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NEURODIDATTICA

L’incontro tra NEUROSCIENZE ed EDUCAZIONE è già consolidato, anche perché in


alcune parti del mondo è già stato sperimentato, e tutti questi studi vengono collocati
sotto l’etichetta di NEUROPEDAGOGIA e essa si sviluppa maggiormente nello studio di
come si costruiscono le abilità di lettura e scrittura, dell’apprendimento musicale, delle
competenze matematiche e di come i processi esecutivi organizzano l’apprendimento.
L’obiettivo di questi studi è comprendere i meccanismi neurali che caratterizzano i
diversi processi di apprendimento, per poterli favorire o addirittura per prevenire già sin
da piccoli eventuali problemi che si potrebbero presentare. È importante capire che chi
si occupa di educazione, non deve avere l’obiettivo di diventare un neuroscienziato ma
deve essere quello di comprendere in che modo gli studi neuroscientifici possono
essere utili per l’educazione, quindi lo scopo dell’educatore è quello di individuare
attraverso lo studio del cervello, degli spazi utili per la ricerca didattica e soprattutto
riuscire ad applicare queste conoscenze.

CAPITOLO 1

Geake in apertura del suo libro "the brain at school" fa riferimento a come la
sovrainterpretazione del ruolo delle neuroscienze nella comprensione di alcuni
fenomeni connessi con l'apprendimento abbia condotto negli ultimi anni a fornire agli
insegnanti indicazioni che si dimostrano prive di fondamento scientifico. Lo fa
attraverso alcuni esempi tra i quali: la convinzione che noi useremmo solo circa il 10%
del nostro cervello per svolgere la nostra attività cognitiva, la distinzione tra persone
cerebrodestre- creative e cerebrosinistre- metodiche, la convinzione che esistono stili di
apprendimento che determinerebbero il modo assolutamente personale di ogni singolo
individuo ad accostarsi ai contenuti. Tutto ciò prende il nome di neuromitologia. Roland
Barthes ha definito il mito come un sistema semiologico secondo che rovescia e fissa la
cultura in natura. Partiamo da un qualsiasi fatto linguistico, sia esso una proposizione,
un'immagine, o un oggetto. Consideriamo l'affermazione che un genitore potrebbe fare
riguardo il proprio figlio, dopo aver letto un articolo di giornale che rilanci l'idea di un
cervello sinistro votato alla razionalità calcolante e di un cervello destro sede della
creatività e dell'immaginazione: "Ecco perché Giacomo è negato per la matematica
deve essere cerebro destro!". In questa affermazione si può cogliere il significante
ovvero: l'insieme degli elementi che nella lingua italiana compongono la frase. Ciò aiuta
a coglierne il significato che è costruito sulla duplice consapevolezza che Giacomo è in
difficoltà quando gli viene chiesto un approccio razionale ai problemi e molto
probabilmente presenta un maggiore sviluppo del suo emisfero cerebrale destro. Qui si
misura la capacità del mito di trasformare la cultura in natura. Infatti che qualcuno, in
quanto incapace o in difficoltà a svolgere compiti razionali come quelli in gioco sia
cerebrodestro non è un dato come La retorica mitologica intende far credere ma è il
risultato di una lettura culturale di un dato. Oggi la ricerca neuroscientifica recente
dimostra come sia molto difficile immaginare il funzionamento del cervello come se le
specificità dei due emisferi fossero così distinte da poter configurare stili cognitivi
altrettanto distinti. È stato dimostrato il coinvolgimento di altre aree situate in zone
molto diverse della corteccia e collegate alle precedenti da assoni sufficientemente
lunghi da garantire la connessione sinaptica. Il cervello funziona attraverso network
diffusi di neuroni e quest'ultimi possono trovarsi in parti zone o livelli diversi- tutto
questo nella costruzione mitologica non viene esplicitato. Ciò vale anche per quanto
riguarda il concetto di compito razionale che non è altro che il risultato di una
semplificazione estrema che riconduce a due preconcetti. Il primo è quello che ha
sempre portato il sapere comune a contrapporre razionalità ed emozione. L' altro
preconcetto è che creatività e razionalità non possono coesistere nello stesso soggetto,
come dire che se uno è di suo portato per la musica, per la pittura, non potrà allo stesso
modo dimostrare di avere numeri nel campo della razionalità o dell'organizzazione. Qui
si ricorre al funzionamento della neuromitologia per supportare l'affermazione data.
Dall'idea che un individuo razionale mobiliti più facilmente il suo cervello sinistro e, che
al contrario, un individuo creativo usi il suo cervello destro, possono derivare
conseguenze: La prima è che si trova una giustificazione su base neurologica
nell'eventuale difficoltà di apprendimento di un individuo in relazione ad alcuni compiti
che richiedono un processamento esatto dei dati. La seconda è la giustificazione,
sempre su base neurologica, delle particolari doti che un soggetto può sviluppare
propria relazione al tipo di cervello di cui è fornito. Sul piano dell'educazione tutto ciò
produce alcuni stereotipi: per esempio l'idea di un certo determinismo su base genetica
e di conseguenza la convinzione che la didattica trovi nell'organismo i propri limiti
inaggirabili. Oggi è stato mostrato grazie alla plasticità del cervello l'importanza che le
variabili culturali hanno nel produrre modificazioni a livello funzionale e strutturale sulla
nostra corteccia celebrale rilanciando il compito dell'educazione. La società post-
industriale è una società dell'informazione o meglio una società informazionale dove
l'informazione ne è parte integrante: si tratta di una società fatta di informazioni, una
società di cui le informazioni rappresentano l'intera intelaiatura, con la conseguenza
che la sua intera organizzazione sociale sia basata sulla loro condivisione. Si tratta
quindi di una società della conoscenza che in grado di recuperare le informazioni
quando servono, saperle selezionare e valutare, organizzarla in mappe significative- ciò
implica la capacità di sviluppare concetti e di modificarli costantemente nel dialogo con
quanto l'esperienza percettiva suggerisce. La conoscenza diviene quindi strumento
grazie al quale confrontarsi con situazioni complesse. Ciò elencato prende il nome di
"competenza fondamentale" dell'individuo che in questo tipo di società si trova a vivere
e operare. Un esempio di queste competenze viene formato viene fornito da Henry
Jenkins, che prova a stilare un elenco annoverando tra esse" il gioco, la simulazione, la
performance, l'appropriazione, multitasking, la conoscenza distribuita, intelligenza
collettiva, il giudizio, la capacità di navigazione transmediale, networking, la
negoziazione. Si tratta di competenze che si sviluppano attraverso l'interazione assidua
con i nuovi media digitali. Il concetto del sistema dei media viene visto anche
nell'ambito della scuola e dell'Educazione. I ragazzi sarebbero più superficiali, incapaci
di concentrazione, iperattivi, refrattari verso l'impegno e la fatica, estranei alle relazioni
vere. In compenso i giovani denoterebbero anche: prontezza, velocità di esecuzione,
capacità di attendere a più compiti contemporaneamente. Per descrivere questa
generazione, si è fatto abbondante ricorso a metafore, come già avvenuto in passato
con i baby boomers, la prima generazione cresciuta con la televisione: Screen
Generation, Born Digital, Digital millennials, ecc.
Oggi invece si parla di Digital natives, termine proposto da Marc Prensky, non un
ricercatore ma uno sviluppatore di videogiochi. La sua tesi è semplicissima e gioca sul
potere della metafora. Un nativo digitale è qualcuno che fin dal momento in cui si
affaccia al mondo inizia a interagire con i computer, i telecomandi della televisione, i
videogiochi, i telefoni cellulari: si tratta di una generazione che ha conosciuto questi
dispositivi come parte integrante del proprio contesto sociale. Gli adulti prendono il
nome di immigranti digitali, che non avranno mai la stessa competenza di chi è nato
dentro l'era digitale. Da questa distinzione Prensky fa emergere tre conseguenze:
1 la familiarità dei nativi con le tecnologie viene posta relazione con la scarsa
dimestichezza degli immigranti-ciò serve a far emergere il GAP generazionale tra nativi
e immigranti
2 il cronico ritardo dei sistemi formativi, la scuola in prima istanza-gli insegnanti
insistono a riproporre modi e forme di insegnamento e apprendimento anacronistiche
lontanissimi da quelli. L'ultima differenza tra nativi e immigranti consiste nella
modificazione a livello celebrale: l'uso costante dei nuovi media produrrebbe una
modificazione strutturale e funzionale del cervello dei ragazzi, comportando modifiche
rilevanti del loro profilo cognitivo ed emotivo. Il neuropsicologo argentino Antonio
Battro, vedendo questa differenza tra generazioni parla di una nuova intelligenza:
l'intelligenza digitale che nasce come prodotto dell'intersezione e della co-evoluzione di
alcune caratteristiche culturali e tecnologiche delle società informazionali sviluppate
contemporanee. Questa intelligenza consisterebbe nell'opzione click, ovvero nella
capacità del soggetto di orientarsi nello spazio fatto da scelte in codice binario. Questa
nuova intelligenza deve soddisfare 8 condizioni chiave: rispondere a prove obiettive,
avere una storia evolutiva, articolarsi in sottodomini, essere codificabile    in un
linguaggio specifico, essere riconoscibile nel suo sviluppo, esistere in caso eccezionale,
interferire o potenziare le altre intelligenze, la misurabilità.
All'ipotesi dei nativi digitali si può parlare di tre livelli: quello della ricerca educativa,
quello della sociologia della conoscenza e infine quello neuroscientifico. Sul piano della
ricerca educativa una discussione critica basata sulle posizioni di Prensky e dei suoi
colleghi è stata fornita da Bennet, Maton e Kervin. Secondo questi studiosi si ha:
1 che una generazione di nativi digitali esiste.
2 che l'educazione deve cambiare radicalmente per venire incontro ai loro bisogni.
Riguardante l'1 vi sono le ipotesi che i nativi abbiano una naturale dimestichezza con le
tecnologie; che i loro stili di apprendimento siano strutturalmente differenti da quelli
delle generazioni precedenti. In realtà diverse ricerche hanno mostrato come buona
percentuale di coloro che dovrebbero essere considerati nativi non si comportano come
tali e che all'accesso alle tecnologie incidono i fattori socio-economici. Il secondo
assunto viene attaccato con una serie di considerazioni. Il multitasking è sempre esistito
e diverse ricerche hanno dimostrato come l'uso di questo può comportare sia una
perdita di concentrazione ma anche un sovraccarico cognitivo. Si parla anche di
differenza anagrafica, come per esempio la memoria a breve termine che aumenta con
l'aumentare dell'età e quindi parlare genericamente di nativi digitali non pare essere
una soluzione adeguata. Infine gli stili di apprendimento non sono qualcosa di statico, lo
stesso soggetto ne può adottare di diversi in relazione col compito che gli si presenta
volta per volta. Per quanto riguarda poi l'idea che l'educazione debba cambiare, Bennet
e i suoi colleghi notano che la ricerca indica almeno due evidenze interessanti: la prima
è che introdurre la tecnologia a scuola non rende quest'ultima di per sé interessante è
motivante. La seconda è che le stesse pratiche che caratterizzano il tempo libero
domestico e digitale non possono essere le stesse a scuola. Se si analizza il costrutto dei
nativi dal punto di vista della sociologia della conoscenza emergere ipotesi del moral
panic. Cohen suggerisce che esso si verifichi quando all'interno di una società vi sono
particolari valori e comportamenti, così che il sistema dei media inizia a farne oggetto di
attenzione tematica garantendone a esso enfasi. Il moral panic quindi è una
caratteristica dei discorsi sociali diffusi dal sistema dei media. In relazione ai nativi ci si
troverebbe di fronte a un moral panic accademico segnato dalla rappresentazione di
un’urgenza inevitabile e dall'adozione di una serie di polarità dialettiche che servono a
semplificare la realtà. Quella dei nativi digitali è una metafora. Più che indicare
insegnanti e genitori come immigranti digitali, li indichiamo come coloni digitali, ovvero
come coloro grazie al cui lavoro i nativi possono oggi usufruire delle tecnologie nella
loro vita di tutti i giorni. Sul versante neuroscientifico invece l'idea di una mutazione
epigenetica è errata, in quanto dalle ricerche neuroscientifiche è emerso che non ci
troviamo di fronte a una generazione diversa dalle precedenti e non ci troviamo di
fronte a una mutazione genetica su base evolutiva. Gary Small ha pubblicato uno studio
sulle competenze di ricerca di informazioni in internet condotto su un campione di
soggetti di età compresa tra 55 e 76 anni, metà dei quali erano esperti nella ricerca a
differenza dell'altra metà. Lo scanner del cervello di questi soggetti ha evidenziato che
le attività celebrale di quelli esperti nella ricerca Era all'incirca doppia di quella degli
altri: in particolare risultavano attivi lobi frontali. Dopo una settimana di training, i
meno esperti di ricerche internet sono stati sottoposti nuovo all'esame. Questo significa
che utilizzare la tecnologia è soltanto frutto di esperienza e di scelte. È vero che nel
cervello dei nativi si possono riscontrare differenze dal punto di vista dell'organizzazione
sinaptica in relazione al fatto che sono più esposti ai media (Gary Marcus). La
proliferazione di neuromitologie dipende dalle possibilità che le neuroscienze hanno
dischiuso alle scienze umane per legittimare i propri discorsi rispetto a quelle discipline
che dà sempre sono abituate a confrontarsi con la sperimentazione. Si parla di scienze
hard e in fondo alla classifica di quelle soft. La durezza di una scienza si basa sulle
difficoltà che comporta il suo studio. Studiare la biochimica della comunicazione
sinaptica, le proprietà dei superconduttori o i movimenti delle zolle tettoniche in
relazione al rischio sismico di una regione è una cosa, altro è occuparsi di educare in
modo integrale la persona, stabilire se c'è maggior qualità relazionale nella formazione
in aula o in modalità e-learning. Le scienze dure sono anche ritenute oggettive: la
velocità di caduta di un grave sulla terra è sempre la stessa; le ragioni per cui un ragazzo
fa fatica a scuola sono la risultante del comportamento di infinite variabili; per cui le
scienze soft sono soggettive. Ancora possiamo dire che le scienze dure hanno
un'impostazione sperimentale, mentre le scienze soft sono caratterizzate da un
approccio interpretativo e da un procedere indiziario: i dati si possono interpretare in
modo diverso. Ancora possiamo dire che mentre le scienze dure trovano nel laboratorio
il proprio spazio naturale di esercizio e qui tendono a ricavare leggi universali; le scienze
soft hanno come spazio naturale il contesto reale della relazione educativa: la famiglia,
la classe, il campo da gioco ecc. Per superare la subordinazione delle scienze soft alle
scienze hard bisogna divenire come queste: nasce così la pedagogia sperimentale che
usa strumenti statistici e campioni di controllo, la psicologia sperimentale che privilegia
un approccio misurato ai fatti mentali, una sociologia quantitativa che ambisce sempre
grazie alla strumentazione statistica a fornire indagini rappresentative sui fenomeni
sociali. Questa però non è la strada corretta da intraprendere; per cui vengono in aiuto
le neuroscienze che rappresentano una via d'uscita da questa condizione. La questione
della memoria, dell'attenzione, delle emozioni e dei sentimenti sono tutti i temi che
interessano la ricerca delle scienze dure ma che allo stesso tempo stanno alla base di
molte delle questioni che la psicologia o la pedagogia studiano. Molto importanti le
tecnologie di brain imaging. Per chi studia i fatti mentali o fenomeni che dipendono da
fatti mentali, il problema principale è sempre stato quello di riuscire a determinarli con
esattezza. La possibilità di fotografare cosa succede nel cervello mentre il soggetto sta
svolgendo una certa attività, offre la straordinaria possibilità di porre in relazione la
performance con l'attivazione di determinate aree cerebrali. La via neuroscientifica
sembra consentire alle scienze umane di sciacquare i panni nell'Arno.

