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LINEA EDUCAZIONALE

Linee Guida EAU


sul Trapianto Renale

A cura del comitato SIU Linee Guida

COLLANE LINEE GUIDA - Edizione 2021


Il Comitato Linee Guida SIU
Responsabile Ufficio Scientifico e Supervisore
F. Porpiglia

Linee Guida Oncologiche Vice Coordinatore


G. Novara

Linee Guida Non Oncologiche Vice Coordinatore


A. Salonia

Panel
T. Cai
M. A. Cerruto
L. Cormio
M. Madonia
P. Verze
A. Volpe
Linee Guida EAU
sul Trapianto Renale
A. Breda (Chair)
K. Budde
A. Figueiredo
E. Lledó García
J. Olsburgh (Vice-chair)
H. Regele

Guidelines Associates:
R. Boissier
C. Fraser Taylor
V. Hevia
O. Rodríguez Faba
R.H. Zakri

Traduzione a cura di:


Coordinatore:
P. Ditonno
Hanno collaborato:
V. Li Marzi
S. Forte
F. Di Cosmo
R. Campi

Aggiornamento a cura di:


P. Verri
PREFAZIONE
Caro Socio,
con grande piacere presentiamo le nuove Linee Guida (LG) della nostra Società, traduzione inte-
grale autorizzata delle European Association of Urology (EAU) Guidelines 2021.

Come sai le LG sono raccomandazioni di comportamento clinico, prodotte attraverso un processo


sistematico, allo scopo di assistere medici e pazienti nel decidere quali siano le modalità di
assistenza più appropriate in specifiche circostanze cliniche. Esse permettono pertanto di “tra-
sferire” nella pratica clinica le conoscenze prodotte dalla ricerca scientifica e aiutare il clinico nel
processo decisionale.

L’argomento “Linee Guida” ha inoltre acquisito maggiore importanza alla luce dei recenti cam-
biamenti legislativi introdotti dalla Legge Bianco-Gelli (8 marzo 2017, n. 24 - G.U. 17 marzo 2017,
n.64), che proprio alle LG attribuisce un ruolo strategico nell’ambito della “responsabilità profes-
sionale degli esercenti le professioni sanitarie”.

Sinteticamente, la legge impone agli esercenti le professioni sanitarie di “attenersi alle raccoman-
dazioni previste dalle Linee Guida (LG) pubblicate da enti/istituzioni pubblici o privati o società
scientifiche iscritte in apposito elenco del Ministero”.

Anche alla luce di questo nuovo scenario legislativo è nata l’esigenza, all’interno della Società
Italiana di Urologia, di redigere nuove Linee Guida e inserire le stesse nel Sistema Nazionale Linee
Guida (SNLG), in accordo con quanto indicato nella Legge Gelli.
In quest’ottica, il Comitato Esecutivo SIU ha istituito un Comitato Linee Guida (coordinato dal prof.
Francesco Porpiglia), emanazione dell’Ufficio Scientifico. È apparsa subito logica e razionale la
decisione di optare per la traduzione in lingua italiana -peraltro condizione indispensabile per
l’inserimento delle stesse nel SNLG- delle LG EAU.
Il comitato LG ha identificato una serie di esperti responsabili della traduzione di ogni singolo ca-
pitolo, suddiviso per patologia in argomenti “oncologici” e “non oncologici”. Ciascun referente ha
creato un gruppo di lavoro che si è occupato della traduzione del capitolo assegnato, evidenzian-
do le possibili criticità dell’applicazione delle linee guida europee all’interno del nostro sistema
sanitario.

Ciascun capitolo è stato poi rivisto, per competenza, dai vice-coordinatori (i proff. Andrea Salonia
e Giacomo Novara) e dal coordinatore. La prima versione tradotta in italiano è datata 2018 e il pro-
cesso di traduzione è stato completato puntualmente e con elevati livelli qualitativi.
Per le successive edizioni, compresa questa del 2021, il Comitato Scientifico ha nominato un grup-
po di lavoro dedicato, coordinato dal prof. Cristian Fiori, che si è occupato della traduzione degli
aggiornamenti.

A rigore queste LG SIU non rispettano i requisiti indicati nell’art. 5 comma 3 della legge Gelli [..le
LG sono integrate nel SNLG…] e non hanno, ad oggi, quindi quel “valore medico-legale” auspicato

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dal legislatore e dal Comitato all’inizio di questo percorso.
Tuttavia, la legge prescrive che in assenza di LG pubblicate nell’SNLG (e ad oggi nessuna LG uro-
logica è inserita nel SNLG) si faccia riferimento alle “buone pratiche clinico-assistenziali”, senza
ulteriori chiarimenti. Se le LG qui presentate possono essere considerate “buone pratiche” sarà
oggetto di studio da parte di un pool di medici legali che collaborano con SIU.

Nel frattempo, riteniamo che le LG SIU, frutto del lavoro di decine di professionisti della nostra
Società, e il cui livello Scientifico è garantito da EAU, possano rappresentare un utile strumento
nella “vita quotidiana” del clinico. Le abbiamo pertanto rese fruibili, consultabili e scaricabili dal
sito web SIU in attesa che il loro “cammino” formale sia completato.

Buon lavoro!

Ufficio Scientifico e Comitato Linee Guida – Prof Francesco Porpiglia


Segretario Generale – Prof Walter Artibani
a nome del Comitato Esecutivo SIU

03
INDICE
1. INTRODUZIONE 07

1.1  Scopo e obiettivi

1.2  Composizione della Commissione

1.3  Pubblicazioni disponibili

1.4  Storia del documento

2. METODI 08

2.1  Introduzione

2.2  Revisione ed obiettivi futuri

3. LE LINEE-GUIDA 10

3.1  Il prelievo d’organo e la chirurgia del trapianto


3.1.1  Nefrectomia da donatore vivente
3.1.2  La preservazione dell’organo
3.1.2.1  Soluzioni di conservazione del rene e conservazione a freddo
3.1.2.2  Durata della conservazione dell’organo
3.1.2.3  Metodi di conservazione del rene: conservazione statica e dinamica
3.1.3  Biopsie del rene del donatore
3.1.3.1  Le biopsie acquisite
3.1.3.1.1  Background e valore prognostico
3.1.3.2  Tipologia e dimensioni dei prelievi bioptici
3.1.3.3  Sintesi delle evidenze e delle raccomandazioni
3.1.3.4  Biopsie a tempo zero
3.1.4  Trapianto del rene da donatore vivente e da cadavere
3.1.4.1  Aspetti anestesiologici e peri-operatori
3.1.4.2  Emodialisi preoperatoria
3.1.4.3  L’intervento chirurgico nei pazienti che assumono farmaci anti-aggreganti e
anticoagulanti
3.1.4.4  Quali misure dovrebbero essere adottate per prevenire la trombosi venosa, inclusa
la trombosi venosa profonda, durante e dopo il trapianto di rene?
3.1.4.5  Che ruolo ha la terapia antibiotica peri-operatoria nel trapianto di rene?
3.1.4.6  Che ruolo hanno la somministrazione di fluidi secondo schemi specifici durante il
trapianto di rene ed il monitoraggio della pressione venosa centrale nel ricevente?
3.1.4.7  Che ruolo hanno i farmaci dopaminergici, la furosemide o il mannitolo nel trapianto
di rene?
3.1.5  Approccio chirurgico nel primo, secondo, terzo e successivi trapianti
3.1.5.1  Trapianto singolo di rene, da donatore vivente e cadavere
3.1.5.2  La chirurgia robot-assistita del trapianto di rene
3.1.5.3  Doppio trapianto di rene
3.1.5.4  L’impianto dell’uretere in una via urinaria fisiologica
3.1.5.5  Trapianto/impianto ureterale in pazienti con anomalie urogenitali
3.1.6  Complicanze nel donatore
3.1.6.1  Complicanze a lungo termine
3.1.7  Complicanze nel ricevente
3.1.7.1  Complicanze generali
3.1.7.2  Emorragia
3.1.7.3  Trombosi arteriosa
3.1.7.4  Trombosi venosa
3.1.7.5  Stenosi dell’arteria del rene trapiantato
3.1.7.6  Fistole artero-venose e pseudo-aneurismi post biopsia del rene trapiantato
3.1.7.7  Linfocele
3.1.7.8  Fistola urinosa
3.1.7.9  Stenosi ureterale
3.1.7.10  Ematuria
3.1.7.11  Reflusso e pielonefrite acuta
3.1.7.12  Calcolosi renale
3.1.7.13  Infezione della ferita
3.1.7.14  Ernia incisionale
3.1.8  Neoplasie maligne e trapianto renale
3.1.8.1  Neoplasia maligna antecedente il trapianto
3.1.8.1.1  Nel ricevente
3.1.8.1.2  Nel potenziale donatore
3.1.8.2  Neoplasia maligna successiva al trapianto
3.1.9  Matching di donatori e riceventi
3.1.10  Immunosoppressione dopo trapianto renale
3.1.10.1  Inibitori delle calcineurine
3.1.10.2  Micofenolati (MPA)
3.1.10.3  Azatioprina
3.1.10.4  Steroidi
3.1.10.5  Inibitori del target dei mammiferi della rapamicina
3.1.10.6  Induzione con anticorpi del recettore dell'Interleuchina-2
3.1.10.7  Terapia di induzione con deplezione delle cellule T
3.1.10.8  Belatacept
3.1.11  Complicanze immunologiche
3.1.11.1  Rigetto iperacuto
3.1.11.2  Trattamento di rigetto acuto mediato dalle cellule T
3.1.11.3  Trattamento del rigetto anticorpi mediato
3.1.12  Follow-up dopo il trapianto
3.1.12.1  Disfunzione dell'allotrapianto cronico/fibrosi interstiziale e atrofia tubulare

4. BIBLIOGRAFIA 50

5. CONFLITTI DI INTERESSE 72

6. INFORMAZIONI SULLE CITAZIONI 73


Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021

1.  INTRODUZIONE
1.1 – Scopo e obiettivi
Il Panel delle Linee Guida “Trapianto Renale” della Società̀ Europea di Urologia (EAU) ha l’obiettivo di fornire
una panoramica degli aspetti medici e tecnici del trapianto renale. Bisogna porre l’accento sul fatto che le
linee guida presentano le migliori evidenze disponibili, ma seguire le raccomandazioni delle linee guida non
risulterà̀ necessariamente nel migliore esito possibile. Le linee guida non possono rimpiazzare l’esperienza
e la pratica clinica quotidiana nella scelta dei trattamenti per ogni singolo paziente, ma piuttosto aiutare a
prendere decisioni obiettive, pur sempre tenendo in conto i propri valori e le proprie preferenze, nonché́ le
singole circostanze ed il singolo paziente in questione. Le linee guida non sono ordini e non rivendicano di
essere uno “standard of care”.

1.2 – Composizione della Commissione


Il Panel delle Linee Guida “Trapianto Renale” della Società Europea di Urologia (EAU) è un gruppo multidisci-
plinare internazionale composto da chirurghi urologi, nefrologi ed anatomopatologi. Tutti i membri del panel
coinvolti nella stesura di questo documento hanno firmato una dichiarazione relativa ai potenziali conflitti
di interesse; tale dichiarazione può̀ essere consultata sul sito web EAU alla pagina: http://www.uroweb.org/
guideline/renal-transplantation/.

1.3 – Pubblicazioni disponibili
È disponibile une versione per la consultazione rapida (Pocket Guidelines), sia in versione cartacea sia in ver-
sione elettronica per i dispositivi mobili (iOS e Android). Queste sono versioni sintetiche che possono richie-
dere contestualmente la consultazione della versione integrale. Tutti i documenti possono essere consultati
sul sito EAU, alla pagina: http://www.uroweb.org/guideline/renal-transplantation/.

1.4 – Storia del documento


Le linee guida del “Trapianto renale” sono state pubblicate per la prima volta nel 2003, con aggiornamenti nel
2004 e nel 2009. Un aggiornamento delle linee guida del 2009 è stato pubblicato nel 2017. Questo documen-
to è un aggiornamento completo della versione del 2017 delle linee guida concernenti il “Trapianto Renale”.

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Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021

2.  METODI
2.1 – Introduzione
Per le linee guida “Trapianto Renale” del 2021 sono state raccolte e individuate nuove e rilevanti evidenze
scientifiche mediante una valutazione strutturata della letteratura. È stata eseguita una ricerca bibliografica
ampia e completa tra le pubblicazioni disponibili tra il 31 maggio 2018 ed il 1° aprile 2020. Sono state iden-
tificate, selezionate ed analizzate per rilevanza un totale di 1,202 pubblicazioni. Per l’esecuzione di tutte le
ricerche, sono stati utilizzati i database Medline, EMBASE e le librerie Cochrane. Le strategie di ricerca sono
disponibili online alla pagina: http://www.uroweb.org/guideline/renal-transplantation/.

Ogni raccomandazione all’interno delle linee guida è accompagnata da un sistema di rating (forza della racco-
mandazione), che si basa sulla metodologia GRADE modificata [1,2]. Ogni raccomandazione prende in consi-
derazione una serie di elementi chiave:

1. la qualità complessiva delle evidenze esistenti per la raccomandazione, i riferimenti usati nel testo
sono stati classificati secondo il sistema modificato dall’Oxford Centre for Evidence-Based Medicine
Levels of Evidence [3];

2. la magnitudine dell’effetto (effetto individuale o combinato);

3. la certezza dei risultati (precisione, consistenza, eterogeneità̀ ed altri fattori statistici o correlati allo
studio);

4. un equilibrio tra risultati desiderati ed indesiderati;

5. l ‘impatto dei valori e delle preferenze del paziente sull’intervento;

6. la certezza dei valori e delle preferenze del paziente.

Questi elementi chiave costituiscono la base che il Panel ha utilizzato per definire la forza di ciascuna racco-
mandazione, definita dalle parole “forte” o “debole” [4]. La forza di ciascuna raccomandazione è determinata
dal bilancio tra le conseguenze desiderabili e indesiderabili delle strategie di cura alternative, dalla qualità̀
delle evidenze (compresa la certezza delle stime) e dalla natura e dalla variabilità̀ dei valori e delle preferenze
dei pazienti. I moduli di valutazione della forza di raccomandazione saranno disponibili online.

Ulteriori informazioni sono disponibili nella sezione “Metodologia generale” di queste linee guida ed online
sul sito web di EAU alla pagina http://www.uroweb.org/guideline/. Un elenco delle associazioni che raccoman-
dano l’uso delle linee guida EAU è disponibile online all’indirizzo sopra indicato.

2.2 – Revisione ed obiettivi futuri


Questo documento è stato “peer reviewed” prima della pubblicazione, nel 2017. Tutte le informazioni tratte
da revisioni sistematiche sono state altresì “peer-reviewed”.
I risultati delle revisioni sistematiche completate e di quelle in corso saranno inclusi nell’aggiornamento 2022
delle Linee guida per il trapianto renale.

Le revisioni sistematiche in corso includono:

1. Qual è il miglior trattamento per l’ipertrofia prostatica benigna sintomatica in pazienti sottoposti a
trapianto renale? (What is the best treatment for symptomatic obstructive benign prostatic enlarge-
ment in renal transplantation patients?) [5].

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Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021

2. Il trattamento chirurgico della calcolosi del rene trapiantato offre risultati migliori (stone free rate)
rispetto alla litotrissia extracorporea? (For patients with kidney graft stones, does surgical treatment
provide better stone free rates than external shock wave lithotripsy?) [6]

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Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021

3.  LE LINEE GUIDA


3.1 – Il prelievo d’organo e la chirurgia del trapianto

3.1.1 – Nefrectomia da donatore vivente


L’approccio endoscopico (laparoscopico) è la tecnica chirurgica preferita per la nefrectomia da donatore vi-
vente nei più diffusi protocolli di trapianto di rene [7]. La chirurgia laparotomica, tuttavia, preferibilmente
tramite una mini-incisione, può ancora essere considerata un’opzione valida, anche se gravata da un dolore
postoperatorio maggiore [8].

La nefrectomia endoscopica da donatore vivente (ELDN) include:

• Laparoscopia transperitoneale tradizionale o hand-assisted;

• Laparoscopia retroperitoneale tradizionale o hand-assisted;

• Laparoscopia con accesso singolo (LESS);

• Chirurgia endoscopica transluminale attraverso gli orifizi naturali (NOTES);

• Laparoscopia con accesso singolo e chirurgia laparoscopica robot-assistita transperitoneale o retroperito-


neale.

Ci sono forti evidenze in letteratura in supporto della nefrectomia laparoscopica da donatore vivente (LLDN),
che includono alcune revisioni sistematiche e metanalisi, che hanno messo a confronto la sicurezza e l’effica-
cia della nefrectomia laparoscopica con la chirurgia a cielo aperto.

È stato dimostrato come la nefrectomia laparoscopica abbia una percentuale simile in termini di risultati fun-
zionali e rigetto d’ organo, complicanze urologiche e sopravvivenza del paziente e dell’organo trapiantato. La
necessità di farmaci antidolorifici, l’entità del dolore postoperatorio, la durata della degenza ospedaliera e il
tempo di ritorno al lavoro sono risultate, tuttavia, migliori nelle procedure laparoscopiche [9-12].

La nefrectomia laparoscopica da donatore vivente (LLDN) standard è solitamente eseguita mediante degli
accessi da 5 e 12 mm, pur essendo descritti in letteratura degli accessi anche da 3 o 3.5 mm [13]. Secondo
una recente metanalisi, la nefrectomia endoscopica da donatore vivente (LLDN) hand-assisted è associata a
più brevi tempi di ischemia calda, con dei risultati complessivi in termini di sicurezza equivalenti alla proce-
dura standard [14]. La nefrectomia laparoscopica da donatore vivente può anche essere eseguita in chirurgia
robot-assistita, con dei risultati equivalenti in accordo con una recente revisione sistematica [15]. Tuttavia, i
numeri di questa chirurgia sono ancora esigui e recenti studi, inclusa una meta-analisi, ha riscontrato una più
alta percentuale di complicanze in questo tipo di approccio [16, 17].

La chirurgia laparoscopica con singolo accesso consente al chirurgo di lavorare attraverso una singola incisio-
ne (solitamente a livello ombelicale) con un canale operativo che consente l’ingresso di multipli strumenti.
La rimozione del rene avviene attraverso un’incisione, che può essere la stessa o una diversa. Alcuni studi
retrospettivi e almeno tre studi prospettici randomizzati (Randomized Clinical Trial, RCT) dimostrano un’e-
quivalenza tra sicurezza e risultati tra questa metodica e la tecnica laparoscopica standard, attribuendo alla
prima risultati estetici migliori e meno dolore post-operatorio [18, 19]. La chirurgia laparoscopica con singolo
accesso è tuttavia considerata più impegnativa dal punto di vista tecnico ed il suo ruolo in questo ambito deve

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Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021

essere ancora definito.

L’asportazione del rene per via transvaginale, nell’ambito della chirurgia endoscopica transluminale attraver-
so orifizi naturali (NOTES), evita di incidere la parete addominale per estrarre l’organo, con l’intento di ridurre
al minimo cicatrici e dolore post-operatorio. I dati iniziali suggeriscono come quest’approccio sia sicuro, no-
nostante l’esperienza con questa tecnica sia ancora molto limitata [20].

La LLDN destra è stata ritenuta essere una tecnica più difficile e con risultati funzionali inferiori. Secondo
grandi studi retrospettivi, revisioni sistematiche e metanalisi, tuttavia, la LLDN può essere eseguita con uguale
sicurezza ed efficacia sia a destra che a sinistra [21, 22].

La nefrectomia laparoscopica da donatore vivente ha posto l’attenzione sui possibili malfunzionamenti dei
dispositivi usati in laparoscopia per legare l’ilo renale, quali le stapler endoscopiche e le clip bloccanti e non
bloccanti [21]. Non vi sono evidenze scientifiche sulla superiorità di un dispositivo rispetto a un altro in termi-
ni di sicurezza per legare l’arteria renale [23-25]. Nonostante questo, la Food and Drug Administration (FDA)
degli Stati Uniti e i produttori delle clip bloccanti hanno controindicato il loro utilizzo per bloccare l’arteria
renale in corso di nefrectomia laparoscopica da donatore vivente.

Sintesi delle evidenze LE


Il prelievo da donatore vivente laparoscopico rispetto alla nefrectomia laparotomica è associato a 1a
tassi simili di funzionalità renale e rigetto, complicanze urologiche e sopravvivenza del paziente e del
graft.
La necessità di analgesici, l’entità del dolore, il tempo di ospedalizzazione e il tempo di ritorno al 1a
lavoro sono significativamente migliori nelle procedure laparoscopiche.

Raccomandazioni Forza della raccomandazione


Offrire la chirurgia laparoscopica/retroperitoneale pura o hand-assisted Forte
come tecnica preferenziale per la nefrectomia da donatore vivente.
Eseguire la nefrectomia da donatore vivente laparotomica nei centri Forte
dove le tecniche laparoscopiche non sono utilizzabili.
Eseguire la nefrectomia da donatore vivente laparoscopica single Forte
site, robotica e utilizzando gli orifizi naturali solo in centri altamente
specializzati.

3.1.2 –  La preservazione dell’organo


Nei reni donati dopo morte cardiogena (Donated after Cardiac Death, DCD), le evidenze correnti indicano
come l’ischemia calda contribuisca ad un peggior risultato dell’organo trapiantato. I parametri emodinamici
del donatore (pressione arteriosa sistolica, saturazione d’ossigeno e indice di shock: frequenza cardiaca diviso
la pressione arteriosa sistemica) potrebbero essere fattori predittivi del funzionamento tardivo (Delayed Graft
Function, DGF) e non-funzionamento (Primary Non Function, PNF) dell’organo trapiantato; tuttavia, sono
necessari ulteriori studi per validare questo concetto [26]. La durata dell’ischemia calda durante asistolia nei
pazienti DCD è associata ad un rischio aumentato di non-funzionamento del rene trapiantato. A cinque anni, il
non funzionamento dell’organo (incluso quello primario) è associato a tempi più lunghi d’ischemia calda [27].
Il tempo di prelievo (definito dalla legatura dell’aorta sino al posizionamento del rene in ghiaccio) rappresenta
un importante fattore predittivo di DGF. L’incidenza di DGF è rispettivamente del 27,8% e 60% sino a 60 e 120
minuti di tempo di estrazione [28].

Uno studio retrospettivo che include 64,024 trapianti da donatore vivente ha dimostrato come il tempo di
ischemia a freddo (Cold Ischemic Time, CID), il mismatch dell’antigene leucocitario umano (Human Leukocyte
Antigen, HLA), l’età del donatore, il pannello di anticorpi reattivi, la diagnosi di diabete nel ricevente, il BMI
(Body Mass Index), l’etnia e l’età del ricevente, la nefrectomia destra, l’utilizzo di tecnica open, lo status dialiti-
co, l’incompatibilità AB0 e pregressi trapianti rappresentino fattori predittivi indipendenti di DGF in procedure
da donatori viventi [29]. La sopravvivenza dell’organo a cinque anni tra i riceventi da donatore vivente con

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Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021

DGF è significativamente inferiore rispetto ai riceventi senza DGF. La funzionalità ritardata dell’organo aumen-
ta più di due volte il rischio di non-funzionamento dello stesso [29].

