malattie specifiche nella prossima lezione.

47
Questo paragrafo è stato parzialmente integrato dalle sbobina dell’anno scorso, poiché la spiegazione del professore
è stata piuttosto confusionaria (forse perché di fretta, dal momento che mancavano 5 minuti alla fine della lezione).
48
Le semilune cellulari, ma già più gravi (quindi non ci troviamo più nella fase iniziale), sono ancora parzialmente
reversibili.

49
Sbobinatori: 96-97
Revisori: 10-115
Materia: nefrologia
Docente: Federico Alberici
Data: 14/03/2023
Lezione n° 3
Argomenti: conclusione patologie
glomerulari che si manifestano con
sindrome nefritica, patologie glomerulari
che si manifestano con sindrome
nefrosica, glomerulonefriti secondarie

Comunicazioni: il Docente ricorda che chi è interessato alla preparazione del caso clinico deve scrivere una
mail alla Dott.ssa Mescia (federica.mescia@unibs.it).

Riassunto/integrazione: nella prima parte della lezione vengono riprese e concluse le patologie glomerulari
che si manifestano con sindrome nefritica iniziate nella lezione precedente. Successivamente vengono trattate
le patologie glomerulari che si manifestano con sindrome nefrosica e le glomerulonefriti secondarie. Di queste
ultime il Docente lascia al nostro studio individuale la sindrome uremico-emolitica, affermando che verrà
trattata eventualmente alla fine del corso se avanzerà del tempo; per questo motivo l’argomento è stato
integrato dalle sbobine dell’anno precedente e dalle slide.

PATOLOGIE GLOMERULARI CHE SI MANIFESTANO


CON SINDROME NEFRITICA
MALATTIA DA ANTICORPI ANTI-GBM
La malattia da anticorpi anti-membrana basale
glomerulare (anti-GBM), anche detta sindrome di
Goodpasture, è una causa rara (circa 1-2 casi per
milione di abitanti1) di insufficienza renale rapidamente
progressiva, che può associarsi o meno ad emorragia
polmonare. Nonostante sia una malattia rara, deve
essere riconosciuta rapidamente perché qualora fosse
trattata tardivamente porterebbe ad esiti irreversibili in
termini di danno renale. L’età di insorgenza è bimodale,
con due picchi alla terza e sesta-settima decade di vita.
Trattandosi di una malattia autoimmune, esiste una
predisposizione genetica, su cui agiscono però anche
dei trigger ambientali2 come fumo e infezioni (ossia
situazioni che possono portare a danno polmonare), Figura 1
interventi urologici, vasculiti ANCA associate e
disregolazione immunologica.

Patogenesi e manifestazioni cliniche


La patogenesi è legata alla presenza di anticorpi rivolti verso il dominio NC1 della catena α3 del collagene di
tipo IV, presente nella membrana basale glomerulare e nella membrana basale a livello polmonare. Questi
anticorpi anti-MBG riconoscono appunto la membrana basale glomerulare e vi si depositano determinando
un’attivazione della risposta infiammatoria, che comporta attivazione della risposta immunitaria innata, della
risposta immunitaria adattativa e della cascata del complemento. Tutto ciò risulta in un processo infiammatorio
che determina un danno a carico della membrana basale glomerulare; al danno consegue la rottura della
membrana stessa e quindi la fuoriuscita di elementi infiammatori nella capsula di Bowmann.
Il quadro clinico che ne deriva è quello tipico della sindrome nefritica (fino al 90% dei casi), che si manifesta
nel contesto di tutte le patologie glomerulari che riguardano i compartimenti interni alla membrana basale
glomerulare e la membrana stessa. La malattia è dunque caratterizzata da insufficienza renale rapidamente
progressiva, ovvero che comporta un deterioramento rapido della funzione renale.
Fino al 60% dei casi i pazienti possono presentare anche emorragia alveolare, condizione caratterizzata da
sanguinamento più o meno importante a livello endo-alveolare. Ciò si manifesta con dispnea, tosse, emottisi,
insufficienza respiratoria (non sempre presente) ed infiltrati polmonari particolarmente riconoscibili alla TAC.

1
Nella provincia di Brescia si osservano circa 2-3 casi all’anno.
2
Ricordiamo infatti che le malattie autoimmuni sono malattie multifattoriali.
51
Diagnosi Figura 2
La diagnosi parte dal work-up3 di una sindrome nefritica: nonostante questa malattia
sia rara, entra sempre in diagnostica differenziale con altri quadri di insufficienza
renale rapidamente progressiva.
Fondamentale per la diagnosi è la sierologia, in cui si utilizzano anticorpi anti-MBG;
anche la biopsia renale, la TAC torace e il lavaggio bronco-alveolare (in cui sarà
presente sangue) possono contribuire alla diagnosi.
La biopsia renale non viene sempre effettuata, ma può essere necessaria nel caso in
cui il test sierologico non fosse disponibile; la biopsia ha ruolo prognostico.
In microscopia ottica si osservano le semilune: strati cellulari epiteliali, fibroepiteliali o
fibrosi in base allo stato di evoluzione della malattia. Si potrebbero osservare anche
proliferazione di cellule endoteliali e mesangiali come risultato del processo infiammatorio o zone di necrosi
nelle aree in cui la membrana basale è danneggiata. L’immunofluorescenza evidenzia la presenza tipicamente
di IgG, ma possono essere presenti anche IgM e frazioni C3 del complemento con un pattern variabile, di
solito lineare periferico definito “a fumo di sigaretta” (figura 2). Questo aspetto deriva dalla deposizione di
IgG a carico della membrana basale glomerulare, dove causano appunto questo processo infiammatorio; è
come se l’immunofluorescenza andasse a disegnare la membrana.
Figura 3
Nell’immagine istologica riportata (figura 3) si osserva un glomerulo
schiacciato in un angolo della capsula di Bowmann a causa della presenza
di una proliferazione extraglomerulare (ovvero una semiluna). Si nota
anche una zona (evidenziata dalla freccia nera) in cui la membrana basale
glomerulare è danneggiata dagli anticorpi e dal conseguente processo
infiammatorio.
Nell’immagine sottostante (figura 4) si osservano invece glomeruli con
semilune in stato avanzato, quindi fibrose e fibrocellulari.
Figura 4
Una caratteristica tipica di questa malattia è che tutti i
glomeruli sono interessati e le lesioni sono omogenee: lo
stato di evoluzione delle semilune è analogo in tutti i
glomeruli. Ciò significa che quando il paziente arriva
all’attenzione del nefrologo con un filtrato glomerulare molto
ridotto e dunque una creatinina molto alta oppure arriva
anurico o dialisi-dipendente, le probabilità di recupero sono
molto basse. È quindi una malattia in cui si rende necessaria
la tempestività diagnostica e un avvio terapeutico immediato.

VASCULITI ANCA-ASSOCIATE (AAV) Figura 5


Le vasculiti ANCA-associate rappresentano una grande categoria di
malattie che causano glomerulonefriti proliferative endo- ed extra-
capillari. Sono malattie relativamente rare, che colpiscono circa 20-30
pazienti per milione di abitanti, ma che comunque capita di dover gestire
con molta frequenza4. È dunque necessario saperle riconoscere, anche
perché esistono delle forme in cui il coinvolgimento renale può essere
presente ma subdolo, senza sintomatologia degna di nota: se
riconosciute tardivamente possono esitare in danni irreversibili.

Si tratta di un gruppo di malattie sistemiche autoimmuni caratterizzate da un processo infiammatorio a carico


dei piccoli vasi, che sono diffusi in tutto l’organismo: di conseguenza tutti gli organi possono essere
potenzialmente coinvolti. Queste vasculiti vengono classificate in tre sottogruppi:
• Granulomatosi con poliangioite5 (GPA), conosciuta in precedenza come granulomatosi di Wegener.
• Poliangioite microscopica (MPA), con basso rischio di recidiva ma elevato rischio di mortalità.

3
Analisi a finalità diagnostica dettagliata (vedi https://dizionari.corriere.it/dizionario_inglese/Inglese/W/workup.shtml)
4
A Brescia, ad esempio, ci sono in media 1-2 pazienti ricoverati con questa diagnosi su 30 posti letto (per esordio di malattia, per recidiva,
per complicanze spesso infettive oppure sono pazienti dializzati a causa di questa malattia). Si tratta quindi di malattie rare in termini di
incidenza, ma la prevalenza è in costante aumento; la sopravvivenza è discreta.
5
[n.d.r. Il professore dice “poliangite”, ma facendo ricerche su internet si trova solo il termine “poliangioite”. Abbiamo deciso di utilizzare
per tutta la sbobina questo secondo termine]
52
• Granulomatosi con poliangioite eosinofilica 6 (EGPA), conosciuta in precedenza come sindrome di
Churg-Strauss. Le manifestazioni renali in questo caso, quando presenti, sono analoghe a quelle della
MPA.
In pazienti con GPA, come in quelli con MPA, si riscontra positività per anticorpi detti ANCA7 al 90% dei casi.
Questi pazienti possono avere manifestazioni vasculitiche (legate all’infiammazione dei vasi) e, solo nel
caso della GPA, anche manifestazioni granulomatose, la cui patogenesi non è ancora del tutto chiarita.
L’unica certezza è che i pazienti con vasculite da GPA possono sviluppare anche lesioni granulomatose, che
si manifestano prevalentemente a livello delle alte vie respiratorie e dei polmoni, dove possono dare origine a
cavitazioni, ma potenzialmente possono interessare tutti i distretti 8. Questi granulomi distruggono il tessuto in
cui si trovano e sono caratterizzati da una porzione centrale necrotica. Nella MPA il granuloma invece non è
mai presente.

Figura 6

Patogenesi della vasculite


I neutrofili vengono attivati da vari stimoli come infiammazione o infezioni; particolarmente rilevante è il ruolo
degli episodi infettivi come trigger delle vasculiti: molti pazienti sono colonizzati a livello nasale da S. Aureus
e hanno un esordio o una recidiva in corso o a seguito di un’infezione.
I neutrofili attivati espongono sulla loro superficie antigeni che vengono riconosciuti dagli ANCA, i quali
presentano specificità verso componenti dei granuli dei neutrofili dette mieloperossidasi (MPO-ANCA,
presenti più frequentemente nei soggetti affetti da MPA) e proteinasi 3 (PR3-ANCA, presenti più
frequentemente nei soggetti affetti da GPA). Il riconoscimento di questi granuli da parte degli anticorpi causa
l’attivazione dei neutrofili e l’avvio del processo infiammatorio con danno vascolare e dunque vasculite.
Esistono anche altri fattori che entrano in gioco, come citochine pro-infiammatorie e T effectory memory cells,
entrambe prodotte dall’interazione tra linfociti B e linfociti T. Gli anticorpi ANCA rappresentano un elemento
patogenetico e diagnostico.
Figura 7 Figura 8

6
Quest’ultima forma non verrà trattata in modo approfondito poiché non è solo di competenza del nefrologo, ma anche del reumatologo.
Riportiamo successivamente una breve trattazione.
7
Anticorpi anti-citoplasma dei neutrofili.
8
Sono stati descritti, ad esempio, granulomi meningei e prostatici.
53
Ruolo del sistema del complemento9
Anche il sistema del complemento ha un ruolo importante nella progressione del danno vasculitico:
l’attivazione della via alternativa determina la produzione di C5a, che ha un ruolo molto importante nella
chemiotassi dei neutrofili. Questo richiama e attiva i neutrofili facendogli esporre la proteinasi 3 e la
mieloperossidasi in superficie. Queste ultime vengono riconosciute dagli ANCA e in questo modo si crea un
circolo vizioso: i neutrofili attivati danno infiammazione, attivazione della via alternativa del complemento, etc.
Comunque, i protagonisti del meccanismo restano gli anticorpi ANCA.

Manifestazioni vasculitiche Figura 9


Le manifestazioni vasculitiche coinvolgono principalmente il rene, per cui
la disfunzione renale non è legata alla presenza di granulomi (che talvolta
possono comunque essere presenti). La manifestazione vasculitica renale
più importante è l’insufficienza renale rapidamente progressiva,
secondaria al danno endoteliale e al danno della membrana basale
glomerulare, che si manifesta come sindrome nefritica. Il quadro clinico
è dunque simile a quello della malattia da anticorpi anti-GBM: il danno alla
membrana ne causa la rottura, con fuoriuscita di cellule infiammatore e
conseguente formazione di semilune.
Nella figura 9 si osserva un glomerulo che presenta una parte sana
(freccia gialla), una semiluna in fase fibroepiteliale (freccia rossa), una
zona di compressione con aree necrotiche (freccia verde) e una parte di
infiltrato glomerulare che esce dalla capsula di Bowmann e si estende
nello spazio interstiziale circostante (freccia blu). È importante ricordare
che una patologia importante di un compartimento glomerulare si
ripercuote anche sugli altri.
Oltre al rene, l’altro organo maggiormente colpito è il polmone, anche in
questo caso10 con emorragia polmonare data da un danno alveolare che
causa passaggio di sangue dal circolo agli alveoli. Nella figura 10 è
riportato l’esempio di un’emorragia alveolare, che si distingue dall’edema
polmonare per la presenza di emottisi (la conferma deriva dal lavaggio Figura 10
bronco-alveolare, che presenterà sangue).

Questo processo vasculitico può riguardare anche altri organi:


• Cute: spesso i malati presentano porpora, ovvero lesioni eritematose che non scompaiono con la
digitopressione e che possono evolvere in modo variabile. Si tratta quindi di una vasculite cutanea.
Possono esserci anche manifestazioni cutanee atipiche come orticaria, livedo 11 ed eritema nodoso.
• Occhio: le manifestazioni oculari possono essere legate al granuloma (masse retro-oculari), ma possono
anche derivare dal processo infiammatorio vasculitico, con congiuntivite, episclerite, sclerite 12, neuropatia
ottica, vasculite retinica, uveite.
• Neuropatia periferica: il paziente presenta tipicamente una polineuropatia sensitivo-motoria, quindi
riferisce di avere delle disestesie o delle parestesie a calza o a guanto che peggiorano nel tempo.

Teoricamente, ogni organo può essere coinvolto, perché vengono colpiti i vasi di piccole dimensioni che sono
ubiquitari. Più raramente avremo quindi processi vasculitici a livello:
• Gastrointestinale, con addominalgia, emorragie, sanguinamento
• Cardiaco, con pericarditi, miocarditi, anomalie di conduzione
• Genito-urinario, con coinvolgimento di ureteri e prostata
• Paratiroideo
• Tiroideo
• Epatico

9
[n.d.s.: questo paragrafo è stato interamente integrato dalle sbobine dell’anno precedente. A lezione il Docente afferma di non voler
dettagliare il ruolo del complemento.]
10
Lo stesso accade nella malattia da anticorpi anti-GBM.
11
[n.d.s.: Livedo Reticularis: affezione dermatologica che si manifesta come una screziatura di colore blu-porpora che delinea un reticolo
irregolare (integrazione da Internet)]
12
Occhio arrossato.
54
Manifestazioni granulomatose Figura 11
Le manifestazioni granulomatose sono presenti
solamente nei pazienti affetti da GPA. Il soggetto
può anche non presentare manifestazioni
vasculitiche e arriverà all’attenzione del medico
per investigare le lesioni granulomatose, che
causano sintomi debilitanti e saranno gli elementi
su cui dunque si baserà la diagnosi. La
patogenesi di questo tipo di manifestazione non
è ancora del tutto chiarita, a differenza di quella
della vasculite.
Le manifestazioni granulomatose riguardano prevalentemente le alte vie
respiratorie, dove causano distruzione ossea e/o cartilaginea; in questo
caso i pazienti presentano una forma caratteristica del naso, detta “naso
a sella”, dovuta alla distruzione della cartilagine del setto nasale (figura
11). Nella RM adiacente si nota anche un danno a livello del seno
mascellare con ampliamento dello stesso.
I granulomi possono anche determinare lo sviluppo di masse retro-
orbitarie, nasali e polmonari. Virtualmente, tutti gli organi possono essere
colpiti dalle lesioni granulomatose (meningiti granulomatose, lesioni
ovariche, lesioni prostatiche…). Nella TAC encefalo (figura 12) si nota
Figura 12
una sinusite (a destra: l’area etmoidale è piena di materiale) e una
massa retro-orbitale (a sinistra), la quale può causare esoftalmo, Figura 13
dolore, iperemia congiuntivale. Nella figura 13 è riportata invece una
stenosi sotto-glottica: la trachea si restringe a causa dello sviluppo di
una stenosi al di sotto del piano glottico, a sua volta dovuta ad un
processo fibro-infiammatorio. In questo caso il paziente si presenta dallo
pneumologo con dispnea, che però viene spesso confusa con asma (la
spirometria restituisce un quadro ostruttivo). Nelle immagini sottostanti si
osserva un caso di coinvolgimento polmonare, con stenosi delle
diramazioni bronchiali (con conseguente dispnea, figura 14A). È
presente anche un nodulo polmonare (14B), altra manifestazione che
si può avere in corso di malattia: spesso questi malati vanno incontro a biopsie o lobectomie per sospettato
tumore. Infine, si osserva una lesione polmonare scavata (14C), che determina sintomatologia importante e
rischio di sovrainfezione.
Figura 14
A B
C

Figura 15

55
Esistono anche delle forme di GPA in cui coesistono le forme granulomatose e lo spettro vasculitico, si tratta
quindi di vie intermedie. Nella figura 15 alla pagina precedente sono riassunte le manifestazioni cliniche della
vasculiti ANCA-associate, che sono dunque malattie dal flavor interdisciplinare e che arrivano all’attenzione di
diversi specialisti.

Diagnosi e terapia Figura 16


Dal punto di vista istologico, alla
biopsia renale avremo delle
semilune in vario stadio di
avanzamento: a differenza della
malattia da anticorpi anti-GBM, le
semilune tendono ad avere fasi di
evoluzione diverse. Avremo
quindi glomeruli sani, glomeruli
necrotici, glomeruli con semilune
cellulari, fibrose o fibroepiteliali.
Si assiste anche in questo caso
alla proliferazione delle cellule
epiteliali mesangiali come
conseguenza del processo
infiammatorio. L’immunofluorescenza è tipicamente pauci-immune, ovvero non si hanno depositi rilevanti di
immunoglobuline e complemento (o comunque se ci sono non sono rilevanti).
13La biopsia renale è utile nello studio delle AAV. Anche se la diagnosi in un contesto clinico altamente

suggestivo e con la positività degli ANCA può essere assunta senza la necessità di effettuare la biopsia renale,
questa può confermare la diagnosi nei casi dubbi e fornisce informazioni prognostiche. La figura 16 mostra
una classificazione delle AAV basata sulle caratteristiche istologiche, le quali hanno anche un senso
prognostico:
• Se la classe della AAV è sclerotica, ovvero se più del 50% dei glomeruli sono in sclerosi, la sopravvivenza
renale è molto bassa e il rischio di evoluzione verso insufficienza renale terminale è più alta.
• Se il coinvolgimento renale glomerulare è meno sclerotico nelle forme più attive, la sopravvivenza renale
è migliore.
• La sopravvivenza renale è massima nelle forme focali, in cui solo alcuni glomeruli sono interessati da un
processo infiammatorio.

La terapia viene gestita dai nefrologi, però anche tutti gli altri specialisti devono essere in grado di sospettare
e riconoscere queste malattie. I pazienti, nel caso più estremo, presentano sintomi sistemici e PCR e creatinina
elevate. Esistono però anche forme meno evidenti, in cui il paziente può essere asintomatico e presentare un
quadro infiammatorio sistemico normale, ma avere comunque una vasculite. Il sospetto deve nascere dalla
presenza di un’insufficienza renale anche lieve, non giustificabile dalle comorbilità del paziente: non diabetico,
non iperteso, non c’è familiarità, creatinina normale fino ad un anno prima, che però ora è aumentata (ad
esempio a 1,5). Bisogna sempre considerare che le AAV potrebbero essere causa di questo aumento. È
fondamentale anche l’esame delle urine, in cui troveremo proteinuria e microematuria. Già solo questi elementi
sono sufficienti a porre il sospetto. Se poi si trovano ad esempio acantociti e cilindri cellulari avremo un’ulteriore
conferma.
La terapia è immunosoppressiva:
• Boli14 di cortisone ad alte dosi
• Immunosoppressori come rituximab e ciclofosfamide
• Cortisone per bocca a scalare
• Plasmaferesi con rimozione degli autoanticorpi nelle forme più severe
• Esistono anche terapie innovative che stanno emergendo ultimamente

Granulomatosi con poliangioite eosinofilica (EGPA)


È una forma particolare di AAV: le caratteristiche tipiche del malato sono asma, eosinofilia, coinvolgimento
delle alte vie respiratorie con sinusite, polipi e infiltrati polmonari. Viene trattata da vari specialisti come
reumatologo, immunologo, pneumologo, otorino e nefrologo.

13
[n.d.s.: la parte da qui fino alla fine dell’elenco è stata integrata dalle sbobine dell’anno precedente poiché il Docente non ha trattato la
biopsia renale e la classificazione associata; la terapia invece è stata trattata a lezione].
14
[n.d.s.: con l’espressione “bolo di cortisone” si intende la somministrazione endovenosa ad alte dosi di glucocorticoidi per aumentarne
l’efficacia in tempi rapidi riducendone il più possibile gli effetti collaterali (integrazione da Internet).]
56
Bisogna ricordare che quando c’è un coinvolgimento renale, questo è identico alla MPA: il paziente è MPO-
ANCA positivo con insufficienza renale che può essere rapidamente progressiva.

PATOLOGIE GLOMERULARI CHE SI MANIFESTANO


CON SINDROME NEFROSICA
INTRODUZIONE
Ricordiamo come si manifesta la sindrome nefrosica: proteinuria severa, ipoalbuminemia, alterazioni tipiche
dell’elettroforesi, aumentato rischio infettivo e trombotico, urine schiumose ed edema.
Tra le nefropatie che presentano tipicamente sindrome nefrosica troviamo:
• Glomerulopatia membranosa
• Podocitopatie
o Glomerulopatia a lesioni minime
o Glomerulosclerosi focale segmentale
• Glomerulonefriti membranoproliferative

GLOMERULOPATIA MEMBRANOSA
La causa più frequente di sindrome nefrosica nell’adulto – tolto il diabete – è la glomerulopatia membranosa,
condizione gestita dal nefrologo in caso di esordio, recidiva o complicanze della malattia stessa. Ha incidenza
di 0,2-1,4 casi ogni 100.000 abitanti15 e colpisce i soggetti con un’età media di 50 anni, più maschi che
femmine.

Patogenesi
La patogenesi consiste nella deposizione di
immunocomplessi in sede sub-epiteliale, ovvero Figura 17
all’esterno della membrana basale glomerulare,
in quello spazio compreso tra la membrana e i
processi pedicillari dei podociti. L’aspetto
istologico caratteristico è l’aumento di spessore
delle membrane basali glomerulari.
La glomerulopatia membranosa è parte di un
pattern morfologico che comprende anche altre
glomerulopatie, ovvero quelle caratterizzate da
ispessimento delle membrane basali
glomerulari e sindrome nefrosica16.
Come accade anche per tutte le altre
glomerulopatie di questo pattern, esistono due
tipi di cause della glomerulopatia membranosa:
• Cause primitive: la forma primitiva è
considerata una forma autoimmune. Si
riconoscono, in quasi l’80% dei casi, degli
autoanticorpi anti-recettore della fosfolipasi A2 (anti-PLA2R). Questi anticorpi sono utili nella diagnosi, nel
monitoraggio e nell’identificazione di recidive della malattia.
• Cause secondarie: nelle forme secondarie l’ispessimento delle membrane e la sindrome nefrosica sono
secondari ad altre malattie:
o Infettive (HBV, HCV)
o Autoimmuni (lupus eritematoso sistemico, artrite reumatoide, tiroidite di Hashimoto)
o Neoplasie (10-15% dei casi): quando si ha un malato con nefropatia membranosa, la prima cosa che
bisogna escludere è che abbia un tumore. È necessario dunque fare uno screening adeguato all’età
e ai fattori di rischio del paziente (ricerca di sangue occulto nelle feci, RX torace, TAC torace se il
paziente è fumatore…). Esistono infatti delle forme para-neoplastiche o associate a neoplasia in cui
è presente positività agli anticorpi anti-PLA2R: anche in presenza di questi quindi la nefropatia
potrebbe essere secondaria o comunque associata alla presenza di un tumore.

15
A Brescia, in media, si fanno 1-2 diagnosi al mese. Ciò indica che, in una nefrologia di riferimento provinciale, non è una malattia così
rara.
16
[n.d.r. si può quindi dire che il termine glomerulopatia membranosa indica un particolare aspetto morfologico del glomerulo, le cui cause
possono essere molteplici]
57
o Farmaci
Oltre agli anticorpi anti-PLA2R esistono altri autoanticorpi e antigeni identificati come responsabili dello
sviluppo della nefropatia membranosa (ad esempio anti-trombospondina, NELL1, semaforina), che però ad
oggi non sono utilizzati nella pratica clinica 17.
Figura 18

Nella figura 18 si può osservare la patogenesi della malattia; in particolare nel pannello B si osserva la forma
primitiva classica, dove possiamo vedere:
• Gli antigeni espressi dai podociti (recettori della fosfolipasi A2, PLA2R).
• Gli autoanticorpi circolanti nelle forme PLA2R positive (nelle forme PLA2R negative sono presenti altri
anticorpi che ancora non conosciamo). Questi anticorpi si depositano con conseguente formazione di un
immunocomplesso in situ.
Negli altri due pannelli sono rappresentati scenari che si possono avere nelle forme di glomerulopatia
membranosa secondaria, in particolare:
• Nel pannello A è presente un immunocomplesso circolante, che si impianta nella porzione esterna della
membrana basale glomerulare (ad esempio nel caso della glomerulopatia membranosa lupica 18).
• Nel pannello C si riconosce invece un antigene non endogeno, costituito ad esempio da un farmaco o da
un antigene infettivo, che si impianta all’esterno e viene riconosciuto dall’anticorpo.
Tutti questi sono quindi meccanismi patogenetici diversi della stessa malattia.

Manifestazioni cliniche
Nell’80% dei casi la malattia si manifesta con sindrome nefrosica, mentre nel 20% dei casi si manifesta con
proteinuria asintomatica (soprattutto nelle forme iniziali). Altre manifestazioni sono 19:
• Macroematuria 3%
• Insufficienza renale 15%
• Ipertensione arteriosa 20%
• Microematuria 30%
• Ipocomplementemia (rara)

La malattia ha un andamento che segue la regola dei terzi:


• 1/3 delle forme regredisce spontaneamente dopo sei mesi dall’esordio. Per questo motivo alcuni pazienti
non vengono “aggrediti” con una terapia di immunosoppressione, ma vengono semplicemente monitorati
nel tempo. Ciò accade con maggiore probabilità nelle forme anti-PLA2R positive con un titolo anticorpale
basso o con trend verso la riduzione di questi anticorpi.
• 1/3 delle forme va in remissione parziale: il paziente non guarisce ma la proteinuria rimane sub-nefrosica.

17 [n.d.s.: il Docente specifica che sia all’esame che in reparto, quando si parla di forma primitiva e autoanticorpi, ci si riferisce sempre
agli anti-PLA2R e dunque siamo tenuti a conoscere bene solo questi.]
18 Questa patogenesi è ipotizzata, ma non se ne conoscono i dettagli.
19 [n.d.s.: l’elenco è stato integrato dalle slide, il Docente l’ha solamente letto senza ulteriori dettagli.]

58
• 1/3 delle forme, se non trattato, progredisce verso insufficienza renale terminale.

Diagnosi e terapia Figura 19 Figura 20


In microscopia ottica (figura 19, glomerulo
normale e figura 20, glomerulo patologico) si
osserva un ispessimento delle membrane basali
glomerulari dovuto alla deposizione degli
immunocomplessi. Ciò è dovuto ad una
proliferazione della membrana, conseguenza del
tentativo della membrana stessa di internalizzare
gli immunocomplessi. Questi ispessimenti si
presentano come degli spikes (“dentature”) a
livello della membrana: tra uno spike e l’altro c’è un immunocomplesso.
All’immunofluorescenza, nelle forme primitive, si osserva una deposizione Figura 21
granulare periferica di IgG e C3, dove si trova l’immunocomplesso. Le forme
secondarie hanno tipicamente un’immunofluorescenza più attiva: oltre a IgG
e C3 troviamo anche IgA, IgM, C1q, indicativi di un’attivazione più trasversale
del sistema immunitario.
La microscopia elettronica (figura 21) dal punto di vista diagnostico non è
indispensabile, ma permette comunque di valutare l’evoluzione degli
immunocomplessi: si osservano depositi elettrondensi20 in sede sub-
epiteliale, con fusione dei processi pedicillari, meccanismo aspecifico di
reazione al danno glomerulare che determina sviluppo di proteinuria.
Esistono quattro stadi di sviluppo dei depositi (figura 22):
• Primo stadio: piccoli depositi che non alterano lo spessore della membrana basale glomerulare
• Secondo stadio: la membrana risponde con la formazione di proiezioni (gli spikes) che tendono ad
inglobare i depositi
• Terzo stadio: la membrana circonda i depositi, che diventano intramembranosi
• Quarto stadio: i depositi vengono riassorbiti

Figura 22

La terapia comprende:
• Una terapia sintomatica: diuretici per il sovraccarico salino
• Per i pazienti con manifesta trombosi o ad alto rischio di sviluppare trombosi: anticoagulanti (la cui
somministrazione si basa sui seguenti parametri: albumina <2 g/dl in assenza di altri fattori di rischio o
<2,5-2,6 g/dl se ha altri fattori di rischio pro-trombotici)21.
• Ipolipemizzanti per la dislipidemia

20
Ovvero gli immunocomplessi.
21
[n.d.s.: la parte nelle parentesi è stata integrata dalle sbobine dell’anno precedente.]
59
• Nefroprotezione aspecifica22: interventi che vengono messi in atto in tutti i malati nefropatici per ridurre
il rischio di progressione (ACE inibitori, sartani).
• Se il malato è ad alto rischio di progressione, è già presente un danno renale o la malattia non dà cenni di
remissione spontanea, si avvia una terapia immunosoppressiva, che si basa in realtà sulla
somministrazione di vari cocktail di terapie immunosoppressive, di cui quella in prima linea è l’anticorpo
monoclonale anti-CD20 rituximab. Le forme non trattate e quelle che non rispondono alla terapia
immunosoppressiva tendono ad evolvere verso l’insufficienza renale terminale.

PODOCITOPATIE
Nelle podocitopatie il processo patologico riguarda il podocita23. Le podocitopatie sono causa frequente di
sindrome nefrosica soprattutto nel bambino (3-5 anni) e nel giovane adulto (15-35 anni); nell’infanzia vengono
colpiti più spesso i maschi, mentre la frequenza è uguale tra maschi e femmine nei giovani adulti.
Sono talmente frequenti come causa di sindrome nefrosica nel bambino che i pediatri, quando rilevano
sindrome nefrosica, assumo che la causa sia proprio una podocitopatia ed iniziano la terapia con il cortisone
senza fare la biopsia renale (che si riserva alle forme che non rispondo alla terapia).
Se ne riconoscono due:
• Glomerulopatia a lesioni minime
• Glomerulosclerosi focale segmentale

Glomerulopatia a lesioni minime


La glomerulopatia a lesioni minime è responsabile del 75% delle sindromi nefrosiche dell’infanzia e del 10%
delle glomerulopatie primitive (nel bambino invece 50%).
Si presenta con sindrome nefrosica, più spesso in forma di proteinuria selettiva, ovvero che riguarda quasi
esclusivamente l’albumina. Ciò si deduce dall’elettroforesi delle proteine urinarie: è presente albumina in
quantità molto elevata e praticamente nessun’altra proteina. Quando la proteinuria è selettiva vuol dire che il
danno della barriera di filtrazione glomerulare è ancora lieve, iniziale.
Richiede terapia immunosoppressiva e, al contrario della glomerulopatia membranosa, la terapia viene
iniziata subito, senza monitorare il decorso della malattia; ciò deriva dal fatto che l’esordio di questa malattia
è tipicamente molto rapido e il bambino assume un aspetto gonfio nel giro di 2-3 settimane. La malattia tende
comunque a guarire entro i 10-20 anni nelle forme pediatriche.

Patogenesi24 Figura 23
La patogenesi, sia per la glomerulopatia a
lesioni minime che per la glomerulosclerosi
focale segmentale, non è conosciuta: entrano in
gioco vari elementi patogenetici, tra cui fattori
permeabilizzanti non meglio precisati prodotti
dai linfociti T. Esistono infatti delle forme di
malattia secondarie a linfomi e a neoplasie
ematologiche, quindi in qualche modo il sistema
immunitario e i linfociti hanno un ruolo nella
patogenesi. Alcuni autori hanno identificato
anche degli autoanticorpi, che però non sono
ancora stati confermati in modo solido. Si tratta
di anticorpi anti-nefrina, uno dei componenti
fondamentali del diaframma di filtrazione teso
tra i processi pedicillari. Ciò che si sa per certo
è che nel 20% dei casi la malattia esordisce dopo un’infezione delle alte vie respiratorie, quindi potrebbe
essere chiamata in causa una disregolazione del sistema immunitario. Inoltre, è frequentemente associata a
processi allergici o atopici, infatti l’esordio o la riacutizzazione sono più frequenti in primavera.
Il processo che porta all’esordio della malattia è il seguente: riduzione delle cariche elettriche della membrana
basale glomerulare e conseguente fusione dei pedicelli podocitari, forse dovuta alla presenza di fattori
permeabilizzanti.
Il ruolo del sistema immunitario nella patogenesi è in qualche modo dimostrato dal fatto che le forme primitive
rispondono alle terapie immunosoppressive e alla plasmaferesi (rimozione degli elementi del plasma).

22
Verrà trattata quando parleremo di insufficienza renale cronica.
23
Domanda che potrebbe capitare all’esame: la patogenesi della sindrome nefrosica è sempre legata ad immunocomplessi? Risposta:
sì nella glomerulopatia membranosa, ma esistono delle forme non legate agli immunocomplessi, ovvero le podocitopatie.
24
Tutto questo discorso sulla patogenesi riguarda anche la glomerulosclerosi focale segmentale.
60
Esistono due forme di glomerulopatia a lesioni minime:
• Forme primitive, che si diagnosticano per esclusione delle forme secondarie.
• Forme secondarie, ovvero forme di glomerulopatia a lesioni minime legate ad una malattia sistemica ben
identificata, come:
o Patologie onco-ematologiche
o Linfomi di Hodgkin
o Farmaci (FANS, antibiotici, litio, bisfofonati…). La sindrome nefrosica tende a migliorare se viene
sospeso il farmaco
o Tumori solidi (più raramente)
o HIV

Diagnosi e terapia Figura 24


Come suggerisce anche il nome della malattia, l’istologia e
l’immunofluorescenza solitamente sono negative: i glomeruli
appaiono normali. Dunque, quando si ha sindrome nefrosica
e istologia negativa la diagnosi è certa.
La microscopia elettronica conferma una fusione diffusa dei
processi pedicillari dei podociti, senza immunocomplessi o
depositi.
La terapia ricalca quella vista in precedenza: terapia
sintomatica, nefroprotezione aspecifica, profilassi per la
trombosi. In questo caso è necessario avviare
immediatamente la terapia: si utilizza solitamente il
cortisone; nelle forme più complicate si associano altri
farmaci, che possono anche proprio sostituire il cortisone
(inibitori della calcineurina, mofetil micofenolato, rituximab).

Glomerulosclerosi focale segmentale


La glomerulosclerosi focale segmentale è responsabile del 12% delle glomerulopatie primitive. L’età di esordio
è variabile, con una media di 30 anni e vengono colpiti più spesso i maschi. La clinica è caratterizzata da
sindrome nefrosica e può essere presente microematuria di accompagnamento (nell’80% dei casi).
L’evoluzione è più aggressiva rispetto a quella della glomerulopatia a lesioni minime: evolve verso insufficienza
renale in 10 anni nel 50% dei casi.
Anche in questo caso si possono distinguere:
• Forme primitive, che si presume siano su base immuno-mediata e rispondono alla terapia
immunosoppressiva. Si manifestano clinicamente con una sindrome nefrosica completa.
• Forme secondarie ad altre condizioni, in cui la patogenesi non è immuno-mediata e la terapia
immunosoppressiva non ha beneficio. In queste forme i malati si presentano tipicamente con sindrome
nefrosica incompleta, ovvero il paziente ha una proteinuria in range nefrosico, non ha ipoalbuminemia e
può avere un lieve rialzo delle α2-globuline (la sindrome nefrosica quindi non si manifesta con tutti i suoi
crismi). Esistono diverse forme secondarie:
o Forma secondaria maladattativa, ovvero tutte le condizioni che determinano una riduzione della
massa nefronica, quindi un sovraccarico funzionale a livello dei nefroni e dei glomeruli residui. Questo
sovraccarico porta ad una nefromegalia e ad una glomerulomegalia, con conseguente danno ai
podociti, che essendo cellule terminalmente differenziate non sono rimpiazzate.
Avremo in conclusione una glomerulosclerosi focale. Ciò può avvenire in varie situazioni:
▪ I pazienti con un rene solo avranno un aumentato rischio di sviluppare questa malattia, perché i
rimanenti nefroni (circa 1 milione) vanno incontro a sovraccarico funzionale.
▪ Condizioni che causano iperfiltrazione25 su glomeruli normali (obesità, ipertensione…).
o Forme secondarie a virus (HIV, CMV, parvovirus B19, HCV, EBV)
o Forme secondarie a farmaci (terapia antivirale)
o Forme secondarie genetiche, che sono numerose. Pertanto, bisogna sempre considerare una
possibile eziologia genetica sia nelle forme in cui si ha come unica manifestazione la sindrome
nefrosica sia nelle forme sindromiche.
o Forme secondarie sconosciute

25
Quando tratteremo la malattia renale cronica vedremo che l’iperfiltrazione è un importantissimo fattore di rischio e di progressione
dell’insufficienza renale cronica proprio attraverso la modalità appena descritta.
61
È possibile avere forme di glomerulosclerosi focale segmentale anche in altre malattie genetiche come la
malattia di Alport e la malattia di Fabry 26, in cui si ha come danno aspecifico glomerulare quello tipico della
glomerulosclerosi focale segmentale.
È importante sottolineare che nelle forme primitive, quelle più spesso immuno-mediate e trattate con
immunosoppressori, il paziente si presenta con sindrome nefrosica completa: proteinuria molto elevata,
albumina molto bassa (spesso <2,5 g/dl), rialzo delle α2-globuline, ipercolesterolemia, aspetto di sclerosi
focale segmentale alla microscopia ottica e fusione pedicillare diffusa alla microscopia elettronica.
In tutte le altre forme della malattia i pazienti presentano proteinuria in range nefrosico, ma senza sindrome
nefrosica completa: albumina solo lievemente ridotta (o addirittura normale) e fusione pedicillare parziale alla
microscopia elettronica (anche se può essere diffusa nelle forme genetiche).
Nella tabella viene riportato un riassunto di quanto detto finora:
PRIMITIVA GENETICA MALADATTATIVA
Clinica Sindrome nefrosica Sindrome nefrosica nel Proteinuria nefrosica o
bambino, meno subnefrosica, NO
frequente nell’adulto sindrome nefrosica
Microscopia ottica GSFS, solitamente no GSFS GSFS, spesso peri-ilare,
altre lesioni (se non altre lesioni
diagnosi tardiva), no
glomerulomegalia
Microscopia Fusione pedicillare Fusione pedicillare Fusione pedicillare
elettronica diffusa (>80%) diffusa o segmentale segmentale

Diagnosi e terapia
L’istologia è caratterizzata dalla presenza di aree di sclerosi a livello
glomerulare. Le aree di sclerosi possono essere focali o segmentali, ovvero
riguardano alcuni glomeruli (focale) e non tutto il glomerulo (segmentale). Alla
microscopia elettronica si osserveranno le fusioni pedicillari diffuse e le aree
di sclerosi.
Per la terapia valgono le stesse riflessioni fatte in precedenza: anche in questo
caso bisogna essere rapidi nell’identificare le forme primitive, perché sono
quelle che richiedono immunoterapia. Tutte le altre forme richiedono terapia
della malattia di base o esclusivamente nefroprotezione aspecifica nel caso
delle forme genetiche. Figura 25
Non si è a conoscenza del rapporto che sussiste tra glomerulosclerosi focale segmentale e glomerulopatia a
lesioni minime. Secondo alcuni autori sono malattie distinte, mentre per altri potrebbero essere l’una
l’evoluzione sfavorevole dell’altra (ovvero la glomerulosclerosi focale segmentale sarebbe una forma più grave
ed avanzata della glomerulopatia a lesioni minime). Terze parti le considerano come una stessa malattia,
ovvero senza distinzioni, ma semplicemente per un campionamento sfortunato non si identifica la sclerosi
qualora si tratti di glomerulopatia a lesioni minime. Essendo infatti la sclerosi focale (ovvero interessa solo
alcuni glomeruli) e segmentale (ovvero nei glomeruli sono coinvolte solo alcune aree), se si dovesse prelevare
una zona di parenchimale renale non ideale o troppo piccola, si incorrerebbe nel rischio di non identificare
aree di sclerosi.
La figura 2627 ricorda, nell’ambito della biopsia
renale, l’importanza dell’aspetto tridimensionale.
Facendo un prelievo di tre glomeruli e sezionando
lungo la linea 1 non si osservano aree di sclerosi
ma glomeruli normali, diagnosticando così una
glomerulopatia a lesioni minime. Se invece si Figura 26
seziona il campione lungo le linee 2 o 3, si
osservano aree di sclerosi, diagnosticando così una
glomerulosclerosi focale segmentale.

26
Queste malattie verranno trattate in lezioni successive.
27
[n.d.s.: la spiegazione della figura 26 è stata riportata dalle sbobine dell’anno precedente perché risulta più chiara.]
62
GLOMERULONEFRITE MEMBRANOPROLIFERATIVA (GNMP) Figura 27
La figura 27 è uno schema che riporta le categorie
patogene responsabili di sindrome nefritica e
insufficienza renale rapidamente progressiva
all’interno delle glomerulonefriti intra- ed
extracapillari. Fino ad ora abbiamo affrontato le
forme date da anticorpi anti membrana basale
glomerulare, come le forme pauci-immuni o le
vasculiti ANCA associate, lasciando da parte quelle
associate agli immunocomplessi poiché forme
recentemente classificate come glomerulonefriti
membranoproliferative, oggetto della seguente
trattazione.

Le glomerulonefriti membranoproliferative sono


forme relativamente rare (rappresentano il 10/15%
delle patologie glomerulari), con un’età d’esordio
variabile (tra i 6 e i 65 anni, con una media di 28 anni)
e senza alcuna preferenza di sesso (rapporto
maschi/femmine 1:1). Dal nome è possibile già
intuire gli aspetti morfologici: ci si troverà davanti ad
un quadro di proliferazione che coinvolge le
membrane.
Sono le uniche patologie glomerulari in grado di dare un quadro misto di sindrome nefrosica e nefritica.
Le due condizioni si presentano isolatamente con egual frequenza (nello specifico si ha sindrome nefrosica
nel 30-40% dei casi, sindrome nefritica nel 20-30%) e altrettanto frequentemente si presentano
contemporaneamente: una paziente con GNMP può avere ad esempio un quadro clinico di sindrome nefrosica
accompagnata da microematuria e sedimento urinario attivo.
Altre manifestazioni cliniche possono essere:
• Proteinuria asintomatica (30% dei casi)
• Macroematuria ricorrente (5%)
• Microematuria associata (5%)
• IR all’esordio (20%)
• Ipertensione arteriosa (30%)
• Ipocomplementemia (deficit della normale attività del complemento, presente fino al 40-50% dei casi)

L’evoluzione delle GNMP è tendenzialmente negativa: meno del 40% dei casi ha una persistenza di anomalie
urinarie isolate, senza una franca evoluzione, mentre il restante 60% sviluppa nella metà delle volte IRC e
nella restante metà uremia (o IR) terminale in 10-15 anni.

Classificazione28
Esiste una classificazione storica, ancora presente su dispense o libri non particolarmente aggiornati, che
divide le GNMP in tre tipi (tipo I, II e III) in base alla morfologia dei depositi 29.
La classificazione adottata attualmente è basata invece sul meccanismo patogenetico e permette di
individuare:
• GNMP secondarie a depositi di Ig e C3: si tratta di glomerulonefriti la cui patogenesi è da ricercarsi nel
deposito di immunocomplessi. La maggior parte di queste sono secondarie a malattie sistemiche in cui si
ha un’attivazione sia della via classica che della via alternativa del complemento. Generalmente la depo-
sizione degli immunocomplessi si può avere in seguito ad infezioni 30, malattie autoimmuni come lupus
eritematoso sistemico o artrite reumatoide e malattie ematologiche, sempre più frequentemente causa di
glomerulonefriti. In caso non si riesca ad identificare una causa che può aver portato al deposito di immu-
nocomplessi queste GNMP vengono definite come primitive.
• GNMP da depositi di C3 isolato o prevalente: forme caratterizzate da un’attivazione incontrollata della
via alternativa del complemento a causa di mutazioni genetiche, come deficit di fattore H o fattori I (fattori
inibitori), o a causa della formazione di autoanticorpi contro la C3 convertasi (anti-C3 convertasi), indicati

28
Nel seguente paragrafo è stato cambiato un po’ l’ordine rispetto alla spiegazione del professore, con l’obbiettivo di risultare meno
dispersivi.
29
Il professore sottolinea come questa classificazione non venga più utilizzata e che pertanto non viene richiesta all’esame.
30
Si rimanda alle glomerulonefriti parainfettive, affrontate parlando delle glomerulonefriti proliferative essudative endocapillari.
63
talvolta con il nome di C3 nephritic factor. A causa della rarità di questa condizione attualmente solo pochi
laboratori effettuano esami che vanno a ricercare l’autoanticorpo; se a questo si va a sommare il fatto che
i test genetici che permettono di individuare le mutazioni a carico dei geni per i fattori inibitori sono parti-
colarmente lunghi e complessi appare evidente che andare a discriminare le due condizioni è un lavoro
difficile, con conseguenti problematiche dal punto di vista diagnostico e terapeutico. In entrambe le situa-
zioni si assiste in circa il 50% dei casi ad una riduzione dei livelli sierici di C3
I depositi di C3 possono avere diverse morfologie che mi permettono di distinguere:
o GN a depositi densi (o dense deposit disease, DDD)s: i depositi si trovano all’interno della mem-
brana basale
o GN a depositi granulari di C3 (C3GN): a sede mesangiale e sottoendoteliale

La figura 28 riporta il percorso da seguire per poter effettuare una corretta classificazione. Su una biopsia
renale con un aspetto tipicamente membranoproliferativo si effettua un’immunofluorescenza: se il campione
reagisce sia agli anticorpi nei confronti delle Ig che a quelli per C3 allora ci si trova davanti a GNMP date da
immunocomplessi, altrimenti la causa è l’incorretta attivazione della via alternativa del complemento.

Figura 28

Viene ora ripassata la cascata del complemento31:


• La via lectinica viene attivata dai microrganismi
(e proprio per questo motivo non viene ulterior-
mente approfondita)
• La via classica è attivata dai complessi anti-
gene-anticorpo: in questo caso a livello sierolo-
gico si trova una riduzione del C4, importante
marcatore di attivazione di questa via, mentre a
livello bioptico una deposizione di C1q (marca-
tore d’attivazione istologico).
• La via alternativa, quando attiva, comporta una
riduzione sierologica di C3 e, a livello istologico,
una deposizione di C3. La sua caratteristica è
quella di essere costitutivamente attiva grazie
al fenomeno del tickover: in caso di infiamma-
zione o infezione, l’attivazione costitutiva acce-
lera rapidamente, rappresentando così il primo
meccanismo di difesa verso l’infezione. La fine
Figura 29
regolazione di questa via può andare incontro ad alterazioni, dando origine a numerose patologie, tra cui
ricordiamo le GNMP da deposito di C3.

31
Il professore specifica che non è necessario entrare nei dettagli, ma che è importante ricordare l’esistenza delle tre vie per poter
comprendere al meglio le GNMP.
64
Tutte le vie convergono poi sulla C3 convertasi, la quale attiva la C5 convertasi che porta alla generazione del
MAC (o complesso d’attacco di membrana).
Per poter distinguere una GNMP secondaria a depositi di Ig e C3 da una GNMP da deposito di C3 è possibile
andare ad analizzare la composizione sierica dei fattori del complemento: nel primo caso, infatti, si avrà una
riduzione di C4, mentre nel secondo caso di C3.

Diagnosi e terapia
L’aspetto istologico è comune a tutte le forme delle GNMP, nonostante la loro enorme eterogeneità per quanto
riguarda l’eziologia: è caratterizzato da una proliferazione glomerulare con lobulazione del flocculo e
ispessimento delle membrane basali.
Nelle figure 29a e 29b si può osservare un glomerulo dall’aspetto “pieno”, molto proliferato, dal classico aspetto
lobulato. L’agente eziologico può essere identificato solo attraverso l’immunofluorescenza (figura 31), la clinica
del paziente e gli esiti dei vari esami che possono essere prescritti.

Figura 30 Figura 29a Figura 29b

Figura 31
La microscopia elettronica permette di
individuare vari aspetti, tra cui la
proliferazione delle cellule mesangiali,
l’aumento della matrice mesangiale, i
depositi granulari a sede mesangiale e
subepiteliale e l’interposizione del
mesangio a sede subendoteliale con
formazione di doppi contorni, come è
apprezzabile nella figura 30.

La terapia varia a seconda dell’eziologia.


Nelle forme da immunocomplessi la
terapia sarà la terapia della patologia di
base (molto spesso si parla di immunosoppressione), mentre nelle forme legate ad alterazione della via
alternativa del complemento si avranno terapie specifiche non sempre efficaci, come ad esempio la
somministrazione di farmaci anticomplemento. La terapia eziologica è sempre affiancata da una terapia
nefroprotettiva aspecifica.

NEFROPATIE CHE PRESENTANO SINDROMI URINARIE


ISOLATE O EMATURIA RICORRENTE
NEFROPATIA A DEPOSITI DI IgA (o malattia di Berger32)
Il malato affetto da questa nefropatia, contrariamente a quanto visto nelle GN affrontate fino ad ora, è quasi
sempre asintomatico, fatta eccezione per occasionali episodi di macroematuria o per la presenza sporadica
di proteinuria e microematuria. Queste alterazioni delle urine non portano alla diagnosi, a cui si giungerà
quando ormai la nefropatia ha causato un danno cronico al paziente: per questo motivo è importante che
anche i medici non nefrologi siano in grado di riconoscere queste alterazioni e indirizzare il paziente verso il
corretto specialista.

32
Si pronuncia “Bergè”.
65
La malattia di Berger rappresenta il 20-25% delle GN primitive, configurandosi come la glomerulonefrite più
diffusa. L’età d’esordio è variabile (dagli 8 ai 68 anni), con una media di 40 anni. Sia nell’infanzia che nell’età
adulta il rapporto maschi/femmine è di 2:1.