CAPITOLO 2

Per descrivere il cervello bisogna lavorare a un doppio livello: di architettura, tanto sul
piano micro che su quello macroscopico; e di funzionamento; il primo è il risultato della
ricerca anatomica, il secondo degli sviluppi della fisiologia, della biochimica delle cellule
nervose. La materia prima del nostro cervello sono le cellule nervose. Esse si
distinguono in neuroni e cellule gliali; i neuroni sono posti relazione tra di loro da fibre
che prendeno il nome di assoni ed dentriti. Entrambi hanno origine dal corpo cellulare
del neurone: gli assoni si trovano a un'estremità, hanno il compito di veicolare
informazioni verso altre cellule e possono raggiungere una lunghezza di diversi
centimetri; i dendriti, all'altra estremità, formano una struttura ramificata dalla classica
forma ad albero e servono a ricevere i segnali in entrata che provengono da altri
neuroni. A secondo della loro lunghezza, questi concorrono a formare la sostanza grigia,
composta da neuroni e la sostanza bianca, composta da assoni, la cui colorazione
biancastra è determinata dalla mielina. La comunicazione tra singoli neuroni, ovvero la
trasmissione/ricezione dei segnali avviene in un'area di relazione che è composta da tre
elementi: la terminazione presinaptica dell'assone, l'area postsinaptica del dendrite e lo
spazio vuoto tra di esse che prende il nome di fessura sinaptica. L'insieme di questi tre
elementi viene indicato con il nome di sinapsi. Nel cervello vi sono diverse centinaia di
miliardi di neuroni, per cui nello strato corticale c'è circa un milione di miliardi di
connessioni. I neuroni sono dotati di una grande varietà di forme, che sono in relazione
con l'organizzazione che assumono in una determinata area del cervello, si distinguono
in categorie diverse secondo la funzione che sono chiamati a svolgere: neuroni
sensoriali, situati negli organi di senso e deputati a trasmettere informazioni al cervello;
motoneuroni che controllano le cellule nei muscoli delle ghiandole; interneuroni che
gestiscono le relazioni interne e si organizzano in nuclei. Il passaggio di informazione tra
i singoli neuroni è il risultato della propagazione di segnali elettrici, in seguito
denominati potenziali d'azione. Il primo a sostenerlo è stato, alla metà dell'Ottocento, il
fisiologo tedesco Von Helmholtz che ne misurò la velocità in 28 su 30 m/s. Gli studi di
Helmholtz vennero confermati ampliati negli anni successivi da Adrian, il cui nome è
legato a due principali scoperte: il principio del " tutto o niente" in base al quale una
volta raggiunta un'intensità che serve per generare il segnale, esso rimane
tendenzialmente invariato e la consapevolezza che segnali diversi sono da porre in
relazione con le fibre nervose e le parti del cervello connesse con il tipo di attività in
gioco. Julius Bernstein scoprì il processo che porta alla generazione del potenziale
d'azione, questo determinò che la differenza di potenziale tra la superficie interna ed
esterna della membrana che avvolge il neurone e i suoi prolungamenti è pari a 70
millivolt. Questa differenza lasciava supporre che in qualche modo la corrente dovesse
passare attraverso la membrana. L'ipotesi era che a trasportarla fossero gli ioni di cui
sono ricchi tanto il citoplasma che il fluido extracellulare. Egli giunse sperimentalmente
a determinare che erano gli ioni potassio di carica positiva, contenuti nel citoplasma, gli
unici che la membrana lasciasse passare in situazione di riposo attraverso delle
particolari aperture, poi chiamate canali ionici. Uscendo verso l'esterno, gli ioni potassio
lasciano all'interno del citoplasma proteine di carica negativa, che esercitano su di essi
un'azione attrattiva richiamando indietro: si forma così un doppio strato di cariche in
equilibrio il cui potenziale corrisponde a 70 millivolt. Un allievo di Adrian, Alan Hodgkin
completò e corresse il lavoro di Bernstein. Stimolando elettricamente un assone del
calamaro gigante, egli si accorse che il potenziale elettrico della membrana non passava
da 70 a 0 MV ma a +40: questo voleva dire che gli ioni potassio non dovevano essere gli
unici a passare attraverso la membrana durante il potenziale d'azione. Andrew Huxley
ipotizzò l'esistenza di altri canali attraverso i quali il passaggio degli ioni di potassio e di
sodio è regolato dalle differenze di voltaggio dentro e fuori la membrana. Il
funzionamento di questi canali è descritto attraverso le fasi seguenti:
1 neurone a riposo: canali voltaggio-dipendenti chiusi;
2 uno stimolo riduce il potenziale della membrana.
3 il cambiamento del potenziale di membrana produce l'apertura tardiva dei canali di
potassio 4 gli ioni potassio si dirigono verso l'esterno ristabilendo lo stato e di riposo;
5 ora la cellula ha più sodio al suo interno e più potassio al suo esterno; questo
processo si riproduce lungo l'assone, propagandosi fino a raggiungere le sue
terminazioni vicino a quelle di un altro neurone. Questo studio fu molto importante per
l'applicazione della biologia molecolare allo studio del cervello e per l'integrazione della
teoria elettrica della comunicazione intersinaptica con la teoria chimica. Un altro
importante lavoro fu quello di Bernard Katz. Egli scoprì che i canali voltaggio-
dipendenti di Bernestein sono i responsabili della trasmissione delle informazioni
all'interno del neurone. Quando il potenziale d'azione raggiunge il terminale
presinaptico provoca l'apertura di un secondo tipo di canale Ionico che fa fluire gli ioni
calcio all'interno del terminale provocando il rilascio di un neurotrasmettitore, una
sostanza chimica che raggiunge attraverso la fessura sinaptica il neurorecettore e si
trova sulla superficie della membrana del neurone postsinaptico. Il sistema nervoso
centrale è diviso in midollo spinale, contenuto nella colonna vertebrale, riceve e invia
informazioni da e verso il sistema nervoso periferico terminando nel tronco encefalico.
Esso svolge alcune importanti funzioni: trasmette alle regioni superiori del cervello le
informazioni che arrivano dal sistema nervoso periferico, verso di esso veicola i
comandi motori che dalle stesse regioni gli vengono inviati, regola i meccanismi
dell'attenzione. Il tronco encefalico termina nel diencefalo e nei gangli della base: sulla
superficie dorsale del tronco encefalico si trova il cervelletto. L'insieme di queste
strutture sottocorticali si sviluppano prima della corteccia. Il diencefalo è costituito dal
talamo e dall'ipotalamo: il primo riceve ed elabora le informazioni sensoriali relative al
mondo esterno, il secondo presiede al controllo degli stati interni dell'organismo e alla
loro omeostasi
I gangli della base hanno che fare con il movimento è l'azione in generale. L'amigdala
che fa parte del sistema si limbico regola tutto un insieme di funzioni che sono
essenziali alla sopravvivenza dell'individuo: l'alimentazione, la percezione e la risposta
alle situazioni di pericolo, l'accoppiamento. Il cervelletto svolge funzioni più alte in
collaborazione con i lobi frontali. La corteccia è la parte del cervello che si è sviluppata
più tardi e    si suddivide nella paleo-corteccia/archicorteccia,che comprende
l'ippocampo e    la corteccia olfattiva e,    nella neocorteccia, lo strato più superficiale
che ricopre il cervello, attribuendogli la conformazione di gheriglio di noce. La funzione
dell'ippocampo è essenziale in relazione all'apprendimento spaziale, alla memoria
verbale e alla conversione dei ricordi da ricordi a breve termine a ricordi a lungo
termine. La corteccia del cingolo insieme all'amigdala e all'ippocampo costituisce il
sistema limbico, che è coinvolto nella gestione delle emozioni e rappresenta quello che
viene definito paleo-encefalo, che    è in grado di fornire una risposta rapida e pre
cognitiva alle situazioni di pericolo. La neocorteccia è la parte del cervello    più recente;
essa è composta di 6 strati, ciascuno con la propria organizzazione neurale, si divide in
due emisferi, destro e sinistro, ed è formata da 4 lobi: occipitale temporale parietale e
frontale. Ciascuno di questi lobi è da mettere in relazione con un tipo specifico di
informazione: occipitale con l'informazione visiva, il temporale con l'uditiva, il parietale
con le sensazioni tattili, il frontale con i movimenti. L'intera superficie della corteccia è
stata    mappata da Brodmann, che ha riconosciuto 52 aree numerate in modo
progressivo note come "aree di Brodmann". Le prime tappe citoarchitettoniche del
cervello furono elaborate da Gall e dagli autori,che dopo di lui si riconobbero
nell'approccio frenologico. Idea alla base di questo approccio è l'ipotesi della mente
modulare: esiste una corrispondenza precisa tra ogni singola area della corteccia e
determinate attività e funzioni svolte dal cervello. Goldberg parla di una modularità a
priori, ovvero di una rigida e predeterminata attribuzione di funzioni a singole e
specifiche aree. Oggi invece si parla di modularità posteriori o risultante per due
ragioni: in primo luogo le differenze individuali,    i traumi e lesioni subite con la
conseguente realizzazione di alcune aree del cervello, le trasformazioni legate alle
esperienze, alle acquisizioni cognitive sono diverse per ciascuno in secondo; in secondo
luogo lo studio di alcune lesioni cerebrali consente di verificare l'esistenza nel cervello
di un'organizzazione molto diversa da quella modulare secondo la teoria del gradiente
cognitivo. La cognizione è distribuita nella corteccia secondo modalità graduali e
continue e non modulari e compartimentate. Più avanti negli anni novanta del secolo
scorso si è parlato molto di paradigma delle reti neurali.
Secondo Fernand Vidal, la storia della ricerca sul l'io e sul cervello trova nella seconda
metà del secolo scorso il proprio spartiacque concettuale. È in questi anni che inizia a
emergere l'idea della cerebralità, del soggetto celebrale, termini che fanno riferimento
al fatto del cervello che viene riconosciuto come quel che definisce l'essere umano;
sono due gli elementi teorici che stanno alla base di questa idea: 1 la progressiva
affermazione dell'uomo cerebralis, ovvero la trasformazione del cervello, 2 l'emergere
di quello che Pierre Changeaux chiama l'uomo neuronale, ovvero la ridefinizione
dell'identità personale a partire dalle sue basi materiali. Cartesio supera la prospettiva
aristotelica, secondo la quale anima è atto prima del corpo, isola la funzione dell'anima
razionale vedendola nella res cogitans. Nel corso degli anni si lavora per l'individuazione
dell'errore di Cartesio; la separazione cartesiana della res cogitans dal corpo aveva
comportato l'emarginazione della biologia: nella misura in cui corpi sono macchine che
nulla spiegano di quanto è più proprio dell'individuo, ovvero il pensiero e, nella misura
in cui la biologia si occupa dei corpi, essa era destinata a non avere nel programma di
Cartesio una particolare rilevanza. Oggi lo studio della biologia su base evolutiva è
molto importante perché pone le basi per capire il comportamento umano. Prima della
rivoluzione neuroscientifica la storia concettuale dell'idea del Sé aveva vissuto una
lunghissima stagione con Platone, Aristotele per poi arrivare alla modernità con
Cartesio. L'Intero percorso della filosofia cartesiana fino all'idealismo può essere riletto
come il tentativo di risolvere i problemi lasciati aperti dalla distinzione di res cogitans e
res extensa. Nella prospettiva meccanicistica una sostanza agisce sull'altra applicandovi
un urto meccanico: ma quando la sostanza-corpo deve agire sulla res cogitans che non
ha estensione, come si può spiegare questa interazione? Troviamo quindi le filosofie di
Leibniz, Kant,    l'idealismo hegeliano che permangono, affermando come la conoscenza
non è la conoscenza di oggetti ma di idee. Il dualismo di mente e corpo quindi perdura
in due modi: il primo modo è quello del dualismo delle sostanze. Questo è quanto
avviene alla fine dell' 800 con il cosiddetto comportamentismo, ovvero con l'idea che si
ci deve occupare soltanto di ciò che appare    empiricamente osservabile, per cui tutto
ciò che avviene nell'intervallo tra lo stimolo e la risposta    ricade nella Black box, ovvero
non viene considerato. Il secondo modo in cui il dualismo di mente e corpo perdura è
quello del cosiddetto dualismo di proprietà, come fa la metapsicologia di Freud. Questo
dualismo consiste nel ritenere che tanto la mente che il corpo provengono da un'unica
sostanza ma per studiare la mente occorre la psicologia, per studiare il corpo occorrono
la fisica e la biologia. Per superare tutto ciò si ha la nascita della psicologia cognitiva;
con questo nome si indica un programma di ricerca,nato dall'incontro tra psicologia,
informatica, linguistica e filosofia: gli oggetti del mondo appartengono a categorie
prefissate e la mente funziona attraverso quelle che sono rappresentazioni mentali. Le
rappresentazioni mentali non sono altro che idee,immagini, una varietà di linguaggi,
che sono reali e importanti e possono essere studiate dagli scienziati e cambiate dagli
educatori. I fenomeni psicologici quindi vengono reinterpretati alla luce di una nuova
idea del comportamento umano. Il pensiero umano eletto su base funzionale ed
evolutiva da Jean Piaget    è costituito da simboli, con i quali è possibile operare
computazionalmente in base a una sintassi, che è stata interpretata come una vera e
propria grammatica universale grazie alla quale è possibile ordinare le cose del mondo
secondo categorie e costruire descrizioni non ambigue della realtà. Il suffisso neuro è
stato utilizzato con regolarità già a partire dall'VIII    secolo; è tra la fine dell'Ottocento
la prima metà del 900 che diversi autori come Kajal, sono spesso indicati come padri
della neuroscienza. Di fatto,però, il termine compare solo negli anni 60 quando nasce
negli Stati Uniti,nel 1967, la society for neuroscienze sulla scorta della fondazione dell'
International brain research organization da parte dell'Unesco. Il significato del termine
allude a un insieme di discipline: fisica, anatomia, biologia, molecolare genetica che
grazie allo sviluppo di metodologie d'avanguardia ha potuto garantire un progresso
straordinario alla conoscenza strutturale e funzionale del cervello, grazie anche alla
scoperta dei dispositivi biochimici che stanno alla base di molti processi mentali.
Interesse principale di questo programma    neuroscientifico è lo studio clinico delle
disfunzioni cerebrali, al fine di mettere in luce nuovi trattamenti efficaci contro di esse.
Studiare la memoria può essere utile per la cura dell'alzheimer; studiare come
funzionano alcuni neurotrasmettitori può essere utile per la cura della depressione.
L'ascesa delle neuroscienze ha comportato la caduta della tradizionale distinzione tra
disturbo organico e disturbo di personalità e, lo sviluppo di nuove sotto specialità
cliniche, la nascita di tutta una serie di nuove scienze di sintesi come la neuroeconomia,
la neuroetica, la neuro estetica. Con le neuroscienze troviamo quindi l'interesse alla
biologia : le nostre menti non sarebbero quello che sono se non fosse per l'azione
reciproca di corpo e cervello nel corso dell'evoluzione. Le neuroscienze si basano sui
seguenti enunciati: 1 il cervello umano e il resto del corpo costituiscono un organismo
non dissociabile; 2 l'organismo interagisce con l'ambiente con un insieme; ,3 i processi
fisiologici che noi chiamiamo mente derivano dall' insieme e strutturale e funzionale.
Nell'ambito delle neuroscienze un'attenzione centrale è riservata a come il nostro
cervello ci abiliti a pensare; questo fanno le neuroscienze cognitive soprattutto
nell'ambito dell'istruzione. Emergono tre problemi relativi a questa questione: La prima
è relativa alla denominazione di quest'area di ricerca con i connessi problemi di
orientamento e di traduzione del concetto; la seconda riguarda l'epistemologia; una
terza questione è relativa al tipo di problemi cui quest'area di ricerca è interessata. Per
quanto riguarda l'ambito delle denominazioni troviamo il rapporto tra le neuroscienze e
il mondo dell'educazione definito come educational neuroscience:
neuroeducation,brain-based education,neuropedagogy; mind,brain and education. Se
parlo di neuroeducation o di neuropedagogy intendo sottolineare che il suffisso neuro
entra a tutti gli effetti a costituire il campo di indagine a cui si fa riferimento: stiamo
parlando di una nuova scienza all'interno di cui gli oggetti e i metodi della ricerca
educativa vengono ripensati grazie agli apporti provenienti dalle neuroscienze. Con
l'espressione invece Mind, brain and education si mantengono distanti gli ambiti e si
intende delineare uno spazio transdisciplinare di indagine di cui il didattico, le scienze
cognitive e le neuroscienze sono i componenti principali. Se invece parlo di educational
neuroscience o brain-based education mi occupo di come la ricerca sul cervello possa in
qualche modo essere utile per la risoluzione dei problemi dell'insegnamento e
dell'apprendimento. Un problema molto importante è quello della traduzione; nella
lingua inglese, il termine education non copre la stessa area semantica dell'italiano
'educazione" : esso fa riferimento ai contesti dell'educazione formale: scuola, università
e non agli spazi dell'educare: famiglia, informale,sociale che invece in italiano
educazione copre. Quindi è sbagliato tradurre neuroeducation con neuroeducazione.
Oggi si parla semplicemente non di una nuova scienza ma di come le neuroscienze
abbiano suggerito alla ricerca elementi utili alle pratiche didattiche. Nell'espressione
mind,brain and education troviamo tre componenti:
1 psicologia-mind, ovvero lo studio dei processi mentali che stanno alla base della
condizione e del comportamento;
2 didattica-education intesa come la scienza che studia l'insegnamento delle sue
diverse componenti
3 neuroscienza-neuroscience, ovvero lo studio del cervello e dal punto di vista della sua
evoluzione, della sua struttura. Ciò ha portato a delle critiche soprattutto da parte degli
psicologi che hanno visto le tre aree asimmetriche: mentre quelle della psicologia e
delle neuroscienze sono caratterizzate da protocolli di ricerca e osservazioni e deduzioni
su base scientifica, quella della didattica poggia spesso su informazioni aneddotiche,
osservazioni spontanee.Breuer vede come la ricerca neuroscientifica possa aiutarci a
raffinare i nostri modelli cognitivi mediante interazioni ricorsive tra studi
comportamentali neuropsicologi e di neuroscienza cognitiva. Oggi si parla di sintesi tra
campo di ricerca e di intervento transdisciplinare che, grazie al concorso di diverse
discipline e tecnologie delinea un nuovo mindset per la didattica;    questo mindset è
costituito da: 2 domande chiave: ci sono scoperte relative al funzionamento del cervello
che possono essere applicate alla didattica? Due comprendere come funziona il cervello
dei nostri studenti ci può aiutare nel nostro lavoro di classe?
2 alcune idee-guida: uno-la possibilità di descrivere l'apprendimento con una serie di
adattamenti mediati socio culturalmente dalle strutture celebrali con conseguenze
funzionali. 2 l'importanza dell'interazione tra emozione contesto e contenuto di
conoscenza; 3 la funzione dei lobi frontali in relazione ai processi esecutivi, sia sul
versante dell'apprendimento che su quello del controllo sociale
3 due prospettive di ricerca e di intervento. La prima consiste nella ricerca
neurodidattica, ovvero la congiunzione tra neuroscienziati e studiosi di didattica per la
soluzione di problemi di ricerca che non riguardano il cervello, la seconda prospettiva
consiste nell'uso dei risultati della ricerca neuroscientifica per la didattica, in modo
particolare riguardo al nostro modo di pensare la conoscenza e l'apprendimento. In
merito a ciò si hanno gli atteggiamenti, da un lato prevale un atteggiamento di
neuroscetticismo e l'altro è un atteggiamento di neuroottimismo: esso è fatto proprio
da neuroscienziati che poco nulla sanno di apprendimento e insegnamento, ritengono
che la conoscenza nel cervello sia l'unica soluzione efficace per i problemi
dell'insegnamento e pretendono di ricavare dal proprio lavoro leggi e indicazioni per il
lavoro a scuola. Per quanto riguarda i temi di cui si occupa la neurodidattica, questi
sono molteplici: la ricerca neuroscientifica può garantire alla didattica speciale
approcci,per esempio, legati a disturbi dello sviluppo o    disturbi specifici
dell'apprendimento e apporti anche alla didattica generale e disciplinare. Vi sono 4 aree
di ricerca e di intervento fondamentali: una prima area è relativa allo studio
dell'apprendimento e dei suoi Fattori: incidenza dell'attenzione, organizzazione e
facilitazione del processo di memoria, incidenza dello stress o della componente
emotiva sulla costruzione degli apprendimenti. Una seconda area riguarda l'ambiente di
apprendimento: organizzazione del setting, lo star bene in classe e il contesto sociale in
cui ragazzi normalmente vivono: relazione tra contesto familiare e apprendimento e il
peso delle sostanze sulle performance cognitive, la funzione del sonno rispetto
all'attività cognitiva. Una terza area è relativa al curricolo: questioni relative
all'apprendimento di singole discipline, temi più Generali inerenti alla progettazione.
Un'ultima area riguarda l'organizzazione scolastica: problema di come assemblare le
classi, co-educazione, classi separate, organizzazione dell'orario scolastico.
CAPITOLO 3
Il problema della conoscenza è al centro dell'attenzione della filosofia da secoli. Arthur
Danto suggerisce che alla base delle diverse teorie che a scopo di spiegazione sono
state portate a riguardo si può trovare quello che egli definisce un "episodio cognitivo
elementare": un soggetto, una rappresentazione, un mondo. Le tre relazioni che, a due
a due, è possibile istituire tra questi elementi, corrispondono alle questioni più
dibattute della storia del pensiero: il principio di causalità (soggetto mondo), il
problema della verità (rappresentazione mondo), il problema della coscienza (soggetto
rappresentazione). Essi sono profondamente legati: dalla soluzione di una questione
dipende la soluzione delle altre. Per esempio, la rappresentazione è proprio uno dei
fenomeni che conducono a discutere sulla relazione di causa ed effetto. In un senso è
sempre stato problematico spiegare come qualcosa dotato di materia, come i corpi,
possa lasciare tracce su qualcos'altro che, come la mente, si è sempre immaginato
come privo di materia e di estensione. Nell'altro senso quando ci rappresentiamo due
corpi come se vi fosse tra loro una relazione di causa-effetto, quella relazione esiste in
rebus o è solo il risultato di una nostra credenza. Per quanto riguarda il problema della
verità, questo sta alla base della filosofia presocratica. La contrapposizione tra il
divenire eracliteo e l'essere degli eleati, non rivela due punti di vista diversi riguardo alla
natura delle cose, piuttosto il profilarsi di una dialettica destinata a ripetersi nella storia
del pensiero: le cose stanno come i nostri sensi ce le mostrano o come noi le pensiamo?
Di fronte all'esperienza della costante mutevolezza di tutte le cose, teniamo Fede a
quello che vediamo oppure a quanto la logica ci suggerisce?. Qui rientra il
suggerimento di Parmenide, in quanto lui afferma che la via dei sensi attesta che tutte
le cose si trasformano, nascono e muoiono, diventano qualcosa di diverso da quel che
erano poco prima; la via della ragione dimostra invece il contrario, ovvero che se
veramente tutte le cose si trasformassero, riconosceremmo che la stessa cosa che in un
determinato momento è, un istante dopo non sarebbe più. Per dirla con le categorie di
Danto: il mondo è così come noi ce lo rappresentiamo, o la rappresentazione che ne
abbiamo non corrisponde a esso? Conoscere è rispecchiare in qualche modo le cose
come stanno o costruire la realtà delle cose senza sapere?. Il realismo da Aristotele a
Platone filtra nel pensiero medievale, nutre la dottrina tomistica che la conoscenza sia
corrispondenza della cosa e del pensiero, ritorna in età moderna nel sensismo
materialista da Hobbes a Kant e, viene ripreso dai neoplatonici di Cambridge, agli inizi
del Novecento. Il costruttivismo rappresenta l'asse portante della filosofia moderna da
Cartesio a Hegel. Il cogito cartesiano separa il pensiero della realtà: l'oggetto del nostro
pensiero non sono le cose ma le nostre idee delle cose. Le soluzioni che a questo
problema sono state date sono sostanzialmente tre: il fenomenismo-Locke e Kant- che
presuppone l'esistenza delle cose ma ritiene che non possano essere conosciute come
Esse sono in sé; l'idealismo in Hegel che risolve l'esistenza delle cose nel fatto stesso di
pensarle; il costruttivismo radicale che comprende la realtà come il risultato delle
interpretazioni. Un'altra questione molto importante è quella del rapporto tra le
rappresentazioni e la coscienza. Da Platone in avanti e poi, a partire da Cartesio, nelle
teorie dell'idea della modernità, il processo della conoscenza è stato spiegato attraverso
il ricorso a una molteplicità di facoltà, funzioni, meccanismi: si pensa l'astrazione
aristotelica alla filosofia scolastica, alle leggi di associazione delle idee Locke. Da
Nietzsche a Freud in avanti, invece, la categoria di soggetto vive la propria crisi e
l'opzione che prende corpo è che l'io non sia altro che il risultato delle proprie funzioni.
È problematico anche il rapporto con il mondo, qui si parla di Korper e Leib. Il problema
della causalità a che fare con il corpo in un duplice senso. Cris Frith vede la verità, la
coscienza, la casualità in campo neuroscientifico: come fa il nostro cervello a scoprire
quello che c'è fuori nel mondo? A cosa serve la coscienza? Il cervello è parte del corpo.