3.1.2.1  –  Soluzioni di conservazione del rene e conservazione a freddo


Due sono le cause principali di danno del rene trapiantato: l’ischemia (calda o fredda) e il danno da riperfusio-
ne d’organo. Gli obiettivi delle moderne soluzioni di conservazione del rene consistono nel: controllo dell’ede-
ma cellulare durante l’ischemia fredda, il mantenimento del gradiente elettrolitico tra compartimento intra-
ed extracellulare durante la fase d’ischemia, il tamponamento dell’acidosi, l’apporto di riserve energetiche
e la minimizzazione del danno ossidativo da riperfusione. Attualmente non vi è accordo rispetto a quale dei
meccanismi sia il più importante in fase post-ischemica nel garantire una funzione ottimale del rene trapian-
tato [30]. Nessuna soluzione di conservazione sembra racchiudere tutte le caratteristiche sopraelencate. La
soluzione Euro-Collins, in passato largamente utilizzata, non è più raccomandata.

Attualmente la soluzione “University of Wisconsin” (UW) e la soluzione di istidina-triptofano-chetoglutarato


(HTK) sono ugualmente efficaci e rappresentano lo standard per i prelievi multiorgano o del solo rene. Le
caratteristiche della HTK sono la bassa viscosità, la bassa concentrazione di potassio e il basso costo. La solu-
zione University of Wisconsin ha rappresentato lo standard nella conservazione statica a freddo nel prelievo
di fegato, rene, pancreas e intestino [31]. Le soluzioni University of Wisconsin, HTK e Celsior hanno garantito
risultati simili nell’allotrapianto nella maggior parte degli studi clinici, per quanto si siano evidenziate alcune
differenze in recenti studi clinici e registrativi [32, 33]. La soluzione ipertonica di citrato di Marshall (MHCS) è
anch’essa adatta alla conservazione dei reni umani prima del trapianto [34]. Durante studi sperimentali sulla
conservazione del rene la soluzione HTK e UW si sono mostrate più capaci di preservare la struttura endotelia-
le e di tamponare il pH durante l’ischemia calda rispetto alle soluzioni MHCS e Celsior, specialmente nei dona-
tori DCD, non sottoposti ai routinari controlli pre-donazione [35]. In assenza di un’analisi costi-utilità, i risultati
delle metanalisi di studi clinici controllati randomizzati che confrontano la UW con la Celsior e la MHSC nei
donatori cadavere standard, indicano come queste soluzioni di conservazione a freddo siano equivalenti [36].

Per quanto riguarda le donazioni da vivente, nelle quali è pianificato un trapianto di rene immediato, è suf-
ficiente la perfusione dell’organo con una soluzione cristalloide. I reni provenienti dai donatori a cuore non
battente (DCD), soprattutto quelli provenienti da donatori “non controllati”, sono ad alto rischio di essere
organi marginali, a causa dei tempi prolungati di ischemia calda, e richiedono delle misure specifiche al fine di
ridurre il tasso di non-funzionamento (PNF) o ritardato funzionamento (DGF) del rene trapiantato.

Attualmente più del 60% dei reni proviene da donatori marginali con criteri di donazione estesi (Expanded
Criteria Donors, ECD) (ossia: qualsiasi donatore > 65 anni e/o donatore > 55 anni con una tra le seguenti com-
plicanze: disfunzione renale acuta, ictus o ipertensione arteriosa) [37].

Sintesi delle evidenze LE


Le soluzioni University of Wisconsin e HTK sono ugualmente efficaci e sono considerate soluzioni 1b
standard per il prelievo multiorgano e mono-organo di rene.
Una metanalisi di RCTs ha osservato che la soluzione di UW e la Celsior sono equivalenti nei donatori 1a
cadaveri.

Raccomandazioni Forza della raccomandazione


Utilizzare la soluzione University of Wisconsin (UW) o HTK per la conservazione Forte
a freddo.
Utilizzare la soluzione Celsior o Marshall (MCHS) per la conservazione a Forte
freddo se le soluzioni University of Wisconsin o HTK non sono disponibili.

3.1.2.2  –  Durata della conservazione dell’organo


Il tempo di ischemia fredda dovrebbe essere il più breve possibile. I reni provenienti da donatori con criteri di
donazione estesi (ECD) dopo morte cerebrale (Donation after Brain Death, DBD) o e cardiaca (DCD) sono più
suscettibili ai danni ischemici rispetto ai reni provenienti da donatori con criteri standard rispettati. I reni pro-

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Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021

venienti da donatori DBD dovrebbero essere idealmente trapiantati entro 18-21 ore; entro le 18 ore, il tempo
di ischemia fredda non ha un’influenza significativa sulla sopravvivenza dell’organo trapiantato [36, 38, 39]. I
reni provenienti da donatori DCD dovrebbero idealmente essere trapiantati entro le 12 ore [40], mentre i reni
provenienti da pazienti ECD dovrebbero essere trapiantati tra le 12 e le 15 ore [41, 42].

3.1.2.3  –  Metodi di conservazione del rene: conservazione statica e dinamica


Qualunque sia il metodo utilizzato, la conservazione a freddo è un momento critico. La conservazione a fred-
do potrebbe essere utilizzata come finestra terapeutica per la somministrazione di terapia farmacologica o
genica per migliorare, da un punto di vista sperimentale, i risultati a breve e lungo termine del trapianto [43].
Il raffreddamento riduce il metabolismo dei tessuti biologici, portando ai minimi termini i continui processi
di attività cellulare che comportano una deplezione dell’ATP e un accumulo dei prodotti del metabolismo
stesso. La riperfusione con sangue ossigenato è correlata con il danno da ischemia-riperfusione. La perfu-
sione dinamica ipotermica non permette di mantenere un normale metabolismo cellulare e non previene il
consumo delle riserve energetiche dell’organo [44], pur tuttavia prevenendo gli effetti deleteri del semplice
raffreddamento, soprattutto in caso di tempi prolungati di ischemia calda nei donatori a cuore fermo “non
controllati”. Due metanalisi indicano come la macchina di perfusione ipotermica rispetto alla conservazione
statica a freddo riduca l’incidenza della DGF [45, 46]. Gli outcomes dei casi primariamente non-funzionanti
(PNF) non sono del tutto chiari; una metanalisi, tuttavia, realizzata includendo solo su studi di alta qualità,
suggerisce una riduzione del tasso di PNF con l’utilizzo della macchina di perfusione ipotermica [46]. Una re-
visione sistematica e metanalisi di Cochrane ha dimostrato come la macchina di perfusione ipotermica riduca
il rischio di DGF rispetto alla conservazione statica a freddo per reni provenienti da donatori CDC e DBD [47].
La sempre maggiore richiesta d’organi ha portato a un maggior utilizzo di reni “a rischio più̀ elevato”. I reni
provenienti dai DCD o dagli ECD sono più̀ soggetti ai rischi derivanti dalla conservazione e hanno un rischio
aumentato di fallimento [48, 49].
La conservazione dinamica, al contrario di quella statica, potrebbe rendere l’organo ottimale, of-
frendo strumenti per la valutazione della sua probabilità̀ di sopravvivenza, per riparare e dare attivamente
nuova vita all’organo. Le macchine di perfusione, che agiscono con un meccanismo in situ o ex situ rispetto al
donatore, stanno emergendo come potenziali strumenti per la preservazione degli organi da trapiantare più
vulnerabili. Risultati preclinici hanno guidato la ricerca clinica nell’ambito della conservazione d’organo dina-
mica, in diverse modalità (a flusso continuo, preimpianto) e temperature (ipo-, sub- e normotermica) [44].

Ci sono diversi metodi di conservazione del rene, tra cui:


•  Lavaggio iniziale con soluzione di conservazione a freddo seguita dalla conservazione in ghiaccio. I li-
miti della conservazione statica a freddo (Cold Storage, CS) nel preservare organi marginali, come i reni
ECD, ha portato tuttavia ad un maggior utilizzo dei metodi dinamici.
•  Le attuali strategie di conservazione dinamica che rientrano nella pratica clinica e le loro diverse mo-
dalità di utilizzo sono: la macchina di perfusione ipotermica, la perfusione ipotermica loco-regionale,
la macchina di perfusione normotermica, la perfusione normotermica loco-regionale, la macchina di
perfusione sub-normotermica e la perfusione loco-regionale sub-normotermica [44].
•  La macchina di perfusione ipotermica (Hypothermic Machine Perfusion, HMP) a flusso continuo pul-
sante sembra rappresentare un buon metodo di conservazione per gli organi marginali, inizialmente o
dopo un periodo di CS semplice (trasporto di reni subottimali) [50].
•  Alcune prove dimostrano come la conservazione ipotermica dinamica dovrebbe essere controllata dal-
la pressione e non dal flusso, utilizzando basse pressioni per evitare il danno indotto dalla pressione.
Le soluzioni usate per la perfusione sono specifiche e qualitativamente diverse da quelle utilizzate per
la CS [33].
•  È stato dimostrato che la HMP non ossigenata del rene a basse pressioni di perfusione (20-30 mmHg)
riduce la DGF [45]. Il più grande studio clinico randomizzato che ha confrontato la conservazione sta-
tica a freddo con la perfusione ipotermica di reni da donatore cadavere ha mostrato una riduzione del

13
Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021

rischio globale di DGF e un beneficio in termini di sopravvivenza, maggiormente espresso nei reni ECD
[51]. La perfusione ipotermica dei reni di tipo III da donatore a cuore non battente riduce la DGF senza
avere un impatto sulla sopravvivenza dell’organo trapiantato [48].
•  La macchina di perfusione ipotermica riduce il rischio di DGF dei reni da donatore cadavere standard,
indipendentemente dal tempo di ischemia fredda [52].
•  Un’aumentata resistenza vascolare e alte concentrazioni di markers di danno da perfusione sono fattori
di rischio per DGF, che tuttavia non giustificano un eventuale scarto del rene per il trapianto. Nei reni
provenienti da donatore a cuore non battente “non controllato” il valore del flusso di perfusione sem-
bra essere un indice di vitalità dell’organo, in particolare in quei donatori con creatinina sierica elevata
[53]. Tuttavia, è necessaria ulteriore ricerca in campo scientifico affinché la macchina di perfusione
possa dare misure predittive forti e affidabili circa la vitalità del rene [36]. I parametri di perfusione
(flusso renale e resistenze vascolari renali) hanno bassi valori predittivi e non devono essere utilizzati
come criterio unico di valutazione della vitalità del rene da trapiantare [54].
•  Gli effetti dell’ossigenazione durante la HMP sono stati analizzati in un RCT eseguito dal Consortium on
Organ Preservation in Europe (COPE), sui reni DCD ed ECD di tipo III [44]. La perdita del graft era signi-
ficativamente meno frequente dopo ossigenazione durante HMP, rispetto all’assenza di ossigenazione
durante HMP [55]. Per quanto riguarda la DGF, PNF e mortalità dei pazienti, non sono state registrate
differenze significative tra i due gruppi. Per quanto riguarda la eGFR ad un anno dall’intervento, non
sono state registrate differenze significative tra HMP con ossigenazione rispetto alla sola HMP; tuttavia,
in un’analisi della sensibilità coinvolgente ogni causa di perdita del graft, ha dimostrato una maggiore
eGFR nel HMP con ossigenazione [55].
•  Un breve tempo di perfusione con macchina normotermica (Normothermic Machine Perfusion, NMP)
immediatamente prima del trapianto si è dimostrato, in modelli sperimentali, in grado di migliorare la
funzione del rene trapiantato, di rifornire l’ATP e di ridurre il danno [56, 57].
•  È in fase di sviluppo uno studio circa la conservazione dei reni umani danneggiati da un prolungato
tempo di ischemia calda (reni DCD di tipo I e II) attraverso un’emoperfusione extracorporea normoter-
mica in situ prima del prelievo d’organo, che fornisca ossigeno e rimuova i leucociti [59]. Il trasporto
dell’ossigeno è ottenuto utilizzando il sangue impoverito di leucociti. Tra i potenziali vantaggi di questa
tecnica di preservazione vi sono la riduzione del danno da ischemia-riperfusione così come la possibi-
lità di valutare la vitalità dell’organo.
•  Attualmente c’è un singolo studio clinico randomizzato in corso per l’utilizzo preimpianto di NMP con
soluzione sanguigna normotermica ossigenata (http://www.isrctn.com/ISRCTN15821205). La funzio-
nalità renale può essere valutata durante la NMP attraverso l’osservazione macroscopica della perfu-
sione ematica, attraverso il flusso plasmatico renale e la produzione di urina [60].
•  In ambito di ricerca scientifica, la perfusione continua con macchina sub-normotermica e un ri-riscal-
damento controllato ed ossigenato hanno dimostrato migliorare la clearance della creatinina e la con-
servazione dell’integrità strutturale del rene rispetto alla perfusione continua e ossigenata ipotermica
[61].

Sintesi delle evidenze LE


Secondo una metanalisi che include RCTs in cui si confronta la CS con la HMP in reni da donatore 1a
cadavere, gli organi perfusi con HMP hanno un minor rischio di DGF.
La preservazione ipotermica dinamica dovrebbe essere controllata dai parametri pressori e non 2a
dal flusso, mantenendo bassi valori pressori per evitare danni indotti dalla pressione.

14
Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021

I parametri di perfusione (flusso renale e resistenze vascolari renali) possiedono un basso valore 2b
predittivo e non dovrebbero essere usi come unico criterio per stabilire la sopravvivenza del rene
trapiantato.

Raccomandazioni Forza della raccomandazione


Minimizzare il tempo di ischemia. Forte
Utilizzare la macchina di perfusione ipotermica (se disponibile) in reni da Forte
donatore cadavere per ridurre le possibilità di DGF.
La macchina da perfusione ipotermica potrebbe essere utilizzata nei reni Forte
da donatore cadavere che soddisfano i criteri standard.
Utilizzare bassi valori pressori nella macchina di perfusione ipotermica. Forte
La macchina di perfusione ipotermica deve essere continua e controllata Forte
dalla pressione e non dal flusso.
Non scartare i grafts basandosi solamente sull’aumento delle resistenze Debole
vascolari e alte concentrazioni di marker da danno di perfusione durante
la perfusione con macchina ipotermica.

3.1.3 – Biopsie del rene del donatore


Le biopsie renali da donatore possono servire a diversi scopi tra cui:
•  valutazione istologica della qualità dell’organo prima del trapianto (spesso denominate biopsie acqui-
site o prelevate);
•  analisi istologica di lesioni focali, soprattutto se vi è il sospetto di neoplasia;
•  individuazione di lesioni provenienti dal donatore come riferimento per successive biopsie post-tra-
pianto (spesso denominate biopsie di partenza, a tempo zero o di impianto).
3.1.3.1  –  Le biopsie acquisite
3.1.3.1.1  –  Background e valore prognostico
Le biopsie acquisite sono utilizzate per rilevare il danno tissutale per permettere la decisione sull’adeguatezza
del rene del donatore deceduto al trapianto. Queste biopsie sono più comunemente eseguite nei donatori
con un sospetto clinico di Danno Renale Cronico (Chronic Kidney Injury, CKI) in donatori ECD [62].
In Europa la scelta di scartare un rene destinato a trapianto è basata raramente su riscontri ottenuti all’esame
istologico, dato che le biopsie acquisite, in Europa, non vengono eseguite regolarmente per la collocazio-
ne dell’organo [62]. Tuttavia, da quando negli Stati uniti i riscontri istologici sono la causa più frequente di
scarto degli organi nei donatori [63-65], il valore prognostico di questi risultati è stato valutato in numerosi
studi. Una revisione sistematica recentemente pubblicata sulle biopsie del rene del donatore ha rilevato una
carenza di studi prospettici e una notevole eterogeneità circa il tipo e il grado delle lesioni valutate, circa la
definizione degli outcomes post-trapianto e dei metodi statistici impiegati [66]. Le evidenze pubblicate in let-
teratura, quindi, suggeriscono come l’utilizzo delle biopsie acquisite nella scelta decisionale sull’adeguatezza
o meno del rene del donatore per il trapianto possa avere degli importanti limiti, tra cui [62, 66, 67]:

•  Non vi è una forte associazione tra lesioni istologiche osservate nelle biopsie del rene del donatore
e gli outcomes post-trapianto.
Il concetto di biopsie acquisite nei reni dei donatori anziani fu introdotto da uno studio di Gaber et al. nel
1995. Questo studio osservò outcomes significativamente peggiori nei soggetti che avessero ricevuto reni con
una percentuale >20% di glomeruli sclerotici [68]. Tuttavia, studi successivi produssero risultati molto variabili
senza poter affermare che la glomerulosclerosi fosse un fattore prognostico indipendente nella valutazione
degli outcomes del rene trapiantato [66]. Una simile variabilità fu anche osservata per altre lesioni potenzial-
mente rilevanti, come il danno arterioso, la fibrosi interstiziale e l’atrofia tubulare, che si sono mostrati fattori

15
Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021

predittivi in alcuni studi ma non in altri [66].

•  Non vi è un accordo circa le lesioni rilevanti dal punto di vista prognostico e sulla loro classificazione.
Non sono ancora stati sviluppati sistemi specifici di classificazione delle biopsie del rene del donatore. Il grado
delle lesioni identificate nelle biopsie pre-trapianto è principalmente basato sulla Consensus Conference di
Banff del 2007 sulla patologia renale dopo allotrapianto [69].

Sono stati fatti molti tentativi per utilizzare sistemi di punteggio semi-quantitativo per esprimere l’entità glo-
bale del danno tissutale nel rene del donatore. Questi sistemi di punteggio sono soprattutto basati sulla
semplice somma dei punteggi di Banff per singole lesioni, che sono più comunemente la glomerulosclerosi,
la ialinosi arteriolare, la fibrosi della tonaca intima delle arterie, la fibrosi interstiziale, l’atrofia tubulare; rara-
mente tali punteggi includono parametri quali l’età del donatore [70], i livelli di creatinina sierica e l’iperten-
sione arteriosa del donatore [71].
Un numero limitato di sistemi di punteggio è basato su analisi di modelli [70-74]. Solo il sistema di punteggio
Maryland Aggregate Pathology Index (MAPI) [74] e il punteggio di Leuven sul rischio del donatore [70], utiliz-
zano il graft failure come endpoint e sono stati indipendentemente validati in una seconda coorte di pazienti.
Altri studi hanno utilizzato degli endpoint clinici surrogati, come la DGF [72] ed il tasso stimato di velocità di
filtrazione glomerulare (eGFR) a tre mesi [73] per sviluppare modelli istologici. Questi modelli, inoltre, non
sono stati validati in coorti indipendenti di pazienti. La variabilità nell’utilizzo di diversi endpoint e nel pesare
in maniera diversa vari fattori per ottenere questi punteggi semi-quantitativi compositi può spiegare le con-
clusioni conflittuali che vi sono in letteratura [62, 66, 67].

•  A causa dei limiti temporali per l’assegnazione dell’organo, le biopsie acquisite sono esaminate da-
gli anatomopatologi di guardia soprattutto su sezioni congelate: tale procedura potrebbe influire
sull’affidabilità diagnostica dei risultati riportati.
Questo potrebbe avere un impatto fondamentale sull’affidabilità diagnostica della procedura, dato che le se-
zioni a freddo sono inclini a mostrare artefatti morfologici cellulari che possono compromettere il rilevamento
e la classificazione di lesioni potenzialmente importanti, come la ialinosi arteriolare e la fibrosi interstiziale
[75, 76]. Vi è una forte evidenza scientifica che solo patologi specializzati dovrebbero esaminare le biopsie fis-
sate in formalina e incluse in paraffina (Formalin-Fixed Paraffin-Embedded, FFPE). L’utilizzo della paraffina in
istologia è tecnicamente superiore alle sezioni a freddo, poiché i dettagli morfologici sono meglio conservati
nelle sezioni in paraffina e possono essere evitati artefatti potenzialmente confondenti. Una rapida fase di
processamento del tessuto incluso in paraffina è tecnicamente possibile, ma i protocolli su questa tecnica non
sono universalmente sviluppati e, nella maggior parte dei dipartimenti, non sono disponibili 24 ore su 24 e 7
giorni su 7. Un’altra fonte di variabilità è l’esperienza dell’operatore. Le biopsie acquisite sono comunemente
lette da un qualsiasi patologo di guardia, che molto spesso non ha adeguata esperienza nell’ambito della
patologia renale. Uno studio recente, affrontando questo argomento nello specifico, ha evidenziato come i
patologi di guardia tendano a sovrastimare il danno renale cronico nelle biopsie [77].

3.1.3.2  –  Tipologia e dimensioni dei prelievi bioptici


Molti dei centri in cui si esegue il trapianto eseguono biopsie incisionali a cuneo del rene del donatore piut-
tosto che ago-biopsie, essendo quest’ultime correlate con un presunto più alto rischio di sanguinamento.
Le biopsie incisionali a cuneo campionano la corticale del rene più superficialmente, mentre le ago-biopsie
raggiungono aspetti più profondi della corticale. Le ago-biopsie consentono inoltre il campionamento di di-
verse aree del rene. Si raccomanda l’esecuzione delle ago-biopsie con aghi da 14 o 16 G, in quanto con aghi
da 18 G sono richiesti un maggior numero di campioni [78]. Alcuni studi comparativi tra biopsia incisionale
e ago-biopsia hanno concluso che le ago-biopsie rappresentano una tecnica più valida per valutare le lesioni
vascolari, poichè le arterie interlobulari sono raramente campionate nella biopsia incisionale. Entrambe le
metodiche sono sovrapponibili per la valutazione delle lesioni glomerulari o tubulo-interstiziali [79-82]. È sta-
to altresì dimostrato come la glomerulo-sclerosi sia significativamente più rappresentata nella zona sottocap-
sulare rispetto ad aree più profonde della corticale [83]. Il problema del campionamento insufficiente delle
arterie e la sovraespressione delle cicatrici glomerulari (sottocapsulari) nelle biopsie incisionali può essere

16
Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021

evitato solo se viene applicata una particolare attenzione nell’esecuzione della biopsia, con una profondità
minima di 5 mm [84]. Il valore predittivo di glomerulo-sclerosi aumenta significativamente con il maggior
numero di glomeruli campionati grazie alla biopsia incisionale, con un numero ideale di almeno 25 glomeruli
per la valutazione [81]. Sono disponibili solo limitate evidenze concernenti il tasso di complicanze durante
l’esecuzione di biopsie acquisite.
L’utilizzo di un dispositivo per biopsia escissionale cutanea potrebbe essere considerato una valida alternati-
va. Tale strumento misura 3mm di diametro ed è di lunghezza inferiore rispetto all’ago utilizzato per eseguire
un’ago-biopsia, riuscendo a limitare quindi il danno minimo alle arterie di grosso calibro situate a livello della
giunzione cortico-midollare, garantendo comunque un campionamento delle aree più profonde della corti-
cale [85].