Clinica ed evoluzione
La macroematuria d’esordio, più frequente nel giovane, che può indirizzare verso la diagnosi di questa
nefropatia, è tipicamente intrainfettiva, ossia si manifesta dopo 1-2 giorni l’esordio dell’infezione
(rappresentata generalmente da una tonsillite o, anche se più raramente, da infezioni gastrointestinali). La
tempistica della macroematuria permette di distinguere questa GN da una glomerulonefrite proliferativa
essudativa endocapillare: in questo caso, infatti, la macroematuria è post-infettiva (si manifesta 2-3 settimane
dopo l’infezione).
Altre manifestazioni cliniche sono:
• Ematuria recidivante (45-50% dei casi)33
• Sindrome urinaria isolata (50-55%)
• Proteinuria in range nefrosico (2%): generalmente presente nelle fasi più avanzate della malattia, quando
al deposito di IgA va a sovrapporsi una glomerulosclerosi focale segmentaria secondaria proprio a questa
nefropatia
• Ipertensione (30%)
• IR precoce (15%)
• Aumento IgA sieriche (50%)

Esistono delle forme completamente asintomatiche che possono essere diagnosticate solo al momento
dell’autopsia in malato morto per altri motivi.
Nelle forme sintomatiche invece, in cui si hanno alterazioni del sedimento urinario, l’evoluzione è verso IRC o
IR terminale (ossia dialisi) in circa un terzo dei casi. Nel dettaglio si può avere:
• Remissione clinica (5-10%)
• Insufficienza renale cronica (25%)
• Insufficienza renale terminale a 20 anni (25-30%)
• Anomalie urinarie con GFR conservato (50-60%)

Patogenesi
La patogenesi è complessa e multifattoriale.
È stata dimostrata la presenza di una
predisposizione genetica, correlata ad alterazioni
dei geni della regione HLA, fondamentale nei
processi di presentazione dell’antigene, e dei geni
che si occupano della sintesi e della
galattosidazione delle IgA1.
Nelle malattia di Berger le IgA risultano
ipogalattosidate: la conseguenza di ciò è una
maggiore tendenza da parte loro a formare
immunocomplessi e precipitare a livello
mesangiale, ossia a livello di quella struttura
connettivale che sostiene il glomerulo. La loro
deposizione darà innesco a tutti quei fenomeni Figura 32
infiammatori mediati in gran parte dal
complemento34 che causano poi la glomerulonefrite.

Diagnosi e terapia
In microscopia ottica è possibile osservare come gli assi mesangiali
siano maggiormente rappresentati rispetto ad un glomerulo sano. Essi
appaiono molto più spessi e colorati, con una maggiore componente
cellulare (definiti per questo ipercellulari). Con un quadro clinico
compatibile, l’osservazione di queste strutture è indicativa di malattia.
All’immunofluorescenza (figura 33) l’antisiero per le IgA mostra la
deposizione mesangiale, rendendo possibile la diagnosi.
Figura 33

33
[n.d.s.: le percentuali sono state integrate dalle slide.]
34
[n.d.s.: Il ruolo del complemento in questo processo non verrà affrontato poiché, a detta del professore, è “troppo specialistico”.]
66
La terapia consiste in una nefroprotezione aspecifica, con l’obiettivo principale di portare la proteinuria al di
sotto di 1 g: questo valore è stato infatti identificato come un fattore prognostico importante sul rischio di
sviluppare IR avanzata.
Esistono score di attività istologica che, associati all’andamento clinico
del malato35, permettono di identificare sottogruppi di pazienti nei quali
effettuare trattamenti con glucocorticoidi per cercare di ridurre il
processo infiammatorio e rallentare la progressione, senza però
riuscire ad annullarla completamente. Sono in corso di
sperimentazione diversi farmaci, tra cui farmaci anticomplemento.
Domanda: Dove si formano le IgA coinvolte in questa patologia?
Risposta: Le IgA vengono prodotte a livello delle mucose in maniera
Figura 34
fisiologica. Il soggetto predisposto produce delle IgA con una minore
galattosidazione, fenomeno che favorisce la loro combinazione in immunocomplessi che si depositeranno poi
a livello mesangiale. Esiste una variante sistemica, ossia la porpora di Shöenlein-Henoch, in cui le IgA si
depositano anche a livello cutaneo (causando porpora) e a livello intestinale (con conseguenti addominalgia
e sanguinamenti gastrointestinali). È

Domanda: È necessaria la biopsia renale per fare diagnosi o può essere sufficiente la clinica, basata sulle
alterazioni urinarie?
Risposta: La biopsia è sempre consigliata: anche altre GN, infatti, possono presentarsi con anomalie urinarie
isolate (ad esempio la GNMP o la vasculite ANCA associata). La biopsia fornisce certezza diagnostica, anche
se, essendo la GN più frequente, un paziente con quadro clinico compatibile è molto probabilmente affatto da
questa nefropatia. La biopsia permette di conoscere anche aspetti istologici di severità della malattia che
permettono di modulare la terapia (ad esempio evitando che in forme sclerotiche, ossia forme in cui il quadro
infiammatorio è scarso e la sclerosi alta si usino terapie immunosoppressive completante inutili), e di stabilire
la prognosi. In pazienti con varianti sistemiche è possibile fare per la diagnosi anche solo una biopsia cutanea
su cui effettuare un esame di immunofluorescenza.

GLOMERULONEFRITI SECONDARIE36
DIABETE
Il diabete è la prima causa di insufficienza Figura 35
renale cronica a livello mondiale ed è tra i
principali fattori di rischio di
progressione dell’IR, anche se l’origine di
questa è di natura differente. Un esempio
classico è il caso di un paziente affetto da
una malattia autoimmune che ha sviluppato,
a causa di questa, una glomerulonefrite. Il
trattamento in questo caso consiste nella
somministrazione di cortisone, che può però
favorire l’insorgenza del diabete: se il
paziente comincia a manifestare anche
questa patologia, la progressione dell’IR sarà molto più rapida rispetto ad un malato che presenta
esclusivamente glomerulonefrite.
Chi soffre di IRC37 presenta un rischio cardiovascolare aumentato rispetto ai soggetti sani; se a questo poi si
associa il diabete, il rischio aumenta ulteriormente, come è possibile osservare nei grafici riportati nella figura
35, che rappresentano la mortalità per problematiche cardiovascolari rapportata alla proteinuria e alla velocità
di filtrazione glomerulare. Il diabete, quindi, favorisce l’insorgenza e la progressione di IRC e dei fenomeni
cardiovascolari ad essa collegati.
Il diabete è in grado di danneggiare il rene secondo varie modalità:
• Si parla di nefropatia in corso di diabete quando ci si trova davanti ad un qualsiasi interessamento renale
parenchimale in corso di malattia diabetica. I fenotipi possono essere numerosi: solitamente si ha IRC non
albuminurica accompagnata da una maggiore incidenza della malattia macrovascolare.

35
La presenza di semilune nella biopsia renale e l’andamento rapidamente progressivo sono alcuni dei parametri che permettono di
collocare un paziente in uno di questi sottogruppi.
36
Questo argomento è stato trattato in maniera sbrigativa a causa di mancanza di tempo. Se ve ne sarà l’occasione verrà ripreso in
maniera più completa.
37
[n.d.s.: La malattia renale cronica verrà trattata dettagliatamente nelle prossime lezioni.]
67
• Il termine nefropatia diabetica indica invece una condizione clinica ben definita, la glomerulosclerosi
diabetica, ossia un danno glomerulare secondario a diabete che si esprime in stadi successivi e che
evolve verso la sclerosi glomerulare nodulare o diffusa.

Nefropatia in corso di diabete Figura 36


In questo caso si assiste ad una patogenesi
multifattoriale. La patologia è riscontrata
principalmente in donne obese (anche se non in
maniera eccessiva): si pensa quindi che gli
estrogeni possano svolgere un ruolo importante
nello sviluppo della malattia. L’ipertensione e
l’iperglicemia cronica, fattori sempre presenti nei
soggetti che sviluppano questa nefropatia,
portano, assieme all’obesità, ad una condizione
di iperfiltrazione glomerulare con conseguente
ipertrofia tubulare, danno tubulo-interstiziale e
glomerulosclerosi. I meccanismi esatti che
portano allo sviluppo di questa malattia renale
diabetica non proteinurica non sono ancora
pienamente appresi, ma è un fenotipo crescente
di coinvolgimento renale in corso di diabete.

Nefropatia diabetica
La nefropatia diabetica colpisce il 30-40% dei pazienti con diabete di tipo I e il 20-30% dei pazienti con diabete
di tipo II. La peculiarità di questa patologia è che si rende clinicamente evidente, dando proteinuria, solo dopo
10-20 anni dall’esordio del diabete: se un paziente affetto da diabete da meno di 10 anni presenta un forte
proteinuria si può arrivare alla conclusione che questa non sia causata da nefropatia diabetica, ma da un’altra
condizione. L’evoluzione verso insufficienza renale avanzata si verifica dopo 10-30 anni di malattia nel 50%
dei casi di diabete di tipo I e nel 20% nei casi di diabete di tipo II.

Patogenesi
L’ambiente diabetico, ossia l’insieme di
Figura 37
alterazioni sistemiche e ormonali legate a
questa malattia, ha diversi effetti a livello
renale, come è possibile osservare nel grafico
nella figura 37.
Andando ad analizzare le singole componenti
del rene è possibile notare anomalie a livello
di:
• Cellule mesangiali, come ipertrofia,
espansione della matrice e mesangiolisi.
• Filtrazione glomerulare, ovvero un suo
aumento dato sia dall’ambiente diabetico
che dalle alterazioni mesangiali.
• Podociti, con ipertrofia, distacco delle
cellule e apoptosi che portano a podocito-
penia e anomalie del diaframma di filtra-
zione.
• Membrana basale glomerulare, che
perde parte della sua carica e aumenta di
spessore a causa del fenomeno di glicosilazione.
• Cellule endoteliali glomerulari, le quali aumentano la propria permeabilità e perdono il glicocalice.
• Sistema vascolare, con frequente ischemia a causa dell’aging vascolare e dell’aterosclerosi mediati dal
diabete.

Le alterazioni a livello della filtrazione glomerulare, del mesangio e dei podociti portano a glomerulosclerosi;
concorrono inoltre alla proteinuria tutti i fattori finora analizzati, escluse le anomalie mesangiali e le malattie
vascolari. Queste ultime sono responsabili, insieme alla proteinuria stessa, dei danni tubulointerstiziali.
L’azione combinata della glomerulosclerosi e dei danni tubulointerstiziali porta ad una riduzione della
velocità di filtrazione glomerulare.
68
Figura 38

Nella figura 38 è possibile osservare nel dettaglio i meccanismi che portano alla glomerulosclerosi:
• La glicosuria, che caratterizza il diabete, porta ad un aumento del riassorbimento del glucosio e del sodio
a livello del tubulo contorto prossimale. Le conseguenze di ciò sono l’iperfiltrazione e l’ipertrofia glomeru-
lare, che portano ad uno stiramento della parete capillare e alla liberazione dell’angiotensina II. L’ipertrofia
e l’overload mesangiali che ne derivano portano a glomerulosclerosi.
• L’alterazione della composizione delle proteine della MBG, con conseguente perdita della barriera
polianionica, porta a microalbuminuria e proteinuria. La presenza delle proteine nel tubulo porta ad un
aumento del suo carico, con conseguente sclerosi interstiziale e danno alle cellule epiteliali che porta a
glomerulosclerosi.
• L’accumulo di prodotti di glicosilazione a livello glomerulare porta all’attivazione dei macrofagi e delle
cellule mesangiali, il cui compito è quello di produrre citochine che portano a glomerulosclerosi.

Nel grafico nella figura 39 è possibile osservare


l’andamento di una nefropatia diabetica: all’inizio
Figura 39
si avrà una fase di iperfiltrazione glomerulare
legata all’iperglicemia e all’aumentato
riassorbimento di glucosio da parte del tubulo
contorto prossimale. Tutto ciò porta ad un
sovraccarico funzionale dei glomeruli, che
progressivamente perderanno efficacia: si
assisterà quindi al deterioramento della
funzionalità renale.
Nelle prime fasi della malattia i pazienti
presentano microalbuminuria, che può essere
transitoria (fenomeno associato generalmente ad
un miglior controllo glicemico) e può progredire
verso la macroalbuminuria, fino a sviluppare
sindrome nefrosica.

Fasi della malattia Figura 40


È possibile distinguere nella nefropatia
diabetica tre fasi: esordio, fase pre-clinica e
fase clinica.
Nella figura 40 è possibile osservare come
variano le manifestazioni cliniche a seconda
del tempo passato dall’insorgenza del
diabete. Fin da subito il paziente manifesta
iperglicemia, che verrà mantenuta per tutto il
decorso della malattia. È interessante notare
69
come varia la VFG: da una situazione in cui questa è aumentata (iperfiltrazione) si osserva progressivamente,
nel corso degli anni, una sua diminuzione, fino ad arrivare alla malattia renale allo stadio terminale.
A 2 anni dalla diagnosi cominciano ad insorgere danni cellulari, che porteranno ad espansione mesangiale,
glomerulosclerosi, fibrosi tubulointerstiziale e infiammazione.
Tra i 5 e i 10 anni compaiono microalbuminuria, che può regredire o evolvere verso macroalbuminuria, e
ipertensione.
Oltre i 10 anni dall’insorgenza del diabete, si manifestano malattie cardiovascolari, infezioni, complicazioni
renali e morte.

Vediamo ora le fasi della nefropatia diabetica nel dettaglio:


1) Esordio: il malato presenta microalbuminuria38. Con questo termine si indica una condizione caratteriz-
zata da un valore in mg di albuminuria su g di creatinuria compreso 30 e 300 mg/g: in condizione fisiolo-
giche questo numero è <30 mg/g. L’albuminuria rappresenta un importante marker di danno endoteliale
ed è strettamente correlata con il rischio di progressione verso nefropatia conclamata, complicanze car-
diovascolari e retinopatia: per questo motivo i primi interventi che si fanno sul paziente hanno lo scopo di
diminuirne il valore.
2) Fase pre-clinica: in questa fase la microalbuminuria può essere assente. È frequente, infatti, imbattersi in
casi di regressione. La VFG è aumentata nel 20-50% dei casi (iperfiltrazione glomerulare): ciò espone i
glomeruli ad un sovraccarico funzionale che, nel tempo, può portare a glomerulosclerosi focale secondaria
a nefropatia diabetica. Il rene aumenta le proprie dimensioni.
3) Fase clinica: il decorso è uguale sia che si tratti di diabete di tipo I che di tipo II. In questa fase si assiste
ad una riduzione della VFG, che, negli stadi più avanzati, raggiunge valori di perdita pari a 12 ml/min per
anno, entrando in diagnosi differenziale con le forme di insufficienza renale rapidamente progressive. La
microalbuminuria, se presente, evolve in proteinuria franca. In circa il 10% dei casi può esserci sindrome
nefrosica, nella maggior parte dei casi incompleta, anche se possono manifestarsi ugualmente sindromi
nefrosiche franche con ipoalbuminemia. Nelle fasi più avanzate può manifestarsi edema.
Figura 41
La velocità di progressione è influenzata dal compenso metabolico del
diabete, dall’adeguata riduzione dell’ipertensione, dal controllo della
lipidemia, dal fumo di sigaretta e dall’apporto alimentare di proteine.
È possibile identificare quattro classi, che correlano con gli stadi della
malattia, basandosi esclusivamente sul quadro istologico:

• Classe I: caratterizzata da un aumento del volume glomerulare fino


al 70% e inspessimento membrana basale visibile solo al microscopio
elettronico. A questo stadio la nefropatia diabetica può essere con-
fusa con una nefropatia membranosa in fase iniziale, portando ad im-
portanti ripercussioni sulla gestione del malato.
• Classe II: si ha un’espansione mesangiale lieve (classe IIa) o severa
(IIb) in assenza di aspetti di sclerosi nodulare o glomerulosclerosi glo-
bale in più del 50% dei glomeruli
• Classe III: caratterizzata da sclerosi nodulare (riconoscibile grazie alla presenza dei noduli di Kimmelstiel-
Wilson), con un caratteristico incremento nodulare del mesangio
• Classe IV: glomerulosclerosi avanzata, visibile in più del 50% dei glomeruli
Nella figura 41 è possibile osservare all’interno di un glomerulo dall’aspetto tipicamente sclerotico un nodulo
mesangiale di Kimmelstiel-Wilson. L’interstizio è gravemente compromesso: esiste un ampio spazio tra i
tubuli costituito da tessuto fibroso, importante marcatore di danno.

Heatmap
Attualmente possediamo una comprensione solo parziale del coinvolgimento glomerulare in corso di diabete:
i fenotipi di danno renale sono infatti estremamente vari.
L’Heatmap riportata nella figura 42 è il classico schema che viene utilizzato per definire l’IRC: sulle righe sono
indicati i valori di VFG, che definiscono i vari stadi di IRC, mentre in colonna vengono riportati diversi valori
di albuminuria (fisiologica, microalbuminuria e macroalbuminuria).

38
[n.d.s.: A questo punto il professore fa una digressione sul fatto che questo termine non sia particolarmente apprezzato dai nefrologi
poiché dà un’idea errata sulla natura della condizione: sembra infatti che ciò che vada a distinguere la microalbuminuria della
macroalbuminuria sia la grandezza della molecola, quando in realtà è la quantità.]
70
Le zone verdi indicano le combinazioni di questi valori per le quali il paziente non è nefropatico e non ha rischio
di progressione; per tutte le restanti combinazioni il soggetto è nefropatico e presenta un rischio di
progressione di danno cardiovascolare tanto maggiore quanto più il colore si avvicina al rosso.
Le frecce indicano le diverse evoluzioni che una nefropatia associata al diabete può avere:
• Freccia 1: nefropatia diabetica. La VFG glome-
rulare rimane costante, nonostante si sviluppi
prima microalbuminuria e poi macroalbuminuria.
Solo a questo punto si assiste ad un declino
della funzione renale.
• Freccia 2: regressione dell’albuminuria. La
microalbuminuria che si è manifestata regredi-
sce, portando però ad una perdita di VFG. Ciò
che avviene a questo punto non è noto
• Freccia 3: forma rapidamente progressiva. La
VFG diminuisce rapidamente. La proteinuria si
manifesterà solo quando ormai si ha assistito
alla perdita di buona parte della funziona renale.
Il paziente arriva in dialisi senza aver mai svilup-
pato macroalbuminuria.
• Freccia 4: nefropatia in corso di diabete. Figura 42
Forma completamente non proteinurica, in cui la
riduzione di VFG è lenta e progressiva.

L’enorme varietà di fenotipi associati a malattia renale in corso di diabete è data dalla genetica, dalle
comorbilità, dal livello di controllo del diabete e dalle terapie, ossia da fattori estremamente diversi da paziente
a paziente.

LUPUS ERITEMATOSO SISTEMICO (LES)


Il lupus eritematoso sistemico è la malattia autoimmune da immunocomplessi per antonomasia. Nonostante
sia tipicamente appannaggio della reumatologia, questa patologia viene trattata anche in nefrologia poiché la
manifestazione d’organo più grave e con l’impatto prognostico più importante è quella renale.
Il LES è una malattia giovanile, con un’età d’esordio compresa tra i 25 e i 40 anni, tipicamente femminile
(rapporto femmine/maschio 9:1). Il 70% dei pazienti presenta nefrite lupica, generalmente (ma non sempre)
data dall’azione degli immunocomplessi, che può manifestarsi già all’esordio della malattia o comparire nei 2
anni successivi. Essendo una malattia multiorgano, possono essere coinvolti tutti i distretti:
• Cute, con rash cutanei, alopecia ed eritema a farfalla a livello del volto.
• Articolazioni, con artralgie.
• Membrane sierose, con conseguenti sierositi (ne sono un esempio le pericarditi e le pleuriti).
• Sistema cardiovascolare, con vasculiti cutanee e viscerali.
• Fegato e milza, con epatosplenomegalia.
• SNC.
• Sono inoltre spesso presenti segni di coinvolgimento sistemico, come la febbricola.

Gli esami di laboratorio mostrano inoltre:


• Riduzione di C3 e C4 a causa della formazione di immunocomplessi
• Aumento di VES e PCR
• Positività per gli autoanticorpi ANA (anticorpi anti-nucleo), gli anticorpi anti-DNA e gli antigeni ENA (anti-
geni nucleari estraibili)

Classificazione
È possibile classificare la nefrite lupica in 5 classi istologiche:
• Classe I: caratterizzata da alterazioni istologiche minime. Al microscopio ottico i glomeruli appaiono nor-
mali, ma in immunofluorescenza e alla microscopia elettronica sono visibili depositi mesangiali di immu-
nocomplessi. Non vi è alcuna alterazione clinica.
• Classe II: si ha una maggiore rappresentazione dell’asse mesangiale, visibile al microscopio ottico, a
causa della proliferazione di questo, accompagnata da un inspessimento e da un’ipercellularità mesan-
giale. In immunofluorescenza e al microscopio elettronico è possibile osservare depositi di IgG, IgM e C3.
Sono presenti anomalie urinarie isolate, generalmente scarsa proteinuria e microematuria.
71
• Classe III e IV: generalmente queste due classi vengono tratte insieme poiché presentano le stesse ca-
ratteristiche; ciò che le differenzia è il grado di coinvolgimento dei glomeruli: se vi è coinvolto <50% allora
ci si trova nella classe III (forma proliferativa focale), mentre se è >50% allora è una classe IV (forma
proliferativa diffusa). Il loro quadro istologico è quello tipico delle forme membranoproliferative da immu-
nocomplessi.39 Al microscopio ottico è possibile osservare alterazioni proliferative, sclerosanti e necrotiz-
zanti (a seconda della fase della malattia considerata) e semilune. Il pattern è caratteristico delle GNMP,
con un aspetto lobulato del glomerulo. L’immunofluorescenza restituisce un tipico aspetto a “full house”:
il campione risulta positivo a tutti gli antisieri testati. Si osservano depositi di IgG, IgA, IgM, C3, C1q e, se
c’è necrosi, anche fibrinogeno. Al microscopio elettronico si osservano depositi elettrondensi subendote-
liali, mesangiali e subepiteliali.
A queste classi si associa sindrome nefritica. Trattandosi di forme particolarmente aggressive è
necessario agire con un trattamento adeguato in modo tempestivo, pena un danno renale residuo
importante. Non necessariamente una glomerulonefrite di classe IV è più grave di una di classe III.
• Classe V: forma membranosa con aspetti atipici accompagnata da sindrome nefrosica. Con immuno-
fluorescenza si riconosce un aspetto “full house”.
Esiste overlapping tra le classi: un paziente può infatti presentare diverse classi in contemporanea.

CRIOGLOBULINEMIA MISTA
Si tratta di una patologia data dalla produzione di crioglobuline, ossia paraproteine che tendono a precipitare
con il freddo. Sono diverse le cause che portano a questa malattia:
• Infezione da HCV: rappresenta la causa principale, anche se con il progredire delle campagne di eradi-
cazione sta riducendo il suo impatto. È interessante notare come in pazienti nei quali si è riusciti a eradi-
care completamente il virus dell’epatite C si assiste comunque alla produzione della paraproteina poiché,
una volta che il clone che si occupa della sua formazione è stato slatentizzato, esso continua la sua attività
anche in assenza di HCV.
• Malattie autoimmuni: rivestono un ruolo marginale. Una malattia che può portare a crioglobulinemia mi-
sta è la sindrome di Sjögren40, una connettivite.
• Esistono anche forme primitive, in cui non si riesce ad indentificare una causa precisa.

La crioglobulinemia mista è una condizione simil-neoplastica


Figura 43
ematologica, in cui un clone plasmacellulare produce queste
paraproteine che vanno a precipitare a livello glomerulare, portando
quindi ad un interessamento renale nel 70-80% dei casi. Si
riconoscono inoltre vari sintomi sistemici tipici:
• Porpora: lesioni eritematose di varie dimensioni e variamente con-
fluenti che non spariscono alla digitopressione. A livello delle mac-
chie più estese è possibile individuare al loro centro un quadro di
necrosi (figura 43).
• Artralgie
• Astenia
• Fenomeno di Raynaud, ossia un vasospasmo di parte della mano,
in risposta al freddo o a uno stress emotivo, che provoca sensa-
zione dolorosa e variazioni del colorito cutaneo reversibili (pallore, cianosi, eritema o una combinazione di
questi) a carico di una o più dita. Occasionalmente, ne sono interessate altre zone acrali (naso, lingua…) 41.
• Vasculite cutanea e viscerale

Diagnosi
Gli esami di laboratorio rivelano:
• Riduzione di C4.
• Valori normali o leggermente ridotti di C3.
• Fattore reumatoide42 positivo: le crioglobuline, infatti, si comportano
come il fattore reumatoide, presentandosi come IgM che riconoscono
IgG. Figura 44

39
[n.d.s.: Si rimanda a quanto affrontato precedentemente nella lezione.]
40
Si pronuncia “sciogren”. La sindrome di Sjögren primaria è una malattia immunologica caratterizzata principalmente da secchezza orale
e oculare, ma può coinvolgere anche altri organi e apparati, come il sistema nervoso centrale e periferico e le articolazioni.
41
[n.d.s.: Informazione presa da “Manuale MSD”.]
42
Autoanticorpo diretto contro la porzione Fc delle IgG
72
• Presenza di crioglobulinemia mista IgG-IgM.
• Marker di infezione da HCV come anticorpi anti-HCV positivi e/o HCV RNA positivo (solo se il virus è
l’agente eziologico).
Dal punto di vista istologico (figura 44) l’aspetto è quello di una forma membranoproliferativa in cui possono
essere presenti dei trombi endoluminari.

GLOMERULONEFRITI SECONDARIE A MALATTIE VIRALI


In vario modo diverse malattie virali possono causare glomerulonefriti. Generalmente si tratta di
glomerulonefriti parainfettive secondarie con meccanismi patogenetici legati principalmente ad
immunocomplessi.
Segue ora un elenco dei principali virus con i loro effetti a livello renale:
• Virus epatite B (HBV): GN membranosa, GN membrano-proliferativa, IgA nefropatia.
• Virus epatite C (HCV): GN membranosa, GN membrano-proliferativa, GN da crioglobulinemia, GN a de-
positi strutturati.
• Virus immunodeficienza acquisita (HIV): HIV associated nephropathy (HIVAN), GN da immunocomplessi
(GN membrano-proliferativa, GN lupus like…), glomerulosclerosi focale, lesioni minime, diabetica ecc.
• Parvovirus B19: glomerulosclerosi focale "collapsing" e non collapsing.
• Poliomavirus: nefrite interstiziale acuta.
• Febbre gialla, coxsackie, EBV, enterovirus, parotite, herpesvirus, varicella: tutti virus caratterizzati da una
rarissima o dubbia relazione causale con una lesione glomerulare.

AMILOIDOSI
Sempre più frequentemente l’amiloidosi, insieme alle discrasie plasmacellulari, è responsabile di nefropatia:
è importante riconoscere e trattare in maniera adeguata, collaborando se necessario con gli ematologi,
entrambe le condizioni a causa del loro importante impatto prognostico.
Tra le due, l’amiloidosi è la patologia dalla più semplice gestione. Si tratta di una situazione in cui si ha la
produzione di amiloide, ossia una proteina fibrillare rigida e lineare, le cui catene peptidiche si dispongono a
formare una struttura a beta-foglietto. Esistono diverse tipologie di amiloidosi:
• Amiloidosi primaria: è causata dall’iperproduzione di una catena leggera amiloidogenica (da qui il nome
amiloidosi AL, light chain). Si tratta di una forma immunoproliferativa: un clone plasmacellulare, presente
in quantità troppo esigue per poter parlare di mieloma, produce grandi quantità di light chain anomale che
vanno a precipitare a livello sistemico. Quando si assiste a deposizione anche a livello renale si ha nefro-
patia.
• Amiloidosi secondaria: è più spesso legata alla proteina amiloide A (proteina AA), la così detta serum
amyloid A. Questa condizione, detta anche amiloidosi A, è secondaria a condizioni infiammatorie croni-
che (ad esempio malattie infiammatorie intestinali o artrite reumatoide): la proteina AA è infatti una proteina
di fase acuta, come la PCR, che però tende a precipitare.
• Amiloidosi genetica

A livello renale l’amiloide può infiltrare a livello dei glomeruli, dando origine ad un classico quadro di sindrome
nefrosica con infiltrazione glomerulare, ma anche nella membrana basale, nei tubuli, nell’interstizio e nei vasi,
con conseguente insufficienza renale senza sindrome nefrosica e proteinuria. Queste condizioni sono di
difficile diagnosi; quando ci si presenta in paziente con componenti monoclonali sieriche, IR priva di
un’apparente causa ed esame delle urine negativo è bene ricordarsi dell’esistenza di queste forme di
amiloidosi prive di coinvolgimento glomerulare.
Gli aspetti clinici saranno diversi a seconda della sede di deposizione dell’amiloide:
• In caso di deposizione glomerulare si avrà lo sviluppo di sindrome nefrosica, spesso accompagnata da
insufficienza renale rapidamente progressiva. L’amiloidosi è, insieme al diabete, una delle poche condi-
zioni in cui a IR si accompagna un volume renale normale o aumentato.
• Se la deposizione è prevalentemente vascolare o tubulointerstiziale si possono avere danni renali acuti
e insufficienza renale cronica con sedimenti urinari poco significativi.
In caso di coinvolgimento cardiaco la prognosi peggiora ulteriormente. Figura 45

Nella figura 45 è possibile osservare un’amiloidosi


glomerulare con coinvolgimento interstiziale: il
paziente presenterà quindi sindrome nefrosica.
L’immagine a destra è stata ottenuta con una
colorazione immunoistochimica per la sostanza
amiloide.

73
Segue ora una carrellata di preparati colorati con il rosso
Congo (figura 46), che evidenzia la deposizione dell’amiloide.
Nell’ordine è possibile osservare diversi gradi di
coinvolgimento glomerulare, amiloidosi interstiziale e
deposizione prevalentemente vascolare.
Il tipico quadro istologico dell’amiloidosi interstiziale si può
ritrovare nella biopsia di un paziente con esame delle urine Figura 46
negativo e IR non spiegata da altre cause.

COINVOLGIMENTO RENALE IN CORSO DI NEOPLASIE EMATOLOGICHE


In questa circostanza il danno renale può essere dato dalla neoplasia ematologica stessa e dai suoi effetti a
livello sistemico o dal trattamento messo in atto per cercare di contrastarla.
Sono numerosi i meccanismi con i quali una neoplasia può portare a danno renale. Tra questi si ricordano
l’ipercalcemia, l’invasione tissutale, i danni dati dalle paraproteine, l’ematopoiesi extramidollare e la
microangiopatia trombotica.

Ipercalcemia
L’ipercalcemia è una condizione presente nel 15-30% dei casi di mieloma multiplo all’esordio e nel 5-15% dei
casi di linfoma. Può causare nausea, vomito, stipsi, dolori ossei, astenia, debolezza, confusione e, nei casi più
severi (>14 mg/gL), coma.
A livello renale presenta 2 meccanismi d’azione:
• Provoca vasocostrizione, portando ad una possibile IRA su base ischemica.
• Riduce l’assorbimento di acqua, provocando quindi poliuria e conseguente ipovolemia, fenomeno che
può condurre a danno renale.

Invasione neoplastica diretta


L’invasione neoplastica diretta è spesso subclinica. Si ha principalmente un coinvolgimento interstiziale, con
conseguente quadro di IR in assenza di alterazioni urinarie manifeste. Nella figura 47 è possibile osservare
degli esempi di campioni prelevati tramite una biopsia: non è più possibile distinguere i tubuli e lo spazio
virtuale tra questi è completamente assente.

Figura 47

Danno da paraproteine
Questa alterazione renale può essere riscontrata
sia in caso di mieloma franco, ossia un mieloma
Figura 48
diagnosticabile secondo i classici criteri 43, o anche
in quei pazienti che presentano dei cloni
plasmacellulari in grado di produrre importanti
quantità di paraproteine, sui quali però non è
effettuabile la biopsia osteomidollare e sui quali
quindi non si è in grado di effettuare una diagnosi
classica.
Circa il 20-40% dei pazienti affetti da mieloma
sviluppa insufficienza renale a causa del danno da
paraproteine. Questa condizione è mediata dalle
catene leggere k e λ (queste ultime si trovano
presenti in circolo sotto forma di dimeri), in grado di
provocare danno mediante vari meccanismi. In
condizioni fisiologiche queste catene leggere sono
filtrate liberamente a livello glomerulare e vengono

43
Presenti al seguente indirizzo, sotto la voce “diagnosi” https://www.msdmanuals.com/it-it/professionale/ematologia-e-
oncologia/disturbi-plasmacellulari/mieloma-multiplo
74
poi riassorbite a livello del tubulo contorto prossimale. In caso di una loro eccessiva produzione, che può
essere mediata sia dal mieloma che dal clone plasmacellulare, si può avere:
• Sindrome di Fanconi: le catene leggere sono riassorbite dal tubulo contorto prossimale, il quale risulta
però sottoposto ad un sovraccarico lavorativo che porta a danno tubulare e fibrosi tubulointerstiziale, con-
seguenza dell’infiammazione locale secondaria all’iperattività del tubulo. Le sue manifestazioni cliniche
caratteristiche sono aminoaciduria, glicosuria, lieve proteinuria (solo proteine a basso peso molecolare),
acidosi renale tubulare prossimale (caratterizzata dalla perdita di bicarbonati), pH urinario talvolta alcalino
e fosfaturia.
• Rene da mieloma propriamente detto (cast nephropathy): le catene leggere presenti nel tubulo, in con-
dizioni favorevoli come la disidratazione e un pH urinario acido, si combinano con l’uromodulina (proteina
di Tamm-Horsfall) per dare dei cristalli (cast) che ostruiscono il tubulo e causano IR su base ostruttiva. Il
danno è amplificato dall’attivazione dei sistemi immunitari innato e adattativo, con flogosi e fibrosi intersti-
ziale.

Le paraproteine possono depositarsi anche a livello glomerulare da sole o (prevalentemente) in associazione


con il complemento, a dare GNMP. In questo caso l’immunocomplesso non è formato da Ig policlonali, come
nel caso delle glomerulonefriti membranoproliferative viste in precedenza, ma da proteine monoclonali. Per
riassumere, è possibile individuare diverse tipologie di patologie collegate al deposito di immunocomplessi a
livello renale:
• Malattia da deposito di catene leggere, o light chain deposition disease. Il glomerulo ha un aspetto
membranoproliferativo, con presenza di formazioni nodulari acellulari PAS positive44.
• Malattia da deposito di catene pesanti, o heavy chain deposition disease.
• Glomerulonefrite crioglobulinemica.
• Glomerulonefrite da immunotattoidi.
• Glomerulonefrite membranoproliferativa secondaria.

Complicanze della terapia


Esistono diverse forme di danno renale che originano da complicanze delle terapia contro la neoplasia
ematologica:
• Nefrotossicità da chemioterapici.
• Microangiopatia trombotica.
• Sindrome da lisi tumorale: in seguito ad un trattamento chemioterapico effettuato su neoplasie emato-
logiche, ossia tumori caratterizzati da un elevato volume cellulare, si possono avere delle alterazioni
nell’omeostasi dell’organismo date dalla massiccia morte cellulare. Tra queste ricordiamo iperuricemia,
iperfosforemia e conseguente ipocalcemia (vedremo infatti poi come un aumento della concentrazione di
fosforo può portare ad una diminuzione del calcio, poiché questi due elementi tendono a combinarsi tra
loro) e iperpotassiemia. Tutte queste condizioni possono portare ad IRA, andando ad agire sia in maniera
diretta, comportandosi come sostanze tossiche a livello tubulare (come fa ad esempio l’acido urico), sia in
maniera indiretta, andando a depositarsi sotto forma di cristalli.

SINDROME UREMICO EMOLITICA45


Anche la sindrome uremico emolitica atipica è una malattia rara, ma è possibile riscontrarla in reparto. È una
condizione clinica caratterizzata da:
• Trombocitopenia, per cui si hanno bassi livelli di piastrine e in particolare un delta in riduzione di piastrine
>30%. Ad esempio, un malato che ha sempre 250000 di piastrine, arriva con una clinica compatibile e si
presenta con 130000 di piastrine potrebbe avere una sindrome uremico emolitica.
• Anemia microangiopatica non-immuno mediata, quindi con test di Coombs negativo.
• IRA.
• Indici di emolisi mossi: aumento di LDH, riduzione dell’aptoglobina, riduzione del C3 nel 50% dei casi.
• Non isolamento di forme di E. Coli producenti la Shiga-like toxin, che è la prima causa di forma secondarie
di sindrome uremico emolitica.

Si accenna la diagnostica differenziale delle microangiopatie trombotiche:


• La forma più classica, nei bambini, è legata alla Shiga-toxin.
• Vi sono forme paraneoplastiche legate a farmaci.

44
Ossia positive alla reazione PAS, una reazione istochimica che evidenzia componenti tissutali ricchi di gruppi glicolici.
45
[n.d.s.: la sindrome uremico-emolitica non è stata trattata a lezione, ma il Docente l’ha lasciata al nostro studio personale, affermando
che verrà trattata in coda ad altri argomenti se avanzerà tempo. Pertanto, questo paragrafo è stato preso dalle slide e dalle sbobine
dell’anno precedente.]
75
• Vi è la forma di sindrome uremico emolitica atipica, anch’essa caratterizzata da un’attivazione incontrollata
della via alterna del complemento. Oltre alla sindrome uremico emolitica, si possono avere anche forme
membranoproliferative (ad esempio la C3 nephropathy). Si vede quindi come una stessa via immunologica
alterata possa dare due malattie diverse.
Dal punto di vista renale si ha una microangiopatia trombotica dei capillari glomerulari, quindi una deposizione
di materiale trombotico a livello a livello glomerulare che causerà un’IRA e un malfunzionamento del glomerulo.
La forma atipica è sempre su base genetica, e la figura mostra alcuni geni coinvolti.

76
Comunicazioni: nessuna.
Riassunto: dopo aver parlato degli aspetti generali della nefrologia, dell’insufficienza renale acuta, delle
patologie glomerulari con relativi aspetti clinici, la lezione odierna andrà ad analizzare la Malattia Renale
Cronica, prima definita Insufficienza Renale Cronica (IRC), oggi meglio conosciuta come MRC. Prima di
definire la MRC, il professore chiarisce le distinzioni tra IRA, MRA e MRC, riportate di seguito.

CLASSIFICAZIONE IRA, MRA, MRC


Tutte le patologie di tipo nefrologico possono
causare un danno renale che, se reso
irreversibile, può portare a uno stato di malattia
renale cronica. Indipendentemente dalla causa
della MRC, essa viene rappresentata da una
serie di manifestazioni comuni fra tutte le
nefropatie.
In generale, quando si parla di malattia renale,
si possono individuare:
● IRA, Insufficienza Renale Acuta (o AKI,
Acute Kidney Injury): Condizione che
raggruppa tutte le disfunzioni renali di
breve durata, solitamente inferiore ai 7
giorni (presenta una stratificazione di
severità1). Esempio: un paziente
fortemente disidratato ha un
peggioramento della funzione renale. Se viene idratato e la sua funzione renale torna nella norma in
meno di 7 giorni, egli torna in condizioni normali e non vi sono ulteriori peggioramenti o conseguenze.
● MRA, Malattia Renale Acuta (o AKD, Acute Kidney Disease), include anche IRA. Condizione che
raggruppa tutte le disfunzioni renali di durata maggiore di 7 giorni, ma che giunge a risoluzione entro i 3
mesi e non lascia alterazioni nel paziente. La MRA rispetto all’IRA oltre ad avere un deterioramento
della funzione renale, ha anche una condizione organica di gravità maggiore. Esempio: un malato con
una glomerulonefrite, anche senza peggioramento della funzione renale, rientra nella condizione di
MRA.
● MRC, Malattia Renale Cronica (o CKD, Chronic Kidney Disease): condizione che raggruppa qualsiasi
nefropatia di durata superiore ai 3 mesi. I pazienti affetti da MRC hanno un filtrato inferiore ai 60 mL/min
o un danno renale, espresso soprattutto in albuminuria.

MALATTIA RENALE CRONICA (MRC)


Definizione e stadi MRC
La malattia renale cronica è una patologia frequente, di severità variabile, caratterizzata da una presenza per
più di 3 mesi di almeno uno dei due principali indicatori di funzionalità renale, ossia GFR<60 mg/mmol o
albuminuria. Tale condizione richiede prevenzione, identificazione precoce e gestione clinica adeguata.
Si individuano 5 stadi di MRC, al cui crescere del numero cresce il grado di severità della malattia:
● I° stadio, G1: GFR>=90 e albuminuria moderata o severa2.
● II° stadio, G2: 60<GFR<89 e albuminuria moderata o severa.

1
Vedi lezioni precedenti per approfondire IRA
2
Albuminuria moderata: 30-300 mg/g, albuminuria severa: >300 mg/g. Solo nei casi di GFR>60 si deve anche
considerare il valore dell’albuminuria, mentre in tutti i casi di GFR<60, anche se non è presente albuminuria, si può
dichiarare lo stato di MRC

77
● III° stadio, G3a: 45<GFR<59 e G3b: 30<GFR<44 (anche se albuminuria assente, si ha MRC)
● IV° stadio, G4: 15<GFR<29 (anche se albuminuria assente, si ha MRC)
● V° stadio, G5: GFR<15 (anche se albuminuria assente, si ha MRC)
Il nefrologo deve essere coinvolto a partire dal III°
stadio poiché è a livello di questo stadio che iniziano ad
essere presenti le prime complicanze.
Esempio (osservando il grafico a lato): Un paziente con
un’insufficienza renale lieve di stadio II° ma senza
albuminuria ha un rischio di progressione praticamente
inesistente. Un paziente con lo stesso grado di
funzione renale e un’albuminuria moderata o severa,
ha un rischio di progressione elevato.
In base a questi valori si stabilisce una terapia, la quale
prevede perlopiù l’utilizzo di farmaci nefroprotettivi con
azione antiproteinurica.

Iter diagnostico per riconoscere pazienti a rischio MRA e MRC


Nel momento in cui si ha a che fare con un paziente con GFR<60 mg/mmol e/o albuminuria, si devono fare
una serie di considerazioni per valutare e gestire il rilevamento di malattie renali:
1. Analizzare le categorie di malati a rischio di MRA e MRC. Le popolazioni a rischio di malattia renale
sono soggetti anziani, diabetici, ipertesi e obesi. Vi sono anche altre forme di malattia renale che possono
manifestarsi in giovani pazienti, i quali presentano etnia ad aumentato rischio, pazienti affetti da malattie
autoimmuni/ematologiche.
2. Testare parametri come creatinina (per stimare il giusto GFR) e albuminuria, per stratificare il rischio di
progressione e il rischio di malattie cardiovascolari. Può essere rilevante anche valutare il sedimento
renale ed effettuare ulteriori esami quali ecografie o biopsie renali, nel caso in cui le diagnosi necessitino
di essere chiarite.
3. Identificare tipo di MR (acuta o cronica) valutando la durata, i marcatori di danno renale, la creatinina e
il filtrato glomerulare.
4. Valutare la causa e la severità dei parametri GFR
e albuminuria ed effettuare la diagnosi della
malattia renale.
5. Valutare la prognosi, mettendo insieme la
diagnosi del paziente, l’entità di riduzione del
filtrato glomerulare, l’entità della proteinuria,
eventuali localizzazioni extrarenali per i pazienti
con malattie sistemiche.
6. Mettere in atto terapie per gestire la malattia
renale. A tal proposito esistono delle terapie
specifiche, che variano da malattia a malattia
(esempio: se un paziente ha una glomerulonefrite
rapidamente progressiva, verrà trattato con
cortisone o immunosoppressori), ma esistono
anche delle terapie aspecifiche per tutte le
nefropatie, che hanno il compito di ridurre il rischio
di progressione (esempi: acidi inibitori o sartani,
farmaci inibitori del trasportatore sodio-glucosio,
aspirina, statine).

n.d.s. Non approfondito dal professore ma riportato dalle slide:


Conseguenze correlate a malattia renale causata dall’aumento di albuminuria sono ipoalbuminemia,
dislipidemia, trombosi venose profonde, embolia polmonare.

78
Conseguenze correlate invece alla riduzione del filtrato glomerulare sono la tossicità dei farmaci, disturbi
dell’equilibrio acido-base, complicanze metaboliche-ormonali e neuropatia.
Conseguenze correlate sia all’aumento di albuminuria sia alla riduzione del filtrato sono malattie
cardiovascolari, sovraccarico idrosalino, anemia, malnutrizione, rischio infettivo, alterazioni cognitive e
fragilità.

INSUFFICIENZA RENALE TERMINALE (V° STADIO)


L’insufficienza renale terminale (ESRD End Stage Renal Disease) è la condizione di malattia renale cronica
caratterizzata da un filtrato inferiore ai 15 mL/min e corrisponde al V° stadio di MRC. L’incidenza e la
prevalenza dell’ESRD hanno sempre una maggior percentuale di rischio di evoluzione a causa dell’aumento
dell’età media e delle comorbidità che causano progressione della malattia renale: ciò porta
conseguentemente ad un aumento di malati dializzati sia in dialisi peritoneale sia in emodialisi3.
Osservando i grafici nelle figure sottostanti si osserva che un malato con IRT ha un'aspettativa di vita più
simile a un paziente di pari età con tumore polmonare, rispetto a un paziente sano.

Esempio: l’aspettativa di vita di un malato dializzato tra i 55-65 anni è di 5,3 anni; in un paziente con stessa
età e affetto da tumore, si crea un’aspettativa di vita di 2,6 anni, mentre prendendo un paziente coetaneo
sano, l’aspettativa di vita sale a 21,6 anni.

La prima causa di morte dei pazienti dializzati è di natura cardiovascolare. Dalla figura 2 si vede che la
mortalità annuale causata da malattia cardiovascolare della popolazione in dialisi è significativamente
maggiore rispetto alla popolazione generale per qualsiasi fascia d’età, anche quando il dializzato è giovane e
ha un’età compresa tra i 25-34 anni.

Tossine uremiche
Il progressivo deterioramento della funzione renale
causa, nell’organismo del paziente, un accumulo di
sostanze con effetto tossico a livello di svariati
organi: le tossine uremiche.
Le tossine uremiche sono il prodotto di
degradazione di aminoacidi e proteine introdotte
con la dieta, metabolizzate dalla flora batterica
intestinale e poi metabolizzate a livello epatico. A
questo livello vengono dunque prodotte delle

3
A tal proposito il professore fa una digressione sui costi sanitari mettendo in luce il costo annuo di un paziente
dializzato, che ammonta circa a €55000/60000 in emodialisi e €30000 in dialisi peritoneale. In media, la dialisi
corrisponde in costi al 2% dei budget sanitari nazionali.

79
sostanze di scarto del metabolismo proteico che, nel soggetto sano vengono eliminate attraverso il rene, ma
nel soggetto con insufficienza renale tendono ad accumularsi. L’accumulo di tossine uremiche causa una
serie di disfunzioni multiorgano, raggruppabili sotto il nome di sindrome uremica.
Un metodo per contrastare la produzione di tossine uremiche è l’attuazione di una dieta ipoproteica, con
l’obiettivo di ridurre i livelli di azoto nel sangue. Queste tossine sono responsabili della maggior parte dei
sintomi e delle complicanze del V° stadio, dunque i pazienti giunti a questo stadio vengono considerati ad
alto rischio di sindrome uremica, anche se non tutti la sviluppano.

Sindrome uremica
La sindrome uremica è lo spettro più severo di complicanza clinica della malattia renale cronica. I sintomi
legati all’accumulo di tossine uremiche possono presentarsi mano a mano che la funzione renale va a
deteriorare, solitamente dallo stadio IV° in poi, non sempre in modo completo ma anche solo con alcuni primi
sintomi.
Allo stadio V° si presenta solitamente tutta la sintomatologia, che tuttavia risulta aspecifica, poiché
comprende sintomi piuttosto comuni:
● Astenia
● Disappetenza
● Insonnia
● “Restless leg syndrome”, sindrome delle gambe senza riposo
● Prurito

Lo spettro più estremo della sindrome uremica coinvolge molteplici organi, con una gravità estremamente
variabile; coinvolge i seguenti sistemi:
● Coagulazione: aumentato rischio di sanguinamento, trombocitopenia, disfunzione piastrinica.
● Emopoiesi: anemia (una delle manifestazioni più frequenti della MRC) causata da carenza di EPO,
carenza marziale, deficit folati, deficit B12, malassorbimento.
● Osteoarticolare: osteoporosi, osteopenia, tumori bruni, fratture patologiche.
● Endocrino: ipotiroidismo, ipogonadismo, disfunzione sessuale.
● Immunitario: ridotta risposta immunitaria, infiammazione subclinica. Aumento immunosenescenza4.
● Neuromuscolare: neuropatia periferica, disfunzione dei nervi cranici, alterazioni del SNA, encefalopatia
metabolica, perdita di massa muscolare.
● Gastroenterico: nausea e vomito (manifestazioni molto comuni nelle forme più avanzate di uremia),
anoressia grave, malassorbimento, stato catabolico severo.
● Cardiovascolare: sindrome cardiorenale, disfunzioni sistolica/diastolica cardiache, aterosclerosi
accelerata, rischio ischemico, pericardite. L’accumulo delle tossine uremiche ha un impatto di
rimodellamento della funzione cardiaca con un effetto pro-ipertrofico, pro-infiammatorio e pro-fibrotico.

Immunosenescenza e CKD
L’immunosenescenza, ossia il declino della
funzione del sistema immunitario che avviene con
l’avanzare dell’età, nei malati con MRC ha un’età
biologica maggiore rispetto all’età anagrafica,
diversamente da un paziente sano. Questo è
legato a un deficit della risposta immunitaria,
poiché i malati hanno una maggior sensibilità alle
infezioni, alle neoplasie, alle malattie autoimmuni,
hanno inoltre una ridotta sorveglianza immunitaria,
una ridotta risposta alle vaccinazioni e una risposta
maladattativa al danno5. L’immunosenescenza

4
Vedi dopo per immunosenescenza.
5
Il professore fa una digressione sul Covid, dicendo che i malati dializzati e/o trapiantati infetti da Sars Cov 2 hanno
avuto una mortalità molto più elevata rispetto ai coetanei senza malattia renale cronica, soprattutto nelle prime fasi della
pandemia.

80
influisce anche l’inflammaging, condizione di stato o infiammazione subclinica che aumenta il rischio di
sviluppare malattie autoimmuni, malattie legate all’età e malattie aterosclerotiche.
Le tossine uremiche causano un aumento dello stress ossidativo nelle cellule immunitarie, effettuando delle
modificazioni nell’espressione genica ed il risultato è un sistema immunitario meno attivo (in particolar modo
si fa riferimento al sistema immunitario adattativo, con precursori mieloidi e linfoidi).
Come si vede in figura il danno immunologico è irreversibile, infatti un paziente che inizia emodialisi o
dialisi peritoneale, manifesta una cicatrice immunologica permanente anche dopo il trapianto, nonostante
venga instaurata una nuova funzione renale.

Progressione di MRC
L'identificazione precoce di pazienti entrati negli stadi I-II di MRC è importante perché permette di rallentarne
la progressione, e consente per gli stadi successivi di gestirne le complicanze.
La biologia della progressione porta i pazienti a sviluppare una serie di alterazioni che possono causare una
glomerulosclerosi progressiva e una sclerosi tubulointerstiziale progressiva.
Oltre al danno endoteliale, a livello glomerulare si avrà:
● Proliferazione delle cellule mesangiali
● Danno podocitario
● Microinfiammazione glomerulare
● Rilascio di citochine e fattori di crescita

Sclerosi glomerulare (glomerulosclerosi progressiva)


Nella sclerosi glomerulare, il più importante fattore di rischio di progressione e danno fibrotico a livello
glomerulare è il TGF-ß1. Questo fattore di crescita determina una regressione delle cellule mesangiali a un
fenotipo embrionale (pro-fibrotico), causando una sovrapproduzione di matrice extracellulare, responsabile
della sclerosi glomerulare.
Il TGF-ß1 influenza le cellule del sistema immunitario ad assumere un fenotipo pro-infiammatorio e
pro-fibrotico, richiamando monociti e macrofagi.
N.d.r. si riporta un breve riassunto approfondito sulla glomerulosclerosi: La glomerulosclerosi segmentaria e
focale è una delle principali cause di insufficienza renale negli adulti, e rappresenta circa un sesto dei casi di
sindrome nefrosica. Il termine glomerulosclerosi indica in generale una condizione caratterizzata dalla
presenza di lesioni e indurimenti a carico dei glomeruli, le unità funzionali di base dei reni, deputate alla
filtrazione dell'urina dal sangue.

