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Sede di Udine
L’AFASIA DOPO L’EVENTO STROKE: IL VISSUTO DEL
PAZIENTE
Relatore:
Dott.ssa Graziella Valoppi
Laureanda:
Agnese Fasano
Correlatore:
Dott.ssa Teresa Bulfone
Logopedista Isolda Di Narda
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INTRODUZIONE
CAPITOLO 1 – AFASIA E LINGUAGGIO
1.1 DEFINIZIONE
1.2 CAUSE
1.3 LE SINDROMI AFASICHE
1.3.1 Afasia di Broca
1.3.2 Afasia di Wernicke
1.3.3 Afasia globale
1.3.4 Afasia di conduzione
1.3.5 Afasie transcorticali
1.3.6 Afasia anomica
1.4 IL LINGUAGGIO E LE SUE CARATTERISTICHE
1.5 IL SISTEMA SEMANTICO – LESSICALE
1.5.1 Il sistema semantico
1.5.2 Il sistema lessicale
1.5.3 I buffer
1.5.4 I meccanismi di conversione
1.6 I DANNI FUNZIONALI
1.6.1 Al sistema semantico
1.6.2 Ai lessici
1.6.3 Ai buffer
1.6.4 Ai meccanismi di conversione
1.7 PRINCIPALI ALTERAZIONI NELLA PRODUZIONE DEL LINGUAGGIO
1.7.1 Altri ambiti compromessi
1.8 CENNI SULLA TEORIA DELLA CONVERSAZIONE
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INTRODUZIONE
La persona che, come conseguenza di uno stroke, soffre di afasia, si ritrova
improvvisamente a vivere una condizione drammatica e, per molti aspetti,
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CAPITOLO 1
AFASIA E LINGUAGGIO
1.1 DEFINIZIONE
L’afasia è un disturbo acquisito del linguaggio, conseguente a lesione di
strutture cerebrali primariamente implicate nell’elaborazione di aspetti
diversi delle capacità linguistiche.
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1.2 CAUSE
Le cause più frequenti di afasia sono i disturbi cerebrovascolari, i traumi
cranici e i tumori.
I disturbi cerebrovascolari possono essere dovuti a occlusione da parte di un
trombo o di un embolo con conseguente ischemia cerebrale, oppure alla
rottura di un vaso cerebrale con conseguente emorragia.
Le lesioni cerebrovascolari in emisfero sinistro sono la causa più frequente di
afasia; la lesione è generalmente circoscritta e il danno linguistico si associa
frequentemente ad un disturbo del gesto intenzionale (aprassia) e del calcolo,
ma generalmente risparmia le altre funzioni cognitive.
Il trauma cranico è un evento molto comune, facilmente diagnosticabile, ma
che può provocare una quantità di effetti secondari e ritardati che complicano
il quadro sintomatologico.
Disturbi cerebrovascolari e traumi provocano danni cerebrali immediati.
Diverso è il caso di tumori che possono rimanere silenti a lungo prima di
causare dei deficit.
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es. la parola tigre) e il loro significato (l’animale tigre); non c’è nulla nella
parola tigre che abbia un rapporto con il suo significato. Solo per le parole
onomatopeiche (es. borbottare) è possibile trovare un legame tra suono e
significato.
è discreto: la differenza tra due unità non è graduale ma assoluta. La
differenza tra i fonemi /p/ e /b/ da un punto di vista articolatorio consiste solo
nella sonorità; entrambi i fonemi sono occlusivi e bilabiali, ma /p/ è sordo e /b/
è sonoro.
è aperto: i fonemi che compongono la parola “male” per esempio, possono
essere scomposti e ricomposti a formare la parola “lame” e la parola “male”
può essere inserita in messaggi diversi (“mi fa male un piede”, “ho fatto male
l’esame”) consentendo alla lingua una grande economicità perché con poche
unità si può comporre un numero molto ampio di messaggi.