Molto importante è la cosiddetta teoria della selezione dei gruppi neuronici di Gerald
Edelman, basata su tre principi che secondo questo regolano il funzionamento neurale.
Il primo principio riguarda la selezione in fase di sviluppo, ovvero le trasformazioni
anatomiche che nel cervello intervengono nella fase del suo sviluppo e che sono legate
a cause che con questo sviluppo hanno a che fare. Il risultato di questa fase è la
formazione del repertorio primario, una popolazione variabile di gruppi di neuroni in
una data regione del cervello. Il secondo principio riguarda la selezione esperienziale,
ovvero le trasformazioni funzionali che il cervello subisce in virtù del fatto che i suoi
comportamenti producono grazie dei meccanismi biochimici il rafforzamento o
l'indebolimento delle relazioni sinaptiche. Il risultato è la formazione del repertorio
secondario, ovvero un insieme di sinapsi attive che funzionano come un circuito. Il terzo
principio riguarda il rientro, il processo di segnalazione e spiega come interagiscono tra
loro le mappe celebrali formatesi attraverso due meccanismi di selezione. I due processi
di selezione intervengono su gruppi di neuroni, ovvero su insiemi di cellule adiacenti
collegate tra di loro e con cellule appartenenti ad altri gruppi. Tutto ciò produce una
mappa; ogni mappa è specializzata ed è distinta dalle altre. Il segnale del rientro
avviene lungo queste connessioni e comporta che quando un gruppone neuronico di
una certa mappa viene stimolato, attraverso il rientro, viene selezionato anche qualche
altro gruppo neuronico di altre mappe. Quando i segnali provengono dal mondo
esterno, la connessione tra le mappe avviene su base topografica. l'Associazione dei
segnali che provengono da un insieme di mappe connesse tra loro è la categorizzazione
percettiva. Essa è possibile dalla creazione di una mappa globale, la cui funzione è
quella di porre in relazione i processi di selezione che avvengono nelle diverse mappe a
seguito di segnali sensoriali con singole parti del cervello dotate di funzioni specifiche. È
chiaro che il cervello si comporta in maniera ben diversa da come si comporterebbe un
calcolatore, in quanto è un sistema complesso che può modificarsi nel tempo.
Damasio invece dimostra come siano importanti le emozioni e i sentimenti nella vita
cognitiva dell'individuo e spiega quello che accade quando nell'orientarci per una
risposta piuttosto che per un'altra siamo guidati da quello che chiamiamo il nostro
intuito. Lui parla di marcatore somatico e spiega come la valutazione emotiva è parte
integrante dell'analisi cognitiva del problema. I marcatori somatici sono esempi speciali
di sentimenti generati a partire dalle emozioni secondarie. Cosa sono le emozioni?
L'emozione è l'insieme dei cambiamenti dello stato corporeo che sono originati in
miriadi di organi dai terminali delle cellule nervose, sotto il controllo di un apposito
sistema del cervello che risponde al contenuto dei pensieri. Queste si suddividono in
primarie e secondarie; le primarie sono innate e legate al sistema limbico, le emozioni
secondarie sono invece acquisite e comportano il coinvolgimento della corteccia
frontale e della delle cortecce somatosensitive. La consapevolezza da parte del soggetto
dei cambiamenti organici che costituiscono la sua risposta emotiva è il sentimento. Le
nostre esperienze sono accompagnate da sensazioni piacevoli o spiacevoli che si
possono definire stati somatici. Questi stati somatici emergono in corrispondenza di
determinate immagini mentali che marcano in qualche modo queste immagini e
vengono appunto definiti marcatori somatici. Alcuni di questi marcatori sono innati,
ovvero dipendono da emozioni primarie, ma la maggior parte di essi si generano del
nostro cervello in relazione con le emozioni secondarie e sono il risultato del
bilanciamento delle nostre preferenze interne con un insieme di fattori esterni che
comprendono eventi che ci possono accadere, norme etiche e valori. I fattori interni
influiscono sulla generazione dei marcatori attraverso piacere e dispiacere, quelli
esterni attraverso ricompensa e punizione. Il marcatore somatico è, quindi, lo stato
somatico che, accompagnando sulla base dell'esperienza pregressa il presentarsi reale
di una situazione, ci aiuta a fare previsioni su cosa ne potrebbe derivare comportandoci
di conseguenza. La previsione e la conseguente scelta di un comportamento possono
avvenire a livello conscio o inconscio. Nel primo caso, la nostra scelta sará guidata dal
sentimento; nel secondo caso invece anche se siamo tendenti a una risposta positiva si
attivano al livello dei nuclei neurotrasmettitori che mandano risposte negative. Luogo in
cui le esperienze vengono archiviate, marcate attraverso l'associazione di emozioni
positive e negative, sono utilizzate per ricavarne inferenze previsionali sulla base di cui
orientarmi del mio comportamento. Damasio arriva quindi ha una duplice conclusione.
Da una parte individua nei marcatori somatici, un sistema per assegnare dei valori alle
rappresentazioni che sono depositate dall'esperienza del nostro cervello; in secondo
luogo i marcatori costituiscono quel dispositivo che sta alla base dei due processi chiave
della conoscenza: attenzione di base che fa persistere un'immagine mentale mentre le
altre tutt'intorno si indeboliscono e, la memoria operativa di base che trattiene le
immagini così separate per un tempo prolungato.
La nostra esperienza ordinaria dell'attenzione fa riferimento alla capacità di
concentrarsi su qualcosa e spesso confonde la capacità di concentrazione con lo stato di
allerta e di attivazione. Quando l'insegnante richiama un alunno con il "stai attento" o
quando chiede alla classe di tenere in considerazione un passaggio, un punto critico di
una consegna dicendo "attenzione alla terza riga della versione", non sta facendo
appello alla loro capacità di attenzione ma alla qualità del loro stato di veglia e di
allerta. L'attenzione è differente dallo stato di allerta, in quanto l'attivazione della
mente rispetto all'attenzione presenta due caratteristiche distintive: 1 influisce sul
comportamento indirizzandolo; 2 incide sulla capacità del soggetto di reagire agli altri
stimoli provenienti dall'ambiente. Da un punto di vista concettuale l'attenzione si può
spiegare sulla base di due famiglie di teorie: le teorie selettive e le teorie motorie. Per
quanto riguarda le teorie selettive l'attenzione è il risultato di un processo attraverso il
quale i segnali in entrata sono filtrati e separati dal nostro sistema percettivo. Questo
processo è mediato dalla funzione di modulazione della serotonina e della dopamina
che trasportano il segnale attenzionale: quando questo viene attivato
involontariamente, sono i neuroni sensoriali che sollecitano le cellule che producono
serotonina; quando l'attenzione viene consapevolmente pilotata dalla corteccia, allora
sono i neuroni della corteccia ad attivare le cellule che rilasciano dopamina. La
dopamina viene prodotta dalle cellule del mesencefalo. Nel caso delle teorie motorie
l'attenzione non è risultato di una selezione, quanto piuttosto della riorganizzazione
sistemica di una mappa generale. Quando un elemento interno o esterno interviene a
modificare il disegno della mappa globale, le sue diverse parti si riorganizzano:
l'attenzione sarebbe legata a queste variazioni. Ancora William James parla di
attenzione involontaria che è sostenuta da meccanismi neurali automatici ed è prodotta
da uno stimolo esterno; l'attenzione volontaria consiste nell'attribuire a stimoli esterni
che di per sé non avrebbero salienza, un valore che ha relazione con ciò cui si intende
prestare attenzione. Per quanto riguarda la memoria, gli studi su questa risalgono al
lavoro di Hermann Ebbinghaus, alla fine del 1800. Questo propose delle situazioni
sperimentali in cui chiedeva a sè stesso di memorizzare liste di parole senza senso per
verificare come si comportasse rispetto alla fase di apprendimento e di ricordo. Così
fissò due principi: 1 la memoria si consolida attraverso le ripetizioni; 2 la curva della
dimenticanza decresce più velocemente subito dopo il momento dell'apprendimento.
Dopo questi studi James fissò la distinzione tra abitudine e memoria: La prima è
un'azione meccanica riflessa a breve termine, la seconda, lungo termine, consiste nel
richiamare dopo un certo tempo qualcosa che è già stato fissato nella memoria
primaria. William Mcdougall propone la distinzione tra memoria primaria e secondaria.
Si parla di memoria con o senza registrazione, implicita ed esplicita, dichiarativa e non
dichiarativa o procedurale. Kandel lavora per decenni su una lumaca, l'Aplysia, con la
quale riesce a scoprire come effettivamente la memoria a breve termine e a lungo
termine sono il risultato di processi diversi: funzionale il primo, anatomico, il secondo.
Mentre la memoria a breve termine dipende dal rafforzamento di una relazione
sinaptica, la memoria a lungo termine è da porre in relazione con la plasticità del
cervello. Kandel si mette a studiare l'apprendimento semplice nella Aplysia, lavorando
sulla sinapsi che lega il neurone sensoriale, che trasmette lungo il sifone l'informazione
relativa alla scossa che viene applicata alla sua coda e, il motoneurone che registra
queste informazioni e produce una retrazione della branchia. Con questi due
esperimenti Kandel si accorse di due cose: innanzitutto il rilascio di glutammato era
maggiore in fase di sensibile sensibilizzazione.
A fronte di una scossa molto breve il rilascio di glutammato risultava potenziato per
diversi motivi; si accorse che lo stimolo sulla coda non attiva soltanto il neurone
sensoriale, che trasmetteva il segnale lungo il sifone della lumaca, ma anche un altro
tipo di neuroni sensoriali, questi vennero chiamati modulatori. Questi agiscono
sull'architettura neuronale e per di più sulla memoria a breve termine. La formazione
della memoria a lungo termine richiede la sintesi di nuove proteine e quindi chiama in
gioco i geni: nell' RNA messaggero del tipo particolare di proteine, che sono i regolatori
della trascrizione, svolgono una funzione molto importante per la memoria a lungo
termine. Il risultato di queste scoperte e doppio: da un lato vediamo che i geni
rispondono anche alle stimolazioni ambientali, una delle quali e l'apprendimento; in
secondo luogo sulla nostra capacità di ricordare agisce un vincolo biologico: solo poche
delle nostre conoscenze affidate alla memoria a breve termine potranno essere
codificate tra quelle a lungo termine. Nel caso dell'apprendimento invece troviamo due
correnti: la corrente innatista e la corrente esperienziale. Nel primo caso,
l'apprendimento non sarebbe altro che un qualcosa presente nella nostra mente:
questa idea prende la forma della reminiscenza in Platone o dell'anticipazione nella
logica stoica; più in generale si fa riferimento a Cartesio e Leibniz e in un certo senso
anche Kant, per quanto riguarda il carattere innato delle forme pure a priori. Parlando
invece di corrente esperienziale qui si ricorre ad Aristotele, il quale ritiene che
apprende facendo estrazione da ciò che i sensi mostrano. Durante l'età moderna
riconosce il ruolo dell'esperienza dell'apprendimento anche l'empirismo, ovvero autori
come Locke e Hume e con loro, tutti quegli autori che si rifanno all'idealismo. La storia
scientifica della ricerca sull'apprendimento deve molto al lavoro di Pavlov e Tornihdike
sul cosiddetto apprendimento associativo. Abituando i suoi cani a porre in relazione un
determinato stimolo arbitrario con un evento piacevole o sgradevole Pavlov scopre il
meccanismo generale che regola l'apprendimento degli esseri viventi. Allo stesso modo
il suo collega studiando le strategie, attraverso le quali i suoi gatti riuscivano a uscire dai
puzzle box riuscí a capire il meccanismo dell'apprendimento. Ciò che accomuna
l'esperienza di Pavlov e di Tornihdike è che, elaborando le loro esperienze, questi
animali imparano a prevedere il futuro e a comportarsi di conseguenza. Frith, invece,
fornisce una giustificazione sul piano neurologico. Egli la stava a cercare nell'attività di
un particolare tipo di neuroni, noti come cellule di ricompensa, che sono attivi nei
gangli della base, la cui funzione è quella di rilasciare nell'organismo dopamina. Altre
ricerche importanti sono quelle di Schultz, con le scimmie, le quali apprendono che a
distanza di circa mezzo secondo dalla comparsa di un lampo di luce vengono
ricompensate con del succo di frutta. All'inizio i neuroni producono dopamina subito
dopo l'assunzione del succo di frutta, tuttavia man mano che l'esperienza viene
ripetuta, si ha la produzione di dopamina dopo la comparsa del segnale luminoso,
molto prima dell'assunzione del succo di frutta; questo significa che i neuroni non
ratificano la ricompensa ma appunto la anticipano. Infine viene presentato il segnale
luminoso senza mettere a disposizione il succo di frutta: in questo caso la produzione di
dopamina diminuisce esattamente nel momento in cui succo di frutta sarebbe dovuto
arrivare. Qual è la conclusione di tutte queste ricerche? È il fatto che esiste una mappa
di valori che sono il risultato delle nostre esperienze, dei nostri errori, delle correzioni
che sulla base di questi errori abbiamo apportato alle nostre previsioni sul mondo.
Conoscere è prevedere, ovvero imparare ad attendersi cosa ci si potrà presentare sulla
base del modello della realtà che ci siamo formati a partire dalle strutture a priori,
risultato dell'evoluzione e delle precedenti esperienze che abbiamo avuto. La
previsione e la categorizzazione non sarebbero possibili se non con la funzione
dell'attenzione, la capacità del cervello di privilegiare segnali elettrici relativi a una
determinata esperienza e con la funzione della memoria, che porta dalla memoria di
lavoro a breve termine a quella di immagazzinamento a lungo termine. Per quanto
riguarda la didattica troviamo alcune riflessioni:
1) una delle obiezioni più frequenti che i nuovi orientamenti della didattica muovono
all'istruzione tradizionale è legata al ruolo della ripetizione. Da prima questo ruolo era
all'opera dell'apprendimento degli elementi grafici funzionali all'acquisizione della
scrittura e nella funzione riconosciuta alla memorizzazione dei fondamenti o delle
regole del calcolo, tabelline quattro operazioni, piuttosto che di poesie, canti della
tradizione popolare, eccetera. La critica che viene fatta alla ripetizione è il fatto che
questa sarebbe poco motivante per l'allievo in quanto risulterebbe decontestualizzata.
In secondo luogo si ha la critica alla ripetizione, in quanto questa viene considerata
superflua, in virtù del fatto che le nuove tecnologie didattiche mettono a disposizione
dello studente, memorie elettroniche ben più efficaci e potenti. Nel concetto, però, di
mandare a memoria qualcosa ci si accorge che la memorizzazione consiste nel ripetere
un concetto, una frase, una pagina fino a quando non la si sarà fissata nella nostra
mente. Molto importante per questo processo è la liberazione di serotonina e il ruolo
che essa svolge sia nella genesi della memoria a breve termine che a lungo termine. Per
rinforzare determinate relazioni sinaptiche è necessario ripetere gli stimoli che le
tengono attive.
2 si ha il problema della scelta tra curricolo lineare e a spirale e il problema degli
apprendimenti significativi. Il problema del curricolo rappresenta una vexata quaestio
della ricerca didattica, ovvero l'insieme delle strumentazioni e metodologie necessarie
per rendere praticamente attuabile un determinato percorso didattico, i contenuti,
strategie didattiche, gli obiettivi, gli stadi di apprendimento. Questo processo acquista
rilievo negli anni 60 e 70. Oggi l'obiezione principale riguarda la rigidità del curricolo;
figlio di una logica di programmazione top down, Esso non è in grado di spiegare come
la didattica si possa adattare ai livelli di apprendimento dei singoli studenti. Oggi però
poiché si parla di carattere personalizzato degli apprendimenti del curricolo non si può
fare a meno, in quanto quando viene in gioco la formazione dei soggetti, questa la si
descrive insieme a un itinerario educativo che può essere a curricolo lineare e a spirale.
Nel primo caso si tratta di disporli longitudinalmente rispetto ai diversi gradi di scolarità,
nell'altro caso si prevede un ciclico ritorno sempre sugli stessi argomenti. L' Idea che la
ripetizione rinforzi le relazioni sinaptiche suggerisce che il curricolo a spirale offre
migliori opportunità. Esso consente all'insegnante di tornare sempre sullo stesso
concetto o su concetti simili in momenti diversi del percorso scolare guadagnandone
una comprensione sempre maggiore. Il curricolo a spirale però toglie spazio alla
possibilità di introdurre nuovi argomenti. Ma poiché l'apprendimento vuole essere
significativo, essa comporta il sacrificio di molti contenuti; questo lo ha detto Gadner
proponendo di costruire un intero curricolo su tre stessi argomenti: la Shoah, la teoria
dell'evoluzione e il flauto magico di Mozart.
3 la formazione delle mappe globali e la loro modificazione sulla base dei nuovi stimoli
che l'esperienza volta in volta ci propone, sono processi che avvengono nella vita di
tutti i giorni senza alcun bisogno della presenza di un insegnante; questo sia anche
grazie alla diffusione dei nuovi media con i quali soprattutto i giovani si relazionano
quotidianamente. La ricerca neuroscientifica indica che il feedback è di grande
importanza: è attraverso di esso che si rafforza l'associazione tra una certa esperienza e
una certa organizzazione sinaptica. Questo inoltre può essere pensato come un
elemento interno al meccanismo di autoregolazione che l'individuo costituisce insieme
all'ambiente che lo circonda. Quindi se il soggetto è capace di autoregolazione e se la
retrazione gli è sufficiente a strutturare e ristrutturare i suoi apprendimenti, allora non
vi è veramente bisogno della scuola. Questo sistema però potrebbe essere turbato per
svariate ragioni. Per esempio una lesione in una determinata area del cervello,
potrebbe determinare una cattiva trasmissione delle informazioni su cui ci basiamo per
elaborare l'immagine del mondo esterno; sia anche l'influenza di sostanze sui nostri
neurotrasmettitori che possono produrre stati allucinatori, eccetera. Vediamo che in
questi casi, ma anche in casi più semplici che noi veniamo influenzati da stimoli di cui
non abbiamo consapevolezza, per cui la mediazione didattica dell'insegnante va
riaffermata nella sua centralità. Si parla di individuazione del problema di
apprendimento degli allievi con percorsi differenziati ma ciò presuppone un rapporto
uno a uno insegnante- allievo che è sempre più difficile immaginare in un contesto in
cui le classi tenderanno ad essere sempre più numerose. Parlando di ripetizioni e in
termini valutativi del recupero dei debiti scolastici si ricorda dei corsi di recupero.
Questi corsi però se non sono efficaci si trasformano in lezioni private. In questo caso si
ha un rapporto uno a uno, che fornisce una risposta ai problemi per singolo studente.
4 come ultima considerazione possiamo dire che non vi sono due cervelli, uno uguale
all'altro sia per ragioni genetiche, sia per la morfologia della cellula, sia per la selezione
in fase di sviluppo di cui parla Edelman, che ragioni funzionali ma anche per la plasticità
del cervello- ciò ci dice che non è possibile avere un clone di noi stessi, per cui un
determinato    input può avere differenti effetti e funzionamenti neuronali ma ciò non
significa che gli studenti non possono avere la stessa risposta comportamentale. Il
problema piuttosto è un altro e cioè che non è detto che la stessa risposta
comportamentale a un determinato stimolo si possa immaginare come propria
dell'assetto cerebrale di individui con stessa età.