Sclerosi tubulointerstiziale progressiva (fibrosi tubulointerstiziale)


Anche nella sclerosi tubulointerstiziale, come nella glomerulare,
l’infiammazione, la proliferazione e l’apoptosi hanno un ruolo
fondamentale nella patogenesi. Il maggior fattore di danno nel
compartimento tubulointerstiziale è la proteinuria, che ha un
effetto moltiplicatore sul rischio di progressione dell’MRC.
La proteinuria infatti causa un sovraccarico a livello delle cellule
tubulari, nel tentativo di riassorbire le proteine in eccesso,
portando a un fenotipo pro-infiammatorio che esita nella
deposizione di matrice extracellulare e, quindi, fibrosi.
Le cellule dei tubuli danneggiati vanno incontro ad apoptosi
responsabile di atrofia tubulare e sviluppo di glomeruli
“atubulari”. Sotto l’influenza del TGF-1ß le cellule tubulari
possono differenziarsi e contribuire alla fibrosi.
Il danno tubulointerstiziale è legato non solo alla proteinuria, ma
anche all’aterosclerosi, al diabete o a una malattia
tubulointerstiziale primitiva.
N.d.r. si riporta un breve riassunto approfondito sulla fibrosi
tubulointerstiziale: La nefrite tubulointerstiziale è un danno
primario ai tubuli renali e all'interstizio, che risulta in una ridotta

81
funzionalità renale. La forma acuta è il più delle volte dovuta a reazioni allergiche da farmaci o a infezioni. La
forma cronica si verifica per diverse cause, tra cui disturbi genetici o metabolici, l'uropatia ostruttiva e
l'esposizione cronica a tossine ambientali o ad alcuni farmaci ed erbe. La diagnosi viene suggerita
dall'anamnesi e dall'analisi delle urine ed è spesso confermata per mezzo della biopsia.
Alcuni dei mediatori6 che si possono avere nella fibrosi renale sono:
● Angiotensina II
● Endotelina
● NF-kB
● TGF-1ß

Nell’immagine sottostante viene mostrato l’andamento della CKD. Il numero di nefroni che si hanno fin dalla
nascita, in un soggetto normale, si aggira intorno al milione per rene e fisiologicamente, con
l’invecchiamento, i nefroni diminuiscono: più diminuiscono, più iperfiltrano. Un soggetto sano in età avanzata
muore con una creatinina che si aggira intorno ai valori 1,5-1,6 di creatinina.
Il malato di CKD, osservando il grafico, passa ad avere un numero troppo basso di nefroni funzionanti che
con l’età diventeranno insufficienti a causa del sovraccarico funzionale e il malato svilupperà una malattia
cronica avanzata, che necessiterà di trattamento per prevenire le complicanze della MRC.
In particolare, i nefroni residui vanno incontro a un sovraccarico funzionale, il quale causa un sovraccarico
emodinamico, uno stress podocitario, un sovraccarico metabolico, un sovraccarico del tubulo contorto
prossimale nel tentativo di riassorbire la proteinuria. Questi meccanismi di sovraccarico dei nefroni residui
causano una progressiva perdita di nefroni, fino ad arrivare alla MRC.

Complicanze MRC
Le complicanze cliniche della MRC sono principalmente:
● Sovraccarico idrosalino e ipertensione arteriosa. Nella maggior parte dei casi, i malati di MRC con il
progredire della malattia sviluppano sovraccarico idrosalino, edemi e ipertensione. Nelle forme più gravi,
gli edemi possono causare un edema polmonare, quindi un accumulo di acqua nei polmoni.
● Iperpotassiemia. I malati non riescono ad eliminare adeguatamente il potassio perché, oltre alla
malattia in sé, molti farmaci nefroprotettivi possono avere come effetto collaterale l’iperpotassiemia.
Fattori di rischio aggiuntivi sono la dieta, l’acidosi metabolica, gli inibitori del sistema
renina-angiotensina-aldosterone e gli antiinfiammatori.
● Acidosi metabolica. Fattore di rischio di potassiemia, di MRC e delle sue complicanze.

6
Il professore dice che ci sono molti fattori, non tutti ancora conosciuti, che causano la progressione della fibrosi renale.

82
Terapia e prevenzione
Identificazione precoce
Nei malati renali cronici inattesi, ossia solitamente i più giovani, è possibile individuare lo stato di MRC
ponendo attenzione ad esami che possono essere prescritti per altre patologie acute in corso. Per esempio, i
soliti esami di routine o quelli effettuati sul luogo di lavoro.
Nelle popolazioni a rischio secondo fattori etnici si riscontrano africani, afro-americani, nativi-americani e
asiatici. Per quanto riguarda invece i fattori costituzionali, sono più a rischio i soggetti con basso peso alla
nascita, malnutriti e aventi familiarità con la patologia.
Malati invece con fattori di rischio importanti per lo sviluppo di MRC e la sua progressione sono ipertesi,
diabetici, dislipidemici, obesi, e fumatori di sigaretta.
In questi malati bisognerà ricercare attivamente la presenza di MRC, tramite il dosaggio di creatinina e
microalbuminuria.

Fattori di progressione
Fattori che possono influire sulla progressione della MRC possono essere:
● Non modificabili:
○ Predisposizione genetica
○ Etnia
○ Età
○ Sesso (i maschi hanno un maggior rischio di progressione)
● Modificabili, sui quali si deve agire in ambulatorio. Si parla di prevenzione primaria per quanto riguarda:
○ Ipertensione/ipertensione glomerulare
○ Proteinuria
○ Diabete
○ Obesità,
○ Fumo di sigarette
○ Dislipidemia
○ Farmaci nefrotossici

Prevenzione primaria
Per gli ipertesi si può proporre una dieta iposodica, riducendo l’assunzione giornaliera di NaCl a 4-6 g. La
proteinuria può essere contrastata attuando una restrizione proteica moderata con 0.6-0.75 g/kg al giorno,
mentre per il diabete mellito di tipo 2 si prescrive una dieta ipoglucidica. L'obesità è riducibile tramite dieta
ipocalorica che riduce anche il rischio di iperfiltrazione, mentre nei casi di pazienti fumatori, si deve
sospendere il fumo di sigaretta.

Prevenzione secondaria
La prevenzione secondaria viene attuata tramite la somministrazioni di farmaci.
Gli antiipertensivi vengono utilizzati per cercare di ottenere valori di pressione arteriosa che abbiano un
target intorno ai 125-130/75-80 mmHg, sempre adattando la pressione al malato7.
Le comorbidità sono da tenere in considerazione, infatti i pazienti diabetici spesso possono avere una
condizione di disfunzione autonomica che causa ipotensione ortostatica e, quindi, causare condizioni di
ipotensione in caso di modifiche posturali.
Bisogna inoltre privilegiare farmaci che agiscono sul sistema renina-angiotensina-aldosterone (ACE
inibitori e sartani), i quali hanno anche un effetto antiproteinurico e cardioprotettore. Per quanto riguarda
questa categoria di farmaci, stanno avendo un ruolo emergente gli inibitori del cotrasportatore
sodio-glucosio (SGLT28 inibitori), soprattutto per i pazienti proteinurici.

7
Se il malato è giovane si può attuare una terapia più aggressiva, mentre nell’anziano bisognerà avere un approccio più
“blando”.
8
Vedere il paragrafo successivo per gli SGLT2i

83
Nei diabetici è importante ottenere un valore di emoglobina glicata HbA1c9 di almeno 7%; per quanto
riguarda i pazienti dislipidemici, infine, si somministrano statine, le quali sono in grado di avere un effetto
nefroprotettivo anche in assenza di documentata ipercolesterolemia.

Il grafico permette di osservare i range di albuminuria: normoalbuminuria<30, albuminuria moderata tra


30-300, albuminuria severa>300. Si osserva che malati con un’albuminuria inferiore ai 30
(normoalbuminuria) ma in continuo aumento, hanno un rischio maggiore di progressione dell’insufficienza
renale. Per questo motivo risulta importante trattare i pazienti con ACE inibitori, sartani e SGLT2 inibitori.

SGLT2 hinibitors
Gli SGLT2 inibitori (inibitori del
co-trasportatore del sodio-glucosio di tipo 2)
sono farmaci utilizzati nel trattamento del
diabete di tipo 2 e bloccano una proteina nei
reni chiamata SGLT2, che riassorbe
glucosio dalle urine nel sangue quando
questo viene filtrato nei reni. Essi
funzionano inibendo il cotrasportatore di
sodio all’interno del tubulo contorto
prossimale determinando glicosuria, la quale
porta ad avere natriuresi, ed insieme
stimolano un feedback tubuloglomerulare
che va a vasocostringere l’arteriola afferente. La vasocostrizione dell’arteriola efferente riduce la pressione di
filtrazione intraglomerulare e, quindi, viene ridotto il rischio di iperfiltrazione glomerulare, uno dei principali
fattori di rischio di progressione.
Questi farmaci deputati alla vasocostrizione dell’arteriola afferente sono sinergici all’effetto di dilatazione
dell’arteriola efferente degli ACE inibitori, quindi agiscono efficacemente in contemporanea.

Diabete e HbA1c
I valori di emoglobina glicata nei pazienti diabetici vanno aggiustati in base a vari aspetti:
● Severità della MRC
● Complicanze macrovascolari
● Comorbidità
● Aspettativa di vita
● Ipoglicemia, risorse per contrastarla e propensione al trattamento

9
Vedere il paragrafo successivo per diabete e HbA2c

84
Nel malato con diabete e MRC si devono attuare una serie di interventi sullo stile di vita, tra cui l’assunzione
di farmaci (antiipertensivi/controllo glicemico) per ridurre il rischio di progressione.
I diabetici devono seguire screening annuali per il rischio di malattia renale attraverso dosaggio di creatinina,
valutazione del filtrato e dosaggio della microalbuminuria e, nel caso ci fossero anomalie, appoggiarsi a
nefrologi per implementare la terapia, riducendo il rischio di progressione di malattia renale.

Complicanze MRC
La gestione delle complicanze della MRC si occupa di:
● Complicanze cliniche, sono le più frequenti:
○ Ipertensione arteriosa10
○ Sovraccarico idrosalino (farmaci utilizzati: furosemide11, tiazidici)
● Complicanze endocrinologiche:
○ Anemia
○ Alterazioni del metabolismo calcio-fosforo

ANEMIA
Tra le funzioni principali del rene vi è quella di produrre eritropoietina, quindi in caso di malati di MRC viene
meno la produzione di questo ormone glicoproteico e si crea una condizione di anemia.
L’anemia si dichiara quando i valori di emoglobina scendono sotto gli 11,5 g/dL per le donne e i 13,5 g/dL
per gli uomini12. La produzione di
eritropoietina viene ridotta in corso di MRC
da parte delle cellule endoteliali dei capillari
peritubulari e dalla parte più esterna della
midollare. Inoltre, tra le concause di anemia
si riscontrano anche una ridotta emivita
degli eritrociti (70-80 gg contro i normali
120 gg), un progressivo accumulo di
tossine uremiche e un ridotto livello di
ferro (dovuta a una carenza di ferro nella
dieta, perdite gastrointestinali o riduzione
dell’assorbimento intestinale), vitamina B12
e acido folico. I malati di MRC hanno
un’aumentata tendenza al sanguinamento.
Nel caso in cui si abbia uno stato
infiammatorio cronico, una riduzione
dell’assorbimento intestinale e un utilizzo inadeguato di ferro da parte del malato di MRC, è riscontrabile un
accumulo di epcidina, ormone peptidico responsabile in parte dell’anemia. In modo analogo, la carenza di

10
Il professore oltre a citare nuovamente ACEi e SGLT2i, sottolinea l’importanza dei calcio antagonisti nel curare la
malattia renale cronica.
11
Per questi farmaci è importante aggiustare la dose, dato che sono farmaci dose-dipendenti, quindi raggiungono
l’effetto massimale superando una certa soglia. Questa soglia può aggirarsi intorno ai 25-50 mg in soggetti normali e
arrivare fino a 1 g in un soggetto con MRC.
12
I valori possono cambiare leggermente in base al laboratorio di analisi a cui si fa riferimento.

85
eritropoietina ha un ruolo fondamentale sull’inefficacia dell’eritrocitosi, così come qualsiasi infiammazione di
tipo cronico.
Anche l’iperparatiroidismo si associa a un’aumentata eritrocitosi.
Ulteriori fattori che contribuiscono allo sviluppo di anemia sono:
● Assunzione di farmaci, che possono associarsi a una ridotta di produzione di globuli rossi
● Vitamina B12 e folati
● Comorbidità
● Condizioni legate alla dialisi

L’incidenza di anemia aumenta con l’aumentare degli stadi di MRC:


● Stadio I-II: <10% dei malati di MRC hanno anemia
● Stadio III: tra 20%-40% dei malati di MRC hanno anemia
● Stadio IV: tra 50%-60% dei malati di MRC hanno anemia
● Stadio V: probabilità anemia >70% dei malati di MRC hanno anemia
● Dialisi: probabilità anemia >90% dei dializzati hanno anemia
Esempio: se si ha un malato in ambulatorio con 9 di emoglobina e una filtrato di 55-60, è improbabile che
l’anemia sia legata soltanto alla MRC; se lo stesso malato ha invece 15 di filtrato, è quasi certo che l’anemia
sia legata alla MRC. Ciò tuttavia non esclude l’andare a valutare tutte le altre cause di anemia, che sarà
opportuno andare ad investigare, ma renderà più probabile il fatto che l’anemia sia legata alla MRC.

Approccio terapeutico
Per contrastare l’anemia si può agire con un giusto dosaggio di ferro, acido folico e vitamina B12, ma
soprattutto si fa terapia con eritropoietina ricombinante (esogena13). L’obiettivo NON è la correzione totale
di anemia (ossia portare l’emoglobina ai valori di 14-15 g/dL), poiché una normalizzazione si assocerebbe a
un aumentato rischio di eventi ischemici come ictus, o eventi cardiovascolari. E’ importante tenere un valore
che si aggiri intorno ai 10-12 g/dL di emoglobina, da modulare in base all’età e alle comorbidità.
Esempio: un malato con MRC o un dializzato con 14 g/dL di emoglobina dovrebbe far insospettire il clinico e
fargli eseguire una rivalutazione della dose di eritropoietina.
In caso di mancata risposta è opportuno escludere la presenza di fattori responsabili di resistenza
all’eritropoietina: carenze marziali e vitaminiche, compliance, sanguinamento cronico, iperparatiroidismo,
inadeguatezza dialitica, emolisi. Per quanto riguarda la carenza marziale, se in soggetti normali i valori di
ferritina normali sono bassi fino a 35-50 ng/mL, nei malati con MRC, oltre che cercare di avere una
saturazione di transferrina superiore al 20%, bisogna puntare a una ferritina maggiore ai 100 ng/mL,
talvolta proseguendo la terapia marziale fino a che il malato arriva a 500 ng/mL.

13
Per chiarire, il profe dice che è la stessa che veniva utilizzata nello sport come doping.

86
Quando usare le eritropoietine
Le eritropoietine si devono utilizzare nei malati che
raggiungono valori di Hb<10-11 g/dl.
Il loro utilizzo chiaramente deve essere adattato al paziente:
per un soggetto molto anziano e che svolge poche attività un
valore di emoglobina pari a 9 g/dl può essere accettato; per il
soggetto più giovane si dovrà supportare un valore più alto. In
linea di massima, però, si interviene quando l’emoglobina
scende sotto i 10 g/dl cercando di mantenerla al di sotto di
11.5 g/dl. Vi sono una serie di farmaci Eritropoietine che si
utilizzano nella pratica e con una durata d’azione variabile,
che non verranno trattate nel dettaglio.14

Recentemente sono stati introdotti altri farmaci che si stanno


aggiungendo al nostro sistema terapeutico, ad esempio
farmaci che vanno a inibire il sistema HIF (hypoxia
inducible factor) che induce un'aumentata eritropoiesi in
condizioni di ipossia (es. quando si è in montagna).
Questi farmaci hanno anche un effetto anti-infiammatorio e
di riduzione dei livelli di Epcidina, permettendo un miglior
utilizzo del ferro da parte dell’organismo15.

OMEOSTASI CALCIO-FOSFORO
Oltre all’anemia, è presente un’importante complicanza endocrinologica della malattia renale cronica: le
alterazioni dell'omeostasi calcio-fosforo.
Ogni giorno si assume 1 g di calcio, di cui il 65% viene eliminato mentre il 35% circa viene assorbito e si
trova in equilibrio tra osso e rene. Nel nostro organismo la maggior parte del calcio è contenuto nelle ossa
(circa 1 kg) che si occupano di preservarne il bilancio corporeo, mentre il rene è il principale organo per la
regolazione del suo metabolismo e smaltimento.
Per quanto riguarda il fosforo, si introducono circa 900 mg al giorno, ne vengono eliminati circa 300 mg,
e i 600 mg assorbiti si ritrovano principalmente nelle ossa e nei tessuti molli. Anche in questo caso, il rene
ne regola il riassorbimento e la secrezione.

Un elemento chiave nel metabolismo calcio-fosforo è la


vitamina D. La vitamina D3 a livello epatico viene
convertita in 25(OH) vitamina D, la forma pauci-attiva.
Successivamente a livello renale si ottiene l’1,25(OH)2
vitamina D ovvero la forma più attiva.
Quest’ultima trasformazione nel rene avviene grazie alla
stimolazione del paratormone (PTH), mentre è inibita
dall’ormone FGF23.
La vitamina D così prodotta agisce principalmente in
situazioni di ipocalcemia:
● inibendo con un feedback negativo il rilascio di PTH.

14
I nomi in parentesi nella slide non sono stati citati, sono stati brevemente elencati solo i primi 3: Epoetina Alfa, Epoetina
Beta, Epoetina Teta.
15
Per comprendere meglio si riporta un medicinale che interagisce con il sistema HIF, approvato dall’EMA, usato per
trattare i sintomi dell’anemia da IRC: “Il principio attivo di Evrenzo, Roxadustat, agisce su un enzima denominato
prolil-idrossilasi del fattore inducibile da ipossia (HIF-PHI). Tale azione stimola la risposta naturale che normalmente si
verifica quando i livelli di ossigeno sono bassi, compresa la produzione di eritropoietina ed emoglobina. È atteso che tale
azione riduca i sintomi dell’anemia”. https://www.ema.europa.eu/en/documents/overview/evrenzo-epar-medicine-overview_it.pdf

87
● stimolando la secrezione ossea di FGF23.
● aumentando il riassorbimento osseo di calcio e fosfato.
● aumentando l'assorbimento di calcio a livello renale.

Il PTH prodotto dalle paratiroidi, invece, a livello osseo determina un aumentato assorbimento16 di fosforo e
calcio; quest’ultimo inibisce la produzione di PTH stesso (feedback negativo). Il paratormone stimola, poi, a
livello renale un aumentato riassorbimento di calcio e il metabolismo del calcidiolo nella forma attiva
calciferolo.

Questa introduzione di fisiologia, che sicuramente è già stata affrontata in corsi passati, serve per capire che
con il procedere della malattia renale cronica, si sviluppano due conseguenze molto importanti nell'ambito
del metabolismo calcio-fosforo:
● una riduzione dei livelli di Calcitriolo con riduzione dei
livelli sierici di calcio a causa della riduzione della
funzione renale.
● un crescente aumento dei livelli sierici di fosfato, poiché
si ha una diminuzione della capacità fosfaturica del
rene; dato che il rapporto calcio-fosforo deve essere
mantenuto costante (al fine di evitare che i due elementi
si combinino e precipitino nei vasi e nei tessuti molli
dando origine a calcoli di fosfato di calcio), ciò porta ad
un’ulteriore riduzione dei livelli sierici di calcio.

Queste alterazioni sono presenti sin dalle fasi precoci della malattia renale cronica, ma si tratta di
alterazioni subcliniche; di conseguenza ci saranno delle variazioni che si discosteranno leggermente dalla
norma ma che saranno sufficienti per innescare il meccanismo che verrà spiegato a breve. Quindi,
l’organismo risponderà a questa situazione di accumulo di fosforo, carenza di calcio sierico e carenza di
forma attiva di vitamina D con una produzione in eccesso di paratormone (iperparatiroidismo
secondario17), con l'obiettivo di riportare il calcio a valori fisiologici18.

N.d.r. La slide a fianco non è stata spiegata dal professore, viene


riportata per completezza.

Riassumendo, nel paziente con CKD dal punto di


vista biochimico si ha: un iniziale accumulo di
fosforo, un aumento dei livelli di FGF23 volti a
cercare di mantenere questo equilibrio, una
progressiva riduzione di vitamina D, una tendenza
del rene all'accumulo di fosforo e una tendenza
alla carenza di calcio.

16
n.d.r. Il professore dice “riassorbimento”, ma più precisamente: il PTH nelle ossa attiva indirettamente gli osteoclasti
aumentando la mobilizzazione del calcio e del fosforo (aumentandone i livelli sierici).
https://it.wikipedia.org/wiki/Paratormone#Meccanismo_d'azione
17
Livelli di PTH aumentati in risposta a una carenza relativa di calcio e di vitamina D, in questo caso dovuta a malattia
renale cronica.
18
Molte di queste attività sono mediate dall’ormone FGF23, il quale ha un'importante effetto fosfaturico mediato appunto
dall'accumulo di fosfato.

88
Infine, si ha un'aumentata produzione di PTH che agendo a livello osseo porta ad una demineralizzazione
ossea con incremento dell’assorbimento di calcio (al fine di normalizzarne i livelli sierici) ma con
assorbimento anche di fosforo (portando ad un ulteriore innalzamento dei suoi livelli sierici).
L’accumulo di fosforo porta, a sua volta, a una riduzione dei livelli di calcio.

CKD-MBD
La rottura dell’omeostasi Ca–P descritta precedentemente porta alla malattia minerale ossea dovuta a IRC
(CKD-MBD).
Un malato di malattia renale cronica, presenterà il seguente scenario al fine di mantenere i livelli di calcio
all’interno dei valori normali.
Bassi livelli di:
● calcio perchè si ha ridotto assorbimento con effetto chelante del fosforo. Nelle fasi iniziali l’ipocalcemia
sarà subclinica ma progressivamente diventerà clinicamente rilevante.
● calcitriolo per una ridotta produzione renale di vitamina D attiva.
Elevati livelli di:
● PTH legato all’ipocalcemia.
● fosforo a causa della ridotta escrezione renale e tendenza a un suo accumulo.
● FGF23.

Conseguenze CKD-MBD
Se questo meccanismo non viene interrotto dalla terapia farmacologica, si manifesteranno due conseguenze
importanti:
1. Alterazione del rimodellamento della struttura ossea: l’osso va incontro a demineralizzazione visibile
all’RX19, con predisposizione a una condizione nota come osteite fibroso-cistica.
Le ossa diventano più povere della componente minerale (calcio) e assumono una consistenza
maggiormente fibrosa. Si ha quindi una conseguente formazione di cisti ossee che aumentano il rischio di
fratture spontanee.
2. Accelerata calcificazione vascolare e ectopiche: a causa delle alterazioni biochimiche già descritte, il
paziente affetto da malattia renale cronica è caratterizzato da un elevato prodotto Ca-P che supera i
60-70 mg/dl. I due elementi tendono, a questo punto, a combinarsi portando a precipitazione di fosfati
di calcio nei tessuti molli e nei vasi. Un ruolo centrale in questo meccanismo è svolto dal PTH che
stimola il rilascio di Ca e P dalle ossa, contribuendo a livelli plasmatici elevati.
Nei malati aumenta così il rischio di calcificazioni ectopiche e vascolari.
[N.d.r. Il professore invita a fare attenzione durante i tirocini, quando vedremo lastre o tac dei malati con
CKD, poiché osserveremo dei vasi che saranno spesso fortemente calcificati20. Le calcificazioni hanno un
importante impatto sui malati perché portano a elevata mortalità per cause cardiovascolari, aterosclerosi
accelerata che abbiamo visto esser mediata dalle tossine uremiche, dall’ipertensione e dalle varie
comorbilità, oltre che difficoltà di effettuare manovre chirurgiche su questi vasi (ad es. confezionamento di
fistole arterovenose per la dialisi, o l'utilizzo dei vasi per l'effettuazione dei trapianti di rene).

Alterazioni del metabolismo minerale osseo in corso di CKD-MBD


Negli stadi più iniziali, si ha una lieve diminuzione
della vitamina D e un lieve aumento del paratormone.
Nello stadio III-IV si inizia ad avere vitamina D
marcatamente ridotta, ipocalcemia, marcato
iperparatiroidismo secondario e iperfosfatemia.
Nello stadio V il tutto è più amplificato.

19
Che comporta osteoporosi significativa (integrazione dalle sbobine dell’anno scorso).
20
Addirittura, in alcuni casi è presente una forte osteoporosi con demineralizzazione delle vertebre talmente importante,
che determina un “passaggio” di fosfati di calcio dalle ossa all’aorta posizionata anteriormente. Questo vaso si
presenterà quindi completamente calcifico (ciò si può osservare in lastre latero-laterali).

89
Adenomi paratiroidei21
Un’altra condizione che si può verificare nelle fasi più
avanzate della malattia renale cronica, in seguito a
iperparatiroidismo, è la possibile formazione di adenomi
paratiroidei che producono PTH in modo incontrollato,
poiché hanno perso il recettore per il calcio. Si tratta di
lesioni neoplastiche adenomatose con una produzione
incontrollata di paratormone. Anche se venisse
somministrato calcio, il paziente non risponderebbe più.
In questo modo si avrà un’evoluzione verso
l’iperparatiroidismo terziario22, condizione in cui i livelli
alti di PTH non rispondono più alle terapie mediche che
possiamo mettere in atto.
Questo può causare addirittura una fase di ipercalcemia secondaria all’iperparatiroidismo terziario (indicata
con un pallino rosso nella slide precedente).

Diagnostica di CKD-MBD
I parametri che si vanno a osservare nei pazienti
per valutare la malattia minerale ossea dovuta a
MRC sono: calcio e fosforo, fosfatasi alcalina,
paratormone, lastre del torace ed ecocardiografia.
Inoltre è importante dosare e correggere la
concentrazione di vitamina D poiché bassi livelli di
25(OH) vitamina D sono uno stimolo per la
produzione di PTH.

Trattamento di CKD-MBD
Non esistono delle linee guida precise per il trattamento della CKD-MBD.
Quello che si deve fare è valutare caso per caso, in base all’andamento dei parametri, cercando non
necessariamente di normalizzarli, ma di controbilanciare il peggioramento.
Negli stadi da III a V della malattia renale cronica, l'obiettivo è mantenere calcio e fosforo nell'intervallo di
normalità. In che modo? si deve invitare il paziente a seguire delle diete a basso contenuto di fosforo (evitare
latticini), a limitare l’assorbimento di fosforo prescrivendo farmaci chelanti del fosforo23 in grado di chelare il
fosforo introdotto con la dieta impedendo il suo assorbimento intestinale. Quest’ultimo punto è importante
perché si è visto che il primum movens dell'iperparatiroidismo secondario è proprio l’accumulo di fosforo,
dovuto all'insufficienza renale cronica. Quindi, prima di somministrare il calcio a un paziente con valori bassi,
è importante valutare i livelli di fosforo, poichè se l’ipocalcemia è dovuta a iperfosforemia, bisogna agire con
chelanti del fosfato e abbassare il fosforo. A quel punto il calcio sale24.
In questi stadi in caso di tendenza all’ipocalcemia, e comunque per controllare i valori di PTH,
somministriamo anche vitamina D attiva o calcitriolo che possono abbassare i valori di paratormone.
La produzione di PTH infatti, come visto precedentemente, è sensibile al calcitriolo con meccanismo di
feedback negativo.
Negli stadi da III a V qualora il PTH fosse aumentato e non fosse controllabile adeguatamente dalle
manovre messe in atto precedentemente elencate, ovvero se ci si trovasse in una situazione di
iperparatiroidismo terziario, si dovranno utilizzare delle strategie terapeutiche più avanzate come
calciomimetici25 o procedere alla rimozione chirurgica delle paratiroidi. Infatti, tutti questi farmaci non

21
Integrazione con le sbobine dell’anno passato.
22
Si verifica quando il PTH viene secreto indipendentemente dal livello di calcio nel sangue. L'Iperparatiroidismo terziario
in genere insorge in soggetti con iperparatiroidismo secondario di lunga durata e in soggetti affetti da malattia renale
cronica.
23
Come il calcio carbonato. I chelanti del fosforo vengono assunti durante il pasto.
24
Le ultime due frasi sono state integrate dalla sbobina dell’anno precedente.
25
Dalla slide: vitamina D attivata o analogo della vitamina D (Calcitriolo o Paracalcitolo)

90
funzionano nel caso di sviluppo di adenoma, perché hanno bassi livelli di recettori per il calcio e per la
vitamina D, ed è proprio in questo caso che bisogna agire chirurgicamente. Se si agisce in modo precoce
sulla concentrazione del paratormone è più probabile che non si vada incontro a questa situazione26.

CKD E RISCHI CARDIOVASCOLARI


Si pone ora attenzione alla correlazione tra malattia
renale cronica e malattia vascolare.
Da una parte abbiamo i fattori generali di rischio di
malattia vascolare come età, obesità, sesso maschile,
fumo di sigaretta, storia familiare, ipertensione, diabete,
iperuricemia, dislipidemia.
Dall’altra abbiamo gli specifici fattori di rischio della
malattia renale cronica come metaboliti tossici,
albuminuria, infiammazione, stress ossidativo,
disfunzione endoteliale, anemia, malnutrizione.
Queste due componenti comportano danno/disfunzione
miocardica e alterato rimodellamento vascolare a cui si
associa stiffness vascolare, legata alle calcificazioni
vascolari che abbiamo visto precedentemente.
Tutto ciò contribuisce alla progressione della malattia renale cronica, malattia ischemica cardiaca,
scompenso cardiaco, morte cardiovascolare e accidenti cardiovascolari.

Quindi, si può affermare che la malattia renale cronica


attraverso i fattori di rischio che la determinano e
attraverso le conseguenze della malattia stessa come:
● anemia
● accumulo di sostanze tossiche
● iperattività del sistema nervoso autonomo e del
sistema renina-angiotensina-aldosterone
● infiammazione
influenza gli outcome negativi cardiovascolari27:
● coronaropatia
● ictus
● insufficienza cardiaca
● tromboembolismo venoso
● morte cardiaca improvvisa
● fibrillazione atriale
● aneurisma addominale aortico
● arteriopatia periferica

NUTRIZIONE E MALATTIA RENALE CRONICA


Un argomento chiave nei pazienti con malattia renale cronica è l'aspetto nutrizionale.
Una corretta terapia nutrizionale e dietetica può avere un impatto su fattori che influenzano la progressione
della malattia renale come il rischio di ipertensione, di obesità, di dislipidemia, di scarso controllo glicemico
nei diabetici. Di fronte a un paziente iperteso, si opta per una dieta iposodica, mentre i pazienti obesi devono
essere invitati a una dieta ipocalorica.
In generale si mette in atto una dieta ipoproteica (0.6-0.8 g di proteine/peso corporeo al giorno) perchè con
il metabolismo delle proteine si vengono a creare tossine uremiche. Questo non tanto con l'obiettivo di
rallentare la progressione della malattia renale cronica, ma con l'obiettivo di ridurre i sintomi legati agli effetti
tossici derivanti dall’accumulo di tossine uremiche, che si verifica in corso di questa malattia.

26
Le ultime 4 righe sono state integrate dalla sbobina dell’anno precedente.
27
I possibili outcome negativi della malattia renale cronica sono stati integrati e tradotti dalla slide.

91
Diete proteiche più aggressive, se associate ad adeguata supplementazione con aminoacidi essenziali o
chetoanaloghi possono avere un ruolo nel ritardare l’ingresso in dialisi.
Monitoraggio introito proteico: urea urinaria (g/die) x 3 = proteine introdotte (g/die)28.

La tabella a fianco mostra quello che


sostanzialmente si cerca di fare in termini di introito
proteico, nei pazienti con malattia renale cronica.
Mentre fino allo stadio IIIa si utilizzano diete
normoproteiche, dallo stadio IIIb in poi si mettono
in atto delle diete che possono essere
progressivamente ipoproteiche con l'obiettivo di
controllare i sintomi dell'uremia.

Very Low Protein Diet


Nelle forme più estreme (stadio V), si ha un’opzione conservativa della gestione della malattia renale cronica
che è la very low protein diet, a bassissimo contenuto proteico. Si tratta di una dieta vegetariana molto
precisa, basata su prodotti aproteici, frutta e verdura fresca associata ad integrazione di aminoacidi
essenziali e chetoanaloghi.
I chetoanaloghi sono dei gruppi aminoacidici privi del gruppo ammonio che a livello epatico subiscono una
transaminazione con l'ammonio circolante, ottenendo aminoacidi. Quindi questi chetoanaloghi somministrati
al paziente vengono convertiti a livello epatico, in modo da prevenire la malnutrizione dei pazienti, e allo
stesso tempo rimuovendo dei gruppi ammonio e quindi prodotti ureici circolanti.
La very low protein diet è un’opzione di gestione conservativa che si può utilizzare nelle fasi più avanzate
della malattia renale cronica, con l'obiettivo di risparmiare o comunque ritardare l'avvio della dialisi nel
paziente.

Consigli dietetici nei pazienti con CKD


Le due slide riportate indicano i consigli dietetici per i
malati di CKD dallo stadio IIIb in poi: contenuto
proteico controllato, contenuto calorico controllato e
contenuto di sodio controllato.
E’ comunque presente il supporto di un dietista che
fornisce al paziente delle indicazioni precise che
devono anche essere volte a evitare la malnutrizione.

Molta attenzione viene posta su potassio e fosforo.


Il trattamento per questa condizione prevede di mantenere basso l’apporto di fosforo con una dieta
ipofosforica per evitare la malattia ossea e il contenuto di calcio, il quale non deve superare i 2 g al giorno29.
Al paziente verrà quindi richiesto di limitare l’assunzione di latte, latticini, formaggi, affettati con polifosfati e
bibite gasate.
Nei malati bisogna tener monitorato il potassio e qualora i sui valori tendessero ad essere elevati, si dovrà
istruire il paziente a intraprendere una dieta ipopotassiemica privilegiando la verdura cotta a quella cruda,
evitando frutta secca, banane, albicocche. E’ anche importante capire se il paziente malato assume
integratori o sostanze come il “sale della farmacia”, cosa che avviene spesso anche su consiglio di
personale sanitario non completamente consapevole delle conseguenze correlate. Il “sale della farmacia”

28
L’ultima riga è stata integrata dalla slide.
29
Integrazione con le sbobine dell’anno passato.

92
può essere pericoloso per l’apporto ionico, ed è un sale che piuttosto che contenere cloruro di sodio contiene
come catione il cloruro di potassio.
Il malato, generalmente, assume questo sale con l'obiettivo di ridurre l'esposizione al sodio e quindi per
cercare di sviluppare meno ipertensione, ma il risultato netto è l’assunzione di maggior potassio e quindi il
rischio di sviluppare iperpotassiemia30.

Domanda: Da casa non si è sentita.


Risposta: Dobbiamo adattarci al paziente. Nelle fasi iniziali l'introito di liquidi è strettamente correlato
all'introito di sodio, quindi se noi siamo bravi a insegnare al paziente a seguire una dieta iposodica, avrà
meno sete e berrà meno acqua. In linea di massima ci basiamo sugli edemi: nel momento in cui il malato nel
corso del progredire della CKD sviluppa edemi, questi tendono a peggiorare e c'è ipertensione, il primo step
è chiedere al malato di ridurre l'introito di sale e acqua. Si cerca quindi di installare una progressiva
restrizione idrica. Quando questo non è più sufficiente o quando il malato non è più in grado di sostenere
psicologicamente una restrizione idrica, a quel punto si interviene con i diuretici.

TERAPIA SOSTITUTIVA DELLA FUNZIONE RENALE


Nel momento in cui il paziente arriva allo stadio 5 di malattia renale cronica, lo stadio più avanzato in cui i
reni hanno smesso di funzionare, si devono mettere in atto delle metodiche per sostituire la funzione renale
al fine di evitare l’accumulo di tossine uremiche e l’accumulo idrosalino.

OBIETTIVI DELLA TERAPIA SOSTITUTIVA DELLA FUNZIONE RENALE


Gli obiettivi della terapia sostitutiva sono:
● rimuovere le tossine uremiche
● rimuovere l'accumulo idrosalino
● controllare l'equilibrio elettrolitico
● controllare l'acidosi metabolica
Si cerca quindi di gestire le complicanze che abbiamo visto manifestarsi nel paziente con CKD.

In caso sia necessario sostituire la funzione renale vi sono 3 principali opzioni:


● emodialisi
● dialisi peritoneale
● trapianto di rene
Facendo riferimento all’ultima parte dell’argomento precedente, la terapia very low protein diet è una
modalità con cui si può gestire i malati con malattia renale cronica al 5 stadio, che riduce i sintomi del malato
ma che non sostituisce la funzione renale.
Le tre metodiche elencate, invece, sostituiscono la funzione renale.
NB: Un primo concetto importante è che per effettuarle nel miglior modo possibile è necessario un “percorso
di accompagnamento” del paziente ed una “preparazione”. Il paziente deve essere indirizzato ad ambulatori
specifici e monitorato in modo stretto.
Tra tutte queste l’emodialisi è l’unica condizione che può essere effettuata anche in urgenza sfruttando un
accesso vascolare estemporaneo, tutti gli altri richiedono una preparazione importante. Anche per la dialisi
peritoneale si stanno iniziando a mettere in atto delle procedure sempre più rapide, infatti prima si
posizionava il catetere peritoneale e successivamente si doveva aspettare almeno circa un mese prima di
utilizzarlo31.

30
Il professore fa notare che l’assunzione del “sale della farmacia” va attivamente ricercata nei pazienti, perché spesso
non lo segnalano al dottore.
31
Le ultime 5 righe sono state integrate con le sbobine dell’anno passato.

93
EMODIALISI
Questo approccio idealmente dovrebbe essere efficace nella rimozione di molecole che si accumulano
nell’organismo del paziente in corso di malattia renale cronica:
● molecole a basso peso molecolare: es. urea, creatinina (PM 60, 113 Da).
● molecole a medio peso molecolare: es. Beta2 microglobulina (PM 11818 Da).

L’emodialisi è indicata in malati con:


● MRC stadio 5
● sintomi uremici
● MRA32
Sono stati fatti vari studi e si è visto che un inizio precoce della dialisi come opzione di sostituzione della
funzione renale NON migliora la prognosi del paziente, quindi questo va trattato quando ha un’insufficienza
renale allo stadio 5, con i primi sintomi sfumati33.

Queste in immagine sono delle macchine piuttosto obsolete34,


ma servono solo per spiegare com’è fatta la macchina di
dialisi.
L’operatore si interfaccia con uno schermo su cui mette in atto
una serie di regolazioni.
Ci sono poi dei sensori e delle pompe.
Il cuore della macchina è il filtro, all'interno del quale
avvengono gli scambi tra il sangue del paziente e il liquido di
dialisi.

Il filtro per emodialisi35


Il filtro è la struttura chiave di funzionamento dell'emodialisi, tutto il resto
della macchina ha come obiettivo quello di garantire un funzionamento
adeguato del filtro stesso. Il filtro è costituito da: una sezione in cui entra il
sangue del paziente, una da cui esce il sangue depurato, una in cui entra il
liquido di dialisi e un’altra sezione da cui esce il liquido di dialisi carico delle
tossine.
Strutturalmente è composto da fibre cave all’interno delle quali scorre il
sangue e all’esterno delle quali scorre la soluzione dializzante. All’interno di
un filtro vi sono circa 12000 capillari.
Nel filtro il sangue e il liquido di dialisi scorrono controcorrente, perché il
meccanismo base dell’emodialisi è la diffusione cioè il passaggio passivo di
sostanze da un compartimento in cui sono più concentrate, al compartimento
in cui sono meno concentrate.
Quindi il liquido e il sangue scorrono in due direzioni diverse e in
compartimenti separati da una membrana semipermeabile. Esistono membrane cellulosiche e sintetiche36.

La membrana è altamente permeabile a molecole a basso peso molecolare (urea, creatinina e tossine
uremiche), un pò meno permeabile a medio-molecole che con certe tecniche dialitiche non vengono rimosse
in modo adeguato e tendono ad accumularsi.
Il fatto che il sangue e il liquido di dialisi scorrano controcorrente rende massimo il gradiente di
concentrazione in qualsiasi punto del filtro tra i due compartimenti.

32
Nell’elenco viene aggiunto anche il paziente con Malattia Renale Acuta, informazione integrata dalle sbobine dell’anno
precedente.
33
Frase integrata dalle sbobine dell’anno precedente.
34
Durante il tirocinio vedremo macchinari più moderni.
35
Paragrafo integrato con le frasi non dette ma presenti nella slide.
36
Le membrane semisintetiche sono le più compatibili e possono essere a basso, medio o alto flusso.

94
Si deduce che se i due compartimenti scorressero nella stessa
direzione non avremmo la massimizzazione del gradiente di diffusione.
Il sangue molto concentrato di tossine uremiche entra quindi nel filtro,
e cede tossine uremiche man mano che attraversa la struttura filtrante.
Quindi il sangue avrà un’alta concentrazione di tossine uremiche al
suo ingresso e più bassa all’uscita.
Al contrario, il liquido di dialisi è privo di tossine uremiche al suo
ingresso nel filtro e tenderà ad accumularle nel corso del tempo.

Meccanismi della dialisi


I meccanismi fisici su cui si basa l’emodialisi sono 4:
1. Diffusione: è il meccanismo fisico principale dell’emodialisi. Si tratta di
un passaggio passivo delle molecole da zona a maggior
concentrazione, a zona a minor concentrazione (il moto in realtà è
casuale). La formula per la diffusione è visibile a fianco:
La diffusione dipende dalla diffusività del soluto (D)37, temperatura (T)38
e dalla superficie di membrana (A)39. La diffusione è poi funzione del
gradiente di concentrazione (dc) e dello spessore della membrana (dx).
Si può quindi affermare che più il liquido è diffusibile, più la sua temperatura è elevata, più la superficie è
alta, più il gradiente di concentrazione è alto, più la sostanza passerà la membrana; Al contrario più la
membrana è spessa, meno la sostanza passerà.
Il gradiente di diffusibilità tende a diminuire con l’aumentare del PM del soluto, quindi sostanze come gli
elettroliti passeranno molto agevolmente e altre sostanze di peso molecolare medio-alto diffonderanno
meno facilmente.

2. Ultrafiltrazione: trasferimento di un fluido attraverso una


membrana semipermeabile per applicazione di un gradiente
pressorio fra due comparti separati da una membrana. Più
precisamente, nel liquido di dialisi viene applicato un gradiente
pressorio negativo che fa trascinare acqua dal sangue verso il
liquido stesso. Il paziente viene così disidratato. Ciò è utile perchè
molto spesso il paziente in emodialisi è anurico40, ed è quindi
necessaria una rimozione netta di liquidi poiché tra una dialisi e
l’altra ha un incremento ponderale. Durante una seduta di dialisi si può arrivare a rimuovere dai 2 ai 4 kg
in tre o quattro ore41.
La formula per l’ultrafiltrazione è visibile a lato.
L’ultrafiltrazione è funzione del coefficiente di permeabilità idraulica della membrana (Kf) e della TMP che
a sua volta è funzione della pressione idrostatica del sangue (Pb), della pressione idrostatica del
dializzato (Pd) e della pressione oncotica del sangue (Π).

3. Convezione: trascinamento di molecole che richiede spostamento di fluidi. E’ strettamente correlato


all’ultrafiltrazione. Il passaggio di acqua dal compartimento plasmatico a quello del liquido di dialisi
attraverso l’applicazione di una pressione negativa nel compartimento dialitico, trascina con sè alcune
molecole e questo contribuisce alla rimozione di tossine uremiche e sostanze che si accumulano nel
sangue del paziente. In particolare, il meccanismo di convezione consente la rimozione di tossine con
dimensioni maggiori (β2- microglobulina)42. La formula per la convezione è la stessa dell’ultrafiltrazione:

37
Quindi dalle dimensioni.
38
Cioè dal grado di agitazione della molecola.
39
Più la membrana è ampia più efficace sarà la diffusione.
40
Produzione di urine inferiore a 100 ml al giorno.
41
Ultima frase integrata dalle sbobine dell’anno passato.
42
Integrazione con le sbobine dell’anno passato.

95
Per quanto riguarda, invece, il flusso convettivo del soluto:

Il flusso convettivo dipende dalla quota di fluido filtrato nell’unità di tempo (Qf), dalla concentrazione del
soluto nell’acqua plasmatica (Cb) e dalle caratteristiche di “setacciamento” della membrana (S) nei
confronti di quel soluto, ovvero quanto la membrana riesce a far passare la sostanza. Queste
caratteristiche di setacciamento dipendono a loro volta dalla concentrazione del soluto nell’ultrafiltrato
(Cuf) e dalla concentrazione del soluto nell’acqua plasmatica o nel sangue (Cb).

4. Adsorbimento43: i soluti sono assorbiti dai materiali che compongono la membrana dializzante. In questo
caso le molecole presenti nel sangue NON vengono filtrate e quindi NON passano dal filtro al liquido di
dialisi, ma rimangono intrappolate nella membrana. L’adsorbimento è un meccanismo di depurazione
ottenuto utilizzando filtri particolari molto costosi44. I meccanismi che regolano l’adsorbimento sono45:
● Forze di Van der Waals (attrazione generata dall’interazione fra gli elettroni di una molecola e il
nucleo di un’altra)
● Legami ionici (attrazione elettrostatica generata tra ioni con cariche opposte)
● Legami idrofobici (attrazione forte e duratura generata dall’affinità idrofobica di due molecole

Alla pagina seguente vengono riportate due immagini del filtro per la dialisi.
La figura a sinistra mostra come funziona la diffusione, le molecole a basso PM riescono a diffondere
attraverso la membrana semipermeabile dal compartimento in cui sono più concentrate (sangue) a quello in
cui sono meno concentrate (liquido di dialisi) venendo efficacemente rimosse dal sangue del paziente.
Questo è il meccanismo con cui avviene la maggior quota di depurazione attraverso l’emodialisi. Tuttavia,
non consente un’efficace rimozione di altre molecole con peso molecolare intermedio come la
β2-microglobulina46, cioè molecole importanti nella patogenesi delle complicanze dell’uremia47.
La figura a destra, invece, mostra il meccanismo di convezione, che si basa su un gradiente di pressione tra
i due compartimenti (pressione negativa nel compartimento del liquido di dialisi, positiva nel compartimento
del sangue). Il gradiente trascina da un compartimento all’altro, insieme all’acqua, anche medio-molecole
cioè molecole che non vengono rimosse efficacemente dalla diffusione.
La convezione garantisce una migliore depurazione del sangue.

43
Meccanismo di dialisi non utilizzato routinariamente.
44
Integrazione dalle sbobine dell’anno passato: “usati ad esempio per la rimozione delle catene leggere nei malati di
mieloma multiplo per ridurre il carico di catene leggere e il rischio di sviluppo di cast neprhopaty (rene da mieloma)”.
45
Concetto preso dalle slide.
46
Che se si accumula può causare amiloidosi.
47
Le ultime 3 righe sono state integrate dalle sbobine dell’anno passato.

96
Durante la diffusione, all’interno del filtro i diversi
elettroliti si equilibrano48: alcuni soluti passeranno dal
sangue al liquido di dialisi, altri passeranno dal liquido di
dialisi al sangue del paziente. Questo perché si va a
modificare la composizione del bagno di dialisi, con una
certa variabilità da paziente a paziente, e in questo modo
verranno influenzati i tipi di scambi che il malato avrà nel
corso della seduta dialitica. Ad esempio il potassio si
sposta verso il liquido di dialisi, il calcio e il bicarbonato
spesso diffondono muovendosi verso il sangue del
paziente, mentre creatinina e urea e altre tossine uremiche vengono rimosse dal sangue attraverso la
diffusione.

L’immagine a destra non è stata commentata dal professore. Essa mostra il


trasporto convettivo dei soluti.

Rappresentazione schematica dell’emodialisi


La seguente immagine è una rappresentazione
schematica della macchina di dialisi.
La parte importante è quella cerchiata in rosso cioè il
circuito ematico, la parte esterna della macchina.
Il sangue viene prelevato49 dal paziente e
successivamente viene eparinizzato per evitare che
coaguli nel circuito di dialisi.
I rischi sono:
● Formazione di microcoaguli all'interno della
membrana. Ciò impatterebbe negativamente sull’efficienza del processo.
● Formazione di macrocoaguli. In questo caso il circuito si bloccherebbe e potrebbe portare anche ad una
perdita significativa di sangue con anemizzazione del paziente.

48
Integrazione con le sbobine dell’anno passato.
49
I modi in cui il sangue può essere prelevato dal paziente verrà spiegato nella prossima lezione.

97
Il sangue passa poi all’interno della pompa sangue
che, generando inizialmente una pressione positiva e
poi una pressione negativa, aspira e fa progredire il
sangue nel circuito verso il filtro50.
Una volta depurato, il sangue ritorna al paziente
attraversando un sensore di aria51 per prevenire
l’embolia gassosa nel malato.

Tutto il resto, il circuito del liquido di dialisi, è


finalizzato a far funzionare in modo sicuro il
circuito ematico ed è rappresentato da sensori,
pompe, regolatori della funzione della macchina e del
liquido di dialisi che controllano conducibilità,
temperatura ed altre variabili52.
Più precisamente è presente un sistema di
acquisizione di acqua53; all’interno della macchina
l’acqua viene mescolata con delle sacche acide54 e
con delle cartucce di bicarbonato55. L’acqua poi si interfaccia con dei sistemi di conduzione dell’aria56, con
dei sistemi di bilancio del volume57 e con dei sistemi di conduttività58.
Tutto ciò viene svolto dalla macchina di dialisi con l'obiettivo di produrre il liquido di dialisi nel modo più
sicuro possibile dal punto di vista microbiologico, e in modo da ottenere una composizione più in linea
possibile con quello che si vuole ottenere per il paziente.
Il filtro è l’unità più importante, infatti tutto l’apparato è finalizzato a consentire gli scambi a livello del filtro.

Tecniche di dialisi59
Le tecniche di dialisi che sfruttano i meccanismi fisici spiegati precedentemente sono 3:
1. Emodialisi: Sfrutta come meccanismo di
depurazione esclusivamente la diffusione.
E’ la tecnica base, utilizzata ancora
abbondantemente, è la più economica ma
qualitativamente meno efficiente in termini di
clearance delle medio-molecole poiché
rimuove solo le molecole con basso PM. Per
questo motivo è una tecnica che di solito viene
riservata ai pazienti con aspettativa di vita un
pò più breve, nel tentativo di razionalizzare il
rapporto costo/beneficio.
Viene applicata una minima pressione
negativa a livello del liquido di dialisi per
consentire l’ultrafiltrazione del sangue e per
consentire la rimozione dell’acqua in eccesso.
Come conseguenza si ha calo ponderale del paziente60.
Freccia rossa: area del filtro in cui entra il sangue del paziente.
Freccia blu: area da cui esce il sangue depurato e che torna al paziente.

50
Indicato nell’immagine con “membrane unit”.
51
Indicato nell’immagine con “air embolus detector”.
52
Integrazione delle sbobine dell’anno passato.
53
Indicato nell’immagine con “water”.
54
Indicato nell’immagine con “acidified concentrate”.
55
Indicato nell’immagine con “bicarbonate concentrate”.
56
Indicato nell’immagine con “deaerator”.
57
Indicato nell’immagine con “volume balance system”
58
Indicato nell’immagine con “conductivity monitor”
59
Paragrafo integrato con le sbobine dell’anno passato.
60
Da 1 fino a 3 kg.

98
Freccia verde: area in cui entra il liquido di dialisi.
Freccia gialla: area da cui esce il liquido ricco di molecole tossiche che ha raccolto dal sangue.