3.1.3.3  –  Riassunto delle evidenze e raccomandazioni


Sintesi delle evidenze LE
Lesioni istologiche singole come glomerulo-sclerosi, restringimento luminale arteriolare o danno 3
tubulo-interstiziale osservati nelle biopsie dei donatori hanno un limitato valore prognostico per
la sopravvivenza del graft a lungo termine.
I sistemi di valutazione istologici forniscono una misura più globale del danno d’organo. Gli scoring 3
systems pubblicati, tuttavia, devono essere ancora validati.
Le dimensioni delle biopsie rivestono un importante ruolo per il loro valore diagnostico. 3
Un’adeguata biopsia deve andare oltre l’area sottocapsulare immediata (≥ 5 mm), contenere ≥
25 glomeruli ed almeno un’arteria. Le biopsie con ago, le biopsie a cuneo o campioni ottenuti
con un dispositivo per biopsia cutanea risulteranno ugualmente adeguate se il campionamento
è stato eseguito correttamente. Ottenere adeguate biopsie con un ago 18 G è difficile e richiede
numerosi prelievi.

Raccomandazioni Forza della raccomandazione


Non basare la decisione per accettazione di un organo da donatore solo su Forte
un unico riscontro istologico, dal momento che ciò potrebbe determinare
un inutile tasso di grafts scartati. Si raccomanda l’interpretazione del dato
istologico considerando i parametri clinici del donatore e del ricevente,
includendo i parametri di perfusione ove disponibili.
Utilizzare la paraffina per l’isto-morfologia, essendo questa superiore alle Forte
sezioni a freddo. Il suo valore diagnostico deve essere tuttavia soppesato
con un potenziale ritardo nell’esecuzione del trapianto.
Le biopsie prelevate devono essere lette da anatomopatologi renali o Forte
anatomopatologi generali con training specifico nelle patologie renali.

3.1.3.4  –  Biopsie a tempo zero


Le biopsie a tempo zero sono utilizzate per fornire informazioni di partenza sul danno del rene del donatore
per un successivo confronto con le biopsie post-trapianto. Le biopsie di impianto possono essere essenziali
per discriminare chiaramente un danno preesistente o acquisito: sono particolarmente importanti in caso di
microangiopatia trombotica, ialinosi arteriolare o danno tubulare acuto. Al contrario delle biopsie acquisite,
che sono eseguite nel momento del prelievo dell’organo, le biopsie di impianto sono solitamente eseguite
prima del trapianto per discriminare gli eventuali effetti del tempo dell’ischemia fredda. Il loro contributo
diagnostico non è stato ufficialmente quantificato in letteratura scientifica, il che potrebbe essere dovuto
alle difficoltà nello stimare il valore delle stesse nel migliorare le diagnosi. Nonostante la mancanza di studi
che abbiano indagato il loro valore, sembra molto ragionevole eseguire una biopsia di impianto nei reni da
donatori cadavere.

17
Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021

3.1.4 – Trapianto del rene da donatore vivente e da cadavere


3.1.4.1  –  Aspetti anestesiologici e peri-operatori
Una buona comunicazione tra nefrologi, anestesisti, e chirurghi è obbligatoria per garantire un trattamento
anestesiologo e peri-operatorio ottimale del paziente sottoposto a trapianto di rene. Le cure anestesiologi-
che del donatore di rene vivente [86] e del ricevente [87] sono state esaminate e le recenti linee guida della
European Renal Association-European Dialysis and Transplantation Association (ERA-EDTA) [88] sono state
validate.

3.1.4.2  –  Emodialisi preoperatoria


Non è indicato l’esecuzione routinaria dell’emodialisi immediatamente prima di un trapianto di rene [88].
L’iperkaliemia rappresenta l’indicazione più comune all’emodialisi preoperatoria. Devono essere considerati
i rischi dell’emodialisi rispetto a quelli della terapia medica, insieme a quelli di un eventuale sovraccarico di
liquidi intraoperatorio, di alterazioni elettrolitiche e dell’equilibrio acido-base, in particolar modo quando è
trapiantato un rene da donatore cadavere ad alto rischio di DGF. La dialisi preoperatoria può dare inizio ad
uno stato pro-infiammatorio, ritardare la chirurgia, aumentare il tempo di ischemia fredda ed aumentare il
rischio di DGF [89].
Sintesi delle evidenze LE
L’emodialisi preoperatoria può potenzialmente ritardare il trapianto, aumentare il tempo di 2
ischemia freddo ed il rischio di DGF.

Raccomandazioni Forza della raccomandazione


Utilizzare dialisi o misure conservative per gestire lo squilibrio di liquidi Forte
ed elettroliti prima dell’intervento chirurgico del trapianto valutando la
possibilità di immediata ripresa funzionale.

3.1.4.3  –  L’intervento chirurgico nei pazienti che assumono farmaci anti-aggreganti e


anticoagulanti
Molti pazienti che si trovano in lista d’attesa per un trapianto hanno malattie vascolari e/o condizioni che fa-
voriscono la trombosi, che dovrebbero essere valutate prima del trapianto. La duplice terapia antiaggregante
è comunemente data a pazienti con stent coronarici dai 6 ai 12 mesi; il piano di gestione peri-operatoria di
questi pazienti dovrebbe essere discusso con un cardiologo, in maniera tale da essere considerare in toto i
rischi di una sospensione della terapia antiaggregante. Le opzioni per contrastare l’anticoagulazione e lo stato
anti-coagulativo post-operatorio dovrebbero essere discusse con un ematologo prima dell’ingresso in lista
d’attesa.

Alcuni pazienti saranno attivamente inseriti in lista d’attesa pur continuando ad assumere farmaci anti-ag-
greganti e/o anticoagulanti. L’indicazione alla suddetta terapia dovrebbe essere chiaramente documentata
per ciascun paziente. Un rischio potenzialmente aumentato di sanguinamento peri-operatorio deve essere
pesato rispetto a una potenziale trombosi arteriosa o venosa. In accordo con la American College of Chest
Physicians e la European Society of Cardiology guidelines [90, 91], la letteratura suggerisce che continuare
la terapia anti-aggregante con aspirina, ticlopidina o clopidogrel non determina un rischio significativamente
più alto di complicanze peri/post-operatorie [92], tuttavia il numero di pazienti studiati è basso. Se necessa-
rio, l’effetto delle sostanze antiaggreganti può essere ridotto con infusioni piastriniche intraoperatorie.
Sintesi delle evidenze LE
Uno studio retrospettivo caso-controllo su un unico centro in pazienti sottoposti a trapianto di 3
rene evidenzia che continuare la terapia anti-piastrinica con aspirina, ticlopidina o clopidogrel
non aumenta un aumentato rischio di complicanze peri/post-operatorie.

18
Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021

Raccomandazioni Forza della raccomandazione


Considerare la prosecuzione della terapia anti-aggregante nei pazienti in Debole
lista d’attesa per trapianto di rene.
Discutere con il cardiologo/ematologo/nefrologo di riferimento circa la Debole
sospensione della terapia anticoagulante e antiaggregante prima del
trapianto.

3.1.4.4  –  Quali misure dovrebbero essere adottate per prevenire la trombosi venosa,
inclusa la trombosi venosa profonda, durante e dopo il trapianto di rene?
La somministrazione peri-operatoria di anticoagulanti con breve emivita riduce il rischio peri-operatorio di
trombosi venosa (inclusa la trombosi ileo-femorale e delle vene renali), nonostante, a causa dell’associato au-
mento delle perdite ematiche che questo comporta, sia richiesta la conoscenza dei fattori di rischio individuali
del paziente per la loro somministrazione. Nessuna delle attuali linee guida principali sulla prevenzione della
trombosi tratta direttamente la tromboprofilassi nel periodo peri-operatorio del trapianto renale. Un piccolo
studio clinico randomizzato [93] non ha mostrato alcuna differenza nella perdita precoce del rene trapiantato
o nelle complicanze tromboemboliche con o senza profilassi anticoagulante. I pazienti ai quali era stato som-
ministrato in profilassi il farmaco anticoagulante presentavano un valore di emoglobina significativamente più
basso, mentre coloro ai quali era stata somministrata eparina non frazionata in regime profilattico presenta-
vano un drenaggio linfatico prolungato. Sulla base di questi studi, una profilassi farmacologica routinaria non
è raccomandata nei riceventi da donatore vivente a basso rischio. Dispositivi meccanici per ridurre il rischio
di trombosi venosa profonda ileo-femorale possono essere usati qualora non vi fosse una controindicazione
legata a un particolare stato morboso del circolo periferico, in particolare quando sia alto il rischio di sangui-
namento con la profilassi farmacologica.
Sintesi delle evidenze LE
Uno piccolo (n=75) studio clinico randomizzato ha dimostrato che la profilassi con anticoagulanti 1b
non incide sulla perdita precoce dell’organo trapiantato o sulla comparsa di complicanze trombo-
emboliche.

Raccomandazioni Forza della raccomandazione


Non dovrebbe essere somministrata routinariamente in profilassi post- Debole
operatoria eparina a basso peso molecolare o non frazionata nei riceventi
di rene da donatore vivente a basso rischio.

3.1.4.5  –  Che ruolo ha la terapia antibiotica peri-operatoria nel trapianto di rene?


La profilassi antibiotica peri-operatoria è generalmente applicata nella chirurgia del trapianto di rene, ma non
si sa quale sia la terapia antibiotica ottimale e la sempre maggiore antibiotico-resistenza potrebbe ostacolare
la loro efficacia in questo campo. Uno studio clinico randomizzato multicentrico non ha mostrato differenze a
un mese a livello della ferita chirurgica in termini di infezioni batteriche, fungine o virali tra i pazienti che aves-
sero ricevuto una singola dose di antibiotico ad ampio spettro all’induzione dell’anestesia, rispetto ai pazienti
che avessero ricevuto terapia antibiotica ogni 12 ore per 3-5 giorni [94]. Uno studio retrospettivo sulla profi-
lassi intravenosa peri-operatoria con cefazolina paragonata alla non somministrazione di terapia antibiotica
non ha mostrato differenze nelle complicanze infettive (ferita chirurgica, vie urinarie, batteriemia o derivanti
dall’infezione di un catetere venoso centrale) nel primo mese dopo il trapianto [95].
Sintesi delle evidenze LE
Uno studio RCT multicentrico e prospettico ha mostrato come l’incidenza di infezione della ferita 1b
chirurgica e del tratto urinario siano simili in chi avesse ricevuto una singola dose di antibiotico
ad ampio spettro all’induzione dell’anestesia rispetto a chi avesse ricevuto antibiotico ogni 12 ore
per 3-5 giorni.

19
Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021

Raccomandazioni Forza della raccomandazione


Utilizzare in maniera routinaria una dose singola di antibiotici in Forte
regime profilattico, piuttosto che dosi multiple, nei riceventi di rene
trapiantato.

3.1.4.6  –  Che ruolo hanno l’applicazione di protocolli di idratazione specifici durante


il trapianto di rene ed il monitoraggio della pressione venosa centrale nel
ricevente?
Un attento bilancio dei liquidi nel periodo peri- e post-operatorio è essenziale per un funzionamento ottimale
dell’organo trapiantato. Non vi sono evidenze che attestino la superiorità della somministrazione endovenosa
di cristalloidi piuttosto che colloidi durante il trapianto, nonostante i colloidi possano essere immunogenici.
Nel caso si utilizzasse una normale soluzione salina allo 0,9%, è raccomandato il monitoraggio dell’acidosi me-
tabolica nel periodo peri-operatoria. Uno studio RCT prospettico in doppio cieco ha paragonato la soluzione
salina al Ringer lattato come terapia fluida endovenosa intraoperatoria. La creatinina sierica al terzo giorno
dal trapianto non differiva tra i due gruppi. Il Ringer lattato, tuttavia, ha determinato meno frequentemente
la comparsa di iperkalemia ed acidosi metabolica rispetto alla normale soluzione fisiologica. Le soluzioni bi-
lanciate potrebbero essere l’opzione più sicura ed ottimale per la terapia endovenosa intraoperatoria [96].

Il monitoraggio della pressione venosa centrale (Central Venous Pressure, CVP) guida l’anestesista nella scelta
della terapia idratante. Un piccolo studio RCT prospettico non-cieco ha confrontato due protocolli di sommini-
strazione di semplice soluzione salina (0,9%): l’infusione continua (10-12 mL/kg-1/h-1 dall’inizio della chirurgia
fino alla riperfusione dell’organo) rispetto ad un’infusione basata sulla CVP (con una CVP target in relazione
alle fasi dell’intervento chirurgico) [97]. L’infusione basata sulla pressione venosa centrale è risultata essere
associata ad una maggiore stabilità emodinamica, ad una migliore diuresi e ad una precoce ripresa funzionale
dell’organo trapiantato. Un’idratazione diretta potrebbe ridurre i tassi di DGF mentre il monitoraggio della
CVP potrebbe aiutare a ottimizzare la funzionalità d’organo precoce.

Sintesi delle evidenze LE


Un piccolo (n=51) RCT prospettico ha dimostrato che l’uso della soluzione di Ringer lattato è 1b
associato a minore incidenza di iperkaliemia e acidosi rispetto alla normale soluzione salina in
pazienti sottoposti a trapianto di rene.
Un piccolo (n=40) RCT prospettico che confronta l’infusione continua con l’infusione basata 1b
sui valori della CVP ha dimostrato come la seconda sia associata ad una maggiore stabilità
emodinamica, ad una migliore diuresi e ad una precoce ripresa funzionale.

Raccomandazioni Forza della raccomandazione


Ottimizzare l’idratazione pre-, peri- e post-operatoria per migliorare la Forte
funzionalità del rene trapiantato.
Utilizzare soluzioni bilanciate di cristalloidi per la terapia idratante Debole
endovenosa intra-operatoria.
Utilizzare un’idratazione (con un target pressorio) intra-operatoria Forte
per ridurre il tasso di ritardato funzionamento del rene trapiantato ed
ottimizzare la sua funzionalità precoce.

3.1.4.7  –  Che ruolo hanno i farmaci dopaminergici, la furosemide o il mannitolo nel


trapianto di rene?
Una bassa dose di dopamina (Low-Dose Dopamine, LDD) è stata utilizzata nel trapianto di rene sulla scorta
di un percepibile miglioramento nella produzione delle urine e nella funzionalità precoce del graft. L’utilizzo
di LDD nei donatori di rene non è discusso in questa sezione. Risultati conflittuali impediscono la formula-
zione di un’indicazione univoca circa l’uso abituale di LDD nei riceventi. Un piccolo (n=20) studio cross-over

20
Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021

prospettico randomizzato sul trapianto di rene da donatore cadavere mostra dei miglioramenti significativi
della funzionalità renale e produzione di urine nelle prime 9 ore dalla chirurgia, senza eventi avversi [98]. Di
contro, uno studio retrospettivo comparativo sull’utilizzo di LDD nelle prime 12 h dopo il trapianto di rene da
donatore cadavere non ha mostrato differenze in termini di diuresi o funzionalità del rene, ma coloro ai quali
era stata somministrata LDD (n=57) mostravano un aumento della frequenza cardiaca, una degenza più pro-
lungata in terapia intensiva ed una più alta mortalità a sei mesi rispetto a coloro che non erano stati trattati
con LDD (n=48) [99].

Esiste una notevole variabilità circa l’uso di terapia diuretica nel ricevente durante la chirurgia del trapianto e
vi è una debole evidenza che il suo utilizzo apporti qualche beneficio [100]. Non è stata trovata invece alcuna
evidenza riguardo l’utilizzo del mannitolo nel ricevente durante il trapianto. L’utilizzo del mannitolo nei dona-
tori di rene non rientra tra gli obiettivi di questa sezione.

Sintesi delle evidenze LE


Uno studio retrospettivo comparativo riguardo alla somministrazione di LDD nei pazienti trapiantati 2b
di rene (trattati con LDD vs. non trattati) ha messo in evidenza come la somministrazione di LDD
non migliori la funzionalità renale nelle prime 12 ore dopo il trapianto di rene, ma sia invece
associata ad una maggiore frequenza cardiaca postoperatoria, ad una prolungata degenza in
terapia intensiva e ad un aumento della mortalità nei primi 6 mesi nei pazienti che ricevono LDD.

Raccomandazioni Forza della raccomandazione


Non utilizzare agenti dopaminergici a bassa dose in maniera routinaria Debole
nel primissimo periodo post-operatorio.

3.1.5 – Approccio chirurgico nel primo, secondo, terzo e successivi trapianti


La preparazione al trapianto (bench/back-table) è uno step cruciale nel processo del trapianto. Il rene deve
essere ispezionato in una soluzione di ghiaccio sterile, rimuovendo il grasso peri-renale, ove possibile, per
permettere di esaminare la qualità dell’organo ed escludere la presenza di tumori renali esofitici. La biopsia
del rene sul back-table potrebbe essere eseguita per adiuvare il processo decisionale multifattoriale circa la
qualità e l’utilizzo del rene per un trapianto singolo e/o doppio. Le lesioni sospette parenchimali richiedono
l’esecuzione di una biopsia. Nella sezione 3.1.3 sono discusse le tecniche bioptiche intra-operatorie.
Dovrebbe essere stabilito il numero, la qualità e l’integrità dei vasi renali e dell’uretere (o degli ureteri) ed i
vasi linfatici ilari dovrebbero essere legati. Dovrebbe essere valutata la qualità della tonaca intima dell’arteria
renale del donatore. I rami dell’arteria renale non diretti al rene o all’uretere dovrebbero essere legati.
Nel trapianto di rene da donatore cadavere dovrebbe essere determinata la qualità del patch aortico. Se vi
è un’ateromasia severa della patch, dell’ostio o della parte distale dell’arteria, il patch aortico stesso e/o la
parte distale dell’arteria renale può essere rimosso per garantire una migliore qualità dell’arteria renale del
rene da impiantare. La ricostruzione sul back-table di arterie renali multiple è discussa nella sezione 3.1.5.1.
Dovrebbe essere valutata anche la lunghezza della vena renale. I rami della vena renale dovrebbero essere
isolati o legati.
Nel caso di un rene destro prelevato da cadavere, se necessario, potrebbe essere necessario eseguire l’al-
lungamento della vena renale, eseguito al back-table con un tratto di vena cava inferiore del donatore stesso
[101]. Le tecniche di allungamento di una vena renale destra corta di un donatore vivente utilizzando la vena
gonadica del donatore stesso o la vena safena del ricevente, richiedono una programmazione preoperatoria
ed un consenso specifici (discussi nella sezione 3.1.5.1).
Si deve valutare la lunghezza, la qualità ed il numero dell’uretere (o degli ureteri). Il tessuto del tratto peri-pel-
vico dell’uretere e di quello peri-ureterale nel cosiddetto “triangolo d’oro” dovrebbe essere preservato.

Raccomandazioni Forza della raccomandazione

21
Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021

Valutare l’adeguatezza (includendo l’ispezione) del rene per il trapianto Forte


prima di iniziare la terapia immunosoppressiva e prima dell’induzione
dell’anestesia, in caso di trapianto da donatore deceduto.

3.1.5.1  –  Trapianto singolo di rene, da donatore vivente e cadavere


L’approccio chirurgico standard per il primo o secondo trapianto di rene singolo (Single Kidney Transplant,
SKT) è rappresentato dalla chirurgia a cielo aperto (Open Kidney Transplant, OKT). Negli ultimi anni sono state
sviluppate tecniche chirurgiche mininvasive ed i diversi approcci (mininvasivo a cielo aperto, laparoscopico e
robot-assistito) sono state confrontate in una revisione sistematica [102].
Dovrebbe essere utilizzato un approccio chirurgico extraperitoneale in fossa iliaca nella maggior parte dei
primi o dei secondi trapianti singoli di rene (SKT). Non vi sono evidenze che dimostrino il posizionamento
preferenziale di rene destro o sinistro in una delle due fosse iliache [103]. I vasi linfatici peri-iliaci dovrebbero
essere legati per tentare di prevenire la comparsa di linfocele post-operatorio. Segmenti adeguati di arteria
e vena iliache dovrebbero essere mobilizzati per favorire un’anastomosi tension-free ed il posizionamento
finale del rene trapiantato. Il raffreddamento della superficie dell’organo trapiantato è associato a diversi
benefici, così come indicato da alcune pubblicazioni [104].

Raccomandazioni Forza della raccomandazione


Scegliere una delle due fosse iliache per il posizionamento del rene in un Debole
paziente al primo o al secondo trapianto singolo di rene.
Legare i vasi linfatici peri-iliaci (linfostasi) per ridurre la comparsa di Debole
linfocele post-operatorio.

Sono state descritte molteplici tecniche che facilitano l’esecuzione dell’anastomosi di una vena renale corta. È
molto più comune imbattersi in un rene destro con vena corta, in particolare se prelevato da donatore viven-
te. Per raggiungere risultati sovrapponibili a quelli di un rene sinistro con un rene destro potrebbero essere
necessarie delle manovre chirurgiche appropriate per ottimizzare l’impianto.

Un certo numero di studi riportano risultati leggermente più sfavorevoli correlati all’uso del rene destro ri-
spetto al sinistro. Due grandi studi registrativi dimostrano un rischio leggermente incrementato di EGF legato
all’uso del rene destro rispetto al sinistro nel trapianto da donatore vivente [105-107]. Uno studio registrativo
su 2450 reni confrontati, donati dopo morte cardiaca, ha mostrato che il rene destro fosse associato a: mag-
giori complicanze chirurgiche precoci; aumentato rischio di DGF (Odds Ratio [OD] 1.46); minore sopravviven-
za dell’organo ad un anno (OD 1.62) ma senza un corrispettivo miglioramento ai diversi intervalli di tempo
[105]. Le tecniche chirurgiche usate per circuire i problemi legati all’utilizzo di un rene destro, i tempi dell’a-
nastomosi e l’esperienza chirurgica, tuttavia, non sono stati registrati. Un recente studio registrativo su 87112
riceventi trapianto da donatore deceduto ha evidenziato un modesto aumento del rischio di DGF (OD 1.15) e
di fallimento del trapianto per ogni causa (HR 1.07) entro i primi sei mesi legato all’uso del rene destro rispet-
to al sinistro. Non è stata tuttavia trovata alcuna associazione con la mortalità del ricevente [108]. Inoltre, dati
ricavati da studi di coorte [101, 103] e da uno studio registrativo [104] circa l’utilizzo del rene destro o sinistro
da donatore cadavere, indicano risultati equivalenti. Alcune metanalisi dei dati di un RCT e di quattordici studi
di coorte hanno suggerito risultati equivalenti tra rene destro e sinistro [109]. In generale, tutti questi dati non
giustificano un rifiuto di un organo destinato al trapianto basandosi esclusivamente sulla lateralità.

Le tecniche per affrontare una vena renale corta possono essere applicate nel donatore e/o nel ricevente.
La legatura della vena iliaca interna (o di più vene iliache interne) potrebbe essere necessaria per rendere
più prossimale la vena iliaca ed evitare la tensione dell’anastomosi con la vena renale [103]. La trasposizione
dell’arteria e della vena iliaca potrebbe favorire l’anastomosi venosa [110]. La vena renale destra potrebbe es-
sere allungata, se necessario. Nel caso di un rene da donatore cadavere, tale operazione è solitamente esegui-
ta con la vena cava inferiore (Inferior Vena Cava, IVC) [111]. Per quanto riguarda il donatore vivente, invece,
l’allungamento della vena renale si può ottenere prelevando la vena gonadica del donatore isolata durante la
nefrectomia [112] o utilizzando la vena safena del ricevente [113], nonostante entrambe le tecniche richieda-
no un consenso informato specifico e siano in generale preferite le altre tecniche precedentemente elencate.

