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Sbobinatore: C.B.

Revisore: C.M.
Materia: Nefrologia
Docente: Alberici Federico
Data: 06/03/2020
Lezione n°: 1
Argomenti: rene, semeiotica nefrologica,
determinazione del filtrato glomerulare

Comunicazioni: La lezione è reperibile nella comunità didattica “Nefrologia 2019/2020” al seguente link:
https://elearning.unibs.it/mod/kalvidres/view.php?id=120553
L’obiettivo della lezione era un’introduzione alla nefrologia ed era stata prevista la presenza di un ospite
di grande rilievo: Claudio Ponticelli, esperto di nefrologia e di malattie immunologiche con
coinvolgimento renale che è ormai in pensione. Il professore non esclude la possibilità di recuperare
questa occasione più avanti.
Il corso sarà seguito da due docenti: Francesco Scolari, che è il coordinatore, e Federico Alberici, che
tiene la lezione di oggi e affronterà anche altri argomenti nelle prossime lezioni. Il professore si presenta
brevemente: si è specializzato a Parma e si è poi spostato per tre anni a Cambridge, in cui ha alternato
lavoro in ospedale e a livello universitario. Rientrato a Milano, ha lavorato in ospedale nell’ASST Santi
Paolo e Carlo per poi diventare ricercatore presso l’università di Milano. Dal primo gennaio lavora a
Brescia ed è professore associato.
L’obiettivo di questo corso non è solo quello di insegnare la nefrologia, ma anche quello di avvicinarci a
questa specialità che risulta essere molto complessa e articolata. È una disciplina molto ampia,
praticamente una medicina interna ad indirizzo nefrologico. Si incontrano pazienti con policomorbidità e
molto complessi, in cui spesso il problema renale è solo uno delle molteplici problematiche presenti.
Quindi i nefrologi sono degli specialisti che hanno la necessità di sviluppare una visione d’insieme
efficace. Esistono tante sottobranche di questa disciplina:
- Nefrologia clinica, in cui non si affronta solamente l’insufficienza renale ma si incontrano spesso
altre patologie tra cui scompenso cardiaco, polmoniti, infezioni cutanee;
- Emodialisi e dialisi peritoneale, in cui si ha un’importante componente fisica e tecnologica nella
gestione del paziente e si possiedono specifiche competenze tecniche;
- Trapianto, che è un po’ la frontiera della nefrologia. Porta con sé necessità particolari dei pazienti
e competenze specifiche per la gestione di complicanze e della terapia immunosoppressiva;
- Glomerulonefriti, che sono malattie immunitarie con coinvolgimento renale e corrispondono ad un
grosso capitolo della nefrologia di cui il professore si occupa direttamente. In questa branca è
necessario saper gestire la malattia sistemica in modo adeguato;
- Malattie genetiche, che è una categoria in rapida espansione.

Questa lezione è quella che dovrebbe essere stata svolta il 3 marzo. Ovviamente il programma che era
stato stabilito subirà delle modifiche. L’ultima lezione è dedicata alla presentazione e discussione di casi
clinici. Proprio riguardo a quest’ultimo aspetto quest’anno ci sarà una novità. Fino all’anno scorso infatti,
i casi clinici erano trattati dal professor Cancarini, ora in pensione. Per quest’anno si è pensato di
introdurre una modalità più interattiva in modo che degli studenti volontari possano lavorare su un caso
e successivamente presentarlo in aula in tale occasione. Sono stati identificati dei tutor che coprono
ambiti diversi della nefrologia, in particolare ci sono:
- Claudia Izzi, genetista che collabora con il professor Scolari e si occupa di malattie genetiche
renali;
- Elisa Delbarba, nefrologa che si occupa di glomerulonefriti primitive;
- Chiara Salviani e Guido Jeannin, per quanto riguarda le glomerulonefriti secondarie;
- Stefano Possenti, che tratterà di trapianti e terapia sostitutiva della funzione renale.
Gli studenti interessati dovranno contattare il professore (federico.alberici@unibs.it) e segnalare quale
degli argomenti preferiscono. In assenza di un interesse specifico potrebbe assegnare d’ufficio un
ambito tra quelli previsti tenendo presente che c’è sempre la possibilità di cambiare tutor se, con lo
svolgimento delle lezioni, ci si rendesse conto di preferire un altro argomento. L’idea è quella di
interagire direttamente con i tutor, identificare il caso da trattare e produrre, con la sua supervisione, una
presentazione a riguardo, possibilmente inserendo qualche slide di background sulla patologia
protagonista del caso. Un’esperienza importante sarebbe anche quella di presentare il caso durante uno
dei meeting interni di nefrologia.
Il professore considera questa un’opportunità per gli studenti in quanto avrebbero modo di interagire
direttamente con medici qualificati ed esperti su un argomento di interesse, e in più potrebbero iniziare a
fare ciò che verrà richiesto nell’attività quotidiana di medico (ci si trova davanti a un paziente con un
caso clinico, da cui bisognerà risalire alla diagnosi e impostare una terapia). Nell’esperienza del
professore, iniziare da subito a ribaltare l’approccio con cui si studiano le varie patologie (quindi partire
dal caso clinico per arrivare alla diagnosi) è molto utile e renderà meno complicato questo passaggio in
futuro.
Inoltre, per chi protende verso una specialità internistica, questa esperienza permette di capire se la
nefrologia potrebbe essere una possibilità di carriera.
Come incentivo a svolgere questa attività facoltativa il professore comunica che a chi presenterà un
caso clinico verrà abbonata una domanda in sede d’esame.
Per quanto riguarda le modalità d’esame, questo sarà orale. Consiste mediamente in tre domande
(due se si è svolta la presentazione a lezione) a cui può eventualmente aggiungersi un’ulteriore
domanda in caso di dubbio o di lode. Di solito i professori non chiedono i dettagli ma le domande
consistono in macro-argomenti (ad esempio insufficienza renale acuta, sindrome nefrosica, malattia
renale atero-embolica…). Valutano positivamente le capacità di ragionamento. Sicuramente le nozioni
sono importanti, ma in un mondo in cui si hanno tutte le nozioni sempre a portata di mano, è molto più
importante dimostrare abilità di collegamento e di organizzazione di un discorso strutturato. Ovviamente
alcuni concetti più nozionistici sono richiesti, ma questi verranno accuratamente stressati durante le
lezioni (ad esempio i valori normali di creatininemia, potassio, bicarbonato,ecc…).
Il professore non consiglia un libro di testo specifico, afferma che vanno bene tutti. Se qualcuno volesse
una preparazione eccezionale potrebbe studiare su UpToDate i vari argomenti affrontati a lezione: la
trattazione è molto tecnica ed è in inglese quindi può risultare complessa, ma sicuramente è molto
completa. Un altro testo importante è l’Harrison, che può essere utile per nefrologia e verrà usato anche
per altre cliniche. Per qualsiasi dubbio o chiarimento, anche riguardo ai testi o ai topic da studiare su
UpToDate, il professore si dice a completa disposizione. Per preparare la lezione odierna il professore
ha preso come riferimento un articolo che è disposto ad indicare a chi lo richiedesse.

FUNZIONE DEL RENE E SEMEIOTICA NEFROLOGICA

1.1 Il rene
Verranno ripresi dei concetti che probabilmente sono già stati affrontati in Fisiologia, ma essendo
fondamentali e propedeutici per il resto del corso non possono essere dati per scontati.

I reni sono due organi retroperitoneali, connessi all’aorta tramite le arterie renali e alla vena cava con le
vene renali. Il loro ruolo principale è quello di permettere il drenaggio dell’urina: questa viene raccolta
nelle pelvi renali e poi tramite gli ureteri raggiunge la vescica.
Il fatto che siano retroperitoneali è importante per vari motivi. In primo luogo, considerando un approccio
chirurgico, questo fatto permette di accedere al rene attraverso la regione lombare (in ambito nefrologico
si tratta principalmente dell’effettuazione di biopsie ecoguidate). Vi sono poi diverse patologie
retroperitoneali che vanno riconosciute, in quanto possono causare incarceramento e occlusione
ureterale, tra cui malattie linfoproliferative, nelle quali la compressione dei linfonodi può risultare
pericolosa, e malattie autoimmuni, quale la fibrosi retroperitoneale. Il punto più delicato è a livello dello
“scavallamento” degli ureteri rispetto ai vasi iliaci.

Dal punto di vista macroscopico, possiamo osservare un ilo renale, che è composto da vena renale,
arteria renale e nervi renali.
Le arterie renali si dividono in arterie segmentali, che a loro volta diventeranno interlobari, poi arcuate e
infine interlobulari, dalle cui diramazioni partiranno le arteriole afferenti che andranno a portarsi ai
glomeruli. Parallelamente a questo circolo segue un drenaggio venoso con vasi di calibro
progressivamente crescente.

Per quanto riguarda il drenaggio delle urine, la struttura più importante è la piramide renale, che
comprende al suo interno i dotti collettori. Da qui l’urina passa nei calici minori, questi a loro volta
drenano nei calici maggiori per poi passare alla pelvi renale e successivamente all’uretere.

L’unità funzionale del rene è il nefrone, che comprende una componente glomerulare e una tubulare.
Il glomerulo è una matassa di capillari avvolti su se stessi, che permettono di filtrare la preurina, che
passa nella capsula di Bowmann. Da qui si passa poi al sistema tubulare, in cui la preurina subisce delle
modifiche, viene drenata nel dotto collettore e va poi nelle papille renali e infine nell’uretere.
Si hanno circa 1 milione di nefroni per ogni rene: ciò consente di avere una riserva funzionale, nel
senso che se si ha un danno non troppo esteso, i nefroni restanti possono vicariare e garantire una
funzione renale residua. È importante chiedere al paziente se sia nato pretermine, in quanto alcuni studi
affermano un maggior rischio di sviluppare insufficienza renale cronica a causa di un minor numero di
nefroni disponibili.
Ci sono due diversi tipi di nefroni: quelli superficiali si trovano interamente nella zona corticale e la
struttura tubulare penetra solo superficialmente all’interno della piramide renale; i nefroni iuxtamidollari
hanno invece una struttura tubulare che si approfonda nella piramide renale e risultano fondamentali
nella concentrazione urinaria.

Il glomerulo ha una struttura particolare: possiamo individuare l’arteriola afferente da cui di dipana la
matassa capillare, seguita poi dall’arteriola efferente.
La struttura è sostenuta dal mesangio, che altro non è che una struttura connettivale contenente cellule
mesangiali. Essa costituisce il sistema portante del glomerulo.
L’urina viene filtrata nello spazio urinifero delimitato dalla capsula di Bowmann, per passare poi al
sistema tubulare.
Un’area importante è la macula densa che, insieme alle cellule iuxtaglomerulari e al mesangio
extraglomerulare, ha il ruolo di produrre renina in risposta a ipotensione arteriosa, ipoperfusione renale
o riduzione della concentrazione tubulare di sodio.

Il capillare glomerulare è rivestito da cellule endoteliali organizzate in modo da garantire la fenestratura


del vaso. Queste aderiscono alla membrana basale ed esternamente si trovano i processi pedicillari dei
podociti. L’insieme di queste strutture costituisce il diaframma di filtrazione, che è un ultrafiltro con
caratteristiche peculiari che influenzano anche i vari processi patologici che coinvolgono questo distretto.
In particolare, la carica negativa della membrana filtrante permette di capire perché gli immunocomplessi
con carica positiva possiedono maggior rischio nefritogeno (quindi possibilità di causare
glomerulonefriti).

La funzione principale del glomerulo è la filtrazione. Quest’ultima è influenzata da alcuni fattori:


- la pressione idrostatica del sangue, un suo aumento determina una maggior filtrazione;
- la pressione idrostatica della capsula di Bowmann, un suo aumento determina una diminuzione
della filtrazione (è quello che succede in caso di insufficienza renale acuta da ostruzione al
deflusso urinario);
- la pressione oncotica data dalle proteine plasmatiche, se aumenta si ha una diminuzione della
filtrazione.

I pori sui capillari non permettono il passaggio di proteine di dimensioni maggiori di 65-80 kDa, come
ad esempio le immunoglobuline o l’albumina (in realtà una piccola quota di quest’ultima viene filtrata, ma
è riassorbita dal tubulo contorto prossimale).
Le proteine a basso peso molecolare (come le catene leggere libere delle immunoglobuline) riescono
a passare, ma in condizioni fisiologiche sono in quantità tale da essere riassorbite senza problemi nel
tubulo contorto prossimale: perciò in condizioni normali non si avrà proteinuria. Questa potrà presentarsi
in corso di processi patologici a carico della membrana filtrante o del tubulo contorto prossimale, oppure
in caso di sovrapproduzione di proteine a basso peso molecolare (mieloma multiplo).

Al glomerulo segue il tubulo, una struttura con una lunghezza tra i 30 e i 40 mm (nei nefroni
iuxtamidollari è più lungo rispetto a quelli corticali).
Il tubulo permette il riassorbimento di circa il 99% dell’acqua e dei soluti che vengono filtrati: in
particolare tale processo avviene per il 65% nel tubulo contorto prossimale, per il 20% nell’ansa di Henle
e per il 10-15% nel tubulo contorto distale e nel dotto collettore.

Il tubulo contorto prossimale ha il ruolo di secrezione di acidi e basi deboli e di ammonio, e di


riassorbimento di aminoacidi, proteine a basso peso molecolare, creatinina, acido ascorbico, acido urico,
solfati e corpi chetonici.
L’ansa di Henle, invece, svolge il punto chiave della funzione tubulare, cioè la concentrazione urinaria
(insieme a dotto collettore e vasi retti).
L’ansa ha un tratto spesso discendente, uno sottile discendente, uno sottile ascendente e uno spesso
ascendente, in
collegamento con il dotto
collettore.

Il meccanismo di
concentrazione è molto
complesso ed è difficile da
ricordare. Il professore ci
tiene a sottolineare alcuni
concetti fondamentali.
Nella porzione spessa
ascendente si assiste al
trasporto attivo di NaCl
all’esterno del tubulo: in
questo modo si crea un
gradiente osmotico
sufficiente per il
riassorbimento passivo di
acqua nella porzione
discendente sottile, che è permeabile a questa sostanza.
Si ha poi una progressiva concentrazione dell’urea a livello del dotto corticale e midollare esterno, fino
al punto in cui nella zona midollare interna si ha una fuoriuscita passiva grazie alla permeabilità di
questa porzione all’urea stessa. Ciò comporta un aumento di pressione osmotica interstiziale e il
riassorbimento di acqua nella porzione sottile discendente e nel tratto midollare interno del dotto
collettore. Si ha una riduzione della concentrazione di NaCl e una concentrazione interstiziale di urea
maggiore rispetto a quella della porzione sottile discendente dell’ansa. Quindi si ha fuoriuscita di NaCl
dalla porzione sottile ascendente. Questo è un meccanismo passivo di scambio con l’urea, ma non è
simmetrico a causa della maggior permeabilità a NaCl rispetto che all’urea.

Il sistema di ansa e dotto collettore è necessario per la creazione del gradiente cortico-midollare. Ciò
che è fondamentale per il suo mantenimento è la disposizione dei vasi retti, che seguono l’andamento
tubulare approfondandosi nella midollare per poi tornare in zona corticale. Se fossero capillari diffusi
come si ha negli altri tessuti, il gradiente sarebbe annullato e non sarebbe possibile mantenere
l’ipertonia interstiziale.

Il tubulo contorto distale è importante per il riassorbimento di NaCl, ioni Ca, ioni H+, bicarbonato e per
la produzione di ammonio.

Il dotto collettore ha un ruolo centrale nella concentrazione urinaria, ed è composto da due tipi di
cellule:
- Cellule scure, per la secrezione di ioni H+ e il riassorbimento di bicarbonato;
- Cellule chiare, per il riassorbimento di sodio e caratterizzate da sensibilità ad ADH (ormone
antidiuretico o vasopressina), che comporta il riassorbimento di acqua.

La conoscenza delle diverse porzioni tubulari e del loro funzionamento ha permesso di sviluppare armi
farmacologiche che agiscono in modo molto specifico: i diuretici. (Il professore afferma che l’ambito
farmacologico non è parte obbligatoria del corso, e che quindi non sarà oggetto di domande in sede
d’esame. Sono però concetti importanti e dimostrarne la conoscenza permette di migliorare la propria
valutazione.)
I diuretici agiscono a diversi livelli. I più importanti sono furosemide (Lasix) e torasemide, che hanno
come bersaglio il trasportatore di sodio-cloruro nella porzione spessa ascendente dell’ansa di Henle.
Impediscono la formazione di un gradiente efficace e di conseguenza ostacolano il riassorbimento di
acqua.
I tiazidici invece agiscono a livello del trasportatore del tubulo contorto distale (quindi favoriscono la
sodiuria). Dato che è un coinvolgimento distale non hanno un impatto così importante sulla diuresi, a
differenza di quelli precedentemente elencati.
Vi sono poi i risparmiatori di potassio, quali lo spironolattone. Questi hanno come bersaglio il dotto
collettore e possono causare iperpotassiemia.

I reni hanno diverse funzioni:


- emuntoria: eliminazione di cataboliti (urea, creatinina, acido urico, prodotti finali di degradazione
dell’emoglobina, metaboliti, ormoni) e sostanze esogene (farmaci, additivi alimentari);
- omeostatica: regolazione dell’equilibrio idrico, del bilancio elettrolitico, dell’equilibrio acido base,
della pressione arteriosa;
- ormonale: produzione di eritropoietina (ormone eritropoietico), attivazione della vitamina D con
produzione di 1,25 diidrossicolecalciferolo (influenza il metabolismo calcio-fosforo), produzione di
renina e prostaglandine (regolazione della pressione arteriosa e del flusso ematico).

2 Semeiotica nefrologica
La semeiotica nefrologica può essere divisa in:
- Clinica;
- Laboratoristica;
- Strumentale.

2.1 Semeiotica clinica


In questo ambito un momento fondamentale nella valutazione del paziente consiste nella
determinazione dello stato volemico. Questa è anche una delle motivazioni che più spesso è correlata
alla richiesta di consulenza nefrologica.
Molto importante è valutare la presenza di sovraccarico idrosalino, per cui avremo alcuni parametri e
alcuni segni/sintomi da considerare:

- Pressione arteriosa e frequenza cardiaca. Spesso il sovraccarico idrosalino dà ipertensione e, se


causa scompenso cardiaco, si avrà tachicardia;
- Presenza di ortopnea o dispnea parossistica notturna. In questo caso il paziente impara a
dormire in determinate posizioni che gli permetteranno di respirare meglio, ad esempio con più di
un cuscino oppure dormendo seduti. In sede di anamnesi va sempre chiesto se si hanno
difficoltà di respiro durante la notte e se ci sono accorgimenti che migliorano la situazione, in
questo modo ci si inizia a indirizzare verso una diagnosi;
- Edemi declivi, che andranno ricercati in zone diverse a seconda della posizione che il paziente
assume nella maggior parte della giornata. Se il paziente sta in piedi o seduto, bisognerà
ispezionare le aree malleolari e tibiali. Se invece è allettato, gli edemi si raccoglieranno alla
radice delle cosce, nella regione lombare e a livello dei fianchi, con le altre regioni che
potrebbero presentarsi completamente asciutte. Gli edemi declivi sono riconoscibili grazie al
segno della fovea;
- Turgore della vena giugulare interna, considerato segno patologico se superiore ai 3 cm
dall’angolo sternale. Va valutato con la schiena del paziente inclinata di circa 30°;
- Riflesso epato-giugulare, che consiste nell’insorgenza di turgore giugulare dopo una pressione
esercitata a livello dell’ipocondrio destro per circa 10 secondi;
- Crepitazioni polmonari all’auscultazione, da distinguere da altri rumori polmonari che non
indicano sovraccarico idrosalino (come il velcro sound, individuabile in corso di fibrosi polmonare
interstiziale);
- Versamento pleurico, che all’esame obiettivo è riconoscibile da assenza di rumori polmonari
all’auscultazione, ottusità alla percussione e abolizione del fremito vocale tattile. Spesso non è
sufficiente l’utilizzo di diuretici ma è necessario ricorrere a un drenaggio di tipo fisico.

Parallelamente sarà necessario andare a valutare la presenza di disidratazione.


Una delle cause più comuni di insufficienza renale acuta di tipo prerenale è proprio l’ipoperfusione, che
nella maggior parte dei casi è correlata a questa condizione patologica. In questo caso la reidratazione
per os o per via endovenosa sarà risolutiva.
Segni e sintomi che indicano la disidratazione sono:
- Cute e mucose secche;
- Ipotensione ortostatica, cioè la riduzione della pressione arteriosa misurata in ortostatismo >10%
e tachicardia riflessa;
- Riduzione del turgore cutaneo.

2.2 Semeiotica laboratoristica


Ci sono diversi esami di laboratorio che ci permettono di approfondire aspetti importanti dal punto di
vista nefrologico. In particolare:
- Funzione renale: valutata attraverso urea e creatinina. Queste possono contribuire alla
determinazione e quantificazione del filtrato glomerulare;
- Quadro elettrolitico: Na, K, Ca, P, Cl, HCO3;
- Metabolismo minerale: Ca, P, 25 OH Vitamina D, PTH. Questi aspetti verranno analizzati meglio
trattando l’insufficienza renale cronica;
- Esame urine: glicosuria, proteinuria, ematuria, urinocoltura;
- Urine 24/h: permette di determinare clearance creatinina, proteinuria 24/h, albuminuria 24/h,
calciuria 24/h, fosfaturia 24/h, sodiuria 24/h, cloruria 24/h. È molto importante insegnare in modo
adeguato al paziente come effettuare la raccolta urine, in quanto molti continuano a sbagliare per
anni perché nessuno si è mai preoccupato di spiegare il procedimento in modo corretto. Gli step
sono: ritirare un boccione in farmacia, al mattino svegliarsi alle 8 e buttare via le prime urine, da lì
in poi raccoglierle per tutta la giornata comprendendo anche le prime urine del mattino
successivo perché rappresentano quelle della notte;
- Esami immunologici: ANA, ENA, anti-DNA, C3-C4, ANCA, crioglobuline, IgG, IgA, IgM,
immunofissazione siero-urine. Questi verranno spiegati con le glomerulonefriti;
- Eritropoiesi: emocromo, sideremia, transferrina, ferritina, acido folico, vitamina B12;
- Esami speciali: diagnosi per malattie genetiche (pannelli di test genetici su polimorfismi
“candidati”, Next Generation Sequencing), esami per immissione in lista trapianti.

I valori sottolineati vanno saputi. In aggiunta idealmente andrebbero imparati anche Ca, P e PTH.
Il professore afferma di aver bocciato uno studente che non conosceva il valore normale della creatinina.
Come già detto, egli ritiene più importante il ragionamento e la capacità di collegamento, ma ci sono
alcune nozioni che non possono essere lasciate da parte.

Nds: i valori trovati su mypersonaltrainer.it sono i seguenti:


urea (15-40 mg/dl), creatinina (0,6-1,3 mg/dl), Na (132-143 mmol/L), K (3,5-5 mEq/L), HCO3 (21-30
mmol/L).

2.3 Semeiotica strumentale

- Ecografia, è uno dei momenti fondamentali nell’approccio al paziente. Possiamo individuare una
parte corticale ipoecogena (più scura) e un seno iperecogeno (contenente tessuto adiposo,
vasi, ecc). L’esame ci dà due informazioni: noteremo la presenza o l’assenza di dilatazione delle
vie urinarie (questo elemento potrebbe configurare insufficienza renale su base ostruttiva,
tuttavia è necessario un esame di livello superiore per identificare la sede precisa) ; inoltre
potremo andare ad osservare la dimensione renale. Se arriva un paziente in pronto soccorso con
insufficienza renale e osservo un rene di dimensioni normali (10-14 cm di diametro),
verosimilmente la problematica sarà di tipo acuto. Se invece il rene è di 6-7 cm con corticale
assottigliata penserò a una patologia cronica (ciò non è sempre vero: patologie croniche come
nefropatia diabetica, amiloidosi e malattie infiltrative renali possono causare un aumento del
volume del rene)

- Ecocolordoppler, permette di vedere la vascolarizzazione. Utilizzato anche per la valutazione


dei vasi arteriosi e venosi in preparazione al confezionamento di fistole artero-venose, che
rappresentano l’accesso necessario per l’emodialisi

- TAC (con o senza mezzo di contrasto iodato – potenziale nefrotossicità del mezzo di contrasto
che non va sovrastimata ma neanche minimizzata); permette visualizzazione di eventuali
ostruzioni ureterali quali ad esempio i calcoli. Inoltre, l’impregnazione contrastografica dà l’idea
della funzionalità renale. È importante ricordare che nell’immagine il paziente viene visto dai piedi
- RMN (con o senza mezzo di contrasto – sconsigliato per eGFR<30 ml/min). È più difficile da
leggere rispetto alla TC. In questo esame il paziente è visto dalla testa.

IL FILTRATO GLOMERULARE

3.1 Il glomerulo e il sistema RAA


Il professore riprende la descrizione delle strutture deputate alla filtrazione.
Si ha l’arteriola afferente, a cui segue la matassa glomerulare costituita dai lumi capillari sostenuti dalla
matrice mesangiale, che a sua volta contiene, seppur scarsamente, cellule mesangiali che presentano
anche una funzione contrattile. Il tutto si conclude con l’arteriola efferente.
È importante ricordare il dettaglio della singola ansa capillare, in cui avremo: lume capillare, endotelio
fenestrato, membrana basale, podociti.

Altra struttura fondamentale è la macula densa che, assieme al mesangio extraglomerulare e alle cellule
iuxtaglomerulari, costituisce l’apparato iuxtaglomerulare.
Le cellule granulari che appartengono a questo apparato sono responsabili della produzione di renina in
condizioni di ipotensione o ipovolemia. L’ipotensione determina ipoperfusione renale, che a sua volta
causa contrazione dell’arteriola afferente e una riduzione del trasporto di sodio. A ciò va unito l’ipertono
simpatico dato dall’ipovolemia.

La renina è responsabile della trasformazione dell’angiotensinogeno in angiotensina I, che attraverso


l’ACE (enzima di conversione a livello dell’endotelio polmonare e renale) viene convertita in
angiotensina II. Ciò si traduce in un rialzo vasopressorio, rilascio di aldosterone con conseguente
riassorbimento di sodio e espansione del volume extracellulare.
Il sistema renina-angiotensina-aldosterone (RAA) è fondamentale per mantenere un adeguato filtrato
glomerulare.

3.2 Regolazione della filtrazione


La velocità di filtrazione glomerulare (GFR) è finemente regolata.
Vi sono situazioni in cui si ha un aumento del filtrato, in caso di aumento della pressione idrostatica
all’interno del capillare. In particolare, possiamo avere:
- Dilatazione dell’arteriola afferente, che determina maggior flusso a livello glomerulare. Può
essere causato da prostaglandine, chinine, dopamina, NO;
- Costrizione dell’arteriola efferente per effetto dell’angiotensina II.

Al contrario, può accadere anche che si abbia diminuzione della GFR a causa di una riduzione della
pressione idrostatica del glomerulo. Ciò può essere determinato da:
- Costrizione dell’arteriola afferente, data da elevati livelli di angiotensina II, noradrenalina,
endotelina, ADH;
- Dilatazione dell’arteriola efferente, a causa del blocco dell’angiotensina II.
I farmaci che agiscono sul sistema RAA, somministrati ad esempio in pazienti con glomerulonefrite,
possono causare un blocco dell’angiotensina II e andare quindi a ridurre la GFR. Se questa riduzione è
entro il 20% viene considerata tollerabile, ma se supera questo limite il farmaco non può essere
utilizzato.
Questo tipo di terapia (con ACE inibitori o sartanici) è uno dei fattori che favorisce lo sviluppo di
insufficienza renale acuta in pazienti disidratati. Da qui ci si collega al concetto fondamentale dell’istruire
adeguatamente i pazienti che assumono questi farmaci: bisogna comunicare la necessità di
sospensione della terapia in caso di ipotensione, disidratazione o fenomeni temporanei che possono
comunque determinare disidratazione, quali febbre e diarrea.

3.3 Determinazione del filtrato glomerulare


Per la determinazione del filtrato glomerulare si può procedere in diversi modi:
- Misurazione della creatinina sierica
- Calcolo della clearance della creatinina
- Stima di GFR con formule

La creatinina è un prodotto del catabolismo muscolare: ogni giorno l’1-2% della creatina muscolare è
convertito in creatinina. Perciò il valore della creatininemia è funzione della massa muscolare.
Questa sostanza viene filtrata liberamente a livello glomerulare ma è anche secreta a livello tubulare
(questa quota rappresenta il 10-40% della creatinina urinaria).
I valori normali della creatinina sono 0.8-1.2 mg/dl per il maschio e 0.6-1 mg/dl per la femmina. Già il
valore assoluto può dare qualche informazione utile (ad esempio aumenta in caso di insufficienza renale
e diminuisce con alcuni farmaci quali il bactrim).

A noi serve una quantità numerica per capire quanto il rene funzioni. Per questo motivo si ha il GFR, che
è il parametro più utilizzato per valutare la funzione depurativa del rene. La misura si basa sul concetto
di clearance, vale a dire la determinazione del volume di plasma dal quale, in una data unità di tempo,
una sostanza viene rimossa mediante filtrazione glomerulare durante il suo passaggio attraverso il rene.
In altre parole, è il volume di plasma depurato da una certa sostanza in un’unità di tempo.
Per quanto riguarda il GFR, volume e tempo si esprimono in ml/min. Quindi la formula sarà:

Clearance = ( U x V ) / P

U= concentrazione urinaria della sostanza in esame


V= volume di urina nell’unità di tempo (ml/min) - per esempio 1500 cc = 1.04 ml/min
P= concentrazione plasmatica della sostanza presa in esame

Le unità di misura di concentrazione devono essere le stesse. In particolare nei laboratori di Brescia è
utilizzata mg/dl.
Il valore normale della clearance è 80-120 ml/min.

Caratteristiche salienti perché la clearance di una sostanza permetta la valutazione del GFR sono:
- Deve essere liberamente filtrata dal glomerulo
- Il glomerulo deve essere la sola via di eliminazione della sostanza (idealmente assenza di
secrezione o riassorbimento tubulare)
- Non tossica
- Facilmente misurabile

La metodica ideale per la determinazione di GFR è la clearance dell’inulina, un polisaccaride vegetale


che non è presente fisicamente nel nostro sangue e necessita quindi una somministrazione per via
esogena. Rappresenta il gold standard in quanto questa sostanza non si lega alle proteine, è
liberamente filtrata dal glomerulo e non è secreta né riassorbita. Tuttavia, la procedura è complessa e
rende necessari diversi passaggi: infusione a bolo seguita da infusione costante, necessario controllo
temporizzato della produzione di urine con prelievo di sangue a metà del periodo di raccolta, dosaggio
dell’inulina nel sangue, valutazione del GFR come media per ciascun periodo.
Esistono anche altre possibilità per determinare GFR ma sono tutte molto complesse e costose
(radioisotopi, iotalamato, cistatina C).
Nella pratica clinica la routine è costituita dalla clearance della creatinina calcolata sulla raccolta di
urine delle 24 ore. È fondamentale che venga svolta correttamente e che si prelevi un campione di
sangue durante il periodo di osservazione. Purtroppo, questa metodica presenta dei problemi soprattutto
di tipo pratico (il paziente non vuole impegnarsi nella raccolta 24/h oppure perde alcune urine per vari
motivi). Inoltre, la creatinina viene secreta a livello tubulare e questo porta a una sovrastima del GFR
(più accentuata in caso di insufficienza renale). Perciò è necessario inibire questa secrezione tramite la
somministrazione di alcuni farmaci.
Una soluzione potrebbe essere la valutazione dei livelli sierici di creatinina, ma la relazione tra la
clearance e la creatininemia non è lineare. In particolare, quando il GFR scende sotto i 60 ml/min,
l’aumento della creatininemia diventa esponenziale. O meglio, per bassi valori di filtrato, un aumento di
creatininemia di 1 mg/dl ha un impatto in termini di variazioni di GFR molto minore rispetto a condizioni
di aumento della creatininemia di 1mg/dl con livelli di filtrato più elevato. È un aspetto molto importante
di cui tenere conto soprattutto in caso di insufficienza renale cronica. Un paziente la cui clearance passa
da 1 a 2 avrà praticamente un dimezzamento del GFR, mentre uno che passa da 6 a 7 avrà una
riduzione funzionale meno preoccupante.
Va ricordato che la creatininemia è influenzata dalla massa muscolare. Una anziana di 90 anni che
mangia pochissimo e sta seduta tutto il giorno, se ha un 1/1,5 di creatinina significa che ha insufficienza
renale. Al contrario, un atleta giovane con grosse masse muscolari avrà una normale funzione renale
anche se vengono misurati 1.4/1.5 di creatinina.

La difficoltà della determinazione della filtrazione glomerulare ha portato alla creazione di formule
specifiche, che permettono di predire la clearance della creatinina a partire dalla creatininemia. Fino a
qualche anno fa la più importante era la Cockcroft and Gault, che richiedeva peso corporeo (in
particolare la massa magra), età, sesso. Oggi è molto più utilizzata una formula che prende il nome di
CKD-EPI, che è calcolabile online o con specifiche app inserendo creatininemia, età ed etnia.
Anche in questo caso vi sono diverse problematiche. Le formule sono applicabili solo in stadio di
equilibrio (quindi non in insufficienza renale acuta) e la funzione renale deve essere stabile da almeno
quattro giorni. Inoltre, la creatinina plasmatica può aumentare in seguito a assunzione di proteine e
esercizio fisico intenso. Un altro problema è dato dalla difficoltà di predire la massa muscolare nei
pazienti edematosi, ascitici, obesi, in gravidanza, cachettici. Bisogna anche considerare che la creatinina
sierica è influenzata da farmaci inibenti la secrezione tubulare.

Essendo una lezione registrata non c’è stata la possibilità di fare domande: il professore afferma che ci
si potrà organizzare via mail oppure dedicando la prima lezione frontale alla risoluzione di dubbi.
Sbobinatore: A. A.
Revisore: V. B.
Materia: Nefrologia
Docente: F. Alberici
Data: 10/03/20
Lezione n°: 2
Argomenti: Insufficienza Renale Acuta, Introduzione
alle Glomerulonefriti e Glomerulopatie

Comunicazioni: Con il procedere delle lezioni, verosimilmente si accumuleranno dubbi e necessità di


chiarimento. Il professore è disponibile a colloqui individuali, anche per via telefonica, o a piccoli gruppi
tramite Google Meet, una volta raccolte una decina di domande. Il professore anticipa di essere disponibile
il 17/03 verso le ore 11.00-11.30.
Mail: federico.alberici@unibs.it

INSUFFICIENZA RENALE ACUTA (IRA)

1.1 Introduzione
L’IRA è una riduzione spesso reversibile della funzione renale e del GFR, caratterizzata dall’incremento
della creatinina e dell’azotemia e dalla riduzione della diuresi.
Si possono avere IRA in corso di diuresi conservata o addirittura di diuresi aumentata (il concetto sarà
approfondito successivamente, quando saranno trattate le nefropatie tubulo interstiziali). Tuttavia,
nell’insufficienza renale acuta più comune, la riduzione della diuresi è un marcatore molto importante.
La creatininemia, essendo influenzata del catabolismo muscolare della creatina, richiede giorni per
raggiungere uno steady state (stato stazionario) in corso di IRA: se un paziente fosse sottoposto ad un
prelievo a 4 ore dallo sviluppo dell’IRA, si potrebbe riscontrare una creatininemia normale nonostante
l’eventuale situazione di anuria. Il concetto della modifica della diuresi come espressione della variazione
della funzione renale nel breve termine è quindi importante: bisogna valutare sempre la diuresi nel
paziente a rischio di IRA, perché la creatininemia nell’immediato non darà alcuna informazione.
Dal punto di vista dell’incidenza, l’IRA si verifica nell’1-5% dei pazienti ospedalizzati e nel 7-23% dei
pazienti ricoverati nei reparti di terapia intensiva. Ha una mortalità del 20-70% nei pazienti totali e dell’80%
in coloro che richiedono la dialisi, cioè la terapia sostitutiva dell’IR.
L’IRA ha un impatto significativo sulla prognosi del paziente, ma altrettanto determinante è la patologia
sottostante che ha provocato l’IRA: un’IRA da disidratazione rientrerà agevolmente dopo adeguata
idratazione del paziente; un’IRA legata a glomerulonefrite rapidamente progressiva con vasculite
associata avrà un impatto prognostico estremamente negativo.

1.2 Definizione
Non esistono definizioni univoche di IRA: alcuni la definiscono tale dipendentemente da un aumento della
creatininemia superiore a 0,5 mg/dL die, altri da un raddoppio della creatininemia o da una riduzione
maggiore del 50% del filtrato glomerulare, altri ancora da una riduzione della funzione renale tale da
rendere necessaria la dialisi.
La definizione di per sé non è particolarmente importante, il concetto fondamentale è che si tratta di un
peggioramento acuto della funzione renale.
Sono importanti i concetti di oliguria e anuria:
• Oliguria: diuresi <400 ml/die;
• Anuria: diuresi <100 ml/die.
Questo perché, come già detto, nelle fasi iniziali dell’IRA il monitoraggio della diuresi è il parametro più
importante nel determinare la funzione renale.

1.3 Criteri classificativi


Esistono diversi criteri classificativi dell’IRA, importanti da conoscere seppur molto variabili.
Il criterio più utilizzato è quello RIFLE, che identifica 3 classi di severità:
• Pazienti a rischio di sviluppare IRA
Aumento della creatininemia di 1,5 volte o diminuzione del GFR >25%;
• Pazienti che hanno sviluppato un danno renale acuto
Aumento della creatininemia di 2 volte o dimezzamento del GFR;
• Pazienti che hanno sviluppato un’insufficienza renale
Aumento della creatininemia di 3 volte o aumento di creatininemia sopra i 4 mg/dl o diminuzione del
GFR > 75%.
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Ci sono poi delle classi di outcome, in pazienti che sviluppano IRA:
• Perdita della funzione renale quando la funzione renale viene persa per più di 4 settimane;
• End stage kidney disease quando si ha una perdita della funzione renale per più di 3 mesi.

Esistono però altri criteri classificativi oltre al RIFLE, molto simili l’un l’altro. Alcuni pongono in correlazione
l’output urinario alla classificazione di paziente a rischio, con danno renale o con insufficienza renale.

1.4 Evoluzione clinica


A seguito di un danno acuto, sia i pazienti con rene normale che i pazienti con pregressa IRC vanno
incontro ad IRA, che può evolvere in diversi modi e che verrà trattata con terapie diverse dipendentemente
del danno.
L’esito dell’IRA può essere:
• Ripresa funzionale con restitutio ad integrum del rene;
• Riparazione patologica con peggioramento della funzione renale;
• “Morte” renale come residuo di un’insufficienza renale terminale.
L’outcome di un’IRA è determinato da numerosissimi fattori, primo tra tutti la capacità del medico di
identificarla e di gestirla in modo tempestivo.

11
1.5 Classificazione eziologica
Dal punto di vista eziologico è possibile classificare l’IRA in 3 entità:
• Insufficienza renale acuta pre-renale/funzionale: causata da tutte quelle condizioni che
determinano un’ipoperfusione renale. Il rene è normale o alterato per motivi preesistenti ma la causa
del peggioramento è un ridotto flusso ematico renale;
• Insufficienza renale acuta renale/organica: il meccanismo patogenetico è un danno delle strutture
parenchimali renali ovvero glomerulo, tubuli, interstizio o strutture vascolari intrarenali;
• Insufficienza renale acuta post-renale/ostruttiva: il meccanismo patogenetico è un’ostruzione delle
vie urinarie con aumento della pressione nel polo urinifero della capsula di Bowman, che si traduce in
un ridotto GFR. I fattori determinanti il GFR sono infatti la pressione intraglomerulare, che favorisce la
filtrazione del sangue attraverso la barriera di filtrazione glomerulare, la pressione oncotica del sangue
e la pressione all’interno dello spazio urinifero, fattore di ostacolo dello scarico del filtrato glomerulare.

1.6 Work-up (possibile domanda d’esame)


Nel 70-80% dei casi le IRA sono pre-renali/funzionali, nel 5-10% sono organiche e nel 10-20% sono
ostruttive. Già queste percentuali sono importanti per orientarsi in PS quando si presenta un paziente in
IRA: la prima causa a cui pensare è quella funzionale.
Il work-up nella gestione dell’IRA prevede in primo luogo l’esclusione di una causa ostruttiva; si possiedono
infatti strumenti molto efficaci che permettono di escluderla rapidamente.
Come abbiamo studiato in anatomia, i reni sono due organi pari retroperitoneali dai quali hanno origine gli
ureteri che, con un decorso tortuoso, scavallano i vasi iliaci e penetrano in vescica: ostruzioni in questo
decorso possono determinare IRA ostruttiva. L’esame di I livello per indagare un’ostruzione è l’ecografia;
l’esame di II livello è la TAC.
L’ecografia è uno strumento fondamentale nella gestione dei pazienti, soprattutto nefrologici, poiché
permette di osservare la dimensione dei reni, indicativa della funzione renale da cui parte il paziente. Se i
reni sono grandi, la funzione renale è conservata; se i reni sono piccoli si diagnostica un’IRC. Fanno
eccezione i pazienti affetti da amiloidosi, da diabete e da rene policistico, nei quali le ombre renali appaiono
di dimensioni normali o addirittura aumentate anche in corso di IRC.

IRA POST-RENALE/OSTRUTTIVA

2.1 Classificazione
Dal punto di vista classificativo l’IRA post-renale può essere classificata in:
• Intrinseca, quando l’alterazione è a carico delle vie urinarie, all’interno del lume o della parete delle
stesse. Viene a sua volta divisa in:
o Intraluminale: calcoli, coaguli;
o Intramurale: ipertrofia prostatica (prima causa di IRA ostruttiva in uomini anziani), neoplasie delle
vie urinarie.
Il fatto che un paziente mantenga la diuresi anche in corso di ipertrofia prostatica e di ostruzione
parziale delle vie urinarie non esclude necessariamente la presenza di una dilatazione delle vie
urinarie con aumentata pressione a loro carico, quindi una componente ostruttiva dell’IR.
• Estrinseca in caso di:
o Tumori pelvici o fibrosi retroperitoneale, rara malattia autoimmune caratterizzata dallo sviluppo di
un manicotto fibroso periaortico e periiliaco che può determinare incarceramento degli ureteri nel
punto in cui essi scavallano i vasi iliaci;
o Legature accidentali;
o Stenosi cicatriziali;
o Anomalie congenite (valvole, come quella dell’uretra posteriore);
o Alterazioni funzionali (reflussi).

2.2 Diagnostica strumentale


Viene mostrata un’immagine ecografica di un rene che è sostanzialmente normale ad eccezione di una
pelvi dilatata, indice di un’ostruzione delle vie urinarie.
La TAC, altro strumento diagnostico molto importante a cui si ricorre spesso, è necessaria in un paziente
con ostruzione delle vie urinarie, perché l’ecografia generalmente permette di determinare la presenzao
l’assenza dell’ostruzione ma non ne identifica la causa. La TAC consente invece di identificare la presenza
di fibrosi retroperitoneale, massa neoplastica, calcoli all’interno dell’uretere, ecc.

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L’immagine TAC rappresenta il paziente dai piedi: si nota che, a livello del rene dx, è rappresentata una
pelvi renale dilatata che provoca a monte anche una dilatazione dei calici; il rene sx è normale.

IRA PRE-RENALE/FUNZIONALE

3.1 Patogenesi
La condizione che determina lo sviluppo di un’IRA pre-renale è un’ipoperfusione renale, quindi tutte le
condizioni che determinano una riduzione della PA possono dar luogo ad un’IRA, ad esempio:
• IMA, deficit contrattile acuto del miocardio secondario ad un evento ischemico;
• Aritmie cardiache;
• Shock.
Può essere però dovuta anche ad una riduzione della volemia, come per:
• Emorragie;
• Disidratazione (sudorazione, vomito, diarrea);
• Farmaci (FANS, ACEi, Sartani)
I FANS possono determinare IRA in svariati modi, ma il più frequente è attraverso riduzione della
produzione di prostaglandine intrarenali con conseguente alterazione dell’emodinamica intrarenale,
associato a fattori di disidratazione o all’assunzione di altri farmaci nefrotossici.
ACE inibitori e sartani determinano una dilatazione dell’arteriola efferente, inibendo l’attività
dell’angiotensina 2, vasocostrittore, e duenque una riduzione della pressione intraglomerulare e un
peggioramento della funzione renale;
• Perdita di plasma (ustioni, traumi estesi);
• Sequestro nel terzo spazio (edemi, cirrosi).

3.2 Emodinamica glomerulare


La pressione sistemica e la resistenza dell’arteriola efferente influenzano la pressione all’interno del
capillare glomerulare.
La resistenza dell’arteriola efferente ha anch’essa
un ruolo fondamentale: ad esempio ACE inibitori
o sartani che determinano una riduzione della
resistenza dell’arteriola efferente possono
causare una riduzione della pressione capillare
glomerulare che, in condizioni predisponenti,
come un’associazione di disidratazione o altri
farmaci, piò determinare un’IRA. L’assunzione di
FANS può determinare una costrizione
dell’arteriola afferente mediante alterazione della
produzione delle prostaglandine intrarenali e
questo determina a sua volta una riduzione della
pressione capillare.
La pressione nella capsula di Bowman è importante nel determinare la filtrazione glomerulare e questo
spiega come le ostruzioni delle vie urinarie causino una riduzione del filtrato glomerulare.

13
3.3 Autoregolazione renale
Il rene ha la capacità di autoregolarsi per valori
di pressione arteriosa fisiologica tra i 75 mmHg
e i 170 mmHg, ma al di sotto di 75 mmHg il
filtrato glomerulare va incontro ad una
riduzione importante. È quello che si può
verificare nei casi di shock ipovolemico,
emorragia o estrema disidratazione.

IRA RENALE/PARENCHIMALE

4.1 Patogenesi
L’IRA renale è il peggioramento acuto della funzione renale legato ad un danno fisico di una delle strutture
renali:
• Glomerulare (5%), legata a una patologia glomerulare come le glomerulonefriti;
• Tubulare, necrosi tubulare acuta (85%): altro non è che un’evoluzione sfavorevole di un’insufficienza
renale acuta prerenale dovuta a un’ipoperfusione renale estrema non risolta in tempo o in pazienti
predisposti (con numerose altre morbilità);
• Interstiziale (8-12%): ad esempio una nefrite tubulo-interstiziale acuta;
• Vascolare (<2%).

4.2 IRA parenchimale su base glomerulare


La causa sono glomerulonefriti, cioè patologie a carico del glomerulo. Verranno affrontate nella prossima
lezione.

4.3 IRA parenchimale su base tubulare (necrosi tubulare acuta)


È la causa più frequente e può essere secondaria ad una causa:
• Ischemica: ipoperfusione renale severa, quindi IRA prerenale che non è risolta in tempo in pazienti
policomorbidi ed evolve in danno tubulare;
• Tossica:
o Tossine endogene: mioglobina, emoglobina, acido urico, ipercalcemia, catene leggere in corso ad
esempio di patologie ematologiche (es. mieloma multiplo);
o Tossine esogene: antibiotici, mezzi di contrasto iodati, metalli pesanti, veleni (glicole etilenico).