2. Emofiltrazione: è una tecnica non utilizzata


routinariamente.
I soluti vengono rimossi esclusivamente per
convezione e non c’è diffusione. Non
essendoci diffusione, è molto efficiente nella
rimozione di medio-molecole, meno sulle
piccole molecole. Vengono utilizzati particolari
filtri in cui non è presente liquido di dialisi, è
invece presente semplicemente una pressione
negativa nella sezione del liquido della dialisi. Il
sangue del paziente, in questo modo, viene
sottoposto a una pressione transmembrana
significativa per rimuovere i liquidi in eccesso e
le molecole a medio PM attraverso il principio
della convezione61. Questa tecnica si avvale di
un rimpiazzo di liquidi prima e dopo il filtro (freccia arancione62), pre e post diluizione, per evitare che il
paziente vada incontro a una rimozione eccessiva di liquidi.

3. Emodiafiltrazione: I soluti vengono


rimossi per diffusione e convezione,
quindi si combina l'emodialisi, con
diffusione e una minima parte di
ultrafiltrazione, con l’emofiltrazione,
caratterizzata da diluizione prima e dopo
il filtro. Per questa ragione è la tecnica
utilizzata più frequentemente o
comunque viene riservata ai malati con
una prognosi migliore perchè è il
meccanismo più efficiente tra i tre.
Nel filtro scorrono sangue del paziente e
liquido di dialisi, applicando una
pressione di ultrafiltrazione molto elevata
per consentire anche la rimozione di molecole col meccanismo di convezione, di trascinamento.
Con l’emodiafiltrazione vengono filtrati e rimossi dal malato anche 10-15-20 litri in una seduta e ciò
implica la necessità di attuare la reinfusione fatta con liquido puro di infusione pre filtro o post filtro63 o
entrambi, sempre ottenendo un bilancio negativo ma non eccessivo.
Infatti, come vedremo successivamente quando parleremo degli aspetti clinici, l'obiettivo è quello di
garantire al paziente un bilancio negativo al termine della seduta di dialisi, quindi la reinfusione
deve essere minore rispetto alla rimozione totale, ma chiaramente deve essere presente. Se il paziente
non venisse reinfuso avrebbe conseguenze drammatiche. Il risultato dell’emodiafiltrazione è una
depurazione migliore del sangue perché si aumenta il volume del flusso di depurazione.

61
Da questo punto in poi è stata riportata la spiegazione dalle sbobine dell’anno passato, in quanto il professore è stato
confusionario nello spiegare. Si riporta comunque quanto detto a lezione: Tutto ciò che viene rimosso dal sangue, esce
dal filtro per trascinamento attraverso l’ultrafiltrazione del sangue. Il sangue viene ultrafiltrato per trascinamento, per
convezione. In questo modo vengono rimosse con maggiore efficienza le molecole medie.
62
La figura mostra infatti la diluizione post filtro, quella pre filtro lì non è apparentemente rappresentata.
63
Anche in questa immagine viene mostrata solo la reinfusione post filtro, ma può esser fatta anche pre filtro.

99
Per riassumere, queste a fianco sono le caratteristiche
delle varie tecniche dialitiche che si hanno a
disposizione:
● L’emodialisi bicarbonato normale (HD low Flux in blu)
usa molto la diffusione, pochissimo la convezione; è
molto efficace nel rimuovere le piccole64 molecole,
poco le medio-molecole.
● L’emodialisi bicarbonato ad alto flusso (HD High Flux
in azzurro).
● L’emodiafiltrazione (HDF).
● L’emofiltrazione (HF).
Guardando la barra centrale viola, si nota che proseguendo da sinistra verso destra queste tecniche sono
progressivamente meno efficaci nella diffusione quindi meno efficienti nella rimozione di piccole molecole, e
invece maggiormente efficaci nel rimuovere le medio-molecole facendo riferimento alla convezione.

Effetto flusso sangue sulla depurazione


L'efficienza dialitica dipende dalla diffusione per le piccole molecole che
sono le più facili da rimuovere, e dalla convezione per le medie molecole
che sono le più difficili da rimuovere. Il flusso sangue è funzione della
depurazione/clearance di una sostanza dal sangue.
Di solito il flusso sangue richiesto ideale è di almeno 300 ml/min, per
ottenere una depurazione il più efficace possibile.
In figura65 si vede che sopra i 300 ml/min si ha un plateau nella maggior
parte delle sostanze testate.
Sotto i 300 ml/min l’effetto di clearance si riduce significativamente.
Questo è un concetto importante perché come vedremo successivamente,
per ottenere un flusso sangue ideale dovranno essere utilizzati nel paziente
degli accessi vascolari dedicati. Il problema principale del malato dializzato è proprio l’accesso vascolare66.
Per utilizzare tecniche ad alta efficacia come per esempio l’emodiafiltrazione è richiesto invece un flusso
sangue di 350-400 ml/min, e questo chiaramente non può essere ottenuto da una vena periferica.

Composizione del bagno di dialisi


Il bagno di dialisi deve essere sicuro dal punto di vista microbiologico
altrimenti i pazienti andrebbero incontro a delle gravi sepsi. Per prevenire
ciò il liquido viene controllato attentamente.
Il bagno di dialisi deve essere il più “fisiologico” possibile, considerando la
natura intermittente del trattamento e quindi il rischio di variazione della
concentrazione di sostanze nel periodo interdialitico.
Contiene sodio, cloro, calcio, acetato, potassio, bicarbonato,
magnesio e zucchero67. Il risultato finale è un liquido di dialisi con una
composizione tale per cui si crea un gradiente di diffusione tra il sangue del
paziente e il liquido stesso, in modo da rimuovere specifiche sostanze e
darne al paziente delle altre.
Alcuni di questi parametri possono essere modificati, come la
concentrazione di sodio: per i pazienti che tendono ad avere ipotensione68 durante le sedute dialitiche, si
possono utilizzare liquidi di dialisi a contenuto di sodio maggiore, o addirittura è possibile impostare dei
“profili” del sodio. Si inizia con un liquido di dialisi a basso contenuto di sodio, e man mano che la seduta

64
Il prof dice “medio-molecole” ma sulla base della sua spiegazione nel corso della lezione penso intendesse le piccole
molecole.
65
Integrazione con la sbobina dell’anno precedente.
66
Nella complessità della gestione del paziente dializzato il 60-70% della responsabilità va all’accesso vascolare.
67
Destrosio.
68
Complicanza più frequente.

100
progredisce si alza la concentrazione di questo minerale per prevenire l'ipotensione che di solito avviene
nelle fasi più tardive della seduta.

Per quanto riguarda il potassio, è importante che la sua concentrazione nel liquido venga adattata al singolo
paziente. La potassiemia del malato necessita monitoraggi periodici69 quindi si misura il potassio pre dialitico,
pre intervallo lungo70, e successivamente si regola il potassio in base al valore medio: ad esempio se il
paziente ha 4 meq/l di potassio medio, il liquido di dialisi potrà avere una concentrazione di 3 mEq/l, oppure
se il paziente ha in media 6,5 mEq/l si utilizzerà un liquido con una concentrazione di potassio di 2 mEq/l per
abbassare la potassiemia71. Il monitoraggio deve essere anche svolto in caso di eventi acuti: se72 il paziente
accusa diarrea o vomito da due giorni si dovranno controllare i livelli di potassio perchè nel caso accusasse
ipopotassiemia per via della diarrea (ad es. [K+] = 3 mEq/l) e venisse utilizzato un bagno di dialisi con una
concentrazione di potassio di 2 mEq/l, si provocherebbe un peggioramento della situazione. In questo caso il
paziente potrebbe sviluppare durante la seduta dialitica un’aritmia, e al fine di evitare ciò il liquido di dialisi
dovrà essere modificato per quello specifico paziente. Concentrazioni di potassio non adeguate nel liquido di
dialisi possono portare ad aritmie anche potenzialmente fatali.

Un’altro aspetto da considerare è che i pazienti con CKD presentano acidosi metabolica, quindi iniziano la
seduta di dialisi con valori di bicarbonato tendenzialmente bassi, che poi vengono forniti dalla macchina.
Infine, è importante adeguare la temperatura del bagno di dialisi ai valori di temperatura esterna ed al rischio
di ipotensione nel malato. I pazienti non gradiscono e soffrono molto del fatto che gli viene restituito del
sangue purificato a temperature molto basse, ma è una cosa che a volte si è costretti a fare perchè anche in
questo caso una delle complicanze più frequenti è l’ipotensione e uno dei meccanismi per ridurre il rischio è
abbassare la temperatura del liquido di dialisi. Così facendo, si causa vasocostrizione nel paziente.

La prossima lezione inizierà con la trattazione degli accessi vascolari, fattori chiave per l'effettuazione di una
seduta dialitica adeguata.

69
Se il paziente è stabile il potassio viene solitamente misurato una volta alla settimana/una volta al mese, dipende dal
paziente.
70
Ne vedremo successivamente il significato.
71
Il potassio nel malato con insufficienza renale cronica tende ad accumularsi.
72
Integrazione con la sbobina dell’anno precedente da questo punto fino alla fine della discussione sui valori di potassio.

101
Sbobinatori:166/63
Revisori:63/166
Materia: Nefrologia
Docente: Alberici
Data: 29/03/2023
Lezione: n.5
Argomenti: accessi vascolari, complicanze
dell’emodialisi ed introduzione alla dialisi peritoneale

Integrazione: abbiamo visto che il flusso di sangue all'interno del filtro garantisce la funzione del grado di
depurazione e che la metodica dialitica più efficiente in termini di depurazione, quindi associata a un miglior
controllo dei sintomi uremici, è l'emofiltrazione.

L’ACCESSO VASCOLARE
Per poter eseguire metodiche ad alta efficienza come l'emofiltrazione è necessario un accesso vascolare
adeguato. Il flusso di sangue minimo richiesto per l'esecuzione di una seduta emodialitica è di 300 ml al
minuto; questo chiaramente non può essere ottenuto da una vena periferica normale, come quella utilizzata
per eseguire prelievi, quindi dobbiamo utilizzare degli accessi ad hoc e l'accesso vascolare spesso è un
problema importante per i nostri malati.
Possiamo riconoscere due tipi di accessi vascolari:
Catetere venoso centrale (CVC), il più spesso utilizzato in regime d'urgenza; in questo contesto si può
posizionare un catetere temporaneo che garantisce un accesso immediato, rapido, sicuro nel breve
termine; esso tuttavia si associa, in breve termine, a un rischio infettivo elevato, essendo l'emergenza
del catetere molto vicina al punto in cui il carattere penetra nel vaso (parliamo di pochi centimetri), e,
nel lungo termine, ad un rischio importante di malfunzionamento .
Viene solitamente posizionato nella vena giugulare o in vena femorale.
Per approcci dialitici a lungo termine, laddove è necessario utilizzare il catetere venoso centrale, si
predilige il posizionamento di CVC tunnellizzati, posizionati sempre in giugulare interna e molto
raramente in arteria femorale.
Attraverso un piccolo intervento chirurgico, effettuato dal nefrologo, esso viene fatto decorrere
sottocute, per cui il catetere emergerà di solito nella regione
pettorale: quindi il punto in cui il catetere emerge dalla cute è
distante parecchi centimetri dal punto di penetrazione nel
vaso e questo garantisce una sicurezza maggiore dal punto
di vista del rischio infettivo.
Vedete un esempio di CV tunnellizzato che, nella porzione
destinata a decorrere sottocute, presenta una cuffia di
dacron che stimola una reazione infiammatoria, e quindi
fibrotica a livello del tessuto sottocutaneo, che consente di
ancorare il catetere al sottocute stesso.
Fistole artero-venose: un cortocircuito sostanzialmente tra una vena, solitamente la cefalica, e
un'arteria, solitamente la radiale, o, qualora sia necessario muoversi in direzione prossimale, la
brachiale.
Questo cortocircuito crea il passaggio di sangue arterioso, quindi ad alto flusso e ad alta pressione, nel
circuito venoso, che ha bassa resistenza, è superficiale e facilmente aggredibile. Sarebbe impossibile
effettuare ad ogni seduta dialitica una puntura delle arterie radiali o brachiali, risulta invece più facile
intervenire su vene arterizzate .
Questa fistola richiede 6-8 settimane prima di poter essere utilizzata; in questo lasso di tempo, la vena
va incontro a un'arterizzazione, cioè prima si dilata, poi subisce modificazioni di composizione
dell'endotelio di parete. Il risultato sarà una vena con un flusso arterioso superficiale e facilmente
fruibile.
In immagine si può apprezzare un esempio
dell'albero vascolare; la vena cefalica viene
anastomizzata con l’arteria radiale o brachiale,
permettendo alla vena di restituire sangue ad
alto flusso al circuito venoso che, essendo
superficiale, dunque facilmente aggredibile,
risulterà più agevole per effettuare la puntura
con degli aghi dedicati.
Si cerca di utilizzare aghi distanziati per
evitare il fenomeno del ricircolo, cioè il fatto di

102
andare a depurare sempre lo stesso sangue con l’ago arterioso, quello quindi che preleva sangue
orientato verso il basso, e il venoso, che restituisce sangue depurato al paziente, con orientamento
verso l'alto.
Laddove una fistola nativa, quindi eseguita su vasi nativi, non fosse possibile, può essere necessario
confezionare un accesso con una protesi che colleghi arteria e vena.
È intuitivo che questo metodo costituisce una modalità più a
rischio rispetto a una fistola nativa poiché si procede
impiantando al paziente un materiale protesico, che, per quanto
possa essere biocompatibile, non lo sarà mai tanto quanto un
vaso nativo; quindi questi sono degli accorgimenti a rischio
infettivo maggiore (oltre, ovviamente a richiedere un impegno
chirurgico più significativo), motivo per cui utilizzati solo come
extrema ratio.
Vengono riportati alcuni esempi di fistole arterovenose:
Termino-terminale: l'arteria viene abboccata all'altra, senza
che vi siano collaterali;
Latero-terminale: l'arteria radiale/brachiale mantiene il suo
decorso e si abbocca alla vena cefalica
Latero-laterale o latero laterale terminale

Una fistola di vecchia data si riconosce perché ben sviluppata, come visibile a
latere.
Si cerca di modificare i punti di bucatura nel tempo perché la vena va incontro a
dei processi infiammatori e fibrotici, con il rischio di sviluppare dilatazioni
aneurismatiche o stenosi della fistola che porteranno ad un aumento della
pressione al suo interno o ad un malfunzionamento della medesima con riduzione
dei flussi e quindi a una necessità di reintervento.

ASPETTI CLINICI DELLA SEDUTA DIALITICA


Durante le prime sedute dialitiche, si cerca di effettuare delle dialisi a bassa efficienza, soprattutto nei malati
con un carico di tossine uremiche molto elevato; infatti non abbiamo un biomarcatore affidabile al 100% della
espressione del carico di queste, ragione per cui ci si affida in modo empirico alla azotemia (urea).
In pazienti con un'urea molto elevata, quindi, le prime dialisi sono a bassa efficienza, perché qualora fossero
troppo efficienti potrebbero indurre una sindrome, la sindrome da disequilibrio, che può portare a coma o
addirittura a morte per lo sviluppo di edema cerebrale.
Non è completamente chiaro perché questo avvenga, si ritiene possa dipendere, almeno in parte, da una
clearance dell'urea a bassa efficienza da parte dei neuroni, con sviluppo di un gradiente osmotico rispetto
all’esterno.
Bypassando questa prima dinamica, la tipica prescrizione dialitica è quella di tre sedute settimanali da
quattro ore ciascuna, con un impatto molto importante sui pazienti, soprattutto non autonomi, che richiedono
l’organizzazione di un trasporto ad hoc e talvolta rimangono impegnati per 4-5 ore al giorno.
In soggetti con una diuresi residua o con una funzione renale residua, il numero di sedute emodialitiche può
essere, per una prima fase transitoria, limitata a due sedute di 3-3,5 ore.
La dialisi è effettuata:
in ospedale, soprattutto per i malati con maggiori comorbilità
centri ad assistenza limitata, cioè centri dialisi in cui è presente l'infermiere che attacca il paziente,
gestisce la macchina, ma non è sempre presente il medico; dunque ambienti destinati a pazienti in
buone condizioni, solitamente giovani
(raramente in Italia) dialisi domiciliare, in cui il malato in autonomia, o con il supporto di un care-giver,
effettua all'emodialisi a domicilio
Esistono molteplici modalità per valutare se la dialisi sia adeguata, quindi efficiente nel limitare in maniera
opportuna il carico di tossine uremiche.
L’adeguatezza dialitica può essere stimata tramite:
KT/B: la clearance dell'urea (K) si ottiene attraverso misurazione dell'urea a livello del sangue e del
liquido di dialisi; il concetto è lo stesso della creatinina solo che invece di calcolare la concentrazione
nel sangue e nelle urine, la calcoliamo nel sangue e nel liquido di dialisi. Quindi la clearance dell’urea,
moltiplicata per il tempo della seduta (T), divisa per volume di distribuzione dell'urea(B), restituisce un
numero che ci permette di capire se effettuiamo una depurazione adeguata.
Il valore ideale sarebbe 1,3, ma è sufficiente se superiore ad 1.

103
URR (urea reduction rate), cioè il rapporto tra l’urea pre e post dialisi. Questo metodo risulta più
immediato e richiede di valutare quanta urea viene rimossa durante la seduta dialitica; il valore che ci
aspettiamo è > 70%.
Questo discorso ha lo scopo di fornire un’infarinatura generale, in maniera tale che, a prescindere dalla
nostra specializzazione, qualora si presentasse alla nostra attenzione un paziente con un valore di urea
molto elevato, superiore ai 200,300,350, ci dobbiamo accorgere che il paziente probabilmente non è
dializzato in modo adeguato ed è necessario contattare il collega nefrologo.

PESO SECCO
Un altro aspetto importante è identificare il peso secco, quindi il peso di stacco a fine dialisi; è il valore in cui
il paziente dovrebbe essere “eu- volemico”.
Per valutare il peso secco, bisogna basarsi
Dati clinici (la presenza di segni di turgore giugulare, la ricerca di edemi, l'esame obiettivo che deve
valutare anche i campi polmonari, quindi la presenza di versamento pleurico, comunque la semiotica da
versamento pleurico e da stasi polmonare che, qualora presenti, indicano una ritenzione idrosalina)
dati anamnestici, quindi il fatto che il paziente riferisca ortopnea, dispnea da sforzo, dispnea
parossistica notturna, sono chiaramente indici che il paziente è in sovraccarico
esami strumentali: ecocardiografia, turgore venoso, talvolta bioimpedenza.
Nonostante tutti questi tentativi, spesso l'identificazione è empirica; ad esempio, poiché stiamo trattando un
paziente con una pressione arteriosa elevata, tentiamo una continua riduzione del peso fino a un peso
secco in corrispondenza del quale questi manifesta sintomi di disidratazione, indicativi del fatto che
l'abbiamo disidratato abbastanza. Questi sintomi sono i crampi e l’ipotensione, la complicanza più frequente
della seduta dialitica.
Il peso secco deve essere valutato periodicamente, non basta mantenere il malato a un valore di peso
costante perché i malati non urinano e, qualora, ad esempio, vadano incontro a variazioni di massa magra,
massa grassa o periodi di malnutrizione, la perdita di massa magra si associa, in presenza di un peso secco
costante, ad un accumulo d'acqua. Il rischio, a questo punto, è il sovraccarico idrosalino, quindi
ipertensione, dispnea, edema polmonare.

TERAPIA FARMACOLOGICA
La dialisi, chiaramente, non annulla la necessità di utilizzare terapie specifiche, un approccio dietetico
caratteristico, soprattutto
il controllo dell'idratazione: l’incremento ponderale interdialitico, quindi tra le due dialisi, deve essere il
più basso possibile, mediamente 1,5-2 kg. Bisogna considerare che la dialisi viene effettuata tre volte a
settimana, quindi ci sarà un salto lungo, di due giorni: il classico ritmo è lunedì-mercoledì-venerdì o
martedì-giovedì-sabato; quindi dal venerdì al lunedì o dal sabato al martedì passano 48h; bisognerà
educare il malato a non bere eccessivamente, questo perché eccessivi incrementi ponderali potrebbero
causargli una sintomatologia da sovraccarico idrico e quindi lo sviluppo anche di edema polmonare che
richiede la dialisi d'urgenza, ma soprattutto perché, a livello cardiaco, aumenta lo stress da aumento dei
volumi circolanti.
controllo del potassio: bisogna educare il paziente a non esagerare col potassio nella dieta, ed
eventualmente utilizzare farmaci chelanti del potassio, cioè che legano il potassio nell'intestino e ne
riducono l'assorbimento. Possiamo modulare il contenuto di potassio del liquido di dialisi. Soprattutto se
il malato riferisce delle fasi in cui non sta bene, magari si alimenta poco perché ha una virosi, bisognerà
sempre monitorare la potassiemia perché, qualora dializzassimo il paziente con un potassio nel liquido
di dialisi troppo basso e il paziente fosse già ipokaliemico, rischieremmo di causare una ipokaliemia
severa e quindi scatenare aritmie.
controllo dell’acidosi, regolando i bicarbonati nel liquido di dialisi. Non è infrequente somministrare lo
stesso al paziente bicarbonato per os, perché la dialisi ha una natura per definizione intermittente,
quindi i giorni di “non dialisi” possiamo integrare con una terapia per os per ridurre il rischio di acidosi.
controllo dell'ipertensione; spesso comunque dobbiamo ricorrere a dieta iposodica e alla
somministrazione di farmaci antipertensivi
il metabolismo calcio-fosforo, che presenta un impatto importante su vari aspetti, tra cui la salute ossea
e le calcificazioni vascolari. Esso tende ad essere alterato nel malato dializzato e quindi dobbiamo
cercare di utilizzare la dialisi più efficiente possibile per rimuovere il fosforo nel modo più efficace
possibile, senza dimenticare di comunque educare il malato a una dieta ipo-fosforemica, riducendo
latte, latticini, formaggi, bevande gasate e cibi con certi tipi di conservati. Come in corso di malattia
renale cronica, si utilizzano farmaci chelanti del fosforo che ridurranno l'assorbimento del fosforo e poi
farmaci ad azione sul paratormone, per cercare di mantenere il paratormone il più basso possibile.
controllo dell'anemia, l'efficienza dialitica influenza l'anemia
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monitoraggio di una eventuale replezione delle riserve marziali
replezione delle riserve vitaminiche
eritropoietina (EPO) e altre molecole farmacologiche analoghe
controllo dello stato nutrizionale, attraverso il dosaggio di peso, albumina, prealbumina, colesterolo, etc.

COMPLICANZE DELLA SEDUTA DIALITICA


La complicanza più frequente è l'ipotensione, cioè un
abbassamento della pressione; spesso a causa
multifattoriale: il malato potrebbe essere andato
incontro a un calo ponderale eccessivo, magari legato
a un incremento ponderale eccessivo, oppure
possiamo chiamare in causa anche cardiopatie,
anemia etc.
Quando il malato sviluppa ipotensione, spesso questa
viene anticipata da nausea, vomito,
addominalgie/epigastralgia, che il paziente riconosce
ancora prima che la pressione al bracciale si abbassi.
Bisogna subito mettere in atto dei correttivi, quali
posizionare il paziente in Trendelenburg (con le gambe
in alto), sospendere il calo ponderale, quindi ridurre o
sospendere l'ultrafiltrazione, causa principale di disidratazione, e talvolta infondere della fisiologica.
L’importanza di educare il paziente a crescere poco, in termini di peso, tra una dialisi e l'altra si mostra qui
in tutta la sua importanza: più beve e più acqua gli dovremmo togliere, con maggiore rischio di ipotensione.
Quindi, riassumendo, le cause di ipotensione nei malati dializzati:
L’ultrafiltrazione, effettuata durante la dialisi che ha un ruolo fondamentale determinando una riduzione
dei volumi circolanti
una eccessiva depurazione di sodio
una deplezione volemica
fattori autonomici: ad esempio il riflesso vaso-vagale, un inadeguato funzionamento del sistema
nervoso autonomo, visibile nei diabetici che possono sviluppare una neuropatia periferica autonomica,
che contribuirà al rischio di tensione
fattori non legati al sistema nervoso autonomo, quindi ad esempio l'insufficienza cardiaca e fattori vaso
regolatori che possono determinare una veno dilatazione, come certi tamponi da dialisi quali l'acetato, o
temperature troppo elevate.
Oltre l'ipotensione, altre complicanze piuttosto frequenti della seduta dialitica possono essere le aritmie;
parliamo più frequentemente di tachicardie sopraventricolari, più raramente tachicardie sottoventricolari,
fibrillazione atriale, talvolta fibrillazione ventricolare. Possono essere conseguenza della patologia cardiaca
sottostante o di alterazioni elettrolitiche, ad esempio un malato che sviluppa una ipopotassiemia durante la
dialisi, malati che iniziano la dialisi con valori di potassio molto elevato, e quindi durante la dialisi vanno
incontro a dei gradienti di concentrazione di potassio importanti.
Altre complicazioni sono i crampi muscolari, frequenti quando il malato sta per arrivare al suo peso secco,
e il dolore toracico anginoso, che può essere espressione di cardiopatia ischemica.
Non raramente insorge prurito, spesso fortemente invalidante; se si verifica esclusivamente durante la
seduta emodialitica, può essere espressione di allergia al filtro, che dovrà essere sostituito; se è presente in
modo costante, si parla di prurito uremico, molto difficile da gestire. Si pensa dipenda da una patogenesi
multifattoriale, legata all'accumulo e deposizione di calcio fosforo, a una neuropatia autonomica, alle tossine
uremiche etc. Alcuni pazienti presentano veramente una sintomatologia molto importante nei confronti della
quale si può intervenire con farmaci e strategie terapeutiche, tuttavia non sempre funzionanti.
Ematomi o sanguinamento dell'accesso vascolare vanno sempre ricercati, è intuitivo che, dovendo
procedere alla bucatura della fistola con aghi, il rischio è uno spandimento emorragico esterno alla fistola,
condizione invalidante e fastidiosa per il paziente, ma soprattutto può causare una serie di problemi: può
sovrainfettarsi e quindi causare un'infezione in sede, o, peggio, comprimere la vena, determinando problemi
che spaziano da un semplice malfunzionamento della fistola, transitorio, risolvibile tramite il posizionamento
di un CVC (procedura comunque invasiva) a una trombosi della fistola, e quindi una perdita dell'accesso
venoso. La trombosi si sviluppa perché l'ematoma, comprimendo la fistola, causa una stasi venosa a monte
della compressione.
Altrettanto importante è l'infezione dell'accesso vascolare; questo fenomeno è quasi inesistente nelle fistole
native, a meno che non vi sia uno stravaso e una sovrainfezione dello stravaso, ma può accadere, e
accade, purtroppo molto frequentemente con il cateteri, soprattutto temporanei, ma anche tunnellizzati. È un
grosso problema perché espone il paziente a infezioni sistemiche e sepsi che possono dover richiedere la

105
sostituzione dell'accesso vascolare che, qualora sia un catetere venoso tunnellizzato, necessiterà di una
procedura piuttosto disagevole.
Molto pericolose e molto complicate sono le infezioni delle protesi: quando i pazienti hanno come accesso
vascolare una fistola protesica e questa si infetta, possono sviluppare delle infezioni e sepsi molto importanti
che arrivano a richiedere la demolizione della protesi stessa, intervento chirurgico complicato, oltre al fatto
che se il paziente sta dializzando da una protesi vuol dire che i suoi accessi vascolari di prima linea sono
esauriti.

COMPLICANZE TECNICHE
Esistono anche delle complicanze tecniche, che possono sembrare banali, ma che purtroppo accadono:
la mancanza di energia elettrica, condizione che dovrebbe essere impossibile, essendo la maggior
parte dei centri di dialisi dotati di gruppi di continuità autonomi, ma che purtroppo può accadere per vari
motivi non di nostro interesse al momento. Tale condizione richiede innanzitutto la restituzione del
sangue al paziente attraverso una pompa sangue manuale, cioè l'infermiere gira la rotellina restituendo
il sangue al circolo ematico, e soprattutto bisogna trovare un posto in cui dializzare il malato, essendo
questa terapia salvavita.
Altra complicanza tecnica rara, è l’embolia gassosa, una immissione in circolo di grandi quantità di aria;
esiste nella linea venosa, cioè nella linea in cui sangue rientra dal filtro al paziente, un sensore di aria
che lancia l’allarme e stoppa il circuito qualora percepisse l’entrata di questa in vena. Qualora il sensore
si rompesse, ed entrasse aria nel circolo del paziente in grande quantità, questo potrebbe portare a
dispnea, perdite di coscienza, convulsioni, sintomi ischemici all'estremità; si può riempire il ventricolo
destro causando un’ insufficienza cardiaca acuta. Se si sospetta tale condizione, la dialisi deve essere
sospesa e il paziente essere messo a testa in giù (Trendelenburg), per cercare di bloccare l'aria
all'apice del ventricolo destro.
Un'altra complicanza rara è l'emolisi; i pazienti presentano dolore alla schiena, senso di peso toracico,
dispnea, comparsa di sangue color scuro, vino-porto o Coca Cola nella linea venosa.
Se massiva, l’emolisi può causare iperpotassiemia.
Le cause di emolisi sono alterazioni nelle soluzioni di dialisi, sostanze non adeguatamente purificate,
ipertermia, problemi meccanici del circuito, iperosmolarità della soluzione dializzante. In caso di
sospetto clinico (non esistono sensori per questo) sarà necessario effettuare un'interruzione immediata
della seduta.
La complicanza tecnica più frequente è la coagulazione del circuito. Nella linea arteriosa, cioè nella
linea che porta sangue dal paziente al filtro dialisi, è presente una pompa di eparina, che ha come
obiettivo mantenere il sangue scoagulato; una insufficiente anticoagulazione del circuito, una eccessiva
concentrazione ematica, propria di malati con valori di ematocrito molto alti (cioè con una iper-
correzione dell'anemia) può portare appunto a coagulazione del circuito. Risulta necessario un
monitoraggio della Hb, soprattutto nei pazienti anemici.
Una microcoagulazione, che avviene quindi esclusivamente all'interno del filtro, può non essere
clinicamente rilevante nell'immediato, ma causa una inefficiente seduta dialitica. Qualora la
coagulazione sia macroscopica, cioè “tutto il circuito diventa un coagulo (cit. prof)”, bisogna sostituire il
circuito e il malato può andare incontro ad anemizzazione. Quindi è importante trovare la dose di
anticoagulante giusta, operazione non sempre facile perché questi malati sono molto fragili, poli-
comorbili, talvolta con complicanze emorragiche.

COMPLICANZE CLINICHE A MEDIO E LUNGO TERMINE


Se il malato va incontro ad una dialisi inadeguata, avrà i sintomi dell'uremia, magari solo alcuni, ma di fatto
equivarrà a un malato con malattia renale cronica avanzata uremico; quindi il malato potrebbe essere
anemico,
non adeguatamente responsivo alle terapie,
sviluppare una polineuropatia,
presentare astenia,
mostrare iporessia,
disturbi del sonno,
restless-leg sindrom
L’infiammazione è un’altra complicanza clinica, per quanto le membrane siano simili, non equivalgono i
nostri tessuti, potendo causare uno stato di infiammazione subclinica. Questa si associa a un
aumentato rischio di immunodepressione, di malattie infiammatorie, di malattie degenerative,
aterosclerosi e quindi ritorniamo alle famose complicanze cardiovascolari.
Un'altra complicanza è l'accumulo di tossine a peso molecolare medio-alto; la dialisi tradizionale, la
bicarbonatodialisi, l'emodialisi, che sfrutta come tecnica la diffusione, è abbastanza efficiente nella
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rimozione delle molecole a basso peso molecolare, ma inefficiente nella rimozione di tossine uremiche
a medio-alto peso molecolare. Questa efficienza migliora con l'utilizzo di emodiafiltrazione, metodiche
convettive più avanzate, ma non è perfetta. Nel tempo, le tossine a peso molecolare medio-alto si
possono accumulare, più rapidamente nei pazienti che effettuano emodialisi bicarbonato normale e
invece più lentamente nei pazienti che effettuano emodiafiltrazione. Questo può causare
o amiloidosi sistemica, quindi accumulo di β2-microglobulina e amiloidosi, ad esempio a livello del
tunnel carpale, determinando sindrome del tunnel carpale,
o infezione
o inappetenza
o aggravare la malattia ossea, osteodistrofia
Utilizzare tecniche dialitiche migliori, filtri migliori riduce il rischio di questo, ma non lo annulla.
Procedendo con il discorso delle complicanze cliniche,
citiamo nuovamente le complicanze cardiovascolari. Per
vari motivi già illustrati, quali l'ipertensione, il fatto che i
pazienti vadano incontro ad una rapida e continua
fluttuazione del peso corporeo, l'anemia, le comorbilità al
diabete e quant'altro amplifica il rischio di complicanze
cardiovascolari, quindi
o ipertrofia vincolare sinistra
o scompenso cardiaco
o aterosclerosi accelerate
la mortalità cardiovascolare è molto elevata e rappresenta di solito il motivo dell’exitus.
Altre complicanze a medio-lungo termine sono patologie neurologiche
o polineuropatia periferica, in caso di inadeguata correzione della sindrome uremica
o una encefalopatia uremica, un quadro di deterioramento cognitivo, legato all'insufficienza renale
terminale, allo status di emodializzato
o sviluppo di demenza precoce.

DIALISI PERITONEALE
A differenza della emodialisi, la dialisi peritoneale utilizza come filtro naturale
per la depurazione del sangue una membrana biologica, il peritoneo.
Il peritoneo è una membrana sierosa di origine mesenchimale; si compone di
un foglietto parietale che ricopre le pareti dell'addome e uno viscerale che
ricopre gli organi.
È costituito da un tessuto connettivale, all'interno del quale decorrono i vasi, e
da un mesotelio, cioè l'epitelio che riveste questo tessuto connettivale; delimita
uno spazio virtuale, la cavità peritoneale, che occupa una superficie di 0,7 m²
e, fisiologicamente, non contiene niente, solo una minima quantità di liquido.
Questo è il filtro per effettuare la dialisi peritoneale, al posto di una membrana
sintetica extracorporea.
È possibile accedere al peritoneo attraverso un catetere, che, per funzionare
in modo adeguato, deve terminare nello scavo pelvico, la posizione più declive
dell'addome, sia se il malato è seduto, sia se il malato esteso; esistono infatti
due tecniche dialitiche, una in cui gli scambi vengono effettuati a malato
seduto e uno a soggetto steso.
Viene iniettato in addome un liquido di dialisi che contiene gli elettroliti da somministrare al paziente, come il
bicarbonato, mentre sarà privo di quelli che si intende rimuovere, ad esempio il potassio. Sfruttando la
diffusione, i soluti transitano secondo i gradienti di concentrazione.
Laddove la dialisi peritoneale è meno efficace, quindi
l'ultra-filtrazione, cioè la rimozione di liquidi, (la dialisi
peritoneale, infatti, funziona molto bene finché i malati
hanno una diuresi residua, quando questa si riduce o
si azzera la dialisi peritoneale inizia ad andare in
difficoltà), dobbiamo utilizzare dei liquidi
osmoticamente attivi. L’osmole utilizzata è il glucosio;
esistono sacche a tre concentrazioni di glucosio
possibili, bassa, medio e alta: più è alta la
concentrazione di glucosio, più liquido riusciamo a
ultrafiltrare.
Esiste un altro polimero non degradabile, chiamato

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icodestrina, capace di mantenere un gradiente costante, che può essere sostituito al glucosio.
Infatti, il glucosio viene assorbito e metabolizzato durante la dialisi, ma se il malato è diabetico, condizione
non rara in pazienti dializzati, e si utilizzano delle sacche di glucosio ad alta concentrazione, si rischiano
scompensi glicemici
Secondo problema: facendo ultrafiltrare a lungo la membrana utilizzando queste sacche ad alto contenuto
di glucosio, si espone la membrana a uno stress infiammatorio che può causare una fibrosi della
membrana peritoneale e, nel lungo termine, una perdita di funzione.
Alcune considerazioni introduttive su emodialisi e dialisi peritoneale:
i meccanismi fisici sono gli stessi, ma in questa seconda metodica verrà maggiormente sfruttata la
diffusione. Laddove si utilizza una ultrafiltrazione più spinta, si avrà anche della convezione, ma il
meccanismo principale rimane la diffusione.
Si cerca di limitare il più possibile l'ultrafiltrazione, adoperandola solo quando indispensabile per i motivi
prima citati.
Il sistema dializzante non è più esterno al paziente, ma è il microcircolo peritoneale; quindi, non possiamo
agire sul flusso sangue aumentandolo o diminuendolo. Quello su cui possiamo agire sono i volumi della
sostanza dializzante appunto perché la membrana non è inerte ma cambia nel tempo. Tale metodica è a
termine, ovvero i malati rimangono in dialisi peritoneale in media due anni – due anni e mezzo e
successivamente, nella maggior parte dei casi, si ha il passaggio all’emodialisi.
La membrana non è inerte, ma le sue caratteristiche cambiano nel tempo, per questo deve essere
monitorata attraverso dei test che valutano quanto è permeabile la membrana, la PET.

PET (PERITONEAL EQUILIBRATION TEST)


Il test si chiama PET perché chiaramente, se cambiano le caratteristiche della membrana nel tempo, si dovrà
cambiare il tipo di prescrizione dialitica, incidendo sulla soluzione
dializzante.
PET è un test con cui, iniettando una soluzione a concentrazione
di glucosio nota, attraverso prelievi seriali del glucosio nel sangue
del paziente, della creatinina nel sangue del paziente, del
glucosio nel liquido di dialisi e della creatinina nel liquido di dialisi,
si valuta con che efficienza il peritoneo trasporta un liquido/soluto.
Questo test non può essere fatto prima che il malato inizi la dialisi
peritoneale, ma solo nel momento in cui il malato avrà un catetere
peritoneale in sede e, in base ai risultati del test, il malato sarà un
rapido/intermedio/lento trasportatore.
Il trasportatore rapido trasporta molto rapidamente e quindi annulla gradienti di concentrazione molto
rapidamente (la diffusione è molto rapida), mentre il lento annulla gradienti molto lentamente (la diffusione è
lenta).
Quindi per un trasportatore rapido si dovrà sostituire molto rapidamente il liquido di dialisi all'interno
dell'addome, perché altrimenti annullerà il gradiente rapidamente (tutto il tempo di stasi di più sarà inutile),
mentre nel trasportatore lento bisognerà utilizzare delle tecniche in cui il liquido di dialisi permanga
nell'addome più a lungo per consentire lo scambio, altrimenti, effettuando degli scambi troppo rapidi, il nostro
malato non depurerà a sufficienza il sangue.
Come già detto, la membrana evolve nella vita del paziente e quindi, anche il fatto che il dializzato
peritoneale sia un trasportatore rapido, intermedio o lento, può modificarsi nel tempo e così la prescrizione
dialitica dovrà essere modificata.
Si devono utilizzare delle soluzioni dializzanti da iniettare nell'addome del paziente; si può intuire la
delicatezza di questo passaggio: tali soluzioni devono essere pure e asettiche per evitare il rischio di
sviluppare la complicanza infettiva più frequente, la peritonite; inoltre la soluzione deve contenere sali come
sodio, potassio, cloro, calcio, magnesio, a concentrazione variabile a seconda di quello che si vuole ottenere
nel paziente.
Si usano inoltre tamponi a lattato carbonato per trattare l'acidosi metabolica e un agente osmotico per creare
quel gradiente per consentire l'ultrafiltrazione. Il più utilizzato è il glucosio ma si possono utilizzare anche
aminoacidi o icodestrina che è un polimero di carboidrati non degradabile, non assorbibile che quindi
mantiene un gradiente continuo; a differenza del glucosio che, venendo assorbito, crea un gradiente
destinato a essere smaltito nel tempo.
Se si utilizza una sacca a basso contenuto di glucosio, l'ultrafiltrazione sarà scarsa (pochi decilitri, mezzo
litro al massimo) e, dopo un certo intervallo di tempo, il nostro organismo inizia ad assorbire questo glucosio,
quindi il gradiente di concentrazione viene cancellato. Se il liquido viene mantenuto in sede troppo a lungo, il
tasso di liquido ultrafiltrato viene a ridursi perché il gradiente di concentrazione viene perso, determinando
riassorbimento del liquido stesso. Quando invece utilizziamo delle sacche con concentrazioni di glucosio più
elevate, si ha un'ultrafiltrazione maggiore, anche di un litro e mezzo, e questo, per gradiente, viene
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mantenuto per più tempo; ciò a scapito, chiaramente, del rischio di assorbimento di maggior quantità di
glucosio, quindi di iperglicemia e di uno stress a carico della membrana
peritoneale maggiore.
Tuttavia, se si confronta l’emodialisi alla dialisi peritoneale, si vede che
la dialisi peritoneale costituisce un metodo di depurazione più
fisiologico rispetto all'emodialisi.
Nell'emodialisi, l’acqua e le sostanze tossiche vengono rimosse con il
meccanismo a dente di sega, cioè si rimuove tanta acqua e tossine in
quattro ore, poi per due giorni li riaccumula, e così via; mentre la dialisi
peritoneale, essendo effettuata quotidianamente, talvolta anche in
modo continuo, per tutto il giorno, avrà una rimozione più fisiologica.
Per effettuare la dialisi peritoneale è fondamentale avere un catetere di dialisi peritoneale adeguato che
garantisca
un accesso peritoneale semplice, ripetibile, di lunga durata;
deve consentire un flusso bidirezionale, cioè deve poter entrare liquido, ma anche uscire;
deve avere una tenuta idraulica tale da prevenire la fuoriuscita di liquido dall'esterno del catetere, il
cosiddetto leakage, cioè il passaggio di liquido attraverso l'esterno del catetere;
deve resistere alla dislocazione,
deve creare una barriera efficiente tra esterno e cavità peritoneale
deve avere una stabilità chimica- fisica.
Il catetere è un tubo flessibile di silicone, non può essere rigido perché questo porterebbe a un rischio di
danno. Anche per il catetere di dialisi peritoneale si ha un tragitto sottocutaneo, per cui ha due cuffie in
dacron che creano un ancoraggio di questo catetere nel tunnel sottocutaneo.
Nella parte intraperitoneale ha dei fori laterali o un foro terminale per favorire lo scambio del liquido e una
striscia radiopaca, molto utile per identificare il catetere quando effettuiamo delle lastre addome per vedere
se il catetere è posizionato correttamente a livello dello scavo pelvico.
Non tutti i pazienti possono andare incontro alla dialisi peritoneale, ma esistono dei criteri di esclusione
come, ad esempio, pregressi interventi di chirurgia maggiore, anomalie anatomiche o presenza di aderenze
che possono creare delle difficoltà nell'esecuzione della dialisi peritoneale.
Il catetere viene posizionato dal chirurgo, questi effettua le varie incisioni, apre il peritoneo, posiziona il tubo
del catetere e infine richiude il peritoneo e il grasso. Il catetere viene fatto decorrere in sede sottocutanea ed
emerge a distanza dalla sede in cui entra nel peritoneo perché l’obiettivo è di cercare di mantenere il punto
in cui il catetere è esterno e quindi non è più sterile, il più distante possibile dal punto in cui il catetere
penetra nel peritoneo.

Questi sono esempi di catetere: catetere ricurvo con


due cuffie in dacron, che saranno nel sottocute e che
creeranno quella reazione fibrotica per mantenere il
catetere; presenta forellini per favorire lo scambio e
infine l'apertura.
Sulla sinistra invece c’è un catetere arricciato e questa
è una modalità per aumentare la superficie di scambio e quindi garantire degli scambi più veloci.
Lo scavo pelvico è il punto più declive in cui il catetere si posiziona, sia che il paziente sia seduto sia che il
paziente sia steso.
L’ emergenza di exit-side del catetere peritoneale non deve essere arrossata né presentare pus e deve
essere medicato in modo adeguato.

METODICHE PER DIALISI PERITONEALE:


La prima metodica è la CAPD, la metodica
continua, a basso costo. Il malato carica liquido
pulito e scarica liquido che ha sostato in addome,
all'incirca ogni sei ore. Il malato effettua la
procedura in autonomia o in modo assistito. Si
possono avere pause in cui l’addome è libero,
oppure esso può essere sempre carico.
Quindi per 30 minuti, quattro volte al giorno, il
malato si connette attraverso un set a T, per cui
prende una sacca di dialisi nuova e vuota, scarica il liquido all’interno e poi carica il liquido nuovo. Il rischio
infettivo è alto perché deve attaccarsi e staccarsi più volte.
La seconda metodica è la metodica notturna (APD): il malato si collega alla macchina, che ha una scheda in
cui viene inserito il programma dialitico, ed è la macchina stessa a caricare-scaricare il malato a seconda
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della prescrizione, che varierà a seconda che il paziente sia un trasportatore lento
o rapido. La durata totale è di 8-10 ore, per cui non sfrutta il peritoneo tutto il
giorno, nonostante a volte venga lasciato l’equivalente del liquido di una sacca in
peritoneo durante le ore diurne.
La APD consente quindi una maggiore autonomia al paziente e riduce il rischio di
complicanze derivanti dalla pressione intraddominale, come le ernie, perché il
paziente effettua la seduta la notte, quando è steso.
Per questa seconda modalità abbiamo la possibilità di effettuare un
telemonitoraggio dal reparto di dialisi peritoneale, per verificare come procedono
le sedute a domicilio.

ASPETTI CLINICI DELLA DIALISI PERITONEALE


Quando viene effettuata la prescrizione, si prende in considerazione
il peso del paziente,
lo stato di idratazione e la necessità di ultrafiltrazione,
la funzione renale residua, lo stile di vita,
esigenze lavorative
la presenza di un caregiver.
Tutto questo ci orienterà verso l'una o l'altra metodica o, all'interno della metodica stessa, verso una
strategia piuttosto che l'altra. La dialisi peritoneale è una di quelle condizioni che ha un altissimo grado di
personalizzazione della prescrizione. Il volume di scambio iniziale è di circa due litri.
La complicanza più frequente e intuitiva è quella infettiva, ovvero la peritonite. Quest’ultima è la causa più
frequente di ospedalizzazione. Per evitarla, è necessario che il paziente effettui gli scambi in modo più
asettico possibile, indossando la mascherina, guanti sterili e medicazione adeguata. La peritonite è una
complicanza potenzialmente temibile in cui ci sarà penetrazione di batteri a livello peritoneale o, più
raramente, traslocazione intestinale. Quindi le fonti di contaminazione sono due: l’esterno, quindi
contaminazione da parte del paziente, in questo caso i germi saranno più spesso dei gram positivi, o la
traslocazione intestinale (fattore di rischio principale in questo caso è la stipsi) e i batteri saranno più spesso
gram negativi, provenendo dall'intestino.
La stipsi può determinare una dislocazione del catetere peritoneale quindi un malfunzionamento che
aumenta il rischio di traslocazione di flora batterica intestinale, quindi di peritonite.
La diagnosi viene effettuata in base ai sintomi: dolore, febbre, liquido torbido, positività culturale.
Attenzione che nelle fasi molto precoci l'unico sintomo presentato dal paziente può essere il liquido torbido;
potrebbe essere una peritonite in fase molto iniziale che chiaramente, se è trascurata, porterà ad un quadro
clinico più difficile da gestire. I microrganismi infettanti sono più spesso batteri, dalle due provenienze sopra
descritte, è raro, invece, imbattersi in miceti, ma qualora accadesse, non essendovi una terapia, bisogna
togliere il catetere.
Un’altra complicanza è l’infezione all’exit-side, cioè il paziente non ha una peritonite, ma il tunnel in cui
decorre il catetere si infetta: deve essere trattata con antibiotico-terapia sistemica e topica perché poi può
causare chiaramente peritonite, oltre che disagio al paziente.

MALFUNZIONAMENTO DEL CATETERE


I malfunzionamenti possono essere di diverso tipo.
Quando c’è carico-drenaggio lento, questo può succedere perché il catetere si disloca (la stipsi abbiamo
visto che è una causa) e lo vediamo dalla lastra dell'addome: il catetere non va più nello scavo pelvico e
si sposta. Sarà quindi necessario ricanalizzare il paziente nel modo più efficace possibile, talvolta è
necessario riposizionare il catetere;
per la presenza di coaguli o di deposito di fibrina all'interno del tubo del catetere; in questo caso
aggiungeremo alle sacche di dialisi peritoneale delle sostanze per togliere coaguli e/o fibrina
la fuoriuscita di liquido peritoneale fra la parete del catetere e la cute a livello dell'exit-side (cioè esce del
liquido da attorno al tubo), ciò richiede la sospensione temporanea della dialisi
ernie, per aumento della pressione intraperitoneale, per lo stesso meccanismo si può avere idrocele;
questo richiede una sospensione temporanea della seduta e una correzione
la perdita di ultrafiltrazione cioè il malato non ultrafiltra più in modo adeguato, va incontro al sovraccarico
idrico e dovremmo, in questo caso, agire con delle sacche a tonicità crescente o, addirittura, passare
alla sospensione della metodica, qualora non fosse sufficiente
comunicazioni peritoneo-pleuriche, quindi malati in dialisi peritoneale possono sviluppare dei versamenti
pleurici, talvolta anche massivi; è solitamente tipico della pleura destra. Si crea un foro nel diaframma e
quindi una comunicazione fra peritoneo e pleura. Questo può richiedere la sospensione della dialisi

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peritoneale; solitamente la cosa si risolve, talvolta no e, in questo caso, la dialisi peritoneale deve essere
abbandonata.

IL TRAPIANTO DI RENE
E’ il miglior trattamento possibile per l'insufficienza renale
perchè si associa a una riduzione della mortalità, a una
riduzione della morbilità e a un aumento della qualità di vita: si
arriva addirittura a un aumento di 17 anni o 11 anni
dell’aspettativa di vita, rispettivamente nel diabetico e non
diabetico nelle fasce d'età 20-39, rispetto al non trapiantato.
Oltre al miglioramento dell'aspettativa di vita, si ha una
riduzione dei costi: un paziente trapiantato costa al servizio
sanitario nazionale in media 25.000 € l'anno, rispetto ai
50/60.000 euro di un paziente dializzato ai 30/35.000 euro di un
paziente in dialisi peritoneale. Quindi c’è risparmio per il servizio
sanitario nazionale, un miglioramento della qualità della vita e
un aumento dell'aspettativa di vita.
Il trapianto di rene è un allotrapianto, perché avviene fra individui
della stessa specie, ma con patrimoni genetici diversi, ed è un
trapianto eterotopico, perché il nuovo rene viene posizionato in
una sede diversa rispetto a quella dei reni nativi.
Non è salvavita, il malato può rimanere in vita grazie alla dialisi, a
differenza di altri trapianti che non hanno una terapia sostitutiva
adeguata.
Si può effettuare sia da organi provenienti da un donatore
deceduto che da un donatore vivente. Nel trapianto da donatore
cadavere abbiamo una serie di opzioni: trapianto a rischio standard e a rischio non standard; in questa
seconda classe rientrano quei donatori per i quali non possono essere esclusi alcuni rischi infettivi, donatori
marginali (over 70 o over 60 con fattori di rischio), donatore a cuore non battente. Ognuno di questi porta a
dei rischi di complicanze diversi, però consente di ridurre in modo significativo i tempi d’attesa.
Il trapianto da donatore vivente può essere consanguineo (fratello/sorella, figli, genitori), non consanguineo
oppure in crossover, cioè si utilizza una catena di donazione, avviata da un donatore vivente che magari non
ha una buona compatibilità per il suo ricevente, ma attraverso una catena di donazione si riesce a creare un
meccanismo per cui ogni ricevente ottiene un rene ben compatibile e il donatore non dona direttamente al
suo ricevente, ma a un altro ricevente di questa catena.
Il rene trapiantato viene posizionato in fossa iliaca, è connesso all’arteria e vena iliaca e alla vescica,
utilizzando più spesso l'uretere del donatore, talvolta l'uretere del ricevente.
Il trapianto renale, per essere effettuato, e per avere una sopravvivenza accettabile, richiede una terapia
immunosoppressiva; quindi controindicazioni assolute saranno tutte quelle condizioni in cui il paziente non
può ricevere una terapia immunosoppressiva, come neoplasia in atto, pazienti con infezioni croniche non
bonificabili, paziente con comorbilità tali da mettere a rischio il paziente stesso, qualora venisse effettuato il
trapianto e, altro aspetto molto importante, incapacità di aderire alla terapia.
Sarà importante in fase di valutazione e di dimissioni in vista, valutare che il malato abbia la capacità e la
volontà di aderire alla terapia.
Non esiste un limite di età da un punto di vista fisiologico, tuttavia non si devono trascurare i rischi e la
debolezza intrinseca del soggetto, oltre alla questione del tempo: quanto a lungo verrà sfruttato un rene se
trapiantato a un, ad esempio, 80enne, e quanto, invece, se a riceverlo fosse un 50enne?
L'obesità è anch’essa un fattore di rischio dell'intervento, oltre che di complicanze della terapia
immunosoppressiva.
Possono complicare l’accesso al trapianto l’iperimmunizzazione, cioè il malato ha una immunizzazione nei
confronti di antigeni dei donatori, e fallimento di precedenti trapianti.
Importante sottolineare che quando parliamo di trapianto renale dobbiamo trattare di aspetti immunologici:
andando a impiantare un organo esterno, andiamo chiaramente a stimolare una risposta immunitaria nei
confronti di questo e quindi esponiamo il malato a un rischio di rigetto. Per cercare di ridurre il rischio di
rigetto, sarà necessario trovare una maggior isto-compatibilità fra donatore e ricevente e la messa in atto di
terapie immunosoppressive che avranno come obiettivo identificare quell'equilibrio tra un
immunosoppressione in grado di prevenire il rigetto e il rischio infettivo.