22
Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021

Sintesi delle evidenze LE


Studi di coorte prospettici hanno dimostrato che: 3

•  la trasposizione della vena iliaca del ricevente è una tecnica appropriata per compensare
la minor lunghezza della vena renale del rene destro durante trapianto da donatore vivente
(LND) (n=43);
•  la vena renale del rene da donatore vivente può essere allungata usando la vena gonadica
del donatore (n=17) o la vena safena del ricevente (n=19).
Raccomandazioni Forza della raccomandazione
Valutare la lunghezza della vena renale del donatore e, se questa è Debole
corta, considerare una tra le opzioni chirurgiche esistenti per ottimizzare
l’anastomosi venosa.

Un’anamnesi positiva per una pregressa trombosi della vena iliaca o femorale fornisce l’indicazione ad esegui-
re indagini preoperatorie (imaging) per stabilire la pervietà di almeno una vena iliaca e della vena cava inferio-
re. Il riscontro incidentale intraoperatorio di un trombo della vena iliaca e/o della vena cava potrebbe infatti
portare a ad un’interruzione della procedura. Grazie ad una corretta pianificazione preoperatoria, possono
essere utilizzate per l’anastomosi venosa, se necessario, una vena renale ortotopica od una vena mesenterica
superiore o, ancora, vene gonadiche collaterali.

L’arteria iliaca esterna o quella comune sono ugualmente valide per l’anastomosi arteriosa. L’arteria iliaca
interna è maggiormente soggetta ad aterosclerosi rispetto all’arteria iliaca comune od esterna. È general-
mente raccomandata un’anastomosi termino-laterale tra arteria renale del donatore ed arteria iliaca comune
o esterna del ricevente rispetto a un’anastomosi termino-terminale con l’arteria iliaca interna. L’unico studio
RCT che mette a confronto queste tecniche non ha mostrato differenze tra le due [114], pure essendo limitato
dai piccoli numeri e da un alto (8%) tasso globale di trombosi dell’arteria renale.
I siti ove eseguire le anastomosi vascolari devono essere scelti con attenzione, in accordo con la lunghezza
dell’arteria e vena renale, per evitare inginocchiamenti delle strutture vascolari una volta posizionato il rene
trapiantato, solitamente in fossa iliaca. Il sito dell’anastomosi arteriosa dovrebbe evitare le placche atero-
masiche dell’arteria iliaca del ricevente, poiché sono correlate con un possibile rischio di dissecazione della
stessa. La tonaca intima delle arterie di donatore e ricevente dovrebbero essere testate prima di iniziare l’a-
nastomosi, per assicurarsi che non ci siano rotture/flap della tonaca stessa. Se vi è un simile riscontro, si dovrà
provvedere alla sua riparazione prima o durante l’esecuzione dell’anastomosi.
È solitamente applicato e mantenuto in sede un Carrel-patch sull’arteria renale del donatore cadavere, anche
se può essere rimosso in caso di ateroma/stenosi dell’ostio dell’arteria (in presenza di una porzione prossi-
male dell’arteria renale qualitativamente buona) o se l’arteria renale è troppo lunga per il sito di impianto
sull’arteria iliaca (evenienza più comune in caso di arteria renale destra).

Arterie renali multiple che irrorano un singolo rene da donatore cadavere possono essere fissate tramite
Carrel patch (di lunghezza appropriata) ed impiantate tramite singola anastomosi. Nel trapianto da dona-
tore vivente, la presenza di arterie renali multiple richiede varie strategie chirurgiche che garantiscano una
riperfusione ottimale [100]. Due arterie possono essere impiantate separatamente od in maniera tale da
realizzare un’anastomosi singola: un’arteria renale secondaria molto piccola (specialmente se irrora il polo su-
periore) può essere sacrificata. Le due arterie possono altresì essere unite tra di loro (innesto a “pantalone”)
oppure, ancora, l’arteria più piccola può essere anastomizzata su un lato dell’arteria principale (anastomosi
termino-laterale). Un’arteria renale polare inferiore può essere rivascolarizzata mediante un’anastomosi con
l’arteria epigastrica inferiore [115]. Nel trapianto da donatore vivente, quando nel donatore coesistono tre o
più arterie renali, dovrebbero essere presi in considerazione altri donatori di rene. Nel caso venga utilizzato
un rene da donatore vivente con tre o più arterie renali, le strategie chirurgiche includono una combinazione
delle tecniche sopradescritte o, dopo un consenso appropriato, l’utilizzo di un innesto di arteria iliaca interna
(espiantata dallo stesso ricevente) [116] o di vena safena [117].

23
Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021

Nel caso in cui il paziente sia portatore di una protesi che sostituisca l’arteria iliaca, precedentemente posi-
zionata per un’ateromasia severa sintomatica, l’arteria renale dovrebbe essere impiantata sulla protesi. La
somministrazione sistemica di eparina dovrebbe essere presa in considerazione prima di clampare la protesi
vascolare [118].

Sono utilizzate diverse varietà di fili di sutura e varie tecniche per eseguire l’anastomosi vascolare, ma nella
pratica clinica è utilizzato un punto mono-filamento non riassorbibile in polipropilene 5/0 e 6/0 per eseguire
l’anastomosi venosa ed arteriosa dei vasi renali. Nonostante ciò, non vi sono evidenze che raccomandano
una tecnica di sutura piuttosto che l’altra per prevenire, ad esempio, la stenosi arteriosa del rene trapiantato.
L’utilizzo di una sutura in politetrafluroetilene espanso (ePTFE), paragonata ad una sutura standard in polipro-
pilene, potrebbe ridurre le perdite ematiche, avendo un miglior rapporto ago/filo [119].

Nei trapianti successivi al terzo, l’approccio chirurgico deve essere pianificato pre-operatoriamente affinché
sia garantito un adeguato afflusso arterioso e deflusso venoso del rene trapiantato con uno spazio adeguato
al suo impianto [120, 121]. La nefrectomia di un vecchio rene trapiantato potrebbe essere richiesta prima del
nuovo trapianto o potrebbe essere eseguita contestualmente allo stesso [120]. Potrebbe essere necessario
mobilizzare l’arteria iliaca comune o interna, la vena iliaca interna o la vena cava inferiore. Potrebbe altresì
essere necessario un approccio intraperitoneale attraverso la fossa iliaca o la linea mediana [122]. Raramente
si presenta la necessità di eseguire un trapianto ortotopico [120, 123].

L’evidenza scientifica suggerisce che ridurre al minimo i tempi di anastomosi e/o di riscaldamento comparta
un tasso minore di DGF [124]. Gli effetti a lungo termine sul graft non sono noti con certezza, ma potrebbero
altresì essere modificati da una minore durata dell’anastomosi [125].

Sintesi delle evidenze LE


Un piccolo RCT (n=38) ha paragonato l’anastomosi termino-terminale sull’arteria iliaca interna e 1b
l’anastomosi termino-laterale sull’arteria iliaca esterna, dimostrando che entrambe le tecniche
mostrano un risultato simile nel postoperatorio e a tre anni di follow-up.
Studi di coorte hanno dimostrato che il terzo o successivo trapianto rappresentano valide opzioni 3
terapeutiche con tassi ragionevoli di sopravvivenza del paziente e del graft a breve e lungo
termine.

Raccomandazioni Forza della raccomandazione


Utilizzare l’arteria iliaca esterna o comune per un’anastomosi arteriosa Debole
termino-laterale con il rene del donatore.
Un’anastomosi termino-terminale con l’arteria iliaca interna rappresenta Debole
un’alternativa all’anastomosi con l’arteria iliaca esterna o comune.
Controllare la tonaca intima delle arterie del donatore e del ricevente Forte
prima di iniziare l’anastomosi per assicurarsi che non vi siano rotture/
flap intimali. Se identificato un tale danno, questo dev’essere riparato
contestualmente o prima di eseguire l’anastomosi arteriosa.
Pianificare preoperatoriamente l’approccio chirurgico dal terzo trapianto Forte
in poi, per assicurare che via sia un soddisfacente afflusso arterioso ed
efflusso venoso con uno spazio adeguato per impiantare il nuovo rene.

3.1.5.2  –  La chirurgia robot-assistita del trapianto di rene


Il trapianto di rene robot-assistito (Robot-Assisted Kidney Transplant, RAKT) da donatore vivente è stata recen-
temente validata in studi multicentrici, prospettici non-randomizzati (seguendo i principi dettati dal consorzio
IDEAL) [126]. Il trapianto robot-assistito da donatore cadavere è tutt’ora oggetto di alcuni studi a singolo
centro, prospettici e non-randomizzati. Sono stati descritti approcci transperitoneali ed extraperitoneali, en-
trambi validi durante l’esecuzione di RAKT. I potenziali vantaggi del RAKT sono: minor dolore post-operatorio,

24
Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021

minore dimensione dell’incisione chirurgica e incidenza di linfocele. I potenziali svantaggi del RAKT sono: l’e-
sclusione di riceventi con grave aterosclerosi o sottoposti a tre (o più) trapianti di rene, un’incidenza aumenta-
ta di DGF ed un aumento dei casi di trombosi arteriosa precoce nonostante un’accurata selezione dei pazienti
[127]. Secondo uno studio multicentrico retrospettivo coinvolgente 187 pazienti, la curva di apprendimento
per tale procedura viene raggiunta attorno ai 35 casi per chirurghi esperti. Il tasso di complicanze e di DGF si
riduce significativamente e raggiunge un plateau dopo i primi 20 casi. L’incidenza di complicazioni di grado
III/IV secondo la classificazione di Clavien-Dindo è del 14% nei primi 10 casi, mentre scende al 3% durante i
successivi [128]. Il tasso di trombosi arteriosa (1.6%) è paragonabile a quello delle procedure laparotomiche
(0,5–3,5%) [128]. Uno studio retrospettivo a singolo centro su 239 pazienti obesi sottoposti a RAKT ha dimo-
strato come tale procedura sia sicura in questa categoria di pazienti, con rischio minimo di sviluppare infezioni
del sito chirurgico [129]. È stato riportato un tasso di fallimento del graft del 7,1%, dovuto principalmente a
rigetto acuto. A tre anni, la sopravvivenza del paziente e dell’organo trapiantato si attestano attorno al 95%
e 93%, rispettivamente [129]. Le attuali evidenze scientifiche sono troppo scarse per poter raccomandare il
trapianto di rene robot-assistito al di fuori di studi di controllo prospettici.
3.1.5.3  –  Doppio trapianto di rene
Il trapianto doppio di rene (Double Kidney Transplant, DKT) è eseguito quando la qualità del rene singolo da
cadavere sia ritenuta insufficiente per garantire un’adeguata funzionalità a lungo termine del graft e quando
si ritiene che i risultati, con entrambi gli organi, sarebbero migliori. Vi sono diverse tecniche chirurgiche per
l’impianto della coppia di reni da donatore [130], che includono un approccio monolaterale extraperitoneale
(Unilateral Extra-Peritoneal, UEP) o intraperitoneale (Unilateral Intra-Peritoneal, UIP) ed un approccio bila-
terale extraperitoneale (Bilateral Extra-Peritoneal, BEP) o intraperitoneale (Bilateral Intra-Peritoneal, BIP),
eseguibili mediante un’incisione sulla linea mediana [131] o attraverso due incisioni laterali.
Lo scopo di un approccio unilaterale è quello di risparmiare la fossa iliaca controlaterale in nell’eventualità di
un trapianto futuro e per ridurre i tempi di ischemia fredda (CIT) in caso di un secondo trapianto di rene [132].
L’approccio monolaterale potrebbe richiedere la mobilizzazione e la sezione della vena iliaca interna per fa-
cilitare l’anastomosi delle due vene renali con la vena iliaca. Varianti della tecnica monolaterale includono la
ricostruzione su banco delle arterie e vene renali in maniera tale da creare una singola anastomosi, per ridur-
re ulteriormente la CIT per il secondo rene trapiantato [133-135]. Il doppio trapianto richiede l’allungamento
dei tempi operatori ed è gravato da una più alta percentuale di perdite ematiche rispetto al trapianto singolo,
indipendentemente dalla tecnica utilizzata. I dati in letteratura indicano tempi operatori e di degenza inferiori
utilizzando la UEP rispetto alla BEP [136], nonostante altri dati suggeriscano invece risultati sovrapponibili
per tutte le tecniche esaminate. Non vi sono studi RCT che raccomandino una tecnica adatta per qualsiasi
paziente o scenario clinico.
Un prelievo d’organo en-bloc è eseguito quando i reni provengono da bambini con un peso al di sotto dei 15
kg. A seconda dalle dimensioni del rene del donatore e dalle caratteristiche fisiche (peso e somatotipo) dell’a-
dulto ricevente, potrebbe essere eseguito un trapianto en-bloc dei due reni o, se richiesto, i patch aortico e
cavale inferiore potrebbero essere separati per eseguire un trapianto di rene singolo [137].
3.1.5.4  –  L’impianto dell’uretere in una via urinaria fisiologica
Le tecniche di anastomosi dell’uretere alla via urinaria di un ricevente che non abbia anomalie anatomiche
urologiche includono: la uretero-neo-cistostomia extra- (Lich-Gregoir) o intra- (Ledbetter-Politano) -vescicale
e l’uretero-ureterostomia utilizzando l’uretere nativo. Una metanalisi [138] di due studi RCT e 24 studi osser-
vazionali evidenziano la superiorità della tecnica extra-vescicale secondo Lich-Gregoir, in quanto caratterizza-
ta da un minor tasso di complicanze globali (fistola urinosa, stenosi ed ematuria post-operatoria). In un RCT
sono state osservate meno infezioni urinarie con l’approccio extra-vescicale rispetto a quello intra-vescicale
[139]. La uretero-ureterostomia o la pielo-ureterostomia con l’uretere nativo ipsilaterale è stata descritta
come tecnica d’elezione nei riceventi con ureteri nativi non refluenti [140]. Una metanalisi ha evidenziato
come la comparsa di stenosi/ostruzione ureterale e la formazione di calcoli siano più comuni dopo l’esecu-
zione di un’uretero-ureterostomia, mentre il reflusso vescico-ureterale e le infezioni siano più comuni dopo
uretero-neo-cistostomia [141].
L’uretere proveniente dal donatore dovrebbe essere il più corto possibile, conservando più grasso peri-urete-
rale possibile in maniera tale da assicurare un adeguato supporto ematico. Un RCT ha dimostrato come sia più
vantaggioso, in vista di eventuali manipolazioni endoscopiche future, eseguire l’anastomosi extra-vescicale
tra uretere e vescica sulla parete posteriore della stessa rispetto a quella anteriore. Tale posizione, inoltre,
si è dimostrata associata ad una minor comparsa di idronefrosi dopo la rimozione dello stent endoureterale
[142]. Nel caso in cui l’uretere del donatore sia stato danneggiato durante il prelievo, può essere eseguita 25
Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021

una pielo-nativo-ureterostomia o una pielo-neo-cistostomia. Per le anastomosi, dovrebbero essere utilizzate


le suture in mono-filamento assorbibile per prevenire la formazione di calcoli intorno alle maglie delle stesse
[143].

Sintesi delle evidenze LE


Una meta analisi di due RCTs e 24 studi osservazionali indicano come superiore la tecnica 1a
extravescicale secondo Lich-Gregoire in quanto associata a minori complicanze.
Uno studio comparativo prospettico multicentrico ha dimostrato che l’incidenza di complicanze 2b
è simile per le anastomosi pielo- ed uretero-ureterale e che entrambe le procedure non hanno
portato alla perdita del graft per complicanze urologiche.

Raccomandazioni Forza della raccomandazione


Eseguire l’anastomosi vescico-ureterale extra-vescicale secondo Lich- Forte
Gregoir per minimizzare le complicanze urinarie nel ricevente del
trapianto con un’anatomia urinaria fisiologica.
L’anastomosi pielo/uretero-ureterale è un’alternativa soprattutto per Forte
quegli ureteri molto corti o scarsamente vascolarizzati.

L’anastomosi dell’uretere trapiantato può essere eseguita posizionando o meno uno stent endoureterale. Nel
caso sia posizionato uno stent, sarà necessario rimuoverlo, in un secondo tempo. Una revisione Cochrane
[144] ha concluso che lo stent è raccomandato per ridurre le complicanze urologiche maggiori, in particolare
le fistole urinose. Il momento ottimale per la rimozione dello stent deve essere ancora definito, ma, se
lasciato in sede per oltre 30 giorni, si è dimostrato maggiormente associato a infezioni urinarie [145]. Una
metanalisi di 5 RCTs con un totale di 568 trapianti di rene ha mostrato una riduzione significativa di infezioni
delle vie urinarie per la rimozione precoce (≤7 giorni) rispetto alla rimozione tardiva (≥14 giorni) [16]. Non
sono state osservate differenze statisticamente significative tra i due gruppi rispetto alle complicanze post-
operatorie quali stenosi uretere, ostruzione ureterale, spandimento urinoso ureterale [146]. Una seconda
metanalisi con un totale di 3612 pazienti ha altresì dimostrato una riduzione significativa delle infezioni delle
vie urinaria associata ad una rimozione precoce (< 3 settimane) rispetto alla rimozione tardiva (> 3 settimane)
dello stent ureterale [147]. Non sono state osservate differenze statisticamente significative tra i due gruppi
circa l’incidenza di stenosi ureterali e spandimenti urinosi ureterali [147].
Lo stent è più comunemente rimosso tramite cistoscopio flessibile, con anestesia locale, a meno che non sia
necessario eseguire, per qualsivoglia motivo, un’altra procedura concomitante che necessiti dell’anestesia
generale. Vi sono varie tecniche per ridurre la morbidità di un re-intervento, tra cui il fissaggio dello stent al
catetere vescicale o l’utilizzo di stent percutanei [148].

Raccomandazioni Forza della raccomandazione


Utilizzare, a scopo profilattico, gli stent ureterali nel trapianto per Forte
prevenire complicanze urinarie maggiori.

Un uretere doppio non è un riscontro infrequente durante il prelievo d’organo, durante l’esame sul banco
operatorio o durante gli accertamenti per la nefrectomia da donatore vivente [149, 150]. Un uretere doppio
può essere suturato in maniera tale da formarne uno singolo ed essere quindi anastomizzato alla vescica (“a
doppio pantalone”) oppure possono essere eseguite due anastomosi separate. Le tecniche sopradescritte
si possono anche applicare ai due ureteri singoli nel trapianto doppio di rene nell’adulto o nel trapianto en-
bloc da donatore pediatrico. Il razionale dell’anastomosi separata di due ureteri alla vescica del ricevente è
quello di non compromettere ulteriormente, tramite suture aggiuntive e manipolazioni, l’afflusso di sangue
già potenzialmente scarso; inoltre, in caso di una complicanza coinvolgente un uretere, si dispone dell’altro
(sano). Il vantaggio dell’anastomosi singola per due ureteri è solo quello di eseguire un’unica cistostomia:
chirurgicamente l’esecuzione è più rapida e gravata da minori complicanze. Mancano tuttavia evidenze solide
in letteratura circa il trapianto di rene con doppio uretere.

26
Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021

Raccomandazioni Forza della raccomandazione


Seguire le stesse raccomandazioni indicati per gli ureteri singoli; Forte
anastomizzare separatamente o mediante un’anastomosi singola i doppi
ureteri alla vescica.

3.1.5.5  –  Trapianto/impianto ureterale in pazienti con anomalie urogenitali

Dovrebbero essere considerati i seguenti punti in caso di trapianto di rene in pazienti con anomalie del tratto
uro-genitale:
•  Nei pazienti con un condotto ileale il rene trapiantato potrebbe essere posizionato capovolto per alli-
neare l’uretere con il condotto ed evitare che sia di eccessiva lunghezza [151].
•  Le tecniche utilizzate per anastomizzare l’uretere di un rene trapiantato al condotto ileale sono le stes-
se utilizzate per l’anastomosi dell’uretere nativo (Bricker; Wallace).
•  Per quanto riguarda le vesciche sottoposte a cistoplastica di ampliamento o per le derivazioni conti-
nenti, gli ureteri dovrebbero essere impiantati “a tunnel” o con tecnica extra-vescicale (Lich-Gregoir),
preferendo la seconda.
•  Nei pazienti portatori di uno stoma di Mitrofanoff o di una derivazione continente ileo-cecale con stoma
cateterizzabile, è necessario considerare la posizione dello stoma (ombelicale od a livello della fossa
iliaca, solitamente a destra) interfacciandosi con i chirurghi trapiantisti, in modo da favorire eventuali
procedure future (eventuale trapianto di rene). Se si ha in programma il posizionamento intraperitone-
ale del rene da trapiantare, è preferibile eseguire lo stoma di Mitrofanoff a livello della fossa iliaca piut-
tosto che all’ombelico; se invece il trapianto dovesse essere eseguito in fossa iliaca destra, è preferibile
posizionare lo stoma di Mitrofanoff a livello dell’ombelico o della fossa iliaca sinistra.

3.1.6 – Complicanze nel donatore


La nefrectomia da donatore vivente, come qualsiasi altro intervento chirurgico, è potenzialmente associata a
complicanze e mortalità. Il fatto che l’intervento sia eseguito su di un individuo sano, amplifica l’importanza
di eventuali complicanze, che dovrebbero essere descritte dettagliatamente nel consenso informato.
La mortalità̀ chirurgica riportata è dello 0,01-0,03%, tasso che non ha mostrato negli ultimi anni variazioni in
relazione ai cambiamenti nelle tecniche chirurgiche o nella selezione dei pazienti [152, 153]. In accordo con
una recente revisione sistematica (190 studi) e meta-analisi (41 studi) con oggetto le complicanze di nefrec-
tomia mini-invasiva da donatore vivente, su un totale di 32,308 procedure le complicanze intra-operatorie si
sono verificate nel 2,2% dei pazienti (sanguinamento, la più comune, nell’1,5% dei casi, e danni a carico di altri
organi nello 0,8%); le complicanze post-operatorie invece si sono verificate nel 7% dei pazienti (infettive nel
2,6% e sanguinamento nell’1% dei casi) [152]. La conversione in chirurgia open è riportata nell’1,1% dei casi,
in circa la metà dei casi causata da sanguinamento intraoperatorio e nell’altra metà da danni ad altri organi
durante la procedura. Si sono verificati re-interventi chirurgici nello 0,6% dei casi, dovuti principalmente a
sanguinamento o alla necessità di evacuare un ematoma [152]. È necessario convertire a open o re-operare
senza tergiversare, in maniera tale da minimizzare il rischio di complicanze gravi.
Una recente revisione sistematica ha indagato le complicanze in 14,964 interventi di nefrectomia da donatore
vivente eseguite negli U.S.A. tra il 2008 e il 2012, ed è stato calcolato un tasso di complicanze globali peri-o-
peratorie del 16,8%, in particolare: gastrointestinali (4.4%), sanguinamento (3.0%), respiratorie (2.5%), chi-
rurgiche/anestesiologiche (2.4%) ed “altre complicanze” (6.6%). Tra tutte le sopraccitate, il 2,4% ha richiesto
trattamento intensivo; la mortalità̀ intra-ospedaliera è stata dello 0,007% [16].
Il 2,5% dei donatori ha presentato complicanze di grado ≥IV della scala di Clavien delle complicanze chirurgi-
che. Sono state identificati fattori di rischio per tali eventi: obesità (adjusted odds ratio [aOR] 1.55, p=0.0005),
patologie ematologiche preesistenti (aOR 2.78, p=0.0002), patologie psichiatriche (aOR 1.45, p=0.04) e la

27
Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021

nefrectomia eseguita con tecnica robotica (aOR 2.07, p=0.002). Un volume di pazienti operati per centro >50
(aOR 0.55, p<0.0001) è stato associato a un più basso rischio di complicanze [16].

