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Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Università Telematica Pegaso L'autismo: approccio mentalista
Gli anni ’80 e ’90 vedono comparire modelli neuropsicologici di interpretazione del
funzionamento mentale in generale e della elaborazione delle informazioni in particolare, che
spingono l’analisi sulla capacità umana di rappresentarsi lo stato del pensiero degli altri.
Alla fine del secolo, all’interno delle scienze cognitive, si è sviluppato un impianto teorico,
supportato da significative ricerche empiriche, definito come teoria mentalista, il cui fulcro
fondativo attiene al fenomeno della teoria della mente1.
A partire dall’infanzia, l’essere umano denota una certa attitudine ad inferire gli stati mentali
altrui, secondo una capacità che si concretizza nell’interpretare i pensieri, le opinioni e le credenze
negli altri. Complessivamente si evidenzia una teoria della mente, come rappresentazione o
conoscenza dello stato mentale delle persone, che ci permette di:
Questa azione cognitiva di riflessione sulla mente, tende evidentemente a flettersi anche su
se stessa, nel senso di riguardare anche il proprio stato mentale e il proprio comportamento,
1
Crispiani P., Lavorare con l’autismo. Dalla diagnosi ai trattamenti, Edizioni Junior, Bergamo 2002.
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assumendo per questo, i tratti di una meta-conoscenza e, in questo caso, di una meta-
rappresentazione di dinamiche di pensiero implicite.
Si tratta di un abilità prettamente cognitiva che, presente fra i 18 e 30 mesi in forma
primitiva, si sviluppa comunque nell’infanzia, soprattutto attorno ai due tre anni, essendo rivelata da
alcuni atteggiamenti precursori. Gli indizi comportamentali precursori della capacità di percepire
l’attenzione degli altri sono stati isolati come:
Attenzione condivisa, capacità di far proprio un interesse visivo dell’adulto, ovvero guardare
ciò che l’altro osserva con attenzione e quindi condividerne un interesse;
Comunicazione intenzionale proto-comunicativa, capacità di comunicare un proprio
interesse all’adulto direzionando alternatamente il proprio sguardo sull’oggetto e al volto
dell’adulto, suppone l’attribuzione di stati intenzionali all’altro;
Gioco di finzione ovvero la capacità di far finta di modificare il significato degli oggetti, gesti
ambienti ecc.
Bruner definisce tale capacità come un meccanismo innato, in quanto essa appartiene già ai
bambini ma non necessita di esperienza e di educazione2.
La teoria della mente attiene pertanto ad una forma di conoscenza sociale, versata sulle
condotte psichiche altrui e proprie e denota forti analogie, se non identità, con l’idea
dell’intelligenza personale di H. Gardner e. più in generale, con le teorie modulariste3.
2
Bruner J., La cultura dell’educazione, Feltrinelli, Milano 2001.
3
Gardner H., Formae mentis. Saggio sulla pluralità dell’intelligenza, Feltrinelli, Milano 1987.
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Molto significativa è ritenuta quella che è definita come prova delle false credenze, test che
rivela ai bambini al di sotto dei quattro anni e nei soggetti autistici di età più avanzata, la mancata
attribuzione della giusta credenza, soprattutto in situazione di evidenza, ad altre persone, quindi
l’assenza di rappresentazione dello stato mentale altrui. Gli stessi autori di tali ricerche tendono ad
individuare degli stadi di massima inerenti lo sviluppo della capacità mentalista, confrontando il
soggetto normale con quello autistico.
4
Crispiani P., op.cit., p.3.
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Tutti questi autori convergono nel ritenere che, malgrado tale condizione, per la quale sono
gravemente contrastate la relazione e la comunicazione, non si può dire che il bambino in stato
autistico non possieda qualche abilità mentalista, poiché comunque la mente propria e altrui non
resta totalmente inaccessibile5.
5
Crispiani P., op.cit., p.3.
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2 La cecità mentale
S. Baron-Cohen adotta il paradigma della cecità mentale o cecità sociale per indicare la
presunta incapacità di decifrare gli occhi e le espressioni facciali degli altri, quindi lo stato
emozionale e la relazione, definita categoria della mente6.
In quattro stadi, o competenze selezionate nel corso dell’evoluzione umana, si esercita via
via la lettura della mente altrui, essi consistono in meccanismi cognitivi del tipo:
2. Rilevatore della direzione degli occhi (EDD, Eye- direction detector) che svolge la funzione
di rilevare lo sguardo, la direzione degli occhi e attribuisce l’attività percettiva all’altro;
3. Attenzione condivisa (SAM, Shared Attenting, Mechanism) percepisce che altre persone
stanno volgendo la propria attenzione ad un medesimo oggetto o evento;
4. Teoria della mente che egli percepisce gli stati mentali altrui e ne ricava informazioni.
6
Baron-Cohen S., Bolton R., L’autismo, una guida, Phoenix Ed., Roma 1998.