La necrosi tubulare acuta su base ischemica è un


danno tubulare che avviene a livello del segmento
S3 della porzione spessa discendente dell’ansa di
Henle o della porzione distale del tubulo contorto
prossimale. Quest’area tubulare è caratterizzata da
un’intensa attività metabolica e pertanto da un’alta
richiesta energetica: l’ipoperfusione renale fa sì che
quest’area molto sensibile alle carenze di energia
possa subire un danno ischemico acuto.
Anche il tratto ascendente dell’ansa di Henle è nella
stessa area midollare del segmento S3, ma è più
protetta dal danno ischemico perché questo
segmento del nefrone, oltre ad essere sottoposto ad
un lavoro minore, possiede una maggiore capacità
di sintesi glicolitica dell’ATP, e quindi richiede meno
ossigeno rispetto a cellule più ricche di mitocondri,
come quelle del tubulo prossimale.
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In corso di necrosi tubulare acuta su base ischemica l’ischemia e l’ipoperfusione determinano un danno a
livello delle cellule con una perdita del brush border, una ridistribuzione della Na+/K+ ATPasi con
conseguente morte cellulare e conseguente rilascio di frammenti apoptotici delle cellule a livello
intraluminale, il che determina un’ostruzione luminale.
È importante sottolineare che la riparazione cellulare in corso di necrosi tubulare acuta segue lo schema
in figura, ma al contrario: si passa da un momento in cui le cellule vanno incontro a necrosi e alla
formazione di frammenti cellulari intraluminali (che vanno ad ostruire e a causare lo sviluppo di ostruzioni
endoluminali) alla fase di rigenerazione con cellule non ancora completamente mature. Per questo,
tipicamente, la risoluzione dell’IRA parenchimale su base tubulare passa per una fase poliurica, perché le
cellule non saranno più in grado di concentrare l’urina.

La sequenza di una ipoperfusione renale severa sarà quindi:


1. Ipoperfusione renale severa: contrazione della diuresi. In questa fase il paziente è oligurico;
2. Necrosi tubulare acuta in caso di ipoperfusione severa con sovrapposizione di altri fattori tossici e
nefrotossici (es. mdc, FANS, ACE inibitori, sartani). Questa fase dell’IRA sarà anurica;
3. Successivamente la rigenerazione tubulare determinerà la sostituzione delle cellule tubulari
necrotiche con cellule ancora immature che non saranno in grado di concentrare le urine in modo
efficace e quindi vi sarà una ripresa della funzione renale con poliuria, fenomeno clinicamente
definito sblocco in poliuria: in questa fase il paziente avrà una poliuria da 6-7 litri al giorno e dovrà
essere seguito con infusioni adeguatamente calibrate per evitare che il rene vada di nuovo in
ipoperfusione. Questa fase poliurica può verificarsi dopo ore, giorni o settimane dall’evento acuto;
4. Ritorno alla norma nel caso di IRA pre-renale, da necrosi tubulare acuta o post-renale. Se invece
il paziente è andato incontro a IRA renale con danno glomerulare e/o interstiziale, è probabile che
possa avvenire una guarigione con difetto o una cronicizzazione con evoluzione in IRC.

Tipicamente un’IRA funzionale non evolve in edema polmonare acuto perché la patogenesi è
rappresentata da disidratazione ed ipoperfusione renale; successivamente, quando l’IRA funzionale
evolve in una forma di necrosi tubulare acuta e il pz diventa anurico, se le infusioni venissero mantenute,
sarebbero eccessive a fronte di un paziente anurico, con il rischio di sviluppo di sovraccarico idrosalino e
quindi di edema.

4.4 IRA parenchimale su base interstiziale


Sono le cosiddette nefriti tubulointerstiziali acute, con origine da:
• Farmaci come FANS o antibiotici, che possono causare un’IRA su base immunoallergica. Se ne
parlerà in dettaglio quando si tratteranno le nefriti tubulointerstiziali.
I FANS causare IRA prerenale o contribuire a un’IRA prerenale determinando una costrizione
dell’arteriola afferente mediante riduzione delle prostaglandine intrarenali, ma possono anche
determinare una nefrite interstiziale acuta su base immunoallergica;
• Correlata ad infezioni, batteriche o virali
• Granulomatosa, come in corso di sarcoidosi o TBC

4.5 IRA parenchimale su base vascolare


È una forma abbastanza rara e può essere dovuta a:
• Occlusione dell’arteria renale, come possibile complicanza della stenosi dell’arteria renale;
• Trombosi dell’arteria renale;
• Malattia ateroembolica, cioè embolizzazione di frammenti di colesterolo da una placca
aterosclerotica instabile, spontanea o indotta da procedure endovascolari con occlusione dei vasi
glomerulari.

Si nota una dissociazione tra la “semplicità” della classificazione dell’IRA e la differenza dei casi clinici.
L’IRA è infatti spesso caratterizzata da un’elevata complessità patogenetica con patogenesi spesso
multifattoriale e non è semplicemente legata ad una condizione, ma ad una coesistenza di condizioni.
Quello che tipicamente si vede in PS, nella stagione delle gastroenteriti, sono IRA prerenali su base
multifattoriale
Esempio
Paziente di 85 anni che ha avuto diarrea (quindi è in ipoperfusione renale), è in terapia con ACE inibitore
o sartano (arteriola efferente dilatata e ridotta capacità di aumento della pressione intraglomerulare) e ha
assunto FANS (costrizione dell’arteriola afferente per alterata produzione delle prostaglandine intrarenali)
sviluppa un’IRA. Viene ricoverato con creatinina elevata, disidratato, oligo/anurico, iperpotassiemico (a
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causa degli ACE inibitori): viene trattato con la sospensione dei farmaci nefrotossici, fluidi in vena e
guarisce.
Spesso l’IRA è quindi multifattoriale e l’esempio precedente fa capire il motivo per cui il nefrologo insiste
con i pazienti sull’evitare di assumere FANS. Il medico deve anche istruire il paziente in terapia con ACE
inibitori o sartani alla loro sospensione in caso di eventi ipovolemizzanti.
In altri casi si può avere un’IRA in corso di infiammazione renale secondaria ad un quadro infiammatorio
sistemico (es. sepsi) e un’ipoperfusione renale: un paziente disidratato, in terapia con ACE inibitore e con
polmonite che causa sepsi può sviluppare IRA.
La patogenesi è quindi spesso molto complessa.

WORK-UP DELL’IRA

È costituito da 4 punti fondamentali:


1. Imaging
Un paziente ricoverato con IRA ed un valore di creatinina pari a 2,8 deve effettuare un’ecografia per
indagare un’eventuale dilatazione delle vie urinarie che può essere semplicemente rimossa
posizionando un catetere vescicale, nel caso in cui il paziente abbia ipertrofia prostatica, o rimuovendo
un calcolo ureterale se questo è la causa;
2. Sedimento urinario
Ad imaging negativo, il secondo passaggio è la valutazione del sedimento urinario. Un sedimento
urinario attivo suggerisce la presenza di un’infiammazione glomerulare acuta, mentre un sedimento
urinario benigno, non attivo, permette di escluderla;
3. Volume urinario
Come abbiamo visto, una contrazione della diuresi può essere espressione di un’ostruzione delle vie
urinarie. Un paziente che urinava un volume adeguato e da un momento all’altro va incontro ad una
riduzione dello stesso potrebbe aver sviluppato un’ostruzione delle vie urinarie; inoltre, se
adeguatamente idratato non recupera la diuresi, potrebbe aver sviluppato una necrosi tubulare acuta.
A questo punto bisogna essere cauti nell’idratazione per il rischio di sovraccarico idrosalino;
4. Elettroliti urinari e rapporto urea/creatinina
Sono due parametri semplici da determinare e che danno importanti informazioni sull’origine dell’IRA.
Ad esempio, una sodiuria >40 mEq/l è solitamente espressione di necrosi tubulare acuta, ovvero di un
danno tubulare tale per cui il rene non è in grado di riassorbire il sodio e di concentrare le urine in
modo adeguato. Un valore <20 mEq/l o un’inversione del rapporto sodio/potassio urinario possono
essere espressione di un’IRA prerenale, come nel caso di un paziente estremamente disidratato che
tenta di trattenere tutto il sodio e quindi più acqua possibile.
Il rapporto urea/creatinina è un altro valore fondamentale che permette di svolgere un’importante
diagnostica differenziale in corso di IRA. Un rapporto di 20-30:1 è solitamente espressione di IRA
parenchimale, più spesso da necrosi tubulare acuta; se invece il rapporto è > 40:1 è spesso
espressione di IRA prerenale, nella quale si ha frequentemente un aumento importante dell’azotemia
o un aumento dei valori di urea percentualmente maggiore rispetto all’aumento dei valori di creatinina.
In un paziente disidratato l’urea si concentra a livello del torrente ematico perché il ciclo dell’urea ha
un ruolo fondamentale nel determinare il gradiente corticomidollare e nel favorire quindi il
riassorbimento di acqua in corso di IRA/disidratazione: aumenta quindi la quantità di urea che viene
riassorbita a livello del dotto collettore.

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IRA IN SPECIFICI CONTESTI CLINICI

6.1 IRA da mezzo di contrasto iodato


Il mdc ha un’azione tossica a livello delle cellule tubulari renali ed esistono dei fattori di rischio ben
riconoscibili e ben determinati di IRA in corso di utilizzo di mdc iodato come:
• Una preesistente IRC;
• Nefropatia diabetica;
• Disidratazione;
• Scompenso cardiaco congestizio;
• Infarto miocardico acuto;
• Utilizzo di contropulsatore aortico;
• Utilizzo in associazione a manovre interventistiche endo-vascolari.

6.2 IRA associata a sepsi


La sepsi è una condizione di infiammazione sistemica secondaria ad un evento infettivo. Questo quadro
flogistico può causare IRA legata a fenomeni immunologici, infiammatori, emodinamici e tossici con
attivazione della cascata infiammatoria, disfunzione endoteliale, attivazione della cascata coagulativa
determinante a livello locale alterazioni del microcircolo con conseguente ipoperfusione.

6.3 IRA in corso di sindrome multiorgano


• Sindrome cardiorenale: una alterata emodinamica, ridotta gittata cardiaca, congestione venosa,
attivazione neurormonale e altre condizioni (farmaci, mdc, infiammazione e rilascio di citochine)
possono impattare sulla funzione renale e determinarne una riduzione, quindi un’IRA;
• Sindrome epatorenale: c’è un riscontro di IR nel 75% dei pazienti cirrotici. La sindrome epatorenale
può essere di tipo I, caratterizzata da insorgenza acuta e rapido decorso, spesso conseguenza di un
evento precipitante, o di tipo II, caratterizzata da insorgenza lenta e progressiva.

APPROCCIO AL PAZIENTE CON IRA

7.1 Distinzione IRA e IRC


L’approccio al paziente inizia dall’anamnesi per capire se sono presenti altre malattie o se vengono assunti
farmaci nefrotossici. Si indaga anche sulla presenza di sintomi pregressi che possano far pensare ad IRA
ad esempio prurito e astenia.
Anche gli esami ematochimici possono essere utili: anemia, ipocalcemia e ipofosforemia sono spesso
espressione di IRC.
Le dimensioni renali all’ecografia permettono di capire se ci si trova davanti a un paziente con IRA, nel
caso in cui i reni siano di grosse dimensioni, o IRC, nel caso in cui i reni siano di piccole dimensioni,
sempre con le tre eccezioni costituite da amiloidosi, diabete e rene policistico.

7.2 Escludere IRA post-renale


Una volta identificato il soggetto come paziente con IRA, bisogna effettuare un’ecografia renale
eventualmente seguita da una TAC per meglio definire l’origine.
È molto importante essere consapevoli del fatto che esistono anche IRA post-renali in assenza di
dilatazione delle vie urinarie o in presenza di una minima dilatazione delle stesse: questo è il quadro dei
tumori retroperitoneali che causano un incarceramento degli ureteri e della pelvi e quindi un’IRA anche a
fronte di una dilatazione della pelvi renale non particolarmente significativa.
In pazienti con un’anamnesi che possa far sospettare quanto appena detto (es. tumore prostatico
metastatico) che si presentano con IRA o contrazione improvvisa della diuresi in assenza di una
dilatazione delle vie urinarie, bisogna sempre pensare alla possibilità di un’ostruzione in presenza di
uretere o pelvi incarcarata e fare una TAC che inquadrerà meglio il caso.

7.3 Escludere ipovolemia


I segni di ipovolemia e di disidratazione sono:
• Assenza di turgore giugulare;
• Riduzione della pressione venosa centrale laddove questa sia determinabile;

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• Ipotensione o ipotensione ortostatica;
• Elevato rapporto urea/creatinina, indicativo se superiore a 40:1;
• Riduzione della concentrazione di sodio urinario ad eccezione di pazienti che assumono diuretici, in
cui questo potrà essere normale o aumentato;
• Aumento della diuresi dopo carico idrico ev.
Esistono comunque le eccezioni: un elevato rapporto urea/creatinina si potrà avere ad esempio anche in
pazienti con sanguinamento gastrointestinale; inoltre, un aumento della diuresi dopo carico idrico ev è
solitamente molto rapido in soggetti giovani e sani, ma in soggetti anziani può richiedere un tempo
maggiore.

7.4 Diagnosi di IRA parenchimale


Escludendo tutte le cause precedenti, la causa più probabile è quella di un’IRA parenchimale. A questo
punto bisogna ragionare e cercare segni di malattia sistemica che possono causare IRA parenchimale
glomerulare o tubulo interstiziale (es. rash cutaneo, artralgie, mialgie, …), indagare l’assunzione di nuovi
farmaci o farmaci di abuso (FANS, antibiotici) e determinare proteinuria e sedimento urinario.
Tra le 4 cause dell’IRA parenchimale, l’IRA vascolare è la meno frequente, tuttavia è possibile e va
considerata come potenziale causa in soggetti con:
• Evidenza di malattia aterosclerotica severa;
• Asimmetria renale, che può essere espressione di stenosi di un’arteria renale;
• Dolore lombare;
• Ematuria macroscopica;
• Anuria completa.

7.5 Flow chart

Quando un soggetto si presenta in PS con creatininemia elevata bisogna subito chiedersi se ha un’IRA o
un’IRC stabile nel tempo. È utile valutare l’anamnesi e la presenza di esami precedenti.
Se il paziente ha un’IRC nota bisogna determinare se la creatininemia è espressione di un peggioramento
della sua nota funzione renale e se esistono urgenze nefrologiche.
Se invece il paziente non ha un’IRC o ha dei reni di buone dimensioni è necessario passare ad una
diagnostica strumentale ovvero un’ecografia renale e/o TAC addome per escludere la presenza di
un’ostruzione; se c’è un’ostruzione delle vie urinarie la gestione del paziente sarà prevalentemente
urologica con:
• Necessità di posizionamento di un catetere vescicale in caso di ipertrofia prostatica;
• Nefrostomia in caso di un’ostruzione più alta;
• Rimozione di calcolo nel caso di calcolo ostruente.

Qualora ecografia renale e TAC addome siano negative, bisogna capire se il paziente ha IRA prerenale,
indagando se è disidratato o chiedendo se ha assunto farmaci nefrotossici come FANS o ACE inibitori tali

18
per cui, in presenza di una più o meno significativa disidratazione, abbia sviluppato un’IRA per gestirlo in
modo appropriato con fluidi in vena e farmaci.
Esclusa la causa prerenale, non rimane che un’IRA parenchimale: in questo caso bisogna valutare la
storia del paziente, gli esami immunologici e il sedimento urinario per capire se è su base glomerulare,
tubulare, interstiziale o vascolare ed eventualmente procedere con una biopsia renale che chiarirà la
causa dell’insufficienza renale.

COMPLICANZE DELL’IRA
Laddove si approccia un paziente con IRA, la domanda da porsi, ancora prima di completare la
diagnostica, è se sussistono urgenze nefrologiche. Le complicanze che si possono avere in corso di IRA
sono:
• Sovraccarico idrosalino nel caso in cui il paziente sia anurico o oligurico;
• Iperpotassiemia, cioè un valore di potassio > 5,5 mEq/dl;
• Uremia, ovvero la comparsa di una serie di disfunzioni d’organo secondarie all’accumulo nel sangue
di tossine uremiche normalmente eliminate dal rene e che non sono più eliminate in modo adeguato a
causa dell’IRA. Espressione di uremia possono essere:
o Pericardite;
o Encefalopatia uremica;
o Aumentato rischio emorragico;
o “Polmone uremico”, condizione in cui il paziente ha uno stato di desaturazione ma in assenza di
un vero e proprio sovraccarico idrosalino.
• Acidosi metabolica

La dialisi, ovvero la terapia sostitutiva della funzione renale, è un approccio che permettere di risolvere
tutte queste condizioni in modo efficace ed immediato.
Per tutte tranne l’uremia esiste la possibilità di approccio con terapia medica, che potrà quindi essere
affrontato a livello di PS o reparto internistico anche in assenza del nefrologo.
Per il sovraccarico idrosalino si utilizzano i diuretici:
• Inibitori dell’anidrasi carbonica: inibiscono il riassorbimento di sodio e bicarbonato a livello del tubulo
contorto prossimale, ma non sono particolarmente usati in clinica;
• Diuretici dell’ansa (furosemide e torasemide): inibiscono il cotrasporto sodio/cloro a livello della
porzione spessa ascendente dell’ansa di Henle. Sono farmaci caratterizzati da un effetto diuretico
significativo, andando ad impattare soprattutto sul gradiente osmolare corticomidollare. Tra tutti i
diuretici sono i più efficaci;
• Tiazidici: diuretici che agiscono sul trasporto sodio/cloro del dotto collettore. Sono utili nella gestione
cronica dei pazienti e nella gestione dell’ipertensione, ma un po’ meno nella gestione in acuto;
• Risparmiatori di potassio: inibiscono l’effetto dell’aldosterone sui trasportatori Na+/K+/H+ del dotto
collettore.

Concetto importante è che per i diuretici dell’ansa, in


particolare la furosemide, le dosi devono essere
modulate in base al grado di funzione renale. La dose
classica è di 20 mg in vena e 25 per os, ma deve
essere aumentata in corso di IRC.
I tiazidici tipicamente non hanno effetto per GFR < 30.
Esiste solo un tiazidico, il metolazone, che agisce
anche per GFR < 30: è un farmaco molto potente che
non può essere somministrato a livello ambulatoriale
ma solo a livello ospedaliero.
L’utilizzo dei risparmiatori di potassio in corso di IRA
aumenta il rischio di iperpotassiemia, quindi andrà
riservato solamente ai pazienti con valori di potassio
normali o comunque tendenzialmente normali.

19
9.1 Iperpotassiemia
È una complicanza che può rappresentare addirittura un’emergenza. In corso di IRA si può avere per
svariati motivi, come aumentato introito alimentare in corso di compromissione della funzione renale o
come effetto iatrogeno da parte di alcuni farmaci che abbiano essi stessi contribuito all’IRA, come ACE
inibitori e sartani o risparmiatori del potassio.
L’iperpotassiemia può causare paralisi muscolare e aritmie. Si ha una tipica sequenza elettrocardiografica
con comparsa di onde T a tenda, accorciamento dell’intervallo QT, progressivo allungamento dell’intervallo
PR e della durata del QRS, scomparsa di onde P e slargamento del QRS.
Il concetto generale è che l’iperpotassiemia può determinare uno slargamento del QRS che può esitare in
un arresto cardiaco, determinare dei blocchi di branca dx o sx, blocchi unifascicolari, BAV avanzato,
esitando talvolta in aritmie cardiache importanti come bradicardia sinusale, arresto sinusale, ritmi
idioventricolari, tachicardia ventricolare, fibrillazione atriale fino all’asistolia.
L’iperpotassiemia è un’emergenza e risulta facile capire che le iperpotassiemie acute sono più rischiose
di quelle croniche. È un’emergenza soprattutto nei pazienti sintomatici con intensa debolezza muscolare
o paralisi e in quelli con anomalie elettrocardiografiche. Esistono farmaci ad azione immediata che
permettono di annullare l’effetto dell’iperpotessiemia a livello cardiaco, come il calcio gluconato in vena
oppure altri ad azione un po’ più lenta come le glucosate tamponate, ovvero glucosate con aggiunta di 5-
10 unità di insulina che favoriscono l’internalizzazione del potassio nelle cellule riducendo
l’iperpotassiemia.
Entrambi questi approcci dovranno essere poi accoppiati ad altri trattamenti che consentano di eliminare
il potassio in eccesso a lungo termine.
Qualora si utilizzassero delle glucosate tamponate sarà fondamentale fare un monitoraggio degli sticks
glicemici.
Altre terapie possono essere:
• NaHCO3: in caso di acidosi metabolica, favorirà l’internalizzazione del potassio nelle cellule. A livello
della membrana cellulare il potassio viene scambiato con gli idrogenioni, quindi in corso di acidosi il
tentativo delle cellule di riassorbire idrogenioni si assocerà ad una fuoriuscita dalla parete cellulare di
potassio; al contrario, una correzione dell’acidosi determinerà una fuoriuscita di idrogenioni (che
andranno a tamponare gli ioni bicarbonato) e una penetrazione di potassio nelle cellule. La correzione
dell’acidosi favorirà quindi un dislocamento del potassio dal compartimento extracellulare
all’intracellulare con conseguente risoluzione dell’iperpotassiemia;
• Agonisti beta2-adrenergici (es. salbutamolo): favoriscono l’internalizzazione del potassio.
Anche queste favoriscono una risoluzione temporanea del problema con dislocazione del potassio, ma la
terapia sarà legata alla rimozione dell’eccesso di potassio dal circolo tramite:
• Diuretici dell’ansa: alcuni possono causare ipopotassiemia come effetto collaterale, in questo caso è
l’effetto desiderato;
• Clisteri con o senza chelanti del potassio;
• Emodialisi;
• Chelanti del potassio (sodio polistirene sulfonato, kayexelate, tipico chelante del potassio molto
utilizzato).

In assenza di emergenze le terapie a disposizione sono le stesse, ma ovviamente vanno adattate al


quadro clinico.

EMODIALISI

9.1 Indicazioni
Se ci si trovasse a gestire un pz con IRA e una delle seguenti condizioni, sarebbe ragionevole considerare
la dialisi come opzione terapeutica:
• Anuria/oliguria severa;
• Iperpotassiemia significativa (K > 6,5 mEq/l);
• Acidosi metabolica severa;
• Sovraccarico idrico;
• Urea > 200 mg/dl, che è il cut-off di urea considerabile come pericoloso, ad alto rischio per il paziente
in termini di sviluppo di sintomi uremici;
• Complicanze cliniche di uremia (encefalopatia, pericardite, neuropatia, polmone uremico).
20
9.2 Introduzione al concetto di dialisi
È una metodica sostitutiva della funzione renale, ne esistono in tutto 3:
• Emodialisi;
• Dialisi peritoneale;
• Trapianto di rene.
Nell’emodialisi si preleva dal paziente sangue venoso attraverso varie modalità, il quale penetra in un filtro
di dialisi che ne garantisce la purificazione prima che questo venga restituito al paziente.
La dialisi in acuto spesso richiede il posizionamento di un CVC, ovvero un catetere che penetra in una
vena centrale: ha 2 lumi per consentire il processo di fuoriuscita e restituzione del sangue e deve avere
un calibro tale da permettere un flusso ematico adeguato.
In caso di IRA in un pz stabile può essere indicato l’utilizzo di dialisi intermittente, ovvero la dialisi che si
fa anche nei pz con IRC, costituita da 3 sedute settimanali a giorni alterni della durata di 3-4 ore l’una.
Nel pz con IRA e in terapia intensiva può invece essere richiesto l’utilizzo di terapie continue come la
CRRT, una metodica dialitica a bassa efficienza che può essere mantenuta per 48-72 ore.

PATOLOGIA GLOMERULARE – GLOMERULONEFRITI E GLOMERULOPATIE

10.1 La struttura del glomerulo


In sequenza sono presenti: l’arteriola afferente, la matassa glomerulare e l’arteriola efferente. La matassa
è sostenuta da uno stroma connettivale ipocellulato, ma comunque con presenza di cellule, che è il
mesangio. Guardando la struttura del capillare glomerulare in dettaglio si nota l’endotelio tipicamente
fenestrato, la membrana basale glomerulare ed esternamente i processi pedicillari dei podociti.
La funzione del glomerulo è ovviamente quella di filtrare il sangue e dare origine alla preurina.

10.2 Glomerulo e parenchima renale


C’è una grande contiguità anatomica tra i vari compartimenti, quindi la patologia di un compartimento si
va inevitabilmente a ripercuotere sugli altri.
A sx c’è una sezione istologica ottenuta da biopsia renale: si notano i glomeruli, i vasi e i tubuli; tra un
tubulo e l’altro esiste uno spazio virtuale che è l’interstizio e la loro disposizione viene definita back to
back.
È intuitivo come un processo infiammatorio a livello del glomerulo possa estendersi a livello
tubulointerstiziale e viceversa e come una patologia vascolare abbia un impatto fondamentale su tutto.
L’immagine a destra mostra in maggior dettaglio un glomerulo normale: si vedono le anse capillari (dove
scorre il sangue), le membrane, i podociti e l’asse mesangiale.

21
10.3 Glomerulonefriti e le glomerulopatie
Sono patologie a carico delle strutture glomerulari. Alcune di queste hanno un carattere prettamente
infiammatorio, le glomerulonefriti, mentre altre, pur essendo su base immunologica come le
glomerulonefriti, hanno un carattere infiammatorio meno spiccato, le glomerulopatie.
Sono cause frequenti di IR terminale e dal punto di vista classificativo possono essere:
• Primitive, vengono classificate in base a caratteristiche morfologiche in:
o Glomerulopatia a lesioni minime;
o Glomerulosclerosi focale segmentale;
o Glomerulonefrite membranosa;
o Glomerulonefrite proliferativa essudativa endocapillare;
o Glomerulonefrite proliferativa extracapillare;
o Glomerulonefrite a depositi di IgA;
o Glomerulonefrite membrano-proliferativa.
• Secondarie, storicamente classificate a seconda della malattia di base:
o Glomerulonefrite lupica, ovvero il coinvolgimento renale in corso di LES;
o Crioglobulinemia mista, quando c’è coinvolgimento renale si parla di nefrite crioglobulinemica;
o Sindrome di Goodpasture;
o Vasculiti;
o Diabete;
o Altre patologie.

La membrana basale glomerulare ha un ruolo fondamentale nel determinare il tipo di patologia


glomerulare che si svilupperà: tutto ciò che si svilupperà all’interno della
membrana basale glomerulare avrà un carattere prettamente infiammatorio
e un andamento più tumultuoso, dando quindi origine alle cosiddette
glomerulonefriti. Questo si associa ad una sindrome clinica ben definita
chiamata sindrome nefritica; tutto ciò che avviene all’esterno della
membrana basale glomerulare darà origine più spesso a processi patologici
passivi detti glomerulopatie, che danno il quadro clinico più tipico della
sindrome nefrosica.

Esistono patologie glomerulari diverse a seconda della porzione di


glomerulo interessata: si possono avere patologie glomerulari in conseguenza ad un processo patologico
immunologico a carico dell’asse mesangiale, oppure un processo patologico a carico delle strutture
endoteliali, subendoteliali o della membrana basale glomerulare, o altre patologie ancora qualora il
processo immunologico sia a carico dello spazio subepiteliale, quindi tra podociti e membrana basale o
riguardante i podociti stessi.

Nella prossima lezione verranno trattati i meccanismi patogenetici del danno glomerulare, le sindromi
cliniche in corso di patologia glomerulare e verranno fatti cenni più o meno approfonditi sulle varie tipologie
di glomerulonefriti.

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Sbobinatore: MDN
Revisore: CB
Materia: Nefrologia
Docente: Alberici
Data: 25-3-2020
Comunicazioni: Il Professore ringrazia coloro i quali hanno Lezione n°: 3
aderito al progettino dei casi clinici, di cui sta tenendo nota. Argomenti:Danno glomerulare, sindromi cliniche in
corso di glomerulonefriti, glomerulonefriti primitive
Quando la fase emergenziale della situazione in corso sarà
scemata, si deciderà cosa fare. Le opzioni potrebbero essere
il nostro ritorno in reparto oppure l’organizzazione dell’apprendimento in remoto, avvalendosi di un
tutor, attraverso uno scambio di mail e un colloquio.

Riassunto/Integrazione della lezione precedente: Durante la scorsa lezione si è fissato il concetto


per cui il glomerulo è indovato nel parenchima renale, quindi la patologia dell’uno si ripercuote sulla
patologia dell’altro.
Si è fatto poi riferimento alle classificazioni delle glomerulonefriti e delle glomerulopatie in base alla
morfologia, per quanto riguarda le forme primitive, e in base alla patologia primaria, per quanto
riguarda le forme secondarie.
Inoltre, si è definito un primo punto chiave, ovvero il ruolo della membrana basale glomerulare (MBG)
nella determinazione del tipo di glomerulopatia che si verifica. In particolare:
 Tutto ciò che coinvolge la MBG o avviene al suo interno conduce tendenzialmente ad un
quadro infiammatorio (glomerulonefrite e sindrome nefritica).
 Tutto ciò che avviene all’esterno della MBG ha un carattere infiammatorio meno spiccato
(prevarranno glomerulopatia e sindrome nefrosica).

DANNO GLOMERULARE

1.1 Meccanismi patogenetici del danno glomerulare


Nella stragrande maggioranza dei casi, la patogenesi del danno glomerulare risiede in un danno
immunologico. In questo ambito un ruolo centrale, ma non esclusivo, è svolto dagli
immunocomplessi, complessi antigene (Ag) - anticorpo (Ab).

La presenza di Ag esogeni (eterologhi) determina la risposta di Ab fisiologici.


Esempi di Ag eterologhi sono:
 Fattori infettivi:
o Virali: HCV, HBV, HIV, EBV…;
o Batterici: Streptococco -emolitico di gruppo A, Staphylococcus Aureus. L’infezione
da questi batteri si associa al rischio di sviluppare una glomerulonefrite acuta.
o Parassitari: P. Malariae …;
o Micotici: Candida Albicans;
 Tossici;
 Farmacologici.

La presenza di Ag endogeni (autologhi) determina la risposta di autoAb in soggetti predisposti dal


punto di vista genetico che, in presenza di fattori ambientali predisponenti, “rompono” la tolleranza
verso il self per un’anomala risposta del SI.
Gli Ag autologhi possono essere classificati in:
 Extrarenali:
o Componenti nucleari (esempio tipico: LES, i cui marcatori sono gli autoAb ANA e
altri);
o Componenti di cellule neoplastiche;
o Immunoglobuline;
o Tireoglobulina.
 Renali:
o Componenti di podociti;
o Endotelio;
o Componenti mesangiali;
o Componenti della MBG.

24
Nella risposta anticorpale ad un Ag si
possono distinguere 3 fasi:
1. Fase di eccesso di Ab.
2. Fase di equivalenza Ag-Ab, in cui
si forma l’immunocomplesso.
3. Fase di eccesso di Ag.
Quando il passaggio da una fase all’altra
segue un decorso fisiologico, il momento
di equivalenza è transitorio e dunque non
causa problemi.
Invece, in presenza di Ag o Ab
particolari, predisposizione genetica o
condizioni ambientali predisponenti,
questa fase può prolungarsi e, di conseguenza, si può
sviluppare un fenomeno patologico.

Ad esempio, potrebbe verificarsi una vasculite


(infiammazione dei piccoli vasi) secondaria alla
somministrazione di un farmaco (che si manifesta,
appunto, come una porpora da allergia da farmaco),
così riassumibile: la risposta anticorpale montata contro
il farmaco causa in circolo la formazione di un
immunocomplesso che si deposita sulla parete vasale,
determinando una risposta infiammatoria che scatena
una necrosi fibrinoide a carico del vaso.
La porpora che si osserva in corso di allergia ad un
farmaco altro non è che espressione di vasculite.

Gli immunocomplessi potrebbero delineare quindi 3 diversi scenari:


 Ag circolanti  risposta anticorpale  formazione di immunocomplessi  deposizione di
immunocomplessi a livello renale.
 AutoAb circolanti  legame con Ag autologhi espressi a livello renale  formazione di
immunocomplessi in situ.
 Ag eterologhi circolanti  impianto a livello renale  risposta anticorpale  formazione di
immunocomplessi in situ.
A questo punto, come già detto, la formazione di immunocomplessi può:
 Interessare l’endotelio o la MBG (strutture a contatto con il torrente ematico) e dunque
scatenare un processo flogistico (glomerulonefrite);
 Interessare il versante esterno della MBG (a ridosso dei podociti) o lo spazio compreso fra
podociti e MBG e dunque scatenare processi patologici con un minor carattere infiammatorio.
Prevarranno, invece, fenomeni di distorsione della struttura glomerulare (glomerulopatie).

Gli immunocomplessi, però, per essere nefritogeni (potenzialmente dannosi a livello renale) devono
possedere determinate caratteristiche chimico-fisiche. Ad esempio:
 Immunocomplessi anionici e ad alto peso molecolare (PM) solitamente sono respinti dalla
MBG (caratterizzata dalla prevalenza di cariche negative) e tendono a depositarsi in sede
subendoteliale;
 Immunocomplessi cationici e/o a basso peso molecolare attraversano la MBG più facilmente
e si depositano nel suo contesto o nello spazio subepiteliale.

Gli immunocomplessi non sono gli unici elementi responsabili del danno glomerulare, infatti anche
altri fattori possono essere coinvolti in associazione o indipendentemente ad essi:
 AutoAb;
 Linfociti T suppressor;

25
 Fattori permeabilizzanti (fattori circolanti che sembrano favorire un aumento delle
permeabilità glomerulare alle proteine).
Altri mediatori del danno glomerulare sono:
 Mediatori solubili:
o Complemento;
o Proteine della coagulazione;
o Citochine;
o Fattori di crescita…
 Mediatori cellulari:
o Polimorfonucleati;
o Linfociti B e T;
o Cellule mesangiali;
o Cellule endoteliali; c
o Cellule epiteliali.

Riassumendo, per quanto riguarda quindi la patogenesi delle glomerulonefriti: la presenza di


immunocomplessi in situ o circolanti, di autoAb contro componenti della MBG e di altri fattori
determinano alterazione della MBG con attivazione del mesangio.
Si ha quindi in seguito l’attivazione del complemento (via classica e/o alternativa,
contemporaneamente o una sola delle due in base al tipo di glomerulonefrite), con proliferazione
delle cellule mesangiali e richiamo di polimorfonucleati e macrofagi.
A ciò segue la liberazione di citochine pro-infiammatorie con aggregazione piastrinica.
Questa patogenesi multifattoriale esiterà in proteinuria che, in associazione ad altri fattori
emodinamici e al danno tubulo interstiziale, determinerà sclerosi glomerulare e tubulo-interstiziale.
Qualora non si intervenga con una terapia, dunque, in corso di glomerulonefrite si assiste ad una
progressiva evoluzione del danno da immunitario ad anatomico e istologico.

SINDROMI CLINICHE IN CORSO DI GLOMERULONEFRITI


Qualsiasi sia il processo patologico alla base di una glomerulonefrite o di una glomerulopatia, al
danno glomerulare conseguono proteinuria ed ematuria, reperibili a livello del sedimento urinario.

2.1 Proteinuria
L’escrezione urinaria fisiologica di proteine è di 150 mg/die.
La proteinuria patologica, cioè l’escrezione di proteine urinarie superiore a questo valore, potrebbe
essere conseguenza di:
o Aumentata permeabilità glomerulare (proteinuria selettiva, prevalentemente coinvolta
è l’albumina);
o Ridotto riassorbimento tubulare (proteinuria tubulare, prevalentemente coinvolte
sono le proteine a basso PM);
o Aumentata concentrazione plasmatica di proteine a basso PM (come le catene
leggere delle Ig), dovuta ad esempio a Mieloma Multiplo o ad altre neoplasie
ematologiche;
o Anomala secrezione di proteine nel tratto urinario.

In condizioni fisiologiche:
 Le proteine ad alto PM (es. Ig) non attraversano la barriera di filtrazione glomerulare;
 L’albumina non dovrebbe essere filtrata (tuttavia piccole quantità vengono filtrate e poi
assorbite a livello del tubulo contorto prossimale);
 Le proteine a basso PM vengono filtrate liberamente e riassorbite a livello del tubulo contorto
prossimale.
A carico della barriera di filtrazione glomerulare:
o Un danno severo  determina comparsa nelle urine di tutti e 3 questi gruppi di
proteine;

26
o Un danno selettivo  determina comparsa nelle urine di albumina;
o Un danno tubulare (a livello del tubulo contorto prossimale)  determina comparsa
di proteine a basso PM.

La proteinuria può essere classificata in base all’entità in:


 Lieve: < 1 g/die
 Moderata: 1 - 3.5 g/die
 Severa (proteinuria in range nefrosico): > 3.5 g/die
La modalità ideale per la determinazione della proteinuria quotidiana è la raccolta delle urine nelle
24h: il paziente comincia la raccolta al risveglio (es. h 8:00) e fino al medesimo orario del mattino
successivo urina in un boccione dedicato.
In assenza di tale possibilità, è possibile stimare la proteinuria delle 24h tramite il rapporto
proteinuria/creatininuria.

La proteinuria può inoltre essere classificata in base alla sede d’origine, determinabile mediante
l’elettroforesi delle proteine urinarie, in:
 Selettiva: proteine a basso PM abnormemente filtrate a livello glomerulare (es. albumina)
 Non selettiva: proteine a basso e alto PM, ad indicare un danno glomerulare più grave.

2.2 Ematuria
L’ematuria consiste nella comparsa di sangue a livello urinario, macro o microscopica.

La macroematuria è caratterizzata da urine a lavatura di carne o rosso vivo o color ruggine o Coca
Cola, a seconda della quantità ematica e dell’eventuale ristagno nelle vie urinarie.
Un sanguinamento acuto a carico delle vie urinarie dà origine ad urine a lavatura di carne/rosso vivo,
mentre urine color Coca Cola indicano una parziale digestione avvenuta durante il ristagno nelle vie
urinarie.
La causa più frequente di ematuria è di origine urologica. Qualora la causa dell’ematuria sia
glomerulare, suggerirebbe un’intensa acuzie flogistica.

La microematuria descrive la presenza nelle urine di globuli rossi, non macroscopicamente


apprezzabili.
La valutazione delle caratteristiche morfologiche delle emazie è particolarmente rilevante
nell’indicare l’origine dell’ematuria. Il semplice utilizzo della microscopia ottica (e idealmente, della
microscopia a contrasto di fase) permette di identificare:
 Emazie ben conservate (con margini integri)  solitamente di provenienza urologica;
 Emazie mal conservate o dismorfiche (con margini alterati, frammentazione o
estrusione)  di provenienza glomerulare nel 85-94% dei casi.
L’alterazione glomerulare determina infatti l’infiammazione e l’alterazione
strutturale della barriera di filtrazione, la quale opera in maniera anomala sui
globuli rossi filtrati, così soggetti a disidratazione ed alterazione fisica.
Particolarmente specifici per sospetto di patologia glomerulare sono gli
acantociti, le cosiddette emazie ‘Mickey Mouse’, per la forma tondeggiante e
2 protuberanze che ne ricordano le orecchie.

2.3 Valutazione del sedimento urinario


Le macchine utilizzate per la valutazione dell’esame urine sono automatizzate e pertanto non
forniscono risultati accurati tanto quanto la valutazione microscopica direttamente eseguita dal
nefrologo o dal tecnico.
Il sedimento urinario non è altro che una piccola biopsia renale: la sua valutazione è operatore-
dipendente, ma economica e rapida.
La provetta di urina fornita dal paziente viene centrifugata mediante dei protocolli standard, dando
origine ad un sopranatante liquido e un pellet precipitato sul fondo. Eliminando il liquido e
disponendo il precipitato sul vetrino, al microscopio si possono osservare:

27
 Emazie (bene o mal conservate, monomorfiche o dismorfiche);
 Leucociti in corso infezioni del rene e delle vie urinarie o nefriti tubulo-interstiziali;
 Altre cellule nucleate (cellule tubulari, monociti, linfociti…), più rare da identificare;
 Cellule di sfaldamento delle vie urinarie;
 Batteri (significativo se il conteggio batterico risulta > 10’0000 unità formanti colonie);
 Cristalli;
 Cilindri, che con le emazie, costituiscono le informazioni più utili e pertinenti all’ambito delle
glomerulonefriti.
Essi sono costituiti da materiale precipitato o conglutinato su una matrice organica costituita
per lo più da uromodulina o mucoproteina di Tamm-Horsfall. Quest’ultima viene prodotta
all’interno dell’ansa di Henle e vanta diverse funzioni importanti:
o Immunomodulante;
o Regolatoria della funzione tubulare;
o Pulizia tubulare (come tutte le mucoproteine).
In condizioni favorevoli, quali urine concentrate o acide o fenomeni patologici, la
mucoproteina di Tamm-Horsfall può precipitare, formando dei cilindri. Essi rappresentano un
calco del contenuto tubulare nel momento della precipitazione.
Analizzandone la presenza e le caratteristiche morfologiche, si possono trarre deduzioni
sulla natura dei processi patologici a livello glomerulare:
o Cilindri ialini: la proteina di Tamm-Horsfall precipita, gelificata. Ha un basso indice
di rifrazione, richiedendo bassa intensità di illuminazione al microscopio. Le strutture
formatesi si presentano come delle ombre, senza alcun contenuto.
Sono presenti in condizioni fisiologiche (es. disidratazione), e in condizioni
patologiche in caso di IRA su base funzionale o necrosi tubulare acuta.
o Cilindri granulari: derivano dalla degenerazione di cilindri cellulari o
dall’aggregazione diretta di proteine sieriche alla proteina di Tamm-Horsfall
precipitata. Sono più facilmente riconoscibili per il contenuto granulare.
o Cilindri eritrocitari: espressione di danno a carico della barriera di filtrazione
glomerulare. Si presentano con una struttura trasparente, che contiene globuli rossi.
o Cilindri leucocitari: espressione di infezione a carico del parenchima renale
(pielonefrite) o di intensa infiammazione glomerulare (glomerulonefrite).

Cilindri ialini Cilindri granulari

Cilindri eritrocitari Cilindri leucocitari

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La presenza di cilindri cellulari, cilindri granulari e microematuria (magari con globuli rossi dismorfici)
configura il sedimento urinario attivo, tipico del processo flogistico renale importante (quindi ad
esempio una glomerulonefrite).

2.4 Sindromi clinico urinarie


Le sindromi clinico urinarie sono le manifestazioni cliniche con cui le glomerulonefriti e le
glomerulopatie si possono presentare.

Attenzione: La stessa sindrome clinico urinaria


può essere causata da più glomerulonefriti-
glomerulopatie e la stessa glomerulonefrite-
glomerulopatia può manifestarsi con diverse
sindromi clinico urinarie. Di conseguenza, la
sindrome clinico urinaria NON permette di fare
diagnosi di certezza. L’unica prova valida è la
biopsia renale.
Ad esempio, la glomerulopatia a lesioni minime si
manifesta quasi sempre, ma non
esclusivamente, con sindrome nefrosica. In altri
casi, la manifestazione clinica della
glomerulopatia è più incerta: le glomerulonefriti
proliferative possono manifestarsi con sindrome
nefritica, sindrome nefrosica, microematuria e
proteinuria o macroematuria ricorrente.

Riconosciamo 4 manifestazioni clinico urinarie:

 Sindrome urinaria isolata propriamente detta


Consiste in un riscontro casuale, durante esami urine (es. check-up clinico per attività
sportiva o lavorativa), di proteinuria (solitamente lieve/moderata) e/o microematuria in un
soggetto asintomatico.
Solitamente la proteinuria è lieve o moderata, quindi se quantificata sulle 24 h è inferiore a 1
g o compresa fra 1 g e 3,5 g.

 Ematuria ricorrente
E’ generalmente macroscopica in individui apparentemente sani, intervallata da periodi di
normalità urinaria o di sindromi urinarie isolate. Può essere associata o meno a proteinuria.
Se la patologia glomerulare che sottende all’ematuria è su base genetica, può avere un
andamento ricorrente familiare.

29
Entrambe le ultime forme che presenteremo si possono riscontrare in caso di patologie che
colpiscono l’asse mesangiale e, in forma lieve, il compartimento interno della barriera di filtrazione
glomerulare.

 Sindrome nefrosica
Il primum movens delle alterazioni patologiche della sindrome nefrosica è da ricercare in:
o Proteinuria > 3.5 g/die
o Ipoalbuminemia < 3 g/100 ml
o Ipoproteinemia totale < 5 g/100 ml
In generale, questo squilibrio induce, nel tentativo di rimpiazzare le proteine e l’albumina
perse con le urine, un aumento della sintesi proteica a livello epatico e i suoi conseguenti
effetti collaterali.
La sindrome nefrosica è caratterizzata da sintomi aspecifici (anoressia, astenia…), urine
schiumose e ulteriori manifestazioni cliniche causate da fenomeni fisiopatologici e
meccanismi adattativi conseguenti all’ipoalbuminemia, come:

o Edemi di variabile intensità e diffusione


La patogenesi dell’edema è così riassumibile: proteinuria  ipoalbuminemia 
riduzione della pressione oncotica plasmatica  passaggio dei liquidi nello spazio
interstiziale  ipovolemia relativa a livello intravascolare. Quest’ultima condizione
sortisce un duplice effetto ormonale:
 Rilascio di vasopressina che causa ridotta eliminazione tubulare di acqua e
quindi lo sviluppo di edema.
 Attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone che causa ritenzione
di sodio e quindi lo sviluppo di edema.
L’edema è caratterizzato dal segno della fovea, da ricercare nelle zone declivi: gli arti
inferiori se il paziente è deambulante, la radice delle cosce o il dorso se il paziente è
allettato.

o Dislipidemia con lipiduria


Dal punto di vista laboratoristico, la dislipidemia della sindrome nefrosica è
caratterizzata da ipercolesterolemia, ipertrigliceridemia, aumento delle proteine
coinvolte nel trasporto dei lipidi, quali VLDL, LDL, lipoproteine.
Ne consegue un maggior rischio di malnutrizione protido-energetica.
La causa della dislipidemia risiede in:
 Aumentata sintesi epatica di lipidi e apolipoproteine, colesterolo e trigliceridi;
 Lipolisi deficitaria, a seguito della perdita urinaria di enzimi, quali lipoprotein-
lipasi (enzima presente nell’endotelio vascolare) e LCAT (lecitina-colesterolo-
acil-transferasi).

o Trombofilia
Meccanismo patogenetico similare al precedente si verifica nella trombofilia, dove si
assiste, secondariamente a proteinuria ed ipoalbuminemia, a:
 Aumentata sintesi epatica di fattori coinvolti nel controllo della cascata di
coagulazione (V, VIII, fibrinogeno);
 Perdita urinaria dei fattori coinvolti nel controllo della cascata di coagulazione
(IX, XI, inibitori della coagulazione, plasminogeno).
Ne conseguiranno alterazione del sistema di fibrinolisi, aumentata reattività
piastrinica, trombocitosi, disfunzione endoteliale.
La diatesi trombotica esita spesso nella trombosi della vena renale.

o Alterazioni tipiche all’elettroforesi: riduzione del picco dell’albumina, aumento dei


picchi 2 e , riduzione del picco .
La perdita urinaria di Ig porta naturalmente ad un aumento del rischio infettivo.