CAPITOLO 4

Due dimensioni importanti della nostra attività neurale sono: il cervello visivo e il
cervello motorio. La visione ha sempre avuto nella cultura occidentale un ruolo
privilegiato. Elevata dai Greci al rango di modalità specifica del sapere e
dell'appropriazione della verità, questa visione continua lungo tutta la tradizione
medievale per poi diventare nella modernità il criterio di articolazione del rapporto tra
la res cogitans e la res extensa e il principio di organizzazione dell'esperienza del
mondo. Per secoli educare ha voluto dire insegnare a vedere, sia nel senso
dell'imparare ad articolare il proprio sguardo su sè stessi, sia nel senso etico del
comprendere come guardare secondo virtù. La formazione e lo sviluppo dell'uomo
visivo in Occidente ha prodotto la progressiva separazione tra lo sguardo e l'azione; ciò
ha portato alla distinzione di teoria e pratica e alla distinzione tra istruzione liceale e
formazione tecnico professionale. Il fare e il vedere costruiscono due verbi di primaria
importanza per la scuola e la formazione. Il vedere aiuta la comprensione, identifica
nell'esempio e nell'imitazione due categorie fondamentali per l'apprendimento. Allo
stesso modo il fare rappresenta uno spazio importante per l'apprendimento: è chiaro
fin da prima della comparsa della scrittura e poi nella trasmissione delle Arti che a
bottega proprio attraverso il fare avviene ma poi viene anche tematizzato nell'ambito
dell'attivismo da Dewey e dalla sua scuola. Il compito del cervello visivo consiste nel
rappresentare le caratteristiche costanti, durevoli, essenziali e stabili di oggetti,
superfici, volti, situazioni che ci permettono di acquisire conoscenza. Si tratta come dice
Zeki della stessa funzione dell'arte, ben espressa da Williams quando riconosce che
essa si propone di afferrare l'eterno in un gioco disperatamente fugace. Questa stessa
funzione viene svolta dalla filosofia e della scienza. Il fattore comune di filosofia, scienza
e Arte consiste nel descrivere un piano e nel popolarlo di strutture: il piano è un sistema
di corrispondenze, uno sfondo organico di spiegazione; le strutture che lo popolano
sono il contorno, la configurazione di un evento che sta per avvenire. Potremmo,
quindi, dire per l'arte, che funziona esattamente al contrario rispetto a quanto Platone
credeva. Per questo, nella sua natura di mimesi delle cose, l'arte risultava essere due
volte lontano dalla verità: nella misura in cui le cose già sono copie dei loro modelli
ideali iperuranici, copiando le cose si producono solo simulacri di quelle. Nel caso del
cervello visivo le cose stanno diversamente. Esso cerca di fissare delle costanti, l'arte ne
costituisce un aiuto favorendone il lavoro: se già l'immagine fissa le costanti del
paesaggio percettivo, il cervello a cui l'immagine si rapporta si troverà a lavorare su uno
scenario semplificato trovandosi facilitato nel proprio lavoro. Vediamo ora un po' le basi
neurofisiologiche della visione, grazie agli studi di elettrofisiologia e all'apporto delle
tecniche di neuroimaging. La teoria classica della visione è nota come visione tramite
l'occhio. Essa si basa sulle ricerche del neurologo svedese Henschen e poggia su 3 idee.
La prima idea è quella della localizzazione della visione in una porzione specifica della
corteccia celebrale. Questa zona oggi è nota come corteccia visiva primaria ed è
indicata come V1, si trova nella zona occipitale di entrambe gli emisferi. Attorno ad esse
la ricerca ha individuato una serie di altre aree, ciascuno specializzato nell'elaborazione
di aspetti specifici, che i neurologi definivano genericamente corteccia associativa. Un
secondo risultato delle ricerche è la convinzione che in V1 sia contenuta una mappa
Fedele di tutto ciò che sulla retina viene proiettata, con il risultato di pensare V1 come
una sorta di fotografia di fotografia: la realtà osservata si proietterebbe sulla retina e
l'immagine sulla retina si proietterebbe a sua volta in V1. Oggi sappiamo che questo è
solo parzialmente vero: V1 non contiene una mappa fedele dell'immagine retinica, ma
un'immagine in cui quel che risulta dalla parte centrale della retina è riconosciuto di
un'importanza maggiore rispetto a quello che occupa la porzione periferica. La terza
idea è la corrispondenza diretta tra un danno in V1 e la cecità; questo ho portato a tre
conseguenze importanti: La prima è l'interpretazione del processo della visione come
un processo di registrazione corticale passiva: il cervello riceve passivamente e fissa
l'immagine che l'occhio ha già impresso sulla retina. La seconda è la separazione di due
momenti operati da zone differenti della corteccia: la corteccia visiva vede, la corteccia
associativa comprende quello che V1 aveva visto. L'attuale teoria della visione mette in
discussione tutte e tre queste conseguenze: il nervo ottico conduce i segnali visivi in V1
che svolge una funzione di centrale di smistamento degli stessi servendosi della
trasmissione di V2. Tutte le altre aree sono deputate al processamento di singoli aspetti
del segnale visivo: il colore, la forma, il movimento eccetera. Questo è dovuto al fatto
che i singoli neuroni hanno sviluppato una sensibilità selettiva per un determinato
aspetto dello stimolo visivo e non per altri. L'organizzazione di queste cellule è
modulare; sono organizzate in nodi composti da sottosistemi di cellule specializzate in
V1, da strisce sottili di cellula anche specializzata in V2, dalle cellule di una determinata
area specializzata v3, V4; ciascuna di queste aree specializzate sviluppa relazioni
sinaptiche. Dal punto di vista funzionale, questa organizzazione modulare lavora in
parallelo: ovvero componenti diversi dello stesso segnale vengono processate nello
stesso tempo in nodi diversi. Quindi cosa abbiamo capito da tutto ciò? in primo luogo la
visione non è un processo di registrazione passiva ma di attiva elaborazione dei dati
percepiti da parte del cervello; in secondo luogo non è possibile separare localizzando
le due attività della percezione delle forme delle figure e della comprensione del loro
significato: esistono nodi essenziali che dimostrano che in presenza di determinate
condizioni una sede percettiva funziona al tempo stesso come sede di elaborazione dei
dati che essa percepisce.
La funzione principale del nostro cervello visivo è quella di dare un ordine all'insieme
delle immagini che si affollano davanti ai nostri occhi. Questo dipende dalla capacità del
nostro cervello di individuare delle regolarità sia a livello percettivo che cognitivo;
questa regolarità si raggiunge attraverso un processo che prende il nome di astrazione.
Il nostro cervello è capace di due forme di attrazione. La prima prende il nome di
astrazione selettiva ed è la conseguenza della specializzazione dei singoli neuroni visivi.
Per esempio i neuroni che sono selettivi rispetto all'orientamento delle figure nello
spazio tenderanno ad astrarre gli elementi che sono riconducibili al solo orientamento
spaziale. La seconda forma di astrazione è quella identificativa, che non riguarda la
specializzazione dei singoli neuroni ma la tendenza generale del nostro cervello a
riconoscere dietro alla variabilità delle diverse percezioni la permanenza di alcune
caratteristiche, che prende il nome di Costanza percettiva, che consentono di cogliere
un'identità dietro a queste percezioni. Queste due astrazioni sono molto importanti
perché permettono al cervello visivo di giungere alla legge della costanza: il cervello è
interessato unicamente alle proprietà invarianti, essenziali e non mutevoli degli oggetti,
delle superfici, delle situazioni. Per il cervello è imperativo eliminare tutto ciò che non
gli è necessario per identificare oggetti e situazioni. Questa direzione non si presenta
sempre, in quanto il campo percettivo è ambiguo, ovvero presenta al cervello più
soluzioni tutte valide, secondo una gamma di probabilità che va da un'ambiguità
semplice a una complessa. Esempi di ambiguità del primo tipo sono quelli che la
psicologia della percezione del tempo conosce in relazione al fenomeno delle illusioni
ottiche. È il caso del triangolo di Kanizsa, in cui una figura complessa viene solitamente
percepita dall'osservatore come un triangolo, oppure il cubo di Necker o il vaso di
Rubin. Nel vaso di Rubin si ha il coinvolgimento della corteccia frontoparietale nella
percezione. In questo caso lo switch non è solo da un'immagine all'altra della stessa
categoria ma di categorie diverse. Nel caso invece dell'ambiguità complessa troviamo
orientamenti fisiologici non in grado di incamminare lo spettatore in una direzione
piuttosto che in un'altra, ma troviamo immagini appunto instabili dipendenti dalla
dimensione cognitiva: si è passati quindi da un'ambiguità percettiva a un'ambiguità
semantica. Ne è esempio il dipinto di Vermeer La ragazza con l'orecchino di perla; il
pittore applicava il colore per piccoli punti contigui lavorando sulle trasparenze grazie a
una ricerca costante sui materiali da utilizzare. Quello che rende interessante il quadro
per l'analisi è l'espressione del volto della ragazza, che suscita stimoli molteplici e
prodotti contemporaneamente: ciascuno di essi attiva parti diversi della corteccia,
richiama alla memoria episodica del passato, produce emozioni e sentimenti differenti.
Ci sono anche altri esempi come la Pietà Rondanini, La Gioconda o il surrealismo di
Magritte in cui la ambiguità è prodotta dalla relazione tra cornice oggetto, primo piano
e sfondo. In tutti questi casi si ha l'attivazione contemporanea di più aree corticali: oltre
a quelle della visione, quelle della memoria e quelle dell'emozione. Qui si sfocia in una
gamma indefinita di interpretazioni che portano al piacere estetico, per cui non vi è
molta differenza tra la neuro estetica e la prospettiva assunta dall'estetica della
ricezione. per Jass e Iser, la percezione estetica rappresenta solo una precomprensione
di primo livello dell'Opera. In essa cogliamo i singoli elementi che ne definiscono
strutture e superficie. Ma all'interno di questo orizzonte percettivo si inserisce quello
che già Jass definisce piacere comprendente, il principio regolativo che consente allo
spettatore di appropriarsi degli elementi estetici dell'Opera e di collocarsi nell'attesa
della sua progressiva comprensione.
La percezione, che svolge la stessa funzione del cervello, ovvero opera una riduzione di
complessità rispetto la realtà è molto importante nell'ambito della comunicazione
didattica. Quando si spiega qualcosa in un'aula nasce spontaneamente il bisogno di
accompagnare e sostenere la parola con dei segni grafici: parole-chiave che ribadiscono
alcuni concetti importanti, i passaggi di una dimostrazione, schizzi e disegni con cui
rappresentare quello che la parola sta dicendo. Nella comunicazione didattica però è
molto difficile sottrarre all'ambiguitá ciò che viene comunicato. Questa ambiguità
dipende sia dall'incapacità dell'insegnante di mettere in forma la propria
comunicazione, sia dall'insieme delle disposizioni soggettive che in quel preciso
momento caratterizzano uno studente. Tra questi elementi esiste una correlazione. Uno
studente particolarmente motivato, perspicace, riesce a supplire più agevolmente a una
scarsa qualità della comunicazione didattica del suo insegnante, ma tutto ciò dipende
dalla capacità dell'insegnante di prendere l'attenzione dell' allievo. La comunicazione
didattica opera a tre livelli: sintattico, semantico, pragmatico. Il primo livello, quello
sintattico, a che fare con i codici grazie ai quali una comunicazione può essere
organizzata. Sono codici linguistici ma anche para ed extralinguistici. Si ha l'uso di
diversi registri: ironico, serio, distaccato (paralinguistici) ma anche di elementi
extralinguistici, quali: l'uso del corpo: mimica, gestualità, prossemica e il ricorso alle
immagini. La differenza tra questi diversi tipi di codice sta nel fatto che i codici linguistici
sono parte di una comunicazione digitale nel quale il rapporto tra il nome la cosa è
arbitrario: non c'è nulla nel nome gatto che richiami in qualche modo all'animale se non
la conoscenza che, nella lingua italiana, a quel nome corrisponde quella animale. La
comunicazione analogica infatti serve a ridurre queste ambiguità e a orientare
correttamente la comprensione. Della comunicazione analogica fanno parte tutte le
immagini, grazie alle quali l'insegnante supporta la propria comunicazione al fine di
favorire allo studente la corretta comprensione del suo contenuto-livello semantico e
creare le condizioni perché possa apprendere in maniera efficace-livello pragmatico.
L'uso didattico delle immagini può essere duplice: serve a ridurre le ambiguità o a
utilizzarla in maniera funzionale. Nel primo caso ci muoviamo in una logica di riduzione
della complessità con le rappresentazioni grafiche, che riducono la complessità grafica
dell'argomento. Esempi di rappresentazioni grafiche di cui è possibile fare uso a livello
didattico sono lo schema e l'immagine. Lo schema è una modalità sintetica di
presentazione di un dato la cui funzione è quella di predisporlo perché possa essere
percepito. L' immagine favorisce lo stesso tipo di operazione mentale attraverso la
rappresentazione mimetica di un oggetto che può esercitare una funzione di
mediazione, anticipazione e modellizzazione rispetto alla conoscenza. Sia lo schema che
l'immagine riducono l'ambiguità cognitiva in diversi modi: 1 favoriscono una
considerazione olistica di un argomento. L'oralità è sempre diacronica. Avere alle mie
spalle mentre parlo lo schema del mio intervento in forma di elenco di punti o di
flowchart consente allo studente di collocare rispetto al contesto generale singoli
termini che si stanno analizzando cogliendo meglio le relazioni che esistono tra di essi.
2 supportano La visualizzazione dei concetti. Comenio sottolinea l'importanza di
insegnare agli studenti l'arte della percezione poiché da una corretta percezione delle
cose discende una corretta concettualizzazione e lamenta la mancanza nelle scuole di
questa attenzione con la conseguenza che la non corretta presentazione porta a una
non comprensione. In sintesi se devo spiegare come avviene la battaglia di Zama, una
serie di schemi che rappresentino diversi spostamenti degli eserciti sarà sicuramente
più efficace, analogamente un grafo ad albero per presentare la successione della
dinastia dei Flavi e così via. Una funzione specifica nel caso della visualizzazione dei
concetti è presentare delle mappe concettuali. Un'analoga funzione di visualizzazione
svolge l'uso della fotografia quando essa viene impiegata per facilitare l'apprendimento
di un concetto. L'uso delle immagini nella didattica consente anche di operare per via di
semplificazione e focalizzazione. Nel primo caso si procede eliminando dalla
rappresentazione grafica tutto ciò che di tutto accessorio rispetto alla comprensione di
ciò che si sta comunicando; nel secondo si lavora evidenziare con gli aspetti su cui si
ritiene che l'apprendimento fido esercitare. Tutto ciò concorre a ridurre le ambiguità
cognitiva di quanto viene comunicato favorendo così la comprensione. Ma esistono
anche delle rappresentazioni grafiche che amplificano l'ambiguità, con il risultato di
innescare l'attività neurale in funzione dell'attenzione della costruzione di ipotesi: uso le
immagini artistiche, gli audiovisivi, ma anche il disegno umoristico, la vignetta. Esistono
due criteri molto importanti nell'ambito della comunicazione didattica: visibilità e
flessibilità. La lavagna nasce nel preciso momento in cui la lezione passa dal modello 1 a
1 proprio del rapporto dell'allievo con l'istitutore, al modello uno-a-molti della scuola
moderna. Ciò che produce questa nascita è proprio l'esigenza di rendere visibile a tutto
il gruppo degli studenti. Per cui la rappresentazione diviene verticale ed estesa fino a
dimensioni sufficienti per garantire a tutti di vederne i contenuti. Per quanto riguarda il
criterio della flessibilità, l'insegnamento è fatto stesso di micro-decisioni prese a Real
Time che chiedono di modificare quanto era stato progettato di fare prima, questo
comporta che lo strumento di cui servirsi in classe per la rappresentazione delle
conoscenze sia interattivo e disponibile dal punto di vista grafico secondo le esigenze.
Accanto alla lavagna vi sono differenti dispositivi di proiezione delle immagini: dei
vecchi episcopi ai diaproiettori degli anni 70. Il risultato di questo processo è stata la
moltiplicazione degli strumenti in classe: la comparsa delle lavagne luminose, del
computer e della LIM, le quali hanno semplificato questa situazione mettendo a
disposizione degli insegnanti strumenti che consentono contemporaneamente di
scrivere, disegnare, evidenziare come su una lavagna. Molto importante per sistemi di
presentazione delle conoscenze è il PowerPoint. Questo è molto importante per
l'ancoraggio cognitivo: funzionale a predisporre l'attenzione e sostenere la memoria a
breve termine, accompagna l'esposizione con parole chiave o immagini valigia. Tutto ciò
per semplificare e la presentazione. Una seconda funzione della presentazione
digitalizzata è quella di mandare il ridondanza i concetti. Secondo una legge della teoria
dell'informazione, più l'informazione è insatura dal punto di vista del significato, più
lascia spazio alla decodifica Nella misura in cui viene resa ridondante il significato e
riduce allo stesso tempo anche il margine di errore nella sua decodifica. Questa
funzione è garantita da molteplici usi delle slide: per fornire lo schema dell'intervento,
per ribadire alcune affermazioni, per suggerire definizioni. Nello specifico la
presentazione di Powerpoint: essenzializza dell'espressione dei concetti e impone alla
presentazione un ordine rigidamente sequenziale. Ciò porta al gioco delle associazioni
mentali che è, spesso arricchiscono di informazioni la comunicazione didattica
rendendola intrigante e per questo efficace.

CAPITOLO 5

L'idea di una separazione diventa il corpo rappresenta un vero e proprio spartiacque


