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Panel
T. Cai
M. A. Cerruto
L. Cormio
M. Madonia
P. Verze
A. Volpe
Linee Guida EAU
sul Trapianto Renale
A. Breda (Chair)
K. Budde
A. Figueiredo
E. Lledó García
J. Olsburgh (Vice-chair)
H. Regele
Guidelines Associates:
R. Boissier
C. Fraser Taylor
V. Hevia
O. Rodríguez Faba
R.H. Zakri
L’argomento “Linee Guida” ha inoltre acquisito maggiore importanza alla luce dei recenti cam-
biamenti legislativi introdotti dalla Legge Bianco-Gelli (8 marzo 2017, n. 24 - G.U. 17 marzo 2017,
n.64), che proprio alle LG attribuisce un ruolo strategico nell’ambito della “responsabilità profes-
sionale degli esercenti le professioni sanitarie”.
Sinteticamente, la legge impone agli esercenti le professioni sanitarie di “attenersi alle raccoman-
dazioni previste dalle Linee Guida (LG) pubblicate da enti/istituzioni pubblici o privati o società
scientifiche iscritte in apposito elenco del Ministero”.
Anche alla luce di questo nuovo scenario legislativo è nata l’esigenza, all’interno della Società
Italiana di Urologia, di redigere nuove Linee Guida e inserire le stesse nel Sistema Nazionale Linee
Guida (SNLG), in accordo con quanto indicato nella Legge Gelli.
In quest’ottica, il Comitato Esecutivo SIU ha istituito un Comitato Linee Guida (coordinato dal prof.
Francesco Porpiglia), emanazione dell’Ufficio Scientifico. È apparsa subito logica e razionale la
decisione di optare per la traduzione in lingua italiana -peraltro condizione indispensabile per
l’inserimento delle stesse nel SNLG- delle LG EAU.
Il comitato LG ha identificato una serie di esperti responsabili della traduzione di ogni singolo ca-
pitolo, suddiviso per patologia in argomenti “oncologici” e “non oncologici”. Ciascun referente ha
creato un gruppo di lavoro che si è occupato della traduzione del capitolo assegnato, evidenzian-
do le possibili criticità dell’applicazione delle linee guida europee all’interno del nostro sistema
sanitario.
Ciascun capitolo è stato poi rivisto, per competenza, dai vice-coordinatori (i proff. Andrea Salonia
e Giacomo Novara) e dal coordinatore. La prima versione tradotta in italiano è datata 2018 e il pro-
cesso di traduzione è stato completato puntualmente e con elevati livelli qualitativi.
Per le successive edizioni, compresa questa del 2021, il Comitato Scientifico ha nominato un grup-
po di lavoro dedicato, coordinato dal prof. Cristian Fiori, che si è occupato della traduzione degli
aggiornamenti.
A rigore queste LG SIU non rispettano i requisiti indicati nell’art. 5 comma 3 della legge Gelli [..le
LG sono integrate nel SNLG…] e non hanno, ad oggi, quindi quel “valore medico-legale” auspicato
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dal legislatore e dal Comitato all’inizio di questo percorso.
Tuttavia, la legge prescrive che in assenza di LG pubblicate nell’SNLG (e ad oggi nessuna LG uro-
logica è inserita nel SNLG) si faccia riferimento alle “buone pratiche clinico-assistenziali”, senza
ulteriori chiarimenti. Se le LG qui presentate possono essere considerate “buone pratiche” sarà
oggetto di studio da parte di un pool di medici legali che collaborano con SIU.
Nel frattempo, riteniamo che le LG SIU, frutto del lavoro di decine di professionisti della nostra
Società, e il cui livello Scientifico è garantito da EAU, possano rappresentare un utile strumento
nella “vita quotidiana” del clinico. Le abbiamo pertanto rese fruibili, consultabili e scaricabili dal
sito web SIU in attesa che il loro “cammino” formale sia completato.
Buon lavoro!
03
INDICE
1. INTRODUZIONE 07
2. METODI 08
2.1 Introduzione
3. LE LINEE-GUIDA 10
4. BIBLIOGRAFIA 50
5. CONFLITTI DI INTERESSE 72
1. INTRODUZIONE
1.1 – Scopo e obiettivi
Il Panel delle Linee Guida “Trapianto Renale” della Società̀ Europea di Urologia (EAU) ha l’obiettivo di fornire
una panoramica degli aspetti medici e tecnici del trapianto renale. Bisogna porre l’accento sul fatto che le
linee guida presentano le migliori evidenze disponibili, ma seguire le raccomandazioni delle linee guida non
risulterà̀ necessariamente nel migliore esito possibile. Le linee guida non possono rimpiazzare l’esperienza
e la pratica clinica quotidiana nella scelta dei trattamenti per ogni singolo paziente, ma piuttosto aiutare a
prendere decisioni obiettive, pur sempre tenendo in conto i propri valori e le proprie preferenze, nonché́ le
singole circostanze ed il singolo paziente in questione. Le linee guida non sono ordini e non rivendicano di
essere uno “standard of care”.
1.3 – Pubblicazioni disponibili
È disponibile une versione per la consultazione rapida (Pocket Guidelines), sia in versione cartacea sia in ver-
sione elettronica per i dispositivi mobili (iOS e Android). Queste sono versioni sintetiche che possono richie-
dere contestualmente la consultazione della versione integrale. Tutti i documenti possono essere consultati
sul sito EAU, alla pagina: http://www.uroweb.org/guideline/renal-transplantation/.
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Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021
2. METODI
2.1 – Introduzione
Per le linee guida “Trapianto Renale” del 2021 sono state raccolte e individuate nuove e rilevanti evidenze
scientifiche mediante una valutazione strutturata della letteratura. È stata eseguita una ricerca bibliografica
ampia e completa tra le pubblicazioni disponibili tra il 31 maggio 2018 ed il 1° aprile 2020. Sono state iden-
tificate, selezionate ed analizzate per rilevanza un totale di 1,202 pubblicazioni. Per l’esecuzione di tutte le
ricerche, sono stati utilizzati i database Medline, EMBASE e le librerie Cochrane. Le strategie di ricerca sono
disponibili online alla pagina: http://www.uroweb.org/guideline/renal-transplantation/.
Ogni raccomandazione all’interno delle linee guida è accompagnata da un sistema di rating (forza della racco-
mandazione), che si basa sulla metodologia GRADE modificata [1,2]. Ogni raccomandazione prende in consi-
derazione una serie di elementi chiave:
1. la qualità complessiva delle evidenze esistenti per la raccomandazione, i riferimenti usati nel testo
sono stati classificati secondo il sistema modificato dall’Oxford Centre for Evidence-Based Medicine
Levels of Evidence [3];
3. la certezza dei risultati (precisione, consistenza, eterogeneità̀ ed altri fattori statistici o correlati allo
studio);
Questi elementi chiave costituiscono la base che il Panel ha utilizzato per definire la forza di ciascuna racco-
mandazione, definita dalle parole “forte” o “debole” [4]. La forza di ciascuna raccomandazione è determinata
dal bilancio tra le conseguenze desiderabili e indesiderabili delle strategie di cura alternative, dalla qualità̀
delle evidenze (compresa la certezza delle stime) e dalla natura e dalla variabilità̀ dei valori e delle preferenze
dei pazienti. I moduli di valutazione della forza di raccomandazione saranno disponibili online.
Ulteriori informazioni sono disponibili nella sezione “Metodologia generale” di queste linee guida ed online
sul sito web di EAU alla pagina http://www.uroweb.org/guideline/. Un elenco delle associazioni che raccoman-
dano l’uso delle linee guida EAU è disponibile online all’indirizzo sopra indicato.
1. Qual è il miglior trattamento per l’ipertrofia prostatica benigna sintomatica in pazienti sottoposti a
trapianto renale? (What is the best treatment for symptomatic obstructive benign prostatic enlarge-
ment in renal transplantation patients?) [5].
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Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021
2. Il trattamento chirurgico della calcolosi del rene trapiantato offre risultati migliori (stone free rate)
rispetto alla litotrissia extracorporea? (For patients with kidney graft stones, does surgical treatment
provide better stone free rates than external shock wave lithotripsy?) [6]
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Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021
Ci sono forti evidenze in letteratura in supporto della nefrectomia laparoscopica da donatore vivente (LLDN),
che includono alcune revisioni sistematiche e metanalisi, che hanno messo a confronto la sicurezza e l’effica-
cia della nefrectomia laparoscopica con la chirurgia a cielo aperto.
È stato dimostrato come la nefrectomia laparoscopica abbia una percentuale simile in termini di risultati fun-
zionali e rigetto d’ organo, complicanze urologiche e sopravvivenza del paziente e dell’organo trapiantato. La
necessità di farmaci antidolorifici, l’entità del dolore postoperatorio, la durata della degenza ospedaliera e il
tempo di ritorno al lavoro sono risultate, tuttavia, migliori nelle procedure laparoscopiche [9-12].
La nefrectomia laparoscopica da donatore vivente (LLDN) standard è solitamente eseguita mediante degli
accessi da 5 e 12 mm, pur essendo descritti in letteratura degli accessi anche da 3 o 3.5 mm [13]. Secondo
una recente metanalisi, la nefrectomia endoscopica da donatore vivente (LLDN) hand-assisted è associata a
più brevi tempi di ischemia calda, con dei risultati complessivi in termini di sicurezza equivalenti alla proce-
dura standard [14]. La nefrectomia laparoscopica da donatore vivente può anche essere eseguita in chirurgia
robot-assistita, con dei risultati equivalenti in accordo con una recente revisione sistematica [15]. Tuttavia, i
numeri di questa chirurgia sono ancora esigui e recenti studi, inclusa una meta-analisi, ha riscontrato una più
alta percentuale di complicanze in questo tipo di approccio [16, 17].
La chirurgia laparoscopica con singolo accesso consente al chirurgo di lavorare attraverso una singola incisio-
ne (solitamente a livello ombelicale) con un canale operativo che consente l’ingresso di multipli strumenti.
La rimozione del rene avviene attraverso un’incisione, che può essere la stessa o una diversa. Alcuni studi
retrospettivi e almeno tre studi prospettici randomizzati (Randomized Clinical Trial, RCT) dimostrano un’e-
quivalenza tra sicurezza e risultati tra questa metodica e la tecnica laparoscopica standard, attribuendo alla
prima risultati estetici migliori e meno dolore post-operatorio [18, 19]. La chirurgia laparoscopica con singolo
accesso è tuttavia considerata più impegnativa dal punto di vista tecnico ed il suo ruolo in questo ambito deve
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Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021
L’asportazione del rene per via transvaginale, nell’ambito della chirurgia endoscopica transluminale attraver-
so orifizi naturali (NOTES), evita di incidere la parete addominale per estrarre l’organo, con l’intento di ridurre
al minimo cicatrici e dolore post-operatorio. I dati iniziali suggeriscono come quest’approccio sia sicuro, no-
nostante l’esperienza con questa tecnica sia ancora molto limitata [20].
La LLDN destra è stata ritenuta essere una tecnica più difficile e con risultati funzionali inferiori. Secondo
grandi studi retrospettivi, revisioni sistematiche e metanalisi, tuttavia, la LLDN può essere eseguita con uguale
sicurezza ed efficacia sia a destra che a sinistra [21, 22].