è ricorsivo: la ricorsività è una proprietà delle grammatiche che consente a
un insieme finito di regole di generare un insieme infinito di strutture. Una
regola è ricorsiva quando la stessa regola può essere riapplicata alla frase che
ha prodotto. Es.: “Il cane che è di Mario”; la regola è ricorsiva è può
nuovamente essere applicata; è possibile dire: “Il cane che è di Mario che è
mio cugino”.
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1.5.3 I buffer
I buffer sono memorie di lavoro e servono a mantenere in memoria l’input fino
a quando questo non viene processato dal modulo successivo che, per quanto
riguarda i due buffer di input, sono i rispettivi lessici fonologico e ortografico;
per quanto riguarda i due buffer di output l’operazione successiva consiste
nella produzione, orale o scritta, della parola.
1.6.2 Ai lessici
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1.6.3 Ai buffer
Una conseguenza diretta di un danno a qualunque di queste memorie di
lavoro è l’effetto lunghezza; tanto più lungo è lo stimolo da processare, tanto
maggiori sono le possibilità di errore. Un danno molto grave al buffer
fonologico di input può dare origine alla cosiddetta sordità verbale,
caratterizzata da un disturbo selettivo nella comprensione del linguaggio
parlato.
Analogamente, un danno al buffer ortografico di input rende difficile
l’identificazione dei singoli grafemi con una conseguente difficoltà di lettura.
Un danno a un buffer di output causa errori nella produzione fonologica od
ortografica dello stimolo, errori che sono tanto più frequenti quanto più lungo
è lo stimolo da processare.
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11 di 42 19/07/2011 18:30
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CAPITOLO 2
12 di 42 19/07/2011 18:30
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maggio 2005, di cui 55 afasici, tutti destrimani, età media 56,8 (dai 28 agli 86
anni), il 76, 36% non poteva né leggere né scrivere, solo 2 degli esaminati
avevano titoli di studio superiori, è emerso che la natura dell’ictus è stata
ischemica nel 73,7% dei casi ed emorragica nel 26,3% dei casi. L’afasia con
menomazione del linguaggio espressivo è stata osservata nel 96,4% contro il
3,6% dei casi di afasia con menomazione nella comprensione del linguaggio.
Dopo un anno si è osservata una regressione dei disturbi solo in 9 casi e la
regressione parziale in 25 casi. L’evoluzione dell’afasia era correlata al deficit
motorio.
13 di 42 19/07/2011 18:30
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14 di 42 19/07/2011 18:30
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15 di 42 19/07/2011 18:30
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(NEADL)”. I risultati ottenuti dimostrano che la CIQ può essere adatta per le
persone con afasia quando si misura la partecipazione, ma i dati sulle
proprietà psicometriche nelle persone con afasia sono assenti.
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17 di 42 19/07/2011 18:30
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18 di 42 19/07/2011 18:30
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disperazione;
- incontrare il paziente a metà strada per ottenere la comprensione;
- dimostrare attenzione e accessibilità al paziente;
- dimostrare fiducia e confidenza sia per gli assistenti che per i pazienti.
Capire ed essere capiti è un aspetto importante della qualità dell’assistenza;
per questo Sundin & Jansson (2003) hanno video registrato 5 infermieri con
alta competenza relazionale con pazienti aventi difficoltà di comunicazione e 3
pazienti afasici durante le attività di assistenza mattutine. Dallo studio è
emerso che gli infermieri trasmettevano continuamente la loro presenza ai
pazienti e fornivano la loro disponibilità in un rapporto intersoggettivo stretto
e aperto; inoltre, un’atmosfera rilassata e supportiva facilitava la reciprocità
tra infermiere e paziente. La comunicazione non era tecnica o strategica, ma
gli infermieri prendevano parte alle esperienze dei pazienti attraverso un
dialogo silenzioso che comportava la condivisione dei sentimenti dei pazienti e
quindi la ricezione dei messaggi da parte dei pazienti stessi. Fursland (2005)
afferma che comunicare con le persone afasiche può essere denso di difficoltà,
sia per il paziente che per gli infermieri; pertanto, suggerisce la
frequentazione di un corso sulla comunicazione che può contribuire a rendere
gli “ambienti” più familiari. Murphy (2006) ha esplorato le priorità delle
persone con disabilità comunicative e quelle dello staff. Dallo studio effettuato
attraverso 8 focus group, è emerso che le principali priorità per lo staff erano
il bisogno di maggior formazione e competenza in merito alla comunicazione in
termini di servizi alla persona. Le principali priorità per le persone con
difficoltà di comunicazione erano la continuità dell’équipe, la fiducia, le
migliori strategie di comunicazione dello staff e la riduzione della dipendenza
nei confronti dei caregivers.