3.1.6.1  –  Complicanze a lungo termine


Le complicanze a lungo termine sono prevalentemente correlate alla condizione di monorene chirurgico. La
funzionalità renale nei donatori viventi decresce dopo la donazione, per poi migliorare per molti anni ed infi-
ne, tuttavia, deteriorarsi leggermente a lungo termine [154-156]. Vi è un costante incremento della proteinu-
ria; l’ipertensione post-trapianto è stata identificata come la più importante causa dell’aumentata escrezione
di albumina [157].

L’incidenza di insufficienza renale all’ultimo stadio (End-Stage Renal Disease, ESRD) (0.4-1.1%) non differisce
rispetto a quella della popolazione generale [154, 155, 158, 159]. Secondo un recente studio prospettico re-
trospettivo, la maggior parte dei casi di ESRD dopo donazione di rene è dovuta a patologia di nuova insorgenza
che avrebbe comunque danneggiato entrambi i reni [160]. Sono stati tuttavia identificati dei fattori di rischio
per il deterioramento della funzione renale dopo la donazione. Secondo un recente studio che ha esaminato
110769 donatori viventi di rene negli Stati Uniti, i donatori obesi (BMI > 30) hanno un rischio aumentato di
1.9 volte rispetto ai donatori non-obesi [161]. Il rischio di mortalità a lungo termine non è maggiore rispetto
a quello per età e comorbilità della popolazione generale [153, 158].

La qualità di vita correlata alla salute (Health Related Quality of Life, HRQoL), compresa la salute mentale,
risulta essere, dopo la donazione, in media migliore rispetto al resto della popolazione [158, 159, 162]. Alcuni
donatori, tuttavia, percepiscono una significativa diminuzione della loro QoL [162]. Mentre la HRQoL globale
è sovrapponibile o superiore ai dati sulla popolazione generale, alcuni fattori connessi al periodo della dona-
zione – tra cui la lungo degenza, stress finanziario, la giovane età, alto BMI, una bassa scolarità, l’abitudine
tabagica e alte aspettative antecedenti la donazione di rene - potrebbero essere correlati con un più facile
rischio di sviluppare una bassa HRQoL; è possibile dunque agire su tali aspetti [158, 159, 162]. È fondamen-
tale che venga eseguita un’attenta valutazione tra rischi e benefici e che al donatore vengano fornite tutte le
informazioni necessarie, tra cui i comportamenti da tenere successivamente alla donazione [163].

Sintesi delle evidenze LE


Una revisione sistematica ed una metanalisi sulle complicanze nella LDN mininvasiva hanno 1a
concluso che le tecniche utilizzate sono sicure e associate ad un basso tasso di complicanze.
Il tasso di sopravvivenza ed il rischio di malattia renale terminale sono simili alla popolazione 2b
generale, mentre la HRQoL dei donatori rimane in media migliore rispetto alla popolazione
generale.
Raccomandazioni Forza della raccomandazione
Eseguire nefrectomie da donatore vivente in centri specializzati, Forte
preferibilmente con alto volume operatorio.
Offrire un follow-up a lungo termine a tutti i donatori di rene viventi. Forte

3.1.7 – Complicanze del ricevente


3.1.7.1  –  Complicanze generali
Le complicanze chirurgiche durante e dopo il trapianto possono esporre il ricevente a un aumentato rischio di
morbilità e mortalità. L’incidenza e la gestione delle complicanze è quindi di primaria importanza [138, 145,
164-176]. Di seguito sono riportate le più comuni complicanze chirurgiche del trapianto di rene.

3.1.7.2  –  Emorragia

28
Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021

Gli ematomi sono solitamente una complicanza minore nel trapianto di rene. La loro incidenza si attesta tra lo
0,2 ed il 25% [177, 178]. Ematomi piccoli e asintomatici non richiedono solitamente alcun intervento. In caso
di ematomi più voluminosi, possono essere presenti segni e sintomi clinici determinati dalla compressione
estrinseca dell’ematoma sull’organo trapiantato, con disfunzione dello stesso e/o trombosi dei vasi del graft.
In questi casi potrebbe essere necessario eseguire un drenaggio percutaneo TC o US (Ultrasound) guidato
ovvero richiedere un trattamento chirurgico. [177].

3.1.7.3  –  Trombosi arteriosa


La trombosi dell’arteria renale del rene trapiantato è una complicanza rara con una prevalenza che varia dallo
0,5% al 3,5% [179]. Solitamente è la conseguenza di un errore tecnico eseguito durante la realizzazione delle
anastomosi. Altre cause potrebbero tuttavia essere associate a condizioni preesistenti delle arterie del dona-
tore e/o del ricevente (ad es. aterosclerosi), a rottura dell’intima durante il prelievo d’organo, ad episodio di
rigetto acuto, a compressione ab estrinseco da parte di un ematoma o linfocele, ad uno stato ipercoagulativo,
ad ipertensione arteriosa grave ed a tossicità dei farmaci immunosoppressivi (ciclosporina o sirolimus) [180].
Le manifestazioni cliniche sono una riduzione acuta della diuresi ed incremento dei valori laboratoristici degli
indici di funzionalità renale, spesso associate a perdita del graft [177]. Si può ottenere una diagnosi con un
eco-color-doppler [177]. L’esplorazione chirurgica è solitamente raccomandata per valutare lo stato del graft.
Nei rari casi in cui il graft appare recuperabile, bisogna eseguire una trombectomia. In questa situazione,
l’arteria iliaca viene clampata e deve essere eseguita una arteriotomia oppure una dissezione dell’anastomosi
vascolare per rimuovere il coagulo. Il graft può essere perfuso in loco e rivascolarizzato [177]. Sfortunata-
mente, nella maggior parte dei casi, il graft non risulta essere perfuso e per cui si deve procedere all’espianto
del rene trapiantato [177, 181]. Alternativamente, si possono somministrare agenti trombolitici attraverso il
catetere direttamente nell’arteria renale, che può rappresentare un trattamento efficace dopo i primi dieci o
quattordici giorni dopo il trapianto [177].

Sintesi delle evidenze LE


La trombosi dell’arteria renale viene diagnosticata tramite eco-color-doppler ed è seguita da 2b
esplorazione chirurgica per valutare lo stato del graft.
Le opzioni per la trombosi dell’arteria sono la trombectomia in caso di graft vitale e l’espianto in 2b
caso di graft non vitale.
Raccomandazioni Forza della raccomandazione
Eseguire un eco-color-doppler in caso di sospetta trombosi del graft. Forte
Eseguire un’esplorazione chirurgica nel caso in cui all’ecografia si sia Forte
riscontrata una ridotta perfusione del graft.
Eseguire una trombectomia chirurgica in caso di graft salvabile se la Debole
trombosi dell’arteria è confermata intraoperatoriamente.
Eseguire un espianto in caso di graft non vitale. Forte

3.1.7.4  –  Trombosi venosa


La trombosi della vena renale del rene trapiantato rappresenta una complicanza precoce del trapianto (pre-
valenza tra lo 0,5 ed il 4%) e una delle cause più importanti di perdita del graft nei primi 30 giorni dopo l’inter-
vento [182]. Tra le cause si annoverano errori tecnici e/o difficoltà intraoperatorie [177] e la presenza di uno
stato ipercoagulativo nel ricevente [183, 184]. L’eco-color-doppler in questo caso mostra l’assenza di flusso
venoso, in presenza di un segnale arterioso alterato (solitamente con un flusso diastolico invertito dall’aspetto
a plateau). La congestione venosa determina spesso un aumento dimensionale del rene trapiantato [185].
L’esplorazione chirurgica è solitamente raccomandata, nonostante nella maggior parte dei casi questa si assi-
sta alla perdita del rene trapiantato. Nei casi in cui, invece, durante l’esplorazione chirurgica il graft non risulti
del tutto compromesso, è possibile eseguire una venotomia e quindi una trombectomia dopo aver clampa-
to la vena iliaca; in alternativa è possibile considerare la possibilità di eseguire un espianto con subitaneo
reimpianto del rene espiantato [177]. Possono essere anche utilizzati agenti trombolitici, nonostante i risultati
del loro utilizzo non siano soddisfacenti [177, 186, 187].

29
Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021

Sintesi delle evidenze LE


La trombosi della vena renale viene diagnosticata tramite eco-color-doppler ed è seguita da 2b
esplorazione chirurgica per valutare lo stato del graft.
Per la trombosi della vena renale eseguire una trombectomia nel caso in cui il graft sia vitale, una 2b
nefrectomia in caso di graft non vitale.
Raccomandazioni Forza della raccomandazione
Eseguire un eco-color-doppler in caso di sospetta trombosi del graft. Forte
Eseguire un’esplorazione chirurgica nel caso in cui all’ecografia si sia Debole
riscontrata una ridotta perfusione del graft.
Se la trombosi venosa è confermata intra-operatoriamente, eseguire una Debole
trombectomia nel caso in cui il rene sia recuperabile, oppure un espianto
nel caso in cui il graft non sia vitale.
Attualmente non è raccomandata una profilassi farmacologica per la Forte
prevenzione della trombosi venosa del rene trapiantato.

3.1.7.5  –  Stenosi dell’arteria del rene trapiantato


L’ incidenza di stenosi arteriosa del rene trapiantato è dell’1-25% [188, 189]. Tra i fattori di rischio vi sono il
piccolo calibro, l’aterosclerosi dell’arteria del donatore, il trauma dell’arteria del donatore durante il prelievo
d’organo, l’assenza del patch arterioso, le tecniche di sutura utilizzate (a punti staccati; sutura continua) e le
lesioni dell’arteria iliaca durante il trapianto [190, 191]. La stenosi dell’arteria del rene trapiantato è più co-
mune a livello dell’anastomosi vascolare [190, 191] e dev’essere sospettata nel caso in cui il paziente sviluppi
ipertensione arteriosa refrattaria alla terapia medica e/o un incremento della creatinina sierica in assenza di
idronefrosi o di infezioni urinarie. La diagnosi è eseguita mediante eco-color-doppler, che mostra una velocità
di picco sistolico (Peak Systolic Velocity, PSV) > 200 cm/s nell’arteria renale dell’organo trapiantato [190]. Nei
casi dubbi, può essere eseguita un’angiografia tramite risonanza magnetica o TC [192]. È fondamentale de-
terminare se la stenosi sia emodinamicamente significativa o meno. Solitamente, una stenosi è considerata
a rischio per insufficienza renale quando è superiore al 50% [193]. In caso di una stenosi modesta (<50%)
asintomatica con assenza di peggioramento della funzionalità del rene trapiantato, il trattamento è solita-
mente conservativo, sebbene debba essere eseguito un attento follow-up del paziente con eco-color-doppler
e parametri clinici per identificare precocemente l’eventuale insufficienza renale [190]. In caso di stenosi cli-
nicamente significative e/o >50% all’eco-color-doppler, dovrebbe essere eseguita un’angiografia di conferma.
Nel caso la stenosi sia confermata e si opti per un intervento, i trattamenti possibili includono l’angioplastica/
stent percutaneo transluminale o l’intervento chirurgico. La prima opzione terapeutica è rappresentata da
procedure di radiologia interventistica, sebbene possano beneficiare del trattamento chirurgico i pazienti non
idonei all’angioplastica, come ad esempio i pazienti con stenosi multiple e lunghe, che riducono particolar-
mente il calibro arterioso, o i pazienti sottoposti recentemente a trapianto o, ancora, i pazienti già sottoposti
infruttuosamente ad angioplastica [190, 191].

Sintesi delle evidenze LE


Sospettare una stenosi dell’arteria del rene trapiantato in caso di ipertensione arteriosa refrattaria 3
e/o un aumento della creatinina sierica senza idronefrosi/infezioni.
La diagnosi di stenosi dell’arteria renale del graft è eseguita mediante eco-color-doppler, che 2a
evidenzia una velocità di picco sistolico (PSV) > 200 cm/s dell’arteria del rene trapiantato.
Manovre di radiologia interventistica costituiscono la prima opzione terapeutica; in pazienti non 3
idonei per l’angioplastica, può essere considerato il trattamento chirurgico.

Raccomandazioni Forza della raccomandazione

30
Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021

Eseguire l’eco-color-doppler per diagnosticare una stenosi arteriosa Forte


del graft e considerare la possibilità di eseguire un’angiografia tramite
risonanza magnetica o tomografia computerizzata in caso di dubbi.
L’angioplastica/stent percutaneo transluminale è raccomandabile Forte
come trattamento di prima linea per la gestione della stenosi arteriosa.
Proporre il trattamento chirurgico in caso di trapianto recente, stenosi Forte
multiple, lunghe e particolarmente stenosanti oppure in caso di
fallimento dell’angioplastica.

3.1.7.6  –  Fistole artero-venose e pseudo-aneurismi post biopsia del rene trapiantato


Le biopsie percutanee eseguite sul rene trapiantato potrebbero determinare la comparsa di fistole artero-ve-
nose (AV) e/o pseudo-aneurismi intrarenali nel 1-18%dei casi [194]. L’eziologia delle fistole AV è correlata
al danno che avviene a livello di rami arteriosi e venosi adiacenti. Lo pseudo-aneurisma, invece, è legato
al danno del solo ramo arterioso. Entrambe queste condizioni vengono diagnosticate mediante un eco-co-
lor-doppler [177]. La maggior parte delle fistole artero-venose sono asintomatiche, risolvendosi spontanea-
mente nell’arco di 1-2 anni, mentre circa il 30% di queste persiste e diviene sintomatica. Tipicamente i sintomi
consistono in ipertensione, ematuria e malfunzionamento del graft dovute allo shunt tra circolo arterioso e
venoso. In caso vi sia un progressivo aumento del diametro di uno pseudo-aneurisma, aumenta il rischio di
una rottura spontanea dello stesso. Sia per le fistole AV che per gli pseudo-aneurismi il trattamento di prima
scelta è rappresentato dall’embolizzazione angiografica selettiva o super selettiva [195]. La nefrectomia par-
ziale o radicale del rene trapiantato è attualmente considerata l’ultima opzione terapeutica [177].

Raccomandazioni Forza della raccomandazione


Eseguire un eco-color-doppler se si sospetta una fistola artero-venosa o Forte
uno pseudo-aneurisma del rene trapiantato.
In caso di fistole artero-venose o pseudo-aneurismi sintomatici eseguire Forte
come prima opzione terapeutica l’embolizzazione per via angiografica.

3.1.7.7  –  Linfocele
Il linfocele è una complicanza relativamente comune (1-26%) [196]. Esiste un’associazione significativa con
il diabete, gli inibitori di m-TOR (ad es. sirolimus) e con il rigetto acuto [197]. Per i linfoceli voluminosi e sin-
tomatici, la fenestrazione laparoscopica è associata con il minor tasso di recidive (8%) e complicanze (14%)
rispetto alla chirurgia laparotomica ed all’aspirazione percutanea [198]. Il posizionamento di drenaggio
percutaneo (ad es. catetere Pig-Tail) è un’opzione con un tasso di successo fino al 50%. [163]. Si può altresì
eseguire un’aspirazione percutanea, sebbene il tasso di recidiva arrivi fino al 95% [198], con un aumentato
rischio di infezione locale (6-17%) [198]. Inoltre, l’utilizzo di sostanze sclerosanti come etanolo, sigillante a
base di fibrina, gentamicina od octreotide riduce il tasso di recidiva rispetto alla sola aspirazione [198, 199].

Raccomandazioni Forza della raccomandazione


Eseguire il drenaggio percutaneo come trattamento di prima linea per Forte
linfoceli voluminosi e sintomatici.
Eseguire la fenestrazione quando si osserva un fallimento del trattamento Forte
percutaneo.

3.1.7.8  –  Fistola urinosa


Le fistole urinose si osservano nello 0-9,3% dei casi [200]. Il tramite fistoloso può essere ureterale o vescicale
[201]. Le cause più importanti sono rappresentate dalla necrosi ureterale e/o problematiche della sutura
chirurgica [202, 203]. Tra i fattori di rischio non associati all’atto chirurgico, si annoverano: età del ricevente,
numero di arterie renali, sede dell’anastomosi arteriosa, comparsa di rigetto acuto, problematiche vescicali
e terapia immunosoppressiva [204]. La fistola urinosa può essere sospettata valutando la diuresi e dosando
la creatinina nel liquido di drenaggio [202]. Per ridurre il rischio di necrosi ureterale, è importante preservare
31
Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021

la vascolarizzazione dell’uretere distale [202]. Inoltre, è raccomandato l’utilizzo di uno stent JJ [203, 205]. Gli
approcci terapeutici per le fistole urinose dipendono dalla loro localizzazione (pelvi renale, uretere prossima-
le/distale, vescica), dal tempo di insorgenza e dal volume di fluido perso dal tramite. In caso di insorgenza
precoce di fistola a basso volume di filtraggio è possibile un trattamento conservativo (ad es. catetere vesci-
cale, nefrostomia percutanea e stent JJ) [206]. In caso di fallimento del trattamento conservativo, o perdite
massive di fluido, è necessario eseguire una riparazione chirurgica. Il reimpianto ureterale diretto alla vescica
o all’uretere nativo hanno risultati simili [141, 206].

Sintesi delle evidenze LE


Sospettare una fistola urinosa basandosi sulla diuresi e sui livelli di creatinina sul liquido di 3
drenaggio.
Per le fistole precoci e a basso volume considerare una strategia terapeutica conservativa. 3
La riparazione chirurgica deve essere eseguita in caso di fallimento del trattamento conservativo 2b
o quando sussista un filtraggio massivo di urine.
Raccomandazioni Forza della raccomandazione
Per favorire la risoluzione della fistola urinosa, utilizzare stent JJ con Forte
catetere vescicale e/o nefrostomia percutanea.
Eseguire una riparazione chirurgica in caso di fallimento della terapia Forte
conservativa.

3.1.7.9  –  Stenosi ureterale


La stenosi ureterale è una complicanza comune nei riceventi, con un’incidenza dello 0,6-10,5% [207]. Le ste-
nosi precoci (entro i tre mesi dalla chirurgia) sono conseguenti alla tecnica chirurgica o alla compromissione
dei vasi ureterali durante la chirurgia. Le stenosi tardive (dopo i sei mesi) sono spesso provocate da infezioni,
fibrosi, progressione di malattia vascolare e/o rigetto [202, 208]. Le stenosi ureterali clinicamente significative
devono essere considerate quando persiste l’idronefrosi riscontrata all’ecografia con contestuale peggiora-
mento della funzionalità renale. Il primo approccio terapeutico consiste nel posizionamento di una nefro-
stomia percutanea con una pielografia anterograda [207]. Il trattamento successivo dipende principalmente
dalle tempistiche di insorgenza del quadro, dalla recuperabilità della funzione renale, dall’anatomia della
stenosi, dall’habitus/comorbidità del paziente e dalle preferenze del chirurgo. Stenosi con lunghezza massima
inferiore ai 3 cm possono essere trattate endoscopicamente con una dilatazione percutanea con palloncino
ovvero tramite ureteroscopia flessibile anterograda, eseguendo un’incisione con laser a Holmio. In questi casi
il tasso di successo è circa del 50%, anche se le percentuali più alte si ottengono con stenosi < 1cm [209-211].
In caso di recidiva dopo un primo approccio endourologico e/o in presenza di una stenosi maggiore di 3 cm di
lunghezza, deve essere eseguita una ricostruzione chirurgica [208]. Le procedure proponibili sono: reimpian-
to ureterale, reimpianto pielo-vescicale (con o senza psoas hitch/lembo sec. Casati-Boari) oppure, in presenza
di un uretere nativo normale, uretero-ureterostomia [212, 213]. La sopravvivenza a lungo termine del graft e
del paziente non sono influenzate significativamente da tali procedure [214].

Sintesi delle evidenze LE


Stenosi ureterali clinicamente significative devono essere considerate quando persiste idronefrosi 3
all’ecografia con peggioramento della funzionalità renale.
Il primo approccio nel gestire una stenosi ureterale è il posizionamento di nefrostomia percutanea 2b
con pielografia anterograda.
Stenosi < 3 cm di lunghezza devono essere trattate endoscopicamente. 3
Per stenosi > 3 cm di lunghezza o nei casi in cui si osserva recidiva dopo primo tentativo 2b
endourologico deve essere eseguito un approccio chirurgico.
Raccomandazioni Forza della raccomandazione

32
Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021

In caso di stenosi ureterale, posizionare una nefrostomia per ridurre Forte


l’idronefrosi e fare diagnosi di stenosi tramite pielografia anterograda.
Gestire le stenosi < 3 cm di lunghezza sia con ricostruzione chirurgica Forte
che con tecnica endoscopica (dilatazione percutanea con palloncino
o incisione con laser a Holmio durante ureteroscopia flessibile per via
anterograda).
Trattare le stenosi recidive e/o stenosi >3 cm di lunghezza con tecniche Forte
chirurgiche in pazienti selezionati.

3.1.7.10  –  Ematuria
L’incidenza di ematuria ha un tasso compreso tra l’1 ed il 34% [200]. La tecnica di Lich-Gregoire è associata,
secondo la letteratura, con la più bassa incidenza di ematuria. Inoltre, una meticolosa emostasi durante il
reimpianto determina minimo sanguinamento postoperatorio [138, 200, 201]. L’irrigazione vescicale è la pri-
ma linea di trattamento. In alcuni casi è necessario eseguire una cistoscopia con evacuazione di coaguli e/o
elettrocoagulazione di aree di sanguinamento [200].
3.1.7.11  –  Reflusso e pielonefrite acuta
La frequenza di reflusso vescico-ureterale è tra l’1 e l’86% [200, 215]. La pielonefrite acuta nel graft si osserva
nel 13% dei riceventi. Pazienti con infezione delle basse vie urinarie ed infezione da Cytomegalovirus (CMV)
presentano un alto rischio di insorgenza di pielonefrite acuta [216]. L’iniezione endoscopica di co-polimeri di
destranomero/acido ialuronico può essere il primo approccio al trattamento del reflusso vescico-ureterale as-
sociato a pielonefrite acuta, con un tasso di successo variabile dal 57,9% dopo la prima iniezione fino al 78,9%
dopo la seconda iniezione [217]. Seconde linee di trattamento sono rappresentate dal reimpianto ureterale e
dalla pielo-ureterostomia con uretere nativo [212].