111
Come prepariamo il malato destinato al trapianto di rene?
Il malato viene inserito in lista d'attesa, deve effettuare una serie di esami lunghissima per escludere tumori,
comorbilità, valutare, per esempio, la presenza di epatite o tubercolosi, tac, gastroscopia, colonscopia,
angiografie per valutare i vasi (i pazienti con malattia renale cronica hanno il rischio di calcificazioni vascolari
elevate, che potrebbero rendere difficoltoso il trapianto ovvero il collegare l'arteria renale del donatore
all'arteria iliaca del ricevente).
Importante è la tipizzazione degli HLA, del complesso
maggiore di istocompatibilità del donatore e del ricevente, in
a a
particolare dell’HLA-A/B/R (classe 1 e 2 ) e la definizione
dello stato degli anticorpi anti-HLA; questo perché gli antigeni
HLA dei donatori sono quelli verso cui si sviluppa più
frequentemente una risposta immunitaria, quindi dobbiamo
essere certi che il ricevente non presenti degli anticorpi verso queste molecole perché aumenterebbe
drammaticamente il rischio di rigetto nelle fasi immediatamente post trapianto.
Se idoneo, il paziente viene inserito in lista d'attesa; il tempo medio attuale di attesa in Italia è di 2-3 anni.
Affinché la compatibilità sia tollerabile, dobbiamo valutare tre aspetti: il gruppo sanguigno (il gruppo
sanguigno zero può ricevere solo dallo zero e il gruppo sanguigno AB da tutti), gli antigeni HLA del donatore
e la presenza di anticorpi preformati, cioè il fatto che il ricevente presenti degli anticorpi preformati nei
confronti di HLA del donatore (ad esempio il lupus è una malattia in cui i riceventi spesso hanno degli
anticorpi anti-HLA) e un altro fattore di rischio importante per lo sviluppo di anticorpi preformati sono le
trasfusioni e le gravidanze.

Riguardo al gruppo sanguigno, per attuare un trapianto, è necessaria la compatibilità AB0 tra donatore e
ricevente; si può però effettuare un trapianto di AB0 incompatibile in elezione, procedendo a una
desensibilizzazione del ricevente e questo viene
effettuato solamente nei programmi di trapianto
da vivente. La ragione è molto semplice: mentre
in una donazione da vivente, è possibile
preparare il ricevente, in quanto è noto chi dona e
quando sarà effettuato il trapianto, nel caso
invece di un donatore cadavere, l’arrivo del rene è
improvviso e l’organo non potrebbe resistere tanto
a lungo da consentire la desensibilizzazione del
paziente cui sarà impiantato.

HLA è un sistema altamente ricombinante


costituito da una serie di geni posizionati sul
braccio corto del cromosoma 6. Il sistema produce delle proteine di superficie HLA di classe 1, di classe 2 e
di classe 3: classe 1 presente su quasi tutte le cellule nucleate e classe 2 sulle cellule presentanti l'antigene
e quindi cellule dendritiche, monociti, macrofagi, linfociti B e alcuni tipi di linfociti T.
HLA serve a presentare antigeni estranei al sistema immunitario, quindi partecipa alla sorveglianza dei
tumori e sorveglianza delle infezioni.

Esistono degli epitopi nella struttura dell'HLA di classe 1 altamente variabili che possono essere riconosciuti
da anticorpi del nostro organismo, sono quelli verso cui si sviluppano anticorpi se esiste una non
compatibilità: quindi se io ricevo il sangue di un paziente ABO compatibile, ma con un HLA di classe 1
diverso dal mio, posso sviluppare questi anticorpi. Lo stesso vale per gli HLA di classe 2. Tale condizione
non rappresenta un problema, a meno che il soggetto non affronti un trapianto, poiché la conseguenza di
tale immunizzazione è il rigetto umorale, un rigetto anticorpo mediato acuto. Lo stesso vale per gli HLA di
classe 2, con attivazione anche dell’immunità T cellulare.
Esistono diverse tipologie di rigetto, che verranno
approfondite più avanti:
iperacuto: entro 24h dal trapianto, esso non
dovrebbe mai avvenire perché sarebbe espressione
di una AB0 incompatibilità o di anticorpi preformati
che non abbiamo identificato.
Acuto, entro 1 anno dal trapianto
Cronico
Se si ha un ricevente e un donatore con HLA simili, si
avrà meno probabilità che il sistema immunitario del
ricevente monti una risposta immunitaria T o B cellulare
112
nei confronti di HLA del donatore; se si ha invece il ricevente e il donatore con HLA molto diversi, si avrà una
probabilità maggiore che il ricevente monti una risposta immunitaria T o B cellulare.
In questo caso è necessario tipizzare l’HLA del donatore e del ricevente attraverso delle metodiche di
sierologia o molecolare.
Se il donatore e il ricevente hanno
un HLA identico, come nel caso dei gemelli, l'emivita del trapianto è di 24 anni;
se la situazione prevede un trapianto da cadavere con 1- 2 mismatch di differenza si ha un’emivita di 10
anni,
se c’è massima differenza consentita, ovvero 5-6 mismatch di differenza, allora l’emivita è di 8 anni.

Chiaramente questo influenzerà anche quanto aggressivi si dovrà essere con la terapia immunosoppressiva:
un paziente con un mismatch di HLA molto elevato dovrà ricevere una terapia immunosoppressiva più
“tosta” rispetto a un malato con pochi mismatch di HLA, dove ci si potrà permettere una terapia
immunosoppressiva più leggera.

Se il ricevente ha degli anticorpi verso l’HLA preformati, il trapianto non è possibile per il rischio di un rigetto
iperacuto immediato; tale condizione si identifica attraverso due metodiche:
attraverso la citotossicità complemento-dipendente in cui si effettuano delle metodiche in vitro che
mostrano se il siero del ricevente lisa certi linfociti in presenza di complemento, quindi se è presente un
anticorpo che lisa, oppure
attraverso il metodo luminex, cioè l'identificazione di anticorpi attraverso delle metodiche di laboratorio.
La prima è molto specifica, mentre la seconda è molto sensibile ma meno specifica, cioè identifica anche
degli anticorpi che non sono necessariamente tossici, cioè non citotossici qualora incontrassero gli HLA del
donatore.
Esiste anche una quota di anticorpi che spesso sono anticorpi non HLA che non legano il complemento ma
che contribuiscono al danno renale, non entrano negli algoritmi di selezione ma ci sono e sono un problema.
Quindi, nell’ottica di un trapianto, si valuta il paziente clinicamente e, al momento del trapianto, si valuta la
compatibilità del paziente dei suoi HLA con gli HLA del donatore e l'assenza di un mismatch positivo, cioè
l'assenza di anticorpi, di una reazione immunitaria nei confronti del donatore.
Quindi, davanti a un trapianto, si ottiene un gradiente di compatibilità che spazia dal trapianto tra gemelli,
una condizione sovrapponibile praticamente al reimpianto dello stesso organo risanato, a una serie di
condizioni intermedie determinate da diversi mismatch per HLA, la presenza di Ab anti-HLA (teoricamente
assenti, ma se presenti a basso titolo, l’intervento può ancora essere contemplato, qualora ad alto titolo o se
citotossici il trapianto è impossibile).

Riassumendo: è la notte del trapianto, arriva il malato e si valuta che non abbia infezioni altrimenti
rischieremmo di uccidere il paziente, e quindi il trapianto non è attuabile.
A livello di laboratorio, con varie metodiche, si valuta la compatibilità.
Si può valutare se effettuare il trapianto singolo o il trapianto doppio cioè non trapiantare un solo rene ma
tutti e due: qualora il donatore abbia dei fattori di rischio, come un'età superiore ai sessant'anni, diabete,
ipertensione, proteinuria lieve, uno score istologico inadeguato attraverso biopsia del donatore. Se il
donatore ha uno score (che tiene conto di glomerulo sclerosi, della fibrosi interstiziale, dell’ipertrofia delle
arterie) tra 4 e 6 si fa in doppio, altrimenti si fa in singolo. Il ricevente deve avere almeno 5 anni e più o meno
10 anni rispetto al donatore.
Poi si fa l'intervento chirurgico; il paziente rientra dal trapianto, alcuni pazienti riprendono a urinare
immediatamente, in questi casi si deve comunque sostenere i pazienti con dei fluidi, per evitare che si
disidratino, il rischio potrebbe essere una IRA prerenale, secondaria alla disidratazione, secondaria
all'incapacità del rene trapiantato di concentrare le urine. A volte il rene trapiantato non funziona e richiede
qualche giorno prima di sbloccarsi, quindi il paziente dovrà essere dializzato se va incontro a sovraccarico
idrico o ad accumulo di potassio.
E’ inoltre necessario mettere in atto una terapia immunosoppressiva, una terapia di induzione a base di
cortisone, farmaci anti T e anti B cellulari e poi impostare una terapia di mantenimento.

Domanda: Nel momento in cui il paziente viene trapiantato, la fistola come si comporta?
La fistola in alcuni casi viene lasciata; spesso la fistola, soprattutto se prossimale ad alta portata, che può
portare a problemi di sovraccarico cardiaco, viene chiusa: si fa una legatura alla vena, la fistola smette di
funzionare e la vena si perde. Il sistema venoso è ridondante, quindi non si hanno problemi venosi in seguito
alla chiusura della fistola.
Le complicanze vascolari sono più spesso arteriose, cioè se la fistola ha poco flusso, arriva poco sangue a
valle dell’arteria da cui parte la fistola e si può avere ischemia alla mano.

113
Sbobinatore: 41 - 49
Revisore: 152 - 159
Materia: Nefrologia
Docente: Federico Alberici
Data: 18/04/2023
Lezione n° 6
Argomento: complicanze del trapianto renale,
rigetto iperacuto, acuto e cronico, disturbi
dell’equilibrio acido-base e idroelettrolitico

Comunicazioni: il docente comunica che dovranno essere affrontati in autonomia gli argomenti riguardanti
l’omeostasi idrosalina, iponatriemia ed ipernatriemia.
Riassunto/integrazione: nella lezione odierna verrà affrontata la parte conclusiva della terapia sostituiva
renale, per questo motivo la lezione inizia riprendendo le complicanze del trapianto di rene; in seguito verranno
affrontati dei cenni sulla fisiopatologia dell’equilibrio acido base e dei disordini elettrolitici.
Vengono inoltre riprese brevemente le caratteristiche del trapianto renale, il quale è definibile come un
allotrapianto eterotopico, e dell’approccio che viene seguito in preparazione dell’operazione.

COMPLICANZE DEL TRAPIANTO DI RENE


CLASSIFICAZIONE DELLE COMPLICANZE DEL TRAPIANTO RENALE
Le complicanze1 che si possono verificare in seguito ad un trapianto renale vengono distinte in complicanze
precoci e tardive.
Tra le complicanze precoci, che si verificano nell’arco di giorni/settimane dal trapianto, è possibile
annoverare:
• Necrosi tubulare acuta, complicanza precoce più frequente.
Il rene, prelevato nella maggior parte dei casi da un donatore deceduto, deve affrontare un iter che prevede
il suo trasferimento alla sede di destinazione ed attendere il completamento degli esami immunologici di
compatibilità e la preparazione del ricevente; l’intero processo richiede del tempo e, nonostante l’organo
sia conservato all’interno di macchinari dedicati che ne mantengono la perfusione, trascorre un lungo
periodo al di fuori dell’organismo, con conseguente aumento del rischio di avere un danno ipossico delle
cellule tubulari simile a quello che si verifica in seguito ad ischemia durante un’IRA su base pre-renale.
Un’altra causa del danno alle cellule tubulari può essere anche la riperfusione nel momento del trapianto.
La necrosi tubulare acuta è la causa più frequente dei casi di iniziale mancato funzionamento del rene in
seguito al trapianto: il segno principale con cui si manifesta è un’assenza di diuresi attiva per un periodo
che può arrivare ai 14 giorni successivi all’intervento2.
• Trombosi venosa o arteriosa dei vasi renali, complicanza rara e generalmente secondaria a difficoltà
nell’esecuzione delle anastomosi in sede chirurgica.
L’identificazione deve essere precoce e tempestiva in quanto tale condizione può portare alla perdita
dell’organo trapiantato; per questo motivo uno degli approcci diagnostici che vengono applicati in caso di
paziente trapiantato anurico è l’esecuzione di Doppler per verificare che vi sia un corretto flusso a livello
dell’arteria e della vena renale.
• Fistola urinosa, costituita da una raccolta saccata di urina all’esterno del rene a livello della cavità
addominale a causa di un danno delle vie urinarie del rene trapiantato.
Può essere una complicanza innocua o causare una compressione delle vie urinarie, la quale richiede
una risoluzione di tipo chirurgico.
• Fistola linfatica, che prevede una raccolta di liquido linfatico all’interno dell’addome del paziente3.
• Rigetto iperacuto, causato da un’incompatibilità AB0 tra donatore e ricevente o da anticorpi preformati
nei confronti del rene presenti nel donatore; tale complicanza non si dovrebbe mai verificare in quanto
vengono effettuati studi di compatibilità pre-trapianto4.
Tra le complicanze tardive, che si verificano a distanza di mesi dal trapianto, si ritrovano:
• Rigetto acuto5
• Rigetto cronico6
• Nefrotossicità causata dai farmaci utilizzati per prevenire un possibile rigetto; la terapia
immunosoppressiva utilizzata nei casi di trapianto renale prevede generalmente l’utilizzo di 3 farmaci:
o Cortisone, solitamente a basse dosi e generalmente in seguito sospeso

1
Il loro monitoraggio è importante sin dai momenti immediatamente successivi all’intervento
2
In questo caso viene definita “ritardata ripresa funzionale”
3
Integrato dalle sbobine dello scorso anno
4
La bassa probabilità di un errore nell’esecuzione rende perciò questa evenienza rara
5
Approfondito in seguito
6
Approfondito in seguito
114
o Antiproliferativi, come micofenolato o azatioprina, finalizzati alla prevenzione della produzione
di anticorpi verso il rene trapiantato
o Inibitori della calcineurina, come ciclosporina e tacrolimus, per la prevenzione del rigetto
cellulare; questi ultimi, nonostante siano efficaci, presentano un potenziale nefrotossico, che si
manifesta sottoforma di danno vascolare e tubulo-interstiziale
• Recidiva della malattia di base; esistono malattie di base, come la glomerulosclerosi focale segmentale
(GSFS) o la nefropatia da depositi di IgA (malattia di Berger), che possono recidivare sul rene trapiantato.
Se si verifica questa complicanza solitamente il rischio di perdita dell’organo è elevato7.
• Glomerulonefriti ex-novo; patologie glomerulari di nuova insorgenza che non sono state la causa
dell’insufficienza renale che ha portato alla necessità del trapianto, ma che insorgono nell’organo
trapiantato.
• Pielonefriti; processi infettivi a carico del rene, hanno una frequenza abbastanza elevata.
Il rischio di pielonefrite è maggiore nei casi di IVU complicate, le quali risultano anche favorite
o Dalla minore lunghezza dell’uretere trapiantato8 rispetto a quello nativo
o Da una parziale incontinenza dell’uretere, che favorisce un reflusso vescico-ureterale
o Dalla terapia immunosoppressiva
• Stenosi dell’arteria renale; complicanza chirurgica
• Nefriti interstiziali provocate da virus, generalmente BKV e CMV; infezioni generalmente ubiquitarie,
possono riattivarsi dallo stato di latenza nei soggetti immunocompromessi e dare origine a questa
complicanza.

RIGETTO DEL TRAPIANTO DI RENE


Il rigetto costituisce una delle principali complicanze in seguito a trapianto di rene: nella gestione del paziente
trapiantato si deve infatti trovare un equilibrio tra la terapia immunosoppressiva e le sue possibili complicanze
infettive causata da una eccessiva immunosoppressione; il bilancio, aiutato da specifici protocolli, risulta
complicato dalla variabilità interindividuale e richiede continui adattamenti in relazione ai singoli casi, con
conseguente aumento del rischio di rigetto.

Il rigetto è una condizione di iperattivazione del sistema immunitario nei confronti del rene trapiantato;
clinicamente si osserva un peggioramento della funzionalità renale e/o un aumento della ritenzione idrosalina
con conseguente formazione di edemi e aumento ponderale del paziente, mentre dal punto di vista istologico
si ha un quadro di infiammazione secondario ad un insufficiente controllo della risposta immunitaria.

Classificazione in base all’eziologia


In base all’eziologia può essere classificato in:
• Rigetto umorale; causato da anticorpi contro il donatore, più frequentemente anti-HLA, ma anche diretti
a molecole differenti (non anti-HLA)
• Rigetto cellulare; legato all’azione dei linfociti T
In alcune occasioni si possono osservare entrambi i meccanismi che concorrono nel medesimo rigetto: si
parlerà perciò di rigetto cellulare qualora il compartimento maggiormente stimolato sia quello T-cellulare o di
rigetto umorale in caso di maggiore stimolazione del compartimento B-cellulare.

Rigetto cellulare
L’attivazione dei linfociti T in corso di rigetto cellulare può avvenire secondo 2 differenti vie:
• Via diretta; i linfociti T CD4+ e CD8+ del
ricevente sono attivati 9 dalla presentazione di
molecole non-self del donatore da parte di APC
del donatore
• Via indiretta; i linfociti CD4+ del ricevente sono
attivati dalla presentazione di molecole non-self
del donatore da parte di APC del ricevente
In entrambi i casi spesso le molecole che vengono
presentate sono HLA o frammenti di HLA del
donatore, riconosciute come non self dall’organismo
del ricevente
Il meccanismo di presentazione, che si verifica a livello dei linfonodi da parte delle APC, porta all’attivazione
dei linfociti T a livello linfonodale e al rilascio di citochine, come IL-2, che aumentano la risposta del

7
Informazione integrata dalle sbobine dell’AA 2021/2022
8
In questo modo si ha un minore ostacolo fisico alla progressione dell’infezione
9
L’attivazione dei linfociti T necessita sia della presentazione dell’antigene sulle molecole di MHC di classe I e II sia dell’azione di molecole
costimolatorie
115
compartimento cellulare stimolando la produzione di linfociti T effettori i quali, una volta raggiunto l’organo
trapiantato, possono determinare rigetto attraverso l’attuazione dei meccanismi dell’immunità.

Rigetto umorale
A livello linfonodale si può avere
anche l’attivazione dei linfociti B, i
quali, stimolati dai linfociti T-helper, si
possono differenziare in linfociti B
della memoria, plasmablasti e
plasmacellule 10 , che produrranno
anticorpi nei confronti degli antigeni
presentati dalle APC; in questo modo
si verifica un rigetto di tipo umorale.
Nel corso del differenziamento si ha
l’azione di una serie di molecole
costimolatorie, presenti a livello
delle sinapsi immunologiche che si formano tra APC e linfocita T e tra quest’ultimo ed i linfociti B, di citochine
e fattori di crescita, come il B-Cell Activating Factor (BAFF) o APRIL; tutti questi possono essere potenziali
bersagli terapeutici nella prevenzione e gestione del rigetto.

Classificazione in base al tempo di insorgenza


In relazione al tempo di insorgenza si può suddividere in:
• Rigetto iperacuto, nelle ore successive al trapianto; generalmente non si dovrebbe osservare grazie ai
test di istocompatibilità che vengono effettuati in preparazione alla procedura
• Rigetto acuto, entro 6 o 12 mesi11 dal trapianto
• Rigetto cronico, successivo ai 12 mesi

Rigetto iperacuto
Il rigetto iperacuto, che si verifica nelle prime ore successive al trapianto, è l’espressione di una
incompatibilità AB0 o di anticorpi preesistenti rivolti contro il rene del donatore; questi, già presenti in
circolo, riconoscono gli antigeni a livello delle cellule endoteliali e determinano l’attivazione del complemento,
una reazione infiammatoria e successiva attivazione della coagulazione, la quale può portare ad una trombosi
intravascolare che causa la perdita del rene in seguito all’ischemia provocata dall’occlusione vascolare12.
Data la rapidità dei fenomeni il rigetto iperacuto è un evento estremamente dannoso, che viene splitamente
evitato grazie ai test di compatibilità tra donatore e ricevente; per questo motivo, qualora si dovesse verificare,
induce al sospetto che si sia verificato un errore nell’esecuzione delle procedure13 che precedono l’intervento.

Rigetto acuto
Il rigetto acuto, insieme al rigetto cronico, è una complicanza che si verifica con una frequenza maggiore
rispetto a quello iperacuto; si verifica entro un lasso di tempo breve dal trapianto, generalmente 3/6 mesi, con
un limite massimo di 1 anno.

I sintomi che si osservano e che inducono il sospetto di un rigetto acuto in corso sono:
• Ritenzione idrosalina; presente sin dalle fasi precoci, che non risponde a terapie con diuretici
• Aumento ponderale del paziente; presente sin dalle fasi precoci
• Ipertensione
• Edemi
• Peggioramento della funzione renale con aumento della creatinina (superiore al 25%) e della proteinuria
(>1 g/die14); si verifica in un momento successivo

I meccanismi di rigetto renale acuto sono:


• Rigetto cellulare T-mediato; meccanismo più frequente, presenta i classici segni sopra riportati.
Il quadro bioptico istologico in caso di rigetto cellulare è simile a quello delle nefriti tubulo-interstiziali: è
caratterizzato dalla presenza di infiltrato infiammatorio interstiziale composto da cellule mononucleate,

10
Possono essere a sopravvivenza prolungata (long-lived) o corta (short-lived)
11
Il docente informa che la tempistica varia a seconda delle classificazioni (nelle sbobine dell’AA 2021/2022 viene indicato un lasso
temporale pari a 3/6 mesi)
12
Per questo motivo generalmente il rigetto iperacuto è provocato da cause prevalentemente vascolari
13
Informazione integrata dalle sbobine dell’AA 2021/2022
14
Informazione integrata dalle sbobine dell’AA 2021/2022
116
come linfociti T e macrofagi, i quali portano a distruzione delle membrane basali delle cellule tubulari,
tubulite15, arterite16 e conseguenti stravasi emorragici.
• Rigetto umorale; molto raro grazie all’esecuzione dei test cross-match, in alcuni casi si verifica in pazienti
che devono ridurre temporaneamente la terapia immunosoppressiva a causa di eventi infettivi.
Il quadro istologico mostra la presenza di frammenti C4d a livello dei capillari peritubulari; essi sono
indicativi dell’attivazione della via classica del complemento mediata dalla presenza di anticorpi che
partecipano alla determinazione del danno, localizzato soprattutto a livello endoteliale17.

La conferma diagnostica di un rigetto acuto viene ricercata tramite l’esecuzione di una biopsia renale, la quale
risulta più agevole rispetto a quella effettuata su un rene nativo in quanto il rene trapiantato è collocato in una
sede 18 più facilmente raggiungibile; perciò, grazie alla relativa facilità della procedura ed al basso rischio
associato, non è raro che un paziente venga sopposto a varie biopsie nel corso della propria vita19.

Il riscontro della biopsia può dare indicazioni sull’origine cellulare o anticorpo-mediata del rigetto:
• Nel primo caso è causato dall’azione dei linfociti T, a cui
contribuiscono anche altre componenti del sistema immunitario,
come cellule NK e macrofagi, attraverso il meccanismo della
ridondanza.
Dal punto di vista istologico20 si osserva l’interstizio, che in un rene
sano deve essere vuoto: in questo caso presenta infiltrato
infiammatorio interstiziale di cellule mononucleate, con
distruzione della membrana basale delle cellule tubulari, tubulite ed
arterite; tale quadro è compatibile con un rigetto acuto se la biopsia
proviene da un rene trapiantato o con una nefrite tubulo-interstiziale
in caso di rene nativo.
• Nel secondo caso si ha l’azione degli anticorpi rivolti contro antigeni
del rene trapiantato, i quali possono essere HLA21 o altri antigeni.
Per la diagnosi di rigetto anticorpo mediato si deve identificare:
o Danno tissutale
o Staining22 per C4d positivo, il quale è indicativo di attivazione
della via classica del complemento e danno da immunocomplessi
o Presenza di anticorpi donatori-specifici DSA circolanti
Dal punto di vista istologico si osserva un rigonfiamento delle cellule endoteliali capillari, necrosi fibrinoide
arteriolare23 e la presenza di trombi di fibrina nei capillari glomerulari.

In caso di positività della biopsia renale si procede effettuando diagnosi di rigetto acuto e trattando il paziente
con cortisone e rafforzamento della terapia immunosoppressiva24.

Rigetto cronico
Il rigetto cronico è una condizione in cui si ha un deterioramento parafisiologico della funzionalità renale
che avviene in modo graduale e progressivo25, fino ad avere una disfunzione cronica del rene trapiantato; si
verifica ad una distanza temporale maggiore di 1 anno dal trapianto.
È caratterizzato da una fibrosi progressiva, con perdita della struttura e funzione dell’organo trapiantato; in
questo caso la patogenesi è multifattoriale:
• Componente immunitaria rappresentata sia dal rigetto umorale che cellulare; queste risultano meno
violente e acute di quelle che si verificano in caso di rigetto acuto
• Fisiologico declino della funzione renale; a questo concorrono tutta una serie di insulti che un organo
trapiantato può subire, che hanno causa immunologica, infettiva, iatrogena (es. tossicità dei farmaci) o
vascolare (es. ischemia cronica).

15
Conseguenza della distruzione delle cellule tubulari
16
Conseguenza della distruzione delle cellule endoteliali
17
Informazione integrata dalle sbobine dell’AA 2021/2022
18
Fossa iliaca destra nella maggior parte dei casi, sinistra più raramente
19
Agli Spedali Civili di Brescia il paziente trapiantato viene sottoposto al 3° e 12° mese, o al 6° e 12° a seconda dei casi, a delle biopsie
anche in assenza di peggioramento della creatinina o della proteinuria; questo viene fatto per identificare eventuali rigetti subclinici
(informazione integrata dalle sbobine dell’AA 2021/2022)
20
Vengono riportati dei vetrini esemplificativi
21
I sistemi di riconoscimento utilizzati in laboratorio consentono di rilevare solamente la presenza di Ab anti-HLA
22
Colorazione
23
“Il materiale fibrinoide responsabile dei processi necrotici è costituito da gammaglobuline e sostanze proteiche di origine nucleare, da
fibrinogeno e complemento. Secondo alcuni autori si tratterebbe di depositi di immunocomplessi con fibrinogeno” (informazione tratta da
Wikipedia)
24
Informazione integrata dalle sbobine dell’AA 2021/2022
25
Al contrario di quanto avviene nel caso di rigetto acuto, il quale vede un peggioramento della funzionalità renale che il docente definisce
rapido, paragonandolo ad un “gradino”
117
La cooperazione delle cause precedentemente citate porta ad uno ispessimento cronico e vasculopatia
cronica a livello dei vasi presenti nel rene trapiantato, con conseguente danno tubulo interstiziale e
glomerulare, che porta ad un progressivo malfunzionamento delle varie componenti strutturali renali.

I segni presenti in un rigetto cronico sono un lento peggioramento della funzionalità renale, associato a
ipertensione e proteinuria.

COMPLICANZE DEL RICEVENTE NEL TRAPIANTO DI RENE


Tra le possibili complicanze26 del trapianto di rene, oltre al rigetto acuto e cronico, si possono avere:
• Complicanze infettive
Sono aumentate nel ricevente del trapianto di rene nel breve, medio e lungo termine; risultano infatti molto
frequenti nei primi 6 mesi dal trapianto, ma si possono presentare in qualsiasi momento della vita del
trapiantato.
Possono essere causate da:
o Errato bilancio della terapia immunosoppressiva, la quale può essere sovra o sottodosata27.
o Disfunzioni del sistema immunitario provocate dall’uremia.
Alcune di queste sono irreversibili e persistono anche in seguito al trapianto renale; per questo motivo
un paziente con IRC, anche quando sottoposto a trapianto di rene ed indipendentemente dalla terapia
immunosoppressiva, presenta un rischio infettivo elevato.
Gli organismi responsabili degli eventi infettivi possono essere virus (più frequentemente, tra questi
ritroviamo CMV, EBV, HHV e BKV) batteri (Listeria e Micobatteri) o funghi (Pneumocystis, Aspergillus e
Candida)28.
Quando un trapiantato si presenta in pronto soccorso è pertanto fondamentale andare a valutare tra le
prime cause di accesso la presenza di malattie di tipo infettivo, in particolare localizzate alle vie urinarie.
• Complicanze cardiovascolari
La malattia renale cronica si associa ad un rischio cardiovascolare aumentato rispetto ai soggetti di pari
età sani; lo stesso è valido per un soggetto trapiantato, nel quale è anche complicanza delle terapie messe
in atto per evitare il rigetto.
• Neoplasie
Conseguenza della compromissione dell’immunosorveglianza data dalla riduzione dell’efficienza del
sistema immunitario, dell’azione oncogena diretta di alcuni farmaci e della facilitazione delle infezioni virali
(come il sarcoma di Kaposi da HHV8).
• Diabete mellito post-trapianto
Il cortisone, facente parte del cocktail terapeutico immunosoppressivo, può impattare significativamente
sul rischio di sviluppare diabete.
• Pancreatiti
• Aumentata incidenza di calcolosi delle vie biliari
• Necrosi ossee
• Sindrome uremico-emolitica de novo

Di seguito vengono riportati un’immagine, dove sono riassunti i possibili processi che si verificano nella storia
del rene trapiantato, e un breve commento effettuato dal docente.

26
Le prime tre cause vengono definite “maggiori”, quelle successive “minori”, nonostante il docente sottolinei come mantengano
comunque una certa importanza nella gestione di un paziente trapiantato
27
In caso di sovradosaggio si avranno conseguenze infettive, in caso di sottodosaggio si avrà rigetto
28
Alcuni patogeni sono stati integrati dalle sbobine dell’AA 2021/2022
118
Il rene che viene trapiantato presenta delle caratteristiche proprie legate alla storia clinica del donatore da cui
proviene ed alle patologie, sia acute che croniche, di cui soffriva: infatti può presentare già delle condizioni di
aterosclerosi, ialinosi arteriolare, danno tubulare o fibrosi interstiziale; su questo carico preesistente, che
spesso il rene proveniente dal donatore medio possiede in partenza o matura nelle fasi precedenti alla
donazione (come conseguenze dell’evento acuto che ha portato al decesso, della procedura di espianto del
rene o al suo trasporto), si aggiungono altri danni, che possono essere causati da un’ischemia durante
l’espianto, dallo sviluppo di un paio di rigetti acuti nel primo anno, magari di un rigetto subclinico, e dall’utilizzo
di farmaci per prevenire e trattare il rigetto, come gli inibitori della calcineurina, i cui effetti nefrotossici sono
ben noti.
Si può inoltre verificare lo sviluppo nel tempo di una risposta anticorpale cronica nei confronti del rene
trapiantato, a cui si possono sommare una serie di comorbilità che il soggetto ricevente può sviluppare, le
quali sono legate all’età, all’insufficienza renale che persiste comunque in un certo grado dopo il trapianto e
che può peggiorare, o alle terapie (ad esempio ipertensione, diabete e dislipidemia).
Come conseguenza si può presentare una glomerulopatia cronica da trapianto, nefropatia cronica da trapianto
o più in generale un rigetto cronico, che porterà ad un rialzo della creatinina e ad una insufficienza renale
terminale, che comporta la necessità di riprendere una terapia sostitutiva della funzionalità renale.
Il tempo che intercorre dal trapianto alla perdita del rene dipende da molteplici aspetti: dalla qualità del rene
donato, dallo stato di salute del ricevente, dalla presenza di rigetti acuti o cronici, dalle comorbilità del paziente,
dal rischio infettivo e dalla fortuna.
Il trattamento può prevedere, in condizioni adeguate di età e di salute generale del paziente, un secondo
trapianto.
Il beneficio in termini di qualità e di aspettativa di vita in seguito al trapianto risulta essere comunque maggiore
rispetto ad un soggetto di pari età che permane in trattamento dialitico.

DISTURBI ACIDO-BASE E IDRO-ELETTROLITICO29


Il rene svolge un ruolo fondamentale nel mantenimento dell’equilibrio acido-base, tant’è che l’insufficienza
renale si associa ad una complicanza di tale equilibrio che è l’acidosi metabolica; la presenza del sistema
acido-base è funzionale al mantenimento della concentrazione degli idrogenioni all’interno di un range
fisiologico strettamente controllato affinché non si possano legare alle proteine determinando alterazioni
strutturali e funzionali importanti.

29
L’argomento, in questo caso, sarà affrontato dal punto di vista del nefrologo, anche se verrà ripreso in altre specialistiche
119
L’acidosi può perciò provocare delle alterazioni che possono avere un impatto clinico rilevante: molte di esse
vanno a sovrapporsi, contribuire ed amplificare le disfunzioni che l’uremia causa nei pazienti con malattia
renale cronica; è fondamentale, perciò, che l’acidosi sia mantenuta sotto controllo ed attentamente monitorata.

ACIDOSI METABOLICA ACUTA


Un’acidosi metabolica acuta può causare:
• Alterato funzionamento leucociti
• Disfunzione cardiaca con riduzione della contrattilità e della gittata cardiaca
• Vasocostrizione
• Alterazione del trasporto di O2 da parte dell’emoglobina
• Produzione di citochine e quindi infiammazione
• Alterazione dello stato cognitivo
• Stimolazione dell’apoptosi
• Alterazione della produzione cellulare
• Soppressione della funzione linfocitaria
• Resistenza all’azione dell’insulina
• Resistenza all’azione delle catecolamine
• Vasodilatazione arteriosa e ipotensione
• Predisposizione ad aritmie, situazione molto grave30

ACIDOSI METABOLICA CRONICA


L’acidosi metabolica cronica, così come quella acuta, ha un impatto clinico importante.
Può essere sviluppata da pazienti con IRC nel momento in cui non vi è un attento monitoraggio medico dei
valori di bicarbonati; spesso, infatti, si verificano situazioni in cui un paziente con insufficienza renale in stadio
avanzato venga inviato dal nefrologo, il quale viene a conoscenza che non sono mai stati effettuati i dosaggi
dei livelli sierici di bicarbonati, con conseguente scarso controllo della condizione patologica.
Questa determina:
• Peggioramento della malattia ossea, caratteristica tipica dei pazienti con malattia renale cronica
• Aumentata produzione di β2-microglobulina: questa è una delle proteine che non sempre vengono
rimosse in modo efficace attraverso l'emodialisi e che quindi può andare ad accumularsi negli organi
determinando amiloidosi secondaria alla malattia renale cronica; una sintomatologia classica è quella
riferibile alla patologia del tunnel carpale31
• Ridotta produzione di albumina, che può essere anche conseguenza di malnutrizione; queste sono
ulteriori condizioni di impatto importante e significativo nei malati con malattia renale cronica
• Atrofia muscolare
• Accelerazione della progressione della malattia renale
• Alterata tolleranza glucidica
• Ritardo di crescita e quindi deficit statuario nei bambini, presente perciò nelle forme pediatriche.

Quindi sia l’acidosi metabolica acuta che l’acidosi metabolica cronica causano problemi significativi: i nefrologi,
avendo a che fare con malati che per definizione andranno a sviluppare acidosi metabolica, devono essere
sensibili alle problematiche da essa derivanti.

ALCALOSI
In modo analogo anche l’alcalosi ha delle conseguenze importanti:
• Cardiovascolari
o Costrizione arteriosa
o Riduzione del flusso sanguigno coronarico
o Riduzione del livello di insorgenza dell’angina
o Predisposizione ad aritmie ventricolari e sopraventricolari refrattarie
• Respiratorie
o Ipoventilazione con ipercapnia e ipossiemia
o Aumento della vasocostrizione ipossica polmonare
• Metaboliche
o Stimolazione della glicolisi anaerobia e produzione di acidi organici
o Ipokaliemia, al contrario dell’acidosi che si associa ad iperkaliemia
o Riduzione dei livelli di calcio ionizzato
o Ipomagnesemia e ipocalcemia

30
Il professore riporta il fatto che quel giorno avevano ricoverato un paziente con insufficienza renale acuta ed acidosi metabolica molto
importante al quale hanno rilevato una frequenza di 40 battiti al minuto dovuta sia alla condizione complessa del malato sia alla tossicità
data dall’acidosi metabolica.
31
Si sono osservate associazioni tra amiloidosi e probabilità di sviluppo della patologia del tunnel carpale
120
• Cerebrali
o Riduzioni del flusso cerebrale
o Tetania
o Convulsioni, letargia, delirio e stato soporoso

IMPORTANZA E FUNZIONAMENTO DELL’EQUILIBRIO ACIDO BASE


Appare evidente come il controllo dell’equilibrio acido-base sia fondamentale per evitare l’insorgenza di impatti
clinici rilevanti; coinvolti nel mantenimento di questo equilibrio vi sono sia cationi che anioni plasmatici:
• Cationi:
o Na+, la cui concentrazione fisiologica è di 140mEq/l
o K+, la cui concentrazione fisiologica è di 4mEq/l
o H+, la cui concentrazione fisiologica è di 0,000040mEq/l; questa si presenta estremamente più bassa
rispetto agli altri due cationi
• Anioni:
o Cl-, la cui concentrazione fisiologica è di 105mEq/l
o HCO3, la cui concentrazione fisiologica è di 25mEq/l
o Albumina, la cui concentrazione fisiologica è di 10mEq/l (per livelli di albumina normali contribuisce
per circa 10mEq/l agli anioni plasmatici, quando si va incontro ad una situazione di ipoalbuminemia il
contributo in termini di anioni va a diminuire); questa proteina plasmatica deve essere utilizzata come
fattore di correzione nel calcolo del gap anionico in caso di ipoalbuminemia.

Il sistema acido-base, nella gestione delle variazioni determinate da una concentrazione non fisiologica di
acidi, deve agire sia contro acidi volatili che non volatili:
• Gli acidi volatili sono rappresentati sostanzialmente dall’acido carbonico, che ha origine dall’idratazione
della CO2 per mezzo dell’anidrasi carbonica.
• Gli acidi non volatili possono essere divisi a loro volta in organici e inorganici
o Quelli organici sono in parte a produzione endogena, come l’acido lattico e i chetoacidi, i quali sono
fisiologicamente presenti e prodotti, ma possono andare ad accumularsi in determinate condizioni
(come la chetoacidosi diabetica o l’acidosi lattica all’ipoperfusione), oppure legati all’utilizzo di droghe
o farmaci
o Quelli non organici possono essere fosfati o solfati

Il mantenimento dell’equilibrio acido-base è affidato alle seguenti componenti:


• Il sistema tampone: presente a livello ematico, dove si ha CO2 ed H2O in equilibrio con i bicarbonati e
idrogenioni grazie all’attività svolta dall’anidrasi carbonica, e composto da polianioni proteici, polianioni
eritrocitari e anioni; il più importante è il tampone bicarbonato.
• Il rene: costituisce la componente metabolica del sistema e ha il compito di eliminare basi e acidi non
volatili; questi derivano dal metabolismo delle proteine o dall’introduzione di acidi esterni non volatili che
si dissociano in idrogenioni H+ e anioni A-, l’idrogenione viene tamponato dal sistema dei tamponi
plasmatici e l’anione viene eliminato per via renale.
A livello renale si ha inoltre il riassorbimento dei bicarbonati filtrati e la produzione di nuovi bicarbonati, in
accoppiamento all’eliminazione di ioni ammonio;
• Il polmone: costituisce la componente respiratoria e ha il compito di eliminare gli acidi volatili, quindi la
CO2 che viene prodotta dal metabolismo cellulare a livello intracellulare in seguito all’ossidazione di
glucosio, grassi e proteine; questa viene in seguito trasportata dal torrente circolatorio a livello polmonare,
dove poi viene scambiata.
Questo sistema risulta essere ben regolato e presenta 3 fasi di gestione: produzione dell’acido, trasporto
dell’acido ed eliminazione dell’acido.
Il pH è determinato dal rapporto tra il bicarbonato e la pCO2: per questo motivo affinché venga mantenuto ad
un valore stabile, tutto quello che determina una riduzione di bicarbonato dovrà riflettersi su una modifica della
paCO2 e viceversa.

Quando si parla di equilibrio acido-base sono fondamentali alcuni valori che bisogna ricordare:
• pH fisiologico di 7.4 (oscilla tra 7.36 e 7.44)
• Concentrazione degli ioni H+ di 40nEq/l (range 36-44)
• paCO2 ha un valore di 40 mmHg (tra 36 e 44)
• Bicarbonati hanno un valore di 24 mEq/L (range 22-26)
Sapere quanto si discosta uno di questi valori rispetto a quelli di riferimento permette di capire, in modo
abbastanza chiaro, cosa sta succedendo all’interno del paziente; tutti i valori vanno determinati nel sangue
arterioso, perché, se venissero determinati nel sangue venoso, sarebbero soggetti a fortissima variabilità.
L’equazione determinante il valore di pH è l’equazione di Henderson-Hasselbach in cui si ritrovano le due
componenti:

121
• Al numeratore si presenta la concentrazione di bicarbonati
controllata dal rene, quindi componente metabolica.
• Al denominatore si presenta la pCO2 controllata dal
polmone, quindi componente respiratoria.
32Per cercare di ricostruire il ragionamento clinico che viene effettuato sulla valutazione dell’emogasanalisi, e
quindi sullo stato dell’equilibrio acido-base del paziente, bisogna considerare che il pH è funzione della
concentrazione dei bicarbonati e della concentrazione della CO 2:
• I bicarbonati sono controllati dalla componente metabolica, quindi dal rene;
• La CO2 è controllata dalla componente respiratoria, quindi dal polmone.

RUOLO DEL SISTEMA TAMPONE NELL’EQUILIBRIO ACIDO-BASE


Un sistema tampone è costituito da un acido
che è in grado di legare uno ione H+ creando
una base coniugata.
Agiscono come sistema tampone
l’emoglobina, le proteine, i fosfati e i
bicarbonati; questi ultimi sono quelli più
importanti perché svolgono una funzione più
centrale essendo il sistema tampone più
veloce, più rappresentato ed in equilibrio con
gli altri sistemi tampone intra ed extracellulari.
Le due componenti di questo sistema tampone, ossia bicarbonato e acido carbonico, sono controllate
separatamente dal rene, per quanto riguarda la componente metabolica di gestione dei bicarbonati HCO3-, e
dal polmone, per la componente respiratoria di regolazione della concentrazione di acido carbonico H 2CO3,
equivalente alla CO2; entrambe queste componenti possono essere valutate attraverso l’esecuzione di una
emogasanalisi.

RUOLO DEL RENE NELL’EQUILIBRIO ACIDO-BASE


Le funzioni del rene sono:
• Riassorbimento e rigenerazione dei bicarbonati a livello
del tubulo contorto prossimale attraverso l’attività
dell’anidrasi carbonica
• Eliminazione degli idrogenioni nelle porzioni distali del
nefrone sotto forma di ione ammonio rigenerando in questo
modo dei bicarbonati nuovi
Affinché queste due funzioni vengano svolte si necessitano dei
reni funzionali; questo è il motivo per cui un malato con
insufficienza renale cronica presenta dei bicarbonati più bassi.

Il riassorbimento di bicarbonati avviene nel tubulo contorto


prossimale attraverso le seguenti fasi:
• Viene secreto H+ nel lume tubulare in cambio di Na+, il
quale si associa ad HCO3- generando H2CO3.
• L’acido carbonico viene convertito in CO2 e H2O dall’isoforma endoluminare di anidrasi carbonica.
• CO2 attraversa la membrana cellulare grazie alla sua liposolubilità e viene nuovamente idratata ad acido
carbonico dalla forma citoplasmatica di anidrasi carbonica, il quale si dissocia in H+ e HCO3-.
• Il bicarbonato viene riassorbito grazie ad un simporto con il sodio o ad un antiporto con il cloro.
In questo modo avviene il riassorbimento dei bicarbonati; per questo motivo se dovesse verificarsi un danno
al tubulo contorto prossimale, causerebbe un’acidosi metabolica definita prossimale e quindi una perdita di
bicarbonati a livello tubulare, che si manifesterebbe con un aumento del pH urinario e lo sviluppo di un’acidosi
metabolica.

A livello del tubulo contorto distale avviene invece l’eliminazione di ioni H+ in associazione ad NH3 sotto forma
di ione ammonio NH4+, determinando la produzione di bicarbonati di nuova sintesi.

RUOLO DEL POLMONE NELL’EQUILIBRIO ACIDO-BASE


La componente respiratoria è controllata dal polmone; la CO2 prodotta a livello cellulare attraverso i
meccanismi di produzione energetica viene trasportata a livello ematico ed eliminata a livello polmonare.
In questo meccanismo ha un ruolo importante il SNC nel regolare il funzionamento del sistema respiratorio.

32
Paragrafo integrato dalle sbobine dell’AA 2021/2022
122
Per affrontare i disturbi acido-base si devono quindi riconoscere due cause:
• Respiratoria, la causa è il polmone
Ad esempio, un paziente che iperventila presenterà una pCO2 bassa, mentre un paziente che ipoventila
(es. paziente con enfisema) presenterà una pCO2 molto elevata; in entrambe queste situazioni si presenta
quindi un’alterazione dell’equilibrio acido-base dovuta ad un difetto polmonare primitivo
• Metabolica, la causa primitiva è extra-polmonare

I DISTURBI ACIDO-BASE
Si deve sottolineare, in primis, la differenza tra i termini acidemia/alcalemia ed acidosi/alcalosi:
• Acidemia: situazione in cui il pH ematico è inferiore a 7.36
• Acidosi: processo fisiopatologico che determina una prevalenza degli acidi rispetto alle basi e diminuzione
del pH.
Ad esempio, nel momento in cui un paziente è ipoperfuso, sviluppa acidosi lattica dovuta alla
sovrapproduzione di acido lattico.
• Alcalemia: situazione in cui il pH ematico è superiore a 7.44
• Alcalosi: processo fisiopatologico che determina una prevalenza delle basi rispetto agli acidi e quindi un
aumento del pH.
Il professore afferma che molto spesso si usano i termini acidemia e acidosi o alcalemia e alcalosi come
sinonimi, anche se in realtà hanno significato diverso: è possibile, ad esempio, avere un paziente che è in
acidosi ma non presenta acidemia, perché i sistemi tampone sono efficaci nel mantenere un pH ematico
fisiologico.

Acidosi metabolica
L’acidosi metabolica è una situazione che presenta una riduzione di bicarbonati.
Ad esempio, un paziente con malattia renale cronica, per deficit dei meccanismi renali, andrà a sviluppare
un’acidosi metabolica.

Alcalosi metabolica
L’alcalosi metabolica è una situazione che presenta un aumento di bicarbonati.
Si può verificare, ad esempio, in un paziente trattato con un eccesso di terapia diuretica: per un meccanismo
di emoconcentrazione eccessiva andrà incontro ad un aumento di concentrazione di bicarbonati e quindi ad
una alcalosi metabolica.

Acidosi respiratoria
L’acidosi respiratoria è una situazione che presenta un aumento dei livelli ematici della CO2.
Ad esempio, un paziente con enfisema o con BPCO, quindi pazienti che hanno delle parti del polmone che
non ventilano correttamente a causa della presenza di porzioni del parenchima che non funzionano, non
eliminano la CO2 in modo adeguato e vanno incontro ad una acidosi respiratoria.

Alcalosi respiratoria
L’alcalosi respiratoria è una situazione che presenta una diminuzione dei livelli ematici della CO2.
Ad esempio, un paziente che iperventila, situazione che spesso è su base psicogena.

Disordini misti
Con disordini misti si intende la co-presenza di più disordini.
Ad esempio, un malato con malattia renale cronica che presenza anche una BPCO potrebbe avere un’acidosi
metabolica e respiratoria mista; questo va sospettato e va ricercato.

33A questo punto è importante ricordare l’equazione di Henderson-Hasselbach, non tanto per i valori numerici,
quanto per ricordare che il pH è funzione diretta della concentrazione dei bicarbonati e della paCO2.
Infatti, una volta appreso questo concetto, si capirà come approcciarsi al paziente e come interpretare il
risultato dell’emogasanalisi.

MECCANISMI DI COMPENSO
Tutto quello che avviene nel malato in termini di disturbi acido-base causa una risposta secondaria o un
adattamento, che hanno come obiettivo quello di mitigare le variazioni di pH indotte dal disturbo primitivo: lo
scopo dell’organismo è infatti quello di mantenere l’omeostasi, perciò un pH ematico di 7.4.

33
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123
Se il primo disturbo è metabolico, con una variazione della concentrazione di bicarbonati, l’adattamento sarà
respiratorio, quindi avverrà una modificazione della pCO2 grazie all’intervento polmonare; viceversa, se il primo
disturbo è respiratorio, legato alla paCO2, l’adattamento sarà a livello renale, quindi metabolico.

I possibili compensi sono:


• In caso di acidosi metabolica il meccanismo di compenso sarà respiratorio con riduzione della pCO2.
Ad esempio, se un paziente dovesse avere un abbassamento dei bicarbonati, ad esempio a 14 mEq/L,
per compensare si avrà una diminuzione della pCO2 al di sotto dei 40 mmHg; se questo adattamento non
viene messo in atto o non è adeguato, a meno di non aver intercettato l’evento iperacuto, il soggetto
presenterà un disturbo misto in quanto avrà 14 mEq/L di bicarbonati, quindi un’acidosi metabolica, e un
valore fisiologico o superiore ai 40 mmHg di pCO2, quindi un’acidosi respiratoria.
• In caso di alcalosi metabolica, condizione in cui i bicarbonati aumentano, il meccanismo di compenso
sarà respiratorio con aumento della pCO2
• In caso di acidosi respiratoria, condizione in cui la pCO2 aumenta, il meccanismo di compenso sarà
metabolico con aumento dei bicarbonati.
• In caso di alcalosi respiratoria, condizione in cui la pCO2 diminuisce, il meccanismo di compenso sarà
metabolico con diminuzione dei bicarbonati.