30
 Sindrome nefritica
E’ caratterizzata da un andamento evolutivo molto più tumultuoso rispetto alla sindrome
nefrosica, dovuto allo spiccato carattere infiammatorio che coinvolge cellule endoteliali e
versante interno della MBG (ricordiamo che la sindrome nefrosica coinvolge invece il
versante esterno della MBG).
La clinica della sindrome nefritica è in parte legata alla progressiva perdita di funzionalità
renale e in parte legata alla patologia che sottende alla sindrome stessa. Questa è
caratterizzata da:
o Sintomi sistemici: febbricola, astenia, anoressia, nausea, vomito, cefalea…
o Sintomi urinari: ematuria (spesso macroscopica), oliguria, urine schiumose,
sedimento urinario attivo (con cilindri eritrocitari ed ematici), proteinuria
lieve/moderata;
o Ritenzione idrico-salina: edemi al volto e declivi, ipertensione arteriosa, stasi
polmonare;
o Complicanze: insufficienza renale rapidamente progressiva, con rialzo della
creatininemia talvolta apprezzabile di giorno in giorno.

2.5 Diagnostica
Il pannello di esami richiesto per riconoscerne l’eziologia è identico in caso di sindrome nefritica o
nefrosica:

 Esami ematochimici: come profilo lipidico o elettroforesi.

 Esami delle urine:


o Proteinuria e albuminuria nelle 24h;
o Rapporto proteinuria/creatininuria;
o Rapporto albuminuria/creatininuria; elettroforesi delle proteine urinarie;
o Sedimento urinario (utile per fare diagnosi differenziale tra i due tipi di sindrome: il
sedimento urinario del quadro nefritico è caratterizzato da segni di attività, mentre
quello del quadro nefrosico è inattivo).

 Esami immunologici: Si eseguono per confermare o escludere la correlazione della


sindrome nefrosica ad una patologia sistemica.
 ANA, ENA, antiDNA, C3, C4 per LES o connettivite;
 IgG; IgA; IgM;
 Proteinuria di Bence Jones per malattie ematologiche;
 Ab anti-PLA2R per la glomerulopatia membranosa primitiva.

31
Una tecnica di rilievo, in questo ambito, è l’immunofluorescenza.
Nell’immunofluorescenza diretta si utilizza un Ab che riconosce una molecola di interesse,
direttamente marcata con un fluoroforo.
Nell’immunofluorescenza indiretta, invece, si utilizza un Ab che riconosce una molecola di
interesse (Ab primario), a sua volta riconosciuto dall’Ab secondario, marcato con fluoroforo.
Se la molecola di interesse è presente, l’Ab vi si lega e, stimolato con una luce dedicata,
emette una fluorescenza che rende possibile identificare la natura dei depositi a livello
glomerulare.

 Biopsia: per la diagnosi di certezza. Rappresenta il procedimento chiave


dell’immunopatologia renale, disciplina che studia le caratteristiche istologiche renali.
Il paziente viene posizionato, previa
premedicazione, su un lettino dedicato con un
cuscino sotto l’addome, per favorire l’inarcamento
del dorso e l’esposizione del rene.
La procedura è eco-guidata o eco-assistita, a
seconda dei centri: nel primo caso il movimento
dell’ago avviene per mezzo di una guida, nel
secondo a mano libera.
Si ottiene una sezione glomerulare bidimensionale
dalla quale si vogliono estrapolare informazioni
sulla tridimensionalità della struttura (assi
mesangiali, cellule endoteliali, MBG, processi
pedicillari dei podociti). Si possono pertanto
distinguere diverse lesioni glomerulari:
o Lesioni segmentali: interessano parte del glomerulo, potrebbero non essere
identificate in un solo piano di sezione.
o Lesioni focali: interessano alcuni glomeruli, potrebbero essere minimamente
rappresentate in alcuni piani di sezione e particolarmente evidenti in altre.
o Lesioni globali: interessano tutto il glomerulo.
o Lesioni diffuse: interessano tutti i glomeruli.

Possiamo vedere alcuni esempi di immagini


istologiche di un rene normale.

Nella prima immagine, con colorazione PAS,


possiamo vedere glomeruli, vasi ed il tubulo-
interstizio costituito da tubuli con disposizione
“back to back”, tra i quali è presente dello spazio
che di fatto è talmente piccolo da risultare virtuale.

32
Nella seconda immagine, sempre con colorazione
PAS, vediamo un glomerulo normale, costituito da
assi mesangiali e lumi capillari.
In corso di glomerulonefriti ci si discosterà molto da
questa configurazione.

Nella terza immagine abbiamo sempre un


glomerulo, in questo caso con colorazione di Jones
che permette di evidenziare in modo più efficace gli
assi mesangiali.

GLOMERULONEFRITI PRIMITIVE
Finora i termini ‘glomerulopatia’ e ‘glomerulonefrite’ (GN) sono stati usati in maniera abbastanza
distinta, da questo punto si adotterà la tendenza di interscambiarli, tipica della pratica clinica.
In nome dello stesso criterio, è bene sottolineare che la distinzione scolastica in glomerulonefriti
primitive o secondarie appare sfumata, perché al primo gruppo appartengono patologie che ormai
sono notoriamente secondarie.
In linea di massima, ad ogni modo, le glomerulonefriti primitive sono classificate su base morfologica,
mentre le secondarie in base alla patologia primaria.

3.1 Classificazione delle glomerulonefriti primitive


Utilizzando come criterio di distinzione i rispettivi quadri clinici, si possono individuare:

1. Nefropatie che presentano tipicamente sindrome nefrosica


o Glomerulopatia membranosa;
o Glomerulopatia a lesioni minime;
o Glomerulosclerosi focale segmentale;
o Glomerulonefriti membranoproliferative;

2. Nefropatie che presentano tipicamente sindromi urinarie isolate o ematuria ricorrente


o Nefropatia a depositi di IgA.

3. Nefropatie che presentano tipicamente sindrome nefritica


o Glomerulonefrite proliferativa-essudativa endocapillare (“parainfettiva”);
o Glomerulonefrite proliferativa endo ed extracapillare.

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3.2 Glomerulonefrite proliferativa-essudativa endocapillare (parainfettiva)
Costituisce il 6-10% delle glomerulonefriti primitive. Colpisce pazienti di tutte le età (2-65 aa), ma
prevalentemente i giovani, con una media di 26 aa.

L’eziologia è “parainfettiva”: storicamente è associata a Streptococco -emolitico di gruppo A (tipica


del bambino affetto da tonsillite streptococcica), ma potenzialmente potrebbe coinvolgere anche altri
patogeni, come lo Staphylococcus Aureus.

Il processo patogenetico risiede nella formazione di immunocomplessi circolanti per la risposta


anticorpale all’Ag batterico, oppure, per mimetismo molecolare, gli Ab formatisi contro l’Ag batterico
formano immunocomplessi in situ con Ag renali.

L’infezione si manifesta a livello di orofaringe (classica nel bambino) e cute.


Le manifestazioni cliniche sono:
 Sindrome nefritica nell’80% dei casi;
 Identificazione di un’infezione pregressa nel 70% dei casi;
 Sindrome nefrosica + microematuria (segno di processo flogistico) nel 15% dei casi.

L’evoluzione di tale GN potrebbe determinare:


 Riduzione di C3 nell’80% dei casi;
 Ipertensione nel 60-80% dei casi;
 TAS (Titolo Anti-Streptolisinico) elevato nel 65% dei casi, indice di una recente infezione da
Streptococco -emolitico;
 Oliguria nel 40% dei casi;
 IR transitoria nel 30-40% dei casi;
 IR severa nel 5% dei casi.

Il decorso della glomerulonefrite è tipicamente post-infettivo: si sviluppa 2-3 settimane dopo


l’episodio infettivo. Questo dato è però in corso di ridefinizione, perché ci si è resi conto che
glomerulonefrite ed episodio infettivo primario si possono verificare anche contestualmente.
Il decorso prevede solitamente una regressione in 6 settimane, con possibile persistenza di
microematuria.
L’evoluzione può portare a remissione completa (nel 70-80% dei casi); remissione parziale (10%) e
IRC (10%).

Per quanto concerne la diagnosi, si segue il pannello routinario di


esami (già presentato nel paragrafo 2.5), di cui l’immunofluorescenza
svela depositi di C3 e di Ig.
I pattern di positività possibili a questo esame sono 3:
 A cielo stellato (la più frequente, indica positività periferica di
piccoli depositi), rappresentato nell’immagine a destra;
 A ghirlanda (positività periferica di grossi depositi);
 Mesangiale (in fase di risoluzione). In microscopia elettronica,
tali depositi appaiono come materiale elettrodenso.
Additivamente, è opportuno svolgere indagini batteriologiche, volte ad escludere processi infettivi
ancora in corso: tampone faringeo, tampone cutaneo, emocolture, etc. Inoltre, è consigliato valutare
il TAS, indice di fenomeno infettivo nel recente passato, come già precedentemente detto.
Nonostante con questi dati alla mano la diagnosi sia particolarmente suggestiva, è necessario porre
diagnosi di certezza mediante biopsia.
Dal punto di vista bioptico si può osservare:
 Proliferazione delle cellule mesangiali ed endoteliali;
 Infiltrazione di cellule infiammatorie ( lesione “essudativa”) che occlude i capillari;
 Normale spessore della MBG;

34
 Depositi sottoepiteliali (“humps”), responsabili della componente nefrosica di proteinuria
severa;
 Interessamento tubulo-interstiziale variabile.

Analizzando l’immagine istologica del glomerulo di un paziente


affetto da glomerulonefrite proliferativa-essudativa endocapillare
vediamo appunto una elevatissima cellularità: si riconoscono dei
polimorfonucleati.
La proliferazione determina occlusione dei lumi capillari.

A destra abbiamo un’immagine in microscopia elettronica, in cui


si vedono dei grossolani depositi elettrondensi in sede sub-
epiteliale, tipici di questa patologia, di C3 ed IgG.

Benchè la terapia non sia parte integrante dell’esame, se ne fornisce qualche cenno.
La terapia sintomatica prevede la somministrazione di anti-ipertensivi, sostenuta da restrizione
idrica.
Qualora si identifichi un’infezione ancora in corso si procede con antibiotici. Contrariamente, se la
glomerulonefrite è postinfettiva, non è necessaria.
L’utilizzo dei farmaci nel contesto della progressione verso IR è molto dibattuto: si utilizzano
glucocorticoidi per ridurre l’infiammazione glomerulare solo in quadri acuti, floridi o che presentino
una componente necrotica alla biopsia renale.

3.3 Glomerulonefrite proliferativa endo ed extracapillare


Rappresentano un gruppo di glomerulonefriti tipicamente ad andamento rapidamente progressivo:
si tratta di un’emergenza nefrologica che richiede rapida identificazione e precoce terapia.
Costituiscono il 5% delle glomerulonefriti primitive. Coinvolgono pazienti con età 5-75 aa, la cui
media è di 45 aa.

Dal punto di vista patogenetico, si possono riconoscere 3 cause:


 Ab anti MBG (50% dei casi): l’esposizione a fattori ambientali (es. solventi chimici), la
predisposizione genetica e altri fattori non noti provocano la formazione di Ab contro la
componente collagenica (in particolare, collagene IV) della MBG. La successiva attivazione
del complemento innesca il fenomeno flogistico responsabile della distruzione della MBG
stessa.
 Pauci-immune (spesso ANCA positive  vasculiti ANCA associate): la predisposizione
genetica, l’esposizione a fattori ambientali e a patogeni (es. Staphylococcus Aureus)
provocano la formazione di auto Ab detti ANCA. A seconda della propria specificità, essi
riconoscono delle componenti dei granuli neutrofili:
o ANCA – MPO riconoscono la mieloperossidasi;
o ANCA - PR3 riconoscono la proteinasi 3.
L’attivazione dei neutrofili determina l’esposizione in superficie dei granuli target degli ANCA
e la successiva degranulazione. Il processo infiammatorio degenera in danno endoteliale e
danno della MBG.

35
 Immunocomplessi con immunofluorescenza positiva granulare per complemento e Ig
(argomento trattato e classificato con le glomerulonefriti membranoproliferative).
Indipendentemente dal processo patogenetico, il
danno della MBG crea una soluzione di continuo che
permette la fuoriuscita delle cellule infiammatorie dallo
spazio intravascolare a quello extravascolare (polo
urinifero). Il processo flogistico, a questo livello, viene
mantenuto da elementi cellulari provenienti
dall’interstizio.
In questa dinamica trae la sua genesi lo sviluppo di
semilune, caratterizzate dalla presenza di almeno 2
strati di cellule proliferanti nello spazio di Bowman.
Queste alimentano la compromissione funzionale
glomerulare e sono pertanto espressione di
glomerulonefrite. In parte ciò avviene con meccanismi
fisici, ovvero con l’accumulo di infiltrato infiammatorio
interstiziale in questo spazio virtuale responsabile
della compressione della matassa glomerulare. In
parte, invece, l’integrità della barriera di filtrazione
glomerulare è minata dalla distruzione della struttura
della MBG stessa.
Sulla base dello stadio di sviluppo delle semilune, è
possibile classificarle in:
 Floride: neoformate, ad elevato contenuto
cellulare, quasi completamente reversibili in
caso di intervento terapeutico precoce.
 Fibrocellulari: formatesi da circa 2 settimane
dall’esordio, minor reversibilità.
 Fibrose: irreversibili.

A tal proposito, è interessante evidenziare una differenza tra sindrome da Ab anti MBG e vasculiti
ANCA associate: nelle prime i glomeruli si trovano tutti contemporaneamente al medesimo stadio.

Per quanto riguarda le manifestazioni cliniche all’esordio:


 Sindrome nefritica nel 60% dei casi (soprattutto in forme da Ab anti MBG e vasculiti ANCA
associate);
 Sindrome nefrosica + microematuria nel 30-40% dei casi (soprattutto in glomerulonefriti da
immunocomplessi).

L’evoluzione clinica è rappresentata da:


 IR severa nell’80-100% dei casi;
 Oliguria nel 40% dei casi;
 Ematuria nel 30-40% dei casi;
 Ipertensione nel 30% dei casi.
 In particolare, un sottogruppo di pazienti affetto da glomerulonefriti da Ab anti MBG può
esitare in coinvolgimento polmonare, con emorragia polmonare. La presenza contemporanea
delle due condizioni prende il nome di sindrome renopolmonare o Sindrome di Goodpasture.
L’evoluzione verso uremia terminale si presenta nell’80-90% dei casi, a seconda della % di semilune
(livello di fibrosi e di infiltrato interstiziale) e della precocità dell’intervento terapeutico.
Nel caso in cui i glomeruli sclerotici siano più del 50% la probabilità di sopravvivenza renale negli
anni successivi alla diagnosi è molto bassa (quindi rappresenta un’emergenza ed è necessaria una
diagnosi precoce).
Al contrario, un coinvolgimento focale, in un grafico di Kaplan Meier (in ascissa gli anni, in ordinata
la funzione renale adeguata), mostra una prognosi nettamente migliore. E’ possibile un recupero
funzionale parziale.

36
Per quanto concerne la diagnosi, considerando l’immunofluorescenza, è
possibile sfruttare i diversi pattern di depositi di IgG, IgM, C3 per definire
sottogruppi:
 La sindrome da Ab anti MBG è caratterizzata da depositi di IgG lineari
periferici che assumono la disposizione tipica a fumo di sigaretta
(nell’immagine a destra).
 Le vasculiti ANCA associate sono dette pauci-immuni proprio per
l’immunofluorescenza negativa. Nelle aree di necrosi, si può
apprezzare fibrinogeno, marker aspecifico di necrosi glomerulare.
Dal punto di vista istologico invece si apprezzano:
 Semilune;
 Proliferazione di cellule endoteliali e mesangiali;
 Necrosi.

Nell’immagine a destra, che rappresenta un glomerulo in corso di


sindrome da Ab anti MBG, la freccia indica un’interruzione della MBG,
da cui poi si è sviluppata la grossolana semiluna cellulare sovrastante.

Questa invece è l’immagine di una vasculite ANCA associata, in cui


sono presenti aree di necrosi, rappresentate da colorazione rosso-
scura.
In questo caso la MBG ha subito danno e si è sviluppata una semiluna
fibrocellulare (avanzata).
Nell’interstizio che circonda il glomerulo si identifica inoltre un infiltrato
infiammatorio.

La terapia è di carattere immunosoppressivo maggiore: cortisone associato ad immunosoppressori


(ciclofosfamide o Rituximab). Nel caso della vasculite ANCA associata, una volta ottenuto il controllo
della malattia, si fa necessaria una terapia di mantenimento volta alla prevenzione della recidiva.
Viceversa, la sindrome da Ab anti MBG è one shot e dunque non dovrebbe recidivare.

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Comunicazioni: Nessuna. Sbobinatore: C.G.
Riassunto/integrazione della lezione precedente: Nella descrizione Revisore: S. F.
delle patologie glomerulari ci stiamo progressivamente spostando Materia: Nefrologia
Docente: F. Alberici
dall’interno della mb1 glomerulare (dall’endotelio) verso l’esterno. Data: 02/04
Verso l’esterno ci sono principalmente condizioni in cui si verificano Lezione n°: 4
Argomenti: patologia glomerulare II, le
glomerulopatie: condizione patologica caratterizzata da uno glomerulopatie
spettro infiammatorio di minor entità e che più spesso dà
all’osservazione del clinico una sindrome nefrosica. Questa è una
regola valida nella maggior parte dei casi ma non una regola assoluta.

La scorsa lezione sono state trattate le glomerulonefriti, condizioni infiammatorie che causano più
spesso la sindrome nefritica. Nello specifico si parla di:
 Glomerulonefrite proliferativo-essudativa endocapillare (“parainfettiva”, acuta);
 Glomerulonefrite proliferativa endo ed extracapillare (in particolare delle malattie da anticorpo
anti membrana basale glomerulare, vasculiti associate);

GLOMERULOPATIE CON SINDROME NEFROSICA

Introduzione
Oggi parleremo delle nefropatie che presentano tipicamente sindrome nefrosica. Esistono 4 entità
principali:
 Glomerulopatia membranosa
 Glomerulopatia a lesioni minime
 Glomerulosclerosi focale segmentale
 Glomerulonefriti membranoproliferative

1.1 Glomerulopatia membranosa2

- Costituisce il 15% circa delle glomerulopatie primitive, una delle più frequenti;
- E’ la causa più frequente di sindrome nefrosica nell’adulto caucasico non diabetico (20/30% dei casi,
incidenza compresa fra 0.2-1.4/100.000 casi/anno);
- Età media di insorgenza: 50 anni ;
- Rapporto M/F 2:1;

Dal punto di vista patogenetico è caratterizzata dal deposito di immunocomplessi in sede sub epiteliale,
sul versante esterno della membrana basale glomerulare, cioè fra la mb glomerulare e i processi
podocitari dei podociti. La patogenesi determina, come caratteristica istologica tipica, un ispessimento
delle mb glomerulari.

1.1.2 Patogenesi
Dal punto di vista patogenetico si riconoscono due forme:

- Forme primitive
è stato recentemente identificato l’auto-anticorpo che è responsabile di circa il 75/80% dei casi delle
forme primitive:
• Ab anti-PLA2R: anticorpi rivolti verso il recettore della Fosfolipasi A2, presenti nel 75% dei casi.
Sono anticorpi abbastanza specifici e altamente sensibili. Quando un paziente presenta nel siero degli
anticorpi di questo tipo, con altissima probabilità quel paziente avrà una glomerulopatia membranosa.
Questo è importante al punto che le nuove linee guida della Società internazionale di nefrologia
suggeriscono, in pazienti in cui la biopsia renale venga ad essere considerata ad alto rischio, in
presenza di sindrome nefrosica accompagnata dalla positività di questi auto-ab, la possibilità di diagnosi
di glomerulopatia membranosa direttamente, senza la necessità di fare ulteriori accertamenti.
Rimane un 25% di casi con una forma di glomerulopatia membranosa primitiva senza gli ab anti-PLA2R.
Esistono degli altri auto-ab che non sono ancora stati identificati in modo efficace.
• Ab anti THSD7A (3%) o comunemente detti anti-Trombospondina.

1 Membrana Basale
2 Il professore specifica che il termine più corretto è proprio quello di glomerulopatia, spesso nella pratica clinica capiterà di
incontrare il termine glomerulonefrite come sinonimo.

38
- Forme secondarie
Queste possono essere secondarie a svariate condizioni:
 Malattie infettive (HBV, HCV, ecc)
 Malattie sistemiche (LES, AR)
 Malattie autoimmuni (Tiroidite di Hashimoto)
 Neoplasie (10/15% dei casi): più spesso tumori solidi come carcinomi (polmone, colon, stomaco,
mammella)
 Farmaci

Davanti ad un paziente con una glomerulonefrite membranosa bisognerà eseguire uno screening di
malattia autoimmune, malattia infettiva e malattia neoplastica, adeguato a fattori di rischio della singola
persona, al fine di escludere che la glomerulopatia membranosa sia secondaria.

Nella maggior parte dei casi le glomerulopatie membranose con la presenza di ab Anti-PLA2R sono
primitive. Le forme secondarie a neoplasia possono avere una positività per ab anti-PLA2R. Esiste
comunque un 10/20% dei casi di forme secondarie a neoplasia con ab anti-THSD7A+.
Gli anti-PLA2R possono agire come marker surrogato di diagnosi di glomerulopatia membranosa in caso
di un paziente con sindrome nefrosica però non permettono di escludere il fatto che la glomerulopatia
membranosa sia secondaria ad altre condizioni.

È importante distinguere fra gpm primaria e secondaria perché la terapia sarà diversa:
 In una forma primitiva si utilizzeranno farmaci immunosoppressori nel tentativo di ridurre i livelli
anticorpali degli ab anti-PLA2R;
 Nelle forme secondarie la terapia sarà quella della malattia di base (come per tutte le malattie
secondarie in nefrologia).

A questo proposito è ripreso il commento ad una


figura per fare il punto della situazione (figura
specifica della membranosa), prendendo in
considerazione i 2 possibili scenari:

1. C’è un Ag circolante verso cui viene


montata una risposta anticorpale, si forma
un immunocomplesso circolante che si va
a depositare a livello della porzione
esterna della mb glomeruare. Questa è la
situazione tipica di una glomerulopatia
membranosa secondaria a varie
condizioni che determinano una risposta
anticorpale verso un ag circolante;
2. All’estremo opposto avremo un ag
circolante che si impianta sul versante
esterno della mb glomerulare e viene riconosciuto da un anticorpo. Questa è una forma di
glomerulopatia membranosa secondaria ad un ag circolante che viene però a complessarsi con
auto-ab e a formare immunocomplessi dopo essersi depositato in situ. È quello che si verifica
nella forma primitiva, abbiamo auto-ab circolanti che riconoscono un ag fisiologicamente
espresso dai processi pedicellari dei podociti.

1.1.3 Presentazione clinica


La glomerulopatia membranosa è caratterizzata da un’eterogeneità di presentazioni cliniche:
Nella maggior parte dei casi determina l’insorgenza di una sindrome nefrosica (80%), una sindrome
clinica caratterizzata da ipoalbuminemia, proteinuria severa, edemi, dislipidemia, ipercoagulabillità,
alterazioni elettroforetiche tipiche. Nel restante 20% dei casi avremo invece:
 Proteinuria asintomatica (20%), una sindrome urinaria isolata.
 Macroematuria (3%): condizione solitamente associata ad importanti quadri flogistici glomerulari;
essendo interessato il versante esterno della membrana basale glomerulare, in caso di
glomerulopatia membranosa, non avremo molto spesso dei quadri infiammatori importanti.
 Insufficienza renale (15%)
 Ipertensione arteriosa (20%)
 Microematuria (30%)
 Ipoclompementemia (rara)

39
1.1.4 Decorso clinico – forma primitiva
Il decorso naturale della malattia, qualora questa non venga trattata, segue la regola dei “terzi”:
 1/3 remissione spontanea 6 mesi dopo l’esordio;
 1/3 remissione parziale;
 1/3 progressione verso ESRD (insufficienza renale terminale).

Considerando l’alta incidenza di remissione spontanea, le linee guida condivise per questo tipo di
patologia suggeriscono, in caso di assenza di una sindrome nefrosica grave, di osservare il paziente per
6 mesi e di valutare l’eventuale remissione spontanea della patologia.
La terapia immunosoppressiva andrà utilizzata esclusivamente in pazienti ad alto rischio o in caso di
mancata soppressione spontanea in pazienti con sindrome nefrosica di difficile gestione (es: pz con
albuminemia molto bassa, edemi che non rispondono alla terapia diuretica). In questo caso nelle forme
primitive ci aiutano gli anticorpi anti-PLA2R: la letteratura ci dice infatti che la remissione spontanea è più
frequente nei pazienti negativi per ab anti-PLA2R o con una positività a basso titolo per anti-PLA2R:
oltre ad un valore diagnostico, questi ab possono avere anche un valore prognostico.

1.1.5 Microscopia ottica


La diagnosi, come abbiamo visto prima (anche se
questa raccomandazione è fortemente dibattuta
nell’ambito nefrologico) in linea teorica può essere fatta
anche solo con un quadro clinico compatibile e positività
degli ab anti-PLA2R.
In realtà la biopsia renale rimane il gold standard
diagnostico oltre ad avere un importante ruolo
prognostico: sappiamo ad es. che le forme che tendono
a rispondere meno alle terapie sono quelle forme con Figura 1 glomerulo normale
coinvolgimento tubulo-interstiziale (quindi con cronicità di danno alla biopsia renale più avanzata).

Dal punto di vista della microscopia ottica questa patologia è caratterizzata da membrane basali
glomerulari ispessite e rigide dovuto alla presenza di depositi in sede sub-epiteliale. Questi depositi
vanno incontro a varie fasi di evoluzione con progressiva “internalizzazione” dei depositi nella mb.
Possono essere presenti degli “spikes”(protuberanze della mb)
dimostrabili con la colorazione argentica.

Nella figura “1” si vedono 3 glomeruli con il resto del parenchima


renale: i tubuli sono separati da uno spazio virtuale (cosiddetto
aspetto back to back).
Le pareti dei capillari in una situazione fisiologica sono sottili: il
professore invita a focalizzarsi su questo aspetto perché è ciò che
permetterà di fare diagnosi. Il mesangio è poco rappresentato.
Figura 2 Colorazione di Jones
Viene mostrata anche la colorazione di Jones (fig.2): è una
colorazione che mette in luce il tessuto connettivo. Anche in questo caso si possono notare glomerulo,
lumi capillari, assi mesangiali, mb glomerulari estremamente sottili.

Glomerulopatia membranosa: rispetto alle immagini precedenti le


membrane basali glomerulari sono ispessite. Il professore
paragona i capillari endoteliali in questa situazione alla passata di
pennarello, quando fisiologicamente dovrebbero ricordare il tratto
sottile di una matita.
L’ispessimento è dato dalla deposizione degli immunocomplessi.
Ciò comporta una distorsione della barriera di filtrazione
glomerulare, un’alterazione della struttura e quindi come effetto la
proteinuria.

Figura 3 Colorazione argentica

40
Nelle fotografie a seguire si possono osservare gli spikes: protrusioni della mb glomerulare che nel
tentativo di inglobare gli immunocomplessi, prolifera.

1.1.6 Immunofluorescenza
Questa glomerulopatia è caratterizzata dalla positività di IgG e C3 e
se ne osservano depositi granulari-periferici.

1.1.7 Microscopia elettronica


Mostra depositi elettrondensi in sede subepiteliale.
Come reazione alla presenza dei depositi si avrà la fusione dei
processi pedicillari dei podociti.
La glomerulopatia membranosa va incontro a 4 stadi di sviluppo dei
depositi:
1. Piccoli depositi che non alterano lo spessore della mb
glomerulare;
2. La mb risponde ai depositi con la formazione di proiezioni
intorno ai depositi (spikes);
3. La mb circonda i depositi che diventano quindi
intermembranosi;
4. I depositi possono essere riassorbiti: ormai la mb ha subito un danno tale per cui il processo di
degenerazione parenchimale a questo punto sarà irreversibile;

1.1.8 3Cenni di terapia


Terapia sintomatica (alla base di tutte le patologie glomerulari):
 Diuretici (per il controllo degli edemi declivi, il sovraccarico idrosalino);
 Anticoagulanti (per prevenire/trattare eventuali eventi trombotici frequenti in sindrome
nefrosica);
 Ipolipemizzanti (per ridurre i livelli di colesterolo e trigliceridi estremamente elevati in questi
pazienti come fenomeno secondario alla sindrome nefrosica).

Terapia per la nefroprotezione aspecifica: esiste un cocktail di farmaci con effetto nefro-protettivo
indipendentemente dalla patologia di base:
 ACE inibitori e/o sartani: riducendo la pressione e vasocostrizione dell’arteriola efferente,
riducono la pressione glomerulare e quindi lo stress fisico a cui il glomerulo è sottoposto.
 Statine: riducono i livelli di colesterolo e questo è associato ad un minor rischio di malattia
aterosclerotica oltre ad altri effetti nefroprotettivi (riduzione dello stress ossidativo e della
deposizione mesangiale di lipidi).
 Acidi grassi poli-insaturi: riducono i livelli di trigliceridi e agiscono in modo analogo.

Eventuale terapia profilattica:


 eparina/anticoagulanti in pazienti ad alto rischio di trombosi: il rischio trombotico è da
considerare con albumina <2.6 g/dL, la tp profilattica con anticoagulanti può essere seriamente
presa in considerazione in pz con 2 < albuminemia < 2.6 g/dL , in base alla coesistenza di altri
fattori di rischio, sempre quando albumina <2 g/dL.

3 non sono nel programma, meglio saperli in ogni caso

41
Terapia immunosoppressiva, si attua in caso di:
 Mancata remissione spontanea a 6 mesi dall’esordio
 Sindrome nefrosica di difficile gestione clinica
 Peggioramento della funzione renale
Esistono diversi farmaci immunosoppressori che possono essere utilizzati, i 3 più frequenti in sono:
1. Ciclo Ponticelli (di ponticelli): ciclofosfamide in vena e glucocorticoidi a mesi alterni per 6 mesi;
2. Rituximab (ab monoclonale anti-CD20);
3. Inibitori della calcineurina.

2. Podocitopatie
Sono malattie a carico dei podociti, cellule epiteliali della barriera di filtrazione glomerulare, poste
all’esterno della mb glomerulare.
Le podocitopatie in realtà sono 4, in questo corso ne verranno trattate solo 2:

1. Glomerulopatia a lesioni minime


2. Glomerulosclerosi focale segmentale

Il professore riferisce di non essere sicuro che la glomerulopatia membranosa possa essere inclusa
nelle podocitopatie, anche se la patogenesi comunque parte dai processi podocillari delle cell
podocitarie.

2.1 Glomerulopatia a lesioni minime


Si tratta di una patologia che a livello del microscopio ottico non presenta lesioni apprezzabili.
• Incidenza: -75% delle sindromi nefrosiche dell’infanzia, -10% delle glomerulopatie primitive (nel
bambino 50%)
 Età d’esordio: 3-5 anni nel bambino, 15-35 nell’adulto
 Rapporto M/F 2:1 nell’infanzia; 1:1 nell’adulto

 Clinica: Nella sindrome nefrosica, con la particolare caratteristica della proteinuria selettiva,
abbiamo quasi esclusivamente albumina, a differenza della sindrome nefrosica membranosa che
è selettiva solo nelle fasi iniziali e man mano che il danno della barriera di filtrazione glomerulare
progredisce, peggiora diventando non selettiva (permette il passaggio anche di proteine con PM
maggiore). Tipicamente la funzione renale è normale anche se si possono avere dei casi di IRA
associati a questa patologia su base funzionale: l’ipoalbuminemia che si sviluppa in corso di
glomerulopatia a lesioni minime è talmente rapida e talmente significativa (a differenza della
gpm) che comporta una riduzione significativa della pressione osmotica intravascolare e IRA pre-
renale da ipoperfusione renale.

 Decorso clinico: Si tratta solitamente di una patologia autolimitante con una guarigione entro 10
aa nell’85% dei casi e entro i 20 aa si arriva al 95% di soggetti guariti. È tuttavia una patologia
con andamento nel tempo cronico recidivante: non sempre di facile gestione clinica perché il
paziente alterna delle fasi di riacutizzazione e di remissione che possono coincidere con la
riduzione della terapia immunosoppressiva.

2.1.2 Eziologia e patogenesi


Si conosce poco di questa malattia dal punto di vista patogenetico: sappiamo che nel 20% dei casi può
presentarsi dopo un episodio infettivo alle alte vie respiratorie (c’è una componente legata ad una
anormale attivazione del sistema immunitario). Sono state descritte associazioni con processi allergici a
carico dell’apparato respiratorio. Tipicamente esordisce o riacutizza in primavera e in autunno per motivi
non ancora noti. Il momento patogenetico consiste in una riduzione delle cariche elettriche della mb oltre
che su cellule endoteliali ed epiteliali podocitarie, forse per anomala attivazione dei LT soppressori, forse
per possibile presenza di “fattori permeabilizzanti” sistemici. La fusione pedicellare è secondaria alla
perdita di cariche negative.

2.1.3 Forme secondarie


Come nella nefropatia membranosa, è importante distinguere le forme primarie da quelle secondarie
perché varia la terapia. Le forme secondarie sono dovute principalmente a:
- Patologie onco-ematologiche
- Linfomi di Hodgkin
- Farmaci (FANS, antibiotici, litio, bifosfonati, …)
42
- Tumori solidi
- HIV
2.1.4 Istologia
Microscopia ottica: glomeruli normali
Immunofluorescenza: negativa.
Questi due aspetti permettono di orientare la diagnosi: un paziente
con sindrome nefrosica con un’epidemiologia compatibile (magari di
15/30aa), con una biopsia negativa dal punto di vista
dell’immunofluorescenza potrebbe essere compatibile con il quadro di
glomerulopatia a lesioni minime.
La conferma arriva dalla microscopia elettronica: mostra diffusa
fusione dei pedicelli podocitari.

2.1.5 Cenni di terapia


Uguale per tutte le glomerulopatie che causano sindrome nefrosica.
Questa è una glomerulopatia che esordisce e va in remissione in modo molto rapido: la proteinuria
compare e scompare nell’arco di pochi giorni, quindi la terapia ipolipemizzante sarà necessaria solo in
caso di sindrome nefrosica: avviata la terapia specifica questa si risolverà e potrebbe non essere più
necessaria.
Valgono le stesse condizioni su nefroprotezione aspecifica e terapia profilattica: a differenza della
glomerulopatia membranosa, remissioni spontanee di forme primitive di glomerulopatie a lesioni minime
non esistono, sono anedottiche. La terapia immunosoppressiva sarà sempre necessaria. Ci si basa su
glucocorticoidi (cortisone). Nelle forme resistenti o recidivanti, in caso di scalaggio dei glucocorticoidi,
bisognerà associare un altro farmaco immunosoppressore come ad esempio gli inibitori della
calcineurina o rituximab.

2.2 Glomerulosclerosi focale segmentale


Si differenzia dalla precedente podocitopatia per la presenza di aree di sclerosi glomerulare focale (non
tutti i glomeruli sono interessati) e segmentale (non è interessata la totalità del glomerulo ma solo alcune
sue parti).
 Incidenza: 12% delle glomerulopatie primitive;
 Età d’esordio: 40-68 anni, media 30 aa
 Rapporto M/F 1:5 nell’infanzia, 2:1 nell’adulto
 Clinica: sindrome nefrosica, microematuria d’accompagnamento nell’80% dei casi, insufficienza
renale all’esordio.
 Decorso clinico: evoluzione ad IR a 10 aa nel 50% casi: la prognosi di questa podocitopatia è
peggiore rispetto alla precedente

2.2.2 Eziopatogenesi
Esistono forme primitive forse dovute ad un fattore circolante non noto.
Forme secondarie (anche qui è importante la distinzione per la terapia):
 Maladattativa: è la più frequente. Dovuta a qualsiasi condizione che determini un’iperfiltrazione
glomerulare:
- riduzione massa nefronica (agenesia renale, nascita pre-termine),
- iperfiltrazione su glomeruli normali (diabete, obesità, ipertensione).
Meccanismo patogenetico: i podociti sono cellule terminalmente differenziate e qualora siano
danneggiati esiste solo una minima possibilità di rimpiazzo di essi. Questo avviene a partire
dalle cellule epiteliali della capsula di Bowmann. Se la perdita di podociti è significativa,
questo rimpiazzo non sarà più adeguato e si avrà lo sviluppo di una sclerosi glomerulare.
 Virale: HIV, possibile ruolo per CMV, Parvovirus B19, EBV, HCV
 Da farmaci: terapia antivirale (sofosbuvir), inibitori mTOR, …
 Genetica: glomerulosclerosi focale segmentale genetica isolata oppure associata ad anomalie
sistemiche. In entrambi i casi le patologie non saranno responsive alla terapia
immunosoppressiva. L’aspetto positivo delle forme genetiche di glomerulosclerosi focale
segmentale è che non recidiveranno in caso di trapianto renale, cosa che invece accade
abbastanza frequentemente nella forma primitiva. In caso di sospetta forma genetica è possibile
impostare un counseling genetico anche per altri membri della famiglia, oltre alla ricerca di
interessamento di altri organi nelle forme associate in cui la manifestazione sistemica non si è
resa ancora cinicamente evidente.
 Sconosciuta.

43
Un concetto importante per quanto riguarda la presentazione clinica di questa patologia nella sua
declinazione genetica è il fatto che essa manchi di sindrome nefrosica, oltre ad essere caratterizzata da
proteinuria nefrosica o subnefrosica: durante la trattazione generale delle sindromi nefrosiche erano
state definite alcune caratteristiche generali quali la proteinuria elevata, ipoalbuminemia,
ipercolesterolemia e ipertrigliceridemia, disturbi della coagulazione e anomalie dell’elettroforesi, in
aggiunta ad edemi declivi e a sovraccarico idrosalino. La presenza di una proteinuria severa in assenza
di tutte queste caratteristiche non configurerebbe una sindrome nefrosica. Vi saranno in compenso altre
anomalie glomerulari associabili alla patologia di base (come quelle che si verificano in caso di obesità,
ipertensione).

Idealmente un paziente con glomerulosclerosi focale segmentale dovrebbe essere classificato con agio
in una delle 3 categorie di cui sopra (primaria, secondaria, genetica): nella realtà in molte situazioni la
classificazione si fa più confusa, con molte aree grigie intermedie.Nel processo diagnostico possono
risultare fondamentali anche le caratteristiche istologiche (biopsia renale).

2.2.3 Istologia
 Microscopia ottica
- Sclero-jalinosi focale e segmentaria
- lieve ipercellularità mesangiale
- vacuolizzazione del citoplasma delle cellule epiteliali
interstiziali (foam cells) e mesangiali
- adesioni flocculo-capsulari
- piccole semilune
- frequente atrofia tubulare e fibrosi interstiziale Figura 4 area di sclerosi indicata dal cursore
 Immunofluorescenza: può essere negativa oppure presentare IgM e C3 nelle aree di sclerosi,
non è chiaro se il reperto sia un’espressione della patologia di base o se sia un intrappolamento
passivo delle stesse nelle aree di scleros. Talvolta sono presenti IgM in sede mesangiale che
configurano una podocitopatia a cavallo fra le glomerulopatie a lesioni minime e la
glomerulosclerosi focale segmentale: la nefropatia a depositi di IgM (estremamente rara, solo
citata)
 Microscopia elettronica:
Diffusa fusione dei processi pedicillari, distacco delle celulel epiteliali, presenza di depositi
elettrondensi nella mb glomerulare e del mesangio.

2.2.4 Cenni di terapia


Vale quanto detto per tutte le altre glomerulopatie in termini di terapia.
L’andamento della patologia associato alla terapia merita alcune considerazioni specifiche: a differenza
delle glomerulopatie a lesioni minime, l’esordio e la risoluzione dopo terapia immunosoppressiva di
questa forma di glomerulonefrite sono più lenti. È molto più difficile ottenere una remissione completa in
questa patologia e l’evoluzione è spesso a prognosi negativa.

2.2.5 Glomerulosclerosi focali segmentali VS lesioni minime


Il rapporto fra le due è dibattuto, sono state trattate finora come due patologie diverse. In realtà GSFS
potrebbe essere un’evoluzione sfavorevole della glomerulopatia a lesioni minime, i casi di
glomerulopatia a lesioni minime potrebbero essere in realtà dei casi di GSFS non diagnosticate a causa
di errori di campionamento in corso di biopsia renale: il prelievo bioptico potrebbe non includere aree di
sclerosi, falsando così la diagnosi.
L’opinione personale del professore è comunque che si tratti di patologie diverse, visto anche il loro
diverso andamento clinico.
44
3. Glomerulonefrite membranoproliferativa
Di maggiore complessità rispetto alle precedenti.
 Incidenza: 10-15% delle patologie glomerulari
 Età d’esordio: 6-65 aa, media 28
 Rapporto M/F 1:1
 Clinica: variabilità di presentazione molto elevata:
- s. nefrosica (30-40%) - s. nefritica (20-30%)
-proteinuria asintomatica 30% -macroematuria ricorrente 5%
-microematuria associata 5% -IR all’esordio 20%
-ipertensione arteriosa 30% -ipocomplementemia 40-50%
 L’evoluzione è tendenzialmente negativa: 40% casi persistenza di anomalie urinarie isolate, 30%
IRC, 30% uremia terminale in circa 10-15 anni (con necessità di dialisi o trattamento sostitutivo
della funzione renale).

3.2 Classificazione
Sui libri è presente la classificazione storica, che tuttavia è una classificazione prevalentemente
morfologica e non ha un corrispettivo clinico e prognostico-terapeutico per cui il professore preferirebbe
che noi imparassimo la nuova classificazione.

1. Storica: a seconda del tipo di lesioni e della sede dei depositi venivano distinti 3 tipi I, II, III.
2. Nuova proposta classificativa basata sull’immunofluorescenza:
- GN secondarie a depositi di Ig e C3 -> patogenesi da immunocomplessi, attivazione della via
classica del complemento
- Depositi di C3 isolato o prevalente -> da alterazione dei sistema del complemento,
attivazione incontrollata della via alterna.

Il professore riprende brevemente la cascata del


complemento. Esistono 3 vie di attivazione del
complemento:
1. Classica
2. Tramite la lectina
3. Alternativa
La via classica è quella attivata dagli anticorpi o
comunque da complessi ag-ab: in una patologia
autoimmune caratterizzata dalla presenza di
immunocomplessi, sarà riscontrabile nel siero una
riduzione dei livelli di C4.
La via alternativa del complemento invece è una via costitutivamente attiva: è caratterizzata dal
fenomeno del thick over. Esistono dei fattori regolatori con il compito di mantenerla frenata: in caso di
un processo patologico (ad es. presenza di un patogeno, sepsi, ecc) i fenomeni di controllo vengono
ridotti e si ha un aumento dell’attivazione della via alternativa. Tale via consuma principalmente la prot
C3, quindi in caso di iperattivazione di questa via i livelli ematici di C3 saranno ridotti.
Tutte le vie convogliano sulla C3 convertasi con la formazione di C3a, C3b. su C3b agirà la C5
convertasi formando i frammenti proteici C5a, C5b e a partire da C5b si avrà la formazione del MAC
(complesso di attivazione della membrana)
Sulla base dell’attivazione di una via piuttosto che un’altra si avranno ridotti livelli ematici di una specifica
componente del complemento e si potranno differenziare le forme secondarie da quelle primarie.

Sulla base del tipo di Ig prodotte si potrà identificare una glomerulopatia membranoproliferativa
secondaria ad infezione, ad una malattia autoimmune o reumatologica oppure ad una gammopatia
monoclonale.
Come in tutte le forme secondarie viste finora, la gestione terapeutica sarà basata sulla terapia della
malattia di base.
Esistono inoltre delle forme di membranopatie primitive per cui non si riesce ad identificare una causa:
saranno gestite con terapie immunosoppressive. Le forme primitive sono caratterizzate dalla presenza di
depositi di C3.
Mediante la microscopia elettronica, queste forme potranno essere ulteriormente suddivise in nefropatia
da depositi di C3 o malattia da depositi di densi.

45
3.2.1 Classificazione: forme secondarie
a. Pz con LES: nella biopsia renale saranno visibili delle igG, igM, C3, C1q che suggeriscono
un’attivazione sia della via alternativa che della via classica del complemento (la glomerulonefrite
membranoproliferativa sarà secondaria al LES). Curando il LES, verrà curata anche la nefrite.
b. Altro esempio: si possono trovare Ig, C3, e un ascesso/infezione cronico da SA: avrò una mp
(parainfettive, forma acuta: si nota un’interconnessione fra le varie glomerulopatie).

3.2.2 Forme primitive da alterazione della via alternativa del complemento


Dette anche C3 glomerulopathy, si suddividono in base ad un ulteriore elemento morfologico in:
-GN a depositi densi o “dense deposit disease, DDD”, depositi densi all’interno della mb
-GN a depositi granulari di C3, a sede mesangiale e sottoendoteliale, detta anche C3GN.

3.2.3 GNMP a depositi di C3: patogenesi


Iperattivazione della via alterna del complemento: questa iperattivazione avviene per deficit di fattori
inibitori quali fattore H o fattore I (congenite o acquisite): il fenomeno del thick over è esacerbato e
questo determina la patologia.
Possono essere presenti anche degli anticorpi anti C3-convertasi, detto “C3 nephritic factor” che
mantiene attiva la via alterna del complemento (più frequente nella DDD).
Riduzione del C3 sierico nel 50-60% casi (il professione ritiene che la percentuale sia maggiore).
Può presentarsi con forme sporadiche o familiari. Il fatto che esista una forma familiare ha implicazioni
molto importanti, non solo dal punto di vista del counseling genetico ma anche dal punto di vista della
donazione da vivente tra consanguinei in caso di trapianto renale.

3.3 Istologia
Come da nome, avremo un ispessimento delle membrane basali glomerulari e avremo un aspetto
proliferativo: i glomeruli avranno tipicamente un aspetto lobulato. Il glomerulo appare solidificato, non
sono quasi più presenti i lumi capillari (occlusi).
Dal punto di vista dell’immunofluorescenza si avranno dei depositi di immunocomplessi: in questo
specifico caso, il deposito di IgG colocalizza con il deposito di C3.Quella a sinistra è una forma a depositi
densi, o DDD.Si notano aspetti granulari di C3 a livello della membrana basale glomerulare.

Figura 5nefrite lupica

Figura 6 glomerulonefrite membranoproliferativa

3.4 Microscopia elettronica


Si osserva la proliferazione delle cellule mesangiali con aumento della matrice mesangiale.Depositi
granulari a sede mesangiale e subendoteliale, interposizione del mesangio a sede subendoteliale con
formazione di doppi contorni.Nella figura 6 si vede bene come la membrana basale sia effettivamente
sdoppiata con interposizione di materiale, aspetto tipico delle membranoprofilferative.
Nelle forme a depositi densi (fig7), invece, all’interno della membrana basale glomerulare si vedono dei
grossolani depositi elettrondensi che altro non sono che gli immunocomplessi. È intuitivo che una mb
glomerulare così distorta da questi depositi porti ad una fusione dei processi pedicillari e ad una
sindrome nefrosica, in alcuni casi addirittura una sindrome nefritica.

46
3.5 Terapia
La terapia è ricavabile in base alla classificazione.
- forme primarie: si ricercherà una terapia adeguata (valgono i concetti di terapia per le forme primitive
già esposti per tutte le altre patologie)
 Nelle forme associate ad autoanticorpi si propende per l’immunosoppressione
 Nelle forme caratterizzate da depositi di C3 non è ancora stata definita una terapia precisa
(plasma, farmaci anti-complemento, ...)
- forme secondarie: la terapia corrisponde a quella della patologia di base

4. Nefropatie che presentano tipicamente sindromi urinarie isolate o ematuria ricorrente


N.d.S. Il professore avvisa che tratterà velocemente queste nefropatie per mancanza di tempo, invita ad un approfondimento
personale della materia.