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Baron-Cohen asserisce che i soggetti con autismo dispongono delle prime due competenze,
mentre sono deficitari nelle altre due7.
Tale condizione comporta una specie di sovraccarico cognitivo e sociale nell’individuo ed è
una specificità autistica piuttosto ostica, perché supera le nostre possibilità immaginative, per il
fatto che la persona normale manca della medesima esperienza.
L’approccio per tanto discusso, riceve apprezzamento per il fatto di indagare con pertinenza
in un’area di disfunzioni, indicate principalmente nella triade di gioco, interazione sociale e
comunicazione, che appare certamente coinvolta nella sindrome autistica.
Si tratterebbe come effetto di innegabili alterazioni dello stato biologico, di una sorta di
cecità mentale della condizione psicologica altrui. Del resto, si riconosce che alcuni comportamenti
sociali e comunicativi richiedono quella capacità di capire gli stati mentali, ovvero di prestare giusta
attenzione agli altri8.
Sull’efficacia di tale concezione vi sono numerose riserve, a cause del complesso dei
sintomi autistici che non risulta sufficientemente spiegabile con il solo deficit di mentalizzazione.
D’altra parte numerose ricerche affermano in bambini con autismo la presenza di disturbi
anche non appartenenti alla sfera relazionale, come quelli a carico della memoria di frasi, di
verbalizzazione, di immagini e di schemi.
Baron-Cohen et. Al. Affermano che il 20% dei bambini autistici persi in esame nella loro
ricerca, erano comunque capaci di eseguire compiti di metalizzazione e di riconoscimento di stati
7
Baron-Cohen S., L’autismo e la lettura della mente, Astrolabio, Roma 1997.
8
Crispiani P., op.cit., p.3.
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mentali. D’altra parte J. Bruner riferisce che in soggetti autistici dotati si può rilevare una teoria
esplicita della mente, ma che genera nelle loro interazioni interpersonali una certa goffaggine
innaturale9.
9
Bruner J., op.cit., p.4.
10
Frith U., L’autismo. Spiegazione di un enigma, Laterza, Bari 1998.
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4 Le modalità educative
Il territorio teorico è quello della teoria della mente e delle ricerche che, sul finire del ‘900 si
sono polarizzate attorno all’obiettivo di educare i soggetti in stato autistico, a leggere la mente altrui
e propria.
Si tratta pertanto di un approccio sostanzialmente direzionato ad una funzione cognitiva,
quella della teoria della mente, che esibisce particolare complessità, dal momento che coinvolge
direttamente tutte le aree funzionali con le quali l’uomo si esprime, la corporeità, l’emotività,
l’affettività11.
Situazioni educative organicamente gestite, tendono a favorire nell’individuo la capacità di
riconoscere lo stato mentale degli altri, in particolare dell’emotività, e quindi di prevederne il
comportamento generale. L’incapacità di leggere la mente, ovvero di andare oltre le emozioni più
evidenti, si manifesta in una pluralità di condotte:
11
Crispiani P., op.cit., p.3.
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Baron-Cohen S., Howlin P., Hadwin J., Teoria della mente e autismo, Erickson, Trento 1999.
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Discriminare e riconoscere gli stati emotivi su sé e sugli altri lungo cinque livelli
progressivi di esperienza.
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Intuire o riconoscere gli stati informativi negli altri, cosa essi percepiscono conoscono o
credono
Livello 1 Prospettiva visiva semplice (comprendere
cosa vedono gli altri)
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Con riferimento allo sviluppo della funzione simbolica nel bambino normo-evoluto,
cinque livelli di esperienza
Livello 1 Gioco senso-motorio
Sostengono il piano di trattamento sopra ricordato, una serie di principi educativi così
schematizzati:
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Bibliografia
Baron-Cohen S., Bolton R., L’autismo, una guida, Phoenix Ed., Roma 1998
Baron-Cohen S., Howlin P., Hadwin J., Teoria della mente e autismo, Erickson, Trento 1999
Baron-Cohen S., L’autismo e la lettura della mente, Astrolabio, Roma 1997
Bruner J., La cultura dell’educazione, Feltrinelli, Milano 2001
Crispiani P., Lavorare con l’autismo. Dalla diagnosi ai trattamenti, Edizioni Junior, Bergamo
2002
Frith U., L’autismo. Spiegazione di un enigma, Laterza, Bari 1998
Gardner H., Formae mentis. Saggio sulla pluralità dell’intelligenza, Feltrinelli, Milano 1987
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