Il professore mostra una tabella,


fondamentale per poter
interpretare correttamente i
risultati delle emogasanalisi, dove
sono riportati i tassi di correzione
dei vari meccanismi che vengono
messi in atto per compensare i
disturbi acido-base.
Particolarmente importante è il
tasso di correzione dell’acidosi
metabolica, ossia 1.2 mmHg per
mEq/L34: quando si ha un’acidosi
metabolica, perciò, ci si aspetta una variazione di pCO2 della stessa entità della variazione di bicarbonati; ad
esempio, riprendendo il precedente caso del paziente con acidosi metabolica causata da livelli di bicarbonati
pari a 14 mEq/L, il compenso respiratorio sarà adeguato in caso di valori di pCO2 compresi tra 28 e 32 mmHg35.

Il docente analizza ora una parte dell’algoritmo diagnostico che viene riportato di seguito nella sua interezza.
Viene eseguita un’emogasanalisi al paziente:
• Se il pH < 7,4 allora presenta acidemia (o acidosi),. Si deve ricercare l’origine.
• Si guardano i valori dei bicarbonati e della pCO2:
o Se i bicarbonati sono bassi allora il paziente avrà acidosi metabolica
o Se pCO2 è superiore ai 40 mmHg allora il paziente avrà acidosi respiratoria
• Se nell’acidosi metabolica il paziente, oltre ad avere i bicarbonati bassi, presenta anche una pCO2 bassa
allora ha in azione un compenso respiratorio: se il tasso di compenso è 1,2 allora è adeguato e il soggetto
ha un singolo disturbo, se il tasso di compenso è diverso allora c’è un altro problema che coesiste.
Altro esempio di ragionamento diagnostico:
• Se il pH > 7,4 allora presenta alcalemia (o alcalosi). Si deve ricercare l’origine.
• Si osservano i valori dei bicarbonati e della pCO2:
o Se i bicarbonati sono elevati l’origine sarà metabolica
o Se pCO2 è bassa l’origine sarà respiratoria
• Se nell’alcalosi metabolica, oltre ad avere i bicarbonati alti, il paziente presenta anche una pCO2 superiore
ai 40 mmHg allora presenta un compenso respiratorio; se nell’alcalosi respiratoria, oltre ad avere la pCO2
inferiore ai 40 mmHg, il paziente presenta anche una diminuzione di bicarbonati allora ha in atto un
compenso metabolico.

34
Il professore afferma che in realtà il valore che più viene usato nella pratica clinica è 1mmHg per mEq/L.
35
Se il paziente presenta valori diversi, vuol dire che c’è un problema, ad esempio se oltre ad avere 14 di bicarbonati ha anche 5 di pCO2
avrà una acidosi metabolica e alcalosi respiratoria; se invece presenta 14 di bicarbonati e 50 di pCO2, allora avrà sia acidosi metabolica
che respiratoria.
124
GAP ANIONICO
Il gap anionico è un ulteriore strumento utile per
quanto riguarda l’interpretazione dei disturbi
acido-base.
Gli anioni presenti in circolo si suddividono in:
• Anioni non misurabili, quantificati nel calcolo
del gap anionico.
• Anioni misurabili; sono sodio, cloro e
bicarbonato.
Nella variante più semplice, il gap anionico si
calcola facendo la differenza tra la
concentrazione di sodio e la somma tra la
concentrazione di cloro e di bicarbonato: il
valore normale è di 10 ± 2; in caso di ipoalbuminemia sarà necessario prevedere un aggiustamento per
l’albumina.
Il gap anionico può essere:
• Aumentato, indicativo di un accumulo di un anione non volatile. Nelle acidosi metaboliche con gap
anionico aumentato l’anione in eccesso può essere acido lattico (nei pazienti con insufficienza epatica,
ipoperfusi o shoccati), chetoacidi (nei casi di chetoacidosi diabetica) o acidi esterni come metanolo e
glicole etilenico (ingeriti in corso di intossicazioni).
• Non aumentato, indicativo di una perdita di bicarbonati, la quale deve essere compensata da un aumento
del cloro plasmatico, come avviene in caso di insufficienza renale o diarrea.
36 Per esempio, un malato con insufficienza renale o con diarrea che si presenta con 14 mEq/L di

bicarbonati e 115 mEq/L di Cl, ha un’acidosi metabolica ipercloremica, in cui il gap anionico è invariato
(perché le variazioni di bicarbonati e cloro sono uguali ma di segno opposto).

GAP OSMOLARE
Il gap osmolare è un ulteriore strumento utile per quanto riguarda l’interpretazione dei disturbi acido base;
non viene usato spesso, ma è utile nella valutazione del paziente.
Può infatti essere misurata l’osmolarità attraverso la formula:

Il valore normale è compreso fra 280 e 300 mmol/L: nel caso in cui l’osmolarità plasmatica calcolata con la
formula sia normale ma l’osmolarità plasmatica misurata con l’osmometro sia aumentata (>10), significa che
è presente un accumulo di un acido esogeno.
Questo, insieme al gap anionico, fornisce un altro dato che risulta essere utile soprattutto per le intossicazioni
da etanolo e metanolo.

36
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Sbobinatore: 218-21
Revisore: 21-218
Materia: Nefrologia
Docente: Federica Mescia
Data: 02/05/2023
Lezione n°7
Argomento: Nefropatie tubulo-interstiziali e
infezioni delle vie urinarie

NEFROPATIE TUBULO-INTERSTIZIALI
È utile pensare al rene, in termini di funzionamento
fisiologico, dividendolo in 4 compartimenti, ognuna
con le proprie funzioni coordinate per la corretta
funzione dell’apparato, a cui si associano però
specifiche malattie. I 4 compartimenti sono i
glomeruli, il tubulo interstizio, i vasi e le vie
escretrici.

Il tubulo interstizio è formato da tubuli adiacenti l’uno


all’altro, tra cui normalmente non è visibile tessuto
connettivo. Quando il tessuto connettivo è visibile e
non più uno “spazio virtuale”, è indice di una qualche
patologia: solitamente si può avere infiltrato
infiammatorio linfo-monocitario e edema infiammatorio, con i tubuli che, per far spazio all’edema che si
crea, vanno a distanziarsi tra loro. In alcune forme infiammatorie croniche, possono formarsi manifestazioni
peculiari quali i granulomi: la loro formazione può dare indizi sulla malattia che li ha originati, ma non sono
considerabili patognomici, perché più di una malattia può causarli. Quando questa infiammazione persiste ed
evolve nel tempo, può accumularsi collagene, causando fibrosi interstiziale e atrofia dei tubuli, con
conseguente diminuzione della funzione renale. Nelle due immagini sottostanti sono visibili due reperti
istologici provenienti da pazienti con malattia interstiziali acuta e cronica. Partendo dalla malattia acuta, è
visibile un reperto molto differente rispetto ad un campione renale normale con particolari molto caratteristici
che identificano la malattia:
• i tubuli non sono vicini a causa dell’interstizio, che è prominente;
• puntini blu che rappresentano l’infiltrato infiammatorio;
• edema, rappresentato dallo spazio bianco tra le cellule infiammatorie.

Se questo soggetto cronicizzerà, andrà incontro:


• Modificazioni strutturali dei tubuli che diventano distorti e dilatati;
• una prominenza importante delle lamine basali e aspetti di tionizzazione;
• raccolte di materiale Infiammatorio1 all’interno dei tubuli;
• raccolte collageniche nell’interstizio.

Le malattie interstiziali possono essere divise in primarie e secondarie: nelle primarie la malattia colpisce
direttamente il complesso tubulo-interstiziale, mentre nelle secondarie il complesso del tubulo viene coinvolto
come conseguenza dell’evoluzione cronica di una malattia a carico di un altro compartimento renale.

1 In nessuna delle registrazioni era chiaro cosa venisse detto a lezione


127
In ambito diagnostico, è fondamentale l’aspetto istologico del tubulo-interstizio: nel momento in cui trovo danno
tubulo-interstiziale cronico, fibrosi interstiziale e atrofia tubulare (IFTA: interstitial fibrosis tubular atrophy) alla
biopsia, sappiamo che il paziente ha grosse probabilità di avere una nefropatia progressiva che porterà a
perdere la funzione renale rispetto ad una sua controparte con la stessa patologia originale ma senza danno
tubulo interstiziale cronico.

La distinzione principale nelle patologie tubulo-interstiziali viene fatta in base alla eziologia:
• Genetiche;
• Infezione;
• Esposizioni tossiche (farmaci2, metalli pesanti);
• Immunomediate, che si dividono anch’esse in due meccanismi per cui possono presentarsi
o Causate da malattie autoimmunitarie;
o Dovute ad esposizione a farmaci che hanno avuto un’azione scatenante causando l’attacco del S.I.
contro il tubulo.

Bisogna anche distinguere una malattia acuta da una cronica e per far questo, solitamente si tiene conto della
modalità di insorgenza: in entrambe avremo una infiammazione e conseguente insufficienza renale, ma nella
malattia acuta queste si svilupperanno in modo più veloce rispetto alla malattia cronica, con la possibilità di
presenza di dolore solitamente localizzato a livello dei fianchi 3. Nelle malattie croniche l’evoluzione sarà più
lenta e spesso silente, rendendo la malattia difficile da diagnosticare.
Per la diagnosi sono fondamentali le analisi di laboratorio e il controllo della funzione renale per confermare
il sospetto diagnostico. Un esame fondamentale per le nefropatie solitamente è l’esame delle urine, ma nelle
malattie tubulo-interstiziali è relativamente povero: le alterazioni sono molto sommarie, per esempio in un caso
su 5 l’albumina risulta normale (andando ad ingannare togliendo sospetti verso una malattia renale), quindi la
malattia verrà riconosciuta solamente più tardi, quando ci sarà un decadimento della funzione renale con un
aumento della creatinina e oliguria, conseguenti all’insufficienza renale.
Ci sono alcuni parametri che però risultano essere utili:
• Piuria sterile→ presenza di leucociti nelle urine ma urinocoltura negativa. Indice di infiammazione con
assenza di infezione.
• Cilindri leucocitari→ Parametro più indicativo, vengono trovate
nelle urine formazioni cilindriche di leucociti complessati a
proteine, che si sono accumulati a livello del tubulo formando una
sorta di “calco”. Indicano la presenza di infiltrato infiammatorio
sono formazioni cilindriche nel tubulo che vanno a fare una sorta
di “calco del tubulo”. Indicano la presenza di infiltrato
infiammatorio.
• Ematuria→ può essere presente ma non è specifica
• Proteinuria→ se presente solitamente è molto modesta, 1-
2g/24h massimo e prevalentemente tubulare (α-1 microglobulina
e β-2 microglobulina)4, indice del danneggiamento del tubulo che
risulta non essere in grado di riassorbire queste proteine.
• Eosinofiluria→ presenza di eosinofili nell’urina, era considerato un segno indicativo nelle malattie del
tubulo-interstizio, soprattutto nelle patologie causate da farmaci su base allergica, ma è stato dimostrato
da studi successivi non essere né specifica né sensibile.
Anche la biopsia renale, che solitamente è un esame fondamentale, in queste patologie viene raramente
fatta, perché seppur confermi la patologia non permette di distinguerne le varie forme. Ciò che si cerca nella
biopsia sono segni di IFTA, ma questo ritrovamento all’istologico non permette di riconoscere le varie forme
di tubulopatia, non andando ad incidere davvero sulla diagnosi e la terapia.

SEGNI DI TUBULOPATIA
Esistono segni che, quando presenti, indicano patologie tubulo-interstiziali. Sono presenti soprattutto in
pazienti cronici e variano molto a seconda del segmento di tubulo che viene colpito, perchè i diversi segmenti
riassorbono sostanze diverse; quindi, verificando la composizione delle sostanze che vengono espulse (e
quindi non riassorbite), si potrà risalire al comparto del tubulo che è stato colpito.

2 Il litio per il trattamento del disturbo bipolare è uno dei fattori più frequenti
3 Dovuto all’espansione della capsula renale a causa dell’infiammazione. Non sempre è presente e non è indice
specifico di malattia tubulare.
4 Al contrario nelle patologie glomerulari si perde per la maggior parte albumina

128
Per quanto riguarda il tubulo prossimale, è osservabile la cosiddetta Sindrome di Fanconi, dove abbiamo
una perdita nelle urine di tutte quelle sostanze che normalmente verrebbero assorbite dal prossimale (che è
la porzione che solitamente ha ruolo maggiore nel riassorbimento). Troveremo quindi nelle urine:
• Glicosuria normoglicemica→ al contrario dei pazienti diabetici, non siamo di fronte a glicosuria dovuta
ad una concentrazione di glucosio maggiore rispetto alla soglia di riassorbimento tubulare, ma ad una
concentrazione di glucosio normale che sarebbe riassorbibile dal tubulo, passa comunque nelle vie
escretrici a causa della tubulopatia.
• Amminoaciduria
• Iperkalemia
• Uricosuria, con conseguente uricemia bassa
• Fosfaturia
• Acidosi tubulare di tipo 2 con bicarbonaturia (clinicamente importante)→trovare nelle urine
bicarbonato, che normalmente viene riassorbito a livello del prossimale, è indice importante di patologia a
livello del tubulo prossimale. È un’acidosi difficile da correggere.

Patologie che riguardano il tubulo distale invece sono:


• Diabete insipido nefrogenico→ il tubulo distale ha il ruolo fondamentale nella regolazione della
concentrazione finale delle urine, andando a riassorbire l’acqua tramite le acquaporine. A causa della
patologia però i pazienti quando si idratano poco non riusciranno più a concentrare abbastanza le urine e
quindi saranno poliurici e caratterizzati da accentuata polidipsia 5. Se per qualche motivo non possono
avere accesso all’acqua, avranno condizioni di ipernatremia da perdita eccessiva di acqua a livello del
rene che non compensa adeguatamente
• Acidosi tubulare di tipo 4→ il rene riassorbe bene il bicarbonato ma non lo rigenera a livello distale;
quindi, si avrà una acidosi renale a livello distale che sarà però molto più semplice da correggere, andando
per esempio semplicemente ad adeguare la dieta andando così da normalizzare il livello di bicarbonato
necessario per i pazienti.

NEFRITE INTERSTIZIALE ACUTA6


A causa del basso numero di biopsie renali eseguite per questi quadri clinici, questa patologia viene spesso
sottodiagnosticata. Nonostante questo, si trovano nefriti interstiziali acute nel 15% delle biopsie eseguite.
Ci sono 3 cause principali all’origine di questa patologia, che guidano l’iter diagnostico e terapeutico:
• Nefrite interstiziale acuta da farmaci
• Da reazioni autoimmunitarie
• Da infezioni

NEFRITE INTERSTIZIALE ACUTA DA FARMACI


La causa più ricorrente è la nefrite acuta conseguente ad assunzione di farmaci, che può presentarsi in due
modalità differenti: può essere causata dalla nefrotossicità intrinseca del farmaco, o da una reazione
allergica ad esso, andando a causare una reazione immunomediata idiosincrasica (non dose dipendente).

Nella nefrite acuta allergica, la patologia non dipende dalla dose perché è il sistema immunitario stesso che
determina la comparsa della patologia. La patogenesi non è ben compresa, ma si pensa sia coinvolta
l’ipersensibilità di tipo 4, dove si ha una reazione cellulo-mediata che in qualche modo viene slatentizzata dalla
presenza del farmaco. I soggetti a rischio sono gli anziani e i pazienti con insufficienza renale cronica.
La lista di farmaci conclamati che possono causare una nefrite interstiziale è lunghissima, anche se in realtà
qualunque farmaco può essere sospettato ed essere nefrotossico; quindi, ad orientare è più il quadro clinico
e l’anamnesi farmacologica7 del paziente (anche integratori, farmaci da banco o qualunque sostanza assunta).
Il tempo di latenza tra l’assunzione del farmaco e l’insorgenza della nefrite può essere molto variabile: il tempo
minimo solitamente è tra i 7 e i 14 giorni nel caso di una prima esposizione al farmaco (il tempo necessario
per una risposta immunitaria naive), ma può essere anche solamente 3-5 giorni in caso il paziente sia già
entrato in contatto con il farmaco scatenante. Ci sono anche casi in cui la nefrite può insorgere dopo settimane
o mesi.

5 Intensa sensazione di sete necessaria per mantenere il bilancio dell’acqua


6 (AIN: acute interstitial nephritis)
7 Soprattutto in pazienti con sospetta patologia interstiziale e/o con peggioramento acuto o subacuto della funzione

renale
129
I meccanismi patogenici non sono chiari, ma ci sono due ipotesi:
• Il farmaco si comporta da aptene, andando a legarsi con componenti della membrana basale tubulare,
causando modificazioni alle proteine self ed innescando la risposta del sistema immunitario contro il
neoantigene formatosi. In questo caso con la rimozione della terapia la situazione si ristabilizza;

• Il farmaco presenta mimetismo molecolare: la risposta immunitaria è rivolta verso il farmaco, ma questo
ha caratteristiche chimico-fisiche per cui c’è cross-reattività tra esso e antigeni endogeni a livello del
tubulo, causando quindi danno al compartimento tubulare interessato. Per quanto sia necessaria la
presenza del farmaco per sostenere la risposta immunitaria, in questo caso la sospensione della terapia
potrebbe non essere risolutiva.

L’aspetto all’istologico è quello di una nefrite interstiziale qualunque, senza elementi particolari che possano
indicare che sia una forma conseguente all’assunzione del farmaco. Ci sono i soliti segni di edema (le zone
bianche, evidenziate dai cerchi bianchi) e infiltrato monocitario nell’interstizio, indice di patologia. Le uniche
particolarità sono la presenza di eosinofili e la maggior infiammazione a livello della zona midollare del rene:
si pensa che il farmaco, a causa del meccanismo di concentrazione dell’urina, possa raggiungere la massima
concentrazione in quest’area del rene, dando quindi dei piccoli indicatori dell’origine della malattia. Possono
anche essere presenti dei granulomi (cerchio nero), che però come detto in precedenza non sono patognomici.

FARMACI ASSOCIATI A NEFRITE INTERSTIZIALE ACUTA

Antibiotici
I farmaci che più frequentemente causano nefrite interstiziale acuta sono sicuramente gli antibiotici (come i
beta-lattamici, chinoloni ecc.). Storicamente la nefrite interstiziale acuta è stata scoperta proprio come azione
avversa alla meticillina, con reazioni allergiche e sistemiche importanti associate a rush, febbre ed eosinofili.
Ancora oggi la presenza di questa triade di sintomi può essere significativa per la diagnosi, ma la sua presenza
è diventata più una eccezione che una regola. Circa 9 pazienti su 10 non presentano questi sintomi, quindi è
importante non farsi ingannare dalla loro assenza. Il reale campanello d’allarme più frequente a cui stare attenti
è l’insufficienza renale acuta o subacuta, che si presenta dopo i canonici giorni di latenza dall’assunzione
del farmaco incriminato.
Un esempio di antibiotico nefrotossico è la Rifampicina: è associata a forme di nefrite caratterizzate da una
rapida progressione, soprattutto in caso di assunzione ripetute, che portano alla dialisi dopo solo pochi giorni

Fans

130
Il secondo gruppo di farmaci che causano nefrite interstiziale sono i FANS. Possono dare nefrotossicità tramite
meccanismi diversi, tra cui, in primis, meccanismi emodinamici causati dalle loro azioni vasocostrittrici
conseguenti alla loro azione sulle prostaglandine.
La nefrite interstiziale da FANS può essere molto insidiosa a causa della sua lunga latenza che rende difficile
l’associazione tra malattia e fattore scatenante, complicando la diagnosi. Un possibile elemento che può destar
sospetti è la concomitanza tra sindrome nefrosica e proteinuria importante, perché i FANS possono causare
podocitopatia o una glomerulopatia membranosa; quindi, contemporanea patologia interstiziale e glomerulare
può far aumentare il sospetto che siano entrambe secondarie all’assunzione del farmaco, che dovrà essere
obbligatoriamente sospeso.

Inibitori della pompa protonica


Il loro ruolo nelle nefriti interstiziali è stato riconosciuto solo recentemente, questo perché la latenza tra
l’insorgenza della malattia e l’assunzione del farmaco è ancor più lunga della patologia causata dai FANS,
arrivando anche a mesi di distanza tra la terapia ed i primi sintomi. Ha un andamento subacuto.
È importante riconoscere queste patologie, soprattutto data la grande diffusione di questi farmaci anche tra i
pazienti in terapia e/o con co-morbidità e quindi già a rischio di disfunzioni renali.

Il primo e più difficile step nel trattamento di queste forme di nefriti è il riconoscimento stesso dell’origine della
patologia, per poi passare all’iter terapeutico vero e proprio:
• Interruzione del farmaco responsabile→ spesso non si riesce a identificare il singolo farmaco, quindi
bisognerà andare per tentativi, sospendendo tutti i farmaci che è possibile sospendere. Non esiste un
corrispettivo delle prove allergiche che possa provare l’effettiva reazione del paziente ad un certo farmaco;
• Somministrazione glucocorticoidi→ il cortisone è utilizzato per accelerare il recupero funzionale,
soprattutto nelle forme progressive, favorendo la diminuzione dell’infiammazione in un modo più rapido
rispetto a quanto accadrebbe con la sola interruzione del farmaco;
• Evitare re-challenge→ educare il paziente per far si che eviti nuove esposizioni al farmaco causa delle
reazioni allergiche.

Inibitori del check-point immunitario


Un nuovo capitolo nella patogenesi della nefrite
interstiziale è dato dagli inibitori del check-point
immunitario, dei nuovi farmaci sempre più usati
in oncologia in grado di cambiare
completamente il decorso di una patologia
tumorale. Gli inibitori del checkpoint agiscono
vanno su meccanismi di regolazione
immunitaria dei linfociti, prendendo come target
CTLA-4 o PD-1, fondamentali per controllare
sia la risposta immunitaria nei tumori sia
l’autoimmunità. Il tumore, aumentando
l’espressione dei ligandi (PD-L1) dei recettori
(PD-1) delle cellule T, va a sopprimere la
risposta immunitaria8. Utilizzando i farmaci
inibitori del check-point immunitario, che sono
anticorpi monoclonali anti PD-1 e CTL-4, si
va a risvegliare l’immunità antitumorale.
Promuovendo questi pathway che inducono
un’importante risposta immunitaria, si possono
avere importanti eventi avversi che sono sostanzialmente eventi autoimmunitari slatentizzati dalla terapia.
Il numero di casi di reazioni autoimmunitari successive all’assunzione di questi farmaci è in aumento e possono
riguardare qualunque organo. Sono frequenti coliti, enteriti o anche attacchi a ghiandole come tiroide ed ipofisi.
Tra queste reazioni autoimmunitarie c’è anche la nefrite interstiziale (la più frequente tra le reazioni
autoimmunitarie renali), seppur segua con un meccanismo diverso rispetto alle altre nefriti causate da farmaci:
in questo caso non c’è un farmaco che fa da aptene o dia una cross-reazione, ma è il check point immunitario
stesso che va a slatentizzare l’immunità andando a causare una risposta autoimmunitaria contro il tubulo-
interstizio. Si pensa anche che gli inibitori del check-point possano favorire le nefriti causate da altri farmaci
(come quelli inibitori delle pompe protoniche), infatti nel trattamento della patologia causata da questi farmaci
inibitori, uno step è del trattamento è la sospensione di tutti gli altri farmaci che potrebbero favorire l’insorgenza

8 Il tumore, infatti, stimola l’apoptosi delle cellule T, come mostrato in figura .


131
della malattia. Da una recente ricerca casistica nei pazienti che hanno sviluppato nefrite interstiziale durante
la terapia con inibitori del check point, si è scoperto che il tempo mediano di latenza è di 16 settimane, anche
se si sono visti casi anche dopo mesi dalla sospensione della terapia 9. Una terapia corticosteroidea porta
discrete possibilità di recupero renale, con un completo recupero in due pazienti su tre
Infine, a differenza di altri farmaci, il re-challenge (una seconda assunzione del farmaco) è considerabile a
seguito di una corretta valutazione dei rischi e dei benefici: si è visto che solamente in un paziente su cinque
si sviluppa una nefrite recidiva.

NEFRITE INTERSTIZIALE ACUTA AUTOIMMUNE


Il rene e, soprattutto, il compartimento tubulo interstiziale, possono essere colpiti da reazioni autoimmuni
sistemiche il cui meccanismo è solamente immunomediato, in cui non sono coinvolti i farmaci.
Le malattie più frequenti sono la sarcoidosi, la sindrome di Sjogren e la sindrome da iper-igG4, e sono
tutte delle patologie sistemiche, in cui il rene è solo uno degli organi colpiti. In queste malattie, è proprio il
quadro sistemico che ci orienta alla diagnosi, andando ad unire tra loro tutti i sintomi del paziente piuttosto che
inquadrarli singolarmente. È infatti importante in un quadro dove non c’è una patologia sistemica conclamata,
fare anamnesi farmacologica e anamnesi generale, così da evitare di perdere altre alterazioni che potrebbero
nascondere la malattia sistemica a cui la nefrite interstiziale si associa.
Per esempio, nel caso della sarcoidosi, dovremmo indagare vari sintomi presenti contemporaneamente alla
nefrite, cercando per esempio sintomi causati da infiammazione sistemica (problemi respiratori, rush cutanei,
febbre, fatica, problemi alla vista e artralgie).
Un'altra possibile patologia è la sindrome TINU (tubular interstitial nephritis uveatis) dove vengono colpiti
occhio e reni, con l’occhio che “segue” il rene, cioè viene colpito solo successivamente, dando l’impressione
di trovarsi davanti solamente ad una semplice nefrite e non di una malattia sistemica. È più comune nei reparti
pediatrici.
Più raramente si possono trovare malattie come il Lupus o vasculiti che solitamente creano problemi a livello
glomerulare.
In assenza di malattie sistemiche o farmaci scatenanti, possiamo trovarci di fronte a malattie autoimmuni di
origine idiopatica, ovvero malattie a base autoimmune, con la presenza di certi anticorpi che vanno a colpire
la membrana basale tubulare o l’orletto a spazzola dei tubuli prossimali. Questi anticorpi sono stati trovati solo
in alcune ricerche e ci sono poche pubblicazioni a riguardo; quindi, non vengono mai chiesti di routine in
condizioni normali. In laboratorio forse tra qualche anno potranno essere ricercati con più costanza, ma al
momento la diagnosi viene fatta perlopiù basandosi sull’esclusione delle altre possibilità.
Nefriti interstiziale acuta da infezione
Storicamente le infezioni erano la causa principale delle nefriti tubulo-interstiziale, mentre ad oggi si tratta di
casi limitati a soggetti immunodepressi. Possiamo avere:
• Infezioni virali→ le più rappresentate soprattutto in soggetti immunodepressi, come i trapiantati di rene
dove spesso si presentano nefriti interstiziali da Poliomavirus BK, virus che può trovarsi latente nell’urotelio
e si riattiva in caso di immunosoppressione. In questi casi la prima mossa da fare è alleggerire la terapia
immunosoppressiva per permettere una risposta difensiva. Altri virus rilevanti sono Adenovirus, CMV,
EBV, HIV, Hantavirus, SarsCOV2;
• Infezioni fungine→ come istoplasmosi o coccidioicosi, si tratta di forme endemiche per cui risulta rilevante
l’anamnesi del paziente sui viaggi all’estero, in particolare nelle Americhe;
• Infezioni batteriche→ da Brucella, Chlamydia, Francisella, Legionella, Leptospira o Streptococco;
• Parassiti→ come Leishmania o Toxoplasma;
• Micobatteri→ come tubercolosi o lebbra.

Per nefriti interstiziale da infezione ci si riferisce alla presenza degli agenti infettivi nel rene con conseguente
risposta infiammatoria, ma più spesso l’interessamento renale è secondario, ad esempio:
• In corso di sepsi si può avere una necrosi tubulare acuta a causa della spropositata risposta infiammatoria;
• In seguito all’assunzione di farmaci antimicrobici per contrastare un’infezione batterica si possono avere
nefriti interstiziali acute da farmaco.

9 questo perché l’effetto immunomodulante può rimanere più a lungo.


132
Nell’immagine è riportato un esempio di nefrite da
infezione di Poliomavirus BK, dove possiamo notare la
presenza di nuclei irregolari dati da inclusione nei
nuclei del citoplasma.

NEFROPATIE TUBULO-INTERSTIZIALI CRONICHE


Si sviluppano più gradualmente rispetto a quelle acute e possono essere dovute a:
• Malattie genetiche;
• Esposizione prolungata nel tempo a Farmaci o tossici→ in questo caso il meccanismo patogenetico
non è immuno-mediato come nelle forme acute ma è dovuto alla tossicità dose/tempo dipendente di alcune
sostanze come i metalli pesanti, gli analgesici, l’acido aristolochico e il litio;
• Chronic Kidney Disease of unknow origin (CKDu) → sono nefropatie corniche endemiche in zone rurali
con particolari fattori di rischio.

Nefropatie da metalli pesanti


Con metalli pesanti facciamo riferimento a cadmio, piombo, mercurio e arsenico che hanno una diretta
tossicità tubulare. Un’esposizione significativa ad essi per periodi prolungati, per motivi lavorativi o per
contaminazione ambientale, causa un danno cronico ai tubuli e conseguentemente una nefropatia tubulo-
interstiziale cronica.
È solo l’anamnesi e l’alta concentrazione ematica e urinaria di queste sostanze che possono orientarci
verso una diagnosi.
Non esistono particolari differenze tra le varie forme se non che l’esposizione al piombo è caratterizzata da
un’iperuricemia particolarmente marcata.

Nefropatie da analgesici
Forma storica di nefropatia ad oggi poco rappresentata. La
nefrite da analgesici è una nefrite tubulo-interstiziale cronica
secondaria all’impiego prolungato nel tempo di una
combinazione di tre farmaci antidolorifici: la fenacetina
(profarmaco del paracetamolo), l’aspirina e la caffeina.
Questa miscela, ritirata dal commercio negli anni ’80, era
particolarmente nefrotossica per la combinazione tra lo stress
ossidativo causato dalla fenacetina e gli effetti vasocostrittrivi
dell’aspirina e della caffeina, questi infatti causano necrosi
delle papille renali (puntini bianchi nel riquadro) che possono
staccarsi e dare origine a coliche renali. Anche una volta
sospesa l’assunzione di questo cocktail di farmaci permane un
elevato rischio di neoplasie uroteliali.

Nefropatia da acido aristolochico


L’acido aristolochico è un alcaloide presente nelle piante del genere Aristolochia, diffuse anche in Europa,
e causa genotossicità per la sua capacità di formare addotti tra l’aristolattame ed il DNA. Le principali
manifestazioni dovute a esposizione prolungata nel tempo sono la nefrite tubulo-interstiziale cronica e
un’elevata incidenza di carcinomi uroteliali delle alte vie urinarie.

L’acido aristolochico si è dimostrato essere la principale nefrotossina in due diverse forme di nefrite tubulo-
interstiziale:
133
• Nefropatia da erbe cinesi è stata osservata negli anni ’90 su giovani donne che assumevano dei preparati
dimagrenti di erbe cinesi che contenevamo quantità elevate di acido aristolochico. L’esposizione
prolungata a questi composti portava a nefriti interstiziali clinicamente rilevanti con insufficienza renale
cronica progressiva che spesso le costringeva a dialisi dopo 1 o 2 anni dall’inizio dell’assunzione dei
preparati. Le piante del gene Aristolochia sono ancore utilizzati in alcuni preparati tradizionali cinesi.
• Nefropatia endemica dei Balcani colpiva soprattutto pazienti che abitavano in zone rurali lungo il
Danubio (Bulgaria, Bosnia, Croazia, Romania, Serbia). Si avevano manifestazione di nefropatie a lenta
evoluzione per un’esposizione prolungata nel tempo a basse concentrazioni dovute a contaminazione del
grano alimentare da parte di piante di Aristolochia.

Nefrotossicità da Litio
Il Litio è un farmaco fondamentale nel trattamento del disturbo bipolare come stabilizzatore dell’umore e
nonostante notevoli progressi nella farmacologia psichiatrica rimane spesso un farmaco difficilmente
sostituibile. Il litio ha un particolare tropismo per il dotto collettore, in particolare per il canale epiteliale del
Na+ (ENaC) attraverso cui il litio riesce ad entrare nelle cellule principali del dotto collettore.
La nefrotossicità da litio si manifesta con due quadri principali:
• Diabete insipido nefrogenico→ è la forma più frequente, si ha una downregolazione delle acquaporine
da parte del litio che entra nelle cellule del dotto collettore, portando ad una resistenza all’ormone
antidiuretico (ADH) con conseguente poliuria, polidipsia e tendenza all’ipernatremia, soprattutto se il
paziente non si idrata correttamente. In genere questa manifestazione non dà insufficienza renale e
l’accorgimento fondamentale è l’idratazione del paziente.
• Nefropatia tubulo-interstiziale cronica→ è meno frequente ma è comunque rappresentata in 1/5 dei
pazienti con esposizione prolungata (10/20 anni). La possibilità di avere questa complicanza, oltre che
avere correlazione con la dose, dipende anche da fattori di predisposizione individuale non ancora
compresi del tutto. Il quadro clinico è quello di un’insufficienza renale con presenza di piccole cisti e
dilatazioni a livello dei tubuli distali e dei dotti collettori.

Nell’immagine si osservano alterazioni radiologiche


che conferiscono al rene un aspetto tarlato dovuto alla
presenza delle microcisti tipiche delle nefropatie
croniche da litio.

Chronic interstitial nephritis in agricultural communities (CINAC)


Le CINAC sono le nefriti interstiziali croniche epidemiologicamente più rilevanti, si tratta di nefropatie
endemiche in particolari comunità rurali in zono tropicali, in particolare si distinguono tre nefropatie in base alla
collocazione geografica:
• Nefropatia meso-americana (Nicaragua, El Salvador, Costa Rica)
• Nefropatia dello Sri Lanka
• Nefropatia di Uddanam (India)

Il meccanismo patogenetico non è ancora chiaro, gli studi che sono stati fatti mostrano che forme di
insufficienza renale dovute a nefriti tubulo interstiziali colpiscono soprattutto giovani uomini in età lavorativa
che svolgono lavori pesanti e spesso in posti caldi. Oltre a un effetto ambientale e dell’esposizione
occupazionale sono verosimilmente presenti anche una predisposizione genetiche e correlazioni con agenti
infettivi. Per quanto riguarda la nefropatia meso-americana è stato riscontrato il ruolo di:
• Tossine, metalli pesanti, pesticidi che possono contaminare l’ambiente e le falde acquifere;
• L’esposizione al caldo ha due effetti:
o Aumento della temperatura interna→ favorisce la disfunzione renale e la rabdomiolisi;
o Disidratazione con diminuzione del volume cellulare→ causa iperosmolarità e precipitato di urato
• Agenti infettanti come Leptospira o Hantavirus.

134
INFEZIONI DELLE VIE URINARIE
In caso di pielonefriti, infezioni delle vie urinarie alte con interessamento del rene, si ha un’infiammazione
tubulo interstiziale ma circoscritta che generalmente non porta a una diminuzione della funzionalità renale e
per questo non sono considerate nefriti tubulo-interstiziali.

Sindromi da infezioni delle vie urinarie


• Batteriuria asintomatica→ in questo coso l’urinocoltura sarà positiva in assenza di segni o sintomi di
infezione, si ha dunque la colonizzazione della vescica da parte di batteri che però non viene generalmente
trattata. Solo in caso di gravidanza o di pazienti che devono andare incontro a procedure urologiche si
fanno urinocolture e si trattano infezioni asintomatiche;
• Cistite→ infezione sintomatica delle basse vie urinarie;
• Prostatite→ che solitamente si presenta insieme alla cistite;
• Pielonefrite→ infezione delle alte vie urinarie;
• Batteriuria associata a catetere vescicali→ che può essere sintomatica o asintomatica.

Epidemiologia
• Le cistiti sono più frequento in bambini e adulti tra 1 e 50 anni. In questa fascia di età si presentano con
una netta prevalenza nelle donne predisposte per fattori anatomici, si stima che l’80% delle donne abbia
almeno un episodio nel corso della vita e che il 20-30% presentano episodi multipli;
• Al di sotto dell’anno di età risultano più predisposti i maschi per una prevalenza di malformazioni
urogenitali;
• Al di sopra dei 50 anni le donne rimangono sempre più colpite ma la differenza si fa sempre più sottile per
l’aumento di ipertrofia prostatica e della ritenzione urinaria che è un importante fattore di rischio nell’uomo.

Aspetto microbiologico
Generalmente le infezioni di origine batterica sono molto più frequenti rispetto ad altri agenti patogeni. I batteri
principalmente coinvolti nelle infezioni urinarie sono batteri commensali della flora intestinale e vaginale, in
particolare E.coli che è il principale componete della flora batterica e risulta essere responsabile del 80% delle
infezioni, piuttosto frequente è anche lo Staphyloccocus Saprophyticus commensale della flora vaginale,
meno rappresentati invece sono Klebsiella, Proteus, Enterococcus fecalis.
Più raramente le infezioni sono causate da Candida Albicans o a causa di tubercolosi genito-urinaria.

Patogenesi delle vie Urinarie


Quando si parla di infezioni delle vie urinarie bisogna sempre tener presente l’equilibrio tra le difese
dell’individuo e i fattori di virulenza dei batteri, esistono infatti batteri molto resistenti che possono dare infezioni
anche in soggetti sani e altri che invece danno infezione solo in pazienti immunologicamente compromessi.

Fattori di virulenza microbici:


• Capacità di adesione all’epitelio vescicale per risalire le vie urinarie. Questa capacità dipende
dall’espressioni genica di alcune proteine come:
o fimbrie di tipo 1 che permettono al batterio di aderire ai recettori del mannosio sull’epitelio vescicale
o fimbrie di tipo P che permettono al batterio di aderire alle cellule tubulari;
• Produzione tossine;
• Produzione biofilm che rende il batterio ancora più aderente alle pareti delle vie urinarie.

Fattori di difesa dell’individuo:


• Fattori genetici→ determinano una diversa suscettibilità all’infezione, si è infatti riscontrato che esiste
una famigliarità nella sensibilità alle infezioni delle vie urinarie;
• pH urinario acido→ tende a limitare la crescita della maggior parte dei batteri;
• Flusso urinario monodirezionale;
• Adeguato svuotamento vescicale;
• Urotelio→ presenta una seria di meccanismi per proteggersi dalle lesioni batteriche;
• Proteina Tamm Horshfal→ è la proteina più abbondante nelle urine e ha un importante ruolo
antibatterico;
• Sistema immunitario competente;
• Flora residente adeguata→ ad esempio i lactobacilli della flora vaginale proteggono dalle infezioni.

135
Fattori predisponenti, che non sono altro che i meccanismi di difesa alterati:
• Fattori che alterano la flora vaginale:
o l’attività sessuale soprattutto con uso di spermicidi che distruggo i lactobacilli della flora vaginale;
o menopausa che porta ad alterazione del pH e quindi altera la flora vaginale predisponendo ad
infezione;
• Immunosoppressione→ può essere causata oltre che da immuno-insufficienze specifiche o da
immunosoppressori, ma anche da diabete mellito o malnutrizione;
• Alterazioni anatomico-funzionali→ interferiscono con il regolare deflusso dell’urina monodirezionale:
o la gravidanza che favorisce stasi urinaria e ipotonicità delle pareti degli ureteri
o ipertrofia prostatica
o citocele
o vescica neurologica, condizione in cui la vescica non si svuota regolarmente con conseguente
ristagno delle urine che facilita la crescita batterica
• Reflusso vescico ureterale;
• Diversioni urinarie→ ad esempio a causa di un intervento di rimozione della vescica essa può essere
sostituita da un’ansa ileale la cui mucosa non presenta le stesse proprietà antibatteriche di quella
uroteliale;
• Presenza di corpi estranei→ stent ureterali, cateteri vescicali, calcolosi;
• Neoplasie→ possono ostacolare il flusso urinario.

CISTITE ACUTA
Sintomatologia clinica:
• Pollachiuria o Nicturia→ se le minzioni avvengono di notte;
• Stranguria→ dolore o bruciore durante la minzione;
• Tenesmo vescicale→ spasmi della vescica soprattutto durante la minzione;
• Urgenza o esitazione minzionale;
• Urine maleodoranti;
• Dolore soprapubico;
• Ematuria→ sia macroscopica che microscopica.

La sintomatologia delle prostatiti è piuttosto simile a quella della cistite acuta, con la differenza che spesso si
abbia un quadro sistemico più importante caratterizzato da: febbre, brividi, dolore intenso irradiato a tutta
la zona pelvica e perineale.

La diagnosi delle infezioni delle vie urinarie è fatta già in base ai segni clinici, per confermarla però abbiamo
due esami fondamentali:
• Esame urine in cui si valutano la presenza di:
o Leucocitosi
o Nitriti→ possono essere presenti ma la loro assenza non esclude l’infezione. Dipende anche dal tipo
da batterio, perché solo le enterobatteriacee sono in grado di ridurre i nitrati in nitriti aumentandone la
concentrazione, mentre altri batteri some il S. Saprophyticus non sono in grado di dare questa reazione.
o Ematuria
• Urocultura→ importante non solo per confermare la diagnosi ma anche per fornirci informazioni sulla
suscettibilità del germe all’antibiotico mediante antibiogramma. In generale si usa come limite di positività
dell’Urocultura la presenza di almeno 10^5 unità di colonie per ml di urina, questa soglia scende a 10^3 in
presenza di cistiti sintomatiche e a 10^4 in presenza di sintomi di pielonefriti.

PIELONEFRITI
Vie di infezione:
• Via ascendente→ si tratta di una complicazione di un’infezione delle basse vie in cui germi sono in grado
di risalire lungo le vie urinarie fino ad arrivare ad infettare il parenchima renale;
• Via ematogena→ quando è in corso un’infezione sistemica i germi possono raggiungere anche il rene e
dare origine a un focolaio pielonefritico secondario alla sepsi con batteriemia sistemica. In questo caso
avremo sia emoculture che uroculture positive, esempi di patogeni che portano solitamente a questa
complicanza sono Stafilococco Aureus, Salmonella o Candida;
• Via linfatica o per continuità→ in questo caso il focolaio infettivo principale è a livello
addominale/intestinale/retroperitoneale e il rene viene interessato solo secondariamente perché i germi
sfuggono attraverso il sistema linfatico.
136
Sintomatologia clinica della pielonefrite acuta:
• Febbre elevata
• Dolore lombare e all’angolo costo-vertebrale→ all’esame obbiettivo porta alla positività del segno di
Giordano
• Nausea e vomito
• Sintomi di cistite possibili ma non necessariamente presenti
• Alterato stato mentale nell’anziano

Casi particolari:
• Necrosi papillare in pazienti diabetici→ le papille sono le zone più profonde della midollare in cui la
tensione di O2 è particolarmente bassa e quindi sono particolarmente a rischio ischemico. La papilla in
necrosi inoltre può distaccarsi e andare ad ostruire le vie urinarie dando un quadro clinico simile a quello
della colica renale;
• Pielonefrite enfisematosa da produzione di gas da parte del metabolismo batterico;
• Ascesso renale o perinefritico in caso l’infezione non venga controllata in tempi rapidi

Per la diagnosi sono fondamentali:


• Anamnesi
• Esame urine
• Urocultura
• Imaging dei reni→ necessario in caso di persistenza di febbre oltre le 72 ore dall’inizio della terapia
antibiotica. Viene eseguita spesso e comunque anche nei pazienti fragili, con fattori di rischio, non tanto
per confermare la diagnosi ma per evitare possibili complicanze. Le tecniche di imaging utilizzate sono:
o Ecografia
o TC cmc (con mezzi di contrasto) → è la metodica gold standard nella diagnosi e inquadramento delle
pielonefriti.

In caso di pielonefrite acuta quello che si osserva tipicamente sono


delle aree ischemiche ipodense del rene mal delimitate, presenti nel
riquadro nell’immagine affianco

Nell’immagine accanto invece la freccia nera indica la presenza di


un ascesso renale come complicanza della pielonefrite acuta

In questa immagine invece la lunga freccia bianca indica dell’aria


presente in caso di pielonefrite enfisematosa

137
In questa immagine possiamo osservare come una pielonefrite
si manifesta nella biopsia renale, si notano neutrofili che vanno
a riempire i tubuli.10

Pielonefrite cronica
Le pielonefriti croniche sono il risultato di pielonefriti acute ricorrenti e non trattate adeguatamente. L’eziologia
più frequente è da E.coli. I fattori predisponenti che permettono a una pielonefrite acuta di evolvere in una
forma cronica sono: anomalie strutturali, diabete e immunocompromissione. Proprio per l’importanza di
questi fattori predisponenti spesso si tratta di una patologia bilaterale, si sviluppa una nefrite tubulo-
interstiziale cronica con conseguente insufficienza renale cronica.

Nell’immagine si può osservare un rene espiantato affetto


da pielonefrite cronica a livello del quale si può notare un
parenchima totalmente sovvertito, una riduzione di
volume con una totale distorsione della normale anatomia
delle vie escretrici, numerose incisure e cicatrici, calici
smussati e dilatati.

Nell’immagine istologica accanto si può osservare l’aspetto


istologico della fibrosi interstiziale cronica detto a carta
geografica o a puzzle, si hanno infatti delle aree patologiche
(più scure) che sono le cicatrici delle pregresse infezioni
alternate a delle aree completamente sane.

Pielonefrite xantogranulomatosa
Una forma molto rara di pielonefrite cronica è la pielonefrite xantogranulomatosa, patologica che può
mimare clinicamente un tumore, si assiste infatti alla formazione di un tessuto granulomatoso ricco di
macrofagi ripieni di lipidi che diventa talmente ipertrofico da dar luogo a una massa renale unilaterale palpabile.
Questa massa può potenzialmente estendersi al di fuori del rene e occasionalmente dare anche delle fistole
con gli organi contigui: fistole gastrointestinali, polmonari e cutanee.

10
La biopsia renale non è solitamente eseguita come metodica diagnostica per le pielonefriti
138
Nell’immagine acconto possiamo osservare un esempio di
come si presenta il tessuto granulomatoso che in questo
caso sta inglobando un calcolo infetto.

Nell’immagine radiologica accanto si può notale l’aspetto


multiloculato della pielonefrite xantogranulomatosa dove il
normale parenchima renale è totalmente sovvertito dal
tessuto granulomatoso che fanno a formare il tipo segno a
zampa d’orso (indicata dalle frecce bianche).

139
Riassunto/integrazione: la parte sulle nefropatie vascolari è la prosecuzione della lezione n.7, mentre quella
sui disordini del potassio riprende l’argomento della lezione n.6

NEFROPATIE VASCOLARI
ANATOMIA VASCOLARE DEL RENE
Il rene è uno degli organi più vascolarizzati, tanto che riceve circa il 25% della gittata cardiaca tramite le
arterie renali. Come visibile nell’immagine, queste si dividono in
● Arterie segmentali1
● Arterie interlobari
● Arterie arcuate
● Arterie interlobulari
● Arteriole afferenti
● Arteriole efferenti
2
Per quanto riguarda la componente venosa, ci sono
● Capillari peritubulari
● Venule
● Vene interlobulari
● Vene arcuate
● Vene interlobari
● Vene renali

CLASSIFICAZIONE DELLE PATOLOGIE VASCOLARI


● Patologie che interessano le arterie renali e i rami principali
○ Stenosi dell’arteria renale
○ Infarto renale
● Patologie che interessano le arterie arcuate, le arterie interlobulari e le arteriole
○ Nefroangiosclerosi
○ Malattia ateroembolica
● Patologie che interessano le vene renali
○ Trombosi venosa renale

1
La professoressa le definisce “segmentarie” ma il nome corretto è “segmentali”
2
La vascolarizzazione venosa è stata integrata dalla sbobina n.2 di anatomia microscopica

140
3
Una classificazione alternativa è quella che divide le nefropatie vascolari in
● Malattie non infiammatorie legate a patologie degenerative
○ Nefrangiosclerosi, che rappresenta il punto d’arrivo di un danno renale legato all'ipertensione.
○ Nefropatia ischemica, una malattia renale cronica secondaria ad una stenosi aterosclerotica delle
arterie renali. Poco conosciuta fino a non molti anni fa, la sua importanza è progressivamente
cresciuta con l’invecchiamento della popolazione e questo perché l’aterosclerosi a livello renale in
parte veniva sottostimata e, fino a 30/40 anni fa, risultava effettivamente meno frequente.
○ Malattia renale ateroembolica, cioè una rottura del cappuccio fibroso della placca aterosclerotica.
● Malattie infiammatorie: comprendono le vasculiti sistemiche immuno-mediate.

PATOLOGIE DELLE ARTERIE RENALI E DEI RAMI PRINCIPALI


Stenosi dell’arteria renale
4
Tipologie di stenosi
● Stenosi troncale (A): è localizzata distalmente dall’ostio dell’arteria renale e risulta più facile da trattare
perché si riesce ad entrare nell’arteria renale più agevolmente.
● Stenosi prossimale (B): è difficile da trattare, ma mai quanto la stenosi ostiale.
● Stenosi ostiale (C): la placca aterosclerotica entra nell’ostio renale ma proviene dall’aorta ed è
difficilissima da trattare.

5
Epidemiologia
In uno studio è stato impiegato l’eco-color doopler delle arterie renali come strumento di screening e come
visibile dall’immagine sottostante, nei soggetti con più di 65 anni negli USA la prevalenza di stenosi
dell’arteria renale si aggira attorno al 6,8%.

3
Paragrafo integrato dalle sbobine dell’anno scorso
4
Paragrafo integrato dalle sbobine dell’anno scorso
5
Paragrafo integrato dalle sbobine dell’anno scorso

141
Selezionando pazienti con una storia d’aterosclerosi multi-distrettuale, la percentuale di stenosi può variare a
seconda delle casistiche dal 10% al 54%.

Nella figura sottostante si osservano le percentuali di stenosi dell’arteria renale nei pazienti che hanno una
malattia renale cronica. Queste vanno, a seconda delle metodiche usate per documentare le stenosi, dal
20% al 50%.

Cause
● Aterosclerosi (causa più frequente): si tratta di una patologia che colpisce principalmente maschi di età
superiore a 50 anni.
Il più delle volte l’aterosclerosi interessa il terzo prossimale dell’arteria renale dato che è il tratto con il
flusso ematico più turbolento. E’ importante notare inoltre che l’aterosclerosi si manifesta solitamente
nell’ambito di una vasculopatia polidistrettuale, quindi tende a interessare contemporaneamente anche
altri vasi quali ad esempio carotidi e coronarie.
● Displasia fibromuscolare: si tratta di una patologia
che colpisce prevalentemente donne di età inferiore a
50 anni e interessa il più delle volte i ⅔ distali
dell'arteria renale.
In angiografia, l’aspetto presente in più dell’85% dei
casi è quello a collana di perle, cioè formato da una
serie di stenosi seguite da dilatazioni post-stenotiche.
In una minoranza dei casi l’aspetto è unifocale o
tubulare, aspetto più difficile da distinguere da una
patologia aterosclerotica.
● Vasculiti (causa più rara)
○ Arterite di Takayasu6
○ Poliarterite nodosa7

6
Malattia infiammatoria con eziologia sconosciuta; l’'infiammazione vascolare può causare stenosi arteriose, occlusioni,
dilatazioni, o aneurismi
(https://www.msdmanuals.com/it-it/professionale/disturbi-del-tessuto-muscoloscheletrico-e-connettivo/vasculite/arterite-di
-takayasu#:~:text=L'arterite%20di%20Takayasu%20%C3%A8,occlusioni%2C%20dilatazioni%2C%20o%20aneurismi.)
7
Forma di vasculite che comporta l’infiammazione delle arterie di medie dimensioni
(https://www.msdmanuals.com/it-it/casa/disturbi-di-ossa,-articolazioni-e-muscoli/vasculite/poliarterite-nodosa-pan#:~:text
=La%20poliarterite%20nodosa%20%C3%A8%20una,a%20seconda%20dell'organo%20colpito.)