4.1Nefropatia a depositi di IgA a livello mesangiale - malattia di Berger


 Incidenza: 20-25% delle GN primitive, frequente. Può dare uno spettro di severità estremamente
ampio: alcune forme hanno andamento rapidamente progressivo simile a quello di una vasculite
ANCA associata. All’opposto esistono delle forme estremamente lievi: studi autoptici hanno
rivelato in pz sani, deceduti in età avanzata e per altri motivi, reperti bioptici positivi
all’immunofluorescenza per IgA a livello renale (forma subclinica lieve ad andamento benigno).
Spesso anche reni ritenuti eleggibili per la donazione presentano positività all’imm.fl. per IgA (la
funzione renale è normale). Con uno spettro di severità di questa ampiezza, la gestione clinica
non è sempre facile.
 Età d’esordio: 8-68 aa, media 40
 M/F: 2:1 nell’infanzia, 2:1 nell’adulto
 Clinica: macroematuria INTRAinfettiva, preceduta di 1-2 giorni da un episodio infettivo alle vie
aeree o gastrointestinali. Macroematuria e proteinuria di esordio più frequente nel soggetto
giovane:
 Ematuria recidivante 45-50% casi
 Sindrome urinaria isolata 50-55%
 Proteinuria nefrosica 2%
 Ipertensione 30% all’esordio, poi diventa più frequente nel decorso clinico
 Insufficienza renale precoce 15%
 Aumento IgA sieriche 50% (dato poco sensibile ma abbastanza specifico in un contesto
clinico suggestivo)

4.2 Evoluzione
 Remissione clinica 5-10%
 IRC 25%
 IRC o ESRD (insufficienza renale terminale) a 20 aa 25-30%
 Anomalie urinarie e GFR conservato 50-60%
Recidiva frequentemente nel trapianto insieme a glomerulosclerosi focale segmentale e a membranosa.

4.3 Patogenesi
Anche in questo caso risulta essere poco chiara, potrebbe essere basata sulla formazione di
immunocomplessi fra IgG-IgA1 polimeriche glicosilate in modo anomalo in soggetti predisposti
geneticamente: tali complessi poi si andrebbero a depositare in sede mesangiale.
I soggetti, oltre alla predisposizione genetica, hanno un’anomalia a livello della barriera intestinale: da
qui la glicosilazione anomala delle IgA.
Il punto chiave è quindi la deposizione di immunocomplessi di IgA e IgG a livello mesangiale: ciò
determina un ispessimento dell’asse mesangiale e come reazione una proliferazione delle cellule
mesangiali. Il mesangio, oltre a funzione meramente strutturale, può andare incontro a rimodellamenti e
contrazione per regolare in questo modo il flusso glomerulare: è intuitivo come questa cosa, in
associazione al fatto che possa montare una risposta infiammatoria secondaria alla deposizione di
immunocomplessi, possa causare un processo glomerulare patologico.

4.4 Istologia
Rispetto ai glomeruli visti in precedenza si vede come l’asse mesangiale sia ispessito e la cellularità
aumentata. Esiste un criterio per definite una cellularità normale per asse mesangiale: 3-4 cell per asse
mesangiale. L’immunofluorescenza completa i reperti istologici del microscopio ottico.

47
4.5 Terapia
La medesima delle altre forme:
-Nefroprotezione aspecifica
-Sono fondamentali le norme comportamentali e le raccomandazioni sullo stile di vita generale: stile di
vita sano con moderata attivita fisica, assenza di fumo di sigaretta ecc.
-Glucocorticoidi in sottogruppi selezionati (es. andamento rapidamente progressivo, semilune alla
biopsia renale, ecc.)

5. Glomerulonefriti secondarie
Dovute a:
- Diabete
- Lupus eritematoso sistemico
- Crioglobulinemia mista (HCV correlata)
- GN secondarie a malattie virali
- Amiloidosi e glomerulonefriti secondarie a discrasie plasmacellulari
- Vasculiti sitemiche e Sindrome di Goodpasture sono già state trattate nella sindrome nefritica.

5.1 Nefropatia diabetica


In senso lato: tutti i tipi di interessamento renale parenchimale in corso di malattia diabetica dovrebbero
essere considerati nefropatia diabetica: quindi anche il coinvolgimento di vasi arteriosi legati
all’aterosclerosi secondaria al diabete mellito.
In realtà, in senso stretto: la glomerulosclerosi diabetica è lesione glomerulare caratteristica del diabete
che si esprime in stadi successivi, con evoluzione finale verso la sclerosi glomerulare nodulare o diffusa.
Ogni compartimento renale può essere interessato dal diabete, quando si parla di nefropatia diabetica in
senso stretto ci si riferisce alla glomerulosclerosi soltanto4.
 Causa di IRC in circa 1/3 dei pazienti.
 Incidenza: -30-40% nell’ambito di diabete di tipo I
-20-30% nell’ambito di diabete di tipo II
 Clinicamente si rende evidente con proteinuria dopo 10-20 aa dall’inizio del diabete
 L’evoluzione in insufficienza renale avanzata si verifica: nel 50% dei casi di diabete di tipo I, nel
20% dei casi di diabete di tipo II oppure dopo 10-30 aa dalla malattia.

Qualora all’osservazione del clinico si presenti un paziente con proteinuria moderata o severa e un
diabete di insorgenza recente ci si può maggiormente orientare verso la diagnosi di nefropatia diabetica.
Un altro dato importante è che un paziente con una proteinuria e un diabete con complicanze già
diagnosticate a livello extrarenale (diabete e retinopatia diabetica oppure neuropatia diabetica) potrebbe
avere una nefropatia diabetica.In assenza di complicanze extrarenali del diabete, la presenza di una
proteinuria potrebbe non essere imputabile alla nefropatia diabetica.

5.1.2 Patogenesi
Risulta abbastanza complessa:
1. L’iperglicemia e lo scompenso diabetico causano glicosuria con aumentato riassorbimento di
glucosio e di Na a livello del tubulo prossimale, iperfiltrazione e ipertrofia glomerlulare, stiramento
della parete capillare con liberazione di angiotensina II e conseguente ipertrofia e overload
mesangiali. Possibile danno podocitario per stiramento del glomerulo e danno fisico del podocita
che viene in parte stirato e in parte sottoposto a delle pressioni anomale.
2. Iperglicemia e scompenso diabetico possono causare un’alterazione della composizione delle
proteine della membrana basale glomerulare, perdita della barriera polianionica,
microalbuminuria e proteinuria, carico proteico tubulare con sclerosi interstiziale e danno a carico
delle cellule epiteliali.
4 Possibile domanda d’esame
48
3. I p e r g l i c e m i a e s c o m p e n s o
diabetico possono causare un
accumulo dei prodotti di
glicosilazione che comporta
un’attivazione di macrofagi e
cellule mesangiali che liberano
citochine, alla base del processo di
glomerulosclerosi.

Il risultato di tutti e 3 i meccanismi


converge sempre sulla glomerulosclerosi.

5.1.3 Nefropatia diabetica: esordio


Tipicamente rappresentato dalla comparsa di Albuminuria5, compresa fra 30-300 mg/24h (Si parla
invece di albuminuria fisiologica quando il valore è <30mg/die).
L’albuminuria è indice di danno iniziale di una nefropatia diabetica. Talvolta la microalbuminuria può
essere transitoria (es. non ottimale controllo metabolico in pz diabetico, esercizio fisico). L’Albuminuria
correla con il rischio di progressione verso nefropatia conclamata così come le complicanze
cardiovascolari e la retinopatia.

5.1.4 Fase pre-clinica


Nella fase pre-clinica si può osservare tipicamente un GFR aumentato nel 20-50% dei casi.
L’iperfiltrazione correla con il mancato controllo metabolico del diabete, oltre ad essere uno degli agenti
responsabili del danno renale in corso di diabete .L’iperfiltrazione glomerulare è uno dei motivi per cui il
rene del pz diabetico è solitamente di dimensioni aumentate: il diabete e l’amiloidosi sono le uniche
due condizioni causa di IRC in cui i reni possono avere dimensioni aumentate pur con danno cronico.
Presenza di microalbuminuria che, come già detto, può essere accentuata da un non corretto controllo
della glicemia nel paziente diabetico.

5.1.5 Fase clinica


Il decorso in questa fase è uguale per il diabete di tipo I e di tipo II.
Con microalbuminuria che supera i 300 mg/die, compare solitamente proteinuria >300 mg/die: si può
avere evoluzione a sindrome nefrosica nel 10% dei casi. Si ha una progressiva riduzione del filtrato
glomerulare ed aumento della pressione arteriosa.

Negli ultimi stadi è frequente l’edema; qualora si instauri questa


fase clinica, la riduzione progressiva del filtrato glomerulare (in
assenza di terapia farmacologica) è pari ad una perdita di 12
mL/min all’anno (1 mL/min al mese), molto rapida.
La velocità di progressione è influenzata dal compenso
metabolico del diabete, adeguata riduzione dell’ipertensione,
controllo della lipidemia, fumo di sigaretta, apporto alimentare di
proteine.

5.1.6 Terapia
La terapia della nefropatia diabetica è costituita da nefroprotezione aspecifica e un controllo glicemico
adeguato.

5.1.7 Quadro istologico


La nefropatia diabetica può essere suddivisa in 4 classi:
 Classe I: aumento del volume glomerulare fino al 70%; ispessimento della mb visibile solo al
microscopio elettronico
 Classe II: espansione mesangiale, lieve (IIa) o severa (IIb), in assenza di aspetti di sclerosi
nodulare o glomerulosclerosi globale in >50% dei glomeruli.
 Classe III: sclerosi nodulare (tipici noduli di Kimmelstiel-Wilson), incremento nodulare del
mesangio
 Classe IV: glomerulosclerosi avanzata. Glomerulosclerosi globale in >50%.

5 È possibile ritrovare il termine microalbuminuria, non particolarmente caro ai nefrologi, per indicare questa condizione.
49
Nodulo di Kimmestiel-Wilson

Figura 7 glomerulosclerosi in fase avanzata

5.2 Lupus eritematoso sistemico


 Incidenza: F/M 9:1, età 25-40 aa
 Coinvolgimento renale nel 70% dei casi
Quando è presente coinvolgimento renale, questo è evidente già all’esordio di malattia o comunque
entro 2 anni dall’esordio. Spesso è il motivo che porta il paziente all’attenzione del clinico.
Esistono varie modalità di coinvolgimento renale e sindromi cliniche di glomerulonefrite.
Dal punto di vista classificativo abbiamo cinque classi istologiche.

5.2.1 Clinica
N.d.S. Le manifestazioni sistemiche del LES non sono argomento d’esame (verranno
approfonditamente trattate durante il corso di reumatologia): il professore desidera che ricordiamo il
coinvolgimento renale ed espone brevemente le manifestazioni sistemiche per darci un’idea del quadro
generale.

La malattia è caratterizzata da frequenti sintomi sistemici quali febbricola, artralgie, rash cutaneo,
eritema a farfalla, alopecia, sierositi, vasculiti cutanee e viscerali, epatosplenomegalia.

Laboratorio: riduzione C3-C4, aumento VES, PCR, positività agli ANA, in una frazione di pz anche
positività per anti-DNA (più frequente in individui con coinvolgimento renale), positività agli ENA.

La nefrite lupica esiste in 5 classi, come prima anticipato:


1. Lesioni minime, solitamente associata ad una clinica normale con proteinuria lieve
2. GN mesangiale associata ad anomalie urinarie
3. GN proliferativa focale, dà sindrome nefritica
4. GN proliferativa diffusa, dà sindrome nefritica
5. GN membranosa, dà sindrome nefrosica.
Un concetto importante è che le diverse classi di nefrite lupica possono sovrapporsi l’una all’altra, con
coesistenza di più classi contemporaneamente.

5.2.2 La presentazione istologica delle classi


1. Classe I: MO glomeruli normali, IF e ME depositi mesangiali minimi.
2. Classe II: MO proliferazione mesangiale, IF e ME depositi di IgG, IgM e C3 mesangiali.
3. Classe III (proliferativa focale, <50% dei glomeruli coinvolti): MO alterazioni proliferative,
sclerosanti e necrotizzanti; semilune. IF “full house”: si ha una deposizione di più classi
immunoglobuliniche e frazioni del complemento. ME depositi elettrondensi subendoteliali,
mesangiali, subepiteliali.
4. Classe IV (proliferativa diffusa, >50% glomeruli coinvolti):
MO alterazioni proliferative, sclerosanti e necrotizzanti;
semilune; MB marcatamente ispessite. IF “full house”. ME
depositi elettrondensi diffusi.Classe III e IV si distinguono
solamente per il numero di glomeruli coinvolti. Sono le forme
più aggressive che tipicamente danno sindrome
nefritica.Nella figura le aree di necrosi sono rappresentate in
rossiccio.
5. Classe V: glomerulonefrite membranosa lupica con aspetti
“atipici”. IF “full house”, caratteristico di questa classe. ME
depositi diffusi, non solo in sede endoteliale.

50
5.3 Crioglobulinemia mista
 Interessamento renale nel 70-80% dei casi
 È una patologia sistemica caratterizzata dalla presenza di crioglobuline: proteine che tendono a
precipitare a basse T secondarie a malattie sistemiche, nella maggior parte dei casi secondarie
alla positività per HCV. Con l’eradicazione sempre più efficace del virus, questa patologia sta
diventando sempre più rara.
 Sintomi sistemici tipici: porpora, artralgie, astenia,
fenomeno di Raynaud, vasculite cutanea e viscerale
Laboratorio: estrema riduzione C4 (attivazione classica del
complemento e quindi malattia da immunocomplessi), C3
normale o lievemente ridotto, RA test positivo (le
crioglobulinemie hanno spesso attività di fattore reumatoide), a
livello ematico crioglobuline mista IgG-IgM, anti-HCV positivi,
HCV RNA positivo (95-98% casi).
A destra è rappresentato un quadro di glomerulonefrite
membranoproliferativa con la presenza di trombi endoluminali

5.4 Glomerulonefriti secondarie a malattie virali


N.d.S. Il professore afferma che l’importante è sapere che possono esserci delle GN in corso di malattie
virali, in assenza di malattie immunologiche sistemiche.
- HBV: GN membranosa, GN membrano-proliferativa, IgA nefropatia
- HCV: GN membranosa, GN membrano-proliferativa, GN da crioglobulinemia, GN a depositi strutturati
- HIV: a. HIVAN, HIV associated neuropathy,
b. GN da immunocomplessi: GN membranoproliferativa, GN lupus-Like ecc
c. varie: glomerulosclerosi focale, lesioni minime, diabetica, ecc
- Parvovirus B19: glomerulosclerosi focale collapsing e non collapsing
- Polioma virus: nefrite intersitziale acuta
- Altri virus: febbre gialla, coxsackie, EBV, enterovirus, parotite, Herpesvirus, varicella – rarissima o
dubbia relazione causale con la lesione glomerulare

5.5Amiloidosi
Amiloide: proteina fibrillare rigida, lineare, costituita da catene peptidiche disposte in configurazione
beta-foglietto. Il coinvolgimento renale si può avere in due situazioni:
-Secondaria ad un’amiloidosi primaria: AL, forma immuno-proliferativa
-Secondaria: si deposita la proteina di fase acuta serum AA, secondaria a condizioni infiammatorie
croniche (come morbo di Crohn, AR) .
A livello renale l’amiloide infiltra tutte le strutture: i glomeruli, MB, tubuli, interstizio, vasi
Clinica: sindrome nefrosica, insufficienza renale rapidamente progressiva, reni di volume normale o
aumentato. Importante in corso di amiloidosi verificare l’eventuale presenza di coinvolgimento cardiaco
perché determina prognosi sfavorevole.

Istologia:
Nell’immagine a destra il glomerulo è infiltrato da
materiale amorfo, la sostanza amiloide, che in parte
infiltra anche l’interstizio. In colorazione rosso congo (in
ocra, estrema destra) i depositi amiloidi appaiono
ipercromici.

5.6 Coinvolgimento renale in corso di discrasie plasmacellulari (patologie


ematologiche plasmacellulari)
1. Cast nephropathy, una patologia caratterizzata dalla precipitazione a livello intratubulare delle
catene leggere prodotte in eccesso dal clone plasmacellulare. Queste catene sono filtrate a
livello glomerulare e per motivi fisici precipitano a livello tubulare, determinando un’ostruzione
tubulare e IRC
2. Light chain deposition disease, secondarie alla deposizione di catene leggere a livello
glomerulare senza la tipica composizione beta foglietto dell’amiloidosi.
3. Heavy chain deposition disease, glomerulonefrite membrano proliferativa identica alla
precedente, costituita dalla precipitazione di catene pesanti.

51
Sbobinatore: M.V.
Revisore: C. A.
Materia: Nefrologia
Docente: Federico Alberici
Data: 12/03/2020
Lezione n°: 5
Argomenti: IRC

Comunicazioni: il professore si scusa per il ritardo nel caricare la lezione e comunica che contatterà gli
studenti che hanno dato la loro disponibilità per organizzare una discussione sui casi clinici. Invita, in caso
di dubbi, a contattarlo alla mail federico.alberici@unibs.it

Riassunto/Integrazione della lezione precedente: nelle lezioni precedenti abbiamo affrontato IRA e
glomerulonefriti, con il Prof. Scolari prossimamente tratteremo nefropatie tubulo-interstiziali e malattie
renali genetiche.

INSUFFICIENZA RENALE CRONICA

1.1 Introduzione
Qualsiasi sia la causa di una nefropatia (IRA, glomerulonefrite, nefropatia tubulo-interstiziale,..) è da tenere
presente che un problema renale acuto cronico può evolvere in una insufficienza renale cronica (IRC).
Con questo quadro clinico, indipendentemente dalla specialità che andremo a scegliere, dovremo
confrontarci numerose volte ed è quindi bene conoscerlo.

1.2 Classificazione
La IRC è una patologia frequente di severità variabile che richiede strategie di prevenzione, identificazione
precoce e gestione clinica adeguata. Come possiamo vedere nell’immagine accanto la IRC è classificata
in cinque stadi, fondamentali per poter monitorare l’andamento di un paziente nel tempo.
• Stadio 1: danno renale accompagnato però da una
normofunzione
• Stadio 2: danno renale con lieve perdita di funzione, il
filtrato glomerulare stimato è tra i 90 e i 60
• Stadio 3a: danno renale da lieve a moderato, filtrato
glomerulare compreso tra 60 e 45
• Stadio 3b: danno renale da moderato a severo, filtrato
glomerulare compreso tra 45 e 30
• Stadio 4: danno renale severo, filtrato glomerulare
compreso tra 30 e 15
• Stadio 5: rappresenta l’insufficienza renale avanzata (o
terminale, in inglese ESRD ovvero end stage renal disease)
caratterizzata da un filtrato inferiore a 15

Quando parliamo di IRC normalmente pensiamo allo stadio 5, ovvero ad un quadro con alterazioni clinico-
endocrino-metaboliche molto evidenti e che richiede l’avvio della terapia sostitutiva della funzione renale.
In realtà dobbiamo essere consapevoli che esiste una gradualità di stadi che anticipano questa condizione.

1.3 ESRD
È una patologia la cui incidenza è in continuo aumento (5-8% all’anno)
a causa dell’aumento dell’età media, delle comorbidità e in particolare
del diabete. Per quantificare l’importanza di questa patologia basti
pensare che la dialisi in media costituisce il 2% dei budget sanitari
nazionali nonostante la percentuale di popolazione che necessita di
questo trattamento sia inferiore allo 0,1%. Nella tabella a lato si mostra
un esempio di incidenza e di prevalenza dell’insufficienza renale di tipo
terminale (in questo caso con incidenza si identifica il numero di nuovi
casi per milione di abitanti per anno, con prevalenza il numero di
persone affette ogni milione di abitanti). La ESDR è una condizione
caratterizzata da una elevata mortalità, come si nota nel grafico a lato
che prende in esame una popolazione americana di età compresa tra i

52
55 e i 65 anni: l’aspettativa di vita per i pazienti affetti da ESRD è di poco
più di 5 anni mentre per la popolazione generale considerata è di quasi
22 anni e per i pazienti con tumore polmonare o bronchiale è di 2 anni e
mezzo. È quindi una condizione che impatta significativamente
sull’aspettativa di vita dei pazienti, questo perché si trovano ad avere un
rischio cardiovascolare molto aumentato. Nel grafico a lato possiamo
notare che, indipendentemente dalla fascia di età, la popolazione in
dialisi ha un rischio cardiovascolare esponenzialmente aumentato
rispetto alla popolazione generale.

1.3.1 Sindrome uremica


L’insufficienza renale allo stadio 5 determina l’insorgenza della sindrome uremica, caratterizzata da una
sintomatologia tipica:
• Astenia
• Disappetenza
• Insonnia
• Sindrome delle gambe senza riposo (“Restless leg syndrome”)
• Prurito
Nonostante questa sintomatologia sia tipica è comunque aspecifica e deve necessariamente essere
confermata dall’esecuzione di esami ematochimici. La sindrome uremica è una vera e propria sindrome
sistemica che coinvolge tutti gli organi.

L’uremia infatti coinvolge:


• Emopoiesi: determina anemia da carenza di eritropoietina, carenza marziale, deficit di folati, deficit
di B12, malassorbimento degli stessi;
• Apparato osteoarticolare: determina osteoporosi, osteopenia, tumori bruni e fratture patologiche
• Sistema endocrino: determina ipotiroidismo, ipogonadismo, disfunzione sessuale;
• Sistema immunitario: determina una ridotta risposta immunitaria e una infiammazione subclinica
che contribuisce in modo importante all’aumento del rischio cardiovascolare;
• Apparato neuromuscolare: determina neuropatia periferica, disfunzione dei nervi cranici,
alterazioni del SNA, encefalopatia metabolica e perdita di massa muscolare;
• Sistema gastroenterico: determina nausea e vomito, anoressia grave, malassorbimento,
catabolismo severo;
• Apparato cardiovascolare: determina sindrome cardiorenale, disfunzione sistolica/diastolica,
aterosclerosi accelerata, elevato rischio ischemico e pericardite;
• Sistema della coagulazione: determina aumentato rischio di sanguinamento, trombocitopenia e
disfunzione piastrinica.

53
Parte dei sintomi sopra elencati sono legati alla perdita di funzione renale, come ad esempio la carenza
di EPO, parte dall’accumulo delle tossine uremiche. La sindrome uremica, dal punto di vista clinico-
laboratoristico, si caratterizza da:
• Sviluppo di sovraccarico idrosalino e ipertensione arteriosa, che a loro volta possono determinare
edema periferico e polmonare;
• Iperpotassemia, a cui si aggiungono oltre alla insufficienza renale stessa anche fattori di rischio
aggiuntivi come dieta, acidosi metabolica, l’utilizzo di inibitori del sistema RAA e l’utilizzo di FANS;
• Acidosi metabolica

1.4 Stadi precoci e controllo della progressione


È importante saper individuare una IRC anche nei primi quattro stadi in modo da poter intervenire
precocemente evitando la progressione e gestire le eventuali complicanze. Si sottolinea come per ogni
paziente con IRC al quinto stadio (che richiede dialisi) ne esistono fino a cinquanta nei primi quattro sui
quali quindi è possibile effettuare trattamenti che rallentino la progressione della patologia. Negli USA,
dove vi è una elevata prevalenza di fattori di rischio, si stima che fino all’11% della popolazione possa
avere IRC in stadi tra 1 e 4. Per la prevenzione è quindi fondamentale l’identificazione precoce per poter
monitorare i pazienti in modo adeguato e per poter mettere in atto una serie di manovre sia terapeutiche
sia volte alla modifica dello stile di vita con l’obiettivo di rallentare la progressione.
È necessario quindi identificare le popolazioni a rischio, come chi ha fattori di rischio genetici (africani,
afro-americani, nativi-americani, asiatici), chi ha fattori costituzionali (basso peso alla nascita,
malnutrizione) e chi presenta fattori di rischio acquisiti come ipertensione arteriosa, diabete,
dislipidemia, obesità e fumo di sigaretta. In questi gruppi a rischio si ha IRC nel 50-60% dei casi. Esistono
inoltre fattori di rischio di progressione, alcuni di questi sono non modificabili come genetica, razza, età
e sesso mentre altri sono modificabili, come ipertensione arteriosa, ipertensione intraglomerulare,
proteinuria, dislipidemia, diabete, obesità, fumo di sigarette e utilizzo di farmaci nefrotossici (ad esempio i
FANS). Questi ultimi sono proprio quelli sui quali potremo andare ad agire e quindi impattare positivamente
sullo sviluppo della IRC.

1.5 Biologia della progressione


A prescindere dalla causa di una IRC, una volta che questa si instaura è mantenuta sempre dagli stessi
meccanismi, i quali sono principalmente a carico di glomerulo e interstizio.
La glomerulosclerosi risulta essere secondaria a un
danno endoteliale, proliferazione cellule mesangiali, danno
podocitario, microinfiammazione glomerulare, rilascio di
citochine e fattori di crescita. Citochine e fattori di crescita,
in particolare con il TGFb1, inducono una regressione delle
cellule mesangiali ad un fenotipo embrionale in grado di
produrre un eccesso di matrice extracellulare responsabile
di espansione mesangiale. Questa, associata al danno
podocitario, nel tempo porta a sclerosi glomerulare e
progressione della patologia.
Nell’immagine a lato possiamo osservare la progressione
della glomerulosclerosi: un qualunque danno glomerulare
determina un richiamo delle cellule del sistema immunitario,
un rilascio di citochine, alterazioni a carico delle cellule
mesangiali e epiteliali. Le cellule mesangiali, a causa
dell’infiammazione, nel tempo produrranno matrice
extracellulare che si va a depositare determinando un
sovvertimento del glomerulo e quindi una
glomerulosclerosi. Il glomerulo a questo punto non sarà più
funzionante e contribuirà in modo importante
all’insufficienza renale.
Un altro fenomeno biologico tipico della IRC è lo sviluppo di fibrosi tubulointerstiziale. Anche in questo
caso ad avere un ruolo fondamentale nel suo sviluppo, mantenimento e peggioramento sono
infiammazione, proliferazione, apoptosi e fibrosi. Per quanto riguarda l’infiammazione è centrale il ruolo
della proteinuria, la quale determina un rilascio di citochine pro-infiammatorie a livello tubulointerstiziale,
infiammazione locale, richiamo di cellule infiammatorie, attivazione e proliferazione di fibroblasti interstiziali
e produzione di matrice extracellulare. Le cellule danneggiate dei tubuli interstiziali vanno quindi incontro
ad apoptosi, responsabile di atrofia tubulare e sviluppo dei glomeruli atubulari. Anche in questo caso il
TFGb1 gioca un ruolo fondamentale: a livello tubulointerstiziale, se la causa originaria di IRC è

54
tubulointerstiziale, come ad esempio in caso di assunzione di farmaci nefrotossici, sarà essa stessa a
causare l’infiammazione. In altri casi invece il danno tubulo interstiziale è secondario alla proteinuria la
quale determina, nel tentativo di riassorbimento da parte delle cellule tubulari, un rilascio di citochine
proinfiammatorie che a sua volta porta a danno e quindi apoptosi a livello delle cellule tubulari e quindi un
ulteriore rilascio di fattori infiammatori, la proliferazione dei fibroblasti renali, delle cellule mesenchimali
renali e il rilascio di matrice extracellulare e quindi fibrosi.
Nella fibrosi renale sono coinvolti numerosi mediatori infiammatori, tra i principali ricordiamo: angiotensina
II, endotelina, TFGb1, NFkB.

1.6 Prevenzione e gestione dell’IRC


La prevenzione dell’IRC si basa sulla rottura dei meccanismi di mantenimento che portano a
infiammazione, dedifferenziazione delle cellule mesenchimali renali, produzione di eccesso di matrice
extracellulare e quindi di fibrosi. Al momento non esistono farmaci che siano in grado di agire in questo
senso e dunque gli unici strumenti che abbiamo a disposizione sono strumenti di prevenzione sia primaria
che secondaria.
La prevenzione primaria prevede modifiche dello stile di vita come sospensione del fumo di sigaretta,
riduzione dell’obesità tramite dieta ipocalorica e restrizione proteica moderata (0,65-0,75g/kg giorno),
controllo del diabete mellito di tipo 2 tramite una dieta ipoglucidica e controllo dell’ipertensione tramite
l’adozione di una dieta iposodica (4-6 g/die di NaCl).
La prevenzione secondaria invece si basa su un intervento di tipo farmacologico in grado di fornire una
nefroprotezione aspecifica. Abbiamo ad esempio farmaci antipertensivi che permettono di mantenere la
pressione arteriosa a un valore target di 125-130/75-80mmHg (può però variare a seconda delle
comorbidità), possibilmente privilegiando farmaci che agiscano sul sistema RAA (ACEi e Sartani)
specialmente nei pazienti proteinurici, dal momento che riducendo la pressione intraglomerulare riducono
la proteinuria, ma anche nei pazienti non proteinurici. Per il diabete abbiamo a disposizione una serie di
farmaci ipoglicemizzanti come insulina e ipoglicemizzanti orali, l’obiettivo è di portare il valore
dell’emoglobina glicata a circa il 7%. Per quanto riguarda invece la dislipidemia abbiamo a disposizione
principalmente le statine, le quali hanno un effetto nefroprotettivo anche in assenza di una documentata
ipercolesterolemia.

1.7 Complicanze
Non sempre riusciamo a prevenire con successo, difatti ci troveremo spesso a dover affrontare le
complicanze dell’IRC.

1.7.1 Complicanze cliniche


Queste possono essere ipertensione arteriosa e sovraccarico idrosalino, il quale può manifestarsi con
edemi periferici o addirittura polmonari. La terapia si basa su farmaci antipertensivi e spesso è necessario
combinare farmaci appartenenti a diverse classi farmaceutiche come calcioantagonisti, ACEi. Il
sovraccarico salino necessita invece dell’impiego di farmaci diuretici.

1.7.2 Complicanze endocrinologiche


Le complicanze endocrinologiche possono essere anemia e alterazioni del metabolismo calcio-
fosforo. Con anemia si intende un valore di emoglobina inferiore a 11,5 g/dL per le donne e 13,5 g/dL per
gli uomini. In corso di IRC, già dagli stadi 3b/4, si ha una ridotta produzione di eritropoietina da parte delle
cellule endoteliali dei capillari peritubulari corticali e dalla parte più alta della midollare. Inoltre, si verifica
una riduzione dell’emivita degli eritrociti che passa da 120 a 70-80 giorni dovuta a un progressivo accumulo
di tossine uremiche. Spesso l’anemia dovuta a IRC è associata a carenze marziali, di vitamina B12 e acido
folico: queste carenze vanno sempre corrette prima di iniziare una terapia con eritropoietina ricombinante.
L’anemia in questi pazienti può poi essere aggravata da una aumentata tendenza al sanguinamento. I
pazienti con anemia dovuta a IRC saranno solitamente in stadi dal 3b a quelli più avanzati, ma se ci
trovassimo di fronte un paziente con anemia e IRC allo stadio 2 sarebbe bene andare prima ad escludere
altre possibili cause di anemia. La terapia per l’anemia, in modo particolare per i pazienti allo stadio 4 o 5,
prevede, come accennato precedentemente, la somministrazione di eritropoietina ricombinante a breve
o a lunga durata d’azione (il professore specifica che i dettagli di questa non saranno oggetto d’esame)
con l’obiettivo di riportare il livello di emoglobina a 10-12 g/dL da modulare in base ad età e comorbidità,
facendo però attenzione a non superare mai i 13 g/dL: valori troppo elevati di emoglobina si associano
infatti ad un aumentato rischio di ipertensione e trombosi vascolare. Prima di avviare la terapia e anche
successivamente in caso di mancata risposta bisogna andare ad escludere i possibili fattori di resistenza
all’eritropoietina come carenze marziali e vitaminiche, compliance, sanguinamento cronico (come sangue
occulto nelle feci), iperparatiroidismo, inadeguatezza dialitica ed emolisi.

55
1.7.3 CKD-MBD
Per quanto riguarda invece le alterazioni del metabolismo
calcio-fosforo, essendo un argomento complesso e ancora
non ben compreso, il professore comunica che ci fornirà
principalmente degli spunti di riflessione.
L’insufficienza renale determina una ridotta produzione di
calcitriolo (vitamina D attiva) che a sua volta determina un
ridotto assorbimento intestinale di calcio e quindi
ipocalcemia. L’insufficienza renale causa anche un
accumulo di fosfati, poiché il rene riduce la sua capacità
fosfaturica, e questi combinandosi con il calcio determinano
lo sviluppo di cristalli di fosfato di calcio che precipitando
contribuiscono all’aggravarsi della ipocalcemia.
La carenza di vitamina D attiva, l’ipocalcemia e
l’iperfosforemia sono tutti e tre stimoli indipendenti
per il rilascio del paratormone a livello delle
ghiandole paratiroidi. Il PTH determina un
aumentato assorbimento intestinale e osseo di Ca
e un aumentato riassorbimento osseo di fosfato.
Questo complesso quadro clinico composto da
bassi livelli di calcio e calcitriolo e alti livelli di PTH
e fosforo è chiamato iperparatiroidismo
secondario o, in inglese, CKD-MBD (chronic kidney disease-mineral bone disease).
Il CKD-MBD porta all’alterazione del rimodellamento della struttura dell’osso, difatti l’aumentato
riassorbimento osseo, favorito dal PTH per bilanciare l’ipocalcemia, porta all’osteite fibroso-cistica in cui
l’osso perde la quota minerale mantenendo invece una quota fibrosa meno solida. Si potrà riscontrare
tramite RX una demineralizzazione ossea e si
verranno a creare cisti ossee che possono
portare a fratture spontanee. Inoltre, si assisterà
ad un’accelerazione delle calcificazioni vascolari
e ectopiche: l’iperfosforemia, secondaria alla
ridotta escrezione renale di fosforo e al suo
aumentato riassorbimento osseo, determina
mediante combinazione con il calcio circostante
la precipitazione di Ca-P e questo rischio di
calcificazioni vascolari in sedi ectopiche è elevato
per un prodotto Ca-P che superi i 60-70 mg/dL. Le calcificazioni vascolari saranno naturalmente un
importante fattore di rischio per patologie cardiovascolari e di conseguenza di mortalità. A seconda dei
vari stadi della IRC troveremo differenti alterazioni del metabolismo minerale osseo. Come riportato nella
tabella nella pagina precedente, negli stadi 1 e 2 potremo avere un lieve aumento del PTH, una riduzione
di vitamina D, ma in questo caso una semplice somministrazione di vitamina D inattiva può essere
sufficiente a mantenere il PTH sotto controllo. Negli stadi 3 e 4 si inizia invece ad avere una più chiara
manifestazione delle alterazioni tipiche: si potranno osservare iperfosforemia, ipocalcemia, una carenza
di vitamina D e un elevato PTH. In questo caso alla terapia basata sulla somministrazione di vitamina D
inattiva verranno aggiunte anche la somministrazione di calcio e, man mano che prosegue la malattia,
anche la somministrazione di vitamina D attiva. Negli stadi più avanzati si avrà un’iperfosforemia marcata,
una calcemia normale o ridotta, un PTH aumentato e una vitamina D estremamente bassa. Nella tabella
a lato troviamo i parametri da monitorare in caso di IRC e CKD-MBD. Possiamo notare che negli stadi
3 e 4 è sufficiente una frequenza di monitoraggio di calcio, fosforo, fosfatasi alcalina e PTH ogni 3-12 mesi,
nello stadio 5 invece la frequenza dei controlli aumenta considerevolmente, specialmente per quanto
riguarda calcio e fosforo. Importanti sono anche le radiografie di torace e addome per svelare la presenza
di possibili calcificazioni vascolari massive e l’ecocardio per valutare la funzionalità cardiaca e una sua
eventuale compromissione. Per calcificazioni vascolari avanzate e disfunzioni cardiache il margine
terapeutico d’intervento è purtroppo piuttosto ristretto, ma sarà necessario riuscire a individuarle per poter
monitorare il paziente e stratificarne il rischio.

1.8 Trattamento
Il trattamento non si basa tanto sulla gestione dei singoli parametri quanto sull’andamento generale dei
dati. Per quanto riguarda la IRC negli stadi da 3 a 5 è importante mantenere calcio e fosforo negli intervalli
di normalità limitando l’assunzione di fosforo (evitando i latticini) e il suo assorbimento (utilizzando chelanti

56
del fosforo). Bisogna poi correggere un eventuale deficit di vitamina D per contribuire a mantenere il PTH
nel range di normalità e a ridurre il rischio di ipocalcemia. Se i livelli di PTH dovessero rivelarsi non
controllabili solo tramite la somministrazione vitamina D inattiva e dal mantenimento nell’intervallo di
normalità di calcio e fosforo sarà necessario utilizzare la vitamina D attivata o un suo analogo come il
calcitriolo o il paracalcitolo. Negli stadi più avanzati sarà inoltre possibile utilizzare farmaci appartenenti
alla classe dei calciomimetici, i quali agiscono in modo abbastanza potente sui livelli di PTH andando a
mimare l’effetto del calcio.

1.9 Nutrizione nella IRC


La dieta gioca un ruolo fondamentale nella IRC: ipertensione, obesità, dislipidemia e scarso controllo
glicemico nei diabetici sono infatti fattori di rischio per la IRC e ne influenzano infatti in modo importante
la progressione. Diete ipocaloriche, ipoglucidiche, iposodiche avranno in questo contesto un ruolo
fondamentale. Molto importante è anche il ruolo della dieta ipoproteica (0,6-0,8 g proteine/kg di peso
corporeo/die): secondo alcuni autori questa dieta contribuirebbe al rallentamento della progressione della
IRC ma, soprattutto nelle forme più avanzate,
una dieta ancora più spiccatamente
ipoproteica (arrivando a 0,2-0,3 g di
proteine/kg di peso corporeo/die) può avere un
ruolo nel ritardare l’ingresso in dialisi. In diete
così estreme sarà necessaria la
supplementazione con amminoacidi
essenziali e chetoanaloghi. Il monitoraggio
dell’introito proteico si effettua triplicando la
misura dell’urea urinaria espressa in g/die,
otterremo così le proteine introdotte espresse
sempre in g/die.
Per i pazienti affetti da IRC generalmente viene consigliata una dieta:
• ipoproteica non particolarmente estrema per contribuire alla riduzione del carico azotato del
paziente e quindi i livelli di azotemia, di acido urico e secondo alcuni autori anche il rischio di
progressione;
• con un contenuto calorico limitato per evitare sovrappeso e obesità;
• a basso contenuto di sodio per ridurre il rischio di ipertensione;
• a basso contenuto di potassio, specialmente in pazienti che presentino iperpotassiemia;
• a basso contenuto di fosforo, per ridurre il rischio di CK-MBD e quindi di iperparatiroidismo
secondario (si associa di per sé a una dieta ipoproteica)
• un apporto di calcio non superiore a 2g/die in quanto l’ipercalcemia aumenterebbe il rischio di
precipitazione di fosfato di calcio a livello vascolare ed ectopico.

Alimenti ad alto contenuto di potassio che vengono sconsigliati sono vegetali, frutta secca, banane,
albicocche e il sale che si può acquistare in farmacia, ovvero un sale a basso contenuto di NaCl ma che
sostituisce il sodio con il potassio. È importante chiedere al paziente se lo utilizza in quanto, credendo di
fare una scelta sana, potrebbe non ritenere necessario comunicarlo al curante. Per quanto riguarda invece
il fosforo i cibi che ne contengono elevate quantità sono latte e i suoi derivati, affettati con polifosfati e
alcune bevande come Coca Cola o integratori.

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Sbobinatore: D.B.
Revisore:F.R.
Materia: Nefrologia
Docente: F. Alberici
Comunicazioni: alla fine della lezione il professore comunica Data: 15/05/20
Lezione n°: 6
che è in programma una lezione riguardante l’equilibrio acido- Argomenti: Emodialisi
base, anche se non è un argomento necessariamente richiesto
in sede di esame, ma che il professore tiene ad affrontare.
Inoltre, con la partecipazione della specializzanda Venturini, a
breve verrà caricato del materiale che sostituirà il tirocinio.

Riassunto/Integrazione della lezione precedente: La volta scorsa si è parlato dell’insufficienza renale


cronica e come essa sia una condizione di ridotta funzionalità renale su base cronica che può avere in
certi casi clinici un andamento progressivo. Questa progressione è aumentata in certe condizioni cliniche,
per esempio in presenza di comorbilità, come diabete, ipertensione, assunzione di farmaci nefrotossici,
proteinuria. L’obiettivo della gestione dell’insufficienza renale cronica deve essere l’identificazione in
popolazioni a rischio dell’insufficienza renale cronica il più precocemente possibile, agire su fattori di
rischio rimovibili e mettere in atto degli approcci terapeutici volti all’arresto della progressione. Se,
nonostante queste manovre, l’IRC progredisce oppure viene identificata in una fase troppo tardiva, in uno
stadio avanzato, ormai irreversibile, si rischia di arrivare all’insufficienza renale cronica terminale o V
stadio. Giunti all’IRC V stadio, quando il paziente diventa sintomatico, è necessario avviare una terapia
sostitutiva della funzione renale.

Terapia sostitutiva della funzione renale

1.1 Obiettivi della terapia sostitutiva della funzione renale


Gli obiettivi della terapia sostitutiva della funzione renale sono:
• Rimozione delle tossine uremiche;
• Rimozione dell’accumulo idrosalino;
• Controllo dell’equilibrio elettrolitico;
• Controllo dell’acidosi metabolica.

1.2 Tecniche sostitutive della funzione renale


Esistono diverse tecniche per sostituire la funzione renale. Esse sono:
• Emodialisi;
• Dialisi peritoneale;
• Trapianto di rene.
La tecnica ideale è il trapianto di rene, poiché è la tecnica più fisiologica ed è la modalità con cui si può
garantire al paziente l’aspettativa di vita migliore. Purtroppo, non sempre è possibile effettuare un trapianto
di rene nei tempi desiderati, per cui il paziente richiede la necessità di effettuare l’emodialisi o la dialisi
peritoneale. È importante sottolineare che per tutte queste metodiche sostitutive della funzione renale, è
necessario un percorso di “accompagnamento” ed una “preparazione” del paziente dal punto di vista
clinico e/o patologico. Per esempio, un paziente con un’insufficienza renale a stadio avanzato dovrà
essere incluso in ambulatori specialistici che lo guidino verso la tecnica più consona al proprio destino.

1.3 Emodialisi
L’emodialisi è una tecnica volta alla rimozione di tossine uremiche accumulate a causa della ridotta
funzione renale e al riequilibrio del bilancio idrosalino e metabolico secondario alle alterazioni legate
all’insufficienza renale.
L’emodialisi dovrebbe essere idealmente in grado di rimuovere:
• Tossine uremiche a basso peso molecolare: es. urea, creatinina (PM 60, 113 Da);
• Tossine uremiche a medio peso molecolare: es. Beta2 microglobulina (PM 118, 18 Da).

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Metodiche dialitiche diverse possono garantire un’efficacia diversa soprattutto a
carico delle molecole a medio PM.

Le indicazioni all’emodialisi sono:


• IRC stadio V;
• Presenza di sintomi uremici.

Il macchinario dell’emodialisi ha una struttura estremamente complessa.


Possiede una serie di sensori, tubi, uno schermo e il filtro per l’emodialisi (punto
centrale della procedura).
Il filtro per l’emodialisi svolge tutte le funzioni, il resto è un apparato di
accompagnamento.
Il filtro per l’emodialisi è strutturato in modo da avere l’ingresso del sangue
arterioso (proveniente dal paziente), che penetra all’interno del filtro dove sono presenti una serie di canali
in cui scorre il sangue e controcorrente il bagno di dialisi. Successivamente il sangue purificato fuoriesce
dall’altra parte del filtro e viene restituito al paziente attraverso il lato venoso. Si ha poi una porzione in cui
penetra nel filtro il dializzato, il quale poi fuoriesce da un’altra zona.
Il concetto fondamentale è che il flusso sangue-dializzato avviene contro corrente.

1.3.1 Meccanismi della dialisi


Il professore mostra e commenta l’immagine a lato per delucidare
maggiormente il meccanismo della dialisi che avviene
all’interno del filtro: da un lato scorre il sangue in una direzione,
nell’altro lato il liquido di dialisi scorre nel verso opposto, nel
mezzo si trova una membrana semipermeabile costituita dal filtro
che permette il passaggio delle molecole (tossine) dal sangue
verso il liquido di dialisi. In questo modo il sangue risulta essere
“purificato”.

La dialisi si basa su svariati meccanismi fisici:

• Diffusione: passaggio passivo delle molecole da una zona a


maggior concentrazione ad una a minor concentrazione. Si tratta
di un passaggio passivo, in cui le molecole, muovendosi
casualmente, passano da compartimenti a maggiore gradiente di
concentrazione a compartimenti a minor concentrazione, fino ad
equilibrarsi, andando a diluire così il compartimento
maggiormente concentrato e viceversa.
La diffusione è direttamente proporzionale alla diffusività del soluto, alla temperatura (che causa
l’agitazione termica delle molecole), alla superficie della membrana (più è ampia la membrana
maggiore sarà la diffusione), al gradiente di concentrazione. È inversamente proporzionale allo
spessore della membrana che rappresenta un ostacolo alla diffusione delle molecole.
Il coefficiente di diffusività tende a diminuire con l’aumentare del PM del soluto per cui la rimozione
delle molecole ad alto PM risulta essere meno efficace. Questo giustifica il fatto che la diffusione
da sola non sia particolarmente efficace per la rimozione delle tossine uremiche a medio/alto PM
(es. beta2 microglobulina).

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• Convezione: richiede uno spostamento di fluidi da un
compartimento all’altro. Durante lo spostamento i soluti
vengono trascinati passivamente dai fluidi stessi. La
convezione è direttamente proporzionale al coefficiente di
permeabilità idraulica e al TMP.
Il TMP a sua volta è funzione della pressione idrostatica del
sangue (favorisce moti convettivi), della pressione
idrostatica del dializzato (sfavorisce i moti convettivi e
costituisce un ostacolo al passaggio di liquidi dal compartimento sangue al compartimento
dializzato) e della pressione oncotica del sangue (costituisce anch’essa un ostacolo al passaggio).

È possibile definire il flusso convettivo


del soluto in corso di convezione: esso
è funzione della quota di fluido filtrato
nell’unità di tempo, della concentrazione
del soluto nell’acqua plasmatica e delle
caratteristiche di “setacciamento” della membrana nei confronti di quel soluto (ovvero quanto la
membrana è in grado di essere permeabile a quel soluto). Quest’ultima caratteristica (S) è
direttamente proporzionale alla
concentrazione del soluto
nell’ultrafiltrato e inversamente
proporzionale alla concentrazione
del soluto nell’acqua plasmatica o
nel sangue.

Il concetto degno di nota è che il flusso convettivo del soluto è strettamente correlato alle
caratteristiche della memebrana e alla concentrazione del soluto e al flusso di ultrafiltrazione.

• Ultrafiltrazione: trasferimento di un liquido attraverso una


membrana semipermabile per applicazione di un gradiente
pressorio fra due comparti separati da una membrana. Dal
punto di vista matematico l’ultrafiltrazione si esprime come la convezione, essendo quest’ultima
una sua conseguenza.