Liechty (2006) testimoniando la propria esperienza di afasico per più di 25
anni, invita i professionisti sanitari a relazionarsi con le persone afasiche con
pazienza, ascolto attivo e motivazione per il successo. La revisione sistematica
della letteratura condotta da Finke et al (2008) per quanto riguarda i
seguenti temi:
- l’importanza della comunicazione;
- le barriere per una comunicazione efficace;
- i supporti necessari per una comunicazione efficace;
le raccomandazioni per migliorare l’efficacia della comunicazione tra
infermieri e pazienti con complesse esigenze di relazione, ha messo in luce che
sia infermieri che pazienti hanno evidenziato preoccupazione e frustrazione
quando la comunicazione non è adeguata; inoltre, l’utilizzo di strategie di
comunicazione aumentativa ed alternativa aiutano gli infermieri ed i pazienti a
migliorare la comunicazione stessa. Gordon et al (2009) hanno condotto uno
studio osservazionale che ha coinvolto 15 infermieri e 5 pazienti afasici. I dati
sono stati raccolti in 35,5 ore di videoregistrazione. Dallo studio è emerso che
il personale infermieristico ha controllato la conversazione solo relativamente
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alle attività assistenziali. Ciò può essere dovuto al fatto di non avere la fiducia
necessaria per tenere conversazioni con persone con problemi di
comunicazione. Gli infermieri necessitano di ricevere una formazione, di
rafforzare i programmi di riabilitazione della comunicazione e di impegnarsi
più a fondo con i pazienti nella loro assistenza, ma anche di avere una più
ampia cultura della partnership istituzionale che si sviluppa nei reparti. Bolte
Taylor (2009), neuroscienziata e ricercatrice universitaria, nel racconto della
sua esperienza che l’ha vista vittima di un ictus dal quale è guarita
completamente dopo 8 anni, ha fornito, nel duplice ruolo di medico e paziente,
degli spunti, dei consigli e dei suggerimenti terapeutici utili a coloro che
hanno subito un ictus e a coloro che li curano e li circondano. Alcuni consigli
sono:
Non sono stupida, sono ferita. Rispettatemi.
Avvicinatevi e parlatemi lentamente scandendo le parole con chiarezza.
Quando mi spiegate qualcosa, fosse anche per la ventesima volta, usate la
stessa pazienza della prima.
Rivolgetevi a me con amore e pacatezza, senza fretta.
Fate attenzione a ciò che mi comunicate con il linguaggio corporeo e le
espressioni del volto.
Guardatemi dritto negli occhi. Sono qui, venite a cercarmi. Incoraggiatemi.
Non alzate la voce, per favore: non sono sorda, solo ferita.
Insegnatemi le cose facendomele ripetere e rifare a pappagallo.
Fatemi domande che richiedono risposte precise e lasciatemi il tempo di
trovarle.
Parlate direttamente a me, non agli altri di me.
Non terminate le frasi per me né suggeritemi le parole che non ricordo. Ho
bisogno di far lavorare il cervello.
Festeggiate tutti i miei piccoli successi. Mi incoraggiano.