142
Clinica
La stenosi dell’arteria renale può manifestarsi come
● Reperto incidentale
● Soffio sistolico/diastolico in genere epigastrico
● Asimmetria dimensionale >15 mm tra i reni
● Rene atrofico/grinzo nei quadri più avanzati
● Ipertensione arteriosa secondaria: mediata da
○ Attivazione di RAAS8 con iperaldosteronismo iper-reninemico e possibili ipokaliemia e alcalosi
metabolica. Solitamente questa tipologia di ipertensione risponde bene a farmaci inibitori del sistema
renina-angiotensina-aldosterone, quali ad esempio ACE-inibitori e sartani.
○ Attivazione del sistema nervoso simpatico
● Scompenso cardiaco ed edema polmonare flash (più raro): si tratta di episodi di ritenzione idrico-salina
secondaria all’attivazione dei sistemi neuro-ormonali
● Nefropatia ischemica: insufficienza renale cronica secondaria a parziale o completa occlusione di più
arterie extra-renali solitamente su base aterosclerotica. La stenosi tende a essere bilaterale, in quanto
una stenosi monolaterale, in assenza di altre patologie, non è sufficiente a giustificare l’IRC.

Dal punto di vista patologico, ciò che succede è che i meccanismi di compenso falliscono quando la
pressione di perfusione renale scende sotto al 40% e con una stenosi del 70-80% compaiono
○ Ipossia corticale
○ Rarefazione del micro-circolo
○ Infiammazione
○ Fibrosi

Sintomi
● Insufficienza renale cronica progressiva senza altre chiare cause
● Esame urine negativo
● Spesso vasculopatia polidistrettuale
● Ipertensione arteriosa grave/resistente
● Insufficienza renale acuta dopo introduzione di inibitori del RAAS (in genere reversibile): l’attivazione
del RAAS è un importante meccanismo di compenso per il rene e se viene a meno a causa della
somministrazione di farmaci si può instaurare una condizione di insufficienza renale acuta
● Fluttuazioni significative della creatinina in relazione alla volemia

Diagnosi9
● Angiografia: nonostante sia il gold standard, questo esame comporta anche rischi quali nefropatia da
contrasto e ateroembolismo. Si tende quindi a prediligere questo esame quando in contemporanea è
possibile intervenire sulla stenosi.
● Ecocolordoppler: potenzialmente è un’ottima indagine ma dipende tanto dalla capacità dell’operatore.
8
RAAS è un acronimo per Renin-Angiotensin-Aldosterone system
9
Le informazioni in corsivo sono state integrate dalle sbobine dell’anno scorso

143
Si tratta di un esame che fornisce contemporaneamente un dato anatomico e un dato funzionale, oltre a
non essere invasivo. Le problematiche riguardano il lungo tempo richiesto e il fatto che sia un esame
strettamente operatore-dipendente. Nonostante le problematiche, resta il fatto che in un anziano con
sospetto di stenosi sia il primo esame da fare. Una volta documentato un quadro di stenosi, si passa a
un esame di secondo livello come l’Angio-TC o l’Angio-RMN per studiare la conformazione della stenosi
e l’eventuale possibilità di intervenire.
● Angio-TC
● Angio-RMN: si tratta di un esame che può sovrastimare l’entità della stenosi ma non presenta il rischio di
nefrotossicità da mezzo di contrasto.
● BOLD-MRI: permette di valutare sia la morfologia della stenosi sia l’impatto che questa ha sull’ischemia
tissutale.

Trattamento
● Rivascolarizzazione
○ Chirurgica: molto poco utilizzata
○ Angioplastica con palloncino + eventuale stenting: i rischi principali sono ateroembolismo,
dissecazione e emorragie.
Si è visto che nella maggior parte dei pazienti con aterosclerosi questo tipo di operazione non ha
benefici, quindi viene effettuata su casi selezionati (ad esempio pazienti con scompenso cardiaco ed
edema polmonare flash o pazienti in cui la pressione arteriosa non è adeguatamente controllata
dalla terapia farmacologica) e negli altri si preferisce utilizzare la terapia farmacologica; nei pazienti
con displasia fibromuscolare la rivascolarizzazione invece tendenzialmente dà buoni risultati.
● Terapia medica dei fattori di rischio cardiovascolari
○ Antipertensivi (ACE-inibitori e sartani): inizialmente il trattamento con ACE-inibitori e sartani non è
stato attuato affinché si evitasse che il blocco del RAAS potesse peggiorare la funzione renale. Ad
oggi si sa che nonostante ciò possa capitare, un peggioramento fino al 20% della funzione renale
viene tollerato perché gli studi suggeriscono che l’effetto dei bloccanti del RAAS fornisca protezione
sul lungo termine.10
○ Statine
○ Aspirina
○ Stop al fumo
11
Le indicazioni alla terapia attualmente sono
● RAS con ipertensione reno-vascolare: non è
più una condizione con indicazione alla
rivascolarizzazione (terapia antipertensiva,
associazione statina ed antiaggregante).
● RAS monolaterale associata ad insufficienza
renale cronica: non ha più un’indicazione alla
rivascolarizzazione.
● Paziente con IRC che sviluppa
improvvisamente un peggioramento della
funzione renale ed arriva ad avere necessità di
dialisi: se l’insufficienza renale acuta che si è sovrapposta ad una malattia renale cronica di tipo
vascolare è legata ad una stenosi che è diventata occlusiva, bisogna ragionare sul rischio rispetto al
beneficio dato dal ripristino dell’arteria renale che possa permettere di sospendere il trattamento dialitico
● Edemi polmonari subentranti associati ad una stenosi dell’arteria renale: è necessario pensare
seriamente alla rivascolarizzazione.

Infarto renale
E’ un’occlusione delle arterie renali o dei suoi rami maggiori

Cause
● Tromboembolismo
○ Cardiogeno: a causa di fibrillazione atriale o endocardite
○ Da placca aortica
○ Venoso: nell’embolia paradossa si ha una trombosi venosa profonda e il trombo, a causa di uno
shunt dx-sx, provoca embolia sistemica arteriosa

10
Le informazioni in corsivo sono state integrate dalle sbobine dell’anno scorso
11
Le informazioni in corsivo sono state integrate dalle sbobine dell’anno scorso

144
● Trombosi in situ
● Dissecazione

Sintomi
I sintomi non sono necessariamente presenti e, se lo sono, possono essere confusi con quelli di una colica
renale o di una pielonefrite
● Dolore al fianco
● Nausea e vomito
● Ematuria
● Febbre

All’esame obiettivo risulta spesso una condizione di ipertensione, dato che l’ischemia acuta del parenchima
renale dà attivazione del sistema RAA e del simpatico.

Esami di laboratorio
● Leucocitosi
● Aumento delle LDH con transaminasi normali: questa particolarità permette di fare diagnosi
differenziale dall’anemia emolitica

Diagnosi
Tendenzialmente si fa Angio-TC

Trattamento
● Rivascolarizzazione tramite angiografia con trombolisi locale o posizionamento di stent: viene
utilizzata nei casi acuti
● Terapia anticoagulante e/o antiaggregante

PATOLOGIE DELLE ARTERIE ARCUATE, INTERLOBULARI E ARTERIOLE


Nefroangiosclerosi benigna
Per nefroangiosclerosi benigna si intende una condizione in cui l’ipertensione arteriosa precede il danno
renale e ne è la principale causa. Nella realtà la situazione è molto complessa a causa dell’instaurarsi di un
circolo vizioso tra nefroangiosclerosi e ipertensione nefro-parenchimale, una condizione patologica
caratterizzata da ipertensione arteriosa secondaria ad una riduzione dell'afflusso di sangue ad uno o ad
entrambi i reni. Quindi da un lato l’ipertensione causa progressione della malattia renale, e dall’altro
l’insufficienza renale peggiora l’ipertensione.

Patologia
Le lesioni tipiche il cui risultato è il restringimento arteriolare sono
● Fibrosi intimale
● Ipertrofia della tunica media
● Deposizione nella parete arteriolare di materiale ialino

145
Le alterazioni secondarie sono
● Ischemia glomerulare di gravità variabile (da retrazione del glomerulo a completa sclerosi)
● Glomerulosclerosi globale/segmentale12
● Infiammazione interstiziale
● Atrofia tubulare
● Fibrosi interstiziale

Nella foto sottostante è possibile notare l’ipertrofia che caratterizza le arteriole di calibro maggiore

Diagnosi
La diagnosi viene fatta soprattutto per esclusione
● Assenza di altre nefropatie clinicamente identificabili: risulta difficile, in pazienti con diverse
comorbilità, essere certi che non ci sia una malattia glomerulare sottostante, che possiamo escludere in
maniera certa solo attraverso una biopsia renale, ma che non viene eseguita perché si tratta
frequentemente di pazienti anziani con una serie di altre problematiche13.
● Ipertensione arteriosa di lunga durata che precede la nefropatia
● Danno d’organo extra-renale: alcuni esempi sono la retinopatia ipertensiva e l’ipertrofia ventricolare
sinistra, che suggeriscono la presenza di ipertensione arteriosa non controllata da molto tempo
● Lenta e progressiva riduzione della funzione renale verso l’insufficienza renale avanzata
● Iperuricemia precoce: può causare gotta
● Proteinuria modesta (<1g/die)/assente
● Sedimento urinario poco significativo: non c’è micro ematuria o sedimento nefritico14
● Reni ridotti di volume visibili all’ecografia

Ipotesi alternative sulle cause di nefroangiosclerosi


Analizzando i registri di dialisi, si nota che la nefroangiosclerosi è una causa frequente di dialisi (anche se
comunque la maggior parte dei pazienti ipertesi non sviluppa ESRD15). E’ però sempre più condivisa l’ipotesi
che in questi pazienti oltre all’ipertensione, in realtà possano esserci altre condizioni concomitanti, quali
● Nefropatia ischemica
● Ateroembolismo
● ApoL1 in pazienti di origine africana: dagli studi fatti sui pazienti afro-americani, si è scoperto che per
questa popolazione il rischio di ESRD da quella che sembrava essere nefropatia ipertensiva era 8 volte
maggiore che nel resto della popolazione e questo rischio non era ridotto neanche da una terapia
antipertensiva.
Si è scoperto che la motivazione di questa aumentata suscettibilità allo sviluppo di ESRD non è legata
all’ipertensione, ma all’elevata frequenza di mutazioni del gene ApoL1.
Le varianti (aplotipo G1 e G2) del gene ApoL1 sono infatti molto diffuse nella popolazione
afro-americana, tanto che il 35% di questa è portatore di una variante del gene (di cui il 13% è portatore
in omozigosi).

12
Condizione caratterizzata da progressiva cicatrizzazione (sclerosi) dei glomeruli
13
Le informazioni in corsivo sono state integrate dalle sbobine dell’anno scorso
14
Le informazioni in corsivo sono state integrate dalle sbobine dell’anno scorso
15
Acronimo per end-stage renal disease

146
Il motivo dell’elevata diffusione di queste varianti è da ricercarsi nel fatto che queste hanno subito una
pressione selettiva positiva dato che conferiscono resistenza alla forma grave di tripanosomiasi africana
(malattia del sonno).16
Da un lato queste varianti proteggono quindi dalla forma grave della malattia del sonno, ma dall’altro, per
meccanismi non ben chiariti, predispongono allo sviluppo di una serie di patologie renali.
Ciò che si sa al momento è che la nefrotossicità è legata non alla forma circolante, ma alla forma renale
di ApoL1; questo si è scoperto grazie ai trapianti, infatti trapiantando un rene da un soggetto portatore,
anche il ricevente presenta aumentato rischio di sviluppo di patologie renali.
Riassumendo, nella maggioranza dei casi di pazienti afro-americani, quella che si pensava essere
nefropatia ipertensiva è in realtà una nefropatia a eziologia genetica.

● Obesità e basso peso alla nascita

○ Basso peso alla nascita: è causato soprattutto da malnutrizione materna, che causa prematurità e
restrizione della crescita uterina. Il basso peso alla nascita che ne consegue porta a un ridotto
numero di nefroni soggetti a iperfiltrazione e ciò a lungo termine può portare a ipertensione e a
insufficienza renale cronica.

16
Infezione da protozoi del genere Trypanosoma brucei, trasmessa dalla puntura di una mosca tse-tse. I sintomi
comprendono lesioni cutanee, febbre intermittente, cefalea, brividi intensi, edema transitorio, linfoadenopatia
generalizzata, con un quadro di meningo-encefalite spesso fatale
(https://www.msdmanuals.com/it-it/professionale/malattie-infettive/protozoi-extraintestinali/tripanosomiasi-africana)

147
○ Obesità: a causa di meccanismi ormonali si ha aumentato riassorbimento di Na+ a livello del tubulo
contorto prossimale con riduzione della sua concentrazione a livello della macula densa. Ciò
determina attivazione del feedback tubulare e vasodilatazione dell’arteriola afferente con aumentata
filtrazione glomerulare; questa iperfiltrazione determina aumento della pressione nel glomerulo,
alterazioni strutturali di podociti e vasi con possibile sviluppo di insufficienza renale cronica.

A livello microscopico sono evidenti glomerulomegalia e sclerosi focale segmentale perilare.17

17
Sclerosi mesangiale disomogenea, che inizia in alcuni glomeruli e col tempo può coinvolgerli tutti. Il più delle volte è di
natura idiopatica ma può essere secondaria all'uso di droghe, a infezione da HIV, obesità, drepanocitosi, malattia
ateroembolica o a perdita di nefroni. I pazienti presentano esordio insidioso di proteinuria, ematuria lieve, ipertensione e
iperazotemia
(https://www.msdmanuals.com/it-it/professionale/disturbi-genitourinari/disturbi-glomerulari/glomerulosclerosi-focale-segm
entale)

148
Riassunto: l’ipertensione è un fattore di rischio fondamentale per la progressione delle malattie renali.
Il ruolo della sola ipertensione nel determinare malattia renale cronica progressiva rimane dibattuto, infatti è
verosimile che il termine “nefropatia ipertensiva" comprenda cause genetiche di ESRD, come la nefropatia
da APOL1, altre cause di nefropatie vascolari (ateroembolismo renale, nefropatia ischemica) e nefropatie
sostenute da altri meccanismi, come obesità e basso peso alla nascita.
18
Un altro fattore che può predisporre allo sviluppo di nefroangiosclerosi è l’alterazione dei meccanismi di
autoregolazione renale. In alcuni soggetti geneticamente suscettibili è presente una risposta autoregolatoria
abnorme (vasospasmo) come conseguenza ad uno stato ipertensivo ed alla necessità di tutelare il rene
attraverso un aumento delle resistenze vascolari dell’arteriola afferente. Questo vasospasmo persistente
geneticamente determinato può essere uno dei fattori causa di nefrangiosclerosi in alcuni soggetti.

Nefroangiosclerosi maligna
L’altra faccia del danno renale da ipertensione è la nefroangiosclerosi maligna, cioè un danno renale acuto in
corso di ipertensione maligna (termine non più utilizzato)/emergenza ipertensiva.
Per emergenza ipertensiva si intende una grave ipertensione caratterizzata da valori pressori superiori a
180/120 mmHg e/o da una rapida variazione di pressione arteriosa.
Gli organi principalmente danneggiati sono
● Reni: insufficienza renale acuta rapidamente progressiva (a volte fino alla dialisi). Nonostante il danno
maggiore sia a livello delle arteriole di piccolo e medio calibro, a volte è possibile riscontrare ematuria e
proteinuria se il danno coinvolge anche i vasi glomerulari. La microangiopatia trombotica19 che deriva da
questo danno può essere associata a anemia emolitica microangiopatica20
● SNC: stroke
● Occhio: fundus oculi di IV grado con emorragia a fiamma21
● Cuore: ischemia
● Polmoni: dispnea e edema
● Aorta: dissecazione
● Se insorge in gravidanza può presentarsi anche eclampsia

18
Le informazioni in corsivo sono state integrate dalle sbobine dell’anno scorso
19
Patologia caratterizzata da trombosi delle arteriole e dei capillari associata a danno dell'endotelio
(https://it.wikipedia.org/wiki/Microangiopatia_trombotica#:~:text=La%20microangiopatia%20trombotica%20%C3%A8%20
una,anemia%2C%20porpora%20e%20insufficienza%20renale.)
20
Disordine microvascolare caratterizzato da trombocitopenia, anemia emolitica microangiopatica, danno d’organo
(interessamento renale e/o cerebrale), possibile evoluzione fatale
(https://www.sanita.puglia.it/web/rete-delle-malattie-rare/microangiopatia-trombotica)
21
Le informazioni in corsivo sono state integrate dalle sbobine dell’anno scorso

149
Patologia
Nei preparati istologici sono osservabili eventi di necrosi fibrinoide delle piccole arterie/arteriole, cioè una
totale occlusione del vaso dovuta a necrosi (immagine a sinistra). Quando il processo si cronicizza, alla
necrosi fibrinoide si sostituisce una fase riparativa col cosiddetto Onion Skinning delle arterie interlobulari,
cioè una proliferazione delle cellule muscolari lisce accompagnata da deposizione di collagene (immagine a
destra).

Cause
● Ipertensione non controllata
● Uso di sostanze vasocostrittrici (es. cocaina)

Terapia
La terapia consiste nel somministrare antipertensivi per endovena: nella prima ora l'obiettivo è ridurre la
pressione del 10-20% e poi, gradualmente, arrivare a un calo del 25% nelle 24 ore, per permettere al
sistema vascolare di adattarsi ed evitare l’insorgenza di fenomeni di ischemia renale.
In caso in cui vi sia in concomitanza anche un'ischemia cerebrale, si tollerano pressioni più alte per garantire
la corretta perfusione endocranica; in caso invece di presenza di dissecazione aortica si cerca di essere più
intransigenti.

Malattia aterotrombotica
Si tratta di embolismo22 da cristalli di colesterolo a partenza da placche aterosclerotiche complesse
(cioè placche con cap fibroso molto sottile e importante core lipidico). Il fenomeno del distacco di
microemboli, che poi vanno a occludere vasi con diametro di 150-200 µm dando ischemia e
infiammazione, viene definito showering a causa dell’elevatissimo numero di emboli (anche migliaia) che
entrano in circolo.
Si tratta di una patologia grave, con una mortalità a distanza di un anno pari al 38% (anche perché
espressione di una patologia vascolare molto avanzata); inoltre, nel 28-61% dei casi i pazienti devono
sottoporsi a dialisi e solo nel 20-40% dei casi c’è un recupero.
E’ interessante notare inoltre che questa patologia sia diffusa soprattutto negli adulti con età maggiore di 60
anni.

Cause
Gli eventi precipitanti più comuni sono
● Rottura spontanea
● Chirurgia vascolare o cardiochirurgia. Il solo clampaggio e successivo taglio dell’aorta (per la sua
sostituzione), in corso, per esempio, di un intervento per un aneurisma dell’aorta addominale, sono
fattori di rischio di rottura di placche aterosclerotiche. Oggi noi sappiamo che la sostituzione dell’aorta
addominale è un intervento relativamente frequente. Quando molti anni fa non si conosceva la malattia

22
L’ateroembolismo non va confuso col tromboembolismo, caratterizzato dal distacco di un trombo più grosso degli
emboli dell’ateroembolismo

150
renale ateroembolica come evento clinico e i chirurghi vascolari operavano i pazienti con aneurisma
dell’aorta addominale, si vedevano con una certa frequenza episodi di insufficienza renale acuta. Nel
momento in cui i nefrologi venivano chiamati al letto del paziente, chiedevano ai vascolari se avessero
clampato l’aorta sopra o sotto le arterie renali, perché se l’aneurisma era così vicino alle renali che il
clamping veniva fatto sopra queste, e magari l’intervento era stato piuttosto indaginoso, i reni erano
rimasti privi di flusso sanguigno per un tempo consistente e quindi si giustificava l’esordire di
un’insufficienza acuta su base ischemica nel post-operatorio. In una percentuale non modesta di casi si
aveva un’insufficienza renale acuta e l’aorta era stata clampata sotto le arterie renali, quindi non si
poteva invocare un danno di tipo ischemico legato al clampaggio, perciò si ipotizzavano molte altre
cause. In realtà in una buona quota di pazienti che sviluppavano l’insufficienza renale acuta con un
clampaggio dell’aorta sotto le arterie renali, la causa era una malattia renale ateroembolica23.
● Angiografia. Quando si risale l’aorta con un catetere arterioso, quest’ultimo “fruga” la parete aortica,
non discrimina se c’è o non c’è una placca, ma risalendo rompe le placche aterosclerotiche. Ecco il
motivo per cui una parte consistente di malattie renali ateroemboliche è secondaria ad arteriografie che
interessano l’aorta. Ovviamente la cosa è tanto più severa se accanto all’aortografia si lavora sulla
parete aortica per mettere uno stent, perché la parete del vaso viene“maltrattata” più a lungo.24
● Terapia anticoagulante. Il ruolo della terapia anticoagulante nell’insorgenza della malattia renale
ateroembolica è stato a lungo ignorato. Quando una placca aterosclerotica si ulcera, si forma un trombo
piastrinico, questa è la modalità con cui l’organismo cerca di rimediare all’ulcerazione di un vaso, ma se
noi usiamo una terapia anticoagulante impediamo la formazione del trombo piastrinico e lasciamo che la
lesione ulcerata della placca aterosclerotica continui ad essere in stretta contiguità con la circolazione
arteriosa. Questo è stato un argomento molto discusso e non tutti sono dell’idea che una quota
significativa di pazienti abbiano la malattia renale ateroembolica a causa di una terapia anticoagulante.
Benché sia la causa meno frequente, non vi è dubbio che possa determinare una malattia renale
ateroembolica. L’abbiamo visto anche quando, prima della coronarografia, l’infarto del miocardio veniva
trattato con terapia fibrinolitica (che scioglie il coagulo) Per alcuni anni questa è stata la terapia elettiva
dell’infarto del miocardio, poi è arrivata la coronarografia con l’angioplastica e la messa a dimora degli
stent e il discorso si è chiuso. Comunque, anche in corso di terapia fibrinolitica, si era in grado di
osservare la comparsa di malattia renale ateroembolica.25
● Trombolisi
● Traumi di varia natura

Sintomi
Si tratta di una malattia sistemica che può anche restare subclinica; nel caso in cui ci fossero sintomi, i più
comuni sono
● Febbre
● Mialgia
● Cefalea

23
Le informazioni in corsivo sono state integrate dalle sbobine dell’anno scorso
24
Le informazioni in corsivo sono state integrate dalle sbobine dell’anno scorso
25
Le informazioni in corsivo sono state integrate dalle sbobine dell’anno scorso

151
Gli organi maggiormente coinvolti sono
● Cute (75-90% dei casi)
- Livedo reticularis26: sono maggiormente visibili in ortostatismo

● Dita blu: sono espressione di un danno microvascolare e non di ischemia acuta da ipoperfusione per
stenosi di arterie di grosso calibro. Per questo motivo i polsi periferici solitamente sono presenti e
quando non lo sono la motivazione va ricercata nella malattia aterosclerotica avanzata e non in
un’ischemia acuta da ipoperfusione

● Ulcerazioni e gangrena
● Raramente porpore
● Rene (70% dei casi)
○ Peggioramento dell’ipertensione: espressione di ischemia del microcircolo
○ Insufficienza renale: la risposta dell’organismo ai corpi estranei consiste nell’instaurarsi di reazioni
pseudo-vasculitiche con la presenza di cellule giganti multinucleate. Gli esiti possibili sono
■ Insufficienza renale acuta (20-30% dei casi): l’insorgenza pochi giorni dopo l’evento
scatenante è dovuta a fenomeni di ateroembolismo con immediato impatto sulla funzione

26
Manifestazione cutanea caratterizzata da uno scolorimento screziato, in cui chiazze cianotiche di colorazione
blu-rossastra assumono una conformazione simile ad una rete attorno a zone di cute normali
(https://www.my-personaltrainer.it/Sintomi/Livedo_Reticularis)

152
renale a causa di ischemia periferica, quindi prima che subentrino eventi infiammatori
secondari.
■ Insufficienza renale subacuta (più frequente): si ha peggioramento della funzione renale
settimane dopo l’evento scatenante e con progressione a gradini.
■ Insufficienza renale cronica stabilizzata (rara ma verosimilmente sottodiagnosticata): la fase
acuta passa inosservata e il danno cronico è visibile alla biopsia come emboli di colesterolo
non disciolti. Questi emboli infatti non possono essere eliminati perché non esistono sistemi
biologici che permettono la metabolizzazione del colesterolo extracellulare.
E’ possibile che si verifichi a partire da una forma acuta che passa inosservata, perché ha
dato un danno renale modesto o perché non ha dato segni e sintomi extrarenali. Un
ipotetico paziente ad esempio fa la coronarografia, va a casa, la funzione renale peggiora un
po' ma non in modo tale da dare una grave crisi ipertensiva, non ha localizzazioni
ischemiche periferiche, il quadro passa inosservato. Dopo un anno / sei mesi fa degli esami
di controllo e si riscontra una funzione renale che rispetto alla fase precedente
all’esecuzione della coronarografia o dell’inizio della terapia anticoagulante, è peggiorata. La
fase acuta è passata inosservata, ma a distanza si ha un peggioramento cronico della
funzione renale. Questa forma si diagnostica solo eseguendo la biopsia renale.27
● Tratto gastroenterico (18-48% dei casi) con diagnosi tramite biopsia endoscopica
○ Dolore addominale
○ Perdita di peso
○ Infarto intestinale
○ Sanguinamento gastroenterico
○ Pancreatite
○ Colecistite
● SNC (4-23% dei casi): i sintomi a livello del SNC solitamente non in caso di embolizzazione dell’aorta
addominale28 e la conferma diagnostica di embolizzazione cerebrale può essere solo autoptica.
○ Stato confusionale
○ Attacchi ischemici transitori (TIA)
○ Amaurosis fugax29

Esami di laboratorio
● Eosinofilia (60-80% dei casi), eosinofiluria e ipocomplementemia (15% dei casi) spesso transitori
● Aumentata VES e PCR
● Possibile aumento di LDH, AST, ALT, CPK, amilasi, lipasi: a seconda dell’enzima che aumenta
maggiormente si può avere un’idea di quale organo sia danneggiato. Ad esempio un aumento di LDH è
indicativo di danno al rene invece un aumento di amilasi e lipasi di un danno al pancreas
● Esame delle urine in genere negativo (raramente presenta sedimento attivo)

Diagnosi
I punti che caratterizzano la cosiddetta triade diagnostica e in presenza dei quali è possibile fare diagnosi
senza bisogno di fare una biopsia, sono
● Presenza di un fattore precipitante (ad esempio. si osserva insufficienza renale acuta in un paziente
sottoposto ad angiografia)
● Insufficienza renale acuta o subacuta
● Segni di embolismo periferico (ad esempio la presenza di dita blu)

27
Le informazioni in corsivo sono state integrate dalle sbobine dell’anno scorso
28
Le informazioni in corsivo sono state integrate dalle sbobine dell’anno scorso
29
Riduzione transitoria dell'acuità visiva monoculare

153
E’ invece possibile eseguire una biopsia a livello di
● Cute (immagine in basso a sinistra): è più agevole da biopsiare rispetto al rene
● Rene (immagine in basso a destra): nei preparati istologici i cristalli di colesterolo non sono osservabili
perché in fase di fissazione del vetrino si dissolvono e al loro posto sono visibili soltanto le delle fessure
biconvesse aghiformi, chiamate ghost cells, dove un tempo erano depositati i cristalli di colesterolo.
● Altro

Un altro esame molto utile è l’osservazione del fundus oculi per cercare le placche di Hollenhorst, cioè
cristalli di colesterolo depositati nei vasi retinici che spesso non danno sintomi visivi. Questo esame ha lo
stesso valore diagnostico della biopsia.

Terapia
Non esiste una terapia specifica ma si agisce operando sui principali fattori di rischio della malattia
aterosclerotica tramite
● Controllo della pressione arteriosa
● Somministrare di antiaggreganti
● Somministrazione di statine. Le statine riducono i livelli di colesterolo ed in più hanno altri effetti detti
“effetti pleiotropici delle statine”, tra cui un effetto stabilizzante le placche, cioè fa guarire più
velocemente la placca ulcerata/instabile. Forse quest’ultimo è il meccanismo con il quale le statine
hanno un effetto positivo, ci si deve ricordare però che questi dati erano frutto di uno studio
osservazionale, non era uno studio in cui si valutava il nesso causa-effetto statine e malattia, quindi
resta sicuramente un dato significativo, ma non è sicuramente la dimostrazione inequivocabile di un
effetto protettivo delle statine30
● Evitare il fumo

30
Le informazioni in corsivo sono state integrate dalle sbobine dell’anno scorso

154
● Controllo del diabete
● Evitare fattori scatenanti, quali
○ Esami invasivi che aumentano il rischio ateroembolico (ad esempio l’angiografia)
○ Terapia con anticoagulanti

PATOLOGIE DELLE VENE RENALI


Trombosi venosa renale
Si tratta di una patologia rara che coinvolge più spesso la vena di sinistra (dato che è leggermente più lunga
di quella controlaterale) e in circa i ⅔ dei casi ha interessamento bilaterale.

Cause
Le cause più comuni di trombosi sono descritte dalla triade di Virchow e sono
● Stasi venosa: può essere causata da
○ Disidratazione nei neonati
○ Neoplasie
○ Fibrosi retroperitoneale
● Danno endoteliale: può essere causato da
○ Chirurgia
○ Procedure endovascolari
● Ipercoagulabilità: può essere causata da
○ Trombofilie genetiche
○ Neoplasie
○ Contraccettivi orali
○ Sindrome nefrosica da nefropatia membranosa31
○ Anticorpi anti-fosfolipidi

Sintomi
I sintomi possono essere assenti o, se presenti, possono essere confusi con quelli di un infarto renale
● Dolore al fianco
● Ematuria micro/macroscopica
● Embolia polmonare
● Raramente proteinuria

Esami di laboratorio
● Insufficienza renale acuta
● Aumento di LDH con transaminasi per lo più normali

Diagnosi
La diagnosi verrà eseguita tramite ecografia e, in caso sia necessario investigare oltre, si può procedere con
un’Angio-TC o Angio-RMN.

Terapia
● Trombosi acuta associata a un peggioramento della funzione renale: si procede cercando di rimuovere o
dissolvere il trombo via
○ Angiografia interventistica
○ Chirurgia
● Terapia cronica: profilassi con farmaci anticoagulanti

31
La nefropatia membranosa consiste nel deposito di immunocomplessi sulla membrana basale glomerulare
(https://www.msdmanuals.com/it-it/professionale/disturbi-genitourinari/disturbi-glomerulari/nefropatia-membranosa)

155
BILANCIO ELETTROLITICO: IL POTASSIO32
INTRODUZIONE
Il potassio è l’elettrolita più abbondante dell’organismo e anche il principale catione intracellulare, grazie
all’azione della pompa Na+/K+.
Infatti calcolando
70 𝐿 * 0. 6 * 2/3 * 140 𝑚𝑚𝑜𝑙/𝐿 = 3920 𝑚𝑚𝑜𝑙 𝑖𝑛𝑡𝑟𝑎𝑐𝑒𝑙𝑙𝑢𝑙𝑎𝑟𝑒
70 𝐿 * 0. 6 * 1/3 * 4 𝑚𝑚𝑜𝑙/𝐿 = 14 𝑚𝑚𝑜𝑙 𝑛𝑒𝑙 𝑝𝑙𝑎𝑠𝑚𝑎

Si ricava che circa il 98.5% del potassio è intracellulare

La sua omeostasi è influenzata da


● Assunzione giornaliera di circa 40-120 mmol/gg
● Distribuzione: i meccanismi che favoriscono l’internalizzazione del potassio sono
○ Insulina: la sua azione è fondamentale per tamponare il potassio assunto durante i pasti
○ Stimolazione simpatica tramite recettori β2 adrenergici

Anche il pH condiziona lo spostamento del potassio, infatti


○ Acidosi: favorisce la fuoriuscita del potassio dalle cellule e l’ingresso di idrogenioni
○ Alcalosi: favorisce l’entrata del potassio nelle cellule e la fuoriuscita di idrogenioni

La situazione è in realtà molto complessa, perché la presenza di acidi organici come il lattato induce
l’ingresso di potassio nella cellula
● Escrezione: avviene per via
○ Renale (via preponderante): il rene è in grado di modulare l’eliminazione del potassio in base alle
necessità, da un minimo di 10 mmol/gg a un massimo di 400 mmol/gg.
Normalmente il rene riassorbe il potassio filtrato a livello del tubulo contorto prossimale (⅔ del
potassio filtrato), del tratto ascendente dell’ansa di Henle (¼ del potassio filtrato) e del tubulo
contorto distale (5% del potassio filtrato).
A livello del tratto corticale del tubulo collettore si ha invece l’escrezione di potassio grazie a
■ Aldosterone: favorisce l’espressione dei canali ENaC che permettono il riassorbimento di Na
nelle principali; il lume del dotto collettore, diventato elettronegativo, favorisce l’escrezione di
potassio tramite i canali ROMK

32
La professoressa suggerisce la lettura del libro reperibile al seguente indirizzo
https://www.dropbox.com/s/xookeuaxbduuuk5/The%20whole%20enchilada.pdf?dl=0

156
Altro caso in cui il lume tubulare diventa elettronegativo è in presenza di anioni non
riassorbibili come HCO3- o PO4-, oppure di antibiotici come la ticarcillina; anche in questo
caso viene quindi favorita l’escrezione di potassio nel lume tubulare.
■ Flusso tubulare: un aumento del flusso tubulare stimola escrezione di potassio tramite i
canali BK
○ Gastroenterica: vengono eliminati circa 10 mmol/gg

In caso ci sia iperpotassiemia la prima risposta dell’organismo è l’aumento della sua compartimentazione,
seguita poi da un aumento dell’escrezione renale

IPOPOTASSIEMIA/IPOKALIEMIA
L’ipopotassiemia è suddivisibile in range di gravità in
● Lieve: concentrazione plasmatica <3,5 mmol/l (il valore fisiologico si attesta tra i 5 e i 3,5 mmol/l)
● Moderata: concentrazione plasmatica <3 mmol/l
● Grave: concentrazione plasmatica <2,5 mmol/l

Cause
● Ridotto apporto di potassio: raramente è la sola causa di ipokaliemia dato che il rene è in grado di
ridurre sensibilmente l’escrezione di potassio in caso di necessità
● Alterato shift di potassio tra i compartimenti
○ Aumentata attivazione β-adrenergica indotta da farmaci o da stress
○ Aumentata produzione di insulina in caso di correzione di chetoacidosi diabetica o di sindrome da
rialimentazione33
○ Alcalosi metabolica
○ Paralisi periodica ipokaliemica che può essere causata da una rara malattia genetica autosomica
dominante o da tireotossicosi
○ Aumentato turnover cellulare in caso di correzione dell’anemia megaloblastica
● Aumentate perdite gastrointestinali da diarrea profusa o lassativi
● Aumentata escrezione renale: un’eliminazione >30 mEq/gg fa sospettare che il problema sia a livello
renale
○ Aumentata attività mineralcorticoide
■ Iperaldosteronismo primario: causato da adenoma surrenalico, iperplasia cellulare e
carcinoma surrenalico
■ Ipoaldostenorismo iper-reninemico: causato da stenosi dell’arteria renale34
■ Pseudoiperaldosteronismo: condizione caratterizzata da bassi livelli di aldosterone ma
elevata attività mineralcorticoide data dalla presenza di sostanze che mimano la sua
funzione. Questa condizione può essere causato da
➢ Eccesso di metaboliti con attività mineralcorticoide come avviene nell’iperplasia
surrenalica congenita o nella sindrome di Cushing35

33
Condizione che può verificarsi durante l’alimentazione di soggetti malnutriti: con un digiuno prolungato, i livelli di
vitamine e minerali si riducono sensibilmente, così come la secrezione di insulina. Durante la rialimentazione riprende
la secrezione di insulina in risposta all’aumento di glicemia, e aumentano anche la sintesi di glicogeno, acidi grassi e
proteine che però richiedono fosfati, magnesio e potassio che scarseggiano e vengono presto esauriti. Questo processo
provoca uno spostamento degli elettroliti nel comparto intracellulare e una diminuzione degli elettroliti nel siero:
contemporaneamente si spostano glucosio, fosfati, potassio e magnesio, scambiati col sodio, e vengono a mancare nel
plasma provocando così spasmi, tetanie, aritmie, insufficienze cardiache ed edemi.
(https://chirurgiatorino.com/blog/cose-la-sindrome-rialimentazione/)
34
Le parti in corsivo sono state integrate dalle slide
35
I livelli di corticosteroidi sono esageratamente elevati, di solito a causa dell’assunzione di farmaci corticosteroidi o di
un’eccessiva produzione da parte delle ghiandole surrenali
(https://www.msdmanuals.com/it-it/casa/disturbi-ormonali-e-metabolici/disturbi-delle-ghiandole-surrenali/sindrome-di-cus
hing)

157
➢ Liquirizia (acido glicirrizico): è in grado di inibire l’enzima
11β-idrossisteroido-deidrogenasi36 con attivazione dei recettori per i mineralcorticoidi
da parte del cortisolo
➢ Mutazioni genetiche come nella sindrome da apparente eccesso di mineralcorticoidi,
una patologia causata da mutazioni dell’enzima 11β-idrossisteroido-deidrogenasi
○ Aumentato flusso distale da diuretici, sindrome di Bartter37, sindrome di Gitelman, ipovolemia con
attivazione di RAAS oppure da poliuria causata a sua volta da diuresi osmotica, polidipsia e diabete
insipido
○ Escrezione di anioni non riassorbibili nel tubulo distale
○ Ipomagnesemia: è un fattore contribuente
○ Perdita tubulare in pazienti che abusano di alcol: l’alcol genera un difetto tubulare che impedisce di
trattenere potassio, magnesio e fosfato
○ Vomito profuso: per compensare la perdita di HCl e quindi la condizione di alcalosi, si osserva un
aumento della perdita di bicarbonati che, in quanto anioni non riassorbibili a livello del dotto
collettore, stimolano l’escrezione di potassio

Sintomi
I sintomi sono variabili in base a rapidità di insorgenza dell’ipokaliemia e in genere si presentano se la
concentrazione di potassio è <3 mmol/L
● Sintomi neuromuscolari: parestesie, debolezza muscolare ascendente, rabdomiolisi con mioglobinuria
e insufficienza renale e insufficienza respiratoria respiratoria
● Sintomi gastrointestinali: costipazione, distensione addominale, anoressia, vomito
● Difetto di concentrazione urinaria: è dovuto al venir meno del cotrasportatore Na-K-2Cl presente a
livello dell’ansa di Henle
● Aritmie causate da alterato potenziale di membrana a riposo e alterata ripolarizzazione cardiaca
○ Bradicardia sinusale
○ Blocco atrio-ventricolare
○ Extrasistoli sopraventricolari e ventricolari
○ Tachiaritmie sopraventricolari
○ Aritmie ventricolari

36
Enzima che ossida il glucocorticoide cortisolo nel suo metabolita inattivo cortisone, per impedire l'attivazione del
recettore mineralocorticoide (https://it.wikipedia.org/wiki/Proteina:HSD11B2)
37
Nella sindrome di Bartter e nella sindrome di Gitelman, un difetto ereditario dei tubuli renali provoca l’escrezione da
parte dei reni di quantità eccessive di elettroliti (potassio, sodio e cloruro), comportando anomalie della crescita, degli
elettroliti e spesso di carattere neurologico e muscolare
(https://www.msdmanuals.com/it-it/casa/problemi-di-salute-dei-bambini/tubulopatie-renali-congenite/sindrome-di-bartter-e
-sindrome-di-gitelman)

158
Diagnosi
Eseguendo un’ECG si può osservare
● Onda U prominente
● Onda T appiattita o invertita
● Depressione del tratto ST
● Aumento dell’intervallo QT fino a giungere a torsione della punta
● Aumento dell’intervallo PR
● Onda P appuntita

Trattamento
● Reintegrazione di potassio: si predilige la somministrazione orale sotto forma di cloruro di potassio
(KCl) dato che la sua introduzione per endovena è poco gestibile e potenzialmente mortale in caso di
sovradosaggio
● Trattamento, se presente, dell’ipomagnesemia

159
Sbobinatori: 162/219
Revisori: 219/162
Materia: nefrologia
Docente: Federica Mescia
Data: 16/05/2023
Lezione n°: 9
Argomento: iperkaliemia, malattie
genetiche, alcalosi metabolica
Riassunto/integrazione:
Comunicazioni: Nella lezione della settimana prossima, nonché ultima lezione, verranno affrontati dei casi
clinici. La professoressa chiede, inoltre, per chi sta facendo i casi clinici, se sta andando tutto bene o se
qualcuno ha riscontrato problemi.
A fine lezione afferma di non essere riuscita ad affrontare la parte sull’alcalosi metabolica, che è quindi stata
integrata completamente dalle slide lasciate in classe

IPERKALIEMIA
Per iperkaliemia si intende una concentrazione di potassio al di sopra di range fisiologici. Il valore che si utilizza
come cut-off in particolare è 4 o 5 a seconda del laboratorio. A seconda di quanto si innalza il potassio, si può
parlare di iperkaliemia:
• Lieve: k>5 mmol/L
• Moderata: k>5,5 mmol/L
• Grave: k> 6 mmol/L

MANIFESTAZIONI CLINICHE
I sintomi si presentano generalmente con livelli di potassio maggiori di
7 mmol/L; è importante sottolineare, però, che più l’iperkaliemia è
cronica, tanto meno i pazienti saranno sintomatici. I pazienti con
insufficienza renale cronica, infatti, hanno dei valori importanti di
potassio, ma in un certo senso vi si abituano. Confrontando quindi gli
stessi livelli di potassio in cronico e in acuto, nel secondo caso si
potrebbero avere delle conseguenze cliniche più gravi.
Visto che il potassio è fondamentale nel mantenere il potenziale di
membrana, l’iperkaliemia, così come l’ipokaliemia, ha questi principali
sintomi:
• sintomi neuromuscolari:
o riduzione dei riflessi
o astenia muscolare fino ad arrivare alla paralisi
o disfunzione della muscolatura liscia dell’intestino, con
conseguenti sintomi aspecifici come nausea e costipazione.
• problemi a livello cardiaco, come le aritmie. Queste sono varie e nello specifico possiamo avere:
o brachicardia sinusale
o blocchi di branca
o BAV, ritmo idioventricolare
o Tachicardia ventricolare
o Fibrillazione ventricolare
o Asistolia
Andare a controllare l’ECG è molto importante in tutti
pazienti con iperkaliemia perché ci dà un’idea di sé
e quanto il sistema di conduzione del cuore è
interessato dagli effetti del potassio alto. Piu
frequentemente osserveremo onde T appuntite1.
Man mano che la situazione di iperkaliemia
peggiora, si osserverà l’allargamento dell’intervallo
QRS, un allungamento dell’intervallo PR, quindi una
condizione atrioventricolare, per arrivare ad aritmie
con perdita dell’onda P e presenza solo di complessi sinusoidali
• difetto di acidificazione delle urine, quindi una acidosi metabolica secondaria

CAUSE
Così come per l’ipokaliemia, è importante sempre considerare l’analisi del potassio nei vari compartimenti,
sempre in termini di:
• input, quindi di apporto

1
Anche se è un sintomo abbastanza aspecifico
• distribuzione tra intra ed extra cellulare; in particolare la stra grande maggioranza del potassio è
intracellulare; quindi, lievi modificazioni di questo equilibrio possono avere conseguenze molto importanti
sui livelli sierici di potassio
• escrezione renale
la prima domanda da porsi quando si osserva un innalzamento dei livelli di potassio senza un’apparente
causa2 è se sia un valore vero o meno. Esiste infatti la pseudoiperkaliemia3, che può derivare da tre
situazioni:
• emolisi, quindi lisi dei globuli rossi, legato a un prelievo difficile, problemi con il laccio emostatico,
contrazione prolungata del pugno della paziente, necessità di effettuare ripetuti prelievi, oppure
permanenza a lungo della provetta in giro prima di raggiungere il laboratorio
• leucocitosi, per esempio nel caso di leucemie
• piastrinosi;
nelle ultime due situazioni se si ha un rilascio significativo di potassio dalle cellule che si trovano nel prelievo
di sangue possiamo trovare un valore alto del potassio in quel prelievo che però non riflette il dato vero. In
casi dubbio si ripete quindi il prelievo senza utilizzare il laccio emostatico e portandolo in laboratorio il prima
possibile. Se si ha invece a disposizione una macchinetta per l’emogasanalisi, che ci permette di dosare gli
elettroliti in tempo quasi reale, questa può essere molto utile per capire in che situazione ci si trova.

Iperkaliemia da aumentato apporto


Si tratta di un’evenienza molto rara; infatti, a meno che il paziente abbia una significativa insufficienza renale,
quindi una ridotta escrezione di potassio nelle urine, è difficile che l’apporto alimentare da solo possa
determinare l’iperkaliemia. Questo perché il rene è molto flessibile nell’adattarsi
all’apporto dietetico di potassio con la dieta; quindi, è capace in genere di far fronte
anche a 10 volte tanto l’apporto di potassio che normalmente in media assumiamo ogni
giorno.
Casi particolari sono:
• l’uso dei sostituti del sale, ovvero prodotti alternativi al sodio cloruro che
contengono una quota sostanziale di potassio cloruro. Vengono spesso utilizzati
come sali dietetici, soprattutto per evitare l’ipertensione, e utilizzandoli su larga
scala hanno avuto degli effetti gratifichi interessanti dal punto di vista di salute
pubblica. Paradossalmente, però, spesso sono proprio i pazienti con insufficienza
renale e ipertensione che assumono questi sostituti del sale, che possono però
divenire pericolosi perché hanno un apporto di potassio che può essere rilevante in
queste situazioni.
• Nutrizione parenterale/enterale: nel paziente ospedalizzato se si osserva
l’iperkaliemia bisogna andare a controllare l’apporto di potassio nella nutrizione
parenterale o enterale, visto che può succedere che si stia somministrando un quantitativo eccessivo di
potassio.
Anche queste situazioni diventano rilevanti in genere solo nei pazienti con insufficienza renale cronica.

Iperkaliemia da shift extracellulare


Iperkaliemia legata a passaggio di potassio dall’intra all’extra cellulare; può avvenire in caso di:
• lisi cellulare, quindi tutte situazioni in cui si ha aumento di potassio rilasciato
da cellule danneggiate
o lisi tumorale, quindi se ho una massa tumorale, comincio una
chemioterapia efficace, questa può determinare una lisi del tumore con
rilascio tra le altre sostanze anche di potassio
o rabdomiolisi, quindi distruzione muscolare
o ipotermia
o politraumi
• farmaci che vanno a interferire con i sistemi che regolano la concentrazione
di potassio tra intra ed extra cellulare
o i recettori beta adrenergici, quindi beta bloccanti, che danno
iperkaliemia in genere non così rilevante;
o Digossina (digitale) blocca la pompa sodio potassio che è fondamentale nel determinare la differenza
di concentrazione di potassio tra l’intra e l’extra cellulare4.

2
Come può essere l’assunzione di farmaci
3
Si tratta sostanzialmente di un artefatto da laboratorio
4
Quindi nell’intossicazione digitale avremo anche iperkaliemia
• Acidosi metabolica, in particolare se causata da acidi non organici può favorire il passaggio di potassio
dall’ambiente intra cellulare a extra cellulare
• l’iperosmolarità plasmatica (chetoacidosi diabetica)

Iperkaliemia in chetoacidosi diabetica


Spesso osserviamo un’iperkaliemia perché ci sono una serie di fattori concomitanti:
• L’ambiente extracellulare nei pazienti con chetoacidosi diabetica, in cui il glucosio raggiunge delle
concentrazioni importanti, è iperosmolare; quindi, avrò uno shift di acqua libera che va dall’Intra cellulare
all’extra cellulare; quest’acqua trascina con sé anche gli elettroliti che si trovano nell’ambiente
intracellulare, quindi principalmente il potassio.
• Si tratta di una situazione in cui abbiamo un deficit di insulina, ovvero l’altro fattore fondamentale insieme
ai recettori beta adrenergici che regola il passaggio di potassio dall’extra all’Intra cellulare; quindi, un deficit
di insulina favorisce l’accumulo di potassio nell’extra cellulare
• Disidratazione con insufficienza renale, quindi situazione di ridotta escrezione renale di potassio.

Non appena si instaura una terapia efficace per la chetoacidosi diabetica, che si basa fondamentalmente su:
• somministrazione di insulina
• idratazione endovenosa molto abbondante
spesso si vedrà il passaggio dall’iper all’ipokaliemia, perché si smaschera quella che è di fatto una depressione
dei livelli di potassio a livello dell’intracellulare, e in generale dell’organismo, dovuto a quella che era la diuresi
osmotica che si è instaurata nelle ore precedenti.
Quindi tipicamente è sufficiente correggere la chetoacidosi e l’ipovolemia, senza instaurare terapia specifica
per l’iperkaliemia, e rapidamente si avrà un passaggio da iperkaliemia a ipokaliemia importante con necessità
di supplementazione endovena.