La nefrectomia laparoscopica da donatore vivente ha posto l’attenzione sui possibili malfunzionamenti dei
dispositivi usati in laparoscopia per legare l’ilo renale, quali le stapler endoscopiche e le clip bloccanti e non
bloccanti [21]. Non vi sono evidenze scientifiche sulla superiorità di un dispositivo rispetto a un altro in termi-
ni di sicurezza per legare l’arteria renale [23-25]. Nonostante questo, la Food and Drug Administration (FDA)
degli Stati Uniti e i produttori delle clip bloccanti hanno controindicato il loro utilizzo per bloccare l’arteria
renale in corso di nefrectomia laparoscopica da donatore vivente.
Uno studio retrospettivo che include 64,024 trapianti da donatore vivente ha dimostrato come il tempo di
ischemia a freddo (Cold Ischemic Time, CID), il mismatch dell’antigene leucocitario umano (Human Leukocyte
Antigen, HLA), l’età del donatore, il pannello di anticorpi reattivi, la diagnosi di diabete nel ricevente, il BMI
(Body Mass Index), l’etnia e l’età del ricevente, la nefrectomia destra, l’utilizzo di tecnica open, lo status dialiti-
co, l’incompatibilità AB0 e pregressi trapianti rappresentino fattori predittivi indipendenti di DGF in procedure
da donatori viventi [29]. La sopravvivenza dell’organo a cinque anni tra i riceventi da donatore vivente con
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Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021
DGF è significativamente inferiore rispetto ai riceventi senza DGF. La funzionalità ritardata dell’organo aumen-
ta più di due volte il rischio di non-funzionamento dello stesso [29].
Per quanto riguarda le donazioni da vivente, nelle quali è pianificato un trapianto di rene immediato, è suf-
ficiente la perfusione dell’organo con una soluzione cristalloide. I reni provenienti dai donatori a cuore non
battente (DCD), soprattutto quelli provenienti da donatori “non controllati”, sono ad alto rischio di essere
organi marginali, a causa dei tempi prolungati di ischemia calda, e richiedono delle misure specifiche al fine di
ridurre il tasso di non-funzionamento (PNF) o ritardato funzionamento (DGF) del rene trapiantato.
Attualmente più del 60% dei reni proviene da donatori marginali con criteri di donazione estesi (Expanded
Criteria Donors, ECD) (ossia: qualsiasi donatore > 65 anni e/o donatore > 55 anni con una tra le seguenti com-
plicanze: disfunzione renale acuta, ictus o ipertensione arteriosa) [37].
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Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021
venienti da donatori DBD dovrebbero essere idealmente trapiantati entro 18-21 ore; entro le 18 ore, il tempo
di ischemia fredda non ha un’influenza significativa sulla sopravvivenza dell’organo trapiantato [36, 38, 39]. I
reni provenienti da donatori DCD dovrebbero idealmente essere trapiantati entro le 12 ore [40], mentre i reni
provenienti da pazienti ECD dovrebbero essere trapiantati tra le 12 e le 15 ore [41, 42].
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Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021
rischio globale di DGF e un beneficio in termini di sopravvivenza, maggiormente espresso nei reni ECD
[51]. La perfusione ipotermica dei reni di tipo III da donatore a cuore non battente riduce la DGF senza
avere un impatto sulla sopravvivenza dell’organo trapiantato [48].
• La macchina di perfusione ipotermica riduce il rischio di DGF dei reni da donatore cadavere standard,
indipendentemente dal tempo di ischemia fredda [52].
• Un’aumentata resistenza vascolare e alte concentrazioni di markers di danno da perfusione sono fattori
di rischio per DGF, che tuttavia non giustificano un eventuale scarto del rene per il trapianto. Nei reni
provenienti da donatore a cuore non battente “non controllato” il valore del flusso di perfusione sem-
bra essere un indice di vitalità dell’organo, in particolare in quei donatori con creatinina sierica elevata
[53]. Tuttavia, è necessaria ulteriore ricerca in campo scientifico affinché la macchina di perfusione
possa dare misure predittive forti e affidabili circa la vitalità del rene [36]. I parametri di perfusione
(flusso renale e resistenze vascolari renali) hanno bassi valori predittivi e non devono essere utilizzati
come criterio unico di valutazione della vitalità del rene da trapiantare [54].
• Gli effetti dell’ossigenazione durante la HMP sono stati analizzati in un RCT eseguito dal Consortium on
Organ Preservation in Europe (COPE), sui reni DCD ed ECD di tipo III [44]. La perdita del graft era signi-
ficativamente meno frequente dopo ossigenazione durante HMP, rispetto all’assenza di ossigenazione
durante HMP [55]. Per quanto riguarda la DGF, PNF e mortalità dei pazienti, non sono state registrate
differenze significative tra i due gruppi. Per quanto riguarda la eGFR ad un anno dall’intervento, non
sono state registrate differenze significative tra HMP con ossigenazione rispetto alla sola HMP; tuttavia,
in un’analisi della sensibilità coinvolgente ogni causa di perdita del graft, ha dimostrato una maggiore
eGFR nel HMP con ossigenazione [55].
• Un breve tempo di perfusione con macchina normotermica (Normothermic Machine Perfusion, NMP)
immediatamente prima del trapianto si è dimostrato, in modelli sperimentali, in grado di migliorare la
funzione del rene trapiantato, di rifornire l’ATP e di ridurre il danno [56, 57].
• È in fase di sviluppo uno studio circa la conservazione dei reni umani danneggiati da un prolungato
tempo di ischemia calda (reni DCD di tipo I e II) attraverso un’emoperfusione extracorporea normoter-
mica in situ prima del prelievo d’organo, che fornisca ossigeno e rimuova i leucociti [59]. Il trasporto
dell’ossigeno è ottenuto utilizzando il sangue impoverito di leucociti. Tra i potenziali vantaggi di questa
tecnica di preservazione vi sono la riduzione del danno da ischemia-riperfusione così come la possibi-
lità di valutare la vitalità dell’organo.
• Attualmente c’è un singolo studio clinico randomizzato in corso per l’utilizzo preimpianto di NMP con
soluzione sanguigna normotermica ossigenata (http://www.isrctn.com/ISRCTN15821205). La funzio-
nalità renale può essere valutata durante la NMP attraverso l’osservazione macroscopica della perfu-
sione ematica, attraverso il flusso plasmatico renale e la produzione di urina [60].
• In ambito di ricerca scientifica, la perfusione continua con macchina sub-normotermica e un ri-riscal-
damento controllato ed ossigenato hanno dimostrato migliorare la clearance della creatinina e la con-
servazione dell’integrità strutturale del rene rispetto alla perfusione continua e ossigenata ipotermica
[61].
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Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021
I parametri di perfusione (flusso renale e resistenze vascolari renali) possiedono un basso valore 2b
predittivo e non dovrebbero essere usi come unico criterio per stabilire la sopravvivenza del rene
trapiantato.
• Non vi è una forte associazione tra lesioni istologiche osservate nelle biopsie del rene del donatore
e gli outcomes post-trapianto.
Il concetto di biopsie acquisite nei reni dei donatori anziani fu introdotto da uno studio di Gaber et al. nel
1995. Questo studio osservò outcomes significativamente peggiori nei soggetti che avessero ricevuto reni con
una percentuale >20% di glomeruli sclerotici [68]. Tuttavia, studi successivi produssero risultati molto variabili
senza poter affermare che la glomerulosclerosi fosse un fattore prognostico indipendente nella valutazione
degli outcomes del rene trapiantato [66]. Una simile variabilità fu anche osservata per altre lesioni potenzial-
mente rilevanti, come il danno arterioso, la fibrosi interstiziale e l’atrofia tubulare, che si sono mostrati fattori
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Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021
• Non vi è un accordo circa le lesioni rilevanti dal punto di vista prognostico e sulla loro classificazione.
Non sono ancora stati sviluppati sistemi specifici di classificazione delle biopsie del rene del donatore. Il grado
delle lesioni identificate nelle biopsie pre-trapianto è principalmente basato sulla Consensus Conference di
Banff del 2007 sulla patologia renale dopo allotrapianto [69].
Sono stati fatti molti tentativi per utilizzare sistemi di punteggio semi-quantitativo per esprimere l’entità glo-
bale del danno tissutale nel rene del donatore. Questi sistemi di punteggio sono soprattutto basati sulla
semplice somma dei punteggi di Banff per singole lesioni, che sono più comunemente la glomerulosclerosi,
la ialinosi arteriolare, la fibrosi della tonaca intima delle arterie, la fibrosi interstiziale, l’atrofia tubulare; rara-
mente tali punteggi includono parametri quali l’età del donatore [70], i livelli di creatinina sierica e l’iperten-
sione arteriosa del donatore [71].
Un numero limitato di sistemi di punteggio è basato su analisi di modelli [70-74]. Solo il sistema di punteggio
Maryland Aggregate Pathology Index (MAPI) [74] e il punteggio di Leuven sul rischio del donatore [70], utiliz-
zano il graft failure come endpoint e sono stati indipendentemente validati in una seconda coorte di pazienti.
Altri studi hanno utilizzato degli endpoint clinici surrogati, come la DGF [72] ed il tasso stimato di velocità di
filtrazione glomerulare (eGFR) a tre mesi [73] per sviluppare modelli istologici. Questi modelli, inoltre, non
sono stati validati in coorti indipendenti di pazienti. La variabilità nell’utilizzo di diversi endpoint e nel pesare
in maniera diversa vari fattori per ottenere questi punteggi semi-quantitativi compositi può spiegare le con-
clusioni conflittuali che vi sono in letteratura [62, 66, 67].
• A causa dei limiti temporali per l’assegnazione dell’organo, le biopsie acquisite sono esaminate da-
gli anatomopatologi di guardia soprattutto su sezioni congelate: tale procedura potrebbe influire
sull’affidabilità diagnostica dei risultati riportati.
Questo potrebbe avere un impatto fondamentale sull’affidabilità diagnostica della procedura, dato che le se-
zioni a freddo sono inclini a mostrare artefatti morfologici cellulari che possono compromettere il rilevamento
e la classificazione di lesioni potenzialmente importanti, come la ialinosi arteriolare e la fibrosi interstiziale
[75, 76]. Vi è una forte evidenza scientifica che solo patologi specializzati dovrebbero esaminare le biopsie fis-
sate in formalina e incluse in paraffina (Formalin-Fixed Paraffin-Embedded, FFPE). L’utilizzo della paraffina in
istologia è tecnicamente superiore alle sezioni a freddo, poiché i dettagli morfologici sono meglio conservati
nelle sezioni in paraffina e possono essere evitati artefatti potenzialmente confondenti. Una rapida fase di
processamento del tessuto incluso in paraffina è tecnicamente possibile, ma i protocolli su questa tecnica non
sono universalmente sviluppati e, nella maggior parte dei dipartimenti, non sono disponibili 24 ore su 24 e 7
giorni su 7. Un’altra fonte di variabilità è l’esperienza dell’operatore. Le biopsie acquisite sono comunemente
lette da un qualsiasi patologo di guardia, che molto spesso non ha adeguata esperienza nell’ambito della
patologia renale. Uno studio recente, affrontando questo argomento nello specifico, ha evidenziato come i
patologi di guardia tendano a sovrastimare il danno renale cronico nelle biopsie [77].
16
Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021
evitato solo se viene applicata una particolare attenzione nell’esecuzione della biopsia, con una profondità
minima di 5 mm [84]. Il valore predittivo di glomerulo-sclerosi aumenta significativamente con il maggior
numero di glomeruli campionati grazie alla biopsia incisionale, con un numero ideale di almeno 25 glomeruli
per la valutazione [81]. Sono disponibili solo limitate evidenze concernenti il tasso di complicanze durante
l’esecuzione di biopsie acquisite.