• Adsorbimento: tecnica per cui i soluti sono assorbiti dai materiali che compongono la membrana
dializzante. È utilizzato solo in certi casi particolari con filtri particolari.
Per esempio, esistono filtri in grado di assorbire le catene leggere delle immunoglobuline e quindi
vengono utilizzati in caso di insufficienza renale acuta secondaria al mieloma, per diminuire il carico
di catene leggere responsabili a loro volta della precipitazione intratubulare renale; esistono dei
filtri in grado di assorbire delle citochine proinfiamamtorie che possono essere utilizzati in certi
contesti clinici come la sepsi.
I meccansmi che regolano l’adsorbimento sono:
- Forze di Van der Waals (attrazione generata dall’interazione fra gli elettroni di una molecola e il
nucleo di un’altra);
- Legami ionici (attrazione elettrostatica generata tra ioni con cariche opposte);
- Legami idrofobici (attrazione forte e durature generata dall’affinità idrofobica di due molecole).

Confronto tra diffusione e convezione:


- Nella diffusione la membrana nel mezzo è permeabile (in
questo caso) esclusivamente alle molecole più piccole;
questo evidenzia il fatto che la diffusione riesca a favorire
il passaggio delle molecole e basso PM da un
compartimento all’altro, mentre le molecole ad alto PM
non attraversano la membrana.
- Nella convezione invece si crea un gradiente di
ultrafiltrazione che trascina acqua e molecole a basso e
alto PM. Garantendo così una purificazione migliore ed
anche ultrafiltrazione di liquidi.

60
Ulteriore immagine chiarificatrice sul trasporto
diffusivo dei soluti. È presente sempre la
membrana semipermabile, il soluto ad alta
concentrazione diffone nell’ultrafiltrato seguendo
il gradiente di concentrazione. Nel caso della
dialisi da una parte è presente il sangue
contenente sostanze a determinate
concentrazioni e dall’altra parte è presente il
dializzato con le stesse sostanze a
concentrazioni diverse, in particolare:
- il sodio rimane ben equilibrato ai livelli
della membrana perché la concentrazione è simile;
- il potassio è meno concentrato nel dializzato rispetto al sangue;
- il calcio tende ad essere in equilibrio;
- il bicarbonato tende ad avere una minor concentrazione nel sangue del paziente rispetto al
dializzato;
- creatinina e urea vanno incontro, invece, ad un trasporto unidirezionale.

Nel trasporto convettivo dei soluti, invece, si ha un flusso di fluidi che passa
da un lato all’altro della membrana e nel mentre, per trascinamento, porta
anche al passaggio del soluto.

1.3.2 Rappresentazione schematica

Il circuito ematico, dove avviene la parte più importante della purificazione del sangue del paziente,
consta in vari passaggi:
1) Inizialmente il sangue viene prelevato dall’arteria del paziente;
2) Successivamente viene eparinizzato per prevenire la coagulazione all’interno del filtro;
3) Una pompa sangue ne favorisce il passaggio alla membrana;
4) Una volta attraversato la membrana viene ad essere restituito al paziente attraverso il lato venoso.

61
La pompa sangue garantisce nella prima parte del circuito una pressione
negativa di -200 mmHg, necessaria per aspirare sangue del paziente e nella
seconda parte una pressione positiva +200 mmHg che permetterà al sangue
di viaggiare attraverso la membrana, di entrare nella linea venosa e ritornare
al paziente.

Circuito del liquido di dialisi:


È costituito da un sistema di approvvigionamento di acqua ultra-pura che entra nella macchina di dialisi.
L’acqua, dopo essere stata scaldata, attraversa una serie di passaggi complessi che permettono la
formazione del liquido di dialisi, il quale poi viene inserito nella membrana.
Il dializzato contenente le tossine accumulate viaggia verso un sistema di scarico, dove le tossine vengono
eliminate.
Entrambi i circuiti sono altrettanto importanti, ma dal punto di vista tecnologico risulta preponderante la
parte della formazione del liquido di dialisi, mentre è più contenuta la parte legata al paziente. Il filtro è
invece la struttura centrale del sistema e della dialisi.

1.3.3 Filtro per emodialisi


Il filtro è costituito da fibre cave all’interno delle quali scorre il sangue e
all’esterno delle quali scorre la soluzione dializzante. All’interno di un filtro vi
sono circa 12000 capillari. All’esterno di questi il dializzato scorre
controcorrente.
La parte chiave del filtro è la membrana. Esistono membrane cellulosiche e
sintetiche. Quest’ultime sono le più biocompatibili e possono essere a
basso, medio o alto flusso.

1.3.4 Emodialisi, emofiltrazione, emodiafiltrazione


Durante il processo di emodialisi, il sangue penetra nel filtro, si ha un dializzato
che scorre controcorrente, una rimozione d’acqua mediante ultrafiltrazione
minima e una fuoriuscita di soluti per diffusione. Il sangue purificato viene poi
restituito al paziente.
Nell’emodialisi la modalità fisica per cui prevale la rimozione dei soluti è la
diffusione.

Nell’emofiltrazione la situazione è diversa, poiché non si ha il dializzato (quindi


non si ha diffusione), ma mediante un’infusione di liquido dedicato prefiltro o
postfiltro, a seconda di una metodica di prediluizione o postdiluizione, si ha
un’ultrafiltrazione molto elevata e dunque la maggior parte dei soluti viene
eliminata per convezione.

62
La emodiafiltrazione è la metodica dialitica al momento più efficiente e
consigliata per il paziente e consiste in una integrazione delle due precedenti
metodiche. Consiste nella rimozione dei soluti per diffusione, inoltre mediante
il ricorso alla prediluizione e postdiluizione si ha un aumento importante del
volume complessivo a livello del filtro, ne consegue un’ultrafiltrazione
maggiore e quindi anche una rimozione di molecole per convezione.
Si ha una miglior efficienza nella rimozione di molecole a basso e medio PM.

1.3.5 Effetto flusso sangue su depurazione


Il punto chiave per l’esecuzione della dialisi è il flusso sangue. Il flusso sangue
attraverso l’accesso vascolare del paziente e quindi attraverso il filtro,
influenza in modo importante la clearance: all’aumentare del flusso (300
mL/min è il flusso standard desiderato da un accesso vascolare) la clearance
di tutte le sostanze aumenta in modo significativo [Clearance= quantità di
volume depurato per unità di tempo].

1.3.6 Pressione transmembrana


La pressione transmembrana è direttamente proporzionale alla pressione
sanguigna che impone una pressione transmembrana positiva, mentre
risulta negativa sul compartimento del dializzato. Nel complesso la
pressione transmembrana è negativa e la direzione netta del flusso va dal
sangue al dializzato.

1.3.7 Composizione del bagno di dialisi


La composizione del bagno di dialisi influenza gli scambi che
avvengono all’interno del filtro, risulta dunque essere fondamentale.
Attraverso il bagno di dialisi sarà favorita la diffusione in uscita dal
sangue di certe sostanze e la diffusione in entrata di altre.
In linea di massima il bagno di dialisi deve essere il più fisiologico
possibile, onde evitare delle brusche variazioni di concentrazione
ematica di elettroliti o sostanze che potrebbero essere deleterie per il
paziente. Tuttavia, questa gradualità della rimozione deve anche tener
conto del fatto che la dialisi sia una procedura intermittente e nella
maggior parte dei casi effettuata a giorni alterni. Quindi allo stesso
tempo il grado di depurazione deve essere tale da consentire al
paziente di poter effettuare il trattamento a giorni alterni.
Il sodio nella maggior parte dei casi ha un contenuto fisiologico.
Il potassio deve essere minore rispetto a quello con cui il paziente
arriverà alla seduta dialitica, tendendosi ad accumulare tra una seduta
dialitica e l’altra. I pazienti tendono ad arrivare nella fase pre-dialisi
con una potassemia tra i 4,5/5,5/6 mEq/L, per cui la potassemia del bagno di dialisi deve essere bassa,
tra i 2-3 mEq/L per consentire una rimozione di K dal paziente e affrontare il periodo inter-dialitico con una
riserva iniziale di K bassa che via via si andrà ad accumulare nel corso del periodo. Tuttavia, è necessario
considerare che il K nel bagno di dialisi possa richiedere degli aggiustamenti in base alle condizioni cliniche
del paziente.
Per esempio, un paziente defedato con diarrea potrebbe avere bassi livelli di K e quindi in questo caso
potrebbe essere necessario aumentare il K nel bagno di dialisi per fornirne al paziente. Il K è un elettrolita
di grande importanza e può portare, in caso di accumulo, ad aritmie cardiache, per questo l’iperpotassemia
deve essere evitata.

63
È necessario adeguare anche la temperatura ai valori di temperatura esterna per evitare il rischio di
ipotensione (che si può avere con temperature troppo alte) e di emolisi.

1.3.8 Accesso vascolare


La clearance delle sostanze tossiche attraverso il filtro è strettamente correlata al flusso sangue a livello
del filtro di dialisi. Un adeguato accesso vascolare in grado di consentire un flusso sangue adeguato è di
grande importanza. Si hanno 2 tipologie di accesso vascolare che si possono utilizzare in corso di dialisi:
1) Catetere venoso centrale (CVC)
2) Fistola arterovenosa

Il catetere venoso centrale (CVC) è il device che viene ad essere utilizzato per le dialisi
d’urgenza. Esiste però anche una forma di catetere venoso centrale a permanenza, chiamato
catetere tunnellizzato, che può essere utilizzato anche a lungo termine.
Idealmente il CVC viene posizionato nella vena giugulare interna, se non è possibile nella
vena femorale. La porzione del catetere rettilinea è il lume che penetra nella giugulare, mentre
la porzione ricurva è quella che fuoriesce e presenta un lato arterioso che preleva sangue dal
paziente e lo porta alla macchina di dialisi e un lato venoso che restituisce sangue al paziente.

Qualora il catetere venoso centrale temporaneo debba essere


mantenuto in sede per tempi prolungati si utilizza un catetere
tunnellizzato.
Ha una struttura molto simile al CVC temporaneo, ma è costituito da
una porzione che viene fatta passare sottocute in modo da limitare
il rischio di infezione, allontanando fisicamente il punto in cui il CVC
emerge dalla cute rispetto al punto in cui penetra nel vaso sanguigno.

L’accesso vascolare ideale è la fistola artero-venosa.


Questa consente un flusso ematico maggiore e un rischio
infettivo minore non essendo associata alla presenza di un
corpo estraneo che fuoriesce fisicamente dal corpo. La fistola
artero-venosa solitamente è un collegamento fra un’arteria
(arteria radiale o brachiale) e la vena cefalica. Questo
cortocircuito chirurgico tra arteria radiale e vena cefalica
favorisce una modifica delle caratteristiche della vena che va
incontro alla cosiddetta arterializzazione, cioè la vena diventa di dimensioni maggiori e l’endotelio cambia
le sue caratteristiche, diventando un vaso arterializzato, ad alto flusso che a differenza dell’arteria risulta
essere superficiale. Questa sua caratteristica di essere superficiale è
fondamentale per favorire la puntura dell’ago per la dialisi.
In caso di pazienti con accessi vascolari difficoltosi o con vasi di qualità non
ottimale può essere necessario l’utilizzo di una protesi sintetica che colleghi
l’arteria brachiale alla vena cefalica.

Il professore mostra e commenta un’immagine


riguardante degli esempi di anastomosi artero-
venosa che possono essere fatti nell’ambito
della fistola artero-venosa.
A) Anastomosi termino-terminale: i due
lumi vengono rabboccati, ma questo tipo
di anastomosi solitamente non viene
utilizzata.
B) Anastomosi latero-terminale: la vena
viene collegata all’arteria sul versante
laterale, questo tipo di anastomosi è
quella più frequentemente utilizzata.
C) Anastomosi latero-laterale;
D) Anastomosi latero-laterale
terminalizzata: la vena viene tagliata,
ricucita e collegata all’arteria.

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A lato l’immagine di una vena cefalica di grosse dimensioni,
ben visibile e facilmente aggredibile da un ago per la dialisi.

1.4 Aspetti clinici dell’emodialisi


1.4.1 Prescrizione dialitica
Le prime sedute dialitiche vengono solitamente effettuate con delle metodiche a bassa efficienza, quindi
utilizzando un filtro poco efficiente o un flusso sangue basso, per evitare una sindrome chiamata sindrome
da disequilibrio. Quest’ultima è una condizione clinica molto severa che può portare a coma o morte
secondaria ad edema cerebrale dovuto a una rimozione di soluti “troppo efficiente” in corso di una prima
seduta dialitica.
Non è ancora completamente chiara la patogenesi, ma sembra essere legata ad una bassa efficienza di
clearance dell’urea dall’intracellulare dei neuroni con sviluppo di un gradiente osmotico rispetto all’esterno
in caso di purificazione ematica troppo efficiente. I neuroni vanno incontro ad una clearance dell’urea molto
bassa, almeno nelle fasi iniziali, purificando in modo eccessivo l’extracellulare, si rischia così per motivi
osmotici l’edema intracellulare neuronale.
La tipica prescrizione dialitica è di 3 sedute settimanali da 4 ore ciascuna.
Le dialisi possono essere effettuate in ospedale, in centri ad assistenza limitata (CAL) o dialisi a domicilio
(solitamente effettuata quotidianamente e durante la notte, rara in Italia).

1.4.2 Adeguatezza dialitica


L’adeguatezza dialitica viene espressa con un parametro: Kt/V.
È un parametro che è espressione della clearance dell’urea (K) x tempo della seduta (t) / il volume di
distribuzione dell’urea (V).
I cut-off che permettono di identificare un’adeguatezza dialitica:
- Ideale se >1.3
- Sufficiente se > 1
Un altro parametro per valutare l’adeguatezza dialitica è: urea reduction rate (URR). Esso indica la
percentuale di riduzione dell’urea nel corso della seduta. In genere maggiore del 70%.

1.4.3 Peso “secco”


Il peso “secco” è il peso con cui il paziente deve terminare la seduta. Il paziente con IRC avanzata è
spesso oligurico e talvolta anurico, la dialisi è l’unico modo per garantire al paziente una rimozione di liquidi
in eccesso attraverso l’ultrafiltrazione. La determinazione del peso secco deve essere effettuata dal
medico e varia da paziente a paziente.
La valutazione spesso si basa su dati clinici (esame obiettivo, turgore venoso), anamnestici (come la
presenza di sintomi che possono far pensare a un sovraccarico idrosalino, ortopnea, dispnea da sforzo),
strumentali (ecocardiografia, turgore venoso, bioimpedenzometria).
Spesso comunque l’identificazione del peso secco del paziente è empirica e si basa su vari “tentativi”
tenendo anche conto della forte influenza dello stato nutrizionale sul peso corporeo (oscillazione di massa
magra e massa grassa).

1.4.4 Terapia farmacologica


La dialisi spesso si associa ad una terapia farmacologica tipica per:
- Controllo idratazione: per evitare che i pazienti abbiano incrementi ponderali eccessivi tra una
seduta dialitica e l’altra. Oltre a istruire il paziente alla restrizione idrica, limitando l’introito di liquido,
qualora il paziente abbia una diuresi residua si potrà tentare l’utilizzo di diuretici.
- Controllo potassio: il paziente deve essere educato ad una ridotta assunzione di potassio nei
periodi inter-dialitici per evitare il rischio di iperpotassemia e qualora la dieta non sia sufficiente
ricorrere a resine a scambio ionico (farmaci in grado di assorbire a livello intestinale il potassio,
prevenendone l’assorbimento intestinale).

65
- Controllo acidosi: ottenuto incrementando il bicarbonato nel dializzato o prescrivendo bicarbonato
per os (via orale).
- Controllo dell’ipertensione: deve avvenire attraverso l’identificazione del peso “secco”, quindi alla
rimozione del sovraccarico salino o attraverso una dieta iposodica o farmaci antiipertensivi.
- Controllo metabolismo calcio-fosforo: l’IRC può causare alterazione metabolismo calcio-fosforo e
contribuire in modo significativo all’aumentato del rischio cardio-vascolare. Si ricorre quindi a una
maggior efficienza dialitica, dieta ipofosforemica, chelanti del fosforo (farmaci in grado di legare a
livello intestinale il fosforo prevenendone l’assorbimento intestinale) e farmaci ad azione sul
paratormone (PTH) in grado di ridurre il rischio di iperparatiroidismo.
- Controllo dell’anemia: il paziente dializzato ha il problema dell’anemia cronica e sarà necessario
monitorare e supplementare le riserve marziali e vitaminiche (vitB12 e acido folico) e somministrare
EPO, solitamente in vena al termine della seduta dialitica.
- Controllo stato nutrizionale: vari parametri, importante albuminemia e pre-albumina, perché i
pazienti sono a rischio nello sviluppare uno stato di malnutrizione.

1.4.5 Complicanze dell’emodialisi


- Ipotensione: spesso causa multifattoriale (calo ponderale eccessivo, cardiopatia, anemia, ecc).
Spesso si associa a nausea, vomito, addominalgia/epigastralgia. Può richiedere il posizionamento
del paziente in posizione di Trendelenburg (con gambe all’aria), la sospensione del calo ponderale
e l’infusione di soluzione fisiologica. Importante è anche limitare l’ultrafiltrazione eseguita durante
la seduta dialitica e per fare questo bisogna educare il paziente ad un ridotto aumento di peso
inter-dialitico.
- Aritmie: tachicardie sopra e sotto ventricolari, fibrillazione atriale, talora fibrillazione ventricolare
(più rara). Possono essere conseguenza di una patologia cardiaca sottostante o alterazioni
elettrolitiche.
- Crampi muscolari: frequenti soprattutto in pazienti che vengono disidratati in modo eccessivo.
- Dolore toracico anginoso: espressione di cardiopatia ischemica.
- Prurito: può essere espressione di una dialisi inadeguata o di un’allergia al filtro o ai componenti
dialitici.
- Ematomi o sanguinamento dell’accesso vascolare: la gestione dell’accesso vascolare deve essere
molto cauta.
- Infezione dell’accesso vascolare

1.4.6 Complicanze tecniche


- Mancanza di energia elettrica: i centri di dialisi sono solitamente dotati di gruppi di continuità
autonomi. In caso di mancanza di energia elettrica, si restituisce il sangue nel circuito azionando
la pompa sangue manualmente.
- Embolia gassosa: è una complicanza molto rara e che dovrebbe essere prevenuta nella quasi
totalità dei casi, grazie a dei sensori d’aria che sono presenti all’interno della macchina. Purtroppo,
in alcuni casi, si può verificare l’embolia in caso di fessurazione del filtro o difetti delle linee
all’interno delle quali scorre il sangue. Qualora l’embolia risultasse massiva, può essere mortale
per il paziente. (Da slide: Qualora l’embolia sia massiva, può riempire il ventricolo dx causando
un’insufficienza cardiaca acuta. Se sospetta, la dialisi andrà sospesa e il paziente posizionato sul
fianco sx a testa in giù per bloccare l’aria all’apice del ventricolo dx).
- Emolisi: si può verificare in casi di soluzioni di dialisi non adeguate. (Da slide: i sintomi possono
essere dolore alla schiena, senso di peso toracico, dispnea. Comparsa di sangue color vino porto
o Coca Cola nella linea venosa. Se massiva, iperpotassemia. Le cause sono soluzione di dialisi
contenenti sostanze non adeguatamente purificate, ipertermia, problemi meccanici del circuito,
iposmolarità della soluzione dializzante. Necessaria interruzione immediata seduta senza
reinfusione sangue).
- Coagulazione del circuito: è la complicanza più frequente. Consiste nella precipitazione di coaguli
all’interno del circuito tale da rendere impossibile la prosecuzione della seduta dialitica, per questo
a livello delle linee arteriose viene iniettata eparina per prevenire questo problema. (Da slide:
causata da insufficiente anticoagulazione, da eccessiva concentrazione ematica, dalla presenza
di aeree di stagnazione nel circuito. Necessario monitoraggio Hb soprattutto in pazienti anemici).

L’efficacia delle macchine moderne rende queste eventualità molto rare, ma rimangono complicanze
possibili e potenzialmente molto gravi.

66
1.4.7 Complicanze cliniche a medio e lungo termine

- Dialisi inadeguata: è per questo necessario uno stretto monitoraggio dell’adeguatezza dialitica.
Può causare anemia, polineuropatia, astenia, iporessia, disturbi del sonno.
- Infiammazione: i pazienti mostrano spesso un’infiammazione cronica subclinica per la presenza
anche di altre comorbilità. Questo può causare aterosclerosi accelerata e complicanze
cardiovascolari.
- Accumulo di tossine di peso molecolare medio-alto: in conseguenza dell’utilizzo di membrana a
bassa permeabilità. Questo può causare amiloidosi sistemica, sindrome del tunnel carpale,
infezioni, inappetenza e osteodistrofia. L’utilizzo di membrane a maggiore permeabilità e con
tecniche convettive migliora i sintomi.
- Complicanze cardiovascolari: possono essere causa di morte per il
paziente dializzato. Tra le complicanze più tipiche si possono avere
ipertrofia ventricolare sx, scompenso cardiaco sistolico e diastolico,
aterosclerosi accelerata.
Il rischio cardiovascolare nei pazienti in emodialisi è 30 volte
maggiore rispetto alla popolazione in generale. I motivi sono svariati,
tra cui, ipertensione arteriosa, dislipidemia, ipertrofia ventricolare,
intolleranza glucidica, calcificazioni cardiovascolari e valvolari.
- Complicanze neurologiche: polineuropatia periferica in caso di
inadeguata correzione della sindrome uremica, progressivo
deterioramento cognitivo fino ad arrivare ad una possibile demenza precoce.

67
Lezione n° 7
Materia: nefrologia
Argomenti: rene policistico autosomico
dominante, rene policistico autosomico
recessivo, nefriti tubulo-interstiziali
croniche ereditarie autosomiche dominanti

Comunicazioni: sbobina dell’anno scorso integrata con slides di quest’anno

NEFRITI TUBULO-INTERSTIZIALI
1.1. Introduzione
La nefrologia è una disciplina che si occupa prevalentemente di malattie glomerulari. Le
glomerulonefriti sono malattie immuno-mediate che hanno rappresentato per molti anni l’ambito
privilegiato dello studio nefrologico. Negli ultimi vent’anni si è capito che, oltre al glomerulo renale,
anche il settore tubulo interstiziale ha una propria autonomia nosologica, con malattie a partenza
dal tubulo-interstizio. In passato l’unica nefrite tubulo interstiziale conosciuta era la pielonefrite,
termine che raggruppava un insieme di malattie renali che non collimavano coi criteri clinici e col
pattern urinario classico delle glomerulonefriti (ematuria, proteinuria, sindrome nefrosica, sindrome
nefritica). Si riservava, infatti, il termine di pielonefrite a quelle forme di nefropatie tubulo interstiziali
a base batterica, conseguenza di infezioni delle vie urinarie con carattere ascendente che dalle vie
urinarie andava ad interessare il parenchima renale. Successivamente si è capito che
l’interessamento tubulo-interstiziale non era solo su base batterico/infettiva; nefropatie a carattere
ereditario, quali il rene policistico autosomico dominante, infatti, comportavano, a livello del tubulo
renale, uno sviluppo e una crescita di formazioni cistiche.
Oggi, classifichiamo molte malattie renali a carattere ereditario come nefropatie tubulo-interstiziali
mentre il termine pielonefrite è oggi riservato alle nefropatie tubulo interstiziali su base batterica.
Facente parte del gruppo delle nefropatie tubulo-interstiziali vi sono inoltre anche altre due altri
grandi categorie: le nefropatie da tossici esogeni e le nefropatie da farmaci (nella midollare renale,
dove si raggiunge il massimo della capacità di concentrazione urinaria, si concentrano anche farmaci
che possono avere una potenziale tossicità renale). Fino a una trentina di anni fa non era infrequente
fare diagnosi di nefropatia da piombo. Oggi tale patologia non esiste più nei paesi occidentali, dopo
che la medicina del lavoro e la medicina preventiva hanno messo in atto una serie di meccanismi
protettivi nei confronti dei lavoratori a contatto con questa sostanza.
Le NEFRITI TUBULO-INTERSTIZIALI sono causate da:
● Patologie ereditarie: rene policistico autosomico dominante, rene policistico
autosomico recessivo, nefronoftisi
● Infezioni: pielonefriti
● Farmaci
● Tossici esogeni e metalli: piombo, cadmio, litio

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1.2. Rene policistico autosomico dominante
Malattia renale caratterizzata da una progressiva formazione ed
espansione di cisti a livello del parenchima renale. La crescita di queste
formazioni cistiche dà origine ad un incremento volumetrico dei reni, ad
una compressione a cui seguono infiammazione e fibrosi del
parenchima circostante fino a determinare un sovvertimento
parenchimale e strutturale completo che determina un’insufficienza
renale terminale, con necessità di dialisi. Il rene autosomico policistico
dominante è la malattia renale ereditaria più frequente. Solitamente si
pensava che la sua prevalenza fosse 1 su 500/1000 persone ma oggi i
dati sembrano più orientare verso una malattia rara, cioè 25 persone
colpite ogni 10000 (1/400). La patologia policistica renale autosomica
dominante è, come dice il nome, una malattia genetica autosomica
dominante: ad ogni gravidanza, con uno dei due partner infetto, ogni
figlio ha il 50% di probabilità di ereditare la malattia (trasmissione
verticale). Inoltre, si ha eterogeneità genetica: più di un gene, quando
mutato, può dare la malattia. Oggi conosciamo due geni responsabili del
rene policistico autosomico dominante: PKD1 sul cromosoma 16 (85%
dei casi), PKD2 sul cromosoma 4 (15% dei casi). Da anni si discute sulla presenza di un PKD3, ma,
ad oggi, non ci sono prove conclusive sull’esistenza di tale gene. E’ largamente accettato il fatto che,
quando a scopo diagnostico si effettua un test genetico, una percentuale variabile dal 10 al 20% di
soggetti con cisti renali non rivela mutazioni né a carico di PKD1 né di PKD2: questo fatto si presume
sia dovuto ad una difficoltà tecnica nello studio molecolare di quei geni (PKD1 è un gene
particolarmente difficile da studiare), ma, soprattutto, al fatto che probabilmente non tutte le forme
che consideriamo rene policistico autosomico dominante hanno come responsabili mutazioni a
carico di quei due geni. Questo è un argomento in discussione ancora oggi. Si stanno rinvenendo
sempre più geni che possono dare origine a delle fenocopie, dei quadri clinici con fenotipo cistico
renale che possono simulare un rene policistico autosomico dominante, ma che in realtà non sono
patologie policistiche autosomiche dominanti.
Quello che è importante ricordare è che i geni che sono comunemente responsabili di rene policistico
autosomico dominante sono PKD1 e PKD2, che si trovano rispettivamente sul cromosoma 16 e sul
cromosoma 4.
Il meccanismo di formazione delle cisti non è ancora
noto. Noi sappiamo che questi due geni codificano
per due proteine, policistina 1 e 2, proteine
transmembranarie facenti parte di una signaling
pathway, una via di segnalazione intracellulare.
Quando noi abbiamo un livello adeguato di queste
due proteine non abbiamo la formazione delle cisti;
quando invece le due policistine si riducono sotto un
valore soglia, si determina la comparsa delle cisti,
anche se il meccanismo intimo non è ancora
completamente spiegato.
Un altro dato caratteristico che ha richiesto una lunga discussione per la sua
comprensione è che, benché tutte le cellule alberghino la mutazione
germinale, solo 1-5% dei nefroni va incontro alla formazione di cisti. Per
spiegare questo fenomeno di cui il rene policistico autosomico dominante
mostra un’espressione focale, si è arrivati alla conclusione che il meccanismo
di formazione delle cisti richieda una ipotesi a due colpi (ipotesi genetica).

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Abbiamo la necessità che ci sia un livello di policistina
basso, al di sotto di una certa soglia. In seguito ad una
mutazione germinale, avremo ancora un 50% di
produzione della policistina dovuta all’allele wild type.
Quindi, per il fenotipo malattia, è necessario che
accanto alla mutazione germinale, nelle cellule che
danno origine alla policistina ci possa essere una
mutazione somatica che si verifichi successivamente
e che porti ad una ulteriore riduzione dei livelli di policistina, che andrà inevitabilmente sotto soglia.
È una condizione curiosa: si tratta di una malattia ereditaria con una modalità di trasmissione
autosomica dominante che si trasmette verticalmente nella famiglia, ma per dare comparsa di
fenotipo cistico è necessario un meccanismo cellulare tipicamente recessivo, perché entrambi gli
alleli devono essere mutati, uno dalla mutazione germinale e uno dalla mutazione somatica.
Le cisti renali si sviluppano a carico dei tubuli renali, per poi crescere e progressivamente separarsi
da essi. Oltre ad avere una crescita autonoma dai tubuli da cui sono originati, acquisiscono anche
un fenotipo secretorio: secernono dei fluidi all’interno delle cisti e questo, accanto alla proliferazione
cellulare, determina una progressiva crescita con uno sviluppo molto importante.
Un altro concetto fondamentale è che la patologia policistica autosomica dominante è una patologia
renale, ma andrà a coinvolgere anche fegato, cuore, circolazione intracranica (aneurismi), e intestino
(ernie intestinali). Questo significa che è una vera e propria malattia sistemica. Questo è
giustificabile dal fatto che la policistina 1 e la policistina 2 non hanno espressività solo a livello renale,
ma anche di altri organi.

1.2.1. Sintomatologia renale


Il primum movens della patologia renale è la formazione delle cisti. Tutta la sintomatologia a livello
renale sarà secondaria alla formazione delle cisti: le cisti originano dal tubulo e quindi avremo
anomalie tubulari molto precoci, con compromesse funzioni di riassorbimento, secrezione e
concentrazione delle urine.
Le cisti crescendo possono:
● comprimere gli organi vicini, stirare capsula ed ilo renale ed essere responsabili di una
sintomatologia dolorosa lombare;
● determinare ipertensione arteriosa;
● determinare emorragia;
● predisporre a maggior frequenza di infezioni del tratto urinario (il deflusso delle urine in
presenza di cisti non è più normale);
● predisporre a calcolosi renale. Il tasso di calcolosi renale è 10/20 volte quello della
popolazione normale;
● Causare insufficienza renale. A 50 anni, il 50% dei pazienti necessità di dialisi e di trapianto
di reni.

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Ovviamente esiste una grande variabilità nella severità della patologia. I pazienti con mutazioni di
PKD1 avranno una patologia più severa di quei pazienti con PKD2 mutato, che possono anche
arrivare anche a 70/80 anni senza sviluppare una insufficienza renale terminale.

1.2.2. Anatomia delle cisti


Le cisti possono essere periferiche, profonde o piccole (cisti precoci ma molto numerose). L’insieme
di tutti questi tipi di cisti sarà responsabile del fenotipo cistico del paziente, che è strettamente
individuale. Anche il quadro sintomatologico sarà in relazione all’anatomia cistica.
Le cisti periferiche comprimono stomaco, intestino, vena cava e
daranno una sintomatologia diversa a seconda della loro sede. Le
cisti profonde possono essere responsabili di una sintomatologia
dolorosa con una distensione della capsula. Le numerose piccole
cisti, che possono essere presenti anche in profondità, sono
responsabili della progressiva perdita di funzionalità renale perché,
essendo molto numerose, hanno una grande forza di compressione
sul parenchima renale.

1.2.3. Storia naturale del rene policistico autosomico dominante


La forma anticipa la funzione. Cioè, questi reni crescono in maniera importante di volume,
mantenendo una funzione renale stabile per 20/30 anni. È molto frequente riscontrare pazienti di
trent’anni che hanno un volume renale di 4/5 volte, con formazioni cistiche importanti, ma con ancora
conservata la funzione renale. Solo nella fase più avanzata della patologia assistiamo ad una
progressiva riduzione della funzione renale. La prima manifestazione precoce è l’alterazione del
meccanismo di concentrazione delle urine.
Un problema importante riguarda la diagnosi nei figli di genitori affetti da patologia policistica renale
autosomica dominante. Da un lato c’è la necessità di fare diagnosi precoce, ma dall’altro, non
avendo ancora terapie molto efficaci, soprattutto per i bambini, non c’è la necessità di medicalizzare
i ragazzi in tenera età per ripercussioni psicologiche importanti. È quindi un controsenso sottoporre
i figli asintomatici dei genitori affetti ad indagini genetiche. L’unica cosa che si può fare è
raccomandare una visita pediatrica due volte l’anno (è importante che il pediatra indaghi la pressione
arteriosa del bambino, per escludere una ipertensione arteriosa). Se essi sono sintomatici, con
macroematuria, ipertensione e dolore lombare è invece opportuna una diagnosi genetica, perché è
opportuna una terapia sintomatica specifica.
Alterazioni precoci delle funzioni renali che potrebbero essere presenti nei bambini affetti da malattia
policistica renale autosomica dominante sono:
• Riduzione della concentrazione delle urine e acidificazione urinaria, con ipocitraturia.
L’ipocitraturia è uno dei fattori responsabili di calcolosi in questi soggetti.
• Iperfiltrazione glomerurale: una velocità di filtrazione
glomerulare aumentata correla con un più precoce
sviluppo di malattia renale cronica.
Di seguito la sintomatologia tipica, analizzata nel dettaglio:
• Sintomatologia dolorosa, soprattutto lombare, con
accentuazione della normale cifosi lombare.
• Sintomi a carico delle cisti: emorragie, compressione degli
organi vicini e sintomatologia dolorosa. È importante
distinguere una sintomatologia dolorosa acuta da una
sintomatologia dolorosa cronica e, paradossalmente, il
problema più importante riguarda la cronica perché verso
di quella abbiamo meno armi terapeutiche. La
sintomatologia cronica è legata alla progressiva
espansione del rene policistico in addome, che è difficile
da controllare.

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• Ipertensione arteriosa. I soggetti sono ipertesi in un’età molto più
precoce che nei soggetti sani, quando ancora la funzione renale è
normale. È importante una rapida individuazione di questi soggetti
perché è stata dimostrata una più rapida progressione verso
l’insufficienza renale. La genesi di ipertensione arteriosa è
multifattoriale. Un primo meccanismo è di tipo reninico attivato dai
piccoli vasi che sono compressi dall’espansione delle cisti
(ipertensione renino dipendente). Un altro meccanismo di insorgenza è a carico delle mutazioni
delle policistine che sono espresse
anche a livello vascolare. Una ridotta
espressione di policistina nel vaso a
causa della mutazione genetica
andrà ad inficiare il meccanismo di
vasodilatazione fisiologico, causando
ipertensione arteriosa. Altri
meccanismi di insorgenza sono il
deficit di ossido nitrico e l’aumento
dell’attivazione del sistema simpatico.

• Emorragia: le cisti sono vascolarizzate da un meccanismo di


neo-angiogenesi, ma la tensione dovuta alla crescita
progressiva delle cisti porta alla rottura di questi vasi. Se la cisti
ha mantenuto una comunicazione con il distretto urinario,
avremo episodi di macroematuria, ma, più frequentemente, si
hanno episodi di emorragia intracistica. Nei casi gravi sarà
possibile anche una emorragia retroperitoneale, possibile
perché le cisti hanno interrotto ogni tipo di rapporto con l’albero
urinario.
Erroneamente, queste emorragie possono essere
scambiate per coliche renali: a volte ci può essere
un’ostruzione causata da coaguli, ma solitamente la
sintomatologia dolorosa è imputabile solamente ad una
emorragia.
Più i reni sono aumentati di volume, più ovviamente c’è
rischio di emorragia intracistica. Pazienti con più episodi
di macroematuria o emorragia intracistica hanno una più
rapida progressione verso l’insufficienza renale. Questo è logico perché, se esiste una relazione
tra gli episodi di ematuria e le dimensioni del rene, e se le dimensioni del rene dovute alla crescita
delle cisti condizionano lo sviluppo di insufficienza renale, è ovvio che i pazienti che hanno più
episodi di macroematuria hanno una più rapida progressione verso l’insufficienza renale.
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• Maggior frequenza di infezioni delle vie urinarie: dipendono in generale da un rapporto tra la
capacità di difesa dell’organismo e l’invasione dei bacilli batterici nel tratto urinario. Una diagnosi
di pielonefrite è abbastanza agevole, ma diventa più complesso fare diagnosi differenziale tra
una infezione del parenchima renale e una infezione delle cisti. In caso di infezioni di cisti renali,
la terapia deve essere più prolungata ed è necessario scegliere antibiotici non solo in base alla
sensibilità del germe che ha causato l’infezione, ma scegliere un farmaco in grado di passare la
parete cellulare delle cisti. Siccome la cisti ha interrotto il rapporto con il nefrone di origine,
dovremo usare antibiotici che arrivano in sede non solo attraverso la filtrazione glomerulare, ma
anche attraverso la parete cellulare delle cisti.
• Calcolosi renale: è dovuta ad un difetto di acidificazione
tubulare, dalle quattro alle dieci volte più frequente rispetto
ai soggetti normali. L’insorgenza di un calcolo ostruente in
un soggetto con patologia renale peggiora la funzione
renale, accelerando il decorso di questo rene verso la fase
terminale dell’insufficienza renale. È fondamentale allora
trattare questa patologia, soprattutto in questi pazienti. Un
elemento di differenza sostanziale è che di solito i calcoli
sono costituiti da ossalato di calcio e fosfato di calcio. Circa
il 60% dei pazienti con rene policistico autosomico
dominante, invece, ha calcolosi da acido urico. La calcolosi
da acido urico si risolve alcalinizzando le urine, (il difetto di
acidificazione è responsabile della maggior
frequenza di calcolosi) e riducendo l’acido urico nel
siero e nelle urine (non si trattano come i comuni
calcoli di calcio, bombardandoli).
Tutte queste complicanze compaiono precocemente
nell’arco della vita di questi soggetti. Tra i 20 e i 40 anni
la maggior parte di questi soggetti ha già avuto una o
più complicanze.
Infine, vi è lo sviluppo di insufficienza renale, con
necessità di dialisi e di trapianto renale.
Eccezionalmente, questi pazienti sviluppano IR entro i
40 anni, mentre la maggior parte dei soggetti la sviluppa intorno ai 50 anni.
In Europa, sulla scorta dei dati dei registri dei vari paesi, l’insufficienza renale è collocata intorno ai
58 anni. Per mutazioni di PKD1, l’insufficienza renale si sviluppa intono ai 52 anni; per mutazioni di
PKD2, si sviluppa vent’anni più tardi. Ecco perché la prognosi varia per mutazioni di PKD1 o PKD2.

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1.2.4. Fattori di rischio per l’insorgenza rapida di insufficienza renale
• ipertensione arteriosa;
• episodi di macroematuria;
• avere in età precoce riduzione della funzione
renale;
• avere dei reni, anche con una funzione renale
conservata, ma con un volume molto aumentato
(volume singolo rene 120/125 cc che in questi
soggetti arrivano a 1400 1500 cc). Questo concetto
è stato confermato dal crisp study, uno studio
svolto da radiologi e nefrologi americani che
individuarono una relazione inversa tra il volume e
la funzione renale.
• Una mutazione di PKD1 causa una malattia renale
della mutazione di PKD2. All’interno delle mutazioni di PKD1, se un soggetto ha una mutazione
troncante ha una prognosi più sfavorevole di un soggetto con mutazione missenso. Con una
mutazione troncante avremo la formazione di una proteina tronca e quindi non funzionante. Una
mutazione missenso, invece, porta alla creazione di una proteina che funziona meno, ma che
sarà comunque più “efficiente” di una proteina tronca. Mutazioni troncanti di PKD1,
accompagnati da segni e sintomi, sono segnali prognostici molto sfavorevoli, che predispongono
il paziente ad una condizione di insufficienza renale cronica precoce.
È fondamentale sapere che la malattia renale policistica
autosomica dominante sia una malattia sistemica, il paziente
infatti potrebbe presentare:
• Cisti epatiche: dopo i trenta anni di età, circa l’80% dei soggetti
malati ha cisti epatiche. È importante ricercare le cisti epatiche
per la diagnosi dei casi dubbi, come ausilio diagnostico: avere
un paziente che presenta poche cisti che non causano un sovvertimento parenchimale-
strutturale e in assenza di familiarità della malattia renale policistica autosomica dominante
farebbe escludere questa ipotesi, ma trovare cisti epatiche deve aumentare il sospetto
diagnostico di questa malattia. La diagnosi è importante non solo per il soggetto, ma anche per
la prole: sapere di avere o meno la malattia geneticamente trasmissibile è importante. Le cisti
epatiche solitamente compaiono dopo la cisti renale e sono più frequenti nelle donne che hanno
avuto più gravidanze e che hanno fatto una terapia estroprogestinica. Sicuramente queste cisti
epatiche hanno una relazione con gli ormoni femminili. Le
complicanze insorgono nell’1% dei malati: si hanno fegati
policistici massivi con sintomatologia compressiva intra-
addominale che necessitano di immediato trapianto di
fegato.
• Cisti pancreatiche
• Malattia diverticolare e ernie addominali
• Fenotipo vascolare: i più frequenti sono gli aneurismi
intracranici. Solo una piccola quota di pazienti ha uno o più
aneurismi intracranici.
Cerchiamo la presenza di aneurismi cerebrali solo in due
gruppi di pazienti:
• chi porta una sintomatologia suggestiva di aneurisma cerebrale, come crisi di cefalea
importanti;
• pazienti con storie di rottura di aneurisma cerebrale o emorragia subaracnoidea.
Questi due tipi di pazienti devono essere sottoposti a screening con angioRM. Ovviamente,
questo è un approccio di buon senso e non completamente rigido. Se un paziente vive male la
propria condizione e vuole sapere se presenti questi aneurismi a livello cerebrale, anche in
assenza di una storia famigliare, non possiamo impedirgli l’esame (la maggior parte preferisce
non farlo, perché se venisse trovato anche solo un piccolo e inoperabile aneurisma il soggetto
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vivrebbe con una spada di Damocle. Importante anche la professione del soggetto: se si tratta
di un pilota di aereo è necessario ricorrere ad esami diagnostici per indagare aneurismi. Prevale
sempre un atteggiamento di buon senso verso chi richiede questi esami e verso chi svolge
professioni a rischio. Il fenotipo vascolare non è limitato agli aneurismi intracranici, ma possono
esserci anche delle valvulopatie cardiache (in particolare prolasso sistolico della mitrale): è
necessario sottoporre tutti i pazienti in età
precoce ad un elettrocardiogramma per
escludere valvulopatie. Solo
eccezionalmente sono valvulopatie che
richiedono una correzione chirurgica (solo 2
su 100). Sono frequenti anche aneurismi a
livello aortico, sia addominale che toracica,
sia aneurismi in altri distretti.
Da un paio di anni è disponibile una terapia medica che rallenta la progressione della patologia renale, ma il
professore decide di non parlarne perché si tratta ancora di una terapia agli albori.

Oggi è possibile fare diagnosi precoce, essere precisi sulla prognosi, ma anche effettuare una
diagnosi pre-impianto, aiutando soggetti con rene policistico a mettere al mondo figli senza la
patologia, evitandone la trasmissione

1.3. Rene policistico autosomico recessivo


Il rene policistico autosomico recessivo è una malattia molto più grave della malattia renale
policistica autosomica dominante. È infatti una patologia che è fatale in epoca neonatale, dove i
pazienti muoiono di ipoplasia polmonare. Nascono spesso con reni di volume aumentato che
occupano la cavità addominale, causando gravi problemi di nutrizione. Per i bambini affetti dalla
forma più severa l’unica terapia è la nefrectomia, che consente la creazione di spazio per la dialisi
peritoneale, ed il trapianto. La mortalità, tuttavia, rimane è molto alta.
In questi ultimi anni si è assistito ad un fenotipo malattia meno severo di quello a cui si era
comunemente abituati. Sempre più frequentemente arrivano all’osservazione pazienti adulti con
rene policistico autosomico recessivo, con insufficienza renale, ma che sono sopravvissuti all’età
pediatrica. La cosa importante da ricordare è che il rene policistico autosomico recessivo è una
malattia autosomica recessiva, quindi di interesse pediatrico, con una diagnosi pediatrica Questa è
una prima differenza dal rene policistico autosomico dominante, che è una patologia tipica
dell’adulto.
Un secondo elemento di differenza è il coinvolgimento epatico: tutti i pazienti affetti da rene
policistico autosomico recessivo hanno un vario grado di fibrosi epatica e, prima o poi, tutti
svilupperanno un quadro di ipertensione portale. Il gene interessato non è PKD1 o PKD2, ma PKHD1
(Polycystic kidney and hepatic disease1), sempre associato a fibrosi epatica. I pazienti con rene
policistico autosomico dominante hanno spesso un coinvolgimento epatico (con cisti epatiche), ma
quasi mai andranno verso una insufficienza epatica, ed una fibrosi epatica è una condizione
veramente rara.

Questi sono i due elementi di differenza tra le due patologie (una domanda che capita spesso
all’esame)

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A volte, noi possiamo avere un problema di diagnosi differenziale in epoca neonatale tra rene
policistico autosomico dominante e recessivo. Di solito quando si riscontra un rene policistico severo
in epoca neonatale, nel 99.5% dei casi si è in presenza di rene policistico autosomico recessivo. La
differenziazione tra rene policistico autosomico dominante e rene policistico autosomico recessivo
è di solito molto facile perché nel rene policistico autosomico dominante, se si hanno cisti già in
epoca gestazionale, esse sono poche e non c’è mai l’oligodramnios (condizione severa nella
gravidanza) che è invece presente nel rene policistico autosomico recessivo. Ci sono due situazioni
particolari in cui è complesso fare diagnosi differenziale:
1. Sindrome da geni contigui: si tratta di una sindrome caratterizzata da rene policistico e
sclerosi tuberosa. Questo accade perché il gene della sclerosi tuberosa e PKD1 sono testa
a testa sul cromosoma 16. Se abbiamo una delezione che interessa entrambi i geni,
abbiamo una forma severa di rene policistico perché il paziente assommerà su di sé la
sintomatologia del rene policistico e quella della sclerosi tuberosa.
2. Forme di rene policistico autosomico dominante ad esordio in età infantile se, oltre alla
mutazione del gene del rene policistico autosomico dominante, per casi rari alberga anche
una seconda mutazione o a carico di un altro gene del PKD o di altri cistogeni. Esistono
condizioni in cui un individuo eredita due mutazioni, una materna e una paterna.
È sempre fondamentale ricercare una consanguineità tra i genitori. Anche solo una consanguineità
geografica, dove i genitori vengono dallo stesso piccolo paese, per cui non è infrequente una
parentela di terza o quarta generazione.
L’incidenza della malattia non è nota perché non esistono studi adeguati, anche perché la mortalità
neonatale può essere elevata. La diagnosi è genetica: si ricerca una mutazione del gene PKHD1,
uno dei geni più grandi che esistano e più facilmente studiabile.
Sia il rene policistico autosomico dominante che il rene policistico autosomico recessivo sono
ciliopatie. Il cilio è una struttura presente su tutte le cellule epiteliali del rene che si pensava essere
vestigiale, senza un ruolo; a livello epiteliale tubulare renale svolge, invece, la funzione di
meccanosensore, cogliendo le caratteristiche chimiche e
fisiche del flusso tubulare. Su questa struttura ciliare sono
localizzate molte proteine, tra cui quelle codificate da PKD1 e
PKD2. Ecco, quindi, che il rene policistico autosomico
dominante è una ciliopatia. Anche la nefronoftisi, una
patologia di cui si parlerà in seguito, e che si pensava essere
distante dalla patologia renale policistica autosomica
dominante, sarà categorizzata anch’essa come cliliopatia.
Tutte le patologie causate da alterazioni di geni che
codificano per proteine sulla struttura ciliare sono definite
ciliopatie.
Vi sono due gruppi di pazienti con rene policistico autosomico recessivo:
1. I pazienti soggetti alla forma severa di rene policistico autosomico recessivo. La diagnosi
solitamente è perinatale, sotto l’anno di vita. Il 40% di questi non sopravvive per ipoplasia
polmonare, il 60% dei neonati sopravvive, ma il 25% di questi necessita di dialisi post-parto
immediata.
2. Pazienti a cui si fa diagnosi sopra l’anno di età: solitamente in età pediatrica o addirittura
nell’adolescenza e sono caratterizzati da un fenotipo malattia meno severo. Ecco perché non
si può più parlare di rene policistico dell’adulto e rene policistico del bambino. La diversità
del fenotipo di una stessa malattia potrebbe essere anche molto ampia agli estremi. Di quei
soggetti in cui si fa diagnosi di rene policistico autosomico recessivo in età adolescenziale o
adulta si distinguono di solito o dei quadri in cui prevale il coinvolgimento renale, o dei quadri
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in cui prevale un coinvolgimento epatico. Per questi ultimi, in pazienti di 40 anni che magari
hanno una ipertensione portale da 20 anni, è necessario un doppio trapianto. Il doppio
trapianto di rene e fegato garantisce una sopravvivenza ideale, risolvendo il problema
dell’insufficienza epatica, ma anche il problema della fibrosi epatica.