nella storia del pensiero occidentale: Esso costituisce la composizione dei due
programmi di ricerca contrapposti in età antica e in età moderna. La visione del mondo
dell'antichità e improntata all’animismo e all’ilozoismo: per l'uomo antico tutto è vivo
con la conseguenza che il vero problema è quello di spiegare la morte. Se tutto è vita,
come si può immaginare che qualcosa di questa sostanza vivente muoia, ovvero non ci
sia più?. La risposta si sviluppa in due direzioni, a loro modo entrambe costruite su una
visione ciclica delle cose del Cosmo punto da una parte si trovano le prospettive
immanentiste che, come nel caso degli stoici risolvono tutto nell'ambito della sostanza
vivente: nulla veramente muore, ma tutto perennemente si trasforma. L'altra possibilità
e quella rappresentata dal tema orfico della caduta del ritorno, che viene poi ripreso dai
pitagorici e da Platone: anche in questo caso nulla muore veramente. Jonas fa notare
che il pensiero moderno si trova nella situazione opposta: in un Cosmo ridotte le tue
parti estese, il problema non è più spiegare la morte malavita, dato che l'universo non è
altro che un insieme di masse Nardi e di forse meccanicamente interagenti tra di loro. Il
dualismo è il punto di mediazione di queste due stanze: materie spirito, corpo e anima,
res cogitans e res extensa, non sono orizzontali mutuamente esclusivi ma dimensioni
diverse della realtà. l'apparente soluzione del dilemma genera problemi più gravi: come
comunicano anima e corpo se uno è steso e l'altra priva di materia ?. Jonas super a
questo dilemma attraverso la generazione di due nuovi monismi i due punti il
materialismo e l'idealismo. Praticamente dei due prevale il materialismo che si può per
buona ragione ritenere l'ontologia ufficiale della modernità. Questo si incontra con la
ricerca scientifica, con la quale condivide il rifiuto della teleologia. Inoltre questo trova
l’appoggio nell'evoluzionismo. La ricerca neuroscientifica si muove in questo spazio, sia
a livello generale, di componendo mente e cervello e proponendo una visione
profondamente unitaria dell'uomo, che nello specifico delle questioni, cioè della
rivalutazione del corpo e della sua funzione e alla spiegazione di fenomeni inerenti alla
sfera cognitiva e morale.
La comprensione classica del funzionamento del cervello motorio era basata sull'idea
che le aree sensoriali e quelle motorie fossero nettamente distinte. Secondo questa
ipotesi il cervello motorio non pensa: esso è un semplice esecutore di ciò che le parti
nobili della corteccia frontale gli ordinano di fare. Questa idea è stata sempre al centro
dei modelli dell'intelligenza umana elaborati dalle scienze cognitive e cioè che la
cognizione si è un processo autonomo, logico e disincarnato. Questo porta a dire che la
condizione sia un qualcosa di strettamente mentale mentre l'esperienza corporea vi
avrebbe poco o nulla da fare. La ricerca invece hai individuato negli ultimi anni una
serie di ragioni che consentono di superare queste cose si tradizionale, dimostrando
come il cervello sia certamente parte di un sistema integrato e dinamico che è
indirizzato alle singole azioni che passano del nostro corpo e popolano ogni istante
della nostra vita quotidiana. una prima serie di studi e relativa alla funzione
dell'anticipazione visuo-motoria per la soluzione di problemi che hanno a che fare con
la manipolazione di oggetti nello spazio. Se chiedo a un soggetto di eseguire
mentalmente la rotazione di un solido nello spazio, la sua capacità di eseguire il
compito può dipendere solo dal fatto che neurofisiologica mente il meccanismo che
regola la trasformazione immaginaria degli oggetti e la loro materiale trasformazione
dello spazio fisico e lo stesso. Se riesce a pianificare una serie di azioni nella simulazione
mentale è solo perché i meccanismi neuronali che regolano questa attività sono gli
stessi che gli consentono di svolgere le stesse azioni nello spazio fisico. Questo spiega
perché pattinatori e sciatori dopo aver risalito il percorso lo ride scrivano mentalmente.
una seconda linea di ricerca interessa la psicolinguistica, in particolare la relazione
esistente tra esperienza corporea soluzione dei problemi legati alla guida semantica di
alcune parole, alla generazione di neologismi o metafore per designare alcuni oggetti o
situazioni. Basta pensare espressioni gergali come: stiamo insieme o come stai o ancora
non ci sto punto in tutti questi casi lo stesso verbo, stare, designa situazioni e stati
emotivi differenti. Ciò dipende dalle esperienze vissute dal soggetto, ovvero dal insieme
di percezioni, sensazioni, emozioni legate al verbo stare nelle diverse circostanze. Si
tratta in tutti questi casi di astrazioni che però il nostro linguaggio costruisce sulla base
della analogia con esperienze concrete che noi facciamo materialmente nella vita di
tutti i giorni. Ancora sul versante della psicologia evolutiva il ruolo del corpo nella
formazione dei processi superiori della conoscenza è dimostrato attraverso la funzione
da esso giocata per esempio dell'elaborazione dell'idea del rapporto di causa effetto.
quando il bambino succhia il seno della mamma o si porta alla bocca qualcosa nella tua
attività di esplorazione del mondo, sta sperimentando che certi comportamenti
producono specifiche conseguenze. Posso imparare che un modo di comprendere le
relazioni tra i concetti e diventare lì in termini di causa ed effetti perché ho fatto
esperienza di come poste in determinate azioni, ne seguono altre che in qualche modo
hanno a che fare con quelle che sono state poste in essere. A queste evidenze se ne
aggiunge a un'altra sul versante neuroscientifico. Lo studio anatomo fisiologico della
dislocazione delle aree motorie sulla corteccia ha consentito di determinare che la loro
architettura è molto più complessa sia dal punto di vista della loro disposizione che
delle loro connessioni intrinseche ed estrinseche, che infine dal punto di vista della
specializzazione dei neuroni che lo compongono. Questa complessità dimostra che il
sistema motorio non è periferico e non è soltanto destinato alla ricezione degli impulsi
motori. In seconda istanza, studi condotti sui neuroni di f-5 e dell'area intraparietale
anteriore hanno consentito di determinare che questi neuroni hanno proprietà visuo-
motorie, Santo traduce le informazioni visive relative a determinati oggetti in azione
che riguardano quegli oggetti e svolgono questo compito in maniera molto
specializzata: essi si differenziano per il tipo di azione che sanno riconoscere per il
determinato modo di compiere queste azioni e per il tempo più o meno prolungato di
attivazione del compierle. Questo fa sì che si possa immaginare F5 come un vero e
proprio archivio dentro il quale si trova codificato l'intero repertorio delle possibili
scelte di azione. Quando gli oggetti si dispongono in un certo modo nel nostro campo
percettivo, quando presentano una certa forma e disposizione, quando le loro
affordance suggeriscono un determinato tipo di uso, il nostro cervello riconosce quelle
di emozioni e sceglie dentro il repertorio di possibili azioni di cui dispone quella ritenuta
congruente. Questo vuol dire che il cervello motorio è sede di una comprensione
pragmatica degli oggetti e che la nostra attività percettiva si può interpretare come
un’attività attraverso la quale il nostro organismo si prepara rispondere alle situazioni
ambientali attraverso le sue scelte lezione. Molto importanti anche i neuroni di F4 nodi
come neuroni bimodali. Questi neuroni non si attivano solo quando vengono innestati
da stimoli tattili che possono interessare la superficie del nostro corpo ma anche da
stimoli visivi. La funzione di questi neuroni è la riconcettualizzazione della nostra idea
dello spazio e degli oggetti che in esso sono collocati. Per quanto riguarda lo spazio
questo va pensato come un sistema di relazioni che viene continuamente codificato dai
neuroni bimodali sulla base di quell’unità di misura che sono le diverse parti del nostro
corpo. Lo spazio è un nostro modo di assegnare un posto gli oggetti all'interno del
nostro campo d'azione.
In una categoria di neuroni di f 5,6 stimoli visivi mi sono neuroni che si attivano in
presenza di determinate azioni motorie. Questi neuroni sono noti come neuroni
canonici; nei primi anni 90, ricerche condotte sul cervello delle scimmie hanno
consentito di scoprire l'esistenza di altri neuroni, anch'essi dotati di proprietà Vito
motorie, che non si attivano alla vista di un determinato oggetto ma in relazione alle
azioni che è soggetto vede fare da un altro soggetto. Si tratta di neuroni che si attivano
non quando si fanno cose, ma quando si vedono fare cose. per questa loro natura
mimetica, di rispecchiamento, sono stati definiti i neuroni specchio. Si possono
classificare questi neuroni sia in relazione al tipo di azione che viene osservata, si è
relazione al tipo di relazione esistente tra l'atto osservato è quello codificato. Per
quanto riguarda il tipo di congruenza esistente tra comportamento osservato e codifica
da parte di un neurone, si possono distinguere neuroni che presentano una congruenza
in senso stretto se l'azione seguita è identica all'azione osservata o in senso lato se si
riscontra una chiara relazione tra gli atti codificate l'azione osservata anche se non vi è
identità tra gli uni e l'altra. Considerando invece il tipo di azione osservata si
riconoscono tanti tipi di neuroni specchio quante sono le tipologie di azione osservabili.
Si avranno così neuroni specchio afferrare, tenere, stringere, tirare eccetera. Si possono
svolgere azioni anche con la bocca punto e, questo è importante per capire la funzione
dei neuroni specchio. In quest'ottica si distinguono neuroni specchio ingestivi e
comunicativi: i primi ti attivano in presenza di azioni legati all'ingestione del cibo, i
secondi sono attivi da azioni intransitive come lo schioccare della lingua la protrusione
delle labbra. Ma come funzionano questi neuroni? Una prima ipotesi ci dice che questi
neuroni hanno a che fare con l'attesa del cibo o della ricompensa, oppure servono
semplicemente a preparare il soggetto all'azione. Esperimenti condotti sui macachi
smentiscono entrambe le possibilità: informazioni in cui il macaco serve un altro
macaco o lo sperimentatore afferrare nel cibo senza possibilità di raggiungere il cibo e
senza alcuna ricompensa, i suoi neuroni scaricano comunque scaricano Comunque;
nelle situazioni, dato che il macaco che ho serve un altro macaco prendere del cibo non
può raggiungere il cibo, non vi sarebbe nessun motivo che è quello servazione gli
servisse preparare un'eventuale azione. Una seconda ipotesi è quella di Jeannerod
secondo il quale la funzione dei neuroni specchio andrebbe cercata nella produzione di
immagini motorie interne che fa da supporto e l'apprendimento per imitazione: dalla
creazione di queste immagini dipenderebbe la capacità del soggetto di pianificare ed
eseguire un'azione così come la osservata. Se vogliamo delineare una differenza tra i
neuroni specchio dell'uomo è quelli delle scimmie possiamo dire: il sistema dei neuroni
specchio dell'uomo e più esteso e i neuroni specchio nella scimmia non rispondono alla
vista di atti che non sono chiaramente rivolti verso un oggetto, non temporali Izano la
successione degli atti osservati, non codificano azioni che non abbiano relazione con gli
oggetti.
Il funzionamento dei neuroni specchio richiama due idee su cui ci siamo già soffermati:
la teoria dei marcatori somatici Damasio e la tesi di Frith secondo cui apprendere
significa imparare a fare previsioni. In entrambi i casi viene indicato il ruolo centrale
dell'esperienza dei processi di apprendimento, si tratta di esperienze corporee: nostro
corpo costruisce il dispositivo principale attraverso il quale, esperienze, sviluppiamo
apprendimento e produciamo conoscenza. Le prospettive tradizionali
sull'apprendimento mettono l'accento sulla mente e non sul corpo si parla quindi di
astrazione e generalizzazione; che in un quadro moderno possono produrre utilmente
apprendimento solo se sono state costruite a partire dall'esperienza corporea del
mondo. James Paul Gee è uno dei maggiori esponenti di quella nuova aria di ricerca che
oggi prende il nome di New digital media and learning. Essa opera nell'area di confine
di tre tradizioni di ricerca che contribuiscono a fornire le metodologie punti di vista sui
fenomeni: in lettera si studies, con l'idea che legge leggere e scrivere non siano fatti
mentali ma attività che la gente svolge nel mondo; la te relazione situata, centrata
sull'idea che la conoscenza non si è un'attività astratta ma abbia a che fare con
situazioni concrete che cambiano in tempo reale; gli urli terasis studies, organizzati
attorno all'idea che le competenze di letto scrittura acquisite in relazione alla scrittura
alfabetica non siano le uniche competenze alfabetiche da fare acquisire i soggetti. Gee
si è occupato a lungo di videogiochi è il tuo libro del 2007 rappresenta sicuramente uno
dei migliori contributi. Ipotesi di lavoro di te È interessante perché non è scontata;
quando si dice che i ragazzi e prendono fuori dalla scuola in modalità molto diverse da
quelle che vengono loro suggerite scuola, si tende e poi a pensare che quindi la scuola
deve importare modo e strumenti dell' apprendimento informale: se dunque i ragazzi
apprendono nel informale videogiocando, occorrerà prendere i videogiochi e inserirli
nell'attività didattica. Vi sono due controindicazioni a riguardo. La prima è che il
videogioco trasferire dall'informale al formale diventa un'altra cosa: un conto è lo
strumento il software altro e il suo dominio semiotico fatto di grammatica e, pratiche,
discorsi, punto la seconda controindicazione è che gli insegnanti più tradizionali
resisteranno e tutto sommato non si può dar loro torto: se portare nuovi media nella
scuola significa pensare di usare world of Warcraft a lezione, impressione è che questo
consiste nella svendita del lavoro culturale della scuola, nella sostituzione degli
impegno con il divertimento. L'operazione dovrebbe essere un'altra, di utilizzare il
videogioco come laboratorio sperimentale all'interno del quale scoprire quali siano le
logiche significative attraverso le quali in quel mondo e giocatori realizzano
apprendimento. Jazz suggerisce di considerare il videogioco condominio semiotico.
Questo è uno scenario all'interno del quale parole, immagini, simboli acquistano un
determinato significato. Esso si considera da due punti di vista: internamente un
dominio semiotico caratterizzato dai suoi contenuti ed alle regole in base alle quali si
può interagire con essi punto quando video giochiamo noi interagiamo con questo
dominio mettendo in gioco la nostra identità a tre livelli: siamo noi in carne e ossa che
assumiamo la forma di un personaggio all'interno del videogioco identità virtuale e
desideriamo che questo personaggio vive all'interno del videogioco la storia che noi
vogliamo che viva identità proiettiva. L'apprendimento che il videogiocatore realizza
video giocando a che fare con questi aspetti punto è fidato dai contenuti e dalle regole
dalle grammatica interne. Ma i giochi che sono le discipline a scuola funzionano allo
stesso modo? la matematica è un dominio semiotico, con dei contenuti e delle regole
che disciplinano le operazioni che si possono fare su di essi. Ma questi giochi come la