L’utilizzo di un dispositivo per biopsia escissionale cutanea potrebbe essere considerato una valida alternati-
va. Tale strumento misura 3mm di diametro ed è di lunghezza inferiore rispetto all’ago utilizzato per eseguire
un’ago-biopsia, riuscendo a limitare quindi il danno minimo alle arterie di grosso calibro situate a livello della
giunzione cortico-midollare, garantendo comunque un campionamento delle aree più profonde della corti-
cale [85].
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Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021
Alcuni pazienti saranno attivamente inseriti in lista d’attesa pur continuando ad assumere farmaci anti-ag-
greganti e/o anticoagulanti. L’indicazione alla suddetta terapia dovrebbe essere chiaramente documentata
per ciascun paziente. Un rischio potenzialmente aumentato di sanguinamento peri-operatorio deve essere
pesato rispetto a una potenziale trombosi arteriosa o venosa. In accordo con la American College of Chest
Physicians e la European Society of Cardiology guidelines [90, 91], la letteratura suggerisce che continuare
la terapia anti-aggregante con aspirina, ticlopidina o clopidogrel non determina un rischio significativamente
più alto di complicanze peri/post-operatorie [92], tuttavia il numero di pazienti studiati è basso. Se necessa-
rio, l’effetto delle sostanze antiaggreganti può essere ridotto con infusioni piastriniche intraoperatorie.
Sintesi delle evidenze LE
Uno studio retrospettivo caso-controllo su un unico centro in pazienti sottoposti a trapianto di 3
rene evidenzia che continuare la terapia anti-piastrinica con aspirina, ticlopidina o clopidogrel
non aumenta un aumentato rischio di complicanze peri/post-operatorie.
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Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021
3.1.4.4 – Quali misure dovrebbero essere adottate per prevenire la trombosi venosa,
inclusa la trombosi venosa profonda, durante e dopo il trapianto di rene?
La somministrazione peri-operatoria di anticoagulanti con breve emivita riduce il rischio peri-operatorio di
trombosi venosa (inclusa la trombosi ileo-femorale e delle vene renali), nonostante, a causa dell’associato au-
mento delle perdite ematiche che questo comporta, sia richiesta la conoscenza dei fattori di rischio individuali
del paziente per la loro somministrazione. Nessuna delle attuali linee guida principali sulla prevenzione della
trombosi tratta direttamente la tromboprofilassi nel periodo peri-operatorio del trapianto renale. Un piccolo
studio clinico randomizzato [93] non ha mostrato alcuna differenza nella perdita precoce del rene trapiantato
o nelle complicanze tromboemboliche con o senza profilassi anticoagulante. I pazienti ai quali era stato som-
ministrato in profilassi il farmaco anticoagulante presentavano un valore di emoglobina significativamente più
basso, mentre coloro ai quali era stata somministrata eparina non frazionata in regime profilattico presenta-
vano un drenaggio linfatico prolungato. Sulla base di questi studi, una profilassi farmacologica routinaria non
è raccomandata nei riceventi da donatore vivente a basso rischio. Dispositivi meccanici per ridurre il rischio
di trombosi venosa profonda ileo-femorale possono essere usati qualora non vi fosse una controindicazione
legata a un particolare stato morboso del circolo periferico, in particolare quando sia alto il rischio di sangui-
namento con la profilassi farmacologica.
Sintesi delle evidenze LE
Uno piccolo (n=75) studio clinico randomizzato ha dimostrato che la profilassi con anticoagulanti 1b
non incide sulla perdita precoce dell’organo trapiantato o sulla comparsa di complicanze trombo-
emboliche.
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Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021
Il monitoraggio della pressione venosa centrale (Central Venous Pressure, CVP) guida l’anestesista nella scelta
della terapia idratante. Un piccolo studio RCT prospettico non-cieco ha confrontato due protocolli di sommini-
strazione di semplice soluzione salina (0,9%): l’infusione continua (10-12 mL/kg-1/h-1 dall’inizio della chirurgia
fino alla riperfusione dell’organo) rispetto ad un’infusione basata sulla CVP (con una CVP target in relazione
alle fasi dell’intervento chirurgico) [97]. L’infusione basata sulla pressione venosa centrale è risultata essere
associata ad una maggiore stabilità emodinamica, ad una migliore diuresi e ad una precoce ripresa funzionale
dell’organo trapiantato. Un’idratazione diretta potrebbe ridurre i tassi di DGF mentre il monitoraggio della
CVP potrebbe aiutare a ottimizzare la funzionalità d’organo precoce.
20
Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021
prospettico randomizzato sul trapianto di rene da donatore cadavere mostra dei miglioramenti significativi
della funzionalità renale e produzione di urine nelle prime 9 ore dalla chirurgia, senza eventi avversi [98]. Di
contro, uno studio retrospettivo comparativo sull’utilizzo di LDD nelle prime 12 h dopo il trapianto di rene da
donatore cadavere non ha mostrato differenze in termini di diuresi o funzionalità del rene, ma coloro ai quali
era stata somministrata LDD (n=57) mostravano un aumento della frequenza cardiaca, una degenza più pro-
lungata in terapia intensiva ed una più alta mortalità a sei mesi rispetto a coloro che non erano stati trattati
con LDD (n=48) [99].
Esiste una notevole variabilità circa l’uso di terapia diuretica nel ricevente durante la chirurgia del trapianto e
vi è una debole evidenza che il suo utilizzo apporti qualche beneficio [100]. Non è stata trovata invece alcuna
evidenza riguardo l’utilizzo del mannitolo nel ricevente durante il trapianto. L’utilizzo del mannitolo nei dona-
tori di rene non rientra tra gli obiettivi di questa sezione.
21
Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021
Sono state descritte molteplici tecniche che facilitano l’esecuzione dell’anastomosi di una vena renale corta. È
molto più comune imbattersi in un rene destro con vena corta, in particolare se prelevato da donatore viven-
te. Per raggiungere risultati sovrapponibili a quelli di un rene sinistro con un rene destro potrebbero essere
necessarie delle manovre chirurgiche appropriate per ottimizzare l’impianto.
Un certo numero di studi riportano risultati leggermente più sfavorevoli correlati all’uso del rene destro ri-
spetto al sinistro. Due grandi studi registrativi dimostrano un rischio leggermente incrementato di EGF legato
all’uso del rene destro rispetto al sinistro nel trapianto da donatore vivente [105-107]. Uno studio registrativo
su 2450 reni confrontati, donati dopo morte cardiaca, ha mostrato che il rene destro fosse associato a: mag-
giori complicanze chirurgiche precoci; aumentato rischio di DGF (Odds Ratio [OD] 1.46); minore sopravviven-
za dell’organo ad un anno (OD 1.62) ma senza un corrispettivo miglioramento ai diversi intervalli di tempo
[105]. Le tecniche chirurgiche usate per circuire i problemi legati all’utilizzo di un rene destro, i tempi dell’a-
nastomosi e l’esperienza chirurgica, tuttavia, non sono stati registrati. Un recente studio registrativo su 87112
riceventi trapianto da donatore deceduto ha evidenziato un modesto aumento del rischio di DGF (OD 1.15) e
di fallimento del trapianto per ogni causa (HR 1.07) entro i primi sei mesi legato all’uso del rene destro rispet-
to al sinistro. Non è stata tuttavia trovata alcuna associazione con la mortalità del ricevente [108]. Inoltre, dati
ricavati da studi di coorte [101, 103] e da uno studio registrativo [104] circa l’utilizzo del rene destro o sinistro
da donatore cadavere, indicano risultati equivalenti. Alcune metanalisi dei dati di un RCT e di quattordici studi
di coorte hanno suggerito risultati equivalenti tra rene destro e sinistro [109]. In generale, tutti questi dati non
giustificano un rifiuto di un organo destinato al trapianto basandosi esclusivamente sulla lateralità.
Le tecniche per affrontare una vena renale corta possono essere applicate nel donatore e/o nel ricevente.
La legatura della vena iliaca interna (o di più vene iliache interne) potrebbe essere necessaria per rendere
più prossimale la vena iliaca ed evitare la tensione dell’anastomosi con la vena renale [103]. La trasposizione
dell’arteria e della vena iliaca potrebbe favorire l’anastomosi venosa [110]. La vena renale destra potrebbe es-
sere allungata, se necessario. Nel caso di un rene da donatore cadavere, tale operazione è solitamente esegui-
ta con la vena cava inferiore (Inferior Vena Cava, IVC) [111]. Per quanto riguarda il donatore vivente, invece,
l’allungamento della vena renale si può ottenere prelevando la vena gonadica del donatore isolata durante la
nefrectomia [112] o utilizzando la vena safena del ricevente [113], nonostante entrambe le tecniche richieda-
no un consenso informato specifico e siano in generale preferite le altre tecniche precedentemente elencate.
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Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021
• la trasposizione della vena iliaca del ricevente è una tecnica appropriata per compensare
la minor lunghezza della vena renale del rene destro durante trapianto da donatore vivente
(LND) (n=43);
• la vena renale del rene da donatore vivente può essere allungata usando la vena gonadica
del donatore (n=17) o la vena safena del ricevente (n=19).
Raccomandazioni Forza della raccomandazione
Valutare la lunghezza della vena renale del donatore e, se questa è Debole
corta, considerare una tra le opzioni chirurgiche esistenti per ottimizzare
l’anastomosi venosa.
Un’anamnesi positiva per una pregressa trombosi della vena iliaca o femorale fornisce l’indicazione ad esegui-
re indagini preoperatorie (imaging) per stabilire la pervietà di almeno una vena iliaca e della vena cava inferio-
re. Il riscontro incidentale intraoperatorio di un trombo della vena iliaca e/o della vena cava potrebbe infatti
portare a ad un’interruzione della procedura. Grazie ad una corretta pianificazione preoperatoria, possono
essere utilizzate per l’anastomosi venosa, se necessario, una vena renale ortotopica od una vena mesenterica
superiore o, ancora, vene gonadiche collaterali.
L’arteria iliaca esterna o quella comune sono ugualmente valide per l’anastomosi arteriosa. L’arteria iliaca
interna è maggiormente soggetta ad aterosclerosi rispetto all’arteria iliaca comune od esterna. È general-
mente raccomandata un’anastomosi termino-laterale tra arteria renale del donatore ed arteria iliaca comune
o esterna del ricevente rispetto a un’anastomosi termino-terminale con l’arteria iliaca interna. L’unico studio
RCT che mette a confronto queste tecniche non ha mostrato differenze tra le due [114], pure essendo limitato
dai piccoli numeri e da un alto (8%) tasso globale di trombosi dell’arteria renale.
I siti ove eseguire le anastomosi vascolari devono essere scelti con attenzione, in accordo con la lunghezza
dell’arteria e vena renale, per evitare inginocchiamenti delle strutture vascolari una volta posizionato il rene
trapiantato, solitamente in fossa iliaca. Il sito dell’anastomosi arteriosa dovrebbe evitare le placche atero-
masiche dell’arteria iliaca del ricevente, poiché sono correlate con un possibile rischio di dissecazione della
stessa. La tonaca intima delle arterie di donatore e ricevente dovrebbero essere testate prima di iniziare l’a-
nastomosi, per assicurarsi che non ci siano rotture/flap della tonaca stessa. Se vi è un simile riscontro, si dovrà
provvedere alla sua riparazione prima o durante l’esecuzione dell’anastomosi.