1.3.1. Quadro clinico


● Nella forma più severa della patologia alla nascita riscontriamo ipoplasia polmonare ed
insufficienza respiratoria. Sono bambini con difficoltà ad alimentarsi a causa dell’addome
quasi interamente occupato da questi reni policistici. Il rene può essere variamente
compromesso e il fegato ha sempre vario grado di fibrosi epatica. Non si fa diagnosi di
Rene policistico autosomico recessivo senza fibrosi epatica.
● Rispetto al rene policistico autosomico dominante, dove solo il 5% dei nefroni tubulari
diventavano cistici, in questo caso il meccanismo patogenetico è molto diverso, causando
una dilatazione fusiforme dei dotti collettori di tutti
i reni.
● All’inizio i reni sono molto grossi, ma se un
soggetto sopravvive, tendono progressivamente
a ridursi di dimensione. Il paziente adulto avrà
reni cistici, che però non saranno aumentati di
volume, a differenza del rene policistico
autosomico dominante. Inoltre, si mantiene una forma reniforme, non c’è un sovvertimento
parenchimale tubulo-midollare, con una struttura che sarà conservata anche in età avanzata.
● Oligodramnios: la gravidanza è complicata, cosa che non capita mai nel Rene policistico
autosomico dominante.
● Masse in regione lombare
● Ipertensione alla nascita nell’ 80% dei soggetti
● Difetto concentrazione urinaria
● Iposodiemia (causata da una perdita di sale e un’ipovolemia associata a tale perdita)
● Un variabile grado di insufficienza renale
Se vengono superati i problemi respiratori nell’immediato post nascita, la situazione può anche
lentamente migliorare a seconda della severità del fenotipo cistico renale.
Il 2% dei pazienti con rene policistico autosomico dominante con un quadro severo può essere
indistinguibile dai pazienti con rene autosomico recessivo. Questo succede, come già anticipato,
nelle sindromi da geni contigui o in condizioni in cui si hanno più mutazioni a carico di alcuni geni.
Addirittura, ci sono mutazioni a carico del gene del rene policistico autosomico dominante, dette
ipomorfe, perché danno un quadro di rene policistico o molto modesto, o non evidente clinicamente.
Se, sfortunatamente, un soggetto eredita la classica mutazione del gene del rene policistico dal
padre e dalla madre una mutazione silente, ipomorfa, la combinazione di queste due situazioni può
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dare origine ad un quadro molto severo, anche ad esordio neonatale. Infatti, una mutazione grave
porta i livelli di produzione di policistina al 50%, e in aggiunta a questo, vi è una mutazione che,
anche se ipomorfa, abbassa ulteriormente i livelli di policistina, avremo un quadro severo di cisti.
In questi rari casi (2%) la diagnosi differenziale
è genetica. Fondamentale è, visto che i test
genetici richiedono molto tempo, valutare se i
genitori presentano cisti renali o una storia
famigliare di rene policistico autosomico
dominante: se sì, dovremo indirizzarci verso
una forma severa ad esordio neonatale di rene
policistico autosomico dominante; viceversa, si
pensa a mutazioni genetiche di individui
fenotipicamente sani, ma che incrociati
avranno dato origine ad un rene policistico
autosomico recessivo.

1.3.2. Prognosi
Il 30% dei bambini malati muore in epoca neonatale
per ipoplasia polmonare. La sopravvivenza ad un
anno è compresa tra 75 e 90%, anche se spesso è
necessaria una dialisi peritoneale post natale. La
sopravvivenza a 5 anni è compresa tra il 70 e l’88%,
quindi rimane relativamente alta. Il 50% dei
sopravvissuti sviluppa insufficienza renale terminale
in tempo variabile: qualcuno arriva alla dialisi dopo 10,
qualcuno dopo 15, qualcuno dopo 20 anni.
I problemi più importanti rimangono la difficoltà ad
alimentarsi, perché i reni sono molto grandi ed
occupano la cavità addominale comprimendo gli
organi addominali, le infezioni urinarie e la dialisi
peritoneale complicata, in cui la dialisi è poco tollerata
(da slide). Tra le complicanze epatiche si riscontrano
ipertensione portale e colangiti ricorrenti, le principali

11
cause di morte del post trapianto renale. Questo perché il quadro renale è importante, ma anche il
quadro epatico condiziona pesantemente la prognosi.
La percentuale di sopravvivenza renale dopo 20 anni dalla diagnosi varia in base all’età a cui è stata
fatta diagnosi (e quindi alla severità della patologia):
● Diagnosi entro l’anno di età: 36% di sopravvivenza
● Diagnosi tra 1 e 20 anni: 80% di sopravvivenza
● Diagnosi oltre i 20 anni: 88% di sopravvivenza

Concludendo:
La severità del coinvolgimento epatico e del coinvolgimento renale sono indipendenti: in alcuni
pazienti prevale uno, in altri prevale l’altro, ma il coinvolgimento di entrambi gli organi è fondamentale
per la diagnosi di rene policistico autosomico recessivo.
Esordio perinatale è associato ad una malattia renale più severa. L’età alla quale cui facciamo
diagnosi correla con la sopravvivenza del paziente e la sopravvivenza del rene. Nei pazienti in cui
la diagnosi è più tardiva la malattia è meno severa e quelli sopravvivono meglio sia come funzione
renale, sia come mortalità.
Sia nella malattia del rene policistico autosomico dominante che nelle prime fasi della malattia del
rene policistico autosomico recessivo (aumento massivo del rene nei pazienti diagnosticati nel primo
anno di vita) i reni sono aumentati di volume. Viceversa, nelle fasi avanzate, il rene perde volume,
rimpicciolendosi. Questo però non significa che il rene acquisisca funzionalità. Non è quindi
confermata la reazione inversa del rene policistico autosomico dominante tra la funzionalità renale
e il volume renali.
Di solito la diagnosi clinica è sufficiente per la diagnosi differenziale tra rene policistico autosomico
dominante e rene policistico autosomico recessivo, tranne nel 2% dei casi sopra descritti. La
genetica è usata soprattutto come test prenatale e nella diagnosi genetica pre-impianto.

1.4. Nefriti tubulo interstiziali croniche ereditarie autosomiche dominanti


Il rene policistico autosomico dominante è la nefropatia genetica più diffusa. Il rene policistico
autosomico recessivo è molto più raro, ed è una malattia ad interesse prevalentemente pediatrico.
Esiste un altro gruppo di malattie ereditarie renali a carattere tubulo interstiziale che sono
caratterizzate da una fibrosi interstiziale e da un’atrofia tubulare. Vi possono essere delle cisti, oggi
sappiamo essere acquisite, e queste malattie erano una volta raggruppate tutte assieme sotto il
termine di complesso nefronoftisi della malattia cistica della midollare. Si parlava di complesso
nefronoftisi-malattie cistiche della midollare perché non si era in grado di dare un’autonomia
12
nosologica a nessuna delle due componenti, né alla nefronoftisi, né alla malattia cistica della
midollare. Oggi questo complesso è stato scisso, separando completamente nefronoftisi e malattia
cistica della midollare in due gruppi completamente differenti.
Queste due malattie condividevano tre caratteristiche tra loro:
1. I sintomi clinici: ipostenuria, poliuria, anemia e sviluppo di uremia. Ma queste sono
caratteristiche di tutte le malattie che evolvono verso la fase terminale dell’insufficienza
renale, era logico che le condividessero. Molte malattie
condividono questo quadro clinico.
2. Cisti della componente cortico-midollare. Noi sappiamo oggi
che questo non è un criterio dirimente e che molte di queste
malattie decorrono senza avere le cisti. Questo criterio che
allora le unificava, man mano che la casistica è cresciuta, si
è capito non fosse più un elemento che le poteva
accomunare.
3. Fibrosi interstiziale e atrofia tubulare. Sono due lesioni
istologiche, ma sono il punto di arrivo di molti processi
patogenetici che possono riconoscere una causa diversa.
Dire che nefronoftisi e malattia cistica della midollare hanno
queste lesioni istologiche in comune dice qualcosa, ma ciò
non è sufficiente per garantire autonomia nosologica alle
due patologie.
Inoltre, nefronoftisi e malattia cistica della midollare avevano tre caratteristiche che le distinguevano
profondamente:
1. Modalità di trasmissione: nefronoftisi autosomica recessiva; malattia cistica della midollare
autosomica dominante.
2. Di conseguenza, la nefronoftisi era una malattia pediatrica, tipica del bambino; la malattia
cistica della midollare era tipica dell’età adulta.
3. Queste malattie avevano entrambe una sintomatologia extrarenale. La malattia cistica della
midollare causava iperuricemia e gotta, la nefronoftisi causava degenerazione maculare, e
quindi retinite pigmentosa. Erano sì manifestazioni extrarenali, ma molto diverse tra loro.

Negli anni 1945-1995 si parlava di complesso nefronoftisi-malattie cistiche della midollare. Ci


stavano due malattie che oggi sappiamo essere diverse: la nefronoftisi, una malattia recessiva e di
interesse pediatrico, e la malattia cistica della midollare, malattia autosomica dominante dell’adulto
che ha una storia clinica completamente diversa. Pur essendo diverse si era deciso di unificarle
perché nessuno era in grado di dare un’autonomia nosologica a queste

1.4.1. Percorso storico


Il primo a parlare di nefronoftisi fu Fanconi (1951), un pediatra italo-svizzero che descrisse una
bambina di otto anni morta per una uremia terminale. La bambina era anemica, con reni piccoli, ed
istologie di atrofia tubulare e fibrosi interstiziale in seguito ad autopsia. Egli chiamò questa malattia

13
nefronoftisi, che significa “debolezza costituzionale del rene”. Sicuramente questa ragazza era nata
con una malattia che l’ha portata verso l’insufficienza renale in età cosi giovanile.
Nel 1945, 5 anni prima, negli USA, Smith aveva descritto un caso del tutto analogo ma all’autopsia
aveva trovato delle piccole cisti alla giunzione cortico-midollare. Egli chiamò questa malattia:
malattia cistica della midollare.
In letteratura, da ora in avanti, tutti coloro che trovavano un quadro analogo di fibrosi interstiziale e
atrofia tubulare associato a cisti chiamavano quei casi malattia cistica della midollare e coloro che
trovavano fibrosi interstiziale e atrofia tubulari non associate a cisti chiamavano quei casi
nefronoftisi. Discutevano quindi probabilmente della stessa malattia, alcune con le cisti e altre senza.
Oggi sappiamo che tutte le condizioni di insufficienza renale a lunga durata possono avere la
comparsa di cisti, che consideriamo quindi acquisite. Non riuscendo a mettersi d’accordo su
come chiamare questa condizione, tenendo conto delle descrizioni originarie, venne adottato il
termine complesso nefronoftisi-malattie cistiche della midollare.
Agli inizi degli anni ’70, la biopsia renale comincia ad avere un ruolo determinante nello studio delle
malattie renali. Una nefrologa francese, Habib, nel 1967, basandosi sull’istologia chiamò tutte queste
patologie nefronoftisi, non dando importanza al fatto che alcune erano patologie pediatriche e altre
adulte: dal punto di vista istologico, non c’era differenza e, visto che l’istologia aveva un ruolo
preponderante in quella fase storica, ella unificò entrambe le patologie sotto il nome di nefronoftisi.
Qualche anno dopo, però, inizia a comparire un numero sempre crescente di famiglie in età adulta
associate ad iperuricemia e gotta (complicanze extrarenali della
malattia cistica della midollare). La certezza che non sia la stessa
malattia comincia a farsi più importante e decidono che tutto sommato
è meglio tornare alla vecchia edizione: complesso nefronoftisi-
malattie cistiche della midollare.
Infine, nel 1993, arriva la rivoluzione della genetica molecolare: viene
mappato sul cromosoma 2 il locus delle forme pediatriche recessive
della nefronoftisi. Qualche anno dopo, verrà trovato anche il gene e
successivamente verranno identificate 17 forme diverse di quel gene,
tutte codificanti per proteine localizzate sulla struttura ciliare primitiva.
Ecco, quindi, che si scopre che la nefronoftisi è una ciliopatia, come
lo sono la malattia renale policistica autosomica dominante e la malattia
renale policistica autosomica recessiva. Un nefrologo tedesco, Hillebrand, identifica la quasi totalità
di questi 17 geni che causano la nefronoftisi.
E la malattia cistica midollare? Un nefrologo cipriota descrive in un piccolo villaggio di Cipro una
serie di famiglie con malattie cistiche della midollare con trasmissione verticale (autosomica
dominante), associate ad iperuricemia e gotta. Riesce a mappare sul cromosoma 1 il locus che
contiene il gene della malattia cistica della midollare associata ad iperuricemia e gotta. Quindi, non
solo si tratta di una malattia dominante, tipica dell’età adulta, associata ad iperuricemia e gotta, ma
origina anche da un gene diverso rispetto alla nefronoftisi. Non è quindi più possibile chiamarle
complesso nefronoftisi-malattia cistica della midollare. Le due malattie hanno un background
genetico completamente diverso. Il gene di queste famiglie cipriote localizzate su cromosoma 1
venne scoperto solo tre anni fa (ci è voluto tanto tempo perché questo gene è un gene molto
complicato da studiare con tecniche di genetica molecolare usuali). Questo gene si chiama
MUCINA1.
La malattia cistica della midollare associata ad iperuricemia e gotta è dovuta a mutazioni a
livello di MUCINA 1. Oggi sappiamo esistere una forma di nefropatia tubulo interstiziale autosomica
dominante dovuta a mutazioni di MUCINA 1. Tuttavia, come questa mutazione vada a determinare

14
nefrite tubulo interstiziale non è ancora noto. Si sa solamente che la mucina si accumula nei tubuli
distali, ma i meccanismi con cui determina fibrosi interstiziale e atrofia tubulare non si sanno.
ADTKD-MUC1 (autosomal dominant tubulo-interstitial kidney disease associata a modificazioni di
MUC1) è la seconda malattia tubulo-interstiziale più frequente, seconda a quella da uromodulina, e
sembra essere una malattia solo renale, anche se qualcuno ha descritto anche gotta e iperuricemia.

Nello stesso periodo delle famiglie cipriote, a Brescia sono state raccolte 4/5 famiglie con un quadro
di malattia cistica della midollare a trasmissione autosomica dominante. Studiata dal punto di vista
genetico, dopo aver escluso che si trattasse del gene mutato nelle nefronoftisi, ci si accorse che era
diverso anche dal gene sul cromosoma 1 dei ciprioti. Il gene mutato è stato individuato sul
cromosoma 16. Quindi, non solo la malattia cistica midollare era diversa dalla nefronoftisi, ma aveva
anche eterogeneità genetica: sono più di uno i geni che, quando mutati, sono responsabili della
malattia cistica della midollare. Oggi non si parla più di malattia cistica della midollare, ma di
nefropatia tubulo interstiziale
ereditaria autosomica
dominante associata a mutazione
di MUC1 o di un altro gene in
grado di dare malattia.
In Inghilterra, un altro nefrologo
degli anni 70, J. S. Cameron,
descrisse alcune famiglie inglesi
che definì essere colpite dalla
nefropatia iperuricemica
famigliare giovanile. La chiamò
diversamente, ma era sempre la
stessa malattia cistica della
midollare associata ad
iperuricemia e gotta, con la differenza che i pazienti affetti erano un po’ più giovani di quelli bresciani.
Infatti, negli anni 2000 si studiarono queste famiglie anglosassoni dal punto di vista genetico-
molecolare e si scoprì che il locus era molto vicino al locus delle famiglie bresciane (allora le tecniche
di ingegneria molecolare erano meno raffinate). Si ebbe la conferma che il locus fosse lo stesso, e
quindi che la malattia cistica della midollare associata ad iperuricemia e gotta e la nefropatia
iperuricemica famigliare giovanile venivano chiamate in due modi diversi, ma che in realtà fossero
la stessa patologia. Il gene mutato in queste patologie infatti era quello dell’uromodulina. Oggi,
queste due patologie sono chiamate nefropatie tubulo-interstiziali ereditarie associate a
15
mutazioni di uromodulina. L’uromodulina, scoperta negli anni ’50, è, in condizioni fisiologiche, la
proteina più frequente per presenza nelle urine. Non si sa ancora cosa faccia di preciso: si pensa
abbia un ruolo di difesa contro le infezioni o un effetto protettivo contro i calcoli renali. È
fondamentale per dare impermeabilità all’acqua nel tratto ascendente dell’ansa di Henle.

Si sta iniziando solo oggi a capire come il gene mutato causi nefropatie. L’uromodulina mutata si
accumula nel citoplasma delle cellule e accumulandosi determina una reazione infiammatoria con
conseguente necrosi cellulare, fibrosi ed atrofia tubulare. Iniettando in cellule epiteliali il costrutto
wild-type dell’uromodulina e quello mutato, si nota come l’uromodulina mutata abbia il trafficking
intracellulare modificato e rallentato. L’uromodulina normale, invece, viene prodotta nel reticolo
endoplasmico, va al Golgi per essere glicosilata, poi va in membrana, dove viene tagliata e cade
nelle urine. L’uromodulina mutata fatica ad arrivare al Golgi perché resta imprigionata nel reticolo
endoplasmico. Questo è il meccanismo patogenetico con il quale si determina la comparsa di fibrosi
interstiziale e atrofia tubulare.

Nel modello realizzato in vitro, dopo aver transfettato


l’uromodulina normale e l’uromodulina mutata, si nota
come nelle cellule con uromodulina mutata il trafficking
viene alterato: essa resta nella cellula e innesca un
meccanismo infiammatorio. Il modello murino, ha
dimostrato che, dopo essere stato transfettato di
uromodulina mutata, il topo sviluppava una nefrite
tubulo interstiziale uguale a quella documentata
nell’uomo.

16
Riassunto:
● Nefronoftisi è causata da 17 geni diversi, ed è una patologia autosomica recessiva.
● La malattia cistica della midollare (associata ad iperuricemia e gotta) e la nefropatia
iperuricemica famigliare giovanile sono entrambe varianti alleliche della stessa malattia: la
nefropatia tubulo-interstiziale associata a mutazione di uromodilina.
Quale è la differenza tra le nefropatie tubulo-interstiziali associate a mutazione di mucina o a
mutazione di uromodulina? Quella da uromodulina è più frequentemente associata ad iperuricemia
e gotta.
Esiste anche una nefropatia tubulo interstiziale ereditaria associata ad iperuricemia e gotta dovuta
a mutazioni del gene della renina. Se il gene è mutato in eterozigosi causerà la nefropatia e nel
bambino una severa anemia che scompare nel corso dell’adolescenza. A differenza delle altre
nefropatie di quella classificazione la diagnosi può essere anche pediatrica perché si scopre la
severa anemia (renina e angiotensina sono uno stimolo per la produzione di eritropoietina).

1.4.2. Nuova classificazione


Non si parla più di malattia cistica della midollare ma di nefropatia tubulo interstiziale ereditaria
associata a mutazioni della mucina, dell’uromodulina e della renina. È stato recentemente
scoperto un altro gene responsabile, HNF-1-BETA, gene importante perché controlla l’espressione
di una serie di altri geni. In origine era noto essere responsabile di un tipo di diabete nell’adulto
associato a cisti renali. La classificazione attuale è basata sul difetto genetico, non sulla clinica. Se
noi partiamo dal difetto genetico infatti riusciamo a comprendere la patogenesi della malattia in
misura molto migliore. Sappiamo quali pattern cellulari sono coinvolti e magari ragioniamo sulla
possibilità di modificare e interferire sulla progressione della patologia.
Con l’avvento della genetica
molecolare siamo stati in grado di
cambiare la classificazione delle
malattie cistiche e genetiche
ereditarie del rene: abbiamo da un
lato le ciliopatie (nefronoftisi, rene
policistico autosomico dominante
e rene policistico autosomico
recessivo); dall’altro lato abbiamo
le nefropatie tubulo interstiziali
ereditarie associate a mutazioni
della mucina, dell’uromodulina,
della renina e di HNF-1BETA.
17
Sbobinatore: L.P.
Revisore: M.G.
Materia: Nefrologia
Comunicazioni: Dato che il professore al 03/06 non ha ancora Docente: Scolari
caricato le lezioni sulla comunità didattica, questa sbobina Data:
Lezione n°: 8
corrisponde alla sbobina 6 dell’anno precedente, integrata con Argomenti: Nefropatie vascolari
le informazioni presenti nelle slide 11,12 e 14 , caricate nella
comunità
didattica.

NEFROPATIE VASCOLARI
Le nefropatie vascolari rappresentano una causa emergente di malattia renale cronica e IRC, soprattutto tra
gli over 65.
Si distingue innanzitutto tra:
1. nefropatie degenerative o non infiammatorie, di cui fanno parte tre quadri principali, anche
compresenti nel medesimo paziente, con peso relativo di volta in volta diverso:
- nefroangiosclerosi, secondaria all’ipertensione arteriosa;
- nefropatia ischemica o stenosi bilaterale delle arterie renali, legata alla localizzazione in
sede renale dell’aterosclerosi;
- malattia renale ateroembolica, complicanza dell’aterosclerosi renale. La causa è la
dismissione in circolo di piccoli emboli di cristalli di colesterolo da una placca
aterosclerotica ulcerata fino all’ostruzione delle piccole arterie (diametro 150mm), con
danno ischemico su base meccanica e da reazione infiammatoria.
2. Nefropatie infiammatorie sotto forma di vasculiti, in cui il danno vascolare è immuno-mediato.

1.1 Nefroangiosclerosi
Già da tempo si è a conoscenza del fatto che l’ipertensione è in grado di determinare un danno d’organo, tra
cui l’insufficienza renale secondaria a nefroangiosclerosi. D’altra parte, è anche vero il contrario e addirittura
una malattia renale primitiva è la più comune causa di ipertensione arteriosa non essenziale.

Si prospettano due possibili quadri patologici:


1. ipertensione arteriosa essenziale associata a danno d’organo renale, con il nome di
nefroangiosclerosi, per cui il rapporto di associazione non è necessariamente causale;
2. ipertensione arteriosa secondaria a malattia renale, definita ipertensione nefro-parenchimale, target
della reno-protezione, in base alla quale il controllo della PA, che è un fattore di progressione
autonomo di un danno a livello renale preesistente, risulta fondamentale.

L’ipertensione arteriosa essenziale ha come principali organi bersaglio i vasi, il cuore, il cervello, la retina e
il rene. Tuttavia, la sola ipertensione arteriosa non è sufficiente a determinare malattia renale cronica,
dovendo a questa sommarsi ulteriori fattori perché si instauri uno stato di nefroangiosclerosi.

Organi target del danno:


Cuore, (va in contro a ipertrofia ventricolare sinistra, definita cardiopatia ipertensiva)
Cervello (è possibile avere un danno celebrale acuto in corso di ipertensione molto severa)
Occhio (retinopatia ipertensiva)
Rene (nefropatia secondaria ad ipertensione arteriosa essenziale)

Pur con i limiti del caso, la diagnosi di nefroangiosclerosi è prevalentemente di tipo clinico e presuppone un
rapporto temporale di causalità tra ipertensione arteriosa e danno renale, comunque non sempre facile da
stabilire. La biopsia renale viene fatta solo nei casi in cui il risultato dell’esame possa radicalmente influire
sulla terapia, la nefroangiosclerosi però è una patologia che di solito decorre con un sedimento urinario poco
significativo e con una proteinuria modesta, ovvero condizioni che di solito non richiedono una terapia
nonostante sia presente una nefropatia glomerulare primitiva. La diagnosi clinica di nefroangiosclerosi
sovrastima di molto il numero di pz perché ci sono molte forme di nefropatie che possono avere un’altra
origine, come ad esempio il diabete o patologie che hanno ripercussioni a livello renale ma di lieve entità, le
quali hanno un decorso caratterizzato da un pattern urinario molto modesto e spesso sono associate anche
all’ipertensione quindi vengono erroneamente diagnosticate come nefroangiosclerosi.

1
Riassumendo, le caratteristiche tipiche che permettono di fare diagnosi clinica di nefroangiosclerosi sono:
1. quadro di ipertensione arteriosa che precede di anni l’esordio del quadro renale;
2. quadro urinario che permette di escludere una glomerulonefrite o di una glomerulopatia, situazioni
caratterizzate da ematuria e proteinuria di notevole entità.

Dati i limiti della diagnosi clinica, la biopsia renale risulta importante a fini diagnostici per escludere un
danno glomerulare primitivo (tipico della glomerulonefrite o di una nefrite interstiziale con fibrosi/atrofia
tubulare) e documentare l’alterazione delle arteriole di piccolo calibro, le arterie arciformi ed interlobulari, le
quali risultano ispessite e presentano un danno da ialinosi. D’altra parte, tali riscontri istologici potrebbero
essere giustificati semplicemente dall’invecchiamento delle arterie, quindi esprimere un invecchiamento
precoce dell’albero vascolare renale. Ulteriori elementi sono i glomeruli ischemici o obsolescenti,
iperplasia/ispessimento intimale, ialinosi e fibrosi intimale, ispessimento della media e restringimento del
lume vascolare.
La diagnosi non può prescindere dalla biopsia renale, però nel soggetto anziano o con comorbidità, una
manovra invasiva come la biopsia deve essere valutata non solo nella necessità di arrivare alla diagnosi certa,
ma è da considerare soprattutto se la diagnosi modifica radicalmente l’iter terapeutico. Ad esempio, in una
glomerulonefrite a carattere rapidamente progressivo la biopsia è indispensabile perché modifica totalmente
la scelta terapeutica, mentre lo stesso non vale in un quadro di vasculite.

Definizione clinica Definizione istologica

1.2 Fattori di rischio


Il professor Monasteri, tra i padri fondatori della nefrologia italiana, sosteneva che il danno renale da
ipertensione fosse causato dal barotrauma agente sulla parete vascolare soprattutto a livello delle arteriole
renali, con conseguente comparsa di iperplasia, ialinosi, ispessimento e quindi ipoperfusione glomerulare e
di obsolescenza dei glomeruli che diventano progressivamente sclerotici.
In realtà, oggi si è dimostrato che la sola ipertensione non è un fattore sufficiente a causare un danno
vascolare renale cronico.
Più recentemente, nuove acquisizioni hanno chiamato in causa nel danno vascolare renale:
• alterata regolazione renale 1
• predisposizione genetica, per cui gli afro-americani hanno un rischio di danno da ipertensione 6/8
volte maggiore dei caucasici
• basso numero di nefroni alla nascita, dal momento che i bimbi che nascono prematuri per patologie
della gravidanza o per denutrizione, hanno un maggior rischio di sviluppare un danno da
ipertensione arteriosa in età adulta
• Obesità
• Iperinsulinismo

1.3 Autoregolazione
La pressione intracapillare glomerulare resta costante in un ampio intervallo di valori di PAM, garantendo
una condizione per cui il rene riesce a fronteggiare sia ipertensione che ipotensione.
Se la pressione aumenta perché un soggetto è iperteso, l’arteriola afferente va incontro a vasocostrizione, con
l’obiettivo di mantenere costante la pressione di filtrazione del capillare glomerulare, cercando di diminuire
il danno legato allo stato ipertensivo sul capillare del glomerulo.

1
L’autoregolazione renale è quel meccanismo per il quale quando la PA aumenta, si ha una vasocostrizione riflessa dell’arteriola afferente per
mantenere costante le pressioni a livello renale. Quando invece la PA diminuisce l’arteriola si vasodilata per garantire che arrivi comunque un flusso
di sangue adeguato. È un meccanismo estremamente efficiente, variabile e geneticamente determinato.

2
Se la pressione diminuisce, come in caso di shock o disidratazione, l’arteriola afferente si vasodilata.
Se tuttavia il range di adattamento dell’autoregolazione viene modificato, si avrà la possibilità che il rene
vada incontro ad un’aumentata suscettibilità a sviluppare un danno renale sia acuto che cronico, soprattutto
qualora questa capacità sia persa per valori alti di pressione.
Un’alterata capacità del rene di regolare la vasodilatazione o la vasocostrizione in risposta alla diminuzione o
all’aumento dei valori di PA, ovvero se il meccanismo si attiva a valori di PA più bassi o più alti di quelli a
cui fisiologicamente dovrebbe attivarsi, può provocare un danno renale. Precisamente, un vasospasmo in
risposta a valori pressori elevati protratti nel tempo è responsabile di una ridotta perfusione renale e quindi di
un danno renale da ischemia.

Diversi studi hanno documentato come un’abnorme risposta autoregolatoria in soggetti geneticamente
suscettibili possa determinare una progressiva sclerosi del capillare glomerulare in conseguenza
dell’incapacità ad autoregolare il flusso plasmatico intrarenale. Ciò è stato studiato in due modelli animali:
- ratti naturalmente ipertesi e dotati di efficaci resistenze pre-glomerulari presso l’arteriola afferente
non sviluppano mai un danno renale grazie alla capacità di autoregolazione;
- ratti con ipertensione sodio-sensibile e sprovvisti di efficaci resistenze pre-glomerulari sviluppano
danno renale secondario all’ipertensione arteriosa perché l’autoregolazione è inefficiente e il
barotrauma si trasmette direttamente ai glomeruli.
La capacità di autoregolazione è quindi fondamentale e spiega come in alcuni casi il danno sia secondario
all’ipertensione, mentre in altri uno stato ipertensivo prolungato nel tempo non si accompagni ad un danno
renale.

1.4 Predisposizione genetica


Il ruolo della predisposizione genetica nel danno vascolare renale è stato oggetto di numerosi studi, a partire
dall’osservazione che gli afroamericani hanno un rischio relativo 6-8 volte maggiore di sviluppare IRC da
nefropatia associata a ipertensione rispetto ai caucasici.
Noto che esiste una predisposizione genetica a sviluppare ipertensione arteriosa, è stato dimostrato che anche
lo sviluppo di danno renale cronico riconosce un’indipendente base genetica. L’ereditarietà non è
mendeliana o monogenica (patologie in cui la trasmissione di un
gene determina la comparsa si una malattia), ma multifattoriale
(fattori genetici ed ambientali determinano congiuntamente la
comparsa di questa patologia).
Recenti studi sulla popolazione afro-americana hanno dimostrato
l’espressione di due varianti del gene APOL-1, dette G1 e G2, che
forniscono protezione dalla malattia del sonno2, provocata da
Trypanosoma Brucei e trasmessa dalla mosca tse-tse, ma al
contempo, quando in omozigosi, favoriscono la progressione
verso la nefroangiosclerosi e la malattia renale cronica, non solo

2
La malattia del sonno è molto diffusa nell’africa subsahariana. Inizialmente durante il primo stadio della malattia si riscontrano: febbre, mal di
testa, prurito e dolori articolari. Tali sintomi si presentano da una a tre settimane dopo il morso. Durante le settimane e i mesi seguenti ha inizio il
secondo stadio della malattia con confusione, mancanza di coordinamento, torpore e sonnolenza sempre più profonda, che con il tempo si
trasforma in vero e proprio coma. La diagnosi viene effettuata tramite il riscontro del parassita in uno striscio di sangue o nel fluido di un nodo
linfatico. Di solito è necessario effettuare una puntura lombare per distinguere tra il primo e il secondo stadio della malattia.

3
da ipertensione arteriosa ma anche da HIV.

1.5 Basso numero di nefroni alla nascita


In merito al basso numero di nefroni alla nascita, anche grazie a studi sulla popolazione aborigena
australiana, è ormai un dato acquisito che la prematurità predispone ad ipertensione arteriosa ed aumenta il
rischio di malattia renale cronica. Il minor numero di nefroni alla nascita determina un sovraccarico
funzionale, cioè iperfiltrazione, che nel tempo compromette la funzione renale.
Questo fattore è molto importante soprattutto nei paesi in via di sviluppo, dove la malnutrizione materna,
dovuta a povertà, o patologie pregresse determinano un ritardo nella crescita uterina. Nei paesi
industrializzati si assiste ad un innalzamento dell’età media della prima gravidanza con conseguente
aumento della frequenza delle gravidanze a rischio. Entrambe le condizioni esitano in parti pretermine con
neonati con basso peso alla nascita e basso numero di nefroni.

1.6 Obesità e iperinsulinismo


L’obesità è una patologia molto frequente nei Paesi industrializzati, dove si stima che il 30% della
popolazione sia obesa, e proprio all’Italia spetta il primato per numero di bambini obesi.
Dall’obesità discendono tre ordini di conseguenze principali, rappresentate da insulino-resistenza, elevata
attività simpatica ed infiammazione, il cui esito finale è un aumentato rischio di malattia renale cronica.

1.7 Epidemiologia
In merito all’epidemiologia, la nefroangiosclerosi si attesta come seconda causa di ricorso alla terapia
dialitica (30%), preceduta soltanto dal diabete (50%).
Dagli studi clinici sull’ipertensione arteriosa emerge come l’intervento terapeutico atto a controllare
l’ipertensione sia importante per ridurre il danno cardiovascolare, ma non riduce la frequenza del danno
renale. Mancano quindi evidenze definitive che dimostrino un’associazione incontrovertibile tra ipertensione
arteriosa non controllata e danno renale. La spiegazione risiede nel fatto che l’eccessiva diagnosi di tipo
clinico fatta negli USA induce a formulare diagnosi sbagliate (l’accuratezza è minore del 50%, forme
paucisintomatiche potrebbero essere misinterpretate). Possibili spiegazioni sono il non pertinente disegno di
studi con un breve follow-up, criteri diagnostici per nefroangiosclerosi non stringenti e presenza di altra
malattia renale. In conclusione, l’ipertensione è concausa di nefroangiosclerosi e malattia renale cronica, ma
non causa sufficiente.
In Italia, al termine nefroangiosclerosi si preferisce la definizione di nefropatia vascolare (circa il 25% dei pz
in dialisi ha nefropatia vascolare), considerando la possibilità che nello stesso soggetto, oltre a lesioni da
nefroangiosclerosi, coesistano lesioni date da ulteriori nefropatie vascolari, come stenosi da aterosclerosi e da
malattia ateroembolica.

Per concludere, la diagnosi è prevalentemente clinica, con inevitabili limiti: più si è stringenti con i criteri
clinici per porre diagnosi di nefroangiosclerosi, più si riduce la frequenza di errori.
Un dato essenziale è che l’ipertensione arteriosa preceda di molti anni, anche decenni, l’esordio del quadro
renale.
La diagnosi differenziale va fatta con la stenosi bilaterale delle arterie renali e malattia arteroembolica anche
se spesso questi quadri coesistono.

NEFROANGIOSCLEROSI MALIGNA
La nefroangiosclerosi maligna è un quadro caratterizzato da rapida
progressione del danno renale verso l’uremia e secondario all’ipertensione
arteriosa maligna, la fase di maggior severità di uno stato ipertensivo
basale.
Quest’ultima si manifesta con:
- valori pressori molto elevati (> 130 mmHg)
- emorragie ed essudati retinici
- encefalopatia ipertensiva dovuta ad un edema cerebrale.
Il quadro istologico della nefroangiosclerosi maligna mostra:
- necrosi fibrinoide di arteriole e capillari glomerulari con

4
endoarterite proliferativa ed ispessimento intimale;
- lesioni a bulbo di cipolla date da strati concentrici di collagene obliteranti il lume vascolare (si
tratta quindi di lesioni sovrapposte).
Il quadro clinico include:
- insufficienza renale acuta o a rapida progressione verso la fase terminale;
- ematuria e proteinuria;
- ipertensione refrattaria alla terapia.
Da molti anni non si presentano più casi clinici di nefroangiosclerosi maligna perché il trattamento
dell’ipertensione arteriosa è diventato più efficiente e più diffuso.

STENOSI DELL’ARTERIA RENALE


2.1 Definizione
Si definisce nefropatia ischemica una malattia renale cronica caratterizzata da una riduzione della
funzionalità renale secondaria a stenosi mono- o bilaterale dell’arteria renale: la stenosi renale è correlata alla
presenza di malattia renale cronica con insufficienza renale nel 30-40% dei casi.
Ancor più che la trombolisi, l’angioplastica ha radicalmente modificato la storia naturale dell’infarto del
miocardio, altrimenti gravato da una mortalità del 50%, rappresentando la prima scelta terapeutica in caso di
IMA. Diverso è il discorso relativo al trattamento della stenosi dell’arteria renale, come dimostrano i
seguenti casi clinici: è indubbio che una quota modesta di pazienti con stenosi dell'arteria renale può
beneficiare della rivascolarizzazione, ma è tuttora impossibile predire con certezza il successo della
procedura.

Caso Clinico 1
Uomo di 63 aa con ipertensione arteriosa si presenta in PS con angina. La coronarografia non evidenzia
stenosi critiche del circolo coronarico, mentre l’aortografia drive-by dimostra una stenosi bilaterale
dell’arteria renale >85%, stanti una creatininemia pari a 1,5mg/dL (VFG pressoché dimezzata) ed esame
delle urine negativo.
Nel sospetto di insufficienza renale secondaria a stenosi delle arterie renali, si decide l’inserimento di uno
stent per la rivascolarizzazione bilaterale. A distanza di pochi giorni, tuttavia, la creatininemia raggiunge 7
mg/dL, rendendo necessaria la dialisi e segnalando un’IRA post-rivascolarizzazione per malattia renale
ateroembolica. Infatti, essendo l’aortografia una procedura invasiva che prevede l’inserimento di un catetere
attraverso l’arteria femorale o brachiale e la risalita lungo l’aorta addominale fino alle coronarie, il rischio è
che il catetere urti placche aterosclerotiche instabili e ne provochi l’ulcerazione, con esposizione del core
lipidico direttamente alla circolazione arteriosa e dismissione in circolo di emboli di cristalli di colesterolo.

Caso Clinico 2
Uomo di 65 aa monorene, essendo il rene sinistro atrofico a causa di pregressa stenosi dell’arteria renale. gli
accertamenti dimostrano una stenosi dell’arteria renale destra >90%, stanti un esame delle urine negativo e
creatininemia pari a 2.0 mg/dL. Si procede quindi ad angioplastica per rivascolarizzazione, che si dimostra
efficace nel conservare la funzione renale anche ad anni di distanza.

Dati del 2002 stimano una prevalenza di stenosi dell’arteria renale del 7% tra gli over 65, percentuale in
aumento nell’ultimo trentennio e tra i pazienti con importanti comorbidità: il rischio di sviluppare una stenosi
dell’arteria renale è attorno al 10% in presenza di cardiopatia coronarica e al 20% in presenza di diabete
mellito.
In ogni caso, i dati epidemiologici variano sensibilmente in considerazione dei principali fattori di rischio, tra
cui età avanzata, sesso maschile, diabete, arteriopatie periferiche e coronaropatie. A sua volta, la procedura
diagnostica scelta è un ulteriore condizionante, per la sua specificità e sensibilità: così, ai fini dello screening
sulla popolazione generale l’ecocolordoppler è preferito all’arteriografia perché meno invasivo, seppur meno
sensibile. Tenendo conto del rapporto rischio-beneficio, la platea di soggetti da sottoporre a screening per
stenosi dell’arteria renale dovrebbe includere i pazienti con i già citati fattori di rischio per l’aterosclerosi:
- anziani con storia di comorbidità imputabile ad arteriosclerosi multidistrettuale;
- soggetti over 55 con ipertensione arteriosa acuta di nuova insorgenza;
- pazienti ipertesi improvvisamente refrattari alla terapia o con evoluzione verso ipertensione maligna;

5
- soggetti che sviluppano insufficienza renale progressiva legata a danno prevalentemente vascolare,
non glomerulare, per cui all’esame delle urine non si apprezzano proteinuria dosabile, micro- e
macroematuria;
- soggetti con asimmetria tra i due reni, ma anamnesi negativa per pregresse infezioni del tratto
urinario;
- pazienti. con soffio addominale mono- o bilaterale;
- pazienti con retinopatia severa.

2.2 Diagnosi e trattamento


Le metodiche a disposizione per la diagnosi di stenosi dell’arteria renale sono varie:
- scintigrafia renale con Captopril, utilizzata soprattutto in passato per riconoscere una stenosi
monolaterale da ipertensione reno-vascolare, condizione oggi di modesto riscontro rispetto a IRC da
patologia aterosclerotica. La contestuale somministrazione di un ACE-inibitore accentuava
l’eventuale asimmetria funzionale fra i due reni per effetto vasodilatatore prevalente sull’arteriola
efferente, più ricca di recettori per l’angiotensina, con conseguente riduzione della pressione di
perfusione intracapillare e quindi della funzione renale. D’altra parte, maggiore è il grado di
insufficienza renale (creatinina> 2-3 mg/dL), minore è la sensibilità del test (50-60%), motivo per
cui è stato abbandonato.
- Ecocolordoppler, quale metodica di screening grazie alla buona sensibilità (50-90%), ma non
sufficiente a porre diagnosi certa in quanto operatore-dipendente;
- TC;
- Angio-TC ed angio-RM, quali metodiche di secondo livello dotate di elevata sensibilità e specificità
(90-100%), con la possibilità di ricostruzioni tridimensionali. Le due permettono di valutare entità e
morfologia della stenosi, presenza di calcificazioni parietali, presenza di arterie renali accessorie e
perfusione dei reni. Oltre all’esposizione a radiazioni ionizzanti nell’angio-TC, la maggiore criticità
per entrambe è legata alla somministrazione di MDC, con effetto nefrotossico per l’angio-TC e
possibile causa di fibrosi nefrogenica sistemica per il gadolinio impiegato nell’angio-RM.
Quest’ultima fornisce inoltre dati circa la tensione parziale di ossigeno all’interno del parenchima e
la vitalità del tessuto, criteri importanti per un’adeguata programmazione terapeutica.
- Arteriografia, oggi adoperata a solo scopo interventistico per l’invasività, il rischio di malattia renale
ateroembolica e la nefrotossicità del m.d.c. iniettato per via intrarteriosa, che raggiunge la midollare
renale in tempi più rapidi e in quantità maggiore.

2.3 Storia naturale della stenosi delle arterie renali


Soprattutto in passato, prima dell’introduzione di ACE-inibitori, statine ed antiaggreganti, la storia naturale
della stenosi dell’arteria renale si caratterizzava per una graduale progressione sia anatomica, in termini di
diametro del vaso, che funzionale, in termini di VFG.
Secondo alcuni studi americani risalenti agli anni Settanta e Novanta, la RAS tende a progredire nel tempo
con un tasso dal 30% al 70%, proporzionale al grado di severità della stenosi Tali cifre sono state
ricalcolate da indagini più recenti: secondo uno studio della Mayo Clinic effettuato nel 2000, solo il 7% dei
soggetti con stenosi dell’arteria renale sviluppa insufficienza renale che richiede la dialisi, stante una
mortalità del 29%. Si evince che i soggetti affetti da RAS hanno una probabilità maggiore di morire per
eventi cardiovascolari legati all’aterosclerosi piuttosto che non per insufficienza renale e che il trattamento
della stenosi dell’arteria renale non sembra essere essenziale (considerando anche la probabilità di
complicanze dell’angiografia) considerata la maggiore probabilità di decesso per conseguenze della
patologia aterosclerotica in altre sedi.
Ulteriori studi evidenziano che la progressione della malattia renale aterosclerotica si possa stabilizzare,
contrariamente a quanto sempre sostenuto: è il caso di uno studio olandese degli anni 2000 (126 pazienti),
in cui si dimostra una sostanziale stabilità della funzione renale nel follow-up.
La spiegazione è nei benefici apportati dal trattamento con ACE-inibitori, statine ed antiaggreganti
piastrinici, che hanno mitigato la storia naturale della malattia.
Lo studio di un nefrologo di Perugia, Attilio Losito, ha valutato il peggioramento della funzione renale in
120 mesi su pazienti con RAS ed ipertensione arteriosa, che venivano trattati con ACE-inibitori. Negli anni
Novanta somministrare un ACE-inibitore ad un paziente con RAS era impensabile per l’effetto
vasodilatatore prevalente sull’arteriola efferente e quindi l’inadeguata pressione di perfusione glomerulare

6
con deficit della funzionalità renale ed immediato innalzamento della creatininemia. In realtà, si è visto che,
a fronte di un contestuale calo anche del 20% della funzione renale dopo somministrazione di ACE-
inibitore, sul lungo periodo il farmaco assicura sia il mantenimento della funzionalità renale che la
diminuzione del rischio cardiovascolare, smentendo un dogma accettato in passato.
Se è vero che la storia naturale della RAS è stata modificata dall’introduzione di terapie farmacologiche, in
particolare le statine, questa deve essere considerata malattia di pertinenza medica, non chirurgica.
Riassumendo, per decidere un eventuale trattamento della stenosi dell’arteria renale, bisogna ricordare che:
- la stenosi dell’arteria renale è una malattia progressiva la cui storia naturale è stata però
modificata dalle recenti terapie farmacologiche;
- è più probabile un decesso per eventi cardiovascolari secondari all’aterosclerosi che non la
necessità di dialisi per insufficienza renale terminale.
In generale, la sopravvivenza a 4 anni dei pazienti senza stenosi è dell’89 %., quella dei pazienti con stenosi
dell’arteria renale è del 57%, dato paragonabile alla mortalità dei pazienti con tumore del colon.

A lungo le opposte scuole di pensiero di emodinamisti e nefrologi hanno sostenuto rispettivamente


l’opportunità di un atteggiamento interventista e di un approccio “wait and see”. Oggigiorno, considerando
che molto spesso i pazienti non raggiungono uno stadio della malattia renale che giustifichi la necessità di
dialisi, si è oggi molto più prudenti nel decidere per una procedura interventistica invasiva e rischiosa.
I risultati dei primi studi retrospettivi illustravano che nel 70% dei pazienti la rivascolarizzazione non
determinava alcuna sostanziale modifica della funzionalità renale, nel 15% produceva un miglioramento e
nel 15% addirittura un peggioramento.
Più recentemente, lo studio italiano NITER (2007) conclude che non c’è alcuna differenza tra terapia medica
e rivascolarizzazione in termini di funzionalità renale, ma ha il limite di comprendere pochi individui. Alla
stessa conclusione pervengono nel 2009 gli studi STAR ed ASTRAL, a loro volta contestati per la modalità
di selezione dei pazienti e/o per il ridotto numero di pazienti (128 pazienti in totale, di cui 64 sottoposti a
rivascolarizzazione e 64 non trattati; 806 pazienti in totale, di cui 403 sottoposti a rivascolarizzazione e 403
non trattati. Da ultimo, lo studio Coral, terminato nel 2016, con la peculiarità di selezionare i pazienti in base
al gradiente pressorio a monte e a valle della stenosi misurato in corso di arteriografia, ancora una volta
smentisce i possibili benefici della rivascolarizzazione rispetto alla terapia medica.
Pur contestati dalla corrente degli emodinamisti quanto a correttezza metodologica, tali studi convergono nel
mostrare che più spesso l’intervento di rivascolarizzazione produce i medesimi risultati della terapia medica
ma con un carico maggiore di rischi per il paziente e solo in una quota minoritaria di soggetti, che peraltro
non è dato riconoscere a priori, reca benefici effettivi rispetto al solo intervento farmacologico.
Quattro sono le possibili spiegazioni al fatto che la rivascolarizzazione non produce benefici in un quadro di
stenosi dell’arteria renale:
1. il modello di Goldblatt, basato sull’osservazione nei casi che l’ipertensione indotta dal clampaggio
delle arterie renali scompariva alla rimozione delle clamps come se anche nell’uomo fosse possibile
correggere l’ipertensione ristabilendo la pervietà dei vasi, è in realtà inappropriato. Tale ipotesi non
tiene conto infatti del danno nefro-parenchimale già prodotto dall’ipoperfusione prima della
procedura, per cui è impossibile un recupero della funzione renale;
2. eventi di tromboembolismo sono causa di malattia renale ateroembolica, quindi IRA, a giustificare il
peggioramento clinico osservato in un 15%
dei pazienti;
3. tipo e sede della stenosi condizionano
significativamente l’entità del danno da
ipoperfusione e la difficoltà dell’intervento,
maggiori per una stenosi ostiale (a livello
dell’ostio dell’arteria renale, quindi molto
prossimale) che per una stenosi troncale;
4. relativamente all’entità della stenosi,
modificazioni emodinamiche significative
subentrano soltanto per stenosi >80%, limite
al di sotto del quale non è giustificato un
intervento di rivascolarizzazione.