matematica si limitano a confrontare i risultati, a passare le soluzioni ai compagni. Non
sia il coinvolgimento attivo che si organizza attorno al videogioco. Il mondo del
videogioco suggerisce alla scuola un modo di pensare l'apprendimento.
I neuroni a specchio forniscono una spiegazione all’ importante processo di
apprendimento che è l'imitazione. Nella storia della didattica e della formazione esso
ha funzionato a più livelli. Tradizionalmente limitazione ha costituito il principio cui si è
ispirato il modello di formazione noto come apprendistato. Radicato nella tavola delle
scienze delle Arti e rischi tecniche, questo modello di apprendimento viene previsto per
la trasmissione delle competenze relative a quei capelli che non sento scienze non sono
costruiti su concetti universali. Saperi come le arti pittura, scultura, saperi tecnici come
l'architettura; si apprendono attraverso l'appropriazione delle pratiche di che il neofita
può produrre a partire dall'osservazione in contesto. Il principio che sta alla base di
questa forma di apprendimento esperienziale è il modeling, ovvero la convinzione che
osservare un professionista esperto alle prese con una situazione professionale tipica
serva all'apprendista per comprendere come comportarsi indicazioni analoghe appunto
mi sono forme di didattica esperienziale come il tirocinio e lo stage che prevedono
percorsi di formazione che preludono a una professionalizzazione del soggetto
informazione, tirocinio e stage. Ma limitazione non opera solo nell'ambito del modello
di formazione dell'apprendistato. Anche modelli didattici li apprendimento differenti se
ne servono. Per esempio proprio il modeling costituisce uno degli aspetti che servono a
riaffermare il valore della lezione come forma di trasmissione del sapere. C'è stato però
un bersaglio polemico cioè l'attivismo è il costruttivismo della lezione frontale, intesa
come tradizionale. Le ragioni vanno cercate nel fatto che la lezione normalmente una
pratica che si riduce a Chuck and talk gesto e parola, l'insegnante parla e gli studenti
ascoltano e prendere appunti allo studente si richiede attenzione è il suo lavoro
cognitivo è interamente assorbito dalla necessità di comprendere quello che
l'insegnante sta dicendo, ma nulla in questo modello direzione fa sì che gli possa
attivarsi nelle forme della costruzione della propria conoscenza della scoperta e
dell'apprendimento esperienziale.si parla poi di apprendistato cognitivo o di comunità
di pratica. In questi modelli l'acquisizione di competenze da parte del novizio avviene
attraverso la sua partecipazione periferica legittimata una comunità all'interno della
quale conoscere le pratiche degli esperti, acquisirle per modellamento, svilupparli una
padronanza attraverso l'esercizio e supporto. Logica analoghe sono all'opera nel
mentoring in cui il novizio si sottomette a una relazione privilegiata con l'esperto che
svolge la funzione di modello e di accompagnatore. limitazione svolge una funzione
chiave in tutti i casi che abbiamo portato. Il gruppo di ricerca dell'università di Parma ha
studiato sperimentalmente il processo verificato verificando tramite tecniche di
neuroimaging cosa succede a livello celebrale quando l'apprendimento di un compito
nuovo viene sottoposto per imitazione è un gruppo di soggetti che non aveva mai
suonato la chitarra è stato mostrato un video in cui si vedeva la mano di un maestro che
componeva con le dita accordi sul manico di una chitarra si sono create tre situazioni di
controllo: situazione a: ai soggetti viene chiesto di osservare il video e poi, dopo una
pausa, di mettere la mano sulla chitarra senza comporre l'accordo; situazione b, ai
soggetti viene chiesto guardare il manico della chitarra e poi, dopo una pausa, di
osservare il video con la mano del maestro che componeva accordi; in una situazione ci,
di provare a eseguire l'accordo liberamente. Lo scanning mostrava che devo del circuito
dei neuroni specchio si attiva ogni qualvolta, tanto nelle situazioni sperimentali che in
quelle di controllo, il soggetto e ti va se i comportamenti imitativi rispetto al modello;
indipendentemente da limitazione si attivano le aree della corteccia motoria, infine
durante la pausa prima dell'imitazione di registrava anche le attività nell'area 46 di
Brodmann della corteccia frontale in alcune aree della corteccia mesiale. A queste aree
vengono attribuite funzioni legate alla memoria di lavoro. E poi è grazie all'attività dei
neuroni dell'area 46 che è possibile all'uomo combinare diversi atti motori al fine di
leggervi un pattern d'azione da far funzionare e poi in situazioni analoghe in modo
corrispondente a quanto osservato. Il circuito dei neuroni specchio gioca un ruolo
importante anche nell'ambito della vita emotiva, in particolare all'interno dei processi
di condivisione delle emozioni. A livello macro sociale si registra il venire in primo piano
di dinamiche di prossimità improntate più è la densità degli affetti che alle relazionalità
economiche. Si vedono all'opera in tutta una serie di fenomeni che vanno dalle diverse
forme di micro solidarietà carsharing, relazioni di vicinato, gruppi D'Acquisto solidale;
allo sviluppo dell'associazionismo, al volontariato, alle azioni umanitarie. Il fenomeno è
così presente significativo che genera una nuova categoria quella degli adiuvanti sociali,
per descrivere la funzione disinteressata di aiuto e che i soggetti fanno senza volere
alcun tornaconto. Dal punto di vista disciplinare troviamo discipline come la sociologia
la psicologia l'economia, l'analisi dei sistemi, la pedagogia: si pensa ai lavori di
Golemann sull' intelligenza emotiva, Allen tagini condotte sull'empatia, allo studio dei
sentimenti prosociali come la fraternità, l'altruismo, i legami, l'educazione del sentire.
tutto ciò si può descrivere come una transizione dall’individualismo metodologico
all’individualismo relazionale. Il primo si è costruito lungo il Novecento attorno a temi
come quelli della scelta razionale, la teoria dei giochi, la libertà del mercato. Il secondo
invece si è affermato negli ultimi anni attraverso temi come quelli del dono della
partecipazione. Questo nuovo paradigma si appoggia sul due prospettive teoriche:
quella del darwinismo co evolutivo e le neuroscienze. Sul primo versante si può pensare
ai lavori di De Wall sulla matrice genetica dell'empatia. Lui ritiene che i tratti distintivi
della vita sociale adulta degli animali non siano l'aggressività e la sopraffazione ma al
contrario che essa sia contraddistinta da altruismo, mutuo aiuto e solidarietà. Le ragioni
vanno cercate Nella logica evolutiva: Darwin nella sua analisi della funzione evolutiva
delle emozioni ci dice che era specie per sopravvivere ha bisogno di sviluppare strategie
empatiche attraverso le quali promuovere la salvaguardia dei propri simili. Si spiega così
la ricca fenomenologia di gesti e atteggiamenti che nelle grandi scimmie esplicita la
consolazione piuttosto che la riconciliazione. Sulla base dell'originale età dei
comportamenti prosociali diviene possibile spiegare anche la morale non più sulla base
dell' obbligo del divieto ma di una genesi istintuale. Si dice the Wall che portare
soccorso agli altri e astenersi dal nuocere Loro sono le due massime che definiscono la
morale umana universale. Queste derivano dalla capacità di mettersi nei panni
dell'altro. Lo stesso the Wall parla di questi comportamenti rifacendosi alla ricerca
neuro alla ricerca neuroscientifica: quello che rende speciali questi neuroni e la
mancanza di distinzione tra scimmie scimmie vere scimmia fa punto questi neuroni
eliminano la differenza tra il sé e l'altro e ci offrono primo indizio su come il cervello e ci
aiuti a rispecchiare le emozioni e il comportamento di chi abbiamo davanti. si pensa che
il meccanismo attraverso il quale l'individuo riconosce le emozioni altrui sia simile a
quello attraverso il quale grazie alla percezione visiva riconosciamo i volti. Un'evidenza
viene dall'analisi di alcune nozioni di base, come il disgusto che proviamo nell'anno
usano nell’assaggiare del cibo cattivo avariato è che si esprime attraverso smorfie e
altre alterazioni della nostra maschera facciale. La zona corticale coinvolta nella
percezione dei sapori è l'insula. Elsa è collocata in fondo alla scissura laterale o del Silvio
è divisa in due parti: quella anteriore è connessa con i centri olfattivi e del gusto e
ricevere informazioni dal solco temporale sinistro, un'area in cui i neuroni sono sensibili
alla percezione visiva dei volti; la parte posteriore invece presenta connessioni con le
aree corticali uditive, somatosensoriali e premotoria. Oltre alla perfezione di odori e
sapori l'insula riceve anche dal talamo informazioni relative alla variazione degli Stati
corporei e nel dolore ed è un centro di integrazione viscero motoria, ovvero se
stimolata elettricamente produce variazioni viscerali dell'organismo come l'aumento del
battito cardiaco.il ricorso a tecniche di Ibrahim eging ha consentito di determinare che
hai nei due casi Sono esattamente le stesse zone di corteccia insulare ad attivarsi. La
scoperta delle basi neurologiche delle nostre emozioni riveste una particolare
importanza in educazione che insegna lo ethics presso l'Università di Chicago lo spiega
molto bene. Il punto di partenza è proprio la consapevolezza, del radicamento dei
meccanismi dell'evoluzione della nostra capacità di provare compassione per l'altro è di
manifestarla attraverso la nostra vicinanza e partecipazione. L'importanza
dell'educazione nell’accompagnamento dello sviluppo di questo sentimento di empatia
importante perché è suo amico e può produrre effetti per nulla punto per esempio, non
produce di noi la stessa impressione la vista della sofferenza di qualcuno che
conosciamo che appartiene la nostra comunità è di qualcuno che invece ci è
sconosciuto lontano. Ancora molte volte siamo portati a credere che la sofferenza altrui
si è voluta e non il risultato di cause esterne incontrollabili: lo si vede bene nei luoghi
comuni di chi ritiene che se uno è povero in fondo e perché non ha voglia di lavorare. La
pressione sociale del gruppo dei pari e la leadership complicano ulteriormente la
situazione oggi vi è il mito del vero uomo, per cui sentimenti come la debolezza
vengono visti come appunto fattori di non essere veri uomini. Un'educazione
all'empatia deve quindi favorire lo sviluppo del pensiero posizionale, ovvero della
naturale disposizione e grazie neuroni specchio ti fa mettere al posto degli altri.
Insegnare a convivere con le proprie debolezze senza farne un motivo di vergogna;
insegnare a conoscere effettivamente l'altro al di là di facili stereotipie; promuovere la
responsabilità e pensiero critico.
Nella vita di tutti i giorni noi abbiamo anche fare comune con situazioni problematiche.
La prima DVM consiste in problemi che ammettono una sola risposta, quella corretta, e
indicano che tutte le altre possibili risposte siano false punto sono situazioni del tipo
Dove è nato Napoleone?, Che ha vinto la battaglia di Zama?. Per trovare soluzione alla
domanda di questo tipo mi dovrò impegnare a individuare l'unica risposta possibile: a
questo processo si dà il nome di veridical decisione making vdm.org normalmente i
problemi anche quelli più concreti sono invece tali da non richiedere necessariamente
una sola risposta, quella vera defunti la pianificazione dei miei appuntamenti e, scelta di
cosa devo mangiare per pranzo eccetera eccetera, sono tutte situazioni che richiedono
una strategia decisionale funzionale completamente diversa. Al processo che conduce
alla soluzione di questa seconda categoria di problemi si dà il nome di adaptive
decisione making. La strategia attraverso la quale la decisione matura è molto diversa
nei due casi: il vdm è sostenuto dalla applicazione di algoritmi e dalla loro
routinizzazione dato che le situazioni tendono a ripresentarsi sostanzialmente nella
stessa forma, con le stesse caratteristiche. Completamente diverso è il caso della dVM.
Qui la difficoltà consiste nel fatto che la situazione problematica e ambigua è il lavoro
che mi viene richiesto e di sciogliere questa guida senza poter disporre di soluzioni
preconfezionate ma scegliendo di volta in volta quale pattern applicare. Goldberg Parla
di vdm come cognizione descrittiva mentre ADM come cognizione prescrittiva: La prima
è episodiche dichiarativa, la seconda semantica e procedurale. Questa distinzione ci ha
permesso di ritornare sulla distinzione di cervello destro e cervello sinistro. La
distinzione tra i m a dm e alla base di una differente teoria relativa alla specializzazione
dei due emisferi: essa ritiene che ciascuno dei due emisferi cerebrali è implicato in tutti
i processi cognitivi, ma il grado di coinvolgimento relativo varia a seconda del principio
novità Putin. queste protesi è stata formulata da Goldberg e da Costa e l'idea dei due
neuroscienziati e che: la differenza tra i due emisferi cerebrali si possa abbassare sulla
coppia novità routine cognitiva; l'emisfero destro si è responsabile della ricerca di
modelli di soluzione per situazioni nuove che il soggetto non ha mai sperimentato,
quello sinistro costituisca il deposito dei pattern di comportamento già consolidati; il
rapporto tra i due emisferi e dinamico. Negli anni successivi studi sperimentali condotti
in base a tecnica encefalo grafiche hanno ricorso alle 1:30 intanto confermato l'ipotesi
di Goldberg e costa. Questi studi hanno anche dimostrato che la ripetizione di un
compito ovvero con l'apprendimento progressivamente dalla corteccia frontale destra
posteriore sinistra punto per cui il centro di gravità cognitiva si sposta da destra a
sinistra in relazione con l'esecuzione di compiti più o meno innovativi. La coppia novità
routine svolge un ruolo importante anche nella spiegazione del rapporto tra scelta
cognitiva è stato emotivo e nella determinazione delle differenze individuali in tema di
stile di decisione. Per quanto riguarda il primo aspetto si può ipotizzare l'esistenza di
una certa corrispondenza tra regioni prefrontali sinistre e affettività positiva, regioni
prefrontali destra e affettività negativa. Quindi l'esistenza di un circuito di controllo
emotivo che coinvolge tutte queste aree. In relazione allo stile di decisione, la coppia
novità routine è alla base di quella branca della ricerca neuroscientifica che viene
nominata neuropsicologia delle differenze individuali e di gruppo. Lo stile adm e vdm
nella presa di decisione si basa sul riconoscimento dei diversi stili cognitivi e delle
differenze di genere, lo studio neurofisiologico del mancinismo, la determinazione del
fattore s, ovvero di ciò che normalmente ci fa dire di un individuo che di intelligenza
non comune appunto questo fattore dipende dal talento esecutivo, di cui fanno parte
anche il controllo emotivo e la capacità di cogliere ti pare i comportamenti altrui i
compiti di tipo VDM hanno a che fare con la routine, mentre i compiti di tipo ADM
richiedono che attingiamo alle nostre esperienze per avanzare delle ipotesi di soluzione
per situazioni ambigue che non prevedono verosimilmente una sola risposta esatta. A
scuola nel 90% dei casi si usano compiti di tipo vdm: c'è una sola risposta corretta e
questa risposta si può dare o attingendo alla memoria a lungo termine o applicando le
regole o schemi di soluzione. Nel 90% dei casi nella vita quotidiana i compiti invece
richiedono strategie di tipo ADM, non ci sono quasi mai le risposte giuste.