È solitamente applicato e mantenuto in sede un Carrel-patch sull’arteria renale del donatore cadavere, anche
se può essere rimosso in caso di ateroma/stenosi dell’ostio dell’arteria (in presenza di una porzione prossi-
male dell’arteria renale qualitativamente buona) o se l’arteria renale è troppo lunga per il sito di impianto
sull’arteria iliaca (evenienza più comune in caso di arteria renale destra).
Arterie renali multiple che irrorano un singolo rene da donatore cadavere possono essere fissate tramite
Carrel patch (di lunghezza appropriata) ed impiantate tramite singola anastomosi. Nel trapianto da dona-
tore vivente, la presenza di arterie renali multiple richiede varie strategie chirurgiche che garantiscano una
riperfusione ottimale [100]. Due arterie possono essere impiantate separatamente od in maniera tale da
realizzare un’anastomosi singola: un’arteria renale secondaria molto piccola (specialmente se irrora il polo su-
periore) può essere sacrificata. Le due arterie possono altresì essere unite tra di loro (innesto a “pantalone”)
oppure, ancora, l’arteria più piccola può essere anastomizzata su un lato dell’arteria principale (anastomosi
termino-laterale). Un’arteria renale polare inferiore può essere rivascolarizzata mediante un’anastomosi con
l’arteria epigastrica inferiore [115]. Nel trapianto da donatore vivente, quando nel donatore coesistono tre o
più arterie renali, dovrebbero essere presi in considerazione altri donatori di rene. Nel caso venga utilizzato
un rene da donatore vivente con tre o più arterie renali, le strategie chirurgiche includono una combinazione
delle tecniche sopradescritte o, dopo un consenso appropriato, l’utilizzo di un innesto di arteria iliaca interna
(espiantata dallo stesso ricevente) [116] o di vena safena [117].
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Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021
Nel caso in cui il paziente sia portatore di una protesi che sostituisca l’arteria iliaca, precedentemente posi-
zionata per un’ateromasia severa sintomatica, l’arteria renale dovrebbe essere impiantata sulla protesi. La
somministrazione sistemica di eparina dovrebbe essere presa in considerazione prima di clampare la protesi
vascolare [118].
Sono utilizzate diverse varietà di fili di sutura e varie tecniche per eseguire l’anastomosi vascolare, ma nella
pratica clinica è utilizzato un punto mono-filamento non riassorbibile in polipropilene 5/0 e 6/0 per eseguire
l’anastomosi venosa ed arteriosa dei vasi renali. Nonostante ciò, non vi sono evidenze che raccomandano
una tecnica di sutura piuttosto che l’altra per prevenire, ad esempio, la stenosi arteriosa del rene trapiantato.
L’utilizzo di una sutura in politetrafluroetilene espanso (ePTFE), paragonata ad una sutura standard in polipro-
pilene, potrebbe ridurre le perdite ematiche, avendo un miglior rapporto ago/filo [119].
Nei trapianti successivi al terzo, l’approccio chirurgico deve essere pianificato pre-operatoriamente affinché
sia garantito un adeguato afflusso arterioso e deflusso venoso del rene trapiantato con uno spazio adeguato
al suo impianto [120, 121]. La nefrectomia di un vecchio rene trapiantato potrebbe essere richiesta prima del
nuovo trapianto o potrebbe essere eseguita contestualmente allo stesso [120]. Potrebbe essere necessario
mobilizzare l’arteria iliaca comune o interna, la vena iliaca interna o la vena cava inferiore. Potrebbe altresì
essere necessario un approccio intraperitoneale attraverso la fossa iliaca o la linea mediana [122]. Raramente
si presenta la necessità di eseguire un trapianto ortotopico [120, 123].
L’evidenza scientifica suggerisce che ridurre al minimo i tempi di anastomosi e/o di riscaldamento comparta
un tasso minore di DGF [124]. Gli effetti a lungo termine sul graft non sono noti con certezza, ma potrebbero
altresì essere modificati da una minore durata dell’anastomosi [125].
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Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021
minore dimensione dell’incisione chirurgica e incidenza di linfocele. I potenziali svantaggi del RAKT sono: l’e-
sclusione di riceventi con grave aterosclerosi o sottoposti a tre (o più) trapianti di rene, un’incidenza aumenta-
ta di DGF ed un aumento dei casi di trombosi arteriosa precoce nonostante un’accurata selezione dei pazienti
[127]. Secondo uno studio multicentrico retrospettivo coinvolgente 187 pazienti, la curva di apprendimento
per tale procedura viene raggiunta attorno ai 35 casi per chirurghi esperti. Il tasso di complicanze e di DGF si
riduce significativamente e raggiunge un plateau dopo i primi 20 casi. L’incidenza di complicazioni di grado
III/IV secondo la classificazione di Clavien-Dindo è del 14% nei primi 10 casi, mentre scende al 3% durante i
successivi [128]. Il tasso di trombosi arteriosa (1.6%) è paragonabile a quello delle procedure laparotomiche
(0,5–3,5%) [128]. Uno studio retrospettivo a singolo centro su 239 pazienti obesi sottoposti a RAKT ha dimo-
strato come tale procedura sia sicura in questa categoria di pazienti, con rischio minimo di sviluppare infezioni
del sito chirurgico [129]. È stato riportato un tasso di fallimento del graft del 7,1%, dovuto principalmente a
rigetto acuto. A tre anni, la sopravvivenza del paziente e dell’organo trapiantato si attestano attorno al 95%
e 93%, rispettivamente [129]. Le attuali evidenze scientifiche sono troppo scarse per poter raccomandare il
trapianto di rene robot-assistito al di fuori di studi di controllo prospettici.
3.1.5.3 – Doppio trapianto di rene
Il trapianto doppio di rene (Double Kidney Transplant, DKT) è eseguito quando la qualità del rene singolo da
cadavere sia ritenuta insufficiente per garantire un’adeguata funzionalità a lungo termine del graft e quando
si ritiene che i risultati, con entrambi gli organi, sarebbero migliori. Vi sono diverse tecniche chirurgiche per
l’impianto della coppia di reni da donatore [130], che includono un approccio monolaterale extraperitoneale
(Unilateral Extra-Peritoneal, UEP) o intraperitoneale (Unilateral Intra-Peritoneal, UIP) ed un approccio bila-
terale extraperitoneale (Bilateral Extra-Peritoneal, BEP) o intraperitoneale (Bilateral Intra-Peritoneal, BIP),
eseguibili mediante un’incisione sulla linea mediana [131] o attraverso due incisioni laterali.
Lo scopo di un approccio unilaterale è quello di risparmiare la fossa iliaca controlaterale in nell’eventualità di
un trapianto futuro e per ridurre i tempi di ischemia fredda (CIT) in caso di un secondo trapianto di rene [132].
L’approccio monolaterale potrebbe richiedere la mobilizzazione e la sezione della vena iliaca interna per fa-
cilitare l’anastomosi delle due vene renali con la vena iliaca. Varianti della tecnica monolaterale includono la
ricostruzione su banco delle arterie e vene renali in maniera tale da creare una singola anastomosi, per ridur-
re ulteriormente la CIT per il secondo rene trapiantato [133-135]. Il doppio trapianto richiede l’allungamento
dei tempi operatori ed è gravato da una più alta percentuale di perdite ematiche rispetto al trapianto singolo,
indipendentemente dalla tecnica utilizzata. I dati in letteratura indicano tempi operatori e di degenza inferiori
utilizzando la UEP rispetto alla BEP [136], nonostante altri dati suggeriscano invece risultati sovrapponibili
per tutte le tecniche esaminate. Non vi sono studi RCT che raccomandino una tecnica adatta per qualsiasi
paziente o scenario clinico.
Un prelievo d’organo en-bloc è eseguito quando i reni provengono da bambini con un peso al di sotto dei 15
kg. A seconda dalle dimensioni del rene del donatore e dalle caratteristiche fisiche (peso e somatotipo) dell’a-
dulto ricevente, potrebbe essere eseguito un trapianto en-bloc dei due reni o, se richiesto, i patch aortico e
cavale inferiore potrebbero essere separati per eseguire un trapianto di rene singolo [137].
3.1.5.4 – L’impianto dell’uretere in una via urinaria fisiologica
Le tecniche di anastomosi dell’uretere alla via urinaria di un ricevente che non abbia anomalie anatomiche
urologiche includono: la uretero-neo-cistostomia extra- (Lich-Gregoir) o intra- (Ledbetter-Politano) -vescicale
e l’uretero-ureterostomia utilizzando l’uretere nativo. Una metanalisi [138] di due studi RCT e 24 studi osser-
vazionali evidenziano la superiorità della tecnica extra-vescicale secondo Lich-Gregoir, in quanto caratterizza-
ta da un minor tasso di complicanze globali (fistola urinosa, stenosi ed ematuria post-operatoria). In un RCT
sono state osservate meno infezioni urinarie con l’approccio extra-vescicale rispetto a quello intra-vescicale
[139]. La uretero-ureterostomia o la pielo-ureterostomia con l’uretere nativo ipsilaterale è stata descritta
come tecnica d’elezione nei riceventi con ureteri nativi non refluenti [140]. Una metanalisi ha evidenziato
come la comparsa di stenosi/ostruzione ureterale e la formazione di calcoli siano più comuni dopo l’esecu-
zione di un’uretero-ureterostomia, mentre il reflusso vescico-ureterale e le infezioni siano più comuni dopo
uretero-neo-cistostomia [141].
L’uretere proveniente dal donatore dovrebbe essere il più corto possibile, conservando più grasso peri-urete-
rale possibile in maniera tale da assicurare un adeguato supporto ematico. Un RCT ha dimostrato come sia più
vantaggioso, in vista di eventuali manipolazioni endoscopiche future, eseguire l’anastomosi extra-vescicale
tra uretere e vescica sulla parete posteriore della stessa rispetto a quella anteriore. Tale posizione, inoltre,
si è dimostrata associata ad una minor comparsa di idronefrosi dopo la rimozione dello stent endoureterale
[142]. Nel caso in cui l’uretere del donatore sia stato danneggiato durante il prelievo, può essere eseguita 25
Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021
L’anastomosi dell’uretere trapiantato può essere eseguita posizionando o meno uno stent endoureterale. Nel
caso sia posizionato uno stent, sarà necessario rimuoverlo, in un secondo tempo. Una revisione Cochrane
[144] ha concluso che lo stent è raccomandato per ridurre le complicanze urologiche maggiori, in particolare
le fistole urinose. Il momento ottimale per la rimozione dello stent deve essere ancora definito, ma, se
lasciato in sede per oltre 30 giorni, si è dimostrato maggiormente associato a infezioni urinarie [145]. Una
metanalisi di 5 RCTs con un totale di 568 trapianti di rene ha mostrato una riduzione significativa di infezioni
delle vie urinarie per la rimozione precoce (≤7 giorni) rispetto alla rimozione tardiva (≥14 giorni) [16]. Non
sono state osservate differenze statisticamente significative tra i due gruppi rispetto alle complicanze post-
operatorie quali stenosi uretere, ostruzione ureterale, spandimento urinoso ureterale [146]. Una seconda
metanalisi con un totale di 3612 pazienti ha altresì dimostrato una riduzione significativa delle infezioni delle
vie urinaria associata ad una rimozione precoce (< 3 settimane) rispetto alla rimozione tardiva (> 3 settimane)
dello stent ureterale [147]. Non sono state osservate differenze statisticamente significative tra i due gruppi
circa l’incidenza di stenosi ureterali e spandimenti urinosi ureterali [147].