Lo studio di Lendrem e Lincoln del 1985 (che include 52 pazienti che sono
stati afasici per più di 4 settimane, che non hanno ricevuto alcun tipo di
terapia e che sono stati valutati ogni 6 settimane) descrive il miglioramento
delle abilità di linguaggio ed esclude dal miglioramento stesso l’effetto di
variabili quali età, sesso e tipo di afasia. Il livello di abilità del linguaggio a 6
mesi dopo lo stroke sembra che dipenda quasi esclusivamente dalla severità
dell’afasia.
Basso et al (1982) hanno messo in evidenza il fatto che le donne migliorano
significativamente molto più degli uomini nell’espressione orale, ma non nella
produzione scritta.
Demeurisse et al (1980) non hanno trovato differenze nel recupero tra i
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CAPITOLO 3
LO STUDIO
3.1 LO STUDIO
E’ stato utilizzato un progetto di studio di tipo qualitativo perché ritenuto più
adatto per esplorare l’esperienza dei pazienti che hanno avuto, come
conseguenza di un evento stroke, l’afasia.
21 di 42 19/07/2011 18:30
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l’ospedalizzazione;
- Individuare i comportamenti che hanno facilitato la relazione;
- Comprendere gli effetti dell’afasia nella vita di relazione delle persone.
CAPITOLO 4
MATERIALI E METODI
4.1 CAMPIONE
Per identificare il campione propositivo ci si è avvalsi della collaborazione del
Servizio di Logopedia dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Santa Maria
della Misericordia e dell’Associazione Italiana Afasici della Regione FVG, nella
persona della Presidente.
Per la selezione dei partecipanti si è scelto di rivolgersi all’Associazione
ipotizzando una maggior facilità di reclutamento di pazienti che, avendo
superato la fase critica successiva allo stroke, fossero maggiormente disposti a
dare il loro contributo per la ricerca.
I criteri di inclusione erano i seguenti:
4.2 STRUMENTI
Si è ritenuto opportuno scegliere la tecnica dell’intervista in quanto appariva
lo strumento più appropriato a far emergere il vissuto delle persone afasiche.
L’intervista semi-strutturata viene svolta tra il singolo partecipante ed il
conduttore.
E’ stata proposta una “traccia” dell’intervista (All. n. 2) per facilitare il
compito del conduttore, nella consapevolezza, però, che la libertà espressiva
dei partecipanti doveva essere salvaguardata e stimolata proprio per
permettere di cogliere e comprendere gli aspetti più profondi del vissuto delle
persone.
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Accoglienza e presentazione
E’ stato presentato ad ogni partecipante il progetto di ricerca. Ad ognuno di
loro è stato richiesto il consenso informato.
La conduzione dell’intervista
Si è iniziato con una domanda di apertura generale dando ai pazienti la
possibilità di ampliare la loro risposta; si è poi proseguito con l’affrontare
aspetti più specifici del loro vissuto porgendo delle domande che facessero
emergere le loro emozioni e le loro sensazioni. In conclusione è stata posta
una domanda più specifica, che richiedeva una spiegazione di cosa fosse
l’afasia, ma sempre secondo il proprio punto di vista.
Conclusione
Alla fine di ciascuna intervista si è lasciato lo spazio per eventuali integrazioni
dei partecipanti e si è proceduto con i ringraziamenti. E’ stato importante e
necessario rispettare i tempi di risposta delle persone, per cui il tempo
dedicato a ciascuna intervista non è stato omogeneo: media 34 min. (min. 15 –
max 53), DS 12.
4.4 RISERVATEZZA
Prima di procedere alla realizzazione di ciascuna intervista si è chiesto ai
partecipanti di firmare il consenso informato (All. n. 1) contenente tutte le
informazioni relative al trattamento dei dati. Durante le interviste ci si è
avvalsi di un registratore per poter, successivamente, trascrivere fedelmente
quanto emerso da ogni singola intervista. E’ stato garantito l’anonimato a tutti
coloro che hanno aderito all’iniziativa e i nomi delle persone, in corso di
trascrizione, sono stati sostituiti con dei numeri.