CAPITOLO 6
L'idea che esista una relazione precisa tra il sistema attraverso cui l'uomo comunica il
modo in cui il suo pensiero si va strutturando non è una novità. Meyrowitz parla di
teoria del medium, la quale ci dice che l'impatto maggiore sulla storia della nostra
cultura non venga prodotto dai contenuti dei media, ma dalla loro architettura. Ciò
coincide con quello che afferma Mcluhan, il quale ci dice che non è il contenuto che i
media veicolano, ma il mezzo stesso. Questa riflessione venne poi ripresa da autori
come Mumford and Innis, Walter Ong e De Kerckhove, che parlò di questa teoria
attraverso due lavori "brainframes" e "la civilizzazione videocristiana". Essi sono
preparati da uno studio comparativo delle scritture alfabetiche che hanno aiutato
l'autore a designare le tre ipotesi che fanno da linea guida alla sua teoria: la
corrispondenza tra struttura ortografica e direzione della scrittura; relazione tra
direzione della scrittura e dinamica della lettura; capacità della scrittura di retroagire sul
cervello condizionando le sue abitudini di elaborazione dei dati. In sintesi l'idea è che il
modo in cui una determinata forma di scrittura è organizzata richiede al nostro cervello
l'attivazione di determinate routine e che queste finiscono per condizionare come noi
costruiamo la nostra attività cognitiva. La scrittura definisce la nostra cornice mentale;
se si tratta di scrittura alfabetica complessa, come quella presente in Occidente
troviamo determinati orientamenti cognitivi:
1 il fatto che la scrittura alfabetica si è disposta in orizzontale favorisce la
rappresentazione spaziale delle immagini mentali, predispone chi legge alla
rappresentazione pittorica e architettonica, rende ragione del perché la simmetria
abbia sempre funzionato come canone estetico.
2 I segni alfabetici sono lineari e contigui, richiedono un'attività di lettura che sia basata
sulla sequenzialità, ovvero sull'ordine esatto di successione dei grafemi.
3 Riconoscere la forma dei segni e analizzare la loro sequenza sono due operazioni con
da mentali all'atto della lettura nel caso di alfabeti fonetici come quello Greco.Questo
allena la mente a scomporre insiemi complessi nelle loro parti costitutive. Per leggere,
però, non è solo sufficiente riconoscere e scomporre ma anche saper ricomporre i
singoli fonemi per ottenerne parole, frasi, periodi. La mente che legge si abitua quindi a
lavorare sulle connessioni tra quel che viene prima e quel che segue.
Infine, un alfabeto fonetico come quello Greco è costruito su una doppia articolazione:
riconosco una sequenza di segni e ricompongo la parola, do contenuto al suono della
parola riconducendolo al suo referente.
A lungo andare, l'uomo alfabetizzato fa progressivamente a meno del secondo livello di
articolazione: basta il codice e su quello lavora, non gli serve materializzare ogni volta il
contesto cui quel codice si riferisce. La prospettiva dello studioso non è un'ipotesi
scientifica ma un'intuizione interpretativa: essa viene elaborata in un periodo in cui la
ricerca neuroscientifica non disponeva ancora degli strumenti di indagine, di cui
avrebbe poi disposto e infatti l'idea del brainframe risente ancora delle teorie della
specializzazione emisferica del cervello. Oggi si ci chiede se leggere modifica il nostro
cervello. La risposta può essere cercata su base neurobiologica, un'equipe di scienziati
cognitivi dell'università di Pittsburgh restituisce il risultato di una meta-analisi condotta
su 25 studi condotti attraverso tecniche di brain imaging sul cervello di soggetti che
leggono in lingue diverse. Da questi studi sono emerse tre regioni Generali che
sembrano fortemente convergenti tra tutti i sistemi di scrittura: 1) la circonvolluzione
temporale superiore posteriore sinistra-area di Brodmann 22; 2) la circonvoluzione
frontale inferiore sinistra- area di Brodmann 6; 3) la regione occipitotemporale sinistra-
area di Brodmann 19 e la circonvoluzione fusiforme media-area di Brodmann 37.
L'analisi del coinvolgimento di queste tre regioni nella lettura delle singole lingue
dimostra che:
-Riguardo al cironvolluzione posteriore superiore, la lettura del cinese e del giapponese
coinvolge la parte antero laterale, la lettura delle lingue occidentali, la parte postero
mediale.
- Tutte le lingue producono una forte attività nelle regioni occipitale anteriore e medio
fusiforme sinistra, l'ipotesi qui è che esse funzionino da centrale di connessione con
zone dell'emisfero destro e siano coinvolte insieme a quest'ultimo nel riconoscimento
grafico dei caratteri.
I ricercatori americani ricavano dal loro studio interessanti conclusioni. Dimostrano che
il cervello si adatta a leggere diversi sistemi di scrittura e, facendolo attiva vie nervose
differenti. Ma soprattutto fanno vedere come rispetto alle diverse lingue le regioni
cerebrali implicate nell'atto della lettura siano le stesse. L'insieme di queste regioni
viene definito sistema universale di lettura e dimostra come suggerisce Maryanne Wolf
che leggere in qualsiasi lingua cambia il cervello. Questa studiosa ricostruisce il
processo che conduce ciascun bambino da non sapere leggere a farlo in maniera fluida
e vi individua 5 tappe che definiscono diversi profili di lettore:
il pre-lettore emergente, è il bambino in quell'età che precede i 5-6 anni, in cui tutto un
insieme di esperienze ancora, lo porteranno ad essere un lettore esperto. Questa fase è
caratterizzata da alcune esperienze di fondamentale importanza: il fatto che il bambino
associ l'ascolto della lingua scritta con una situazione piacevole e accogliente;
l'apprendere dalle illustrazioni dei libri nomi delle cose, arricchendo il suo lessico,
ovvero favorendo il suo sviluppo semantico; la progressiva formazione nel bambino
della capacità di riconoscere e analizzare fonemi delle parole, di comprendere via via
frasi più complesse, di apprendere le regole sociali della lingua parlata. In tutta questa
fase si può pensare che siano i neuroni della circonvoluzione fusiforme dell'area 37 ad
essere attivi.
Si ha poi il lettore neofita che è da porre con l'inizio dell'apprendimento alfabetico. Si
colloca tra i 5 e i 7 anni di vita del bambino per precise ragioni biologiche. L'atto della
lettura richiede l'integrazione di un complesso di informazioni che provengono da
diverse aree del cervello. Questo implica un'adeguata velocità nella trasmissione dei
segnali e il compiuto sviluppo di tutte le aree coinvolte. Le 2 scoperte più importanti
che il lettore neofita fa sono: il fatto che le lettere e i suoni siano collegati e la
comprensione della corrispondenza tra fonema e grafema nell'attività di decodifica.
Queste due scoperte sono accompagnate dalla capacità di riconoscere fonemi e di
combinarle per ottenere parole più complesse. Dal punto di vista neurale, in questa
fase le porzioni di corteccia coinvolta sono le stesse del sistema di lettura universale
dell'adulto, ma soprattutto nelle prime due si registra un forte coinvolgimento di aree
dei due emisferi e porzioni di corteccia più ampi rispetto a quelle dell'adulto. Si passa
poi, man mano che il bambino acquista più sicurezza, al lettore decodificante che
trapassa gradualmente in quella del lettore fluido. In questa fase si ha una lettura quasi
sicura di chi legge con una buona padronanza dei processi. Si ha sul piano tecnico
linguistico il potenziamento della visione a blocchi e della visione a parole: se già
riconosco i tre blocchi in, con, e are, il riconoscimento nella lettura della parola
incontrare diventa più facile; lo stesso capita quando il riconoscimento si effettua sulle
parole che essi concorrono a comporre. Sul piano neurale questi processi sono sorretti
da alcune funzioni non linguistiche ma anche da alcune funzioni esecutive come la
memoria di lavoro. Il punto di arrivo di questa avventura evolutiva è lo stadio del lettore
esperto; questo è in grado di leggere ogni parola in mezzo secondo; in questo mezzo
secondo vi sono dei processi: 1) da 0 a 100 millisecondi. Il lettore rivolge la sua
attenzione a quello che deve leggere e richiama informazioni che sono funzionali al
processo. Attorno ai 50 millisecondi si attiva anche la corteccia visiva: da una parte è
funzionale al riconoscimento di aggregati di lettere attraverso insiemi di neuroni che si
sono specializzati a riconoscere insieme le lettere che si presentano insieme, dall'altra
prende informazioni dai nostri occhi, il cui movimento è responsabile dell'automatismo
della lettura. Da 100 a 200 millisecondi: in questa fase il cervello lavora sulla
dimensione fonologica, collegando le lettere ai suoni e mettendo in relazione tutto
questo con le regole ortografiche. Le aree corticali coinvolte sono le regioni frontali, in
particolare l'area di Broca, quelle temporali, alcune zone parietali e la parte destra del
cervelletto. Da 200 a 500 millisecondi vengono processati gli aspetti sintattici,
morfologici e viene effettuato il recupero delle informazioni semantica. Le aree
interessate sono sempre le stesse.
Cosa implica conoscere tutto questo per la didattica... si parla di dislessia e di
apprendimento della lingua 2. Per quanto riguarda la dislessia, di cui il rilevamento dei
casi nella scuola italiana hanno subito un'impennata negli ultimi anni, questo problema
potrebbe essere visto su base neurofisiologica, ma ogni volta che si incontra un
problema legato all'esercizio della lettura come si fa a capire se si tratta di un disturbo
da dislessia? Oppure capire di quale disturbo di dislessia si tratti? . Le teorie
eziopatogenetiche sono diverse: alcune ipotesi tendono ad attribuire il problema alla
mancata specializzazione, su base genetica, dei gruppi neuronali delle aree del
linguaggio e della visione; altre tendono invece a ricondurre le cause del disturbo al
cattivo funzionamento del circuito neuronale che ha il compito di coordinare le diverse
aree che sono coinvolte nella lettura, altri infine pensano sia per problemi di
comunicazione interemisferica, che producono come risultato che il cervello dislessico
sviluppi le proprie competenze tutte nell'emisfero destro, spiegando in questo modo la
lentezza esecutiva nel compito. Il soggetto dislessico non difetta di intelligenza come
per lungo tempo si è creduto: Einstein soffriva di un disturbo di dislessia ma era
intelligentissimo. Un altro versante sul quale la neurobiologia del cervello che legge
incontra la didattica è relativa all'apprendimento della lingua. Ricercatori hanno
dimostrato che il periodo migliore per l'apprendimento di una seconda lingua sono i
primi anni di vita del bambino: la performance decade a partire dai 7 anni, in
particolare per quanto riguarda l'apprendimento della grammatica. La conseguenza è
che l'apprendimento linguistico andrebbe curato nei primi anni di scuola e dovrebbe
essere condotto in maniera immersiva, includendo un curricolo top-down basato sulle
regole grammaticali e l'acquisizione del lessico. Al di là di queste, è importante centrare
l'attenzione su quello che la ricerca neurobiologica suggerisce riguardo al fatto stesso
del leggere, e alla sua importanza cognitiva. Nella scuola primaria moltissimi istituti si
avvalgono della cosiddetta scelta alternativa, predisponendo una biblioteca di classe da
cui i bambini possono attingere con la formula del prestito. Nella scuola secondaria è
frequente imbattersi in insegnanti di italiano che assegnano ai loro studenti un romanzo
al mese, chiedendo una recensione scritta. Nella società adulta si è diffusa la pratica del
book sharing: scaffali all'ingresso di un ristorante o di un pub, panchine nel parco, centri
sociali. A questo si aggiungono i club dei lettori e iniziative come libriamoci e Nati per
leggere: la prima, contenitore di eventi, mostra, letture pubbliche; la seconda, progetto
nato dall'azione coordinata dell'AIP, dell'AIB e del centro per la salute del bambino che
si occupa di promuovere attraverso diverse azioni la pratica della lettura ad alta voce da
parte degli adulti. Anche l'ascolto di qualcuno che legge è fondamentale. La Wolf
sintetizza tre vantaggi neurobiologici che provengono a un cervello che legge:
l'arricchimento del repertorio emotivo, la capacità di riconoscere configurazioni, lo
sviluppo di capacità inferenziali. Leggere aiuta a entrare nella psicologia del personaggio
e a conoscere come si sviluppano le emozioni; sul piano semantico, mentre si legge si
attivano una serie di processi esecutivi che consistono nell’anticipare quello che potrà
succedere attraverso le informazioni che si sono ricavate dal contesto.
Si parla di un paesaggio socio-culturale che è definito multiliteracy; questa espressione
fa riferimento alla realtà complessa entro cui il soggetto si trova immerso oggi, dal
punto di vista del compito della sua alfabetizzazione. Questa realtà è fatta dei molti
linguaggi specializzati delle singole discipline e delle singole aree di sapere, ma anche
delle differenze di valori e culture che si sperimentano in una società sempre più
interculturale. Si ha quindi il bisogno di un apprendimento flessibile e dinamico e di un
approccio multimodale del soggetto, che si rapporta a un universo semantico, come
quello della società attuale, che è segnato non solo da una molteplicità di sapere e di
culture ma anche da una pluralità di linguaggi e di sistemi di codici. Oltre il testo scritto
troviamo: il linguaggio orale; le diverse forme della rappresentazione acustica, la
rappresentazione tattile, la rappresentazione gestuale, la rappresentazione spaziale.
Questa molteplicità di espressioni fa emergere nuove pratiche testuali e anche il nuovo
ruolo del lettore che grazie ai link ipertestuali è sempre più produttore e partecipante
attivo. Le forme testuali di oggi abbandonano sempre di più il supporto cartaceo per
quelli digitali, esistono nell'interazione che intrattengono con il lettore, favoriscono
approcci improntati a una logica temporale e non spaziale. Imparare a leggere queste
forme chiede di sviluppare competenze che per Henrik Jenkins sono undici: tra queste
vi è la simulazione, ovvero la capacità di costruire modelli dinamici nel mondo reale: si
tratta di una competenza procedurale, cioè della capacità di guardare le cose da più
punti di vista differenti e elaborando schemi di interpretazione. Anche l'appropriazione
è una competenza molto importante, nata proprio dalla diffusione dei media digitali.
Essa fa riferimento ai modi attraverso i quali facciamo nostri significati e ne produciamo
creativamente altri. L'interazione con i media digitali ha il merito di evidenziare che
creare significati non vuol dire non immaginarne di nuovi ma riorganizzare in forme
nuove quelli di cui disponiamo; concorrono a ciò attività Neo mediali come il ripping e il
burning, il fare download e il masterizzare. Un'altra competenza molto importante è
quella della navigazione transmedia, essa consiste nella capacità di utilizzare le
informazioni che ricavo da una puntata dei Pokémon, per giocare all'omonimo
videogame sulla PlayStation ma anche per provare a comprendere meglio a scuola cosa
significhi che le forme di vita si evolvono. In questo caso, leggendo i diversi ambienti
come un continuum, le cui parti sono tenute insieme dalla mia esperienza, importo ed
esporto da uno all'altro di questi ambiti le informazioni. Molti pensano che acquisire
queste nuove competenze comporti la perdita delle vecchie, in realtà non è così perché
ogni nuova tecnologia non si sostituisce alla precedente ma lei si affianca. Anche perché
il mondo in cui viviamo è un contesto multimediale e multimodale, per cui dobbiamo
confidare nel fatto che gli individui sviluppino fin da piccoli l'abitudine a muoversi in
esso lavorando cognitivamente su diversi tipi di forme testuali, da quelle letterarie
tradizionali a quelle ipermediale attuali. Oggi il processo di acquisizione della
conoscenza consiste in quattro momenti: 1) situated practice: è il momento in cui il
docente funziona da maestro di pratica fornendo agli studenti indicazioni operative,
sequenze di apprendimento. 2) overt Instruction: È il momento in cui l'insegnante,
lavorando sulle conoscenze pregresse dello studente crea le condizioni perché egli sia
ricettivo rispetto ai nuovi apprendimenti. 3) critical framing: è il momento della
riflessione su ciò che è stato appreso. 4) Transformer practice: è il feedback. Queste
pratiche rientrano nel mondo del design; espressione che comprende nel caso
dell'insegnante l'insieme delle consapevolezze pedagogiche, il framework didattico e le
forme attraverso le quali insegnamento si organizza; nel caso di Chi apprende
rappresenta l'attività continua di ristrutturazione dei significati di cui l'apprendimento
stesso consiste. Tutto ciò prevede un processo di designing e cioè il lavoro che si svolge
quando a partire dai significati dati si costruiscono nuovi significati. tutto ciò è sorretto
da specifiche attività pedagogica: la sperimentazione la concettualizzazione, l'analisi,
l'applicazione.