Lo stent è più comunemente rimosso tramite cistoscopio flessibile, con anestesia locale, a meno che non sia
necessario eseguire, per qualsivoglia motivo, un’altra procedura concomitante che necessiti dell’anestesia
generale. Vi sono varie tecniche per ridurre la morbidità di un re-intervento, tra cui il fissaggio dello stent al
catetere vescicale o l’utilizzo di stent percutanei [148].
Un uretere doppio non è un riscontro infrequente durante il prelievo d’organo, durante l’esame sul banco
operatorio o durante gli accertamenti per la nefrectomia da donatore vivente [149, 150]. Un uretere doppio
può essere suturato in maniera tale da formarne uno singolo ed essere quindi anastomizzato alla vescica (“a
doppio pantalone”) oppure possono essere eseguite due anastomosi separate. Le tecniche sopradescritte
si possono anche applicare ai due ureteri singoli nel trapianto doppio di rene nell’adulto o nel trapianto en-
bloc da donatore pediatrico. Il razionale dell’anastomosi separata di due ureteri alla vescica del ricevente è
quello di non compromettere ulteriormente, tramite suture aggiuntive e manipolazioni, l’afflusso di sangue
già potenzialmente scarso; inoltre, in caso di una complicanza coinvolgente un uretere, si dispone dell’altro
(sano). Il vantaggio dell’anastomosi singola per due ureteri è solo quello di eseguire un’unica cistostomia:
chirurgicamente l’esecuzione è più rapida e gravata da minori complicanze. Mancano tuttavia evidenze solide
in letteratura circa il trapianto di rene con doppio uretere.
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Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021
Dovrebbero essere considerati i seguenti punti in caso di trapianto di rene in pazienti con anomalie del tratto
uro-genitale:
• Nei pazienti con un condotto ileale il rene trapiantato potrebbe essere posizionato capovolto per alli-
neare l’uretere con il condotto ed evitare che sia di eccessiva lunghezza [151].
• Le tecniche utilizzate per anastomizzare l’uretere di un rene trapiantato al condotto ileale sono le stes-
se utilizzate per l’anastomosi dell’uretere nativo (Bricker; Wallace).
• Per quanto riguarda le vesciche sottoposte a cistoplastica di ampliamento o per le derivazioni conti-
nenti, gli ureteri dovrebbero essere impiantati “a tunnel” o con tecnica extra-vescicale (Lich-Gregoir),
preferendo la seconda.
• Nei pazienti portatori di uno stoma di Mitrofanoff o di una derivazione continente ileo-cecale con stoma
cateterizzabile, è necessario considerare la posizione dello stoma (ombelicale od a livello della fossa
iliaca, solitamente a destra) interfacciandosi con i chirurghi trapiantisti, in modo da favorire eventuali
procedure future (eventuale trapianto di rene). Se si ha in programma il posizionamento intraperitone-
ale del rene da trapiantare, è preferibile eseguire lo stoma di Mitrofanoff a livello della fossa iliaca piut-
tosto che all’ombelico; se invece il trapianto dovesse essere eseguito in fossa iliaca destra, è preferibile
posizionare lo stoma di Mitrofanoff a livello dell’ombelico o della fossa iliaca sinistra.
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Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021
nefrectomia eseguita con tecnica robotica (aOR 2.07, p=0.002). Un volume di pazienti operati per centro >50
(aOR 0.55, p<0.0001) è stato associato a un più basso rischio di complicanze [16].
L’incidenza di insufficienza renale all’ultimo stadio (End-Stage Renal Disease, ESRD) (0.4-1.1%) non differisce
rispetto a quella della popolazione generale [154, 155, 158, 159]. Secondo un recente studio prospettico re-
trospettivo, la maggior parte dei casi di ESRD dopo donazione di rene è dovuta a patologia di nuova insorgenza
che avrebbe comunque danneggiato entrambi i reni [160]. Sono stati tuttavia identificati dei fattori di rischio
per il deterioramento della funzione renale dopo la donazione. Secondo un recente studio che ha esaminato
110769 donatori viventi di rene negli Stati Uniti, i donatori obesi (BMI > 30) hanno un rischio aumentato di
1.9 volte rispetto ai donatori non-obesi [161]. Il rischio di mortalità a lungo termine non è maggiore rispetto
a quello per età e comorbilità della popolazione generale [153, 158].
La qualità di vita correlata alla salute (Health Related Quality of Life, HRQoL), compresa la salute mentale,
risulta essere, dopo la donazione, in media migliore rispetto al resto della popolazione [158, 159, 162]. Alcuni
donatori, tuttavia, percepiscono una significativa diminuzione della loro QoL [162]. Mentre la HRQoL globale
è sovrapponibile o superiore ai dati sulla popolazione generale, alcuni fattori connessi al periodo della dona-
zione – tra cui la lungo degenza, stress finanziario, la giovane età, alto BMI, una bassa scolarità, l’abitudine
tabagica e alte aspettative antecedenti la donazione di rene - potrebbero essere correlati con un più facile
rischio di sviluppare una bassa HRQoL; è possibile dunque agire su tali aspetti [158, 159, 162]. È fondamen-
tale che venga eseguita un’attenta valutazione tra rischi e benefici e che al donatore vengano fornite tutte le
informazioni necessarie, tra cui i comportamenti da tenere successivamente alla donazione [163].
3.1.7.2 – Emorragia
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Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021
Gli ematomi sono solitamente una complicanza minore nel trapianto di rene. La loro incidenza si attesta tra lo
0,2 ed il 25% [177, 178]. Ematomi piccoli e asintomatici non richiedono solitamente alcun intervento. In caso
di ematomi più voluminosi, possono essere presenti segni e sintomi clinici determinati dalla compressione
estrinseca dell’ematoma sull’organo trapiantato, con disfunzione dello stesso e/o trombosi dei vasi del graft.
In questi casi potrebbe essere necessario eseguire un drenaggio percutaneo TC o US (Ultrasound) guidato
ovvero richiedere un trattamento chirurgico. [177].
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Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021
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Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021
3.1.7.7 – Linfocele
Il linfocele è una complicanza relativamente comune (1-26%) [196]. Esiste un’associazione significativa con
il diabete, gli inibitori di m-TOR (ad es. sirolimus) e con il rigetto acuto [197]. Per i linfoceli voluminosi e sin-
tomatici, la fenestrazione laparoscopica è associata con il minor tasso di recidive (8%) e complicanze (14%)
rispetto alla chirurgia laparotomica ed all’aspirazione percutanea [198]. Il posizionamento di drenaggio
percutaneo (ad es. catetere Pig-Tail) è un’opzione con un tasso di successo fino al 50%. [163]. Si può altresì
eseguire un’aspirazione percutanea, sebbene il tasso di recidiva arrivi fino al 95% [198], con un aumentato
rischio di infezione locale (6-17%) [198]. Inoltre, l’utilizzo di sostanze sclerosanti come etanolo, sigillante a
base di fibrina, gentamicina od octreotide riduce il tasso di recidiva rispetto alla sola aspirazione [198, 199].
la vascolarizzazione dell’uretere distale [202]. Inoltre, è raccomandato l’utilizzo di uno stent JJ [203, 205]. Gli
approcci terapeutici per le fistole urinose dipendono dalla loro localizzazione (pelvi renale, uretere prossima-
le/distale, vescica), dal tempo di insorgenza e dal volume di fluido perso dal tramite. In caso di insorgenza
precoce di fistola a basso volume di filtraggio è possibile un trattamento conservativo (ad es. catetere vesci-
cale, nefrostomia percutanea e stent JJ) [206]. In caso di fallimento del trattamento conservativo, o perdite
massive di fluido, è necessario eseguire una riparazione chirurgica. Il reimpianto ureterale diretto alla vescica
o all’uretere nativo hanno risultati simili [141, 206].
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Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021
3.1.7.10 – Ematuria
L’incidenza di ematuria ha un tasso compreso tra l’1 ed il 34% [200]. La tecnica di Lich-Gregoire è associata,
secondo la letteratura, con la più bassa incidenza di ematuria. Inoltre, una meticolosa emostasi durante il
reimpianto determina minimo sanguinamento postoperatorio [138, 200, 201]. L’irrigazione vescicale è la pri-
ma linea di trattamento. In alcuni casi è necessario eseguire una cistoscopia con evacuazione di coaguli e/o
elettrocoagulazione di aree di sanguinamento [200].
3.1.7.11 – Reflusso e pielonefrite acuta
La frequenza di reflusso vescico-ureterale è tra l’1 e l’86% [200, 215]. La pielonefrite acuta nel graft si osserva
nel 13% dei riceventi. Pazienti con infezione delle basse vie urinarie ed infezione da Cytomegalovirus (CMV)
presentano un alto rischio di insorgenza di pielonefrite acuta [216]. L’iniezione endoscopica di co-polimeri di
destranomero/acido ialuronico può essere il primo approccio al trattamento del reflusso vescico-ureterale as-
sociato a pielonefrite acuta, con un tasso di successo variabile dal 57,9% dopo la prima iniezione fino al 78,9%
dopo la seconda iniezione [217]. Seconde linee di trattamento sono rappresentate dal reimpianto ureterale e
dalla pielo-ureterostomia con uretere nativo [212].
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Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021
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Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021
in letteratura [226]. Nei casi di carcinoma a cellule renali di basso grado/stadio, il tasso di recidiva è invece
significativo nei pazienti sottoposti a dialisi o trapianto renale; le recidive, tuttavia, hanno colpito il rene con-
trolaterale, senza influenzare significativamente la sopravvivenza del paziente o del graft [226].
Il tumore testicolare è stato associato a basso rischio di recidiva, tuttavia alcuni case reports sottolineano
come vi sia la possibilità di recidive tardive anche per neoplasie di primo stadio [226].
Per quanto riguarda il carcinoma uroteliale, gli studi disponibili di riferiscono principalmente a casi di neo-
plasia delle alte vie nel contesto di una nefropatia da acidi aristolochici: in tale scenario, il tasso di tumore
bilaterale sincrono è di circa il 10-16%, con un tasso di recidiva controlaterale del 31-39% [226].
Tali evidenze suggeriscono che un paziente candidato a trapianto di rene con una storia di neoplasia urologica
maligna di basso grado correttamente trattata, come un carcinoma prostatico di basso grado/stadio (PSA <
10 ng/ml, Gleason score ≤ 6 e T1/T2a) ovvero una neoplasia a cellule renali T1 di basso grado, possa essere
messo in lista per trapianto di rene senza ulteriori attenzioni rispetto ad un paziente con anamnesi oncologica
muta. Data l’esiguità dei dati disponibili in letteratura, tuttavia, sono attualmente necessari ulteriori studi che
permettano di standardizzare un minimo tempo d’attesa prima di eseguire il trapianto renale.
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Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021
Il trattamento del carcinoma prostatico localizzato in seguito a trapianto renale è complesso, principalmente
a causa della presenza del graft nella cavità pelvica. Due revisioni sistematiche hanno evidenziato come gli
outcomes oncologici in seguito a trattamento di PCa nei pazienti trapiantati siano paragonabili a quelli della
popolazione non-trapiantata [228, 229]. L’intervento chirurgico (prostatectomia radicale) eseguita in centri
terziari ad alto volume, è stato il trattamento scelto nel 75-85% dei pazienti [228, 229]. Marra et al. hanno
descritto un tasso di sopravvivenza specifico, dopo 24 mesi di follow-up, del 96.8% per la chirurgia, dell’88.2%
per la radioterapia associata ad ormonoterapia e del 100% per la brachiterapia [229]. Hevia et al. hanno cal-
colato una sopravvivenza cancro-specifica a cinque anni del 97.5% per la chirurgia, dell’87.5% per la radiote-
rapia (External Beam Radiotherapy, EBRT) e del 94.4% per la brachiterapia [228].