Raccomandazioni Forza della raccomandazione


Utilizzare un approccio endoscopico come prima linea di trattamento per il Debole
reflusso sintomatico.

3.1.7.12  –  Calcolosi renale


L’urolitiasi si osserva nel 0,2-1,7% dei riceventi [218, 219]. Le cause più frequenti sono: iperfiltrazione, aci-
dosi tubulare renale, infezioni ricorrenti, ipocitraturia, iperossaluria, iperuricemia, eccessiva alcalinizzazio-
ne urinaria, iperparatirodismo terziario persistente e stenosi ureterali [220, 221]. Un altro fattore di rischio
è rappresentato dal tipo di anastomosi urinaria: la tecnica Lich-Gregoire è associata al più basso tasso di
incidenza di calcolosi [219]. Le più frequenti manifestazioni cliniche comprendono febbre, aumento dei li-
velli di creatinina sierica, contrazione della diuresi ed ematuria. Il dolore, a causa della denervazione del
graft, non è solitamente riferito. Solitamente un esame ecografico permette di fare diagnosi sebbene possa
essere necessaria una TC di rene, uretere e vescica per confermare la localizzazione e le dimensioni del cal-
colo [220]. Il trattamento dipende dalla localizzazione e dimensione del calcolo, e dall’eventuale presenza di
ostruzione. In caso di calcolosi ostruttiva, il trattamento di prima linea è rappresentato dal posizionamento
di nefrostomia oppure, in alcuni casi, di uno stent JJ [222]. La litotrissia extracorporea (Extracorporeal Shock
Wave Lithotripsy, ESWL) è solitamente considerata il primo approccio per i calcoli di dimensioni < 15 mm ed
è caratterizzata da uno stone-free rate variabile tra il 40 e l’80% a seconda della localizzazione del calcolo
[222]. L’ureterorenoscopia, anterograda o retrograda, può essere utilizzata per calcoli < 20 mm, con un tasso
di successo sino al 67% [140, 219, 223]. Per i calcoli più grandi (> 20 mm), la nefrolitotomia percutanea (Per-
cutaneous Nephrolithotmy, PNL) rappresenta un’alternativa di trattamento, caratterizzata da uno stone-free
rate soddisfacente. In caso di grossi calcoli impattati, il confezionamento di un’anastomosi uretero-ureterale,
di un’anastomosi pielo-ureterale o l’esecuzione di un reimpianto uretero-vescicale può avere un buon risulta-
to nel trattamento dei calcoli e dell’ostruzione ureterale [219].

33
Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021

Sintesi delle evidenze LE


La litotrissia extracorporea deve essere considerata la prima linea di trattamento per i calcoli <15 2b
mm.
L’ureteroscopia anterograda/retrograda e la nefrolitotomia percutanea possono essere proposti 2b
come opzioni di trattamento e presentano un alto tasso di stone-free rate.
Per calcoli voluminosi (> 20 mm), la PNL può essere offerta, garantendo un alto tasso di stone 2b
free rate.
Raccomandazioni Forza della raccomandazione
Valutare le cause di urolitiasi nel ricevente. Forte
Trattare le ostruzioni ureterali causate da un calcolo con il posizionamento Forte
di una nefrostomia percutanea o stent JJ.
Eseguire ESWL o ureterorenoscopia anterograda/retrograda per calcoli Forte
< 15 mm.
Eseguire PNL per calcoli > 20 mm. Debole

3.1.7.13  –  Infezione della ferita


L’infezione della ferita si osserva in circa il 4% dei casi. I fattori di rischio l’età del ricevente > 60 anni, alto BMI,
anemia, ipoalbuminemia ed elevati tempi chirurgici (> 200 min) [224]. I batteri comunemente coinvolti sono
Enterobacteriaceae, Staphylococcus Aureus and Pseudomonas [212]. Accorgimenti per ridurre l’incidenza di
complicanze infettive sono: eseguire suture del sottocute, la dialisi pre-trapianto, legare/sigillare i vasi linfa-
tici, eseguire fenestrazione profilattica, ridurre la terapia con corticosteroidi ed evitare l’utilizzo di sirolimus/
everolimus [224].
3.1.7.14  –  Ernia incisionale
L’ernia incisionale si presenta in circa il 4% dei trapianti renali laparotomici. I fattori di rischio includono età,
obesità, diabete, ematoma, rigetto, re-interventi sulla stessa incisione del trapianto e l’uso degli inibitori di
m-TOR. L’infezione del mesh è un fattore di rischio per la recidiva dell’ernia incisionale [225]. La riparazione
(laparotomica e laparoscopica) è sicura ed efficace [225].
3.1.8 – Neoplasie maligne urologiche e trapianto di rene
La sezione seguente si basa sulla sinossi di tre revisioni sistematiche condotta dell’EAU Renal Transplantation
Panel.
3.1.8.1  –  Neoplasie maligne precedenti il trapianto di rene
3.1.8.1.1  –  Nel ricevente
Le procedure standard a cui vengono sottoposti i pazienti candidati a trapianto di rene comprendono l’esecu-
zione di uno screening sistemico per valutare la presenza di una neoplasia maligna attiva/latente ovvero, in
caso di anamnesi oncologica positiva, per identificare recidive. In candidati con storia di malignità urologiche,
la decisione circa l’esecuzione del trapianto può essere difficile in quanto è necessario valutare l’effettiva
candidabilità del paziente alla procedura nonché il tempo che deve intercorrere tra la risoluzione del quadro
oncologico ed il trapianto. Attualmente, il tempo di attesa è stato stabilito basandosi sui dati raccolti nel Cin-
cinnati Registry, che ha considerato il tipo di tumore ed il tempo intercorso tra il suo trattamento ed il succes-
sivo trapianto di rene. Tuttavia, tale analisi presenta delle limitazioni, in quanto non prende in considerazione
l’epidemiologia dei tumori stessi ovvero l’evoluzione dei test diagnostici e dei protocolli terapeutici, che han-
no cambiato radicalmente (in alcuni casi) la prognosi dei pazienti. In più, non vengono definiti lo stadio della
neoplasia ed il tipo di trattamento utilizzato.
Secondo una recente revisione sistematica della letteratura, il rischio di recidiva tumorale è simile tra i pa-
zienti sottoposti a trapianto (n=786) ed a trattamento dialitico (n=1733) per carcinoma a cellule renali e carci-
noma prostatico (Prostate Cancer, PCa). Questo dato si è rivelato particolarmente vero nei casi di carcinoma
prostatico di basso grado/stadio, per cui il rischio di recidiva è basso, in accordo con i nomogrammi disponibili

34
Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021

in letteratura [226]. Nei casi di carcinoma a cellule renali di basso grado/stadio, il tasso di recidiva è invece
significativo nei pazienti sottoposti a dialisi o trapianto renale; le recidive, tuttavia, hanno colpito il rene con-
trolaterale, senza influenzare significativamente la sopravvivenza del paziente o del graft [226].
Il tumore testicolare è stato associato a basso rischio di recidiva, tuttavia alcuni case reports sottolineano
come vi sia la possibilità di recidive tardive anche per neoplasie di primo stadio [226].
Per quanto riguarda il carcinoma uroteliale, gli studi disponibili di riferiscono principalmente a casi di neo-
plasia delle alte vie nel contesto di una nefropatia da acidi aristolochici: in tale scenario, il tasso di tumore
bilaterale sincrono è di circa il 10-16%, con un tasso di recidiva controlaterale del 31-39% [226].
Tali evidenze suggeriscono che un paziente candidato a trapianto di rene con una storia di neoplasia urologica
maligna di basso grado correttamente trattata, come un carcinoma prostatico di basso grado/stadio (PSA <
10 ng/ml, Gleason score ≤ 6 e T1/T2a) ovvero una neoplasia a cellule renali T1 di basso grado, possa essere
messo in lista per trapianto di rene senza ulteriori attenzioni rispetto ad un paziente con anamnesi oncologica
muta. Data l’esiguità dei dati disponibili in letteratura, tuttavia, sono attualmente necessari ulteriori studi che
permettano di standardizzare un minimo tempo d’attesa prima di eseguire il trapianto renale.

Sintesi delle evidenze LE


CARCINOMA A CELLULE RENALI
Il tasso di recidiva nei pazienti sottoposti a trapianto rispetto ai pazienti in dialisi è 2b
rispettivamente:
•  < 1 anno: 0-8% e 0%;
•  1-5 anni: 0-27% e 0-9%;
•  > 5 anni: 0-41% e 0-48%.
La sopravvivenza complessiva a cinque anni per i pazienti sottoposti a trapianto renale rispetto
ai pazienti dializzati è dell’80-100% e del 76-100% rispettivamente.
CARCINOMA PROSTATICO
Il tasso di recidiva per i pazienti sottoposti a trapianto renale a < 1 anno e > 5 anni sono dello 2b
0-9% e 4-20% rispettivamente.
Complessivamente, la sopravvivenza a 1-5 anni per i pazienti sottoposti a trapianto renale varia
dal 62 al 100%.
Raccomandazioni Forza della raccomandazione
Mettere in lista preoperatoria per trapianto di rene senza ritardi aggiuntivi Debole
i pazienti con un’anamnesi positiva per carcinoma prostatico o renale di
basso grado/stadio correttamente trattato.

3.1.8.1.2  –  Nel potenziale donatore di rene


Nella popolazione generale, il RCC rappresenta il 3% di tutte le neoplasie maligne ed è caratterizzato da un’in-
cidenza massima nei pazienti > 60 anni di età. Attualmente, la crescente età dei donatori di rene potrebbe
essere associata ad un più alto riscontro incidentale di RCC, portando teoricamente ad un calo del numero
di reni candidabili a trapianto. L’approccio operativo, in tali casi, consiste nell’escissione chirurgica ex vivo su
banco includendo un margine chirurgico, biopsia a freddo, renorrafia su banco e successivo trapianto [227].
Una recente revisione sistematica ha definito la sicurezza nell’utilizzare reni con piccole masse tumorali, pre-
levati da donatore vivente o da cadavere, come grafts durante un trapianto renale. I risultati indicano che la
sopravvivenza globale e del graft a cinque anni si attesta attorno al 92% e 95.6% rispettivamente [227]. L’escis-
sione chirurgica della massa è stata eseguita ex vivo in tutti i casi tranne due (107/109 pazienti) e la maggior
parte dei tumori sono risultati essere RCC (88/109), in particolare, più spesso, carcinoma a cellule chiare
[227]. Questa revisione sistematica, nonostante il basso livello di evidenza, indica che reni con piccole masse
neoplastiche sono organi accettabili per il trapianto e non causano compromissione dei risultati oncologici e
funzionali a lungo termine.

35
Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021

Sintesi delle evidenze LE


L’escissione di tumori ex vivo è stata eseguita in tutti casi tranne due (107/109 pazienti) 2b
La sopravvivenza globale a uno, tre e cinque anni è del 97.7%, 95.4% e 92% rispettivamente.
La sopravvivenza media del graft a uno, tre e cinque anni è del 99.2%, 95% e 95.6% rispettivamente.
Raccomandazioni Forza della raccomandazione
Non scartare un rene potenzialmente adatto per un trapianto unicamente Debole
sulla base del riscontro di una piccola massa renale.

3.1.8.2  –  Neoplasie maligne successive al trapianto di rene


Lo sviluppo di neoplasie maligne in seguito a trapianto di rene rappresenta un importante problema, in quan-
to rappresenta una delle cause principale di mortalità in questa popolazione di pazienti. Le neoplasie maligne
di origine urologica presentano un’incidenza aumentata successivamente al trapianto di rene, a causa della
sempre maggiore età del ricevente e della prolungata sopravvivenza in seguito a trapianto.

Il trattamento del carcinoma prostatico localizzato in seguito a trapianto renale è complesso, principalmente
a causa della presenza del graft nella cavità pelvica. Due revisioni sistematiche hanno evidenziato come gli
outcomes oncologici in seguito a trattamento di PCa nei pazienti trapiantati siano paragonabili a quelli della
popolazione non-trapiantata [228, 229]. L’intervento chirurgico (prostatectomia radicale) eseguita in centri
terziari ad alto volume, è stato il trattamento scelto nel 75-85% dei pazienti [228, 229]. Marra et al. hanno
descritto un tasso di sopravvivenza specifico, dopo 24 mesi di follow-up, del 96.8% per la chirurgia, dell’88.2%
per la radioterapia associata ad ormonoterapia e del 100% per la brachiterapia [229]. Hevia et al. hanno cal-
colato una sopravvivenza cancro-specifica a cinque anni del 97.5% per la chirurgia, dell’87.5% per la radiote-
rapia (External Beam Radiotherapy, EBRT) e del 94.4% per la brachiterapia [228].

Sintesi delle evidenze LE


Il trattamento chirurgico (prostatectomia radicale) rappresenta la scelta più comune per il 2b
trattamento del PCa localizzato in paziente sottoposto a trapianto renale.
Gli outcomes oncologici in seguito a trattamento del PCa localizzato in pazienti sottoposti a 2b
trapianto renale sono paragonabili a quelli della popolazione non sottoposta a trapianto.
Raccomandazioni Forza della raccomandazione
Durante la programmazione del trattamento per PCa, considerare con Forte
attenzione la presenza di un rene trapiantato nella pelvi e la possibile
necessità di eseguire un ulteriore trapianto.
Trattare i pazienti trapiantati affetti da carcinoma prostatico in centri Forte
specializzati in trapianto di rene.

3.1.9 – Matching di donatori e riceventi


Gli antigeni di istocompatibilità̀ mostrano un notevole polimorfismo e la corrispondenza dell’antigene
leucocitario umano (HLA) è ancora molto importante nel trapianto renale in quanto l’esito del trapianto è
correlato direttamente al numero di disaccoppiamenti (mismatches) HLA [230-233]. L’incompatibilità dell’an-
tigene leucocitario umano può determinare la proliferazione e l’attivazione delle cellule T CD4+ e CD8+ del
ricevente con concomitante attivazione della produzione di allo-anticorpi da parte delle cellule B. Questo
fenomeno può determinare rigetto cellulare ed umorale. Il matching dovrebbe concentrarsi sugli antigeni
HLA, che influiscono maggiormente sull’esito del trapianto. Gli antigeni leucocitari umani A, B, C come anche
DR devono essere determinati in tutti i potenziali riceventi e donatori, in accordo con le correnti linee guida e
con le regole nazionali di assegnazione [230-235]. In più, è raccomandabile eseguire la determinazione degli
antigeni HLA-DQ del donatore e del ricevente. La caratterizzazione dell’antigene HLA-DP può essere altresì

36
Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021

eseguita, specialmente per i pazienti sensibilizzati [230-235].

Tutti i pazienti registrati per il trapianto renale devono essere sottoposti a screening sierologico per la ricer-
ca di anticorpi anti-HLA, che sono particolarmente comuni dopo una gravidanza, dopo precedenti trapianti,
dopo rigetto del trapianto e trasfusioni di sangue [230-235]. Test accurati pre-trapianto per gli anticorpi an-
ti-HLA devono essere eseguiti secondo le raccomandazioni più recenti [230-235]. I sieri dei potenziali riceven-
ti di organi dovrebbero essere sottoposti a screening per anticorpi HLA-specifici ogni tre mesi o seguendo la
cadenza stabilita dalle organizzazioni nazionali e/o internazionali di scambio di organi [220-225]. Inoltre, lo
screening per gli anticorpi HLA-specifici dovrebbe essere effettuato due o quattro settimane dopo ogni evento
immunizzante, ad esempio trasfusioni di sangue, trapianto, gravidanza ed espianto del trapianto [230-235]. I
pazienti altamente sensibilizzati dovrebbero avere accesso prioritario ai programmi speciali di assegnazione
[232, 233, 235], come il programma Acceptable Mismatch (AM) di Eurotransplant [236]. Deve essere con-
dotta un’attenta analisi delle specificità degli anticorpi HLA nei potenziali donatori, per evitare antigeni HLA
inaccettabili e per determinare gli antigeni HLA accettabili: tale analisi deve fornire un risultato cross-match
negativo. La definizione di antigeni HLA inaccettabili dovrebbe essere implementata in accordo con le regole
di allocazione locali e le raccomandazioni internazionali [230-234, 237]. Le informazioni sugli antigeni HLA
inaccettabili dovrebbero essere riportate con i dettagli del paziente nel database del programma nazionale
di condivisione dei reni, evitando il trasporto non necessario di reni verso destinatari con elevata sensibilità
anticorpale.

Per evitare il rigetto iperacuto (Hyper-Acute Rejection, HAR), devono essere eseguiti test di cross-match ade-
guati (ad es. CDC o virtuali) prima di ogni trapianto di rene e di ogni trapianto combinato rene/pancreas in
accordo con le raccomandazioni nazionali e internazionali [230-233, 235].

I laboratori che forniscono test HLA, test anticorpali HLA e cross-matching per i centri trapianti devono avere
un accreditamento valido per garantire accuratezza e affidabilità [224, 225, 230-232]. Devono inoltre soddi-
sfare gli standard dettati dalle organizzazioni nazionali ed internazionali, come la Federazione Europea per
l’Immunogenetica (European Federation for Immunogenetics) [235].

In precedenza, la compatibilità degli antigeni ABO ed HLA rivestiva un’importanza critica nel trapianto renale.
Questo potrebbe cambiare in futuro: ad esempio, nel nuovo sistema di assegnazione degli Stati Uniti i do-
natori A2 e A2B sono assegnati a riceventi B [233]. Per evitare un crescente squilibrio tra domanda e offerta
nel trapianto di rene da donatore deceduto in riceventi O, l’identità ABO è richiesta da diverse organizzazioni
di assegnazione di organi, con poche eccezioni (ad es. come in reni zero con mismatch HLA-A+B+DR) [233,
234]. Con l’introduzione di metodiche per l’eliminazione degli anticorpi, di potenti immunosoppressori e di
nuovi farmaci (ad es. farmaci anti-cellule B), sono possibili trapianti da donatori viventi ABO-incompatibili,
con buoni risultati a lungo termine [238, 239]. Tuttavia, sono stati descritti costi e tassi di infezione più elevati.
Anche la barriera rappresentata da un cross-match positivo dovuto ad anticorpi HLA preformati è oggetto
di discussione, a causa dell’introduzione di recenti tecniche di “desensibilizzazione” applicabili in caso di do-
natore vivente [240, 241]. I tassi di successo sono più bassi, i rigetti anticorpi-mediati sono frequenti, ma la
sopravvivenza è potenzialmente migliore rispetto alla sopravvivenza in lista di attesa di pazienti in dialisi. A
causa della rapida evoluzione in questo campo, sono necessarie ulteriori ricerche per definire protocolli stan-
dard. Fino ad allora, tali protocolli di “desensibilizzazione” sono sperimentali e dovrebbero essere eseguiti in
centri specializzati, dove possono essere registrati tutti gli outcomes di tali tecniche. I pazienti dovrebbero
essere informati adeguatamente circa i rischi ed i limiti di tale metodica e circa le strategie alternative (ad es.
programmi con mismatch, trapianti incrociati e catene di donatori).

EVIDENZE LE
Il matching dell’HLA è molto importante nel trapianto di rene, in quanto gli outcomes del trapianto 3
correlano direttamente con il numero di mismatch dell’HLA. Il matching dovrebbe concentrarsi
sull’antigene HLA, che modifica sensibilmente gli outcomes.
Per evitare il rigetto iperacuto, in accordo con le raccomandazioni nazionali ed internazionali, 3
devono essere eseguiti test adeguati di cross-match (ad es. CDC, virtuale) prima di ogni trapianto
di rene e di ogni trapianto combinato rene/pancreas.

37
Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021

Raccomandazioni Forza della raccomandazione


Determinare il gruppo sanguigno ABO e il fenotipo HLA (A, B, C e DR) per Forte
tutti i candidati in attesa di trapianto di rene.
Si raccomanda il test del donatore e del ricevente per HLA-DQ. Si può Forte
eseguire il test per HLA-DP per i pazienti sensibilizzati.
Eseguire test approfonditi per gli anticorpi HLA prima del trapianto. Forte
Eseguire adeguati test di cross-match per evitare il rigetto iperacuto, Forte
prima di ogni trapianto di rene e trapianto combinato rene/pancreas.

3.1.10 – Immunosoppressione dopo trapianto renale


Il principio alla base della immunosoppressione riuscita è “l’equilibrio della sopravvivenza”. Il medico deve
prescrivere un dosaggio di farmaco abbastanza alto da sopprimere il rigetto senza mettere a repentaglio la sa-
lute del paziente. Una maggiore comprensione del fenomeno del rigetto ha portato allo sviluppo di immuno-
soppressori moderni e sicuri [242, 243], che sopprimono l’attività dei linfociti sensibilizzati contro un organo
trapiantato. L’immunosoppressione è particolarmente importante durante il periodo iniziale post-trapianto,
caratterizzato da un’alta incidenza di rigetto precoce.
Nelle fasi post-operatorie tardive, si verifica un “adattamento del trapianto”, che porta a tassi di rigetto molto
bassi nei pazienti in terapia di mantenimento. La profilassi farmacologica del rigetto dovrebbe pertanto es-
sere ridotta nel tempo, diminuendo il dosaggio dei farmaci steroidei e degli inibitori delle calcineurine (Calci-
neurin Inhibitors, CNI) [242-244].

Gli effetti collaterali non specifici dell’immunosoppressione includono un maggior rischio di neoplasie ed
infezioni, in particolare di infezioni opportunistiche [242-244]. Tutti gli immunosoppressori hanno anche ef-
fetti collaterali specifici dose-dipendenti. Gli attuali protocolli immunosoppressivi mirano a ridurre gli effetti
collaterali specifici di tali farmaci utilizzando un regime sinergico. Un regime fortemente sinergico consente
riduzioni significative della dose di farmaci immunosoppressori, consentendo quindi di ridurre gli effetti colla-
terali pur mantenendo l’efficacia terapeutica, grazie agli effetti sinergici dei diversi immunosoppressori.

Il regime standard iniziale di immunosoppressione attualmente raccomandato garantisce un’eccellente effi-


cacia con una buona tollerabilità [242-245]. Viene somministrato alla maggior parte dei pazienti e consiste in:
•  inibitori della calcineurina (preferibilmente tacrolimus, in alternativa ciclosporina);
•  micofenolato (MMF o micofenolato sodico con rivestimento enterico [Enteric-Coated Mycophenolate
sodium, EC-MPS]);
•  steroidi (prednisolone o metilprednisolone);
•  terapia di induzione (preferibilmente basiliximab, in pazienti con rischio basso o standard, e globulina
anti-timocitica [Anti-Thymocyte Globulin, ATG] in pazienti ad alto rischio).

Questo regime multi-farmacologico riflette l’attuale standard di cura per la maggior parte dei pazienti trapian-
tati in tutto il mondo [242-244] e può essere modificato in base alle esigenze specifiche ed al rischio immuno-
logico. È probabile che questo regime standard venga modificato, in base ai nuovi farmaci immunosoppresso-
ri e ai nuovi regimi di trattamento sviluppati [242-244]. Inoltre, qualsiasi regime farmacologico iniziale dovrà
essere adattato alle esigenze individuali del paziente, in base alla comparsa di effetti collaterali, alla mancanza
di efficacia o dei requisiti richiesti dal protocollo.