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CAPITOLO 5
RISULTATI
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“Mi sembra un sogno. Non ci penso neanche. Bisogna sempre andare avanti,
mai tornare indietro perché se si torna indietro è finita!” (3).
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“Eh…io non mi sono reso conto subito anche perché gli infermieri e i familiari
non hanno dato molto peso alla cosa, ma hanno detto tutti che è un momento e
passerà, ma io ho capito, col tempo, che non è un momento e che non passerà”
(4).
“Io non sapevo che non riuscivo a parlare. E quando venivano a trovarmi
dicevo solo: “Ciao, ciao…” Ma non avevo molte cose da dire, io dicevo “ciao” e
basta! Forse ero un po’ confusa, non mi impegnavo molto. Poi, molto tempo
dopo, mi sono resa conto che non riuscivo a parlare. Io non so parlare!!!” (6).
“Mi viene rabbia, sempre rabbia, c’è ancora rabbia, tanta rabbia… Tante volte
andavo al bar e dovevo dire: “Caffè”… Caffè o cappuccino? Per me era uguale.
“Brioche”… eh, brioche è bello, ma cos’è la brioche?... Non fai nulla, non
potevo neanche scrivere, neanche leggere, di conseguenza sei fuori, non fai
nulla! A me piaceva tanto la sera girare, fare… Adesso non faccio nulla. Vado a
dormire prestissimo, alle 9.30 – 10:00. Vado a pescare, da solo… i pesci non ti
dicono nulla!” (7).
“Io capivo tutto, ma avevo l’impressione che gli altri pensassero che io non
capivo. Venivano i medici a fare il giro alla mattina e mi dicevano: “Capisce
quello che diciamo?” E io dicevo con la testa SI’ e con la voce mi veniva solo
NO… (8).
26 di 42 19/07/2011 18:30
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Dall’altra c’è la paura; la paura di non farcela, di restare fuori dal gioco, di
cambiare, forse, non tanto abitudini di vita, ma di diventare un’altra persona.
Ma soprattutto c’è la paura che la malattia si ripresenti.
“Dopo 3-4 mesi avevo paura ad andare fuori, mi dicevo: “Sei un reietto, un
handicappato”… Io sono andato al bar e nessuno mi ha detto niente, tutto
tranquillo. Quel momento mi ha dato fiducia a proseguire, avevo paura che mi
prendessero per matto, visto che non riuscivo a parlare bene” (9).
“Se ci penso sento molta paura, di tristezza meno, più paura. Preferisco non
pensare perché mi mette ansia” (10).
“Mi ricordo bene, non riuscivo a parlare. Era un dramma per me, perché
adesso non riesco a parlare come prima, adesso faccio più fatica” (11).
“Era difficile perché innanzi tutto non potevo neanche fare una telefonata. E
cosa devo fare? Non fai più nulla, non riuscivo a fare proprio nulla e dopo, una
cosa fondamentale, tanta stanchezza, una stanchezza da morire. Io di solito
dormivo 5 ore, adesso devo dormire minimo 8 ore, anche 9. E’ una grande
fatica! (12)”.
Questa sorta di nuova “lentezza” spesso pare scontrarsi con le esigenze del
mondo dei “sani” che incalzano di domande, hanno tempi stretti, hanno
interazioni veloci (e spesso inutili) e in questo contesto la persona afasica si
sente come estraniata, in una dimensione di incomunicabilità.