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Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021
Tutti i pazienti registrati per il trapianto renale devono essere sottoposti a screening sierologico per la ricer-
ca di anticorpi anti-HLA, che sono particolarmente comuni dopo una gravidanza, dopo precedenti trapianti,
dopo rigetto del trapianto e trasfusioni di sangue [230-235]. Test accurati pre-trapianto per gli anticorpi an-
ti-HLA devono essere eseguiti secondo le raccomandazioni più recenti [230-235]. I sieri dei potenziali riceven-
ti di organi dovrebbero essere sottoposti a screening per anticorpi HLA-specifici ogni tre mesi o seguendo la
cadenza stabilita dalle organizzazioni nazionali e/o internazionali di scambio di organi [220-225]. Inoltre, lo
screening per gli anticorpi HLA-specifici dovrebbe essere effettuato due o quattro settimane dopo ogni evento
immunizzante, ad esempio trasfusioni di sangue, trapianto, gravidanza ed espianto del trapianto [230-235]. I
pazienti altamente sensibilizzati dovrebbero avere accesso prioritario ai programmi speciali di assegnazione
[232, 233, 235], come il programma Acceptable Mismatch (AM) di Eurotransplant [236]. Deve essere con-
dotta un’attenta analisi delle specificità degli anticorpi HLA nei potenziali donatori, per evitare antigeni HLA
inaccettabili e per determinare gli antigeni HLA accettabili: tale analisi deve fornire un risultato cross-match
negativo. La definizione di antigeni HLA inaccettabili dovrebbe essere implementata in accordo con le regole
di allocazione locali e le raccomandazioni internazionali [230-234, 237]. Le informazioni sugli antigeni HLA
inaccettabili dovrebbero essere riportate con i dettagli del paziente nel database del programma nazionale
di condivisione dei reni, evitando il trasporto non necessario di reni verso destinatari con elevata sensibilità
anticorpale.
Per evitare il rigetto iperacuto (Hyper-Acute Rejection, HAR), devono essere eseguiti test di cross-match ade-
guati (ad es. CDC o virtuali) prima di ogni trapianto di rene e di ogni trapianto combinato rene/pancreas in
accordo con le raccomandazioni nazionali e internazionali [230-233, 235].
I laboratori che forniscono test HLA, test anticorpali HLA e cross-matching per i centri trapianti devono avere
un accreditamento valido per garantire accuratezza e affidabilità [224, 225, 230-232]. Devono inoltre soddi-
sfare gli standard dettati dalle organizzazioni nazionali ed internazionali, come la Federazione Europea per
l’Immunogenetica (European Federation for Immunogenetics) [235].
In precedenza, la compatibilità degli antigeni ABO ed HLA rivestiva un’importanza critica nel trapianto renale.
Questo potrebbe cambiare in futuro: ad esempio, nel nuovo sistema di assegnazione degli Stati Uniti i do-
natori A2 e A2B sono assegnati a riceventi B [233]. Per evitare un crescente squilibrio tra domanda e offerta
nel trapianto di rene da donatore deceduto in riceventi O, l’identità ABO è richiesta da diverse organizzazioni
di assegnazione di organi, con poche eccezioni (ad es. come in reni zero con mismatch HLA-A+B+DR) [233,
234]. Con l’introduzione di metodiche per l’eliminazione degli anticorpi, di potenti immunosoppressori e di
nuovi farmaci (ad es. farmaci anti-cellule B), sono possibili trapianti da donatori viventi ABO-incompatibili,
con buoni risultati a lungo termine [238, 239]. Tuttavia, sono stati descritti costi e tassi di infezione più elevati.
Anche la barriera rappresentata da un cross-match positivo dovuto ad anticorpi HLA preformati è oggetto
di discussione, a causa dell’introduzione di recenti tecniche di “desensibilizzazione” applicabili in caso di do-
natore vivente [240, 241]. I tassi di successo sono più bassi, i rigetti anticorpi-mediati sono frequenti, ma la
sopravvivenza è potenzialmente migliore rispetto alla sopravvivenza in lista di attesa di pazienti in dialisi. A
causa della rapida evoluzione in questo campo, sono necessarie ulteriori ricerche per definire protocolli stan-
dard. Fino ad allora, tali protocolli di “desensibilizzazione” sono sperimentali e dovrebbero essere eseguiti in
centri specializzati, dove possono essere registrati tutti gli outcomes di tali tecniche. I pazienti dovrebbero
essere informati adeguatamente circa i rischi ed i limiti di tale metodica e circa le strategie alternative (ad es.
programmi con mismatch, trapianti incrociati e catene di donatori).
EVIDENZE LE
Il matching dell’HLA è molto importante nel trapianto di rene, in quanto gli outcomes del trapianto 3
correlano direttamente con il numero di mismatch dell’HLA. Il matching dovrebbe concentrarsi
sull’antigene HLA, che modifica sensibilmente gli outcomes.
Per evitare il rigetto iperacuto, in accordo con le raccomandazioni nazionali ed internazionali, 3
devono essere eseguiti test adeguati di cross-match (ad es. CDC, virtuale) prima di ogni trapianto
di rene e di ogni trapianto combinato rene/pancreas.
37
Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021
Gli effetti collaterali non specifici dell’immunosoppressione includono un maggior rischio di neoplasie ed
infezioni, in particolare di infezioni opportunistiche [242-244]. Tutti gli immunosoppressori hanno anche ef-
fetti collaterali specifici dose-dipendenti. Gli attuali protocolli immunosoppressivi mirano a ridurre gli effetti
collaterali specifici di tali farmaci utilizzando un regime sinergico. Un regime fortemente sinergico consente
riduzioni significative della dose di farmaci immunosoppressori, consentendo quindi di ridurre gli effetti colla-
terali pur mantenendo l’efficacia terapeutica, grazie agli effetti sinergici dei diversi immunosoppressori.
Questo regime multi-farmacologico riflette l’attuale standard di cura per la maggior parte dei pazienti trapian-
tati in tutto il mondo [242-244] e può essere modificato in base alle esigenze specifiche ed al rischio immuno-
logico. È probabile che questo regime standard venga modificato, in base ai nuovi farmaci immunosoppresso-
ri e ai nuovi regimi di trattamento sviluppati [242-244]. Inoltre, qualsiasi regime farmacologico iniziale dovrà
essere adattato alle esigenze individuali del paziente, in base alla comparsa di effetti collaterali, alla mancanza
di efficacia o dei requisiti richiesti dal protocollo.
38
Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021
Alcune metanalisi sul tacrolimus e la ciclosporina hanno dimostrato risultati simili circa la sopravvivenza com-
plessiva del paziente e del graft [242-248, 253, 254]. Il tacrolimus ha mostrato una migliore profilassi nella
prevenzione del rigetto ed è stato associato ad una migliore sopravvivenza del trapianto, nonostante in alcune
casistiche la morte del paziente non sia considerata. La funzione renale è risultata migliore nei pazienti trattati
con tacrolimus in diversi studi [254-259]. Pertanto, entrambe le CNI possono essere utilizzate efficacemente
per la prevenzione del rigetto acuto ma il tacrolimus, a causa della sua maggiore efficacia, è raccomandato
dalle attuali linee guida come farmaco di prima linea [243].
Per entrambe le CNI sono disponibili diverse formulazioni [249, 260-268]. La monosomministrazione giorna-
liera di tacrolimus sembra essere la preferita dai pazienti ed è associata a miglior aderenza e minor variabilità
farmacocinetica [249, 269 270]. Devono essere attuate alcune precauzioni (ad es. stretta sorveglianza e do-
saggio dei livelli di farmaco) dopo il cambio da una formulazione ad un’altra [268, 271-275]. In caso di effetti
collaterali specifici di un CNI (ad es. irsutismo, alopecia, iperplasia gengivale, diabete, nefropatia da poliomie-
lite) la conversione ad un altro CNI può essere una strategia efficace per ridurre gli effetti collaterali [242-244,
276]. A causa delle differenze nell’efficacia e nel profilo di sicurezza, la scelta del CNI dovrebbe considerare i
rischi individuali ed i benefici per ciascun paziente.
Nonostante i loro effetti collaterali, gli CNI hanno rappresentato una pietra miliare dei moderni regimi immu-
nosoppressivi per oltre vent’anni, poichè hanno portato ad un miglioramento notevole della sopravvivenza
del rene trapiantato [242, 243]. I protocolli futuri mirano a minimizzare o addirittura eliminare gli CNI [244,
247, 249, 277-280]. Tuttavia, finché tali strategie alternative non forniranno risultati superiori, gli CNI rimar-
ranno i farmaci standard [242, 243, 281]. A causa di gravi effetti collaterali correlati all’utilizzo di CNI, possono
rendersi necessari un’interruzione della terapia, una sostituzione o una riduzione importante del dosaggio del
farmaco [242, 244, 247, 277, 278]. Un’attenzione particolare dovrebbe essere prestata ai pazienti in terapia
di mantenimento, che potrebbero aver bisogno di minor dosi di CNI di quanto ritenuto in precedenza [242,
244, 249, 278, 279 282].
39
Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021
3.1.10.2 – Micofenolati
I micofenolati, MMF ed EC-MPS, sono basati sull’acido micofenolico (Mycophenolic Acid, MPA), molecola che
inibisce l’inosina monofosfato deidrogenasi (IMPDH) [283-287]. Questo è il passaggio limitante per la sintesi
della guanosina monofosfato nella sintesi de novo delle purine. Poichè la funzione e la proliferazione dei lin-
fociti dipendono maggiormente dalla sintesi de novo dei nucleotidi purinici rispetto ad altri tipi di cellule, gli
inibitori IMPDH forniscono un’immunosoppressione più specifica, mirata ai linfociti. La co-somministrazione
di micofenolato con prednisolone e CNI ha determinato una profonda riduzione dei rigetti, come dimostrato
alla biopsia midollare [242, 245, 283-287]. L’acido micofenolico non è nefrotossico; inibisce tuttavia la funzio-
nalità del midollo osseo, può causare infezioni da CMV e piò causare diversi effetti collaterali gastrointestinali,
in particolare diarrea [242, 245, 283-287]. C’è anche una maggiore incidenza di nefropatia da polyomavirus,
specialmente quando il micofenolato è combinato con tacrolimus [288].
Entrambe le formulazioni di MPA sono ugualmente efficaci e presentano un profilo di sicurezza quasi identi-
co [240, 278, 281, 283-286]. Alcuni studi prospettici suggeriscono tuttavia come EC-MPS sia maggiormente
tollerata a livello gastrointestinale in quei pazienti che hanno sofferto di disturbi gastrointestinali correlati
all’MMF, sebbene manchino evidenze ottenute da studi prospettici randomizzati [283-287, 289].
L’uso di MMF è raccomandato dalle linee guida [243]. Le dosi standard in combinazione con la ciclosporina
sono MMF 1g o EC-MPS 720mg due volte al giorno, sebbene sia stato suggerito l’utilizzo di dosi iniziali più ele-
vate [242, 243, 283-287]. Nonostante il suo uso frequente con il tacrolimus, non vi sono prove sufficienti per
definire il dosaggio ottimale di questa combinazione [242, 283, 285, 286, 290]. Tacrolimus non ha alcuna in-
fluenza sull’esposizione al MPA e porta a un’esposizione all’MPA di circa il 30% superiore rispetto alla ciclospo-
rina. La maggior parte dei centri di trapianto usa la stessa dose iniziale dei pazienti trattati con ciclosporina,
tuttavia le riduzioni della dose sono frequenti, specialmente a causa degli effetti collaterali gastrointestinali.