Raccomandazioni Forza della raccomandazione


Attuare la profilassi iniziale del rigetto con una terapia di combinazione Forte
a base di inibitori delle calcineurine (preferibilmente tacrolimus),
micofenolato, steroidi e un farmaco di induzione (basiliximab ovvero
un’immunoglobulina anti-timociti).

38
Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021

3.1.10.1  –  Inibitori delle calcineurina


Sia la ciclosporina che il tacrolimus hanno effetti collaterali importanti, pericolosi sia per l’organo trapiantato
che per il paziente [242-249]. In particolare, entrambi sono nefrotossici [250-251] ed il loro uso a lungo termi-
ne è una causa significativa di disfunzione cronica dell’allotrapianto [252], che può portare alla perdita dell’or-
gano od a grave malattia renale cronica nei riceventi un trapianto d’organo diverso da quello renale. Entrambe
le CNI sono considerate farmaci a “dose critica”: eventuali modifiche nell’esposizione a tali molecole possono
portare a gravi fenomeni di tossicità ovvero a mancato effetto farmacologico/terapeutico. A causa della stret-
ta finestra terapeutica e della potenziale interazione farmaco-farmaco, le CNI dovrebbero essere impiegate
somministrando i minimi dosaggi efficaci, permettendo di stimare livelli ragionevoli di esposizione [249].

Alcune metanalisi sul tacrolimus e la ciclosporina hanno dimostrato risultati simili circa la sopravvivenza com-
plessiva del paziente e del graft [242-248, 253, 254]. Il tacrolimus ha mostrato una migliore profilassi nella
prevenzione del rigetto ed è stato associato ad una migliore sopravvivenza del trapianto, nonostante in alcune
casistiche la morte del paziente non sia considerata. La funzione renale è risultata migliore nei pazienti trattati
con tacrolimus in diversi studi [254-259]. Pertanto, entrambe le CNI possono essere utilizzate efficacemente
per la prevenzione del rigetto acuto ma il tacrolimus, a causa della sua maggiore efficacia, è raccomandato
dalle attuali linee guida come farmaco di prima linea [243].

Per entrambe le CNI sono disponibili diverse formulazioni [249, 260-268]. La monosomministrazione giorna-
liera di tacrolimus sembra essere la preferita dai pazienti ed è associata a miglior aderenza e minor variabilità
farmacocinetica [249, 269 270]. Devono essere attuate alcune precauzioni (ad es. stretta sorveglianza e do-
saggio dei livelli di farmaco) dopo il cambio da una formulazione ad un’altra [268, 271-275]. In caso di effetti
collaterali specifici di un CNI (ad es. irsutismo, alopecia, iperplasia gengivale, diabete, nefropatia da poliomie-
lite) la conversione ad un altro CNI può essere una strategia efficace per ridurre gli effetti collaterali [242-244,
276]. A causa delle differenze nell’efficacia e nel profilo di sicurezza, la scelta del CNI dovrebbe considerare i
rischi individuali ed i benefici per ciascun paziente.

Nonostante i loro effetti collaterali, gli CNI hanno rappresentato una pietra miliare dei moderni regimi immu-
nosoppressivi per oltre vent’anni, poichè hanno portato ad un miglioramento notevole della sopravvivenza
del rene trapiantato [242, 243]. I protocolli futuri mirano a minimizzare o addirittura eliminare gli CNI [244,
247, 249, 277-280]. Tuttavia, finché tali strategie alternative non forniranno risultati superiori, gli CNI rimar-
ranno i farmaci standard [242, 243, 281]. A causa di gravi effetti collaterali correlati all’utilizzo di CNI, possono
rendersi necessari un’interruzione della terapia, una sostituzione o una riduzione importante del dosaggio del
farmaco [242, 244, 247, 277, 278]. Un’attenzione particolare dovrebbe essere prestata ai pazienti in terapia
di mantenimento, che potrebbero aver bisogno di minor dosi di CNI di quanto ritenuto in precedenza [242,
244, 249, 278, 279 282].

Sintesi delle evidenze LE


Metanalisi sull’utilizzo di tacrolimus e ciclosporina hanno dimostrato risultati simili riguardo alla 1a
sopravvivenza globale sia del paziente che del graft. Il tacrolimus, tuttavia, ha dimostrato un
maggiore efficacia nel prevenire i fenomeni di rigetto.
A causa delle differenze concernenti l’efficacia ed il profilo di sicurezza, la scelta del CNI deve 1
prendere in considerazione il rischio immunologico, le caratteristiche generali, la presenza di
immunosoppressione concomitante ed i fattori socioeconomici del ricevente.
Raccomandazioni Forza della raccomandazione
Utilizzare gli inibitori della calcineurina per la profilassi del rigetto in quanto Forte
rappresentano la migliore pratica clinica, in attesa della pubblicazione di
risultati a lungo termine sull’utilizzo di farmaci più recenti.

39
Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021

Utilizzare tacrolimus come inibitore della calcineurina di prima linea a Forte


causa della sua maggiore efficacia.
Monitorare i livelli ematici di ciclosporina e tacrolimus per consentire un Forte
adeguato aggiustamento della dose degli stessi.

3.1.10.2  –  Micofenolati
I micofenolati, MMF ed EC-MPS, sono basati sull’acido micofenolico (Mycophenolic Acid, MPA), molecola che
inibisce l’inosina monofosfato deidrogenasi (IMPDH) [283-287]. Questo è il passaggio limitante per la sintesi
della guanosina monofosfato nella sintesi de novo delle purine. Poichè la funzione e la proliferazione dei lin-
fociti dipendono maggiormente dalla sintesi de novo dei nucleotidi purinici rispetto ad altri tipi di cellule, gli
inibitori IMPDH forniscono un’immunosoppressione più specifica, mirata ai linfociti. La co-somministrazione
di micofenolato con prednisolone e CNI ha determinato una profonda riduzione dei rigetti, come dimostrato
alla biopsia midollare [242, 245, 283-287]. L’acido micofenolico non è nefrotossico; inibisce tuttavia la funzio-
nalità del midollo osseo, può causare infezioni da CMV e piò causare diversi effetti collaterali gastrointestinali,
in particolare diarrea [242, 245, 283-287]. C’è anche una maggiore incidenza di nefropatia da polyomavirus,
specialmente quando il micofenolato è combinato con tacrolimus [288].

Entrambe le formulazioni di MPA sono ugualmente efficaci e presentano un profilo di sicurezza quasi identi-
co [240, 278, 281, 283-286]. Alcuni studi prospettici suggeriscono tuttavia come EC-MPS sia maggiormente
tollerata a livello gastrointestinale in quei pazienti che hanno sofferto di disturbi gastrointestinali correlati
all’MMF, sebbene manchino evidenze ottenute da studi prospettici randomizzati [283-287, 289].

L’uso di MMF è raccomandato dalle linee guida [243]. Le dosi standard in combinazione con la ciclosporina
sono MMF 1g o EC-MPS 720mg due volte al giorno, sebbene sia stato suggerito l’utilizzo di dosi iniziali più ele-
vate [242, 243, 283-287]. Nonostante il suo uso frequente con il tacrolimus, non vi sono prove sufficienti per
definire il dosaggio ottimale di questa combinazione [242, 283, 285, 286, 290]. Tacrolimus non ha alcuna in-
fluenza sull’esposizione al MPA e porta a un’esposizione all’MPA di circa il 30% superiore rispetto alla ciclospo-
rina. La maggior parte dei centri di trapianto usa la stessa dose iniziale dei pazienti trattati con ciclosporina,
tuttavia le riduzioni della dose sono frequenti, specialmente a causa degli effetti collaterali gastrointestinali.
Alcuni deboli evidenze suggeriscono come la riduzione del dosaggio di MPA sia associata ad outcomes com-
plessivi inferiori, in particolare nei pazienti trattati con ciclosporina [284-286, 291, 292]. A causa dell’elevata
incidenza di effetti collaterali alcuni centri eseguono, in pazienti trattati con tacrolimus, una riduzione della
dose di MPA secondo specifici protocolli [283, 285]. Nei pazienti trattati con MPA in combinazione con tacro-
limus è raccomandato il monitoraggio regolare per poliomavirus (BK virus) [242, 288].

A causa di una maggiore incidenza di infezione da CMV con MPA [287], è necessario istituire una profilassi per
l’infezione da CMV ovvero uno screening regolare della viremia [242, 293]. La profilassi con farmaci antivirali
(ad es. valganciclovir) dovrebbe essere usata di routine nei riceventi positivi al CMV e nei pazienti CMV-ne-
gativi riceventi trapianti di organi positivi al CMV. È stato recentemente dimostrato che la profilassi farmaco-
logica riduce l’incidenza di malattia da CMV, riduce la mortalità associata al CMV nei riceventi di trapianti di
organi solidi e determina una migliore sopravvivenza del graft a lungo termine nei riceventi di rene.

I vantaggi del monitoraggio farmacologico del MPA sono ancora incerti ed attualmente tale procedura non è
raccomandata nella maggior parte dei casi [283, 285, 286, 294].

Nei pazienti in terapia di mantenimento, la potenza dell’MPA può essere utilizzata per determinare, nella
maggior parte dei pazienti, l’eliminazione dello steroide [295] o per ridurre significativamente la dose di CNI
nefrotossici, portando potenzialmente ad una migliore funzionalità renale [242-245, 247, 278, 296]. Sebbene
siano stati condotti diversi studi sul potenziale di protocolli con MPA e steroidi ma privi di CNI, la totale as-
senza o l’interruzione degli CNI nei primi tre anni sono state associate ad un rischio di rigetto sostanzialmente
aumentato, con risultati ancora peggiori in diversi RCT [242, 244 278]. Al contrario, la sospensione degli CNI

40
Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021

in corso di terapia con MPA e steroidi sembra essere sicura nei pazienti in terapia di mantenimento a lungo
termine, oltre cinque anni dopo il trapianto, ed è stata associata ad una migliore funzionalità renale [242, 244,
247, 278, 296, 297].

Sintesi delle evidenze LE


La concomitante somministrazione di MPA con prednisolone e CNI determina una riduzione 1
significativa dei rigetti comprovati alla biopsia.
Entrambe le formulazioni del MPA, MMF e EC-MPS, sono ugualmente efficaci e possiedono un 1
simile profilo di sicurezza.
A causa della più elevata incidenza di infezione da CMV nei pazienti trattati con MPA, dovrebbe 1
essere eseguita profilassi farmacologica oppure una strategia preventiva con screening regolare
(viremia).
Raccomandazioni Forza della raccomandazione
Somministrare il micofenolato come parte del regime immunosoppressivo Forte
iniziale.

3.1.10.3  –  Azatioprina
Il micofenolato viene ora utilizzato di routine, in sostituzione dell’azatioprina, come terapia di prima linea nel-
la maggior parte dei centri in tutto il mondo. Rispetto all’azatioprina, il MPA riduce significativamente i tassi di
rigetto, come dimostrato in studi prospettici randomizzati [242, 243, 245, 283-287]. Sebbene un ampio studio
prospettico abbia evidenziato che l’azatioprina può fornire risultati accettabili in una popolazione a basso ri-
schio [298], l’azatioprina è solitamente riservata ai pazienti che non tollerano il MPA [242, 243, 283, 284, 286].
Quando aggiunta alla duplice terapia con ciclosporina e steroidi, non determina miglioramenti significativi ai
principali parametri di outcome, come dimostrato da una meta-analisi [299].

Raccomandazioni Forza della raccomandazione


L’azatioprina può essere utilizzata in una popolazione a basso rischio Debole
come farmaco immunosoppressore, in particolare per gli intolleranti alle
formulazioni di micofenolato.

3.1.10.4  –  Steroidi
Gli steroidi hanno un gran numero di effetti collaterali [242-244, 295], specialmente nelle terapie a lungo
termine. La maggior parte dei medici considera ancora gli steroidi (prednisolone o metilprednisolone) come
un coadiuvante fondamentale dell’immunosoppressione primaria, anche se, in molti studi prospettici rando-
mizzati, è stata rimossa con successo tale molecola nella maggioranza dei pazienti in terapia immunosoppres-
siva [242, 244, 245, 295, 300, 301]. Questi studi suggeriscono che il rischio derivante dalla sospensione dallo
steroide dipenda dall’uso concomitante di farmaci immunosoppressivi, dal rischio immunologico, dall’etnia
e del tempo trascorso dal trapianto. Sebbene il rischio di rigetto diminuisca nel tempo, i potenziali benefici
possono essere meno evidenti dopo un periodo prolungato di trattamento con steroidi. [242-245, 295]. Uno
studio recente riferito a pazienti a basso rischio in trattamento con tacrolimus, micofenolato ed un induttore
(ad es. basiliximab o ATG), evidenzia una minor incidenza di diabete a parità di effetto immunosoppressivo
dopo sospensione precoce dello steroide [302, 303].

Sintesi delle evidenze Forza della raccomandazione


La terapia steroidea iniziale dovrebbe far parte dell’immunosoppressione Forte
nel periodo peri-operatorio e nel primo periodo post-trapianto.
Considerare la sospensione dello steroide nei pazienti con rischio Debole
immunologico standard in terapia di associazione con inibitori della
calcineurina e acido micofenolico dopo il primo periodo post-trapianto.

41
Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021

3.1.10.5  –  Inibitori del target dei mammiferi della rapamicina (m-TOR)


Gli immunosoppressori, sirolimus ed everolimus, inibiscono il bersaglio della rapamicina nei mammiferi
(m-TOR) e sopprimono la proliferazione e la differenziazione linfocitaria [242, 277, 304-306]. Inibiscono mol-
teplici vie intracellulari e bloccano i segnali delle citochine per la proliferazione delle cellule T. Effetti simili
si osservano altresì su cellule B, cellule endoteliali, fibroblasti e cellule tumorali. Gli inibitori di m-TOR sono
efficaci quanto il MPA quando combinati con CNI per la prevenzione del rigetto [242, 245, 277, 304-307]. Tut-
tavia, gli inibitori di m-TOR mostrano tossicità midollare dose-dipendente [242, 277, 304-306]. Altri potenziali
effetti collaterali includono iperlipidemia, edema, sviluppo di linfocele, guarigione ritardata delle ferite, pol-
monite, proteinuria e alterazioni della fertilità. L’entità degli effetti collaterali rende tali farmaci meno tollerati
rispetto al MPA e, inoltre, influenzerebbe negativamente gli outcomes nei primi anni dal trapianto, in cui si
usano dosi maggiori [308-313].

Ad oggi, non sono stati effettuati studi prospettici comparativi sugli inibitori di m-TOR sirolimus ed everoli-
mus. Entrambi gli inibitori della m-TOR hanno effetti collaterali quasi identici e differiscono principalmente
per le loro proprietà farmacocinetiche [242, 277, 304-306, 315]. Sirolimus ha un’emivita di circa 60 ore, viene
somministrato una volta al giorno ed è autorizzato esclusivamente per la profilassi nei riceventi di rene. Eve-
rolimus ha un’emivita di circa 24 ore, viene somministrato due volte al giorno ed è autorizzato per riceventi di
reni, fegato e cuore. Everolimus è autorizzato per l'uso con ciclosporina e può essere somministrato contem-
poraneamente a quest’ultima, mentre sirolimus deve essere somministrato quattro ore dopo l’assunzione
di ciclosporina. L’interazione farmacologica con la ciclosporina è molto inferiore per tacrolimus, infatti sono
richiesti dosaggi iniziali più alti di inibitori di m-TOR quando associati a tacrolimus [258, 316, 317]. Sirolimus
è anche autorizzato in terapia di associazione con steroidi e permette la sospensione della ciclosporina dalla
terapia di associazione con ciclosporina.

Il monitoraggio terapeutico dei livelli minimi è raccomandato a causa della stretta finestra terapeutica e del
rischio di interazioni farmaco-farmaco [242, 277, 304-306, 315].

Quando combinato con CNI, deve essere somministrata la profilassi antibiotica per la polmonite da Pneu-
mocystis jirovecii per un anno dopo il trapianto, ad esempio cotrimossazolo a basse dosi [242, 304-306]. An-
cora più importante, la terapia combinata con CNI aggrava la nefrotossicità indotta dagli CNI stessi, sebbene
gli inibitori della m-TOR non siano nefrotossici [242]. Diversi studi suggeriscono risultati meno favorevoli per
questa combinazione, specialmente se gli CNI vengono mantenuti a dosaggi standard [242, 245, 247, 258,
307, 309, 310, 318-323]. La dose di inibitore della calcineurina deve pertanto essere ridotta in corso terapia
combinata con gli inibitori della m-TOR; tale riduzione, sembra non avere alcun impatto sull’efficacia comples-
siva, a causa del potenziale altamente sinergico di questa terapia combinata [277, 304-306, 312, 315].

Diversi studi suggeriscono che gli inibitori della m-TOR non possono sostituire gli CNI nella fase iniziale dopo il
trapianto a causa della loro minore efficacia e di un profilo di effetti collaterali meno favorevole, in particolare
a causa dei problemi di cicatrizzazione e di formazione di linfocele [240, 242, 243, 274, 298, 299, 304, 306,
314]. Altri studi suggeriscono che gli inibitori della m-TOR possono sostituire gli CNI negli stadi successivi, ad
esempio tre mesi dopo il trapianto, con miglioramento della funzionalità renale in particolare nei pazienti
trattati con ciclosporina [242, 244, 245, 247, 255, 277, 304-306, 309, 310, 312, 324-326]. Non è ancora chiaro
se vi sia un reale beneficio rispetto ai pazienti in terapia con tacrolimus e MPA [256, 325]. Tuttavia, vi è un au-
mentato rischio di rigetto e di sviluppo di anticorpi HLA [242, 244, 256, 277, 327], che può essere compensato
dal beneficio dell’immunosoppressione non-nefrotossica. I pazienti trattati con inibitori di m-TOR sviluppano
meno frequentemente leucopenia ed infezioni virali opportunistiche, in particolare da CMV, rispetto ai pa-
zienti trattati con MPA [258, 309, 312, 322-324, 328].

Proteinuria e scarsa funzionalità renale alla conversione sono associate a outcomes inferiori [242, 244, 277,
304-306]. In pazienti con proteinuria > 800 mg/die, la conversione da CNI non è raccomandabile; in pazienti
con GFR <30 mL/min, dovrebbe essere seguito un approccio cauto e individualizzato.

A causa di un effetto antiproliferativo e di una minore incidenza di neoplasie maligne nei pazienti trattati con
42
Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021

inibitore di m-TOR, la conversione da CNI ad inibitori di m-TOR può essere utile per i pazienti che sviluppano
tumori maligni dopo il trapianto o che sono ad alto rischio di sviluppo di neoplasie post-trapianto ovvero
tumori cutanei [242, 244, 277, 304-306, 311-313, 329-332]. Diversi studi e case reports hanno suggerito che
i pazienti con sarcoma di Kaposi in terapia con CNI traggono beneficio dalla conversione ad un inibitore di
m-TOR [330].

In sintesi, gli inibitori di m-TOR non sono raccomandati come iniziale terapia immunosoppressiva a causa dei
loro effetti collaterali e dei tassi di interruzione della terapia più elevati [243]. Tuttavia, gli inibitori di m-TOR
sono un’opzione di trattamento alternativa ben studiata.

Sintesi delle evidenze LE


La terapia di combinazione con CNI induce nefrotossicità. Il dosaggio degli CNI dovrebbe quindi 1
essere sostanzialmente ridotto quando questi si somministrano con inibitori di m-TOR. Il grande
potenziale sinergico di questa terapia di combinazione sembra non influenzare l’efficacia
complessiva della terapia.
Prendere in considerazione la compromissione della cicatrizzazione delle ferite e le misure 1
chirurgiche profilattiche quando gli inibitori di m-TOR sono usati come parte del regime
immunosoppressivo iniziale o quando i pazienti trattati con inibitori dei m-TOR subiscono un
intervento chirurgico maggiore.
La profilassi antibiotica per polmonite da Pneuomcystis jirovecii dovrebbe essere somministrata 1
per un anno dopo il trapianto nei pazienti in terapia combinata con CNI.
Nei pazienti con proteinuria > 800 mg/die non è raccomandabile la conversione a terapia con 1
CNI. Bisogna prestare prudenza nell’impostazione della terapia in pazienti con GFR < 30 mL/min.
Raccomandazioni Forza della raccomandazione
Gli inibitori di m-TOR possono essere usati per prevenire il rigetto in Debole
pazienti intolleranti alla terapia standard.
Nel regime di combinazione con inibitori di m-TOR, ridurre Forte
significativamente il dosaggio di CNI per prevenire gli effetti nefrotossici.
Non convertire pazienti con proteinuria e funzionalità renale compromessa Forte
a terapia con inibitori di m-TOR.
Monitore i livelli sanguigni di sirolimus ed everolimus per permettere un Forte
corretto aggiustamento della dose.

3.1.10.6  –  Induzione con anticorpi del recettore dell’Interleuchina-2


Basiliximab, un anticorpo monoclonale anti-recettore dell’interleuchina-2 (IL-2) ad alta affinità, è approvato
per la profilassi del rigetto in seguito a trapianto d'organo [242, 243, 245, 333-337]. Basiliximab viene som-
ministrato prima del trapianto ed al quarto giorno dopo l’intervento. Il farmaco è sicuro ed in diversi RCT si
è dimostrata la capacità degli anticorpi anti-recettore dell’IL-2 di ridurre la prevalenza del rigetto cellulare
acuto del 40% circa [242, 243, 245, 333-335]. Metanalisi [245, 333-335] ne hanno confermato l’efficacia ,ma
non sono stati dimostrati effetti positivi sulla sopravvivenza del paziente o del trapianto, sebbene ampi studi
di coorte retrospettivi e recenti ampi studi prospettici suggeriscano un tale beneficio [242, 243, 338, 339].
Diversi ampi studi controllati supportano l’efficacia e la sicurezza della terapia quadrupla con tacrolimus, mi-
cofenolato e steroidi. Gli anticorpi anti-recettore dell’interleuchina-2 potrebbero consentire un’interruzione
precoce degli steroidi [295], sebbene siano stati descritti tassi di rigetto più elevati. Ancora più importante,
gli anticorpi anti-recettore dell’IL-2 consentono una sostanziale riduzione del dosaggio di CNI o steroidi, pur
conservando un’eccellente efficacia e funzionalità renale [242-245, 302, 333-335]. Pertanto, questo regime
viene proposto come immunosoppressione di prima linea in pazienti con rischio immunologico da basso a
normale [243, 339].

43
Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021

Raccomandazioni Forza della raccomandazione


Utilizzare anticorpi anti-recettore dell’interleuchina-2 per l’induzione in Debole
pazienti con rischio immunologico normale al fine di ridurre l’incidenza
di rigetto acuto.

3.1.10.7  –  Terapia di induzione con deplezione delle cellule T


I regimi di immunosoppressione profilattica in molti paesi, in particolare negli Stati Uniti, prevedono l’utilizzo
di potenti trattamenti di “induzione” che riducono le cellule T [242, 243, 245, 333, 338, 340-343]. Più frequen-
temente, viene utilizzata ATG per la prevenzione del rigetto nei pazienti immunologici ad alto rischio, come
raccomandato da metanalisi [339] e dalle linee guida [243, 344]. Inoltre, questi potenti agenti biologici sono
utilizzati per il trattamento di gravi episodi di rigetto resistenti agli steroidi [340, 343].