I concetti di calma, tranquillità emergono potenti come strategie che molti
pazienti si auto prescrivono per non precipitare e per mantenere
quell’apparente distacco dal mondo che consente loro, probabilmente, di
trovare un equilibrio fra i propri pensieri e la relazione con gli altri; la stessa
cosa pare chiedano a chi sta loro intorno: pazienza, silenzio, attesa,
27 di 42 19/07/2011 18:30
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“Ero sempre calmo, non mi agitavo. Io sono abituato ad essere calmo. Poi pian
piano ho ricominciato a scrivere abbastanza correttamente…Mia figlia, mia
moglie, anche loro mi hanno detto: “Fai con calma che se non puoi adesso,
vedrai che riuscirai più avanti!” E me lo dicono ancora.” (15).
“Ho una bella avventura all’ospedale con un’infermiera che mi ha detto subito:
“Stai calma, fai le cose con calma e se non puoi parlare mi dici con la testa”.
Con lei riuscivo a farmi capire meglio anche se in memoria avevo solo “NO”
(16).
“Adesso sono arrivato ad un punto che almeno mi faccio capire ma non è tanto
bello, pesa di più del fatto fisico questo fatto espressivo” (17).
“La mano non ti preoccupa tanto. La mano, vabbè è successo. L’afasia,
comunicare, è una parte immensa del corpo” (18).
“Quando uno ti dice una cosa e non sa che tu non sai parlare... Lui viene e ti
28 di 42 19/07/2011 18:30
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dice: “Signora ti prego mi date quella cosa?” Io cosa dico? Che in quel
momento non mi viene? Io dico: “Mmmm, mmm…” Questo è molto pesante. E’
pesante!...
Sei per strada, tu stai con tuo marito, una signora ti vede e lei non sa niente
di niente di te. Lei dice che tu sei normale e ti dice una cosa. E io:
Mmmm…mmmm… E’ pesante!” (19).
“Se parlo con le persone e sentono che io parlo lentamente, che non esprimo
bene le parole, le metto a loro agio, spiego che cosa ho avuto, che non è una
malattia contagiosa, che c’è nel cervello una piccola parte che non può
mettere bene le parole. Allora si va avanti. (20).
“E’ cambiato radicalmente anche il modo in cui ho visto le altre persone. Non
pensavo… Sono cambiati i miei amici e anche con la mia famiglia ho avuto
problemi nel senso che non hanno capito subito che cosa mi stava
succedendo” (21).
“E’ cambiato tutto perché adesso devo chiedere, tutti sono pronti, però per
me è un po’ dura” (22).
“Quelle di prima non erano vere amiche, erano finte amiche e queste qui sono
amiche!” (23).
29 di 42 19/07/2011 18:30
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“L’afasia è una cosa che ti prende e ti accompagna sempre, per tutta la vita
una volta che c’è. Non è una roba che si cancella, è una roba che dura nella
vita e purtroppo dobbiamo vivere anche con l’afasia” (24).
“Adesso riuscire a meditare anche se sono fra la gente mi da’ un pregio che
una volta non avevo. Si perdono certe cose però se ne acquistano delle altre”
(26).
“Io adesso so valutare le cose più semplici e sono le migliori. Per esempio
adesso, la società secondo me dice buongiorno per ricordare, deve avere, deve
dare. Invece, se io dico: “Buongiorno” lo dico perché ho piacere di dire
buongiorno. Oppure si mangia il caviale però non abbiamo la preparazione di
mangiare il pane, bere l’acqua…” (28).
“Io penso che se si perdono certe abilità si acquistano altre cose. Per esempio
quando sono andato a Belluno a vedere una mostra di Tiziano, ho scoperto che
anche i ciechi vedevano questi quadri, forse meglio di me con il Braille. Io ho
visto il cieco che guardava e ho pensato: “Con la sua immaginazione lo vede
forse meglio di me”. Per me l’afasia non è solo questo perché cambia anche il
sistema di vivere, è cambiato il mio ruolo che avevo nella società. Io non lo
auguro a nessuno. Il male ti fa valutare le cose” (29).
30 di 42 19/07/2011 18:30
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“Direi che è stata una cosa per me che non avrei neanche mai pensato che mi
venisse, è una cosa brutta non riuscire a comunicare. Per me è stata una cosa
brutta perché facevo fatica, anche adesso, qualche volta, faccio fatica, vorrei
dire le cose, magari non mi vengono e lascio a metà” (31).