Alcuni deboli evidenze suggeriscono come la riduzione del dosaggio di MPA sia associata ad outcomes com-
plessivi inferiori, in particolare nei pazienti trattati con ciclosporina [284-286, 291, 292]. A causa dell’elevata
incidenza di effetti collaterali alcuni centri eseguono, in pazienti trattati con tacrolimus, una riduzione della
dose di MPA secondo specifici protocolli [283, 285]. Nei pazienti trattati con MPA in combinazione con tacro-
limus è raccomandato il monitoraggio regolare per poliomavirus (BK virus) [242, 288].
A causa di una maggiore incidenza di infezione da CMV con MPA [287], è necessario istituire una profilassi per
l’infezione da CMV ovvero uno screening regolare della viremia [242, 293]. La profilassi con farmaci antivirali
(ad es. valganciclovir) dovrebbe essere usata di routine nei riceventi positivi al CMV e nei pazienti CMV-ne-
gativi riceventi trapianti di organi positivi al CMV. È stato recentemente dimostrato che la profilassi farmaco-
logica riduce l’incidenza di malattia da CMV, riduce la mortalità associata al CMV nei riceventi di trapianti di
organi solidi e determina una migliore sopravvivenza del graft a lungo termine nei riceventi di rene.
I vantaggi del monitoraggio farmacologico del MPA sono ancora incerti ed attualmente tale procedura non è
raccomandata nella maggior parte dei casi [283, 285, 286, 294].
Nei pazienti in terapia di mantenimento, la potenza dell’MPA può essere utilizzata per determinare, nella
maggior parte dei pazienti, l’eliminazione dello steroide [295] o per ridurre significativamente la dose di CNI
nefrotossici, portando potenzialmente ad una migliore funzionalità renale [242-245, 247, 278, 296]. Sebbene
siano stati condotti diversi studi sul potenziale di protocolli con MPA e steroidi ma privi di CNI, la totale as-
senza o l’interruzione degli CNI nei primi tre anni sono state associate ad un rischio di rigetto sostanzialmente
aumentato, con risultati ancora peggiori in diversi RCT [242, 244 278]. Al contrario, la sospensione degli CNI
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Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021
in corso di terapia con MPA e steroidi sembra essere sicura nei pazienti in terapia di mantenimento a lungo
termine, oltre cinque anni dopo il trapianto, ed è stata associata ad una migliore funzionalità renale [242, 244,
247, 278, 296, 297].
3.1.10.3 – Azatioprina
Il micofenolato viene ora utilizzato di routine, in sostituzione dell’azatioprina, come terapia di prima linea nel-
la maggior parte dei centri in tutto il mondo. Rispetto all’azatioprina, il MPA riduce significativamente i tassi di
rigetto, come dimostrato in studi prospettici randomizzati [242, 243, 245, 283-287]. Sebbene un ampio studio
prospettico abbia evidenziato che l’azatioprina può fornire risultati accettabili in una popolazione a basso ri-
schio [298], l’azatioprina è solitamente riservata ai pazienti che non tollerano il MPA [242, 243, 283, 284, 286].
Quando aggiunta alla duplice terapia con ciclosporina e steroidi, non determina miglioramenti significativi ai
principali parametri di outcome, come dimostrato da una meta-analisi [299].
3.1.10.4 – Steroidi
Gli steroidi hanno un gran numero di effetti collaterali [242-244, 295], specialmente nelle terapie a lungo
termine. La maggior parte dei medici considera ancora gli steroidi (prednisolone o metilprednisolone) come
un coadiuvante fondamentale dell’immunosoppressione primaria, anche se, in molti studi prospettici rando-
mizzati, è stata rimossa con successo tale molecola nella maggioranza dei pazienti in terapia immunosoppres-
siva [242, 244, 245, 295, 300, 301]. Questi studi suggeriscono che il rischio derivante dalla sospensione dallo
steroide dipenda dall’uso concomitante di farmaci immunosoppressivi, dal rischio immunologico, dall’etnia
e del tempo trascorso dal trapianto. Sebbene il rischio di rigetto diminuisca nel tempo, i potenziali benefici
possono essere meno evidenti dopo un periodo prolungato di trattamento con steroidi. [242-245, 295]. Uno
studio recente riferito a pazienti a basso rischio in trattamento con tacrolimus, micofenolato ed un induttore
(ad es. basiliximab o ATG), evidenzia una minor incidenza di diabete a parità di effetto immunosoppressivo
dopo sospensione precoce dello steroide [302, 303].
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Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021
Ad oggi, non sono stati effettuati studi prospettici comparativi sugli inibitori di m-TOR sirolimus ed everoli-
mus. Entrambi gli inibitori della m-TOR hanno effetti collaterali quasi identici e differiscono principalmente
per le loro proprietà farmacocinetiche [242, 277, 304-306, 315]. Sirolimus ha un’emivita di circa 60 ore, viene
somministrato una volta al giorno ed è autorizzato esclusivamente per la profilassi nei riceventi di rene. Eve-
rolimus ha un’emivita di circa 24 ore, viene somministrato due volte al giorno ed è autorizzato per riceventi di
reni, fegato e cuore. Everolimus è autorizzato per l'uso con ciclosporina e può essere somministrato contem-
poraneamente a quest’ultima, mentre sirolimus deve essere somministrato quattro ore dopo l’assunzione
di ciclosporina. L’interazione farmacologica con la ciclosporina è molto inferiore per tacrolimus, infatti sono
richiesti dosaggi iniziali più alti di inibitori di m-TOR quando associati a tacrolimus [258, 316, 317]. Sirolimus
è anche autorizzato in terapia di associazione con steroidi e permette la sospensione della ciclosporina dalla
terapia di associazione con ciclosporina.
Il monitoraggio terapeutico dei livelli minimi è raccomandato a causa della stretta finestra terapeutica e del
rischio di interazioni farmaco-farmaco [242, 277, 304-306, 315].
Quando combinato con CNI, deve essere somministrata la profilassi antibiotica per la polmonite da Pneu-
mocystis jirovecii per un anno dopo il trapianto, ad esempio cotrimossazolo a basse dosi [242, 304-306]. An-
cora più importante, la terapia combinata con CNI aggrava la nefrotossicità indotta dagli CNI stessi, sebbene
gli inibitori della m-TOR non siano nefrotossici [242]. Diversi studi suggeriscono risultati meno favorevoli per
questa combinazione, specialmente se gli CNI vengono mantenuti a dosaggi standard [242, 245, 247, 258,
307, 309, 310, 318-323]. La dose di inibitore della calcineurina deve pertanto essere ridotta in corso terapia
combinata con gli inibitori della m-TOR; tale riduzione, sembra non avere alcun impatto sull’efficacia comples-
siva, a causa del potenziale altamente sinergico di questa terapia combinata [277, 304-306, 312, 315].
Diversi studi suggeriscono che gli inibitori della m-TOR non possono sostituire gli CNI nella fase iniziale dopo il
trapianto a causa della loro minore efficacia e di un profilo di effetti collaterali meno favorevole, in particolare
a causa dei problemi di cicatrizzazione e di formazione di linfocele [240, 242, 243, 274, 298, 299, 304, 306,
314]. Altri studi suggeriscono che gli inibitori della m-TOR possono sostituire gli CNI negli stadi successivi, ad
esempio tre mesi dopo il trapianto, con miglioramento della funzionalità renale in particolare nei pazienti
trattati con ciclosporina [242, 244, 245, 247, 255, 277, 304-306, 309, 310, 312, 324-326]. Non è ancora chiaro
se vi sia un reale beneficio rispetto ai pazienti in terapia con tacrolimus e MPA [256, 325]. Tuttavia, vi è un au-
mentato rischio di rigetto e di sviluppo di anticorpi HLA [242, 244, 256, 277, 327], che può essere compensato
dal beneficio dell’immunosoppressione non-nefrotossica. I pazienti trattati con inibitori di m-TOR sviluppano
meno frequentemente leucopenia ed infezioni virali opportunistiche, in particolare da CMV, rispetto ai pa-
zienti trattati con MPA [258, 309, 312, 322-324, 328].
Proteinuria e scarsa funzionalità renale alla conversione sono associate a outcomes inferiori [242, 244, 277,
304-306]. In pazienti con proteinuria > 800 mg/die, la conversione da CNI non è raccomandabile; in pazienti
con GFR <30 mL/min, dovrebbe essere seguito un approccio cauto e individualizzato.
A causa di un effetto antiproliferativo e di una minore incidenza di neoplasie maligne nei pazienti trattati con
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Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021
inibitore di m-TOR, la conversione da CNI ad inibitori di m-TOR può essere utile per i pazienti che sviluppano
tumori maligni dopo il trapianto o che sono ad alto rischio di sviluppo di neoplasie post-trapianto ovvero
tumori cutanei [242, 244, 277, 304-306, 311-313, 329-332]. Diversi studi e case reports hanno suggerito che
i pazienti con sarcoma di Kaposi in terapia con CNI traggono beneficio dalla conversione ad un inibitore di
m-TOR [330].
In sintesi, gli inibitori di m-TOR non sono raccomandati come iniziale terapia immunosoppressiva a causa dei
loro effetti collaterali e dei tassi di interruzione della terapia più elevati [243]. Tuttavia, gli inibitori di m-TOR
sono un’opzione di trattamento alternativa ben studiata.
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Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021
L’uso di anticorpi che riducono le cellule T in pazienti immunologici a basso rischio non è stato associato a mi-
gliori esiti a lungo termine ma, invece, ad un aumentato rischio di gravi infezioni opportunistiche e malignità,
in particolare la malattia linfoproliferativa post-trapianto [242, 243, 245, 333, 339, 341]. Alcuni centri usano
questi agenti per garantire un’efficace profilassi del rigetto e per facilitare la successiva sospensione degli
steroidi [302, 338, 342].
3.1.10.8 – Belatacept
Belatacept è una proteina di fusione, che blocca efficacemente la via co-stimolatoria CD28 e quindi impedi-
sce l’attivazione delle cellule T [277, 345, 346]. Belatacept viene somministrato per via endovenosa ed il suo
uso è indicato come parte di un regime privo di CNI associato ad induzione con basiliximab, micofenolato e
corticosteroidi. I dati a lungo termine di tre studi randomizzati su pazienti trapiantati di rene de novo hanno
dimostrato una migliore funzionalità renale rispetto all’immunosoppressione basata sulla ciclosporina, tut-
tavia le percentuali e i gradi di rigetto acuto fossero più elevati per belatacept nel primo anno successivo al
trapianto [242, 245, 257, 277, 345-351]. Nei pazienti standard che ricevevano un rene da donatore vivente o
deceduto, è stata osservata una migliore sopravvivenza del trapianto, mentre in pazienti ECD i tassi di soprav-
vivenza del trapianto sono risultati essere simili. È interessante notare che i pazienti trattati con belatacept
avevano un’istologia meglio conservata e hanno sviluppato meno anticorpi donatore specifici (Donor Specific
Antigen, DSA) rispetto alla ciclosporina [352]. Il profilo di sicurezza a lungo termine dei pazienti trattati con
belatacept era simile ai controlli in trattamento con ciclosporina: in particolare, meno pazienti trattati con be-
latacept hanno interrotto la terapia a causa di eventi avversi o hanno sviluppato complicazione metaboliche
[350, 351, 353, 354]. Inoltre, l’opzione di convertire pazienti (sia pazienti stabili che con tossicità associata a
CNI o m-TOR) a tale farmaco è stata esplorata con risultati iniziali promettenti [348, 355-357]. Segnali specifici
di sicurezza includono un più alto tasso di malattia linfoproliferativa post-trapianto (Post Transplant Lympho-
proliferative Disorder, PTLD) specialmente nei pazienti negativi al virus di Epstein-Barr (EBV), più infezioni
da herpes e da tubercolosi (in pazienti provenienti da aree endemiche) [277, 345, 346]. Belatacept è stato
approvato negli Stati Uniti ed in Europa per i pazienti EBV positivi, ma in molti paesi non è ancora disponibile.