L’uso di anticorpi che riducono le cellule T in pazienti immunologici a basso rischio non è stato associato a mi-
gliori esiti a lungo termine ma, invece, ad un aumentato rischio di gravi infezioni opportunistiche e malignità,
in particolare la malattia linfoproliferativa post-trapianto [242, 243, 245, 333, 339, 341]. Alcuni centri usano
questi agenti per garantire un’efficace profilassi del rigetto e per facilitare la successiva sospensione degli
steroidi [302, 338, 342].

Raccomandazioni Forza della raccomandazione


Gli anticorpi che riducono le cellule T possono essere utilizzati per la Debole
terapia di induzione in pazienti immunologicamente ad alto rischio.

3.1.10.8  –  Belatacept
Belatacept è una proteina di fusione, che blocca efficacemente la via co-stimolatoria CD28 e quindi impedi-
sce l’attivazione delle cellule T [277, 345, 346]. Belatacept viene somministrato per via endovenosa ed il suo
uso è indicato come parte di un regime privo di CNI associato ad induzione con basiliximab, micofenolato e
corticosteroidi. I dati a lungo termine di tre studi randomizzati su pazienti trapiantati di rene de novo hanno
dimostrato una migliore funzionalità renale rispetto all’immunosoppressione basata sulla ciclosporina, tut-
tavia le percentuali e i gradi di rigetto acuto fossero più elevati per belatacept nel primo anno successivo al
trapianto [242, 245, 257, 277, 345-351]. Nei pazienti standard che ricevevano un rene da donatore vivente o
deceduto, è stata osservata una migliore sopravvivenza del trapianto, mentre in pazienti ECD i tassi di soprav-
vivenza del trapianto sono risultati essere simili. È interessante notare che i pazienti trattati con belatacept
avevano un’istologia meglio conservata e hanno sviluppato meno anticorpi donatore specifici (Donor Specific
Antigen, DSA) rispetto alla ciclosporina [352]. Il profilo di sicurezza a lungo termine dei pazienti trattati con
belatacept era simile ai controlli in trattamento con ciclosporina: in particolare, meno pazienti trattati con be-
latacept hanno interrotto la terapia a causa di eventi avversi o hanno sviluppato complicazione metaboliche
[350, 351, 353, 354]. Inoltre, l’opzione di convertire pazienti (sia pazienti stabili che con tossicità associata a
CNI o m-TOR) a tale farmaco è stata esplorata con risultati iniziali promettenti [348, 355-357]. Segnali specifici
di sicurezza includono un più alto tasso di malattia linfoproliferativa post-trapianto (Post Transplant Lympho-
proliferative Disorder, PTLD) specialmente nei pazienti negativi al virus di Epstein-Barr (EBV), più infezioni
da herpes e da tubercolosi (in pazienti provenienti da aree endemiche) [277, 345, 346]. Belatacept è stato
approvato negli Stati Uniti ed in Europa per i pazienti EBV positivi, ma in molti paesi non è ancora disponibile.
Ulteriori studi sono in corso per esplorare appieno il valore di questo composto.

Raccomandazioni Forza della raccomandazione


Belatacept può essere usato per la terapia immunosoppressiva in pazienti Debole
immunologicamente a basso rischio, che hanno una sierologia positiva
per il virus Epstein-Barr.

44
Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021

3.1.11 – Complicanze immunologiche
Il rigetto immunologico è una causa comune di disfunzione precoce e tardiva del trapianto [243, 358-362]. C’è
una grande variabilità nella tempistica e nella gravità degli episodi di rigetto e nella risposta al trattamento.
Oggi si distinguono due tipi principali di reazioni immunologiche, i rigetti mediati da cellule T (T-Cell Mediated
Rejections, TCMR) e i rigetti mediati da anticorpi (Antibody-Mediated Rejections, ABMR) [243, 358-360]. Il
rigetto anticorpale e TCMR possono essere diagnosticati insieme, delineando il quadro di rigetto acuto misto.
Il rigetto mediato da anticorpi può verificarsi come rigetto iperacuto (Hyperacute Rejection, HAR), rigetto acu-
to o rigetto cronico. L’ABMR cronico è considerato una delle principali cause di perdita tardiva del trapianto.

Il gold standard per la diagnosi di rigetto è la biopsia del trapianto [243], poiché è impossibile distinguere il
rigetto acuto da altre cause di disfunzione renale (ad es. necrosi tubulare acuta, infezione, recidiva di malattia
o nefrotossicità da CNI) esclusivamente sulla base del quadro clinico. Pertanto, tutti i rigetti devono essere
inquadrati mediante biopsia renale e le biopsie devono essere classificate secondo i più recenti criteri di
Banff [363], che costituiscono la base per il trattamento e la prognosi [241, 358, 361]. La biopsia del trapianto
renale deve essere condotta preferibilmente sotto guida ecografica, utilizzando un sistema di biopsia con
ago automatizzato (ad es. pistola per biopsia Tru-Cut) [243, 358] con un ago da 16 G per garantire l’adegua-
tezza del campione. La procedura bioptica è considerata sicura, ma possono verificarsi complicanze come
sanguinamento e fistole AV [243, 364, 365]. Il rischio riportato di complicanze maggiori (tra cui grave sangui-
namento, ematuria macroscopica con ostruzione ureterale, peritonite o perdita del graft) è di circa l’1%. Le
controindicazioni più importanti sono la concomitante terapia anticoagulante, compresi i farmaci antiaggre-
ganti, e l’ipertensione non controllata.

Sintesi delle evidenze LE


Per consentire una diagnosi rapida e chiara del rigetto o di altri tipi di disfunzione dell’allotrapianto, 2
ci deve essere la possibilità di un accesso routinario alla biopsia del trapianto eco-guidata ed una
sufficiente esperienza nel dipartimento di anatomia patologica.
Il trattamento con steroidi per il rigetto può iniziare prima che venga eseguita la biopsia renale. 2
Raccomandazioni Forza della raccomandazione
Monitorare i pazienti trapiantati per identificare i segni di rigetto acuto, Forte
in particolare durante i primi sei mesi dopo il trapianto.
Prelevare regolarmente campioni di sangue oltre al normale monitoraggio Forte
della diuresi e all’esecuzione esami ecografici per identificare la
disfunzione del graft durante il ricovero.
Eliminare immediatamente altre potenziali cause di disfunzione del graft Forte
nei casi sospetti di rigetto acuto. Dovrebbe essere eseguita un’ecografia
del rene trapiantato.
Nei pazienti con sospetti episodi di rigetto acuto, eseguire una biopsia Forte
renale classificata secondo i più recenti criteri di Banff.
Solo se sono presenti controindicazioni alla biopsia renale, può essere Forte
somministrata una terapia “alla cieca” di steroidi in bolo.
Testare il più presto possibile per la presenza di anticorpi anti- HLA contro Forte
il graft i pazienti che soffrono di rigetto acuto
In tutti i pazienti con rigetto, la terapia immunosoppressiva deve essere Forte
rivalutata, valutando anche l’aderenza del paziente al farmaco, che è di
particolare importanza nei rigetti tardivi.

3.1.11.1  –  Rigetto iperacuto


Il rigetto iperacuto è l’attacco immunologico più drammatico e distruttivo ai danni del graft [230, 243, 358,
359]. Deriva da anticorpi IgG circolanti, che fissano il complemento, specificamente reattivi contro l’anti-

45
Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021

gene incompatibile del donatore: tali anticorpi distruggono l’endotelio vascolare entro pochi minuti o ore
dopo la vascolarizzazione. Si manifesta in trapianti ABO-incompatibili a causa della presenza di elevati titoli di
iso-anticorpi preesistenti diretti contro antigeni del gruppo sanguigno. Nei trapianti ABO-compatibili, il HAR è
mediato dagli anticorpi IgG anti-HLA del donatore. Con lo sviluppo del test di cross-match eseguiti prima del
trapianto, il HAR è diventato una complicazione estremamente rara [230]. L’imaging e l’istologia rivelano un
infarto generalizzato del graft, che deve essere trattato mediante nefrectomia del trapianto. La prevenzione
è, pertanto, cruciale e si attua evitando i casi con alti livelli di iso-anticorpi contro antigeni di gruppi sanguigni
incompatibili (in caso di trapianto renale ABO-incompatibile) e/o eseguendo un regolare cross-match prima
del trapianto (vedere paragrafo 3.1.9).

Raccomandazioni Forza della raccomandazione


Prevenire il rigetto iperacuto tramite un’adeguata corrispondenza tra Forte
gruppo sanguigno ABO ed HLA di donatore e ricevente.

3.1.11.2  –  Trattamento di rigetto acuto mediato dalle cellule T


Dato che solo alcuni studi randomizzati hanno proposto differenti opzioni di trattamento per questa entità
clinica, la terapia si basa principalmente sull’esperienza empirica piuttosto che sull’evidenza clinica [243, 343,
358, 366]. Il metilprednisolone parenterale (da 500 mg a 1 g) dovrebbe essere infuso in monosomministra-
zione per tre giorni. La persistenza di anuria od un forte incremento della creatinina sierica possono indicare
un rigetto refrattario agli steroidi e la conseguente necessità di un altro ciclo di terapia di tre giorni con metil-
prednisolone secondo lo schema sopra riportato [243, 358]. Inoltre, l’immunosoppressione basale dovrebbe
essere ottimizzata per garantire un’adeguata esposizione al farmaco [243, 358, 366]. Nel rigetto grave, è
raccomandata una conversione da ciclosporina a tacrolimus e/o da azatioprina a micofenolato [243, 358].

Agenti biologici che riducono le cellule T, come ATG, possono essere somministrati in gravi casi refrattari agli
steroidi [243, 340, 343, 358, 366]. Se vengono utilizzati agenti biologici, il regime immunosoppressivo deve
essere adattato di conseguenza e deve essere eseguito un monitoraggio giornaliero delle cellule T per mini-
mizzare il dosaggio dell’agente biologico [340]. Prima che l’immunosoppressione sia intensificata, soprattutto
prima dell’uso di agenti che riducono le cellule T, la prognosi del graft deve essere valutata in modo critico
rispetto ai rischi di grave immunosoppressione. Il paziente deve essere adeguatamente edotto.

Raccomandazioni Forza della raccomandazione


Utilizzare la terapia con bolo steroideo come trattamento di prima Forte
linea per il rigetto mediato da cellule T oltre a garantire un’adeguata
immunosoppressione basale.
In caso di rigetto grave o steroidi-resistenti, considerare Forte
l’immunosoppressione intensificata, il trattamento steroideo ad alte dosi
ed eventualmente gli agenti che riducono le cellule T.

3.1.11.3  –  Trattamento del rigetto anticorpi mediato (Antibody mediated rejection, ABMR)
Il trattamento si basa su studi retrospettivi e linee guida di trattamento empirico [367]. È importante clas-
sificare il fenotipo clinico ed istologico del rigetto per poter attuare la strategia terapeutica più adeguata
[367]. Fattori clinici rilevanti sono rappresentati dal tempo di insorgenza del rigetto (acuto precoce < 30 giorni
post-trapianto, acuto tardivo oltre i 30 giorni), la presenza di anticorpi donatore-specifici (DSA) preformati o
insorti de novo e l’istologia (rigetto attivo o cronico).

Nel trattamento dell’ABMR acuto è comune l’impiego di steroidi in bolo (500 mg/die per almeno tre giorni) in
combinazione con immunoglobuline endovena e plasmaferesi o immunoassorbimento. Le immunoglobuline
endovena [243, 358, 368-373] possono modulare e/o sopprimere la produzione di anticorpi. L’impiego delle
sole immunoglobuline endovenose sembra insufficiente per un trattamento efficace e le IVIG vengono attual-

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Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021

mente utilizzate in un regime multimodale. I dosaggi variano ampiamente da 0,2-2,0 g/kg di peso corporeo e
non sono stati pubblicati studi comparativi (ad es. sulla dose o sulla immunosoppressione concomitante ot-
timale). Case series retrospettivi e prospettici sottolineano l’efficacia della rimozione anticorpale tramite pla-
smaferesi o colonne di immunoassorbimento [243, 358, 368-373], sebbene i dettagli delle diverse procedure
varino ampiamente. Terapie aggiuntive quali l’utilizzo di inibitori del complemento, rituximab o la splenecto-
mia possono essere considerate nei casi precoci gravi. Nonostante i dati circa l’utilità degli anticorpi anti-CD20
siano controversi [243, 343, 358, 368-373], il rituximab, secondo il parere di esperti, può essere considerato
come terapia aggiuntiva nel ABMR attivo tardivo. Sebbene gli agenti che riducono le cellule T come ATG sem-
brino avere un valore limitato, sono frequentemente usati durante il rigetto acuto misto [241]. Una serie re-
trospettiva suggerisce che l’impiego combinato di rituximab ed ATG [374] o steroidi [343] determini tossicità
aggravata. Inoltre, molti centri ottimizzano la terapia di mantenimento utilizzando MPA e steroidi e sufficienti
livelli di tacrolimus [243, 358, 368-370, 373].

Il rigetto acuto cronico misto dato da DSA preesistenti non ha uno specifico trattamento, se non l’ottimizza-
zione della terapia di mantenimento e, eventualmente, la somministrazione di immunoglobuline endovena
come trattamento aggiuntivo (scarso livello di evidenza). In pazienti con DSA neoformate, è raccomandata
l’ottimizzazione della terapia di mantenimento e dell’immunosoppressione, con particolare attenzione all’a-
derenza al trattamento. Se l’esame istologico mostrasse un ABMR attivo, potrebbero essere considerati come
trattamenti aggiuntivi, nonostante gli scarsi livelli di evidenza, la plasmaferesi, il rituximab e le immunoglo-
buline endovena. Se la biopsia dimostrasse un ABMR cronico puro, non è raccomandato alcun trattamento
specifico, a causa della mancanza di dati attendibili, ad eccezione della somministrazione di immunoglobuline
endovena. Il trattamento del ABMR cronico sembra avere scarsi risultati [358, 368, 370].

In sintesi, diversi regimi hanno dimostrato una certa efficacia nel ABMR. Tuttavia, ad eccezione di un effetto
benefico della rimozione precoce degli anticorpi, la mancanza di evidenze certe non consente raccomanda-
zioni basate sull’evidenza per il trattamento. Conseguentemente, la prevenzione del ABMR tramite adeguato
screening pre-trapianto, il monitoraggio della presenza di anticorpi specifici anti-donatore, il mantenimen-
to di un’immunosoppressione ottimale ed una stretta aderenza terapeutica rappresentano elementi cruciali
[230, 358, 372, 375].

Raccomandazioni Forza della raccomandazione


Il trattamento del rigetto anticorpi-mediato dovrebbe includere Forte
l’eliminazione di anticorpi.

3.1.12 – Follow-up dopo il trapianto


La funzione dell’organo trapiantato a lungo termine è di critica importanza per il successo del trapianto [243,
244]. Pertanto, un regolare follow-up a lungo termine da parte di medici esperti in trapianti è essenziale per
individuare precocemente complicanze o disfunzioni del trapianto e assicurare l’aderenza al regime immu-
nosoppressivo. Le complicanze dell’immunosoppressione si verificano frequentemente ed includono effetti
collaterali specifici dei diversi farmaci e quelle derivanti dall’immunosoppressione (infezioni opportunistiche
e neoplasie maligne) [243, 244]. Il rischio di cancro e malattie cardiache è molto più elevato nei pazienti
trapiantati rispetto alla popolazione generale. Il cancro rappresenta un’importante causa di morbidità e mor-
talità nella popolazione trapiantata [243, 376, 377]. Le malattie cardiovascolari sono la causa di morte più
frequente nei pazienti sottoposti ad allotrapianto renale [243, 378, 379]. Altri importanti problemi a lungo
termine sono l’insufficiente livello di aderenza terapeutica, lo sviluppo di anticorpi anti-HLA, la recidiva della
malattia di base e la nefrotossicità associata agli CNI [243, 244].

3.1.12.1  –  Disfunzione cronica dell’allotrapianto/fibrosi interstiziale e atrofia tubulare


Molti pazienti perdono i loro grafts a causa della disfunzione cronica dell’allotrapianto [243, 244, 380]. L’i-
stologia di solito rivela un processo cronico di fibrosi interstiziale ed atrofia tubulare (Interstitial Fibrosis/
Tubular Atrophy, IF/TA) [381]. Alcuni pazienti avranno ABMR immunologico cronico [382], come discusso
nella sezione 3.1.11.3. La fibrosi interstiziale e l’atrofia tubulare impiegano mesi o anni a svilupparsi e sono
preannunciate da proteinuria e ipertensione, con un aumento simultaneo o ritardato della creatininemia nel
47
Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021

corso dei mesi [243, 380, 381]. È probabile che l’IF/TA sia più comune nei pazienti che hanno avuto episodi
precoci di rigetto acuto o di infezione. Bisogna porre diagnosi differenziale principalmente con nefrotossicità
cronica [383], che è comune nei pazienti che ricevono CNI, e con un danno renale cronico preesistente e/o
aggravato da un donatore di rene marginale [243, 380, 381].
La diagnosi è ottenuta tramite biopsia renale [243, 380]. Nei pazienti diagnosticati precocemente, in partico-
lare se vi è evidenza di tossicità da CNI, la progressione della malattia può essere rallentata dalla conversione
a un regime privo di CNI [201-203, 263, 264]. La conversione agli inibitori di m-TOR è un’opzione adatta ai
pazienti senza proteinuria significativa (< 800 mg/die) ma funzione renale moderata [242-244]. In alternativa,
è stata descritta con successo una conversione in un regime basato sul MPA, specialmente in pazienti che
hanno superato i primi tre anni dopo il trapianto [242, 244, 278]. Se c’è intolleranza agli inibitori di m-TOR o al
MPA, la conversione a belatacept o ad un regime a base di azatioprina può avere successo, sebbene il più alto
rischio di rigetto giustifichi una stretta sorveglianza [357]. Se il rischio di rigetto è ritenuto essere troppo alto,
un’altra opzione è rappresentata da una riduzione di CNI sotto la protezione del MPA [234, 278].
Nei pazienti con proteinuria, il trattamento con un inibitore dell’enzima di conversione dell’angiotensina con
il bloccante del recettore dell’angiotensina II [243, 380] insieme al controllo stretto della pressione arteriosa
può rallentare la progressione del danno renale. Altre misure di supporto includono il trattamento di: iperten-
sione, iperlipidemia, diabete, anemia, acidosi e malattia ossea [243]. Tuttavia, alla fine, il paziente richiederà
un altro trapianto (se in grado di essere inserito in lista di attesa per il trapianto) o terapia dialitica.

Sintesi delle evidenze LE


Un regolare follow-up presso un esperto di trapianti è essenziale per identificare complicanze o 4
disfunzioni del graft e per verificare la corretta aderenza del paziente al regime immunosoppressivo.
Lo screening annuale dovrebbe includere una visita dermatologica, cardiovascolare, screening 4
tumorale (incluso un esame linfonodale, screening per sangue occulto fecale, radiografia del
torace, esame ginecologico/urologico) ed un’ecografia addominale, includendo il rene nativo e
quello trapiantato. Se opportuno, dovrebbero essere richiesti ulteriori test diagnostici per trattare
o rallentare la progressione di qualunque complicanza identificata.
Nei pazienti con diagnosi precoce di IF/TA, in particolare se vi è evidenza di tossicità da CNI, il 1
passaggio ad un regime immunosoppressivo privo di CNI potrebbe rallentare la progressione del
quadro renale. Se il rischio di rigetto è stimato essere troppo elevato, si può ridurre la dose di CNI
sotto la protezione di MPA.
Dovrebbero essere eseguite misure di supporto per trattare le conseguenze dell’insufficienza 4
renale cronica (ad es. anemia, acidosi, malattia ossea).
Raccomandazioni Forza della raccomandazione
Fornire un regolare follow-up post-trapianto da parte di uno specialista Forte
esperto in trapianti almeno ogni 6 o 12 mesi per tutta la vita.
Istruire i pazienti riguardo ai cambiamenti di stile di vita appropriati, alle Forte
potenziali complicazioni e riguardo l’importanza dell’aderenza al loro
regime immunosoppressivo.
Eseguire regolare monitoraggio (approssimativamente ogni quattro- Forte
otto settimane) di: creatinina sierica, velocità di filtrazione glomerulare
stimata, pressione sanguigna, escrezione urinaria di proteine, grado di
immunosoppressione e complicanze dopo il trapianto renale. Qualsiasi
variazione di tali parametri deve determinare l’esecuzione di ulteriori
esami tra cui biopsia renale, screening infettivo e ricerca di anticorpi anti-
HLA.
Eseguire un’ecografia dell’organo trapiantato, in caso di disfunzione, per Forte
escludere ostruzioni o stenosi dell’arteria renale.

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Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021

Nei pazienti con fibrosi interstiziale e atrofia tubulare in terapia con Forte
inibitori della calcineurina e/o con segni istologici indicativi di tossicità da
CNI (ad es. ialinosi arteriolare, fibrosi striata), considerare la riduzione o
l’interruzione dell’inibitore della calcineurina.
Intraprendere terapia mediche appropriate, in accordo con le linee guida Forte
correnti, per trattare (ad esempio): ipertensione arteriosa, diabete,
proteinuria, fattori di rischio cardiaci, infezioni e altre complicanze.

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3.

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Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021

5.  CONFLITTI DI INTERESSE


Tutti i membri della commissione per le linee guida EAU sul trapianto renale hanno fornito dichiarazioni circa
gli eventuali conflitti di interessi. Tali informazioni sono accessibili sul portale EAU, all’indirizzo: http://www.
uroweb.org/guidelines/. Queste linee guida sono state sviluppate grazie al supporto economico dell’EAU, sen-
za ricevere finanziamenti da terze parti. L’EAU è un’organizzazione no-profit ed i proventi sono impiegati per
coprire il settore amministrativo e le spese per i meetings ed i relativi viaggi. Non sono stati erogati onorari o
altri tipi di rimborsi spese.

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Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021

6.  INFORMAZIONI SULLE


CITAZIONI
Il formato con cui è possibile citare le linee guida EAU varia a seconda della rivista su cui appare la citazione
stessa. Per lo stesso motivo, possono variare altri riferimenti quali ad esempio il numero degli autori inclusi
nella citazione, il nome dell’editore, il numero ISBN.

La dicitura ufficiale per la citazione delle linee guida EAU è la seguente:


EAU Guidelines. Edn. presented at the EAU Annual Congress Milan Italy 2021. ISBN 978-94-92671-13-4.

Nel caso venisse richiesto un editore e/o un luogo di pubblicazione, riportare:


EAU Guidelines Office, Arnhem, The Netherlands. http://uroweb.org/guidelines/compilations-of-all-guidelines/

Le citazioni alle single line guida, dovrebbe essere riportate come di seguito:
Nomi dei redattori. Titolo della fonte. Tipo di pubblicazione. ISBN. Editore e sede dell’editore, anno di pubbli-
cazione.

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