Iperkaliemia da ridotta escrezione renale


Il terzo fattore fondamentale nell’omeostasi del potassio è la funzione renale, ovvero
quello che fa il rene nell’eliminare il potassio. È un fattore che è quasi sempre presente
in maniera più o meno importante.
L’insufficienza renale di per sé, ovvero la riduzione del filtrato glomerulare, limiterà la
quantità di potassio che può essere escreta dal rene; quindi, se la quantità di potassio
assunto con la dieta supera la capacità di escrezione renale, andremo incontro
all’iperkaliemia

Esistono altre situazioni in cui di per sé il filtrato glomerulare è normale, ma i meccanismi renali di eliminazione
del potassio sono alterati. Fondamentale in questi è il ruolo del tubulo distale e i meccanismi aldosterone-
dipendenti:
1. Iperkaliemia da ipoaldosteronismo
Si può dire che tutte le situazioni di ipoaldosteronismo, ovvero di resistenza all’aldosterone, tenderanno ad
aumentare i livelli di potassio. Quindi, in presenza di funzione renale normale, dobbiamo pensare a queste
situazioni in cui l’aldosterone non funziona regolarmente. Questo può dipendere da:
• Insufficienza surrenalica, in cui il surrene non rilascia normalmente aldosterone. La causa può frequente
è su base autoimmune, e si parla in questo caso di malattia di Addison
• Mutazioni genetiche negli enzimi che sintetizzano l’aldosterone
• Ipoaldosteronismo iporeninemico, in cui si avrà un deficit di renina, ovvero del primo step della cascata
renina-angiotensina-aldosterone. Si pensa sia una
condizione tipica della nefropatia diabetica perché,
analizzando i filtrati, questi tendono ad essere più
iperkalemici che nei pazienti con altri tipi di nefropatie
• Farmaci
o Eparina, ketoconazolo, che possono agire
direttamente sul surrene nell’inibire la sintesi di
aldosterone
o Inibitori RAAS5 che andranno a favorire
iperkaliemia, come ACE-inibitori e sartani, quindi
antagonisti recettoriali dell’angiotensina I per lo più,
ma anche farmaci che vanno sempre ad agire su
questo pathway, come Aliskiren o inibitori del
recettore per l’aldosterone, come lo spironolattone.
Tipicamente sono farmaci utilizzati in pazienti con
insufficienza renale e/o con scompenso cardiaco e
insufficienza ventricolare, ovvero pazienti che sono
comunque a rischio di insufficienza renale. È molto
frequente osservare un aumento dei livelli di potassio in
queste situazioni cliniche, e bisogna pesare rischi e benefici di mantenere la terapia con questi farmaci
che comunque migliorano la prognosi di pazienti con insufficienza renale cronica, proteinuria o
disfunzione cardiaca

2. Iperkaliemia da difetti nel dotto collettore


Per studiare più da vicino i meccanismi che interferiscono con l’eliminazione del potassio, dobbiamo andare a
osservare il dotto collettore e in particolare il suo pathway regolato dall’aldosterone6:
1. si ha il riassorbimento di sodio nelle cellule principali del
dotto distale attraverso il canale ENaC
2. si viene a creare un’elettronegatività nel lume del tubulo
in seguito al riassorbimento di sodio
3. questa elettronegatività favorisce la secrezione di
potassio attraverso i canali ROMK
4. Il tutto viene mantenuto dalla pompa sodio potassio che
mantiene i gradienti tra ambiente extracellulare e
intracellulare di sodio e potassio
Quindi se ho un problema in questo meccanismo a
qualunque livello tenderò ad avere iperkaliemia. Questo può
dipendere da:
• Aldosterone che regola tutti questi meccanismi
molecolari
• Ridotto flusso nel tubulo distale, quindi se ho una
marcata disidratazione e non arriva sodio a questo livello
del tubulo perché è stato pressoché tutto riassorbito nei
segmenti più prossimali, avrò una predisposizione all’iperkaliemia.
• Farmaci come l’amiloride7 che vanno a bloccare direttamente il canale ENaC del sodio, ovvero dei deboli
diuretici che tendono però ad aumentare il potassio perché interferiscono appunto con questo
fondamentale sistema di escrezione del potassio
• Mutazioni in ENaC; quindi su base genetica avremo iperkaliemie dovute allo pseudo-ipoaldosteronismo di
tipo I. L’aldosterone c’è ma non riesce ad agire sui sistemi renali di aumentata escrezione del potassio
perché il canale ENaC è difettoso

5
Renin-angiotensin-aldosterone system
6
Già descritto nella scorsa lezione (sbobina n°8 del 08/05/2023)
7
Fa parte dei cosiddetti farmaci diuretici risparmiatori di potassio in quanto agisce direttamente inibendo i canali che
inducono il riassorbimento di sodio chiamati ENaC situati sulla membrana luminale delle cellule renali dell'ultima porzione
del tubulo contorto distale e dei dotti collettori
TERAPIA
L’obiettivo principale quando si tratta l’iperkaliemia è prevenire le aritmie, ovvero la conseguenza più grave
della condizione. In presenza di valori elevati di potassio, quindi sopra 6,5-7, soprattutto se vediamo alterazioni
dell’ECG con onde T appuntite e alterazioni più avanzate, dovremo:
1. somministrare il calcio, generalmente sotto forma di calcio gluconato, che va a stabilizzare la membrana
cardiaca e quindi a ridurre il rischio di aritmie maligne. Quindi il calcio gluconato di per sé non fa
assolutamente nulla ai livelli di potassio, ma riduce il rischio che il potassio alto possa avere delle
conseguenze clinicamente rilevanti a livello cardiaco.
2. Si deve pensare di andare ad agire su tutti i vari elementi fisiopatologici che comportano l’iperkaliemia, in
termini di:
• Apporto:
o Soprattutto in cronico si può pensare di somministrare resine chelanti, che chelano il potassio a
livello gastrointestinale, aumentando l’escrezione intestinale di potassio
o Consigli dietetici per limitare l’assunzione di alimenti particolarmente ricchi di potassio, anche in
questo caso soprattutto per quanto riguarda pazienti con insufficienza renale cronica avanzata
• Distribuzione tra l’intra e l’extra cellulare, su cui si può agire soprattutto in acuto
o Somministrazione di insulina, per favorire l’uptake intracellulare di potassio. Si somministra
insieme ad una soluzione glicosata per prevenire ipoglicemia, che sarebbe un effetto collaterale
dell’insulina in questo caso
o Somministrazione di beta-agonisti, come il salbutamolo8 a dosaggi estremamente più alti rispetto
a quelli utilizzati per l’asma
Utilizzando questi due metodi combinati riusciamo ad abbassare il potassio plasmatico a livelli di
almeno 5,5 mmol/L.
o Un altro approccio importante è la correzione dell’acidosi metabolica se presente. Soprattutto
nei pazienti con insufficienza renale cronica, spesso si avranno anche i bicarbonati bassi; quindi,
somministrando i bicarbonati andiamo ad agire sul passaggio di ioni H+ tra l’intra e l’extra
cellulare. Questo è però molto meno efficace rispetto alle altre due azioni terapeutiche9.
• Escrezione renale
o Diuretici, tipicamente la furosemide, ovvero diuretici che causano ipokaliemia.
o È importante reidratare il paziente se ipovolemico perché si abbasserà l’apporto di sodio a livello
del tubulo distale quindi quei meccanismi aldosterone dipendenti di escrezione di potassio
potranno funzionare a livello fisiologico
o Sospensione di farmaci che possono essere causa di iperkaliemia, quali sartani, ACEi, farmaci
risparmiatori di K
o Trattare l’Ipoaldosteronismo con terapia sostitutiva con fludrocortisone se si ha una ridotta
produzione di aldosterone a livello del surrene

Se la terapia medica non funziona e siamo di fronte ad un’iperkaliemia grave tipicamente con insufficienza
renale è importante ricordare che esiste anche la dialisi, che permetterà la rimozione del potassio attraverso
il circuito extracorporeo. L’iperkaliemia che non risponde a terapia medica è in assoluto la più frequente
indicazione ad iniziare la dialisi in urgenza nei pazienti con insufficienza renale acuta e cronica

MALATTIE GENETICHE
Si tratta di un aspetto in continua evoluzione della nefrologia e della medicina in generale. Quello che sta
emergendo negli ultimi anni è che le malattie genetiche monogeniche possono spiegare l’eziologia
dell’insufficienza renale cronica di grado avanzato, soprattutto nei bambini, ma anche in una quota importante
di adulti. Si sa infatti da decenni ormai della presenza della componente genetica nei bambini per quanto
riguarda l’IRC nello stadio avanzato. Si stima infatti che tra il 30% e il 50% dei bambini con una IRC nello
stadio avanzato abbia una patologia genetica. Al contrario, l’impatto di questa componente genetica nell’adulto
è un fatto che stiamo scoprendo sempre di più negli ultimi anni. Si stima in questo caso che circa il 10-30%
degli adulti con IRC severa abbiano una patologia genetica alla base. Chiaramente quando si considerano
percentuali come il 30% non si tratta della popolazione in generale, ma si tratta di casistiche che escludono
pazienti con diabete o malattie vascolari. Se infatti andiamo a considerare una popolazione selezionata, la
probabilità di avere una patologia genetica aumenta.

Ci sono alcune caratteristiche cliniche presenti nel paziente con insufficienza renale che ci devono far

8
Farmaco utilizzato per l’asma
9
In urgenza sono utilizzate le prime due metodologie
sospettare di una causa genetica. In particolare:
• Età giovanile
• Storia familiare, con tutti i vari pattern di ereditarietà, ovvero: autosomici dominanti, autosomici recessivi,
legali al cromosoma X (quindi per questo è importante raccogliere una storia familiare estesa per verificare
se genitori o parenti siano portatori, cosa che aumenterebbe la possibilità di sviluppo di una patologia
autosomica recessiva)
• Manifestazioni extrarenali, tante più caratteristiche sindromiche sono presenti tanto più aumenta la
probabilità di essere di fronte ad una patologia genetica che interessa il rene, ma anche altri organi.

La frequenza delle malattie genetiche cambia a seconda della presentazione clinica:


• Se siamo in presenza di una situazione genitourinaria, fino ad 1 paziente su 5 può avere una causa
genetica
• Se guardiamo invece in generale alle sindromi nefrotiche, la probabilità si abbassa

Fare una diagnosi genetica è importante per diversi motivi:


• Per la presenza sempre maggiore di terapie specifiche per le varie patologie genetiche (ad ora le terapie
specifiche a disposizione sono però ancora poche)
• Per evitare di somministrare terapie che potrebbero venire prescritte se non si fosse a conoscenza della
causa genetica della malattia10
• Per valutare il rischio di recidiva della malattia in caso di trapianto d’organo
• Counseling preconcezionale
• Per rendere più sensibili nel considerare sintomi extrarenali che, in mancanza di diagnosi di malattia
genetica, non verrebbero considerati associati ad una patologia renale11

Di seguito un lavoro di 4 anni fa condotto dalla Columbia University di New York, che rappresenta la più grande
casistica mai pubblicata di sequenziamento del genoma. Lo
studio ha previsto il sequenziamento del genoma di più di
3300 pazienti con IRC o in dialisi (quindi senza andare a
selezionare casistiche particolari per cui si potrebbe essere
più a rischio per patologie genetiche). Quello che è emerso
è che in un 9,3% (ovvero in 307 pazienti) di pazienti c’è una
diagnosi genetica monogenica. In particolare, sono state
identificate 66 patologie monogeniche. Il dato importante è
che, nonostante il numero elevato di patologie identificate, i
geni correlati a queste malattie sono, nel 63% dei casi, solo
6. Questo per dire che le patologie genetiche renali possono
essere moltissime, ma sono sostanzialmente pochi i geni
implicati nella maggior parte di queste.
I 6 geni implicati nei 2/3 delle patologie genetiche sono:
• PKD1 e PKD2 che causano il rene policistico
autosomico dominante
• COL4A3, COL4A4 e COL4A5 (geni codificanti per il
collagene IV) che sono legati alla Sindrome di Alport
• UMOD (geni codificanti per l’uromodulina) che causano la nefropatia giugolo-interstiziale autosomica
dominante

RENE POLICISTICO AUTOSOMICO DOMINANTE (ADPKD)


Caratteristiche generali dell’ADPKD:
• La sigla ADPKD sta per Autosomal Dominant Polycystic Kidney Disease;
• Come dice il nome, è caratterizzato dallo sviluppo progressivo di cisti renali, che crescendo vanno a
comprimere il parenchima circostante, su cui si innesca poi un processo infiammatorio e poi fibrotico che
portano alla fase terminale dell’insufficienza renale;
• Non solo rappresenta la più comune malattia renale genetica, ma in generale rappresenta la principale
malattia monogenica definita come “life therapy”12;

10
Per esempio, nelle podocitopatie si usano trattamenti immunosoppressori che potrebbero essere tossici per bambini
durante lo sviluppo, sapendo in questo caso che l’origine della malattia è genetica, si evita di prescrivere questa terapia
(essendo in questo caso non responsiva).
11
Per esempio, in un paziente con rene policistico, si possono formare aneurismi cerebrali a rischio di rottura. Sapendo
quindi di tale condizione patologica si può cambiare l’approccio diagnostico per fare screening per aneurismi.
12
Ovvero una patologia tale da mettere a repentaglio la vita del paziente.
• Circa 4-10% dei pazienti in dialisi raggiungono la fase terminale dell’insufficienza renale proprio a causa
dell’ADPKD;
• Per quanto riguarda la prevalenza, i numeri sono molto variabili: vanno da 1 malato caso ogni 2500
persone, ad 1 malato caso ogni 400 persone. Questo perché la patologia è poco diagnostica soprattutto
per quanto riguarda le forme meno gravi in cui l’insufficienza renale tende a progredire lentamente o in cui
il paziente deceda prima di entrare nella fase terminale;

I principali geni implicati nella patologia sono:


• PKD1: risulta mutato in circa l’80% dei casi, presente sul cromosoma 16 e codificante per la policistina1;
• PKD2: risulta mutato in circa il 15% dei casi, presente sul cromosoma 14 e codificante per la policistina2;
Ad oggi non si conoscono ancora con certezza quali siano le funzioni della policistina1 e della policistina2.
Si ritiene che la policistina2 sia un canale per il calcio, mentre della policistina1 si sa ancora molto poco.
L’unica cosa certa è che la presenza delle policistine in una cellula condiziona la comparsa delle cisti. In
particolare, se si hanno livelli adeguati di queste molecole il tubulo renale si sviluppa normalmente, nel
caso in cui invece il livello sia inferiore alla soglia, si sviluppano cisti13.
• C’è poi il restante 5% dei casi in cui il gene implicato o non è ancora stato identificato o si hanno mutazioni
in geni minori;

Mettendo a confronto un rene normale e un rene policistico si osserva come quest’ultimo sia caratterizzato da
dimensioni molto aumentate e dalla presenza di numerose cisti contenenti liquido che vanno a sovvertire la
normale anatomia renale.

L’immagine sottostante rappresenta un caso estremo di rimozione di rene policistico dal peso di 22kg e con il
più grande dei due avente lunghezza di 51cm

13
paragrafo integrato dalle sbobine dello scorso anno
Di seguito una campagna di un’associazione inglese di paziente affetti da ADPKD in cui lo slogan è “non sono
incinta. Ho l’ADPKD”.

Patogenesi
Il rene policistico autosomico dominante rientra nella famiglia delle Ciliopatie14, ovvero malattie accumunate
da difetti genetici correlati a proteine implicate nella funzione del ciglio. La policistina1 e la policistina2 sono
proprio localizzate sulla membrana del ciglio.

Il ciglio è un apparato molecolare presente a livello delle cellule tubulari renali, ma anche in moltissimi altri
distretti corporei. Rappresenta sostanzialmente un’estroflessione delle membrane basali delle cellule epiteliali
che si pensa fungere da meccanorecettore in grado di trasdurre il segnale dall’esterno all’interno della cellula.

Il difetto molecolare alla base dell’ADPKD è dunque a livello del ciglio. Per meccanismi non ancora del tutto
compresi, le anomalie a livello di queste proteine determinano molte alterazioni a livello di vari pattern
intracellulari che culminano in una proliferazione dell’epitelio, in un’attivazione dei fattori epitelial growth factor
e nella secrezione di liquidi all’interno di questo epitelio iperplastico, con la conseguente formazione di cisti

14
queste comprendono anche il rene policistica autosomico recessivo (più raro, e ad esordio precoce) e tutta una serie di
patologie rare.
che aumentano di volume fino a distaccarsi dal tubulo da cui sono partite. Tra le risposte intracellulari troviamo
un aumento dell’AMPc, in risposta all’attivazione del recettore per la vasopressina. Ad oggi l’unico farmaco in
grado di rallentare lo sviluppo dell’ADPKD è il Tolbactan, antagonista del recettore V2 della vasopressina,
andando perciò a ridurre la concentrazione di AMPc intracellulare.

Queste cisti possono originare da qualunque livello del tubulo, nonostante si sia dimostrato che si originino
principalmente a livello del tubulo distale. Questo è
dovuto probabilmente alla presenza di una maggior
quota di recettori V2 per la vasopressina proprio a
questo livello.
Importante inoltre sottolineare come solo l’1% dei
nefroni viene interessato dai processi di cistogenesi.
La domanda che sorge quindi spontanea è come mai,
nonostante la mutazione genetica interessi tutti i
nefroni, la formazione di cisti interessi solo una minima
parte di questi.
Il modello ad ora più plausibile, in base anche alle evidenze sperimentali, è definito second hit hypothesis
(o ipotesi dei due colpi). Questa teoria dice che, oltre alla mutazione germinale, è necessaria una seconda
mutazione somatica, perché gli epiteli diventino cistici. L’epitelio tubulare avendo una frequenza di
rigenerazione molto elevata, presenta un alto rischio mutazionale. In quelle cellule quindi che vanno incontro
alla seconda mutazione (una ereditata e una somatica), il livello di espressione delle policistine sarà sotto il
livello soglia tale per cui, anche in associazione a fattori predisponenti non ancora ben definiti, si favorisce il
processo di cistogenesi.

Nonostante, quindi, la malattia sia ereditata in modo autosomico dominante, il meccanismo molecolare è
recessivo, quindi richiede una seconda mutazione che riguarda la copia non alterata del gene.

In pazienti con queste mutazioni si è osservato come il numero di cisti e le dimensioni del rene vanno ad
aumentare nel tempo, e che tali alterazioni precedono l’insufficienza renale. Se si dovesse andare a valutare
però la funzione del rene, per esempio con la clearance della creatinina, la diagnosi sarà tardiva. Questo a
causa di una lunga fase di compensazione, in cui nonostante la cistogenesi e la riduzione di nefroni funzionanti,
quelli ancora intatti sono in grado di far fronte alla
situazione aumentando la propria attività. Quindi,
nonostante sia una malattia genetica, la diagnosi
viene fatta nell’adulto o persino nell’anziano. Si
arriverà poi ad un punto in cui però il compenso si
rivelerà insufficiente, e in parallelo all’aumento del
numero di cisti e delle dimensioni del rene, si avrà
un progressivo decadimento funzionale, che
tendenzialmente è anche molto rapido.

Manifestazioni renali
Sono molto variabili. In generale si tratta di una condizione che si rende clinicamente evidente nell’adulto,
anche se ci sono casi molto rari in cui si può manifestare anche a livello intrauterino o casi lentamente
progressivi che si osserveranno nell’anziano.
La proteinuria è associata ad una riduzione della GFR. La proteinuria è espressione dell’ultrafiltrazione
glomerulare come tentativo di compenso dei nefroni residui.
In circa la metà dei pazienti si svilupperà l’ESRD entro i 60 anni, mentre nella restante parte ci sarà un esordio
più precoce. Non è raro trovare nella stessa famiglia, con la stessa mutazione, casi con velocità di
progressione differente.
Sono stati identificati dei fattori che sembrano condizionare la velocità di progressione della malattia:
• I pazienti che presentano una mutazione in PKD1 presentano una progressione più rapida rispetto a quelli
che con mutazione in PKD2. Si sono inoltre definite mutazioni più gravi (mutazioni bloccanti) di altre che
concorrono a definire una prognosi peggiore. Quindi il livello di espressione delle policistine influenza il
fenotipo del paziente;
• Si è ipotizzata la presenza anche di altre mutazioni in altri geni;
• Situazioni di mosaicismo, ovvero pazienti in cui non tutte le cellule presentano la mutazione, soprattutto
nel caso in cui la mutazione è insorta ex-novo, quindi non è stata ereditata, ma si è sviluppata durante
l’embriogenesi. A seconda poi della percentuale di cellule intaccate, il fenotipo del paziente sarà più o
meno grave;
• Si è inoltre osservato, per ragioni però non ancora comprese, che gli uomini abbiano una prognosi
peggiore delle donne;
Per quanto riguarda le manifestazioni cliniche abbiamo:
• Ipertensione, che interessa circa il 20-40% dei bambini e il 50-70% degli adulti anche prima della
riduzione della GFR. Si tratta di una condizione abbastanza precoce, compare infatti a circa 32 anni negli
uomini e a 34 anni nelle donne.
Si è osservato come l’attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone giochi un ruolo
patogenetico importante nell’ipertensione.
Risulta fondamentale riconoscere e trattare precocemente l’ipertensione. Questo perché una terapia
antipertensiva adeguata, soprattutto con farmaci che vadano ad inibire il RAAS (come ACE-inibitori o
Sartani) è l’intervento più importante per ridurre la progressione della malattia, ritardando l’insorgenza
dell’IRC terminale. Gli eventi cardiovascolari sono
inoltre la prima causa di morte nei pazienti affetta di
ADPKD; quindi, il trattamento dell’ipertensione è
importante anche per ridurre il rischio di sviluppare
questi eventi.
• Dolore cronico, riportato nel 60% dei pazienti. Si tratta di
un dolore prevalentemente lombare dovuto all’effetto
massa, ovvero all’ingrandimento delle cisti che
determinano una trazione sul peduncolo renale e uno
stiramento della capsula renale. I pazienti con ADPKD
riportano spesso un dolore muscolo-scheletrico del
rachide, dovuto ad un aumento di peso fino a 10-15kg
dovuto appunto alle cisti.
• Infezioni, in particolare del tratto urinario. Si distinguono in
genere in infezioni del tratto urinario basso e infezioni del
tratto urinario alto. Una condizione molto grave per questi
pazienti è l’infezione delle cisti, nel momento in cui i patogeni intaccano le cisti stesse. Quest’ultime sono
particolarmente difficili da diagnosticare e da trattare perché gli antibiotici raggiungono il sito d’infezione
con molta difficoltà. Si richiedono per questo terapie prolungate (almeno 4 settimane) e antibiotici che
abbiano una biodisponibilità particolarmente buona a livello delle cisti, come i Fluorchinoloni.
• Calcoli urinari, presenti in circa il 30% dei pazienti. Possono essere sia calcoli di acido urico o calcoli di
calcio ossalato. Si tratta di una condizione favorita sia dalle alterazioni anatomiche del tratto urinario che
da un’eccessiva acidificazione delle urine (questa favorisce soprattutto una calcolosi da acido urico)
• Emorragia delle cisti, sanguinamenti che possono essere molto dolorosi a causa della distensione della
capsula renale. Sulla superficie delle cisti si innescano fenomeni di neoangiogenesi, ma le crescite delle
cisti stesse è smisurata rispetto a quella dei vasi, che vengono così stirati e si rompono. Il danno vascolare,
oltre al dolore, può causare un’emorragie retroperitoneale se la cisti non ha mantenuto nessuna
comunicazione con l’albero urinario. Nel caso in cui, invece, abbia mantenuto una comunicazione si
manifesterà macroematuria. Anche gli episodi di macroematuria si correlano ad una prognosi peggiore
per il paziente15. Sanguinamenti che possono essere facilitati da eventi come traumi o attività fisica
intensa.
• Difetto di concentrazione urinaria, condizione che il rene policistico ha in comune con tutte le patologie
tubulo-interstiziali, legate ad una ridotta attività dell’ormone antidiuretico a livello del tubulo contorto distale.
Questi pazienti sono quindi più a rischio di disidratazione. Sarà quindi necessario aumentare l’introito di
liquidi. Questo anche per ridurre la concentrazione di ADH e ridurre quindi l’attivazione della via
intracellulare che fa aumentare l’AMPc che concorre alla cistogenesi.

Manifestazioni sistemiche
L’ADPKD è una ciliopatia. L’apparato molecolare del ciglio, come detto in precedenza, è presente in molti
tessuti e questo fa si che le ciliopatie portino a manifestazioni sistemiche. In particolare, anche l’ADPKD, pur
avendo un aspetto patologico prevalentemente renale, è una patologia sistemica. In particolare, possiamo
avere:
• Cisti epatiche (presenti in circa l’80% dei pazienti);
• Cisti pancreatiche;
• Cisti delle vescicole seminale negli uomini (in circa il 40% dei pazienti). Gli uomini con ADPKD hanno un
maggior rischio di infertilità;
• Diverticolosi del colon (nel 50% dei pazienti);
• Ernie della parete addominali (nel 45% dei pazienti), soprattutto ernie inguinali da mancata chiusura del
dotto vaginale;
• Bronchiectasie, ovvero dilatazioni segmentarie dei bronchi;
• A livello cardiovascolare possiamo avere un aumentato rischio di aneurismi cerebrali e aneurismi vascolari
(soprattutto dell’aorta);
• Cisti a livello dell’aracnoide, solitamente sono silenti e solo raramente possono dare emorragie sub-
aracnoidee;
• Dell’occhio, come degenerazione retinica;
• Anomalie facciali;
• Dei muscoli, come atassia16;

15
Paragrafo integrato dalle sbobine dello scorso anno.
16
Queste tre condizioni sono state riportate come manifestazioni sistemiche delle ciliopatie in generale e non dell’ADPKD.
Entrando più nello specifico di alcune delle manifestazioni extrarenali dell’ADPKD:
per quanto riguarda le cisti epatiche, queste sono la seconda
manifestazione più frequente dopo le manifestazioni renali. Risultano più
frequenti nelle donne rispetto agli uomini, questo si pensa sia dovuto al ruolo
degli ormoni femminili, ma risultano fattori di rischio anche gravidanze,
terapie estro-progestiniche, contraccettivi e terapie ormonali nel post-
menopausa. Il fegato in questi casi può andare incontro ad un aumento
notevole delle dimensioni, ma nonostante questo le cisti epatiche di solito
non sono di grossa importanza clinica. Danno infatti problematiche solo in
una piccola minoranza di pazienti. In questi:
• la principale manifestazione è correlata all’effetto massa delle cisti che,
aumentando di dimensioni, possono andare a comprimere gli organi
adiacenti, vasi venosi (come le vene epatiche o la vena cava inferiore)
dando origine a stasi venose o raramente anche ascite;
• Si possono anche avere problemi di colestasi con stasi biliari intraepatica;
• Infezioni, come colangiti recidivanti (rare, ma molto gravi);
• Le cisti epatiche, come quelle renali, possono infettarsi, rompersi e dare
sanguinamenti, dando sintomi come febbre, anemizzazione o dolori
addominali;

Per quanto riguarda l’impatto del rene policistico sul cuore:


• La manifestazione più frequente è un versamento pericardico,
riscontrabile nel circa 35% dei pazienti, anche se raramente è
clinicamente rilevante;
• Anche il prolasso della valvola mitrale, con conseguente insufficienza valvolare, risulta una condizione
molto frequente (in circa il 25% dei pazienti);
• Si può anche sviluppare una cardiopatia ischemica, cardiopatia dilatativa o un’ipertrofia ventricolare;
• Si possono sviluppare aritmie e altre valvulopatie;
• Come già detto precedentemente, l’ipertensione è una condizione molto frequente, osservabile in circa il
70% dei pazienti;
Le patologie cardiovascolari rappresentano la principale causa di morte nel paziente affetto da ADPKD.

Per quanto riguardo gli aneurismi cerebrali:


• Si tratta di una conseguenza non molto frequente nei pazienti con
ADPKD (solo in circa il 10%). La probabilità di insorgenza però
aumenta fino a circa il 21% se consideriamo pazienti con rene
policistico con familiarità nota per aneurismi cerebrali o per ictus;
• Per la maggior parte dei casi queste alterazioni non danno grandi
problemi, sono infatti piccoli, localizzati nel circolo vascolare anteriore
e con un basso rischio di rottura
Nell’eventuale rottura però hanno conseguenze molto importanti,
portando in circa la metà dei casi al decesso del paziente o
inducendo disabilità;

Diagnosi
La diagnosi è abbastanza semplice da formulare soprattutto nei pazienti con familiarità nota. In questi pazienti
infatti è sufficiente svolgere uno studio imaging di primo livello con un’ecografia per fare diagnosi di certezza.
Questo perché le caratteristiche dell’ADPKD sono molto facili da riconoscere. In particolare, si osserverà:
• Rene con numerose cisti;
• Aumento delle dimensioni renali (soprattutto questa caratteristica che risulta tipica del rene policistico, che
permette di distinguerlo da altre malattie renali);
Sono stati sviluppati dei criteri, sulla base del numero di cisti presenti, per confermare la diagnosi di ADPKD.
Il numero di cisti, pur essendo ADPKD una malattia genetica, aumenta con l’età. In particolare, questo
approccio richiede:
• Almeno 3 cisti nei pazienti tra i 15 e i 30 anni;
• Almeno 2 cisti per rene per pazienti con età superiore ai 40 anni. Con l’aumentare dell’età i criteri diventano
un po’ più stringenti poiché con l’invecchiamento aumenta la possibilità di sviluppare cisti renali semplici,
non associate all’ADPKD;
In alternativa all’ecografia, si può usare la risonanza magnetica che risulta più sensibile della prima.
L’identificazione di almeno 10 cisti per rene con la RMN risulta una prova molto indicativa di patologia. Si può
usare anche la TC. Sia la TC che la RMN ci consentono anche di quantificare il volume renale, quindi capire
la gravità del paziente anche prima che si instauri l’IRC terminale. Abbiamo infatti visto come le alterazioni
morfologiche del rene precedono le alterazioni funzionali dello stesso.
Per compiere diagnosi si potrebbe anche usare un test genetico. Questo non risulta però indispensabile in
quei pazienti con una storia familiare nota. Viene utilizzato invece in quei casi dubbi o diagnosi prenatale.
Fino ad un caso su quattro non è presente una storia familiare. Questo è dovuto nella maggior parte dei casi
al fatto che la familiarità non è riconosciuta perché si tratta di forme lentamente progressive che non sono mai
state studiate. Sono invece pochi i casi (circa il 5%) in cui l’ADPKD è dovuto ad una mutazione ex-novo o a
mosaicismo (ovvero i genitori non sono portatori della mutazione, ma questa compare durante lo sviluppo
prenatale).

Terapia
Bisogna innanzitutto modificare dello stile di vita in modo da rallentare la progressione della malattia. In
particolare:
• adottare una buona idratazione;
• limitare l’apporto di sodio e proteine;
• mantenere un peso ideale;
Da un punto di vista farmacologico invece posso utilizzare:
• ACE-inibitori o Sartani, e Statine;
• In casi particolari si possono adottare terapie più mirate ai pattern molecolari alterati. In questi casi
possono usare il Tolvaptan che è un antagonista del recettore per la vasopressina (che ha tra i vari effetti
collaterali, quello di indurre poliuria, producendo fino a 8/10 litri di urine al giorno, richiedendo quindi una
buona idratazione del paziente;
• Si possono usare analoghi della somatostatina per il trattamento delle cisti epatiche;
• Il trapianto renale rimane la terapie di scelta una volta che si raggiunge l’insufficienza renale terminale;

RENE POLICISTICO AUTOSOMICO RECESSIVO (ARPKD)


La sigla sta per Autosomal Recessive Polycystic Kidney Disease. Si tratta di una condizione più rara, ma
anche più grave e severa della forma dominate.
Essendo una forma recessiva, richiede la
trasmissione di due mutazioni. La forma recessiva
interessa in modo molto importante anche il fegato.
In particolare, si sviluppa un quadro di fibrosi
epatica, associata ad ipertensione portale.
Ha insorgenza prevalentemente pediatrica. Ci sono
casi in cui le cisti renali sono evidenti mediante
ecografia già durante lo sviluppo intrauterino.
Si è soliti dividere in due gruppi i pazienti affetti da
rene policistico autosomico recessivo:
• quelli in cui la diagnosi viene posta entro il primo anno di età. I soggetti che hanno una diagnosi entro il
primo anno di vita sono quelli che hanno la malattia più grave, perché è la severità del quadro clinico
che porta immediatamente alla diagnosi. Il 40% di questi soggetti vanno incontro a morte per ipoplasia
polmonare, ma del restante 60% che sopravvive buona parte necessita di dialisi appena dopo la nascita.
Questi pazienti oltre a manifestare ipoplasia polmonare manifestano anche:
o problemi di alimentazione
o insufficienza renale
o ipertensione in età neonatale
o aumentata possibilità di infezioni urinarie
o Sul versante epatico, possono manifestare ipertensione portale con sanguinamento delle varici e
avere una predisposizione a sviluppare degli episodi subentranti di colangite
• quelli in cui la diagnosi viene abitualmente formulata dopo il primo anno; in questi pazienti i sintomi hanno
un esordio entro i 10 anni o in età giovanile o, più raramente, in età adulta. Il tratto caratteristico di questa
seconda forma è la convivenza di due quadri clinici: quello legato all’insufficienza renale e quello legato
alla fibrosi epatica con ipertensione portale; in alcuni casi può prevalere l’ipertensione portale come
manifestazione clinica, in altri casi può predominare invece l’insufficienza renale. 17

I geni coinvolti nella forma recessiva sono diversi rispetto a quelli della forma dominante,. Tra questi,
importante è PKHD1 che codifica per la fibrocistina.

17
Paragrafo integrato dalle sbobine dello scorso anno
Per quanto riguarda l’ipoplasia polmonare, un’altra problematica importante dell’ARPKD, possiamo dire che
questa sia dovuta ad un difetto nello sviluppo dei polmoni durante lo crescita intrauterina. Durante lo sviluppo
ho già un’insufficienza renale rilevante, quindi avrò poco liquido amniotico e questo condiziona lo sviluppo dei
polmoni dando l’ipoplasia polmonare che può essere già letale nei primi mesi di vita
I pazienti che sopravvivono ai primi mesi di vita vanno poi spesso incontro ad un’insufficienza renale terminale
intorno ai vent’anni.

SINDROME DI ALPORT (O NEFRITE EREDITARIA)


Per sindrome di Alport si intende tutto lo spettro di
nefropatie causate da difetti genetici nella sintesi
del collagene di tipo IV. Si stima che questa
sindrome sia responsabile fino al 2% dei casi di
insufficienza renale cronica terminale e si stima che
la prevalenza sia di 1 caso su 10000 (anche se si
tratta di un numero verosimilmente sottostimato).
Una cosa certa, da quando è stato estensivamente
adottato il test genetico è che la frequenza è molto
maggiore di quanto comunemente si ritenesse.
Tradizionalmente viene definita come una sindrome nefritica; il tratto prevalente è quindi una microematuria
persistente che esordisce in età infantile e può complicarsi con degli episodi di macroematuria ricorrente.
Spesso va in
diagnosi differenziale con la Nefropatia a depositi mesangiali di IgA, solo che in questo caso l’esordio è in età
pediatrica nella maggior parte dei casi.
Il collagene IV è uno dei costituenti principali delle membrane basali18. Esistono in particolare 6 isoforme di
catene alpha di collagene IV, che si assemblano per formare dei trimeri in diverse conformazioni. Una di queste
è il trimero alpha345 che si trova in particolare nel rene, nella coclea, nell’occhio e nel polmone. La
distribuzione tissutale di questo trimero ricalca poi le manifestazioni cliniche della Sindrome di Alport, quindi
manifestazioni renali, sordità neurosensoriale e manifestazioni oculari. Non sono note invece manifestazioni
polmonari.
Dal punto di vista genetico la situazione è abbastanza complessa, ma a noi interessa ricordare che se si
riscontrano delle mutazioni sui geni localizzati sul cromosoma 13 la malattia è letale, perché la costruzione di
membrana basale glomerulare in molti distretti dell’organismo è messa in discussione. Se invece le mutazioni
sono a carico dei geni localizzati sul cromosoma 2 (COL4A3 e COL4A4), si può avere sia una variante causata
da una mutazione dominante, sia recessiva. L’Alport x- linked invece è ovviamente dovuto a mutazioni sui
geni presenti a livello del cromosoma x (COL4A5 e COL4A6). La forma più diffusa è quella legata al
cromosoma x; infatti, rappresenta circa l’80% dei casi. È dovuta a mutazioni del gene COL4A5.
Nello specifico, avremo quindi che i geni codificanti per il collagene IV implicati poi nella Sindrome di Alport
sono:
• COL4A3 e COL4A4; si trovano sul cromosoma 2 e danno luogo a:
o Sindrome di Alport autosomica dominante, nella quale basta ereditare una singola copia mutata di
uno dei due geni (per esempio una copia mutata di COL4A4)
o Sindrome di Alport autosomica recessiva, nella quale devo invece ereditare due coppie mutate di uno
dei due geni (per esempio due mutazioni di COL4A4);
• COL4A5; si trova sul cromosoma X e da luogo invece alla Sindrome di Alport X-linked. In questo caso
avremo che
o un uomo eredita il cromosoma X con il gene mutato, svilupperà la malattia
o nelle donne, che hanno due copie del cromosoma X, un tempo si pensava fossero solo portatrici a
causa della presenza della doppia copia di quest’ultimo, mentre si è visto che possono evidenziare
delle manifestazioni anche molto gravi (fino alla fase terminale dell’insufficienza), anche se comunque
fenotipo meno importante rispetto agli uomini

18
(insieme a molte altre componenti molecolari, come laminine, proteoglicani,…)
Manifestazioni cliniche
La gravità della mutazione genetica andrà di pari passo con la gravità della condizione clinica. Da una parte
dello spettro abbiamo pazienti in cui il carico di mutazione genetica è minore:
• forme autosomiche dominanti in cui ho solo una copia difettiva del gene; avranno quindi la possibilità di
esprimere in modo normale l’altro allele non mutato. In questi casi possiamo osservare anche una
penetranza incompleta, ossia ci sono persone portatrici della mutazione ma non manifestano alterazioni
cliniche;
• Femmine con mutazioni x-linked, anche se le manifestazioni sono variabili a causa dell’inattivazione
random del cromosoma x.
All’altro estremo dello spettro delle manifestazioni cliniche più gravi, quali:
• Forme autosomiche recessive, in cui ho la totale assenza di una delle catene che formano il collagene di
tipo IV, perché entrambi gli alleli sono mutati;
• Maschi con forma x-linked, in cui avrò solo una copia di COL4A5 e questa sarà mutata

Altri fattori che possono determinare la gravità clinica sono il sottotipo di mutazione genetica, evidente
soprattutto nei maschi x-linked in cui se ho una mutazione particolarmente impattante, in cui la proteina è
assente, questa situazione sarà più grave rispetto ad una mutazione missenso che va solo a mutare un
aminoacido. Quindi forme in cui non ho espressione in assoluto di una di queste catene del collagene di tipo
IV saranno più gravi delle forme in cui avrò qualche livello di espressione

Andando ad osservare più da vicino qual è lo spettro di queste patologie a livello renale19, partendo dalle forme
più lievi verso quelle più gravi, avremo:
• Forme completamente asintomatiche
• Microematuria isolata; potrebbe essere l’unica manifestazione che rimane tale per tutta la vita dei pazienti,
ed è per questo motivo che in passato si parlava di microematuria familiare isolata, proprio per distinguere
queste forme sostanzialmente benigne. Il problema è che non abbiamo una tale conoscenza che ci
permetta di classificare con precisione i pazienti che presenteranno una microematuria per tutta la loro
vita rispetto a quelli che invece presenteranno delle manifestazioni renali più importanti20;
• Proteinuria, tendenzialmente una microalbuminuria. Si tratta del singolo fattore prognostico più importante:
i pazienti che iniziano a sviluppare proteinuria sono quelli più a rischio di sviluppare insufficienza renale,
la quale può evolvere fino all’insufficienza renale cronica terminale (ESKD).
I pazienti con forme renali più gravi possono sviluppare anche delle problematiche a livello non renale, in
particolare a livello di occhio e orecchio.

Riassumendo: il quadro clinico della sindrome di Alport vede alterazioni a carico dei reni: il tratto
caratteristico è un’ematuria glomerulare, progressivamente appare insufficienza renale e vedremo che ci può
essere anche proteinuria soprattutto nelle fasi avanzate della malattia. Avremo poi alterazioni a carico
dell’orecchio: è importante non chiedere soltanto se l’udito è normale, perché essendo una sordità
neurosensoriale ad alte frequenze spesso il paziente non se ne rende conto: è obbligatorio fare un esame
audiometrico e documentare una sordità neurosensoriale. In una percentuale significativa di pazienti ci sono
anche delle alterazioni oculari (macchie retiniche aspecifiche che si chiamano macular flex), ciò che più
frequentemente documentiamo sono le alterazioni della camera anteriore dell’occhio (cheratocono e
lenticono, se associate ad una microematuria devono subito portare a pensare di essere in presenza di una

19
Descrizione dell’immagine sottostante
20
il concetto di riclassificare la patologia è quella di non perdere al follow-up i pazienti che nelle prime decadi di vita
presentano una microematuria ma poi possono con l’andare del tempo sviluppare delle caratteristiche patologiche più
importanti
sindrome di Alport). La Leiomiomatosi è un’associazione meno frequente ed è tipica della sindrome da geni
contigui COL4A5 – COL4A6.

End stage renal disease (ESRD)


In generale, dal punto di vista renale, possiamo dire che:
• Il 100% dei maschi x-linked e i pazienti con forme autosomiche recessive raggiungono l’insufficienza
renale cronica terminale, il tutto anche abbastanza precocemente, infatti il 90% entro i 40 anni d’età
• La situazione è molto meno grave nel caso delle donne con malattia x-linked, parliamo di circa il 25% che
raggiunge l’insufficienza renale, e di queste il 12% entro i 40 anni
• Per quanto riguarda le forme autosomiche dominanti, si parla del 20% delle persone che raggiungono
l’ESRD

Istologia renale
Se andiamo a vedere le alterazioni a livello renale, si tratta
principalmente di alterazioni primarie a livello della membrana basale
glomerulare. Abbiamo visto che il collagene di tipo IV è costituente
fondamentale della membrana basale glomerulare, e nel caso in cui si
ha un difetto genetico a livello di questo collagene, la prima alterazione
sarà un assottigliamento di questa membrana. Questa può rimanere
l’unica alterazione nelle forme più lievi (per questo si chiama malattia
delle membrane sottili), mentre nel caso di difetto genetico importante,
nel tempo sviluppano anche un ispessimento della membrana basale
glomerulare, la quale si presenta con dei tratti di assottigliamento
alternati a tratti di ispessimento dovuti al tentativo di rimodellamento della membrana basale glomerulare.
Questa assumerà una forma quindi irregolare, con slaminamenti, ovvero forme definite a cesto di vimini, con
le fibre della membrana basale glomerulare esposte in tutte le direzioni.

Per quanto riguarda la microscopia elettronica, questa ci permette di vedere le membrane basali glomerulari
ed è diagnostico per la sindrome di Alport, mentre le caratteristiche alla microscopia ottica sono estremamente
più aspecifiche: vediamo aspetti tardivi aspecifici di danno glomerulare:
• Sclerosi, che può essere solo focale e segmentaria (FSGS) e quindi interessare non tutto il glomerulo
segmentale, solo il glomerulo focale, quindi spesso se non andiamo a fare una microscopia elettronica,
se non abbiamo il sospetto di una patologia genetica famiglie, i pazienti con Alport possono ricevere una
prima diagnosi di glomerulo sclerosi focale segmentaria (FSGS) è una patologia secondaria del podocita
che parte dal difetto genetico della membrana basale.
• Con il progredire della patologia possiamo avere anche una glomerulo sclerosi globale glomerulare e
avremo sempre un danno tubulo interstiziale secondario come tutte le nefropatie croniche.

Nel grafico laterale si possono vedere come erano stati


diagnosticati i pazienti che poi si è visto avevano un difetto
genetico del collagene di tipo IV, che quindi classificheremmo
geneticamente come Alport:
• Solo il 38% avevano avuto effettivamente la diagnosi di Alport
(o malattia delle membrane sottili con la vecchia
nomenclatura)
• 15% di diagnosi non note
• 16% FSGS
• 22% glomerulonefriti o altre forme simili
• 3% nefropatie ipertensive
• Diagnosi aspecifiche di glomerulonefriti

Se guardiamo all’extra renale, abbiamo detto che le implicazioni


principali sono a livello dell’orecchio e dell’occhio. Se presenti, possono essere molto specifiche, però è
importante sottolineare che queste manifestazioni le troviamo solo nei pazienti con manifestazioni renali più
gravi e in generale in una minoranza di pazienti.

Sordità
Le alterazioni dell’orecchio sono frequenti fino al 50% dei pazienti. L’orecchio è interessato dalla sindrome di
Alport perché il collagene di tipo IV si trova anche nella membrana basale della coclea e si manifesta con una
sordità neurosensoriale bilaterale progressiva nel tempo, in genere si manifesta entro le due decadi di vita per
poi peggiorare nel tempo, ed è piuttosto distintivo che sono prevalentemente le frequenze alte ad essere
interessate, soprattutto nelle fasi iniziali
In generale questo problema può essere trattato in maniera abbastanza soddisfacente con degli apparecchi
acustici, che permettono il mantenimento della capacità comunicativa.

Difetti oculari
A livello dell’occhio i distretti interessati sono soprattutto il cristallino, la cornea e
la retina. Le manifestazioni tipiche sono:
• A livello del cristallino
o Lenticono anteriore, che di per sé se è presente è estremamente
suggestivo di sindrome di Alport. Per lenticono si intende una protusione
conica o sferica della superficie anteriore del cristallino; va a determinare
una miopia progressiva;
• A livello della cornea
o Distrofia polimorfa posteriore, in genere diagnosi effettuata
dall’oftalmologo senza che dia disturbi importanti al paziente, rilevando la
suscettibilità a erosioni ricorrenti della cornea con importanti dolori;
• A livello della retina: l’oftalmologo può aiutare a identificare i pazienti con Alport
anche osservando il fondo dell’occhio
Retinopatia dot-and-fleck, quindi a punti e chiazze, ovvero un’alterazione
morfologica piuttosto tipica di Alport senza importanti ripercussioni funzionali in
genere.

Diagnosi
Come detto in precedenza, meno della metà dei pazienti con sindrome di Alport presenta difetti oculari; quindi,
anche se un paziente di cui si sospetta tale patologia non presenta difetti oculari, questo non deve farci
escludere la diagnosi iniziale. Per formare la diagnosi vediamo che è estremamente importante:
• Ricostruire la storia famigliare, anche se circa nel 10-15% dei casi x-linked si tratta di mutazioni de novo
• Biopsia renale ma solo se facciamo la microscopia elettronica e andiamo a vedere lo spessore delle
membrane, mentre spesso ci fermiamo alla microscopia ottica e all’immunofluorescenza possiamo
formulare diagnosi del tuto descrittive e aspecifiche. Quando si fa la biopsia l’importante è garantirsi un
frustolo da utilizzare per la microscopia elettronica, perché questa mostra degli ispessimenti della
membrana basale che si alternano con degli assottigliamenti, con un microscopio elettronico molto ben
funzionante e in mano ad un esperto, si può anche misurare lo spessore della membrana basale e quindi
concludere il quadro tipico. La proteinuria abbondante della fase avanzata è da ricondurre all’alternarsi di
assottigliamenti e ispessimenti a livelli della membrana basale glomerulare
• Test genetici, proprio per indagare le nuove mutazioni

Terapia
Al momento parliamo di una terapia di supporto:
• ACE inibitori e sartani, fondamentali per il controllo non solo dell’ipertensione ma anche della proteinuria;
se somministrati molto precocemente, ovvero fin dalla diagnosi nelle forme più gravi (x-linked e
autosomiche recessive), oppure fin dalla prima comparsa di una microematuria nelle forme meno
aggressive, possono ritardare anche di decenni l’insorgenza dell’insufficienza renale cronica terminale.
• Terapia di supporto per disturbi oculari/sordità
• Trapianto renale o la dialisi, necessaria nelle forme più progressive. Una piccola quota di pazienti con
sindrome di Alport con completa assenza della catena di tipo quinto del collagene, possono sviluppare
dopo il trapianto una risposta autoimmunitaria contro la catena 5 del collagene che è invece presente nel
rene trapiantato. In questo caso si sviluppa la malattia di Goodpasture, quindi la glomerulonefrite dovuta
ad autoanticorpi contro la membrana basale post trapianto.

NEFROPATIA TUBULOINTERSTIZIALE AUTOSOMICA DOMINANTE – ADTKD


Si tratta di un gruppo di rare malattie genetiche renali autosomiche dominanti. L’acronimo ADTKD sta per
“Autosomal Dominant Tubulointerstitial Kidney Disease” proprio perché è caratterizzata principalmente da una
nefrite tubulo-interstiziale, senza patologia glomerulare.
Le caratteristiche cliniche sono quelle aspecifiche che abbiamo visto anche per le nefriti tubulo-interstiziali:
• Insufficienza renale lentamente progressiva con un sedimento urinario blando, una lieve proteinuria e
fibrosi tubulo-interstiziale
• cisti renali, ma con volume dei reni normale o di poco ridotto, quindi con un quadro molto diverso rispetto
al rene policistico
in generale questi quadri sono lentamente progressivi, e raggiungono l’end stage renal disease verso i 40-70
anni. La classificazione di queste forme sta diventando sempre più complessa quanti più geni vengono ad
essere scoperti che danno questo tipo di quadri. Il gene relativamente più comune è UMOD, ovvero il gene
che codifica per l’uromodulina. Una caratteristica comune di questo quadro rispetto alle altre nefriti tubulo-
interstiziali è la presenza marcata di iperglicemia, con anche gotta particolarmente frequente e precoce, anche
adolescenziale. L’uromodulina rappresenta la proteina più abbondante nelle urine. Svolge un ruolo di
modulazione della risposta infiammatoria, di protezione da infezioni delle vie urinarie e di protezione da
calcolosi urinaria calcica.

La patogenesi di questa nefropatia non ha nulla a che fare con l’azione dell’uromodulina. In generale si pensa
che ADTKD da mutazione del gene UMOD, così come molte altre forme di ADTKD, siano dovute da un
accumulo di proteine anomale a livello del reticolo endoplasmatico. Non abbiamo quindi una manifestazione
da loss of function, anche perché c’è un allele normale del gene che codifica per la proteina, e la proteina
viene quindi espressa, ma la proteina mutata va invece ad accumularsi nel reticolo endoplasmatico e a
scatenare poi una serie di reazioni a cascata con unfolded protein response e a innescare alterazioni
infiammatorie a livello dell’interstizio che sono il principale aspetto di questa malattia.

Terapia
Anche in questo caso si tratta di una terapia di supporto:
• è importante il trattamento dell’iperuricemia con farmaci come l’allopurinolo e Losartan (un sartano);
• a differenza della stra grande maggioranza delle nefropatie, in questi casi in generale non si consiglia la
restrizione di sale, perché può peggiorare l’iperuricemia e la deplezione volemica
• l’importante è incoraggiare un apporto idrico abbondante per compensare i difetti di concentrazione
urinaria

ALCALOSI METABOLICA21
Con alcalosi metabolica facciamo riferimento ad una condizione caratterizzata da:
• Ph superiore a 7,44;
• concentrazione di bicarbonati superiore a 26mEq/L;
• compenso respiratorio rappresentato da
un’iperventilazione, quindi con un aumento della
pressione parziale della CO222

Le manifestazioni cliniche direttamente imputabili all’alcalosi


metabolica sono piuttosto rare. Nei casi più gravi si possono
osservare:
• agitazione;
• disorientamento;
• crisi epilettiche;
• coma;
I sintomi sono più spesso riconducibili a: deplezione volemica, ipokaliemia, ipocalcemica, ipomagnesemia.

PATOGENESI
Per quanto riguarda la patogenesi dell’alcalosi metabolica, è divisa in 2 fasi:
• Generazione; questa prevede a sua volta:
o aggiunta di bicarbonati direttamente bicarbonato o altri substrati metabolizzati poi a bicarbonato.
o Contrazione di volume, ovvero la perdita di fluidi corporei ricchi di cloro e poveri di bicarbonati. Questo può
essere indotto dalla sudorazione o dall’assunzione di diuretici dell’Ansa o di Tiazidici. In questo modo la
quantità totale di bicarbonati non aumenta, ma la sua concentrazione si.
o Perdita di H+ extrarenale, mediante perdita gastrointestinale (come vomito, …….) o perdita di idrogeno
mediante il suo ingresso nelle cellule (in seguito ad una severa ipokaliemia23 o per …….).
o Perdita di H+ renale a causa di:
§ un’eccessiva attività mineralcorticoide, ad esempio in caso di iperaldosteronismo primario (come in
seguito ad un adenoma surrenalico, un’iperplasia surrenalica o ad un carcinoma surrenalico),
iperaldosteronismo iper-reninemico (in seguito a stenosi dell’arteria renale) e pseudoiperaldosteronismo
(dato da un eccesso di metaboliti con attività mineralcorticoide, da mutazioni genetiche o dalla liquirizia,
ovvero acido glicirrizico).
§ assunzione di diuretici
§ una rapida correzione di acidosi respiratoria cronica;
• Mantenimento, fase che prevede l’incapacità del rene di espellere l’eccesso di bicarbonato. Tra i
meccanismi che inibiscono l’escrezione renale di bicarbonati, troviamo:
o l’ipovolemia, questa causa il riassorbimento di sodio che a sua volta causa il riassorbimento di bicarbonati
o eccessivi attività dei mineralcorticoidi
o ipocloremia
o ipokaliemia, che favorisce l’aumento dell’ammoniogenesi e del riassorbimento di bicarbonato nel tubulo
prossimale, un aumento nella produzione di bicarbonato nelle cellule intercalate di tipo A e una riduzione

21
Argomento non spiegato per mancanza di tempo e completamente integrato dalle slide.
22
Si avrà, in particolare, un aumento di 0,7 mmHg CO2 per 1 mEq/L di bicarbonati plasmatici
23
il potassio esce dalla cellula scambiato con gli H+ che invece entrano
nell’escrezione di bicarbonato dalle cellule intercalate di tipo B

TRATTAMENTO
Questo si distingue a seconda che si tratti di:
o Alcalosi metabolica cloro-responsiva; in questo caso si interviene correggendo la deplezione del
volume, la deplezione del cloro e l’ipokaliemia.
o Alcalosi metabolico cloro-resistente; in questo caso si interviene con un trattamento
dell’iperaldosteronismo (con terapia eziologica e con antagonisti recettoriali dei mineralcorticoidi) e
correzione dell’ipokaliemia.

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