Ulteriori studi sono in corso per esplorare appieno il valore di questo composto.
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Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021
3.1.11 – Complicanze immunologiche
Il rigetto immunologico è una causa comune di disfunzione precoce e tardiva del trapianto [243, 358-362]. C’è
una grande variabilità nella tempistica e nella gravità degli episodi di rigetto e nella risposta al trattamento.
Oggi si distinguono due tipi principali di reazioni immunologiche, i rigetti mediati da cellule T (T-Cell Mediated
Rejections, TCMR) e i rigetti mediati da anticorpi (Antibody-Mediated Rejections, ABMR) [243, 358-360]. Il
rigetto anticorpale e TCMR possono essere diagnosticati insieme, delineando il quadro di rigetto acuto misto.
Il rigetto mediato da anticorpi può verificarsi come rigetto iperacuto (Hyperacute Rejection, HAR), rigetto acu-
to o rigetto cronico. L’ABMR cronico è considerato una delle principali cause di perdita tardiva del trapianto.
Il gold standard per la diagnosi di rigetto è la biopsia del trapianto [243], poiché è impossibile distinguere il
rigetto acuto da altre cause di disfunzione renale (ad es. necrosi tubulare acuta, infezione, recidiva di malattia
o nefrotossicità da CNI) esclusivamente sulla base del quadro clinico. Pertanto, tutti i rigetti devono essere
inquadrati mediante biopsia renale e le biopsie devono essere classificate secondo i più recenti criteri di
Banff [363], che costituiscono la base per il trattamento e la prognosi [241, 358, 361]. La biopsia del trapianto
renale deve essere condotta preferibilmente sotto guida ecografica, utilizzando un sistema di biopsia con
ago automatizzato (ad es. pistola per biopsia Tru-Cut) [243, 358] con un ago da 16 G per garantire l’adegua-
tezza del campione. La procedura bioptica è considerata sicura, ma possono verificarsi complicanze come
sanguinamento e fistole AV [243, 364, 365]. Il rischio riportato di complicanze maggiori (tra cui grave sangui-
namento, ematuria macroscopica con ostruzione ureterale, peritonite o perdita del graft) è di circa l’1%. Le
controindicazioni più importanti sono la concomitante terapia anticoagulante, compresi i farmaci antiaggre-
ganti, e l’ipertensione non controllata.
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Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021
gene incompatibile del donatore: tali anticorpi distruggono l’endotelio vascolare entro pochi minuti o ore
dopo la vascolarizzazione. Si manifesta in trapianti ABO-incompatibili a causa della presenza di elevati titoli di
iso-anticorpi preesistenti diretti contro antigeni del gruppo sanguigno. Nei trapianti ABO-compatibili, il HAR è
mediato dagli anticorpi IgG anti-HLA del donatore. Con lo sviluppo del test di cross-match eseguiti prima del
trapianto, il HAR è diventato una complicazione estremamente rara [230]. L’imaging e l’istologia rivelano un
infarto generalizzato del graft, che deve essere trattato mediante nefrectomia del trapianto. La prevenzione
è, pertanto, cruciale e si attua evitando i casi con alti livelli di iso-anticorpi contro antigeni di gruppi sanguigni
incompatibili (in caso di trapianto renale ABO-incompatibile) e/o eseguendo un regolare cross-match prima
del trapianto (vedere paragrafo 3.1.9).
Agenti biologici che riducono le cellule T, come ATG, possono essere somministrati in gravi casi refrattari agli
steroidi [243, 340, 343, 358, 366]. Se vengono utilizzati agenti biologici, il regime immunosoppressivo deve
essere adattato di conseguenza e deve essere eseguito un monitoraggio giornaliero delle cellule T per mini-
mizzare il dosaggio dell’agente biologico [340]. Prima che l’immunosoppressione sia intensificata, soprattutto
prima dell’uso di agenti che riducono le cellule T, la prognosi del graft deve essere valutata in modo critico
rispetto ai rischi di grave immunosoppressione. Il paziente deve essere adeguatamente edotto.
3.1.11.3 – Trattamento del rigetto anticorpi mediato (Antibody mediated rejection, ABMR)
Il trattamento si basa su studi retrospettivi e linee guida di trattamento empirico [367]. È importante clas-
sificare il fenotipo clinico ed istologico del rigetto per poter attuare la strategia terapeutica più adeguata
[367]. Fattori clinici rilevanti sono rappresentati dal tempo di insorgenza del rigetto (acuto precoce < 30 giorni
post-trapianto, acuto tardivo oltre i 30 giorni), la presenza di anticorpi donatore-specifici (DSA) preformati o
insorti de novo e l’istologia (rigetto attivo o cronico).
Nel trattamento dell’ABMR acuto è comune l’impiego di steroidi in bolo (500 mg/die per almeno tre giorni) in
combinazione con immunoglobuline endovena e plasmaferesi o immunoassorbimento. Le immunoglobuline
endovena [243, 358, 368-373] possono modulare e/o sopprimere la produzione di anticorpi. L’impiego delle
sole immunoglobuline endovenose sembra insufficiente per un trattamento efficace e le IVIG vengono attual-
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Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021
mente utilizzate in un regime multimodale. I dosaggi variano ampiamente da 0,2-2,0 g/kg di peso corporeo e
non sono stati pubblicati studi comparativi (ad es. sulla dose o sulla immunosoppressione concomitante ot-
timale). Case series retrospettivi e prospettici sottolineano l’efficacia della rimozione anticorpale tramite pla-
smaferesi o colonne di immunoassorbimento [243, 358, 368-373], sebbene i dettagli delle diverse procedure
varino ampiamente. Terapie aggiuntive quali l’utilizzo di inibitori del complemento, rituximab o la splenecto-
mia possono essere considerate nei casi precoci gravi. Nonostante i dati circa l’utilità degli anticorpi anti-CD20
siano controversi [243, 343, 358, 368-373], il rituximab, secondo il parere di esperti, può essere considerato
come terapia aggiuntiva nel ABMR attivo tardivo. Sebbene gli agenti che riducono le cellule T come ATG sem-
brino avere un valore limitato, sono frequentemente usati durante il rigetto acuto misto [241]. Una serie re-
trospettiva suggerisce che l’impiego combinato di rituximab ed ATG [374] o steroidi [343] determini tossicità
aggravata. Inoltre, molti centri ottimizzano la terapia di mantenimento utilizzando MPA e steroidi e sufficienti
livelli di tacrolimus [243, 358, 368-370, 373].
Il rigetto acuto cronico misto dato da DSA preesistenti non ha uno specifico trattamento, se non l’ottimizza-
zione della terapia di mantenimento e, eventualmente, la somministrazione di immunoglobuline endovena
come trattamento aggiuntivo (scarso livello di evidenza). In pazienti con DSA neoformate, è raccomandata
l’ottimizzazione della terapia di mantenimento e dell’immunosoppressione, con particolare attenzione all’a-
derenza al trattamento. Se l’esame istologico mostrasse un ABMR attivo, potrebbero essere considerati come
trattamenti aggiuntivi, nonostante gli scarsi livelli di evidenza, la plasmaferesi, il rituximab e le immunoglo-
buline endovena. Se la biopsia dimostrasse un ABMR cronico puro, non è raccomandato alcun trattamento
specifico, a causa della mancanza di dati attendibili, ad eccezione della somministrazione di immunoglobuline
endovena. Il trattamento del ABMR cronico sembra avere scarsi risultati [358, 368, 370].
In sintesi, diversi regimi hanno dimostrato una certa efficacia nel ABMR. Tuttavia, ad eccezione di un effetto
benefico della rimozione precoce degli anticorpi, la mancanza di evidenze certe non consente raccomanda-
zioni basate sull’evidenza per il trattamento. Conseguentemente, la prevenzione del ABMR tramite adeguato
screening pre-trapianto, il monitoraggio della presenza di anticorpi specifici anti-donatore, il mantenimen-
to di un’immunosoppressione ottimale ed una stretta aderenza terapeutica rappresentano elementi cruciali
[230, 358, 372, 375].
corso dei mesi [243, 380, 381]. È probabile che l’IF/TA sia più comune nei pazienti che hanno avuto episodi
precoci di rigetto acuto o di infezione. Bisogna porre diagnosi differenziale principalmente con nefrotossicità
cronica [383], che è comune nei pazienti che ricevono CNI, e con un danno renale cronico preesistente e/o
aggravato da un donatore di rene marginale [243, 380, 381].
La diagnosi è ottenuta tramite biopsia renale [243, 380]. Nei pazienti diagnosticati precocemente, in partico-
lare se vi è evidenza di tossicità da CNI, la progressione della malattia può essere rallentata dalla conversione
a un regime privo di CNI [201-203, 263, 264]. La conversione agli inibitori di m-TOR è un’opzione adatta ai
pazienti senza proteinuria significativa (< 800 mg/die) ma funzione renale moderata [242-244]. In alternativa,
è stata descritta con successo una conversione in un regime basato sul MPA, specialmente in pazienti che
hanno superato i primi tre anni dopo il trapianto [242, 244, 278]. Se c’è intolleranza agli inibitori di m-TOR o al
MPA, la conversione a belatacept o ad un regime a base di azatioprina può avere successo, sebbene il più alto
rischio di rigetto giustifichi una stretta sorveglianza [357]. Se il rischio di rigetto è ritenuto essere troppo alto,
un’altra opzione è rappresentata da una riduzione di CNI sotto la protezione del MPA [234, 278].
Nei pazienti con proteinuria, il trattamento con un inibitore dell’enzima di conversione dell’angiotensina con
il bloccante del recettore dell’angiotensina II [243, 380] insieme al controllo stretto della pressione arteriosa
può rallentare la progressione del danno renale. Altre misure di supporto includono il trattamento di: iperten-
sione, iperlipidemia, diabete, anemia, acidosi e malattia ossea [243]. Tuttavia, alla fine, il paziente richiederà
un altro trapianto (se in grado di essere inserito in lista di attesa per il trapianto) o terapia dialitica.
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Linee Guida EAU sul Trapianto Renale 2021
Nei pazienti con fibrosi interstiziale e atrofia tubulare in terapia con Forte
inibitori della calcineurina e/o con segni istologici indicativi di tossicità da
CNI (ad es. ialinosi arteriolare, fibrosi striata), considerare la riduzione o
l’interruzione dell’inibitore della calcineurina.
Intraprendere terapia mediche appropriate, in accordo con le linee guida Forte
correnti, per trattare (ad esempio): ipertensione arteriosa, diabete,
proteinuria, fattori di rischio cardiaci, infezioni e altre complicanze.
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