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2.4 Trattamento
Sulla base di quanto esposto, la procedura di rivascolarizzazione è oggi riservata a pochi casi selezionati:
- pazienti con stenosi dell’arteria renale ed ipertensione arteriosa, ma funzione renale stabile, e
pazienti con RAS e IRC sono trattati con terapia medica;
- pazienti con malattia renale cronica che rende necessaria la dialisi o con embolia polmonare
ricorrente sono sottoposti a rivascolarizzazione.

MALATTIA RENALE ATEROEMBOLICA


Caso clinico
Uomo di 67 anni è ricoverato per crisi anginosa, stanti esami delle urine negativo e funzione renale nella
norma. In seguito a coronarografia per via femorale che rileva una stenosi critica, si procede ad angioplastica
con applicazione di uno stent. Il paziente viene dimesso in terza giornata in terapia con 𝛽-bloccante, ACE-
inibitore, ASA e Clopidogrel.
A distanza di 7 giorni, gli esami di controllo forniscono 1,8 mg/dL di creatininemia, equivalente ad una
riduzione di VFG del 60% circa, ed eosinofilia, per cui la variazione della funzione renale è attribuita a
reazione al m.d.c. usato per la coronarografia.
Trascorsi 14 giorni dall’intervento, l’uomo è ricoverato per crisi ipertensiva e reca una creatininemia pari a
5mg/dL ed accentuata eosinofilia, mentre l’esame delle urine si mantiene negativo. Rispetto a malattie
glomerulari in genere rapidamente progressive e con parametri alterati all’esame delle urine, il sospetto si
orienta verso una nefropatia tubulo-interstiziale o una nefropatia vascolare.
L’obiettività dimostra inoltre la sindrome delle dita blu, come vengono chiamate marezzature alle dita in
presenza di polsi periferici normali, dovute ad alterazione del microcircolo e non ad arteriopatia periferica.
La biopsia cutanea fornisce evidenza di spazi vuoti lasciati da emboli di cristalli di colesterolo nelle arteriole
del derma, dissolti al momento della fissazione del preparato.
L’ispezione del fondo dell’occhio rivela infine retinopatia ipertensiva di secondo grado ed emboli retinici.
L’insieme di tali elementi permette di porre diagnosi di malattia renale ateroembolica con insufficienza
renale subacuta (dopo 7 giorni). Se si fosse trattato di nefrotossicità del MDC iodato, la condizione si sarebbe
manifestata nell’immediato seguito dell’arteriografia e sarebbe regredita nel tempo, a meno di comorbidità
importanti.

3.1 Patogenesi
La patologia fu descritta per la prima volta nel 1862 dall’anatomopatologo tedesco Panum, al riscontro di
emboli di colesterolo nel miocardio del cadavere di un amico deceduto di morte improvvisa, ma solo negli
ultimi decenni del secolo scorso se ne è riconosciuto il peso clinico come complicanza dell’aterosclerosi.
Una placca aterosclerotica instabile è costituita da un sottile cappuccio fibroso attorno ad un voluminoso core
lipidico, che viene in diretto contatto con il torrente circolatorio allorché la placca si ulceri. Ne derivano
emboli di colesterolo con diametro di circa 150-200 mm che vengono trasportati dal flusso ematico fino ad
ostruire vasi di calibro minore a valle. La patologia è per definizione multisistemica, dal momento che
qualsiasi organo situato a valle del vaso ostruito può esserne coinvolto, ma non necessariamente sintomatica.
Il danno è duplice:
- ischemico su base meccanica, in fase acuta e legato all’occlusione, quasi sempre parziale, del vaso;
- infiammatorio, a distanza di un paio di settimane, legato a reazione ai cristalli di colesterolo
riconosciuti come non-self.

3.2 Clinica
Il rene è frequente organo bersaglio di malattia ateroembolica sia per la prossimità dell’organo all’aorta
addominale, sede preferenziale delle placche aterosclerotiche, sia per la cospicuità del flusso ematico renale.
La malattia renale ateroembolica esiste come:
- forma spontanea (24%), per naturale tendenza delle placche instabili alla rottura;
- forma iatrogena, oggi prevalente (76%) e riconducibile ad una delle seguenti eventualità:
o chirurgia vascolare: ad esempio, durante la correzione dell’aneurisma dell’aorta addominale,
il vaso deve obbligatoriamente essere clampato inferiormente all’emergenza delle arterie
renali (se questa procedura fosse eseguita superiormente all’emergenza dell’arterie renali,
allora i reni andrebbero incontro ad ischemia acuta), ma anche così la manipolazione del

8
vaso può causare la rottura delle placche e la liberazione di emboli con conseguente
insufficienza renale acuta da malattia ateroembolica.
o rivascolarizzazione endovascolare, poiché la risalita del catetere lungo l’albero arterioso può
determinare la rottura della placca;
o terapia anticoagulante, perché viene meno il trombo che mantiene una separazione tra core
lipidico e circolazione arteriosa;
o arteriografia e coronarografia.

La prevalenza della malattia aumenta con l’età e le comorbidità.


Nella metà dei pazienti con malattia ateroembolica si verifica un coinvolgimento renale:
- il più delle volte (57%) sotto forma di IR subacuta, sia per la concomitante reazione infiammatoria che
per le pousseés emboliche subentranti;
- sotto forma di IRA, dopo pochi giorni dall’evento precipitante e legata ad embolizzazione massiva
(27%);
- sotto forma di IRC stabilizzata (21%), quando la fase acuta passi inosservata e si instauri concomitante
nefroangiosclerosi, in assoluto la forma più difficile da riconoscere.

3.3 Istologia e storia naturale


Il quadro istologico renale mostra fessure biconvesse aghiformi che corrispondono agli spazi lasciati vuoti
dopo dissoluzione del colesterolo in corso di fissazione: il riscontro può interessare le arteriole arciformi, le
arteriole afferenti o i capillari glomerulari. Il riscontro di
emboli di cristallo all’esame del fundus oculi o alla
biopsia cutanea in presenza di sindrome delle dita blu, nel
contesto del quadro clinico e di rischio del paziente, ha
valore fortemente suggestivo di malattia atero-embolica,
con verosimile coinvolgimento renale.

Se un tempo la mortalità ad un anno era dell’80%, oggi,


grazie alla diagnosi precoce, sopravvive il 70% dei
pazienti e, tra questi, una quota variabile dal 20 al 60%
arriva a necessitare della dialisi, soprattutto tra i soggetti
con nefropatia di base avanzata. Inoltre, la prognosi per la forma acuta è peggiore di quella per la forma
subacuta, a sua volta peggiore di quella per la forma cronica, ed è tanto più grave in presenza di
manifestazioni extra-renali (es. sindrome delle dita blu, manifestazioni gastrointestinali e neurologiche,
eosinofilia).
Ad esempio, anche l’intestino può essere sede di malattia ateroembolica: la presenza di emboli di
colesterolo nelle ramificazioni delle arterie mesenteriche del sistema gastrointestinale provoca
manifestazioni gastrointestinali e questo rappresenta un segno sfavorevole, indicatore del fatto che la
malattia è più severa. Anche la mancata pregressa terapia con statine è un fattore prognostico negativo: di
fatto, tali farmaci hanno un effetto sia protettivo che preventivo, verosimilmente legato all’effetto
stabilizzante placca.
Secondo l’analisi multivariata di Cox i seguenti fattori condizionano in modo indipendente la prognosi:
- insufficienza renale più o meno grave preesistente all’episodio acuto di malattia renale
ateroembolica;
- età (fattore di rischio modesto);
- diabete mellito preesistente;
- scompenso cardiaco preesistente;
- tipologia di malattia renale ateroembolica diagnosticata (cronica, subacuta, acuta)
- localizzazione cerebrale, gastrointestinale o cutanea degli emboli.

3.4 Terapia
Attualmente, l’indicazione è a prescrivere sempre le statine in paziente con rischio cardiovascolare e storia di
aterosclerosi.
Recentemente, un gruppo di ricerca francese ha proposto:
- piccole quote di steroide come antinfiammatorio;
9
- dialisi in caso di quadro renale severo per controllare l’uremia e la volemia;
- sospensione della terapia anticoagulante;
- limitare l’utilizzo dell’arteriografia in pazienti non a rischio di morte.

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Comunicazioni: Dato che il professore al 03/06 non ha ancora Sbobinatore: M.D.
Revisore:I.T.
caricato le lezioni sulla comunità didattica, questa sbobina Materia: Nefrologia
corrisponde alla sbobina 14 dell’anno precedente, integrata con Docente: Scolari
Data:
le informazioni presenti nella slide 9, caricata nella comunità
Lezione n° 9
didattica. Le integrazioni sono riportate in corsivo. Argomenti: Sindrome di Alport

MALATTIE GLOMERULARI EREDITARIE: LA SINDROME DI ALPORT

1.1Introduzione
Definizione di sindrome di Alport: “Sindrome nefritica ereditaria con ematuria ricorrente associata a sordità
neurosensoriale”.

La sindrome di Alport è una patologia glomerulare ereditaria, caratterizzata da un quadro nefritico che
spesso va in diagnosi differenziale con le forme glomerulari primitive di sindrome nefritica, quali la
nefropatia a depositi mesangiali di IgA, la glomerulonefrite post streptococcica e altre.
Le sindromi nefrosiche ereditarie sono delle patologie rare che hanno permesso di modificare
radicalmente le conoscenze su come fisiologicamente avviene la filtrazione glomerulare, grazie alla
scoperta che determinate alterazioni in geni che codificano per proteine della struttura filtrante del
glomerulo potevano esitare in un’alterazione della permeabilità capillare glomerulare.
La sindrome di Alport è più frequente di quanto non si ritenesse in passato: il 30-40% dei pazienti che
arrivano alla prima osservazione dal nefrologo hanno già una malattia renale molto avanzata senza avere
una diagnosi di base; ad oggi l’evoluzione delle tecniche di biologia molecolare e l’introduzione della NGS
(next generation sequencing) hanno permesso di fare enormi passi avanti nella diagnosi delle patologie
renali già in stadio di insufficienza renale terminale, e quindi di dialisi, grazie alla possibilità di studiare
contemporaneamente più geni. Tali tecniche hanno consentito di identificare nel 20% dei casi una base
genetica per queste patologie, di cui la più frequente è la sindrome di Alport.
Essa prende anche il nome di malattia del collagene IV poiché è dovuta ad un difetto di sintesi di una
catena del collagene IV, costituente fondamentale della membrana basale glomerulare e di altri apparati.
Questa alterazione dà quindi luogo a una sindrome, perché non causa solo una nefrite ma crea anche
una compromissione di altri organi.
Venne descritta per la prima volta nel 1902 da Guthrie, medico ungherese che identificò un cluster
familiare di ematuria, e definì la malattia come ‘ematuria familiare congenita’. Nel 1923 Hurst descrisse
l’evoluzione ad insufficienza renale terminale della nefrite in numerosi membri della famiglia originaria. Nel
1927 Alport riportò la sordità neurosensoriale come componente di questa sindrome, dal momento che il
collagene IV è componente della membrana basale di molti altri organi, tra cui l’organo del Corti.

L’incidenza della malattia è circa 1 ogni 5 000 nati: si tratta, quindi, di una malattia rara. Negli USA il 3%
dei bambini e lo 0, 2% degli adulti in dialisi hanno come nefropatia di base la Sindrome di Alport, mentre
in Europa la percentuale si attesta intorno allo 0.6% della popolazione con IRT. A tale percentuale si deve
aggiungere anche il numero dei pazienti in cui la patologia non viene diagnosticata.

1.2 Patogenesi
Da un punto di vista fisiopatologico si tratta di un disordine che primitivamente colpisce la membrana
basale ed è dovuto ad un’alterazione dei geni che fisiologicamente codificano per più membri della famiglia
del collagene IV.
La membrana basale è assemblata attraverso una interazione tra collagene IV, laminina e proteoglicani.

Sono stati identificati 6 geni, COL4A1, COL4A2, COL4A3, COL4A4, COL4A5 e COL4A6, che codificano
rispettivamente per 6 diverse catene del collagene IV, da α1 a α6.
Tali catene di collagene IV sono organizzate a formare 3 set di triple eliche chiamate protomeri: α1.α1.α2
(IV), α3.α4.α5 (IV), α5.α5.α6 (IV).

A loro volta questi tre protomeri si combinano tra loro a due a due formando 3 set di esameri che vanno a
costituire il network della rete del collagene:
- α1.α1.α2 (IV) – α1.α1.α2 (IV)
- α3.α4.α5 (IV) – α3.α4.α5 (IV)
- α1.α1.α2 (IV) – α5.α5.α6 (IV)
I set di esameri sono più o meno rappresentati in determinati distretti dell’organismo:
- α1.α1.α2 (IV) – α1.α1.α2 (IV) sono localizzati in tutte le membrane basali dell’organismo per
cui una mutazione a carico di tali catene risulta letale
- α3.α4.α5 (IV) – α3.α4.α5 (IV) sono localizzati a livello della membrana glomerulare del rene,
polmone, orecchio e occhio
- α1.α1.α2 (IV) – α5.α5.α6 (IV) sono localizzati a livello di esofago, cute, muscolo liscio e capsula
di Bowman
Tali localizzazioni giustificano la sintomatologia extrarenale, come la sordità neurosensoriale e i difetti
della camera anteriore dell’occhio.
I geni che codificano per tali catene α isomeriche sono distribuiti su tre cromosomi diversi:
- COL4A1 e COL4A2 sono situati sul cromosoma 13
- COL4A3 e COL4A4 sono situati sul cromosoma 2
- COL4A5 e COL4A6 sono situati sul cromosoma X

1.3 Mutazioni COL


Per quanto riguarda mutazioni che interessano
COL4A1 e COL4A2 avremo sicuramente un
fenotipo letale. Mutazioni che coinvolgono
COL4A3 e COL4A4 possono dare origine ad una
forma autosomica dominante della patologia se la
mutazione è in eterozigosi, oppure ad una forma
autosomica recessiva se la mutazione è in
omozigosi o eterozigosi composta.
Infine mutazioni che interessano COL4A5 e
COL4A6 danno origine alla forma X-Linked, che
era la forma più diffusa e conosciuta in passato.
Fino a 20 anni fa non si sapeva che esistessero le forme di Alport dominanti e, quando un noto nefrologo
francese descrisse per la prima volta delle forme di nefrite ereditaria riconducibili a sindrome di Alport con
trasmissione autosomica dominante, nessuno diede importanza a tale scoperta.

1.4 Classificazione
Vi sono 3 forme di Alport:
1. S. di Alport X-linked (Alport classica)
2. S. di Alport autosomica recessiva
3. S. di Alport autosomica dominante.

1) X-linked: Per quanto riguarda la forma X-Linked, essa è caratterizzata da mutazioni a carico di COL4A5
e rappresenta l’80-85% dei casi di sindrome di Alport. Sono state identificate più di 300 mutazioni possibili,
di cui il 20% sono riarrangiamenti maggiori del locus di COL4A5, con delezioni che se molto ampie
possono interessare anche il locus di COL4A6, dando origine ad una forma particolare di sindrome di
Alport, associata alla leiomiomatosi; nella maggior parte dei casi si tratta però di mutazioni missenso, che
non portano alla sintesi di proteine funzionanti.
Per quanto riguarda il quadro clinico, esso è per definizione più severo dell’uomo mentre la donna nella
maggior parte dei casi si comporta semplicemente da ‘carrier’, con un quadro clinico tendenzialmente più
lieve. Tuttavia, questo non esclude che ci possano essere delle manifestazioni cliniche anche nella donna
poiché, per il fenomeno della Lyonizzazione del cromosoma X si ha l’inattivazione di uno dei due
cromosomi, indipendentemente da quale sia il portatore della mutazione; per cui il fenotipo clinico varierà
in base a quale cromosoma X viene inattivato.

2) Recessiva: è causata da mutazioni a carico di COL4A3 o COL4A4 (10-15% dei casi). Vi sono soggetti
che hanno due mutazioni in omozigosi (di solito ereditate da due genitori che sono tra loro imparentati) o
in eterozigosi composta (ereditano dai genitori non affetti due mutazioni diverse). Nelle forme recessive la
malattia è ugualmente severa nel maschio e nella femmina e il decorso è sicuramente grave (molto simile
al decorso nel maschio portatore di Alport X-Linked).

3) Dominante: la forma autosomica dominante, causata da una mutazione in eterozigosi, presenta un


fenotipo più mite e insorge più tardivamente. È determinata da mutazioni dei geni COL4A3 e COL4A4

Identificare il tipo esatto di mutazione e quindi la forma di Alport permette di ottenere una prognosi ben
definita. Alla luce di queste differenze è necessario effettuare una corretta anamnesi familiare in quanto
già dall’albero familiare si possono ricavare molte informazioni sia sulla severità della malattia che sulla
modalità di trasmissione. Ad oggi con la NGS si possono studiare interi pannelli di geni, velocizzando l’iter
diagnostico, mentre un tempo era necessario comunicare al genetista un gene alla volta, scegliendo quello
da cui partire in base a quello che più probabilmente era mutato in base alla modalità di trasmissione e al
fenotipo nel sesso in questione.

1.5 Manifestazioni renali della sindrome di Alport


- Ematuria: si tratta della prima manifestazione della patologia in tutti i pazienti; nei maschi con
forma X-Linked compare già in età pediatrica o perinatale (come microematuria nel maschio
dal primo anno di vita), tendenzialmente persistente nei maschi e intermittente nelle femmine;
nel 60-70 % dei casi si possono avere episodi di ematuria macroscopica in pazienti giovani,
che vanno in diagnosi differenziale con glomerulonefriti che danno come manifestazione una
sindrome nefritica acuta. Nella forma autosomica recessiva: ematuria persistente (micro e
macro) sia nelle femmine che nei maschi.
Per quanto riguarda l’ematuria, la Alport è a volte indistinguibile da una Nefropatia a depositi
mesangiali di IgA poiché anche questa può avere un andamento familiare: l’elemento che
permette di fare diagnosi differenziale è la presenza di ematuria già in età pediatrica poiché il
picco di manifestazione di ematuria dovuta a Nefropatia da IgA si verifica invece tra i 20 e i 40
anni.
- Proteinuria: inizialmente assente o molto modesta, compare tardivamente ed è espressione
del danno renale progressivo indotto dalla patologia e può arrivare anche al range nefrosico.
- Ipertensione: Aumenta in incidenza e severità con l’età.
- Insufficienza renale cronica:
L’evoluzione verso la dialisi e
l’insufficienza renale terminale
si osserva più frequentemente
nei maschi con forme X-
Linked e nei maschi e nelle
femmine con forma recessiva.
Tutti i maschi con Alport X-
Linked evolvono verso l’IRT
tra i 16 e i 35 anni d’età,
mentre nelle forme
autosomiche dominanti meno
pazienti sviluppano l’IRT e
l’evoluzione della patologia è
più lenta, diversamente nella forma recessiva possiamo avere uno sviluppo di IRT più
precocemente.
Nelle donne X-Linked dal punto di vista prognostico la forma è spesso benigna, nonostante una
percentuale di donne sviluppi un quadro clinico e una nefropatia molto più severa rispetto alla semplice
microematuria persistente e il rischio di sviluppare ESRD è tanto maggiore quanto più sono numerosi gli
episodi di macroematuria associati a fenomeni infettivi e accompagnati dalla contemporanea presenza di
sordità neurosensoriale.

1.6 Manifestazioni extrarenali della sindrome di Alport


- Sordità neurosensoriale: il riscontro di sordità neurosensoriale in un paziente con
microematuria persistente e con un noto cluster familiare di microematuria ci permette di
distinguere una forma genetica da una glomerulonefrite primitiva, importante per la gestione
della familiarità di tale patologia.
La sordità si sviluppa dal momento che la membrana basale è presente anche a livello
dell’organo del Corti, che subisce le conseguenze della mutazione sulle catene del collagene.
Il 50% dei pazienti maschi X-Linked mostra sordità neurosensoriale bilaterale all’età di 25 anni
per le frequenze comprese tra i 2000 e gli 8000 Hz. Non è mai presente alla nascita, si rende
evidente durante l’adolescenza e solitamente precede lo sviluppo di insufficienza renale.
- Difetti oculari: Il cheratocono si sviluppa nella camera
anteriore dell’occhio e l’associazione tra cheratocono e
microematuria deve porre il sospetto di sindrome di Alport.
Alcuni pazienti sviluppano anche delle altre alterazioni, quali
piccole granulazioni bianche e gialle intorno alla macula
(macular flacks) presenti nel 70% dei maschi nella forma X-
Linked. Il lenticono è una protrusione conica o sferica del
centro della superficie anteriore della lente nella camera
anteriore, si sviluppa tra la 2-3 decade e la distorsione del cristallino porta a crescente miopia.
- Leiomiomatosi: prevalentemente uterina, si osserva anche nel tratto gastrointestinale; è
chiamata ‘sindrome da geni contigui’ perché si sviluppa quando la delezione che colpisce
COL4A5 si estende anche su COL4A6.

Il professore ricorda l’episodio di una bambina di 8 anni, con microematuria persistente da anni, per la
quale gli venne chiesto di effettuare una biopsia renale, approfittando dell’anestesia effettuata per una
dilatazione esofagea. Tale esame veniva svolto perchè la bambina era stata sottoposta a rimozione di
alcuni leiomiomi nell’esofago. La madre riferisce di avere ricevuto in giovane età una diagnosi di nefrite a
depositi mesangiali di IgA; al tempo non era stata fatta la diagnosi con immunofluorescenza, esitando
quindi in una diagnosi errata: si trattava infatti di una sindrome di Alport associata a leiomiomatosi, sia
nella bambina che nella mamma, che all’età di 30 anni era stata sottoposta a sua volta ad un intervento
di rimozione di leiomiomi uterini.

1.7 Diagnosi
La diagnosi necessita di biopsia renale e in alcuni casi anche cutanea, il quadro alla microscopia ottica
non è dirimente cosi come l’immuofluorescenza, che non individua le IgA tipiche della nefrite a depositi
mesangiali di IgA, ma una immunofluorescenza aspecifica con IgM sul mesangio assolutamente
aspecifiche; tuttavia la presenza contemporanea di microematuria, proliferazione mesangiale e depositi di
IgM sul mesangio deve sempre far escludere di essere in presenza di sindrome di Alport.
L’esame dirimente per la diagnosi è la microscopia elettronica, che permette di rilevare inspessimenti
importanti a carico della membrana basale glomerulare, spesso alternati a slargamenti o assottigliamenti
della stessa. La microscopia elettronica è ormai un esame obsoleto che rimane però fondamentale in
nefrologia per lo studio della MBG in corso di sindrome di Alport, dove permette di confermarne
l’alterazione strutturale, e di un’altra patologia, la sindrome nefrosica da glomerulosclerosi focale
segmentale, dove questo esame permette di rilevare la fusione dei pedicelli, che se superiore del 70%
consente di porre diagnosi di una forma primaria di glomerulosclerosi focale segmentaria associata a
sindrome nefrosica, piuttosto che di una forma secondaria della stessa, in modo da poter evitare il
trattamento steroideo e immunosoppressivo, dal momento che tali forme primarie potrebbero andare
incontro a regressione.
Il percorso diagnostico prevede un’accurata anamnesi, che solitamente rileva una storia familiare positiva
di nefropatia; a questo punto bisogna capire se la nefropatia è di origine glomerulare o tubulo interstiziale.
Se tali nefropatie sono accompagnate da alterazioni urinarie persistenti, quali microematuria e proteinuria,
si è in presenza di una forma glomerulare di sindrome nefrosica; in caso contrario si riscontra una forma
tubulo interstiziale, come forme tubulo interstiziali ereditarie croniche o forme cistiche.
Il test genetico, che fino a qualche anno fa si riservava solo a casi specifici, anche per una questione di
costi, e che permetteva di cercare solo i geni responsabili della forma X-Linked, ad oggi si effettua molto
più di frequente perché permette la ricerca di tutti i geni COL4A2-3-5 che permettono di individuare tutte
tre le forme di Alport. Un altro motivo per cui è importante effettuare il test genetico è l’indicazione alla
terapia più corretta in ciascuna delle tre forme.
La biopsia cutanea è un esame poco invasivo che permette di andare a verificare la presenza di eventuali
alterazioni della membrana basale a livello cutaneo, dal momento che COL4A5 è espresso anche in
questo distretto. L’assenza, o la ridotta espressione, della catena α5 del collagene permette di confermare
una diagnosi di Alport X-Linked mentre non permette la diagnosi delle altre forme dal momento che le
catene α2 e α3 non sono espresse a livello
cutaneo. D’altro canto non possiamo escludere
una forma recessiva o dominante se abbiamo alla
biopsia cutanea un risultato di sostanziale
normalità.
Ad oggi comunque si tende sempre a fare biopsia
renale, seguita da microscopia ottica, che ci può
indirizzare poi verso la microscopia elettronica e
l’immunofluorescenza. Se microscopia ottica e
immunofluorescenza ci permettono di effettuare
una diagnosi certa, la microscopia elettronica non
si effettua; tendenzialmente tale procedura si
riserva ai casi dubbi, come nella sclerosi focale o
in alcune forme di nefropatia membranosa, per
localizzare gli immunodepositi, che se presenti
contemporaneamente in più distretti del glomerulo, sottoendoteliale, mesangiale e sub epiteliale, devono
porre il sospetto di una nefropatia membranosa secondaria di tipo lupico1.

1.9 Terapia
- Terapia farmacologica: Trattandosi di una patologia genetica ad oggi non abbiamo una cura
specifica; si utilizza una terapia reno-protettiva aspecifica, con ACE-inibitori e sartani, che
non sono in grado di modificare sostanzialmente la storia naturale della malattia, ma
permettono un miglioramento del quadro tanto maggiore quanto più precocemente si inizia ad
assumerli. Fino a qualche anno fa si somministrava anche la ciclosporina che diede
inizialmente dei buoni risultati, ma presto fu abbandonata, dal momento che i risultati a lungo
termine non erano quelli attesi. Ad oggi si spera nella terapia genica, ci sono dei nuovi farmaci
in sperimentazione, fermi ancora tuttavia alla fase I.
- Trapianto di rene: L’unico trattamento per i pazienti che giungono ad uno stadio di
insufficienza renale terminale rimane il trapianto di rene; questi pazienti, avendo sul rene nativo
una MBG alterata, possono sviluppare una nefrite da anticorpi anti-membrana basale
glomerulare sul rene trapiantato, che viene considerata, in quanto normale, come una struttura
non self; nella stragrande maggioranza dei casi questo rimane solo un reperto anatomo-
patologico, senza che si sviluppi il corrispettivo clinico, che tendenzialmente si osserva in una
percentuale esigua di pazienti. Tale caratteristica, riscontrata alle biopsie di protocollo post-
trapianto (una in condizioni basali, una dopo 6 mesi, una dopo un anno e una dopo tre anni),
non rende quindi la sindrome di Alport una controindicazione al trapianto.

Nel 15-20% dei pazienti con una EGSD di causa sconosciuta viene poi riscontrata una causa genetica e
di queste la maggior parte sono costituite dalla sindrome di Alport.

1
Nefrite lupica: La nefrite lupica è una glomerulonefrite causata dal lupus eritematoso sistemico. I reperti clinici
comprendono ematuria, proteinuria in range nefrosico e, negli stadi più avanzati, iperazotemia. (Da MSD Manuals).
EMATURIA FAMILIARE BENIGNA
Esiste un’altra forma di ematuria familiare, chiamata
ematuria familiare benigna, caratterizzata da un’ematuria
persistente che non evolve mai in IRT. La biopsia renale
mostra un assottigliamento della MBG, e per tale motivo
sono state chiamate forme di ‘nefropatie a membrane
basali sottili’. L’avvento della genetica molecolare ha
permesso di studiare queste forme e in un una piccola
percentuale di pazienti sono state trovate mutazione dei
geni del collagene IV in combinazioni diverse. (immagine a
fianco)
Oggi si può pensare che un portatore di mutazione di
COL4A3 e 4 potrebbe trasmettere la forma recessiva di
sindrome di Alport.

Il professore conclude dicendo che le patologie caratterizzate


da mutazioni su COL4A3-COL4A4 o su COL4A5-COL4A6
sono tutte considerate malattie del collagene IV, possono
intersecarsi in modo diverso ed esprimere un fenotipo
differente in base alla patogenicità delle mutazioni.

Questi argomenti sono già stati trattati dal professor Alberici nella lezione 4

SINDROMI NEFROSICHE EREDITARIE


2.1 Introduzione
Le sindromi nefrosiche ereditarie sono tendenzialmente di interesse pediatrico, ed è importante che siano
diagnosticate precocemente perché non rispondono alla terapia steroidea immunosoppressiva; possono
così essere evitate al bambino lunghe terapie steroidee che tendenzialmente si impostano in casi di
sindromi nefrosiche pediatriche; altro aspetto importante è che la diagnosi genetica permette di fornire un
genetic councelling adeguato.
L’identificazione dei geni che quando mutati danno origine a sindromi nefrosiche ereditarie ha permesso
di fare enormi passi avanti nello studio dei meccanismi che sono alla base della normale permeabilità
capillare glomerulare.
Queste malattie prendono il nome di podocitopatie, o malattie dei podociti, uno spettro di malattie che
comprende:
- minimal change desease, dove si rileva solo un’alterazione anatomo-patologica con fusione
dei pedicelli ma senza una riduzione del numero di podociti della MBG
- sclerosi focale segmentale, dove si osserva un progressivo distacco dei podociti dalla
membrana con conseguente morte degli stessi
- sclerosi mesangiale diffusa, con un aspetto di proliferazione importante
- glomerulonefrite collassante, anche qui si osserva la proliferazione

2.2 Struttura della barriera di filtrazione glomerulare


In passato si pensava che la barriera di filtrazione glomerulare fosse garantita da uno strato di cellule
endoteliali, che formavano un endotelio fenestrato, e dalla membrana basale glomerulare; ad oggi
sappiamo che la componente fondamentale di questo sistema sono i podociti, tenuti in sede da una
struttura fondamentale nel determinare la normale permeabilità del filtro glomerulare, che è il diaframma
fenestrato (slit diaphragm).
Queste informazioni sono venute alla luce grazie allo studio di malattie geneticamente determinate che si
associavano a sindrome nefrosica e che erano causate da mutazioni a carico di proteine dello slit
diaphragm.
Accanto a queste proteine che costituiscono il diaframma fenestrato, ne abbiamo anche altre che possono
rendersi responsabili, se mutate, di una proteinuria spesso nefrosica e possono essere costituenti della
struttura del citoscheletro della cellula podocitaria, per esempio le actine, o altre che fungono da canali.

2.3 Fisiopatologia:
Una delle proteine fondamentali è la
nefrina che costituisce la struttura del
diaframma fenestrato; se il gene che
codifica per la nefrina è mutato si avrà una
caratteristica sindrome nefrosica, definita
finnica poiché presente soprattutto in
Finlandia, caratterizzata da un’elevata
mortalità in passato, spesso anche in utero;
oggi, grazie alla dialisi peritoneale alla
nascita e un trapianto nei primi mesi di vita,
si riesce a garantire una qualità di vita
accettabile a questi pazienti.
La seconda causa più frequente di sindrome nefrosica ereditaria sono mutazioni a carico della podocina,
una proteina che fa da àncora sui podociti, che determinano un’alterazione della normale capacità di
filtrazione glomerulare.
Un'altra proteina importante è CD2AP, anch’essa fondamentale per la struttura del diaframma fenestrato,
che se mutata dà origine a sindromi nefrosiche in eterozigosi e pochi casi in omozigosi.

Altra proteina importante è l’α-actinina 4, principale costituente del citoscheletro dei podociti, che se
mutata determina la perdita della normale capacità di filtrazione della MBG.

Le sindromi nefrosiche ereditarie possono essere classificate in base alle strutture alterate:
1. Alterazioni dei componenti dello slit diaphragm
2. Assembraggio/funzionalità anormale del citoscheletro di actina
3. Espressione e localizzazione delle proteine di membrana
4. Fattori di trascrizione
5. Disfunzione di proteine citoplasmatiche: danno origine a malattie autosomiche dominanti
dell’adulto

2.4 Sindrome nefrosica di tipo finnico


Sindrome nefrosica autosomica recessiva caratterizzata da
una mutazione sul gene che codifica per la nefrina;
resistente alla terapia steroidea, normale trattamento di una
sindrome nefrosica pediatrica, necessita di dialisi
peritoneale alla nascita e trapianto nei primi mesi di vita. Se
non trattata conduce a morte entro il secondo anno di vita.
2.5 Sindrome nefrosica da
mutazione di podocina
Ereditarietà autosomica recessiva.
Dalla sbobina dell’anno scorso: si tratta
di una sindrome corticoresistente, ha
un’età di esordio tra i 3 mesi e i 5 anni,
è resistente anche al trattamento
immunosoppressivo con ciclosporina o
anticalcineurine e ha una rapida
progressione verso l’IRT. Il gene che
codifica per la podocina è chiamato NPHS2 ed è situato sul cromosoma 1.
2.6 Sindrome nefrosica da mutazione di CD2AP
Sono stati descritti dei casi sporadici ad esordio tardivo, forse favorito da una mutazione in eterozigosi e
qualche famiglia con mutazioni in omozigosi.
Dalla sbobina dell’anno scorso: CD2AP è una proteina citosolica espressa in tutti i tessuti. Mutazioni di
CD2AP sono state identificate in casi sporadici ad esordio tardivo in forma di eterozigosi: probabilmente
gioca un ruolo nello sviluppo della sindrome nefrosica poiché la sua mutazione espone maggiormente ad
alcuni trigger infettivi. Recentemente alcune mutazioni sono state identificate in omozigosi.

2.7 Sindrome nefrosica da mutazioni di α-actinina 4


Sono forme autosomiche dominanti, meno gravi, che insorgono tendenzialmente in età adulta.

2.8 Sindrome nefrosica da mutazioni della formina


Tra le forme autosomiche dominanti abbiamo anche la sindrome nefrosica da mutazione della formina, il
cui compito è dare stabilità all’α-actinina 4

2.9 Diagnosi
Nel bambino sotto l’anno di età, tanto più il bambino è piccolo tanto più è alta la probabilità che la sindrome
nefrosica sia dovuta ad una forma autosomica recessiva; mano a mano che ci allontaniamo dall’anno di
età invece diminuisce la probabilità che si tratti di una forma geneticamente determinata.
Si effettua sempre il test genetico se il paziente presenta una nota familiarità, poiché questo permette di
studiare un pannello ampio dei principali geni responsabili di sindrome nefrosica e quindi di individuare la
mutazione. Il test genetico è importante anche nel caso in cui non si trovino geni mutati tra quelli principali;
questo permette di identificare nuovi geni responsabili di sindrome nefrosica fino a quel momento non noti
grazie allo studio effettuato sull’intero genoma.

Più complicata è la gestione di un caso sporadico, ci si chiede quando debba essere fatto il test genetico;
la decisione viene presa sulla base di tre fattori:
- età di insorgenza della sindrome nefrosica,
- mancanza di risposta alla terapia steroidea,
- frequenza con cui le varie mutazioni sono responsabili di sindrome nefrosica.

Il bambino che sviluppa sindrome


nefrosica viene avviato a terapia
con steroide senza aver prima
effettuato la biopsia; se risponde
allo steroide non si tratta di una
forma geneticamente determinata;
se invece è resistente alla terapia
steroidea la probabilità che tale
forma sia genetica è molto elevata.
Il 66% dei casi di sindrome
nefrosica nel primo anno di vita
sono attribuiti da soli 4 geni:
NPHS1 (nefrina), NPHS2
(podocina), WT1 (tumore di Wilms)
e LAMB2 (nail-patelle syndrome). La sola mutazione della podocina è responsabile del 20% delle sindromi
nefrosiche corticoresistenti nei bambini, ragion per cui è d’obbligo effettuare un test genetico per la ricerca
della mutazione della podocina in un bambino che non risponde alla terapia steroidea. Nell’adulto invece
è insignificante tale ricerca dal momento che si tratta di una forma recessiva e la sua mutazione in
eterozigosi è estremamente rara.

È auspicabile che in futuro si possa avere la possibilità di svolgere il test genetico a tutti i bambini con
sindrome nefrosica ottenendo i risultati nel giro di pochi giorni in modo da poter impostare qualsiasi piano
diagnostico-terapeutico solo dopo aver ottenuti i risultati del test. Oggi questo non è ancora possibile sia
da un punto di vista di tempistiche ma anche di costi.

Si sottopongono al test genetico:


- Bambini di età inferiore ad un anno con sindrome nefrosica, prima di iniziare il trattamento
per evitare la terapia steroidea
- Bambini con sindrome nefrosica resistente agli steroidi dopo 4-6 settimane di trattamento.
Bisogna sempre ricercare la mutazione della podocina, nel frattempo li si può trattare con
ciclosporina o anticalcineurina.

Negli adulti con sclerosi focale segmentaria cortico- resistente non vale la pena effettuare un test genetico.
Le altre forme di sindrome nefrosica sono tendenzialmente rare e sindromomiche per cui si effettua il test
solo in presenza di segni e sintomi specifici di quella sindrome.
Sbobinatore: A.T.
Revisore: G.Q.
Lezione n°10
Materia: Nefrologia
Docente: Scolari
Argomenti: Nefriti tubulo interstiziali
acquisite, porpora di Schonlein-Henoch

Comunicazioni: data la sola disponibilità delle slide inerenti a questi argomenti è stata utilizzata
come base la lezione 10 di Nefrologia dello scorso anno, alla quale sono state aggiunte eventuali
integrazioni estratte dal materiale di quest’anno.
Per quanto riguarda la seconda parte della lezione (porpora di Schonlein-Henoch), si è deciso di
conservarla anche se non trattata nelle nostre slide.

NEFRITI TUBULO-INTERSTIZIALI ACQUISITE


Nelle lezioni precedente sono state trattate le nefriti tubulo-interstiziali geneticamente determinate
che comprendono principalmente il rene policistico, la malattia cistica midollare e la nefronoftisi.
Quando si parla di nefriti tubulo-interstiziali acquisite, invece, s’intendono nefriti tubulo-interstiziali
facenti parte di due gruppi principali: nefriti tubulo-interstiziali acute e croniche da infezione, che
tradizionalmente conosciamo come pielonefriti, e nefriti tubulo-interstiziali immunoallergiche,
che rappresentano un capitolo sempre più importante sia dal punto di vista quantitativo che
patogenetico. Le seconde sono forme prevalentemente dovute a farmaci che, con il loro impiego
sempre più elevato, possono determinare situazioni acute o addirittura croniche.
Oltre alle forme tossiche da farmaci ci sono poi anche quelle causate da metalli pesanti. Queste
forme sono in diminuzione, in quanto erano legate prevalentemente all’inquinamento degli
ambienti di lavoro, problema affrontato e tamponato in maniera significativa negli ultimi 20 anni. Un
esempio è rappresentato dalla nefropatia da piombo o da cadmio, che fino a 30-40 anni fa era una
patologia presente in tutti i paesi occidentali, ma che ora è in netta riduzione.

Sia le forme acute che quelle croniche di nefrite tubulo-interstiziale acquisita sono dovute ad una
infiltrazione interstiziale di tipo linfocitario e monocitario, la differenza tra le due sta nel fatto che:
- Nella forma acuta è presente edema;
- Nella forma cronica prevale la fibrosi interstiziale e l’atrofia tubulare.

Le forme acute sono per il 70% forme determinate da farmaci, seguite dalle pielonefriti e dalle
forme idiopatiche con patogenesi non nota. Esistono forme poi raramente riscontrate quali nefriti
tubulo-interstiziali associate ad uveite, con alla base meccanismi autoimmuni, oppure forme
associate a sarcoidosi, mancanti però del tipico interessamento polmonare.

1 Nefriti tubulo-interstiziali da farmaci


I farmaci implicati nella genesi di una N.T.I sono moltissimi. Alla base di questo tipo di NTI è
presente un processo patogenetico di tipo immunitario, motivo per cui le definiamo
“immunoallergiche”. In origine erano state descritte come una conseguenza della terapia con

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farmaci antibiotici, attualmente nella
letteratura sta invece emergendo
l’evidenza che la causa più frequente
siano farmaci usati sempre più spesso,
tra i quali i gastroprotettori. Quasi tutti i
farmaci possono determinare una N.T.I
da farmaci ed è per questo importante
non escludere mai a priori la
responsabilità di un determinato
farmaco. Per quanto riguarda la patogenesi si può dire che è una malattia secondaria a una
reazione immune, che coinvolge una piccola percentuale di pazienti, e che quindi non è dose-
dipendente e non è legata ad un effetto tossico prolungato; può essere associata a manifestazioni
extrarenali sistemiche da ipersensibilità come rash cutaneo ed eosinofilia. Una seconda
esposizione allo stesso farmaco può determinare una recidiva della malattia, in gioco vi è quindi
una immunità di tipo cellulo-mediata (linfociti t, monociti ed eosinofili nell’infiltrato infiammatorio
interstiziale) e questo è stato dimostrato da modelli animali sperimentali che confermano una
reazione immunitaria cellulo-mediata contro antigeni renali endogeni.

1.1 Quadro clinico


Quando il quadro clinico è completo è particolarmente caratteristico, il problema è che questo
avviene raramente. La patologia esordisce in pochi giorni o settimane dopo l’esposizione al
farmaco, con un improvviso e inaspettato deterioramento della funzione renale e sintomi generali
specifici di una reazione allergica come febbre, rash cutaneo, eosinofilia e artralgie, accompagnati
da un dolore lombare da distensione della capsula per edema interstiziale.

1.2 Esami di laboratorio


Gli esami di laboratorio segnaleranno un’IRA con aumento acuto della creatinemia plasmatica,
un’eosinofilia caratteristica e anche una eosinofilinuria, che raramente viene ricercata.
L’esame del sedimento delle urine presenterà proteinuria (<1g/die) e potranno essere presenti
cilindri leucocitari, globuli bianchi e globuli rossi.
Nelle NTI da farmaci si possono riscontrare inoltre segni di disfunzione tubulare prossimale e
distale (acidosi tubulare, glicosuria, aminoaciduria e isostenuria)
Una N.T.I dovuta ad un danno diretto alla cellula tubulare da parte di un farmaco, come possono
essere gli aminoglicosidi, causa un’IRA con esame delle urine non significativo; mentre in caso di
NTI su base immunoallergica, essendoci una reazione immunitaria importante l’esame delle urine
non sarà mai negativo, con proteinuria ed eosinofilinuria.
Vi è solo una condizione in cui è possibile riscontrare anche una proteinuria nefrosica ed è il caso
della NTI da FANS. In queste forme è possibile appunto trovare una proteinuria nefrosica da
minimal change disease (patologia idiopatica del rene, frequente in età pediatrica, che causa
sindrome nefrosica selettiva). Non si conosce ancora, però, il meccanismo patogenetico per cui i
FANS determinino questa forma particolare.

1.3 Presentazione clinica


In linea generale quasi tutte le NTI acquisite acute hanno un quadro di
presentazione clinica sovrapponibile con: nausea, vomito, malessere e
peggioramento della funzione renale. Le forme associate a farmaci,
avendo una componente immunoallergica, presentano inoltre sintomi
sistemici quali: febbre, eosinofilia e rash cutaneo.
Nel caso vi fosse evidenza della sintomatologia completa è facile porre
diagnosi. Il problema si pone quando si presenta un paziente con IRA
insorta in tempo breve di cui non si riesce a capire la causa. Diventa
quindi importante indagare con attenzione l’anamnesi farmacologica
per capire se sia stata causata da un particolare farmaco che il
paziente assume.

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1.4 Quadro Istologico
Il quadro istologico è molto caratteristico:
- Edema interstiziale;
- Infiltrato interstiziale di linfociti T e monociti;
- Tubulite (cellule infiammatorie invadono la membrana basale tubulare);
- Lesioni granulomatose specie in corso di sarcoidosi

Quando sono presenti lesioni granulomatose dobbiamo sempre pensare alla sarcoidosi, in quanto
esistono delle forme che hanno un interessamento renale precedente a quello polmonare tipico.
In queste malattie è possibile riscontrare popolazioni di eosinofili nella biopsia renale solitamente
molto rari ed in questo caso si può procedere al trattamento.

Per quanto riguarda il trattamento il primo step è quello di rimuovere immediatamente l’“offending
drug” ovvero il farmaco che determina l’NTI dal piano terapeutico.
Per impostare un corretto trattamento può essere utile una biopsia renale che aiuta a distinguere,
soprattutto in casi senza sintomatologia sistemica, tra forme da farmaci e, ad esempio,
glomerulonefriti.
Per quanto riguarda la terapia da assumere, benché non vi siano studi randomizzati e controllati, si
somministra Prednisone 1mg/kg per 2/4 volte alla settimana.

1.5 Fattori prognostici


Gli elementi che pregiudicano un corretto recupero della funzione renale sono:
• gravità dell’IRA, la severità della riduzione del GFR,
• severità del quadro istologico, dell’infiltrazione (diffusa vs locale), del grado di fibrosi,
• durata dell’IRA. Non sempre si ha, infatti, una restitutio ad integrum.