CAPITOLO 6
DISCUSSIONE
31 di 42 19/07/2011 18:30
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persone afasiche che non praticano una vita associativa intensa, abbiano
avuto un vissuto esperienziale diverso rispetto ai partecipanti intervistati.
Un altro limite può essere rappresentato dall’intervento “facilitatore” che
talvolta il ricercatore ha messo in atto durante le interviste: l’aiuto nel
terminare una frase che veniva espressa con molta difficoltà, anche se
contenuto al minimo e riservato alle situazioni in cui il paziente appariva
molto imbarazzato o teso, potrebbe aver influenzato alcune risposte.
6.2 DISCUSSIONE
Come testimoniato da Murray (2004), Townend et al (2007) e Berg et al
(2009), il rischio che i pazienti afasici hanno di incorrere in una deflessione
del tono dell’umore è maggiore nei primi mesi post-stroke: ciò emerge dalle
risposte della maggior parte degli intervistati. L’afasia rappresenta
inevitabilmente un cambiamento sconvolgente della vita di tutti coloro che
hanno subito questa drammatica condizione e non solo. Tale cambiamento
sembra avvenire gradualmente, con modalità diverse da persona a persona;
comune a tutti gli intervistati è una fase iniziale in cui la visione della propria
esistenza appare come “sospesa” tra l’incertezza e la realtà, dove emergono
sentimenti come angoscia, paura, tristezza e sofferenza. Per molti questa fase
è relativamente breve, per altri molto lunga, ma per tutti poi comincia a farsi
strada la consapevolezza che qualcosa in sé è cambiato, che non sarà più
possibile tornare come prima.
Frustrazione, rabbia, desiderio di morire sono solo alcune delle emozioni
provate da coloro che hanno vissuto in prima persona il dramma dell’afasia. Il
dover dipendere dagli altri, il non riuscire più a fare le attività precedenti o
farle in tempi molto lunghi rispetto a prima, perdere il lavoro per
l’impossibilità di potersi muovere e gestire come un tempo, non avere più la
propria autonomia, ma soprattutto non riuscire a comunicare con gli altri, non
poter esprimere il proprio pensiero anche in termini di dolore o sensazione
fisica, sono aspetti molto critici che possono avere risvolti negativi. La vita
cambia. Ciò che pesa di più, però, non è tanto la disabilità fisica ma, come
sottolineano i partecipanti alle interviste, quella relazionale e sociale,
analogamente a quanto documentato nello studio di Franzén-Dahlin et al
(2006). Emerge ancora tanta rabbia per il fatto di non essere più in grado di
sostenere i tempi e i ritmi di una comunicazione “normale” e questo incide
notevolmente sull’immagine di sè che appare agli altri, soprattutto nel
momento del confronto, della relazione. Ed è proprio questa “nuova”
immagine che sembra avvolgere le persone afasiche, che rischia di provocare
un allontanamento da parte di chi non sembra in grado di accettare la nuova
condizione.
In questa situazione, molti partecipanti hanno riferito di essersi ritrovati da
soli ad affrontare le difficoltà e per molti, l’impossibilità di farsi capire ha
determinato prima una rinuncia nel continuare ad esprimersi e poi
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CAPITOLO 7
CONCLUSIONE
L’afasia è una disabilità che incide notevolmente sulla qualità della vita di
tutte le persone colpite e non solo. Dopo l’evento stroke il paziente afasico si
trova improvvisamente a vivere una condizione drammatica che comporta non
soltanto una disabilità fisica, ma anche e soprattutto comunicativa e
relazionale. Senso di impotenza, frustrazione, rabbia, depressione, paura, sono
solo alcuni dei sentimenti provati da queste persone nella consapevolezza di
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BIBLIOGRAFIA
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