CAPITOLO 7

INTRODUZIONE

L'apprendimento ha un profondo radicamento biologico. Esso implica la capacità di fare


previsioni in ottica di utile individuale, si avvale dei fatti e delle emozioni, ha a che fare
con la sopravvivenza della specie e con lo sviluppo del linguaggio. Si apprende con tutto
il corpo. Il respiro dell'insegnamento si modella sul respiro del teatro, il respiro del
teatro si modella a sua volta sul respiro del cervello, del corpo, della vita.

7.1 SIGNIFICATO E VALORE DELLA TRASMISSIONE CULTURALE


La ricerca neurolinguistica, avvalendosi delle scoperte dei paleoantropologi sui crani dei
diversi tipi di ominidi che si sono succeduti nella linea evolutiva, ha determinato una
chiara discontinuità tra Homo Erectus e Homo Sapiens: la base della massa cranica, la
forma della testa, la lunghezza del palato, la discesa della lingua e della laringe. Questa
diversa posizione consente di determinare una netta differenza nei modi di comunicare.
L'Homo abilis emetteva suoni indistinti, l'Homo Erectus poteva emettere solo versi
gutturali, l'Homo Sapiens poteva già pronunciare dei suoni poiché le corde vocali
avevano raggiunto una posizione più favorevole. Il linguaggio è una prerogativa
dell'homo Sapiens. Abbandonando il linguaggio emotivo si passa al linguaggio
cognitivo. Riflettere su questa vicenda filogenetica consente di affermare la centralità
della comunicazione verbale, in funzione dello sviluppo dell'uomo. Questa centralità è
resa necessaria dall'accumulo di esperienze e di conoscenze. La centralità della parola è
in funzione della trasmissione culturale. Tuttavia, il vero motore dello sviluppo è stata
l'educazione. L'esistere dell'uomo nel mondo è un fattore culturale. La plasticità
celebrale modifica le relazioni sinaptiche tra i neuroni contribuendo a specializzare
alcune porzioni della corteccia. Costruendo gli apprendimenti attraverso la
comunicazione rende possibile la trasmissione della cultura.

7.2 I POEMI OMERICI COME ENCICLOPEDIA E L’AEDO OMERICO COME PROTO-


DIDATTICA
Per i Greci, le gesta degli eroi sono un espediente narrativo attraverso il quale favorire la
trasmissione di tutti quei comportamenti, modi di fare, tecniche, mestieri, pratiche
codificate, regole, leggi, in poche parole: trasmettere la cultura. Per i Greci si racconta
per insegnare, si racconta in versi perché in questo modo è più facile ricordare.
Continuando a raccontare si rafforzano esperienze ed emozioni, consolidando la
memoria a lungo termine. La didattica trova la sua genesi nella cultura orale e nel corpo
in situazione: senza trasmissione della cultura, una società che non conosce la scrittura
non sopravvive a sé stessa. La forma attraverso la quale l'insegnamento dell'ethos e del
nomos viene trasmesso è quello della poesia, intesa come performance drammatica
dell’aedo=cantastorie. La poesia nella Grecia America e teatro. Il nostro cervello
apprende attraverso la ripetizione e l’imitazione. L'emozione gioca un ruolo
fondamentale nel nostro fare esperienza del mondo. L’Embodied Cognition evidenzia la
nostra capacità di sviluppare concetti, di svolgere attività cognitive di livello superiore
grazie al coinvolgimento del nostro corpo.

7.3 TEATRO, EDUCAZIONE, SCRITTURA


Il cervello che legge acquisisce più informazioni, sviluppa la capacità di documentare,
codificare e classificare, matura competenze superiori, impara a riconoscere gli stati
interiori sviluppando una più profonda consapevolezza del proprio io. Il teatro
costituisce il laboratorio entro cui tutto questo si può allenare e fissare. Dopo l'avvento
della scrittura, il teatro continua ad essere un'opportunità per favorire la tradizione del
sapere e della cultura: fare educazione.
7.4 LA DIDATTICA, TRA DRAMMATURGIA E NEUROSCIENZE
La didattica è una tecnologia della parola e della cultura. È una tecnologia della
performance. La didattica può essere considerata come una tecnologia dello sguardo. È
una forma di drammaturgia. Ad oggi non è possibile pensare una didattica se non entro
i termini di una neurodidattica.

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