2. Pielonefrite Acuta
La pielonefrite è un’infiammazione della pelvi e del parenchima renale su base infettiva.
Solitamente la maggior parte dei processi infettivi coinvolgono le basse vie urinarie (es. cistite);
quando l’infiammazione interessa il parenchima renale, invece, il quadro clinico è più severo e si
utilizza il termine “pielonefrite”. Questo termine si utilizza ormai esclusivamente per forme di NTI ad
eziologia batterica o virale.
Gli elementi che intervengono nel determinare un’infezione a carico del parenchima renale non
sono ancora del tutto noti, sicuramente vi sono fattori legati alla virulenza dei batteri e alla capacità
di difesa dell’individuo, sono infatti forme tanto più frequenti quanto più alto è il grado di
immunodepressione di un individuo (il numero di individui immunodepressi è in continuo aumento
sia per varie forme di immunodeficienza sia per chemioterapia e utilizzo di farmaci steroidei ed
immunomodulatori per trapianti di organo). Un altro elemento estremamente importante nel rischio
di sviluppare un’infezione alta delle vie urinarie è la presenza di patologie malformative delle vie
urinarie.
Una pielonefrite è sempre espressione di una infezione complicata delle vie urinarie. Le condizioni
che si associano ad infezioni del tratto urinario complicate sono:
- Diabete: l’accumulo di glucosio favorisce la proliferazione batterica;

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- CAKUT (anomalie congenite dei reni e del tratto urinario) che favoriscono il reflusso
vescico-ureterale; allo stesso modo
anche una causa ostruente o un
trauma che da ostruzione delle vie
urinarie possono favorire
l’insorgenza di infezioni;
- Spina bifida;
- Gravidanza: si associa ad una
dilatazione e ad una ipotenia del
tratto urinario; in caso di batteriuria in
assenza di sintomatologia nel corso
di una gravidanza vi è indicazione al
trattamento.
- Catetere o stent;
- Rene policistico;
- Trapianto di rene;
- Condizioni che non favoriscono il
corretto svuotamento della
vescica;

Andando quindi ad indagare e risolvere queste situazioni è possibile ridurre la frequenza di


infezioni alle alte vie urinarie.

2.1 Epidemiologia
Non ci sono molti dati epidemiologici a riguardo. È
una patologia in incremento e non si sa bene il
motivo. La frequenza è molto maggiore nelle donne
rispetto agli uomini, mentre la gravità e la mortalità
sono maggiori nell’uomo, questo perché presenta
meno fattori di rischio ma quando presenti si
instaura una situazione predisponente decisamente
più severa che nelle donne.
Nei primi anni di vita non vi è una grande differenza
tra maschi e femmine e le cause predisponenti sono
le patologie malformative dei reni e del tratto urinario,
in particolare il reflusso vescico-ureterale.
Nell’uomo la frequenza di infezioni del tratto urinario
nel corso della vita è decisamente inferiore.
Il primo picco nelle donne si ha in relazione all’inizio
della vita sessuale e successivamente con le
gravidanze. Nell’uomo invece si ha un picco intorno ai
50 anni, quando si sviluppa un ostacolo modesto al
deflusso dell’urina dovuto all’ipertrofia prostatica
benigna.
Nelle donne che hanno avuto molteplici gravidanze è
importante indagare una condizione di possibile
prolasso vescicale che comporta un accorciamento
dell’uretra, condizione predisponente al reflusso
vescico-ureterale.

E. Coli è il batterio che determina la maggior parte dei


casi di infezione (70%); vi sono poi molti altri batteri,
principalmente Gram negativi, enterobacteriaceae e
Stafilococco.
Lo sviluppo di un’infezione del tratto urinario alto è
espressione della rottura di un equilibrio tra la capacità

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di difesa dell’organismo e la carica batterica e la virulenza di un batterio. Si possono avere
batteriemie anche in soggetti sani, si ha invece infezione quando la carica batterica e la virulenza
di un batterio o un virus prendono il sopravvento sul sistema immunitario dell’individuo.
Altro elemento da considerare è la resistenza agli antibiotici, un tempo si utilizzava il Bactrim, ma
in seguito a resistenza è ormai andato in disuso, attualmente si tende ad utilizzare antibiotici quali i
chinolonici ma negli ultimi tempi si stanno riscontrando resistenze anche ad essi.

Il nostro organismo possiede dei meccanismi di difesa ai batteri all’interno delle vie urinarie, tra cui:
- Eliminazione dei batteri attraverso la minzione;
- Proprietà antibatteriche dell’urina: acidità del pH urinario;
- IgA secretorie del tratto urinario;
- Esfoliazione cellulare
- Lactobacilli controllanti la crescita batterica;
- Proteina di Tamm-Horsfall;
- Ambiente vaginale e suo pH;
- Secrezioni prostatiche;

Pili e fimbrie sono fattori di virulenza, poiché condizionano la capacità dei batteri di aderire alle
cellule epiteliali, situazione permessa grazie anche alle adesine non fimbriate (proteine della
superficie batterica che senza avere delle fimbrie aderiscono a dei recettori della cellula epiteliale).
Spesso in casi di donne che hanno continui episodi di recidiva si riscontra la presenza di E. Coli
fimbriati (70% dei casi di pielonefrite) che nonostante la terapia antibiotica rimangono attaccati alle
cellule epiteliali, questi ceppi possono venire selezionati a causa di somministrazione di antibiotici
auto-prescritti. Il ricambio delle cellule epiteliali del tratto urinario è un fattore protettivo nei confronti
dei batteri.
Nella stragrande maggioranza le infezioni
avvengono per via ascendente, la maggior parte
di questi patogeni sono Gram negativi che
albergano in situazioni di normalità nel tubo
gastroenterico, soprattutto nell’intestino;
eccezionalmente si può avere una pielonefrite per
via ematogena, nel caso in cui un’infezione in
altra sede diventa sistemica, con batteri che
entrano nel sangue e secondariamente si
localizzano nel rene, è possibile si instauri, ma
non è la causa principale.
Esiste anche l’ipotesi di un passaggio di batteri
per via linfatica, soprattutto quando ci sono
ascessi retroperitoneali o flogosi a carico dell’intestino.
Essendo soprattutto infezioni per via ascendente, il reservoir di questi patogeni urinari è il tratto
gastroenterico. Le donne presentano un aumentato rischio di infezione del tratto urinario per una
serie di ragioni, sia anatomiche che ambientali: ridotta lunghezza dell’uretra, carenza di estrogeni,
rapporti sessuali, uso di spermicidi e l’impiego di diaframmi contraccettivi.
È sempre indicato fare un’urocoltura per impostare poi una terapia empirica.
Le anomalie anatomiche devono essere necessariamente indagate soprattutto nei bambini. I
nefrologi pediatrici sostengono che al primo episodio infettivo delle vie urinarie in un maschio sia
necessario eseguire una ecografia ed eventualmente una cistografia per escludere patologie
malformative. Nel caso di bambine femmine si aspetta ad eseguire un controllo ecografico dopo il
secondo o terzo episodio infettivo a seconda della gravità degli stessi. Solitamente il reflusso
vescico-ureterale va diminuendo con l’età, si tende quindi ad operare solo in situazioni limite di
reflussi vescico-ureterali di grado elevato.

2.2 Sintomatologia
Febbre, dolore lombare in corrispondenza dell’angolo costo-vertebrale, nausea e vomito
rappresentano la triade sintomatologica classica, sono i sintomi più comuni. La febbre può essere

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di tipo settico attorno ai 39-40 gradi. Nel caso
il processo fosse bilaterale si potrebbe anche
riscontrare una IRA.
Altri sintomi riscontrabili possono essere:
dolore al fianco, dolorabilità sovrapubica,
urgenza minzionale e minzione frequente
(assenti o presenti), macroematuria nel 30-
40% delle donne, IRA.
Nei bambini in particolare si hanno ritardo
nella crescita e problemi di alimentazione,
negli anziani variazione dello stato mentale.
L’esame delle urine può mettere in evidenza
una leucocituria e questo è importante per la
diagnosi.

2.3 Complicanze ed evoluzione


Un’infezione pielonefritica si può complicare, e la complicanza più grave è una sepsi sistemica che
può mettere a rischio la vita del paziente. Quindi quando è presente un quadro molto severo è
sempre indicata un’ospedalizzazione e una terapia antibiotica.
La pielonefrite acuta può poi evolvere determinando “scar pielonefritica”, fibrosi, deformazione di
calici e pelvi o diventare una pielonefrite cronica

2.4 Diagnosi
L’ecografia è considerata il primo step, una
diagnosi precisa di pielonefrite, però,
necessita di una TAC con mezzo di contrasto
poiché si riescono a visualizzare molto bene i
focolai di pielonefrite. A distanza di 3-4
settimane di terapia si esegue nuovamente
una TAC per verificare che i focolai si siano
ridotti o siano completamente guariti. La
sensibilità dell’ecografia è di gran lunga
minore a quella della TAC.
L’anatomia microscopica evidenzia
infiltrazioni di leucociti e neutrofili e la
raccolta ascessuale.

3 Nefrite tubulo-interstiziale cronica

3.1Pielonefrite Cronica
Solitamente una pielonefrite acuta viene trattata e guarisce. Vi sono situazioni in cui svariati
episodi di pielonefrite acuta possono esitare in una pielonefrite cronica. Cosa sia esattamente una
pielonefrite cronica è ancora argomento di dibattito, generalmente la si definisce come una
malattia infiammatoria cronica che presenta una sclerosi irregolare e determina deformazione dei
calici e del parenchima renale.
Spesso la pielonefrite cronica è di tipo ostruttivo o associata a reflusso vescico-ureterale.
Morfologicamente i reni sono caratterizzati dalla presenza di cicatrici (scar pielonefritica),
sclerosi/infiammazione, dilatazione o atrofia dei tubuli, sclerosi glomerulare segmentale focale
secondaria e fibrosi interstiziale.
Il quadro clinico è costituito da: insufficienza renale, ipertensione, reni grinzosi e disfunzione
tubulare con poliuria/nicturia. È stata anche riscontrata una correlazione tra ipoplasia renale
(riduzione del numero dei nefroni) e pielonefrite cronica, ma il meccanismo patogenetico che vi sta
alla base è ancora in corso di studi.

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3.2 Nefropatia Cronica Da Analgesici
Negli anni ‘70 questa era una causa molto frequente di dialisi, in particolare in Australia e nel Nord-
Europa (Olanda). In questi paesi c’erano alcuni centri dialisi in cui il 15% dei pazienti di sesso
femminile arrivavano alla dialisi con una diagnosi di nefropatia da analgesici. Erano solitamente
donne di 40-50 anni che soffrivano di cefalea e che avevano magari iniziato all’età di 20 anni circa
ad assumere analgesici, i quali contenevano una miscela di farmaci (aspirina, fenacetina, caffeina
e codeina) e il mix di questi farmaci determinava una tossicità renale in corrispondenza della
midollare del rene dando una nefrite a carattere progressivo se i farmaci non venivano sospesi. In
Italia i casi di nefropatia cronica da analgesici sono sempre stati molto pochi a causa della minor
assunzione di analgesici (per un minor sviluppo del paese e per la minor ricchezza). Un altro tratto
caratteristico era che questi pazienti oltre ad avere mal di testa avevano una sindrome depressiva
importante e può darsi che il clima italiano abbia tenuto lontano almeno una quota di sindromi
depressive, perciò anche per questo gli analgesici erano meno utilizzati.

Oggi la nefropatia cronica da analgesici non è più riscontrabile grazie alla rimozione di alcune delle
sostanze presenti in questi farmaci. Questo conferma che era l’associazione tra tutte le sostanze
che dava origine alla malattia e non le singole sostanze. Tutti questi farmaci, ognuno in maniera
diversa, determinavano una lesione ischemica della midollare del rene (danni al tubulo
interstiziale) che, se sufficientemente importante, determinava una vera e propria necrosi papillare
renale, documentata urograficamente (i pazienti giungevano all’attenzione del medico perché
avevano una sintomatologia di tipo colico). Questi pazienti andavano incontro anche ad un rischio
di tumore delle vie urinarie molto più elevato del normale, sempre imputabile all’assunzione di
farmaci analgesici.
Oggi questa patologia non esiste più come era negli anni ‘70, e gli analgesici sono stati soppiantati
dai FANS, i quali però, inibendo le prostaglandine, danno una insufficienza renale acuta perché
riducono la pressione intracapillare glomerulare. Perciò sicuramente i pazienti che assumono
FANS possono avere una insufficienza renale acuta, ed è possibile che possano sviluppare anche
una insufficienza renale cronica. Ciò che è certo è che molti dei pazienti con una malattia renale
cronica che usano i FANS con regolarità possono avere anche un danno acuto non più reversibile
(non tornano più alla funzione renale precedente). Esistono dei dubbi se i FANS assunti per lungo
periodo siano in grado da soli di determinare una nefropatia tubulo-interstiziale, ma non ci sono
ancora dati sufficienti al riguardo. Per tutti questi motivi sarebbe meglio evitare di prescrivere i
FANS a pazienti con insufficienza renale cronica.

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3.2.1 Presentazione Clinica
Anamnesi
• storia di dolore cronico, più spesso nelle donne
• personalità con tratti di dipendenza (introversione, psiconevrosi)
Clinica
• insufficienza renale cronica
• deficit concentrazione urinaria
• poliuria
• proteinuria tubulare a basso peso molecolare
• ipertensione
• anemia
• rischio di carcinoma transizionale
• stabilità GFR dopo sospensione farmaci
Anatomia patologica
• reni ridotti di dimensioni
• papille in vario stadio di necrosi
• distaccamento di porzioni di papille
• atrofia e distruzione dei tubuli
• fibrosi e infiammazione dell’interstizio
Evoluzione
• maggior rischio di aterosclerosi (anche stenosi arteria renale)
• maggior rischio di neoplasie uroteliali
Diagnosi
• storia di abuso di analgesici, associata a nefropatia cronica, aspetti radiologici di necrosi
papillare
• presenza di calcificazioni papillari e di necrosi alla urografia/tac. L’urografia mette in
evidenza reni ridotti di volume, calici smussati e dilatati, cicatrici sulla corticale.

3.3 Nefropatia cronica da sali di litio


I sali di Litio sono ancora oggi largamente impiegati dagli psichiatri in quanto sono degli
stabilizzanti del tono dell’umore (una volta venivano impiegati prevalentemente come
antidepressivi) e vengono utilizzati elettivamente nella sindrome bipolare. Il Litio ha però una
tossicità renale evidente e il consumo per lungo tempo da parte dei pazienti può causare
un’insufficienza renale cronica. I pazienti in terapia cronica con sali di Litio devono quindi essere
attentamente monitorati per il possibile sviluppo di una NTI. Di solito questi pazienti urinano e
bevono molto perché hanno una sindrome da perdita di sali e un diabete insipido nefrogenico e a
volte, dal punto di vista clinico, rappresentano una sfida importante per il nefrologo perché
sospendendo i sali di Litio si avrebbe una ricaduta importante dal punto di vista psicologico, perciò
in alcuni casi bisogna cercare di far coesistere una piccola dose di sali con una modesta
nefrotossicità tubulare. In questi casi è necessario un colloquio molto franco con il paziente ed una
stretta collaborazione con lo psichiatra.
La biopsia renale mostra fibrosi interstiziale e atrofia tubulare.

3.4 Nefropatia cronica da piombo


Una volta, quando le lavorazioni industriali impiegavano il Piombo (fonderie, miniere, verniciatori,
idraulici, produzione di batterie, peltro) i soggetti esposti a questa sostanza sviluppavano due
quadri molto caratteristici:
- Un’insufficienza renale da tubulo-interstiziopatia
- Una grave ipertensione arteriosa.
Questi erano i due segni caratteristici dell’intossicazione da piombo. Oggi la medicina del lavoro ha
abbattuto l’intossicazione da Piombo, perciò ormai questo è un problema molto poco sviluppato.

Le manifestazioni cliniche della nefrite interstiziale cronica da piombo sono:

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• insufficienza renale cronica
• proteinuria di piccolo peso molecolare
• sedimento urinario normale
• Ipertensione arteriosa
• Iperuricemia, gotta
Accompagnati da atrofia e fibrosi interstiziale dal punto di vista istologico.

3.5 Nefrite interstiziale cronica da erbe cinesi


In Belgio è stato rilevato tra i consumatori di erbe cinesi un’insufficienza renale acuta che poi con il
tempo è diventata un’insufficienza renale cronica. Alla base dello sviluppo della patologia vi è la
presenza nella pianta Aristolochia Clematis di Acido Aristolocico, un alcaloide mutagenico e
nefrotossico che è in grado di determinare una tossicità tubulare a carattere irreversibile. Provoca
infatti una fibrosi interstiziale con necessità di dialisi dai 6 ai 24 mesi e neoplasia uroteliali.
Le erbe spesso sono parte di diete dimagranti, perciò è importante consigliare ai pazienti di
informarsi sui contenuti delle tisane che si assumono in queste diete.

3.6 Nefropatia dei Balcani


Nefrite tubulo-interstiziale cronica di interesse esclusivo dei Balcani (Serbia, Romania, Bulgaria).
Inizialmente si pensava fosse una forma genetica, oggi invece si è più portati a pensare che sia
una forma ad eziologia multifattoriale in parte sconosciuta, dovuta sempre all’acido Aristolocico,
che potrebbe essere presente in quelle aree, in particolare nelle campagne.
Lesioni renali tipiche:
o atrofia tubulare focale, edema interstiziale
o infiltrazione di polimorfonucleati
o reni bilateralmente grinzi

Clinica:
o difetto concentrazione urinaria, acidosi tubulare distale
o evoluzione lenta progressiva: bassa esposizione ad acido aristolocico
o alta incidenza ca pelvi e uretere

PORPORA DI SCHONLEIN-HENOCH
Le vasculiti sono delle malattie infiammatorie dei vasi, si differenziano dalle malattie degenerative
dei vasi quali aterosclerosi e nefrangiosclerosi, che invece presentano un invecchiamento
accelerato dei vasi. Le vasculiti a livello renale vanno a colpire il ciuffo capillare renale, piccoli vasi
con funzioni modificate quali la filtrazione glomerulare. Se il processo infiammatorio a carico dei
vasi interessa proprio questi piccoli vasi, ecco che il rene diventa un organo elettivamente colpito
da un processo vasculitico.

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Distinguiamo tre diversi tipi di vasculiti:
- Vasculiti dei grossi vasi;
- Vasculiti dei medi vasi;
- Vasculiti dei piccoli vasi.

Il rene è colpito sempre o quasi sempre da vasculiti dei piccoli vasi, perché i capillari glomerulari
sono dei piccoli vasi, e talvolta anche da vasculiti dei vasi di calibro intermedio.
Le vasculiti più importanti sono quelle associate ad anticorpi specifici circolanti nel sangue:
anticorpi ANCA contro il citoplasma dei neutrofili. Esistono anche delle vasculiti non-ANCA
associate che possono determinare un coinvolgimento dei piccoli vasi, la più importante di queste
è la vasculite di Schonlein-Henoch. Trattando questa vasculite bisogna anche considerare la
nefropatia da depositi mesangiali di IgA, in quanto la porpora di Schonlein-Henoch è considerata la
variante sistemica della nefropatia da IgA.
La nefropatia da IgA è caratterizzata da una sindrome nefritica che si manifesta con episodi di
macroematuria ricorrente o di microematuria e proteinuria persistente, è la glomerulonefrite più
frequente al mondo. Se si effettua una biopsia è possibile riscontrare una proliferazione
mesangiale e dei depositi di immunoglobuline A nel mesangio.
La vasculite di Schonlein-Henoch è la vasculite più frequente nel bambino, ma può interessare
anche gli adulti. È una vasculite che si autolimita, ma può in alcuni casi avere un coinvolgimento
renale molto serio con proliferazione anche importante delle cellule del glomerulo. E’ considerata
una nefropatia da depositi mesangiali di IgA con manifestazioni extra-renali di tipo sistemico e la
tetrade completa con cui si manifesta è porpora, artrite o artralgie, dolore addominale e malattia
renale. Molto importante dal punto di vista sintomatologico è il coinvolgimento vasculitico
intestinale.
Essendo una vasculite dei piccoli vasi, il coinvolgimento glomerulare (composto unicamente da
piccoli vasi) è molto importante.
Questa sindrome fu per la prima volta descritta nel 1801 da Heberden, che identificò pazienti con
dolore addominale, feci ematiche, ematuria e “bloody points”. Solo nel 1837 Schonlein pose
l’accento sui dolori reumatici associati alla porpora, suggerendo la denominazione di Purpura
Rheumatica. Nel 1854, infine, Henoch sottolineò la contemporanea presenza di sintomi addominali
e coinvolgimento renale
E’più frequente in Asia e negli Afro-americani così come la nefropatia da IgA, ha andamento
stagionale, è molto rara durante l’estate perché si associa solitamente ad episodi infettivi.
E’ una vasculite da immunocomplessi, si trovano IgA nei glomeruli ma si trovano anche nei vasi
della cute dove si manifesta la porpora, è quindi una patologia immune IgA mediata.
La patogenesi propria di questa vasculite non è ancora nota ma si stanno compiendo studi sulla
nefropatia da IgA. Berger fu il primo a descrivere la nefropatia da IgA come una malattia che
presentava depositi mesangiali di IgA. Probabilmente è uno spettro di malattie unificate dalla
deposizione di IgA.

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Vi sono alcuni aspetti che differenziano la nefropatia da IgA da una vasculite da IgA (Sindrome S-
H):
• Età di insorgenza: il picco di incidenza della nefropatia a depositi mesangiali di IgA è tra i
20 e i 40 anni, mentre per la Sindrome di Henoch-Schönlein il picco è tra i 5 e i 10 anni di età;
• Sintomi extrarenali: la vasculite da IgA è una sindrome (insieme di segni e sintomi),
mentre la nefropatia da IgA è nella maggior parte dei casi mono-sintomatica;
• Evoluzioni verso l’insufficienza renale terminale: la sindrome di S-H evolve raramente
verso ESRD (2-10%), mentre ciò si verifica nel 20-40% dei casi di nefropatia da IgA.

1.1Patogenesi
Il tratto caratteristico della nefropatia a depositi mesangiali di IgA è che le IgA circolanti presentano
un difetto di glicosilazione nella regione cerniera: sono, infatti, IgA deficitarie di una molecola di
galattosio in questa regione. Questa alterazione comporta il mancato riconoscimento come self di
queste IgA, contro cui vengono prodotte IgG anti-IgA difettose. Si ha, quindi, la formazione di
immunocomplessi composti da IgA non glicosilate e IgG anti-IgA. Questi immunocomplessi si
depositano poi a livello del glomerulo.
Una serie di studi genetici hanno anche dimostrato che esiste un condizionamento genetico molto
importante nella Nefropatia da IgA, molto probabilmente condiviso anche dalla Sindrome di
Henoch-Schönlein. Uno studio genetico di associazione su tutto il genoma condotto alla Columbia
University ha dimostrato, infatti, che esistono una decina di loci di suscettibilità distribuiti su tutto il
genoma che codificano per il sistema HLA, per i fattori del complemento e per altri prodotti
fondamentali per la risposta immunitaria. La prevalenza della Nefropatia a depositi mesangiali di
IgA è associata alla presenza di questi fattori genetici. Questa malattia è, quindi, poco frequente in
Africa, dove il carico dei loci di suscettibilità è nettamente inferiore, mentre la prevalenza della
Nefropatia da IgA aumenta man mano che ci si sposta verso altre aree geografiche, dove la
rappresentazione dei loci di suscettibilità aumenta. In Italia la prevalenza della malattia è maggiore
al Nord.

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Questo potrebbe avere un valore anche per la Schonlein-Henoch, similmente la frequenza era
maggiore in Asia e minore in Africa e quidi quello che noi possiamo sapere della Schonlein-
Henoch è che ha un meccanismo patogenetico che richiama quello della nefropatia da IgA.

1.2Sintomatologia
La porpora di Schonlein-Henoch ha una tetrade molto caratteristica:

1. Porpora cutanea palpabile senza trombocitopenia e coagulopatia: solitamente la


porpora si manifesta come un’eruzione simmetrica che interessa gli arti inferiori, non il
tronco, dura dai 3 ai 10 giorni e può avere un andamento recidivante dopo intervalli di
tempo che vanno da pochi giorni a 3-4 mesi. Alla biopsia del tessuto cutaneo si presenta
un quadro molto caratteristico: vasculite leucocitoclastica con infiltrati neutrofili e linfocitari a
livello del derma e in corrispondenza della giunzione dermoepidermica riscontro di depositi
di IgA (questi ultimi confermano la diagnosi rendendo non necessaria la biopsia renale,
nonostante nell’adulto quest’ultima continui ad avere un ruolo importante per la valutazione
dell’entità della compromissione renale dal punto di vista istologico)

2. Dolori addominali: può essere davvero rilevante nel bambino, che spesso smette di
mangiare. Si tratta di una delle poche indicazioni alla terapia steroidea nel bambino,
soprattutto se non vi è coinvolgimento renale (in presenza di quest’ultimo lo steroide
avrebbe un ruolo diverso). Nausea e vomito possono accompagnare il dolore addominale:
a volte si presentano forme di ileo paralitico transitorio. Il quadro può diventare
estremamente grave nel caso in cui si manifestino intussuscezione, ischemia, emorragia e
perforazione (complicanze non frequenti)

3. Artralgie/artriti: si manifestano come tumefazioni articolari caratterizzate non da effusioni


di tipo emorragico ma di tipo sieroso. Si localizzano soprattutto a livello delle articolazioni
dell’arto inferiore (bacino, ginocchia e caviglie) e causano artralgia e difficoltà di movimento
nel paziente

4. Coinvolgimento renale (nelle forme più severe): può essere presente all’esordio ma
spesso si manifesta alcuni giorni dopo la porpora. Il quadro renale può essere molto
variabile: anomalie urinarie minime (microematuria, che non essendo sintomatica potrebbe
passare inosservata). La sindrome di S-H, insieme alla nefrite lupica e la glomerulonefrite
membrano-proliferativa, è una delle poche malattie che può dare un quadro clinico
associato di sindrome nefritica e sindrome nefrosica. La compresenza di sindrome nefritica
e nefrosica è un fattore prognostico sfavorevole rispetto allo sviluppo di insufficienza renale

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cronica (IRC). Ciò non significa che chiunque presenti un quadro severo avrà a negativo:
se, infatti, la terapia viene impostata precocemente, è possibile recuperare. Se, inoltre, la
sindrome S-H si presenta con IRA da sindrome nefritica, l’evoluzione è meno favorevole
rispetto ad un esordio con una funzione renale conservata. Anche valori di proteinuria
superiori a 1 g/die sono indicativi di una prognosi più sfavorevole. Il coinvolgimento renale
è, quindi, un indice di severità della malattia che deve indurre a ragionare seriamente su un
approccio terapeutico a base di steroidi. Nei bambini, secondo alcuni studi, la malattia
renale è presente nel 34% dei casi, mentre nell’adulto il tratto caratteristico è la maggior
frequenza con cui si sviluppa malattia renale terminale. Questi dati epidemiologici derivano
da dati retrospettivi, quindi è comunque difficile avere la totale certezza sulla loro
attendibilità. Si potrebbe, comunque, trattare, sulla base di quanto detto, di una forma di
IgA nephropathy con manifestazioni extrarenali

Per quanto riguarda le vasculiti ANCA-correlate si possono avere sintomi di interessamento


polmonare e del tratto genito-urinario, rari invece in caso di sindrome di Schonlein-Henoch.

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Durante il decorso della malattia il 100% dei pazienti sviluppa porpora, ma non necessariamente
questa rappresenta il segno iniziale (50-74% dei casi). L’artrite, invece, si presenta durante la
malattia nel 60-85% dei casi e solo nel 15-25% è il sintomo iniziale.

1.3Diagnosi, prognosi e terapia


In caso di paziente pediatrico con porpora bisogna sempre fare l’esame delle urine, poiché una
delle cause più frequenti di porpora nei bambini è la sindrome di Schonlein-Henoch.

La caratteristica diagnostica di questa porpora è che se si esegue un prelievo di cute e in seguito


si esegue una immunofluorescenza, si riscontrerà a livello della giunzione dermo-epidermica la
presenza di IgA. Una biopsia cutanea con queste caratteristiche è diagnostica di sindrome di
Schonlein-Henoch. E’ possibile fare diagnosi anche senza fare biopsia renale.
In caso invece di sindrome nefritica severa, persistente proteinuria o presentazione atipica la
biopsia renale è necessaria. La severità del quadro istologico ci può fornire indicazioni riguardo
alla terapia perché nella maggior parte dei casi di sindrome di Schonlein-Henoch in assenza di
quadri di coinvolgimento renale la malattia ha spesso una remissione spontanea e quindi si tratta
con una terapia palliativa. Se si ha un quadro renale importante con sindrome nefrosica e
sindrome nefritica o peggioramento della funzione renale può essere richiesta una terapia con
steroide e anche con immunosoppressori.

Dal punto di vista prognostico la sindrome S-H è una malattia benigna, con prognosi eccellente
soprattutto nel bambino. Più dell’80% dei bambini ha un episodio singolo e isolato che dura poche
settimane. Nel 10-20% dei casi, invece, si ha un andamento ricorrente a distanza di mesi: si
ripresenta la porpora e si può presentare il coinvolgimento renale. In meno del 5% dei casi si
manifesta una forma cronica di Sindrome di S-H.
La maggior parte dei pazienti non richiede una terapia impegnativa; tuttavia, trattandosi nella
maggior parte dei casi di bambini, non esistono studi randomizzati e controllati adeguati da cui
ricavare dati attendibili. La maggior parte dei pazienti vengono trattati con FANS, che sono in
grado di controllare il dolore addominale e in particolare quello articolare. Solitamente viene
utilizzato il Naproxene (10-20 mg/kg x 2/die), ma tutti i FANS sono in grado di controllare
adeguatamente la sintomatologia articolare e addominale.
Vengono usati uno steroide e un farmaco immunosoppressore in caso di presenza di sindrome
nefritica e sindrome nefrosica, e se alla biopsia si riscontra un quadro di proliferazione mesangiale
importante e di proliferazione extra-capillare.
Anche la sindrome di Schonlein-Henoch, così come la nefropatia da IgA, può recidivare in corso di
trapianto renale.

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Sbobinatore: RR
Materia: Nefrologia
Docente: Scolari
Data: 24/6/2020
Lezione n°: 11
Argomenti: dialisi peritoneale e trapianto di rene

DIALISI PERITONEALE

1.1 Definizione
La dialisi peritoneale è una metodica di terapia sostitutiva della funzione renale che usa il peritoneo
come membrana per effettuare scambi di soluti tra liquido peritoneale e sangue.
Il peritoneo è una membrana sierosa di origine mesenchimale; è formato da un foglietto viscerale e
uno parietale, contenenti liquido peritoneale. È costituito da tessuto connettivo su cui poggia il
mesotelio. Nel connettivo sono immersi i vasi sanguigni.
Il meccanismo con cui si effettua la dialisi peritoneale sfrutta un catetere posto all’interno del
peritoneo attraverso il quale viene iniettato il liquido dialitico e drenato il liquido peritoneale; il
peritoneo funziona da filtro tra liquido di dialisi da un lato e vasi sanguigni dall’altro. Quindi, sfruttando
i principi fisici di diffusione (convezione), si avrà uno scambio di elettroliti, tossine uremiche e acqua
tra peritoneo e sangue.

1.2 Meccanismo di depurazione della dialisi peritoneale


La depurazione del liquido sfrutta gli stessi meccanismi della dialisi normale: diffusione, convezione,
ultrafiltrazione (quest’ultima data da sostanze osmoticamente attive che fanno passare acqua dal
circolo al compartimento peritoneale).
Il sistema dializzante è formato da:
• Microcircolazione peritoneale
• Membrana peritoneale
• Flussi e volumi della soluzione
dializzante
Il flusso di sangue non è chiaramente
regolabile, quindi bisogna sfruttare al
massimo il contatto tra liquido e peritoneo;
inoltre, la membrana peritoneale, al
contrario del filtro, non è inerte, quindi può cambiare le sue caratteristiche di ultrafiltrazione, come in
caso di fibrosi o flogosi.
Quando si avvia la dialisi peritoneale, in seguito al posizionamento del catetere, le caratteristiche
della membrana peritoneale vanno valutate in base al test detto PET: peritoneal equilibration test;
quest’ultimo valuta la velocità con cui la creatinina passa da sangue a liquido dializzante e quella
con cui il gradiente di concentrazione del glucosio viene dissipato. Sulla base del test vengono
identificate tre classi di trasportatori: rapidi, intermedi, lenti.
Altro elemento importante sono le caratteristiche della soluzione dializzante:
• asettica, per eliminare il rischio infettivo,
• contenente sali, tamponi e un agente
osmotico che permetta l’ultrafiltrazione
(glucosio, amminoacidi, icodestrina).
Il tipo di sacca peritoneale utilizzata influenza
la capacità di ultrafiltrazione; nel grafico si nota
come il gradiente osmotico peritoneale vari in
funzione della variazione della concentrazione
di glucosio nella sacca. Le sacche possono
avere tre diverse concentrazioni di glucosio
(1,5% la più bassa, 4,5% la più alta); se la
concentrazione è alta viene dissipata più

123
lentamente; pertanto, quando usiamo la sacca di glucosio all’1.5% questa permetterà di filtrare
meno, per un tempo di 4 ore; mentre se la soluzione è più carica sarà possibile avere un’efficienza
di filtrazione maggiore, per un tempo maggiore. Tuttavia, aumentando il carico di glucosio aumenta
lo stress fisico cui la membrana peritoneale è sottoposta, con il rischio di esaurimento della sua
funzione. Quindi, l’obiettivo è cercare di ottenere il miglior risultato possibile con sacche alla minor
concentrazione.
Un altro concetto importante è che la dialisi peritoneale è una metodica di depurazione ematica
continua. Il liquido consente uno scambio continuo, mentre le altre sedute dialitiche standard sono
intermittenti, con una depurazione discontinua.

2.3 Descrizione del procedimento chirurgico


Elemento chiave della procedura è il posizionamento del catetere che deve garantire un accesso
peritoneale semplice, ripetibile e di lunga durata, deve consentire un adeguato flusso bidirezionale,
avere una buona tenuta idraulica per prevenire
la fuoriuscita di liquido verso l’esterno, creare
una barriera efficace tra esterno e cavità
peritoneale, resistere alla dislocazione, essere
costituito da un materiale stabile chimicamente
e fisicamente.
Caratteristiche del drenaggio:
• Tubo flessibile di silicone,
• Due cuffie di Dacron,
• Fori laterali nella sezione interna,
• Striscia radio-opaca che serve per
identificare il catetere in esami
radiologici.
Non tutti i pz. possono essere sottoposti a dialisi peritoneale; questo dipende dalle condizioni
patologiche preesistenti addominali che precludono la possibilità di posizionare il catetere.
Il catetere viene inserito, la cute viene suturata intorno al catetere, si crea un tunnel di passaggio nel
sottocute e viene fatto abboccare in un altro punto per evitare infezioni.
Esistono vari tipi di cateteri (es. cateteri arricciati), tutti caratterizzati da vari fori laterali per
massimizzare gli scambi.
Il catetere ha due cuffie per favorire l’ancoraggio al sottocute: le due cuffie stimolano una reazione
fibrotica che ancora il catetere.
Il posizionamento avviene in una zona declive dell’addome sia quando il pz. è in posizione eretta sia
quando è supino.
Le metodiche di dialisi peritoneale sono due:
• CAPD à metodica continua: il pz. fa 4 scambi al giorno. Scarica il liquido peritoneale
accumulatosi in addome all’interno della sacca di scarico e carica il peritoneo con nuovo
liquido che staziona per 6 ore.
• APD à richiede una macchina automatizzata, è fatta durante la notte e svolge gli scambi
automaticamente.
Ogni metodica ha pro e contro, ma in generale si deve ricordare che la CAPD è continua e a basso
costo, seppure abbia un alto rischio infettivo; l’APD, invece, consente maggior autonomia diurna,
riduce la pressione intraddominale e ha minor rischio di sviluppare ernie e di sovraccaricare la
membrana peritoneale.

2.4 Prescrizione della dialisi peritoneale e complicanze


Per la prescrizione si considerano il peso del paziente, lo stato di idratazione, la funzione renale
residua, lo stile di vita, la presenza di un caregiver, lo stato di ultrafiltrazione.
Il volume di scambio iniziale è di 2L.
La CAPD prevede quattro scambi diurni di minimo 3 ore e la APD diverse soste notturne con durata
totale di 8-10 ore.
Le complicanze della dialisi peritoneale sono:

124
• Peritonite à è la più frequente, consegue a penetrazione di batteri provenienti dal catetere
attraverso una breccia addominale. La diagnosi è svolta in base a sintomi suggestivi: dolore,
liquido torbido contenete globuli bianchi, test colturali positivi e febbre.
Si identificheranno batteri sia gram + (da contaminazione di germi cutanei), sia gram – (da
traslocazione di batteri urinari o residenti nel tubo digerente), raramente la contaminazione
può essere di origine fungina e richiede la necessaria asportazione del catetere.
• Infezione del tunnel sottocutaneo à è conseguente ad infezione di soggetti con
contaminazioni nasali.
• Malfunzionamento del catetere à si manifesta con drenaggio lento, di solito è associato a
stipsi, meteorismo, coaguli di fibrina all’interno del catetere (trattati con urochinasi) e
anomalie anatomiche.
• Leakage à fuoriuscita di liquido peritoneale a livello della cute; si sospende la dialisi
peritoneale e si passa all’emodialisi temporanea.
• Ernie e idrocele à per aumento della pressione intraddominale
• Perdita di ultrafiltrazione à gestita con modifica di tonicità delle sacche.

TRAPIANTO DI RENE

2.1 Definizione
È il miglior trattamento possibile come terapia sostitutiva della funzione renale nei pazienti con
insufficienza remale terminale. È caratterizzato da ridotta mortalità, morbilità e miglioramento della
qualità di vita, rispetto ai pazienti dializzati.
Ha un importante impatto sulla sopravvivenza del paziente; in particolare, rispetto ai pz. con dialisi,
abbiamo un significativo aumento dell’aspettativa di vita: se un pz. di 20 anni in dialisi ha
un’aspettativa di vita di 8 anni, lo stesso paziente con trapianto renale avrà aspettativa di vita di 17
anni. Con l’aumentare dell’età la distanza tra i due trattamenti però si riduce.
Il trapianto renale è un allotrapianto: tra individui della stessa specie, ma con patrimoni genetici
diversi; eterotopico: il nuovo rene viene impiantato in una sede diversa da quella dei reni nativi; non
è salvavita e può derivare da donatori viventi o deceduti.

2.2 Classificazione
Esistono due tipi di trapianto renale:
• Trapianto da donatore deceduto à viene distinto in:
o a rischio standard;
o a rischio non standard: il donatore è sano, ma potrebbe esserci un rischio legato al
trapianto (es. pz. che ha subito trasfusioni di sangue à rischio infettivo);
o donatore marginale (con età > 60 anni e fattori di rischio pericolosi: ipertensione e
diabete);
o donatore a cuore non battente.
• Trapianto da vivente à può essere:
o consanguineo
o non consanguineo
o in cross over: io dono a un consanguineo di un’altra persona e il mio parente riceve
dal consanguineo di quella stessa persona. (il prof. è stato poco chiaro)

2.3 Procedura chirurgica e controindicazioni


Il rene trapiantato non è posizionato in sede lombare, ma in fossa iliaca destra, o raramente in fossa
iliaca sinistra; l’arteria e la vena renale del rene trapiantato vengono anastomizzate con l’arteria e
vena iliaca del ricevente; l’uretere viene direttamente collegato alla vescica.
Contemporaneamente all’esecuzione del trapianto, i reni nativi possono essere o meno asportati
(es. nel rene policistico il posizionamento del trapianto non è possibile senza rimuovere i reni malati
per via dell’ingombro addominale).

125
Le controindicazioni si distinguono in:
• Assolute: neoplasie in atto, infezioni croniche non bonificabili, compromissione di altri organi
necessari per la vita: insufficienza cardiaca, cirrosi; incapacità di aderire alla terapia pre e
post trapianto.
• Relative: età avanzata, obesità, iperimmunizzazione: anticorpi contro strutture di possibili
donatori, malattia di base ad alto rischio di recidiva, precedenti fallimenti di trapianto.
Il rene trapiantato è bersaglio di una risposta immunologica che cerca di distruggerlo, perché visto
come non self. Per evitare il rigetto è necessario ricercare la miglior istocompatibilità fra donatore e
ricevente tramite lo studio di HLA-I e HLA-II; inoltre, attraverso la messa in atto di una terapia
immunosoppressiva, per inibire il rigetto senza compromettere troppo il funzionamento del SI.
Preparazione: il paziente candidato al trapianto dovrà essere valutato dal centro trapianti, che ne
accerta l’idoneità tramite esami strumentali ed ematochimici, è necessaria la tipizzazione degli HLA
(A B DR) e la definizione dello stato degli anticorpi anti-HLA.
Se idoneo entra in lista d’attesa; il tempo necessario per arrivare al trapianto è di circa 3 anni.
Nel caso in cui sia disponibile un donatore vivente si procede alla contemporanea valutazione del
donatore e del ricevente con esami ematochimici e strumentali.

2.4 Valutazione della compatibilità tra donatore e ricevente


Per valutare la compatibilità tra donatore e ricevente si devono considerare:
• Sistema AB0 à è il primo criterio da valutare; un’incompatibilità causa rigetti iperacuti, che
possono portare anche alla morte. Il trapianto AB0 incompatibile, in realtà, oggi è possibile
seguendo un adeguato protocollo di preparazione attraverso desensitizzazione.
• Antigeni HLA à sistema maggiore di istocompatibilità1; è un sistema codificato dal
cromosoma 6 altamente variabile. Esistono HLA di classe I (A, B, C), presenti su tutte le
cellule nucleate dell’organismo; HLA di classe II (DP, DQ, DR), presenti sulle cellule
presentanti l’antigene (APC: macrofagi, cell dendritiche, linfociti B e alcuni linfociti T), e di
classe III, che codificano per molecole che mediano la risposta infiammatoria.
Gli antigeni di classe I sono formati da due catene polipeptidiche: la catena pesante è
variabile ed è codificata dal cromosoma 6; la catena leggera (beta2 microglobulina) è
costante, non polimorfa ed è codificata dal cromosoma 15.
Quelli di classe II sono eterodimeri formati da due catene polipeptidiche variabili: alfa e beta.
Funzioni del sistema HLA:
o Avvio della risposta immunitaria, grazie alla presentazione degli antigeni ai linfociti T;
è responsabile del maggior numero di rigetti che si distinguono in:
§ Iperacuto à entro 24 ore dalla riperfusione
§ Acuto à entro l’anno
§ Cronico à conseguente a un danno tissutale anticorpo mediato continuo
La tipizzazione HLA può sfruttare metodiche sierologiche (es. microtossicità linfocitaria) e
molecolari (estrazione di DNA da sangue periferico).
La tipizzazione è fondamentale perché il grado di match tra donatore e ricevente influenza la
prognosi del paziente; se l’HLA è identico l’emivita del trapianto è di 24 anni; se ci sono zero
mismatch da cadavere è di 20 anni e poi a scendere.
• Anticorpi preformati contro gli antigeni HLA estranei a quelli del ricevente à può derivare
da precedenti trapianti, trasfusioni di sangue, parto.
Quando l’organismo entra in contatto con cellule non self può sviluppare degli anticorpi anti-
HLA che poi sono causa di rigetto del trapianto. Questo è il motivo per cui si devono limitare
le trasfusioni di sangue nei pazienti che devono essere sottoposti a trapianto. In generale,
nei giorni successivi alla trasfusione si ha un forte aumento di IgM anti HLA, molte
scompariranno ma alcune diventeranno IgG che permarranno nell’organismo.
I riceventi vengono studiati tramite: citotossicità complemento dipendente e metodo luminex:
ricerca IgG rivolte contro antigeni di interesse (es. anticorpi anti-HLA).

1
In realtà per complesso maggiore di istocompatibilità si fa riferimento al MCH, che viene distinto in classe 1 e 2; gli
HLA sono gli antigeni leucocitari umani che costituiscono i sottotipi di MHC presenti nella specie umana (Es. MHC 1 à
HLA-A, B, C). Il prof. ha spiegato come ho riportato sopra, ma per correttezza questa è la vera spiegazione.

126
2.5 Esecuzione del trapianto e complicanze
Il giorno del trapianto il pz. viene contattato dal centro trapianti, viene ricoverato e rivalutato: non
deve avere infezioni in corso e le condizioni cliniche devono essere stabili; quindi si esegue la
procedura chirurgica. Nel post-trapianto il pz. è ricoverato in terapia intensiva con stretto
monitoraggio della diuresi ed eventuale dialisi; inoltre, vengono somministrati farmaci
immunosoppressivi (terapia di induzione: intensiva, volta a ridurre l’attività del sistema immunitario
e di mantenimento) che prevengono il rigetto.

Complicanze precoci:
• Necrosi tubulare acuta à conseguente al danno da ischemia e riperfusione
• IRA à si risolve in 1-2 settimane
• Trombosi venosa o arteriosa à causa perdita del trapianto
• Fistola urinosa à causa urinoma (raccolta saccata di urina) che rende necessaria la
riparazione per via chirurgica
• Fistola linfatica
• Rigetto iperacuto

Complicanze tardive:
• Rigetto acuto e cronico
• Linfotossicità iatrogena dovuta ai farmaci immunosoppressori usati;
• Recidiva della malattia di base
• Glomerulonefrite
• Pielonefrite
• Stenosi dell’arteria renale significativa
• Nefrite interstiziale da poliomavirus
NB: le complicanze sono molto specialistiche, non devono essere ricordate tutte.

2.6 Rigetto del rene trapiantato


Il rigetto del rene trapiantato è l’espressione clinica o istologica di un insufficiente controllo della
risposta immune. Può riconoscere un meccanismo prevalentemente umorale o cellulare, o entrambi.
Momento chiave del rigetto è la presentazione degli antigeni del donatore ai linfociti T del
ricevente. Questo può avvenire tramite:
• Meccanismo diretto: le cellule APC del donatore presentano gli antigeni non self al
ricevente;
• Meccanismo indiretto: le cellule APC del ricevente presentano molecole del donatore a
cellule del ricevente.

La risposta alloimmune al trapianto si realizza in un modello a tre segnali:


1- La cellula dendritica del donatore presenta l’antigene alla cellula T del ricevente tramite il
complesso HLA.
2- L’attivazione della cellula T richiede un secondo segnale di costimolazione che si realizza
tramite il contatto con molecole presenti sulle APC (CD40, B7), e sui linfociti T (CD28,
CD154, CTLA-4). Nel linfocita attivato la calcineurina defosforila una serie di proteine NFAT
che attivano la sintesi di IL-2.
3- Si attiva una complessa cascata di chinasi e di fattori di crescita.

127
Il linfocita T va nel linfonodo e incontra le cellule APC, esse attivano le cellule T effettrici che vanno
di nuovo al rene colpendo l’antigene del donatore visto come non self.
Parallelamente, i linfociti B nel centro germinativo entrano in contatto con APC e cellule T e si
formano anticorpi contro l’antigene del donatore.
Il rigetto è diviso in:
• Acuto à prevalentemente cellulare; avviene entro 3-6 mesi. Si ha peggioramento funzionale
ed è necessaria la biopsia, che mostra: infiltrato interstiziale pleiomorfico di cellule
mononucleate, edema interstiziale, stravasi emorragici, tubulite e arterite. (molto
specialistico).
• Cronico à si manifesta nel corso del tempo; porta a un lento declino della funzione renale
con persistente infiltrazione interstiziale di linfociti T e macrofagi. Nel 5-6% dei casi si
manifesta la glomerulopatia cronica da trapianto.

Complicanze del ricevente:


• Complicanze infettive: soprattutto nei primi sei mesi, sono causate da CMV, Epstein Barr
virus, aspergillus candida, legionella, ecc.
• Complicanze cardiovascolari: rappresentano la maggior causa di mortalità nel ricevente. La
cardiomiopatia cronica e la cardiopatia ischemica sono spesso presenti in una percentuale
significativa di pazienti in fase pre-trapianto. L’individuazione e la correzione prima del
trapianto di un eventuale danno coronarico, il controllo dei fattori di rischio e la sospensione
degli steroidi aiutano a controllare questa complicanza.
• Neoplasie à sono dovute all’immunodepressione del ricevente;
• Complicanze minori: diabete mellito, pancreatite, aumentata frequenza di calcolosi.

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